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45 E sattamente dieci anni fa – erano gli ultimi giorni di aprile del 1993 – ero ricoverato in ospedale per un infortunio a una gamba. Nonostante le mie condizioni fossero tutt’altro che serie (dovevo subire un intervento di una certa importanza ma assolutamente di routine), Ruggero Chiesa non mancò di venire a trovar- mi. La cosa mi colpì non poco, per certi versi quasi mi commosse, perché mi rendevo perfet- tamente conto che invece il suo stato di salute – quello sì, estremamente grave – ormai co- minciava a rendergli impegnativa anche la lieve fatica di una visita a un amico. Malgrado ciò, Ruggero era di buon umore e trovò pure mo- do di fare qualche battuta sulla cena che gli in- fermieri stavano cominciando a preparare. “Allora, cosa mi dici del vitto degli ospedali? ”, mi chiese con ironia, lui che purtroppo di ospedali ne ave- va frequentati parecchi, “Di sicuro non è il no- stro solito ristorante”, risposi subito, e ridemmo di gusto. Fu l’ultima volta che lo vidi: dopo po- co più di un mese la malattia se lo portò via. I ricordi legati alla sua immagine e alla sua at- tività sono per me assai chiari, freschi e vivi: pa- radossalmente, in questo momento, a ormai die- ci anni dalla sua scomparsa, sono ancora più con- sapevole della grande importanza e della profon- da influenza che Ruggero Chiesa ebbe sulla mia vita, e non solo quella professionale. Quando co- minciai a frequentarlo – erano gli inizi degli an- ni Ottanta – ero un giovane chitarrista che ave- va avuto una formazione didattica abbastanza di- sordinata e avventurosa, con una buona prepa- razione strumentale ma con poca o nessuna cul- tura musicale, soprattutto senza alcuna frequen- tazione e conoscenza dell’ambiente chitarristico e delle numerose novità che proprio in quegli an- ni lo stavano animando: ero insomma il classico chitarrista isolato e ignorante. Frequentavo inol- tre all’università la Facoltà di Lettere, i cui studi trascinavo con scarso entusiasmo e, soprattutto, senza particolari obiettivi. Insomma, un quadro generale non esattamente brillante e positivo. Il rapporto didattico con Ruggero fu subito fin dall’inizio una autentica sferzata di energia, qua- si una sorta di scossa elettrica che svegliò in me istinti artistici e interessi culturali che pensavo di non avere mai posseduto. Soprattutto, Ruggero fu particolarmente abile ed estremamente sensi- bile nel far sì che la brutale e immediata con- sapevolezza delle mie numerose lacune, anziché generare in me un pericoloso e deleterio senso di frustrazione, si trasformasse in un’impellente stimolo di crescita e miglioramento: insomma, quella che si dice la vera missione di un auten- tico maestro. Non ho alcuna difficoltà ad am- mettere che quell’uomo fu determinante per la mia vita, giacché da allora divenni perfettamen- te consapevole che tutto il mio lavoro non avreb- be avuto altro fine che la chitarra. Le lezioni in conservatorio – vero e proprio insegnamento di civiltà musicale – divennero il trampolino di lan- cio per entrare con determinazione nel mondo della musica, e alla pratica strumentale affiancai un rinnovato entusiasmo per gli studi universita- ri che si indirizzarono senza incertezze verso l’ap- profondimento delle discipline musicologiche. I risultati furono il diploma in conservatorio e la laurea in Storia della Musica su Mauro Giuliani: la strada ormai era tracciata e io non dovevo fa- re altro che seguirla. Ma non ritengo esaustiva la mia testimonian- 1993-2003: dieci anni dopo CIVILTÀ MUSICALE

