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cina nel Laos, dove si trasferì per qualche tempo con moglie e tre figlie. Laggiù, rac- conta, nel contatto quotidiano con la reli- giosità buddista è riuscito a recuperare le proprie radici protestanti. L’“ugonotto” li- berale Sicard appartiene infatti al filone del protestantesimo francese che da Blai- se Pascal arriva fino al filosofo Paul Ri- coeur e al teologo Jacques Ellul. Gli pro- viene da lì l’impronta di rigore, di severità e di eleganza intellettuale, oltre alla gran- de attenzione all’umano. La quale si tradu- ce in grande amore per la letteratura, la fi- losofia, la poesia, l’arte. Quando lavorava al Cochin, ha lottato per portare mostre tra le mura dell’ospedale, a dire qualcosa di indicibile attraverso il discorso scientifico, di cui sentiva l’urgenza di far partecipi i pazienti. Ma l’attenzione all’umano, per Si- card, significa soprattutto inquietudine pe- renne e allarme per gli attacchi che all’u- mano sono portati, compresi quelli sferra- ti “a fin di bene” da una scienza che si pre- tende onnipotente. N on è la prima volta che Didier Sicard, il medico francese dal 1998 a capo del Comitato consultivo di etica, si sceglie volontariamente la parte del guastafeste al gran ballo della tecnoscienza. Lo studio- so che in una lunga intervista sul Monde del 4 febbraio ha spiegato perché la dia- gnosi prenatale generalizzata si sia tra- sformata in nefasto strumento eugenetico, non è infatti nuovo a sortite che lo metto- no in contrasto con chi vede nella medica- lizzazione a oltranza della gravidanza, del- la nascita, di tutta l’esistenza, una tenden- za non solo irresistibile ma anche alta- mente desiderabile. Bioetico non dogma- tico, Sicard spiega infatti, appena ne ha l’occasione, che la medicina non è la salu- te e che scienza non significa “padronan- za del vivente”. Già a capo del servizio di medicina in- terna dell’ospedale Cochin di Parigi, Si- card da giovane ha lavorato con i malati di lebbra, ed è stato tra i primi, in Francia, a occuparsi di Aids. Ha poi insegnato medi- IL FOGLIO ANNO XII NUMERO 32 DIRETTORE GIULIANO FERRARA MERCOLEDÌ 7 FEBBRAIO 2007 - 1 quotidiano FIGLI FABBRICATI,L’ALLARME Roma. A poche ore dal vertice serale di maggioranza, il ministro degli Esteri Massi- mo D’Alema (per iscritto) e il premier Roma- no Prodi (a voce) intervengono sul dossier af- ghano e, per proteggersi dalla sinistra mas- simalista, attaccano la lettera-appello dei sei alleati perché l’Italia resti in Afghanistan. Si dicono sorpresi per “l’interferenza inoppor- tuna”. Parole pesantissime, che hanno ispi- rato l’immediata risposta del portavoce di Condoleezza Rice, Sean McCormack, energi- co nel sostenere l’iniziativa del proprio am- basciatore a Roma. “La comunicazione di Spogli è pienamente coerente con quello che hanno più volte ribadito il presidente Bush e il segretario di stato”. La tesi di D’A- lema è che la lettera ricevuta sabato dall’I- talia “deve essere stata giudicata irrituale da tutti gli altri paesi che hanno soldati in Afghanistan, che sono trentasei e non sei. Se non fosse stata irrituale – nota il ministro – l’avrebbero firmata tutti”. Il dipartimento di stato americano ha evitato di ricordare a D’Alema che, tra i paesi non firmatari, la Lettonia schiera a Kabul nove sol- dati, l’Islanda ne ha venti, l’Azer- baijan trentatré, l’Albania ventidue, l’Irlanda sette, Austria e Svizzera quat- tro a testa. Mentre il premier romeno Calin Popescu Tariceanu si è dissocia- to dal suo ambasciatore in Italia, Wa- shington ha voluto invece confermare che la lettera non è un’iniziativa estemporanea, come dimostrano anche i tempi serratissimi delle repliche americane alle proteste del- l’Italia. Né a Prodi né a D’Alema era diffici- le comprendere la mossa “irrituale” delle sei nazioni, che sopportano i costi più pe- santi e subiscono le perdite maggiori con- tro i talebani. Per Prodi e D’Alema c’è stata una piccola inopportuna interferenza Rice insiste:“L’iniziativa è di Bush” Lettere afghane Baghdad. I “ragazzi di Petraeus” ieri sono arrivati a Baghdad. E’ iniziata la nuova fase del processo di stabilizzazione dell’Iraq, gui- data dal generale David Petraeus e dal suo gruppo di esperti – colonnelli e generali con PhD in economia, antropologia, scienze po- litiche e strategie militari nei migliori ate- nei d’America – cui si aggiungeranno i 21.500 soldati in più voluti dal presidente americano George W. Bush. Ad accoglierli c’era il generale sciita Abboud Gambar, scelto dal governo iracheno (con molte pres- sioni da Washington, visto che la prima scel- ta dell’esecutivo di Nouri al Maliki era un altro ufficiale) per gestire il piano di sicu- rezza di Baghdad insieme con le forze ame- ricane. I due vice di Gambar sono già stati dislocati sulle rive del fiume Tigri per coor- dinare i soldati da assegnare alle nove se- zioni in cui è stata divisa la capitale irache- na per portare a termine il progetto di “sicu- rezza quartiere per quartiere” che è alla ba- se della missione di Petraeus. I lavori sono andati un po’ a rilento nelle ultime settima- ne, come ha ammesso lo stesso premier Ma- liki, il quale aveva fatto approvare in Parla- mento un piano per la sicurezza che però non è stato implementato nei tempi previsti. Rivolto ai generali iracheni, il capo del go- verno ha detto: “Finite in fretta i preparati- vi, così non deluderemo gli iracheni”. Negli ultimi giorni ci sono stati almeno duecento morti e puntualmente sono arrivate le criti- che – cui ha dato voce il New York Times – contro le modalità di questa nuova fase che, colpendo le milizie sciite, avrebbe favorito l’offensiva dei terroristi sunniti. Ma ieri a te- ner banco è stata l’ennesima crisi diploma- tica con l’Iran. Arriva il nuovo capo della sicurezza in Iraq. Squadra di esperti con PhD. Crisi diplomatica con l’Iran I ragazzi di Petraeus L’allarmista è un medico francese laico e abortista: Didier Sicard Facciamo come gli in- glesi, facciamo come gli inglesi. Uuh sì, facciamo come gli inglesi. Due co- se avevano di buono gli inglesi, le cravatte regi- mental, e a sputtanarle ci ha pensato Luca Cordero di Monteze- molo, e il culto di Winston Churchill, il cui posto è stato preso ora da una specie di Natalia Aspesi di lassù. In ogni caso. Se siete disposti a mangiare di merda, a farvi la permanente come la signora Thatcher, a consumare sei o sette pasti al giorno, co- me diceva di loro la Buonanima, ma senza ingrassare sennò Tony Blair s’incazza. E se siete disposti a: prendere gli statali e trat- tarli come minatori, prendere i minatori e trattarli come a Guantanamo, bere la bir- ra invece del vino, il tè al posto dell’e- spresso, a essere perfidi come Albione, a farvi il piercing sulla bombetta, a coltiva- re le rose del giardino raccontando quan- ti zulu le vostre truppe hanno spanzato og- gi, a correre tutto il giorno dietro una vol- pe come scemi senza manco poterla ac- coppare alla fine e, cosa che non guasta, se sapete l’inglese, allora tanto vale che la- sciate il calcio più o meno com’è e che vi buttiate sul cricket. Redazione e Amministrazione: L.go Corsia Dei Servi 3 - 20122 Milano. Tel 02/771295.1 Poste Italiane Sped. in Abbonamento Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO D io c’è e sta a sinistra. I candidati al- la Casa Bianca 2008 pii e religiosi sono Hillary Clinton e Barack Obama, esponenti principali di un partito demo- cratico più tendenza Binetti che Fassi- no. I due concorrenti laici e divorziati sono i repubblicani John McCain e Rudy Giuliani, sui quali pesa il non pos- sumus delle organizzazioni cristiano- evangeliche e prima o poi anche di Mar- cello Pera. McCain dà di fuori di testa agli evangelici, calorosamente ricam- biato. Giuliani è favorevole al diritto di interrompere la gravidanza (“credo nel diritto di scelta della donna”), difende la sentenza liberalizzatrice dell’aborto Roe contro Wade (“a questo punto è un precedente”), si diverte a travestirsi da donna durante le parate dell’orgoglio omosessuale al Village, è stato a lungo ospite di una coppia pac- sata gay nei mesi del di- vorzio e da sindaco di New York ha regolamentato le unioni civili come neanche nelle mozioni della Rosa nel Pugno. L’altra sera, all’anchorman della Fox preoccupato per l’accoglienza nel mondo con- servatore delle sue posizioni sull’aborto, Giuliani ha risposto: “Ci saranno sempre cose su cui non si è d’accordo e quindi ci saranno anche persone che non ti voteranno. Bisogna farsene una ragione”. Obama non potrebbe farsela questa ragione, tantomeno Hillary. Obama è fa- moso per aver chiesto al mondo politico di sinistra di non abbandonare la reli- gione e per aver inaugurato una forma di progressismo compassionevole che gli fa condurre battaglie politiche insie- me con il candidato della destra religio- sa Sam Brownback. “E’ sbagliato chie- dere ai credenti di lasciare la propria religione fuori dalla porta prima di en- trare nell’arena pubblica – ha detto Obama in un discorso sulla religione che ha fatto parlare i circoli politici di Washington – Abramo Lincoln, Martin Luther King e la maggioranza dei gran- di riformatori americani non erano sol- tanto motivati dalla loro fede, ma hanno anche usato il linguaggio religioso per sostenere le loro cause”. Quando l’ex first lady faceva catechismo Non è solo convenienza politica, ha spiegato ieri il settimanale Newsweek svelando che le radici religiose di Hil- lary Clinton non sono affatto posticce, ma risalgono al suo tredicesimo anno di età e all’incontro col reverendo metodi- sta Don Jones. I giornali amici si dilun- gano sui tempi in cui l’ex first lady inse- gnava catechismo giù in Arkansas, sulle frequentazioni delle sessioni di pre- ghiera mattutina al Senato, sull’impe- gno nella campagna d’informazione per l’astinenza come misura preventiva del- l’aborto. Stiamo parlando di Hillary, non di George W. Bush e nemmeno di quel Karl Rove accusato da un ex alto funzionario della Casa Bianca di aver preso in giro gli evangelici e di chiamar- li segretamente “quei matti”. Il reverendo Jones, frequente ospite dei Clinton alla Casa Bianca, racconta invece ai giornali liberal i tempi in cui la giovane Hillary gli chiedeva di ap- profondire i passi biblici e le lodi al Si- gnore. La paladina del progressismo americano, secondo il suo confessore, si fida delle potenzialità dell’uomo, ma è consapevole dei limiti dell’essere uma- no. Hillary “crede sul serio nella dottri- na del peccato originale”, mentre il suo possibile avversario della destra retro- grada si diverte a travestirsi da Marilyn. da. Senza considerare il numero altissimo di amniocentesi con i loro possibili rischi. E’ così vasto il fenomeno dell’ingerenza nei segreti del feto per fini che non sono nell’interesse del feto stesso, che nel 1989 l’Organizzazione mondiale della sanità ha tracciato le linee per una tutela della pri- vacy prenatale”. Il fenomeno corre su un doppio binario. “Da un lato la paura dei medici per le ritor- sioni giudiziarie. Nel 2000 in Francia scio- perarono i radiografisti dopo la denuncia di un disabile per esser nato malato dato che per la mancata diagnosi non era stato possibile abortire. Dall’altro lato si sta im- ponendo l’idea del ‘bambino perfetto’: la perfezione come mito della società postmo- derna, secondo il Journal of Medical Ethics, sta alla base dell’eugenetica prena- tale. Sicard parla del fatto che se la madre ritiene che una certa patologia costituisca un danno per la sua salute, allora acquista automaticamente il diritto di interrompere la gravidanza”. U na persona della caratura culturale e morale di Didier Sicard ha mostrato a quale livello di obbligatorietà sia arrivato lo screening prenatale”. Il neonatologo Carlo Bellieni, membro corrispondente della Pontificia accademia della vita, de- nuncia l’abisso che passa fra la diagnosi prenatale non invasiva e quella che scivo- la nell’eugenetica, come ha spiegato in un’intervista al Monde il decano dei bioe- ticisti francese, Didier Sicard. “La prima serve a curare, la seconda a selezionare” ci dice Bellieni. “Nel 2005 la rivista Trends in biotechnology ha pubblicato un artico- lo in cui si spiegava lo spettro della dia- gnosi prenatale selettiva in Francia. E due giorni fa sul sito della Bbc si parlava del- l’eccesso di ecografie in Inghilterra. E’ in corso un allarme mondiale sulla pervasi- vità subliminale della selezione prenata- le. E molti si domandano se questo c’entra col fatto che le donne italiane eseguono in media sei ecografie in gravidanza, più del doppio di quelle previste dalle linee gui- Per Bellieni presto nasceranno solo i sopravvissuti alla diagnosi prenatale care a Dio? Ho una notizia per voi: non cam- bieremo l’equilibrio di genere nel mondo. Abbiamo una manciata di richieste ogni an- no, e le accontentiamo”. Spiega che si oppo- ne al test sugli embrioni solo per la scelta del sesso, ma se bisogna già fare lo scree- ning sugli embrioni per motivi medici, tan- to vale regalare una femmina, se i pazienti la desiderano. Tanto vale. Per ventimila dol- lari sarebbe scortese non includere anche la scelta del sesso. “Preferiamo farlo come bilanciamento familiare – ha spiegato il dottor Jeffrey M. Steinberg, che sta per aprire a Manhattan la sua quarta clinica che offre la scelta del sesso – ma non abbia- mo mai mandato via qualcuno che arriva e dice: voglio che il mio primo figlio sia un maschio o una femmina. Se tutti dicessero che vogliono prima il maschio forse avrem- mo titubato, ma è cinquanta e cinquanta. La scelta riproduttiva è una cosa molto per- sonale: se non danneggia nessuno noi sem- plicemente andiamo avanti e diamo loro quello che vogliono”. L o chiamano “bilanciamento familiare”, è un modo costoso e moderno per essere quasi sicuri di avere un figlio maschio, se lo si desidera, o femmina, se si impazzisce per il rosa. E’ la scelta del sesso, ed è l’ultimo di- battito etico lanciato dal New York Times, che ha chiesto anche l’opinione dei lettori in proposito. La scelta del sesso ovviamente è possibile solo con la fecondazione assistita, e serve la diagnosi preimpianto: si sceglie l’embrione maschio, o femmina, si scartano o si congelano gli altri. Eugenetica? Sì, per- ché ci si sceglie la famiglia che si vuole, non più solo sana, anche perfettamente variega- ta. Si rideva volentieri in faccia a chi diceva che la diagnosi preimpianto apriva la stra- da agli occhi blu e ai capelli biondi in pro- vetta, ora i medici americani raccontano che soddisfano volentieri le volontà mone- tizzabili di genitori decisi ad avere un ma- schietto. “Sono i desideri dei pazienti – ha detto Jamie Grifo, direttore del centro di fertilità della New York University – chi sia- mo noi per decidere, per rifiutare, per gio- Sesso della prole à la carte, lo chiamano “bilanciamento familiare” con la nostra è impressionante. La que- stione non riguarda soltanto lo statuto personale oggettivo dell’embrione, pro- blema considerato laterale da Sicard e centrale da noi, ma “il sapere che cosa vogliamo costruire per noi stessi come società umana che ci consenta di ri- spettarci”. Chi siamo noi nel momento in cui decidiamo di “escludere il tale o il tal’altro, d’un tratto e in maniera pressoché sistematica, dalla vita?”. E’ una domanda malinconica e pressante, laica fin nelle sue radici e insieme at- tenta alla dimensione religiosa dell’esi- stenza, qualunque cosa questa espres- sione voglia significare. L’allarme di questo autorevole medico, che è alla te- sta dell’autorità bioetica di una grande nazione europea, spazza via le banaliz- zazioni alle quali siamo abituati dai tempi del referendum sulla fecondazio- ne artificiale, le battaglie di cartapesta tra clericali e laicisti, l’indifferenza eti- ca spacciata per progressismo scientifi- co, evoluzionismo selettivo e neodarwi- nista in marcia trionfale verso un non si sa dove. E restituisce un senso anche alla ormai sgangherata battaglia politi- cista intorno alla famiglia, all’amore e alla sessualità umana. L’inquietudine di Sicard per un “pensiero unico domi- nante” che si realizza irrevocabilmen- te nella scelta illusoria del figlio sano, del figlio come prodotto fabbricato se- condo il desiderio, è anche la nostra. A quando una giornata europea contro la deriva eugenetica? D idier Sicard, presidente del Comi- tato di bioetica francese e grande medico, ha detto al Monde che il XXI secolo si apre in Francia con il rischio di una generale deriva eugenetica, usando concetti e trattando dati allo stesso identico modo scelto da questo giornale, ormai da anni, per discutere criticamente la nuova ideologia del ci- clo della nascita, della vita e della mor- te. Per l’essenziale, “la pratica della diagnosi prenatale tende alla soppres- sione e non alla cura”. Cromosomi e ge- ni, che sono il tratto identitario della persona umana alla sua origine, sono ormai considerati “agenti patogeni in- fettivi che la medicina deve sradicare”. Non è un costume medico, è “una ideo- logia resa possibile dalla tecnica”, peg- gio, è “un’ossessione” che induce al più crudele ostracismo verso coloro che “non accettano la proposta [eugenetica] avanzata dalla scienza e sostenuta dal- la legge”. La diagnosi prenatale è “qua- si obbligatoria”, riguarda ormai “la quasi totalità delle gravidanze”, e in- somma “la Francia costruisce passo do- po passo una politica sanitaria che flir- ta ogni giorno di più con l’eugenetica”. La Germania è più prudente, afferma Sicard, perché ha conosciuto il nazismo e la sua sperimentazione sull’umano, ha esperienza del “dove possano con- durre imprese di esclusione di gruppi umani dalla città fondate su criteri cul- turali, biologici, etnici”. La coincidenza di questa denuncia La Giornata * * * * * * In Italia Nel mondo D’ALEMA SU KABUL: INTERVENTO INOPPORTUNO. WASHINGTON REPLICA. Ieri il ministro degli Esteri, Massimo D’Ale- ma, ha scritto una lettera per esprimere “sorpresa e disapprovazione” ai sei amba- sciatori di Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, Paesi Bassi e Romania accredita- ti a Roma che nel fine settimana hanno fat- to appello all’Italia per una maggiore unità sul fronte afghano. Il ministro ha spiegato che l’intervento pubblico dei sei diplomati- ci “si presta a essere interpretatocome un’i- nopportuna interferenza esterna nel corso di un processo decisionale su una materia che è e resta di esclusiva competenza del governo e del Parlamento”. A poche ore del vertice di maggioranza sulla politica estera convocato da Romano Prodi è arrivata la re- plica degli Stati Uniti: la lettera firmata dal- l’ambasciatore Spogli è “pienamente in li- nea” con ciò che dell’Afghanistan pensa l’Amministrazione Bush. Secondo le prime indiscrezioni, al vertice Prodi avrebbe cer- cato di “tranquillizzare” la sinistra radica- le sulla discontinuità della politica estera italiana con il precedente esecutivo. L’ex ministro degli Esteri, Gianfranco Fi- ni, ha definito “irrituale, imbarazzata e stiz- zita” la risposta del governo ai sei amba- sciatori. Casini: “L’Italia rischia di essere ai margini della politica estera mondiale”. *** La Lega calcio chiede di giocare domenica con stadi a porte aperte.Il patron dell’Inter, Massimo Moratti: “La decisione di tornare subito a giocare è stata presa per la gente e non per gli interessi delle società”. Il Consi- glio dei ministri varerà oggi il pacchetto di provvedimenti sull’ordine pubblico presen- tato in Parlamento dal ministro dell’Inter- no, Giuliano Amato, che prevede partite senza pubblico negli impianti non a norma con il decreto Pisanu, cioè quasi tutti. Amato: “Il valore della vita umana e il diritto alla serenità valgono di più degli in- teressi economici”. *** Sulle pensioni bozza comune dei sindacati. Cgil, Cisl e Uil hanno firmato ieri un docu- mento unitario. I sindacati sono pronti a “tenere conto” del graduale e volontario in- nalzamento dell’età pensionabile, ma con- trari alla revisione dei coefficienti di calco- lo. Il segretario della Cgil, Guglielmo Epifa- ni: “Tratteremo con il governo soltanto se presenterà una chiara proposta unica”. *** Chiesto il rinvio a giudizio per Pollari. Il procuratore aggiunto di Milano, Ferdinan- do Pomarici, ha parlato di “esplicita auto- rizzazione al rapimento di Abu Omar”. *** Oro italiano nel “super G”. Ai mondiali di sci alpino di Are (Svezia), l’azzurro Patrick Staudacher è il nuovo campione mondiale. *** Borsa di Milano. Mibtel -0,10 per cento. L’euro chiude a 1,2 sul dollaro. ATTENTATO SUICIDA ALL’AEROPOR- TO DI ISLAMABAD, CINQUE FERITI. Ieri un’auto con a bordo un attentatore suicida è entrata nel parcheggio dello scalo interna- zionale della capitale del Pakistan ed è esplosa, causando almeno cinque feriti tra i responsabili della sicurezza e la morte del terrorista. “Ha sparato contro i nostri uomi- ni e poi si è fatto saltare in aria”, ha riferito un ufficiale. Da Ankara il presidente Musharraf ha rilanciato, durante un colloquio con il pre- mier turco Erdogan, la proposta di un gruppo di paesi islamici per la soluzione del conflitto mediorientale. *** Incontro tra Fatah e Hamas alla Mecca. Si è aperta ieri la due giorni di colloqui tra i vertici delle fazioni palestinesi nel tentati- vo di creare un governo di unità nazionale e fermare le violenze nella Striscia di Gaza. Articolo a pagina tre *** Rapito un diplomatico iraniano in Iraq. Secondo il ministero degli Esteri di Tehe- ran, il numero due della rappresentanza a Baghdad, Sharafi, è stato catturato da uomi- ni armati, che “operano sotto la supervisio- ne delle forze americane in Iraq”. Il coman- do statunitese e iracheno hanno negato ogni coinvolgimento. Le autorità americane han- no trasmesso al premier Maliki un dossier con accuse a carico di un deputato sciita, Ja- mal Jaafar Mohammed, il quale avrebbe partecipato agli attentanti contro le amba- sciate statunitense e francese in Kuwait nel 1983 e che oggi lavorerebbe come infltrato di Teheran. Il Sun ha pubblicato le immagini di un filmato che riprendeva un caccia bombar- diere americano che apriva il fuoco in Iraq contro un blindato inglese. *** Nasce il comando americano per l’Africa. Il presidente degli Stati Uniti Bush ha ap- provato il piano del Pentagono per la crea- zione del Comando militare per l’Africa. Lo ha annunciato ieri il ministro della Difesa Gates. L’iniziativa fa parte della strategia americana della lotta al terrorismo nel con- tinente, ancora più importante dopo l’avan- zata di al Qaida nel Corno d’Africa. In Somalia le Corti islamiche hanno at- taccato la residenza del presidente Ahmed. *** Olmert nomina il ministro della Giustizia. E’ Daniel Friedman, noto per aver spesso criticato il sistema giudiziario israeliano, non senza scatenare polemiche. Ieri Israele ha dato il via ai lavori per la costruzione di una rampa alla spianata delle moschee di Gerusalemme. Proteste dal mondo arabo. Il Jihad islamico ha lan- ciato Qassam nel Negev. *** L’Iran chiede le prove dello sterminio de- gli ebrei nella Seconda guerra mondiale. Ieri la Fondazione internazionale dell’Olo- causto ha chiesto a Germania, Austria e Po- lonia di inviare documenti che confermino l’esistenza della “soluzione finale”. Questo numero è stato chiuso in redazione alle 21 Cresce il fronte anti Bazoli Ordine sparso,obiettivo comune.Draghi e Profumo attaccano la governance IntesaSanpaolo.Capitalia apre a Botin (anche) in chiave Generali.Fininvest muove su Mediobanca, principale azionista di Trieste. Il ruolo di Bolloré Roma. Le forze intenzionate a contrastare il superattivismo di Giovanni Bazoli crescono in nome del pluralismo del sistema economi- co e finanziario in fase di lenta ristrutturazio- ne. Dunque, Mario Draghi al Forex di Torino ha espresso perplessità sulla cosiddetta go- vernance duale, sperimentata per prima da IntesaSanpaolo, e ha spiegato che le fusioni bancarie devono far lievitare la concorrenza. Le osservazioni di Draghi sono state imme- diatamente raccolte da Alessandro Profumo, capo di Unicredit, principale concorrente di IntesaSanpaolo. La sensazione è che una par- te dei giocatori in campo si vada coalizzando in un variegato fronte con un obiettivo comu- ne: fermare la manovra a tenaglia Prodi-Ba- zoli. Ma è un fronte che sta cercando di trova- re ordine al suo interno e non è facile, perché sotto il cielo del sistema economico e finan- ziario si intrecciano trame complicate e al- leanze a geometria molto variabile. Vediamo le ultime. Innanzitutto si muovono due impor- tanti entità: il Santander di Emilio Botin e Silvio Berlusconi, direttamente con Fininve- st e indirettamente con Ennio Doris. Botin in uscita da IntesaSanpaolo (e con rapporti usurati con i vertici della superban- ca) ha manifestato interesse per Capitalia, an- nunciando di avere acquisito una partecipa- zione sotto il due per cento. L’interessamento di Botin a Capitalia non è una novità. Per Ce- sare Geronzi la partecipazione di Santander è un riconoscimento da parte del mercato, non- ché un avvertimento nei confronti di Abn Am- ro maggior azionista individuale di Capitalia con una quota del 7,7 per cento. Ma c’è anche un altro elemento da considerare. La mossa di Santander ha un significato anche rispetto al- la partita Generali e alle azioni future di Pro- fumo. Botin ha una quota in Generali – sua fi- glia Ana siede in Cda – così come Capitalia e Unicredit. Da un punto di vista degli equilibri interni dunque il rafforzamento di Botin nella partita consente a Capitalia di solleticare Uni- credit nella prospettiva di un eventuale (e lo- gico) matrimonio tra Roma e Milano. Il risulta- to di una tale unione sarebbe blindare le Ge- nerali, sottraendole alle mire di Bazoli che sta cercando di rafforzarsi su Trieste. Ma ci sono due incognite. Una, i francesi alleati di Capitalia in Mediobanca (azionista di riferimento di Generali) che non vogliono perdere centralità. E ieri Vincent Bolloré ha detto: “Botin è entrato in Capitalia su mia sol- lecitazione. Capitalia deve restare indipen- dente”. La seconda incognita è la solita. Che farà davvero Profumo. Gli osservatori fanno notare un elemento nelle dichiarazioni di due giorni fa: ancorché sia sempre stato con- tro la governance duale – non è la prima vol- ta che si esprime – la scelta di tornare a par- larne così a ridosso di Draghi significa che ha scelto di venire allo scoperto. In tutto ciò si guardano intorno e comincia- no a muoversi anche le forze che fanno capo a Silvio Berlusconi. Secondo quanto riferito dal Sole 24 Ore, Fininvest starebbe pensando di rafforzare fino all’un per cento la propria posizione in Mediobanca e un incremento della partecipazione della merchant bank sa- rebbe in programma anche per Ennio Doris, numero uno di Mediolanum, storico alleato della famiglia Berlusconi. Il rafforzamento delle posizioni in Mediobanca sarebbe fatto con l’intenzione di costituire un nucleo nel patto di sindacato che scade il prossimo pri- mo luglio. In questo modo si determinerebbe un pacchetto significativo che andrebbe a consolidare le posizioni di Capitalia e Uni- credit e a disfare i giochi di Bazoli. Natural- mente per completare un simile quadro biso- gna tenere conto dello scenario politico sullo sfondo. C’è chi nota che il fronte antibazolia- no si comincia a manifestare proprio in con- comitanza con le difficoltà del governo. For- se non è una coincidenza. Scambio delle parti Hillary e Obama invocano Dio, invece la retrograda cricca di Bush si affida ai laici McCain e Giuliani Una giornata europea contro l’eugenetica La denuncia di Sicard contro la mostrificazione medica della generazione, e noi (segue nell’inserto IV) (segue nell’inserto IV) (segue nell’inserto IV) (segue a pagina quattro) (segue a pagina quattro) LA CONTINUITÀ DISCONTINUA.EQUILIBRI LESSICA- LI DI PRODI SULLA POLITICA ESTERA.PAROLE CHIARE DA WASHINGTON (editoriale pagina tre)

