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Capitolo 1 Introduzione al diritto comparato Sommario Sezione Prima: Metodo, funzione e oggetto. - 1. Definizione e fondamento. - 2. Presupposti per l’indagine comparativistica. 3. Difficoltà della comparazione: similarità e differenze. - 4. Il diritto comparato: metodologia. 5. La composizione: metodo o scienza autonoma? - 6. Finalità ulteriori della comparazione. 7. Controllo politico della comparazione. - 8. Funzioni del diritto comparato. 9. Ulteriori funzioni: unificazione, uniformazione e armonizzazione. - 10. Oggetto e fonti del diritto comparato. 11. Macrocomparazione, microcomparazione e mesocomparazione. - 12. Sistemi e famiglie giuridiche. 13. La comparazione per modelli. - 14. Principali settori giuspubblicistici di comparazione. 15. Rapporti con altre discipline. - Sezione Seconda: Ambiti applicativi. - 1. L’omogeneità tra ordinamenti e istituti. 2. Il giudizio comparativo e il modello di riferimento (tertium comparationis). 3. I contesti affini nella macrocomparazione. - 4. Rapporti tra poteri giurisdizionali e comparazione. Sezione Prima Metodo, funzione e oggetto 1. Definizione e fondamento Il diritto comparato è la scienza che intende condurre il pensiero giuridico a cogliere, attra- verso un procedimento ordinato, metodico e progressivo di raffronto, le identità, le somi- glianze, le divergenze nonché le cause dei differenti ordinamenti sistematicamente (CON- STANTINESCO). La necessità di confrontarsi con sistemi al di fuori dei propri confini nazionali si è manife- stata nel corso dell’Ottocento, sotto l’influenza del positivismo giuridico, quando il con- solidarsi degli «Stati nazionali» (tra cui l’Italia e la Germania) ha definitivamente spezzato nell’Europa continentale l’unità dei grandi sistemi giuridici che proveniva dal ius commu- ne del medioevo e che aveva dato luogo già dopo il trattato di Westfalia (1648) a molteplici ordinamenti nazionali, ciascuno autonomo e sovrano (1). Negli ultimi sessanta anni tale esigenza è cresciuta con l’affermarsi di grandi organizzazio- ni sovranazionali (come l’Unione europea) che pur prevedendo spazi comuni (es.: politiche economiche, moneta unica) non sono riuscite a creare una nuova forma di Stato «globale» (DE VERGOTTINI). La spinta al confronto con altri sistemi normativi (v. anche §8) rientra nella sensibilità, diversamente diffusa nei singoli paesi, della cultura giuridica che parte dal legame, teorizzato principalmente dalla dottrina tedesca, tra Kultur e Zivilisation. Accanto a tale esigenza teorico-filosofica la comparazione si è palesata anche come necessità politica ineludi- bile che in passato ha coinvolto le potenze colonizzatrici tenute a conciliare i propri principi costituzionali con (1) Ciò spiega, tra l’altro, lo stretto legame tra il diritto comparato e la concezione universalistica del diritto (Feuerbach, Gaus, Post, Dicey, Jellinek, Lowell, Goodnow etc.). Al riguardo, nel 1888, il giurista tedesco Zitelmann, partendo dal pensiero di Kant, teorizzava un «diritto comune mondiale delle nazioni civilizzate» che partiva proprio da premesse comparitivistiche. Edizioni Simone - Vol. 11/3 Diritto pubblico comparato

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Capitolo 1Introduzione al diritto comparato

SommarioSezione Prima: Metodo, funzione e oggetto. - 1. Definizione e fondamento. - 2. Presupposti per l’indagine comparativistica.

3. Difficoltà della comparazione: similarità e differenze. - 4. Il diritto comparato: metodologia. 5. La composizione: metodo o scienza autonoma? - 6. Finalità ulteriori della comparazione.

7. Controllo politico della comparazione. - 8. Funzioni del diritto comparato. 9. Ulteriori funzioni: unificazione, uniformazione e armonizzazione. - 10. Oggetto e fonti del diritto comparato.

11. Macrocomparazione, microcomparazione e mesocomparazione. - 12. Sistemi e famiglie giuridiche. 13. La comparazione per modelli. - 14. Principali settori giuspubblicistici di comparazione.

15. Rapporti con altre discipline. - Sezione Seconda: Ambiti applicativi. - 1. L’omogeneità tra ordinamenti e istituti.2. Il giudizio comparativo e il modello di riferimento (tertium comparationis).

3. I contesti affini nella macrocomparazione. - 4. Rapporti tra poteri giurisdizionali e comparazione.

Sezione PrimaMetodo, funzione e oggetto

1. Definizione e fondamentoIl diritto comparato è la scienza che intende condurre il pensiero giuridico a cogliere, attra-verso un procedimento ordinato, metodico e progressivo di raffronto, le identità, le somi-glianze, le divergenze nonché le cause dei differenti ordinamenti sistematicamente (CON-STANTINESCO).La necessità di confrontarsi con sistemi al di fuori dei propri confini nazionali si è manife-stata nel corso dell’Ottocento, sotto l’influenza del positivismo giuridico, quando il con-solidarsi degli «Stati nazionali» (tra cui l’Italia e la Germania) ha definitivamente spezzato nell’Europa continentale l’unità dei grandi sistemi giuridici che proveniva dal ius commu-ne del medioevo e che aveva dato luogo già dopo il trattato di Westfalia (1648) a molteplici ordinamenti nazionali, ciascuno autonomo e sovrano (1).Negli ultimi sessanta anni tale esigenza è cresciuta con l’affermarsi di grandi organizzazio-ni sovranazionali (come l’Unione europea) che pur prevedendo spazi comuni (es.: politiche economiche, moneta unica) non sono riuscite a creare una nuova forma di Stato «globale» (DE VERGOTTINI).La spinta al confronto con altri sistemi normativi (v. anche §8) rientra nella sensibilità, diversamente diffusa nei singoli paesi, della cultura giuridica che parte dal legame, teorizzato principalmente dalla dottrina tedesca, tra Kultur e Zivilisation.Accanto a tale esigenza teorico-filosofica la comparazione si è palesata anche come necessità politica ineludi-bile che in passato ha coinvolto le potenze colonizzatrici tenute a conciliare i propri principi costituzionali con

(1) Ciò spiega, tra l’altro, lo stretto legame tra il diritto comparato e la concezione universalistica del diritto (Feuerbach, Gaus, Post, Dicey, Jellinek, Lowell, Goodnow etc.). Al riguardo, nel 1888, il giurista tedesco Zitelmann, partendo dal pensiero di Kant, teorizzava un «diritto comune mondiale delle nazioni civilizzate» che partiva proprio da premesse comparitivistiche.

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10 Parte I: Nozioni generali

le regole giuridiche religiose preesistenti negli ordinamenti dei paesi conquistati.Anche se la comparazione fra diversi ordinamenti giuridici è stata praticata dai giuristi fin dall’antichità (2), il concreto sforzo di individuare una specifica disciplina risale solo agli ultimi anni del XIX secolo.Precisamente, è nel 1869 che fu fondata a Parigi la Société de législation comparée, polo di attrazione per i primi studiosi comparativisti, ed è nel 1900 che fu tenuto, nella stessa città, il primo Congresso Internazionale di Diritto Comparato, che segnò una generale presa di coscienza dell’importanza degli studi comparatistici a livello mondiale (PEGORARO-RINELLA).Nel 1924 fu, invece, fondata a L’Aja l’académie internationale de droit comparé, la quale convoca periodi-camente congressi mondiali dedicati a temi di interesse comparatistico. Infine, è dal 1961 che funziona a Stra-sburgo la Faculté internationale de droit comparé che organizza corsi di analogo oggetto.Questo sviluppo è, poi, proseguito con la creazione, nei singoli Paesi, di istituti universitari indirizzati allo studio della nuova disciplina nonché attraverso la pubblicazione di riviste specializzate nonché di un’enciclo-pedia, l’International Enciclopedia of Comparative Law.

Per DE VERGOTTINI il fondamento del diritto comparato si basa su tre problematiche di base:— come comparare? (problema del metodo) §4;— perché comparare? (problema della funzione) §§8-9;— cosa comparare? (problema dell’oggetto) §10.A queste tre interrogativi si darà risposta in questo capitolo.

2. Presupposti per l’indagine comparativisticaPer procedere a un’analisi comparatista è necessario tener presente tali premesse metodo-logiche:— la nozione di «Stato» e di «diritto» non è uniforme nei diversi ordinamenti, per l’influs-

so di fattori meta-giuridici (credo religioso, appartenenza etnica etc.) e politici;— la traduzione non sempre definisce l’istituto in relazione al suo significato (semantica),

alla «conversione» dei lemmi in altri idiomi o agli eventi storici (così, ad esempio, l’espressione civil war in riferimento agli anni 1861-1865 negli Stati Uniti va tradotto con «guerra di secessione» e non con «guerra civile»);

— l’interdisciplinarità: la mera conoscenza del diritto non è sufficiente, essendo necessarie altre scienze (linguistica, storia, psicologia, filosofia) per «entrare» nel vivo degli ordi-namenti (macrocomparazione) o dei singoli istituti giuridici (microcomparazione);

— la dinamica del potere: le regole giuridiche sono lo specchio della società, riflettono i rapporti di forza tra i poteri costituiti, e sono la sintesi tra le aspirazioni del legislatore e la regolamentazione pratica del potere esecutivo e giurisdizionale. A regole «eccellenti», dettate, in primis, dal potere legislativo infatti, possono corrispondere applicazioni di-storte;

— la mediazione linguistica, culturale e ideale dell’esegeta viene talvolta influenzata dalle «pressioni» esterne per conseguire risultati che suffraghino e, comunque, non contrasti-no determinate scelte politiche del potere costitutito.

(2) Si pensi all’ordinamento giuridico romano che, per le accresciute relazioni commerciali del periodo repubblicano, venne a contatto con numerosi stranieri. Al fine di disciplinare i rapporti tra cittadini e stranieri fu istituita la figura del praetor pe-regrinus che poteva «creare» nuove norme giuridiche proprio a partire dalla comparazione dei differenti ordinamenti di ap-partenenza delle parti. Così pure nell’età di mezzo continui erano i confronti fra il diritto giustinianeo e il diritto canonico.

11Capitolo 1: Introduzione al diritto comparato

Altri presupposti (LOSANO) possono essere individuati tenendo conto della «complessità sociale», fenomeno giuridico legato ad ulteriori fattori quali:— lo sviluppo tecnologico che in ogni società segue un proprio percorso e che influenza in modi differenti

eventuali indagini comparatistiche;— la stratificazione di più sistemi giuridici storicamente succedutisi sullo stesso territorio, ciascuno dei quali

lascia una propria traccia del suo passaggio nei costumi e nelle istituzioni;— le differenti vicende storiche (invasioni, commerci etc.) che importano dall’esterno fattori di cambiamento,

creando dei veri e propri «trapianti giuridici» (ALAN WATSON), come ad esempio, quello derivante dall’espansione dell’antica Roma su tutti i popoli conquistati.

Questo approccio amplia la ricerca al di fuori del terreno del «diritto» estendendosi ai campi della storia e della scienza, fornendo interessanti spunti su cui verificare la correttezza delle generalizzazioni di chi compara (LOSANO).

3. Difficoltà della comparazione: similarità e differenzeDa più parti emergono posizioni dottrinarie (HAGUE-HARROP) che mettono in luce le notevoli difficoltà che può incontrare la comparazione in quanto:— un medesimo fenomeno può assumere differenti significati nei diversi Paesi;— la globalizzazione fa sì che i Paesi non si possano considerare indipendenti soprattutto

per la perdita di sovranità dei singoli Paesi;— ciascun Paese differisce dagli altri sotto differenti e contrastanti aspetti, per cui non si

potrà mai realizzare l’aspirazione dello sperimentatore di mantenere costanti tutti i fat-tori tranne quello di cui si intende misurare l’impatto;

— i Paesi selezionati per lo studio potrebbero, infine, costituire un campione poco rappre-sentativo, limitando così la significatività dei risultati della comparazione.

A tali considerazioni va aggiunto il cd. pregiudizio selettivo che emerge quando la scelta dell’argomento da studiare produce risultati che non sono rappresentativi della categoria più vasta da cui vengono estrapolati i casi e le variabili. Gli studi sullo sviluppo della democra-zia britannica ad esempio non trova alcun riscontro nelle altre democrazie; gli studi sui partiti comunisti ancora al potere nel mondo non sono più rappresentativi dello spirito dei partiti comunisti che governarono l’Europa nel XX secolo.

Modalità di selezione dei Paesi da sottoporre a una comparazione qualitativaDa un punto di vista metodologico esistono due distinti approcci:

— la massima similarità, mettendo a confronto sistemi somiglianti (es. Gran Bretagna e Australia; Italia e Spagna) analizzandone le eventuali differenze fra gli stessi;

— la massima differenza che, al contrario, permette di comprendere la «tenuta» di una relazione tra due fattori (ad es. rapporto fra diritto e religione) in ordinamenti molto diversificati (Paese laico/Paese islamico).

4. Il diritto comparato: metodologieIl diritto comparato raccoglie, ordina e analizza un insieme di proposizioni idonee a far emergere relazioni di simmetria e asimmetria esistenti tra termini appartenenti a ordinamen-ti diversi di cui si vuole cercare un collegamento (SCARCIGLIA).

12 Parte I: Nozioni generali

Tale procedimento (che si scinde in fasi ben definite: conoscenza, comprensione, compara-zione) si giova delle seguenti modalità di approccio:— metodo problematico, che parte dall’analisi di un principio astratto in riferimento a

questioni che hanno suscitato problemi ermeneutico-applicativi e, in via deduttiva, si cerca una conclusione. È tipico dei sistemi di civil law;

— metodo casistico, che parte induttivamente da un caso concreto per trarre una regola generale dalla sentenza prodotta dal giudice (PENNICINO). È tipico dei sistemi di common law.

