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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
Nasce la divisione Electronics Products & Solutions di Sony08
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Huawei P30 Pro La super recensione
Nuovi Apple Airpods Conviene comprarli?
Dyson Airwrap, lo styler delicato con i capelli
IN PROVA IN QUESTO NUMERO
Approvata la riforma europea sul copyright. Novità e reazioniGli editori faranno accordi con le piattaforme online per farsi pagare l’utilizzo dei contenuti di informazione. Google amara, gli editori esultano15
Huawei P30 e P30 Pro raccontati dalla A alla ZDi tutto e di più sui nuovi top di gamma Huawei. Dal SuperSensitive CMOS, al teleobiettivo a periscopio, al sensore ToF.
Netflix rimuove il mese gratuito di prova. Per ora 12
Perché lo switch off rischia di affondare la corazzata Mediaset 03
Switch off a costo zero: il MiSE nel mondo del mulino bianco Il MiSE e la Fondazione Ugo Bordoni rassicurano gli italiani: switch off all’MPEG4 del 2021 a costo zero per i consumatori. Ma sarà davvero così?
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Apple Watch salvavita Cuore sotto controllo
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Il fotoreportage dalla Cappadocia con Huawei P30 Pro
Notizie, TV e carte di credito: così Apple guarda al futuro 14
Arriva Ford Kuga La prima in tre versioni elettrificate
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Gianfranco GIARDINA
L a strategia che il Governo intenderà tenere sul digi-
tale terrestre e sulla questione switch off si fonda su
una ricerca commissionata a Fondazione Ugo Bor-
doni dal MiSE tesa a delinare il scenario del parco tele-
visori installato. Una ricerca che arriva a conclusioni non
accurate se non del tutto errate, visto che, per fare un
esempio, i relatori non sanno distinguere correttamen-
te i TV HEVC da quelli privi di questo codec. Malgrado
ciò, si tratta di una ricerca che è bastata per spingere il
MiSE a lasciarsi andare a rassicurazioni rispetto all’im-
patto nullo dello switch off sulle tasche dei consumatori.
Nullo, zero euro, zero televisori da cambiare o decoder
da comperare. Possibile?
Una ricerca basata su 2936 intervisteOvviamente impatto zero vuol anche dire che il MiSE
rimanda al mittente chi chiede l’aumento dei contributi
per i consumatori: non servono, secondo il Ministero.
Non bisogna lavorare troppo di fantasia, basta leggere.
Il MiSE, proprio sulla base della ricerca FUB, dichiara
espressamente nel documento di consultazione pub-blica sul reframing della banda 700 MHz, pubblicato in
questi giorni, che “Per quanto sopra, nell’ultimo quadri-
mestre 2021 nello scenario supportato con il contributo
statale, la dismissione della codifica DVBT/MPEG2 con
attivazione della codifica DVBT/MPEG4, non avrebbe ef-
fetti negativi per gli utenti”. La ricerca (che è consultabi-le qui, sul sito del MiSE), si basa su un campione rappre-
sentativo di 2936 famiglie sulle quali è stata proiettata
l’intera popolazione delle famiglie: non sappiamo quale
sia il grado di confidenza di un dato basato su meno di
tremila interviste per descrivere tutte le famiglie italiane.
La confusione dei TV: non basta leggere le schede tecniche, vanno conosciutiIl documento identifica quattro tipologie di televisori:
quelli DVB-T, che si dividono in solo MPEG2 e anche
MPEG4, e quelli DVB-T2, solo MPEG4 o anche HEVC. Va
detto che nel nostro Paese la tipologia dei TV DVB-T2
non HEVC è stata distribuita per pochissimo tempo (solo
Sony, tra i grandi brand, ha spinto su questo aspetto per
una stagione con prodotti di derivazione UK) dato che
è sempre stato chiaro in Italia che se DVB-T2 sarebbe
stato, sarebbe stato con codec HEVC. Eppure la Fon-
dazione Ugo Bordoni, riclassificando i dati della ricerca
di base Ipsos/Auditel, trova che addirittura in Italia ci sa-
rebbero 2.439.469 famiglie in possesso di un rarissimo
TV DVB-T2 non HEVC, per una quota sul totale famiglie
dell’11,3%. Invece i TV DVB-T2 HEVC, che è obbligatorio
vendere oramai dal 1 gennaio 2017, sarebbero pratica-
mente la metà, poco meno di un milione e mezzo. Que-
sto vorrebbe dire che in due anni, secondo la ricerca, si
sarebbero venduti meno di un milione e mezzo di TV
principali, contro gli otto milioni di TV totali che invece
TV E VIDEO Una ricerca della Fondazione Ugo Bordoni commissionata dal MiSE sentenzia che i primi TV solo MPEG 2 nel 2021 saranno zero
Il MiSE e la Fondazione Bordoni come il Mulino Bianco “Switch off nel 2021, nessun impatto sui consumatori”Il MiSE interpreta a modo suo: secondo il dicastero di Di Maio non ci saranno costi per i consumatori. Scommettiamo?
sono per certo i numeri di
mercato nello stesso perio-
do: molto difficile, tanto più
che la stessa ricerca accre-
dita il mercato spontaneo
dei primi TV in Italia a valori
superiori ai due milioni al-
l’anno. Quasi sicuramente
alla base di questo risultato
assolutamente poco credi-
bile c’è l’errore di censire
come DVB-T2 MPEG4 dei
TV già HEVC, nato sempli-
cemente dall’incapacità dei
ricercatori di scoprire quali modelli fossero anche HEVC
e quali no. Le interviste devono infatti aver restituito agli
analisti la marca e il modello del TV (ammesso che que-
sto lavoro sia stato fatto con perizia) e poi qualcuno si
deve essere occupato di verificare se i singoli modelli
riportavano il termine HEVC nella scheda tecnica. Cosa
che spesso, invece, non veniva riportata perché sempli-
cemente al momento dell’uscita il codec HEVC non ve-
niva considerato importante dai dipartimenti marketing
e comunque non sempre presente nelle versioni degli
altri Paesi europei. Un errore che non sposta più di tanto
i risultati finali ma dà la misura della cura metodologica
sulla quale si basano gli assunti che ne seguono. Senza
contare che la ricerca non fa alcuna differenza tra TV HEVC Main 10 (cioè quelli capaci di gestire segnali a 10
bit per canale) da quelli HEVC di “serie B”, solo a 8 bit,
che di fatto non sarebbero in grado di gestire eventuali
nuove trasmissioni HDR.
E i secondi e terzi TV? E le seconde case?Ma il baco più grande è che, malgrado le interviste siano
state svolte direttamente e fisicamente presso le fami-
glie, si sia considerato solo il TV principale di casa (che
di solito è il migliore) senza contare i secondi e i terzi TV
che spesso sono presenti in cucina e nelle camere da
letto. Guarda caso sono proprio questi i TV sui quali è
lecito aspettarsi una maggiore arretratezza tecnologica
e che, molto probabilmente, hanno percentuali di distri-
buzione tra le varie tipologie totalmente diverse. Quindi,
anche se la ricerca chiarisce nelle premesse che si parla
solo di prime case e solo di primo TV, non si fa molti
scrupoli a mettere un bel numero “zero” nella casella
dei TV solo MPEG2 a settembre 2021 nello scenario che
prevede l’utilizzo degli incentivi. Zero: un numero tondo
che evidentemente ha finito per saltare anche all’occhio
del Ministero che arriva diritto diritto alla conclusione
che nessun cittadino dovrà tirare fuori quattrini. E che
quindi l’operazione non ha un vero costo “politico”.
Peccato che:
•I TV sono molti di più di quelli proiettati, se aggiungiamo
la popolazione dei secondi e terzi apparecchi
•I secondi e terzi apparecchi sono in larga parte TV di
piccole dimensioni, spesso non HD, quindi non MPEG4
•Non esistono solo le prime case, ma anche le seconde
case e le case di studenti e lavoratori fuori sede, case
che probabilmente ospitano una popolazione di TV si-
curamente non all’avanguardia tecnologica
•In nessun caso si arriverebbe a zero, perché il ricambio
dei TV non è “uniforme”: c’è chi cambia il TV ogni 5 anni
e chi non lo cambia da 20.
Il compito della politica dovrebbe essere mitigare i danni, non negarne l’esistenzaLo switch off all’MPEG4, anche nel 2021, comporterà dei
problemi e dei costi, non sarà in nessun caso un’opera-
zione indolore. Non sarà una tragedia, ma non si può de-
rubricarla semplicemente negandola, dicendo che l’im-
patto sarà zero. Definirla tale vuol dire essere stati sulla
luna per tutto il periodo dello scorso switch off: durato
molti anni (più di quanto durerà questo secondo, anche
se si partisse domattina), costato molto ai consumatori e
costato molto alla nazione, malgrado i contributi da 150
euro (!) per ogni decoder. Oppure diciamoci che gli italia-
ni non avranno più di un TV per casa e che i broadcaster
non sono affatto interessati al fatto che gli italiani rinun-
cino ai secondi o terzi TV. Sia chiaro, se dovessimo dare
un parere, saremmo favorevoli al previsto switch off ver-
so l’MPEG4, a patto che ci sia una sorta di “ricompensa”
per l’utenza che sarebbe impatattata. L’unica promessa
di vendita possibile sarebbe l’obbligo per tutte le emit-
tenti di passare all’alta definizione: il passaggio della TV
italiana all’HD sarebbe una “scusa” credibile e di valore
per l’utenza che, in un modo o nell’altro, dovrà mettere
mano al portafoglio. Ora il MiSE, mal interpretando una
ricerca largamente imperfetta e magari pagata profuma-
tamente dai cittadini, non solo vuole farci credere che lo
switch off all’MPEG4 a fine 2021 non abbia alcun impatto
sull’utenza; ma si dice convinto che entro e non oltre il
30 giugno 2022 si debba fare anche l’ulteriore passag-
gio a DVB-T2 HEVC. Come se gli italiani e i broadcaster
potessero permetterselo. Siamo nel mondo del mulino
bianco: magari ci salverà un incantesimo.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Gianfranco GIARDINA
L a corazzata Mediaset sta facendo rotta verso una
pericolosa tromba d’aria (o per lo meno una bella
tempesta) e sembra che nessuno dell’equipaggio
abbia voluto leggere al comandante il bollettino me-
teo, almeno per quello che riguardava le previsioni più
cupe. Il riferimento è al processo di cessione delle fre-
quenze TV in banda 700 MHz che dovranno passare
alle telco al più tardi entro il giugno 2022.
Mediaset ha puntato tutto sul digitale terrestreIl “peccato originale” per Mediaset è aver puntato tut-
to, 20 anni fa (e ancora fino a oggi), solo sul digitale
terrestre. Certo, i contenuti Mediaset sono presenti an-
che su satellite e, con Mediaset Play, su Internet, ma
non c’è dubbio che il Biscione non abbia mai spostato
il proprio focus dal digitale terrestre, strozzando l’impe-
gno verso le altre piattaforma. Basti pensare che solo
da un anno Mediaset ha i propri canali in HD sul satelli-
te, dove la banda costa un decimo, mentre sul costoso
digitale terrestre sono già presenti da molto tempo.
Lo spettatore non si innamora di una piattaforma. Mediaset come Telecom Italia, a difesa di una rete superataLo spettatore, più di qualunque emittente, è veramente
“platform independent”: non gli interessa affatto qual
sia la piattaforma attraverso la quale guardare il canale
che vuole vedere. Non ha una preferenza “a prescin-
dere” per il digitale terrestre, per il satellite o per lo
streaming, Semplicemente predilige quello che offre
di più e che pome meno problemi e limiti. Mediaset,
come capita spesso ai player in posizione dominante, è
caduta nel tranello dell’autocompiacimento. Come Te-
lecom Italia che ha difeso il proprio asset della rete in
rame perdendo in buona parte la corsa della fibra, così
Mediaset, per difendere le antenne e gli impianti di EI
Towers, ha favorito ciecamente il solo digitale terrestre
senza proteggersi a sufficienza su eventuali cambia-
menti di scenario. Che peraltro erano noti: che ci sareb-
be stata una forte contrazione delle risorse frequenziali
destinate alla TV, si sapeva già da anni. Al momento
della cessione della banda 800 MHz era emerso che si
sarebbe poi passata a quella 700. Come oggi si sa già
che nei prossimi anni verrà chiesto al mondo TV di sa-
crificare anche la banda 600 sull’altare del traffico dati
in mobilità. È ragionevole: perché mai occupare l’etere
con servizi residenziali, che possono essere forniti con
successo anche via satellite e, a tendere, via fibra?
Così Mediaset, in maniera miope, non ha impostato, a
tutela del proprio ruolo di editore, una strategia franca-
mente multipiattaforma che l’avrebbe resa più indenne
ai cambiamenti in atto.
TV E VIDEO A poco più di due settimane dal riassetto del digitale terrestre, Mediaset non ha ancora trovato il bandolo della matassa
Piersilvio mal consigliato: lo switch off del digitale terrestre rischia di affondare la corazzata MediasetPer anni la società ha messo la testa sotto la sabbia: che il DTT fosse destinato alla contrazione era ben noto a tutti
Malgrado il numeri del MiSE, siamo lanciati verso una riduzione cospicua degli spettatori del digitale terrestre
Oggi il mondo della TV attende con curiosa preoccu-
pazione la scadenza del 15 aprile, oramai vicina, entro
la quale il MiSE renderà pubblica la nuova roadmap
della cessione della banda 700 alla telefonia. Anche
se, all’atto pratico, Il piano dovesse tardare un paio di
mesi, come è probabile che avvenga, la sostanza non
cambia. Le decisioni di cui si è parlato finora dovreb-
bero prevedere una prima fase con il passaggio delle
trasmissioni alla codifica MPEG 4 AVC, a partire dalla
seconda metà del 2020, anche se non è ancora noto
se si procederà a scaglioni per area o meno. E poi, nel
2022, un secondo, e ancora più sanguinoso, switch off
al DVB-T2 HEVC. Il tutto chiedendo grandi sacrifici ai
consumatori per l’adeguamento dei TV e dei decoder,
a fronte di… nulla. Una proposizione di vendita davve-
ro poco convincente: cari consumatori, cambiate TV o
aggiungete un nuovo decoder se volete semplicemen-
te continuare a vedere quello che vedevate prima.
In uno scenario di questo tipo, già con la prima fase di
switch off dell’anno prossimo, andrebbero a nero circa
10 milioni di TV, soprattutto secondi e terzi televisori di
piccola dimensione ma anche molti TV principali delle
fasce sociodemografiche meno evolute dal punto di
vista tecnologico. Nel secondo switch off, quello del
2022, si spegnerebbero addirittura altri 30 milioni di
TV. Il MiSE ha comunicato dei numeri più ottimistici,
assemblati dall Fondazione Ugo Bordoni e derivanti
dalla ricerca di base Auditel integrati con dati Anitec-
Assinform. SI tratta però di numeri che non riflettono
la realtà dei fatti: i 5 milioni di TV non MPEG-4 indicati
dal Ministero si riferiscono in realtà ai soli TV principali
di casa, ma non contano affatto tutti i secondi e terzi
schermi, diffusi oramai in tantissime case. E, guarda
caso, l’audience Mediaset è spesso polarizzata proprio
sugli schermi più piccoli, con grandi picchi nelle fasce
mattutine e pomeridiane proprio su secondi e terzi TV.
Ma soprattutto, l’assunto alla base della ricerca dalla
Fondazione Bordoni è che il ricambio dei TV sia “uni-
forme”, ovverosia che tutti gli utenti sostituiscano il pro-
prio TV ogni 8,9 anni. Ovviamente così non è: c’è chi lo
cambia più spesso e chi non lo cambia da vent’anni. La
quantità di schermi che si spegneranno con lo switch
off è ben superiore alle rosse previsioni del Ministero.
Con questi numeri e senza una vera contropartita,
anche ipotizzando generosi contributi governativi
(ben superiori dei 150 milioni di euro stanziati finora),
è inevitabile che una certa aliquota di spettatori del
digitale terrestre abbandonerebbero la piattaforma:
chi si farebbe bastare l’offerta in streaming, che è in
forte crescita, soprattutto con provider non broadca-
ster, come Netflix, Amazon Prime video e la neo-an-
nunciata Apple TV +; chi si affiderebbe al più perfor-
mante satellite; chi, soprattutto tra la fasce più giovani
e con le abitudini di visione in rapido cambiamento,
potrebbe addirittura decidere di abbandonare il TV
a favore degli smartphone dagli schermi sempre più
grandi e affiancati da piani dati sempre più generosi.
Con il primo e il secondo swtich off che ci attendono,
inevitabilmente, Mediaset perderà (perderebbe) una
quota rilevante di spettatori. E, con la rifocalizzazione
verso la TV gratuita generalista che da qualche anno
Mediaset ha messo in campo, questo rischia di essere
un danno netto pesante per il gruppo. Se gli spettatori
Mediaset dovessero diminuire - tanto per dire dei nu-
meri a caso - del 20%, il valore della pubblicità con la
quale Mediaset si sostiene, diminuirebbe della stessa
quota. E non basterebbe più buttarla in caciara con i
soliti dati percentuali di share Auditel che trascurano
spesso di ricordare che la base assoluta di spettatori
segue a pagina 04
torna al sommario 4
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
è in contrazione. Mediaset, malgrado i segnali fossero
chiari, ha deciso deliberatamente di non spalmare la
propria utenza su tutte le piattaforme, avversando per
anni il satellite e lasciando tivùsat con il freno a mano
tirato, prendendosi così la responsabilità di aumenta-
re esponenzialmente il proprio rischio d’impresa. Lo
stesso problema - beninteso - ce l’avrebbero anche le
altre emittenti. Ma la RAI, in fondo, potrebbe chiede-
re di avere, a causa dei cambiamenti in atto, una fetta
maggiore dei cospicui proventi del canone, a parziale
ristoro dei ridotti introiti pubblicitari. La 7, invece, non a
caso, ha chiesto ripetutamente al Governo, anche con
qualche ragione di ordine giuridico, di poter mantenere
integro il proprio multiplex.
Mediaset non sa più qual è il male minore: cancellare o no lo switch off?Evidentemente il “circolo magico”, che in questi anni
ha rassicurato Piersilvio Berlusconi nei confronti dei
rischi connessi a questo innamoramento per il digitale
terrestre, pensava che alla fine sarebbe riuscito a “do-
mare” molto meglio gli eventi, evitando o spostando
aventi nel tempo all’infinito eventuali catastrofi. For-
se anche in considerazione del fatto che, nel gruppo
dirigente di Mediaset, Berlusconi Jr è il più giovane,
mentre gli altri sono generalmente vicini alla pensio-
ne e quindi meno motivati a mettere in campo oggi i
sacrifici necessari per garantire al gruppo un futuro
davvero solido.
Piersilvio, che a noi pare persona intelligente e ca-
pace, anche in un passato recente, si è dimostrato
sicuro che lo switch off non avrebbe comportato ri-
schi per Mediaset, citando rassicurazioni in tal senso
avute dal proprio gruppo dirigente: c’è il rischio con-
creto che sia stato mal consigliato.
Ora, per salvare il salvabile ed evitare danni gravi,
Mediaset deve spingere per disinnescare lo switch
off, anche quello “leggero” verso l’MPEG4, per man-
tenere intatto più a lungo possibile il parco spettatori
del digitale terrestre. Magari favorendo una strategia
di incentivi all’esodo delle frequenze, a colpi di con-
tributi pubblici; rendendosi disponibile a spostare su
satellite e online qualche canale secondario dei pro-
pri e chiedendo proporzionali sacrifici agli altri edi-
tori. E soprattutto facendo eliminare dalla roadmap
lo switch off dell’MPEG2 del 2020-21; uno swtich off
che invece sarebbe solo ragionevole, visto che tut-
t’ora si continua a buttare via banda, risorsa sempre
più scarsa, per trasmettere in simulcast i principali
canali sia in MPEG2 SD che in MPEG4 HD.
Sia chiaro, però, che se Mediaset riuscisse a disin-
nescare lo swtich off o a procfrastinarlo (e l’allarga-
mento del tavolo tecnico TV 4.0 a nuovi temi e nuovi
scenari sembra preludere proprio a questo) non avrà
ancora risolto il suo problema, ma semplicemente lo
avrà rimandato di qualche anno.
E c’è ancora il rischio che da qui al 2022 nessuno
racconti al comandante che per schivare una tem-
pesta imminente, la rotta potrebbe aver preso una
piega ancora più pericolosa: l’unica cosa davvero
certa in questa vicenda è che il 30 giugno del 2022
le frequenze in banda 700 passeranno al 5G. E una
Mediaset tutta votata al Digitale Terrestre, è desti-
nata a perdere, insieme alle frequenze, buona parte
delle sue velleità di crescita.
TV E VIDEO
Switch off, cosa farà Mediaset?segue Da pagina 03
di Roberto PEZZALI
L G ha comprato la divisione OLED di
Dupont, azienda americana che da
oltre 15 anni effettua studi e ricerche
sui materiali organici degli OLED ed è
leader al mondo nella produzione pro-
prio del materiale organico usato oggi.
Una acquisizione strategica: LG Chem
in un solo colpo si trova nel portafoglio
tutti gli asset Dupont che prevedono
540 brevetti, tutta la divisione r&d, al-
cune fabbriche di materiale organico e
anche tutte le risorse e le soluzioni per
la produrre pannelli OLED con la tecno-
logia inkjet. Oggi la produzione di TV
OLED da parte di LG passa attraverso
il processo di deposizione, che prevede
alcuni passaggi lenti e costosi che por-
tano inevitabilmente ad una crescita
TV E VIDEO LG Chem acquista l’azienda leader nella produzione di materiale organico per OLED
TV OLED LG in futuro a prezzi bassissimi LG Chem acquista “un pezzo” di DupontL’obiettivo è far partire entro 5 anni la produzione di pannelli stampati con tecnologia inkjet
del costo del prodotto finale. Usando
i nuovi materiali solubili creati da Du-
pont in questi anni, e con i brevetti e
le soluzioni dell’azienda, LG tra 5 anni
sarà in grado di far partire la produzi-
one di massa di pannelli OLED realizzati
semplicemente “spruzzando” materiale
organico con ugelli simili a quelli delle
stampanti OLED su un substrato che
contiene l’elettronica di attivazione.
Aumenta la velocità, aumenta anche la
qualità, perché con i materiali solubili si
può estendere ulteriormente il gamut
riproducibile, e diminuiscono i costi. La
stima, secondo LG, è che realizzare un
pannello OLED con questa tecnologia
possa costare meno di quanto costa
oggi produrre un pannello LCD.
Da anni tutti stanno cercando soluzioni
per produrre pannelli OLED usando la
tecnologia inkjet, e la stessa Samsung
ha lavorato con Dupont e altre aziende:
LG ha acquisito tutto, e ora è decisa-
mente più avanti degli altri. Non sarà una
cosa immediata, ci vorrà un po’, ma tra
qualche anno gli LCD saranno davvero
preistoria. Soppiantati dall’OLED e da
altre tecnologie nascenti. Quanto è cos-
tata la divisione OLED di Dupont? Circa
200 milioni di dollari.
TV E VIDEO
Giallo, Food Network e Motor Trend ora in HD su TivùsatBuone notizie per chi segue la TV sulla piattaforma Tivùsat di Hot Bird: dal primo aprile sono disponibili nella nuova versione in alta definizione altri tre canali del gruppo Discovery, ossia Giallo, Food Network e Motor Trend. I tre canali si aggiungono a DMax e Real Time, che erano passati all’HD lo scorso mese di marzo.
Nessun cambiamento nella numerazione dei canali su Tivùsat; quindi possiamo ritrovare Giallo HD sul 38, Food Network HD sul 53 e Motor Trend HD sul 56. Questi canali sono visibili anche sul digitale terrestre, ma nella sola versione in definizione standard. I canali dovrebbero comparire automaticamente nella nuova versione su TV e decoder predisposti.
Ricordiamo che poter vedere i nuovi canali sulla piattaforma Tivùsat sono sufficienti un dispositivo certificato tivùsat (decoder o televisore con CAM), una parabola satellitare orientata su Eutelsat Hotbird 13° Est e la smartcard inclusa nella confezione del decoder o della CAM.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Roberto PEZZALI
N onostante con l’OLED si sia rag-
giunto un livello di qualità dei tele-
visori che non si vedeva da tempo,
i produttori continuano a investire per
migliorare l’unico aspetto dove l’OLED
è ancora carente, ovvero la copertura di
uno spazio colore più ampio. E tutto sen-
za sacrificare l’aspetto in cui la tecnologia
OLED è regina, ovvero la resa sul nero.
TCL ha presentato l’ultimo ritrovato in ter-
mini di tecnologia di display, un pannello
realizzato con tecnologia Inkjet dove un
subpixel realizzato con materiale organi-
co OLED blu è affiancato da due subpixel
rosso e verde realizzati con tecnologia
QLED. Si chiama H-QLED, Hybrod QLED.
Questa tecnologia non ha nulla a che
TV E VIDEO H-QLED è stato presentato da TCL: un pannello realizzato con tecnologia Inkjet
H-QLED, nei laboratori TCL nasce l’ibrido OLED - QLEDIl blu è un elemento organico OLED mentre rosso e verde sono due elementi quantum dots
vedere con quella QD-
OLED a cui sta lavorando
Samsung, ovvero un filtro
QLED davanti ad un pan-
nello OLED che funziona
da pannello retroillumi-
nante, è una ibridazione
vera che unisce le due
tecnologie. Secondo TCL,
questo tipo di pannello permetterebbe di
mantenere il nero degli OLED raggiun-
gendo però una copertura più ampia del-
lo spazio colore Rec.2020, fino all’80%. E
del 112% dello spazio colore DCI-P3, oggi
coperto al 95% dai modelli OLED più diffu-
si. TCL avrebbe già realizzato un prototipo
con questa risoluzione, un 31” 4K ibrido
con una luminosità su schermo bianco di
150 nits e copertura BT2020 all’80%. Pre-
stazioni niente male, se si considera che
l’OLED su uno schermo pieno non è così
luminoso e che un TV calibrato ha una
luminosità di circa 120 nits. Il problema di
questa tecnologia è l’assenza di una data
di mass production: TCL potrebbe anche
decidere che è troppo costosa e abban-
donarla, o trovare altre strade.
Anche Samsung abbraccia il codec libero AV1. Si unisce a Google, Microsoft e AppleIl consorzio che sviluppa il codec open source e gratuito, Alliance for Open Media, si arricchisce di un nuovo importantissimo elemento di Pasquale AGIZZA
L’Alliance for Open Media si arric-chisce di un nuovo partner di spes-sore: Samsung. La casa coreana ha comunicato, infatti, l’ingresso nel consorzio e ha annunciato quindi il supporto al codec AV1 nei pro-pri dispositivi e software. Il codec AV1 nasce proprio per offrire uno strumento aperto, libero e gratuito ai creatori di contenuti. Possiamo considerarlo la risposta ai formati h.264 e h.265/HEVC, che seppur più usati, richiedono ai produttori il pagamento di costi fissi. Lo svilup-po di AV1 è curato dall’Alliance for Open Media, l’organizzazione no profit che vede come soci fonda-tori Amazon, Cisco, Google, Intel, Microsoft, Mozilla, Netflix, ARM, Nvidia e AMD. Dal 2018 si è unita anche Apple. Samsung siederà allo stesso tavolo dei soci fonda-tori e potrà quindi essere parte attiva delle prossime decisioni del consorzio. “L’utilizzo del codec AV1 ci consentirà di ottimizzare il nostro ecosistema e soddisfare le crescenti esigenze degli utenti di nuova generazione”, ha dichiara-to Seunghwan Cho, alto dirigente della società coreana. Sulla stessa linea le dichiarazioni di Matt Frost, vicepresidente di AOMedia: “Sia-mo entusiasti di dare il benvenuto a Samsung nell’Alliance for Open Media. L’arrivo di Samsung coin-cide con un momento di grande espansione ed utilizzo del formato AV1, e siamo sicuri che la loro col-laborazione contribuirà ad accele-rare ancor di più la diffusione del codec all’interno delle periferiche multimediali del futuro”.
di Gianfranco GIARDINA
Cambiamento di strategia al MiSE,
oramai a pochi giorni dalla pubbli-
cazione della nuova roadmap per il
nuovo switch off televisivo, attesa entro il
15 aprile. Nella nuova convocazione del
tavolo tecnico TV 4.0 alla riunione del 3
aprile prossimo agli attori del digitale ter-
restre sono stati aggiunti dei nuovi nomi,
ovverosia gli operatori dello streaming,
presenti e futuri. Stiamo parlando, tra gli
altri, di Netflix, Amazon, DAZN, Tim Vision,
Chili e Walt Disney, un panorama quasi
completo a cui manca praticamente solo
Apple (che presto con il servizio Apple
TV+ giocherà sullo stesso campo).
L’intento dell’incontro - copiamo dalla
convocazione - è quello di “avviare una
discussione sulla trasformazione digita-
le del settore televisivo”. Decisione un
po’ tardiva, visto che arriva a 15 giorni
dalla pubblicazione della roadmap che
dovrebbe decidere il destino del setto-
re televisivo stesso. Come chiarisce la
convocazione, “A tal fine, alla riunione
sono stati invitati anche gli operatori del
settore che operano su piattaforme di-
gitali alternative a quella terrestre”.
TV E VIDEO Al tavolo TV 4.0 convocate anche le società di streaming ma si dimentica il satellite
Colpo di scena digitale terrestre: al tavolo TV 4.0 anche Netflix, Amazon e compagniCambiamenti di strategia nel MiSE nella gestione del passaggio della banda 700 MHz alle telco?
Questo segna una gran-
de discontinuità rispetto
al passato: il tavolo TV
4.0 fino a ieri era stato
confinato ai soli opera-
tori coinvolti dal digitale
terrestre, una cosa sin-
golare per un gruppo
di lavoro che dovrebbe
definire gli assetti della
TV del futuro. Noi stessi, in più circo-
stanze, abbiamo invocato l’allargamen-
to del tavolo e delle sue considerazioni
ad un panorama più ampio rispetto a
quello confinato al solo DTT. Il proble-
ma viene parzialmente risolto oggi, con
la convocazione, tardiva, degli operato-
ri streaming; ma parallelamente risuo-
na ancora più assordante - e a questo
punto quasi persecutoria - la mancanza
degli operatori satellitari, come Eutelsat
e Astra, che invece un ruolo potrebbero
averlo (o addirittura dovrebbero averlo)
nella TV del futuro, prossimo e più lon-
tano. La convocazione questa volta non
prevede il classico tavolo di discussione
paritetico ma una presentazione del
“parlamentino” del Ministero, qualcosa
di più simile a una conferenza che a una
discussione. Nell’occasione ci sarà una
presentazione intitolata “La trasformazi-
one digitale del settore televisivo” tenuta
dal sociologo Derrick de Kerckhove e da
Massimo Bernardini, giornalista e condut-
tore della trasmissione TV talk.
Arrivare a lavori già avviati e nel momen-
to delle decisioni importanti con un inter-
vento di questo tipo (che forse avrebbe
potuto essere la puntata zero del tavolo
tecnico) sembra preludere a dei cam-
biamenti dell’ultim’ora nelle strategie del
MiSE nei confronti dello switch off, magari
nella direzione di un allargamento della
visione ad altre modalità di trasmissione.
Staremo a vedere: oramai tocca aspet-
tare solo poco più di due settimane.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Gianfranco GIARDINA
Squadra che vince non si cambia. Adagio che, vi-
sto che ci troviamo all’interno del Teatro alla Scala,
potremmo parafrasare come “Spettacolo di suc-
cesso, si replica”. L’occasione è la presentazione italiana
della gamma di TV OLED di LG, o come dice l’azienda,
della “Collezione OLED 2019” che si è tenuta appunto
al Teatro alla Scala ad inaugurare, tra le altre cose, un
prestigioso accordo pluriennale (anche a livello globale)
che vede LG diventare il partner tecnologico dell’impor-
tante istituzione scaligera.
“Squadra che vince”, dicevamo. Sì, perché la gamma
2018 di OLED LG continua ad andare molto bene: è
anche grazie a OLED che, nei primi tre mesi dell’anno,
contro un mercato TV in difficoltà che segna un -6%, i
TV LG in totale controtendenza segnano una crescita
simmetrica del +6%.
Inevitabile che la gamma nuova fosse nel segno di
una chiara continuità. A partire dai nomi del modelli:
cambia solo il suffisso, che da 8 (che richiama appun-
to il 2018) diventa 9. Si parte così dall’entry level B9,
per passare alla gamma media C9, al TV premium con
soundbar integrata E9 e il top di gamma W9, l’iconico
TV-poster da appendere alla parete della serie Signa-
ture. Di questi TV si sapeva praticamente tutto, dopo
il lancio di gennaio al CES di Las Vegas e le notizie
uscite subito dopo: il pannello è sostanzialmente
quello dello scorso anno (anche se il management di
LG Italia ha insistito che sarebbe migliorato rispetto
alle performance di quello 2018), mentre cambia in
maniera più decisa l’elettronica e il sistema operati-
vo. Infatti, con questa gamma arriva la generazione
2 del processore A9, questa volta con l’integrazione
dell’immancabile Intelligenza Artificiale, destinata a
migliorare l’immagine e il suono percepiti.
Ma soprattutto il nuovo processore dovrebbe avere
la potenza necessaria per aggiungere un livello di
controllo sull’immagine, destinato a minimizzare la
perdita di dettaglio sui movimenti grazie all’aumento
TV E VIDEO La presentazione dei TV OLED 2019 di LG si è tenuta al Teatro alla Scala. Nuova linea in continuità con la gamma 2018
Al teatro alla Scala di Milano va in scena la “prima” della gamma TV OLED 2019 di LGMigliorato il processore, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, e il software, con l’apertura all’ecosistema Apple e ad Alexa
di frequenza e all’inserimento di un frame nero tra un
fotogramma e l’altro, in modo da limitare il “motion
blur”; il tutto operando a 120 Hz e senza perdere lu-
minosità. Quanto questa elaborazione sia riuscita e
funzionale lo potremo però verificare solo nei nostri
test di laboratorio. Migliorato anche il suono, che vie-
ne ottimizzato sulla base del tipo di contenuto rilevato
dall’Intelligenza Artificiale.
Il processore A9 di seconda generazione approda sui
tutti i modelli OLED tranne che sull’entry level B9, che
deve accontentarsi della versione A7, meno potente
ma anch’essa di seconda generazione e potenziata
dall’impiego di intelligenza artificiale.
La nuova gamma si arricchisce, tra le altre cose, dell’in-
gresso HDMI 2.1 capace di accettare contenuti in high
frame rate, a frame rate variabile e a latenza ridotta,
innovazioni che al momento interessano soprattutto
i gamer ma che certamente rendono questi TV più al
riparo da rischi di obsolescenza.
Molto interessanti le novità a livello di sistema opera-
tivo, che però ancora non si possono vedere all’opera
perché arriveranno con la versione finale del software:
all’integrazione del Google Assistant (già presente nel-
la gamma 2018) si aggiunge quella con Amazon Alexa,
invocabile direttamente dal telecomando, tenendo
premuto il tasto “Prime Video”.
Ma soprattutto, arriva la promessa integrazione con
l’ecosistema Apple: AirPlay 2, iTunes e HomeKit, ai
quali dovrebbe aggiungersi e integrarsi la nuova app
Apple TV, annunciata qualche giorno fa da Apple.
I prezzi non sono stati ancora stabiliti da LG Italia, ma
stante la continuità della gamma rispetto allo scorso
anno, non ci aspettiamo sostanziali differenze di prez-
zo, soprattutto in un anno dispari senza grandi eventi
sportivi. L’introduzione dei nuovi TV sarà graduale nei
prossimi mesi a partire da fine aprile e comunque do-
vrebbe essere completata prima dell’estate. Bisognerà
invece attendere la seconda parte dell’anno (presumibil-
mente dopo l’IFA di Berlino di settembre) per vedere nei
negozi, ovviamente solo in quelli esclusivi, i costosissimi
OLED R, l’arrotolabile, e il modello 8K presentati al CES
di Las Vegas. È stato comunque confermato che anche
questi modelli arriveranno in Italia.
