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www.vesuvioweb.com Enrico Di Maio L’eruzione del Vesuvio del 1794 a Torre del Greco 2011

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Enrico Di Maio

L’eruzione del Vesuvio del 1794 a Torre del Greco

2011

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Tesi di laurea sperimentale in Vulcanologia L’eruzione del Vesuvio del 1794 a Torre del Greco Relatore Prof. Giuseppe Luongo Candidato Enrico Di Maio 2004\2005

QUINTA PARTE

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Analisi al microscopio della lava del 1794 E’ stato prelevato un campione di roccia lavica. Parte del campione è servito per ottenere delle sezioni sottili da poter analizzare al microscopio, parte è servità per essere ridotta prima in cubetti e poi in polvere per poter essere analizzata mediante fluorescenza. L’analisi al microscopio ha evidenziato che il campione di lava presenta una struttura porfirica a massa di fondo microcristallina. Si distinguono settori a grana più fina e settori a grana più grossolana. Sono presenti: - Fenocristalli e microfenocristalli di CLINOPIROSSENE - Fenocristalli e microfenocristalli di LEUCITE (spesso scheletriche) - Microfenocristalli di OLIVINA (foto 1) - Microfenocristalli di PLAGIOCLASIO Il CLINOPIROSSENE include l’APATITE e talora piccole OLIVINE. La LEUCITE, il CLINOPIROSSENE, il PLAGIOCLASIO, i MINERALI OPACHI e talora l’OLIVINA formano degli AGGREGATI GLOMEROPORFIRICI (foto 5, 6, 7, e 8). Questi talvolta possono essere formati da microfenocristalli di clinopirosseni. Nella massa di fondo (foto 4) ci sono: LEUCITE (foto 3) (anche qui scheletriche), BIOTI-TE, MINERALI OPACHI, PLAGIOCLASI e OLIVINA. I CLINOPIROSSENI presentano zonature concentriche (foto 2) e sono EUEDRALI.

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L’ analisi degli elementi maggiori mediante la fluorescenza ha evidenziato che la roccia è tefrite monolitica. La roccia è stata poi classificata sia mediante l’utilizzo diagrammi TAS (total alkali – sili-ca) e l’R1 e l’R2 e sia mediante il calcolo della norma CIPW. ANALISI DEL CAMPIONE DI LAVA mediante la F L U O R E S C E N Z A Le foto seguenti rappresentano una porzione ingrandita di sezione sottile della grandezza di 2 mm

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La pianta urbana di Torre del Greco risulta essere simile a quella della città prima dell’eruzione del 1794. L’individuazione degli affioramenti ha permesso di individuare i limiti della colata, di calcolarne gli spessori e di ricostruire la morfologia del territorio pre e post eruzione. Le odierne via Diego Colamarino, via Roma, via Falanga, via Tea-tro, corso Umberto I, via Costantinopoli, via Cappuccini, via Comizi, vico Trotti, via Circumvallazione, via Fontana risultano combaciare con le strade loro corrispondenti sulla carta realizzata nel 1798. Queste somiglianze si possono meglio intuirle osservan-do le figura A, B e C.

Figura A: Carta di Guglielmo Morghen (Mappa allegata)

Confrontando le distanze che intercorrono tra gli edifici di culto segnalati su entram-be le carte si evince sulla carta del Morghen un errore di calcolo quantificabile tra i 40 ed i 100 metri. Gli edifici di culto del centro storico sono la chiave di lettura dell’eruzione. Alcuni di questi furono lambiti ed inglobati dalla lava, altri vennero com-pletamente distrutti cosa che accadde per la chiesa di S. Croce che in origine doveva avere l’ingresso rivolto verso il mare.