A tali metodi tradizionali si affianca l’approccio funzionale (functional method) che cerca le risposte all’indagine comparativistica partendo da differenti soluzioni giuridiche deri-vanti da diversi approcci: regole legali, ipotesi dottrinali, prassi giurisprudenziali: l’insieme di tali diverse modalità propositive costituisce il cd. «formante» dell’istituto analizzato.

Così, ad esempio, le diverse motivazioni di una sentenza costituiscono – nel loro insieme – il «formante» auto-nomo della sentenza. Così pure le differenti posizioni della legge, della dottrina e della giurisprudenza costitu-iscono nel loro insieme le formanti di una determinata casistica.

5. La comparazione: metodo o scienza autonoma?A) Impostazione del problemaSi è a lungo discusso sul ruolo da attribuire al diritto comparato, se, cioè, debba essere considerato un mero metodo di ricerca, oppure una vera e propria scienza autonoma (3).

Pertanto, con l’espressione «metodo» ci si riferisce ad un procedimento ordinato e sistematico, che può essere applicato in tutti i campi delle scienze, mentre con l’espressione scienza si fa riferi-mento a una modalità più ampia ed astratta che consente di raggiungere un insieme di conoscenze organiche che costituiscono categorie generali basate su principi astratti.

La controversia nasce dal fatto che lo scopo del diritto comparato è completamente rovesciato: se per le altre discipline la conoscenza del diritto è l’obiettivo principale e l’eventuale comparazione è lo strumento per giun-gere ad essa, nel caso del diritto comparato, la conoscenza dei vari ordinamenti costituisce il presupposto dell’indagine e la comparazione, lo scopo principale che si intende con essa perseguire (PIZZORUSSO).

Oggi in dottrina (COSTANTINESCO) prevale la visione secondo la quale il diritto com-parato costituisce una vera e propria scienza (4), in quanto si caratterizza per:— uno specifico oggetto di studio (gli ordinamenti vigenti);— un obiettivo di conoscenza (la rilevazione di analogie, similitudini e differenze tra i vari

ordinamenti): la ricerca delle leggi generali che hanno determinato l’evoluzione del diritto (RAUL DE LA GRASSERIE) e delle soluzioni normative adottate dai singoli

(3) In particolare, la categoria «scienza giuridica» è venuta a rimorchio, prima con l’Enciclopedia (XVIII sec.) e poi, nel corso del XIX secolo, con lo sviluppo e il progresso delle scienze (positivismo) che quasi parallelamente, in tutti i rami del sapere, sono andate alla ricerca di regole «generali» e «universali» valide per tutti i campi dello scibile. Tali regole si basano su «costanti» fenomeni che si ripetono e si evolvono e che hanno trovato in Comte per la sociologia e Darwin per la zoologia e la botanica, convincenti e insuperati padri fondatori.(4) Secondo Kant, si ha «scienza» se il sistema di conoscenze è ordinato secondo determinati principi che, come tali, devono presentare carattere universale, necessario, sempiterno e indefettibile, cioè valere sempre e ovunque.

13Capitolo 1: Introduzione al diritto comparato

Paesi in risposta ai problemi derivanti dal differente costume politico, sociale ed econo-mico delle singole comunità (BOGNETTI);

— un ambito di ricerca che amplia gli orizzonti culturali e scientifici della realtà giuridica (5);— una propria metodologia di indagine che offre gli strumenti per l’elaborazione di nuo-

ve conoscenze.

B) Nostra opinioneIl problema di ogni «scienza» riguarda i suoi principi fondanti, la cui copresenza costituisce un riferimento ineluttabile per conferire tale carattere ad una disciplina.Ciò premesso, partendo dalla considerazione che un ordinamento generalmente si fonda su una Carta costituzionale che è la «somma» dei principi universalmente riconosciuti (libertà, eguaglianza, solidarietà, pluralismo etc.) si può affermare quanto segue:— l’esistenza, confermata anche da documenti internazionali, di un coacervo essenziale di

principi universali che caratterizzano — almeno in maniera formale — tutti gli ordina-menti mondiali e che sono recepiti nelle singole Costituzioni;

— l’accettazione di tali principi da parte di tutti gli Stati (si pensi — ad esempio — alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo del 10-12-1948);

— la possibilità di riferirsi, per dottrina e giurisprudenza, ai suddetti principi come canoni di comparazione.

La coesistenza di tali presupposti ci permette di conferire l’attributo di «scienza» e non di mera metodologia al diritto comparato.In conclusione, la scienza comparatistica è da considerarsi tale solo se «depurata» da in-flussi contingenti e particolari che, ponendosi in contrasto con i principi universali, ne of-fuscano i connotati di vera e propria scienza.

6. Finalità ulteriori della comparazione

Pur assumendo che il diritto comparato costituisca una scienza, tale disciplina può essere utilizzata come strumento di analisi da parte di chi governa al fine di trovare soluzioni alternative possibili.Tale «uso», così, può prestarsi a:— un fine positivo, se l’intento è quello di apportare al proprio ordinamento gli opportuni

e necessari mutamenti rivolti al bene comune;— un fine negativo, se l’intento è quello di adottare, mediante «comparazioni addomesti-

cate», soluzioni normative che consentano ai governanti di legittimare scelte politiche già decise, a prescindere dai vantaggi collettivi.

Tale atteggiamento un tempo era tipico dei regimi dittatoriali i quali, mediante una incessante propaganda, demonizzavano sistemi e modelli normativi stranieri spacciandoli come pericolose fonti di corruzione della collettività.

(5) Queste finalità si esprimono sia nella politica legislativa che dovrà tener conto della comparazione, sia nella giurispru-denza ove il giudice, grazie alla comparazione, può colmare lacune se non addirittura, nei Paesi di common law, elaborare nuove regole.

14 Parte I: Nozioni generali

In Italia, tale soluzione è stata adottata con l’emanazione delle cd. leggi eccezionali (6) negli anni ’70. In quegli anni, definiti «anni di piombo», culminati con l’omicidio dell’onorevole Moro, il Parlamento, seguendo il mo-dello di cui all’art. 48 della Costituzione di Weimar e all’art. 16 della Costituzione francese, emanò la cd. «Legge Reale» che sospendeva temporaneamente alcune libertà dei cittadini al fine, tra l’altro, di facilitare le perquisizioni a blocchi di interi edifici senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria.Oggi, anche nei regimi democratici, con la pressione dei media, la dittatura della maggioranza e l’assenza di un controllo politico su chi governa, ci si può trovare dinnanzi a situazioni analoghe.

Il pericolo dell’uso distorto della comparazioneIl ricorso alla comparazione, in astratto, permette di «misurare lo stato dell’arte» del proprio sistema nazionale o sovranazionale (es.: UE), e valutare ex ante, con effetto «telescopico», cosa potrebbe succedere se l’ordinamento X o l’istituto Y mutasse o si evolvesse alla stregua di ciò che si è già verificato in altri sistemi.Il potenziale «inganno» che tale «tecnica» nasconde appare evidente a chi conosce le regole del potere; oggi chi governa se svolge o fa svolgere uno studio «comparatistico» può cedere alla tenta-zione di «manipolare» (7) o «far manipolare i dati» (già di non sempre facile estrapolazione) per «adottare» la decisione che politicamente ritiene più conveniente per i suoi interessi, facendola pas-sare come quella più corretta ed opportuna per il suo Paese.Intuibile, pertanto, il potenziale uso surrettizio della comparazione: dimostrare che l’abolizione della pena di morte produce (o non produce) cambiamenti significativi nel numero di omicidi; che il costo per l’introduzione della figura del difensore civico è proporzionato (o non proporzionato) al maggior benessere collettivo; che l’adozione di un sistema elettorale (maggioritario o proporzionale) avrebbe, confrontando potenziali differenti risultati che ne derivano, dato vita ad un sistema maggior-mente rappresentativo o creato maggioranze di governo differenti etc.L’indagine comparata, in conclusione, a meno che non venga svolta per puro «amor di scienza» e nell’interesse assoluto della Stato-comunità, può essere utilizzata per avallare gli strumenti di persua-sione e/o gestire il consenso dello Stato-persona.

7. Controllo politico della comparazioneLo studio comparativistico, oggi, si sposta sull’analisi delle dinamiche dell’esercizio del potere, ossia verificare se le norme democratiche, pluraliste e garantiste dell’ordinamento non siano «inquinate» da atti di prevaricazione della maggioranza o di eventuali governan-ces occulte nazionali o globalizzate.In tal caso il «comparativismo» perde la sua etica di «scienza» e degenera in mera (e «in-quinata») metodologia.Una corretta «lettura» comparativista deve essere sottoposta al controllo politico che coin-volgono in primo piano i cittadini e le formazioni sociali i cui diritti e libertà vanno priori-tariamente salvaguardati (8).

(6) Le leggi eccezionali sono provvedimenti approvati solo in particolari circostanze o con una durata limitata nel tempo. Secondo quanto stabilito dall’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, le leggi che fanno eccezione a regole ge-nerali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati. Anche l’art. 2 del codice penale (concernente la successione nel tempo delle leggi penali) al 5° capoverso stabilisce che i criteri stabiliti nei capoversi precedenti non si applicano nel caso di «leggi eccezionali o temporanee».(7) Di tale pericolo ci mette in guardia anche BOGNETTI che a proposito del valore scientifico della comparazione testual-mente afferma: «Il criterio che deve guidare la ricerca … è esclusivamente quello spassionato e neutrale del ritrovamento e della descrizione della verità» paventando, così, le possibilità di inquinamento della ricerca a fini contingenti e particolari.(8) Tale contratto è potenzialmente attuale nei singoli ordinamenti nazionali, ma può risultare poco agevole nelle comunità sovranazionali orientate più alla salvaguardia del «mercato» che non del «cittadino».

15Capitolo 1: Introduzione al diritto comparato

Il dilemma scienza-metodologia (già trattato al §5) così si sposta su quello centrale e fon-dante dell’effettivo controllo politico da parte dei popoli (o delle istituzioni che lo rappre-sentano: Parlamento) su chi governa.In particolare, nella comparazione (come detto supra) prevale l’«opzione metodo» quando, senza rifarsi ai criteri direttivi tipici dello Stato democratico, ci si limita ad un analisi più o meno «neutrale» e acritica delle cause-conseguenze dei rapporti ed effetti di determinati sistemi giuridici o istituti i cui i risultati non possono prescindere da giudizi di valore espres-sione della democrazia costituzionale.Deve considerarsi «scienza» quando la costituzione democratica, i suoi principi pluralisti, il riconoscimento della libertà degli individui e dei cittadini rappresentano elementi prio-ritari e indiscutibili della comparazione etc.Una visione «statica» della Costituzione scritta, consolidata dall’inviolabilità e intangibilità dei suoi principi, dunque è l’essenziale punto di partenza dell’attuale scienza comparatista.

8. Funzioni del diritto comparatoA) L’acquisizione di nuove conoscenze

Funzione principale del diritto comparato consiste nell’acquisire nuove conoscenze e scoprire nuovi orizzonti nei diversi campi di indagine.Il semplice e acritico studio dei diversi sistemi non va, infatti, confuso con lo studio comparativo degli stessi; una cosa è studiare l’ordinamento di uno o più Stati, altra è porre a confronto tali ordinamenti. Solo quest’ulti-ma operazione consente di enucleare affinità e differenze che stimolano il confronto e forniscono conoscenze ulteriori rispetto allo studio isolato dei diversi ordinamenti.

Il ricorso al diritto comparato, inoltre, consente di classificare in categorie di più ampio respiro sistemi e istituti stranieri per scoprire le diverse dinamiche applicative di normative similari (ad esempio, di diritto privato o di diritto penale) attraverso un confronto con gli effetti che la stessa ha prodotto in più ordinamenti.In tal modo il comparatista è in grado di formulare delle ipotesi cui dare delle risposte concrete.

B) Interpretazione e ricerca dei «principi generali»Il metodo comparativo è di particolare utilità anche in sede di interpretazione mediante la quale l’operatore del diritto (magistrato, avvocato, giurista etc.) ricava la norma da appli-care al caso concreto (v. infra sez. II, §4).Tra le varie tecniche interpretative rientra l’interpretazione sistematica, attraverso cui la disposizione da interpretare si inserisce in un contesto più ampio e, alla luce di esso, le si attribuisce un significato specifico.Laddove la cornice entro la quale viene collocata la singola norma è rappresentata dagli ordinamenti giuridici diversamente strutturati si ricorre all’interpretazione comparativa: si assume, cioè, come parametro di riferimento la disciplina che di un dato istituto viene data nei diversi ordinamenti, per poi ricavarne di più ampia portata principio che meglio consente di interpretare tale norma.A tale tecnica interpretativa fanno ricorso le Corti e i Tribunali costituzionali che talvolta per la ricostruzione di uno specifico istituto, fanno riferimento alla disciplina di altri ordi-namenti.

Capitolo 3Le fonti del diritto

Sommario1. Concetto. - 2. Disciplina delle fonti: i criteri cronologico, gerarchico, di specialità, e competenza.

3. La Costituzione come legge fondamentale. - 4. Le leggi di revisione e le altre leggi costituzionali. - 5. La consuetudine. 6. Il diritto convenzionale. - 7. Il diritto divino. - 8. Due fonti atipiche: Preamboli e Dichiarazioni..