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E sattamente dieci anni fa – erano gli ultimigiorni di aprile del 1993 – ero ricoverato in

ospedale per un infortunio a una gamba.Nonostante le mie condizioni fossero tutt’altroche serie (dovevo subire un intervento di unacerta importanza ma assolutamente di routine),Ruggero Chiesa non mancò di venire a trovar-mi. La cosa mi colpì non poco, per certi versiquasi mi commosse, perché mi rendevo perfet-tamente conto che invece il suo stato di salute– quello sì, estremamente grave – ormai co-minciava a rendergli impegnativa anche la lievefatica di una visita a un amico. Malgrado ciò,Ruggero era di buon umore e trovò pure mo-do di fare qualche battuta sulla cena che gli in-f e rmieri stavano cominciando a pre p a r a re. “A l l o r a ,cosa mi dici del vitto degli ospedali? ”, mi chiesecon ironia, lui che purtroppo di ospedali ne ave-va frequentati parecchi, “Di sicuro non è il no-stro solito ristorante”, risposi subito, e ridemmodi gusto. Fu l’ultima volta che lo vidi: dopo po-co più di un mese la malattia se lo portò via.

I ricordi legati alla sua immagine e alla sua at-tività sono per me assai chiari, freschi e vivi: pa-radossalmente, in questo momento, a ormai die-ci anni dalla sua scomparsa, sono ancora più con-sapevole della grande importanza e della pro f o n-da influenza che Ruggero Chiesa ebbe sulla miavita, e non solo quella professionale. Quando co-minciai a frequentarlo – erano gli inizi degli an-ni Ottanta – ero un giovane chitarrista che ave-va avuto una formazione didattica abbastanza di-sordinata e avventurosa, con una buona pre p a-razione strumentale ma con poca o nessuna cul-tura musicale, soprattutto senza alcuna fre q u e n-tazione e conoscenza dell’ambiente chitarristico e

delle numerose novità che proprio in quegli an-ni lo stavano animando: ero insomma il classicochitarrista isolato e ignorante. Frequentavo inol-t re all’università la Facoltà di Lettere, i cui studitrascinavo con scarso entusiasmo e, soprattutto,senza particolari obiettivi. Insomma, un quadrogenerale non esattamente brillante e positivo.

Il rapporto didattico con Ruggero fu subito findall’inizio una autentica sferzata di energia, qua-si una sorta di scossa elettrica che svegliò in meistinti artistici e interessi culturali che pensavo dinon avere mai posseduto. Soprattutto, Ruggerofu particolarmente abile ed estremamente sensi-bile nel far sì che la brutale e immediata con-sapevolezza delle mie numerose lacune, anzichég e n e r a re in me un pericoloso e deleterio sensodi frustrazione, si trasformasse in un’impellentestimolo di crescita e miglioramento: insomma,quella che si dice la vera missione di un auten-tico maestro. Non ho alcuna difficoltà ad am-m e t t e re che quell’uomo fu determinante per lamia vita, giacché da allora divenni perf e t t a m e n-te consapevole che tutto il mio lavoro non avre b-be avuto altro fine che la chitarra. Le lezioni inconservatorio – vero e proprio insegnamento diciviltà musicale – divennero il trampolino di lan-cio per entrare con determinazione nel mondodella musica, e alla pratica strumentale aff i a n c a iun rinnovato entusiasmo per gli studi universita-ri che si indirizzarono senza incertezze verso l’ap-p rofondimento delle discipline musicologiche. Irisultati furono il diploma in conservatorio e lal a u rea in Storia della Musica su Mauro Giuliani:la strada ormai era tracciata e io non dovevo fa-re altro che seguirla.

Ma non ritengo esaustiva la mia testimonian-

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CIVILTÀ MUSICALE

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za senza il tentativo di delineare la grande im-portanza dell’opera di Ruggero Chiesa nel mon-do della chitarra. Proverò a essere il più chiaropossibile, anche se è tutt’altro che semplice de-scrivere e comprendere con sufficiente precisio-ne l’intero arco di attività nella vita di uno stu-dioso di tale levatura, in quanto si rischia di ca-dere in semplicistiche schematizzazioni o, al con-trario, di disperdersi in mille particolari.

