06 febbraio 2011_mi_aiuti_sognare

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30 febbraio 2011 i aiuti a sognare a i d e s i d e r i , a l l a r e a l e c o no s c e n z a d i s é di Carmela Giordano Accompagnare un bambino a letto è un’azione semplice e complicata allo stesso tempo. Un’azione ripetitiva e rassicuran- te, ma molte volte incompleta. È sera, si aiutano i nostri igli a la- varsi, ad indossare il pigiamino, ad inilarsi a letto, gli si rimboccano le coperte e gli si esclama: «Buona notte e sogni d’oro», poi si aspetta che il sonno faccia la sua compar- sa in modo da poter ritornare alle proprie attività. Ma quanti di noi iniziano a leggere o ad inventare delle favole? È stato provato che l’abitudine di leggere una iaba ai bambini per farli addormentare è sempre meno diffusa. I genitori sono sempre più assillati dal lavoro e dalle situazio- ni quotidiane e i bambini sempre più fagocitati dalla televisione, da internet, dai videogiochi, dai tele- fonini e dai social network. Il risultato è: minore comunicazio- ne tra genitori e igli; minore cono- scenza di sé; minore capacità di ascolto; minore sviluppo psicolo- gico ed emotivo; minore fantasia ed immaginazione; minore cono- scenza della lingua e una più lenta capacità di apprendimento. Un bambino privato delle favole e del linguaggio per raccontarsi, è un bambino perso, incapace di sentire la propria presenza nel mondo delle relazioni. Le favole diventano il luogo della propria ori- gine e il luogo del proprio divenire. Il compito più complesso è cre- scere e nel crescere si ha bisogno di crearsi delle certezze, di svilup- pare la creatività e l’autostima. Le iabe svolgono una funzione molto importante nell’organizza- zione psichica di ogni bambino e, servendosi del linguaggio della fantasia, rispondono a cinque bi- sogni primari: 1) Conoscere se stesso; 2) Conoscere il mondo; 3) Sicurezza; 4) Trovare soluzioni ai problemi; 5) Fantasia ed immaginazione. Le favole si avvalgono di un lin- guaggio metaforico ben compre- so dai bambini, che entra a far parte del loro modo di essere e U n a f av o l a è l o c c a s i o n e d i r it o r na r e li b e r a m e nt e a i s o g ni ,

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30 febbraio 2011

i aiuti a sognareai desideri,

alla reale conoscenza di sé

di Carmela Giordano

Accompagnare un bambino a letto è un’azione semplice e complicata allo stesso tempo. Un’azione ripetitiva e rassicuran-te, ma molte volte incompleta.È sera, si aiutano i nostri igli a la-varsi, ad indossare il pigiamino, ad inilarsi a letto, gli si rimboccano le coperte e gli si esclama: «Buona notte e sogni d’oro», poi si aspetta che il sonno faccia la sua compar-sa in modo da poter ritornare alle proprie attività.Ma quanti di noi iniziano a leggere o ad inventare delle favole?È stato provato che l’abitudine di leggere una iaba ai bambini per farli addormentare è sempre meno diffusa. I genitori sono sempre più assillati dal lavoro e dalle situazio-ni quotidiane e i bambini sempre più fagocitati dalla televisione, da internet, dai videogiochi, dai tele-fonini e dai social network.Il risultato è: minore comunicazio-ne tra genitori e igli; minore cono-scenza di sé; minore capacità di ascolto; minore sviluppo psicolo-gico ed emotivo; minore fantasia

ed immaginazione; minore cono-scenza della lingua e una più lenta capacità di apprendimento.Un bambino privato delle favole e del linguaggio per raccontarsi, è un bambino perso, incapace di sentire la propria presenza nel mondo delle relazioni. Le favole diventano il luogo della propria ori-gine e il luogo del proprio divenire. Il compito più complesso è cre-scere e nel crescere si ha bisogno di crearsi delle certezze, di svilup-pare la creatività e l’autostima.Le iabe svolgono una funzione molto importante nell’organizza-zione psichica di ogni bambino e, servendosi del linguaggio della fantasia, rispondono a cinque bi-sogni primari:1) Conoscere se stesso;2) Conoscere il mondo;3) Sicurezza;4) Trovare soluzioni ai problemi;5) Fantasia ed immaginazione.Le favole si avvalgono di un lin-guaggio metaforico ben compre-so dai bambini, che entra a far parte del loro modo di essere e

Una favola è l’occasione di ritornare liberamente ai sogni,

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Le iabe han-no sempre un lieto ine e questo inse-gna al bam-bino a essere iducioso, a sperare e a pensare in positivo.

Le favole aiuta-no a riconoscere cosa è giusto e cosa è sbaglia-to, molto più del-la realtà

che fornisce un’adeguata chiave di lettura della realtà, non sempre facilissima.L’incipit “C’era una volta…” apre le porte su paesi lontani, su boschi o castelli incantati, ma il racconto assume tonalità diverse a secon-da dell’età.Da piccolissimi la comprensione delle parole è limitata e l’attenzione si soffermerà sulla voce narrante, che comunica tenerezza e sicu-rezza, sulle espressioni del volto, sul sorriso, sul cambio di tonali-tà della voce nell’interpretare i vari personaggi che aumenta la capa-cità di ascolto e di concentrazione, favorendo lo sviluppo cognitivo.Con la crescita, il ruolo della iaba diventa più complesso. Il bambino riesce a concentrarsi sulla trama e attraverso questa impara la mora-le: la vita è un percorso ad osta-

coli e bisogna affrontarla con co-raggio ed intelligenza, imparando a comportarsi secondo le “regole giuste”.La genuinità dei personaggi, la ca-ratterizzazione estrema del buono e del cattivo, facilita l’identiicazio-ne “per simpatia” con l’eroe, dal quale s’impara che non è neces-sario rispondere con cattiveria alle cattiverie, ma che la pazienza, l’in-telligenza e le virtù possono avere la meglio. Le favole aiutano a ri-conoscere cosa è giusto e cosa è sbagliato, molto più della realtà che presenta maggiore comples-sità e sfaccettature.Dall’agire degli eroi e dal loro com-portamento i bambini imparano ad affrontare le proprie paure e a distinguere i sentimenti negativi, come l’invidia, la ri-

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valità, la prepotenza o l’ingiusti-zia, da quelli positivi dell’amore, dell’amicizia, della solidarietà, del rispetto per sé stessi e per gli altri.Le iabe hanno sempre un lieto ine e questo insegna al bambino a essere iducioso, a sperare e a pensare in positivo.Una favola è l’occasione di ritorna-re liberamente ai sogni, ai desideri, alla reale conoscenza di sé. •