1. ConcettoPunto di partenza per una indagine comparativistica è lo studio parallelo del sistema delle fonti, cioè delle modalità, procedure e regole dalle quali «nasce» il diritto in ciascun ordi-namento.Caratteristica fondamentale di tutti gli attuali ordinamenti è la pluralità delle «fonti del diritto», espressione con cui devono intendersi tutti gli atti o i fatti dai quali traggono origine le norme giuridiche.In particolare, se l’ordinamento attribuisce a determinati organi o enti il potere di produrre tali norme secondo procedure prestabilite, si è in presenza di fonti-atto; quando, invece, viene attribuita una valenza normativa anche a comportamenti umani o a fatti sociali non esplicitamente previsti da norme scritte, detti fatti e comportamenti assumono valore di fonti-fatto (tipico esempio è la consuetudine che deriva da una serie di comportamenti tenuti da persone indeterminate per far fronte a problemi pratici e creano norme di compor-tamento) oppure il precedente giudiziario (che influenza il magistrato di common law nella sua decisione e che, da questo punto di vista, creano diritto) o la prescrizione (che quando si compie interrompe lo svolgimento di un giudizio).Si noti, comunque, che il comparativista mentre deve solo prendere visione delle fonti-atto (leggi già emanate, etc.) per le fonti-fatto è chiamato a svolgere accertamenti più approfon-diti (es.: indagare se una consuetudine non sia desueta etc.).Come rilevato da CONSTANTINESCO, nella macrocomparazione qualsiasi elemento, fattore o atto che prescrive una regola obbligatoria nell’ambito di un particolare contesto socio-giuridico costituisce «fonte del diritto», non avendo alcun rilievo il fatto che esso rivesta «la forma di una legge, di decreto, di sentenza, di regola consuetudinaria, di regola dedotta da una concezione etnica, di precetto appartenente a una religione rivelata, di credenza magica o sacra, di usi e di costumi etc.».

Il problema delle fonti multilivello

Caratteristica fondamentale degli ordinamenti giuridici vigenti è la pluralità delle fonti e il diverso livel-lo delle stesse ove si consideri la molteplicità dei centri (nazionali, sovranazionali e internazionali) di produzione.Si parla — proprio alla luce dell’ingresso automatico di norme emanate dall’Unione europea senza la mediazione del legislatore nazionale — di fonti multilivello, che confondono non poco il vigore e l’applicazione delle norme nei singoli Stati.

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50 Parte I: Nozioni generali

Ciò anche per l’attuale costituzionalismo è «asimmetrico» in quanto deriva dalla ripartizione anomala della governance tra ordinamenti nazionali, sovranazionali e internazionali; tale ripartizione crea una dimensione nuova della separazione di poteri, non più secondo la tripartizione montesquiana delle funzioni pubbliche in legislazione, amministrazione e giurisdizione, ma in forza della dislocazione, a diversi livelli, delle competenze e modalità di intervento (SCUDIERO).

2. Disciplina delle fonti: i criteri cronologico, gerarchico, di specialità e competenza

La pluralità di fonti presenti negli ordinamenti giuridici moderni presuppone l’individua-zione dei criteri che disciplinino i rapporti tra le stesse.Ciò perché esiste una gerarchia in base al grado di efficacia normativa che non permette alle fonti di grado inferiore (es.: regolamento amministrativo) di modificare quelle di grado superiore (legge).Vigono, dunque, una serie di criteri (generalmente accettato) che disciplinano i rapporti tra le fonti.Il primo criterio è quello cronologico per cui, a parità di livello gerarchico, la norma po-steriore modifica, completa e/o annulla quella precedente (come espresso dal brocardo «lex posterior derogat priori»).Quando, poi, si è in presenza di contrasti o antinomie tra norme che, pur regolando il me-desimo oggetto, provengono da fonti che si collocano a livelli diversi, prevale il criterio gerarchico, in virtù del quale le norme poste da fonti di rango superiore non possono es-sere modificate, abrogate etc. dalle norme poste da fonti di rango inferiore.

A tal riguardo, in tutti gli ordinamenti è possibile ravvisare un sistema gerarchico delle fonti disposto su tre livelli (DE VERGOTTINI):— fonti costituzionali;— fonti legislative primarie;— fonti regolamentari secondarie.Nell’ordinamento italiano, ad esempio, le leggi (o gli atti equiparati) non possono porsi in contrasto con le disposizioni costituzionali, e i regolamenti del potere amministrativo non possono derogare a norme di leggi poste in essere dal Parlamento.Analogamente, negli ordinamenti di common law di derivazione britannica, la gerarchia delle fonti compren-de, partendo dal vertice, la common law, l’equity e la statute law.L’ordine gerarchico descritto non trova, però, universale applicazione. Basti pensare agli ordinamenti, quali la Spagna e la Francia, che prevedono un ulteriore livello, vale a dire la «legge organica» che è una fonte inter-media tra Costituzione e legge primaria.C’è poi il caso degli ordinamenti a Costituzione flessibile, nei quali i primi due livelli si sovrappongono, potendo la legge ordinaria modificare il dettato costituzionale (era il caso, ad esempio, dello Statuto Albertino) senza dar corso in tal caso ad alcun procedimento particolare.

Nelle ipotesi in cui la stessa materia è disciplinata contemporaneamente da due norme, una generale e una speciale, quest’ultima prevale sulla prima conformemente al criterio di specialità (anche qualora la norma di carattere generico sia successiva nel tempo), come espresso dal brocardo latino «lex specialis derogat generalis».Si noti, infine, che esistono alcune importanti norme di chiusura come il principio «pacta sunt servanda» in base al quale ogni soggetto giuridico è sempre tenuto a rispettare gli

51Capitolo 3: Le fonti del diritto

obblighi convenzionalmente assunti, nonché l’altro principio «pacta tertiis neque nocent neque iuvant» in base al quale un accordo stipulato tra due soggetti non può essere imposto a «terzi» che non hanno partecipato alla formazione o aderito all’accordo stesso.

3. La Costituzione come legge fondamentaleLa Costituzione è la legge fondamentale di un Paese, l’atto che delinea le sue caratteristiche essenziali, descrive i valori e i principi che ne sono alla base e stabilisce l’organizzazione politica su cui l’ordinamento si regge.La Costituzione, in particolare, può essere:— scritta, se si presenta come un documento redatto in forma solenne da un organismo appositamente convo-

cato;— non scritta, se non esiste un testo di riferimento, ma il funzionamento delle istituzioni si fonda su una serie

di consuetudini e su testi che affrontano solamente alcuni aspetti;— ottriata, se viene unilateralmente concessa per grazia dal sovrano, come è accaduto per la nostra previgen-

te Costituzione, lo Statuto albertino;— votata, se viene adottata da un organo democraticamente eletto o viene comunque approvata dal corpo

elettorale (ad esempio attraverso un plebiscito, come accadde per l’ultima Costituzione della Repubblica francese);

— flessibile, quando può essere modificata dagli ordinari strumenti legislativi senza richiedere un procedimen-to particolare (Statuto Albertino);

— rigida, quando è assolutamente immodificabile oppure è modificabile solo attraverso un procedimento aggravato rispetto a quello ordinario, se non altro in quanto richiede una maggioranza più ampia.

Si definisce rigida in senso debole quella Costituzione che non prevede alcun controllo sulla conformità ad essa delle leggi ordinarie; rigide in senso forte sono, invece, quelle Costituzioni che tale controllo pre-vedono, o autorizzando ogni giudice a disapplicare le leggi incostituzionali, oppure istituendo un organo apposito (Tribunale costituzionale) che annulli le leggi con esse contrastanti;

— breve o corta, quando contiene soltanto le norme sull’organizzazione fondamentale dello Stato e alcuni diritti di libertà;

— lunga, quando riconosce, accanto alle libertà civili, i diritti politici ed economici ed enuncia i valori e prin-cipi cui deve ispirarsi l’azione dei pubblici poteri.

4. Le leggi di revisione e le altre leggi costituzionaliA 2salvaguardia del testo costituzionale vigono importanti guarentigie che ne impediscono improvvisi e poco meditate trasformazioni (cd. rigidità della Costituzione).In particolare, l’articolo 138 della nostra Costituzione disciplina il procedimento di forma-zione di un peculiare tipo di leggi, denominate appunto leggi di revisione costituzionale e leggi costituzionali che necessitano di una «procedura aggravata».Per «leggi di revisione» devono, dunque, intendersi quelle leggi che incidono sul testo costituzionale, modificando, sostituendo o abrogando le disposizioni in esso contenute.

5. La consuetudineA) Concetto e applicazionePer consuetudine (o fonte fatto) si intende un comportamento costantemente ripetuto dai membri di un gruppo, nella convinzione di osservare una norma giuridica o co-munque nella previsione che anche gli altri assumano un comportamento analogo.

52 Parte I: Nozioni generali

L’ordinamento riconosce la consuetudine come fonte autonoma del diritto non direttamen-te derivante dalla volontà statale.

Essa consta di due elementi:— un comportamento costante e uniforme ripetuto nel tempo (usus, diuturnitas o, secon-

do la terminologia anglosassone, usage), che costituisce il cd. elemento oggettivo o materiale;

— la convinzione di rispettare una norma giuridica (opinion iuris ac necessitatis), che si qualifica come elemento soggettivo o spirituale.

in passato la fonte consuetudinaria ha rivestito un ruolo di grande rilievo, nettamente prevalente rispetto alle fonti legali o positive nella costruzione degli ordinamenti giuridici. Tanto che i principali testi del passato [es.: codice Hammurabi, Bibbia, Corano, Leggi delle XII Tavole etc.) costituivano spesso la «codificazione scritta» di radicate e inveterate consuetudini.In tempi più recenti, invece, si è assistito ad una progressiva riduzione dell’applicazione per effetto della preferenza a favore di fonti scritte (che meglio rispondono al principio di certezza del diritto). Non è, tuttavia, corretto parlare di una totale scomparsa della fonte consuetudinaria, come dimostra la realtà giuridica di molti Stati africani ed asiatici in cui, se il diritto codificato di origine occidentale rimane spesso sulla carta, trovando difficilmente applicazione nella pratica quotidiana, le consuetudini continuano a prescrivere i comportamenti da tenere, tanto da essere riconosciute, in alcuni casi, a livello costituzionale (Costituzione del 1975 del Mada-gascar e Costituzione del 1997 del Sudafrica) (RINELLA).

Solitamente la consuetudine opera con più efficacia laddove:— vi sono margini lasciati scoperti da apposite discipline — consuetudine praeter legem

—, come previsto espressamente dall’art. 1, co. 2, del codice civile svizzero («nei casi non previsti dalla legge il giudice decide secondo la consuetudine e, in difetto di questa, secondo la regola che egli adotterebbe come legislatore»);

— dietro esplicito richiamo delle norme scritte — consuetudine secundum legem —, come dispone l’art. 8 delle disp. prel. c.c. italiano («nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati»).

Occorre precisare che negli ordinamenti di tipo occidentale sono del tutto escluse le con-suetudini abrogatrici, in quanto negherebbero valore alla volontà del legislatore e al prin-cipio della certezza del diritto: la consuetudine, dunque, può creare il diritto, ma non abrogare norme scritte.Non c’è, invece, unanimità di vedute sulla rilevanza della consuetudine cd. praeter legem, riguardante cioè materie non regolate dalla legge. Per esempio, in Francia è ammessa solo quella secundum legem; in Inghilterra, invece, è esclusa, in quanto si ritiene che, affinché la consuetudine possa dirsi vigente, deve potersi provare che è stata ininterrottamente os-servata fin da epoca anteriore al 1189, il che risulta praticamente impossibile.

B) Distinzione con altre figurePIZZORUSSO distingue la consuetudine:a) dal precedente giudiziario: mentre nel caso della consuetudine il vincolo, per chi si

trova di fronte ad una fattispecie nuova, deriva dalla costante ripetizione del compor-tamento (usus), assistita da tutte le caratteristiche appena segnalate, nel precedente il

53Capitolo 3: Le fonti del diritto

vincolo deriva dall’autorevolezza del ragionamento che sta alla base della soluzione adottata in relazione ad una o più situazioni simili verificatesi precedentemente;

b) dalla convenzione: pur presupponendo entrambe il «consenso» intorno alla regola da osservare, mentre nella consuetudine tale consenso è espresso nel corso del tempo da una generalità di persone indeterminate, appartenenti ad una determinata comunità, ma non necessariamente da ciascuna di esse, la convenzione presuppone un consenso da parte di tutti i destinatari della norma.

Il ruolo della consuetudine nell’ordinamento statale e internazionale

Il ruolo della consuetudine, per PIZZORUSSO, differisce laddove si ha riguardo:

1) all’ordinamento internazionale, nel quale rappresenta la fonte tipica. Infatti, nel diritto interna-zionale, in mancanza di un’organizzazione alla quale possano venire riconosciuti poteri normativi del tipo di quelli esercitati dagli organi costituzionali di ciascuno Stato, la produzione del diritto si ha esclusivamente in virtù di comportamenti realizzati prevalentemente dagli Stati e dalle orga-nizzazioni internazionali.

Secondo autorevole dottrina, proprio per il prevalente ruolo che lo Stato opera nell’ordinamento internazionale, sarebbe possibile sdoppiare, per così dire, la sua funzione, individuando nel suo ambito un complesso di principi che costituiscono la «costituzione» della comunità internazionale;

2) all’ordinamento statale, nel quale è la legge la fonte principale, e ciò anche in virtù del forte im-pulso della concezione giuspositivistica. Ciò ha comportato l’impossibilità di nascita di consuetu-dini cd. «contra legem».

Per contro, l’unico ambito di operatività riconosciutole con sicurezza è costituito dai casi in cui la norma (o altra fonte scritta) rinvia esplicitamente ad essa: consuetudine «secundum legem».

6. Il diritto convenzionaleOggi una parte preponderante di fonti scaturisce dal diritto convenzionale caratterizzata da una serie di norme nascenti dal libero accordo (consenso) tra soggetti che, attraverso le stesse, raggiungono determinati fini specifici: trattasi delle norme scaturenti dalla libera negoziazione che possono avere sia efficacia inter partes che erga omnes sia di diritto pub-blico (convenzioni costituzionali) che di diritto privato (contratti).

Principali esempi delle forme di diritto convenzionale sono:— le convenzioni costituzionali, che sono accordi in base ai quali i titolari degli organi

costituzionali adottano regole uniformi sulla base di un consenso collettivo (PIZZORUS-SO). Sono nate nell’ordinamento britannico e implicano una autolimitazione nell’eser-cizio dei pubblici poteri.