Lo scopo dei suoi studi infaticabili è sempreconsistito nel mettere a disposizione degli ese-cutori un repertorio che giaceva dimenticato nel-la polvere delle biblioteche: musicologia desti-nata quindi alla sala da concerto, che rifuggivacomunque l’aridità della ricerca fine a se stessa.Gli intenti divulgativi non devono comunque as-solutamente sottintendere un livello culturale ap-prossimativo, dal momento che Ruggero Chiesaera uno dei pochi studiosi appartenente al mon-do chitarristico unanimemente conosciuto e sti-mato da tutto l’ambiente musicologico. Nei qua-si trent’anni dedicati alla più intensa ricerca sipossono identificare due principali filoni: la pub-blicazione di composizioni appartenenti al re-pertorio liutistico-chitarristico e gli scritti veri epropri.

La riscoperta e pubblicazione di brani musi-cali del passato è l’aspetto che forse riesce me-glio a far comprendere la straordinaria impor-tanza dell’operato di Ruggero Chiesa. La vastitàdel catalogo, che spazia dal Rinascimento ai gior-ni nostri, è impressionante, specialmente se sipensa alla mole di lavoro che vi è dietro ognisingola opera. Le pubblicazioni sono infatti tut-te improntate al massimo rigore filologico, non-ché all’estremo rispetto di tutte le norme musi-cologiche e, nel caso delle edizioni critiche, conampi apparati critici, commentari e collazioni frale varie fonti. Ma per una migliore comprensio-ne di questo enorme lavoro è opportuno ana-lizzare separatamente il repertorio liutistico daquello chitarristico.

Nel lontano 1965 Ruggero Chiesa si presentòall’allora direttore della Suvini Zerboni, RiccardoMalipiero, con i due volumi di El Maestro di LuisMilan: era solo l’inizio di una serie di impor-tantissime pubblicazioni di musica antica. Pareopportuno ricordare che quarant’anni fa le ri-cerche e gli studi sulla musica antica erano ri-servati a una ristretta cerchia di specialisti, e ipochi che si cimentavano nell’esecuzione delle

pagine del passato erano mossi più dalla sug-gestione e da una visione idealizzata di quel re-pertorio piuttosto che da autentiche competen-ze stilistiche e filologiche. Nel campo della mu-sica liutistica vi erano state figure pionieristichequali Arnold Dolmetsch e, soprattutto, la sua al-lieva Diana Poulton, che avevano svolto un ruo-lo determinante nella conoscenza e diffusionedella letteratura barocca. Inoltre non vi era an-cora la profonda differenziazione fra repertoriochitarristico e liutistico – così come non c’era fraquello pianistico e cembalistico – e il lavoro diRuggero era finalizzato a rendere di pubblicodominio le opere di autori dal nome quasi leg-gendario ma in realtà assai poco conosciuti (ba-sti pensare ai pastiches di Manuel Ponce che perdecenni sono stati attribuiti a Weiss grazie al ma-lizioso e autorevole sigillo di Andres Segovia eall’ingenuità – o incompetenza? – di chitarristi,critica e pubblico).

La letteratura chitarristica è l’altro campo incui Ruggero Chiesa ha operato; qui il suo in-tervento è stato addirittura più massiccio, deci-sivo e sistematico, segnando indelebilmente il re-pertorio solistico, cameristico e didattico. A be-neficiare di questo impegno fu l’Ottocento, chefinalmente, dopo più di un secolo di quasi to-tale oblìo, vide riconosciuti e collocati nella giu-sta prospettiva storica i suoi maestri più insigni.Giuliani, Sor, Paganini, Carulli, Aguado, Carcassi,Gragnani, Legnani: se oggi i loro nomi com-paiono normalmente nei programmi dei concer-ti, gran parte del merito spetta a Ruggero Chiesache per la prima volta pubblicò sistematicamentele loro opere migliori, curate con un criterio diserietà e fedeltà che rappresentava una novitàassoluta in un periodo in cui il rispetto del te-sto – oggi dato per scontato – era invece con-siderato da molti chitarristi quasi un inutile or-pello, se non addirittura un ostacolo alla perso-nale “creatività”. Anche in questo caso gli esor-di avvennero nel 1965 con gli Studi di Aguadoe Sor, subito seguiti da quelli di Giuliani (1967)e Carulli (1968). Già queste antologie fanno com-prendere l’acume critico e l’eccezionale intuitodello studioso, in grado di scegliere fra la ster-minata produzione di questi autori i brani piùriusciti e significativi. Rimanendo in ambito di-dattico non si possono poi dimenticare la pub-blicazione integrale in edizione critica degli stu-di di Sor e Giuliani (rispettivamente del 1984 e

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1985), autentici capolavori che si innestano nel-la prestigiosa tradizione pedagogica dello stru-mentalismo dell’Ottocento.