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guardano a mare; risulta essere ruotata verso monte di 30° probabilmente per recuperare su-perficie da destinare a sagrato. Croce di Vincenzo Di Donna, datato 1927, nel quale si dice: "Sono pochi anni dacchè sul lato del Crocifisso si aprì una cappellina per depositarvi il Santo legno della Croce". La cap-pella fu edificata nei primi decenni del 1900 per accogliere la reliquia del legno della Croce. Tale reliquia, consiste in un fine reliquiario in argento sbalzato e cesellato a mano, databile per la sua fattura, alla fine del '6oo. Al centro in una teca vi è una scheggia della croce di Gesù Cristo. Alcuni attribuiscono la cappella ad Enrico taverna, altri a G. Gianquitto, già autore della vicina cappella di S. Fran-cesco di Sales, datata 1902, in cui lo schema decorativo (stucco su fondo dorato) ci riporta alla decorazione della cappella in esame. Stilisticamente la cappella si ispira all'arte neobi-zantina. La facciata, incastrata nel muro perimetrale della Basilica, si mostra armoniosa ed allo stesso tempo articolata con l'alternanza degli archi a tutto sesto con quelli a sesto acuto, co-me pure del colore bianco con il grigio e l'oro. Notevoli sono le paraste, poste all'estremità, decorate con stucchi sul fondo dorato riproducenti simboli biblici. La fila di angeli forma una singolare trabeazione su cui poggia la parte terminale. Attraverso un fine cancello si ac-cede all'interno della cappella a pianta rettangolare terminante con un abside, la copertura è formata da un arco e da una cupola che si mostra maestosa rispetto alle ridotte dimensioni della cappella. Sulla controfacciata si trova un dipinto a tempera raffigurante Cristo in trono fra due angeli oranti. Le pareti sono scandite verticalmente da colonne aventi ognuna un ca-pitello diverso. Negli spazi intermedi tra le colonne si muovono, sul fondo di arabeschi, delle cornici a motivo circolare in cui si inseriscono dei reliquiari. La cupola si erge su un tamburo articolato da finestre e colonne sulle cui estremità sono poste delle figure alate che reggono simboli della Passione. La calotta sferica è suddivisa in spicchi in cui sono inserite teste di profeti e di vescovi. Le restanti pareti sono decorate con un cielo stellato. Singolare è l'altare realizzato in legno e vetro su cui è posto uno scarabattolo in legno dorato contenente la reli-quia della Santa Croce.

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Figura C: Carta topografica di Torre del Greco in scala 1:1000 (mappa 413)

Una domanda nasce spontanea. Se la città andò distrutta, come è stato possibile rico-struirla rispettando il vecchio impianto urbanistico? La risposta risulta essere più semplice di quel che si può immaginare. Se si osservano con attenzione le

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chiese del centro storico ci accorgiamo che la colata le ha inglobate ma non distrutte. L’ingresso della chiesa di S. Maria delle Grazie 6 (foto 1) non è altro che l’antico finestro-ne della vecchia chiesa; stesso discorso per la chiesa di S. Michele Arcangelo 7. La chiesa di S. Maria Assunta 8 venne ricostruita dall’ing. Ignazio Di 6 Santa Maria delle Grazie risalente ai primi del 1600. Situata nei pressi della Porta di Capo Torre fu parzialmente sepolta dall'eruzione del 1794; quella attuale è un riadattamento della chiesa superstite. La chiesa, dopo l'eruzione, fu ristrutturata e restaurata nella parte superiore rimasta: il finestrone del secondo ordine dell'esterno divenne l'attuale porta d'ingresso. Nel 1930, per volontà del rettore don Pietro D'Amato, fu arricchita di begli affreschi dal pittore Raffaele Sammarco riproducenti episodi della vita della Madonna, gli Evangelisti e degli angeli. Divenne poi parrocchia nel 1948 con lo stesso D'Amato parroco. 7 Nel 1656, a causa della peste, morì don Nicolandrea Balzano, parroco della Basilica di S. Croce. Una rendita istituita dallo stesso parroco, permise di costruire, nei pressi della chiesa di S. Maria all'ospedale, un conservatorio per accogliere le fanciulle orfane e bisognose. Nel 1683, a dirigere il conservatorio, l'arcivescovo Innico Caracciolo nominò Suor Serafina da Capri; questa lo riformò facendogli adottare la regola Teresina. Nel 1696, constatato che i locali erano piccoli e non più sufficienti, le suore chiesero ed ottennero il permesso di edifi-care un nuovo complesso più capiente sulla via di Capo Torre (attuale Diego Colamarino) e vi si trasferirono il 23 giugno del 1706. Fu completato dapprima il convento, al quale fu dato il nome di Conservatorio dell'Immacolata Concezione, nome del vecchio Conservatorio e solo nel 1727 fu terminata la chiesa. Il monastero era a forma quadrata con chiostro centrale ed aveva sul lato destro la chiesa. Sull'altare maggiore c'era un dipinto dell'Immacolata rea-lizzato da Paolo De Matteis, a destra un piccolo altare era dedicato a S. Teresa, mentre sul lato opposto, un altro altare era dedicato al Crocifisso. Le tele di entrambi gli altari erano del pittore Giuseppe Simonelli. Durante l'eruzione del 1794 la chiesa fu invasa dalla lava rima-nendo per metà sepolta: l'attuale ingresso della chiesa corrisponde all'antico finestrone. Le suore abbandonarono il complesso che, nel 1803 fu dato alla congrega del SS. Sacramento e S. Michele che ricostruì la chiesa. La parte sepolta fu adoperata come Terra Santa per le se-polture. Attualmente della chiesa inferiore non rimane che il perimetro, privo di ogni