In particolare le «convenzioni costituzionali» consistono in accordi, anche taciti, in virtù dei quali i titolari degli organi costituzionali uniformano i loro comportamenti, nell’ambito dei loro rapporti ufficiali, a regole non scritte, ma da tutti accettate in base ad un tacito consenso, e quindi osservate fino a quando questo non venga meno (PIZ-ZORUSSO).

Sono definite dai giuristi inglesi come«regole non legali che stabiliscono i modi in cui le regole legali vanno applicate».

Tuttavia, poiché manca una norma sulla produzione che possa essere considerata come fondamento delle convenzioni, è da ritenere che le stesse operino come fonti «extra

54 Parte I: Nozioni generali

ordinem», attesa la loro importanza in tutti gli ordinamenti e non solo in quello britan-nico.

Natura convenzionale hanno, infine, anche gli atti costitutivi di associazioni private o di enti pubblici, aventi struttura associativa, che sono recepiti nell’ordinamento giuridico dello Stato in virtù del riconosci-mento dell’autonomia privata, oppure mediante speciali norme sulla natura giuridica;

— i contratti collettivi di lavoro: che sono le «convenzioni» liberamente stipulate dalle associazioni sindacali di lavoratori e quelle dei datori di lavoro per disciplinare quei contenuti dei rapporti di lavoro (es. retribuzione) che non sono oggetto di norme indi-sponibili di ordine pubblico (come ad esempio la tutela della salute del lavoratore).

Tali contratti tendono a realizzare la loro efficacia erga omnes, cioè verso tutti gli appar-tenenti alla categoria cui si riferisce. Il problema, dunque, si pone per i lavoratori ap-partenenti alle categorie che non li hanno stipulati. Si ritiene che, in queste ipotesi, af-finché il contratto abbia effetti erga omnes, sia necessario introdurre specifiche norme sulla produzione giuridica, mediante le quali differenziare la disciplina del contratto collettivo da quella dei normali contratti di diritto privato e cioè, per esempio, attribuen-do ai contratti collettivi il ruolo di presupposto di un atto normativo, tramite cui vengo-no «recepiti».

7. Il diritto divinoA) Nozioneper diritto divino si intende quello che scaturisce da una manifestazione di volontà di un’autorità ultraterrena: l’autorità divina.In questo caso a costituire fonte del diritto, nell’ambito degli ordinamenti delle confessio-ni religiose e negli ordinamenti statali a base confessionale che la recepiscono, è la rivela-zione divina. Ciò significa che si attribuisce al «diritto divino» natura eterna ed immutabi-le, anche se si deve, attraverso l’interpretazione dei testi sacri, adattarlo all’evoluzione della società (PIZZORUSSO).Per molti secoli, il diritto divino ha svolto un ruolo preponderante rispetto al «diritto umano», anche in Europa, ma, nel corso degli ultimi due secoli, è prevalso il convincimento secondo il quale le norme religiose riguardano «il foro interno dell’animo umano e dell’agire» e, come tali, non coercibili, in quanto solo indirettamente (e senza sanzioni) influenzano il diritto positivo.Esempio di Stati che si sono proclamati «confessionali» sono quelli islamici; del pari, nu-merosi Stati africani ed asiatici, che seguono il principio dello «statuto personale», con riferimento principalmente alle religioni ebraica, cristiana e musulmana, considerano la rivelazione divina come fonte del diritto.

B) Diritto divino e diritto canonicoIl diritto canonico è l’ordinamento della Chiesa cattolica.Non tutto il diritto canonico è, però, diritto divino, essendo costituito, ad esempio, anche da norme di diritto politico o diritto consuetudinario.

55Capitolo 3: Le fonti del diritto

La parte del diritto canonico che costituisce diritto divino si compone dello:1) ius divinum positivum, che risulta dalla rivelazione contenuta nelle sacre scritture e dagli

atti di Gesù Cristo e degli apostoli operanti in suo nome;2) ius divinum naturale, che si fonda sull’identità fra volontà divina e razionalità dell’es-

sere umano.In relazione all’ambito di operatività, la storia del diritto canonico si distingue in tre fasi:— il periodo che va dalle origini al XII secolo, quando fu composto il Decretum Gratiani;— il periodo che va dal XII secolo al Concilio di Trento;— il periodo che va dal XVI secolo al 1918, quando fu redatto il primo Codex juris canonici, ora sostituito da

quello del 1983.Nell’epoca contemporanea, il diritto canonico, oltre a costituire la normativa vigente nell’ordinamento dello Stato della Città del Vaticano, è parzialmente applicato anche in altri paesi, in virtù del regime concordatario: nel caso in cui si trovi ad essere in contrasto con il diritto dello Stato, tale conflitto può sfociare in atti di par-ziale disconoscimento reciproco dei due ordinamenti. In Italia, ad esempio, viene applicato con riferimento ai matrimoni celebrati davanti ai ministri del culto cattolico.Quanto ai soggetti destinatari esso è applicabile a tutti coloro che sono stati battezzati secondo il rito della Chiesa cattolica.Alla sua applicazione provvedono i Tribunali Ecclesiastici, che operano alle dipendenze e sotto l’autorità del Sommo Pontefice.

C) Diritto divino e diritto musulmanoIl diritto musulmano («shari’a») è il diritto dell’islamismo. In generale, risulta dalla rive-lazione divina ma, in particolare, deriva da fonti distinte:— Corano (che è la parola di Dio rivelata da Maometto);— regole desunte dalle parole e dagli atti compiuti da Maometto in base all’ispirazione

divina (cd. Sunna);— opera di interpretazione compiuta dalle quattro scuole teleologiche ortodosse: ha-

nafita, malechita, shafita, hanbalita.

Caratteristica essenziale del diritto musulmano è l’immedesimazione assoluta tra diritto e religione, tuttavia, quello ora vigente (cd. fiqh) si fonda, oltre che sulla rivelazione divina, su un diritto giurisprudenziale, derivante proprio dall’opera di interpretazione dottrinale delle fonti derivanti dalla rivelazione divina, interpretazione rivelatasi necessaria, peraltro, per la difficoltà di applicare alla realtà odierna un diritto vigente dieci secoli fa.Questa esigenza di modernizzazione raramente si è tradotta in un’opera di laicizzazione (come è avvenuto in Turchia), piuttosto, ha dato vita alla coesistenza di due diritti diversi, applicati in due momenti diversi dalla vita sociale (come è avvenuto in Tunisia).Anche alla religione musulmana (soprattutto sunnita) manca un’organizzazione ecclesiasti-ca stabile e burocratizzata simile a quella della Chiesa cattolica.

8. Due fonti atipiche: Preamboli e DichiarazioniSin dai primordi del costituzionalismo moderno si sono affermate due fonti atipiche, con-siderate «super fonti» per l’importanza dei contenuti da esse affermati. Si tratta dei pre-amboli e delle Dichiarazioni che proclamano con enfasi deontologica (cioè in temini di dover essere) le intenzioni dell’autorità che li pone in essere.

56 Parte I: Nozioni generali

A) I PreamboliI preamboli sono testi di apertura che precedono l’articolato di Statuti e Costituzioni ed esprimono solennemente propositi, obiettivi e fini del «Costituente» delineando la forma di Stato e di governo nonché le motivazioni politiche che reggono il testo costituzionale. Ci si riferisce, ad esempio, alla Costituzione USA del 1787, allo Statuto Albertino (1848), alla Legge Fondamentale tedesca (1949) etc.Per il loro contenuto ideologico, anche se non omogeneo, si è discusso sul loro valore meramente programmatico o immediatamente precettivo.La Corte Suprema degli Stati Uniti, nel caso Jacobson V. Commonwealth of Massachusetts del 1905, ha affermato che il Preambolo non può essere considerato come fonte di alcun potere sostanziale, mentre il Consiglio Costituzionale francese, nel 1971 (decisione 71-74), ha riconosciuto pieno valore giuridico al preambolo della Costituzione del 1958.A prescindere dalla tesi non si può ignorare la loro importanza fondante che ne fa norme metagiuridiche, di connotazione di sistema, di parametri di costituzionalità, nonché di fonti sovracostituzionali che esprimono principi supremi e intangibili ispiratori dell’or-dinamento giuridico che introducono.

B) Le DichiarazioniLe Dichiarazioni affermano un «catalogo» di diritti intangibili, imprescindibili, incancel-labili, inalienabili, imprescrittibili, indefettibili, in quanto esprimono il rapporto tra autori-tà e libertà che caratterizzano la forma dello Stato liberale (MONTANARI).Oggetto delle Dichiarazioni è di regola un «coacervo sintetico di diritti fondamentali», ma a seguito delle numerose convenzioni internazionali che ne hanno ribadito l’essenza e l’indefettibilità, la cui enunciazione rappresenta il risultato di aspre lotte condotte negli ultimi tre secoli, i diritti fondamentali devono essere considerati prerogative inscindibili di tutti gli esseri umani del pianeta e in quanto tale nessuna autorità può limitarli o cancellarli.Le Dichiarazioni, dunque, contengono l’enunciazione di tali principi e sono così definite perché non istituiscono, ma si limitano a dichiarare diritti naturali considerati già pree-sistenti allo Stato. Tali fonti, pertanto, hanno rango supercostituzionale e metagiuridico, in quanto riportano principi primari che costituiscono il fondamento degli ordinamenti democratici e, come tali, sono previgenti a tutte le altre norme dell’ordinamento.Storicamente, è a partire dalla seconda metà del ‘700, sulla scia degli studi dell’Enciclope-dia e delle rivoluzioni liberali, che fiorirono le principali Dichiarazioni, fra cui quella ame-ricana (1776) e francese (1789) che otterranno nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 il riconoscimento dell’intera umanità. L’ultimo esempio è offerto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza nel 2000 per san-cire anche in ambito europeo la nuova menzione del rapporto tra gli individui e unione.

Capitolo 1Il Regno Unito

Sommario1. Premessa. - 2. La rivoluzione inglese. - 3. I documenti fondamentali del Costituzionalismo britannico.

4. Il sistema delle fonti. - 5. Il ruolo del monarca in veste di Capo dello Stato. - 6. Il Parlamento. 7. L’iter di approvazione delle leggi. - 8. Funzione ispettiva.

9. Il Governo del Premier e l’affermazione del «modello Westminster. 10. Composizione del Governo. - 11. Il sistema giudiziario.

1. PremessaA) L’originalità dell’ordinamento britannico

Il Regno Unito, che comprende Inghilterra, Irlanda del Nord, Scozia e Galles, è lo Stato dove è nata e si è affermata per prima, a seguito di una lenta, ma plurisecolare evoluzione, la forma di governo parlamentare.Il sistema britannico, tuttavia, si è progressivamente trasformato da «governo parlamen-tare» in «governo di gabinetto», caratterizzato dallo schema del parlamentarismo mag-gioritario, con una forte predominanza del governo e del suo leader.Si tratta di una forma di governo:— monista, che deriva dalla centralità del rapporto tra corpo elettorale, Camera dei Co-

muni e Governo, con la progressiva marginalizzazione del ruolo della Corona e della Camera dei Lords;

— non razionalizzata, in quanto basata su norme consuetudinarie, non disponendo il Re-gno Unito di un testo costituzionale scritto.

Pur costituendo l’ordinamento «costituzionale» di più antica tradizione, l’Inghilterra non possiede una costituzione scritta.I principi costituzionali che informano l’ordinamento inglese sono «diluiti» in una serie di documenti storici fondamentali di diversa natura (dalle Carte delle libertà alle statute laws emanate dal Parlamento) nonché nelle sentenze giudiziarie che formano il patrimonio giuridico consolidato della common law: in tal modo è stata una costruita nel tempo una architettura costituzionale unica, in grado da un lato di preservare nei secoli i propri caratteri fondamentali, dall’altro di integrare tali caratteri con le necessarie modifiche lega-te alla evoluzione della società.Non esiste, dunque, nella storia inglese, un momento propriamente costituente; esistono piuttosto una serie di momenti in cui determinati rapporti tra poteri – consolidatisi nella pratica – sono stati suggellati in documenti formali, segnando il compimento di una determinata epoca e l’apertura di fasi nuove, a loro volta produttrici di nuove carte e documenti.

Per quanto, dunque, anche la dottrina più autorevole continui a parlare di una «costituzione non scritta», sembra più opportuno fare riferimento ad una costituzione «composita» o «evolutiva», che costituisce la risultante di una serie di fonti di diversa natura poste a

Edizioni Simone - Vol. 11/3 Diritto pubblico comparato

184 Parte II: Le forme di governo contemporanee

tutela di alcuni principi fondamentali — il governo della legge, la supremazia del par-lamento, la separazione dei poteri, la tutela delle libertà fondamentali — che nel loro insieme hanno dato forma all’attuale fisionomia costituzionale britannica.

B) Le origini: da guglielmo il Conquistatore all’ascesa degli StuartLa storia della monarchia inglese ha inizio con l’occupazione normanna da parte di Gu-glielmo il Conquistatore nel 1066 che, dopo la battaglia di Hastings, comportò, assieme alla preminenza di potere centralizzato molto forte e la creazione di un diritto uniforme, l’introduzione del feudalesimo nell’isola (1).La conquista dell’Inghilterra da parte dei duchi di Normandia creava una difficile situazione «internazionale» relativa ai rapporti tra sovrano inglese e re di Francia. Il primo, infatti, proprio in quanto duca di Normandia, si trovava ad essere vassallo del secondo. Una situazione che si complicherà ulteriormente con l’ascesa al trono inglese della famiglia francese dei plantageneti, e in particolare con enrico ii, nel 1154. Questi, poco dopo l’ascesa al trono, sposerà la principessa Eleonora d’Aquitania, acquisendo in dote i territori della Francia sudoc-cidentale. Sicché, alla metà circa del XII secolo, un’ampia porzione di territorio francese, comprendente le provincie settentrionali e la fascia atlantica, era di fatto nelle mani del sovrano inglese.Da questo momento in poi le corone di Francia e di Inghilterra ingaggeranno una lunga lotta per liberarsi cia-scuna dall’influenza dello scomodo vicino.La svolta si avrà agli inizi del XIII secolo, quando il debole Giovanni plantageneto sarà sconfitto da Filippo augusto di Valois nella battaglia di bouvins (1214). La sconfitta costerà alla corona inglese la perdita di tutti i feudi in territorio francese e al sovrano il beffardo appellativo di «Giovanni Senza terra».