La video-intervista Alessandro Zearo, divisione TV di LG
lab
video
Sulla destra, a fianco del tasto Netflix, c’è il tasto Prime Video: se lo si tiene schiacciato a lungo, si invoca l’assistente Alexa di casa Amazon.
Nella foto, l’OLED entry level della gamma 2019, il B9.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Gianfranco GIARDINA
Apple aveva due strade di fronte a sé: comprarsi
Netflix (tutto ha un prezzo, anche il leader mon-
diale dello streaming) o provare a fare da sé. Fat-
ti un po’ di conti e una montagna di studi di fattibilità,
Apple ha scelto la seconda via e ha annunciato Apple
TV +: si tratta di un servizio di streaming, ovviamente a
pagamento, di contenuti originali, prodotti direttamen-
te da Apple o acquisiti in esclusiva e creati - almeno
per i titoli presentati oggi - da nomi grossi: basti dire
che la presentazione è partita con Steven Spielberg
(nel ruolo di produttore esecutivo di Amazing Stories,
una serie di fantascienza) ed è terminata con Oprah
Winfrey, vera regina della TV americana, che porterà
sulla piattaforma Apple dei documentari. Nel mezzo
tanti altri artisti importanti: impossibile nominarli tutti.
Ci saranno film, serial, show di intrattenimento e musi-
cali, docuserie e anche programmi per bambini (ci sa-
ranno episodi originali di produzione Sesame Street e
Peanuts). Il tutto per un piano di produzione poderoso
che si è già messo in moto da un anno.
Ma l’annuncio di oggi è stato solo uno “sneak preview”,
ovverosia un’anticipazione, come ci ha tenuto a sotto-
lineare Tim Cook: di Apple TV + si sa molto poco al
momento. Le uniche informazioni disponibili sono che
il servizio arriverà in autunno di quest’anno sulla piat-
taforma (rivista ed estesa) Apple TV. E lo farà anche in
Italia, visto che al momento del lancio i Paesi coinvolti
saranno più di 100. Inoltre si tratterà di un servizio -
proprio come Netflix - del tutto privo di pubblicità.
Da segnalare che la piattaforma Apple TV va ben ol-
tre l’hardware con lo stesso nome e diventa di fatto
un’app disponibile su iPhone, iPad, Mac e ovviamente
anche (l’hardware) Apple TV. Con la possibilità, su tut-
te le piattaforme, di vedere in streaming o di scaricare
per rivedere offline successivamente. Inoltre - almeno
per quanto è emerso dalla conferenza stampa - an-
che Apple TV+, insieme alla nuova piattaforma Apple
TV, dovrebbe essere visibile anche sugli smart TV di
produzione Samsung, LG e Sony (ma non si sa se si
parla dei TV futuri o di quelli correnti). Inoltre, la piat-
ENTERTAINMENT Il servizio di streaming in abbonamento di Apple arriverà anche in Italia, con tantissime produzioni originali
Apple sfida Netflix: un piano di produzioni super prepara l’arrivo di Apple TV+ in autunnoTra i nomi forti, Spielberg, Oprah Winfrey, Ron Howard e altri. Un attacco più che a Netflix, alle major e alle TV tradizionali
taforma dovrebbe essere disponibile anche sui device
Fire di Amazon. Non sono trapelati dettagli sui prezzi,
neppure per gli Stati Uniti; né si sa se a tendere Ap-
ple conta anche di acquisire i diritti in esclusiva per
contenuti “storici” prodotti da terzi, attività che è stata
alla base del volano iniziale di Netflix: al momento si
è parlato solo di “Apple Originals”, anche se appare
un’operazione davvero complessa allestire da zero
un catalogo credibile (e vendibile) solo con produzioni
originali e che di fatto non possono contare su un ca-
talogo pregresso. Certamente - lo dicevamo all’inizio
- se il budget teorico disponibile per tutta l’operazione
è il valore di Netflix meno un dollaro, ci sono fondi per
lanciare uno dei più grandi sforzi produttivi della storia
del cinema e della TV. Apple può permetterselo e la
concorrenza, almeno per il momento, può fare bene
al consumatore. Chi ne esce con le ossa rotte, invece,
sono i produttori di contenuti tradizionali.
Le major e i broadcaster ora, per aggiudicarsi gli artisti
e le loro opere, dovranno certamente sborsare qual-
cosa in più: la creatività da oggi è una risorsa un po’
più scarsa sul mercato.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Gaetano MERO
D ebutterà anche in Italia, proba-
bilmente da maggio, Apple TV
Channels, il nuovo servizio made
in Apple che aggrega network e canali
streaming per guardare comodamente
i contenuti attraverso un’unica applica-
zione. Della piattaforma fanno già parte
Prime Video, Hulu, HBO e chiaramente il
nuovo servizio Apple TV+ che offrirà con-
tenuti originali in esclusiva. TV Channels
consentirà agli utenti di organizzare i con-
tenuti preferiti in un unico ambiente senza
essere reindirizzati su app di terze parti:
basterà effettuare il login una sola volta.
Sarà possibile gestire in modo semplice
gli abbonamenti famiglia ed utilizzare
Siri durante la riproduzione, ha affermato
Apple. Apple TV Channels provvederà
inoltre a suggerire film e serie TV in base
ai gusti degli spettatori grazie al machine
learning nella sezione “For You”, diven-
tando di volta in volta più precisa. Sarà
possibile anche acquistare singoli conte-
nuti con un clic da qualsiasi piattaforma
ENTERTAINMENT Apple TV Channels unisce network, TV on demand e servizi streaming
Più servizi streaming sotto lo stesso tetto Apple lancia TV Channels (anche in Italia)L’app sarà disponibile per Apple TV, iPhone, iPad, Smart TV e in autunno anche per dispositivi Mac
associata. L’applicazione sarà disponibile
su iPhone, iPad, Mac (una novità anche
per gli USA che arriverà in autunno), Ap-
ple TV e Smart TV: per queste ultime, tra
i primi produttori ad aderire ci sono LG,
Samsung e Sony. L’aggiornamento arrive-
rà anche sul set top box Roku e Fire TV di
Amazon (una sorta di reciprocità, vista la
presenza di Prime Video nell’app). L’effet-
to del lancio di Channels e della revisione
del concetto di Apple TV, che perde la
connotazioni di solo hardware e diventa
un ambiente accessibile da diversi devi-
ce, cambia i connotati ad Apple TV (inteso
come apparecchio): questo diventa infatti
una soluzione di accesso all’offerta di ser-
vizi di intrattenimento di Apple e non certo
la soluzione unica o comunque prioritaria,
come era di fatto considerata finora.
di Pasquale AGIZZA
Impossibile nascondere i contenuti
pubblicitari e una serie di app sponso-
rizzate nel menù iniziale delle proprie
Android TV. È questa la frustrante situa-
zione che molti utenti hanno segnalato
su Reddit. Particolarmente colpiti gli
utenti delle TV Sony, ma ci sono segna-
lazioni anche da parte di possessori del
Mi Box Xiaomi e Nvidia Shield. Alla base
di tutto un aggiornamento software di
Android arrivato sui dispositivi coinvolti
qualche giorno fa. Tutto nasce dal post
di un utente infuriato su Reddit, che si la-
menta del fatto che nonostante dal menù
del suo TV Sony abbia nascosto tutte le
opzioni riguardanti la pubblicità, conti-
ENTERTAINMENT Impossibile nascondere i consigli per gli acquisti delle Android TV
Su Android TV pubblicità e app consigliate non si possono nascondere. Bug o strategia di Google?Alla base un aggiornamento software. Coinvolti i TV Sony, Xiaomi Mi Box e Nvidia Shield
nuino a spuntare canali ed
app sponsorizzate da in-
stallare. A dar manforte al-
l’utente, arrivano le segna-lazioni di utenti alle prese
con lo stesso problema su
dispositivi Xiaomi e Nvidia
Shield. Dispositivi acco-
munati dal fatto di aver
scaricato l’ultimo aggiornamento di An-
droid Home propostogli dal dispositivo
i giorni scorsi. Dopo qualche ora arriva
anche una parziale soluzione al proble-
ma. Basterebbe, infatti, disinstallare gli
aggiornamenti del servizio Android TV
Core Services per tornare alla situazione
di partenza e rendere opzionali pubbli-
cità e consigli di installazione. Qualche
utente, sempre su Reddit, parla di un
semplice bug di cui Google è già a co-
noscenza e che dovrebbe risolvere velo-
cemente. Google, però, ha dichiarato che
sta facendo esperimenti con i contenuti
sponsorizzati, quindi l’impossibilità di na-
scondere pubblicità ed app potrebbe far
parte di una nuova strategia commerciale
del colosso di Mountain View.
Netflix, in Italia viene rimosso il mese di prova gratuita. Per oraNetflix sperimenta sugli utenti italiani l’addio al mese di prova gratuito: scegli un piano e inizi subito a pagare. L’azienda precisa: “Potrebbe non diventare permanente”
di Massimiliano DI MARCOPer alcuni utenti la prova gratuita di Netflix potrebbe non essere più disponibile. Non si tratta dell’inizio di una nuova politica commerciale; almeno, non già da ora. L’azienda, in risposta alla richiesta di chiari-menti da parte di DDay, ha infatti ri-lasciato la seguente dichiarazione: “Stiamo testando la disponibilità e la durata di una prova gratuita per capire meglio come i consumatori valutano Netflix. Questi test tipica-mente variano in termini di durata e paesi, e potrebbero non diventa-re permanenti”. Si tratta, in sostanza, di uno dei vari test che Netflix porta avanti per modulare la propria offerta secondo l’impatto che eventuali cambiamenti avrebbero sui suoi utenti. Esattamente come, a luglio 2018, era stato per un quarto pia-no a pagamento, Ultra, che veni-va proposto persino a due prezzi differenti a seconda dell’utente. A oggi, insomma, tutti i potenziali nuovi utenti del servizio dovranno scegliere e pagare fin da subito uno dei tre piani di abbonamento previsti. Il fatto che non si tratta di una decisione definitiva implica che, naturalmente, si potrebbe creare una spaccatura: gli iscritti oggi non possono usufruire del-la prova gratuita, ma tra qualche mese nuovi altri utenti potrebbero averne la facoltà.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Sergio DONATO
L ’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato (AGCM) ha stabilito
che DAZN, nella promozione del suo
servizio di streaming per le dirette delle
partite di calcio di Serie A e Serie B per la
stagione 2018/19, ha commesso due pra-
tiche commerciali scorrette riguardanti le
limitazioni tecniche del servizio di strea-
ming e il mese di prova gratuito. Legge-
rezze che a DAZN sono costate 500mila
euro di multa. Per la sanzione scatenata
dalle limitazioni tecniche, il procedimen-
to dell’AGCM si riferisce ai messaggi pub-
blicitari che, nel corso della promozione,
enfatizzavano la possibilità di fruire del
servizio “quando vuoi, dove vuoi”, senza
fare riferimento con sufficiente chiarezza
ai limiti tecnici - soprattutto nella qualità
e nella continuità dello streaming - che il
servizio avrebbe potuto incontrare. Infat-
ti, specie all’inizio della stagione calcisti-
ca, il Garante ha ricevuto circa sessanta
segnalazioni da parte di consumatori e
associazioni di consumatori che lamen-
tavano soprattutto le notevoli difficoltà di
accesso e la pessima qualità del servizio
DAZN offerto causati da gravi disservizi
tecnici. La sanzione che invece punisce
il comportamento di DAZN in merito
all’abbonamento al servizio riguarda
l’ingannevolezza del messaggio pubbli-
citario diffuso sul sito web in cui viene
specificato che l’adesione alla piattafor-
ma DAZN avviene in assenza di contrat-
to. DAZN prospettava al consumatore la
possibilità di fruire di un mese di prova
gratuito con la semplice registrazione al
sito, non precisando però che la registra-
zione comportava la sottoscrizione di un
contratto di abbonamento; tanto che,
alla fine del mese gratuito e in assenza di
disdetta, l’abbonamento proseguiva con
l’addebito sistematico dei costi mensili.
DAZN: diritti assegnati in ritardo, poco tempo per preparare il servizioLa difesa di DAZN sulla materia tecnica
della sanzione si è concentrata sulla
difficoltà di organizzare il servizio con la
dovuta cura a causa del ritardo nell’asse-
gnazione dei diritti di trasmissione delle
partite di calcio, avvenuta il 16 giugno
2018. DAZN ha iniziato a operare in Ita-
lia solo dal 26 luglio e tale necessità di
ENTERTAINMENT La scure dell’Antitrust italiano colpisce DAZN per pratiche commerciali scorrette
L’Antitrust multa DAZN di 500mila euro Condannati lo streaming e il mese di provaNel mirino la qualità del servizio e il mese di prova gratuito che era un contratto di abbonamento
affrettarsi per rendere disponibile il ser-
vizio ha condotto ai disservizi incontrati
soprattutto nella prima parte della stagio-
ne. Per il claim “quando vuoi, dove vuoi”
DAZN ha invece contato sulla prepara-
zione dei propri clienti che sarebbero
stati in grado di capire che il messaggio
era volutamente “esagerato” e “iperbo-
lico”, e che si riferiva più alla possibilità
di fruire del servizio sui dispositivi mobile
che non a una promessa in quanto tale
sulle prestazioni.
Nel merito del “contratto non contratto”,
DAZN ha riconosciuto la non correttezza
formale della formulazione testuale, che
nel sito web recitava: “Non c’è contratto,
potrai disdire ogni mese”. Tuttavia, se-
condo DAZN, la dizione “potrai disdire
ogni mese” avrebbe permesso al con-
sumatore di compren-
dere che se sussiste la
necessità di disdire, una
relazione contrattuale
con DAZN si viene co-
munque a instaurare.
Di conseguenza il “Non
c’è contratto” sareb-
be stato interpretabile
come facilità di uscita
dal contratto e l’assen-
za della necessità di
sottoscrivere un con-
tratto vero e proprio.
Nonostante la difesa
perorata da DAZN, le
due multe per pratiche
commerciali scorret-
te da 260mila, per le
limitazioni tecniche, e
240mila euro, per le
imprecisioni contrat-
tuali, diventano per
DAZN una sanzione
da 500mila euro.
Aggiornamento L’incontro con le associazioni di consumatoriIn una nota, l’associazione di consuma-
tori Altroconsumo che ha partecipato
alla produzione delle istanze presentate
all’AGCM, per voce del Responsabile Re-
lazioni Esterne, Ivo Tarantino, ha riferito:
“L’azienda [DAZN] non è stata in grado
di mantenere le promesse fatte ai clienti
[...] I mesi sono passati e DAZN si è con-
solidata sul mercato; ora dovrà trovare
un modo per rispondere alle aspettative
degli utenti. Per questo motivo incontre-
remo l’azienda dopodomani e cerchere-
mo una via per far sì che i diritti, sia nel
pregresso che nel futuro, siano rispettati
e compensati”
Spielberg vuole Netflix fuori dagli Oscar. Antitrust USA: “Concorrenza soppressa senza giustificazione”Il Dipartimento di Giustizia americano ha invitato l’Academy a riflettere: escludere le produzioni dei servizi streaming potrebbe minare la concorrenza e ricadere sull’intero settore di Gaetano MERO
ll Dipartimento di Giustizia ameri-cano si è espresso in modo chiaro in merito all’acceso dibattito sul-l’ammissibilità dei lungometraggi Netflix alla cerimonia degli Oscar, definendo anticoncorrenziali le richieste avanzate dal regista Ste-ven Spielberg. Secondo quanto emerso da una comunicazione indirizzata all’Academy dal capo della divisione antitrust Makan Delrahim, la modifica delle attuali regole di partecipazione alla mani-festazione potrebbe costituire una violazione delle norme per la con-correnza e la tutela del mercato.La preoccupazione del Garante, riporta Variety, è che il nuovo re-golamento venga stilato “in modo da sopprimere, senza una chiara giustificazione, la concorrenza”. “Gli accordi tra le parti - spiega Delrahim - possono violare le leggi antitrust se lo scopo è quello di im-pedire una leale concorrenza per beni o servizi acquistati e goduti dai consumatori, minacciando in questo modo i profitti delle impre-se”. L’esclusione dei film distribuiti tramite servizi streaming online po-trebbe dunque ridurre il valore in termini economici delle produzioni, violando l’Articolo 1 dello Sherman Act che sancisce il divieto di stabili-re accordi anticoncorrenziali tra più attori operanti in uno stesso setto-re. Il Consiglio di Amministrazione si riunirà il prossimo 23 aprile.Schermata tratta dal procedimento ACGM PS11233.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Roberto PEZZALI
Apple Pay era solo l’inizio: Apple ha
annunciato la sua prima carta di
credito, una carta nata in collabora-
zione con Mastercard e Goldman Sachs.
Una carta che nasce virtuale, all’interno
dell’iPhone, ma che avrà anche una sua
declinazione fisica per pagare nei nego-
zi in tutto il mondo.
Secondo Apple quest’ultima è la più bel-
la e sicura carta di credito mai creata: è
realizzata infatti in titanio, non ha firma,
non ha numero, non ha scadenza, ha
solo il chip. La carta sarà al momento un
prodotto dedicato al mercato america-
no, ma è comunque interessante vedere
come Apple ha cercato di cambiare un
servizio legato da sempre a logiche ben
precise, quelle dettate dal sistema ban-
cario. Per creare la carta basterà un click
dall’iPhone, e sarà subito utilizzabile in
ogni negozio che accetta Apple Pay.
La nascita di una carta che usa Pay ob-
bligherà molti esercenti che ancora non
accettano il sistema di pagamento Apple
a farlo. Dall’app Wallet si potrà vedere
l’estratto conto, diviso anche per tipolo-
gia di acquisto per avere un dato rilevan-
MERCATO Apple Card è la prima carta di credito Apple. Nasce per iPhone, ma c’è anche fisica
Apple Card, la carta di credito Apple che restituisce un po’ di soldi ad ogni acquistoAssenza di costi e commissioni e cashback istantaneo le particolarità. Non arriverà in Italia
te di dove si spende di più e per cosa.
Tutti dati che restano elaborati sul dispo-
sitivo, in nome della privacy: Apple tiene
a precisare che Goldman Sachs non po-
trà rivendere i dati a terzi, anche se, per
forza di cose, ne entrerà in possesso.
Il lato interessante della nuova carta, ol-
tre all’assenza di costi e commissioni, è il
cashback istantaneo: per ogni acquisto
fatto con la carta sarà accreditato nel
portafoglio virtuale dell’utente un “Daily
Cash” da spendere come si vuole. Soldi
veri, il 2% per ogni acquisto e il 3% per
ogni acquisto Apple: tutto senza limite
giornaliero. Gli acquisti fatti tramite la
carta fisica avranno solo l’1% di cashback,
ma è comunque uno sconto perenne.
Arriverà in estate. Non in Italia.
di Pasquale AGIZZA
Apple News+ viola le linee guida
di Apple per gli sviluppatori e
dovrebbe essere estromessa dal-
l’App Store. È questa la situazione para-
dossale in cui si troverebbe la casa di
Cupertino, secondo un ex sviluppatore
iOS. Dave DeLong, questo è il nome
dello sviluppatore, accusa l’app News+
di violazione della nuova versione 3.1.2
delle linee guida dell’App Store. Più spe-
cificatamente lo sviluppatore si scaglia
contro la mancanza di un collegamento
alla pagina della privacy nella scherma-
ta di iscrizione al servizio di Apple. Rile-
va, poi, la mancanza di informazioni sul
come annullare l’abbonamento. Le due
mancanze, linee guida alla mano, por-
terebbero all’esclusione di un’app terza
MERCATO È noto che Apple impone regole rigide agli sviluppatori per caricare le app sul suo store
Apple News+ accusata di violare le regole dello storeSecondo un ex sviluppatore, News+ violerebbe le regole imposte dalla stessa Apple
dall’Apple Store.
Come evidenziato
da The Verge, Ap-
ple impone agli svi-
luppatori di rendere
evidente al massimo
le spese ricorrenti
all’interno di un’app.
“L’importo che ver-
rà addebitato deve
essere l’elemento di
prezzo più importante nel layout ... Ciò
garantisce che gli utenti non siano in-
gannati” è il passaggio estrapolato dalle
nuove linee guida. Apple, invece, nella
pagina di registrazione a News+ non
mette in evidenza l’importo della sotto-
scrizione mensile, ma anzi avrebbe usa-
to un carattere molto piccolo rispetto alla
grandezza degli altri caratteri. Sempre
secondo la denuncia dell’ex sviluppato-
re, non sarebbe nemmeno la prima vol-
ta che Apple adotta questa politica del
doppio binario. Difatti il gigante di Cu-
pertino avrebbe pubblicizzato i servizi di
Apple Music e Carpool Karaoke tramite
notifiche push, una pratica che è impedi-
ta alle app sviluppate da terzi.
Musica Lo streaming la fa da padrone Crescono i viniliPer il quarto anno consecutivo il mercato mondiale della musica è cresciuto: nel 2018 è stato registrato un +9,7%. Streaming è la fonte più grande, quasi la metà della torta intera
di Riccardo DANZOSecondo i dati pubblicati nel Glo-bal Music Report 2019 dell’IFPI, i ricavi totali del mercato discogra-fico mondiale nel 2018 sono stati di 19,1 miliardi di dollari, il 9,7% in più rispetto a quelli del 2017. In particolare, i ricavi derivanti dello streaming musicale sono cresciuti del 34% e rappresentano oramai quasi la metà dei ricavi globali (47%), soprattutto grazie a un au-mento del 32,9% dello streaming a pagamento. La crescita dello streaming nel mercato musicale, quindi, ha più che compensato il calo del 10,1% della vendita delle copie fisiche e quello del 21,2% dei download digitali. Nel contesto del calo del prodotto musicale fisico, i ricavi dei vinili sono cresciuti per il tredicesimo anno consecutivo del 6%, mantenendo una fetta del 3,6% del mercato. È interessante notare, inoltre, che, per il quarto anno consecutivo, l’America Latina è stata la zona con la crescita più rapida (+16,8%). Riguardo al futuro del mercato discografico, Frances Moore, amministratore delegato di IFPI, ha dichiarato: “Affinché il mer-cato della musica continui a svi-lupparsi ed evolversi, è necessario che siano disponibili adeguate infrastrutture legali e commerciali per garantire che la musica stessa sia valutata in maniera equa e che i ricavi vengano restituiti ai titolari dei diritti per sostenere il prossimo ciclo di sviluppo. Continuiamo a lavorare per il rispetto e il ricono-scimento del copyright musicale in tutto il mondo e per la risoluzione del gap di valore stabilendo condi-zioni di parità per coloro che crea-no musica. [...]
torna al sommario 11
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Gianfranco GIARDINA
L a domanda è lecita: l’operazione
Apple Card, che dà un cash back
regolare del 2% per ogni acquisto
contactless, è un miracolo della finanza
o è semplicemente un’attività in perdita,
per mettere fuori gioco le banche tradi-
zionali e prenderne il posto?
Sì, perché non è chiaro dove Apple trovi
l’equilibrio economico del programma
che prevede che il 2% di quanto speso
via Apple Pay torni quotidianamente nel
borsellino come contante. Questa per-
centuale si riduce all’1% per gli acquisti
fatti presso POS non compatibili con
Apple Pay e sale al 3% per acquisti fatti
presso Apple. Se per gli acquisti in Apple,
la marginalità per fare questo “sconto”
del 3% certamente non manca, è meno
chiaro come sia sostenibile la politica del
2% su tutti gli altri acquisti contactless.
Tanto più che Apple ha annunciato che
la Apple Card non avrà commissioni an-
nuali di alcun tipo e quindi tutti i ritorni
devono derivare solo dalle commissioni
che i rivenditori riconoscono al siste-
ma bancario. Siamo quindi andati a
guardare quali siano le cosiddette
tariffe di interscambio bancario, sul
circuito MasterCard USA (la Apple
Card sarà una MasterCard); ovvero-
sia quanto la banca che gestisce il
POS e che incassa, retrocede alla
banca che emette la carta: entro
quelle percentuali c’è il margine
dell’operazione, gestita per conto
di Apple, dalla banca d’affari Goldman-
Sachs. Se si scorre il documento, che
elenca tutte le categorie di merchant e
il tipo di transazione, nella stragrande
maggioranza di parla di percentuali com-
prese tra l’1 e il 2%, salvo la condizione
denominata “standard” (ovverosia il caso
peggiore) che sfiora il 3%. Se ci limitassi-
mo a questa osservazione, verrebbe da
dire che il cash back dell’1% si può an-
cora sostenere all’interno di queste cifre,
ma quello del 2% sembra essere un’at-
tività in perdita; potenzialmente, con il
volume di affari che l’iniziativa potrebbe
assumere negli Stati Uniti, una grande
perdita. Soprattutto perché la maggior
parte degli acquisti finisce verso punti,
come i supermercati, che certamente
non si vedono applicate le condizioni
MERCATO Abbiamo cercato di capire i fondamentali economici alla base dell’offerta Apple Card
Come può Apple Card dare il 2% di cash back? Apple ci perde o ci guadagna?L’offerta appare super-conveniente. Difficile che la stessa cosa venga replicata anche in Europa
standard ma hanno condizioni facilitate.
Per capire meglio, abbiamo contatta-
to un esperto di sistemi di pagamento,
che ha preferito mantenere l’anonimato
“Certamente, oltre alle percentuali del
documento che avete trovato, entrano
in gioco altre considerazioni direi più di
ordine statistico - ci spiega -. Come per
esempio la propensione dei consuma-
tori USA ad acquistare con la carta in
modalità revolving”. Ovverosia indebi-
tandosi e pagando quindi gli interessi
passivi sulla cifra anticipata dalla carta di
credito. Infatti, l’applicazione di interessi
passivi (malgrado Apple abbia dichiara-
to di voler applicare tassi più bassi delle
banche comuni) apre lo spazio a nuova
marginalità, nella quale può nascon-
dersi una fonte di sostentamento per
il programma di cash back. Gli analisti
Apple devono aver considerato che ne-
gli USA una quota parte rilevante delle
transazioni statisticamente avvengono a
debito, cosa che di fatto va a finanziare
anche il cash back per chi compra a cre-
dito, che da solo non si giustificherebbe.
“Ma potrebbe esserci anche dell’altro -
continua l’esperto -: nel computo non è
escluso che sia stata considerata anche
la tipologia dell’acquirente tipico Apple.
Si presume che questo compri più e me-
glio della media dei consumatori, e così
facendo alimenti maggiori margini per il
sistema”. L’allusione dell’esperto è, per
esempio, al fatto che i grandi discount,
sulla base dei propri volumi di transazio-
ni, strappano condizioni migliori ai circui-
ti di pagamento, che lasciano quindi una
marginalità ridotta. Cosa diversa è per
i negozi più piccoli e le boutique, in cui
la marginalità della banca resta buona:
se si assume che il mix di acquisto del-
la “popolazione Apple” sia più spostato
verso questi ultimi negozi rispetto alla
media, la marginalità netta delle transa-
zioni potrebbe rivelarsi più alta. Inoltre,
si scommette probabilmente sul fatto
che gli utenti Apple siano più portati
a viaggiare: negli acquisti all’estero le
commissioni di interscambio bancario
salgono. Non è neppure da escludere
a priori che, in un mercato concentrato
come quello USA, Apple abbia potuto
strappare ai grandi retailer e alle ca-
tene un’extra commissione per tutti i
pagamenti con Apple Pay che contri-
buisca a sostenere l’operazione.
Per il momento Apple Card esiste
solo negli USA: “Sarà molto difficile ve-
dere un programma simile anche dalle
nostre parti - conclude l’esperto -: da
noi il circuito dei pagamenti non ha as-
solutamente i margini per un cash back
universale del 2%, dato che le tariffe di
interscambio bancario sono regolate
dall’Unione Europea a livelli più bassi di
quelli USA. Inoltre la tipologia della no-
stra utenza, più votata al risparmio che
all’indebitamento, non attiva a sufficien-
za le altre fonti di reddito”. Questo ovvia-
mente non vuol dire che utenti USA non
possano acquistare anche in Italia con
Apple Card; ma gli utenti italiani, almeno
per il momento, si scordino di avere la
mela stampata sulla propria carta di cre-
dito, fisica o virtuale che sia. Per lo meno
a queste condizioni.
GameStop in difficoltà Nel 2018 ha perso 673 milioni di dollariIl più grande rivenditore di videogiochi al mondo, GameStop, sta lottando con il rallentamento delle vendite nei suoi negozi di Giovanni CAU
L’azienda ha reso ufficiale la notizia pubblicando i risultati finanziari del 2018 dai quali si evince una perdi-ta pari a 673 milioni di dollari nello scorso anno. Se nel 2017 i profitti netti della catena erano pari a 34,7 milioni, nel corso del 2018 queste entrate si sono trasformate in per-dite intaccando tutti i settori: le ven-dite di hardware sono scese dell’1% (1,77 miliardi di dollari); i giochi in digitali hanno registrato un calo del 5% (2,45 miliardi di dollari) e le vendite di giochi usati sono crollate di oltre il 13% (1,87 miliardi di dolla-ri). L’azienda, che recentemente ha venduto la divisione Spring Mobile per 700 milioni di dollari, non riesce a risollevarsi dai problemi econo-mici non riuscendo a trovare azien-de interessate ad acquisire l’intera compagnia. Secondo indiscrezioni, i vertici dell’azienda stanno cercan-do di risolvere il problema e si parla già di negozi “Gamestop 2.0”, alla base dei quali l’intento sembra sia di rendere i negozi più vivi e inte-ressanti, concentrandosi anche sulla promozione del videogioco inteso come prodotto culturale. Il progetto potrebbe partire già ad agosto in Nord America, con l’apertura di nuovi punti vendita e la trasformazione radicale di altri. Tra le novità in arrivo si parla di proiezioni di trailer, gameplay e an-teprime, oltre alla possibilità di far provare i giochi prima dell’uscita. Altri modi possibili in cui GameStop prevede di risparmiare denaro nel nuovo anno fiscale è quello di con-centrarsi su una migliore efficienza della supply chain, miglioramenti operativi, ottimizzazione dei prezzi e delle promozioni.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Massimiliano DI MARCO
Apple lo aveva promesso: meno fo-
cus sull’hardware e più attenzione
ai servizi, la vera leva sul quale cos-
truire la crescita dell’azienda. Con gli an-
nunci del 26 marzo, la casa di Cupertino
ha dato forma a tale spirito annunciando
tre abbonamenti: News+ per le notizie;
Arcade per i videogiochi mobile e TV+
per serie TV in streaming. C’è persino
una carta di credito, chiamata Apple Card.
Annunci che danno così l’ultimo colpetto
al chiodo che appende il quadro della vi-
sione futura di ciò che deve fare Apple
per restare in vetta e come deve farlo.
Nei giorni precedenti all’evento Apple ha
brevemente annunciato le riedizioni di al-
cuni componenti essenziali del suo cata-
logo hardware: i nuovi iPad Mini e iPad
Pro; iMac e iMac Pro rinnovati e, infine, le
tanto attese AirPods 2 con ricarica wire-
less e autonomia migliorata. Revisioni
tecniche che normalmente avrebbero
ricevuto il proprio spazio a un evento
primaverile dedicato, durante il quale
Apple avrebbe snocciolato le bontà del
rinnovamento hardware, avrebbe fornito
una direzione commerciale per ciascuno
MERCATO I nuovi iPad e iMac vengono annunciati via Twitter; ai servizi le luci della ribalta
Notizie, TV e carte di credito. Così Apple “retrocede” iPhone e guarda al futuroApple passa da una visione hardware-centrica a una in cui iPhone e soci sono solo un mezzo
dei nuovi prodotti e, in soldoni, avrebbe
cercato di far salire tutti gli affezionati del
marchio sul carro delle novità. Non più.
Le luci dei riflettori sono state usate per
mettere in evidenza i servizi di stream-
ing e di aggregazione delle notizie, pre-
sentati con ospiti illustri sul palco dello
Steve Jobs Theatre. I servizi sono il nuovo
iPhone, potremmo dire, parafrasando un
popolare detto del mondo della moda:
l’hardware va in secondo piano - addir-
ittura relegato a un annuncio su Twitter
dal profilo dell’amministratore delegato
- mentre ai servizi va dato lustro, il mega-
fono mediatico e la spinta necessaria per
farli partire al massimo.
Il verdetto nei prossimi trimestriCosì la trasformazione è ultimata, almeno
sulla carta. Ogni utente può avere molte-
plici servizi sul proprio iPhone, mentre è
molto meno probabile che un utente avrà
più di un iPhone; una “densità” più alta di
servizi installata su una corposa base di
1,4 miliardi di dispositivi Apple attivi. Ab-
biamo scritto “sulla carta” perché bisogn-
erà valutare sul medio e lungo termine
l’impatto che questa strategia commer-
ciale avrà sulla salute finanziaria di Ap-
ple che, nel frattempo, si è riappropriata
dell’etichetta di società a maggior capi-
talizzazione al mondo (ora vale quasi 890
miliardi di dollari) riprendendosi il posto
che Microsoft le aveva sottratto alla fine
dello scorso anno. Con gli iPhone che
tenderanno a registrare un segno nega-
tivo nella crescita annuale probabilmente
per tutto l’anno, servizi come News+, Ar-
cade e TV+ diventeranno sempre più es-
senziali. Per cui non è stato sorprendente
che Apple abbia deciso di far arrivare TV+
anche su TV di terze parti, esattamente
come per Apple Music decise di sbarcare
anche su Android. Nel trimestre di dicem-
bre i servizi di Apple hanno portato nelle
casse aziendali 10,9 miliardi di dollari. Pur
in calo, iPhone ha sfiorato i 52 miliardi di
dollari. Con la sua nuova strategia Cook
mira a ribaltare tale equilibrio perché,
semplicemente, dagli iPhone non riuscirà
a spremere nessun’altra crescita; i servizi,
al contrario, dimostrano ampio margine
di miglioramento. A caccia del nuovo te-
soro, Apple ha definitivamente svelato le
carte: servizi, servizi e altri servizi, da ap-
poggiare sull’hardware - che continuerà
a esserci, sarà costantemente rinnovato
e genererà miliardi di dollari.
Estratto dai quotidiani onlinewww.DDAY.it
Registrazione Tribunale di Milanon. 416 del 28 settembre 2009
e
www.DMOVE.itRegistrazione Tribunale di Milano
n. 308 del’8 novembre 2017
direttore responsabileGianfranco Giardina
editingMaria Chiara Candiago
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MAGAZINE
MAGAZINE
Dall’Europa 573 milioni di euro per la banda larga nelle zone disagiateLa Commissione Europea ha stan-ziato circa 573 milioni di euro per il finanziamento del piano digitale italiano, ovvero per il piano Banda Ul-tralarga, che intende portare internet ad alta velocità anche a chi risiede in zone non interessanti economica-mente per gli operatori privati. Il fi-nanziamento coprirà il 60% dei “costi ammissibili del progetto”, dando un sostegno consistente al progetto già in corso di realizzazione, che prevede la copertura di 7.000 comuni italiani e circa 12,5 milioni di abitanti e 1 milione di imprese (i cui cantieri sono già in fase di apertura). L’obiettivo è dotare di una connessione di almeno 100 Mbps l’85% delle famiglie e degli edifici pubblici e di almeno 30 Mbps per tutto il resto della popolazione en-tro il 2020. Il finanziamento fa parte dei Fondi strutturali e d’investimento europei di cui l’Italia è il secondo maggiore beneficiario.