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cina nel Laos, dove si trasferì per qualchetempo con moglie e tre figlie. Laggiù, rac-conta, nel contatto quotidiano con la reli-giosità buddista è riuscito a recuperare leproprie radici protestanti. L’“ugonotto” li-berale Sicard appartiene infatti al filonedel protestantesimo francese che da Blai-se Pascal arriva fino al filosofo Paul Ri-coeur e al teologo Jacques Ellul. Gli pro-viene da lì l’impronta di rigore, di severitàe di eleganza intellettuale, oltre alla gran-de attenzione all’umano. La quale si tradu-ce in grande amore per la letteratura, la fi-losofia, la poesia, l’arte. Quando lavoravaal Cochin, ha lottato per portare mostre trale mura dell’ospedale, a dire qualcosa diindicibile attraverso il discorso scientifico,di cui sentiva l’urgenza di far partecipi ipazienti. Ma l’attenzione all’umano, per Si-card, significa soprattutto inquietudine pe-renne e allarme per gli attacchi che all’u-mano sono portati, compresi quelli sferra-ti “a fin di bene” da una scienza che si pre-tende onnipotente.

Non è la prima volta che Didier Sicard,il medico francese dal 1998 a capo

del Comitato consultivo di etica, si sceglievolontariamente la parte del guastafesteal gran ballo della tecnoscienza. Lo studio-so che in una lunga intervista sul Mondedel 4 febbraio ha spiegato perché la dia-gnosi prenatale generalizzata si sia tra-sformata in nefasto strumento eugenetico,non è infatti nuovo a sortite che lo metto-no in contrasto con chi vede nella medica-lizzazione a oltranza della gravidanza, del-la nascita, di tutta l’esistenza, una tenden-za non solo irresistibile ma anche alta-mente desiderabile. Bioetico non dogma-tico, Sicard spiega infatti, appena ne hal’occasione, che la medicina non è la salu-te e che scienza non significa “padronan-za del vivente”.

Già a capo del servizio di medicina in-terna dell’ospedale Cochin di Parigi, Si-card da giovane ha lavorato con i malati dilebbra, ed è stato tra i primi, in Francia, aoccuparsi di Aids. Ha poi insegnato medi-

IL FOGLIOANNO XII NUMERO 32 DIRETTORE GIULIANO FERRARA MERCOLEDÌ 7 FEBBRAIO 2007 - € 1

quotidiano

FIGLI FABBRICATI, L’ALLARME

Roma. A poche ore dal vertice serale dimaggioranza, il ministro degli Esteri Massi-mo D’Alema (per iscritto) e il premier Roma-no Prodi (a voce) intervengono sul dossier af-ghano e, per proteggersi dalla sinistra mas-simalista, attaccano la lettera-appello dei seialleati perché l’Italia resti in Afghanistan. Sidicono sorpresi per “l’interferenza inoppor-tuna”. Parole pesantissime, che hanno ispi-rato l’immediata risposta del portavoce diCondoleezza Rice, Sean McCormack, energi-co nel sostenere l’iniziativa del proprio am-basciatore a Roma. “La comunicazione diSpogli è pienamente coerente con quelloche hanno più volte ribadito il presidenteBush e il segretario di stato”. La tesi di D’A-lema è che la lettera ricevuta sabato dall’I-talia “deve essere stata giudicata irritualeda tutti gli altri paesi che hanno soldati inAfghanistan, che sono trentasei e non sei.Se non fosse stata irrituale – nota il ministro– l’avrebbero firmata tutti”. Il dipartimentodi stato americano ha evitato di ricordare aD’Alema che, tra i paesi non firmatari, la

Lettonia schiera aKabul nove sol-

dati, l’Islanda neha venti, l’Azer-

baijan trentatré,l’Albania ventidue,

l’Irlanda sette, Austria e Svizzera quat-tro a testa. Mentre il premier romenoCalin Popescu Tariceanu si è dissocia-to dal suo ambasciatore in Italia, Wa-

shington ha voluto invece confermare chela lettera non è un’iniziativa estemporanea,come dimostrano anche i tempi serratissimidelle repliche americane alle proteste del-l’Italia. Né a Prodi né a D’Alema era diffici-le comprendere la mossa “irrituale” dellesei nazioni, che sopportano i costi più pe-santi e subiscono le perdite maggiori con-tro i talebani.

Per Prodi e D’Alema c’è stata unapiccola inopportuna interferenza

Rice insiste: “L’iniziativa è di Bush”

Lettere afghane

Baghdad. I “ragazzi di Petraeus” ieri sonoarrivati a Baghdad. E’ iniziata la nuova fasedel processo di stabilizzazione dell’Iraq, gui-data dal generale David Petraeus e dal suogruppo di esperti – colonnelli e generali conPhD in economia, antropologia, scienze po-litiche e strategie militari nei migliori ate-nei d’America – cui si aggiungeranno i21.500 soldati in più voluti dal presidenteamericano George W. Bush. Ad accoglierlic’era il generale sciita Abboud Gambar,scelto dal governo iracheno (con molte pres-sioni da Washington, visto che la prima scel-ta dell’esecutivo di Nouri al Maliki era unaltro ufficiale) per gestire il piano di sicu-rezza di Baghdad insieme con le forze ame-ricane. I due vice di Gambar sono già statidislocati sulle rive del fiume Tigri per coor-dinare i soldati da assegnare alle nove se-zioni in cui è stata divisa la capitale irache-na per portare a termine il progetto di “sicu-rezza quartiere per quartiere” che è alla ba-se della missione di Petraeus. I lavori sonoandati un po’ a rilento nelle ultime settima-ne, come ha ammesso lo stesso premier Ma-liki, il quale aveva fatto approvare in Parla-mento un piano per la sicurezza che perònon è stato implementato nei tempi previsti.Rivolto ai generali iracheni, il capo del go-verno ha detto: “Finite in fretta i preparati-vi, così non deluderemo gli iracheni”. Negliultimi giorni ci sono stati almeno duecentomorti e puntualmente sono arrivate le criti-che – cui ha dato voce il New York Times –contro le modalità di questa nuova fase che,colpendo le milizie sciite, avrebbe favoritol’offensiva dei terroristi sunniti. Ma ieri a te-ner banco è stata l’ennesima crisi diploma-tica con l’Iran.

Arriva il nuovo capo della sicurezzain Iraq. Squadra di esperti con

PhD. Crisi diplomatica con l’Iran

I ragazzi di Petraeus

L’allarmista è un medico francese laico e abortista: Didier Sicard

Facciamo come gli in-glesi, facciamo come gliinglesi. Uuh sì, facciamocome gli inglesi. Due co-se avevano di buono gliinglesi, le cravatte regi-mental, e a sputtanarle

ci ha pensato Luca Cordero di Monteze-molo, e il culto di Winston Churchill, il cuiposto è stato preso ora da una specie diNatalia Aspesi di lassù. In ogni caso. Sesiete disposti a mangiare di merda, a farvila permanente come la signora Thatcher,a consumare sei o sette pasti al giorno, co-me diceva di loro la Buonanima, ma senzaingrassare sennò Tony Blair s’incazza. E sesiete disposti a: prendere gli statali e trat-tarli come minatori, prendere i minatori etrattarli come a Guantanamo, bere la bir-ra invece del vino, il tè al posto dell’e-spresso, a essere perfidi come Albione, afarvi il piercing sulla bombetta, a coltiva-re le rose del giardino raccontando quan-ti zulu le vostre truppe hanno spanzato og-gi, a correre tutto il giorno dietro una vol-pe come scemi senza manco poterla ac-coppare alla fine e, cosa che non guasta, sesapete l’inglese, allora tanto vale che la-sciate il calcio più o meno com’è e che vibuttiate sul cricket.

Redazione e Amministrazione: L.go Corsia Dei Servi 3 - 20122 Milano. Tel 02/771295.1 Poste Italiane Sped. in Abbonamento Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO

Dio c’è e sta a sinistra. I candidati al-la Casa Bianca 2008 pii e religiosi

sono Hillary Clinton e Barack Obama,esponenti principali di un partito demo-cratico più tendenza Binetti che Fassi-no. I due concorrenti laici e divorziatisono i repubblicani John McCain eRudy Giuliani, sui quali pesa il non pos-sumus delle organizzazioni cristiano-evangeliche e prima o poi anche di Mar-cello Pera. McCain dà di fuori di testaagli evangelici, calorosamente ricam-biato. Giuliani è favorevole al diritto diinterrompere la gravidanza (“credo neldiritto di scelta della donna”), difendela sentenza liberalizzatrice dell’abortoRoe contro Wade (“a questo punto è unprecedente”), si diverte a travestirsi dadonna durante le parate dell’orgoglioomosessuale al Village, è stato a lungoospite di una coppia pac-sata gay nei mesi del di-vorzio e da sindaco diNew York ha regolamentato leunioni civili come neanche nellemozioni della Rosa nel Pugno.L’altra sera, all’anchormandella Fox preoccupato perl’accoglienza nel mondo con-servatore delle sue posizionisull’aborto, Giuliani ha risposto: “Cisaranno sempre cose su cui non si èd’accordo e quindi ci saranno anchepersone che non ti voteranno. Bisognafarsene una ragione”.

Obama non potrebbe farsela questaragione, tantomeno Hillary. Obama è fa-moso per aver chiesto al mondo politicodi sinistra di non abbandonare la reli-gione e per aver inaugurato una formadi progressismo compassionevole chegli fa condurre battaglie politiche insie-me con il candidato della destra religio-sa Sam Brownback. “E’ sbagliato chie-dere ai credenti di lasciare la propriareligione fuori dalla porta prima di en-trare nell’arena pubblica – ha dettoObama in un discorso sulla religioneche ha fatto parlare i circoli politici diWashington – Abramo Lincoln, MartinLuther King e la maggioranza dei gran-di riformatori americani non erano sol-tanto motivati dalla loro fede, ma hannoanche usato il linguaggio religioso persostenere le loro cause”.

Quando l’ex first lady faceva catechismoNon è solo convenienza politica, ha

spiegato ieri il settimanale Newsweeksvelando che le radici religiose di Hil-lary Clinton non sono affatto posticce,ma risalgono al suo tredicesimo anno dietà e all’incontro col reverendo metodi-sta Don Jones. I giornali amici si dilun-gano sui tempi in cui l’ex first lady inse-gnava catechismo giù in Arkansas, sullefrequentazioni delle sessioni di pre-ghiera mattutina al Senato, sull’impe-gno nella campagna d’informazione perl’astinenza come misura preventiva del-l’aborto. Stiamo parlando di Hillary,non di George W. Bush e nemmeno diquel Karl Rove accusato da un ex altofunzionario della Casa Bianca di averpreso in giro gli evangelici e di chiamar-li segretamente “quei matti”.

Il reverendo Jones, frequente ospitedei Clinton alla Casa Bianca, raccontainvece ai giornali liberal i tempi in cuila giovane Hillary gli chiedeva di ap-profondire i passi biblici e le lodi al Si-gnore. La paladina del progressismoamericano, secondo il suo confessore, sifida delle potenzialità dell’uomo, ma èconsapevole dei limiti dell’essere uma-no. Hillary “crede sul serio nella dottri-na del peccato originale”, mentre il suopossibile avversario della destra retro-grada si diverte a travestirsi da Marilyn.

da. Senza considerare il numero altissimodi amniocentesi con i loro possibili rischi.E’ così vasto il fenomeno dell’ingerenzanei segreti del feto per fini che non sononell’interesse del feto stesso, che nel 1989l’Organizzazione mondiale della sanità hatracciato le linee per una tutela della pri-vacy prenatale”.

Il fenomeno corre su un doppio binario.“Da un lato la paura dei medici per le ritor-sioni giudiziarie. Nel 2000 in Francia scio-perarono i radiografisti dopo la denunciadi un disabile per esser nato malato datoche per la mancata diagnosi non era statopossibile abortire. Dall’altro lato si sta im-ponendo l’idea del ‘bambino perfetto’: laperfezione come mito della società postmo-derna, secondo il Journal of MedicalEthics, sta alla base dell’eugenetica prena-tale. Sicard parla del fatto che se la madreritiene che una certa patologia costituiscaun danno per la sua salute, allora acquistaautomaticamente il diritto di interromperela gravidanza”.

Una persona della caratura culturale emorale di Didier Sicard ha mostrato a

quale livello di obbligatorietà sia arrivatolo screening prenatale”. Il neonatologoCarlo Bellieni, membro corrispondentedella Pontificia accademia della vita, de-nuncia l’abisso che passa fra la diagnosiprenatale non invasiva e quella che scivo-la nell’eugenetica, come ha spiegato inun’intervista al Monde il decano dei bioe-ticisti francese, Didier Sicard. “La primaserve a curare, la seconda a selezionare”ci dice Bellieni. “Nel 2005 la rivista Trendsin biotechnology ha pubblicato un artico-lo in cui si spiegava lo spettro della dia-gnosi prenatale selettiva in Francia. E duegiorni fa sul sito della Bbc si parlava del-l’eccesso di ecografie in Inghilterra. E’ incorso un allarme mondiale sulla pervasi-vità subliminale della selezione prenata-le. E molti si domandano se questo c’entracol fatto che le donne italiane eseguono inmedia sei ecografie in gravidanza, più deldoppio di quelle previste dalle linee gui-

Per Bellieni presto nasceranno solo i sopravvissuti alla diagnosi prenatale

care a Dio? Ho una notizia per voi: non cam-bieremo l’equilibrio di genere nel mondo.Abbiamo una manciata di richieste ogni an-no, e le accontentiamo”. Spiega che si oppo-ne al test sugli embrioni solo per la sceltadel sesso, ma se bisogna già fare lo scree-ning sugli embrioni per motivi medici, tan-to vale regalare una femmina, se i pazientila desiderano. Tanto vale. Per ventimila dol-lari sarebbe scortese non includere anchela scelta del sesso. “Preferiamo farlo comebilanciamento familiare – ha spiegato ildottor Jeffrey M. Steinberg, che sta peraprire a Manhattan la sua quarta clinicache offre la scelta del sesso – ma non abbia-mo mai mandato via qualcuno che arriva edice: voglio che il mio primo figlio sia unmaschio o una femmina. Se tutti dicesseroche vogliono prima il maschio forse avrem-mo titubato, ma è cinquanta e cinquanta.La scelta riproduttiva è una cosa molto per-sonale: se non danneggia nessuno noi sem-plicemente andiamo avanti e diamo loroquello che vogliono”.

Lo chiamano “bilanciamento familiare”,è un modo costoso e moderno per essere

quasi sicuri di avere un figlio maschio, se losi desidera, o femmina, se si impazzisce peril rosa. E’ la scelta del sesso, ed è l’ultimo di-battito etico lanciato dal New York Times,che ha chiesto anche l’opinione dei lettori inproposito. La scelta del sesso ovviamente èpossibile solo con la fecondazione assistita,e serve la diagnosi preimpianto: si scegliel’embrione maschio, o femmina, si scartanoo si congelano gli altri. Eugenetica? Sì, per-ché ci si sceglie la famiglia che si vuole, nonpiù solo sana, anche perfettamente variega-ta. Si rideva volentieri in faccia a chi dicevache la diagnosi preimpianto apriva la stra-da agli occhi blu e ai capelli biondi in pro-vetta, ora i medici americani raccontanoche soddisfano volentieri le volontà mone-tizzabili di genitori decisi ad avere un ma-schietto. “Sono i desideri dei pazienti – hadetto Jamie Grifo, direttore del centro difertilità della New York University – chi sia-mo noi per decidere, per rifiutare, per gio-

Sesso della prole à la carte, lo chiamano “bilanciamento familiare”

con la nostra è impressionante. La que-stione non riguarda soltanto lo statutopersonale oggettivo dell’embrione, pro-blema considerato laterale da Sicard ecentrale da noi, ma “il sapere che cosavogliamo costruire per noi stessi comesocietà umana che ci consenta di ri-spettarci”. Chi siamo noi nel momentoin cui decidiamo di “escludere il tale oil tal’altro, d’un tratto e in manierapressoché sistematica, dalla vita?”. E’una domanda malinconica e pressante,laica fin nelle sue radici e insieme at-tenta alla dimensione religiosa dell’esi-stenza, qualunque cosa questa espres-sione voglia significare. L’allarme diquesto autorevole medico, che è alla te-sta dell’autorità bioetica di una grandenazione europea, spazza via le banaliz-zazioni alle quali siamo abituati daitempi del referendum sulla fecondazio-ne artificiale, le battaglie di cartapestatra clericali e laicisti, l’indifferenza eti-ca spacciata per progressismo scientifi-co, evoluzionismo selettivo e neodarwi-nista in marcia trionfale verso un nonsi sa dove. E restituisce un senso anchealla ormai sgangherata battaglia politi-cista intorno alla famiglia, all’amore ealla sessualità umana. L’inquietudinedi Sicard per un “pensiero unico domi-nante” che si realizza irrevocabilmen-te nella scelta illusoria del figlio sano,del figlio come prodotto fabbricato se-condo il desiderio, è anche la nostra. Aquando una giornata europeacontro la deriva eugenetica?

Didier Sicard, presidente del Comi-tato di bioetica francese e grande

medico, ha detto al Monde che il XXIsecolo si apre in Francia con il rischiodi una generale deriva eugenetica,usando concetti e trattando dati allostesso identico modo scelto da questogiornale, ormai da anni, per discuterecriticamente la nuova ideologia del ci-clo della nascita, della vita e della mor-te. Per l’essenziale, “la pratica delladiagnosi prenatale tende alla soppres-sione e non alla cura”. Cromosomi e ge-ni, che sono il tratto identitario dellapersona umana alla sua origine, sonoormai considerati “agenti patogeni in-fettivi che la medicina deve sradicare”.Non è un costume medico, è “una ideo-logia resa possibile dalla tecnica”, peg-gio, è “un’ossessione” che induce al piùcrudele ostracismo verso coloro che“non accettano la proposta [eugenetica]avanzata dalla scienza e sostenuta dal-la legge”. La diagnosi prenatale è “qua-si obbligatoria”, riguarda ormai “laquasi totalità delle gravidanze”, e in-somma “la Francia costruisce passo do-po passo una politica sanitaria che flir-ta ogni giorno di più con l’eugenetica”.La Germania è più prudente, affermaSicard, perché ha conosciuto il nazismoe la sua sperimentazione sull’umano,ha esperienza del “dove possano con-durre imprese di esclusione di gruppiumani dalla città fondate su criteri cul-turali, biologici, etnici”.

La coincidenza di questa denuncia

La Giornata* * * * * *

In Italia Nel mondoD’ALEMA SU KABUL: INTERVENTO

INOPPORTUNO. WASHINGTON REPLICA.Ieri il ministro degli Esteri, Massimo D’Ale-ma, ha scritto una lettera per esprimere“sorpresa e disapprovazione” ai sei amba-sciatori di Stati Uniti, Regno Unito, Canada,Australia, Paesi Bassi e Romania accredita-ti a Roma che nel fine settimana hanno fat-to appello all’Italia per una maggiore unitàsul fronte afghano. Il ministro ha spiegatoche l’intervento pubblico dei sei diplomati-

ci “si presta a essere interpretato come un’i-nopportuna interferenza esterna nel corsodi un processo decisionale su una materiache è e resta di esclusiva competenza delgoverno e del Parlamento”. A poche ore delvertice di maggioranza sulla politica esteraconvocato da Romano Prodi è arrivata la re-plica degli Stati Uniti: la lettera firmata dal-l’ambasciatore Spogli è “pienamente in li-nea” con ciò che dell’Afghanistan pensal’Amministrazione Bush. Secondo le primeindiscrezioni, al vertice Prodi avrebbe cer-cato di “tranquillizzare” la sinistra radica-le sulla discontinuità della politica esteraitaliana con il precedente esecutivo.

L’ex ministro degli Esteri, Gianfranco Fi-ni, ha definito “irrituale, imbarazzata e stiz-zita” la risposta del governo ai sei amba-sciatori. Casini: “L’Italia rischia di essere aimargini della politica estera mondiale”.

* * *La Lega calcio chiede di giocare domenica

con stadi a porte aperte. Il patron dell’Inter,Massimo Moratti: “La decisione di tornaresubito a giocare è stata presa per la gente enon per gli interessi delle società”. Il Consi-glio dei ministri varerà oggi il pacchetto diprovvedimenti sull’ordine pubblico presen-tato in Parlamento dal ministro dell’Inter-no, Giuliano Amato, che prevede partitesenza pubblico negli impianti non a normacon il decreto Pisanu, cioè quasi tutti.

Amato: “Il valore della vita umana e ildiritto alla serenità valgono di più degli in-teressi economici”.

* * *Sulle pensioni bozza comune dei sindacati.

Cgil, Cisl e Uil hanno firmato ieri un docu-mento unitario. I sindacati sono pronti a“tenere conto” del graduale e volontario in-nalzamento dell’età pensionabile, ma con-trari alla revisione dei coefficienti di calco-lo. Il segretario della Cgil, Guglielmo Epifa-ni: “Tratteremo con il governo soltanto sepresenterà una chiara proposta unica”.