Tornato in patria in una condizione di grave debolezza nei confronti dei nobili e degli eccle-siastici del regno, Giovanni Senza Terra fu costretto a concedere la Magna Charta liberta-tum ecclesiae et Regni angliae, o più semplicemente Magna Charta (1215), documento di fondamentale importanza in quanto considerato, insieme con le sue successive modifiche (confirmationes), il primo tassello della struttura costituzionale «composita» del Regno Unito.

Le prerogative fondamentali riconosciute dalla Magna Charta possono essere così riassunte:

— l’istituzione permanente di due organismi collegiali per assistere il sovrano nella gestione degli affari del regno: il Magnum Concilium, con competenze fiscali e giudiziarie; la Curia regis, un consiglio ristretto di 25 baroni laici ed ecclesiastici, con competenza generale;

— veniva stabilito il principio, che sarà solennemente sancito da Eduardo I nel 1297, in base al qua-le la corona non poteva imporre tributi senza la previa autorizzazione del Concilium dei nobili (che nel 1340 si scinderà nella Camera dei Lord e nella Camera dei Comuni, dando vita alla struttura bicamerale del Parlamento);

— il riconoscimento del principio dell’habeas corpus a tutela della libertà personale (art. 39), princi-pio già operante nelle prime sentenze di common law e che si trasferirà in tutti gli ordinamenti costituzionali successivi. L’habeas corpus (espressione latina che esprime il diritto ad essere padroni del proprio corpo) stabilisce che nessun suddito inglese potesse essere soggetto a restri-zioni della libertà personale se non in seguito a un giudizio formulato dai suoi pari secondo le leggi del regno (2).

(1) Dopo la conquista Guglielmo lasciò in vigore il precedente assetto territoriale, organizzato in contee (shires) affidate ad uno sceriffo (sheriff). L’unica innovazione fu l’istituzione di funzionari itineranti di nomina regia – sul modello dei missi dominici carolingi – con il compito di vigilare sull’operato degli sheriffs, nonché di esercitare funzioni di giudici di appello. Tale funzione risulterà decisiva per la formazione del primo nucleo di quella che diventerà in seguito la common law.(2) Tale disposizione, prevedendo il giudizio da parte dei «pari», è all’origine dell’istituto della giuria, che caratterizza an-cora oggi le procedure di alta giustizia penale e civile degli ordinamenti di matrice anglosassone.

185Capitolo 1: Il Regno Unito

In queste limitazioni del potere del sovrano a vantaggio della tutela di determinate libertà dei sud diti è stata vista, a ragione, la prima «formale» manifestazione del costituzionalismo inglese.Le origini dell’istituto parlamentare, invece, risalgono al 1265 (Parlamento convocato, in assenza del re, da Simone di Monfort, capo della lega dei baroni contro Enrico III), e all’ini-zio del ’400 come struttura definita, con la divisione in due Camere e le affermazioni delle prime prerogative in campo legislativo.

2. La rivoluzione ingleseA) L’avvento degli StuartÈ nel corso del XVII secolo, attraverso una serie di drammatiche fasi — dalla guerra civile alla decapitazione del re Carlo I, dalla proclamazione della Repubblica di Cromwell fino alla restaurazione degli Stuart e infine alla gloriosa rivoluzione del 1688-89 — che l’equi-librio dei poteri istituzionali si è definitivamente spostato a favore del parlamento, deline-ando quella supremazia che come dicevamo è uno dei cardini del costituzionalismo inglese.

B) Il conflitto tra gli Stuart e il ParlamentoL’ascesa al trono inglese della dinastia scozzese degli Stuart, data la mancanza di eredi diretti dell’ultima esponente della casa dei Tudor, elisabetta i, complicò notevolmente i rapporti tra Corona e Parlamento, che proprio sotto il regno di Elisabetta avevano trovato un certo equilibrio (sebbene nel segno di una velata supremazia della corona).Giacomo i Stuart, salito al trono nel 1603, e più ancora suo figlio Carlo i (1625), mostrarono una forte con-sapevolezza della derivazione divina del loro potere e, in gradi diversi, una palese indifferenza verso le prero-gative tradizionali del Parlamento. Il modello di governo dei sovrani scozzesi era infatti l’assolutismo nella sua declinazione spagnola e, più ancora, francese. Il regno degli Stuart fu quindi caratterizzato da ripetuti scontri tra le due istituzioni, i cui rapporti degenerarono progressivamente fino alla rottura definitiva.Una prima svolta si ebbe nel 1627, in occasione della decisione di Carlo I di intervenire in soccorso dei prote-stanti francesi (gli ugonotti) assediati a La Rochelle dalle truppe cattoliche del cardinale Richelieu.Il sovrano inglese si trovò così nella necessità di convocare il parlamento per finanziare la spedizione, ma si trovò di fronte a un atteggiamento decisamente ostile.Tale atteggiamento si «formalizzò» di lì a poco con la presentazione – su iniziativa del deputato e giurista William Coke – della petition of Rights (1628), documento nel quale venivano riaffermati i principi costuituzionali dell’ordinamento inglese, tra i quali il diritto all’inviolabilità della persona e del domicilio nonché la necessità del ricorso al Parlamen-to per tutte le forme di imposizione fiscale straordinaria.Il documento — che ancora oggi costituisce una delle fonti principali della «costituzione» inglese — offrì l’oc-casione per la rottura definitiva, segnata dal periodo 1629 – 1640, in cui il re governò senza mai convocare il Parlamento.Questi «undici anni di tirannia» costituirono una svolta: Carlo inasprì le misure contro gli oppositori politici (creando un apposito tribunale speciale, la Camera Stellata) e reperì i propri finanziamenti ricorrendo a presti-ti privati e all’esazione forzosa di alcune imposte tradizionali (come la ship money). Il timore di una deriva assolutistica della monarchia compattò ancora più le pur diversissime forze sociali inglesi.

186 Parte II: Le forme di governo contemporanee

C) La guerra civileAgli inizi del 1640, a seguito di una rivolta scoppiata in Scozia, Carlo I fu costretto a convocare nuovamente il Parlamento, ma ottenuti i fondi necessari sciolse l’assise appena convocata. Poiché durò solo tre settimane, tale convocazione è passata alla storia con il nome di Corto parlamento.Dopo poche settimane, tuttavia, una nuova rivolta, questa volta in irlanda, obbligò il sovrano a convocare un nuovo parlamento, che questa volta durerà in carica fino al 1653 (il lungo parlamento).Il sovrano tentò allora di liberarsi con la forza dell’opposizione parlamentare, facendo irruzione nella Camera dei Comuni con un esercito incaricato di arrestarne le figure più rappresentative. Il tentativo fallì, Carlo I fu costretto a fuggire da Londra, lasciando la città in balia delle fazioni armate dei lealisti e dei parlamentaristi: era l’inizio della guerra civile.

D) Oliver Cromwell e la decapitazione di Carlo ILa svolta nella guerra civile si ebbe nel 1645, quando le forze del parlamento sconfissero i lealisti nella battaglia di Naseby.I motivi della vittoria vanno ricercati nella migliore organizzazione data all’esercito parlamentare da un espo-nente della piccola nobiltà di campagna (la gentry), oliver Cromwell. Questi seppe creare un esercito di vo-lontari, la New Model army, i cui esponenti furono chiamati teste Rotonde per via del taglio corto dei capel-li e i cui gradi maggiori erano raggiunti per merito e non per nascita o estrazione sociale. Cromwell, inoltre, divenuto ben presto il leader del movimento parlamentarista, pur essendo politicamente un moderato, seppe tenere a freno le spinte estremistiche presenti nell’esercito (le frange radicali dei livellatori e degli zappatori) proponendo un programma di moderate riforme istituzionali e una contenuta estensione del diritto di voto.Nel 1649, Cromwell fu a capo del processo che un parlamento epurato dagli esponenti di tendenze contrarie (il Rump Parliament) tenne contro Carlo I, condannandolo a morte. Il re fu decapitato a Londra alla fine di gennaio.Pochi mesi dopo Cromwell assunse i pieni poteri, proclamò la nascita della Repubblica Unita di inghilterra, Scozia e irlanda (il Commonwealth), e abolì la Camera dei Lords.A partire dal 1653 Cromwell si autoproclamò lord protettore della Repubblica, instaurando di fatto un regi-me di tipo dittatoriale caratterizzato, sul piano interno, dalla repressione sistematica delle opposizioni, dallo scioglimento del parlamento e dalla sostituzione con un Consiglio composto dai suoi fedeli; fece inoltre redi-gere l’Instrument of Government, la prima e unica carta costituzionale scritta della storia inglese, che tuttavia resterà in vigore solo fino al 1660.Così, poco dopo la morte di Cromwell (1658), un esercito di baroni fedeli agli Stuart, stanchi della repressione degli anni della Repubblica, marciò su Londra e pose sul trono Carlo ii, figlio del sovrano giustiziato dieci anni prima, restaurando di fatto la monarchia. Era il 1660.

e) Dalla Restaurazione alla gloriosa Rivoluzione: 1660-1689Con il ritorno degli Stuart la tensione tra corona e parlamento, sebbene non più nelle forme cruente della guerra civile, tornò a caratterizzare la vita politica inglese. È in questi anni che si profila il ruolo di primo piano della Camera dei Comuni nonché la nascita di due «partiti» nettamente caratterizzati:— i tories, monarchici, sostenitori del principio dinastico e della Chiesa anglicana di Stato (di una Chiesa,

cioè, posta sotto il diretto controllo del re);— i Wighs, sostenitori della centralità del parlamento in quanto rappresentante del regno e della libertà religiosa.A segnare le sorti della monarchia fu il tentativo di Carlo II, e più ancora di suo figlio Giacomo ii, di riavvici-narsi alla monarchia francese e alla Chiesa di Roma per costruire una alleanza in funzione antiparlamentare. Il timore dell’instaurazione di una monarchia assoluta sul modello francese spinse dunque il parlamento ad offrire la corona alla figlia di Giacomo II, Maria Stuart, e a suo marito Guglielmo iii d’orange, entrambi protestanti.Agli inizi del 1689 Guglielmo e Maria giungono a Londra, causando la fuga di Giacomo II. Essi accettarono la corona inglese non prima, però, di aver sottoscritto il bill of Rights, documento che segna la nascita della monarchia costituzionale inglese. In esso viene sancito il principio che il re regna ma non governa, e la fonte della sovranità viene riconosciuta nel parlamento, espressione della volontà della nazione (Crown in Par-

187Capitolo 1: Il Regno Unito

liament). Arrivava, quindi, a compimento la Gloriosa Rivoluzione, così ricordata in quanto compiutasi senza spargimento di sangue.Infine, pochi anni dopo, l’act of Settlement (1701), stabilisce definitivamente la fine del principio dinastico affidando anche la successione al trono alla volontà del Parlamento.

3. I documenti fondamentali del Costituzionalismo britannicoDalla ricostruzione delle vicende storiche del Regno Unito emergono le pietre angolari della struttura costituzionale dello Stato, vale a dire gli atti scritti che ne rappresentano la Costituzione sostanziale. Essi sono:— la Magna Charta libertatum del 1215, che sancisce i diritti degli uomini liberi del

regno (nobiltà terriera di origine feudale ed ecclesiastica), ed afferma in un testo scritto i limiti del potere sovrano. Per la prima volta, inoltre, viene dichiarato il principio della inviolabilità della libertà personale;

— la petition of Rights del 1628, che ribadisce le prerogative dei sudditi contenute nella Magna Charta contro le pretese assolutistiche degli Stuart;

— gli Habeas Corpus acts, del 1679 e del 1812, che riprendono e rafforzano i principi in materia di libertà personale;

— il bill of Rights del 1689, documento che chiude la Gloriosa Rivoluzione sancendo definitivamente il principio della superiorità del Parlamento nell’ordinamento inglese. Guglielmo d’Orange e sua moglie Maria ricevono infatti la corona «per volontà» del Parlamento (3), del quale giurano solennemente di rispettare le prerogative. Nel docu-mento vengono per la prima volta elencati anche i diritti dei sudditi inglesi;

— l’act of Settlement del 1701, che affida al Parlamento la disciplina della successione al trono in mancanza di eredi diretti della dinastia regnante. Tale disposizione rese pos-sibile, nel 1714, all’estinzione della dinastia degli Orange, la consegna della corona alla dinastia tedesca degli Hannover. Tale documento contiene importanti disposizioni in materia di indipendenza dei giudici e stabilisce che nessun sovrano cattolico potrà mai sedere sul trono inglese;

— il Reform act del 1832, che togliendo alla Corona la possibilità di manipolare l’esito delle consultazioni elettorali, concorre alla transizione verso un sistema di parlamenta-rismo liberale.