MERCATO Un utente ha postato le foto del suo acquisto
L’Antitrust multa Girada: non rispettati gli impegni assunti
di Massimiliano DI MARCO
Violazione degli impegni assunti il 21 febbraio
2018. Con tale accusa, l’Autorità Garante per la
Concorrenza e il Mercato (AGCM) ha multato
Girada per 250mila euro. In particolare, l’Autorità ha
accertato che l’azienda non ha portato avanti quanto
aveva promesso di fare affinché il proprio sistema di
vendita - basato sulla prenotazione dei prodotti a prezzo basso fintanto che l’utente
accetta di essere inserito in una lista e che altri consumatori prenotino tale prodotto - po-
tesse essere in regola. Tra gli impegni che lo scorso anno AGCM aveva chiesto a Girada
di assumere citiamo, a titolo d’esempio, la necessità di una “sostanziale modifica del set
informatico al fine di chiarire lo schema di vendita”, oltre a permettere agli utenti, dopo
“almeno 9 mesi dalla prenotazione”, di acquistare il prodotto scelto al prezzo di mercato
praticato “al momento della richiesta”. Le misure richieste dall’Autorità erano “orientate a
superare gli elementi di criticità [...]” che se adottate “avrebbero consentito ai consuma-
tori di disporre di una serie di informazioni capaci di sanare i possibili profili di illegittimità
delle condotte commerciali”, oggetto del precedente provvedimento.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Roberto PEZZALI
AirPower era un progetto impos-
sibile. Apple ci ha provato fino
all’ultimo, ma poi ha mollato. I
commenti pubblicati sotto il nostro arti-
colo dedicato alla chiusura del progetto,
lasciano pensare che molti non abbiano
capito davvero quanto fosse allo stesso
tempo, complesso, ambizioso e di scarsa
fattibilità il progetto di AirPower.
Apple non voleva un semplice o banale
caricatore wireless, come quello dell’Ikea
a tre posti o come quello che producono
Belkin e altre aziende cinesi, Apple vole-
va una piattaforma dove si potessero ap-
poggiare dispositivi in ogni posizione o
modo e questi venissero di conseguen-
za ricaricati. La cosiddetta “free position
wireless charging”, un qualcosa che an-
cora oggi con lo standard Qi non è stato
fatto da nessuno. Igor Spinella è un inge-
gnere meccatronico, ed è
anche l’ingegnoso pro-
gettista di un innovativo
sistema di carica wireless
diverso da quello usato
oggi in tutto il mondo
(magnetico), la ricarica
capacitiva, a suo dire più
efficiente e molto più
promettente. E abbiamo
chiesto proprio a lui,
che ha trasformato la
sua Eggtronic in una delle più promettenti aziende mondiali nel campo della ricarica, wireless, e non, di
spiegarci perché nessuno è mai riusci-
to a creare un caricatore come quello
che voleva Apple, e anche Apple, con
le risorse che ha a disposizione, ha fal-
lito. “Lo avevo detto tanti anni fa: quella
tecnologia non avrebbe mai potuto fun-
zionare. Se si vuole efficienza si perde la
possibilità di avere lunga distanza, se si
vuole compatibilità con più dispositivi e
totale libertà di posizionamento si perde
la possibilità di passare la certificazione.
Le emissioni elettromagnetiche sono
troppo elevate con una concentrazione
tale di bobine”.
Tutto ciò che trasmette ad alta distanza
non può avere anche alta potenza, al-
trimenti è pericoloso ci spiega Spinella,
che aggiunge “Chiunque dica il con-
MERCATO Molti non hanno capito quanto il progetto di AirPower fosse complesso e ambizioso
AirPower era un progetto impossibile Ecco i motivi per cui Apple ha fallitoUn ingegnere ci spiega le difficoltà tecniche e perché la libertà di posizionamento è fallita
trario sta mentendo. Se si vuole libertà
di posizionamento si deve necessaria-
mente abbandonare la tecnologia in-
duttiva, perché altrimenti un dispositivo
diventa un concentrato tale di bobine
che per calore generato e emissioni
non avrai mai il permesso per la com-
mercializzazione”. Questo è un limite
dello standard Qi, lo standard oggi usa-
to dagli smartphone e
basato proprio sulla
ricarica magnetica. La
corrente passa in un
filo, la bobina, e induce
un campo magnetico
che viene raccolto con
un’altra bobina e ritra-
sformato in corrente.
“Per dare un po’ di li-
bertà servono molte
bobine, quindi non
è scalabile, inoltre
una bobina da lap-
top è poco adatta a
un telefono o ad uno smart watch e vi-
ceversa”. Infatti, nonostante sia Qi, oggi
l’Apple Watch ha bisogno di una sua
bobina e di un suo caricatore dedicato:
nelle basi di ricarica ha il suo posto fis-
so, non può essere appoggiato a caso.
Apple ha fatto il passo più lungo della
gamba, perché questo non è un proble-
ma di ingegneria ma di fisica e Spinella
lo chiarisce bene “In generale il position
freedom, ovvero il poter ricaricare dove
si vuole, e la scalabilità da dispositivi
piccoli e grandi è un problema più di fi-
sica che di ingegneria. Nel sistema che
abbiamo creato, e lo abbiamo mostrato
con successo alle varie fiere internazio-
nali, con TV alimentati senza fili, abbia-
mo cambiato completamente la fisica
utilizzando il campo elettrico invece del
campo magnetico. Il campo elettrico è
più facile da confinare e da scalare sui
vari dispositivi in modo sostanzialmente
indipendente”.
Nella ricarica con campo elettrico, per
farla semplice, si mettono cariche positi-
ve o negative sulle superfici e di genera
attrazione con le cariche di segno oppo-
sto posizionate sul dispositivo. “Con la
tecnologia capacitiva, rispetto a quella
induttiva usata oggi dallo standard Qi,
si evita di passare da campo elettrico a
magnetico e viceversa, rimane tutto elet-
trico senza passaggi intermedi” spiega
l’ingegnere, aggiungendo che stanno
lavorando per estendere gli standard Qi
ed Airfuel integrando la loro tecnologia.
Apple non ha fallito su un banale acces-
sorio, come pensano in molti, ha fallito
nel tentativo di fare un qualcosa che con
le attuali regole in termini di emissioni e
di sicurezza non è proprio possibile fare.
Probabilmente nei laboratori funzionava,
ecco perché l’annuncio, ma non si è riu-
sciti a scendere sotto determinati livelli
di emissione e calore senza perdere di
prestazioni. Una cosa andrebbe anche
aggiunta: Apple ha fallito cercando di
spremere al massimo uno standard che
non è suo e non ha creato lei, il Qi, uno
standard che funziona anche con altri
prodotti di ogni marca e tipo.
Una cosa “non da Apple”: qualcuno ha
affermato che Steve Jobs avrebbe pre-
so tutti a schiaffi fino a quando non lo
facevano funzionare, ma probabilmente
con Steve Jobs Apple si sarebbe fatta
il suo standard di ricarica senza fili, ma-
gari sfruttando una soluzione capacitiva
come quella di EggTronic, disinteressan-
dosi della compatibilità con altro. Una
AirPower “non Qi” probabilmente oggi
sarebbe in vendita negli Apple Store.
Igor Spinella - CEO di Eggtronic
Huawei: “In due anni metà dei nostri smartphone top di gamma sarà pieghevole”Il CEO di Huawei Richard Yu si lancia in previsioni sul futuro dei dispositivi pieghevoli. In due anni i pieghevoli costeranno quanto gli attuali top di gamma. E il P40 potrebbe essere rivoluzionario di P. AGIZZATempo due anni e gli smartphone pieghevoli costeranno quanto gli attuali top di gamma. E Huawei spingerà forte sul settore, con al-meno la metà dei dispositivi top di gamma dei prossimi anni che sa-ranno pieghevoli. È questo il sunto dell’intervista rilasciata da Richard Yu a GSMArena. Il CEO di Huawei, che dichiara di utilizzare come telefono principale il Mate X, si dimostra molto ottimista riguardo al futuro degli smartphone pieghe-voli. “Penso che in un paio d’anni, metà dei nostri dispositivi di punta potrebbero essere pieghevoli” ha detto. Huawei, che insieme a Sam-sung ha tracciato la strada dei di-spositivi pieghevoli, sembra inten-zionata quindi a spingere forte su questa tecnologia, anche se attual-mente il prezzo di questi prodotti rappresenta uno scoglio spesso insormontabile per i clienti.“ I tele-foni pieghevoli sono solo all’inizio e la quota di mercato è piccola, costano molto ed è molto costoso produrli” ha sintetizzato Yu. “Sono convinto, però, che in due anni i te-lefoni pieghevoli avranno un prez-zo simile agli attuali telefoni top di gamma”. In chiusura, l’alto dirigen-te ha parlato del nuovo P30 Pro appena lanciato, concentrandosi anche sul successore. “Proporre-mo un telefono pieghevole con la stessa tecnologia di P30 Pro ma di-mensioni pari alla metà. Siamo già al lavoro su un telefono pieghevo-le più piccolo.”
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Massimiliano DI MARCO
Smartphone, TV e fotocamere sot-
to un’unica bandiera. Dal 1 aprile
Sony racchiuderà tutte e tre le divi-
sioni sotto l’etichetta di Electronics Pro-ducts & Solutions. Non per nascondere
le prestazioni finanziarie - a oggi ancora
pessime - dei suoi smartphone Xperia,
bensì per aumentare la cooperazione tra
le varie aree tecnologiche dell’azienda
e rilanciare così gli smartphone, a oggi
il segmento finanziario più debole di
Sony. La cooperazione tra i vari rami del-
la società, però, è qualcosa che ha già
iniziato a fare con Xperia 1, smartphone
che condivide alcuni tratti salienti della
longeva competenza di Sony nel campo
TV e fotografia. L’unificazione di questi
tre segmenti porta con sé il segno del-
l’ufficialità di tale volontà aziendale.
Sony ha inoltre annunciato che chiuderà
l’impianto produttivo in Cina, a Pechino,
in un’operazione di riduzione dei costi
associati ai suoi smartphone; gli Xpe-
ria saranno quindi prodotti soltanto in
Thailandia, ultimo impianto previsto per
questi dispositivi. Il giro d’affari mobile è
MERCATO Nasce la divisione Electronics Products & Solutions: più cooperazione tra le varie aree Sony
Sony unisce Xperia, TV e fotocamere Obiettivo? Rilanciare gli smartphoneTanti vedono un modo per nascondere il passivo dei telefoni, ma per Sony è una scelta strategica
uno dei più critici per Sony: tra ottobre
e dicembre, la divisione smartphone ha registrato un passivo di 124 milioni
di euro; per l’intero anno fiscale 2018
è previsto un passivo di 95 miliardi di
yen (765 milioni di euro). Per fare un
confronto, i videogiochi hanno portato
nelle casse ricavi per oltre 6 miliardi di
euro, nonostante PlayStation 4 si avvii
verso l’ultima parte del suo ciclo vitale.
Dato l’attuale stato di salute dei telefo-
ni Xperia, tanti analisti hanno intravisto
la volontà di celare il costante calo dei
ricavi degli smartphone che, nel conte-
sto di un’unica divisione, sarebbero bi-
lanciati dalle prestazioni commerciali di
altre categorie di prodotto, come le fo-
tocamere e i TV. La società giapponese
non solo smentisce tale prospettiva, ma
ritiene che anche vendere i propri smar-
tphone a un’altra azienda sarebbe con-
troproducente ora che stanno nascendo
i primi servizi basati sul 5G; anzi, Sony
prevede di ribaltare le sorti dei suoi smar-
tphone entro aprile 2020, rendendoli un
giro d’affari in attivo.
di Franco AQUINI
Quanto cibo viene buttato via ogni
anno in Italia? 10 milioni di tonnel-
late, pari a circa 15 miliardi di euro.
Più o meno come un pezzo importante
di una manovra finanziaria. Ma in questo
caso lo spreco è doppiamente grave,
perché si tratta di cibo, per giunta ancora
buono. Per evitare tutto questo, l’app Too
Good To Go permette ai proprietari di bar,
ristoranti, forni, pasticcerie, supermercati
e hotel di rimettere in vendita tutto quello
che a fine giornata non è stato venduto,
ma è ancora “troppo buono per essere
buttato”. A prezzi ribassati, ovviamente,
ma pur sempre venduti. L’app in que-
stione arriva in Italia dopo essere nata in
Danimarca nel 2015 e dopo aver riscos-
so successo sugli app store di mezza
Europa. Funziona in modo semplice: a
MERCATO Anche in Italia il servizio per acquistare prodotti non venduti di ristoranti, bar e supermercati
Too Good To Go: cibo avanzato venduto a pochi euroSi eviteranno così sprechi di cibo e si potranno gustare piatti da ristorante con pochi euro
fine giornata i ristora-
tori possono prepara-
re delle “Magic Box”
contenenti piatti e pro-
dotti che sono rimasti
invenduti e che non
possono essere rimes-
si in vendita il giorno
dopo. L’utente dell’app
non sa cosa c’è den-
tro, ma può accettare
di scoprirlo pagando un prezzo che va
dai 2 ai 6 euro. In questo modo si può
portare a casa un piatto, magari dal co-
sto anche elevato, e il ristoratore eviterà
di buttare via del cibo ancora buono. C’è
poi il vantaggio per l’ambiente: sarà una
stima un po’ forzata, ma secondo i crea-
tori dell’app, ogni Magic Box acquistata fa
risparmiare all’ambiente 2 Kg di anidride
carbonica emessa. I primi negozi a sup-
portare Too Good To Go saranno i risto-
ranti biologici EXKi e i negozi Carrefour,
mentre Eataly partirà con un progetto
pilota nel punto vendita di Milano Smeral-
do. Sempre a Milano, le Magic Box saran-
no preparate anche da to.market, Tramè
e il micropanificio artigianale Le Polveri.
ipio della domanda e dall’offerta.
Huawei vola Ricavi oltre 100 miliardi nonostante le controversie politicheIl settore consumer diventa il reparto più in crescita. Calo nel settore dei dispositivi per infrastrutture di rete di P. AGIZZA
Più di 100 miliardi di dollari di ricavi, con una crescita del 19,5% su base annua nel 2018. Sono questi gli im-pressionanti numeri di Huawei, che continua il suo periodo magico no-nostante le controversie politiche, in particolar modo con gli Stati Uniti. Nello specifico parliamo di 107 mi-liardi di dollari di ricavi, con un utile netto di 59,3 miliardi. Un rialzo del 25,1% rispetto allo scorso anno. Gran parte del merito per questi ot-timi dati finanziari va al settore con-sumer, che per la prima volta nella storia dell’azienda cinese diventa il reparto più remunerativo. Le con-troversie politiche, col governo degli Stati Uniti che ha espresso preoccupazione per il fatto che i di-spositivi di rete di Huawei possano essere utilizzati dal governo cinese per azioni di spionaggio, hanno la-sciato però un segno sul bilancio dell’azienda cinese.Il settore carrier, cioè quello in cui vengono conteggiati i ricavi derivanti dalla vendita delle appa-recchiature per le infrastrutture di rete, segna infatti un piccolo calo rispetto allo scorso anno e, per la prima volta nella storia del gigan-te asiatico, perde il titolo di settore più remunerativo dell’azienda.Riguardo le prospettive per il futu-ro, Guo Ping, uno dei dirigenti più in vista di Huawei, ha dichiarato che nel periodo di gennaio e feb-braio l’azienda ha fatto segnare un +30% rispetto allo stesso pe-riodo dello scorso anno. Grazie anche alla presentazione della nuova serie P30, il dirigente si è sbilanciato prevedendo anche per il prossimo anno una percentuale di crescita in doppia cifra.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Sergio DONATO
L a dibattuta riforma europea sul di-
ritto d’autore è stata approvata dal
Parlamento Europeo in seduta ple-
naria con 348 voti a favore, 274 contrari
e 36 astenuti.
In modo particolare, l’Articolo 11 della
riforma darà la possibilità agli editori di
stampa di fare accordi con le piattafor-
me online per farsi pagare l’utilizzo dei
contenuti di informazione. I ritagli delle
notizie che danno forma ai cosiddetti
“snippet” e che descrivono il contenuto
di una notizia non avranno alcuna pro-
tezione dalla riforma e quindi resteranno
nel libero uso delle piattaforme online.
Gli introiti derivanti dall’uso dei contenuti
di informazione dovranno essere condi-
visi con i loro creatori, dunque i giorna-
listi. L’Articolo 13, anch’esso monitorato
dall’opinione pubblica, non richiederà
SOCIAL MEDIA E WEB Finalmente approvata la riforma. Articolo 11 con importanti novità
Approvata la riforma europea sul copyright. Che cosa prevedeLa riforma esclude i meme e le piattaforme senza scopo di lucro come Wikipedia o GitHub
l’utilizzo di filtri rappre-
sentati da algoritmi au-
tomatici che esclude-
ranno la pubblicazione
di materiale protetto
da copyright di cui non
si possiede la licenza,
ma l’eventuale reclamo
dei possessori di quei
diritti sarà gestito da
persone. Inoltre, i sin-
goli utenti non rischiano più sanzioni per
aver caricato online contenuti protetti da
copyright, e la responsabilità sarà tutta
nelle mani delle grandi piattaforme come
Facebook o Youtube, mentre quelle di
dimensioni medie avranno obblighi mi-
nori e le piccole saranno completamente
esentate da qualsiasi verifica. I meme, le
parodie e la satira non subiranno alcuna
limitazione dovuta alla contaminazione
della loro esistenza con materiale pro-
tetto dal diritto d’autore. Restano fuori
dalla riforma anche le piattaforme senza
scopo di lucro, come Wikipedia, e quelle
dedicate alla condivisione di materiale
open source, come GitHub. I contenitori
cloud di file non avranno alcun obbligo
circa la nuova riforma e non dovranno
controllare l’esistenza sui loro server di
materiale soggetto a copyright.
SOCIAL MEDIA E WEB Dopo due anni di istruttoria, il Garante della privacy ha multato il M5S
Garante della Privacy contro piattaforma Rousseau “Voti manipolabili”. Scatta multa da 50mila euroLa piattaforma di voto online, Rousseau, è stata ritenuta poco sicura e poco moderna
di Sergio DONATO
I l Garante della Privacy ha concluso
l’istruttoria iniziata due anni fa che
aveva come oggetto la sicurezza dei
dati degli iscritti alla piattaforma online
Rousseau del Movimento Cinque Stelle,
ingiungendo all’Associazione Rousseau
una sanzione di 50mila euro per la man-
cata garanzia nella segretezza e nella si-
curezza dei voti degli iscritti che possono
essere manipolati dagli amministratori del
sistema. Siamo andati a leggere il provve-dimento del Garante, che dal dicembre
2017 ha condotto indagini in diverse fasi
ispettive sui siti “rousseau.movimento-
5stelle.it” e “www.movimento5stelle.it”. Il
Garante ha notato un innalzamento com-
plessivo dei livelli di sicurezza, ma anche
una pericolosità insita nell’obsolescenza
di alcuni software del Movimento, che
utilizza un CMS Movable Type 4 quan-
do la versione più aggiornata è la Type
7. Inoltre, per la Type 4 il produttore Six
Apart non rilascia più
aggiornamenti né patch
di sicurezza.
Alcuni servizi delle
piattaforme software
in capo a Movimento 5
Stelle e all’Associazio-
ne Rousseau possono
essere controllati dagli
amministratori di siste-
ma con connessione
VPN, non lasciando traccia dell’intera-
zione con i sistemi ed escludendo quindi
la possibilità di verifiche. Nel corso delle
votazioni online, inoltre, si è riscontrato
che le misure adottate in ottica di sicu-
rezza sono basate su procedure orga-
nizzative e non su automatismi informa-
tici. La conclusione del Garante ingiunge
all’Associazione Movimento 5 Stelle e
all’Associazione Rousseau di implemen-
tare la verifica a posteriori delle attività
compiute, di assegnare credenziali di au-
tenticazione ai differenti profili di autoriz-
zazione, di aggiornare i software utilizzati
e di riprogettare di fatto il sistema di voto
online. E stacca dal blocchetto anche una
sanzione da 50mila euro. Enrica Sabati-
ni, socia dell’Associazione Rousseau, ha commentato il provvedimento del Ga-
rante affermando che “l’infrastruttura tec-
nologica di Rousseau è stata potenziata
recependo le istruzioni del Garante e che
è uno strumento all’avanguardia in grado
di soddisfare le esigenze degli utenti”.
Perché vedi un post nel news feed? Ora Facebook te lo spiegaFacebook introduce la sezione che spiega perché un contenuto è proposto in quel momento di Giuseppe RUSSO
Con un comunicato Facebook ha annunciato che è in fase di rilascio la funzionalità che consentirà agli utenti di avere molte più informa-zioni e controllare e apportare modifiche sui contenuti mostrati per migliorare la propria l’espe-rienza. All’atto pratico la sezione sarà raggiungibile da ogni singolo post dall’icona a forma di tre puntini come già avviene per le inserzioni pubblicitarie. A proposito della se-zione che consente di valutare le inserzioni pubblicitarie, Facebook ha dichiarato che, grazie ai feed-back ricevuti dagli utenti in questi cinque anni, sono state apportate delle migliorie sulle informazioni da mostrare all’utente per una sua valutazione sulla coerenza di quan-to proposto. Grazie a questa nuo-va funzionalità ogni utente sarà in grado di:- Comprendere il mittente del post se, ad esempio, il contenuto è con-diviso da un amico, un gruppo cui si partecipa oppure una pagina seguita; - I criteri che hanno contribuito sulla scelta di mostrare tale contenuto come ad esempio la quantità e la ti-pologia di interazioni che di recen-te sono state registrate con quel mittente e la popolarità che quel contenuto ha riscosso da parte di altri “attori” che fanno parte della rete dell’utente;- Controllare e modificare quali contenuti mostrare prima, quali eliminare e quali preferire in deter-minati contesti così come mostra l’immagine:Questa funzionalità è parte del pro-gramma di trasparenza promesso da Zuckerberg dopo gli scandali che hanno coinvolto Facebook.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Sergio DONATO
A seguito della riforma approvata dal
Parlamento Europeo in seduta ple-
naria, il diritto d’autore nel mercato
digitale in Europa assumerà nuove carat-
teristiche, soprattutto per la protezione
dei contenuti sotto copyright e della loro
remunerazione a seguito del loro uso da
parte dei prestatori di servizi online. È ov-
vio che laddove si estendono dei diritti ci
può essere qualcuno che di contro vede
aumentare i propri doveri, come Google e
Facebook, per fare solo due nomi. Gli edi-
tori, invece, si dicono soddisfatti. Mentre
Wikipedia, sebbene non sia stata toccata
dalla riforma, si fa paladina della libertà di
espressione e si dice delusa ma pronta a
combattere. Già qualche giorno prima del
voto, in un comunicato congiunto, la Fe-
derazione Italiana Editori Giornali (FIEG) e
l’Associazione Italiana Editori (AIE) si era-
no schierate in modo aperto e favorevole
alla riforma, invocando la protezione del-
l’industria culturale e dell’informazione:
dunque per garantire la remunerazione di
quei contenuti originali che le piattaforme
online utilizzano in modo indiretto per ot-
tenere ricavi senza ridistribuirne una par-
te ai possessori di quei contenuti.
Infatti, l’Articolo 15 della riforma (ex Artico-
lo 11), esprime in modo chiaro che (facen-
do riferimento alla direttiva 2001/29/CE) i
prestatori di servizi della società dell’infor-
mazione devono essere autorizzati dagli
editori di giornali all’utilizzo online delle
loro pubblicazioni di carattere giornalisti-
co. Dunque, la norma non parla di una
“retribuzione” in quanto tale di alcun tipo,
e non potrebbe essere diversamente,
dato che l’autorizzazione del proprietario
di un contenuto potrebbe risolversi anche
in modo gratuito. Ovviamente, è un cam-
biamento notevole nei rapporti di forza
degli editori con le piattaforme online di
servizi, tanto che subito dopo l’approva-
zione della riforma, il Presidente di AIE, Riccardo Levi ha detto: “Una bella pagi-
na e una grande giornata per la cultura e
l’Europa”. Andando a spulciare l’Articolo
15 e fermandoci dalle parti del comma 5,
scopriamo però che anche i giornalisti
(cioè i produttori effettivi di quei contenu-
ti) devono “ricevere una quota adeguata
dei proventi percepiti dagli editori per
l’utilizzo delle loro pubblicazioni di carat-
SOCIAL MEDIA E WEB Dopo l’approvazione della riforma, i due schieramenti hanno reagito
Riforma copyright, le prime reazioni Google: “Danni all’economia digitale”Google e Wikimedia danno sfogo alla propria amarezza. Gli editori celebrano la loro vittoria
tere giornalistico da parte dei prestatori di
servizi della società dell’informazione”.
Google: “Danno all’economia digitale”Dalle parti di Facebook per il momento
tutto tace e non ci sono state dichiarazio-
ni all’indomani della riforma, nemmeno
ufficiose, come invece è avvenuto per
Google. Un portavoce di Google ha fatto
sapere che la versione della riforma ap-
provata martedì è “stata un miglioramen-
to, ma porterà ancora incertezza giuridica
e danneggerà le economie creative e
digitali”. Ha poi aggiunto che la società
collaborerà con i responsabili politici, gli
editori, i creatori e i titolari dei diritti nel
momento in cui i Paesi UE applicheranno
le norme. Google, in quel “danneggia-
mento delle economie creative e digitali”
non si riferisce al solo Articolo 15, ma an-
che all’Articolo 17 (ex Articolo 13), che ri-
guarda l’ottenimento di un’autorizzazione
preventiva dal possessore del contenuto
protetto da copyright per poterlo pubbli-
care sulle piattaforme online che preste-
ranno quel servizio, In pratica, Google, Fa-
cebook, Youtube, devono fare accordi per
ottenere una licenza di pubblicazione. Da
parte delle piattaforme però non ci sarà
alcun obbligo di sorveglianza preventiva,
quindi nella riforma non si parla espres-
samente di algoritmi automatici che do-
vranno filtrare i contenuti senza licenza. È
però altrettanto vero che le piattaforme,
in caso di reclamo del possessore del
materiale sotto copyright, dovranno di-
mostrare di aver compiuto i massimi sforzi
per l’ottenimento di un’autorizzazione alla
pubblicazione del contenuto protetto e gli
algoritmi potrebbero tornare come unica
scelta per scremare quelli che non sono
stati oggetto di una negoziazione contrat-
tuale. Senza contare che il reclamo dovrà
essere gestito da persone fisiche e senza
un filtro automatico che riduca la possibi-
lità di questi reclami, le piattaforme online
si potrebbero trovare di fronte a un lavoro
di scartoffie di dimensioni elefantiache.
Wikimedia dura: “Risultato deludente”Wikimedia Foundation, in qualità di rap-
presentante del mondo libero e aperto
della divulgazione e dell’informazione, ha
detto che con la riforma il Parlamento Europeo ha limitato la libertà di internet. Si dice preoccupata per la scelta arbitra-
ria di ciò che potrà essere pubblicato dal-
le piattaforme soprattutto per non cadere
nell’infrangimento della legge, e ciò sarà
un male per tutta internet. Gioisce solo in
modo sotteso per la non inclusione nella
riforma per tutto ciò che riguarda la diffu-
sione di materiale di pubblico dominio e
che viene attuata da società senza scopo
di lucro. Quindi, si prende anche la gioia
dei musei, degli archivi e delle librerie che
potranno avere libero accesso ai conte-
nuti digitali per scopi di ricerca e senza
fini di lucro. “Una nuova salvaguardia del
pubblico dominio assicurerà che le ripro-
duzioni fedeli dei lavori di pubblico domi-
nio restino non coperte dal diritto d’auto-
re, anche se vengono digitalizzate” dice
Wikimedia. Wikimedia però continuerà
a combattere e tenere le orecchie ben
dritte affinché la riforma sia implementa-
ta correttamente all’interno delle singole
leggi nazionali. La comunicazione della Wikipedia italiana è stata un po’ più di-
messa e ha avuto il sapore della sconfitta.
Si legge infatti sul sito Wikimedia.it: “No-
nostante tutti i nostri sforzi e le proteste
della comunità di Wikipedia, di tantissime
associazioni e di milioni di cittadini euro-
pei, la direttiva copyright è passata così
come proposta.”
I dati di milioni di utenti di Facebook trovati su un server. Il problema è Amazon?I dati di 540 milioni di utenti Facebook sono stati trovati su un server ospitato da Amazon. Il problema risiederebbe nel servizio di storage di Amazon di Franco AQUINII dati di 540 milioni di utenti di Fa-cebook sono stati pubblicati su in-ternet, ma Facebook non c’entra. Com’è possibile? Innanzitutto, i dati esposti erano su un server di un’altra società, Cultura Colectiva, che collezionava dati (non privati) degli utenti che interagivano con la propria pagina Facebook. I dati poi venivano memorizzati in un data-base che, forse per errore, è stato reso pubblico su un server di Ama-zon. A scoprire il problema è stata la società UpGuard, che controlla i server di Amazon S3 alla ricerca di problemi di questo genere. I dati erano informazioni liberamente rin-tracciabili sulle pagine Facebook dei rispettivi proprietari, che però Cultura Colectiva collezionava mas-sivamente in un grosso database evidentemente mal gestito. Ama-zon ha rilasciato una dichiarazione ufficiale: ”I clienti AWS possiedono e controllano pienamente i propri dati. Quando riceviamo una notizia di abuso che riguarda contenuti che non sono chiaramente legali o comunque proibiti, avvisiamo il cliente in questione e chiediamo che vengano presi provvedimenti adeguati, che è quello che è ac-caduto in questo caso. Amazon S3 è sicuro di default, ma offriamo anche la flessibilità di cambiare le configurazioni di base per rispon-dere alle richieste degli utenti che possono richiedere un accesso ampio (...). Chi realizza applicazioni deve assicurarsi che le modifiche che fa alla configurazione degli accessi permetta di proteggere gli accessi come previsto.”
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Roberto PEZZALI
L e indiscrezioni trapelate prima della presentazione
hanno rovinato la sorpresa: si è detto tanto sui nuo-
vi smartphone, quasi tutto, e non c’è più molto da
raccontare. P30 e P30 Pro sono soprattutto fotografia. E
video. Due modelli, come sempre, affiancati dal classico
modello “lite” che però poco condivide, nome a parte,
con i due fratelli superiori.
La vera novità del P30 Pro e del P30 è il super sensore
Huawei Super Spectrum, che l’azienda ha progettato
esclusivamente per questi nuovi smartphone. Un senso-
re che viene condiviso da entrambi i modelli anche se la
sensibilità differisce.
Ci troviamo davanti a due prodotti tuttavia abbastanza
diversi tra loro, con il Pro che può contare anche su
quella che è la seconda grande novità, il teleobiettivo
periscopico da 125 mm.
A firmare gli obiettivi e le lenti c’è sempre Leica, che
questa volta ha dovuto fare un triplo lavoro per battere
ancora una volta le leggi dello spazio: una buona lente
richiede spazio, spessore, movimento, Leica ha dovuto
trovare il modo di impacchettare un 125 mm stabilizzato
in un corpo spesso pochi millimetri.
Trattandosi di uno smartphone costruito attorno alle
fotocamere, iniziamo a parlare del P30 Pro partendo
proprio dal sistema Leica Quad Camera, dove il sensore
principale è il Super Spectrum CMOS con obiettivo 27
mm f/1.6 OIS, stabilizzato quindi ottico. La parola “Super
Spectrum” deriva dalla scelta, decisamente fuori dagli
schemi, di adottare su questo sensore un nuovo par-
ticolare filtro Bayer, ovvero quel filtro montato davanti
ai fotorecettori per filtrare solo una componente dello
spettro. Al posto del filtro RGGB usato oggi da tutte le
fotocamere al mondo, Huawei usa un nuovo filtro RYYB,
con giallo al posto del verde. Una scelta questa che per-
mette all’azienda di aumentare notevolmente la sensibi-
lità del sensore, il giallo è meno assorbente del verde,
ma che ha costretto anche Huawei a rivedere tutto il
processo di generazione dell’immagine. La sensibilità
del sensore raggiunta, secondo l’azienda, è di 409.600
MOBILE Huawei ha finalmente annunciato la nuova serie P30. La vera novità è il super sensore Huawei Super Spectrum
Huawei P30 Pro e P30 sono finalmente ufficiali Una super fotocamera fatta smartphoneIl modello di punta ha un teleobiettivo super e un nuovo tipo di sensore che promette meraviglie quando non c’è luce
iso, ovvero scatto al buio più completo. Nel caso del P30
la sensibilità si dimezza, 204.800 iso, e non sappiamo
perché se il sensore è lo stesso, chiederemo.
A questo punto dovrebbero sorgervi tantissime doman-
de: “E’ un quad bayer o è un vero 40 megapixel? Se fo-
tografo un campo verde si vede bene? I colori non sono
sfalsati? Perché nessuno lo ha mai fatto prima?”. Per il
momento prendete per buono quello che dice Huawei,
tra qualche giorno vi daremo talmente tanti dettagli cor-
redati da prove sul campo che del nuovo sensore Super
Spectrum saprete tutto quello che serve.
Gli altri sensori del sistema Quad Camera sono un 20
megapixel con obiettivo Ultra Wide da 16 mm f/2.4 e un
8 megapixel con un obiettivo 125 mm f/3.4 stabilizzato.
Quest’ultimo è un tele fisso montato a periscopio, quindi
in orizzontale, unico modo per sviluppare un’ottica che
richiede un po’ di distanza focale, quindi spazio. Huawei
è stata decisamente (e stranamente) onesta nel descri-
vere il suo “zoom”: parla infatti di 5x ottico perché usa il
27 mm come base. Se prendiamo però la scritta 16-125
sul retro si capisce bene che sarebbero 8x, anche se
come abbiamo detto più volte la parola “zoom ottico”
non può essere usata perché quello di Huawei è uno
zoom digitale, che solo in un caso, a 125 mm, lavora con
lenti e sensori senza interpolazioni. In tutti gli altri casi
interviene un algoritmo che usa il sensore principale per
aggiungere qualche informazione mancante. Questo
zoom arriva in modalità ibrida a 10x (250mm) usando il
machine learning, ma Huawei lo spinge in puro digitale
anche a 50x, 1250 mm, una esagerazione.
Anche su questo obiettivo faremo prove molto appro-
fondite, e già da domani sera potrete trovare su DDay.it
un confronto di ingrandimento tra P30 Pro e una bridge
super zoom di fascia alta. Ovviamente uno smartphone
non può competere con fotocamera simile, ma sarà cu-
rioso vedere quanto si avvicina al risultato ottenuto con
prodotti di fascia alta a tutte le focali.
Infine, ma non meno importante, il sensore TOF: il P30
Pro usa l’innovativo sensore 3D per disegnare una map-
pa 3D molto accurata che permette di gestire un effetto
bokeh multilivello. Oggi la maggior parte degli effetti sfo-
catura si limitano a staccare il soggetto e a sfuocare lo
sfondo, Huawei crea una mappa e gestisce la sfocature
su circa 40 livelli, rendendo l’effetto meno “artificiale”. Il
sensore ToF 3D servirà anche ad altre applicazioni, ad
esempio per misurare oggetti fornendo altezza, larghez-
za, profondità e calcolando il volume.
L’uso del Kirin 980, decisamente più potente del pro-
cessore usato sul P20 Pro, ha permesso a Huawei di
segue a pagina 18
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
MOBILE
Huawei P30 Pro e P30segue Da pagina 17
potenziare gli effetti già presenti sul P20 che facevano
uso del machine learning.
L’eccelso Night Mode è stato migliorato ancora, e usan-
do lo stesso principio è stato aggiunto anche un utilis-
simo Silk Mode. Quest’ultimo è una modalità a lunga
esposizione che non sovraespone gli oggetti fissi, quin-
di aiuta a fare quello che solitamente richiederebbe un
filtro Neutral Density: è utile per le scie d’acqua e per
rendere “dinamiche” immagini scattate con tanta luce.
Nuova anche la modalità HDR, potenziata dall’intelligen-
za artificiale e chiamata AI HDR+.
Sempre grazie al machine learning novità anche in am-
bito video: la stabilizzazione ibrida viene migliorata an-
cora e il Night Mode funziona anche in video oltre che
in foto. Si chiama uguale, ma sfrutta solo la sensibilità: il
video non si può usare l’esposizione multipla.
Questo è principalmente P30 Pro, un enorme upgrade
in campo foto e video rispetto a Mate 20 Pro dal quale
eredita però altre piccole novità. La batteria è la stessa
da 4.200 mAh, c’è il super charge da 40 watt, c’è la rica-
rica wireless che funziona anche come ricarica inversa,
la scocca è protetta IP68 e manca, come sul Mate, il jack
audio. Il corpo è molto simile a quello di Mate 20 Pro,
doppio edge sul fronte e sul retro: da
una parte c’è il vetro che protegge
lo schermo curvo da 6.47” e 2340 x
1080 pixel di risoluzione, dall’altra c’è
la scocca colorata con diverse nuove
tonalità cangianti.