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decorazione. Sono visibili ben sei riquadri di terreno per la sepoltura dei morti. Caratteristi-co è l'ingresso costeggiato da un lembo di lava che, però non riuscì a penetrare all'interno. Dinanzi a tale ingresso è visibile una terra santa a forma di croce ove venivano sepolti i sacerdoti. Ai lati di tale croce si trovano due botole profonde circa 15 m che vennero utiliz-zate nel 1800 per l'estrazione della pozzolana. Sono esposti in tale ambiente resti di maioli-che ed antichi sarcofaghi in legno patinati d'oro, scarabattoli ove venivano esposti su di un cuscino le ossa del defunto, un organo, un pulpito e due sarcofaghi marmorei. Al di sotto della Terra Santa è localizzata la cripta (attualmente ricolma di detriti) ove è situata la tom-ba del vescovo Domenico Galisio. La parte più interessante dell'antico complesso è la sa-crestia, la quale è affrescata in tutte le sue parti. Questo ambiente è formato da due vani inframmezzati da un arco ribassato. Nel primo vano in tre riquadri sulle pareti, sono dipinti episodi della vita di S. Teresa; al centro della volta, in un riquadro, vi è rappresentato l'E-terno Padre con la colomba dello Spirito Santo; tutto intorno in medaglioni vi sono simboli mariani come la città turrita. Fra le decorazioni poste sull'arco è inserita la data di realizza-zione delle decorazioni: 1714. Nel secondo vano la volta è affrescata da una scena raffigu-rante la Madonna in gloria, circondata da Angeli, opera attribuita a Paolo De Matteis o ad un suo allievo. La chiesa superiore ricostruita sul perimetro e utilizzando le mura non se-polte dell'inferiore, risulta più bassa e con una forma poco proporzionata, a navata unica, terminata con l'altare maggiore sormontato da una tela raffigurante l'Ultima Cena; rilevanti sono le statue di S. Pasquale e dell'Immacolata. Il monastero, che in parte fu distrutto dalla lava, è oggi adibito ad abitazioni private. Le condizioni attuali del sito sono precarie. Gli affreschi della sacrestia (livello inferiore) a causa della forte umidità hanno subito ingenti danni. In molti punti gli affreschi non sono più visibili e stanno subendo un distaccamento dalla parete. Attualmente quello che è visitabile, lo si deve al Gruppo Archeologico Torre-se "G.Novi", che negli anni '80, grazie al paziente lavoro di don Nicola Ciavolino e dei so-ci, condusse i lavori di ripulitura del sito. 8 Santa Maria dell'Assunta fu edificata nel largo di S. Croce nel 1610 da un padre gesuita ed ampliata nel 1749. Nell'eruzione vesuviana del giugno 1794 la lava invase la chiesa danneggiandola tanto da renderla inagibile. Nel 1798, su disegno dell'ing. Di Nardo, fu ri-costruita. La chiesa ad una sola navata sull'altare maggiore presenta la statua in legno della Vergine Assunta proveniente dalla vecchia chiesa. Da una scala si scende nella vecchia chiesa recentemente