A tali atti vanno aggiunti diversi documenti approvati nel corso del secolo scorso che hanno contribuito a deli-neare l’assetto politico e istituzionale del Regno Unito. Tra questi vanno menzionati:— i Parliament Acts del 1911 e del 1949 e l’House of Lords Act del 1999, che hanno, di fatto, sancito la pre-

minenza della Camera dei Comuni rispetto alla Camera dei Lords e contribuito alla definizione di un bica-meralismo imperfetto;

— lo Statute of Westminster del 1931, il Northen Ireland Constitution Act del 1973, lo Scotland Act e il Gover-nment of Wales Act del 1998 che hanno disciplinato i rapporti con le ex colonie e riconosciuto le ampie forme di autonomia di cui godono, rispettivamente, l’Irlanda del Nord, la Scozia e il Galles;

(3) Il Bill of Rights, in assenza di una costituzione scritta, ha rappresentato per ben tre secoli il principale documento in materia di diritti umani vigente nel Regno Unito.In esso vengono sanciti i diritti di petizione, di voto, di speech and debate, di accesso alle Corti, di manifestazione del pensiero etc.Molti Paesi giunti all’indipendenza hanno adottato analoghe Carte dei diritti: si pensi, ad esempio, al Bill of Rights statuni-tense, entrato in vigore nel 1791, e a quello canadese, approvato nel 1960. Atti simili sono presenti nell’ordinamento indiano e in gran parte degli Stati africani di recente indipendenza.

188 Parte II: Le forme di governo contemporanee

— l’European Communities Act del 1972, con il quale è stato recepito nell’ordinamento britannico il diritto comunitario e sono state disciplinate le modalità di attuazione dello stesso;

Infine, un particolare rilievo va attribuito allo Human Rights Act del 1998 che, nel recepire i contenuti principali della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, ha consentito al Regno Unito di dotarsi di una «carta dei diritti» normalmente incorporata nelle carte costi-tuzionali di tutti gli Stati, ma che non era presente nell’ordinamento britannico (almeno non in una forma organica).

4. Il sistema delle fontiA) La common law e il valore del writla common law è il complesso delle regole e dei principi elaborati a livello giurispru-denziale da antichi organi giudiziari della Corona, come il King’s Bench, il Common Pleas e l’Exchequer, le cui sentenze erano considerate valide su tutto il territorio del Regno (di qui l’uso del termine common), anche se in antitesi con le consuetudini locali.L’origine della common law deve essere ricercata nella volontà del Sovrano Guglielmo il Conquistatore, all’indomani della vittoria di Hastings, nel 1066, di procedere alla creazione di un diritto centralizzato ed uniforme in grado di superare le contraddittorie e arbitrarie pronunce delle diverse Corti distrettuali o baronali. Ciò consentiva ai sudditi che ritenesse-ro di non aver ottenuto soddisfazione dinanzi ad una Corte locale, di appellarsi alle corti regie. La possibilità di ricorrere in appello, di affidarsi cioè alla diretta giustizia del re, era prevista fin dal principio nell’ordinamento medievale.Il diritto inglese, dunque, si sviluppò attraverso l’attività processuale esplicata dalle Corti londinesi.Una volta esaminato il caso, le Corti procedevano ad emanare un particolare documento, il writ. Quest’ultimo era un ordine che il sovrano indirizzava ad una Corte distrettuale o baronale, su richiesta (e dietro esborso di denaro) della parte che per un qualunque motivo non avesse ottenuto soddisfazione della lite dinanzi alla me-desima Corte (distrettuale o baronale), affinché venisse «riesaminato» il suo processo. Nell’ipotesi di inottem-peranza al writ, il processo veniva automaticamente trasferito dinanzi ad una delle Corti londinesi.In quanto strumento rigorosamente formale, ciascun writ corrispondeva ad un determinato tipo di azione pro-cessuale: ad esempio, alla pretesa restitutoria di un fondo faceva riscontro il writ precipe quod reddat; alla pretesa di restituzione immediata di un debito di denaro determinato nel suo ammontare corrispondeva il writ of debt (o il convenuto pagava, oppure veniva costretto a comparire in giudizio dinanzi alla Corte regia); il writ of rights ingiungeva al barone, concedente di un fondo ad un soggetto, di iniziare immediatamente l’azione di spossessamento contro l’altro soggetto che aveva occupato senza titolo il fondo stesso, altrimenti a risolvere la controversia sarebbe stata la Corte distrettuale regia.Con il passare del tempo l’insieme dei writs finì con il costituire un corpus normativo sufficientemente stabile e completo, cui i giuristi del regno facevano costante riferimento. Ciò fece della common law, per secoli, la principale fonte del diritto dell’ordinamento inglese.

B) Il principio dello stare decisis (precedente vincolante)Questo complesso di norme giurisprudenziali si è consolidato nel corso dei secoli anche per opera del principio dello stare decisis, o regola del precedente vincolante, per effetto del quale una Corte superiore è vincolata dalle decisioni prese in precedenza (con l’unica

189Capitolo 1: Il Regno Unito

eccezione della Camera dei Lords, stabilita da un Practice of Statement del 1966), e le de-cisioni dei giudici superiori vincolano quelle dei giudici inferiori.La Court of appeal, il vertice delle corti superiori inglesi, se si eccettua la Camera dei Lords, nelle divisioni civile e penale, segue i propri precedenti con la riserva che, se tutti i membri concordano nel ritenere scorretta o ingiusta una sentenza emessa in passato, la Corte possa di nuovo giudicare (la divisione penale applica largamente questo principio).Attraverso il meccanismo dello stare decisis si raggiunge un livello soddisfacente di certez-za del diritto, anche in mancanza di una codificazione scritta del corpus giuridico (il che non significa che non esistono raccolte scritte delle regole giurisprudenziali proprie della common law; in particolare, dal 1865 è una serie ufficiale di Reports pubblicati sotto il nome del giurista che ha partecipato alla loro elaborazione).Tuttavia, per garantire l’elasticità del sistema, il giudice può affrancarsi da precedenti sgra-devoli dichiarando, come extrema ratio, che la fattispecie in esame differisce per rilevanti aspetti dal precedente contrario invocato, e che, quindi, si presenta come fattispecie nuova su cui egli può liberamente e diversamente decidere.Altre eccezioni alla regola dello stare decisis sono costituite dall’annullamento esplicito di una sentenza, dall’annullamento implicito e dal caso di sentenze confliggenti, che può essere risolto solo con una terza sentenza il cui effetto è quello di abrogare le due sentenze precedenti.Il potere vincolante di una sentenza si concentra sulla ratio decidendi, vale a dire su quanto concretamente deciso per risolvere la controversia in esame, e non sugli obiter dicta, cioè sulle digressioni e considerazioni espresse nella sentenza.

appliCazioNe Del pRiNCipio Dello StaRe DeCiSiS Nel ReGNo UNito

Decisione emessa da: Vincolante per:

House of Lords Tutti gli altri giudici, ma non se stessa.Court of Appeal(Civil Division)(Criminal division)

Divisional Court della High Court e se stessa.High Court, Crown Courts, County Courts, Magistrates’ Courts.

Divisional Court Della High Court High Court, Crown Courts, County Courts, Magistrates’ Courts e se stessa.

High Court e Crown Courts County Courts, Magistrates’ Courts ma non se stesse.County Courts - Magistrates’ Court Non vincolano nessuna corte in quanto le loro decisioni non hanno auto-

rità di precedente.

C) L’equity e la Cancelleria

L’equity, nata in funzione di correttivo contro l’irrigidimento dei writs di common law, ha le sue radici nelle sentenze della Court of Chancery, attivabile per mezzo di suppliche dei sudditi e presieduta dal lord Cancelliere, in veste di custode della «coscienza del sovrano».Storicamente, la nascita della giurisdizione di equity si può collocare alla fine del XIII secolo, quando le magistrature ordinarie non furono più in grado di offrire soluzioni idonee alle controversie in corso. In quell’occasione il sistema di common law, infatti, frenò notevolmente il proprio impeto creativo, cristallizzando il cospicuo patrimonio di regole e

190 Parte II: Le forme di governo contemporanee

rimedi procedurali (writs) elaborato in precedenza. Stando così le cose, ai privati risultò sempre più difficile farsi con-cedere dal Re nuove azioni processuali, poiché i giudici si limitarono a sviluppare quelle solite, di cui già disponevano.

L’incapacità dei writs di adeguarsi alle mutevoli istanze della società determinò, nel corso del XIV secolo, un ricorso sempre più frequente alla Curia regis, in grado di emettere sentenze ispirate ad un ideale di giustizia (aequitas) di più ampio respiro rispetto a quello della giurisdizione ordinaria.Ufficio centrale della Curia regia è la Cancelleria, retta dal Cancelliere, un grande ecclesiastico confessore del sovrano. È al Cancelliere che affluiscono le istanze e le suppliche che i sudditi indirizzano al re.A poco a poco, a causa del numero sempre maggiore di richieste di giustizia, il Cancelliere comincia a prende-re direttamente in esame le singole controversie senza devolverle all’assemblea e a stabilire quali di esse deb-bano essere sottoposte all’attenzione del re. In un secondo momento giunge a provvedere direttamente per i casi non previsti e non disciplinabili dalla common law, nonché a sospendere le controversie di common law giudi-cate inique o difettose e ad occuparsi direttamente di esse.

Inizialmente i giudici delle tre Corti regie non si mostrarono particolarmente ostili a spora-dici ed eccezionali interventi correttivi del Cancelliere, ma la situazione mutò radicalmente nel XVII secolo, quando la potenza della Cancelleria divenne tale da mettere in pericolo l’autorità delle Corti londinesi e queste chiesero che si ponesse fine alle crescenti e continue interferenze nella loro giurisdizione.Il conflitto vide fronteggiarsi da un lato il Lord Cancelliere ellesmere, fautore dell’equity, e dall’altro Sir edward Coke (capo dei giuristi di common law) ed ebbe fine nel 1616, quando il Cancelliere Sir Francis bacon chiese ed ottenne dal Re Giacomo I Stuart che risolvesse definitivamente la questione a favore dell’equity e che si stabilisse il primato di quest’ultima in caso di contrasto con la common law.Una volta ottenuto tale riconoscimento, tuttavia, l’attività della Corte di Cancelleria cominciò ad irrigidirsi sui precedenti, così come era avvenuto per la common law, con la conseguenza che l’equity si pose come siste-ma di casi giudiziari complementare e correttivo accanto a quello principale di common law.

I due sistemi coesistettero a lungo, con distinti giudici e diversa giurisdizione, fino a quan-do i Judicature acts del 1873 e del 1875 ne soppressero la distinzione e crearono la High Court of Justice, competente per entrambi. Contemporaneamente, con i Consolidation Acts si provvide a trasferire in norme legislative scritte alcuni settori del diritto inglese.

D) La statute law e il ParlamentoLa statute law (costituita dagli Acts e dagli Statutory Instruments) è il complesso di atti normativi scritti approvati dal parlamento. Essa non differisce, quindi, dagli atti legisla-tivi che vengono emanati in tutti gli ordinamenti democratico-rappresentativi che costitui-scono la principale fonte del diritto negli Stati di tradizione romanistica (ordinamenti di civil law).La presenza nell’ordinamento inglese, accanto alla common law e all’equity, della statute law, non ha certo sottratto alla common law il suo antico primato nel sistema delle fonti; anche se la statute law ha assunto un rilievo sempre maggiore, resta comunque un vincolo di subordinazione rispetto al diritto di origine giurispru-denziale, sia perché il Parlamento si considera limitato dal rispetto dei principi di common law, sia perché spetta pur sempre ai giudici offrire l’interpretazione determinante delle normative stabilite dal Parlamento (DE VERGOTTINI).

191Capitolo 1: Il Regno Unito

5. Il ruolo del monarca in veste di Capo dello StatoIl Regno Unito è a tutt’oggi una monarchia, sebbene la Corona mantenga un valore essen-zialmente simbolico. Essa resta titolare di una serie di poteri governo (le cd. prerogatives), la cui responsabilità politica ricade però, tramite l’istituto della controfirma, sui singoli ministri. In questo modo vengono conciliati due principi tipici dell’ordinamento britannico: «il sovrano non può sbagliare», e «il sovrano non può agire da solo», ma con la partecipa-zione e il consenso di un Ministro.Secondo la celebre formula di Bagehot, dunque, il Re mantiene «tre diritti: quello di esse-re consultato, quello di incoraggiare, quello di mettere in guardia».Secondo un’altra celebre formula, il monarca regna ma non governa.

Le Royal prerogatives sono:

— il Royal assent, con cui il monarca perfeziona il processo di formazione delle leggi: la legge non è perfetta se non quando il monarca sia intervenuto con l’atto di sanzione (promulgazione), anche se l’ultimo rifiuto risale al 1707;

— il comando delle forze armate;— lo scioglimento della Camera dei Comuni;— il diritto di grazia;— la nomina delle più alte cariche dello Stato e l’attribuzione di onorificenze e titoli nobiliari;— la nomina del Primo Ministro (in questo caso in base a una convenzione costituzionale la scelta

è vincolata al leader del partito che ha vinto le elezioni);— la lettura del Royal Speach all’inaugurazione dell’anno parlamentare.

Formalmente il monarca è capo dell’esecutivo, parte integrante del legislativo, capo del giudiziario, comandante delle forze armate e capo della Chiesa Anglicana.Il Privy Council (Consiglio Privato della Corona) adotta formalmente i provvedimenti del-la Corona che sono decisi dal Governo (Orders in Council).

6. Il ParlamentoA) IntroduzioneIl Parlamento del Regno Unito è un organo complesso, composto dalla Corona e da due Ca-mere, la Camera dei lords (House of Lords) e la Camera dei Comuni (House of Commons).A partire dall’Act of Settlement (1701), esso è il titolare e l’artefice della legge (Statute law) che si estrinseca negli acts of Parliament conseguenza della riconosciuta Sovereignty of the parliament.Si tratta di un bicameralismo imperfetto, vista la netta prevalenza di cui gode la Camera dei Comuni e il ruolo sempre più marginale (di riflessione e di ripensamento) assunto dalla Camera dei Lords nell’approvazione della legislazione nazionale (secondo quanto stabilito con l’approvazione dei Parliament Act del 1911 e del 1949).

B) La Camera dei Lords (Camera Alta)La Camera Alta è composta da un numero non definito di Lords non elettivi, che si divido-no in lords spirituali e lords temporali.