La fotocamera frontale è stata inse-
rita in un piccolo notch a goccia: 32
megapixel, e nessun sensore 3D
aggiuntivo, quindi P30 Pro ha come
unica soluzione di sblocco il finger-
print ottico sotto lo schermo. Rispetto
al Mate 20 Pro perde lo sblocco 3D
con il volto. Bluetooth 5, wi-fi clas-
sico, modem LTE cat 21 a 1.4 Gbps,
8 GB di RAM e 128 GB di storage
chiudono una lista di caratteristiche da vero top di
gamma. Il modello da 128 GB costerà 999 euro, quello
da 256 GB 1.099 euro, come il Mate 20 Pro. Entrambi
sono espandibili, ma serve la piccola card proprietaria
Huawei. Per P30 serviranno invece 799 euro: ha uno
schermo più piccolo, 6.1”, senza bordi edge, quindi piat-
to, con sensore biometrico integrato sotto lo schermo.
La risoluzione è sempre di 1080 x 2340. Sul P30 man-
cano anche la ricarica wireless, la RAM sarà di soli 6GB
e la memoria storage di 128 GB comunque espandibile.
Niente certificazione IP68 e niente zoom periscopico: il
reparto fotografico sarà praticamente quello del Mate
20 Pro ma con il nuovo sensore da 40mp f/1.8 non sta-
bilizzato (elemento da verificare), un super wide da 16
megapixel f/2.2 e un tele da 80 mm di fianco classico.
Più piccola anche la batteria, 3650mAh.
Inutile dire che a questo prezzo, considerando che sul
P30 c’è il nuovo sensore ma castrato, meno sensibilità,
zero OIS e lente più chiusa, f/1.8, forse è meglio prende-
re Mate 20 Pro: si trova oggi a circa 800 euro e è sicu-
ramente migliore come caratteristiche. P30 Pro arriverà
nei negozi italiani dal 26 marzo.
di Roberto PEZZALI
Al termine della presentazione dei
nuovi flagship abbiamo avuto modo
di incontrare una delle persone che
ha guidato lo sviluppo e la creazione di
questi nuovi P30 e P30 Pro, Bruce Li, Vice
President Device Handset di Huawei. E ci
siamo fatti dare qualche dettaglio in più.
La prima curiosità riguarda il sensore: il
manager ci conferma che il sensore è pro-
dotto da Sony ed è un quad pixel, come
quello dello scorso anno. C’è curiosità
anche per quanto riguarda il dato, esage-
rato, di 409.600 ISO di sensibilità che di-
ventano, nel caso del P30, 204.800 ISO.
Se il sensore è lo stesso, come è possibile
questa perdita di sensibilità?
In realtà il valore di ISO dichiarato non è
affatto nativo del sensore (che sarà pari ai
6400 impostabili in pro mode), ma è una
sorta di equivalenza che si ottiene combi-
nando i vari elementi tra i quali la modalità
notte, la lente e la stabilizzazione. Qui ci
sarebbe da fare un discorso su cosa sia
l’iso nativo di un sensore, ma non è l’am-
bito adatto. In poche parole usando la
MOBILE A margine della presentazione, Bruce Li, Vice President Handset Huawei, ci ha dato qualche dettaglio su P30 e P30 Pro
P30 Pro, dubbi e curiosità. Dall’assenza del 5G al display con una risoluzione inferiore a quella del Mate 20 Bruce Li spiega la scelta di certe decisioni in fase progettuale, come il sensore quad pixel prodotto da Sony e gli ISO
modalità notte a 32 secondi di posa (che
non è una esposizione unica, ma una raf-
fica di esposizioni), si arriva a quel valore.
Il calcolo è semplice: in modalità notte im-
postando a mano 1600 ISO e 32 secondi
P30 Pro scatta 8 foto al secondo: 32 * 8 *
1600 restituisce i famosi 409600 ISO.
La differenza di sensibilità tra P30 e
P30 Pro è dovuta alla mancanza sul
primo dello stabilizzatore e l’uso di un
obiettivo leggermente meno aperto,
f/1.8 contro f/1.6. Il secondo dubbio era
legato al display: perché su un prodot-
to destinato alla fotografia, come il P30
Pro, si è scelto di usare un display con
una risoluzione inferiore a quella del
Mate 20 Pro? Dovendo mostrare le foto,
era preferibile avere uno schermo con
una definizione più elevata. Bruce Li ci
risponde che hanno visto che la maggior
parte delle persone anche sul Mate 20
Pro non usava la piena risoluzione, per-
ché consumava troppo, quindi per una
questione di consumi e ottimizzazione
hanno preferito ridurre la risoluzione
nativa, anche perché dai test fatti la dif-
ferenza ad occhio è minima. Qualche cu-
riosità sulla stabilizzazione: sul P30 Pro
viene usato un nuovo tipo di stabilizza-
tore basato su un metallo che riscaldato
cambia forma, quindi non su una bobi-
na magnetica: questo perché il gruppo
ottico del sensore pesava troppo e un
motore tradizionale potrebbe bruciarsi.
Il test e le prove di affidabilità su que-
sto tipo di motore OIS hanno richiesto
3 anni. Sull’ottica super grandangolare
non è montato lo stabilizzatore: se i pri-
mi “teardown” mostreranno l’ottica che
si “muove”, non è perché è stabilizzata,
si tratta semplicemente della messa a
fuoco, dell’autofocus. Questo per ricor-
dare gli anni scorsi, dove l’assenza dello
stabilizzatore su alcuni modelli P aveva
creato qualche dissapore soprattutto
dopo che iFixit, smontandolo, aveva tro-
vato le ottiche “mobili”. Semplicemente
è la messa a fuoco.
Infine una nota sul 5G: tutti si aspettava-
no un P30 5G ma non ci sarà, almeno
oggi. Secondo Huawei lo sviluppo delle
reti non ha raggiunto ancorata maturità
tale da giustificare un prodotto 5G ora.
Soprattutto perché, usando la tecnologia
attuale, l’autonomia sarebbe penalizzata,
serve un processore più efficiente.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Roberto PEZZALI
Quando un produttore punta tutto sulla fotografia,
non si può pensare di valutare uno smartphone
semplicemente scattando alcune foto di prova.
Ecco perché per il P30 Pro abbiamo deciso di fare una
prova sul campo vera, mettendoci nei panni di un tu-
rista che ha speso 1000 euro per lo smartphone che
sognava da tempo, e pensando di avere tra le mani il
miglior cameraphone al mondo e ora vuole usarlo per
la sua vacanza. Risponderà alle aspettative? Mancherà
qualcosa? Sarà facile portare a casa un buon risultato?
Siamo volati in Cappadocia, regione storica della Tur-
chia che ogni anno attrae milioni di turisti da tutto il
mondo. Un posto dove ogni giorno migliaia di perso-
ne attendono il tramonto nella valle rosa, dove ogni
mattina alle 5.00 in punto suona la sveglia e centocin-
REPORTAGE Siamo volati in Cappadocia con il nuovo P30 Pro e lo abbiamo messo alla prova in ogni condizione, da veri turisti
Il viaggio in Cappadocia con Huawei P30 Pro Ecco le nostre foto e i video. Che spettacolo! Tutte le foto, i video in Full HD e i video in 4K che abbiamo realizzato alla caccia di pregi e difetti di un cameraphone da 1000 euro
quanta mongolfiere si alzano in cielo portando i turisti
a fotografare l’alba, dove ci sono città sotterranee dif-
ficili da fotografare, paesi che la notte risplendono al
buio e angoli esotici perfetti da “istagrammare”. Deci-
ne e decine di clip video, un migliaio di foto scattate
in ogni condizione, dal buio più totale alla luce forte.
Una prova di tutte le modalità, dal bokeh l’HDR, pas-
sando per le modalità assistite dall’IA al puro ma-
nuale con scatto in RAW. Le abbiamo provato tutte,
e questo è il risultato. In ogni foto abbiamo messo
il link per scaricare la foto a formato intero, e, dove
disponibile, anche il file in formato RAW per chi vo-
lesse provare ad aprirlo in Lightroom o un Photoshop.
Sotto ogni scatto, per avere un riferimento di tempi,
sensibilità e obiettivo utilizzato i dati Exif. E ovviamen-
te anche due video: uno a 1080p, per vedere come
si comporta lo smartphone quando deve avere a che
fare con il formato comunque più usato, un video rea-
lizzato usando tutte e tre le ottiche, dal grandangolo
al tele. E un video in Ultra HD a 30 fps (grande limite
del P30 Pro l’assenza dei 60p), realizzato ovviamente
con le stesse modalità.
segue a pagina 20
lab
video
Questo scatto dei camini delle fate è stato fatto usando l’ottica principale. Sensibilità molto bassa, c’è luce, buonissimo recupero sulle luce e sulle ombre. L’abbiamo scattata in modalità Pro a 40 me-gapixel, questo è l’output in formato Jpeg e si può apprezzare una buonissima definizione, soprattutto sui ramoscelli degli arbusti in primo piano.
Una vista dei camini delle fate: questa volta abbiamo sfruttato l’obiettivo super grandangolare per scendere e fare una foto dal basso, cercando di dare maggiore respiro alla fotografia. Anche per questo scatto in RAW, così si può apprezzare la resa del sensore più piccolo con ottica super wide.
Clicca sulle foto per l’ingrandimento
1429 shutter / 50 ISO / 2.4 mm / 5120x3840
1/1250 shutter / 50 ISO /2.3 mm / 5104x3824
Come per il Mate 20 Pro resta la modalità super macro, che permette di avvicinarci a pochi centimetri dal soggetto fotografato. In questo caso una farfalla sugli alberi appena fioriti. Anche qui si può apprezzare una eccellente nitidezza.
Il video a 1080p con P30 Pro Dal grandangolo al timelapse
lab
video
1/1429 shutter / 50 ISO / 2.4 mm /5120x38401/5000 shutter /50 ISO / 5.6 mm / 7280x5456
torna al sommario 20
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
REPORTAGE
In Cappadocia con Huawei P30 Prosegue Da pagina 19
segue a pagina 21
Uno scatto in bianco e nero per non dimenticarci che la serie P è nata proprio con il bianco e nero. Questa volta non c’è il sensore dedicato, ma si può usare il filtro B&N su tutte le ottiche. Il risultato è quello che si può ottenere semplicemente levando la saturazione da una foto: manca un po’ di dinamica.
Due case nella valle rosa, la luce è quasi quella del tramon-to. Molta saturazione cromatica, tanto dettagli nonostante la “piattezza” della scena. Come su ogni smartphone a mancare un po’ è la tridimensionalità.
Il “canyon” al tramonto scattato usando l’obiettivo super grandangolare: si apprezza un ottimo controllo sia delle alte sia delle basse luci. Anche i ramoscelli in primo piano mostrano un eccellente dettaglio.
Il classico star trail: questa funzione è una delle nostre preferite, anche se ci sembra che sul P30 Pro Huawei non abbia regolato bene la luminosità: appare leggermente sovraesposta. Questo è il risultato di 20 minuti di esposizione intervallata. Sarebbe bello se lo smartphone suggerisse, usando la bussola, la direzione dell’angolo di rotazione della volta celeste.
Un closeup di una teiera: da apprezzare anche qui la definizione, soprattutto nel punto in cui il cotto è rotto ed è stato aggiustato.
Clicca sulle foto per l’ingrandimento1/3300 shutter / 50 ISO / 5.6 mm / 5472x7296
1/570 shutter / 50 ISO /14.5 mm /3248x2432
1/190 shutter / 50 ISO / 2.3 mm / 5104x3824
1245.5 shutter / 800 ISO/ 5.6 mm / 3648x27361/125 shutter / 50 ISO / 5.6 mm / 7280x5456
Siamo all’interno di una città sotterranea, tufo scavato e una grossa pietra di granito che chiudeva il passaggio in caso di attacco. Illuminazione molto bassa, e questo è quello che si ottiene usando la modalità notte.
1/35 shutter 364 ISO 5.6 mm 7280x5456
torna al sommario 21
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
L’unica luce presente in questo scatto è quella del bru-ciatore che sta gonfiando la mongolfiera: iso nemmeno troppo alti, tempo di posa ai limiti per non avere mosso. Risultato decisamente buono.
Un “quasi” controluce. Qui nonostante gli iso bassi il sensore pasticcia tantissimo, molta polarizzazione sul pile e sul collo.
Abbiamo lo zoom, usiamolo: la luce è poca, a gran-dezza naturale ci si potrebbe aspettare di più ma con altri smartphone è impossibile portare a casa questo scatto. Qui una serie di scatti con zoom.
Di nuovo il grandangolo, questa volta dal basso: guarda verso l’interno della mongolfiera. C’è un po’ di rumore, ma riducendo si elimina. E lo scatto è davvero buono.
REPORTAGE
In Cappadocia con Huawei P30 Prosegue Da pagina 20
Clicca sulle foto per l’ingrandimento
1/25 shutter / 408 ISO / 2.3 mm / 5104x3824
1/950 shutter / 50 ISO / 5.6 mm/ 7280x5456 1/130 shutter / 50 ISO / 14.5 mm / 3248x2432
1/400 shutter/ 50 ISO/ 2.3 mm / 3824x5104
1/500 shutter / 50 ISO / 14.5 mm / 3248x2432
1/170 shutter / 50 ISO / 14.5 mm / 2432x3248
lab
video
Il video in 4K Ultra HD Sulla mongolfiera per riprendere l’alba
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Roberto PEZZALI
I lP20 Pro con la sua fotocamera da 40 megapixel
ha lanciato un trend: “It’s all about photo”. La foto-
camera “quad bayer”, la modalità notte e l’uso inten-
sivo del machine learning per ottimizzare alcune moda-
lità di scatto sono senza dubbio i più grandi contributi
che Huawei ha portato al mondo degli smartphone, e
qui tutti hanno seguito. Uniche eccezioni Apple e Sam-
sung, che non hanno voluto “copiare” il marchio che
solitamente “copia” e ancora oggi si ritrovano senza
una modalità di scatto notturno degno di questo nome.
P30 Pro nasce sulla base del Mate 20 Pro, e Huawei
già sul modello precedente aveva già capito che la fo-
tocamera in bianco e nero era un “di più” che pochi ap-
prezzavano: le foto in bianco e nero ricavate togliendo
la saturazione da una foto normale a colori sono suffi-
cienti ad accontentare un utente che non è un profes-
sionista. Chi distingue la foto fatta da un vero sensore
in bianco e nero da una fatta da un sensore a colori che
è stata resa in bianco e nero dopo? Crediamo nessuno.
Sul Mate 20 Pro, al posto del sensore B&W, Huawei ha
deciso così di introdurre l’ottica super grandangolare,
un 16mm che farà la felicità di molti turisti: durante la
nostra prova fotografica in Cappadocia più volte abbia-
mo sognato di avere il sensore “buono”, ovvero il 40
megapixel grande, sull’obiettivo super grandangolare.
In moltissime situazioni abbiamo trovato infatti più utile
e sfruttabile l’inquadratura ampia. Il 16 mm per il turista
è una benedizione: abbiamo visto persone schiacciate
contro un muro per cercare di fotografare un minareto
che, dopo mille acrobazie, è uscito comunque tagliato
nella foto.
La terna con cui scende in campo Huawei è completa
e versatile: c’è il 16 mm con apertura f/2.4 che abbiamo
elogiato prima, appoggiato ad un sensore da 20 mega-
pixel, c’è il classico 27mm con sensore super gigante
(1/1.7”) e c’è il nuovo obiettivo da 125 mm a periscopio
con sensore da 8 megapixel. I numeri raccontano già
quello che poi riscontreremo anche nelle fotografie fat-
MOBILE Un approfondimento sulla “mostruosa” sezione fotografica di Huawei P30 Pro, che accompagna il nostro reportage
Huawei P30 Pro, vi sveliamo come funzionano le fotocamere e il sensore SuperSensitiveTutto quello che c’è da sapere su SuperSensitive CMOS, teleobiettivo a periscopio e sensore ToF, una miniera ancora da sfruttare
te: l’ottica super grandangolare, ovviamente non sta-
bilizzata, ha un obiettivo non luminosissimo e questo
durante gli scatti e i video in notturna si percepisce.
La stessa cosa si può dire per l’obiettivo a periscopio,
il particolare percorso ottico costringe Huawei a usare
un sensore piccolo e una apertura ridottissima, f/3.4. È
stabilizzato, quindi si guadagna qualche frazione di se-
condo di tempo di posa, ma resta comunque un obiet-
tivo sfruttabile solo con tanta luce, perché al tramonto
e al buio non può fare miracoli. La modalità notte, in
alcuni frangenti, viene comunque in aiuto del tele, ma
nella maggior parte dei casi se si prova un super zoom
la notte la resa è disastrosa, vedi sotto. Ma è una estre-
mizzazione: oltre i 10x, modalità notte, buio totale.
Ci sarebbe un quarto sensore, il Time of Flight, fatto
apposta per costruire una mappa 3D da usare per l’ef-
fetto bokeh: Huawei, con un 125 mm, non poteva più
costruire la profondità usando il parallasse e si è do-
vuta servire del sensore ToF che è comunque nato per
quello. I risultati li vedremo a breve.
Teleobiettivo da 125 mm e ToF sono sicuramente due
delle tre principali novità, ma sul trono ci mettiamo il
nuovo sensore SuperSensitive. Questo è un vero az-
zardo da parte di Huawei, lo diciamo subito, e lo è per
diversi motivi. Il sensore SuperSensitive è un sensore
CMOS da 40 megapixel unico.
Come funziona un sensore CMOSPer chi non sapesse come funziona un sensore CMOS
un piccolo ripasso tecnologico: in un sensore ogni fo-
toricettore, o pixel, è ricoperto da un particolare filtro
che gli permette di catturare uno solo dei colori dello
spettro. È il filtro di Bayer, così chiamato in onore del-
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Si può scattare una foto alla luna, come dimostra Huawei? Si, si può, anche se con qualche accorgi-mento. Ecco nostro tentativo.
Di giorno è incredibile, questo scatto è un esem-pio: la nitidezza c’è, il rumore è quasi inesistente. Dobbiamo pensare, valutando la foto, che è uno zoom periscopico con un sensore da 8mp piccolo e una apertura decisamente ridotta.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
l’ingegnere Kodak che lo ha creato. Ogni pixel di una
fotocamera quindi o è rosso, o è verde o è blu, e registra
l’intensità di luce rossa, verde o blu che raggiunge, gra-
zie ad una piccola lente, quel singolo pixel. Qui sotto la
tipica struttura di un filtro Bayer tradizionale, usato dal
99% dei sensori delle macchine fotografiche e delle fo-
tocamere oggi sul mercato. L’occhio umano è più sensi-
bile al verde, e proprio per questo motivo nei sensori il
numero di pixel con filtro verde è doppio rispetto a quelli
con filtro blu o rosso. In un sensore da 12 megapixel
ci sono quindi 6 milioni di pixel verdi, 3 milioni di pixel
rossi e 3 milioni di pixel blu. Se ogni pixel registra solo
un primario, come mai nella foto risultante ogni pixel è
invece “colorato”? Perché c’è un processo intermedio
che si chiama “demosaicizzazione”: il particolare mosai-
co di pixel rossi, verdi e blu viene decodificato usando
un algoritmo (ce ne sono diversi) che partendo dal pixel
selezionato e usando i pixel attigui ricostruisce lo spet-
tro della luce prima del filtro, quindi il colore reale. La
“demosaicizzazione” è in pratica la conversione da quel-
lo che è un dato grezzo, il RAW appunto, a quella che
è la foto finale, poi salvata nel caso degli smartphone
sottoforma di file Jpeg. Qui sotto uno scatto RAW non
demosaicizzato.
Huawei, dal Quad Bayer al SuperSensitiveCosa ha fatto Huawei? In questi anni Huawei ha giocato
con i filtri Bayer: sul P10 lo ha tolto, creando un sensore
in bianco e nero che, senza filtro, aveva una sensibilità
maggiore. Sul P20 invece ha riesumato dei vecchi bre-
vetti riportando in auge il “quad bayer”, una particolare
struttura di filtro Bayer che permette di avere risoluzioni
elevatissime su sensori di dimensioni decisamente pic-
cole. Il sensore quad bayer del Huawei P20 e del Mate
20 ha 40 megapixel, ma il mosaico è decisamente meno
fitto. C’è una motivazione tecnica per questo: come ab-
biamo detto prima su ogni pixel c’è una piccola lente, poi
MOBILE
Huawei P30 Pro, fotocamere e sensore SuperSensitivesegue Da pagina 22
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c’è il filtro e infine l’elemento sensibile, ma se il sensore
ha dimensioni ridotte la lente e i filtri diventano così mi-
nuscoli che creano “crosstalk”, ovvero interferenza con
i pixel vicini portando ad un calo della qualità d’immagi-
ne. Eco quindi che viene usata una lente sola e un filtro
solo, o rosso, o verde o blu per gruppi di quattro pixel.
Rivedendo l’algoritmo di demosaicizzazione si ricavano
comunque 40 milioni di pixel veri, anche perché come si
può vedere dalla foto sopra si riesce a ricavare una strut-
tura simile a quella del Bayer. Fujifilm, con il suo sensore
X-Trans, ha rivisto pure lei il filtro Bayer e non è così di-
verso da quello usato dagli smartphone Huawei. C’è un
secondo vantaggio, e ne abbiamo già parlato più volte: i
quattro fotorecettori sotto lo stesso gruppo “filtro lente”
possono essere usati come un solo evento fotosensibile
con sensibilità quadrupla.
Arriviamo così al SuperSensitive, che è l’ennesima evo-
luzione di questo sensore: Huawei ha giocato ancora un
volta con il filtro Bayer, ha eliminato il verde e al posto
del verde ci ha messo il giallo.
Detta così può sembrare una follia: Huawei, ultima arri-
vata nel campo della fotografia, stravolge un filtro inven-
Questo boost incredibile di sensibilità può risul-tare molto utile in qualche situazione, ma in altre sembra che Huawei accenda la luce dove non ce ne sia bisogno: usando la modalità notte alcuni panorami scattati alle 2 di notte al chiaro di luna sembrano illuminati a giorno.
Qui sopra un “fotogramma” estratto da un video: i In determinate condizioni di saturazione il giallo diventa verde fluo. Se nelle foto basta prendere il RAW per non avere problemi, sui video non c’è modo di correggerlo, deve intervenire Huawei. Noi ovviamente lo abbiamo segnalato.
Problemi seri non ne abbiamo riscontrati, tranne in alcuni casi, con una luce gialla ad altissima intensità come questo tramonto, dove l’alone giallo viene trasformato in verde fosforescente dal processo di conversione da RAW a Jpeg. Trattandosi di giallo e di verde, quasi sicuramente questo problema è dovuto alla particolare neces-sità di conversione delle informazioni, una cosa che si può correggere con un aggiornamento. Sul RAW questo alone verde non esiste, quindi il sensore cattura benissimo, è lo “sviluppo” che lo introduce.
Abbiamo anche fatto alcuni confronti di cattura sui primari usando condizioni reali: ecco come il P30 Pro si comporta rispetto ad un iPhone XS, scelto proprio perché Apple ha sempre privilegiato l’accuratezza cromatica rispetto alla risoluzione. Due note doverose: iPhone scatta in Wide Gamut se si usa il formato HEIF quindi ha una gamma cromatica molto più ampia. P30 Pro scatta in Adobe RGB a 8 bit quando si usa il RAW, e in sRGB
quando si usa il Jpeg. I file dell’iPhone hanno uno spazio colore più ampio. Queste foto pubblicate sotto sono tutte in sRGB e le abbiamo messe solo per fare vedere che “grossi problemi” sui colori non ce ne sono. Tuttavia, come ci han detto molti esperti di sensori, la precisione cromatica non è delle migliori motivo per il quale una soluzione simile non è stata adottata da altri in campo fotografico.
tato da Kodak e usato da tutti, Sony, Canon, Nikon e ogni
altro produttore di fotocamere, Leica inclusa.
La scelta è quanto meno un azzardo: Huawei, nel corso
del briefing di lancio del prodotto, ci ha detto che non
lo ha fatto nessuno perché questa modifica richiede un
totale re-design del flusso di cattura dell’immagine, e si
è detta sicura della sua scelta. Ma noi, non potendoci
basare su quello che ci racconta Huawei, siamo andati
un po’ a fondo. E abbiamo scoperto che questa non è
affatto un’idea Huawei: “Imaging System with Modified
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
simo ottenibile è 6400 iso. Usando la modalità notte lo
smartphone scatta davvero al buio, e per buio inten-
diamo il buio completo. In questa caverna della città
sotterranea di Kaymakli non c’era luce, e il sensore del
Huawei è riuscito a cogliere qualcosa. Una estremiz-
zazione, ma è solo per far vedere come realmente ci
troviamo davanti ad un sensore che vede più dell’oc-
chio umano. Lo scorso anno abbiamo scattato diverse
foto con il P20 Pro durante un safari in Sud Africa, e
siamo riusciti a catturare cieli stellati, animali al buio e a
scattare fotografie che non saremmo riusciti a scattare
con altri smartphone. Oggi anche altri modelli hanno
aggiunto le “modalità notte”, e Huawei ha voluto ricon-
fermare la supremazia nel campo esasperando la sen-
sibilità probabilmente oltre la reale necessità. A nostro
avviso sulle foto non serviva, ma sui video aiuta.
Se pensiamo poi che per raggiungere questo livello di
sensibilità i progettisti hanno dovuto ricostruire con una
matrice colore il “verde” rischiando di creare problemi
cromatici forse, a mente fredda, ci sentiamo di dire che
era meglio mantenere la soluzione classica del P20.
Albert Theuwissen, presidente della International Ima-
ge Sensor Society, ci aveva ad esempio messo in guar-
dia dicendo che per mantenere la migliore precisione
cromatica la soluzione RYYB non è la scelta ottimale.
Ma dalle foto fatte sembra che non ci siano problemi
evidenti, e se il sensore SuperSensitive perde qualco-
sa in termini di fedeltà cromatica non è qualcosa che
si può notare ad occhio. Il sensore principale resta ec-
cellente come quello del P20 Pro e del Mate 20 Pro,
e si riescono a scattare fotografie da 40 megapixel
con una definizione incredibile. Se si considera che la
maggior parte degli utenti “smartphone” applica filtri,
spinge un po’ sulla saturazione e vuole foto d’effetto,
probabilmente Huawei ha pensato che tra sensibilità
e scatti al buio e perfetta fedeltà cromatica era meglio
privilegiare la prima. Anche perché questo “push” di
sensibilità non è a solo vantaggio delle fotografie, dato
che sul P30 Pro la modalità notte interviene se neces-
sario anche sul video.
È tempo di migliorare l’applicazioneLa fotocamera però non è solo “hardware”: Huawei in
questi anni ha migliorato tantissimo l’aspetto tecnico e
con ogni generazione ha aggiunto funzionalità anche
uniche. Il risultato è però una applicazione che ormai
è un po’ un frankenstein, perché costringe a saltare da
una impostazione all’altra e a volte anche a passare dal
menu impostazioni. Lo zoom ibrido, ad esempio, fun-
ziona solo se si scatta a 10 megapixel e quindi per chi
vuole tenere lo scatto base a 40 megapixel il continuo
passaggio da 40 a 10 è un po’ frustrante. Ci sono tante
altre incongruenze: c’è “ritratto” e c’è “apertura”, la pri-
ma sfoca lo sfondo con le persone la seconda con gli
oggetti. Ma se c’è un sensore ToF, che riesce a costrui-
re una mappa 3D, che bisogno c’è di separare oggetti
e persone? Sono sempre elementi in primo piano e c’è
sempre uno sfondo da sfuocare.
La modalità “Pro” non ha un istogramma, si capisce se
si sottoespone ma non se si sovraespone, gli ISO si
fermano a 6400 e l’interfaccia non è chiarissima. Come
non è chiara sempre la gestione dello zoom, sfruttabile
sulle foto ma meno pratica quando si registrano video:
non si possono fare “zoomate” fluide perché si avverte
in modo netto il passaggio tra un obiettivo e l’altro. Cre-
diamo sia il caso di rivedere interamente l’applicazione
della fotocamera, magari spendendo anche qui il nome
Leica per realizzare un’app più “professionale” con
istogramma e personalizzazioni e una applicazione più
consumer con tutte le modalità automatiche.
La miglior fotocamera per smartphone migliora ancoraÈ tempo di trarre le conclusioni: la fotocamera del P30
Pro è meglio di quella del P20 Pro e degli altri smartpho-
ne? Sicuramente si, ma solo se la si conosce bene e la
si impara ad usare. Non è una camera punta e scatta di
un iPhone, un Pixel o un S10, è una po’ una fotocamera
per smanettoni. I risultati eccellenti si ottengono con un
po’ di testa. Tra le tre novità quella che abbiamo apprez-
zato maggiormente è il super grandangolo, verrà usato
tantissimo. E poi il tele da 125 mm: funziona benissimo,
e anche l’hybrid zoom lavora egregiamente. Si riesce
quasi a fotografare la luna, magari non è perfetta ma
con altri smartphone è impossibile ottenere un risultato
simile. Infine ci sono il ToF e il super sensore: il ToF a
nostro avviso è una miniera ancora da sfruttare, i ritratti
vengono bene ma non sono ancora perfetti. E poi c’è
il sensore “rivoluzionario”: il sensore del P20 era ecce-
zionale e a nostro avviso quello che si è preso Huawei
è un bel rischio. Avere più sensibilità è utile più per le
video che sulle: sulle foto siamo arrivati al punto dove lo
smartphone crea una luce che non c’è. E questa non è
fotografia, ma Photoshop.
Nelle mani di chi ci sa fare, di chi vuole scattare anche in
manuale, di chi conosce alla perfezione tutte le modalità
e come rendono, il P30 Pro è una fotocamera mostruosa
nascosta dentro uno smartphone. E con l’arrivo del su-
per grandangolo e del tele è più versatile di ogni fotoca-
mera compatta, priva o di superwide o di tele spinto.
MOBILE
Huawei P30 Pro, fotocamere e sensore SuperSensitivesegue Da pagina 23
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Clear Image Pixel” è un brevetto Aptina dell’8 maggio
2014, brevetto con scadenza fissata al 2033. E questo
brevetto racconta esattamente quello che fa il sensore
SuperSensitive di Huawei: sostituendo il verde con un
filtro meno assorbente, quindi un filtro bianco, miglio-
ra la sensibilità del sensore di oltre due volte. Per non
creare problemi con il rumore e il bilanciamento del
bianco il brevetto suggerisce di usare un filtro bianco
con pigmenti gialli, esattamente come il sensore del
P30 Pro. Leggendo tra le pagine del brevetto emerge
la complessità necessaria per passare da una cattura
“Rosso Giallo Blu” ad una classica immagine sRGB: il
verde dev’essere ricavato con molteplici sottrazioni di
colori usando una matrice di conversione.
Aptina, ora acquisita da OnSemi, non realizza più sen-
sori per smartphone e sensori fotografici, ma dal 2015
ha stipulato un accordo di condivisione dei brevetti
fotografici con Sony. Huawei, come ci ha confermato
il Vice President Design, si è fatta realizzare il sensore
SuperSensitive da Sony usando il brevetto Aptina.
Diversi esperti di progettazione di sensori CMOS, da
noi interpellati, si sono detti abbastanza scettici sulla
soluzione: ogni vantaggio ottenibile dal punto di vista
della sensibilità comporta anche degli svantaggi dal
punto di vista della fedeltà cromatica, che con una
matrice di conversione non perfetta potrebbe portare
ad artefatti o a situazioni strane. Come vedremo nelle
foto che abbiamo scattato questo problema non si è
mai verificato, anche se in qualche situazione c’è da
migliorare proprio sullo sviluppo della foto finale. Ma la
cattura è perfetta.
Il P30 Pro scatta fotografie eccellentiCome scatta le foto il P30 Pro? In modo eccellente. Ab-
biamo scattato oltre 1000 fotografie, alcune più espli-
cative le vedete in questo articolo, altre le abbiamo
pubblicate nel fotoreportage dalla Cappadocia dove
potete anche scaricare i jpeg originali e gli eventuali
file RAW. Huawei ha voluto spingere ancora sulla sen-
sibilità, promettendo un valore di 409600 iso che ad
oggi sembra qualcosa di incredibile. Questa sensibilità
è però “figurata”: si raggiunge in automatico, in modali-
tà notte e in determinate condizioni: in manuale il mas-
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Massimiliano DI MARCO
A tre anni dal lancio sul mercato iPho-
ne SE è ancora un prodotto valido?
Con questa domanda in testa ab-
biamo aperto il cassetto, abbiamo ripreso
in mano un malconcio iPhone SE che ha
preso ben più colpi di quanti ne meritasse
e abbiamo iniziato a usarlo per qualche
giorno. Anni fa, iPhone SE è stata una
mossa di Apple con la quale ha teso la
mano agli utenti che cercavano un “me-
lafonino” a prezzo più basso pur rinun-
ciando a qualche caratteristica tecnica e
a qualche dettaglio dal punto di vista del
design. Oggi iPhone SE è quasi un tuffo
nel passato: non c’è la ricarica rapida né
tanto meno la ricarica wireless, che solo
nel 2017 Apple ha introdotto; lo schermo
è un 4”, molto piccolo per gli standard
d’uso attuali. Dopo due anni in cui i pro-
duttori ci hanno abituato a uno stile “a tut-
to schermo”, che concede ampio spazio
rubando soltanto qualche millimetro con
una tacca o un buco, il telefono stesso
risulta esteticamente vecchio.
A9 e 2 GB di RAM bastano e avanzanoAbituati ai grandi schermo da 6” attuali,
quei due pollici in meno implicano avere
difficoltà a guardare film o a giocare ai vi-
deogiochi (difficile immaginare di gioca-
re a Fortnite o PlayerUnknown’s Battle-
grounds su iPhone SE). Ma le sue piccole
dimensioni non devono dare l’impressio-
ne sbagliata: usare un iPhone SE non im-
plica essere limitati, nemmeno nel 2019.
C’è un sensore biometrico (il Touch ID),
si possono registrare video in 4K, offre
una buona autonomia, l’ultima versione
di iOS e le prestazioni garantite da pro-
cessore A9 e 2 GB di RAM sono ancora
MOBILE Nel 2016 usciva iPhone SE, l’ultimo vero telefono compatto, non solo di Apple
iPhone SE in prova tre anni dopo. Usarlo è ancora un piacere (ma è invecchiato)Peccato che il design “a tutto schermo” non venga usato per gli smartphone compatti di oggi
oggi fluide e valide. I principali segnali
di invecchiamento, almeno rispetto agli
standard attuali della fascia medio-alta al
quale originariamente (e tutto sommato
ancora oggi) iPhone SE apparteneva
al momento del debutto commerciale,
si notano nella fotocamera. Il sensore
frontale, invece, era vecchio già al tem-
po dell’uscita, perché era lo stesso che
era stato adottato, anni prima, da iPhone
5S: i selfie con iPhone SE, insomma, non
hanno retto bene la prova del tempo.
Con la fotocamera posteriore gli scatti
sono nella media e senz’altro al di sotto
di quanto oggi si può trovare da molte
parti visto e considerato che comunque
oggi un iPhone SE nuovo può costare
attorno ai 300 euro.
La nostalgia dei compattiUsando iPhone SE tutti i giorni - e ri-
cordando la facilità d’uso dei telefoni
compatti - viene da chiedersi perché
nonostante gli smartphone attuali offra-
no un rapporto schermo/corpo molto
elevato, ci troviamo unicamente con te-
lefoni grandi: tantissimi - ne siamo certi
- apprezzerebbero uno smartphone da
4,8/5” nel corpo di un 4”. A oggi, invece,
tra gli smartphone di fascia medio-alta
e alta più compatti troviamo iPhone 7 e
iPhone 8; Galaxy S10e si avvicina molto
(pur con uno schermo da 5,8”), ma è leg-
germente più grande di qualche millime-
tro sia in altezza sia in larghezza. Siamo
comunque lontani dalle dimensioni di un
telefono come iPhone SE, ossia 123,8 x
58,6 x 7,6 mm. E quindi utilizzabile con
una mano senza sforzi.