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Nardo sulle rovine della precedente i cui resti si possono osservare visitando il livello infe-riore. Nel centro storico oltre alle chiese prima menzionate anche alcuni degli edifici più alti sono stati inglobati dalla lava con la conseguenza, però, che i piani alti sono rimasti visibili a fine eruzione. Nella fase di ricostruzione della città, quindi, ci si riferì al visibile per rispettare il pree-sistente impianto urbanistico. Lo spessore della colata prospiciente il lato d’ingresso del Convento degli Zoccolanti è di circa 7 metri, in via Diego Colamarino è di circa 7 metri mentre in piazza S. Croce è di circa 12 metri. La colata, in zona Capo Torre si divise in due digitazioni e la più grande terminò la sua corsa in mare. Le chiese del centro rimasero in piedi perché furono lambite dai margini della colata mentre S. Croce fu colpita dal fronte che raggiunse nei pressi del campanile uno spessore di 12 metri. Un'altra chiesa che andò completamente distrutta fu quella dedicata alla vergi-ne del Principio, l’odierna S. Maria del Principio 9. La sgombrata, restaurata e sistemata dal Gruppo Archeologico Torrese "G. Novi": in essa si vedono l'altare, le fosse che conservano ancora i resti degli ultimi sepolti, gli ossari contenenti teschi e ossa sparsi sul fondo, e un grosso macigno di lava vesuviana del 1794. Dall'attigua sala dell'oratorio ancora inaccessi-bile, i soci di tale Gruppo Archeologico Torrese attraverso un cunicolo sotterraneo sono usciti all'esterno, constatando, tra la colata lavica, la presenza di vecchie case distrutte anch’esse dall’eruzione. 9 La prima chiesa ebbe come rettore il rev. D. Gennaro Torrese. Dalle relazioni delle Sante Visite degli Arcivescovi di Napoli, si evince che la chiesa aveva cinque altari di marmi fi-ni, era coperta di eleganti stucchi, adornata con quadri votivi e bandiere per grazie ricevute, ricca di arredi sacri e vasellame d'argento. L'antica chiesa si trovava sulla vecchia Strada Regia, passante per Calastro, per cui i marinai, quando passavano davanti salutavano la madonna con tiri d'armi da fuoco. Sulla Via Nuova realizzata nel 1562, più a monte, che conduceva alla porta di capo Torre, venne edificata, presso la stessa porta, una cappellina in onore della Madonna, la quale era rap-presentata

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in un dipinto su tavola tra i Santi Vescovi Biagio e Liborio (da un documento del 1593). Nell'eruzione del 15 giugno 1794, che distrusse gran parte della città di Torre del Greco, anche la chiesa e la cappella di S. Maria del Principio furono seppellite dalla lava ignea del Vesuvio. I fedeli torresi, tornati sul posto, si diedero a scavare nell'ammasso di lava solidi-ficata e il 15 agosto 1795 ritrovarono parte della chiesa con la nicchia della Madonna. Essi memori di un'apparizione della madonna ad una giovanetta muta di calastro in epoca molto remota e che fu miracolata, spinti da alcuni segni, come tante fiammelle apparse proprio sul posto ove prima era la chiesa, iniziarono lavori di scavo e seguendo la spaccatura della roccia trovarono intatta sotto di essa tra le macerie della chiesa, l'immagine della Madonna. Gli scavi diretti dal sac. prof. Nicola Ciavolino, confermarono che l'affresco della madonna era stato dipinto su di un muro di un edicola votiva; lo attesta la presenza di un canale per l'acqua piovana sul retro di essa. Secondo la tradizione, intorno a questa edicola all'aperto, diffusasi la devozione a que-sta immagine sorse una prima cappella, distrutta da un'eruzione del Vesuvio in epoca sco-nosciuta. Agli inizi dell'Ottocento per volontà del Beato Vincenzo Romano e per la fede dei torresi fu costruita l'attuale chiesa sotto la guida dell'architetto Ignazio Di Nardo, a for-ma di elegante rotonda neoclassica dall'ampia cupola con tre cappelle, che, insieme all'in-gresso, formano i bracci di una croce greca. Sull'altare maggiore fu posta una grande tela del pittore Diego Pesco, datata 1796, raffigurante la Madonna nell'antico atteggiamento di preghiera e ai suoi piedi, in ginocchio, S. Aspreno, primo vescovo di Napoli e S. Candida, prima cristiana napoletana. L'affresco antico, invece, mostra la madonna orante con a de-stra un personaggio in costume laicale del 16° secolo, forse San Luca accanto a S. Vincen-zo Ferrer e a sinistra della Madonna un altro personaggio, vestito da frate, forse S. Dome-nico. Il 15 settembre del 1968, nel decimo anniversario dell'incoronazione della Madonna, il Cardinale Corrado Ursi consacrò solennemente la chiesa parrocchiale e il nuovo altare costruito al centro del presbiterio. La statua di S. Anna, opera del Verzella di fine 1700 e restaurata a regola nel 1989, posta in una nicchia della cappella di destra, incominciò ad attrarre la devozione dei fedeli in seguito ad una sudorazione prodigiosa. Nel 1938 il Car-dinale Alessio Assalesi la eresse a Parrocchia per opera del nuovo Parroco Giuseppe Li-guori. L'11 gennaio 1992, per ricordare il 195° anniversario del prodigioso ritrovamento dell'immagine di S. Maria del Principio, venerata nell'antica chiesa, seppellita dall'eruzione del 1794, fu inaugurato il Museo parrocchiale, allestito