* * *Chiesto il rinvio a giudizio per Pollari. Il

procuratore aggiunto di Milano, Ferdinan-do Pomarici, ha parlato di “esplicita auto-rizzazione al rapimento di Abu Omar”.

* * *Oro italiano nel “super G”. Ai mondiali di

sci alpino di Are (Svezia), l’azzurro PatrickStaudacher è il nuovo campione mondiale.

* * *Borsa di Milano. Mibtel -0,10 per cento.

L’euro chiude a 1,2 sul dollaro.

ATTENTATO SUICIDA ALL’AEROPOR-TO DI ISLAMABAD, CINQUE FERITI. Ieriun’auto con a bordo un attentatore suicidaè entrata nel parcheggio dello scalo interna-zionale della capitale del Pakistan ed èesplosa, causando almeno cinque feriti tra iresponsabili della sicurezza e la morte delterrorista. “Ha sparato contro i nostri uomi-ni e poi si è fatto saltare in aria”, ha riferitoun ufficiale.

Da Ankara il presidente Musharraf harilanciato, durante un colloquio con il pre-mier turco Erdogan, la proposta di ungruppo di paesi islamici per la soluzione delconflitto mediorientale.

* * *Incontro tra Fatah e Hamas alla Mecca. Si

è aperta ieri la due giorni di colloqui tra ivertici delle fazioni palestinesi nel tentati-vo di creare un governo di unità nazionalee fermare le violenze nella Striscia di Gaza.

Articolo a pagina tre* * *

Rapito un diplomatico iraniano in Iraq.Secondo il ministero degli Esteri di Tehe-ran, il numero due della rappresentanza aBaghdad, Sharafi, è stato catturato da uomi-ni armati, che “operano sotto la supervisio-ne delle forze americane in Iraq”. Il coman-do statunitese e iracheno hanno negato ognicoinvolgimento. Le autorità americane han-no trasmesso al premier Maliki un dossiercon accuse a carico di un deputato sciita, Ja-mal Jaafar Mohammed, il quale avrebbepartecipato agli attentanti contro le amba-sciate statunitense e francese in Kuwait nel1983 e che oggi lavorerebbe come infltratodi Teheran.

Il Sun ha pubblicato le immagini di unfilmato che riprendeva un caccia bombar-diere americano che apriva il fuoco in Iraqcontro un blindato inglese.

* * *Nasce il comando americano per l’Africa.

Il presidente degli Stati Uniti Bush ha ap-provato il piano del Pentagono per la crea-zione del Comando militare per l’Africa. Loha annunciato ieri il ministro della DifesaGates. L’iniziativa fa parte della strategiaamericana della lotta al terrorismo nel con-tinente, ancora più importante dopo l’avan-zata di al Qaida nel Corno d’Africa.

In Somalia le Corti islamiche hanno at-taccato la residenza del presidente Ahmed.

* * *Olmert nomina il ministro della Giustizia.

E’ Daniel Friedman, noto per aver spessocriticato il sistema giudiziario israeliano,non senza scatenare polemiche.

Ieri Israele ha dato il via ai lavori per lacostruzione di una rampa alla spianatadelle moschee di Gerusalemme. Protestedal mondo arabo. Il Jihad islamico ha lan-ciato Qassam nel Negev.

* * *L’Iran chiede le prove dello sterminio de-

gli ebrei nella Seconda guerra mondiale.Ieri la Fondazione internazionale dell’Olo-causto ha chiesto a Germania, Austria e Po-lonia di inviare documenti che conferminol’esistenza della “soluzione finale”.

Questo numero è stato chiuso in redazione alle 21

Cresce il fronte anti Bazoli Ordine sparso, obiettivo comune. Draghi e Profumo attaccano la governanceIntesaSanpaolo. Capitalia apre a Botin (anche) in chiave Generali. Fininvestmuove su Mediobanca, principale azionista di Trieste. Il ruolo di Bolloré

Roma. Le forze intenzionate a contrastareil superattivismo di Giovanni Bazoli cresconoin nome del pluralismo del sistema economi-co e finanziario in fase di lenta ristrutturazio-ne. Dunque, Mario Draghi al Forex di Torinoha espresso perplessità sulla cosiddetta go-vernance duale, sperimentata per prima daIntesaSanpaolo, e ha spiegato che le fusionibancarie devono far lievitare la concorrenza.Le osservazioni di Draghi sono state imme-diatamente raccolte da Alessandro Profumo,capo di Unicredit, principale concorrente diIntesaSanpaolo. La sensazione è che una par-te dei giocatori in campo si vada coalizzandoin un variegato fronte con un obiettivo comu-ne: fermare la manovra a tenaglia Prodi-Ba-zoli. Ma è un fronte che sta cercando di trova-re ordine al suo interno e non è facile, perchésotto il cielo del sistema economico e finan-ziario si intrecciano trame complicate e al-leanze a geometria molto variabile. Vediamole ultime. Innanzitutto si muovono due impor-tanti entità: il Santander di Emilio Botin eSilvio Berlusconi, direttamente con Fininve-st e indirettamente con Ennio Doris.

Botin in uscita da IntesaSanpaolo (e conrapporti usurati con i vertici della superban-ca) ha manifestato interesse per Capitalia, an-nunciando di avere acquisito una partecipa-zione sotto il due per cento. L’interessamentodi Botin a Capitalia non è una novità. Per Ce-sare Geronzi la partecipazione di Santander èun riconoscimento da parte del mercato, non-ché un avvertimento nei confronti di Abn Am-ro maggior azionista individuale di Capitaliacon una quota del 7,7 per cento. Ma c’è ancheun altro elemento da considerare. La mossa diSantander ha un significato anche rispetto al-la partita Generali e alle azioni future di Pro-fumo. Botin ha una quota in Generali – sua fi-glia Ana siede in Cda – così come Capitalia eUnicredit. Da un punto di vista degli equilibriinterni dunque il rafforzamento di Botin nella

partita consente a Capitalia di solleticare Uni-credit nella prospettiva di un eventuale (e lo-gico) matrimonio tra Roma e Milano. Il risulta-to di una tale unione sarebbe blindare le Ge-nerali, sottraendole alle mire di Bazoli che stacercando di rafforzarsi su Trieste.

Ma ci sono due incognite. Una, i francesialleati di Capitalia in Mediobanca (azionistadi riferimento di Generali) che non voglionoperdere centralità. E ieri Vincent Bolloré hadetto: “Botin è entrato in Capitalia su mia sol-lecitazione. Capitalia deve restare indipen-dente”. La seconda incognita è la solita. Chefarà davvero Profumo. Gli osservatori fannonotare un elemento nelle dichiarazioni didue giorni fa: ancorché sia sempre stato con-tro la governance duale – non è la prima vol-ta che si esprime – la scelta di tornare a par-larne così a ridosso di Draghi significa che hascelto di venire allo scoperto.

In tutto ciò si guardano intorno e comincia-no a muoversi anche le forze che fanno capoa Silvio Berlusconi. Secondo quanto riferitodal Sole 24 Ore, Fininvest starebbe pensandodi rafforzare fino all’un per cento la propriaposizione in Mediobanca e un incrementodella partecipazione della merchant bank sa-rebbe in programma anche per Ennio Doris,numero uno di Mediolanum, storico alleatodella famiglia Berlusconi. Il rafforzamentodelle posizioni in Mediobanca sarebbe fattocon l’intenzione di costituire un nucleo nelpatto di sindacato che scade il prossimo pri-mo luglio. In questo modo si determinerebbeun pacchetto significativo che andrebbe aconsolidare le posizioni di Capitalia e Uni-credit e a disfare i giochi di Bazoli. Natural-mente per completare un simile quadro biso-gna tenere conto dello scenario politico sullosfondo. C’è chi nota che il fronte antibazolia-no si comincia a manifestare proprio in con-comitanza con le difficoltà del governo. For-se non è una coincidenza.

Scambio delle partiHillary e Obama invocano Dio,

invece la retrograda cricca di Bushsi affida ai laici McCain e Giuliani

Una giornata europea contro l’eugeneticaLa denuncia di Sicard contro la mostrificazione medica della generazione, e noi

(segue nell’inserto IV)

(segue nell’inserto IV)

(segue nell’inserto IV)

(segue a pagina quattro)

(segue a pagina quattro)

LA CONTINUITÀ DISCONTINUA. EQUILIBRI LESSICA-LI DI PRODI SULLA POLITICA ESTERA. PAROLE

CHIARE DA WASHINGTON (editoriale pagina tre)

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Volete arricchirvi con la Borsa? Nonascoltate i telegiornali. Non sto scher-

zando. E’ da sempre una delle leggi più fer-ree dell’informazione negli Stati Uniti che

le notizie di economia siano trattate in mo-do positivo sotto i presidenti democratici ein modo negativo sotto quelli repubblicani.Il “Media Research Center” ha pubblicatoun resoconto su questa incongruenza. Nel1996, Bill Clinton si era candidato per la se-conda volta alla presidenza. L’economia sta-tunitense era andata bene durante l’anno: iltasso di disoccupazione era sceso al 5,2 percento, l’inflazione era sotto controllo al 3per cento e la crescita globale era al 2,2 percento. E sulla stampa si potevano leggeretutte queste buone notizie: secondo lo stu-dio del Mrc, l’85 per cento dei principali ar-ticoli relativi a tematiche economiche nel-l’estate del 1996 era positivo. Otto anni do-po, George W. Bush si era anch’egli candida-to per la seconda volta alla presidenza. Ri-spetto al 1996, nel 2004 l’economia statuni-tense era andata molto meglio, con un tassodi crescita del 3,9 per cento, mentre i livellidi disoccupazione e inflazione erano rima-sti quasi inalterati. Eppure, questa volta, il77 per cento di tutte le principali notiziemediatiche sull’argomento era negativo.(L’intero articolo è disponibile su www.me-diaresearch.org/realitycheck/2004/fax20041020.asp.). A partire dal periodo delle elezio-ni, l’ostruzionismo delle cattive notizie ècontinuato: articoli sulla “bolla dell’ediliziaabitativa”, avvertimenti circa crolli immi-nenti del dollaro americano, eccetera. L’e-conomista John Makin ha eseguito qualcheinteressante calcolo sulle conseguenze del-l’euforia degli anni Novanta e del persisten-te pessimismo degli anni attorno al 2000(l’intero articolo è disponibile suwww.aei.org/publications/pubID.25523/pub_detail.asp). Essendo proprio lui l’economi-sta che aveva previsto con la maggior preci-sione il crollo del mercato giapponese del-la fine degli anni Ottanta, senz’altro meritaattenzione quando emette delle valutazio-ni. Makin sottolinea che i fattori che nor-malmente determinano i prezzi del merca-to azionario dipendono dagli utili e dai tas-si di interesse previsti dalle grandi azien-de. Più alti sono i guadagni previsti, piùbassi saranno i tassi di interesse e più ele-vati saranno i prezzi delle quote aziendali.In base a questo, gli economisti calcolanoun “prezzo equo di mercato” delle azioni,una sorta di valore base attorno al qualeprevedono di svolgere le negoziazioni. Trail 1998 e il 2000, l’indice S&P 500 è stato con-trattato a un 60-80 per cento al di sopra delprezzo equo di mercato: pare che gli inve-stitori abbiano commesso l’errore di fidar-si dei pr di Bill Clinton. Solo nel 2000, il ti-tolo-indice S&P scese da quasi 1600 nel me-se di marzo a 1300 verso la fine dell’anno,per toccare infine il fondo a meno di 800nell’autunno 2002.

Con i democratici aumenta l’ottimismoPoi iniziò il recupero. Gli investitori che

non si fidavano della Cbs e del New YorkTimes notarono l’aumento di utili delleaziende e le diminuzioni dei tassi di inte-resse, e cominciarono a comprare, spingen-do l’indice S&P oltre 1400 alla fine del 2006.Tuttavia, Makin sostiene che anche a 1400,l’indice S&P resta almeno del 20 per centoal di sotto del suo “valore equo di merca-to”: “[Se] i titoli quotati tra i 500 dell’S&Pfossero attualmente valutati secondo la me-dia che hanno avuto negli ultimi vent’anni,oggi l’indice sarebbe a 1.775 e non a 1.420”.Tuttavia, non prendetelo come un consigliodi acquisto, perché ora, dopo le elezioni del2006, alcuni veri motivi di preoccupazionesi sono materializzati. Il nuovo Congressodemocratico si è impegnato in una serie dimisure che mirano a far crescere il costodel lavoro più rapidamente della produtti-vità, con conseguenze negative per i profit-ti aziendali. Se la manovra riesce, la reddi-tività ne risentirebbe e i prezzi delle azionicalerebbero. Eppure, stranamente, proprioin questo momento di massima preoccupa-zione, la stampa, che è stata negativa percosì tanto tempo, sta assumendo di nuovotoni positivi. Il 31 gennaio, Andrew Taylor,giornalista della “Associated Press”, ha in-viato un articolo da Washington che inizia-va allegramente così: “Il Parlamento ha ap-provato un decreto di spesa di 463,5 miliar-di di dollari che copre circa un sesto del bi-lancio federale; così, i democratici cancel-leranno il disastro finanziario ereditato dairepubblicani”. In questo caso, “cancellareil disastro finanziario” significa aggiungeredecine di miliardi di dollari di spesa fede-rale al budget. I risultati economici potreb-bero essere terrificanti. Ma potete contarci:la stampa ne parlerà con entusiasmo.

David Frum(tradizione Studio Brindani)

ANNO XII NUMERO 32 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 7 FEBBRAIO 2007

Non che proprio fosse indispensabile,questo tour in camper di Oreste Scalzo-

ne, su e giù per la penisola, “un rito da de-costruire”, come dice, alla ricerca di compa-gni, di lapidi e di contraddizioni altrui. Co-me riconosce lui stesso, “sono un pessimomaestro”, che forse è come dire “cattivomaestro”, o forse no. Ma fa lo stesso. Perchéva bene che si è fatto 27 anni di latitanza (odi esilio, questioni di punti di vista), ma inpoche ore ha alluvionato giornali e agenziecon dichiarazioni su dichiarazioni, da Reg-gio Emilia (intesa: morti di) in avanti, hadetto di tutto e di più, ha scandalizzato e hastupito. Ma almeno, Scalzone ha questo cheparecchi della fighetteria che fu rivoluzio-naria durante l’infelice stagione sovversivaneanche si sognano: che può scandalizzarei suoi stessi compagni e può stupire, persi-no positivamente, i suoi stessi avversari. E’tale e quale a trent’anni fa, Scalzone, e ma-gari va per le strade di un’Italia che pensacome quella di trent’anni fa. Ma con la suafisarmonica, il suo cappelluccio, la sciarpo-

A N C O R A P A R O L E I D E O L O G I C H E E V I O L E N T E ( E Q U A L C H E S A G G E Z Z A )

na rossa, le serenate davanti al carcere peri suoi amici in cella, mostra a volte una qua-si surreale forma di “innocenza” che lo por-ta a diventare sovversivo verso un piccolomondo che – ma poi chissà se è così – da luisi aspetta tutt’altro. Ieri, per esempio, haparlato della manifestazione contro la baseUsa di Vicenza. Ma non ha tromboneggiato,come certi che adesso si godono lo scrannoparlamentare. “Se va a finire a sassate, sonosincero, la cosa non mi impressiona più ditanto. Però se qualcuno si mette a bruciareuna bandiera americana, solo perché ame-ricana, io sarò tra quelli che l’andranno aspegnere, così come contesterò cori idiotidel tipo ‘10-100-1000 Nassiriyah’. Sono coseche non hanno niente di rivoluzionario per-ché sono mosse da risentimento”. Ecco, nonè che il cattivo maestro si sia fatto buono, maalla faccia di certi opportunisti istituzional-mente titolati, qualcosa di più, e di più vero,ha saputo dire. Così come ha aperto un fron-te – nientemeno che sulla pericolosità dell’o-dio di classe – con il compagno poeta Edoar-

do Sanguineti, definito senza tanti giri di pa-role “demagogo volgare e irresponsabile”.Che magari tutto si poteva aspettare, ma cheil tormentone sulla contestata dichiarazionedovesse arrivare da un ex latitante, forsenon lo aveva messo in conto. “Lascia perde-re – ha consigliato ieri al candidato sindacodi Rifondazione a Genova, peraltro duranteuna conferenza stampa organizzata da Libe-razione – Se dici che sei contro ogni tipo diviolenza fammi la cortesia di lasciare a ca-sa l’odio di classe”. Perciò, se non ci fossedietro la tragedia degli anni di piombo, ditante vittime innocenti, di una violenza chemai sembra del tutto finita, sarebbe a dirpoco divertente il contrappasso che tocca atanti ex rivoluzionari: il fiato sul collo, e sucerti temi persino più giudizioso del loro di-re e non dire, di un compagno al quale pos-sono rimproverare molto, ma né il tradi-mento della causa né l’opportunismo conve-niente. Vabbè, certo che Scalzone parla dirivoluzione, figurarsi che voleva vedere Pro-spero Gallinari – però senza fare il furbetto

P R E S E N T A Z I O N E C O L C R O N O M E T R O P E R L A M O Z I O N E D I F A S S I N O

Per il Partito democratico un palco surreale e tempi contingentatiRoma. La presentazione della mozione

Fassino per il IV congresso dei Ds è fissataper le 17. Due ore dopo, a piazza Santi Apo-stoli, dovrebbe cominciare il vertice di mag-gioranza sulla politica estera. Alle cinquemeno un quarto il pubblico ha già riempito lasala del teatro Capranica. Il resto è dirottatoverso il loggione. Prendendo posto in piccio-naia, alcuni militanti della sinistra giovanilese ne lamentano, ma una ragazza li zittisce su-bito. Indica il palco e sentenzia: “Sempre me-glio qua che là sopra”. “Là sopra” sarebbe sulpalco. Dodici sedie su cui vanno ad accomo-darsi i molti partecipanti al dibattito. E alleloro spalle, su un piano rialzato, venti ragaz-zi appollaiati lì da almeno venti minuti. Silen-ziosi e impassibili. I giovani. “Buona sera –esordisce Lucia Annunziata alle cinque e unquarto – vorrei sottolineare il carattere inu-suale, informale di questa presentazione.Una scelta non casuale”. Sul palco ci sonotutti, a partire da Piero Fassino, MassimoD’Alema e Walter Veltroni. I primi due, inteoria, esattamente un’ora e quaranticinqueminuti dopo dovrebbero trovarsi a Santi Apo-stoli. “Non abbiamo molto tempo – proseguela conduttrice – Ho promesso. Fassino ha laparola. Piero… poi gestirò il resto”. Il tempoè un problema serio. Per consentire ai parla-mentari diessini di presenziare, al Senato èsaltata la conferenza dei capigruppo che

avrebbe dovuto discutere il ddl sul blocco de-gli sfratti. Suscitando non poche proteste.

Piero Fassino prende la parole e spiegache procederà per titoli, d’altronde il testodella mozione è stato distribuito all’ingresso.Nella parte dedicata al Pd, i titoli sono que-sti: “Un partito per chi nel 2010 avrà venti an-ni” (capitolo 6); “Un partito delle pari oppor-tunità” (capitolo 7); “Un partito laico” (capi-tolo 8); “Un partito della democrazia” (capi-tolo 9); “Un partito del lavoro” (capitolo 10);“Un partito del sapere, dell’intraprendere,dello sviluppo sostenibile” (capitolo 11). “Unpartito della cittadinanza e della solida-rietà”. Ma quello che più di ogni altra cosasta a cuore a Fassino, come dimostra “il ta-glio aperto” di questa presentazione-dibatti-to, con intellettuali come Adriano Sofri e Sal-vatore Veca, con il capogruppo dell’Ulivo (edirigente della Margherita) Dario France-schini, è contrastare il “luogo comune” se-condo cui il Pd si esaurirebbe nella fusioneDs-Margherita, rispondere all’accusa rivoltaai partiti di mostrarsi “chiusi” alla società, aigiovani e al nuovo. L’introduzione del segre-tario termina alle 18 in punto. Lucia Annun-ziata riprende la parola: “Considerato cheper qualcuno qui le 19 sono come la mezza-notte per Cenerentola…”. I presenti, compre-si l’Annunziata e Fassino, sono dodici. Perchiudere entro le 19 dovrebbero parlare tre

minuti a testa. D’altra parte, alla notizia delvertice di maggioranza, lunedì i Ds non ave-vano nascosto l’irritazione: “Vorrà dire checomincerà un po’ più tardi”. E così sarà. Wal-ter Veltroni dice quello che ripete da tempo:“La nostra democrazia può andare in crisi –

pausa – ammesso che non lo sia già – pausa –per difetto di decisione”. Dunque ben vengail Partito democratico, ma vengano anche leriforme istituzionali. Il momento rivelatoredella serata, però, arriva dopo. Quando par-la Ottaviano Del Turco. Per spiegare come

lui, socialista dello Sdi, guarda al Partito de-mocratico, utilizza la “metafora di febbraio”.E lo fa così: “Trent’anni fa, a febbraio, Lucia-no Lama fu cacciato dall’università di Ro-ma…”. Parte un timido applauso, ma DelTurco lo blocca sul nascere: “Non fate ap-plausi ambigui”. E chiarisce: “Sono sicuroche il vostro applauso era per Luciano La-ma”. Applaudono tutti, compresi Adriano So-fri e Lucia Annunziata, che quell’episodio haricordato da poco, nel suo libro sul ’77. Unpo’ meno convinti, o forse solo spaesati, i gio-vani diessini sopra di loro, comandati a re-starsene lì in silenzio, in esposizione. A testi-moniare quanto il processo di costruzionedel Pd susciti entusiasmo nelle nuove gene-razioni. Lo spettatore osserva così quel pal-co surreale, con i protagonisti degli scontri diallora che rievocano – Del Turco è già arriva-to ancora più indietro, ora sta citando Paso-lini e Valle Giulia – sovrastati dai silenziosigiovani militanti di oggi. E pensando a queisilenziosi ragazzi “là sopra”, e ai contestato-ri del ’77 là sotto, viene da chiedersi se saràmai possibile una ragionevole e democraticavia di mezzo. “Noi viviamo un tempo di pas-sioni tristi”, dice Massimo D’Alema, citandoil titolo di un recente libro. E dice che que-sta è una ragione in più per andare avanti. Ilvertice di maggioranza, a Santi Apostoli, co-mincia alle otto meno un quarto.

T R A S F O R M A T E I N P I Z Z E R I E , M A S I S F R A T T A S O L O C I O ’ C H E E ’ V U O T O

L’Europa caccia Dio dalle chiese, anche se in alcune non ci è mai entratoL’Europa sfratta Dio da casa sua. Questa è

l’estrema sintesi di un articolo di New-sweek, primario settimanale Usa, che rac-conta la triste sorte di tante chiese del vec-chissimo continente. Tutto comincia aClitheroe, Inghilterra del nord, dove la cap-pella metodista in disuso diventerà mo-schea. E prosegue nella diocesi di Essen,Germania, dove cento chiese cento sono de-stinate alla chiusura. L’articolista si soffer-ma su un certo numero di edifici sacri tra-sformati in pizzerie e ristoranti perfino a Ro-ma, riporta i sospiri di alcune anime bellesparse fra Berlino e Praga, evidenzia qual-che piccolo segnale in direzione contraria(gli emigranti polacchi che affollano le chie-se di Dublino) ma nemmeno il più ottimistadegli umani potrebbe sorridere alla finedella lettura. Siamo dalle parti di GeorgeWeigel, il teologo cattolico che in “La Catte-drale e il Cubo” (Notre-Dame e l’Arche de laDéfense) spiega, con dovizia di numeri e di

fatti, come all’ombra della prima l’Europacampi e come sotto il secondo l’Europa cre-pi. Io siccome non voglio suicidarmi domat-tina (ho tante cose belle da fare) mi sono fat-to venire in mente due contromisure sempli-ci e veloci: 1) aprire le chiese ai movimenti;2) riconsacrarle. Potrei anche dilungarmisulla questione protestante (la cappella chediventerà moschea appartiene a quella stan-ca eresia) ma a che scopo? Lasciare che imorti seppelliscano i morti è l’insegnamen-to più antidecadente del Maestro e di anti-decadenza in questo tempo c’è molto biso-gno. Lutero tradì la chiesa fondata da Cristoperché scandalizzato dalla vendita delle in-dulgenze, ma le indulgenze non si vendonopiù da secoli eppure le gerarchie luterane eparaluterane non si sono ancora schiodateda lì, logico che i fedeli abbandonino al lorodestino vecchie mummie che hanno sosti-tuito la fede in Dio con quella verso i propripuntigli. Chiusa la parentesi vengo al punto

primo, le chiese ai movimenti. Gli elementipiù vitali del cristianesimo italiano sono Co-munione e liberazione, i Focolarini e i Neo-catecumenali. Rispondono direttamente alPapa e perciò i vescovi ne sono gelosi e liostacolano in tutti i modi. Ad esempio ne-gando le chiese per le funzioni: che diventi-no pizzerie, piuttosto. Tettamanzi ha spintoCielle lontano dagli occhi lontano dal cuo-re, in estrema periferia, questo mentre a Mi-lano le chiese del centro si riempiono di ra-gnatele anziché di fedeli. Il vescovo di Par-ma, che non voglio nemmeno nominare per-ché temo che cecità e inettitudine sianocontagiose, tiene i ciellini extra moenia, echi se ne frega direte voi, il fatto è che a Par-ma solo Cielle è in grado di mettere in pie-di un coro come liturgia comanda. Con que-sta politica suicida il Duomo è diventatouna landa desolata per turisti e tutte lechiese monumentali sono quasi semprechiuse e quasi sempre mute (salvo qualche

chitarra sferragliante e scordata la domeni-ca). Eccomi quindi al punto due, riconsacra-re le chiese. I primi a profanarle sono statii preti: candele elettriche, sedie da dibatti-to al festival dell’Unità (quando la liturgiaesige panche con inginocchiatoi), luci trop-po forti, altari moderni piazzati a cavolo,cartelli ovunque. Ci sono basiliche medie-vali fuori e puro junkspace dentro. Per nonparlare dei casi in cui lo stile junkspace co-mincia dall’esterno e penso ai bianchi abor-ti di Meier e seguaci, chiese senza campani-li e senza croci dove è impossibile sfrattareDio perché Dio non ci è mai entrato. Questoè il punto: si sfratta solo ciò che è vuoto. Persalvare le chiese e quindi le città che si so-no formate intorno a esse non bisogna ap-pellarsi alle sovrintendenze (buone quelle)o elemosinare l’attenzione dei politici (peg-gio che andar di notte), bisogna accendereceri e organizzare cori.