Sulle vendite di iPhone SE Apple è
sempre stata molto silente, per cui non
possiamo esprimerci su quanto oggi
potrebbe avere un senso commercia-
le proporre una versione aggiornata di
iPhone SE. Tanti, però, potrebbero con-
siderarlo come telefono secondario, da
usare quando si vuole essere connessi,
ma con molte meno distrazioni senza
installare le applicazioni social: è piccolo
e comodo da usare e quanto basta per
scattare qualche fotografia e registrare
video in compagnia; il giusto per non
venire distratti dalle tante notifiche, ma
senza dover passare a un cellulare.
Anche chi lo volesse scegliere come
dispositivo principale, però, sappia che
ancora oggi iPhone SE è una proposta
valida. E un po’ nostalgica.
Falla di sicurezza sugli smartphone Xiaomi. L’azienda corre ai ripariTrovata una grave vulnerabilità in una delle app preinstallate negli smartphone Xiaomi. L’azienda cinese corre subito ai ripari rilasciando un aggiornamento correttivo di Riccardo DANZO
I ricercatori di Check Point Re-search hanno scovato una grave vulnerabilità all’interno di una delle app preinstallate negli smartphone Xiaomi. Paradossalmente, la vulne-rabilità in questione era contenuta all’interno di un app che dovrebbe provvedere alla sicurezza dello smartphone, cioè Guard Provider. Quest’app, invece, anziché pro-teggere il telefono da un eventua-le attacco informatico, esponeva l’utente a potenziale attacco di tipo “Man in the Middle”. Tramite Guard Provider, un malintenzionato, col-legandosi alla stessa rete Wi-Fi di un’eventuale vittima, avrebbe potuto disabilitare le protezioni contro i malware e installare qual-siasi tipo di codice all’interno dello smartphone. Essendo Guard Pro-vider un app preinstallata in ogni telefono Xiaomi, non può essere eliminata dal telefono stesso. Che-ck Point Research ha prontamente avvisato Xiaomi che ha già rila-sciato un aggiornamento per cor-reggere il bug all’interno dell’app preinstallata nei telefoni dell’azien-da cinese. Gli utenti in possesso di uno smartphone della società ci-nese, quindi, farebbero meglio ad aggiornare il dispositivo.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Pasquale AGIZZA
S chermo da 6,15 pollici con risolu-
zione Ful HD+ e tacca a goccia,
processore Octa-Core e 6 GB di
RAM. E tripla fotocamera posteriore
con obiettivo ultra angolare. È questo
l’identikit del P30 Lite, l’ultimo arrivato
di casa Huawei che chiude il cerchio
della nuova serie dopo la presentazio-
ne di P30 Pro e P30. Il cuore del telefo-
MOBILE Dopo P30 Pro e P30, Huawei ha svelato P30 Lite. Schermo (con tacca) da 6,15”
Arriva Huawei P30 Lite e chiude il cerchio 6 GB di RAM e tripla fotocamera posterioreFotocamera frontale da 32 MP. Arriverà a maggio, prezzo presumibilmente sotto i 400 euro
no è rappresentato
da un processore
Kirin 710, affiancato
nelle operazioni da
6 GB di RAM e 128
GB di spazio inter-
no, espandibili. Lo
schermo misura
6,15 pollici, con ri-
soluzione Full HD+
e tacca a forma di
goccia. Rapporto di forma 19,5:9 e bor-
di 2,5D completano la dotazione del-
lo schermo proposto da Huawei. Uno
schermo che abbiamo già visto sul
Nova 4e, il dispositivo “gemello” del
nuovo P30 Lite. Il comparto fotografi-
co è interessante. Abbiamo, una foto-
camera posteriore con tre sensori, ri-
spettivamente da 24, 2 e 8 megapixel.
Particolarmente interessante l’uso di
un obiettivo ultra angolare capace di
catturare un campo visivo fino a 120
gradi. Fotocamera anteriore da 32
megapixel, la stessa di P30 e P30 Pro.
Seppur la versione installata di fabbri-
ca sia Android 9 Pie, P30 Lite arriva sul
mercato con la versione 9.0 dell’inter-
faccia grafica EMUI; non sarà installata
di fabbrica, quindi, la versione 9.1 della
EMUI. Segnaliamo, in chiusura, la bat-
teria da 3.340 mAh con supporto alla
ricarica rapida.
Il prezzo italiano dovrebbe essere infe-
riore ai 400 euro, ma al momento non
è stata data alcuna informazione uffi-
ciale. Sarà disponibile da maggio.
Ecco Galaxy A70 Schermo 20:9 da 6,7” e tripla fotocamera posterioreContinua l’evoluzione della serie Galaxy A di Samsung con il nuovo esponente A70. Schermo con tacca da 6,7”, tripla fotocamera e sensore di impronte sotto lo schermo di Matteo SERVADIO
Galaxy A3, A5, A7, A8, A9 e ora A10, A30 e A50. Samsung con-tinua a muoversi nell’evoluzione della sua serie A, che guadagnerà presto un nuovo esponente, A70. Atteso verosimilmente per l’even-to dedicato alla gamma A del 10 aprile, Galaxy A70 segue lo stesso canone di design di A50 e A30, af-finandolo ulteriormente.Al centro di quel design, lo scher-mo da 6,7” FullHD+ (1080×2400) con un curioso formato 20:9 e marchiato “Infinity-U”; ovvero una variazione dello schermo con foro dei Galaxy S10 (“Infinity-O”) che mostra un piccolo notch tondeg-giante, leggermente più goffo del-la tacca a goccia di OnePlus 6T.Altra caratteristica di rilievo è il sensore di impronte digitali po-sizionato sotto lo schermo, con una nuova collocazione che per-metterebbe di non “risistemare la presa”. Il comparto fotografico ruota attorno a un triplo modulo posteriore, con un sensore prin-cipale da 32MP, affiancato da un’ottica ultragrandangolare con sensore da 8MP e da un senso-re di profondità per la modalità ritratto. La fotocamera frontale in-vece è una singola 32MP. Il tutto è supportato da una batteria da 4.500 mAh e la nuova interfaccia OneUI basata su Android 9 Pie.
di Roberto PEZZALI
D opo Find X, con la sua camera
frontale a scomparsa, ecco Reno,
con la camera frontale a spicchio.
Oppo è originale, bisogna ammetterlo,
e con Reno sembra aver trovato quella
che è forse la soluzione più bizzarra
ma anche più funzionale per creare
uno smartphone che possa essere full
screen senza ricorrere all’antiestetico
notch. La camera frontale sarà infatti
integrata in una sorta di “spicchio”, che
esce solo quando serve: non lo abbiamo
provato, ma non ci vuole molto a capire
che è una soluzione più robusta della
fragile fotocamera del Vivo V15 Pro e an-
che meccanicamente più semplice (leggi
economica) di quella del Find X. La capsu-
la auricolare è integrata con la fotocame-
ra, ma una serie di forellini sulla cornice
rendono quest’ultima fono-trasparente.
Di Reno ancora sappiamo molto poco:
MOBILE Il prossimo top di gamma Oppo Reno compare nelle prime foto e nei primi video
Oppo Reno, niente notch e tutto schermo: genialeTra le soluzioni inventate per far sparire il notch questa sembra la più strana e la più convincente
sicuramente avrà
Snapdragon 855,
e dovrebbe esserci
anche un modello
con l’obiettivo tele
a periscopio che
copre le focali da
16 mm a 160 mm,
un 10x ottico vero.
Lo abbiamo prova-to al Mobile World
Congress con ottimi
risultati, ed era solo
un prototipo. Le foto mostrano tuttavia
una normale configurazione dual came-
ra. Su Youtube è possibile trovare anche
un video dove l’appendice motorizzata
entra in azione. Considerando l’assenza
dello sblocco biometrico, c’è il lettore di
impronte sotto lo schermo, la camera
frontale serve ormai davvero poco, solo
per i selfie e le videochiamate.
Ci sono persone che, probabilmente, la
usano due volte al mese. Una soluzione
come questa è quindi ottimale, niente
schermo sagomato e camera totalmente
nascosta. Unico sacrificio la protezione
waterproof: con una soluzione simile è
davvero difficile proteggere lo smart-
phone dall’immersione, ma magari Oppo
riesce a stupire anche qui.
torna al sommario 27
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Giuseppe RUSSO
N onostante il Mi9 sia compatibile
con lo standard quick Charge
4.0, all’appello dei caricatori a
ricarica rapida mancava ancora Xiao-
mi. Dovrebbe essere lanciato in Cina il
caricatore che assicura prestazioni da
urlo: 20 volt e 5 Ampere per un totale
di 100 Watt di potenza. In appena 7 mi-
nuti è stato raggiunto il 50% di carica su
uno smartphone da 4000 mAh. Il video
presenta il prodotto confrontando come
riferimento il caricatore SuperVOOC
Flash Charge da 50 Watt di OPPO. Alla
MOBILE Lin Bin, cofondatore e presidente di Xiaomi ha mostrato le prestazioni del caricabatterie
Xiaomi ricarica lo smartphone a 100 Watt Per una carica bastano meno di 20 minutiIn appena 7 minuti è stato raggiunto il 50% di carica su uno smartphone da 4000 mAh
fine del video (velocizzato) è sorpren-
dete vedere come il caricatore da 100
Watt di Xiaomi abbia caricato al 100% lo
smartphone da 4000mAh in appena 17
minuti. Al contrario l’ OPPO R17 Pro (che
ha capacità di 3700 mAh) ha raggiunto
il 65% della carica nello stesso arco di
tempo. Il cofondatore di Xiaomi ha mo-
strato il video per creare il giusto grado
di aspettative prima della presentazio-
ne. Non è stato infatti dichiarato se i
device di recente commercializzazione
saranno già compatibili con il nuovo ca-
ricatore o bisognerà attendere l’entrata
in commercio di futuri dispositivi.
Attorno all’utilizzo di una corrente così
“alta” per ricaricare una batteria rimane
però il dubbio di quanto l’utilizzo con-
tinuo di tale caricatore possa incidere
sulla longevità della batteria.
Per Huawei P10 e Honor 8X arriva Android 9 Pie. Aggiornamento in distribuzioneNuovo aggiornamento per Huawei P10 e Honor 8X: arriva Android 9 Pie. Aggiornata anche l’interfaccia EMUI che arriva alla versione 9.0 di P. AGIZZA
È tempo di aggiornamenti per i possessori di Huawei P10 e Honor 8X. Huawei ha iniziato a distribuire, infatti, l’aggiornamento dal peso di circa 3 GB che porta il sistema operativo dei due smartphone ad Android 9 Pie. Si aggiorna anche l’interfaccia utente EMUI che arri-va alla versione 9.0.1.Il Huawei P10, lanciato sul mer-cato nella prima metà del 2017, raggiunge così il suo secondo aggiornamento. Nato con Android 7 Nougat, ha ottenuto l’aggiorna-mento a Oreo e ora arriva l’ag-giornamento ad Android 9 Pie. Primo aggiornamento importante per Honor 8X, arrivato in Italia nella seconda metà del 2018 con a bordo Android 8 Oreo. Entram-bi i telefoni ottengono la nuova versione dell’interfaccia utente EMUI, la 9.0.1. Un aggiornamento molto importante perché Huawei con quest’ultima versione si è concentrata molto sulla fluidità del sistema operativo, sull’apertu-ra più rapida delle applicazioni e sulla semplificazione delle opzioni a disposizione dell’utente. EMUI 9 cambia anche esteticamente, con Huawei che ha curato molto gli elementi dell’interfaccia aggiun-gendo una serie di nuovi effetti sonori e feedback tattili capaci di migliorare l’uso di tutti i giorni. Mi-gliorato anche l’aspetto di alcune app proprietarie come il registra-tore vocale.
Xiaomi Super Charge Turbo
di Sergio DONATO
L e indiscrezioni più piccanti sul Ga-
laxy Note 10 sono iniziate già dalla
fine di marzo, quando, secondo la
testata coreana ETNews, si è parlato di
un Note 10 senza tasti fisici. Le ultime
voci, invece, suggeriscono un Note 10
che si farà in due. Sembra infatti che
ci saranno due varianti con schermi di
dimensioni differenti.
Il più grande, da 6,7 pollici sarà il Note
10 “standard”, mentre quello con lo
schermo da 6,4 pollici potrebbe finire
sul mercato europeo, ovviamente sem-
pre con il supporto di S-Pen. Il nome in
codice del progetto resta quello di “Da
Vinci”, e ancora non si sa nulla circa la
configurazione delle fotocamere, ma il
lancio ufficiale non è lontano. Si parla,
come di consueto per la gamma Galaxy
MOBILE Il lancio previsto in agosto potrebbe mostrare una variante del Galaxy Note 10
Samsung Galaxy Note 10 in due modelli ad agosto Il più piccolo è destinato al mercato europeoIl più grande, da 6,7” sarà il Note 10 standard, quello da 6,4” potrebbe finire in Europa
Note, di agosto come mese per la pre-
sentazione. È quindi impensabile una
sua presentazione nel corso dell’even-
to che Samsung terrà il 10 aprile in con-
temporanea a Bangkok, Milano e San
Paolo che invece vedrà protagonista la
famiglia dei Galaxy A.
Non è però escluso che togliendo i veli
sul Galaxy A90, Samsung non ci dia un
assaggio di quell’assenza di tasti fisici
del Note 10, dato che nelle indiscrezio-
ni coreane di fine marzo a questo pro-
posito c’era finita dentro anche questa
serie di smartphone, con il desiderio da
parte di Samsung di estendere il “key-
less” anche ai telefoni più economici.
torna al sommario 28
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Roberto PEZZALI
P rendiamo spunto da un commento che ci è sta-
to fatto da un utente su Youtube, relativo alla
review del Huawei P30 Pro, per approfondire
un tema che spesso viene trascurato: display, foto-
grafia, resa cromatica e qualità. La domanda che ci
viene posta è se non abbiamo esagerato nel dire
che le fotografie sul P30 Pro vengono meglio di
quanto il display lascia vedere, in riferimento anche
al fatto che in ogni caso lo schermo del P30 Pro è
uno schermo OLED con una buona risoluzione.
La qualità di uno schermo spesso viene associata solo
alla risoluzione, trascurando quelli che sono altri para-
metri fondamentali: questo vale per i piccoli schermi
degli smartphone, per i monitor, per i televisori e per
ogni altro display. Ci riferiamo ad esempio alla fedeltà
cromatica e alla linearità, leggi gamma (qui l’appro-fondimento dettagliato), una curva che racconta
come quel determinato schermo ci restituirà i livelli di
una immagine, le ombre, le luci, i mezzitoni.
L’importanza del colore e della sua corretta riproduzioneQuello che abbiamo detto migliaia di volte vale in
ogni ambito: uno schermo non deve mostrare quello
che “piace” all’utente in termini di colori, saturazio-
ne, tonalità, ma deve riprodurre la stessa immagine
scelta, anche in modo accurato, da chi ha creato
quel contenuto.
Può essere lo sviluppatore di un videogioco, un re-
gista per i film, il semplice programmatore di app: un
contenuto dev’essere visualizzato sempre nel modo
scelto da chi lo ha creato. Per questo motivo i con-
tenuti non vivono “da soli” ma viaggiano abbinati a
quelli che vengono chiamati “profili colore”, una sor-
ta di “suggerimento” per il dispositivo di visualizza-
zione che comunica quale rosso deve visualizzare,
o quale verde.
Questi profili mettono in relazione un contenuto ad
uno spazio colore, ovvero una gamma di colori pre-
determinata. Esistono tantissimi spazi colore, quelli
FOTOGRAFIA Un contenuto dev’essere visualizzato sempre nel modo scelto da chi lo ha creato, non deve solo piacere all’utente
Perché è importante avere lo schermo calibrato E vale anche in piccolo con lo smartphoneSpesso non ci si rende conto di come uno schermo imperfetto possa avere ripercussioni anche sulle foto che scattiamo
più noti sono sRGB, P3 e Adobe RGB.
Avete presente quel grafico a ferro di cavallo che
spesso si vede nelle misure? E’ la visualizzazione
grafica bidimensionale dei colori che l’occhio umano
può visualizzare, e all’interno, con una serie di trian-
golo più o meno ampi, vengono delimitati gli spazi
colore. Ai vertici si trovano il rosso, il verde e il blu,
all’interno del triangolo tutti i colori visualizzabili.
Il rosso “100%” nello spazio colore sRGB, quello più
comunemente usato, non è lo stesso rosso dello
spazio colore AdobeRGB, e nemmeno quello dello
spazio P3: sono rossi differenti, cambiano i vertici dei
triangoli, ed è per questo motivo che il contenuto
deve dire al display quale rosso visualizzare.
Partiamo proprio dalle foto: quando un utente scat-
ta una foto con lo smartphone, a questa foto viene
associato un profilo colore. Tutti gli smartphone An-
droid scattano le fotografie in formato sRGB, quindi
usando lo spazio colore più ridotto disponibile. Solo
alcuni smartphone, quando scattano in RAW, usando
lo spazio colore AdobeRGB a 8 bit, e il risultato sono
foto con una gamma cromatica più estesa. L’iPhone è
l’unico smartphone che ad oggi scatta in wide gamut:
le foto scattate con l’iPhone sono quelle che sulla
carta hanno la gamma cromatica più ampia. Nel caso
delle foto è la fotocamera lo strumento che ha crea-
to il contenuto, ed è lei a determinare in che spazio
colore devono essere visualizzati que-
sti contenuti. Quando le foto o i video
vengono visualizzati su un display, che
può essere quello stesso dello smar-
tphone, un televisore, o un computer,
dev’essere quest’ultimo a farsi carico
della visualizzazione nel modo corret-
to. Deve leggere il profilo e usare lo
stesso profilo di visualizzazione per
mantenere la perfetta fedeltà croma-
tica dall’input, ovvero lo scatto, all’ou-
segue a pagina 29
torna al sommario 29
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
tput, ovvero l’immagine a schermo. Questo succede
non solo con le foto ma con tutti i prodotti che usiamo
oggi. I TV si adattano allo spazio colore del contenu-
to, che cambia se si guarda una trasmissione TV o
un blu-ray Ultra HD: l’utente non si accorge di nulla
è il TV a fare tutto se funziona bene. La stessa cosa
succede anche per i computer, Windows, Mac, Linux,
i driver della scheda grafica e di gestione del monitor
impostano i vari profili a seconda dei contenuti usati,
siano giochi, app, video o foto.
Nel caso dei computer è l’applicazione ad aprire il
file, leggere il profilo e a dire alla scheda video che
profilo il monitor deve usare.
Se le app di fotografia e fotoritocco gestiscono i pro-
fili colore nel miglior modo possibile, per i browser
ancora questa cosa non è del tutto vera: Chrome ad
esempio è il peggiore, Firefox, Edge e Safari non si
comportano affatto male.
Su internet sono presenti diversi test: provate ad
aprire ad esempio questa pagina (https://camera-tico.com/tools/web-browser-color-management-test/) con Safari, con Firefox e con Chrome, e se
avete uno schermo o un sistema che gestisce il wide
gamut, praticamente tutti quelli moderni, vedrete
che il comportamento è diverso. La stessa cosa con
la foto qui a fianco: vedete il simbolo? Chi ha un di-
splay wide gamut lo vede, proprio perché il simbolo
è disegnato con un rosso che che si trova fuori dallo
spazio colore sRGB.
Cosa succede sugli smartphoneE gli smartphone? Stessa cosa: nonostante Google
abbia introdotto con Android Oreo la gestione dei
profili colori, quasi tutti i produttori e gli sviluppa-
tori Android ignorano questa funzione. Le modalità
“vivid” o “wide color” che si possono impostare dal
menu impostazioni dei telefonini spesso non fanno
altro che espandere quello che è il profilo di base,
ovvero sRGB, alterando la resa cromatica.
Esempio pratico: scattiamo una foto ad un prato
verde, la foto è in sRGB, quindi il verde più saturo
presente nell’immagine catturata ha coordinate ben
precise, definite dal profilo. Se lo schermo dello
smartphone è impostato sul profilo standard, che
spesso corrisponde proprio all’sRGB della foto, vie-
ne visualizzato il verde corretto.
Se però si imposta su “vivid” o “wide color”, ogni
produttore ha i suoi nomi, il
verde verde viene visualiz-
zato usando le coordinate
di un altro profilo colore. E
non è affatto giusto: la foto
non ha quel verde, è solo
lo schermo che la mostra
così all’utente. Che magari
ritocca a sua volta colore
e saturazione, perché è in-
soddisfatto di una resa che
paradossalmente non ap-
partiene alla foto, è solo il
modo in cui un display, così
impostato, sta visualizzando
quella foto.
Apple con iOS e con gli
iPhone è l’unica che man-
tiene dallo scatto alla visua-
lizzazione il profilo corretto:
la foto visualizzata sullo schermo dell’iPhone non è
diversa da quella visualizzata sullo schermo del Mac,
o dell’iPad, con le ovvie tolleranze dovute alla diffe-
renza qualitativa dei display.
Non solo, anche le applicazioni si sono adattate:
500px, Instagram e molti altri siti gestiscono nativa-
mente il wide color gamut, ed è un po’ il motivo per
cui quando si scorrono le foto con un dispositivo che
gestisce correttamente i colori, le immagini scattate
da un iPhone appaiono più sature e cariche cromati-
camente. Non è Apple che le rende più cariche, sono
semplicemente foto con una gamma cromatica più
estesa che vengono visualizzate nel modo esatto in
cui devono essere trattate.
Spesso leggiamo commenti su colori e resa di foto-
grafie che vengono pubblicate online: “il samsung
è più saturo”, “questo ha i colori più spenti”, ma non
ci si rende conto che non si sta guardando davvero
la foto fatta dallo smartphone. Si sta guardando un
display, spesso non calibrato, che se non è gestito
bene sta alterando e non poco la resa cromatica del-
la foto originale. E soprattutto che sta mostrando una
foto diversa da come la vedono gli altri.
Perché i fotografi guardano l’istogrammaChi scatta con una macchina fotografica professio-
nale ha a disposizione un display piccolo per rive-
dere le foto. Lo usa per controllare se lo scatto è a
fuoco e soprattutto per leggere l’istogramma, la cosa
più importante. L’istogramma è quel piccolo grafico
che dice subito se quella foto è sottoesposta o so-
vraesposta, come sono distribuite le ombre, le luci e
i toni medi. E non inganna: l’istogramma, a differenza
dello schermo, ci dice esattamente come è la foto
scattata e se è da rifare o se può andare bene. Lo
schermo mente, l’istogramma no.
Torniamo così al P30 Pro: perché abbiamo detto che
le foto sono meglio di quello che lo schermo mostra?
Per il semplice motivo che in molti casi lo schermo
può mostrare un bianco bruciato, o poco dettaglio
sulle basse luci, ma poi questi dettagli nella foto ci
sono. Non è solo una questione di risoluzione: è una
questione di calibrazione e quindi di fedeltà nella ri-
produzione.
Perché è fondamentale avere uno schermo calibratoLo ripetiamo da sempre: dove possibile è sempre
bene avere uno schermo che sia calibrato e accura-
to. Come è importante avere una TV calibrata, per-
ché restituisce l’immagine che ha voluto il regista, è
ancora più importante avere uno schermo calibrato
quando si va ad intervenire sull’immagine stessa. Sui
film, sulle trasmissioni e sui giochi non possiamo in-
tervenire: li visualizziamo come li hanno fatti. Sulle
foto e sui video da noi scattati o ripresi possiamo
farlo e spesso lo facciamo.
Spesso si tende a sottovalutare la bontà della cali-
brazione dello schermo di uno smartphone, perché
si fa il collegamento mentale “display -> visione film”.
Ma è solo un aspetto, e dei meno importanti: sullo
schermo di uno smartphone una persona ritocca al
volo le foto per condividerle o pubblicarle su Ista-
gram o suoi social, valuta lo scatto che ha appena
fatto e decide se è il caso di rifarlo. Spesso giudica
anche altre immagini.
Uno schermo calibrato, dal più piccolo al più grande,
è più importante di quanto si possa pensare. Ma non
sempre si può avere: gli smartphone, ad esempio,
non sono calibrabili. Ed è anche sbagliato pensare
che quella che si sceglie nel menu schermo sia una
calibrazione: è semplicemente l’utente che forza la
conversione di uno spazio colore, ma è sempre una
conversione. Ecco perchè in fase di scelta è fonda-
mentale guardare anche questo parametro.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Gianfranco GIARDINA
Come tradizione, Adobe si presenta al NAB di
Las Vegas (la più grande fiera per i broadcaster
al mondo) con alcune novità nella propria suite
Creative Cloud espressamente dedicate al video. Un
fattore chiave di questa release, che sarà disponibile
per tutti gli abbonati sin da oggi, non è tra i più visibili
a prima vista, ma è decisamente importante: il miglio-
ramento delle performance e dell’utilizzo della GPU,
soprattutto per i sistemi che possono contare su una
scheda grafica “dual”.
La velocità di export, per esempio, è 5,6 volte più alta
se si opera con GPU dual rispetto a una GPU singola.
Risultati ancora migliori per alcuni effetti che ora si
appoggiano alla GPU e non sono solo “software”. Per
esempio il mask tracking è diventato 4 volte più veloce
in HD e 13 volte più veloce in 4K.
Ma non ci sono solo miglioramenti prestazionali: la
nuova funzione che più colpisce è il riempimento
automatico in After Effects. Si tratta in pratica di uno
strumento analogo a quello che si trova su Photoshop,
comodo quando si vuole riempire una porzione di im-
magine basandosi sui contenuti adiacenti, per esempio
per far sparire con pochi clic un oggetto indesiderato.
Ora questa funzione viene estesa, sempre sulla base
del motore Sensei di intelligenza artificiale, alle imma-
gini in movimento.
Secondo quanto mostrato da Adobe, basta selezionare
le aree da riempire su un fotogramma di una sequenza
per vedere la “cancellazione intelligente” effettuata su
tutta la clip. Ovviamente la funzione va verificata all’atto
VIDEO CREATIVO Alla fiera più importante al mondo per i broadcaster, Adobe perfeziona la propria suite Creative Cloud
NAB 2019: Adobe migliora la Creative Cloud Più potenza e nuovi strumenti per il videoUn fattore chiave di questa release, disponibile dal 3 aprile, è il miglioramento delle performance e dell’utilizzo della GPU
pratico e con materiali reali, ma la demo fatta vedere
in conferenza stampa è stata a dir poco stupefacente:
sono spariti dei passanti, un pennone con una bandie-
ra e una grande pietra in primo piano. Premiere Pro, il
programma di montaggio video, ha ora una nuovo pan-
nello per l’organizzazione delle clip: si chiama freeform
view e permette di disporre le clip come se si operasse
su una lavagna, raggruppando e mettendo in ordine
le clip buone nelle diverse sequenze e definendo, al-
meno in maniera sommaria, anche i punti di in e out.
In questo modo, poi, basta trascinare in timeline un
gruppo di clip disposto nella freeform view per vederle
messe in sequenza secondo i punti di cut definiti, ov-
viamente poi raffinabili sulla timeline.
La freeform view, poi, permette di raggruppare le clip
secondo un gran numero di metadati e lascia libero
l’utente di scegliere con quale di essi comporre la di-
dascalia di ogni clip. Funzioni molto utili per progetti
complessi e con tante clip coinvolte, in cui la visione
a lista e raggruppamenti statici potrebbe non essere
il massimo.
Sbarcano anche su Premiere Pro le guide e i righelli: si
tratta della classica funzione di Photoshop per avere
allineamenti più facili.
Ora si possono tirare delle guide anche sul frame vi-
deo, in modo tale, per esempio, da allineare facilmente
titoli ricorrenti o elementi grafici. Le guide, tra l’altro,
possono essere esportate e importate tra Premiere Pro
e After Effects. Gli oggetti possono essere vincolati alle
guide che diventano calamitate.
Miglioramenti anche nella gestione del testo e della
grafica: gli elementi possono avere ora fino a 10 tracce
di contorno, con colori e spessori diversi. A un ogget-
to di testo, poi, è possibile aggiungere un colore del
tassello di sfondo senza dover creare un rettangolo
separato, che poi andrebbe tenuto allineato al testo.
Infine i testi possono diventare al volo anche maschere
per l’applicazione limitata all’interno o all’esterno della
scritta di determinati effetti.
Novità interessanti ma meno vistose anche su Audi-
tion, dove arriva la funzione di attenuazione della mu-
sica e dei rumori di fondo per garantire l’intelligibilità
del parlato.
Migliora anche Character Animator, che diventa più
flessibile nella personalizzazione dei personaggi e che
può essere connesso in tempo reale con applicazioni
web terze, come per esempio Twitch.
torna al sommario 32
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Pasquale AGIZZA
P rocessore Intel Core i7 di ottava
generazione, schermo da 14 pol-
lici con risoluzione Full HD con
cornici molto sottili e scheda grafica
Nvidia GeForce MX150. Sono queste
le caratteristiche più importanti del
nuovo ZenBook 14 di Asus che coniu-
ga potenza e design elegante. Presen-
tato a gennaio al CES di Las Vegas, lo
ZenBook 14 arriva sul mercato italiano
con prezzi a partire da 999 euro. Cuore
del notebook è il processore Intel Core
i7-8565U, un quad-core da 1,8 GHz con
Turbo Boost fino a 4,6 GHz e cache da 8
MB. A coadiuvare le prestazioni del pro-
cessore ci sono 8 GB di RAM integrata
a 2.133 MHz.
Grande attenzione di Asus per quel che
riguarda lo schermo, un IPS NanoEdge
da 14 pollici con risoluzione Full HD.
L’utilizzo della tecnologia NanoEdge
contribuisce ad ottenere un’ottima
PC Debutta sul mercato italiano il nuovo ZenBook 14, che coniuga potenza e design elegante
ZenBook 14 arriva in Italia a partire da 999 euroProcessore i7 di 8a generazione, schermo da 14” con cornici molto sottili e scheda grafica Nvidia
resa dei colori, oltre a permettere la
riduzione delle cornici dello schermo.
Le cornici laterali misurano poco più di
6 millimetri, donando al notebook un
aspetto piacevole e dimensioni molto
compatte. Lo ZenBook 14 pesa, infatti,
solo 1,45 chili e le dimensioni sono para-
gonabili ad un portatile da 13 pollici. La
scheda grafica Nvidia GeForce MX150,
SSD PCIe x2 M.2 da 256 GB e il sistema
audio a quattro altoparlanti firmato Har-
man Kardon completano la dotazione
Microsoft aggiorna Surface Book 2 con il Core i5 di ottava generazionePiccoli ritocchi al listino dei Surface Book 2. Compare il nuovo processore quad core i5-8350U di ottava generazione, ma la nuova opzione non è ancora disponibile in Italia di P. AGIZZA
Microsoft ha aggiornato il Surface Book 2 da 13,5” col nuovo proc-essore Intel i5-8350U di ottava generazione. Microsoft propone il nuovo modello sul mercato ameri-cano al prezzo di 1.499 dollari. In Italia non è ancora disponibile. L’i5-8350U è un processore di ottava generazione con 4 core e 8 thread. La frequenza base è di 1,70 GHz con turbo fino a 3,60 GHz. Il con-sumo dichiarato è di 15 W. Come detto, prenderà il posto del prec-edente processore i5-7300U dual core con 4 thread con frequenza di base di 2,60GHz e TDP di 25W. L’utilizzo del nuovo processore è l’unica novità di questo rinnova-mento della gamma Surface Book, anche se si tratta di una novità im-portante. Già in altri prodotti Micro-soft il passaggio da un processore dual core ad un processore quad core ha portato grossi benefici prestazionali. Attualmente, però, in Italia è possibile configurare il Surface Book 2 da 13,5” solo con l’i5-7300U di settima generazione e l’i7-8650U di ottava generazi-one, con un prezzo che parte da 1299 euro per la versione con i5, 8GB di RAM e 128GB di memoria interna. Per ora l’opzione con i5 di ottava generazione è presente sul sito italiano del Microsoft Store, ma non è possibile selezionarla in nessun modo. Nell’evento Sur-face in programma per il 17 aprile a New York, la star della serata sarà il nuovo Surface Hub 2, ma non si escludono novità anche per il resto della gamma Surface.
hardware di un portatile che nonostante
le dimensioni ridotte pone l’accento an-
che sulla sua robustezza. Lo ZenBook
14, infatti, soddisfa lo standard militare
MIL-STD 810G per quel che riguarda af-
fidabilità e durata. Molto ricca anche la
dotazione di porte, che vanta una USB
3.1 Type C da 10 Gbps, una USB 3.1 Type
A da 5 Gbps e una USB 2.0. Presenti
anche la porta HDMI per connettere un
secondo schermo, uno slot per schede
SD e il jack audio.
di Roberto PEZZALI
Andare su Amazon, digitare “ssd 1
TB” e vedere le proposte: dai 90
euro ai 120 euro si possono trovare,
ivati e con tutti i ricarichi del caso, ottimi
dischi Samsung ad elevate prestazioni.
Se fino allo scorso anno i dischi a stato
solido erano usati solo sui modelli di
fascia alta, il crollo dei prezzi li ha ormai
portati anche su notebook di fascia me-
dia in promozione. Oggi avere un disco
rigido tradizionale non ha più alcun sen-
so: consumi, prestazioni, possibilità di di-
fetti, tutto depone a favore dei nuovi SSD.
Ma non per Apple, che sui suoi prodotti
più recenti della famiglia iMac ha deciso
di usare ancora dischi classici. Anzi, il
modello entry, da 1549 euro, usa addirit-
tura un disco da 5400 rpm. Non che il
Fusion Drive sia una soluzione migliore:
lo era quando i dischi SSD costavano,
oggi non lo è più, resta comunque una
ibridazione che offre vantaggi sul lancio
PC Il nuovo iMac entry da 21.5” da 1.549 euro ha ancora un vecchio hard disk da 5400 rpm
Gli SSD costano ormai pochissimo ma sui nuovi iMac Apple usa hard disk preistoriciOggi avere un disco rigido tradizionale non ha più senso, per consumi, prestazioni e difetti
delle applicazioni ma che
mostra i suoi limiti se si de-
vono spostare grossi file o
trasferire grosse quantità
di dati.
L’unica a non esserci ac-
corta che gli SSD ormai
costano pochissimo, e
sono la soluzione a milioni
di problemi di prestazioni
che hanno toccato note-
book e portatili in tutto
il mondo, è Apple. Che
continua ad avere un costo di upgrade
esagerato, quasi 1000 euro per l’SSD da
1 TB. Lo stesso upgrade per i Macbook, e
non si capisce perché, costa decisamen-
te meno. Non solo: tutte e sei le confi-
gurazioni disponibili prevedono il disco
Fusion Drive. Chi acquista un iMac in un
negozio deve acquistare una delle solu-
zioni “preconfezionate”, e sia che si tratti
di 21.5” sia che si tratti di 27” ci si ritrova
comunque con un Fusion Drive. Per la
personalizzazione di un iMac con disco
SSD vero, e non costa poco, si deve pas-
sare dallo Store Apple. Se da una parte
è vero che i Mac non hanno mai sofferto
di grossi problemi di performance, gra-
zie al file system ottimizzato, dall’altra
è davvero difficile acquistare nel 2019
un prodotto “premium” pagandolo non
poco sapendo che dentro c’è un hard
disk di altri tempi. Che, dopo anni di ser-
vizio, meriterebbe la pensione.
torna al sommario 33
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Pasquale AGIZZA
Asus corregge la falla di Live Update
che ha messo a rischio più di un mi-
lione di PC con scheda madre della
azienda taiwanese. Allo stesso tempo
l’azienda ha dichiarato di aver rafforzato
la propria architettura server per preveni-
re attacchi simili in futuro e ha distribuito
uno strumento per controllare se il PC è
stato coinvolto dall’infezione. Il team di ri-
cercatori di sicurezza Kaspersky Labs ha scoperto che un gruppo di hacker erano
riusciti a compromettere un server usato
da Asus per gli aggiornamenti, e grazie
a questo erano riusciti ad installare una
backdoor all’interno del PC della vittima.