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lava aggirò il Convento degli Zoccolanti 10 scese per via Madonna del Principio per poi abbattersi sulla chiesetta. La distruzione arrivò dall’alto; la chiesetta infatti in un nuovo locale attiguo all'ingresso della Chiesa sottostante. In tale occasione il Cardi-nale Michele Giordano scoprì una formella bronzea donata dal Gruppo Rosarianti della Parrocchia. 10 Il Convento degli Zoccolanti che prende il nome dai calzari (Zoccoli), dei frati France-scani Minori che lo occupavano, s'incominciò a costruirlo all'inizio del 1578 con i fondi provenienti da elemosine dei cittadini torresi. Prima dell'eruzione del 1794, il complesso monastico sorgeva sopra un piccolo promontorio posto al di fuori del centro abitato vicino la porta di Capo la Torre. Durante l'eruzione del 1794, il magma incandescente raggiunse il monastero circondan-dolo del tutto e sommerse la chiesa annessa. Si tratta della struttura più antica ed intatta presente sul territorio di Torre del Greco. Poco si sa attualmente sulla storia dell'edificio. Esso possiede un chiostro affrescato che raffigura le varie tappe della vita di S. Francesco d'Assisi. Nulla si sa sul loro autore ma su questi affreschi vi sono particolari molto interessanti. La cucina possiede una cappa legger-mente più grande di quella visibile nella certosa di Padula. Sulla parete di fondo del refet-torio (uno stanzone grande circa 150 mq ) si può ammirare un affresco a parete raffigurante Gesù che cade mentre è intento a portare la croce. Tale stanzone venne utilizzato durante il periodo fascista come cinematografo ed è in-fatti ancora visibile la struttura da cui si proiettavano le pellicole. Lungo il chiostro si apro-no vari ambienti. Quelli relativi al lato mare furono utilizzati nel dopoguerra come abita-zioni da parte di sfollati. Questi ambienti presentano le volte tinteggiate di bianco. Al di sotto di questo intonaco sono visibili tracce di affresco. Alcuni ambienti sono de-stinati a terra santa. Sulle pareti di questa sono visibili alcune raffigurazioni tra cui dei te-schi, molto simili a quelli oggi visibili nel livello inferiore della chiesa dell'Assunta e due braccia incrociate con relativa palma e flagello incrociati (le due braccia indicano una quel-la di Dio e l'altra di San Francesco; la palma indica la gloria, il flagello indica il male). Gli ambienti lato strada “Capo Torre” non presentano alcun particolare. E' visibile l'antico ingresso completamente invaso dalla lava del 1794. Al di sotto del chiostro vi è tutto un livello che anticamente veniva utilizzato come cantina. Il piano supe-riore era adibito a cellario. Infatti la regola Francescana era Ora et Labora pertanto nelle celle si pregava e dormiva, mentre nei livelli sottostanti si lavorava. In