Camillo Langone

F A C C I A I L P R E M I O N O B E L , I L G I U B I L A T O , I L M A R I T O

Ho un sogno, mi piacerebbe che Dario Fo si dimettesse da se stessoHo un sogno. Mi piace-

rebbe che Dario Fosi dimettesse da se stesso,

davvero mi piacerebbemolto. Vorrei che lo faces-se per il suo stesso bene.

Dimostrando così un briciolod’amor proprio, e anche d’al-

truismo. Non è facile da spiegare, ma l’uo-mo, l’uomo pubblico – parole forti, lo so –non si regge più neppure un po’. Mi piace-rebbe insomma, e lo dico con partecipazio-ne, addirittura da bibliofilo custode di bendue volumi in edizione “militante” del suoteatro politico, “Compagni senza censura”,primo e secondo tomo (Gabriele Mazzottaeditore), acquistati quando frequentavo lasede di Servire il popolo, nel 1971; davverosarei un uomo risolto se quello decidessefinalmente di censurarsi in prima personaalmeno un po’, non tantissimo, soltanto unbriciolo, senza bisogno di suppliche ester-ne, petizioni pubbliche o marce di protesta.Mi piacerebbe insomma che il grande uo-mo, il professionista facesse nella vita sol-tanto il Premio Nobel, il giubilato, o anche,perché non c’è nulla di male, il marito, ilprincipe consorte, il “Presidentesso”, unmestiere, intendiamoci, che l’uomo svolgegià egregiamente, dove comunque alla per-fezione non c’è limite.

Una stretta di mano qua e là, le dedichesuoi frontespizi, gli spettacoli, le pitture, lacomparsata da Cochi e Renato finalmenteriuniti, la chiacchierata possibilmente so-bria con l’altrettanto Fabio Fazio, quantoal resto mi piacerebbe che tacesse il piùpossibile. Per il suo stesso bene, e perfinoper il mio bene, come dono a un ex ragaz-zo che di lui ricorda sia l’alto sia il bassovoltaggio politico: e cioè, tanto la rubricadi “bon ton” che la coppia Fo & Rame ten-

ne sul Venerdì negli anni Ottanta, quantocerte “simulazioni” scenico-politiche delperiodo più turgido della contestazione(ovvero l’irruzione in teatro del falso poli-ziotto, anche lui un attore del collettivo“Nuova scena”, che minaccia di portare ilcapocomico in questura, e allora ecco Foche, fieramente, con profilo da commissa-rio del popolo sul treno piombato della ri-voluzione, dice al pubblico fremente:“Compagni, non accettiamo provocazioni,

cantiamo tutti insieme l’Internazionalesollevando il pugno chiuso!”). Davvero unarduo spareggio fra il lato A e il lato B del-la sua avventura pubblica.

Sia chiaro, non parlo da prevenuto,tutt’altro, l’uomo lo rammento perfino conil suo “Mistero buffo” al teatro Dante del-la mia città, maglione nero grondante ge-nerosità, mentre esprime apprezzamentoe solidarietà alla mia scuola occupata, daimpegnato disponibile. Non è finita: quan-

do infatti gli dettero il Nobel, sull’Unitàuscirono due doverosi commenti: uno proe uno contro. Quello pro, lo scrissi io, e afronte alta. Senza timore alcuno, anzi, conviva soddisfazione, pensando a quelli, i ti-tolati, che gridavano all’usurpatore. Ma atutto c’è comunque un limite. In quellastessa occasione, mentre il Male titolavacon crudeltà tautologica, “Dario Fo vinceil Nobel, Franca Rame invece no”, perquel mio pezzo spudoratamente agiografi-co conquistai perfino una cazziata telefo-nica di Laura Betti che urlava così: “Comehai potuto? Pier Paolo lo disprezzava! Tulo sai cosa scrive di lui?” No, che non lo sa-pevo, e lei, la vedova Betti pazza furente,sempre in linea, si precipitò a leggermi ilpensiero, uscito postumo, di suo marito sulnostro grande attore: “Quanto all’ex re-pubblichino Dario Fo, non si può immagi-nare niente di più brutto dei suoi testiscritti”. Per un lungo periodo, sempre col-pa di quel mio encomio, la Betti smise per-fino di invitarmi a cena, negandomi così lesue polpette al sugo, cibo nel quale eramaestra assoluta.

Ciononostante, affidandomi al “Galileo”di Brecht, non abiurai. Pensavo: Dario d’o-ra in poi si darà una regolata, farà soltantoil giubilato, sarà soltanto un marito, unprincipe consorte, un “Presidentesso” pre-muroso, tutto casa e Franca, sì, che lo farà.Non lo ha fatto. Né pensa proprio di farloadesso che è già trascorso un bel po’ ditempo. Anzi, implacabile, si appresta a sca-gliarci addosso un libro-intervista scrittoper Guanda con Giuseppina Manin, l’uomoinsomma non conosce davvero censura,l’uomo anzi sta tornando a noi più Fo chemai, oltre il lato A e il lato B della sua sto-ria, e il succo del discorso è sempre piùesemplare e ad ampio spettro: Dario Fo“vittima dei comunisti” remix.

Fulvio Abbate

sulla tragedia di Moro che marchia Gallina-ri: “Se lui è un assassino, allo stesso modo losono anch’io” – e la serenata è per PaoloPersichetti, estradato da Parigi anni fa e incarcere a Viterbo. E pure il Pci responsabi-le dei morti di Reggio Emilia, giù giù fino aVeltroni e D’Alema che “ne fanno parte og-gi”. Ma tutto questo, in fondo, era quello chesi aspettava e quello che non stupisce. Unsessantenne che da decenni proclama la ri-voluzione – con annessi e connessi, feroci eingiusti, sangue e parole – la rivoluzione ri-prova a fare. Più inutilmente dell’altra vol-ta, ma pazienza. La meraviglia è il frontescalzoniano a sinistra, non tanto con l’ex Pci,quello c’era pure trent’anni o quarant’annifa, ma con i compagni che volevano darel’assalto al cielo o quelli che oggi magari vor-rebbero dare l’assalto ai poliziotti. Con feli-ce metafora, ha detto Scalzone: “La ricrea-zione è finita. Sarò come la spina nella zam-pa di un cane”. Cattivo maestro, senza dub-bio, che però non se la tira. Diciamo: il mi-gliore dei cattivi maestri. (sdm)

Scalzone, in fondo, è il migliore dei cattivi maestriConsigli ai borsisti

Se volete arricchirvi giocandocon le azioni, non ascoltate mai

i telegiornali americani

Esattamente come accade con il cibo,ognuno ha gusti e abitudini propri in

quanto a consumo di informazioni. Quelliche hanno scoperto le nuove prelibatezze (e

porcate) di Internet sembrano essere suddi-visi in due tipologie di consumatori: quelliche seguono una curiosità del momento, enavigano da un’offerta all’altra, e altri cheviaggiano in modo molto più mirato. E lostesso accade con il cyber supermercato dipiù recente concezione: YouTube. Io tendo arientrare nella seconda categoria, quella delnavigatore mirato. E lo stesso faccio con You-Tube, evitando quasi sempre i link che sonopubblicizzati nella home page: il video del-l’uomo che tiene 75 palline da ping-pong inbocca o il filmato dell’ultima inondazione inCina. Questo non per dire che non perdotempo anch’io come il navigatore istintivo,anzi. Magari non con l’ultima inondazione inCina, ma tentando per mezz’ora di trovare leimmagini dell’inondazione che c’è stata inCalifornia dieci anni fa e che mi sono becca-to anch’io, questo sì. Non mi interessano lepalline da ping-pong, ma la mia ricerchinaquotidiana di clip mai viste di Borat non mela perdo. In genere definisco blogger e navi-gatori in stile libero come appartenenti allacategoria dell’amatoriale, mentre consideroil mio girovagare per la rete una parte dellamia esperienza professionale. Mah…

Le mie cosiddette “ricerche mirate” sonosolo tentativi di illudermi che sono io a con-trollare l’informazione, mentre naturalmen-te è l’informazione che controlla me.

Eppure, questo pezzo di vecchia cartastampata non sarebbe stato prodotto senzaYouTube. E’ cominciato tutto con diversiamici romani che mi hanno chiesto di scri-vere qualcosa per gli americani sulla mortedi Filippo Raciti. D’istinto ero partito nega-tivo. Certo, c’era la tragedia umana di questodipendente pubblico padre di due figli, mor-to per quanto di più lontano ci sia da un mo-tivo. Ma avevo già avuto la mia esperienzacon questo argomento. Dal 1999 al 2001 hocommentato notizie sportive per la Associa-ted Press, con l’ingrato compito di parlare ditutte le partite nello stesso articolo. Eraqualcosa che si faceva molto meglio non nel-lo stadio, ma in ufficio, con “Minuto per mi-nuto” alla radio e con un rapido zapping coltelecomando del televisore. Ma dopo averbuttato giù un lungo pezzo riassuntivo ditutte le partite della Serie A, il mio lavoronon era ancora finito: dovevo visionare tut-te le registrazioni italiane alla ricerca di no-tizie di incidenti tra tifosi avvenuti dentro ofuori lo stadio e, praticamente senza alcunaeccezione, bisognava anche fare il “giro del-la violenza”, ovvero rivedere il tutto alla ri-cerca di episodi di violenza. Da quando vi-vo al ritmo dello sport, la situazione è solopeggiorata, ossia chiunque abbia seguito ilcalcio con assiduità (da tifoso, giocatore, di-rigente, funzionario pubblico o cronista) sache quella di Raciti era una morte annun-ciata. Per avere delle istantanee di questatragedia potrei andare su YouTube alla ri-cerca di un video. Per ora ci sono solo quel-le riprese dall’elicottero che passano in tv,ma potremmo metterci alla ricerca di altreimmagini e trovare tranquillamente altre ri-prese fatte dai tifosi stessi o dalla polizia sulcampo. Perlopiù questi scontri sono tuttiuguali: assomigliano tutti alla violenza perle strade che si è vista a Genova e ad altriscontri tra no global o anarchici e la polizia.In un certo senso, sapere che esistono rivol-tosi sia politici che apolitici ci ricorda chenon c’è altro che una sete nichilista di vio-lenza in entrambi. In ogni caso, YouTube èpieno di questa roba “classica” da schifo,che arriva sicuramente anche da chi vuoleglorificare la violenza in nome di qualchecausa politica o squadra di calcio. Ma do-vrebbe servire anche a ricordare a tutti glialtri che queste violenze in una società de-mocratica devono essere sistematicamentee rapidamente sradicate.

L’incredibile derby romano del 2004Un pezzo di video che cercavo ma non so-

no riuscito a trovare riprendeva un momen-to di apparente calma, che tuttavia simbo-leggiava la pacificazione alla Chamberlainche regna in tutto il mondo del calcio neiconfronti di queste bande organizzate ditifosi responsabili di alimentare la violenza.Fu durante il derby Roma-Lazio del 2004,quando gli ultras scesero in campo e “nego-ziarono” con i capitani e con l’arbitro l’inter-ruzione della partita perché era corsa falsavoce che un tifoso fosse rimasto ucciso in al-cuni scontri con la polizia. Mandare migliaiadi poliziotti negli stadi e farli viaggiare insie-me a questi malviventi durante le trasferteè una pazzia. E il fatto che la si perpetri daanni è una cosa indecente. Che Raciti non cisia più è una tragedia. Gli hooligans sono iterroristi dello sport e, in quanto tali, non sidovrebbe negoziare niente con loro. E i tifo-si non violenti, i giocatori e il managementdevono capire che questa passione naziona-le non è un motivo valido per perdere vite obruciare risorse pubbliche. Altrimenti, det-ta in termini più crudi: nei prossimi mesi ilpubblico potrà vedere solo un sacco di bel-le vecchie partite su YouTube.

Jeff Israely(traduzione Studio Brindani)

Calcio in archivio

Per capire che quella di Raciti erauna morte annunciata il cronista

yankee invita a guardare YouTube

Chi ancora non lo ha fattovada a vedere “La cena perfarli conoscere”, elogio subliminale dellapaternità irresponsabile. Il film di PupiAvati arriva dopo “The Queen” diStephen Frears, inno esoterico alla mo-narchia, e “L’amico di famiglia” di PaoloSorrentino, celebrazione clandestina delpeccato originale. Il cinema europeo nonpuò permettersi di essere esplicito: è con-trollato a vista dai commissari di salutepubblica che siedono nei comitati prepo-sti alle sovvenzioni. Una sceneggiatura di-chiaratamente ostile agli anticonceziona-li non sopravviverebbe al veleno di Nata-lia Aspesi. Ci vuole il passo felpato di Pu-pi, capace di mostrare senza dire: se Aba-tantuono fosse stato meno sconsideratonon sarebbero nate Vanessa Incontrada,Violante Placido e Ines Sastre.

PREGHIERAdi Camillo Langone

Io smetterei di chiedere ascrittrici e scrittori: Perché

scrivi? Ormai non c’è daaspettarsene niente di buo-

no. Già scrivono, e volete che vidicano anche perché? Mi aspetterei dipiù dalla domanda fatta a tutti gli altri:Perché non scrivi? (Magari anche tiran-dogli addosso un martello). Se se ne tro-vasse uno capace di rispondere davvero,ecco scoperto un promettente autore.

PICCOLA POSTAdi Adriano Sofri

CONFORMISMI

WILL TELLTHE RIGHT MAN

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ANNO XII NUMERO 32 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 7 FEBBRAIO 2007

• A Washington una mozione contraria al taglio di fondi alle truppe imbarazza i democratici, costretti a un’onorevole sconfitta

• Re Abdullah modera i colloqui di unità nazionale nei Territori e prepara un summit a marzo. Allerta ai confini di Israele

• In Egitto cresce l’influenza del gruppo islamista e Mubarak non riesce a contrastarla. Gli effetti sulla crisi palestinese

Milano. Non ci sarà nessuna risoluzione del Senato di Wa-shington contro il nuovo piano di Bush per l’Iraq, almeno perora. La risicata maggioranza del Partito democratico, ottenu-ta alla elezioni di metà mandato lo scorso novembre, ha per-so sonoramente la prima importante battaglia congressualecon il partito di Bush proprio sulla questione più importan-te e più cara agli elettori di sinistra: l’Iraq. Non c’è stato l’an-nunciato rompete le righe dei senatori repubblicani, nem-meno da parte di quei senatori apertamente contrari all’in-vio delle 21.500 truppe in Iraq. Soltanto due conservatorihanno votato con i democratici, a fronte di un democraticoche ha votato con i repubblicani. Le complicate regole di Ca-pitol Hill hanno portato i leader dei due partiti a uno scon-tro procedurale che, nelle parole di John Dickerson di Sla-te, somigliano a uno scioglilingua: “Prima che i senatori po-tessero dibattere sul piano di Bush hanno dovuto dibatteredel dibattito in sé. Per andare avanti con questo dibattito isenatori hanno dibattuto l’ordine di dibattimento del dibat-tito. Dopo tutto questo dibattito, il Senato ha deciso di nondibattere nulla”. Senza dimenticare che, se anche si fosseromessi d’accordo, le risoluzioni in votazione non sarebberostate comunque vincolanti per il presidente.

E’ successo che il democratico Harry Reid voleva che sidiscutesse, quindi che si votasse, soltanto la mozione bipar-

tisan Warner-Nelson (l’uno repubblicano, l’altro democrati-co) contraria all’invio delle truppe, ma si è opposto alla ri-chiesta del leader repubblicano, Mitch McConnell, di con-sentire un voto anche sull’altra mozione bipartisan McCain-Lieberman (l’uno repubblicano, l’altro democratico elettoda indipendente) favorevole alla nuova strategia bushianama legata a precisi impegni che il governo iracheno avreb-be dovuto rispettare. McConnell voleva, inoltre, che le mo-zioni fossero approvate a maggioranza qualificata, 60 voti,e che si discutesse anche una terza mozione, quella del re-pubblicano Judd Gregg, secondo cui il Congresso non puòtagliare i fondi ai soldati già presenti sul campo di batta-glia. Per superare l’opposizione procedurale dei repubbli-cani, esattamente come nella scorsa legislatura accadeva aparti rovesciate, i democratici avrebbero dovuto raccoglie-re 60 voti, ma ne hanno ottenuti soltanto 49, perdendo il lo-ro senatore Lieberman e convincendo soltando due repub-blicani, Olympia Snowe e Norm Coleman, due conservato-ri che nel 2008 saranno impegnati in una difficile campa-gna di rielezione in stati liberal o spaccati a metà. Lo stes-so primo firmatario della mozione cara ai democratici,John Warner, ha votato contro la scelta democratica di for-zare il voto soltanto sulla sua risoluzione, escludendo le al-tre. La stessa cosa ha fatto l’altro grande oppositore di Bu-

sh dentro il Partito repubblicano, Chuck Hagel. Alla fineanche il leader democratico Reid ha votato contro la suastessa mozione anti-ostruzionismo, ma in questo caso ado-perando uno stratagemma che gli consentirà di riaprire laquestione quanto prima. La partita, infatti, non è ancorachiusa, anche se la non decisione del Senato di lunedì se-ra potrebbe convincere la Speaker della Camera, NancyPelosi, a non far votare sull’Iraq nemmeno l’House of Re-presentatives. Nelle prossime settimane il tema Iraq saràcomunque all’ordine del giorno, visto che il Congresso do-vrà approvare la richiesta della Casa Bianca di finanzia-mento della nuova strategia irachena.

Difficile, in questo caso, che i democratici si possanoprendere una rivincita e bloccare i fondi ai soldati del ge-nerale David Petraeus, nel frattempo già insediatisi in Iraq.Del resto la scelta dei democratici di forzare il voto sullapropria risoluzione e di escludere le altre due nasceva daltimore che la terza mozione, quella di Judd Gregg contro iltaglio dei soldi per i soldati in battaglia, potesse essere l’u-nica capace di ottenere i 60 voti necessari per essere appro-vata. Se i democratici avessero accettato di votare anche larisoluzione Gregg avrebbero regalato una grande vittoria aBush. Rifiutando di votarla, hanno comunque evitato alpresidente una sconfitta.

Il Cairo. Il presidente egiziano Hosni Mubarak sta cer-cando di rinforzare il suo ruolo sulla scena internazionalecompattando il fronte sunnita in chiave anti iraniana. on hapiù l’appeal di un tempo. Ma il ruolo di gran mediatore nel-la crisi palestinese si sta riducendo, per due motivi: la cri-si a Gaza e l’offensiva continua dei Fratelli musulmani af-filiati a Hamas. Il capo dell’intelligence israeliana ha det-to che l’Egitto non sta facendo abbastanza per controllarela frontiera con la Striscia di Gaza, da cui passano soldi earmamenti. Ancora domenica Mubarak rilanciava l’ipotesidi unità nazionale tra le fazioni palestinesi e la possibilitàdi un rilascio immediato del caporale israeliano Shalit, ra-pito nel giugno dello scorso anno, ma alle parole non sonoseguiti i fatti. Hamas non accoglie le richieste del rais egi-ziano anche perché il governo del Cairo ha iniziato unacampagna di arresti contro i Fratelli musulmani. Secondoil Memri, nel dicembre scorso cinquanta studenti legati algruppo islamista hanno marciato incappucciati e vestiti dinero davanti all’Università al Azhar. Durante la manifesta-zione, i militanti hanno dato prova della loro conoscenzadelle arti marziali – esibendosi in minacciose mosse di ka-rate – e il ministro per gli Affari parlamentari, MufidShihab, ha dichiarato che il “governo attaccherà con il pu-gno di ferro chiunque voglia stabilire un califfato islamico”

nel paese. L’esibizione da parte degli studenti ha fatto peròpreoccupare gli alti ufficiali del governo egiziano: nei salot-ti del Cairo da mesi si parla dell’esistenza di una milizia ar-mata dei Fratelli musulmani. Lo scorso agosto la Guida su-prema del movimento, Muhammad Mahdi Akef, aveva di-chiarato di aver la capacità di inviare in Libano migliaia dicombattenti per battere Israele. Il quotidiano sauditaAsharq al Awsat ha riportato lo scorso giugno le preoccu-pazioni del primo ministro, Ahmad Nazif, che diceva di es-sere venuto a conoscenza della presenza di un’organizza-zione militare segreta dei Fratelli musulmani.

Il governo egiziano cerca nuove strategie di attacco. Igiornali del paese hanno infatti iniziato a scrivere edito-riali contro il movimento per influenzare l’opinione pub-blica. Il direttore di al Gomhouria, Muhammad AliIbrahim, ha condannato la natura fascista dei Fratelli mu-sulmani: “Le magliette nere indossate dai ragazzi durantela manifestazione e la dimostrazione di forza sono legatestoricamente al fascismo, al nazismo e all’estremismo – hadetto Ibrahim – Sembra che la Fratellanza si sia ispirataal passato per esprimersi al suo meglio”. L’11 gennaio, Mu-barak ha mostrato forti preoccupazioni per l’attuale crisi:il rais ha dichiarato che il gruppo rappresenta “una minac-cia per la sicurezza dell’Egitto” e che il paese sarà presto

“isolato dal mondo” se il movimento diventerà più influen-te nel paese. “Se questo trend continuerà – ha detto – mol-ti scapperanno via con i soldi, gli investimenti stranieri sa-ranno fermati e la disoccupazione aumenterà”. La Guidasuprema del gruppo ha immediatamente risposto di nonessere un pericolo per l’Egitto: “Se gli investitori scappa-no – ha replicato – è colpa della dittatura e della corruzio-ne”. La società civile egiziana ha applaudito le parole diAkef: buona parte dell’opposizione laica e liberale a Mu-barak si è schierata con i Fratelli musulmani. PersinoSaad Eddin Ibrahim, attivista per i diritti umani, stancodella dittatura ventennale del rais, non nasconde di prefe-rire il gruppo islamista a Mubarak. Nelle ultime settima-ne, Mubarak ha arrestato imprenditori e bloccato i conticorrenti di numerosi uomini d’affari vicini ai Fratelli mu-sulmani, nel tentativo di fermare i finanziamenti al grup-po. Il generale egiziano Fouad Allam ha però dichiaratoad Asharq al Awsat che queste misure sono inutili: “E’ sta-ta superata la fase in cui è possibile prosciugare le risor-se economiche della Fratellanza. Il movimento ha entratemultimiliardarie in Europa e nei paesi africani”. Forte diquesta ascesa, Hamas non è più disposto a sottostare ai vo-leri di Mubarak, che non riesce più ad avere influenza nel-la crisi palestinese.