Il contributo alla didattica chitarristica fu datoanche in prima persona, con il trattato in tre vo-lumi sulla tecnica e il diffusissimo metodo G u i t a rG r a d u s (1981). Oltre alla didattica vi fu poi lariscoperta e l’ampliamento della letteratura soli-stica vera e propria. L’autore per il quale furo-no profuse le maggiori energie fu Mauro Giuliani,con quasi cinquanta opere date alle stampe.R u g g e ro Chiesa si era perfettamente reso contodi trovarsi di fronte al più grande chitarristadell’Ottocento e che quindi il mortificante silen-zio che avvolgeva le sue composizioni dovevaassolutamente essere rotto. Ovviamente non po-teva mancare dai suoi interessi l’altro grande ca-poscuola dell’Ottocento, cioè Fernando Sor. Edecco quindi le S o n a t e, le F a n t a s i e, il Grand Soloop. 14, i temi con variazioni (e quanti chitarristis c o p r i rono che l’op. 9 aveva anche una splen-dida introduzione!). Di Niccolò Paganini pubblicòaddirittura l’opera omnia per chitarra sola, e d’uncolpo spazzò via i giudizi sommari che avevanospesso bollato la produzione per chitarra delgrande violinista genovese. Ferdinando Carulli fuaddirittura ripescato dalle ortiche ove era statogettato dalla stessa critica superficiale e incom-petente. Infine vi sono le O p e re complete per liu-t o di J. S. Bach trascritte per chitarra, che RuggeroChiesa pubblicò nel 1990 dopo anni di studi, ap-p rofondimenti e rielaborazioni.

Passi da gigante furono compiuti anche nellascoperta e divulgazione dellamusica cameristica. Di straordi-naria importanza fu innanzitut-to la pubblicazione nel 1973 deiSei Quintetti per quartetto d’ar-chi e chitarra di Luigi Boccherini,che la critica musicologica ac-colse come una scoperta entu-siasmante e, non senza ragio-ne, paragonò alla produzione ca-meristica di Haydn.

Come si è potuto quindi fa-cilmente constatare, Chiesa ri-costruì letteralmente una gran-de parte del repertorio chitarri-stico, influenzando e incenti-vando inoltre le ricerche e lepubblicazioni di numerosi altri

studiosi. Questo però non avvenne subito, inquanto per anni dovette lavorare controcorren-te, tra le critiche e l’ironia dei colleghi cosiddetti“segoviani”. Infatti il grande Maestro andalusonon era mai stato troppo tenero nei confrontidella letteratura chitarristica dell’Ottocento (pe-raltro poco o per nulla conosciuta), condizio-nando con i suoi giudizi la quasi totalità dei chi-tarristi. Curiosamente però fu lo stesso AndrésSegovia il primo chitarrista a riconoscere la va-lidità e l’importanza del lavoro di Ruggero Chiesacon attestazioni di stima contenute in alcune let-tere inviate allo stesso musicologo.

Attento com’era alla vita musicale contempo-ranea, Chiesa non poteva poi certo lasciarsi sfug-gire l’occasione di contattare alcuni fra i più im-portanti compositori della sua epoca: MarioC a s t e l n u o v o - Tedesco, Bruno Bettinelli, FrancoDonatoni, Aldo Clementi e Goffredo Petrassi.

Gli scritti veri e propri – articoli, saggi, criti-che e recensioni – rappresentano il secondogrande filone dell’attività musicologica di Rug-gero Chiesa. Se si escludono i contributi porta-ti a varie enciclopedie, dizionari e riviste, la qua-si totalità della produzione letteraria è contenu-ta proprio nelle pagine di questa rivista, da luifondata nel 1972 e diretta per ventuno anni. Pennafelice e dal piglio giornalistico, ha sempreespresso con grande chiarezza e lucidità il suopensiero: dalla prosa asciutta ma appassionatae m e rgevano così precisi inquadramenti storici,nei quali opere e autori trovavano la loro giu-sta collocazione.