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è come se si fosse trovata sotto di una cascata che invece di essere d’acqua fu di fuoco. Di questa chiesetta oggi rimane visibile l’edicola votiva che miracolosamente rimase illesa. In questa zona il fiume di lava arrestò la sua corsa alla base del promontorio del Convento ove oggi insiste via mons. Felice Romano. Il piano stradale nei pressi della chiesa di S. Maria del Principio prima dell’eruzione era posto a 20 metri s.l.m. oggi è a 26,7 m. A Capo Torre il piano strada era posto a 41,8 metri s.l.m. mentre oggi è a 48,6m.; via Diego Colamarino aveva quota 40,8 metri s.l.m. mentre oggi è a 46,3 m; piazza s. Croce aveva quota 29 metri s.l.m. mentre oggi è posta a quota 42,6 metri sul livello del mare. Alla luce di questi dati risulta evidente che la morfologia del territorio pre 1794 ha subi-to una notevole modifica soprattutto nell’area ove è transitata la digitazione maggiore. Pri-ma dell’eruzione il dislivello tra il Convento degli Zoccolanti ed il Campanile di S. Croce era di circa 11. Dopo l’eruzione tale dislivello si è ridotto a 6 metri (grafico 1). Prima dell’eruzione il promontorio del Convento era molto più accentuato oggi invece quel divario di altitudine è stato limato. principio il Convento nacque con lo scopo di accudire religiosi che avessero bisogno di cure, successivamente con l'avvento delle suore divenne scuola. Al centro del chiostro vi è un pozzo da dove si attingeva l'acqua. Al di sotto degli ambienti “lato mare” sono ubicate anche alcune cisterne. Il pavimento del chiostro in base ad alcune ricostruzioni storiche doveva essere in cotto. Oggi nulla è più visibile. Il Convento anticamente possedeva una biblioteca in cui erano custoditi volumi storici e tutte le informazioni relative alle commis-sioni per la realizzazione del convento. Quando i frati furono cacciati, portarono con se tut-ti i testi. In Italia esistono 21 conventi degli Zoccolanti. Noi impropriamente chiamiamo la struttura con la dicitura “Monastero degli Zoccolanti” ma ciò è completamente errato in quanto il termine Zoccolanti è da riferire ad una caratteristica dei frati minori francescani. Da ciò ne consegue che la dicitura più esatta per l'intero complesso è “Convento degli Zoc-colanti”.

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Qualcuno, giustamente si chiederà come si possano con esattezza stabilire le quote della città prima dell’eruzione. Ebbene, analizzando la mappa del Morghen si nota che alcune zone non sono state intaccate dalla lava così come i monumenti del centro cittadino sono ancora oggi ben visibili. Il piano strada dell’antica S. Maria del Principio coincide con all’attuale piano di calpesti-o del livello inferiore della chiesa. L’antico piano strada di Capo Torre coincide con il piano di calpestio del chiostro del Convento degli Zoccolanti ove la lava non è mai arrivata (foto 2). Per l’antica via Diego Co-lamarino la quota altimetrica corrisponde al piano di calpestio dell’antico chiostro antica-mente annesso alla chiesa di S. Michele Arcangelo (foto 3). Di questo chiostro oggi è ben visibile un lato mentre altri due sono stati inglobati nelle moderne abitazioni (foto 4 e 5). L’interno di questo chiostro è visibile entrando all’interno di proprietà private. Per il Campanile di S. Croce è stato necessario che mi calassi all’interno di questi mediante l’ausilio di