Il Senato non ha i numeri per dire di no al piano di Bush in Iraq

Riad fa parlare Hamas e Fatah e lavora a un “Quartetto arabo”

Soldi ed esibizioni di forza. L’offensiva dei Fratelli musulmani

Gerusalemme. Le delegazioni di Hamas eFatah sono da ieri in Arabia Saudita, nellacittà santa della Mecca, per una due giornidi negoziati sulla costituzione di un governodi unità nazionale, dopo mesi di scontri ar-mati tra palestinesi. L’incontro è coordinatodal re saudita Abdullah, che ha ricordato al-le parti i loro obblighi davanti a Dio e a tut-to il mondo islamico. Con il presidente AbuMazen ci sono alti funzionari del suo partitoFatah e il suo uomo forte a Gaza, Moham-med Dahlan, detestato da Hamas. Con il pre-mier Ismail Haniye c’è il ministro degli Este-ri, Mahmoud Zahar, e il leader di Hamas inesilio a Damasco, Khaled Meshaal, nei pan-ni del mediatore. Le due delegazioni sonoottimiste su un accordo finale, che per AbuMazen è l’unica soluzione per evitare laguerra civile. I giornali hanno già iniziato iltotoministri. Haniye resterebbe premier, aSalam Fayyad, vicino al rais, andrebbe il mi-

man, molto criticato in Israele. Ma la preoc-cupazione di un attacco imminente è eleva-ta. Ieri due sospetti terroristi palestinesi so-no stati arrestati a Nablus, in Cisgiordania.Secondo Tsahal stavano pianificando atten-tati contro Israele. Pochi giorni fa, Eilat, sulmar Rosso, è stata colpita da un attacco sui-cida del Jihad islamico: l’obiettivo, ha fattosapere il gruppo, è ricompattare i palestine-si contro Gerusalemme. L’intelligence temeche l’azione possa avere un seguito Secondoil capo dello Shin Bet, Yuval Diskin, 279 pos-sibili attentatori sono stati fermati nel 2006.In una conferenza stampa lunedì ha dettoche Hamas sta approfittando della confusasituazione interna per costruire nuovi tun-nel tra Gaza e l’Egitto – almeno cinque – peril contrabbando d’armi e il passaggio di ter-roristi. Nel 2006, 28 tonnellate d’esplosivo sa-rebbero entrate nel Territorio, assieme a 14mila fucili, munizioni e missili anti carro.

L’Egitto, ha ribadito Diskin, fa troppo pocoper stabilizzare la Striscia di Gaza.

Alla Mecca, Hamas e Fatah, cercherannodi arrivare a un compromesso su un governoche nessuna delle due fazioni sembra damesi volere. Israele è pronto ad accettarlosoltanto con la garanzia di un riconoscimen-to della sua esistenza da parte di Hamas. Do-po l’incontro, funzionari di Fatah volerannoa Washington, per colloqui con il segretariodi stato, Condoleezza Rice, che arriverà inmedio oriente il 19 febbraio. Attorno a que-sta data lei, Olmert e Abu Mazen dovrebbe-ro sedersi a un tavolo. Il giornale Maarivparla di un mega summit cui partecipereb-bero anche paesi arabi sunniti moderati,una specie di “Quartetto arabo”. Un incon-tro preparatorio in attesa del vertice di mar-zo della Lega araba, dove ci si aspetta cheRiad ripresenti, nuovamente ma con più for-za, l’iniziativa del 2002.

nistero dell’Economia. A Ziad Abu Amar, in-dipendente, ex membro di Fatah ma vicinoa Hamas, gli Esteri. Incerta ancora la poltro-na dell’Interno. Nella conta finale Hamasavrebbe nove seggi, sei Fatah, tre gli indi-pendenti e quattro a fazioni terze.

L’ennesima tregua siglata nella Striscia diGaza sembra tenere, dopo che negli scontrisono morte decine di palestinesi. Come spes-so è accaduto, la calma apparente coincidecon il riaccendersi di operazioni volte a col-pire Israele. Domenica il premier israelia-no, Ehud Olmert, ha dato l’approvazione al-la costruzione di un sistema anti Qassam perla città di Sderot, anche se il ministro dellaDifesa, Amir Peretz, ha ammesso il ritardo:sarà pronto fra più di due anni. E intantodue razzi ieri hanno colpito il Negev. Le po-lemiche sulla leadership non si sono ferma-te, anche perché ieri il premier ha nomina-to a ministro della Giustizia Daniel Fried-

• Il mercato azionario cinese è salito del 130 per cento in un anno. Il governo lavora a un atterraggio morbido dell’economia

La Borsa di Shanghai recupera due punti, ma teme la bollaLondra. Dopo cinque sedute di forte fles-

sione, con un calo complessivo di oltre un-dici punti percentuali, ieri è arrivato il re-cupero: +2,3 per cento in chiusura. La Borsadi Shanghai tira il fiato ma resta la preoccu-pazione di fondo per le ragioni di questabrusca frenata. Gli investitori guardano connervosismo a tutti i segnali provenienti daPechino per valutare se il mercato aziona-rio cinese sia in preda ad una bolla specu-lativa destinata prima o poi a scoppiare conconseguenze, oggi, inevitabili per tutti imercati finanziari mondiali. Atteggiamentoreso ancora più giustificato dai livelli rag-giunti dall’indice di Shanghai che dopo un130 per cento di rialzo nel 2006 sta dando levertigini a molti. D’altra parte la risalita diShanghai è stata accompagnata l’anno scor-so da un rialzo del 34 per cento della sorel-la maggiore, la Borsa di Honk Kong. I contidelle aziende cinesi sbarcate in Borsa mi-

ampia che la dirigenza cinese sta affrontan-do, riportare la crescita economica del pae-se verso ritmi più sostenibili. Ancora nelquarto trimestre 2006 il pil è salito di oltreil dieci per cento: il governo vuole evitareuno stop brusco, quando inevitabilmente ladomanda di beni cinesi si raffredderà. Lemisure finora adottate, dall’aumento deitassi di interesse ai maggiori oneri di riser-va per le banche che prestano denaro, han-no avuto effetti limitati, ma la necessità dilimitare il flusso di investimenti verso ilpaese resta una priorità.

E’ bene poi ricordare che la Cina si staimpegnando anche sul fronte ecologico, perporre rimedio ad una situazione disastrosa.L’enfasi è andata ancora una volta sugli in-vestimenti: il vicegovernatore della Bancacentrale, Wu Xiaoling, ha annunciato nuo-ve norme ambientali, ma anche un maggio-re controllo sulla crescita degli stabilimen-

gliorano. Tuttavia sono in molti a pensareche il rialzo degli ultimi mesi sia stato ec-cessivo di fronte alle reali capacità di cre-scita del sistema. Lo pensa anche ChengSiwei, vicepresidente del Congresso del po-polo ed economista molto ascoltato nel girofinanziario della capitale. Alcuni giorni faha affermato che il prezzo delle azioni è so-pravvalutato, aggiungendo che gli investito-ri dovrebbero essere preoccupati. “Quandoil mercato sale – ha detto – gli investitoriagiscono in maniera irrazionale. Tutti cre-dono di poter guadagnare ma molti finiran-no per perdere”. E gli analisti spiegano: èmeglio una correzione piuttosto che un crol-lo improvviso, anche perché governo e Ban-ca centrale potrebbero presto iniziare adadottare politiche restrittive per limitarel’afflusso di capitali verso la Borsa.

D’altra parte il problema del rallenta-mento della Borsa rispecchia la sfida più

Un vecchio luogo comune, duro a mori-re, vuole che gli italiani non brillino

per virtù militari. Ma anche nelle paginepiù cupe, tra le scelleratezze degli alti co-mandi e l’impreparazione delle masse, ri-fulgono individualità eccezionali, verieroi presto però accantonati e dimentica-ti, in quanto parlare di guerra in Italianon sta bene. Così tutti conoscono i Gon-zaga, gli antichi signori di Mantova, con laloro lunga progenie di diplomatici, lette-rati, santi, ecclesiastici e guerrieri, ma po-chi sanno che al ramo di Vescovato dellafamiglia sono appartenute anche due leg-gende militari del nostro Novecento.

Il padre, generale principe MaurizioGonzaga (1861-1938), marchese del Vodice,comandante della invitta 53ª Divisione difanteria della Grande guerra, ben prestoribattezzata dagli inviati al fronte “la Fer-rea”, solita andare all’attacco sotto le no-te della Marcia reale, dell’Inno a Garibal-di e dell’Inno di Mameli. E il figlio, gene-rale Ferrante Gonzaga (1889-1943), capo diStato maggiore della Divisione Acqui

(quella poi immolatasi a Cefalonia) e co-mandante della 222ª Divisione costiera distanza a Salerno durante la Seconda guer-ra mondiale. Capaci di collezionare dodi-ci medaglie al valore: due d’oro e tre d’ar-gento il primo; una d’oro, due d’argento,due di bronzo e due croci al merito diguerra il secondo.

Alle loro gesta lo storico Luciano Gari-baldi dedica ora un affettuoso libro, met-tendo in risalto l’umanità dei protagonisti.Se generali come Cadorna e Capello “nonguardano alle perdite”, Maurizio Gonza-

ga, ferito cinque volte, con un guanto ne-ro di cuoio al posto della mano destra el’immancabile sigaretta tra le labbra, gui-da in prima fila i suoi uomini che lo se-guono ovunque, dalla Libia alle Alpi, tan-to che persino la rotta di Caporetto gli ri-mane estranea. Se mentre l’Italia collassai più non sanno che fare, Ferrante Gonza-ga ha chiari i suoi doveri: “Vivo e combat-to”, scrive il 3 settembre 1943 alla sorellaMaria, “per i miei bambini cui, con la me-moria di nostro padre, vorrei lasciare an-che qualche cosa fatta da me… Resterò almio posto fino all’ultimo”.

Una fine che arriva così presto – un’oradopo il drammatico annuncio della resadiramato per radio, alle 19,45 dell’8 set-tembre, dal maresciallo Badoglio – darenderlo la prima vittima della guerra diLiberazione. Ucciso da un soldato tedescodella scorta del maggiore barone UdoVon Alvensleben, per essersi rifiutato diconsegnare le armi. Perché, come gridacon la Beretta in pugno, “un Gonzaga nonsi arrende mai”.

LLIIBBRRIILuciano Garibaldi

MAURIZIO & FERRANTE GONZAGAAres, 168 pp., euro 15

ti industriali. L’obiettivo è quello di limita-re il consumo di energia da parte del siste-ma produttivo, anche per evitare di impor-tare inflazione insieme alle fonti energeti-che (come il petrolio). Infine va tenuto con-to di un ultimo fattore, quello valutario.Molti vedono proprio nel 2007 l’anno in cuisi arriverà ad una maggiore liberalizzazio-ne delle contrattazioni sulla valuta cinese,lo yuan, ancora sostanzialmente ancorataal dollaro. La liberalizzazione favorirà l’ap-prezzamento dello yuan, come chiesto damolti governi occidentali, rendendo relati-vamente meno competitive le merci cinesi.Le ultime dichiarazioni del segretario alTesoro americano, Henry Paulson, hannosegnalato una linea più morbida dopo gliappelli perentori dei mesi scorsi. Una stra-tegia che, dicono gli esperti di psicologia ci-nese, potrebbe pagare e portare alla liberafluttuazione della divisa in tempi brevi.

OGGI – Nord: nuvolosità irregolare conlocali piogge su Liguria, bassa Lombar-dia ed Alessandrino. Centro: nuvolositàirregolare su tutti i settori compatta sulversante tirrenico. Sud: da nuvoloso amolto nuvoloso sul Tirreno, con pioggee rovesci sparsi su Campania, Sicilia esu parte della Calabria. DOMANI – Nord: nuvoloso o copertocon rovesci sparsi a partire dal tardopomeriggio e dalla Liguria. Centro: ir-regolare sul settore tirrenico con debo-li piogge su Toscana e Lazio. Sud: nuvo-loso sul settore tirrenico con piogge suCampania e coste calabresi.

EEDDIITTOORRIIAALLII

Pallone e castigo

Il presidente del Consiglio RomanoProdi ha voluto riunire il vertice del-

l’Unione sulla politica estera prima dipartire per l’India, ma questa sceltanon sembra essere stata particolar-mente apprezzata dai suoi alleati. Ilministro degli Esteri Massimo D’Alemaha spiegato di essere stato “convocato”,ed è arrivato con un’ora di ritardo. IlGuardasigilli Clemente Mastella nonl’ha aspettato, dice, a causa di un’in-fluenza, e se ne è andato a casa facen-do sibillinamente gli auguri per le vo-tazioni al Senato. Il vicepremier Fran-cesco Rutelli, che invece dall’influenzaè appena guarito, se ne è andato primaper un impegno televisivo, ma ha assi-curato la stesura di una dichiarazionecomune alla fine del vertice, ancora incorso mentre scriviamo. La sinistra an-tagonista, che non voleva essere messasul banco degli imputati per la sua dis-sidenza sulla base americana di Vicen-za aveva chiesto che il vertice discutes-se “di tutto”, ma non ha ottenuto ciòche voleva. In questo andirivieni di mi-nistri la dichiarazione di Romano Pro-di, “siamo una squadra che vince se cipassiamo la palla” è apparsa un po’

surreale. Quando poi si è vantato, rife-rendosi alla politica estera, di aver“cambiato passo a testa alta” è sembra-to più un istruttore di ginnastica cheun premier. Il fatto è che una svogliatariunione di esponenti della maggio-ranza può servire a Prodi per sostene-re che c’è accordo sulla “continuità di-scontinua” della nostra politica estera,ma non risolve nessun problema, néquello dell’irritazione americana (ri-badita dal portavoce del Dipartimentodi stato che ha dichiarato che la lette-ra firmata dall’ambasciatore Spogli è“pienamente in linea” con ciò chehanno affermato sull’Afghanistan ilpresidente George W. Bush, il segreta-rio di stato Condoleezza Rice e il capodel Pentagono Robert Gates), né quel-lo della dissidenza a sinistra. Tra die-ci giorni si terrà la manifestazione in-detta da tre partiti della maggioranzaper protestare contro la decisione diProdi su Vicenza. Un mese dopo si vo-terà in Parlamento sul rifinanziamen-to della missione in Afghanistan. E’ lìche si vedrà quanto contano le frasicontorte dei comunicati su una politi-ca estera che non c’è.

Il bilancio che George Bush ha pre-sentato al Congresso è destinato a

suscitare molte discussioni sul latodella spesa, in quanto prevede un’e-spansione rilevante delle spese milita-ri e un relativo contenimento dellespese sociali, civili e d’interesse eco-nomico. Ciò, oltre a questioni di prin-cipio, comporta anche il conflitto congli interessi particolari di molti mem-bri del Parlamento e delle relativelobby, in particolare quelle agricole esanitarie. Ma la questione che fa mag-giormente discutere è quella del pro-gramma sul lato delle entrate. InfattiBush prevede una crescita del 30 percento delle entrate fiscali entro il 2012,anno in cui il bilancio federale do-vrebbe presentare, anziché un defictcontenuto, un modesto avanzo. Vi è chicontesta questa stima, che comportaun’entrata di 3,3 migliaia di miliardi(trilioni) di dollari sostenendo che es-sa è sopravvalutata di 150 miliardi,cioè quasi del 5 per cento. Il puntocentrale sta nel fatto che Bush chiededi far diventare permanenti le riduzio-ni delle imposte sul reddito, che ri-guardano specialmente i redditi medi

e alti e i guadagni di capitale. Sgraviche scadono nel 2010. E’ sulla base ditali riduzioni fiscali che Bush prevedequella crescita del prodotto nazionale,che l’opposizione democratica reputatroppo rosea. I democratici vorrebbe-ro farli decadere, in particolare per glialti redditi e per i guadagni di capita-le. Aumentando le imposte, i democra-tici, o almeno una parte di essi, pensa-no di poter rendere maggiormenteplausibile la stima della crescita delleentrate da ora al 2012 effettuata da Bu-sh. E, in tal modo, pensano di poterfruire di uno spazio per accrescere lespese sociali e civili e di contentarequalche loro lobby, con un conteni-mento di quelle militari. Ma si tratta diuna tesi azzardata. Infatti la previsio-ne di crescita economica sostenuta,fatta dalla Casa Bianca, dipende inlarga misura dalla prospettiva di im-poste contenute. Aumentando le impo-ste sui redditi e i guadagni di capitalesi ridurrebbe lo sviluppo economico. Ele entrate invece che accrescersi si ri-durrebbero. Sono i ribassi fiscali chein questi anni hanno fatto crescere inmodo grandioso l’America.

A meno d’un capolavoro di concor-dia, qualunque decisione esca

fuori oggi dal Consiglio dei ministrinon basterà a pacificare le parti incausa che litigano sul pallone insan-guinato dal poliziotto morto a Cata-nia. Dagli incontri parasindacali chesi sono rincorsi ieri – prima i verticidella Lega, poi della Figc, quindi tut-ti al Viminale da Amato e dalla Me-landri – promanava un senso di faticaperfino nel ricercare un lessico co-mune. Le società sportive continuanoa reclamare porte aperte negli stadiper i tifosi buoni, che per fortuna esi-stono ancora e sono la maggioranzasulla quale si regge il sistema pallo-naro. Ma non si può dire che coinci-dano sempre con gli abbonati ai qua-li i presidenti dei club vorrebbero ga-rantire l’ingresso. Il governo – comeanticipava ieri il ministro Amato – in-viterà la politica a “resistere allepressioni del calcio”, ed è una di-chiarazione di principio che non im-pedirà di oscillare tra una severitàintegrale, al momento dovuta, e latentazione di recuperare un princi-pio di realtà finora abbastanza disat-teso. Sta bene, semmai, ricominciare

con le partite ma facendole disputa-re dentro stadi più o meno militariz-zati, forse già domenica prossima, esenza dover temere le brigate di ul-tras in trasferta. Ma quanto potrà du-rare? E poi la serrata degli impiantigiudicati fino a ieri passabili, impo-sta da un giorno all’altro, non ha unretrogusto genericamente punitivo?L’opinione più attendibile al riguar-do non sarà probabilmente quelladel cinico e quasi dimissionato Ma-tarrese, il vecchio-nuovo presidentedi una Lega che non riesce a rifor-marsi perché è affollata di dirigentila cui forza non è commisurata al cla-more dei rispettivi urlacci. Ma anche i ministri prodiani, assistitida quel commissario straordinariosempre stupefatto che è Pancalli, cor-rono ancora il rischio di consegnarsiall’inadeguatezza già esibita nel la-sciare inapplicata la sostanza dellalegge Pisanu (calibrata più sulla pre-venzione che non sulle porte d’acces-so alle curve). Sappiamo tutti che c’èun’emergenza, ma intestardirsi in unavelleità moralistica e ultracensoria,sopra tutto se poi non si è in grado dionorarla, è peggio del far nulla.

Bush insiste, meno tasse più crescita

La continuità discontinua

I democratici vogliono eliminare le riduzioni fiscali. Ecco perché sbagliano

Equilibri lessicali di Prodi sulla politica estera. Parole chiare da Washington

Velleità moralistiche e realtà. Quanto può durare la serrata degli stadi?

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ANNO XII NUMERO 32 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 7 FEBBRAIO 2007

Al direttore - L’Unione Europea Calcio hadichiarato oggi che per il calcio italiano sonoquattro le stagioni problematiche: primavera,estate, autunno e inverno.

Gianni Boncompagni

Al direttore - Lettere esplosive a Londra, lacondanna di D’Alema: “Un’iniziativa irrituale”.

Maurizio Crippa

Al direttore - E’ vero, bisogna ammettere chel’iniziativa dei sei ambasciatori della Nato è“irrituale”. Ma di fronte a una situazione irri-tuale come quella italiana è ragionevole ricor-rere a mezzi irrituali. E, in un sistema parla-mentare, che un governo in politica estera nonabbia una maggioranza, o ne abbia una diver-sa da quella uscita dalle urne, è molto irritua-le. Irrituale è che un governo indichi al Senato

di votare contro il suo stesso operato per na-scondere il fatto che la sua maggioranza nonlo approverebbe. Irrituale in Europa è un go-verno che si regge su una sinistra comunista.

Federico Punzi, Roma

Al direttore - Due sono oggi le grandi passio-ni della nostra sinistra radicale. La prima èquel gagliardo senso dello stato che le permet-te di trovare normale, anzi esaltante, che essonon riesca né a proteggere la vita dei suoi sbir-ri né a castigare i loro eroici assassini (effettivie/o virtuali), e che anzi giudichi indispensabilededicare loro piazze, strade, targhe, monumen-ti, salette istituzionali, celebrazioni, film apolo-getici e così via glorificando, trovando altresìnecessario che ai loro magnanimi ideali vengainoltre assicurata in Parlamento una degnarappresentanza ufficiale. L’altra è quel soave

sentimento umanitario e misericordioso che leimpone di battersi tenacemente per l’abolizionedella pena di morte. Non saranno, queste duepassioni, due espressioni opposte e complemen-tari della nota superiorità intellettuale e mora-le dell’homo sinistrorsus nell’èra del comuni-smo risorto dalle sue ceneri splendidamente pa-tibolari e concentrazionarie?

Ruggero Guarini

Al direttore - L’intervista di Meotti al grandestudioso iraniano Vali Nasr aveva qualcosa diferino e di agghiacciante. Piena solo di pragma-tismi, necessità, compromessi, interessi e moltosangue. Cosa hanno gli sciiti di tanto specialeda far parlare Nasr di rivoluzione religiosa do-po l’invasione irachena del 2003?

Stefano Venturi, via web

Al direttore - Un anno fa un’indagine stati-stica annunciava che i maschi italiani erano gliultimi in Europa nel fare sesso, in questi giorniun’altra indagine dice che le italiane sono leprime. Tre ipotesi: 1) le due indagini hanno ilgrande pregio di dimostrare la poca o nulla af-fidabilità di sondaggi e inchieste statistiche; 2)le italiane fanno sesso tra loro; 3) questo è solouno dei benefici effetti del governo Prodi.

Emiliano Ronzoni, Milano

Al direttore - Le basi Usa non sono le basiNato. Il vostro lettore Gianluca Del Zoppo, ieri,si è scagliato contro Sergio Romano perché que-st’ultimo considera le basi Usa come una lesio-ne della sovranità nazionale, e cita “la base Na-to di Vicenza” che invece è una base Usa. Nonè affatto una differenza da poco, e personal-mente posso convenire con Sergio Romano sen-za per forza meritare, come pure scritto, la tes-sera ad honorem di Rifondazione comunista.

Filippo Facci

Romano ha il pregio di pensare prima discrivere e di scrivere precisamente quelloche pensa. Ma secondo me siamo ormaimolto al di là della questione delle basi Usain Italia. E’ che stiamo mettendo a rischiouna politica estera vecchia senzache ce ne sia una nuova.

Sex-polls, il maschio italiano è poco vivace, la femmina molto: che vorrà dire? Anomalia afghanaLe contraddizioni della missione

anti talebani dove tutti sonopresenti ma pochi combattono

(segue dalla prima pagina) “Nessun inglese com-batte con quest’intensità dal tempo dellaguerra di Corea”, dicono i parà britannicischierati nella provincia meridionale diHelmand, dove la calma relativa è garanti-ta per ora soltanto dal gelo invernale e daibombardieri americani. Ma la primavera sista avvicinando. Ogni giorno i giornali in-glesi raccontano nuovi, violenti capitoli del-le operazioni di guerra in corso. Così l’im-barazzo italiano per la “public diplomacy”e per “le pressioni indebite” – come le de-finisce D’Alema – degli alleati non è che ilriflesso dell’anomalia della missione afgha-na, dove ci sono contingenti che combatto-no quotidianamente e contingenti a cui i ri-spettivi governi hanno imposto di restarenella provincia di Kabul, quella più centra-le e sicura, dove i talebani arrivano a colpi-re soltanto con sporadiche incursioni. OggiBerlino annuncerà l’invio di sei aerei Tor-nado, con la clausola però che non sianousati per bombardare, ma soltanto come ri-cognitori. Sarà un’altra cosa difficile daspiegare ai seimila inglesi schierati nelsud, e ai loro commilitoni stranieri. Nonmeraviglia che il premier britannico, TonyBlair, al vertice Nato di Riga dello scorsonovembre, abbia implorato “maggiore fles-sibilità nell’impiego dei soldati, perché nonpossiamo permetterci che l’Afghanistan ca-da di nuovo in mano ai talebani”. Fino a og-gi è rimasto inascoltato. E ancora ieri Pro-di ha sì confermato che il contingente ita-liano resterà in Afghanistan, ma saràrafforzato soltanto l’impegno civile. E que-sto malgrado domenica scorsa il comandodelle truppe Nato in Afghanistan sia passa-to al generale americano Dan McNeill, chenon intende aspettare la riscossa di prima-vera dei talebani e che ha già fatto sapereche vuole chiamare in battaglia – se sarànecessario – anche i circa settemila soldatiitaliani, francesi, tedeschi e spagnoli, sfi-dando i “caveat” dei governi europei.

New York Fashion Show. Modelle ghiac-ciate tirano l’alba al bar del GramercyPark. La vodka nei piccoli bicchieri di cri-stallo è a temperatura ambiente, come nella vecchia Santa Russia.