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Pur consapevole della grande importanza del-le ricerche d’archivio – e quanto tempo passò inbiblioteche e archivi! – non fece mai diventareil dato oggettivo il suo fine ultimo: lo scopo del-la sua ricerca non era infatti scoprire solamentein quale preciso anno un’opera era stata com-posta, l’esatto numero di lastra di una edizioneo in quale biblioteca era custodito un mano-scritto. Questo non gli bastava. I dati oggettividovevano diventare gli strumenti per form a re lacompetenza necessaria alla piena compre n s i o n edegli autori, creando così una prospettiva stori-ca e una scala di valori in grado di distingueregli autentici capolavori dai brani di buon arti-gianato o di più modesto mestiere. La musico-logia di Ruggero Chiesa era insomma nettamen-

te critico-analitica anziché compilativa. Le fontierano il punto di partenza, non di arrivo. Conquesta metodologia il suo lavoro andava così ada ffiancarsi, nella qualità, a quello dei vari MichaelTalbot, Charles Rosen, Philip Gossett e CarlDahlhaus.

Ruggero Chiesa è stato insomma uno fra i piùimportanti protagonisti di quella rinascita dellachitarra che negli ultimi trent’anni, con il pro-gressivo e inesorabile affievolirsi dell’astro sego-viano, ha visto ridisegnare i contorni della suastoria. E proprio nella storia della chitarra, stru-mento a cui dedicò con amore tutta la vita,Ruggero Chiesa è entrato a far parte con nobi-le e pacata autorevolezza.

Marco Riboni

H o avuto moltissimi insegnanti (ne ho tut-tora) ma ben pochi maestri. Per maestro

intendo qualcuno che oltre alla nozione tra-smette anche un comportamento, uno stile di vi-ta, dei valori etici, un modo di usare la nozio-ne verso uno scopo che non sia il consumo del-la nozione fine a se stesso. Il mondo di chi in-segna, dalla scuola all’università, al conservato-rio è quanto mai variegato e formato spesso dapersone che agiscono senza pensare all’obietti-vo: lo studente, che impara la nozione, ma im-para soprattutto com’è stata trasmessa.

Infiniti sono i casi che posso citare. Ad esem-pio ricordo un professore universitario di stati-stica, oggi purtroppo ordinario, che riempiva lalavagna di formule copiandole da un libro; nonproferiva verbo e alla fine, prima di andarsenenel silenzio più esterrefatto, si rivolgeva agli stu-denti dicendo “È chiaro, vero? Le domande laprossima volta.” Mai una domanda, mai una ri-sposta; una lezione disumana, un comporta-mento disumano.

Nel mondo della musica spesso tutto è un po’fuori dalle righe. Un insegnante di chitarra miminacciava periodicamente di espellermi dallaclasse se non rispettavo la sua diteggiatura diogni singolo dito della mano destra e sinistra;un insegnante di armonia, controllando i mieielaborati a pianoforte chiuso, muoveva le dita

sul mobile dello strumento e picchiettando sulduro legno mi diceva: “Senti questa nota? È sba-gliata, stai raddoppiando la quinta”. Uno dei mieiinsegnanti di liuto, oltre a bestemmiare ad ogninota sbagliata (quante bestemmie!), urlava e smoc-colava frasi degne di un film hard: è stato perme un modello, ma per quello che non deveessere mai un insegnante.