Impressionanti i numeri dei PC infetti, che
secondo i ricercatori russi potevano esse-
re più di un milione. Il file malevolo, a causa
della compromissione del server, portava
la firma digitale di Asus e veniva segnala-
to da Live Update come aggiornamento
critico da effettuarsi al più presto. Con un
comunicato stampa Asus ridimensiona di
molto la portata di questi numeri. “Una
PC Live Update, il software di Asus coinvolto in una diffusione di malware, è stato aggiornato
Un milione di PC Asus a rischio malwareOnline il programma per vedere se sei infettoAsus ci ha messo più di cinque mesi per accorgersi del problema e chiudere la falla L’azienda ha comunicato anche il rafforzamento dei sistemi di difesa dei propri server
quantità limitata di dispositivi - fa sapere
la società in una nota - è stata impattata
con un codice maligno attraverso un at-
tacco sofisticato sui server di Live Update,
nel tentativo di colpire un gruppo di utenti
molto piccolo e specifico”. Viene anche
sottolineato come il servizio clienti ASUS
abbia subito contattato gli utenti interes-
sati e fornito assistenza al fine di eliminare
qualunque rischio di sicurezza. L’azienda
taiwanese ha poi implementato una cor-
rezione nell’ultima versione di Live Upda-
te per impedire qualsiasi manipolazione
dannosa sotto forma di aggiornamenti
software. È fondamentale che gli utenti
aggiornino Live Update all’ultima versio-
ne disponibile, la 3.6.8 che implementa
anche un meccanismo di crittografia end-
to-end per aumentare la sicurezza.
Asus ha anche rilasciato uno strumento diagnostico di sicurezza da scaricare per
verificare se il nostro dispositivo è interes-
sato dall’infezione del malware. Lo stru-
mento ufficiale di Asus si affianca a quello
che Kaspersky ha messo online qualche
giorno fa allo stesso scopo.
Windows 10 May Update cambia politica: gli aggiornamenti non sono più imposti fin da subitoNon sarà più obbligatorio installare gli aggiornamenti funzionali fintanto che la versione in uso è supportata di Riccardo DANZO
Inizialmente previsto per aprile, Windows 10 19H1 verrà invece rila-sciato a partire da fine maggio con il nome di “May 2019 Update”. Per evitare i problemi avuti con l’Octo-ber 2018 Update, infatti, la nuova versione di Windows entrerà la prossima settimana nella Release Preview Ring dedicata agli insider e inizierà la distribuzione genera-le solo verso la fine di maggio. Le novità più importanti di Windows 10 May Update riguardano la ge-stione dei nuovi aggiornamenti. Da questo aggiornamento in avanti, l’utente potrà scegliere se aggior-nare subito il suo PC, aggiornarlo in un secondo momento o saltare completamente la release. No, Microsoft non è impazzita, sempli-cemente, fintanto che la versione installata sul dispositivo è suppor-tata, l’utente ha la facoltà di non in-stallare gli aggiornamenti succes-sivi. “Quando i dispositivi Windows 10 - spiega Mike Forlin, corporate vice president di Windows - saran-no, o saranno in procinto di, rag-giungere la fine del ciclo, Windows Update continuerà a iniziare auto-maticamente gli aggiornamento funzionali; mantenere le macchine supportate e ricevere gli aggior-namenti mensili è critico per la si-curezza del dispositivo e la salute dell’ecosistema”. La distribuzione del nuovo aggiornamento sarà graduale. Microsoft cercherà di capire a quali configurazioni hard-ware rendere poi effettivamente disponibile l’aggiornamento.
di Roberto PEZZALI
AMOLED su notebook, ci siamo. HP a
partire da aprile proporrà per i suoi
portatili Envy X360 e Spectre X360
anche la possibilità di avere un pannello
OLED. AMOLED per la precisione, e que-
sto ci porta a pensare che venga utilizzato
un pannello prodotto proprio da Samsung
Display. I benefici sono molteplici, oltre
ad una leggera riduzione dei consumi,
anche se in ambito computer tra un LCD
e un OLED il consumo è simile: il bianco
è sempre il colore che regna, ma i temi
scuri si stanno diffondendo. Lo schermo
sarà da 15.6” per entrambi i modelli, 3840
x 2160 di risoluzione e una luminosità che
va da 0.0005 a 600 nits, un contrasto di-
namico stranamente “alto” per un OLED,
120.000:1 e un angolo di visione quasi to-
tale. Il pannello sarà in grado di riprodurre
PC Sono già disponibili in Europa i nuovi portatili HP Envy e Spectre con schermo OLED
HP porta gli OLED 4K sui notebook Spectre e Envy Una vera novità in ambito notebook che potrebbe però alzare, non di poco, il prezzo
contenuti HDR10 con certificazione Vesa
DisplayHDR: probabilmente sarà il primo
display per notebook HDR che si merita
questa denominazione. Notevole, almeno
secondo quando dichiarato, la copertura
cromatica, che dovrebbe gestire senza
problemi sRGB, AdobeRGB e P3. Resta
il dubbio sul prezzo: quanto si dovrà pa-
gare di più per un pannello OLED? Siamo
davanti a portatili di fascia premium, per
i quali ancora non si conosce la configu-
razione. I processori dovrebbero essere
Intel’s Core ‘Whiskey Lake’, ma per gli altri
dati si deve attenere il lancio. HP Envy
X360 e Spectre X360 debutteranno in
Europa verso la fine di aprile.
torna al sommario 34
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Massimiliano DI MARCO
L a notizia è stata per giorni sulla bocca di tutti:
Google è entrata di prepotenza nel mondo dei
videogiochi. Lo ha fatto con uno sguardo al futuro
(lo streaming) e promettendo funzionalità che le at-
tuali aziende non hanno ancora e incuriosendo anche
chi non è strettamente appassionato di videogiochi:
streaming in 4K, accesso rapido alle sessioni di gioco
degli streamer, assistenza nei momenti difficili dell’av-
ventura.
L’arrivo di Google Stadia cambierà le strategie com-
merciali di Sony? Se sì, come? Lo abbiamo chiesto
direttamente a Marco Saletta, general manager di
Sony Interactive Entertainment Italia. E anticipiamo il
cuore della sua risposta: le potenzialità del servizio di
streaming di Google, come la risoluzione 4K a 60 FPS,
dovranno essere verificate sul campo e bilanciate da
ciò che fa davvero la differenza, cioè i contenuti.
DDAY.it: Ogni volta che grandi società tecnologiche come Google entrano in un nuovo segmento com-merciale lo fanno in modo abbastanza prepotente grazie alle risorse economiche che ovviamente han-no facendo quasi terra bruciata. L’ingresso di Google in che modo impatta le strategie di Sony? In generale Sony come risponde e come risponderà al-l’ingresso di nuovi giocatori che vanno un po’ ad alterare le dina-miche commerciali a cui siamo stati abituati in questi anni da parte dell’industria videoludica?Marco Saletta: “L’ingresso di
Google è benvenuto nel nostro
mercato. Il mercato italiano è un
mercato che ancora soffre di una
dimensione che non è quella di
altri Paesi europei. Google può
essere un elemento di ulteriore
apertura e penetrazione nel con-
sumo del videogame che oggi
sia il mondo PC sia quello con-
sole ma anche il mondo mobile
in qualche modo non sono riu-
sciti a fare. Google rappresenta
la novità, rappresenta il futuro
del modo di fruire i videogame.
Dal nostro punto di vista non ci sono impatti sul bu-
siness di PlayStation. Quello dello streaming è un
modello che Sony conosce bene. Sono cinque anni
che noi lavoriamo con PlayStation Now nel mondo; lo
abbiamo lanciato in 19 Paesi, conosciamo bene le di-
namiche dello streaming. Chiaramente siamo legati a
una tecnologia che è un pochino più vecchia rispetto
a quanto ha dimostrato Google, che poi andrà ogget-
GAMING L’arrivo di Google Stadia cambierà le strategie commerciali di Sony? Se sì, come? E il 4K di Google lascerà fuori PlayStation Now?
PlayStation Now, Sony non teme il 4K di Google Stadia: “La sfida sarà sui contenuti”Per Marco Saletta, general manager di Sony Interactive Entertainment Italia, la sfida non si giocherà solo sul piano tecnico
tivamente verificata sul campo. Quello che posso dire
è che noi non abbiamo grande preoccupazione, ma
vediamo l’opportunità che Google possa muovere ri-
spetto allo schema attuale e chiamare al consumo di
videogame un numero sempre maggiore di gamer”.
DDAY.it: Google è arrivata e promette streaming fino a 4K a 60 FPS su qualsiasi dispositivo, che sia la smart TV o lo smartphone. PlayStation Now è limi-tata, al momento, alla risoluzione massima di 720p
ed è disponibile solo su PS4 e PC. A causa di questa di-sparità tecnica sulla carta abbastanza consistente, PlayStation Now non rischia di essere già tagliata fuori a pochi mesi dall’espansione in Europa, dove è arrivata anche in Italia?Saletta: “Ci sono due ele-
menti che mi fanno dire che
non è così. Il primo elemento
è un tema di contenuti. Noi
abbiamo un parco di con-
tenuti, che per altro viene
aggiornato mensilmente, di
600 titoli. Vedremo cosa sa-
pranno offrire i nuovi arrivati
nel mondo del gaming via
streaming perché i contenuti
sono molto più rilevanti della
tecnologia attraverso la qua-
le riesci a fruirli. Oggi chi ha
una fibra gioca a PlayStation Now senza alcun ritar-
do, come detto, a 720p, ma nessuno si lamenta della
qualità dello streaming. Anzi, i feedback da parte del-
la community di PlayStation Now sono estremamen-
te positivi. Da un lato i contenuti, su cui ci sentiamo
particolarmente confidenti di avere oggi un’offerta
che non è equiparabile in nessun modo da nessun
player nel mondo dello streaming. Dall’altro il sistema
di tecnologie. Google ha lanciato una tecnologia che
probabilmente sarà “live” in maniera efficace tra due
anni. Quando lo confronti con una console che è al
sesto anno di vita (PlayStation 4, ndr), in mezzo c’è
quasi un decennio di tecnologia. C’è da aspettare un
attimo e capire anche quale sarà l’evoluzione anche
dal punto di vista di Sony”.
DDAY.it: Parlando di contenuti, oggi PlayStation Now non offre tutti i giochi più recenti, cioè diret-tamente al lancio come, per esempio, fa Microsoft con Xbox Game Pass. A un certo punto voi userete questo approccio, ossia PlayStation Now sarà una proposta parallela e quasi equivalente a giocare in locale, oppure il servizio resterà sempre una sorta di proposta secondaria per chi vuole una fruizione più leggera e continuerà a essere meno indicato, inve-ce, per chi vuole tutto al lancio?Saletta: “Oggi il catalogo di prodotti che sta su Play-
Station Now è un catalogo fatto per i gamer. Pur non
offrendo titoli al day one c’è una tale profondità di
catalogo, chi si affaccia al servizio oggi non sente
l’esigenza. Per quanto riguarda il futuro, ci siamo pre-
si sei mesi, un anno per valutare. Tra un anno faremo
le nostre considerazioni e prenderemo le decisioni su
come muovere ulteriormente in avanti il servizio di
PlayStation Now e i contenuti che ci sono dentro.”
DDAY.it: Verso la fine della scorsa generazione, PlayStation 3 ha avuto un grande slancio commer-ciale e ha recuperato gran parte del divario che aveva accumulato con Xbox 360 e già adesso po-tremmo dire che, a livello di vendite, PlayStation 4 ha stravinto questa generazione. Per la prossima generazione, cosa possiamo aspettarci? Vi sposte-rete verso un’offerta più bilanciata tra servizi su abbonamento, come PlayStation Now, e console oppure l’hardware PlayStation resterà sempre cen-trale nella strategia di Sony?
Marco Saletta, general manager di Sony Interactive Entertainment Italia
segue a pagina 35
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
Saletta: “Sicuramente l’hardware è e rimarrà centrale
rispetto alle strategie di Sony. Noi continuiamo a cre-
dere che la via di accesso a una fruizione di conte-
nuti videoludici via console sia quella ideale. For the
players, per capirci. Non stiamo muovendo la nostra
considerazione. È chiaro che il lancio di PlayStation
Now ci metterà tra sei, dodici mesi nelle condizioni
di capire se e come modulare l’offerta di contenuti
tramite il Now rispetto a quella più tipicamente, di-
ciamo, retailer e capire rispetto alla domanda che il
consumatore fa di contenuti come muovere la nostra
offerta, anche in funzione dell’ottimizzazione delle ri-
sorse che abbiamo a nostra disposizione”.
DDAY.it: All’E3 2019 Sony non ci sarà e da poco ha inaugurato un nuovo formato di comunicazione, gli State of Play. È un vero e proprio cambio di strategia di comunicazione o la decisione di saltare l’E3 2019 è da ritenersi unica? Le fiere come l’E3 nei piani di marketing di Sony hanno ancora un senso o preferi-sce qualcosa di più flessibile e adattabile?Saletta: “Abbiamo fatto una scelta di comunicazione
diversa per il 2019 coerentemente con tutto ciò che
abbiamo già raccontato al nostro consumatore. Per
quanto riguarda le scelte definitive, non credo che lo
sarà la scelta di mancare all’E3”.
DDAY.it: Sin dal debutto sul merca-to PlayStation Classic, la versione “mini” della prima, storica Play-Station, non sembra aver avuto lo stesso impatto commerciale di prodotti concorrenti simili. Secon-do lei, perché?Saletta: “L’aspettativa che noi ab-
biamo incontrato sul mercato è
coerente con i numeri che abbiamo
sviluppato. Dal punto di vista dei
contenuti all’interno di Classic, ci è
stata mossa qualche critica che noi
ovviamente abbiamo recepito in maniera molto one-
sta, ma francamente siamo tutto sommato soddisfatti
di com’è funzionato il lancio della Classic”.
DDAY.it: PlayStation VR è tra i visori di realtà virtua-le che hanno avuto il maggior successo, parliamo di 4,2 milioni di unità vendute. In proporzione alle PlayStation 4 vendute si tratta, però, di una percen-tuale di utenti molto bassa. Non esiste il rischio che, nonostante questo buon successo commerciale, gli sviluppatori sentano PlayStation VR come una scel-ta rischiosa dal punto di vista commerciale e, a un certo punto, vengano poi a mancare i contenuti?Saletta: “Questo rischio non è paventabile. PlaySta-
tion VR è il visore VR più venduto al mondo. In Italia,
come nel resto d’Europa, la domanda per tutto il 2018
è stata altissima per il visore. Oggi siamo arrivati a
circa 300 contenuti tra videogame e serious game e
tutto quello che puoi trovare sullo store e nel retail. A
oggi parlare in termini critici dei risultati VR per noi è
abbastanza complicato. Capisco il tema della base
installata, ma la fruizione dei contenuti VR è ancora
complessa, non è un device per tutti.
Aggiungo un elemento importante. Guardando al
2019, abbiamo appena annunciato la partnership con
Marvel per il lancio di un titolo come Iron Man, che
sicuramente contribuirà a richiamare ulteriori consu-
matori sulla piattaforma e a dare un boost ulteriore
a PlayStation VR che sicuramente non mancherà di
sorprendere anche il consumatore”.
GAMING
Sony non teme il 4K di Google Stadiasegue Da pagina 34
di Massimiliano DI MARCO
Ancora poco e poi non sarà più
possibile acquistare codici per i
giochi completi in digitale tramite
i rivenditori fisici. Sony Interactive En-
tertainment ha annunciato che dal 1°
aprile i negozi che, come GameStop,
fanno parte del Global Digital at Retail
in tutto il mondo, potranno vendere
soltanto contenuti aggiuntivi oppure
ricariche per il portafoglio virtuale
legato all’account PlayStation Network.
“Possiamo confermare - ha detto Sony
Interactive Entertainment Italia in una
nota - che dal 1° aprile 2019, Sony In-
teractive Entertainment non offrirà più
giochi completi attraverso il program-
ma Global Digital at Retail. Questa deci-
sione è stata presa al fine di continuare
ad allineare il business a livello globale.
Per supportare i giochi completi e le
edizioni premium, SIE introdurrà ulte-
GAMING A breve non si potrà più acquistare codici per i giochi in digitale tramite rivenditori fisici
Nuova direttiva da Sony: stop ai giochi in digitale venduti da GameStop e altri storeDal 1° aprile i negozi terzi potranno vendere solo contenuti aggiuntivi e pass stagionali
riori denominazio-
ni per rivenditori
selezionati. DLC,
add-ons, valute vir-
tuali e season pass
saranno comunque
disponibili”.
Rimangono ancora
alcuni dubbi rispet-
to alla piena ope-
ratività di questa
decisione: piatta-
forme online come
Amazon vengono coinvolte? Verrebbe
da rispondere sì, sebbene non ci siano
ancora conferme ufficiali.
Amazon ha iniziato da poco a vendere
giochi in digitale. Spulciando il catalogo
di Amazon Italia, però, appare evidente
che già da ora i giochi completi PlaySta-
tion 4 non siano disponibili in versione
digitale; altrettanto, invece, non è vero
per Xbox One e Nintendo Switch, per
esempio. Il che ci lascia pensare che
Amazon rientri nei rivenditori aderenti
al Global Digital at Retail, che potesse
già essere a conoscenza di tale diret-
tiva di Sony Interactive Entertainment e
che, quindi, avesse già messo in pratica
tutte le indicazioni del caso per poter
vendere i giochi in digitale su piatta-
forme PlayStation seguendo quanto
stabilito da Sony.
GAMING
L’UE accusa Valve e altri cinque per violazione antitrustAver impedito ai consumatori europei di usare i giochi per PC acquistati in un Paese diverso da quello di residenza, una manovra contraria alle regole dell’antitrust. Così la Commissione Europea ha richiamato Valve, proprietaria della piattaforma di distribuzione digitale Steam, e cinque editori: Bandai Namco, Capcom, Focus Home, Koch Media e ZeniMax. In sostanza, Valve e gli altri editori impedivano agli utenti di comprare un codice di attivazione in vari Paesi dell’Unione Europea per poterlo poi usarlo in un altro Stato, come l’Italia. Ora le sei aziende dovranno presentare le proprie difese; se anche dopo averle ascoltato la Commissione Europea riterrà che abbiano violato le politiche commerciali europee, allora saranno passibili di una sanzione pecuniaria fino al 10% dei ricavi dell’ultimo anno.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Massimiliano DI MARCO
N emmeno quattro mesi dopo il de-
butto commerciale e PlayStation
Classic è disponibile ovunque a
metà del suo prezzo originale. Un dra-
stico calo dai 99 euro iniziali, che lascia
pensare che la console non abbia avuto
lo stesso traino commerciale di iniziative
simili come NES e SNES Classic Mini di
Nintendo; oggi, infatti, PlayStation Clas-
sic può essere facilmente acquistata
per poco più di 50 euro. Curiosamente,
mentre al tempo della disponibilità com-
merciale della prima PlayStation la pira-
teria aveva contribuito a diffondere la
console e con esso il marchio, altrettan-
to non sembra essersi concretizzato con
PlayStation Classic, pur caratterizzata da
un sistema di crittografia facilissimo da superare. Va detto che sin dalle prime
settimane di disponibilità sul mercato
PlayStation Classic ha dimostrato qual-
che acciacco: al di là di una modesta
prestazione in Giappone (120mila unità
vendute nella prima settimana, cioè un
GAMING La console “retro” di Sony, PlayStation Classic, costa la metà rispetto ai 99 euro di dicembre
PlayStation Classic, prezzo dimezzato dopo 4 mesi. È solo colpa dei giochi?Solo Nintendo con NES e SNES Classic Mini sembra poter dire la sua quando si parla di nostalgia
terzo di quanto ha fatto in quattro gior-
ni SNES Classic), la maggior parte dei
rivenditori internazionali - da Amazon a
Walmart - hanno abbassato di molto il
prezzo già durante le festività natalizie.
Sony non ha però mai fornito informazio-
ni ufficiali di vendita. Per dare un riferi-
mento, Nintendo ha dichiarato vendite
accumulate di NES e SNES Classic Mini
Edition superiori alle 10 milioni di unità.
Per quel che riguarda l’Italia non ci sono
molti dati commerciali. Dal rapporto an-
nuale di AESVI sappiamo soltanto che
nel 2018 sono state vendute circa 85mila
unità di console “retro”. Categoria nel
quale non appaiono soltanto Nintendo
e Sony, ma anche Commodore, SEGA
e Atari, per esempio. Eppure, sembra
che unicamente Nintendo abbia saputo
cogliere il vero entusiasmo dei nostalgici
che più che tenere sempre attiva una si-
mile macchina per il retrogaming hanno
visto una materializzazione dei “bei tem-
pi andati” da accendere di tanto in tanto
e da tenere in bella vista.
PlayStation Classic, poi, paga forse un
catalogo di giochi non particolarmen-
te interessante tra quelli preinstallati.
Certo, scegliere 20 giochi tra i tanti che
hanno rappresentato la grande era di
PlayStation (anche se di Mr. Driller nes-
suno avrebbe sentito l’assenza, mentre
un WipeOut sarebbe stato più apprez-
zato). Forse ha anche pagato il fatto di
garantire un’esperienza grafica invec-
chiata (molto) male: erano gli albori della
grafica tridimensionale e guardare certi
giochi oggi, pur con tutto il sentimento
che scaturisce dal ricordo, è un pugno
negli occhi. Diversamente la grafica 2D
“pixellosa” di NES, SEGA Master System
e SNES risulta semplicemente “retro” e
ancora oggi molto gradevole; anzi, oggi
viene ancora utilizzata da giochi come
Sonic Mania Plus, The Messenger o
Axiom Verge. Nessuno sviluppatore, in-
vece, ha piacere a riprendere la grafica
del primo Tomb Raider.
O magari, più semplicemente, PlaySta-
tion Classic è arrivata un momento di
stanca di questo sottosegmento com-
merciale delle console saturato, appun-
to, da Nintendo nel giro di due anni.
Eppure siamo convinti che un Nintendo
64 “mini” riaccenderebbe gli animi dei
nostalgici.
di Giovanni CAU
N on solo Nintendo e PlayStation; anche
SEGA proporrà una riedizione “mini”
di una sua celebre console. Parliamo
del Mega Drive (in altre parti del mondo noto
come Genesis), che sarà commercializzato il
19 settembre in tutto il mondo. L’AD Satomi
Haruki ha dichiarato che SEGA ha voluto
prendersi tutto il tempo necessario per la
produzione del Mega Drive Mini per realiz-
zare un prodotto eccellente, assicurando
che queste versione non ha niente a che vedere con la precedente uscita di SEGA
Mega Drive Flashback prodotto da AtGames, che non è stata molto apprezzata. Il Mega
Drive Mini manterrà lo stesso design storico risultando però il 55% più piccola (154 mm
di larghezza, 39 mm altezza e 116 mm profondità). L’edizione occidentale verrà venduta
dotata di due joypad che saranno una riproduzione fedele dei controller con 3 pulsan-
ti (A/B/C), a differenza dell’edizione giapponese che, oltre questa edizione, include la
variante con sei tasti (A/B/C/X/Y/Z), collegabili via USB, un cavo di alimentazione USB
- Micro USB e un cavo HDMI. Il prezzo dovrebbe aggirarsi sui 79.99 euro. Come in Giap-
pone, in occidente la mini piattaforma conterrà 40 giochi classici preinstallati anche se
ci saranno alcune differenze per quanto riguarda la lista dei giochi.
GAMING Riedizione “mini” della console Mega Drive a settembre
SEGA si unisce al coro: Mega Drive Mini con 40 giochi inclusi
Index è il primo visore di realtà virtuale marchiato ValveDopo mesi di speculazioni, Valve conferma Index, il suo visore di realtà virtuale. Sembra che stavolta HTC non c’entri nulla di Giovanni CAU
Dopo la stretta collaborazione con HTC, con la quale ha svi-luppato il visore Vive e la sua integrazione con Steam, Valve ha annunciato l’uscita del suo visore per la realtà virtuale di proprietà. Si chiamerà Valve In-dex e ne sapremo di più a mag-gio. A oggi, però, è tutto ciò che sappiamo. Al momento infatti è disponibile solo un’immagine in una pagina web di Steam a lui dedicata con un teaser seguito dalla didascalia “Upgrade your experience. May 2019”.Si intravede poi una levetta a scorrimento per gestire l’IPD, la distanza interpupillare, renden-dolo accessibile anche a perso-ne con gli occhi più vicini o più distanti rispetto alla media. È scontato pensare a una comple-ta integrazione del prodotto con Steam, piattaforma creata dalla stessa azienda per la distribuzio-ne dei giochi per PC in digitale. Non è chiaro nemmeno se si tratterà di un visore autonomo o se sarà progettato per essere collegato a un PC come altri vi-sori diretti concorrenti.Al contrario di quanto ci si pote-va aspettare, sembra quindi che i recenti tagli al personale ope-rati dall’azienda proprio nella divisione hardware non abbiano bloccato eventuali piani legati a un visore di realtà virtuale, an-che se sarà opportuno aspettare ancora due mesi per qualche no-tizia più sicura.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Franco AQUINI
N el corso dell’evento dedicato ai
servizi in abbonamento, spunta
un nuovo prodotto dedicato ai
gamers. Si tratta di Apple Arcade, che
volendo semplificare potremmo chia-
mare il Netflix dei giochi. La somiglianza
tra i due servizi è decisamente più alta
di quello che si potrebbe credere.
Sottoscrivendo un abbonamento ad
Apple Arcade non solo si avrà accesso
a tutti i giochi rilasciati, senza nessun
tipo di pubblicità o acquisto in-app, ma
i giochi saranno sviluppati in esclusiva
per i dispositivi Apple, quindi non sarà
possibile trovarli su altre piattaforme.
Apple sembra quindi seguire la strada
opposta rispetto ai concorrenti (ai quali si
è aggiunta recentemente anche Google
Stadia). Niente streaming, niente cloud
gaming, ma giochi di qualità, con una
qualità paragonabile a quelli che escono
per le console da salotto, giocabili sul di-
spositivo anche in assenza di connessio-
ne a internet. Quindi giochi offline, l’esat-
to contrario dei giochi in streaming, ma
soprattutto giochi in esclusiva giocabili
soltanto su iPhone, iPad, Mac e AppleTV.
Contenuti esclusivi con un solo abbo-
namento, proprio come Netflix (o come
Xbox GamePass, tanto per rimanere in
tema videogiochi).
Quando, come e a che prezzo?Apple ha parlato di più di cento giochi
al lancio; giochi che aumenteranno nel
tempo e che verranno costantemente
aggiornati. Il tutto senza pubblicità e
GAMING Mentre i rivali puntano al gioco in streaming, Apple va nella direzione opposta
Apple Arcade: giochi con qualità da console in esclusiva solo per i dispositivi AppleL’abbonamento comprende tutti i giochi pubblicati nel canale Arcade. Giochi di qualità ed esclusivi
senza costi aggiuntivi. In più, Apple ci
tiene a sottolinearlo, senza tracciare le
abitudini degli utenti per il rispetto della
privacy. Il servizio verrà lanciato questo
autunno in 150 paesi, tra cui dovrebbe
esserci con tutta probabilità anche l’Ita-
lia. Il prezzo però non è stato ancora
comunicato ed è probabilmente ancora
in fase di studio (soprattutto della con-
correnza, visto che anche Google Sta-
dia non ha ancora comunicato il prezzo
dei piani). Chi avrà ragione? Apple con i
suoi contenuti offline o Google, Nvidia,
Sony e Microsoft con il cloud gaming?
Di sicuro la risposta di Apple è molto in-
teressante, ma alla prova dei fatti sarà la
qualità dei giochi proposti a farne un’of-
ferta più o meno golosa e in grado di
giustificare l’ennesimo abbonamento.
Durante l’evento qualche nome impor-
tante è saltato fuori, come Hironobu
Sakaguchi, creatore dei primi dieci capi-
toli di Final Fantasy; Ken Wong, creatore
di Monument Valley e Will Wright, vera
leggenda del settore universalmen-
te conosciuto come il creatore di The
Sims. Non sono mancati nomi più popo-
lari come Sonic Racing, SEGA, KONAMI
e perfino il seguito totalmente in 3D di
una perla dal passato come lo storico
Beneath a Steel Sky, il cui seguito si in-
titolerà Beyond a Steel Sky. Non rimane
che attendere e provare il servizio non
appena sarà disponibile in Italia.
A quasi sei anni dal lancio, GTA V resta uno dei giochi più venduti in ItaliaUscito nel 2013, GTA V resta il secondo gioco in digitale più venduto in Italia. FIFA 19 domina un anno che ha registrato ricavi per 1,7 miliardi di euro. Ma siamo ancora indietro rispetto ai grandi d’Europa di M. DI MARCO
Va verso i sei anni di presenza sul mercato, ma di demordere GTA V non ne ha proprio inten-zione: nel 2018 è stato il secon-do gioco più scaricato in Italia, battuto solo da FIFA 19. Il simu-latore sportivo di Electronic Arts è stato il gioco più venduto sia in formato fisico sia in digitale su console e PC. I dati emergono dall’ultimo rapporto annuale del-l’Associazione Editori Sviluppa-tori Videogiochi Italiani (AESVI), che inquadra il mercato italiano videoludico attuale in un numero ben preciso: 1,7 miliardi di euro. Tanto è stato il giro d’affari, cre-sciuto del 18,9% rispetto al 2017. Più di Regno Unito e Germania, per dare un riferimento, che però hanno già raggiunto un tet-to annuale di 4,4 miliardi. I video-giocatori italiani sono 16 milioni, ossia il 37% della popolazione tra i 6 e i 64 anni, quella analiz-zata per l’indagine di AESVI. La piattaforma preferita è lo smar-tphone, usato da oltre 10 milio-ni di utenti; per utilizzo segue il PC (7,6 milioni) e poi, al terzo posto, le console con 6,1 milioni di persone che la preferiscono. Il formato fisico subisce il colpo della comodità del digitale. Nel 2018 è infatti l’unico formato a registrare una flessione a valore: -8,7% su base annua. Cresce a dismisura il digitale su console e PC (che è valso 548 milioni ed è cresciuto dell’86,6%); i giochi mobile, invece, hanno generato ricavi per 445 milioni di euro.
torna al sommario 38
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Sergio DONATO
I n Europa, la fine del cambio da ora
solare a legale e viceversa si avvi-
cina a passo spedito. Il Parlamento
Europeo, riunito in seduta plenaria, si è
espresso con una larga maggioranza e
in modo favorevole per mettere fine al
cambio stagionale dell’ora nell’Unione
Europea entro il 2021. Avendo fin dal-
l’inizio assunto la forma tecnica di una
“direttiva europea”, adesso toccherà a
ogni Stato membro decidere se man-
tenere l’ora solare o quella legale per
poi darne nota alla Commissione per il
prosieguo dei lavori che coinvolgeran-
no i vari ministri dell’Unione per la for-
mulazione definitiva della normativa.
La votazione ha anche spostato il de-
finitivo abbandono del cambio dell’ora
dal 2019 al 2021, che quindi diventa il
SCIENZA E FUTURO Stop al cambio stagionale dell’ora nell’Unione Europea entro il 2021
Parlamento Europeo favorevole all’abolizione del cambio dell’ora. Puzzle di orari in vista?Tocca a ogni Paese scegliere, ma una quadra è necessaria per non spezzettare l’Europa in orari diversi
nuovo termine e che darà molto più
tempo agli Stati per trovare una qua-
dra. I Paesi infatti dovranno coordinarsi
– ed è stata una precisa richiesta dei
deputati europei – affinché il territorio
del vecchio continente non sia rappre-
sentato da un puzzle di orari mescolati
tra ora legale e solare che potrebbe
generare un caos non solo negli spo-
stamenti delle persone, ma anche in
quelli delle merci. Per fare un esempio,
avventurandosi in un viaggio in auto
attraverso l’Europa si potrebbe trova-
re disallineamenti di orario partendo
dall’Italia, fermandosi in Austria per poi
arrivare in Germania.
di Sergio DONATO
Sebbene indossi scarpe molto si-
mili a quelle di Boris Karloff nel
Frankenstein del 1931 e la sua
pelle somigli a quella dello Shrike idea-
to dallo scrittore Dan Simmons, il robot
progettato da Toyota sa di futuro e fa
paura solo per la sua precisione nei tiri
a canestro da tre punti.
Il suo nome è Cue 3, è alto due metri
e sette centimetri e usa i sensori sul
proprio torso per calcolare la posizione
del canestro in una rappresentazione in
3D, coordinare il movimento dei motori
delle braccia e delle ginocchia, ed effet-
tuare un tiro da tre che non manca mai
il bersaglio.
In realtà, quasi mai. Nella dimostrazione
avvenuta il 1° aprile a Fuchu, nei pressi
di Tokyo, Cue 3 ha centrato il canestro
cinque volte su otto. Gli ingegneri Toyota
hanno detto che si è trattato di un risul-
tato peggiore del solito. La sua prima
generazione, chiamata semplicemente
Cue, si era comportata meglio, ma era
SCIENZA E FUTURO Nella dimostrazione, Cue 3 ha centrato il canestro cinque volte su otto
Cue 3, il robot di Toyota che centra i canestri da tre puntiCue 3 può calcolare spazi e distanze e attivare i motori per centrare un canestro da tre
stata progettata solo per mandare a se-
gno i tiri liberi e aveva addirittura battuto
due giocatori della squadra dell’Alvark
Tokyo in una sfida simultanea organizza-
ta l’anno scorso.
Cue 3 per il momento non può muoversi,
non può correre, non può schiacciare,
ma Tomohiro Nomi, uno degli ingegneri
che ha lavorato sul robot, ha detto che
con gli attuali progressi tecnologici ci
riuscirà tra 20 anni. In realtà, Toyota non
vuole arrivare alla creazione di giocato-
ri di basket robot, ma Cue rappresenta
un modo per aumentare la creatività dei
suoi ingegneri, rendendoli aperti alle
idee e alle sfide nella robotica, tanto che
il nome “Cue”, secondo Toyota, simbo-
leggia proprio lo “spunto” o il “segnale”
delle grandi cose a venire. Se saranno
davvero giocatori di basket robot o la-
voratori automatici che sostituiranno gli
uomini, lo sapremo tra qualche anno.
A Open Fiber il terzo bando Infratel. Fibra ottica in Puglia, Calabria e SardegnaOpen Fiber ha firmato una nuova concessione con Infratel per la rete pubblica nelle aree bianche di Puglia, Calabria e Sardegna. Investimento da 103 milioni di euro
di Pasquale AGIZZA
Firmata la concessione per il terzo bando delle aree bianche. Con questo accordo Open Fiber si ag-giudica la possibilità di costruire e manutenere in concessione per 20 anni la rete pubblica realizzata in alcune aree di Puglia, Calabria e Sardegna. Le aree bianche, dette anche a fallimento di mercato, sono quelle zone della penisola dove gli operatori non offrono al-cun servizio di banda ultra larga e per vari motivi non sono interessati a investire su questo settore nel breve periodo. Per coprire con la fibra queste zone sono previsti dei finanziamenti statali. In questo caso il finanziamento pubblico è di 103 milioni di euro e l’intervento prevede il collegamento di 317 mila unità immobiliari in 959 comuni, in-teressando oltre 400 mila cittadini. Il completamento dei lavori è pre-visto entro tre anni dalla firma del contratto e Infratel si occuperà del-le fasi di verifica e approvazione della progettazione, dei collaudi e dell’alta sorveglianza.“Connettere tutto il Paese con una rete interamente in fibra ottica è fattore essenziale per garantire a tutti parità di accesso alle tecno-logie e ai servizi di oggi e a quelli che saranno sviluppati in futuro”, ha commentato Elisabetta Ripa, AD Open Fiber. Domenico Tudini, AD Infratel, ha dichiarato invece: “Con questa aggiudicazione si completa la prima fase della Stra-tegia Italiana per la Banda Ultra-larga relativa alle Aree Bianche”.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
segue a pagina 40
di Roberto PEZZALI
H uawei è uno schiacciasassi, un rullo compresso-
re: Mate 20 Pro è nei negozi da pochi mesi, e tra
poco si potrà comprare, nei negozi, il nuovo P30
Pro, che nome a parte è a tutti gli effetti una evoluzione
del modello precedente. La logica della doppia famiglia,
una più “consumer” e una più “business”, è totalmente
saltata: il P30 Pro è a tutti gli effetti un Mate 20 Pro con
qualcosa in più. Il ciclo ormai è scritto: con la famiglia
Mate Huawei introduce il nuovo processore, con la serie
P le innovazioni lato fotocamera. P30 Pro è soprattutto
fotocamera, perché tolta questa non sono moltissime
le novità rispetto al già ottimo Mate: il design è simile,
il processore è quello, l’autonomia e le caratteristiche
principali sono praticamente le stesse. Unica mancanza
il sistema di autenticazione frontale 3D: spariscono tutti
i sensori e questo comporta una riduzione del notch,
piccolo e a goccia. Identica la batteria, 4200 mAh, no-
nostante il nuovo zoom a periscopio richieda più spa-
zio all’interno. Se si guarda però all’aspetto puramente
fotografico P30 Pro guadagna due grosse novità che
dovrebbero aumentare il gap con la concorrenza so-
prattutto di notte: un nuovo sensore che promette una
sensibilità record e un obiettivo da 125 mm periscopico
che porta su uno smartphone, per la prima volta, uno
zoom ibrido che non fa rimpiangere per ingrandimento
quello delle fotocamere compatte. Abbiamo “massacra-
to” il P30 Pro nel vero senso della parola, aggiungendo
alla prova tantissimi altri contenuti extra.