Alta Società

Ieri si è spaccato lo stabi-limento della Tavor a Ra-gusa. Non abbiamo divul-gato la notizia ai nostriclienti. Basta che si rom-pe un’anta del comodinoper gettarli nello sconfor-to, figuriamoci se vengo-no a sapere che manca il

Tavor. Provvisorio abbiamo fatto delle pa-stiglie esterne uguali al Tavorone, dentroc’era la mollica di pane. Sai che abbiamoavuto solo due reclami e non riguardava-no l’efficacia del prodotto ma il fatto cheil commesso della Esselunga era statomaleducato nell’incartarlo.

Variazione sul temaIeri si è spaccato lo stabilimento della

Tavor a Catanzaro. Siamo andati giù ilmio amico e io per metterci una pezza. Ilpadrone dello stabilimento: “Non me lasento più di aggiustarlo, sono stufo di con-flitti sindacali, devo adeguarmi alle nor-mative sulla sicurezza…”. Io: “Non facciacosì, Cavaliere!…”. Lui: “No, basta”. Hapreso e fatto domanda in Ferrovia. Ades-so vediamo, non è detto che lo prendano,ha già 52 anni. Poi sono più quelli che la-sciano a casa che quelli che assumono.Poi un uomo abituato a un tenore di vitacosì alto come lui come, con barca e setti-mana a St. Moritz, come fa ad arrangiarsicon 1.300 euro al mese?

INNAMORATO FISSODI MAURIZIO MILANI

(segue dalla prima pagina) Alcuni uomini armaticon uniformi dell’esercito iracheno hannorapito un diplomatico iraniano a Baghdad.Il sequestro sarebbe stato fatto domenica,ma l’emittente al Arabiya ne ha parlato perla prima volta ieri e la notizia è stata confer-mata dal ministero degli Esteri di Teheran,che ha accusato gli Stati Uniti a nome delgoverno: il diplomatico Jalal Sharafi, nume-ro due dell’ambasciata iraniana a Baghdad,è stato catturato da uomini armati che “ope-rano sotto la supervisione delle forze ame-ricane in Iraq”. Secondo le prime indiscre-zioni, alcuni soldati iracheni avrebbero in-seguito i rapitori scoprendo che si trattavadi uomini del ministero dell’Interno di Ba-ghdad. Le forze americane e irachene han-no smentito ogni coinvolgimento, ma le ten-sioni restano alte: nelle ultime settimane siè intensificata l’offensiva americana neiconfronti dell’ingerenza di Teheran in Iraq,come annunciato da Bush.

L’obiettivo del piano di Petraeus è infat-ti sicurezza a Baghdad, e attacco ai terro-risti sunniti e alle milizie sciite, soprattut-to quelle di Moqtada al Sadr, foraggiatedall’Iran. In questi giorni due fedeli delleader dell’Esercito del Mahdi – barricatoa Najaf – sono stati uccisi e continua la fu-ga da sadr City di molti miliziani. Gli equi-libri stanno cambiando, e proprio di que-sto si dovranno occupare “i ragazzi di Pe-traeus”. Oltre al piano militare, è necessa-rio ricostruire il tessuto sociale a Baghdade in tutto l’Iraq. Per questo il consigliereper l’economia, il colonnello Michael Mee-se, ha pronto un piano di coordinamentotra sicurezza e ricostruzione, mentre il ge-nerale-antropologo David Kilcullen studia“un progetto sociale” di controterrorismo.I punti di riferimento sono l’esperienza disuccesso di Petraeus a Mosul e quella delcapo della strategia di Petraeus, il colon-nello H.R. McMaster, a Tall Afar, liberatadai terroristi nel 2006.

L’Iran accusa gli Stati Uniti di averrapito un suo diplomatico.

I piani dei “ragazzi di Petraeus”

Operazione Baghdad

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E’ il Cassano delle moto. Sulle spalle delgiovane Casey Stoner, ventun’anni, sie-

de la scimmia dell’eterna promessa. Come ilgiocatore del Real Madrid il pilota australia-no non riesce a scrollarsela. La sua classe inpista la sfoggia solo a tratti. E dire che l’annoscorso la partenza in MotoGp era stata im-pressionante. In sella ad una Honda non uffi-ciale, dopo aver saltato per infortunio i testinvernali, conquistò la pole position in Qataral secondo gran premio della sua vita. La ga-ra dopo, in Turchia, duellò per la vittoria finoall’ultima curva con Marco Melandri. Poi ilvuoto. L’insostenibile leggerezza dell’essere ele cento capriole sulla pista. Le continue ca-dute gli costano l’irriverente soprannome diRolling Stoner. Nel campionato 2007 avràl’occasione per scacciare lo scimpanzè e zit-tire i detrattori. La Ducati l’ha scelto per so-stituire uno spento Sete Gibernau e affianca-re il senatore Loris Capirossi. “Vogliamo es-sere tra i protagonisti del mondiale, piazzan-do tutti e due i nostri piloti, tra i primi cinquedella classifica”, proclama Livio Suppo, re-sponsabile corse dell’azienda di Borgo Pani-gale. “Stoner è arrivato nel grande circo delmotomondiale con la referenza di MickDoohan, il più grande centauro dell’era preValentino”, commenta Guido Meda, commen-tatore sportivo di Mediaset. “Su di lui c’eranograndi attese, veniva visto come il nuovo fuo-riclasse australiano. Una scuola che ha datolustro a questo sport. Piloti tenaci con la vi-sione romantica del motociclismo. Appenaarrivato Casey ha iniziato a correre come unmatto, rotolando spesso per terra. Di lui si di-ce che butta sempre il cuore oltre l’ostacolo.Spesso, però, anche la moto”. Nonostante letante cadute Stoner quest’estate è stato alcentro di trattative di mercato, grazie ancheall’ingaggio contenuto. Inizialmente sembra-va dovesse approdare alla Yamaha, con la be-nedizione di Valentino Rossi, poi ha chiusocon la Ducati. Una scelta che ha stupito gliaddetti ai lavori. Finora la casa italiana ave-va puntato su piloti navigati. “Lo facevamoperché eravamo al debutto in MotoGp e nonpotevamo sommare l’inesperienza della casacon quella dei piloti – spiega Suppo – Ora sia-mo al quinto campionato e possiamo davveropermetterci di puntare su un emergente”.

La Ducati e i ruzzoloniIl centauro australiano quest’anno sembra

aver acquistato un maggior self-control. Pro-babilmente dovuto al matrimonio con la gio-vanissima Adriana, diciotto anni. Lo scorsoanno, lei, minorenne, non poteva seguirlo ingiro per il mondo, così lui faceva la spola ognisettimana tra Europa e Australia, con inevi-tabili ripercussioni sui risultati in pista. Orahanno acquistato casa a Montecarlo e si sonoattrezzati con un camper per i fine settimanadi lavoro. Sarà un caso, ma nei primi quattrotest invernali Stoner non è mai caduto. Ed ègià una notizia. Al suo compagno di squadraCapirossi, il giovane pilota riconosce il ruolodi guida. Un po’ come faceva Cassano conTotti, ai tempi della Roma. “ProbabilmenteLoris ci si rivede – commenta Suppo – Anchelui appena arrivato in 500 era un po’ irruentee maturò grazie ai consigli del campione delmondo Mick Doohan, che gli fece da chioc-cia”. Proprio l’ex iridato ora scommette sultalento del connazionale Casey. La prima vol-ta che si è incontrato con Capirossi nella se-de della Ducati, Stoner si è presentato con unposter e un modellino di moto del compagnodi squadra, chiedendo di autografarli. “Haancora l’ingenuità e la purezza del bambino”,afferma Suppo che prima di ingaggiarlo haottenuto il consenso del pilota bolognese.

Considerando i numeri da circo che ognigara esibisce Capirossi, con staccate e dera-pate dall’enigmatico equilibrio, qualcuno hapensato che la Ducati non fosse proprio lamoto ideale per un habitué dei ruzzoloni co-me l’australiano. “In realtà l’idea della Duca-ti come moto difficile da ammaestrare è unluogo comune – commenta Guido Meda – E’Capirossi che la guida in maniera così origi-nale ed efficace”. Nel campionato 2007 co-munque si ricomincerà da zero per il cambia-mento di alcune regole. Le cilindrate dei mo-tori sono state ridimensionate da 999 centi-metri cubici a 800 e le gomme che si potran-no utilizzare in un fine settimana saranno 31e non più illimitate. Quest’ultimo aspetto pe-nalizzerà i piloti Michelin (Rossi, Hayden, Pe-drosa) che negli anni scorsi potevano contaresulla possibilità di pneumatici fabbricati ilsabato dall’azienda francese, sull’esperienzadi come era andato il primo giorno di qualifi-ca del venerdì. Ad avvantaggiarsene i clientiBridgestone, Ducati in primis.

Il Super Bowl del crocerossino senza pantaloni

ni dicevano tutti che era un predestinato. Nelnome del padre e del fratello. E’ stata unamaledizione, però. “La maledizione di Man-ning”, hanno scritto, detto e ripetuto: migliorgiocatore nel 2003, nel 2004, nel 2005. Mai unavittoria vera, però. Nel tentativo di spiegarel’inspiegabile, l’America ha raccontato del

blocco psicologico di Peyton il fratello fortu-nato di uno sfortunato. “Sbaglia le partite im-portanti e decisive perché non riesce a con-vincersi del fatto che possa trionfare sapen-do che Cooper non ha mai potuto”. AlloraManning è diventato un caso. Popolare per-ché incarna lo spirito dello sport, perché par-

la delle truppe in Iraq e in Afghanistan chie-dendo al paese di pregare per loro, ma criti-cato perché considerato un eroe a metà: buo-no fino a un passo dal traguardo. L’anno scor-so la rete Espn lo inserì nel programma “Top5 reason you can’t blame”: “Per l’incapacitàdi vincere ogni grande partita”.

Ecco perché quest’anno era lui il protago-nista: alla storia, il 41° Super Bowl passeràper il diluvio, per Prince che canta “Purplerain” sotto l’acquazzone, per la prima voltadi un coach afroamericano, ma soprattuttoper la vittoria di Manning. Perché nell’attesadel trionfo, Peyton è diventato lo sportivo piùseguito d’America. Cinquanta e cinquanta:gli Stati Uniti divisi tra chi sperava che ungiorno ce l’avrebbe fatta, e chi voleva chenon ci riuscisse. Tanti detrattori innervositidal suo essere un “raccomandato”, figlio diun padre celebre, cresciuto in una famigliache l’ha protetto e poi ha portato un altro ra-gazzo tra i professionisti del football: il fra-tello piccolo Eli, oggi quarterback dei NewYork Giants. Detestato, Peyton: perché erabravo, perché era perfetto, perché costruitoper diventare qualcuno. Nel 1996, lo coinvol-sero anche in un miniscandalo. Alla fine diun allenamento, mentre era negli spogliatoi,gli caddero i pantaloni. Di fronte a lui c’eral’assistente del preparatore atletico dell’uni-versità del Tennessee, Jamie Ann Naughri-ght. La donna denunciò il college solo nel2003, quando Manning era un fenomeno ric-co e celebre. L’inchiesta appurò che non c’e-ra stato alcun riferimento sessuale.

Amato, Peyton: perché l’altra metà dell’A-merica si sempre riconosciuta in lui e avreb-be voluto vivere la sua vita da privilegiato. E’una faccia comune, potrebbe essere chiun-que, per questo vale 37,5 milioni di dollari dicontratto, compresi i diritti d’immagine, perquesto Mastercard, Sprint, Direct tv, Gatora-de, la Croce Rossa americana, l’hanno volutocome testimonial. Con quel volto banale tipuò convincere a spendere i soldi con la car-ta di credito o a farti iscrivere alle unità disoccorso che intervengono durante i disastriambientali. Poi Peyton ha sposato una com-pagna del college, Ashley Thompson. Ameri-cano medio che gioca col padre e il fratellonel giardino di casa e se non è la palla ovale,allora è il canestro oppure la mazza da base-ball. L’impressione che dà è quella del ragaz-zo che sarebbe riuscito in qualsiasi sport.Perché era portato e perché s’è impegnato.Time non voleva che Manning vincesse il Su-per Bowl. Non voleva perché per un altro an-no il football avrebbe avuto uno scopo oltre ilrisultato. La storia da seguire c’è già: baste-rebbe una finale Indianapolis Colts-NewYork Giants. Manning contro Manning.

E’ dolce la notte del figlio di papà. Sotto lapioggia è anche meglio: fa più uomo per

lui che in fondo per tutti è sempre stato un ra-gazzino. Finalmente Peyton: a trent’anni l’a-nello. Dicevano che non era necessario vince-re un Super Bowl per essere consacrato allastoria del football americano. In fondo a DanMarino era già successo: il più forte, il miglio-re, il campione, ma senza il sigillo. Manning ècresciuto con il mito di Dan, ma non è maistato d’accordo: un padre quarterback di lus-so, un’infanzia passata a cercare di diventareun giocatore, una giovinezza trascorsa a inse-guire un sogno, una carriera da star a cacciadell’ultima partita della stagione, del succes-so, della gloria. “So di aver fatto tanto, masenza Super Bowl la mia vita sarà incomple-ta”. Ora alza il pugno destro, gli passano unpallone d’argento: miglior giocatore dellapartita. Sa che non ha giocato il più bel mat-ch della vita, ha perso palloni e lanciato cosìe così: 274 yard sono un buon risultato, non ilmassimo. “Ho fatto di meglio”, ha detto ai mi-crofoni di Cbs. “Ma quello che contava era al-tro. Vincere”. Allora lo prende quel pallone,lo porta su, lo mostra al mondo. Ha vinto, Pey-ton. Il più forte, il più pagato, il più bravo.Amato e odiato. Manning il giocatore con lafaccia da ragazzo un po’ tonto della provinciaamericana, ma con un computer nel cervello:il braccio è un estensione del suo pc persona-le, esegue il comando più velocemente chepuò. Lancio verso il touch-down.

A Miami ha vinto lui, il figlio di ArchieManning, star dei New Orleans Saints neglianni Settanta. Ed è lì sul Mississippi che è co-minciata la corsa di Peyton: il 24 marzo 1976,nella stanza accanto a quella dove due giorniprima era nata l’attrice Reese Witherspoon.Forse non toccava a lui essere il fenomeno difamiglia: l’album delle fotografie mostra ilfratello Cooper con l’ovale in mano, il cascoin testa e lo schema in mente. Peyton l’accom-pagna, lo segue, lo imita. Ci litiga pure. Le im-magini le ha mostrate Cbs nel pre-partita delSuper Bowl: il video Super8 dell’infanzia incasa Manning con papà che insegna ai tre fi-gli come si passa quando stai per essere plac-cato da una montagna di centocinquanta chi-li. Peyton spunta alla fine, cresciuto nell’om-bra di Cooper che avrebbe dovuto fare il rice-vitore, se la stenosi spinale non avesse bloc-cato la carriera quando era al college. Il fra-tello piccolo ha fatto quello che Cooper nonha potuto: all’università del Tennessee è di-ventato un giovane campione, ha lanciato permigliaia di yard, portando a punti decine dicompagni. Leader, perché così gli avevano in-segnato a essere. La chiamata tra i professio-nisti nel 1998: prima scelta degli IndianapolisColts. C’era la storia che l’aspettava: a 22 an-

ANNO XII NUMERO 32 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 7 FEBBRAIO 2007

Rolling Stoner

L’Antonio Cassano del MotoGpstudia da Capirossi per

non finire come Cassano

Il golfista dell’anno anche questa voltasarà Tiger Woods. Una settimana fa, alla

sua prima gara del 2007, il Buick Invitatio-nal in California, il fenomeno americano hainiziato la stagione come aveva conclusoquella precedente: vincendo. Non fosse sta-to per le quindici ore di fuso orario e duebogey alla dieci e alla undici dell’ultimo gi-ro, Tiger avrebbe fatto il bis questo fine set-timana al Dubai Desert Classic. Negli Emi-rati Arabi Uniti, dove aveva già vinto loscorso anno, Woods si è dovuto accontenta-re del terzo posto, due colpi indietro rispet-to allo svedese Henrik Stenson, nonostanteuna rimonta mozzafiato con quattro birdienelle ultime sei buche. “E’ stata una dellepeggiori settimane di put da lungo tempo”,ha spiegato Woods: “Vado a casa e cerco diriuscire a capire perché”. Comunque, i 150mila dollari di premio di questa settimanasi aggiungono ai 936 mila di quella prece-dente e ai quasi dieci milioni incassati nel2006. Da quando è diventato professionista,Tiger ha accumulato 66.648.324 dollari divincite ufficiali e Golf Digest – tra le più im-portanti riviste golfistiche – annuncia il su-peramento dei 100 milioni entro il 2008. Poici sono gli ingaggi e i tour promozionali, laNike e le altre sponsorizzazioni, il merchan-dising e i libri, i videogiochi e i siti Internet.Nel 2010 l’impresa Tiger Woods avrà valica-to – secondo Golf Digest – la soglia del mi-

liardo di dol-lari di girod’affari. Veramacchina dagolf – la suaalimentazio-ne sul campoè a base dipillole di glu-cosio e inte-gratori – Ti-ger sembrainarrestabi-le. Già ora ibookmakerpagano solo

undici dollari per otto puntati su di lui alprossimo major, il Masters di Augusta del 5aprile. Alcuni analisti temono che l’assenzadi rivali provochi il crollo della passioneper lo sport più amato dagli americani. Oc-corre un antagonista o almeno una spalla.

Le mazze dell’anti-divo e Martina HingisParadossalmente, è dall’Europa che po-

trebbe venire l’anti-Tiger. Tra i giocatoriamericani non c’è nessuno tanto spettaco-lare come Woods. Le sue origini – il padreun po’ afro-americano, un po’ cinese e re-duce del Vietnam, la madre mezza thailan-dese, un quarto cinese, un altro quartoolandese, che ogni anno gli confeziona unatigre di peluche per coprire il suo drive –la sua storia – bambino prodigio all’età ditre anni che nel 1978 giocava contro BobHope nel Mike Douglas Show – e la suacarriera – dodici major e 43 open vinti – lorendono unico e irripetibile. Ma in comu-ne con i suoi colleghi statunitensi Tiger haquella freddezza che, finiti i tempi deiduelli adrenalinici tra Jack Nicklaus eTom Watson, rischia di provocare più sba-digli che entusiasmi. Per contro, i golfistieuropei, più bonaccioni e cicciottelli, sonocapaci di esaltazioni, passioni e foghe chealimentano lo spettacolo e attirano il pub-blico. Perfino uno scozzese come ColinMontgomerie riesce a emozionare con isuoi colpi d’ira. Ma se sono mediterranei,meglio. Come il nostro Costantino Roccache commosse e entusiasmò decine di mi-lioni di spettatori con quel put imbucatoda 18 metri alla diciotto dell’Old Corse diSt. Andrews nel 1995. O come lo spagnoloSeveriano Ballesteros, primo europeo avincere il Masters nel 1980, dopo aver co-minciato a giocare sulla spiaggia di casa.

Rocca e Ballesteros rappresentano ilpassato e per scovare l’antiTiger occorrecercare dati anagrafici più recenti. Gliitaliani sperano nei fratelli Molinari –Francesco è arrivato quarantottesimo alDesert Classic, mentre Edoardo si è bat-tuto per il titolo al Club Columbia Ma-sters di Bogotà e alla fine lo ha vinto – egli spagnoli hanno Sergio Garcia, fuori altaglio a Dubai. Bambino prodigio comeTiger, “El Niño” ha cominciato all’età ditre anni e trascorso buona parte dellasua carriera professionistica nella topten mondiale. Ma Garcia ha vinto poco –dodici open – e nessuno dei quattro prin-cipali tornei, tanto da essere sopranno-minato “il migliore golfista che non vin-cerà mai un major”. Belloccio, probabilefuturo sposo della figlia di Greg Norman,ex fidanzato della tennista Martina Hin-gis, El Niño ama divertirsi, guida “moltoveloce” una Ferrari 360 ed è tutto il con-trario di Woods: “Non potrei isolarmi inuna bolla, io e le mie mazze sul campopratica: questo non mi renderebbe feli-ce”. Ma, sul campo, Garcia marca strettoTiger. Appena passato professionista nel1999, lo tallonò al Pga Championship, en-trando nel cuore degli americani dopouna corsa all’impazzata per vedere dov’e-ra finita la pallina colpita a occhi chiusidietro il tronco di un albero. Negli scon-tri diretti della Ryder Cup, Garcia ha bat-tuto Woods tre volte e il suo impressio-nante record di quattordici match playvinti, tre pareggiati e tre persi, ha per-messo all’Europa di battere gli Usa nelleultime tre edizioni. Senza dimenticareElin Nordegren con cui Garcia ammettedi essere “uscito per qualche drink” nel2001. “Allora ero giovane”, spiega sornio-ne El Niño, e oggi Elin è la biondissima esvedese moglie di Tiger.

El Ninõ del golf

Il vero rivale di Tiger Woodsè spagnolo, gira in Ferrari, e conosce

molto bene la moglie di Tiger

UN FOGLIN SPORTIVO

Il Rex di Chicago e la grande sconfitta del patto generazionalecato negli anni Quaranta proprio con i Colts,che all’epoca erano la squadra di Baltimo-ra e non di Indianapolis. Il padre, Rex Da-niel Grossman II, giocò con buoni risultati,sempre come qb, nell’università di NotreDame. Nell’albero di famiglia anche due zii,ex giocatori professionisti.

Per il regista di Chicago la partita con iColts si intrecciava inoltre con alcuni pas-saggi della sua storia. Grossman è nativo diIndianapolis, dove ancora risiede nei pe-riodi di vacanza dal football. Tornava poi agiocare in Florida dove si era messo in evi-denza come quarterback della locale uni-versità. Al sole di Miami giocò talmente be-ne da meritarsi la chiamata, come primascelta, da parte di Chicago. Tutto perfetto,a parte il finale.

E dire che meglio i Bears non potevanoiniziare il match. Pronti, via e touchdown.La meta più veloce della storia del SuperBowl viene segnata dopo pochi secondi, di-rettamente sul ritorno del kick off. L’azioneche inaugura tutte le partite di football

americano. Novantadue yards corse tutte diun fiato da Devin Hester. Rex il vantaggiose lo gusta dalla panchina. Sulle azioni dikick return gioca il cosiddetto special team.Dieci giocatori imponenti che devono fareda scudo alla corsa del rapido ritornatore.Il quarterback qui non è contemplato. Nelpossesso palla successivo di Indianapolis,il rivale Manning si fa subito intercettare.Per Grossman sembrano schiudersi le por-te dell’Olimpo. Ma il sogno dura poco. Lasquadra dell’Illinois resta in vantaggio soloper il primo quarto che si chiude quattordi-ci a sei con una meta allo scadere su pas-saggio di Rex. Sarà però l’ultimo touch-down per gli Orsi. La seconda frazione ètutta per Indianapolis, con un parziale di10-0. Dopo l’intervallo contraddistinto dal-la Purple Rain cantata da Prince sotto unacquazzone, va in onda l’incubo di Gros-sman. La rimonta iniziata alla fine del pri-mo tempo da parte dei Colts l’ha demoraliz-zato. Del resto lui è celebre per essere unbuon condottiero con vento di poppa, ma

perde sovente la bussola quando soffia dibolina. In una manciata di minuti collezio-na due passaggi intercettati e due fumbles,le palle perse per i duri contatti degli av-versari. Anche i passaggi completati si rive-lano sempre di scarso respiro. Un quarter-back si giudica sulla capacità di saper scan-nerizzare velocemente il campo, leggendo imovimenti delle difese e le tracce dei rice-vitori che cercano di smarcarsi. Le sceltefatte da Rex in quelle frazioni di secondosono parse sempre titubanti. Alla fine del-la partita i palloni regalati a Indianapolissono stati sette. Tutti da addebitare al regi-sta della squadra.

La brutta prestazione di Grossman è unasconfitta anche per Lovie Smith. Il capoal-lenatore di colore di Chicago durante lastagione era stato spesso criticato per averpuntato sul giovane Rex. In molti chiedeva-no l’avvicendamento con l’esperto BrianGriese, trentadue anni, gia quarterback deiDenver Broncos e una presenza nel ProBowl del 2000.

Piovono rane a Miami sugli Orsi dell’Illi-nois. La Magnolia dei Bears di Chicago

però non redime. Slava i sogni di gloria delcoach di colore Lovie Smith, dell’idolo deitifosi il linebacker Brian Urlacher, dell’uo-mo di linea di difesa Tank Johnson che gio-ca la finalissima con il permesso del giudi-ce, dopo l’arresto per possesso illegale di ar-mi. Ma soprattutto bagna la sconfitta del gio-vane Rex Grossman, 26 anni. Sotto una piog-gia incessante il quarterback di Chicago haannegato la sua voglia di riscatto. Anelavala rivincita dopo aver subito per una stagio-ne giudizi impietosi e irridenti. Gli addettiai lavori l’avevano definito il peggior registaapprodato in una finale di Super Bowl. Nonha retto la pressione psicologica della par-tita della vita. Niente rivincita, ed ora le cri-tiche si fanno più severe.