R u g g e ro Chiesa s’inserisce nel novero deimiei maestri perché mi ha trasmesso un valoreaggiunto, facendomi capire che non sempre l’im-portanza delle note raggiungeva quella del mo-dello di comportamento. È stato un modello didisponibilità personale, anche ben dopo il di-ploma, aiutandomi in casi di allievi difficili. Èstato un modello d’equilibrio e di rispetto dellapersonalità dell’allievo: non apprezzava gli estre-mismi, in qualunque forma si manifestassero, négli atteggiamenti esagitati, che erano un prete-sto per compiere qualche sopruso. Gli premevala formazione della personalità rispettando sem-pre il patrimonio di conoscenze che l’allievo ave-va accumulato. Non tollerava ad esempio che,dopo anni di studio, magari durante un brevecorso estivo, un insegnante potesse azzerare lapersonalità dell’allievo mettendolo in condizionedi dover “ricominciare da capo”; apprezzava l’aper-tura alle idee nuove, ma con rispetto nei con-fronti di quanto si era già costruito.

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Mi ha dato la possibilità di cominciare a suo-n a re in pubblico, fin da allievo, contattando an-che delle istituzioni di prestigio e non c’è pro v am i g l i o re di una esibizione di tipo pro f e s s i o n a l eper verificare fino in fondo le proprie capacità.

Il rapporto tra maestro e allievo è purtroppo

univoco: c’è qualcuno che trasmette e l’altro chericeve. L’unico modo per restituire, e questo èfondamentale nei lavori artistici ed espressivi, ècercare di riproporre ad altri l’Idea che ci ha for-mato.

Giorgio Ferraris

Q uando iniziai a studiare al Conservatorio,per i chitarristi in erba c’era una gran

quantità di spartiti dalle copertine sgargianti: sa-gome di chitarre dai fianchi prorompenti, mes-sicani col sombrero, foto impettite del revisoredi turno col suo nome scritto a caratteri cubita-li, più grandi e spessi di quelli usati per l’auto-re e il titolo dell’opera. Ero un po’ a disagio coni bambini che suonavano altri strumenti e ap-poggiavano sui banchi dell’aula di teoria e sol-feggio i loro severi volumi Ricordi o – peggioancora – Henle Verlag e Breitkopf & Hartel;quelle sembravano proprio cose serie, con tan-to di Urtext quale patente di nobiltà.

Urtext: parola straniera davvero, unaspecie di “Apriti Sesamo” capace dischiudere le porte dell’arte. Ma noichitarristi non eravamo Aladino,m e n t re i miei nobili compagni di ban-co potevano procurarsi in edizioneUrtext anche un hit come Per Elisa.

Ma per fortuna c’erano le revisio-ni di Ruggero Chiesa: grafica sobriae antica, e come sigillo quell’Orfeo let-t o re pensoso che accompagna fin dalprimo numero anche la sua rivista, “ilFronimo.” Come dire che la musica deve esse-re meditata prima ancora che suonata.

Forse sembrerà superficiale partire pro p r i odalle copertine, dal lato fisicamente più esterio-re di un libro, per commemorare Ruggero Chiesae il suo paziente e monumentale lavoro di ri-scoperta, catalogazione e revisione critica di tan-ta parte del repertorio chitarristico e liutistico,quel lavoro per cui tutti i chitarristi dovrebberoricordarlo con riconoscenza.

Eppure io credo che in superficie non stianole cose più futili, ma semplicemente le più vi-sibili, e negli anni in cui Chiesa iniziò il suo la-

voro, occorreva dare visibilità alla chitarra, nonsolo come sinonimo di Spagna e di un’indivi-dualità artistica tanto prodigiosa quanto irripeti-bile – quella di Andrés Segovia – ma anche esoprattutto come strumento dalla storia lunga eintensa, sia pur vissuta a bassa voce, quasi pernon disturbare i geni della musica e i loro ca-polavori.

Ruggero Chiesa ha dedicato la sua vita a que-sto compito e come tangibile testimonianza diciò ci rimangono i tanti e tanti volumi editi dal-la Suvini Zerboni, che già dall’esteriorità delleloro copertine, eleganti ed essenziali, esprimo-

no autorevolezza e affidabilità.Ci si sentiva tranquilli con le sue pub-blicazioni sul leggio, perché si sapeva,o quantomeno si intuiva, che lì den-t ro ogni cosa aveva lo spazio che lecompeteva, senza confusioni o pre-varicazioni: il testo originale primadi tutto, con le fonti consultate, poile note del re v i s o re e le sue diteg-

g i a t u re. Sfogliando quelle pagine, simaturava la convinzione che le re v i-

sioni musicali così dovevano essere, equesta loro essenza era tanto chiara da non

far perc e p i re mai la fatica e il rovello che sen-za alcun dubbio sono stati compagni del Maestronella sua attività di ricerc a .