Più bello dal vivo che in fotoEsteticamente il P30 Pro è più un “Mate” di un “P”: la
scocca infatti è una double edge, vetro curvo davan-
ti e vetro curvo dietro per dare l’impressione ottica di
avere davanti uno smartphone molto sottile. Il gusto è
come sempre personale, ma non ci dispiaceva il P20
con il suo retro decisamente particolare. Del P20 il
nuovo modello mantiene il profilo delle fotocamere e
l’orientamento “orizzontale”: logo Huawei e dettagli
dell’obiettivo sono stati posizionati per essere letti fa-
TEST Huawei P30 Pro è soprattutto fotocamera, tolta questa non sono moltissime le novità rispetto al già ottimo Mate
Huawei P30 Pro, la nostra recensione completa Per le foto resta lo smartphone da battereCon un super sensore e un obiettivo telescopico P30 Pro vuole migliorare quanto fatto dal P20 mantenendo un gap con la concorrenza
Huawei P30 ProLO SMARTPHONE PERFETTO PER IL FOTOGRAFO. SULLO SCATTO È ANCORA IMBATTIBILE
999,00 €
30 Pro è oggi la scelta obbligata per chi vuole uno smartphone che abbia tutto sotto il profilo fotografico: un super grandangolo da 16 mm, un tele da 125 mm, un sensore super risoluto con una sensibilità record e tantissime modalità di scatto, penalizzate solo da una interfaccia poco pratica che non aiuta l’early adopter. Noi Huawei la conosciamo bene, abbiamo scattato con P10, Mate 10, P20 e Mate 20 e con l’esperienza accumulata siamo in grado di portare a casa ogni scatto, anche quelli che apparentemente sembrano difficilissimi. L’arrivo di un tele da 125 mm permette anche di avere una profondità di campo buona “naturale”, e non è cosa da poco, le foto sugli smartphone spesso sono totalmente prive di profondità e un po’ piatte. Il P30 Pro è lo smarphone perfetto per un fotografo che conosce bene la fotografia, che non si spaventa a scattare in RAW, tanto è capace di svilupparli, e che capisce come correggere gli eventuali pro-blemi di esposizione che possono verificarsi in situazioni davvero difficili. Un utente che non ha la minima idea di cosa sia l’esposizione probabilmente riesce a scattare foto migliori con un S10 o con un iPhone, il P30 richiede un po’ di “manico” ma poi è quello che offre le migliori soddisfazioni. Non è un caso che si leggono spesso critiche alla qualità dei P20 e dei Mate 20: il 90% delle foto che circola, anche abbinate a recensioni, sono probabilmente scattate da persone che non sanno fotografare. Ma ci sta, come abbiamo detto più volte a Huawei in ambito fotografico manca solo la semplicità. La scelta di un P30 Pro ovviamente è tutta rivolta alla fotocamera, perché se questa non interessa non ci sono ragioni per prendere questo al posto di un Mate 20 Pro, magari risparmiando qualcosa ora che è uscito da un po’, o un altro prodotto di fascia alta. Trattandosi di Huawei, e sapendo ormai come ragiona, viene da chiedersi anche come sarà il Mate 30 e se vale la pena attendere qualche mese: il nuovo processore dovrebbe portare in dote alcuni elementi che mancano, come wi-fi 6 e Bluetooth 5.0, presenti su un S10 e assenti ad esempio su P30, e soprattutto potrebbe portare il 5G integrato. Senza alcuna ri-nuncia, perché difficilmente Huawei toglie: nuovo sensore, super tele e grandangolo saranno alla base anche del prossimo top di gamma. Esce tra soli sei mesi, ma ci si perdono così le foto durante le vacanze estive.
Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo
9 8 9 8 9 88.6
COSA CI PIACE COSA NON CI PIACEPrestazioni fotografiche eccezionali se lo sai usare beneAutonomia superiore alla mediaRicezione eccellente
Interfaccia della fotocamera troppo confusaPrezzo elevatoMancano jack audio, wi-fi 6 e audio stereofonico
lab
video
cilmente quando si impugna lo smartphone in modalità
di scatto. Lo smartphone non è leggerissimo ma regala
una buona sensazione di solidità, e non ci è dispiaciu-
ta la scelta di Huawei di appiattire i profili superiore e
inferiore, decisamente più elegante così. Posizionato
benissimo il bottone di accensione, facilmente raggiun-
gibile dal pollice, anche se con lo sblocco sul display
questo tasto verrà usato davvero poco. Tra gli “extra”
c’è l’emettitore IR sulla parte superiore, mentre le due
mancanze riguardano l’audio. La prima è il jack, che
come sul Mate 20 Pro è stato rimosso, la seconda è
l’assenza a vista dell’auricolare: Huawei ha dotato lo
smartphone, come vedremo, di un trasduttore sotto lo
schermo che sostituisce la capsula auricolare. Anticipia-
mo che funziona benissimo.
Usando tanto lo smartphone, soprattutto per fare foto-
grafie, ci siamo resi conto di una piccola mancanza a li-
vello ergonomico, comune a tutti gli smartphone in real-
tà. In molte situazione si avverte l’assenza di un “grip”
che possa aiutare a tenere lo smartphone fermissimo
quando si scatta. Non era così fondamentale su un P20
o su un Mate 20, zoom ibrido comunque relativamente
corto, ma sul P30 quando si passano i 10x diventa dav-Huawei P30 ProLa videorecensione
lab
video
torna al sommario 40
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
tico: abbiamo scattate le foto e i video per Masterclick
Stagione 2, il nostro “reality” di fotografia”, e lo abbiamo
fatto con 12 telefoni top di gamma. Oltre 1500 fotografie
in diversi giorni, 120 foto dello stesso soggetto scattate
con 12 diversi smartphone, in sequenza. E mentre scat-
tavamo guardando lo scatto sull’iPhone, sul V40 LG, sul
Samsung ma anche su altri modelli come un OnePlus
o uno ZenPhone, abbiamo pensato subito, guardan-
dola a schermo “Guarda che bella foto”. Il Huawei più
volte ci ha lasciati perplessi, salvo poi renderci conto,
una volta guardata la foto su un computer, che questa
è nettamente migliore come risoluzione di quelle fatte
dagli altri. Sotto al sole lo schermo si vede bene. Con
gli occhiali da sole polarizzati, si perde però qualcosa:
la polarizzazione non è circolare ma diagonale quindi
oltre ad una leggera perdita di luminosità globale l’im-
magine sparisce con lo smartphone in diagonale. Nes-
suno usa lo smartphone in diagonale, ma d’estate, sul
lettino sotto l’ombrellone, smartphone in mano e testa
leggermente inclinata, può capitare.
Una fotocamera eccezionaleDelle quattro fotocamere del P30 Pro abbiamo parlato
in modo super approfondito in articoli separati: qui po-
tete trovare l’approfondimento sul sensore Super Sen-sitive, qui invece i dettagli sul super zoom con la prova sul campo. Due contenuti da leggere assolutamente.
Riassumendo, per dare completezza a questa prova, ci
troviamo davanti ad un upgrade della soluzione “Mate
20 Pro” con tre modifiche sostanziali: un nuovo tipo di
sensore con un filtro che usa il giallo al posto del verde
per aumentare la sensibilità, un tele 125 mm che combi-
nando il sensore permette di arrivare a 10x di ingrandi-
mento con una qualità più che buona e a 50x con molti
(troppi) compromessi, e un sensore ToF che assicura un
bokeh molto più realistico. Se dovessimo dare un ordi-
ne, il tele da 125 mm è quello che cui ha entusiasmato
di più: un obiettivo utilissimo per colmare quello che era
il vero gap tra una compatta e uno smartphone. Con un
TEST
Huawei P30 Pro, recensione completa segue Da pagina 39
vero difficile tenere lo smartphone fermo, soprattutto se
si deve scattare con il pollice. E “bloccare lo smartpho-
ne” è fondamentale per la qualità della foto ottenuta
con lo zoom ibrido, perché i dettagli vengono aggiunti
nei secondi successivi allo scatto dove lo smartphone
consiglia, a chi lo sta usando, “di non muovere il tele-
fono perché sta migliorando la foto”. Un grip vero piò
essere aggiunto solo come accessorio, ma sul P30 Pro
un piccolo tasto di scatto sulla cornice destra ci stava
benissimo: evita di cambiare impugnatura o di spostare
il pollice per scattare. Chi usa Sony Xperia è consape-
vole di quanto sia utile un tasto di scatto dedicato.
Si prova più fastidio per lo schermo curvo che per il notchGli smartphone sono ormai “tutto schermo” e Huawei
ha cercato di massimizzare lo schermo riducendo ulte-
riormente il notch, una goccia nella zona alta che spor-
ge di pochi millimetri e integra la camera frontale da 32
megapixel. Lo schermo è da 6.47”, dimensione genero-
sa per uno schermo che tuttavia non ha una risoluzione
elevata come quella di un Galaxy S10 o del Mate 20 Pro:
Huawei ha optato per un Full HD+ da 1080 x 2340 che
insieme al tema scuro dell’interfaccia aiuta a risparmia-
re un po’ di energia. Lo schermo è edge, e come ogni
schermo edge è più bello che pratico quando si tratta di
digitare qualcosa sulla tastiera, con alcune lettere che
si posizionano ai bordi. Il vetro leggermente curvato ai
bordi non è praticissimo neppure quando si tratta di usa-
re le “gesture” della nuova modalità di navigazione, ma
è solo questione di abitudine. Sono gusti, ma tra avere
lo schermo edge e il notch riusciamo ad accettare dia
più il notch, che così piccolo non disturba affatto. Le cor-
nici ai bordi sono sottilissime, merito anche dell’effetto
ottico della curvatura, e resta il solito sbilanciamento tra
top e parte inferiore, il “mento”, spesso qualche millime-
tro. Sotto lo schermo, nella parte bassa, trova spazio il
sensore d’impronte a lettura ottica: basta muovere lo
smartphone per far apparire l’impronta nella zona “sen-
sibile”. Funziona anche al buio, e funziona pure con lo
smartphone girato: ci è parso leggermente migliore di
quello del Mate, veloce e immediato, e solo pochissime
volte abbiamo dovuto ri-premere: trattandosi di un si-
stema ottico si deve lasciare il tempo per far la lettura,
se si passa rapidi con il polpastrello non funziona. Sulla
accuratezza non ci sono elementi per dare un giudizio.
Per il resto ci troviamo davanti ad uno schermo con una
buona compattezza, una luminosità di picco di circa 660
nits e un ottimo angolo di visione. Rispetto all’OLED del-
l’iPhone XS o del Galaxy S10 la visibilità sotto al luce è
simile, e in questo caso la luminosità di picco conta ben
poco, perché intervengono altri fattori. La risoluzione
inferiore si vede? Anche se non si vedono i pixel, biso-
gna andare davvero vicino, se mettiamo di fianco P30 e
Mate 20 si capisce che quest’ultimo ha una risoluzione
superiore, soprattutto quando riguardiamo le foto scat-
tate. Che sullo schermo del P30, spesso, spaventano
un po’: si vedono più brutte di quelle che sono. Questo
concetto è più facile da esprimere con un esempio pra-
vantaggio in più: offre una ridotta profondità di campo
per sfuocati più realistici di quelli che si ottengono con
l’elaborazione artificiale. Fino a quelli che Huawei chia-
ma 10x, che in realtà sono 250mm equivalenti, la resa è
davvero buona. Per un confronto a tutte le focali e per
capire come si posiziona rispetto ad altre fotocamere vi
rimandiamo al nostro approfondimento.
Al secondo posto mettiamo il sensore ToF: le potenzia-
lità sono incredibili, ora si tratta di lavorare bene di sof-
tware. Infine c’è il super sensore, che non lasciamo in
fondo perché lo riteniamo una novità poco rivoluziona-
ria ma perché a nostro avviso Huawei è andata a com-
plicarsi la vita per guadagnare una sensibilità di cui non
aveva bisogno. Non abbiamo inserito nella classifica il
super wide perché c’era già sul Mate 20: crediamo che
questo obiettivo non debba mai mancare su uno smar-
tphone perché ne aumenta la flessibilità a dismisura.
Una nota sulle fotocamere: scattano in formato stan-
dard, 3:2, a 10 megapixel o 40 megapixel. Purtroppo se
si vuole il 16:9 si deve fare un crop a mano, perchè gli
altri formati sono un 1:1 quadrato da 7 megapixel o un
19:9 full da 6 megapixel. Entrambi vengono ritagliati dal
formato 10mp. Il video è migliorato in un aspetto, la resa
segue a pagina 41
Huawei P30 Pro REGISTRAZIONE VIDEO IN 4K
lab
video
L’unica nota da segnalare è un errato sviluppo del file con il giallo molto saturo: il RAW è ok, il jpeg trasforma in verde il giallo super saturo. Per un utente che non ha scattato in RAW non si torna indietro, e sul video c’è poco da fare: anche qui alcuni frangenti, luci molto forti o fiamme, potreb-bero avere un verde fosforescente molto saturo al posto del verde. Niente che non si possa risolvere con un aggiornamento, ma è bene segnalarlo.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
TEST
Huawei P30 Pro, recensione completa segue Da pagina 40
con poca luce, ma si deve fare i conti con la qualità dei
tre diversi obiettivi e la differenza di resa a condizione
di luminosità diverse. Se si realizza un video spazian-
do dallo zoom al super wide, la resa sarà totalmente
diversa. Solo la fotocamera principale infatti garantisce
una qualità più che buona anche di notte. Ci sono però
dei problemi con cui fare i conti: il primo è l’assenza del
60p sul 4K, il secondo è una registrazione con frame-
rate dinamico che genera qualche saltello durante la
riproduzione e il terzo, forse il più grave, è un rolling
shutter decisamente abbondante. Quest’ultimo credia-
mo sia dovuto alla lentezza della pipeline di conversio-
ne da RYB a RGB su un sensore che è enorme, mentre
per l’assenza del 60p il problema è il sensore grande,
che non permette un “read-out” dei dati così veloce.
Nemmeno le reflex full frame con sensori ad elevata
risoluzione permettono sempre il 4K a 60p, è un pro-
blema tecnico: sui sensori a risoluzione elevatissima ad
oggi non si riesce ad avere. Huawei doveva scegliere,
e secondo noi ha scelto giusto: meglio questo sensore
di una feature che si userebbe pochissimo. Criticabile
la camera frontale, una 32 megapixel esageratamente
risoluta: forse era meglio una camera da 8 o 10 mega-
pixel con una dinamica migliore e un rumore più basso.
Siamo davanti ad una fotocamera a fuoco fisso.
Prestazioni ottime, autonomia superiore a Mate 20 ProDire che la EMUI è terribile ormai sembra lo sport na-
zionale, ma non ci siamo trovati affatto male. Huawei
ha semplificato molto i vari menu, ha ridotto le opzioni,
ha cercato una migliore uniformità per quanto riguarda
le icone che ora finalmente hanno tutte la stessa forma,
anche quelle delle app di Google. C’è uniformità, quello
che un po’ mancava, e navigare tra le diverse scherma-
te darà sicuramente meno fastidio a coloro che erano
attenti a stile e design. L’interfaccia di un Galaxy S10
è sicuramente più coerente, ma la EMUI del P30 Pro
non è affatto quel disastro che spesso viene descritto.
Certo, si potrebbero disegnare icone migliori, si potreb-
bero organizzare meglio le notifiche e si potrebbe lavo-
rare tantissimo sui piccoli dettagli, ma come abbiamo
detto più volte Huawei continua a spingere fortissimo
sull’hardware lasciando il software un po’ in secondo
piano. Manca ad esempio la possibilità di comprimere
i video in HEVC o H265, mancano formati ad elevata
efficienza per le fotografie, che a 40 megapixel pesano
non poco, ci sono tantissime ottimizzazioni che potreb-
bero essere fatte e ancora non sono state prese in con-
siderazione. Se solo investisse un terzo del tempo che
Huawei spende per innovare l’hardware nel software
(aggiornamenti inclusi) ci troveremmo di fronte proba-
bilmente ai migliori smartphone al mondo. Invece si ha
sempre la sensazione che una volta finito di progettare
lo smartphone si prenda il software del modello prece-
dente e si faccia qualche aggiustamento, nulla di più.
L’esempio dell’app fotocamera è palese: si prende l’app
del modello precedente e si cerca di infilare da qualche
parte, dove c’è spazio, la nuova funzione, senza mai
prendere in considerazione che esiste il tasto “cancel-
la” e si può ripartire da capo con il design se questo è
diventato troppo confuso.
Sotto il profilo delle prestazioni ci troviamo davanti alla
stessa identica resa del Mate 20: il Kirin 980 è veloce,
consuma decisamente poco e non crea grossi proble-
mi di prestazioni. Grazie all’ottimizzazione di GPU Turbo
anche in ambito gaming i giochi girano fluidi e con un
buon framerate, e in tutte le prove che abbiamo fatto
non ci siamo mai trovati in difficoltà su nessun aspetto.
Se guardiamo all’autonomia Huawei mantiene le ottime
prestazioni che hanno fatto segnare i predecessori, in-
terfaccia scura e schermo con risoluzione intelligente
permettono di arrivare a sera con una buona fetta di
carica residua. Anzi, con lo schermo dotato di risoluzio-
ne inferiore e la stessa identica batteria l’autonomia del
P30 è leggermente superiore a quella del Mate, diamo
un 5% di scarto. Unica nota da segnalare, come sempre,
una gestione delle applicazioni molto aggressiva che
rischia di far perdere qualche notifica con applicazioni
usate di rado. Nel menu batteria è possibile eliminare
alcune applicazione dalla gestione automatica, e per le
app di messaggistica con notifiche il consiglio è quel-
lo di lasciare la gestione standard. Il sistema dovrebbe
abituarsi alle app che si usano tanto, ma sono proprio
quelle usate poco che possono portare qualche proble-
ma: se un utente non usa mai Skype, è solo un esem-
pio, una notifica su Skype potrebbe non arrivare se per
qualche motivo l’EMUI ha deciso che è inutile tenere
Skype tra le app per le quali controllare le notifiche. Ma
sono casi comunque molto rari. C’è ancora il sistema
proiezione desktop, ma rispetto alle versioni precedenti
non è affatto cambiato. L’unico cambiamento è in “ne-
gativo”, ma dobbiamo verificare se già era così sul Mate:
app di streaming video, come Netflix, escono nere, non
possono essere fruite sul monitor collegato.
Audio eccellente senza auricolare Ma il diffusore è monoL’aspetto più particolare del P30 Pro è la sparizione del-
la capsula auricolare, sostituta da un trasduttore nasco-
sto sotto lo schermo (guarda il P30 aperto per vederlo).
La soluzione funziona davvero bene, la qualità di ascol-
to è decisamente buona e non c’è ritorno audio di alcun
tipo: ci si poteva aspettare, con una soluzione simile,
un leggero ritorno sul microfono invece questo viene
annullato alla perfezione. Le chiamate sono chiare, il
volume di ascolto soddisfacente. L’inserimento di una
capsula auricolare di questo tipo ha portato al sacrifi-
cio dell’audio stereo: l’audio in riproduzione è mono-
fonico, riprodotto dall’unico altoparlante inserito nella
zona inferiore. La qualità è buona ma non eccezionale,
e ci sono smartphone che grazie anche ad un doppio
speaker suonano molto meglio.Non cambia quasi nulla
rispetto al Mate 20 nel reparto di rete: ottima la ricezio-
ne, eccellente la tenuta della portante sulle telefonate e
niente da dire sulla navigazione in 4G, con un modem
che supera di gran lunga come velocità gestibile la ca-
pacità delle attuali reti italiane. Segnaliamo che non c’è
stato alcun upgrade del controller wireless: è sempre
l’Hi1103 da 1.7 gbps, niente Wi-fi 6. Per questo ci sarà da
attendere la nuova versione del Kirin.
clicca per l’ingrandimento
Scattare al buio era la missione del P20, con il P30 riesce a creare la luce dove non c’è e se è tecnicamente sorprendente riuscire a vedere l’invisibile stiamo andando oltre il confine del “realismo”, le immagini sembrano troppo finte. Per fortuna, senza la modalità notte (foto a destra), la resa è davvero ottima con un livello di rumore molto basso.
Sebbene lo sfuocato sia credibile, ancora l’ela-borazione digitale si mangia qualche dettaglio, in questo caso la bacchetta degli occhiali e un pezzo di tracolla.
Il tele da 125 mm è un obiettivo utilissimo per colmare quello che era il vero gap tra una compatta e uno smartphone. Con un vantaggio in più: offre una ridotta profondità di campo per sfuocati più realistici.
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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Roberto PEZZALI
I l 20 gennaio di quest’anno Vincenzo Bottiglieri, ex
maestro di sci, pensionato di 65 anni, stava potando
gli alberi in giardino quando il suo Apple Watch ha
iniziato a vibrare segnalando un problema al battito.
Inizialmente non ha dato troppo peso all’avviso, stava
facendo attività fisica, ma quando il Watch ha inviato
una seconda notifica in serata, a riposo, l’ex maestro
di sci si è presentato al pronto soccorso dell’ospedale
San Camillo, dove gli hanno diagnosticato un infarto in
atto: ostruzione di una arteria al 98%.
La tecnologia salva la vita, e questo è solo uno dei
tanti casi segnalati in tutto il mondo dove le persone
devono ringraziare, oltre ai medici, anche l’orologio
smart di Apple. Che è riuscito a dare con il giusto tem-
pismo l’allarme per un sintomo che spesso può passa-
re inosservato. Apple, insieme alla facoltà di medicina
dell’università di Stanford, ha diramato i risultati di
Heart Study, una ricerca di 8 mesi che ha visto 419.093
volontari sottoporsi ad un monitoraggio costante del
battito cardiaco tramite Apple Watch. Allo 0.5% di que-
sti volontari, oltre 2000 persone, è stata diagnosticata
una aritmia cardiaca. Lo studio è stato condotto utiliz-
zando i modelli precedenti all’Apple Watch Serie 4, il
primo Watch che grazie ad un nuovo sensore per il
rilevamento del battito e ad un elettrodo di titanio può
registrare un vero tracciato elettrocardiografico. Que-
sta funzione ECG, elettrocardiogramma, accompagna-
ta anche dalla funzione di rilevamento del battito non
regolare, arriva oggi anche in Italia e in Europa grazie
all’approvazione CE e all’update a WatchOS 5.2.
Tutti gli Apple Watch riceveranno WatchOS 5.2, che
abiliterà quella che è forse una delle più utili funzio-
niamo mai introdotte su un dispositivo indossabile
consumer, il rilevamento della fibrillazione atriale, la
forma più comune di aritmia cardiaca. La versione più
recente, Apple Watch 4, potrà anche fare un elettro-
TEST Arriva su Apple Watch il rilevamento del battito cardiaco irregolare, utile per segnalare una eventuale fibrillazione atriale
Apple Watch, arrivano in Italia elettrocardiogramma e rilevamento battito irregolare. Li abbiamo provatiTutti gli Apple Watch riceveranno WatchOS 5.2. Per i possessori del Watch Serie 4 è disponibile anche l’elettrocardiogramma
cardiogramma in seguito all’avviso. Il Watch di Apple
diventa così a tutti gli effetti il più diffuso rilevatore di
fibrillazione atriale, anche se è bene specificare che
non ci troviamo davanti ad un dispositivo medico:
Apple Watch controlla, analizza, e se c’è qualcosa
che non va nel battito segnala all’utente di fare un
tracciato elettrocardiografico e di andare all’ospe-
dale, o da uno specialista per l’analisi. Inoltre, come
Apple avvisa più volte, questo strumento è utile per
diagnosticare l’aritmia cardiaca, e non per prevenire
ad esempio un infarto.
La fibrillazione atriale è subdola e causa l’ictus: ecco perché è importante la diagnosi immediataPer capire l’importanza di avere uno strumento come
l’Apple Watch al polso e perché una funzione come
quella che Apple ha appena portato in Italia può dav-
vero salvare una vita si deve conoscere il male che
Watch contribuisce a combattere, l’aritmia.
“L’aritmia è un’anomalia del battito cardiaco che, nel
caso specifico della fibrillazione atriale, può essere
benigna e dovuta all’invecchiamento o, come spesso
accade, maligna, e può portare come grave compli-
canza all’ictus. L’ictus colpisce soprattutto il cervello, e
determina danni permanenti che una persona si porta
dietro per tutta la vita” ci ha spiegato Stefano Carugo,
direttore dipartimento Cardiorespiratorio asst Santi
Paolo e Carlo dell’Università di Milano e responsabile
della società italiana cardiologia regione Lombardia.
Stiamo parlando di una disfunzione cardiaca che col-
pisce l’8% della popolazione italiana sopra i 65 anni
e il 15 per cento della popolazione sopra gli 80 anni,
quindi stiamo parlando di decine di migliaia di perso-
ne che possono avere la fibrillazione atriale. Usiamo
il condizionale, “possono”, perché in molti casi non lo
sanno: “L’aritmia è subdola, entra e esce, entra e esce.
Ed è proprio questo continuo entrare e uscire della
fibrillazione atriale che porta poi avere l’evento ische-
mico cerebrale” aggiunge il cardiologo.
Un esame fatto una volta all’anno può quindi non es-
sere determinante per la diagnosi di questa malattia,
e basta prendere un caso molto recente per capire
quanto la la tempestività sia importante per contra-
stare la casualità: Sami Khedira, centrocampista della
Juventus, si è fermato in allenamento perché ha av-
vertito una palpitazione e gli è stata diagnosticata una
fibrillazione atriale, curata con un piccolo intervento di
ablazione. Khedira è un atleta controllato quotidiana-
mente dai medici della società, eppure fino ad oggi la
patologia non era stata diagnosticata.
“Il vantaggio dell’Apple Watch è proprio questo: es-
sere rapido e istantaneo soprattutto nel preciso
momento in cui uno può sentire il disturbo. E questo
per noi cardiologi è fondamentale: a volte facciamo
l’elettrocardiogramma, ma magari in quel momento
il paziente ha il battito regolare. E resta regolare per
una settimana. Il fatto di poter indossare un apparec-
chio che, oltre a rilevare una anomalia, permette on
demand di fare un tracciato elettrocardiografico da
mandare al medico in formato PDF per noi rappresen-
ta un avanzamento tecnologico straordinario. Un ictus
per noi medici equivale ad avere un paziente disabile
tutta la vita” conclude Carugo.
segue a pagina 43
torna al sommario 43
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
Come funziona il rilevamento del battito e della fibrillazione atriale su Apple WatchPer il rilevamento della fibrillazione atriale non servirà
Apple Watch 4: con l’ultimo aggiornamento di iOS 12.2
infatti tutti i possessori di Apple Watch, a partire dalla
prima generazione, possono attivare la funzione che
sfrutta la fotopletismografia per rilevare le anomalie del
battito. Utilizzando il sensore ottico posto sotto l’Apple
Watch, combinato ad un algoritmo, Apple riesce a leg-
gere la variazione di volume del sangue che passa
nel polso (fotopletismografia) e quindi determinare il
battito e la sua frequenza. Quando si attiva la funzione
“Rilevamento ritmo irregolare” dall’applicazione Salute
dell’iPhone abbinato ad un Watch, quest’ultimo inizia a
raccogliere e analizzare dati per verificare se ci sono
incongruenze o irregolarità tramite i tacogrammi. I ta-
cogrammi sono grafici che mostrano la frequenza dei
battiti nel tempo, e vengono registrati dal Watch a fre-
quenza regolare ogni 2/4 ore quando lo si indossa. Se
l’algoritmo rileva una possibile aritmia, l’orologio inizia
a registrare tacogrammi con più frequenza, ogni 15 mi-
nuti circa: quando cinque di sei tacogrammi consecuti-
vi vengono classificati come irregolari in un periodo di
48 ore l’utente viene informato di una possibile anoma-
lia del battito, e ha accesso a una serie di informazioni
aggiuntive tramite l’app Salute. Questa funzione non
viene attivata automaticamente da Apple: dev’essere
l’utente a dare luce verde andando sull’app Watch -
Battito: prima di attivarla l’azienda vuole dare informa-
zioni chiare e precise sul funzionamento, specificando
che Watch non è un dispositivo medico e che non so-
stituisce il medico. Per poter fare l’elettrocardiogram-
ma, invece, serve un Watch di quarta generazione.
Come funziona l’elettrocardiogramma su Apple Watch 4Il rilevamento del tracciato del battito cardiaco si basa
su un elettrodo di titanio incorporato nella corona del
Watch e su un sottilissimo strato sensibile applicato
al cristallo di zaffiro sul retro del Watch: l’applicazio-
ne ECG legge e registra gli impulsi elettrici grazie alla
chiusura del circuito che si crea tra il polso, a contat-
to con il retro del Watch, e la corona, a contatto con il
dito indice. Il processo richiede circa 30 secondi e al
termine un algoritmo rivela se il tracciato non porta a
conclusioni utili, se non sono state riscontrate anomalie
o se c’è invece il rischio di una aritmia.
Quanto può essere preciso questo sistema rispetto ad un elettrocardiogramma classico? “Il tipo di elettrocardiogramma che si può avere con
l’Apple Watch è una monoderivazione - spiega Caru-
go - e da quanto abbiamo visto sembrerebbe molto
precisa e con una bella traccia. Il paziente deve stare
fermo non deve mettersi a correre, deve appoggiare
le mani nel modo corretto e stare tranquillo. La cosa
da precisare è che per infarto o altro non è sfrutta-
bile, e Apple lo dice, serve solo per l’aritmia. Ma
non è poco. C’è poi da segnalare che ci sono casi
in cui l’aritmia è talmente lieve che è anche difficile
da leggere, bisogna contare i quadratini. L’analisi del
software aiuta il medico, ma non lo sostituisce”. Il car-
diologo ci spiega che a volte la fibrillazione atriale si
presenta all’elettrocardiogramma con un tipo di trac-
ciato quasi simile a quello normale. Quindi è solo un
occhio esperto è in grado di fare una diagnosi corret-
ta, e anche questa valutazione può avere comunque
un margine di errore. Il cardiologo esperto nel 99%
dei casi vedendo una traccia riconosce l’aritmia, un
medico di famiglia al 50% 60%.
Abbiamo chiesto ad un paziente cardiopatico di in-
dossare anche Apple Watch e fare ECG con il dispo-
sitivo mentre ne faceva uno con la strumentazione
ospedaliera. Abbiamo mostrato i due tracciati ad un
cardiologo per un parere tecnico e ha confermato
che quello dell’Apple Watch è perfetto. La derivazio-
ne D1 è identica. Come per il rilevamento dell’aritmia
anche per utilizzare l’elettrocardiogramma un utente
deve completare una fase di “educazione” all’app e
alle sue funzioni. Tutti I dati raccolti, inclusi i tracciati,
vengono conservati su HealthKit e possono essere
condivisi, ad esempio al medico di famiglia, tramite
l’app Salute in formato pdf.
Il Watch non è l’unico dispositivo che permette la re-
gistrazione portatile del battito: esistono ad esempio
piccoli dispositivi come il Kardia Mobile, grande come
una carta di credito. Basta appoggiare i due pollici per
avere un tracciato. Secondo alcuni medici il Kardia è
leggermente più preciso del Watch nel tracciato car-
diografico, ma è sempre un dispositivo esterno che
una persona deve tenere in tasca o in borsa.
Il vero vantaggio del Watch non è il poter fare l’elettro-
cardiogramma, ma il controllo costante del cuore con
l’avviso che non sta battendo nel modo giusto. Può
anche essere un falso allarme, ma quando si gioca
con la vita meglio un falso allarme piuttosto che un
mancato allarme, con un sintomo trascurato che può
portare ad un problema molto più serio.
TEST
Apple Watch salva vitasegue Da pagina 42
Ecco il tracciato del Watch, a destra quello generato dalla strumentazione del reparto di cardiologia.
torna al sommario 44
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di Roberto PEZZALI
I l prodotto più apprezzato di Apple si rinnova: le
nuove AirPods sono in vendita da quasi dieci giorni
e nelle nostre tasche da più di una settimana. Sono
AirPods, e restano AirPods: il dna non cambia, la forma
nemmeno, e Apple ha fatto bene a non chiamarle Air-
Pods 2 perché è eccessivo parlare di “nuova generazio-
ne”: le modifiche apportate da Apple sono ovvi ritocchi
ad un prodotto che deve seguire il passo dei tempi.
Se esteticamente non cambia nulla cambiano interno
e custodia: negli auricolari c’è un nuovo chip custom,
compatibile bluetooth 5, mentre la custodia è ora dispo-
nibile anche in versione wireless charging, su standard
Qi ad un prezzo maggiorato, 229 euro contro i 179 della
versione senza wireless. Custodia che si può acquistare
anche a parte. Nonostante siano un prodotto che fun-
ziona anche con Android, esistono ottimi auricolari full
wireless che forse si sposano meglio delle AirPods con
altri smartphone. Le cuffie di Apple nascono per rendere
perfetta l’esperienza d’uso con l’ecosistema Apple, ed è
un po’ per questo che abbiamo impostato questa prova
in modo non convenzionale. Perché alla fine quello che
tutti i possessori di AirPods vogliono sapere è: conviene
comprare le AirPods nuove se si possiedono già quelle
vecchie? E soprattutto, nel caso in cui uno abbia aspet-
tato a comprarle, se esistono novità che possono spin-
gerlo a fare il salto.
La qualità audio è migliorata?No, le AirPods hanno gli stessi identici pregi e difetti della
generazione precedente. Apple ha barattato la sempli-
cità d’uso con la pura qualità. Non che si sentano male,
anzi, ma all’ascolto non sono molto diverse a un paio di
auricolari di buon livello che a filo costerebbero 40 euro.
L’essere comode nell’orecchio, l’essere leggerissime e il
non sentirsi hanno come risvolto della medaglia la totale
assenza di isolamento dai suoni dell’ambiente esterno:
usarle su un treno, in aereo o in metropolitana equivale
a tenere il volume al massimo e non sentire neppure
tutto bene. Con una cuffia in-ear, o un altro tipo di au-
ricolare, si sente meglio a metà volume. Aggiungiamo
una cosa: se proviamo oggi a ascoltare le AirPods che
usiamo da quasi due anni e le AirPods nuove abbiamo la
sensazione che queste ultime suonino leggermente me-
TEST Abbiamo provato per una settimana i nuovi AirPods. E, dettagli a parte, sono esattamente come il modello precedente
Nuovi AirPods, conviene comprarli? La nostra provaSi confermano come le migliori cuffie per iPhone se si guarda alla praticità, ma per la qualità si deve guardare ad altro
glio, soprattutto sui bassi. Suggestione? Siamo portati a
pensare che le AirPods, dopo un po’ di tempo e con le
batterie ormai usate, non riescano a spingere e pilotare
i piccoli driver come fanno i modelli nuovi appena tolti
dalla scatola. Non sono quindi le nuove migliorate, ma
sono le vecchie che con il tempo peggiorano un po’: mi-
nore pressione sonora e probabilmente anche la griglia
parzialmente occlusa da cerume e sporcizia, anche se le
abbiamo pulite periodicamente.