Di fronte Rex aveva il suo alter ego, Pay-ton Manning. Entrambi figli d’arte di quar-terback. Anche se, rispetto a quella dell’av-versario, la sua è una famiglia meno cele-bre. Il nonno Rex Daniel Grossman I ha gio-

Le orecchie ricucite del Barone di Catania e le mischie che non sono rissepensa a qual è il posto migliore dove pren-derne di più, pensa a qual è il posto miglioredove trovare una mischia, dove correre inmeta, dove potersi fasciare un orecchio,stringere i denti, testa bassa, palla laterale,passaggio, scatto, meta, altro che shopping.

La differenza con il calcio è tutta qui. Pen-si al gol più bello, al più grande di tutti, aquello che ha fatto la storia e pensi a Mara-dona contro l’Inghilterra, pensi a GeorgeWeah contro il Verona, pensi a Ronaldo conil Barcellona, al colpo di testa di Pelé, a Zi-dane nella finale di Champions; pensi a ungol e pensi a un giocatore, ma soltanto a uno,soltanto a lui. Si dice: ricordi quel gol di Ma-radona? Non si dice: ricordi quel gol dell’Ar-gentina. Pensi al gol e pensi al goleador.Pensi alla meta e pensi alla squadra, al pas-saggio, al placcaggio, palla a destra, poi a si-nistra, uno, due, tre, ancora placcaggio, mi-schia, scatto laterale, pochi secondi e pallain meta, altro che touchdown. Pensi allasquadra non al giocatore, pensi agli scattinon allo scatto, alle azioni, non all’azione.Pensi a Gareth Edwards, ai Barbarians epensi agli All Blacks, non a un solo AllBlacks. Pensi ad Andrea Lo Cicero, il Baro-ne come lo chiama Paolo Cecinelli nel librodedicato proprio al pilone catanese (BaldiniCastoldi Dalai, 17.50 euro), pensi a lui manon puoi non pensare anche all’Italia, alloStadio Flaminio, alla squadra, allo spoglia-toio, ai denti spezzati, le orecchie maciulla-te, la mischia, i caschetti, le orecchie ricuci-te dal chirurgo. Come quelle di Andrea.

Andrea Lo Cicero non ha una faccia da at-tore e non ha un fisico per posare su cavallibianchi della Disney, come ha fatto DavidBeckham non appena arrivato negli StatiUniti. Andrea Lo Cicero è un rugbista e ba-sta. Usa la dentiera, usa il caschetto ma nonusa le protezioni. Perché, dice lui, gli uomi-

ni fanno così. Il rugby, dice, non è footballamericano, non è calcio. Quando fai una mi-schia devi sentirlo l’avversario. Ci devi esse-re tu, il tuo petto, la maglietta e i muscoli dichi ti sta davanti. Le imbottiture non servo-no, il materasso non serve. Se prendi un cal-cio quel calcio devi sentirlo bene, devi sen-tirlo dentro lo stomaco. Dice Lo Cicero: “Inuna rissa si entra con la testa, il tuo avversa-rio deve capire che il suo pomeriggio bruttoè appena cominciato”. Le imbottiture a cosaservono? Servono a far finta di non aver pau-ra. I pugni arrivano sempre e tu non sai maidove arrivano prima. Devi accettarli perchépoi finisce lì. Poi si discute, ma senza risse.Palla o avversario, mischia o meta, poi unachiara piccola per tutti, grazie.

Il rugby non è Super Bowl, non è calcio;non ci sono tanti soldi e fino al 1996 i soldinon c’erano proprio. Ora i soldi ci sono, An-drea Lo Cicero non ne guadagna pochi, ha gi-rato l’Europa, gioca da dieci anni in Naziona-le, ha giocato sette volte il “Sei Nazioni” edue volte la Coppa del mondo. Nel 1999 lasua prima volta contro gli All Blacks, cheguai a dire che sono come il Brasile per ilcalcio, gli All Blacks sono gli All Blacks per-ché il Brasile ha la samba e gli All Blackshanno l’“Haka” e l’“Haka” gli All Blacks nonla ballano per divertirsi, l’“Haka” è il ballodella distruzione, della morte dell’avversa-rio. Andrea ci gioca con gli All Blacks, primapartita 101 a 3, seconda 53 a 23. Va in metaanche Lo Cicero, Lo Cicero va in meta quasisempre, è andato in meta anche sabato scor-so con la Francia, magari andrà in meta an-che sabato contro l’Inghilterra. Va in metalui, ma la meta che si ricorda è quella dell’I-talia, non di Lo Cicero.

Nel rugby capita che si giochi anche una,due volte alla settimana. Si gioca tanto manon c’è nessuno che si lamenta, nessuno che

dice non ho tempo di allenarmi, non ho tem-po per preparare la partita. Nel rugby gio-chi e non hai paura di essere squalificato,non esci prima dalla partita perché mister,ho una fitta alla coscia.

I quindici anni di Andrea Lo Cicero eccoliqui: cinquantacinque punti in testa, ventunosolo a un orecchio, sei dita spezzate, quattrocostole rotte, un gomito uscito fuori, spallelussate, una clavicola rotta, distorsioni, colla-terale, sublussazione al ginocchio, ma Lo Ci-cero non ha mai chiesto un cambio. Una vol-ta sola ha chiesto di non giocare, ma non eraun cambio. E’ successo tre anni fa. Andreaera depresso. Giocava al Tolosa, si rompe unginocchio come lo zio, come lo zio torna a gio-care, arriva fino alla fine della stagione, nuo-vo contratto, poi la depressione. Per un po’,dice, basta rugby. Poi arriva la chiamata inNazionale, lui va, il Tolosa non vuole, la Na-zionale dice non ti preoccupare, Lo Ciceronon si preoccupa, la Nazionale non risolve ilproblema, il Tolosa lo caccia, Lo Cicero gio-ca, entra in depressione. Poi ritorna. Ritornae gioca proprio lì, la sua prima gara la rigio-ca in Francia. Il pubblico lo applaude, nes-sun fischio. Ora Andrea è guarito. Gioca al-l’Aquila dopo essere stato a Catania, in Fran-cia, a Roma. E’ un pilone, un uomo di mi-schia, lancia i compagni, ma va anche in me-ta. Come Gareth Edwards, che giocava neiBarbarians, una squadra non come le altre.Nei Barbarians non si può chiedere di entra-re, non ci sono contratti e neanche ingaggi;l’invito arriva per posta e non ricevi un euro.E’ solo un onore, devi essere bravo, potentema non diventi ricco. Devi essere solo bravo,non c’è bisogno che tu vada sui cavalli bian-chi. I Barbarians sono stati fondati nel 1890,da allora sono arrivati più o meno duemilagiocatori, da 25 paesi. Li chiamano i baa-baas. Lo Cicero ci gioca da tre mesi.

Lo zio aveva una gamba spezzata. Ginocchioe menisco e rugby mai più, dicevano gli al-

tri. Andrea era lì e lo guardava. Sei un pilone,tu sei un pilone, gli diceva lo zio. Andrea ave-va appena iniziato agiocare a Catania. Adiciassette anni laNazionale minore,ora quella maggiore,sabato scorso ancorail Sei Nazioni. Lo zioaveva ricominciatosubito con il rugbyperché il rugby, ripe-teva lo zio, non hatempo da perderecon i menischi e conle gambe spezzate.Passano pochi anni, lo zio smette, dei due LoCicero resta soltanto il nipote. Resta Andrea,e non è poco.

Andrea Lo Cicero, ora, ha trent’anni, è unodei rugbisti più famosi d’Italia, non ama il Su-per Bowl e sabato scorso ha perso con la Na-zionale la prima gara dell’anno. Ma capita, nelrugby capita spesso, all’Italia capita un po’troppo spesso, però mai un fischio, mai unacontestazione. Si gioca, poi si perde, ma non siprotesta. A fine gara, nel rugby, si applaude, siesulta, si piange, poi i tifosi bevono insiemecon i poliziotti, gli italiani con i francesi, ifrancesi con gli scozzesi, i catanesi con i paler-mitani. Niente risse in campo e niente rissefuori. La rissa, se proprio arriva, sul prato sichiama mischia. Il rugby è così, non è come ilcalcio. Se giochi a rugby non cambi squadraperché tua moglie ti dice tesoro andiamo aLondra i nostri figli devono imparare l’ingle-se, oppure tesoro andiamo a Milano, con tut-te quelle sfilate, oppure, amore mio andiamoa Madrid, sai che shopping che si fa laggiù.Nel rugby è un po’ diverso. Chi gioca a rugby

Peyton Manning, al centro, è il quarterback di Indianapolis (foto Reuters). A destra “El Niño” Sergio Garcia

Adesso che c’èscappato un nuovomorto c’è una fatica

ulteriore da sostenere: non aggiungere stu-pidità a stupidità. Come? Per esempio evi-tando di moraleggiare su Catania raffigu-randola come l’ingresso di un nuovo infer-no sociale, fumante di violenza come l’Et-na che la sovrasta. Perché qualcuno ci stagià provando e con ogni probabilità è lostesso che un giorno non lontano, con iden-tica e stolida enfasi, aveva rappresentatola città etnea come un mondo fichissimo epieno di giovani per bene e di locali allamoda dove suonano i gruppi musicali piùpromettenti della scena italiana. Un “pic-colo paradiso” o una “grande eccezione” evia a salire nella scala emotiva della sem-plificazione un po’ bigotta. Non era quellala vera Catania come non lo è questa nellaquale è morto un poliziotto. I delinquentiche lo hanno ammazzato c’erano da prima,come c’è da sempre uno stato che parla diprevenzione quando non sa più reprimere.

ULTIMO STADIOdi Alessandro Giuli

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ANNO XII NUMERO 32 - PAG II IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 7 FEBBRAIO 2007

di Marco Ferrante

Lunedì a Washington Giulio Tremon-ti ha presieduto un convegno inter-

nazionale dell’Aspen Institute sull’e-nergia sicura e la sfida per un futuro so-stenibile, chiuso dal capo della bancamondiale Paul Wolfowitz. La questioneambientale è uno dei temi su cui Tre-monti ritiene che si riorganizzerà la po-larizzazione delle forze politiche neiprossimi anni. Pensa che per le forze didestra l’ambiente sarà una delle occa-sioni per elaborare una visione politi-ca. In una lunga conversazione con ilFoglio, in cui si analizzano alcuniaspetti del tremontismo – dalla criticaalla globalizzazione all’analisi dello sta-to criminogeno – Tremonti spiega alcu-ne posizioni, la sua azione di governo,ragiona sull’andamento della spesapubblica nella scorsa legislatura. Di-fende la sua posizione antiglobal fattadi dazi e quote europee e di lotta alleregole suicide che l’Europa fabbricacontro se stessa. Nega, invece, di esseremai stato interventista in economia, di-ce che quella del colbertismo è una vul-gata, e spiega, per esempio, che la Cas-sa depositi e prestiti serviva solo comestrumento tecnico per avviare il pro-cesso di privatizzazione di alcune par-tecipazioni dello stato e per finanziareopere pubbliche. Dalla Cassa depositie prestiti nasce il fondo infrastruttura-le F2I, avviato lo scorso anno, di cui sidiscute in questi giorni. Tremonti spie-ga che la cultura del nuovo interventopubblico – attribuita dagli osservatori aRomano Prodi – è fuori dallo schemada lui immaginato quando era ministro.

La conversazione con Tremonti par-te da una domanda. I suoi interventi, ilibri, le interviste, suscitano una que-stione: che cos’è Tremonti, un liberale,un liberal socialista, altro ancora? Di-ce: “E’ una domanda evidentementebasata su categorie novecentesche, etuttavia essendo nato nel Novecento ri-spondo: liberale. Ma essendo nato li-berale e avendo una qualche espe-rienza empirica del mercato non faccio

gli errori di chi non è nato liberale enon conosce il mercato. Il mercato nonè assenza di regole, non è solo spiritianimali ottimali, è basato sulle regole,sulla parità delle condizioni, sulla pro-porzionalità delle situazioni. Il merca-to non esclude, ma spesso anzi presup-pone anche le ragioni generali dell’in-teresse pubblico. Per esempio, c’è nel-l’assetto mondiale del mercato lo squi-librio tra aree del mondo che hannotroppe regole (e che in modo suicidane applicano di sempre nuove, unila-teralmente) e aree del mondo che han-no zero regole. Voglio ricordare che leregole utili sono un investimento, quel-le inutili – ora tanto di moda in Europa– sono invece un costo che spiazza. Inquesti termini la parità delle regolenon mi sembra contro i principi libe-rali o contro il mercato. Direi l’oppo-

sto”. Tremonti ha coniato il terminemercatismo un anno e mezzo fa, in unlibro intitolato “Rischi fatali”. Defini-sce così l’espressione: “Il mercatismo èil trasferimento nel campo del merca-to – e dell’applicazione alle meccani-che di sviluppo del mercato – di un’i-deologia dogmatica e assoluta”. Conti-nua: “Tanto erano dogmatici i comuni-sti quando erano comunisti, così sonodogmatici oggi avendo trasferito i loropenati da Mosca a Londra e a Bruxel-les. Cioè: il mercatismo non è né unavariante del liberalismo né una va-riante del comunismo, è un modo dipensare e agire. E’ come se la culturacomunista avesse depositato un uovonella cultura liberale”.

A volte i suoi ragionamenti entranoin frizione con lo schema dell’ottimi-smo liberale classico. In “Rischi fatali”c’è un passaggio in cui sembra paven-tare la supremazia di un uomo costrui-to sull’unica misura del consumo, e l’af-fermazione di un mondo dove “i vecchisimboli civili e morali sono sostituitidalle icone e dalle immagini commer-ciali. Per cui i jeans e le scarpe sonouna divisa e le divise un sostituto del-l’anima, per cui il turismo sublima l’av-ventura umana e la musica metallicaspiritualizza l’esistente, i concerti la co-munità”. Una visione che appare tradi-zionalista. O altermondialista.

“Le mutazioni intervenute nellastruttura dell’esistente e la cascata difenomeni che accelera dopo il big bangdel 1989, tutto ciò ha una dinamicastrutturale che si definisce in scala suigrandi numeri, sulle curve storiche.Non tutta la realtà sta nel pil, così co-me non tutto quello che è nuovo è perdefinizione positivo. Fermare la globa-lizzazione è impossibile, ma distrugge-re l’identità è folle. Sul lungo periodotroveranno equilibrio pezzi di passatoe di presente”. Non crede che nella de-clinazione occidentale del sentimentoantiglobalizzazione vi sia un elementonostalgico di estetismo dei ricchi?“Certo si vedono in giro forme di radi-calizzazione estetica fondamentalista,ma sono essenzialmente presenti a si-nistra, vecchi cashmire e Relais & Cha-teau. Ciò premesso, credo che la veranostalgia del tempo andato, che va dal-le tradizioni alle stagioni, è fortementeinterclassista, e ciascuno di noi, dun-que, un po’ la vive”.

Le mutazioni in atto condizionano lecategorie politiche novecentesche. Tre-monti ritiene che la destra abbia unvantaggio rispetto alla sinistra. Dice:“Se la realtà cambia anche la politicadeve cambiare. Se la politica resta fer-ma, prima o poi sarà la realtà a venirea cambiarla. Il Novecento ha avuto unaaltissima intensità ideologica, ma è fi-nito. Si apre una nuova fase ideologicache si basa sul reset delle vecchie ideo-logie. E’ una fase che apre una prospet-tiva di crisi a sinistra e offre una chan-ce di successo alla destra. A sinistra lacrisi è evidente, non solo nel pensierodebole, ma soprattutto nella crisi delgovernismo. Per governismo intendo l’i-dentificazione della politica con la spe-sa pubblica: governo per spendere,spendo dunque governo. Nell’ultimomezzo secolo la sinistra si è identifica-ta con il governo, e il governo si è iden-tificato con la spesa pubblica fatta in

deficit. E’ la fine storica del deficitspending che ha causato la crisi politi-ca della sinistra governista. Basta guar-dare la Finanziaria di Prodi. Continuacon la vecchia tecnica della spesa pub-blica. La novità è che non la finanziapiù con il deficit spending ma con nuo-ve tasse. Questa strategia è politica-mente suicida perché produce dissen-so in misura superiore al consenso.Fuori dalla catena di governo non sonoemersi principi, valori e idee capaci diprendere il cuore e la mente dei popo-li, solo pensiero debole. A sinistra sec’è un futuro è solo per la sinistra anta-gonista. Mi sembra che siano i soli chepotranno arare il campo, tenendo l’ara-tro con il fuoco nella mente. Diversa-mente la destra ha una chance per ela-borare dottrine, principi, idee e simbo-li nuovi e superiori a quelli della sini-stra. Un esempio, è quello della politi-ca ambientale. Per l’analisi da sinistral’ambientalismo è scritto su un seg-mento corto che va dall’invettiva anti-capitalista a un’idea pagana e panteistadella natura. La nostra nuova filosofiapolitica può e deve essere sviluppata suuna curva politica molto più lunga: con-tenere la dimensione dell’uomo, il rap-porto dell’uomo con la natura, la fidu-cia in un’evoluzione progressiva dellascienza. La globalizzazione non è solocausa di squilibri economici e sociali,ma è anche causa di crescenti rischiambientali. A sinistra non c’è solo il pa-ganesimo ambientale, c’è certo anche ilpensiero mercatista. Ma il mercatismonon ha gli strumenti per l’analisi sul-

l’ambiente, perché conosce solo un pa-radigma, il pil”.

L’analisi sviluppata in “Rischi fata-li” misura la potenza cinese, così comesi manifesta oggi, con la sua intensità,flessibilità, dinamicità, forza lavoro inquantità. C’è la possibilità che, peresempio sotto la pressione delle ri-vendicazioni sindacali, o a causa del-l’insorgere di processi politici, difficil-mente controllabili a causa delle di-mensioni della popolazione, venganomeno i vantaggi competitivi su cui og-gi la Cina può contare? “Da zero a cen-to non si possono escludere ipotesi dicrisi che rompono lo sviluppo espo-nenziale, ma da zero a cento è difficilemisurarle in una scala di probabilità.Non escludo ipotesi di crisi, che po-trebbero essere di due tipi, politica edemografica. Quanto a una crisi politi-ca – cioè tipo Tien an mem – la mia va-lutazione è che sia un’ipotesi molto in-fluenzata dall’idea occidentale di de-mocrazia. La mia impressione è che lastruttura della società e le strutturepolitiche cinesi siano invece forte-mente condizionate dalla disciplinaconfuciana. Da una disciplina che senon può sostituire automaticamente lademocrazia, comunque assorbe e ordi-na le tensioni. Quanto all’ipotesi di cri-si demografica, essa ha un’evidenzanei grandi numeri. La politica demo-grafica fatta nei decenni passati – il fi-glio unico – accompagna l’invecchia-mento della popolazione con una mag-gioranza preponderante dei maschisulle femmine. Il problema demogra-

fico è evidente a chi governa la Cina.Ricordo la frase di un leader del pae-se che diceva: non vogliamo diventarevecchi prima di essere diventati ric-chi. Resta il fatto che la Cina è un pae-se duale. Nell’area esterna evoluta, in-dustriale, questo profilo demograficonon produrrà effetti traumatici, a bre-ve – da noi, peraltro, la situazione nonè diversa. E’ nella Cina rurale e

profonda che si può manifestare unacrisi sociale. Le economie rurali si ba-sano sulle braccia”.

La globalizzazione – soprattutto acausa della concorrenza asiatica – hamutato la fisionomia industriale di unaparte d’Europa. Per esempio, in Italianegli ultimi anni ha decretato la scom-parsa di imprese con produzioni a bas-so valore aggiunto. Ma sembrerebbeche alla crisi vi sia stata una reazione.C’è un processo di ristrutturazione inatto, come indicano tre trimestri con-secutivi di crescita della produzioneindustriale italiana. “Se cresce al 2 percento un paese qualsiasi è un fatto eco-nomico, se cresce tra il 9 e il 10 percento l’economia di paesi che hannopiù di un miliardo di abitanti è un fat-to politico. Vuol dire che sta cambian-do la velocità del mondo. Ho comincia-

to a scrivere queste cose a partire dal1994. In una dimensione globale, conti-nuo a pensare che la mia visione fossee sia corretta. Ho chiesto da una partedazi e quote europee, dall’altra unamoratoria sulla produzione delle rego-le che l’Europa fabbrica contro se stes-sa. Sul caso Europa continuerò a soste-nere queste tesi a prescindere dalla si-tuazione economica congiunturale. At-tualizziamo. Prendiamo l’energia: noicostruiamo il mercato perfetto Europasu Europa. Ma intorno all’Europa si co-struisce il monopolio perfetto. Scam-biamo Gazprom per una normale cor-poration, ma Gazprom non è una nor-male corporation, semmai una com-pany nel senso storico e originario deltermine, qualcosa di simile a una nuo-va Compagnia delle Indie, strumentoche combina imperialismo e mercanti-lismo”. E’ un ragionamento che ha giàsvolto nei giorni scorsi. Aggiunge: “Imercatisti ragionano in astratto. Pen-sano che il corso del mercato possa svi-lupparsi comunque linearmente e re-golarmente, semmai con un interventodell’antitrust che scrive a Gazprom unalettera di questo tenore: ‘Signori, viinformiamo che in base a notizie in no-stro possesso avete superato la quotadi mercato consentita e avete sessantagiorni per risponderci’. Credo che met-tere in evidenza questa realtà sia per-fettamente compatibile con il pensieroliberale classico”. Ha anche in mentedelle soluzioni in merito? “Le espri-merò quando torniamo al governo. Du-bito comunque che si possa proporre

Il mercato non è assenza diregole, non è solo spiriti animali, èbasato sulla parità di condizioni esulla proporzionalità delle situazioni

Il mercatismo è il nuovodogmatismo, è come se l’ideologiacomunista avesse depositato unuovo nella cultura liberale

COLBERTISTA SARÀ LECina, mercato, Europa, guerra, tasse e spesa pubb

Giulio Tremonti - Le immagini di queste pagine sono foto Ansa

GIULIO TREMONTI è nato a Sondrio nel 1947. Ha fatto il liceo classico Piazzi diSondrio, lo stesso di Palmiro Togliatti e Francesco Forte. L’università l’ha fatta a Pa-via, in uno dei quattro collegi storici della città, Ghisleri, Cairoli, Borromeo e Frac-caro. Il suo era il Fraccaro. Studi giuricidi, per la tesi ha frequentato l’Istituto di fi-nanza fondato da Benvenuto Griziotti, che aveva come caratteristica una posizioneculturale intermedia tra economia e diritto: quel tipo di formazione definita dagli in-glesi cultura istituzionale. Nella sostanza, un misto di visione politica e di concretacapacità tecnica, una tradizione che in Italia non si è formata solo a Pavia: va da En-rico Cuccia, a Guido Carli, da Bruno Visentini a Beniamino Andreatta fino a Giulia-no Amato. Il maestro di Tremonti fu Gian Antonio Micheli che era succeduto a Ca-lamandrei nella cattedra di Diritto processuale civile a Firenze.

I collegi di Pavia sono istituzione complessa, fabbrica di classe dirigente, con unelemento elitario: lo studio viene considerato, cioè, fattore di promozione personalee di progresso. Tremonti, di famiglia liberale, si avvicina alle idee socialiste dopo l’u-niversità, durante il servizio militare prestato come soldato semplice. Nella primametà degli anni Settanta, ventisettenne, diventa professore universitario. Alla finedegli anni Settanta comincia a fare attività professionale, in una società di consu-lenza e revisione internazionale dove impara l’economia moderna. A partire dagli an-ni Ottanta si avvicina alla politica. Comincia a collaborare per il Corriere della Serachiamato da Piero Ostellino (collaborerà dal 1984 al 1994) e a scrivere libri politiciper il Mulino, Laterza e Mondadori. Nell’estate del 1993 partecipa alla fase di riorga-nizzazione del quadro politico dopo Mani pulite. Entra nel Patto Segni, viene elettoalla Camera e quando si tratta di decidere l’atteggiamento da tenere con Berlusconi,Tremonti spinge perché il cartello giscardiano promosso da Segni non voti contro,ma si astenga. Il patto si sfalda, perché inizia il bipolarismo. Tremonti si avvicina aBerlusconi. Parlamentare dal 1994, è stato ministro delle Finanze nel primo Berlu-sconi, ministro dell’Economia nel secondo, vicepresidente del Consiglio e ministrodell’Economia nel terzo. Attualmente è professore ordinario presso la facoltà di Giu-risprudenza a Pavia. E’ stato visiting professor a Oxford. E’ presidente dell’Aspen In-stitute Italia. Ha inventato il meccanismo dell’otto per mille. Tiene a far sapere – vi-sto che qualche volta lo legge sui giornali – che non ha fatto il Sessantotto, che nonha scritto il programma fiscale della Rete (ma ringrazia Leoluca Orlando per unacolazione), e che sul Manifesto ha scritto solo due articoli, non politici ma tecnici.Uno critico verso l’operazione di acquisizione della Buitoni da parte di Carlo De Be-nedetti, l’altro contro la politica fiscale di Bruno Visentini. A quel tempo, non c’eraaltro giornale che gli consentisse di farlo e, comunque, resta grato per l’ospitalità.