192 Parte II: Le forme di governo contemporanee

I lords spirituali sono figure di vertice della chiesa anglicana: gli arcivescovi di Canterbu-ry e di York, il vescovo di Londra ed altri vescovi della Chiesa Anglicana (in totale sono 26).I lords temporali, invece, presentano un’ulteriore suddivisione tra:— lords ereditari (Hereditary Peers), che siedono nella Camera dei Lords in quanto tito-

lari di una parìa ereditaria del Regno Unito (a meno che non abbiano rinunciato al titolo ai sensi del Peerage Act del 1963).

Con la riforma approvata nel 1999 (House of Lords Act 1999) il loro numero è stato notevolmente ridotto e attualmente soltanto 92 membri della nobiltà britannica conser-vano tale privilegio;

— lords vitalizi, nominati dalla Corona su proposta del Primo Ministro e sentiti il capo dell’opposizione e quello del partito liberale. Il loro numero è variabile;

— law lords, o Lords of Appeal in Ordinary, alti magistrati che assistono la Camera Alta nell’esercizio delle sue funzioni giudiziarie (al massimo 11 membri). Ricordiamo che la Camera dei Lords è infatti giudice di appello in ultimo grado per le cause civili del Re-gno Unito e per le cause penali di Inghilterra, Galles ed Irlanda del Nord.

Nel 2005 è intervenuta una riforma con cui è stata soppressa la storica figura del lord Cancelliere, quale massima autorità giudiziaria e Capo della Camera dei Lords (che oggi è elettivo), ed è stata riconsiderata la funzione dei Law Lords (che prima avevano poteri simili ai giudici della Corte di Cassazione italiana) median-te l’istituzione di una Corte Suprema.

C) La Camera dei Comuni (Camera Bassa) e le CommitteesDato il ruolo ridimensionato della Corona e della Camera dei Lords, il potere legislativo risiede essenzialmente nella Camera dei Comuni, espressione della volontà popolare, che ha sede nello storico palazzo di Westminster. La Camera è eletta per cinque anni in collegi uninominali con sistema maggioritario ad un solo turno.Tutti i deputati eleggono un presidente, lo Speaker, dotato di poteri disciplinari e di carat-tere procedurale atti a garantire l’ordinato svolgimento dei dibattiti. Egli è anche il rappre-sentante esterno della Camera nei rapporti con gli altri organi costituzionali.Lo Speaker distribuisce il lavoro a commissioni permanenti, le Standing Committees, che hanno funzioni legislative ma sono prive di competenza per materia, tanto da essere indi-cate solo con le lettere dell’alfabeto. Si possono anche costituire commissioni ad hoc (Select Committees) con compiti di controllo sull’operato del governo e competenza per materia.Per la discussione del bilancio, a tutt’oggi, si segue la tradizionale procedura in «commissione della Camera intera», che permette la semplificazione delle procedure dei lavori in aula.È da segnalare anche la nascita di alcune Special Committees deputate all’esame dei disegni di legge.

D) Differenziazione fra le due CamereFormalmente il potere legislativo della Camera dei Lords non differisce da quello della Camera dei Comuni, nel senso che tutti gli atti legislativi devono essere approvati da en-trambi i rami del Parlamento; in realtà, vigono diverse limitazioni che concorrono a rende-re le funzioni esercitate della Camera Alta recessive rispetto a quelle della Camera Bassa.

193Capitolo 1: Il Regno Unito

Gli elementi di differenziazione sono:— il cosiddetto privilegio finanziario della Camera dei Comuni, per cui tutte le iniziative legislative che

riguardano stanziamento di fondi e sovvenzioni (aids and supplies) devono necessariamente provenire dal-la Camera dei Comuni, e non possono essere modificate da quella dei Lords;

— la creazione (avvenuta con il Parliament Act del 1911) della categoria dei Money bills (le proposte di leg-ge riguardanti iniziative di spesa), delle quali la Camera Alta può ritardare l’approvazione solo di un mese (se entro un mese dalla loro approvazione da parte dei Comuni esse non ricevono l’assenso dei Lords, pas-sano al Sovrano per la sanzione);

— l’impossibilità, per la Camera alta, di bloccare l’adozione di un testo legislativo: i progetti diventano comunque legge, anche senza l’approvazione dei Lords, se sono approvati dai Comuni in due sessioni suc-cessive, dopo un intervallo di tempo di due anni (come stabilito dal Parliament Act del 1949).

7. L’iter di approvazione delle leggiA) I Bills e il filibusteringI disegni di legge pubblici, cioè di interesse collettivo (public bills), sono presentati dai singoli ministri previo assenso del Gabinetto.I private bills, invece, nascono su richiesta di un individuo o di una comunità locale per soddisfare interessi particolari.Quando il progetto di legge nasce dall’iniziativa parlamentare, si parla invece di private Members’ bills.Ci sono anche i Money bills, cioè le leggi relative alle entrate e alle spese, la cui iniziativa è riservata al Governo e che sono sottratte all’approvazione della Camera dei Lords.I progetti di legge sono discussi secondo l’antico metodo delle tre letture, che risale ai tempi in cui la maggior parte dei deputati era analfabeta (presentazione e presa in considerazione; discussione generale; esame e discus-sione analitica e votazione):— la prima lettura è una semplice formalità, comprende l’annuncio della proposta di legge e la richiesta di

una sua presa in considerazione;— la seconda lettura, fase cruciale del procedimento, è un ampio dibattito sulle linee generali della proposta

di legge. Poi si passa al Committee Stage, che prevede l’analisi minuziosa, articolo per articolo, del proget-to. La Commissione può essere composta dall’intera Camera o da una delle esistenti Standing Committees. Successiva è la fase del rapporto (Report Stage), in cui il presidente della Commissione riferisce all’Assem-blea, che può intervenire con altri emendamenti;

— alla terza lettura si vota e si approva definitivamente il testo e lo si invia all’altra Camera dove si segue un iter sostanzialmente identico.

Per assicurare l’ordinato svolgimento dei dibattiti ed evitare casi di ostruzionismo (filibu-stering), la procedura parlamentare prevede alcuni tradizionali strumenti di disciplina:— la previous question, una mozione che se richiesta prevede il voto immediato senza la

possibilità di ulteriori interventi;— la Guillotine, in base alla quale l’esame di un determinato gruppo di articoli deve esau-

rirsi entro una data prefissata;— il Kangaroo, con il quale il presidente sceglie gli emendamenti da porre in votazione,

«saltando» (come fa un canguro) quelli che potrebbero rallentare la procedura legislativa.

194 Parte II: Le forme di governo contemporanee

B) La legislazione delegata: lo Statutory Instrument ActLargo spazio ha anche la legislazione governativa, con o senza previa delega, sulla base dello Statutory instruments act del 1946 (delegated legislation), dovuta al crescente in-tervento del Governo in settori sempre più ampi.Questo fenomeno esalta il ruolo legislativo del Governo, anche se le Camere hanno comun-que un potere di controllo su quegli atti normativi emanati previa delega. Esse possono intervenire attraverso un affirmative instrument oppure, entro 40 giorni dalla presentazione della normativa da parte del Governo, con un negative instrument.Il Governo, per ragioni di urgenza che deve illustrare ai Presidenti delle due Camere, può ritenere necessaria l’immediata entrata in vigore della normativa in esame; in tal caso il controllo parlamentare non sarà preventivo ma successivo.Al controllo parlamentare della normativa delegata provvede un Joint Committee delle due Camere; inoltre, spetta al giudice ordinario verificare che il Governo non abbia ecceduto i limiti dei poteri normativi conferitigli dalla delega.

8. Funzione ispettivaOgni membro del Parlamento può rivolgere al Ministro responsabile un’interrogazione (question time), che deve:— essere effettivamente una domanda e non una dichiarazione;— riallacciarsi a fatti concreti e non a opinioni;— richiedere informazioni;— essere prima presentata per iscritto alla Presidenza della Camera.È stabilito un intervallo di tempo per consentire al Ministro competente di documentarsi a sufficienza sull’ar-gomento e dare una risposta soddisfacente. La risposta può essere scritta o orale. Al momento del question time, l’interrogante si alza e pronuncia il numero dell’interrogazione. Il Ministro risponde, e l’interrogante ha diritto ad una domanda supplementare; anche gli altri membri della Camera possono intervenire, ed è proprio su questa serrata cross-examination che riposa la vitalità di tale procedura, prezioso strumento nelle mani dell’opposizio-ne per controllare l’operato governativo. Il question time è stato importato anche in Italia, con scarso successo.

Un ulteriore strumento della funzione ispettiva è il Commissario Parlamentare per la Pub-blica Amministrazione (una specie di ombudsman o difensore civico), istituito nel 1967, funzionario al servizio del Parlamento e organo indipendente dall’esecutivo, con il com-pito di svolgere inchieste per accertare i casi di cattiva amministrazione.Per l’attivazione di quest’organo occorre però che il ricorso, presentato dal cittadino, otten-ga il patrocinio di un parlamentare che solleciti il Commissario a svolgere un’indagine al riguardo.Successivamente è lasciata al Commissario la decisione se iniziare, continuare o interrom-pere l’indagine, che può avere ad oggetto qualsiasi tipo di attività svolta da un ministero o da organi amministrativi.Il Commissario provvede a redigere una relazione sull’esito della sua indagine. Le Camere vengono periodicamente informate della sua attività attraverso un rapporto annuale. Dal 1974 sono stati istituiti ombudsmen per le amministrazioni locali e un ombudsman per il servizio sanitario nazionale.

195Capitolo 1: Il Regno Unito

9. Il governo del Premier e l’affermazione del «modello Westminster»A) Il bipartitismo e la figura del PremierL’ordinamento costituzionale del Regno Unito rappresenta l’esempio tipico di una forma di governo parlamentare a prevalenza dell’esecutivo (v. Parte I, Cap. 6, §7, lett. B).Noto anche come modello Westminster, esso si fonda essenzialmente sul ruolo preminen-te che, nell’ambito del Governo, viene attribuito al Capo del Governo, non a caso indi-cato come «Premier».La particolare posizione che assume la figura del premier deriva da due particolari circo-stanze:— il sistema partitico, combinato con il sistema elettorale maggioritario uninominale (v.

Parte I, Cap. 7, §6), che porta quasi sempre alla netta affermazione del partito conserva-tore o di quello laburista, anche se di recente è cresciuto anche il terzo partito (liberale);

— la convenzione costituzionale in base alla quale, al termine delle elezioni, il Sovrano nomina Primo Ministro il leader del partito vincente.

La chiave di volta è, evidentemente, il perfetto modello bipartitico, che garantisce la vitto-ria elettorale di un partito e consente una chiara individuazione del Primo Ministro. Non si ha, dunque, un’esplicita investitura popolare del Premier, ma implicita, poiché l’elettore, nell’esprimere la sua preferenza per un partito, sa già che il leader di quest’ultimo assume-rà tale carica in caso di vittoria elettorale.La preminenza politica del Capo del Governo deriva dal suo saldo controllo della maggio-ranza parlamentare: forte dell’appoggio compatto di cui gode in Parlamento, il Premier inglese è in grado di far approvare con una certa facilità il proprio programma; l’omogenei-tà governo-maggioranza, inoltre, relega a casi eccezionali il voto di sfiducia, spettando, invece, al Governo la decisione sullo scioglimento anticipato della Camera dei Comuni. A questo si aggiunga che i Ministri rispondono direttamente al Primo Ministro, potendo da lui essere revocati o sostituiti in qualsiasi momento (4).La figura del premier, quindi, è predominante nell’ordinamento costituzionale britannico, dal momento che gode di una posizione di netta supremazia sia rispetto ai membri del suo Governo sia rispetto alla maggioranza parlamentare.

La riprova che il segreto della stabilità del modello Westminster risiede nella identità leader del partito di maggioranza-leader del Governo e nella conseguente omogeneità fra maggioranza parlamentare ed esecutivo, si è avuta a contrario nel 1990, allorché i Conservatori hanno «sfiduciato» il loro leader, nonché Primo Ministro, M. Thatcher: la crisi che ne è seguita (tutta «extraparlamentare» perché nata e risolta all’interno del partito) si è conclusa con la nomina di John Major a Primo Ministro.L’affermazione del governo di Gabinetto e alla supremazia del premier risale storicamente alla dinastia degli Hannover, iniziata nel l714 con re Giorgio I. Il nuovo sovrano, tedesco, e i suoi successori, mostrarono sempre uno scarso interesse per la politica interna inglese, la cui direzione fu gradualmente assunta dal primo ministro. Questi sceglieva direttamente i suoi collaboratori – sebbene la nomina formale spettasse al sovrano, come avviene tuttora – e con l’andar del tempo iniziò a presiedere anche le riunioni del Consiglio dei Ministri, lasciando al re il solo compito di ratificare decisioni già prese.

(4) Non tutti i ministri sono sullo stesso piano. I più importanti sono quelli che fanno parte del cabinet, cioè i ministri titola-ri dei principali dicasteri, e quelli chiamati a farvi parte dal Premier.

196 Parte II: Le forme di governo contemporanee

L’unico potere in grado di arginare in qualche modo quello dell’esecutivo fu, in questi secoli, quello della Ca-mera dei Comuni, detentrice del fondamentale potere di approvare la legge di bilancio nonché i finanziamenti necessari all’attuazione del programma definito dal primo ministro e dal suo gabinetto.

Il Premier inglese

In sintesi la figura del Primo Ministro presenta le seguenti caratteristiche:

— è il Capo del Governo, quest’ultimo composto da persone di sua fiducia, di cui può provocare le dimissioni quando ne sussistano le circostanze;

— è il presidente del Gabinetto, di cui fissa l’ordine del giorno e le priorità;— è il leader del partito di maggioranza (e quindi conta sull’appoggio della Camera dei Comuni);— decide la durata della legislatura, in quanto propone al Sovrano la data delle elezioni e, se così

è deciso dal Cabinet, può sciogliere le Camere;— esercita con ampiezza il patronage, cioè il potere di proporre al Sovrano una serie molto ampia

di nomine ed in particolare quelle concernenti i nuovi Lord vitalizi;— rappresenta il Regno Unito nelle conferenze internazionali e nelle conferenze dei primi ministri del

Commonwealth;— è il canale esclusivo di comunicazione con il monarca.