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imbracature e scala a corda con il supporto tecnico dell’IRT Protezione Civile di Torre del Greco. Redatta la planimetria interna, visto l’attacco del solaio crollato del primo elemento con la parete e resomi conto che sotto ai miei piedi vi erano ben 3 metri di materiale di risul-ta, ho potuto calcolare l’altezza del primo elemento del campanile che è stato completamente inglobato dalla colata. Questi risulta essere alto 13 metri (foto 6). A differenza di quanto scritto su vari testi sto-rici, il primo elemento presenta, come gli altri due elementi, una base ottagonale e l’accesso del vecchio campanile risulta essere corrispondente a quello attuale. La chiesa di S. Maria Assunta possiede anch’esso un livello inferiore suddiviso in due sottolivelli; quello più in basso che funge da ossario e quello superiore a questi che funge da terra santa (foto 7 e 8). La lava entro all’interno della chiesa riempiendola quasi totalmente ed oggi visitando il livello inferiore si notano le arcate dell’originale struttura. Il piano di cal-pestio pre 1794 era a 28 metri s.l.m. mentre oggi risulta essere a 36,5 metri. La lava scenden-do verso mare risparmierà sia la chiesa seicentesca di S. Maria di Costantinopoli 11 (foto 9) che il Castello Baronale12 (foto 10). 11 Fu costruita alla fine del 1500 come cappella privata dei Carafa, residenti nel vicino castello, per accogliere l'antica statua della Madonna col Bambino portata in città dal corsaro Andrea Maldacena. Alla statua di stile tardo-bizantino, fu attribuito il titolo di S. Maria di Costantinopoli, il cui culto era già diffuso nella vicina Napoli. Nel 1674 la chiesa fu conces-sa al "Pio Monte dei Marinari", che aveva come scopo primario il soccorso dei marinai e del-le loro famiglie in un qualsiasi bisogno, materiale o spirituale che fosse. La confraternita lai-ca divenne in poco tempo un centro propulsore dell'economia cittadina e ristrutturò ed am-pliò l'edificio con lavori che si conclusero nell'anno 1700. S. Maria, risparmiata dall'eruzione del Vesuvio del 1794, era provvista di un luogo per la sepoltura (Archivio Parrocchiale di S. Croce Libro XI dei defunti, 1792 - 1802);

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attualmente è riscontrabile un ambiente sottostante il pavimento, al quale si accede, scomo-damente, attraverso una grata posta all'ingresso: si suppone che sia il luogo per le sepolture. La chiesa, di stile barocco, si erge nel contesto dell'antico quartiere del Vaglio come una felice isola: la facciata, concepita come una vera e propria scenografia che maschera la strut-tura interna, si sviluppa in due ordini sovrapposti i quali sono scanditi verticalmente da para-ste con capitelli corinzi. L'ordine inferiore ha al centro l'ingresso racchiuso nel rilevante portale barocco realizzato i pietra di Sorrento terminante con un'edicola in cui è dipinta la Titolare. L'ordine superiore, invece, è incluso in due guglie caratteristiche. La facciata si conclude con un frontone carat-terizzato da una trabeazione mossa. L'interno è costituito da un'unica navata scandita da colonne addossate alla parete, in ori-gine decorate in oro; la copertura è costituita da una volta a botte; ai lati della navata vi sono quattro cappelle. La navata si conclude con l'abside che ha nel centro, in una nicchia, la sta-tua della Vergine. La chiesa è fornita di undici pregevoli tele del sec. XVIII (le quali sono conservate altrove). Tra gli altari di marmo intarsiato spicca l'altare maggiore per la finezza decorativa ed il mirabile bassorilievo centrale. Di ottima fattura la balaustra le acquasantiere marmoree che rievocano scene marinaresche, le porte dell'archivio e il pulpito che è sorretto da uno stemma del Pio Monte in legno dorato. Particolare menzione meritano l'organo in legno dorato, tra i più belli dei paesi vesuviani; gli argenti e i paramenti sacri, (visibili nel museo di S. Croce ) i quali, pur se classificati co-me "arti minori", mostrano la creatività d abili artigiani e la floridezza economica delle atti-vità marinare a Torre del Greco. 12 La chiesa è stata retta, ultimamente, dal defunto mons. Francesco Sannino, ed ora per le precarie condizioni, resta chiusa in attesa di restauri. Si hanno tracce dell'esistenza del castel-lo Baronale dal 1418 quando era di proprietà della Contessa Giovanna II D'Angiò, che biso-gnosa di denaro lo diede in pegno al suo amante Sergianni Caracciolo, fu donato successiva-mente alla Curia Napoletana e con la conquista di Napoli da parte degli Aragonesi divenne proprietario Alfonso I d'Aragona. Questi dimorò spesso nel castello, lo ampliò, diede udienze e feste. Tra le mura del castel-lo torrese si consumò una tra le più belle storie d'amore del regno, quella di Alfonso I e Lu-crezia d'Alagno mirabilmente raccontata da Benedetto Croce in “Leggende Napoletane”. Nel gennaio 1467 d.C. Francesco Carafa ottenne il Castello dalla Curia Napoletana dietro pro-messa dell'offerta annua alla stessa di cento libbre di cera lavorata. Nell'aprile seguente Fran-cesco Carafa