Quando, anni dopo, incontrai Ruggero Chiesaed ebbi l’opportunità di essere sua allieva, fucome se lo avessi conosciuto da sempre, per-ché la stessa chiarezza e semplicità che espri-meva nei suoi libri era connaturata nella sua per-sona. Quanto costassero quella chiarezza e quel-la semplicità, Chiesa non lo faceva mai traspa-rire, né all’opposto il suo atteggiamento si irri-gidiva nella sicumera di chi vuole proporsi co-me l’apostolo di verità assolute.

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D’altronde Chiesa non era un concertista, enon aveva quindi neppure bisogno di quella do-se di protagonismo, necessaria per chi deve sa-lire sul palcoscenico e sedurre chi l’ascolta.

Tutti abbiamo almeno un concertista nel cuo-re per il quale siamo pronti a scarpinare daArnstadt a Lubecca, come fece il giovane Bachper riuscire a conoscere il suo mito Buxtehude,ed è sacrosanto che sia così: è giusto subire quelplagio che ogni incontro con un grande artistaporta con sé, a patto che la sua orma non di-venti marchio indelebile, ma serva, tramite qual-che astruso meccanismo della chimica dei sen-

timenti, a far reagire la parte più autentica delnostro talento, grande o piccolo che sia.

Non era questa l’auctoritas di Chiesa e, quan-do si sceglieva di frequentare le sue lezioni, eradi altro che si andava in cerca: proprio di quell’Orf e oche se ne sta seduto all’ombra di un albero, lasua lira appesa al ramo, a ragionare di musica.

“…Facesti come quei che va di notte,che porta il lume dietro e sé non giova,ma dopo sé fa le persone dotte…”

Grazie Maestro, dovunque Lei sia.

Nicoletta Confalone

A ccolgo con piacere l’invito di ricordare ilM a e s t ro, anche se la conoscenza persona-

le è stata breve. La prima volta che lo vidi funel 1980 quando a fine giugno venne all’Istituto“ B rera” di Novara come commissario d’esameed ebbi l’onore di essere da lui esaminato. Ilsuo nome mi era diventato comunque familia-re sin dai primi contatti con il mondo della chi-tarra. Ho avuto anche il piacere di essere suoallievo al corso di antiche intavolature a Sienache frequentai appena diplomato. Purtroppo fuanche l’ultimo.

La quasi quotidiana lettura dei suoi scritti edelle sue revisioni non fa altro che far apprez-zare di più l’enorme mole del suo lavoro e ren-dere più vivo il ricordo di quel corso con il

Maestro cordiale e disponibile. Ricordo con pia-cere quando mi consigliò di regalare ad una col-lega straniera una copia in inglese dei Promessisposi, perché lei non sapeva chi fosse il per-sonaggio al quale era intestato il convitto pres-so cui alloggiava.

Piccole memorie che aiutano e servono perportare avanti sempre e comunque, anche se èsempre più difficile, l’arte della chitarra.

Nei miei frequenti ritorni a Siena viene so-vente da pensare all’inizio di quelle sue bel-lissime e toccanti “Note di copertina” dell’ot-t o b re 1991: “È una sera piovosa in Piazza delCampo…”

Grazie Maestro.Antonio Federico Mormina

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Quando l’impaginazione della rivista era già definita, abbiamo appreso della scomparsa diGoffredo Petrassi (Zagarolo, 14 luglio 1904 - Roma, 2 marzo 2003). Ci riserviamo di ricor-dare la figura e l’opera del Maestro nel prossimo numero. Ricordiamo che la serie degli“Incontri” fu inaugurata nel primo numero de “il Fronimo” con l’intervista di Ruggero Chiesaa Goffredo Petrassi. Articoli di approfondimento sulle sue opere per chitarra furono pubblica-ti a firma di Carlo Pessina sui numeri 79, 81, 82.