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alla Russia uno spezzatino Gazpromsul modello domestico dello spezzatinoEnel. A quelli che mi considerano col-bertista, dico che l’alternativa non è tracolbertismo e liberalismo (tra l’altro ilcolbertismo starebbe dalla parte rus-sa), ma tra astrattismo e realismo”.

Il tema è quello del rapporto tra eco-nomia e politica in una fase di transi-zione. In Europa quanto possono fare igoverni e quanto le economie reali? Di-ce Tremonti: “Ancora mezzo secolo fa ivecchi stati facevano una parte impor-tante dell’economia. Se erano stati au-toritari una parte fondamentale. Ades-so i governi non fanno l’economia, l’e-conomia la fa l’economia. I governi na-zionali possono fare solo due cose: ga-rantire la stabilità sociale e finanziaria,e fare la piattaforma su cui si sviluppa-no economia, lavoro, banche, società,credito, fisco”. Poi c’è l’Europa. “Mancaancora la politica, se ci fosse la politica,per esempio la spesa militare concen-trata a livello comunitario, potrebbeprodurre due effetti essenziali: produr-re identità europea, fare da leva allosviluppo industriale”.

Tremonti di solito parla poco di Sta-ti Uniti e anche nei suoi libri ne scrivepochissimo. Spiega: “Sono profonda-mente europeo e non cerco per forzaparadigmi esterni. Certamente amol’America, ma molti parlano fin troppodell’America forse per far dimenticarequanto piaceva loro la Russia. E’ perquesto che c’è da noi una forma di ido-latria americana. Lo si vede per esem-pio nella retorica sul Partito democra-

tico”. In una recente intervista del di-cembre 2006 ha pronunciato questafrase: la guerra in Iraq dimostra che ilmercato non è il passepartout per lademocrazia. “Lo confermo: la demo-crazia non è una commodity che si puòesportare. Per esportare una merce – aproposito uso il linguaggio mercatista –non basta l’offerta ci vuole anche la do-manda. Solo trent’anni fa in Europa le

democrazie erano più eccezione cheregola: erano fuori dalla democraziaSpagna, Portogallo, Grecia, mezza Ger-mania e tutti i paesi dell’est. Ancorasessant’anni fa noi eravamo nella bar-barie meccanizzata del nazismo. La de-mocrazia non si riduce alla meccanicaelettorale, si basa su elaborazioni piùcomplesse, non si esporta e non si tra-pianta di colpo. Nel mondo arabo ilprofilo dell’evoluzione può essere soloquello della lunga durata”. Lei ha an-che sostenuto che l’Europa è politica-mente inerte? Significa che però sa-rebbe disposto a considerare la guerraun’opzione culturale ed economica?“Francamente no. L’Europa ha fatto edesportato fin troppe guerre. Oggi in Eu-ropa, l’opzione della guerra come ma-trice di identità o come matrice di svi-luppo non mi pare immaginabile. Cre-

do che la difesa dell’identità dell’Eu-ropa non possa passare per soluzioniapocalittiche”.

* * *

Il secondo capitolo di questa conver-sazione verte sulla politica italiana esulla politica economica. Nel 1997 Giu-lio Tremonti scrisse un libro intitolato“Lo Stato criminogeno”. Nell’analisisullo stato criminogeno c’era un’intui-zione felice del tutto minoritaria – per-ché erroneamente considerata laterale– nel dibattito politico italiano. E cioèche la crisi politica del 1992-93 non fuuna crisi giudiziaria, se non nella faseterminale. Nacque soprattutto dall’a-buso della spesa pubblica fatta in debi-to. “Il libro sullo Stato criminogeno èessenzialmente un libro di diritto. Sul-la fenomenologia giuridica, sull’orgialegislativa, sulla bulimia legislativa, suimeccanismi di potere che si sviluppanoin queste forme. La moltiplicazionedelle regole come moltiplicazione delpotere politico e alla fine anche comecorruzione del sistema politico. Tacito:‘Plurimae leges, corruptissima res pu-blica’. In questa analisi c’è un capitolosul debito pubblico. I debiti pubblicinon sono fatti finanziari, sono fatti poli-tici. Sostenevo che la vita politica ita-liana è divisa in due fasi, quella tra il1948 e il 1971 e quella tra il 1971 e il1992. Fino all’inizio degli anni Settantal’Italia non ha debito pubblico, e la spe-sa è dunque davvero basata sul princi-pio ‘no taxation, without representa-

tion’. Per conseguenza sulla spesa pub-blica c’era un reale controllo democra-tico. In questi termini la vita politicaitaliana è sana. Poi si rompe il mecca-nismo. Per migliorare la condizione so-ciale delle masse si parte con il deficitspending. Il paese era in fase di poten-ziale crisi sociale. E’ il panorama chePasolini descrive parlando delle luc-ciole scomparse. Su questo impianto siinnesca una logica perversa, perché do-po la guerra del Kippur si alzano i tas-si, inizia un fortissimo ciclo di inflazio-ne, ma soprattutto è il meccanismo po-litico e partitico che prende il soprav-vento sfruttando la leva gratuita del de-bito pubblico: più spendi, più voti pren-di; peggio spendi, più preferenze pren-di. Si alza la curva del debito e anche lacurva delle leggi, che aumentano. Se-gno della presenza crescente dello sta-to. Ciò origina un ambiente oggettiva-mente criminogeno. Emerge una classepolitica che sviluppa i suoi progetti inassenza dei vincoli imposti dalla realtà.In un regime di spesa e di azione pub-blica finanziati a debito non ci sono li-miti e non c’è responsabilità. Non è unproblema finanziario, è un modo dipensare. Una gran parte del nostro ce-to politico, ancora attivo, si è formata inquel tipo di ambiente e continua a ra-gionare nello stesso modo”.

Prosegue Tremonti: “Alla fine lacambiale è venuta a scadenza. L’inso-stenibilità del debito ha innescato unprocesso di reazione irreversibile. Lapolitica ha dovuto fare ricorso alle tas-se, e il popolo si è rivoltato. E’ solo in

questo momento che interviene la ma-gistratura. Adesso le cose sono moltodiverse. Un conto è governare facendodebito pubblico, altro conto è governa-re avendo un debito pubblico eccessi-vo”. C’è continuità tra la visione del-l’autore de “Lo stato criminogeno”, ilsostenitore della necessità di ridurre lapresenza dello stato, e l’esperienza digoverno in cui da una parte, a un certopunto, sembra diventare interventistain economia (colbertista), e dall’altra,riesce sì a intervenire sulle tasse, con itagli all’Irpef, ma non sulla spesa pub-blica? “La questione del mio interven-tismo in economia è una vulgata. Tuttonasceva dal fatto che avevo compratoun libro su Colbert, notato sulla miascrivania da persone forse un po’ trop-po curiose e fantasiose”. Il colbertismodi Tremonti viene tirato in ballo in que-sti giorni sulla questione della Cassadepositi e prestiti come strumento dineointerventismo statale. “L’Europa –dice – è piena di Casse depositi e pre-stiti che operano sul mercato, strumen-ti misti tra pubblico e privato. La nostraCassa depositi e prestiti era totalmentestatale, l’ho trasformata in società perazioni, l’ho messa fuori dal perimetrodella pubblica amministrazione, ho fat-to entrare soci privati, con un obiettivo:privatizzare le Poste. Giusto o sbagliatoche fosse, questo era il mio disegno. Lastoria delle privatizzazioni italiane èuna storia lunga che passa per fasi, pri-ma la trasformazione da enti pubbliciin società per azioni, poi la progressivaimmissione degli asset sul mercato.Questo era il mio disegno e non mi pa-re un disegno interventista. Tutto quel-lo che sta facendo il governo Prodi oche si sospetta voglia fare il governoProdi è fuori da questo schema e co-munque fuori dal mio disegno”. Ci fuun progetto attribuito a Tremonti e albanchiere Guido Roberto Vitale relati-vo a un intervento pubblico in Fiat.“Durante la crisi della Fiat dall’internodell’azienda e dall’esterno si sono mos-si molti operatori, sono stati prodotti esviluppati molti piani. Il governo li haricevuti, non li ha mai sponsorizzati,non li ha mai realizzati. E’ stato un be-ne per la Fiat, un bene per il paese eanche per il governo”. Quanto alla que-stione della spesa pubblica, Tremontiosserva che nella congiuntura in cui sitrovò a operare il governo Berlusconi,l’incremento della spesa non fu unascelta: “Non crebbe la spesa in valoriassoluti, ma in valori relativi, a causadel pil basso. La crescita della spesapubblica è rappresentata in rapporto alpil, il prodotto interno lordo. Se il de-nominatore resta fermo, il numeratorecresce automaticamente. Se il pil stafermo, non puoi dire alla gente: non tipago la pensione, non ti do le medicine,oppure non ti pago lo stipendio e nononoro debiti pregressi perché mi man-ca il pil. Se lo fai crei situazioni di crisisociale ed economica e quindi non mi-gliori ma aggravi la situazione. Ci furo-no tre voci complicate. Cominciamocon il pubblico impiego. Non ho sotto-scritto il rinnovo dei contratti fatto nel2002, ero assente da Roma per ragionigravi. Se fossi stato a Roma sarebbe an-data diversamente. Ovviamente me neassumo comunque la responsabilità po-litica. Lo stesso vale per l’ulteriore rin-novo: non ero al governo. Spese e con-sumi intermedi: il primo esperimentodi taglio fatto con la prima Finanziariafu oggettivamente eccessivo. Tarato sul-le grandi dimensioni, penalizzò ecces-sivamente i piccoli fornitori. L’aggiu-stamento successivo ha creato un effet-to di rimbalzo sulla spesa pubblica. In-fine, con la Finanziaria 2006, le cose so-no state messe in linea. La terza voce èquella delle pensioni di invalidità. E’

vero: è cresciuta enormemente fuori daogni possibile controllo da parte del go-verno centrale per effetto del Titolo Vche ha dato alle regioni facoltà di spen-dere senza il dovere di prendere con letasse i soldi necessari”.

Era possibile cominciare la riformafiscale nel primo anno della legislatu-ra? “Nel 2001 il deficit italiano non eraallo 0,8 per cento come ipotizzato dalcentrosinistra. Secondo la Banca d’Ita-lia era al 2,9. L’Europa lo certificò al 3,2.La riforma fiscale ci avrebbe portato dicolpo al 5 per cento. In queste condi-zioni l’Italia sarebbe stato il primogrande paese europeo a prenderel’early warning con effetti disastrosiper un governo come il nostro, un po’sotto osservazione. La nostra strategia èstata quella di tenerci sotto il 3 per cen-

to, mandando invece in fuori gioco perprimi Francia e Germania”. Come giu-dica a distanza di quattro anni la lineasulle sanzioni contro Francia e Germa-nia? “La linea fondamentalista era: ilPatto è stupido ma va applicato, se nosalta tutto. Insomma: prima le sanzionie poi la revisione. A distanza di tempopossiamo notare che la nostra sceltapolitica è stata più intelligente. Il cicloeconomico è ripartito, Germania eFrancia sono rientare nei parametri, inparallelo il Patto è stato riscritto. E inquesti nuovi termini niente è saltato.Sono stati più europeisti ‘gli europeisti’o siamo più europeisti noi?”.

* * *

La terza questione che affrontiamocon Tremonti riguarda il suo rapportocon il potere, sia rispetto alla politica,sia rispetto ai soggetti economici. Checosa si considera, un leader politico,un uomo di partito, un uomo di gover-no? “Fino a qualche tempo fa, avreidetto che mi considero un professore,adesso non sono soltanto un professo-re… Per gli sviluppi, ci vediamo tracinque anni”. Tremonti ha le caratteri-stiche del solista di talento, una dellespecificità della destra italiana, unaclasse dirigente frammentaria e indi-viduale: nel complesso un certo nume-ro di grandi anomali e di singole per-sonalità. Osserva: “In parte è vero.Però la mia parabola politica non tuttaascendente – la fase dell’esclusione dalgoverno, per esempio – mi ha insegna-to che la politica non si fa da soli, cheservono da una parte umiltà, dall’altrail lavoro insieme con gli altri. Adessosto lavorando dentro Forza Italia e congli alleati di Forza Italia e credo di fa-re abbastanza bene questo nuovo me-stiere”. Come si immagina il futuro delcentrodestra? “L’ipotesi alla quale la-voro è la federazione. Identità e unità.Mi sembra il miglior punto di media-zione tra le singole realtà”.

Tremonti è un caso di difficile inter-pretazione rispetto al rapporto con leélite. Dunque: visione intellettuale ari-

stocratica, estrazione sociale borghese,cultura istituzionale maturata presto –diventa professore universitario a me-no di trent’anni e poi c’è l’esperienza alministero delle Finanze – infine rela-zioni professionali nell’establishmenteconomico finanziario, ma anche unaspecie di spirito popolare che nelloschema classico italiano a quell’esta-blishment lo contrappone. Può spiega-re come stanno veramente le cose?“Credo di avere ormai più relazioni in-ternazionali che nazionali. Diciamo chedell’establishment valuto più positiva-mente quelli che lavorano di quelli chepensano o dicono di pensare”. Tremon-ti non interviene quasi mai sugli scon-tri di potere economico e finanziario.Fu il promotore della battaglia – inprincipio solitaria – contro Antonio Fa-zio (i cui risultati, una forma di libera-lizzazione implicita, si sono visti quan-do Fazio è andato via con una ondata dinuove concentrazioni in pochi mesi:Abn-Antonveneta, Bnp-Bnl, Intesa-San-Paolo, Lombarda-Popolari Unite, Po-polare di Verona e Novara-Popolareitaliana, Veneto Banca-Popolare di In-tra). Ma non è uno di quei politici che sipongono l’obiettivo di riformare a tavo-lino il capitalismo italiano. Perché?“Perché come ho premesso credo di co-noscere le strutture reali del mercato,nella sua forza e nella sua debolezza.Comunque la battaglia contro la vec-chia Banca d’Italia non è stata una bat-taglia intellettuale, non è stata un con-flitto sugli interessi, fu una battaglia po-litica pura. Gli effetti che si sono pro-dotti sul mercato sono stati un prodottodel mercato stesso, la politica si è limi-tata a crearne le condizioni”. Per il re-sto Tremonti non fa commenti: né sullavasta offensiva di Giovanni Bazoli, cheha una sponda naturale di rapporti e dicultura economica in Romano Prodi,né sulla visione alternativa di CesareGeronzi, né sui propositi di mediazionedi Massimo D’Alema, e neppure sulloscontro senza quartiere intorno a Tele-com, Generali e Rcs. Solo del Corrieredella Sera parla concisamente. Dice:“Non so se sia così strategico politica-mente. Per me è il Corriere. Alla finedegli anni Ottanta mi chiesero di pas-sare a scrivere per un altro giornale.Dissi grazie no, perché è il giornale chesi legge nella mia città e nella mia fa-miglia”. Un modo sentimentale (e tra-dizionalista) per dire no comment.

Non so se il Corriere sia cosìstrategico politicamente. E’ ilCorriere. E’ il giornale che si leggenella mia città e nella mia famiglia

I governi non fanno l’economia,l’economia la fa l’economia. Igoverni possono solo garantire lastabilità sociale e finanziaria

Col nostro governo la spesapubblica non crebbe in terminiassoluti, ma crebbe in valori relativirispetto al pil, che restava fermo

EI, IO SONO TREMONTIblica. Proposte, spiegazioni e qualche ammissione

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(segue dalla prima pagina) Lo spiega lui stesso inun libro del 2003 (“La Médecine sans lecorps”, Plon). Dove analizza la pervasivitàdi una Medicina maiuscola e potente, chetutto pretende di indagare, curare, preve-nire, ma che può anche minacciare, puni-re, disumanizzare chi non le si affida in to-to. Di questa medicina nemica dell’uomoSicard ha fatto nel 2005 personale, terribi-le esperienza. In quell’anno, infatti, la pri-ma delle sue tre figlie, Oriane Shevin, av-vocato trentaquattrenne sposata con unamericano, madre di due figli e incinta diun terzo, è morta in California nel giro dipoche ore, a causa di un’infezione fulmi-nante provocata dal batterio Clostridiumsordellii, dopo aver assunto la pillola abor-tiva Ru486. Di quel lutto e della pericolo-sità dell’aborto chimico, spacciato per fa-

cile e sicuro e garantito come tale anchedal Comitato da lui presieduto, Sicard nonha scritto nulla sui giornali del propriopaese, probabilmente perché non è riusci-to a superare la barriera protettiva attornoa un brevetto farmacologico tutto francese.Ha scritto però, senza citare in nessun mo-do la vicenda personale, agli Annals ofPharmacotherapy e al New England Jour-nal of Medicine, per sollecitare, con freddeargomentazioni scientifiche, la prescrizio-ne obbligatoria di antibiotici per tutte ledonne che abortiscono con la Ru486.

Verrebbe ora da chiedersi quanto abbia-no pesato le circostanze della perdita dellafiglia nelle recenti prese di posizione di Di-dier Sicard, se non fosse che, come si dice-va all’inizio, il professore non è nuovo allapolitica dello spiazzamento. Per i trent’anni

della legge Veil sull’interruzione volontariadi gravidanza, per esempio – un’altra gloriafrancese esportata in larga parte d’Europa– pur ribadendo che “tutti i discorsi pro-lifesono insopportabili per stupidità e cecità”,ha anche detto che “220.000 aborti in un an-no (quelli che continuano a esserci in Fran-cia, senza nessuna diminuzione in tre de-cenni, ndr) sono una ferita collettiva moltopiù importante di quanto non si creda”. Eha aggiunto: “Tutto, in apparenza, è diven-tato semplice. Le donne sono libere di in-terrompere la loro gravidanza in funzionedel loro solo desiderio. Il termine stesso diquesta interruzione è stato portato a quat-tordici settimane, allo scopo di evitare si-tuazioni insolubili legate alla scoperta tar-diva della gravidanza. Ma è forse questasemplicità che continua a porre problemi.

Non nell’eventualità di un contro-discorsodella società contrario o colpevolizzante,ma per questa ferita profonda e totalmentecensurata vissuta dalle donne”.

Diffidare della “semplicità”, della “faci-lità”, dell’affidamento, questo sì, cieco, allatecnica. E’ il motivo dominante degli inter-venti di Sicard, che lo affratella a un Jac-ques Testart, padre scientifico della primabambina in provetta francese, anche lui ab-bastanza addentro ai meccanismi della tec-noscienza per conoscerne e denunciarne lepericolose lusinghe. Lo stesso campo dellamedicina riproduttiva, secondo Sicard, noninquieta come dovrebbe. E’, questa, unamedicina che “conferisce all’uomo l’illu-sione di aver conquistato la padronanzadella procreazione e dunque della conti-nuità della propria specie. Un’illusione che

dovrebbe darci le vertigini”. E invece no.Quello che accade, lamenta Sicard, è chenel dare per scontata la prestazione dellatecnica si mette in gioco un terzo, il figlio,senza preoccuparsi veramente di lui, e deirischi che il concepimento in provetta com-porta, anche se si finge che non sia così. Co-sì, “soccombendo all’onnipotenza scientifi-ca che ci incita a combattere la sterilità aogni costo, abbiamo la tendenza a dimenti-carne il frutto. Siamo ben lontani dal bam-bino re. Oggi è il desiderio degli adulti a es-sere sacralizzato”. Parole chiare, com’è co-stume di Didier Sicard. Presidente di unimportante comitato che non ha paura diammettere che “personalmente, tutto ciòche ho appreso in campo etico, l’ho appre-so da personale non medico”.

Nicoletta Tiliacos

Il prof. Sicard ha deciso che non vuole soccombere all’onnipotenza scientificaANNO XII NUMERO 32 - PAG IV IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 7 FEBBRAIO 2007

I sopravvissutiNascita “indegna”,eugenetica

postmoderna e mito dellaperfezione nella diagnosi prenatale

(segue dalla prima pagina) Secondo Bellieni nel-la diagnostica prenatale selettiva si muoveuna sorta di “handifobia”: “Una fobia verae propria verso l’evento duro e difficiledella malattia, del figlio malato, che rapi-damente, invece di generare affetto e soli-darietà genera fuga e rimozione. Ma la di-gnità umana non si basa sul numero deicromosomi. Ogni genitore con figli disabiliè allarmato da questa selezione pervasivaalla nascita. Il genitore può decidere difermare la vita del neonato se il bambinosarà affetto da nanismo o sarà troppo altocome Abramo Lincoln, affetto da sindromedi Marfan. O se si scopre che sarà sterile.Stiamo assistendo alla giustificazione del-la selezione sulla base addirittura di ‘ano-malie dentarie’ del concepito o anche del-la caratteristica di una predisposizione perla musica”.

Veniamo alla diagnosi preimpianto, sucui il professor Sicard ha gettato l’accusadi essere strumento eugenico. “Siamo difronte non a una diagnosi fatta per curare,ma per eliminare gli embrioni malati. Ildibattito si sta oggi ponendo non sul fattose sia eticamente giusto selezionare degliembrioni, ma su quali bisogna seleziona-re. C’è chi argomenta che è corretto per-mettere l’accesso alla diagnosi preim-pianto solo per malattie ad alta gravità, al-trimenti si rischia di cadere nel consumi-smo procreativo e altri spiegano che inve-ce così facendo si ledono la dignità deimalati di quelle malattie, come la spina bi-fida, che si sentirebbero così consideratiportatori di una vita ‘non degna’”. Persinol’accesso alla selezione del sesso non do-vrebbe essere vietata: “L’importante, spie-gano, è che il sesso del nascituro vengascelto per ‘bilanciare’ il sesso dei figlipreesistenti, e non per scegliere il sessodel primo figlio”.

Si impone dunque, attraverso un neolo-gismo terribile, quella che è stata definitala “generazione di sopravvissuti”: “Il bam-bino parte con il peso di chi sa che la nor-ma è concepire per soddisfare un bisogno.E di chi sa che se non fosse stato ‘adatto’sarebbe forse stato ‘respinto’ prima di na-scere”. Uno sconsolato Pierre Maroteaux,il maggior studioso mondiale di nanismoche nel suo j’accuse si domandava se “isoggetti di bassa statura hanno ancora di-ritto di vivere”.

Giulio Meotti

Sesso à la carte

Per ora si interviene scegliendol’embrione giusto, ma presto

si modificherà il seme maschile

(segue dalla prima pagina) Quello che vogliono èpiù spesso un maschio (in Cina, si sa, pervia di questa preferenza mancano parec-chi milioni di bambine e nel giro di quin-dici anni ci sarà un’eccedenza di trentamilioni di maschi), ed è in effetti questal’unica preoccupazione etica dei medici:“Che la selezione del sesso solo perché igenitori la vogliono, senza ragioni medi-che, possa incoraggiare pratiche discrimi-natorie”, come sta scritto in un editorialesul giornale dell’American College of Ob-stetricians and Gynecologist. Cioè si temedi diventare sessisti, ma non di praticareallegramente l’eugenetica e scegliersi lasocietà umana che si preferisce, escluden-do in maniera sistematica quel che non sidesidera. Il fatto è, dicono, che gli scien-ziati stanno già mettendo a punto una nuo-va tecnica, per ora sperimentale, che po-trebbe garantire ottime percentuali di riu-scita nella determinazione del sesso delbambino senza toccare l’embrione, ma sol-tanto selezionando il seme. Cioè: visto cheè il seme e non l’ovulo che decide se ilbambino sarà maschio o femmina, bisognasemplicemente modificare le cellule del-lo sperma (che di solito sono perfettamen-te bilanciate, maschili e femminili): rinfor-zare le cellule maschio, o viceversa a se-conda dei desideri. “Seme arricchito”, lochiamano, e l’arricchimento costa circaseimila dollari. Novantuno per cento disuccesso in caso si desideri una femmina,settantasei se si vuole un maschio. Si chia-ma MicroSort, è “una conquista scientifi-ca” da applaudire, e gli scienziati che lastanno applicando in una clinica della fer-tilità in Virginia spiegano che, per carità,accettano solo persone con disordini ge-netici o con necessità, appunto, di bilan-ciamento familiare: cioè non per i primi fi-gli. Dal secondo in poi, per variare, per bi-lanciare. Anche se qualcuno dice che co-munque sarebbe ragionevole usare lascelta del sesso, non invasiva e che noncomporta lo scarto degli embrioni sbaglia-ti, almeno per il figlio unico. In modo daessere certi di non fallire. E’ la famiglia sumisura, quella magnifica nelle foto davan-ti all’albero di Natale, quella capace disoddisfare tutti i gusti, tutte le esigenze:adesso il fiocco rosa o azzurro, tra un’oraqualche altra caratteristica utile per unperfetto bilanciamento familiare.

Annalena Benini