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In via Vittorio Veneto l’antico piano di calpestio era a 51 m sul livello del mare. L’attuale campo di gioco dell’Oratorio Beato Vincenzo Romano risulta avere quota 59.4 m s.l.m.. Lo spessore della colata, pertanto, in questa zona è di circa 8 ottenne da re Ferdinando I la conferma del possesso del castello “in perpetuum” per sé, per i suoi eredi e successori, con l'obbligo di ripararlo a sue spese. Da allora possedettero pacificamente la dimora tutti i padroni di Torre e Comarca. Il ca-stello sito nell'estrema parte del quartiere Vico da mare, aveva una porta d'ingresso che im-metteva in un cortile scoperto che faceva da loggia e permetteva la veduta del mare, da Na-poli alla penisola sorrentina, intorno a questo erano varie stanze, la cavallerizza capace di venticinque cavalli, il carcere maschile e quello femminile, una cucina, una rimessa, un poz-zo d'acqua sorgiva, il cellaio, i lavatoi... Una scala a due rampe conduceva all'appartamento del primo piano composto da una grande sala, una cappella con varie stanze con balconi di ferro affaccianti sul cortile, due stanzette e altre stanze, una loggia a cinque arcate coperta, una loggetta panoramica scoperta. La forma antica della costruzione era quadrangolare e chiudeva dentro di sé il largo spiaz-zo del cortile privo di porticati. Col Riscatto baronale del 1699 il castello passò in comune possesso delle tre Università di Torre, Resina e Portici. Il 14 giugno di tale anno il primo ba-rone Giovanni Langella ne prese possesso. Essendo ancora tutto deteriorato, l'edificio nel 1711 fu messo in vendita e acquistato per intero, dall'Università di Torre, divenendo sede del Governatore e alloggio dei soldati della Regia Corte e dal 1743 al 1756 anche dei baroni Langella. Nel 1851 il castello divenne sede del Municipio e subì in quel periodo una decisiva tra-sformazione, rimase in piedi, trasformata in palazzo ottocentesco, solo l'ala settentrionale. La costruzione oggi si presenta come un compatto parallelepipedo diviso in due ordini, e termi-na in alto con una cornice e un timpano al centro della stessa all'interno del quale campeggia lo stemma della città. All'interno, in gran parte riadattato, ci sono varie stanze adibite ad uffici, al piano terreno; una scala, sovrastata da una grande statua in gesso di Garibaldi, si divide a metà in due ram-pe laterali e conduce al primo piano ove sono altre sale adibite ad ufficio e un salone per le sedute consiliari. Sotto la rupe del castello, su quella che una volta era la ripa c'è il comples-so delle Cento Fontane, una sorgente naturale di acqua potabile alimentata dal fiume sot-terraneo Dragone, oggi in disuso. L'attuale padiglione di gusto neopompeiano risale ala 1879 d.C..

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m ed è stato rilevato ispezionando la cavità insistente proprio al disotto dell’Oratorio. Considerando gli spessori lavici calcolati, avendo individuato i limiti della colata e cono-scendo le distanze che intercorrono tra i monumenti è stato possibile ricavare il volume del materiale eruttato nel centro abitato raffigurato dalla carta del Morghen. Questi risulta essere di circa 2.500.000 m3 di lava. Per quanto concerne un calcolo volumetrico dell’intera colata da monte a valle, considerato che la distanza tra il Vesuvio ed il mare è di circa 4,5 km, che la colata ha avuto in media un fronte di 450 m e che ha avuto uno spessore medio di 8 m si deduce che il volume complessivo della colata sia compreso tra i 12 ed i 16.000.000 di m3.

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