B) Il bipartitismo e il ruolo dell’opposizione. Lo Shadow CabinetIl sistema politico britannico è fondato sulla dialettica tra i due principali partiti, conserva-tore e laburista, la cui alternanza al governo è resa possibile dal sistema elettorale uninomi-nale secco a turno unico.Di tale sistema, in particolare, vengono apprezzate l’efficienza, la velocità di approvazione dei progetti di legge e la rispondenza tra programma di governo e sua realizzazione.Le tradizionali denominazioni di whigs e tories risalgono all’epoca della rivoluzione e dell’esecuzione di Carlo I; dai tories sono derivati i conservatori e dai whigs i loro avversari liberali. Questi ultimi sono stati soppianta-ti nei primi anni del 1900 dal partito laburista, nato con l’affermazione del movimento sindacale (Trade unions) e con la progressiva estensione del diritto di voto ai cittadini di tutte le classi.Il Parlamento britannico ha anche un assetto geometrico particolare; non il tradizionale emiciclo, ma un rettan-golo a schieramenti contrapposti, l’uno per il Re ed il suo governo, l’altro per l’opposizione, che si fronteggia-no alla tradizionale «distanza della spada», cioè tale da evitare qualsiasi contatto fisico.

Nel sistema bipartitico l’organizzazione di vertice del partito di opposizione, i suoi program-mi e la sua attività sono quelli di un partito con potenziale responsabilità di governo, tanto che un istituto tipico dell’opposizione inglese è il governo ombra (Shadow Cabinet), vero organo di governo dell’opposizione. La sua attività è tanto intensa quanto rilevante: nella speranza di ottenere l’incarico di governo effettivo nella successiva legislatura, lo Shadow Cabinet elabora un proprio programma e mette in campo una serie di proposte alternative a quelle della maggioranza, di cui si sforza di mostrare i limiti.Il leader dell’opposizione, in qualità di Capo dell’opposizione di Sua Maestà (riconosciu-to dal Ministers of the Crown Act del 1937) è il primo Ministro ombra, con diritto ad uno stipendio a spese dello Stato e il potere di nominare i suoi più stretti collaboratori.Il governo ombra assume caratteristiche diverse a seconda che sia formato dal:— partito laburista: ha un nucleo elettivo, il Parliamentary Committee;— partito conservatore: è formato da membri esclusivamente scelti dal leader del partito,

il Leader’s Committee.

197Capitolo 1: Il Regno Unito

10. Composizione del governoA) Il CabinetIl Governo, composto complessivamente da un centinaio di membri, è considerato un co-mitato interno del privy Council.Il Primo Ministro ne può liberamente modificare la composizione, formando comitati e strutture ausiliarie.Il gabinetto ministeriale (chiamato così perché si riuniva nel Cabinet, cioè la stanza priva-ta di lavoro del monarca) è presieduto dal primo Ministro e comprende i responsabili dei dicasteri principali (Secretaries of State o Senior Ministers) e alcuni ministri senza porta-foglio (non-departmental Ministers).In sede di Cabinet si decide l’indirizzo politico della maggioranza, si deliberano i provve-dimenti da adottare per far fronte a situazioni di crisi, si coordinano le politiche dei vari ministeri, si decide la priorità per l’attività legislativa della sessione.Le riunioni si svolgono una o due volte la settimana, durante le sessioni; più raramente, durante gli aggiornamenti delle Camere, presso la residenza del Primo Ministro, il n. 10 di Downing Street.In virtù del principio della solidarietà ministeriale, le decisioni adottate vincolano tutti i componenti del Gabinetto, e al dissenziente non resta altra via che le dimissioni.Per consentire uno svolgimento più rapido dei lavori si fa ricorso alle commissioni di Gabinetto, di cui fanno parte gruppi di ministri competenti su materie specifiche, che elaborano raccomandazioni concordate da sotto-porre al Gabinetto per la decisione definitiva.Il Segretario di Gabinetto prende parte alle riunioni dell’organo plenario delle commissioni e cura la prepara-zione dei documenti, nonché la registrazione delle discussioni e delle decisioni adottate. È l’organo che realiz-za il raccordo istituzionale tra Governo, Parlamento e pubblica amministrazione.

Il Governo prepara ogni anno, per l’inizio della sessione della Camera dei Comuni, un di-scorso che contiene le sue basi programmatiche ed è tradizionalmente letto dal Sovrano. Questo programma è poi attuato tramite approvazione, da parte della maggioranza, delle proposte governative (bills).il programma governativo va fedelmente rispettato, in quanto su questo il governo ha ottenuto il consenso elettorale; se nel corso della legislatura emergono nuove e importanti questioni non affrontate nel programma, si deve tornare alla consultazione elettorale, in ossequio alla regola del mandato.

Governo in forma allargata

Il Governo in forma allargata comprende anche altri ministri estranei al gabinetto.

I Ministri si possono distinguere in:

— quelli che sono anche membri del Gabinetto;— quelli preposti ad una branca amministrativa (Department, Office o Board);— quelli titolari di cariche tradizionali come il Lord presidente del Consiglio, il Lord del Sigillo privato,

il Cancelliere del Ducato di Lancaster;— quelli che hanno la qualifica di Minister o Secretary of State;— quelli che rivestono la qualifica di Segretari Parlamentari: dal momento che i ministri possono

prendere parte alle riunioni della Camera di cui fanno parte, e solo di quella, vengono a loro af-fiancati dei collaboratori appartenenti all’altra Camera, che possano rappresentarli.

198 Parte II: Le forme di governo contemporanee

B) Il Civil Service e il principio del rule of lawLa pubblica amministrazione britannica è composta dal civil service (5), ovvero dalla pubblica amministrazione in senso stretto, e dalle public corporations, cioè da organi amministrativi dotati di qualche autonomia.In ossequio al principio della rule of law (governo della legge), gli organi amministrativi sono sottoposti alla legge (così da evitare gli eccessi di discrezionalità) e ai giudici ordina-ri (per parificare il loro trattamento a quello della generalità dei privati cittadini) nel rispet-to del principio della separazione dei poteri.I privilegi dell’amministrazione, coincidenti con quelli della Corona (secondo l’antico principio per cui «il monarca non può far male»), sono stati progressivamente ridotti, e la stessa Corona, ai sensi del Crown proceedings act del 1947, è civilmente responsabile dei danni causati ai privati cittadini dai pubblici dipendenti.Inoltre, nell’ultimo quarto del Novecento si è assistito ad una una proliferazione di organi-smi come gli Administrative tribunals, che dirimono le procedure di contenzioso fra la pubblica amministrazione e i privati cittadini.Il controllo giudiziario è affidato ad un ristretto numero di giudici specializzati delle High Courts, che detengono anche il judicial review of administrative action, ossia la possi-bilità di dare ordini alla pubblica amministrazione.

11. Il sistema giudiziarioForse in nessuna altro paese come nel Regno Unito il potere giudiziario vanta un ruolo tanto decisivo nella costruzione, definizione e tutela dei principi fondamentali dell’ordina-mento giuridico. È appena il caso di ricordare che sono stati i giudici dei tribunali regi a elaborare il patrimonio storico della common law e dell’equity e che tale patrimonio ha costituito per secoli la fonte primaria del diritto inglese.Tracce di questo ruolo rimangono ancora oggi nella totale indipendenza e autonomia delle istituzioni giudiziarie rispetto agli altri poteri dello Stato. L’inamovibilità dei giudici è sancita dall’Act of Settlement del 1701. Le Corti di giustizia sono riconosciute come sog-getti politici e costituzionali.

L’Act of Settlement dichiara che i giudici del regno permangono nel loro ufficio fintanto che mantengono un «retto comportamento»; essi possono essere rimossi dal sovrano solo per cattiva condotta nella loro vita priva-ta, per inosservanza dei doveri relativi al loro ufficio e, comunque, sempre in seguito a un mozione presentata da entrambe le Camere.Altro strumento di garanzia è il fondo pubblico speciale (il Consolidated found) su cui gravano gli stipendi dei giudici, la cui consistenza è sempre costante. Ciò significa che «i compensi e le pensioni dei giudici sono fissa-ti con legge e rimangono sottratti ad ogni influenza e approvazione da parte del Parlamento» (CASSELLA).Infine, anche la nomina dei giudici è sottratta all’influenza degli altri poteri. A partire dal Constitutional Reform Act del 2005 essa è affidata a un’apposita commissione (la Judicial Appointments Commission), a maggioranza togata.

(5) Compiti, attività e prerogative del civil service sono cresciuti notevolmente già ai primi del ’900 in parallelo con lo sviluppo del Welfare State, cui si è accompagnata l’istituzione di nuovi ministeri (sanità, ambiente, politiche occupazio-nali etc.) al fine di disciplinare i cd. «compiti di benessere».

199Capitolo 1: Il Regno Unito

L’organizzazione giudiziaria invece prevede:— l’alta giustizia, gestita dalle Corti superiori che dirimono esclusivamente le questioni

di maggiore portata;— la bassa giustizia, deferita ad organi giudiziari inferiori o di carattere paragiurisdizio-

nale a cui è affidata la quasi totalità dei contenziosi.Una importante riforma del sistema giudiziario tradizionale è legata ai Judicature acts del 1873 e 1875, cui si deve la creazione di un organismo unico, la Supreme Court of Judi-cature, in luogo di tutte le corti supriori preesistenti.La Supreme Court era originariamente divisa in:— High Court of Justice, competente per la materia civile e suddivisa in Banco della

Regina, della Cancelleria e della Famiglia;— Crown Court, competente per le infrazioni penali gravi, nella quale la giustizia è resa

da un giudice della High Court of Justice o da un semplice recorder (avvocato tempo-raneamente investito di funzioni giudicanti). Se l’imputato si dichiara non colpevole, il giudice monocratico è affiancato da una giuria;

— Court of appeal, organo di secondo grado, che si pronuncia a mezzo di un collegio composto da tre giudici.

Ulteriori giurisdizioni superiori sono:— la Camera dei lords, in seno alla quale è insediato un Comitato d’Appello (Appellate Committee) che

accoglie ricorsi contro le decisioni della Corte d’Appello;— il Comitato Giudiziario del Consiglio privato (Judicial Committee of the privy Council), al quale

possono essere inoltrati ricorsi contro le sentenze emesse dalle corti supreme dei territori britannici d’oltre-mare.

Il Constitutional Reform Act del 2005 ha disposto la creazione di una Supreme Court of the United Kingdom alla quale, a partire dal 2009, sono trasferite le competenze giurisdi-zionali dell’Appellate Committee e del Judicial Committee in materia di devolution. Tale riforma ha prodotto la separazione formale tra potere giudiziario e potere legislativo, anco-ra formalmente mescolati nelle funzioni della Camera dei Lords.Affiancano le Corti Superiori numerosi organi giudiziari inferiori, tra cui vanno menzionati:— le County Courts (Corti di Contea), con ampie competenze in materia civile, contro le cui sentenze è

ammesso il ricorso direttamente alla Court of Appeal;— le Magistrate’s Courts, composte dai giudici di pace (justices for the peace) che hanno potere giudicante

per le infrazioni penali di minore rilevanza e per le questioni attinenti il diritto di famiglia, le tasse ed i contributi, limitandosi al procedimento preliminare per i reati di maggiore rilevanza. Il cittadino può ricor-rere in appello presso la Crown Court per la materia penale o la divisione del Banco della Regina per quel-le civili.

Poiché nel sistema giudiziario opera il principio dello stare decisis, le decisioni della Ca-mera dei Lords costituiscono precedenti vincolanti per tutti gli organi giudiziari (ad ecce-zione di quelle della Camera stessa).Le pronunce della Court of appeal vincolano i giudici gerarchicamente inferiori e la Cor-te stessa (con l’unica riserva che, se i membri si pronunciano all’unanimità contro una sentenza precedente, possono scavalcarla emettendone una nuova).

200 Parte II: Le forme di governo contemporanee

Le decisioni della High Court of Justice si impongono, pur non essendo strettamente vin-colanti, agli organi inferiori e alle varie divisioni dell’Alta Corte.A garanzia dell’elasticità del sistema, ciascun giudice può «innovare il diritto» dichiaran-do che la fattispecie in esame presenta elementi sostanziali differenti rispetto alle fattispecie precedenti, e procedere a cancellare la sentenza antecedente emettendone una nuova.Altre eccezioni alla regola dello stare decisis sono costituite dall’annullamento esplicito di una sentenza, dall’annullamento implicito e dal caso di sentenze confliggenti, quest’ultimo risolvibile con una terza sentenza abrogativa delle precedenti.È interessante notare che in assenza di una Costituzione scritta l’ordinamento inglese non prevede un organo deputato al controllo di costituzionalità delle leggi.Ciò è dovuto anche alla persistenza del principio della «supremazia del Parlamento», il quale, di fatto, attraverso la legislazione ordinaria ha la possibilità di riscrivere di volta in volta i principi fondamentali dell’ordinamento, adeguandoli alle esigenze dei tempi.Una parziale eccezione all’assenza di procedure ed organi di garanzia costituzionale è stata introdotta con lo Human Rights Act del 1988, che vincola il legislatore inglese al rispetto dei principi contenuti nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Lo Human Rights Act affida ai giudici il compito di controllare che le leggi ordinarie non siano in contrasto con le disposizioni della Convenzione; in caso di incompatibilità, i giudici rimettono la legge al Parlamento e spetta a quest’ultimo, o in alcuni casi al Governo, attivarsi per rimuo-vere le norme incompatibili. Per valutare questi casi è attiva una commissioni specifica, il Joint Committee of Human Rights, che ha iniziato a operare nel 2001.