C’è un aspetto che è migliorato: la riduzione del rumore
in ambienti rumorosi. Chi abbiamo chiamato mentre an-
davamo in bicicletta non ci ha mai chiesto, come invece
capitava prima, se eravamo nel mezzo di una tempesta.
Sono migliori da indossare?No, la forma non cambia: a chi non stavano nelle orec-
chie le vecchie AirPods non staranno nelle orecchie
neppure le nuove. Si era parlato di un grip sulla plastica
che migliorasse la tenuta, ma non è stato aggiunto. Le
uniche modifiche estetiche riguardano la custodia di ri-
carica senza fili, che ha il LED sul frontale, e non all’inter-
no, e ha la cerniera leggermente più solida e satinata.
Sono più veloci nel collegamento ai dispositivi?Si, ma in modo impercettibile. A dire il vero dopo l’ag-
giornamento firmware anche sui modelli precedenti il
pairing è velocissimo. Ogni tanto il collegamento al di-
spositivo è fulmineo, ogni tanto impiega qualche secon-
do di troppo ma le AirPods non perdono la loro imme-
diatezza e la semplicità d’uso che le ha rese gli auricolari
preferiti da tutti coloro che usano dispositivi Apple. In
ogni caso, anche se tecnicamente il pairing è più fulmi-
neo, all’atto pratico difficile accorgersi della cosa: per
passare spostare le AirPods da un dispositivo all’altro si
deve sempre passare da control center. Resta infatti lo
stesso limite del primo modello: non possono essere ac-
coppiate a più dispositivi contemporaneamente, quindi
se state guardando un video sull’iPad e suona il telefono
il passaggio non sarà immediato.
La batteria dura di più?Si, il nuovo chip H1 che sostituisce il vecchio chip W1 rie-
sce ad essere più efficiente nel risparmio energetico e
secondo Apple si guadagna un’ora di chiamata, mentre
l’autonomia per l’ascolto di film e musica resta la stes-
sa. Ma non è una cosa che un possessore nota, per un
semplice motivo: chi possiede le AirPods dal giorno uno
e le ha usate quasi tutti i giorni si troverà tra le mani due
auricolari che non durano più come un tempo, e il con-
fronto tra il vecchio e il nuovo rischia di essere imbaraz-
zante a favore di quest’ultimo. Inoltre con la custodia è
una continua ricarica.
Anche le nuove AirPods hanno la stessa minuscola
batteria da pochi mAh usata sul modelli precedenti, un
accumulatore piccolo e con una longevità nella media.
Ricordiamo infatti che una batteria al litio ha circa 500
segue a pagina 45
torna al sommario 45
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
cicli di carica, poi inizia a perdere di prestazioni, e le
AirPods in due anni superano, e non si poco, i 500 cicli
di carica. La batteria delle AirPods dura il giusto, e il
sistema di ricarica con il case è efficace e pratico. Ma la
longevità resta quella del primo modello: tra due anni
l’autonomia di un paio molto usato potrebbe tranquil-
lamente dimezzarsi costringendo a comprarne un set
nuovo.
Serve davvero la custodia con ricarica wireless?Se fosse uscita AirPower avremmo detto si: poter la-
sciare sulla stessa base AirPods, Watch e iPhone sen-
za preoccuparsi di dove si appoggiavano era una gran
bella comodità. Una base di terze parti non è la stessa
cosa: la ricarica senza fili non è affatto veloce e la bo-
bina è piccola e dev’essere centrata bene. Una base di
ricarica verticale, come quella del Pixel, non può esse-
re ad esempio usata.
Abbiamo fatto una prova, e a ricaricare la custodia in
wireless ci vuole il doppio del tempo che richiede la
ricarica con il cavo, quasi quattro ore contro le due del
cavo. La versione con custodia wireless costa 179 euro,
quella con la custodia wireless 50 euro in più. Convie-
ne aspettare, per comprare la custodia che si
ricarica senza fili c’è tempo.
Ci sono funzioni sulle nuove che non c’erano sulle vecchie?Si, il nuovo chip H1 permette di chiamare “Siri”
hands free, quindi senza toccare l’auricolare. Il
vantaggio è di avere entrambi così gli auricolari
liberi per poter assegnare due comandi diversi,
come la pausa e il salto traccia. “Hey Siri” funzio-
na, ma dobbiamo fare una precisazione: mentre
con la prima generazione c’è un feedback sono-
ro che ci avvisa che Siri è in ascolto, con le Air-
Pods nuove manca e quindi siamo portati a dire
“Hey Siri” e aspettare diversi secondi prima di sen-
tire l’assistente vocale rispondere. In realtà Siri si aspetta
una domanda diretta, quindi se si dice solo “Hey Siri”
si deve attendere un po’, ma se si chiede “Hey Siri che
tempo fa” la risposta è immediata. Le AirPods devono
quindi essere usate così, domanda diretta senza atten-
dere un feedback. Per chi usa l’assistente vocale questa
funzione è particolarmente comoda.
Sono AirPods e restano AirPodsNon ci troviamo davanti ad una nuova generazione di
AirPods, ma alle stesse identiche AirPods che sono sta-
te riviste per tenerle aggiornate alle più recenti tecnolo-
gie, vedi bluetooth 5 e wireless charging. Quest’ultimo
viene un po’ meno con l’assenza di AirPower: spendere
di più per la custodia senza fili è un po’ uno spreco, la
ricarica senza fili non è una feature di cui in questi anni i
possessori di AirPods hanno sentito la mancanza.
Apple probabilmente era consapevole che le AirPods,
con la loro batteria microscopica, non avrebbero avu-
to una longevità enorme, e chi ha comprato le AirPods
quando sono uscite ora si trovano in tasca auricolari di
cui sono innamorati ma che hanno perso l’autonomia
di un tempo. E, visti i costi della sostituzione batteria,
conviene cambiarli con lo stesso identico auricolare che
hanno usato ogni giorno con soddisfazione e che è usci-
to giusto due anni dopo.
Ci sono alternative migliori? Se si guarda fuori dal mon-
do Apple probabilmente si, soprattutto se si cerca la
qualità audio e un migliore isolamento, ma per praticità,
immediatezza e ingombro le AirPods restano ancora
l’accessorio per Mac, iPhone e iPad con la A maiuscola.
TEST
Apple AirPodssegue Da pagina 44
di Giuseppe RUSSO
I l mercato delle cuffie true wireless
(auricolari completamente senza filo)
è quello che nel segmento mobile
è in più rapida espansione. Secondo
la Counterpoint Research nel quarto
trimestre del 2018 sono ben 12,5 mil-
ioni gli oggetti venduti, il 60% di questi
sono AirPods. Dopo un primo colpo
andato a vuoto con il Fire Phone, Ama-
zon potrebbe provare nuovamente ad
entrare nel mercato mobile, sfruttando
il trend delle cuffie true wireless e
puntando forte sulla compatibilità con
il suo assistente vocale Alexa. Da una
fonte interna all’azienda, emerge che
le cuffie dovrebbero essere molto si-
mili esteticamente a quelle che sono
le attuali AirPods, ma il team di inno-
vazione e sviluppo hardware Lab126
(interno di Amazon), sta lavorando
assiduamente per assicurare un audio
di qualità superiore. Anche la custodia
per il trasporto dovrebbe ricalcare le
MOBILE Nel settore degli auricolari total wireless non poteva mancare Amazon. Atteso modello nella seconda metà dell’anno
Amazon lavora ai suoi auricolari senza fili. Integrati con Alexa?Le cuffie integrandosi con smartphone e assistente vocale insieme potrebbero spingere i clienti a fare acquisti legati ad Alexa
funzionalità proposte da Apple, ossia
conservazione, powerbank e dock di
ricarica. Particolare attenzione in fase
di progettazione anche all’ergonomia,
le cuffie dovrebbero “calzare” nel-
l’orecchio garantendo comfort ma allo
stesso tempo senza l’utilizzo di clip
esterne.
Le cuffie dovrebbero rendere anco-
ra migliore l’esperienza di utilizzo di
Alexa per ordinare prodotti su Amazon
e ascoltare contenuti come musica,
meteo e informazioni provenienti dalle
skill dell’assistente vocale Alexa. Per ri-
chiamare l’assistente vocale a compie-
re una determinata azione l’esperienza
dovrebbe essere un po’ simile a quello
che accade oggi con Siri e Google As-
sistant, pronunciando in questo caso
“Alexa”. Sulle cuffie saranno presenti
dei controlli fisici che combinati in modo
diverso consentiranno di rispondere e
chiudere le chiamate ed il controllo
della riproduzione della musica. Par-
lando di possibili prezzi, l’aspettativa è
che Amazon possa offrire un prodotto
valido ad un prezzo più competitivo ri-
spetto ad Apple e Samsung che possa
suscitare interesse verso una platea
maggiore di clienti, magari portandosi
nella fascia sotto i 100 euro.
Se Amazon infatti riuscisse a ritagliarsi
una fetta importante in questo mercato
potrebbe colmare la distanza con Goo-
gle ed Apple dovuta alla mancanza di
un dispositivo mobile che integra na-
tivamente il suo assistente vocale. Le
cuffie integrandosi con smartphone e
assistente vocale allo stesso momento
potrebbero spingere i clienti a compie-
re acquisti legati ad Alexa e all’ecosi-
stema della smart home. Sempre a det-
ta dell’insider pare che Amazon abbia
sperimentato diversi ritardi dovuti ai
partner che andranno a fornire i com-
ponenti e realizzare la produzione.
torna al sommario 46
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
di G. GENELLINI, A. LOJACONO
L a ricerca di uno styler per capelli ci porta sempre
a una sola richiesta: va bene purché non rovini i
capelli e crei una piega che duri come quella del
parrucchiere. E Dyson con il suo Airwrap vuole sod-
disfare questo bisogno: uno styler evoluto che sfrutta
tecnologie avanzate per ottenere effetti duraturi con
una particolare attenzione al capello. Uno strumento
per creare ricci e onde o per lisciare e dare volume,
Dyson Airwrap sfrutta un principio dell’aerodinamica
chiamato effetto Coanda che facilita la realizzazione
dello styling preferito.
Come funziona l’effetto Coanda?L’effetto Coanda, che prende il nome dallo scienziato
che lo ha studiato, indica la tendenza dei fluidi (liquidi
e gas) a seguire il contorno di una superficie vicina.
Applicato all’aerodinamica significa che l’aria, purché
spinta con la giusta pressione e velocità, tende a se-
guire spontaneamente il contorno di una superficie.
Proprio da questo principio parte l’idea Dyson di rea-
lizzare coni e spazzole che possano sfruttare l’effetto
Coanda per plasmare la forma dei capelli.
Grazie alla potenza del motore digitale Dyson V9, da
1300 W, nel cono si forma un’area di alta pressione
grazie a cui si genera un getto ad alta velocità che si
diffonde tra le fessure presenti nel cono; tutto ciò per-
mette ai capelli di avvolgersi da soli intorno al cono e
mettersi in piega senza utilizzare troppo calore ed evi-
tando il rischio che si aggroviglino. Ed è proprio grazie
al controllo intelligente del calore, che si mantiene
sempre al di sotto dei 150° C, che si riescono a preve-
nire i danni provocati dalle temperature eccessive.
Inoltre, per migliorare la finitura della piega, gli inge-
gneri Dyson hanno incorporato nella spazzola liscian-
te un meccanismo di movimento che, attraverso una
valvola, orienta il flusso d’aria in funzione della tensio-
ne della spazzola in modo tale che sia sempre nella
direzione desiderata.
Ma non è finita qui perché i coni, sia quelli da 30 mm
che da 40 mm, hanno una struttura geometrica che
permette di realizzare ricci simmetrici sia in senso ora-
rio che antiorario grazie alla presenza di deflettori.
TEST Airwrap è il prodotto ideale per la salute dei capelli, in grado di ottenere la migliore acconciatura e gli stili più diversi
Styler Dyson Airwrap è un vero lusso per i tuoi capelli... ma anche per il portafoglioAirwrap è adatto a qualsiasi tipo di capello, dal liscio al crespo, senza il rischio di rovinarlo. La nostra prova lo conferma
Per ogni esigenza la spazzola giustaDyson Airwrap è un prodotto completo perché forni-
sce ogni tipo di accessorio utile per creare diversi tipi
di acconciatura. Sono disponibili tre varianti (in tutte
sono inclusi l’asciugacapelli pre-styling e due coni
da 30 mm): Volume + Shape con spazzola lisciante
delicata e volumizzante rotonda per dare volume ai
capelli sottili e piatti, Smooth + Control con due coni
da 40 mm e la spazzola lisciante rigida per lisciare
i capelli ribelli tendenti al crespo e infine Complete,
che offre tutti gli accessori per le varie tipologie di
acconciature. Quest’ultima soluzione è quella che è
arrivata in redazione. Una volta aperta l’elegante ma
enorme custodia protettiva, inseriti negli appositi spa-
zi ben ordinati e protetti da una morbida imbottitura,
troviamo:
•1 asciugacapelli pre-styling
•2 coni da 30 mm con una freccia che indica il senso
orario e antiorario per ricci voluminosi in modo sim-
metrico
•2 coni da 40 mm con una freccia che indica il senso
orario e antiorario per ottenere onde e ricci morbidi in
modo simmetrico
•1 spazzola lisciante rigida
•1 spazzola lisciante delicata con setole morbide
•1 spazzola volumizzante rotonda
Troviamo anche un tappetino antiscivolo resistente al
calore per poter appoggiare Dyson Airwrap durante
l’uso e una spazzola per la pulizia del filtro.
Dyson AirwrapSTYLER DYSON AIRWRAP, UN’ACCONCIATURA DIVERSA OGNI GIORNO 499,00 €Dopo il successo dell’asciugacapelli Dyson Supersonic, l’azienda britannica presenta un nuovo prodotto dedicato alla bellezza: lo styler Dyson Airwrap. Come per tutti i prodotti Dyson, all’origine dello styler Airwrap c’è un’approfondita analisi del problema da risolvere: il team di in-gegneri Dyson ha studiato chilometri di capelli per identificare aree di miglioramento nelle tecnologie esistenti, in modo tale offrire un nuovo prodotto all’avanguardia. E c’è l’hanno fatta! Hanno centrato l’obiettivo. L’innovazione c’è, e in un epoca dove colori fluo e decolorazioni sono di moda, uno styler che “difende” il capello proprio ci voleva. La nostra valutazione è positiva, l’unica nota dolente il prezzo, notevolmente elevato, ma che per un prodotto che racchiude in sè 6 accessori, forse non è così ingente. Perfetto per la donna che vuole un’acconciatura diversa ogni giorno, da fare a casa, anche da sola e per chi ha a cuore la salute dei propri capelli.
Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo
10 9 10 8 9 7
COSA CI PIACE COSA NON CI PIACENon rovina i capelliDa liscia a riccia in un attimoI capelli risultano morbidi e naturali
Prezzo elevatoCustodia ingombranteLa cute rimane umida
lab
video
segue a pagina 47
9.0
torna al sommario 47
MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019
Il pre-stylingPrima di iniziare a realizzare qualsiasi tipo di accon-
ciatura è bene preparare il capello nel modo giusto.
Dopo aver lavato i capelli si toglie l’umidità in eccesso
utilizzando l’asciugacapelli pre-styling in dotazione e
si procede con l’accessorio spazzola lisciante per pet-
tinare e lisciare i capelli. È importante che i capelli sia-
no umidi al tatto; nel caso i capelli fossero già asciutti, è
bene inumidirli con un po’ di acqua usando uno spray.
Un altro consiglio è quello di suddividere i capelli in 4 o
6 sezioni in modo da rendere più semplice lo styling.
Da lisci a mossi, da ricci a lisci… e anche voluminosiChi ha i capelli lisci li vorrebbe più mossi e con qualche
riccio e chi li ha ricci li vorrebbe lisci e setosi. Dyson
Airwrap soddisfa entrambe le esigenze. Nel caso di
capelli lisci, dopo aver rimosso l’umidità in eccesso è
sufficiente scegliere l’accessorio per i boccoli (un cono
da 30 o 40 mm a seconda della larghezza del riccio
che si vuole ottenere), selezionare la potenza massima
del flusso d’aria e calore elevato, prendere una ciocca
di capelli e avvicinarla al cono restando a una distanza
di circa 10 cm. A questo punto il getto d’aria cattura
immediatamente i capelli attorcigliandoli automatica-
mente su di esso. Si attende qualche secondo per la
totale asciugatura della ciocca e si attiva il getto freddo
per fissare il riccio, quindi si spegne e si rilascia. Termi-
nato un lato con il cono in senso orario si sostituisce
con quello in senso antiorario per realizzare ricci sim-
metrici dall’altro lato della testa per ottenere un effetto
più naturale, meno artificioso. Nel caso invece di ca-
pelli ricci e crespi è possibile ottenere un’acconciatura
liscia senza utilizzare piastre o maschere liscianti. La
premessa è sempre quella di avere i capelli bagnati;
quindi, dopo averli suddivisi in sezioni, si applica la
spazzola lisciante, si seleziona potenza media e ca-
lore medio, e si inizia a spazzolare lentamente, fino
ad ottenere un’ effetto seta sui capelli. Se necessario,
bisogna ripetere più volte il passaggio della spazzola
sui capelli. Dal momento che noi donne non ci accon-
tentiamo mai, spesso chi vuole mantenere i suoi ca-
pelli lisci vorrebbe donargli almeno un po’ di volume.
Anche in questo caso, Airwrap risponde all’esigenza.
Utilizzando l’accessorio spazzola volumizzante roton-
da, sollevando a ogni passata i capelli divisi in sezioni,
è possibile dare forma e volume a capelli piatti.
Addio a piastre e arricciacapelliDyson Airwrap è un prodotto innovativo, possiamo
definirlo un all-in-one della bellezza. Abbiamo prova-
to a fare un’acconciatura mossa su capelli molto lisci,
colorati e senza volume. Usarlo è veramente semplice,
vero che bisogna prenderci un attimo la mano, il tem-
po di qualche acconciatura, in particolare per l’utilizzo
dell’accessorio per i ricci, ma subito ci si impratichisce.
I tanti accessori presenti lo rendono ideale per ogni
tipo di stile, dal liscio al riccio, dall’ondulato al volu-
mizzato ad ognuno c’è l’accessorio dedicato (fino a 6
styling diversi e anche di più). Un’elegante custodia
raccoglie tutti gli accessori con ordine preciso, bella
da vedere, ma nella realtà si presenta molto ingom-
brante e difficile da riporre nei mobiletti tradizionali da
bagno. Importante invece che all’interno della scatola
sia possibile riporre lo styler senza aggrovigliare il lun-
go cavo ma avvolgendolo con ordine all’interno dello
spazio previsto così da garantire lunga vita al prodotto.
Al primo utilizzo, ci si stupisce subito della leggerezza,
la maneggevolezza è una delle caratteristiche princi-
pali che devono avere questi apparecchi per capelli
e Dyson Airwrap rispecchia perfettamente questa pe-
culiarità. La sua ergonomia e il peso di soli 560 g non
appesantiscono le braccia e consentono di utilizzarlo
da soli anche per molto tempo senza difficoltà, anche
utilizzando per acconciare i capelli dietro la nuca. Mol-
te critiche sono state fatte per la sua lunghezza eleva-
ta (27cm), ma spesso chi lo ha criticato lo ha utilizzato
nel modo sbagliato, in quanto lo styler deve essere
sempre parallelo al viso, e in questo modo con il brac-
cio destra si riesce a usarlo molto bene anche nella
parte sinistra della testa e dietro la nuca. A fine styling
notiamo però che la testa e l’attaccatura rimane un
po’ umida, in quanto si parte da un capello bagnato
e non completamente asciugato, perché lo styler non
arrotola tutti i capelli fino alla radice, come anche la
spazzola lisciante dove la valvola all’interno spinge il
flusso d’aria secondo la direzione della pettinata, quin-
di verso il basso. I tasti di utilizzo sono posizionati al-
l’altezza della mano e quindi raggiungibili con facilità,
e il filo lungo 260 cm non si attorciglia grazie al cavo
girevole. Il cambio degli accessori invece è veloce e
pratico, basta schiacciare un tasto, alcuni di essi sono
dotati di una punta anti-surriscaldamento che consen-
te di afferrare l’accessorio, che naturalmente durante
l’uso si è surriscaldato, senza scottarsi.
Adatto anche ai capelli trattati Oggi vanno di moda i colori fluo, le permanenti e le
decolorazioni, ma tutto ciò stressa tantissimo la strut-
tura del capello rovinandone soprattutto la cuticola, il
rivestimento protettivo del capello, ed è anche la pri-
ma parte a essere danneggiata dall’alta temperatura
di phon, piastre, arricciacapelli o prodotti aggressivi
chimici. In base a quanto sia danneggiata o meno, la
cuticola definisce anche quanto morbidi e lucidi sono
i capelli. E proprio per questo Airwrap è stato proget-
tato per non rovinare i capelli e per non danneggiarne
la cuticola. Un arricciacapelli in grado di ondulare le
ciocche senza bisogno di temperature estreme, gra-
zie al flusso d’aria calda. Altra particolarità di Dyson
Airwrap è che, a differenza di altri accessori per lo
styling, può essere utilizzato anche sui capelli bagna-
ti, senza rovinarli o bruciarli. Il risultato finale è un look
naturale e luminoso, con capelli naturali e voluminosi.
Dyson Airwrap vs arricciacapelliLa prima volta non si scorda mai… vero. Il nostro primo
styling con Dyson Airwrap è stato quello di ottenere
un effetto mosso su capelli lisci e senza volume.
Il risultato è veramente molto buono, i boccoli sono
molto simili a quelli fatti da un arricciacapelli tradizio-
nale, ma con Airwrap ci abbiamo messo la metà del
tempo tra pre-asciugatura e acconciatura e, cosa più
importante, non abbiamo danneggiato il capello.
Come possiamo vedere il tipo di ricciolo è simile, ma
si avverte proprio una differenza nella morbidezza e
lucentezza del capello. Con gli arricciacapelli tradizio-
nali la ciocca viene “scottata”, la peggior cosa che si
può fare è usarla sui capelli bagnati, con il rischio di
“bruciarli”; inoltre, a seconda della temperatura usa-
ta (di solito i ferri arricciacapelli vengono utilizzati dai
180 ai 220 gradi) si può notare addirittura una scia di
vapore che fuoriesce dalla ciocca arrotolata sul ferro,
segno che il capello sta subendo un danneggiamen-
to. Con Dyson Airwrap l’acconciatura rimane morbida
e ha un effetto naturale, il capello viene asciugato
mentre è avvolto nel cono e ne assume la forma on-
dulata. Ma quanto dura l’acconciatura? Abbiamo pro-
vato Airwrap su capelli lisci e senza volume, quindi dei
capelli difficili da arricciare e da mantenere acconcia-
ti. Ci sbilanciamo dicendo che se funziona su questo
tipo di capelli, funziona su tutti!
Dyson Airwrap is the new BlackLo dobbiamo ammettere Dyson ancora una volta ha
centrato l’obiettivo. Con Airwrap, Dyson è riuscita a
far innamorare molte donne, sempre alla ricerca di
styling diversi ma facili da realizzare, ma anche molti
professionisti del settore e anche chi tiene particolar-
mente alla cura dei propri capelli.
Il prezzo è sicuramente notevole, un lusso osiamo
dire, (la versione Dyson Airwrap Smooth + Control è
disponibile a 449 euro, Dyson Airwrap Volume + Sha-
pe a 449 euro e Dyson Airwrap Complete 499 euro),
ma niente da dire sulla completezza del prodotto e
sulla sua efficacia. Vero anche che, acquistando Dy-
son Airwrap è come comprare 4 prodotti insieme: 1
phon, 1 piastra per capelli, 1 ferro arricciacapelli e 1
spazzola volumizzante. Cosa volere di più.
TEST
Styler Dyson Airwrapsegue Da pagina 46
Foto a sx acconciatura appena fatta a casa con il ferro arricciacapelli, foto a dx come è rimasta l’acconciatura dopo una decina di ore.
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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019
di M. ZOCCHI
F ord presenta la nuova Kuga, com-
pletamente rinnovata nelle linee
esterne e nel design ma soprattutto
nelle motorizzazioni. Kuga sarà la Ford
più elettrificata di sempre, come ci tiene a
sottolineare la Casa dell’Ovale Blu. Offrirà
tre declinazioni elettrificate: Mild Hybrid,
Plug-in Hybrid e Hybrid classica. La novità
più importante molto probabilmente è la
versione ibrida ricaricabile da una presa
di corrente o da colonnina, che potrà ga-
rantire un’autonomia 100% elettrica fino a
50 km. Di conseguenza anche i consumi
saranno al top della categoria, con 1.2
L/100 km ed emissioni di CO2 di 29 g/km.
Kuga Plug-in Hybrid combina un motore
benzina a quattro cilindri a ciclo Atkinson
da 2.5 L, che insieme al motore elettrico
può sviluppare fino a 225 CV di potenza.
La batteria agli ioni di litio è da 14.4 kWh,
che secondo Ford sarebbe sufficiente
per 50 km in modalità completamente
elettrica. La presa di ricarica si trova sul
parafango anteriore e sono necessarie
circa 4 ore per ricaricare completamente
la batteria.
Il conducente può però scegliere come
sfruttare l’energia immagazzinata grazie
AUTO IBRIDA Ad Amsterdam, Ford ha presentato la sua immediata visione del futuro
Arriva Ford Kuga, la prima in tre versioni elettrificate: Mild Hybrid, Plug-in e Full HybridLa novità più importante è la versione ibrida ricaricabile da una presa di corrente o da colonnina
alle diverse modalità di marcia disponibili:
EV Auto, EV Now, EV Later e EV Charge.
Passando alla versione Mild Hybrid (qui la nostra spiegazione sul funzionamento
di questo motore), Ford ha scelto la so-
luzione a 48 V raffreddato ad aria, con
motorino elettrico collegato alla trazione
tramite una cinghia che sostituisce l’alter-
natore standard. Le previsioni di consumi
di Ford sono di 5.0 L/100 km, con emissio-
ni di CO2 pari a 132 g/km. Infine sarà di-
sponibile, nel 2020, anche la più classica
Hybrid, sempre con motore a ciclo Atkin-
son da 2.5 L e una batteria agli ioni di litio
molto più piccola. In questo caso le previ-
sioni sono di 5.6 L ogni 100 km e grammi
di CO2 pari a 130. Per quanto riguarda gli
interni e la tecnologia di bordo, continua
l’ottimo lavoro fin qui fatto da Ford, con la
presenza del sistema infotainment SYNC
3 (con Apple CarPlay e Android Auto), su
display tousch screen da 8”, il quadro di-
gitale da 12.3”, pad di ricarica wireless per
smartphone e il modem integrato per For-
dPass Connect. L’audio è curato da B&O.
Tecnologia significa anche e soprattutto
assistenza alla guida, e anche qui Kuga
sarà ottimamente equipaggiata. Sempre
presenti il Lane Keeping System, Blid Spot
Assist e Pre-collision Assist. Arriva anche
la novità della funzione Intersection, che
interviene sui freni per evitare o diminuire
gli effetti di un impatto in caso di svolta
presso un incrocio e possibile collisione.
Nuova Kuga dovrebbe essere disponibile
entro la fine del 2019, mentre la versione
Plug-in dovrebbe arrivare più avanti, nella
primavera 2020.
di M. ZOCCHI
L ’annuncio di Tesla arriva un po’ a sor-
presa: il computer per la guida com-
pletamente autonoma è già pronto,
verrà presentato il 19 aprile. Il nuovo
hardware, precedentemente identificato
con Autopilot 3.0, avrà una nuova intel-
ligenza artificiale, supportata dal cosid-
detto “neural net accelerator”, in grado di
affrontare tutte le situazioni dinamiche di
guida al posto di un guidatore umano. In
realtà i piani sono perfettamente in linea
con quanto previsto, dato che la presen-
tazione era programmata proprio per la
AUTO ELETTRICA Il nuovo super computer con AI è già in produzione. Presentazione il 19 aprile
Tesla, annuncio shock: il computer per la guida autonoma è già pronto, presentazione il 19 aprileL’hardware avrà una nuova intelligenza artificiale in grado di affrontare tutte le situazioni di guida
fine del Q1 2019. Molto proba-
bilmente quindi passerà ancora
un po’ di tempo prima di trovare
il nuovo componente a bordo
delle vetture ma, come già chia-
rito, Tesla farà un’operazione di
retrofit installando la nuova AI
anche nelle auto più vecchie,
per i clienti che hanno acquista-
to questa funzionalità a caro prezzo. Non
si tratta però di una comunicazione solo
fine a se stessa: Tesla terrà un evento
dedicato il 19 aprile per presentare agli
investitori i progressi possibili con il nuo-
vo computer. Pur trattandosi di un even-
to business, sarà trasmesso via web per
essere visto da chiunque, sebbene solo i
finanziatori presenti potranno effettuare i
primi test drive.
Volvo a tutto elettrico: la XC40 debutterà quest’anno con la stessa piattaforma di PolestarLa versione elettrica della Volvo XC40 dovrebbe arrivare entro il 2019, per arrivare a una flotta elettrica di cinque modelli entro il 2021 di M. ZOCCHI
Secondo un’indiscrezione lanciata da Automotive News Europe, Vol-vo sarebbe in procinto di lancia-re una versione completamente elettrica della XC40, proprio per raggiungere quell’obbiettivo.Come lecito aspettarsi in questi casi, non è ancora nota nessuna caratteristica tecnica, tanto meno il prezzo. L’unica cosa che pare certa è che anche XC40 Electric sarà basata sulla piattaforma CMA, la stessa che Volvo ha inau-gurato per la Polestar 2, la prima auto elettrica del suo marchio di lusso. A sua volta Volvo è ora proprietà della cinese Geely, che proprio la scorsa settimana ha an-nunciato un’altra importante part-nership, per realizzare in patria la Smart elettrica in collaborazione con Daimler. Nel 2020 quindi do-vremmo vedere sulle strade sia la Polestar 2 sia la XC40, per poi passare a stretto giro alla Polestar 3, il primo SUV del brand della Stella Polare. Non è chiaro a que-sto punto se i cinque modelli pro-messi da Volvo includano appun-to anche le auto del suo brand secondario, ma l’azienda dichiara di voler raggiungere entro il 2025 il 50% di vendite nel solo settore full electric.
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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019
di Franco AQUINI
F ino a qualche tempo fa sembrava
quasi che Ford non fosse interes-
sata al mondo dell’elettrico e in-
vece ieri, direttamente da Amsterdam,
sono state annunciate altre due auto
ibride che andranno a completare una
vera e propria gamma. Si tratta di Fiesta
e Focus Ecoboost Hybrid, due modelli
decisamente importanti per l’azienda
che conta così di fondere perfettamen-
te l’attenzione ai consumi tipica dei mo-
tori Ecoboost con le prestazioni offerte
dal mild hybrid.
Fin qui nulla di particolarmente nuovo a
livello tecnico, ma entrando un po’ nel
dettaglio si scoprono soluzioni più inte-
ressanti. Per esempio il sistema BISG,
uno starter/Generator azionato da un
cinghia che sostituisce l’alternatore, in
grado di recuperare l’energia prodotta
in fase di decelerazione e di immagaz-
zinarla all’interno di una batteria da 48
volt raffreddata ad aria. Il BISG funzio-
na anche da propulsore, andando a
AUTO IBRIDA Ford presenta i nuovi veicoli elettrici Fiesta e Focus in versione Ecoboost Hybrid
Arrivano Ford Focus e Fiesta Ecoboost Hybrid La gamma Mild Hybrid di Ford è al completoGrazie ad un uso intelligente del Mild Hybrid riesce a combinare efficienza e prestazioni
coadiuvare il motore Ecoboost 1000
da 3 cilindri - particolarmente efficiente
nei consumi - nel fornire coppia ad-
dizionale là dove serve. Un impiego
interessante, pensato per ottenere il
massimo dell’efficienza riutilizzando
l’energia di recupero per migliorare le
prestazioni.
La presenza del BISG ha permesso an-
che l’impiego di un turbocompressore
più grande, con il vantaggio di ridurre
il ritardo nell’erogazione della potenza
tipico dei motori sovralimentati (proble-
ma noto come turbo-lag).
La giornata di ieri è stata particolarmen-
te interessante per Ford, vista la mole di
annunci nell’ambito dei veicoli elettrici.
Oltre a Fiesta e Focus Ecoboost Hybrid,
sono state presentate infatti anche la
Nuova Ford Kuga nelle tre versioni Mild
Hybrid, Plug-in e Full Hybrid; il Nuovo
Transit e il Nuovo Tourneo Custom Plug-
in e infine il Ford Explorer Plug-In Hy-
brid. “Il nostro Ecoboost 1.0 ha già dimo-
strato che l’efficienza e le performance
possono andare di pari passo. La nostra
tecnologia Ecoboost Hybrid ci fa fare un
ulteriore passo in avanti” ha dichiarato
Roelant de Waard, Vice Presidente del
Marketing. Ed è questa evidentemente
la strategia di Ford: entrare nel mondo
dell’elettrico in punta di piedi, con una
gamma completa e che faccia dell’elet-
trico un uso pratico: performance dove
servono, ibrido plug-in e full electric su
alcuni modelli specifici.
DMOVE Da Amsterdam la nuova veste della mini coupé Ford
Dagli anni 90 torna la Ford Puma Ma ora è un crossover ibrido
di Franco AQUINI
All’inizio è stato poco più di un annuncio, seppellito nella montagna di novità
presentate da Ford ad Amsterdam. Ora però cominciano a circolare più det-
tagli sulla nuova Ford Puma, la versione aggiornata della storica mini coupé
che tanto successo riscosse negli anni novanta. In quegli anni andava di moda il
coupé. Tutti ricorderanno la rivale Opel Tigra, oppure il coupé di dimensioni mag-
giori Cougar. Come sarà la nuova Puma? Durante l’evento la vettura era presente,
appena visibile nella penombra del palco. Il logo parla chiaro, si tratta della nuova
versione di Puma. L’auto però non sarà un piccolo coupé, bensì un piccolo crossover
elettrificato. Come negli anni ‘90 erano di moda le coupé, oggi lo sono i SUV in tutte
le taglie. Così Ford ha deciso di proporre qualcosa che dovrebbe coprire lo stesso
segmento di Ecosport, probabilmente con
un carattere più aggressivo.
Qualche voce gira anche sul motore, che
dovrebbe ricalcare la soluzione presentata
con Fiesta e Focus: motore Ecoboost 1.0
Mild Hybrid con batteria da 48 V e recupe-
ro dell’energia prodotta in fase di frenata.
La potenza totale del veicolo dovrebbe
essere di 155 cavalli. Interessante anche il
dettaglio sul bagagliaio da ben 456 litri.
Il SUV sette posti Ford Explorer Plug-In Hybrid arriverà in Europa con 450 CV di potenzaDopo Mondeo, Nuova Kuga, Fiesta e Focus, mancava all’appello un SUV dalle grandi dimensioni. Ecco quindi l’enorme Ford Explorer Plug-in Hybrid di F. AQUINI
Nell’ondata di annunci relativi ai nuovi veicoli ibridi presentati da Ford, c’è stato anche quello del SUV Ford Explorer in versione ibrida plug-in, che vedremo final-mente anche in Europa. Si tratta di un SUV da 7 posti che monterà a bordo il meglio delle tecnologie Ford per l’intrattenimento a bor-do e per la sicurezza. Le novità partono dal propulsore, un Eco-boost 3.0 V6 unito a un motore elettrico che genera 450CV (350 CV il termico e 100 CV l’elettri-co) e permette fino a 40 km di autonomia in modalità esclu-sivamente elettrica. All’interno dell’abitacolo troviamo SYNC 3 e uno schermo touch da 10.1”, un cruscotto digitale da 12,3” e il modem integrato nel pacchetto FordPass Connect, oltre all’audio B&O. Sul fronte delle tecnologie per la sicurezza troviamo quanto già visto su Focus e su Edge, tra cui Adaptative Cruise Control, Speed Sign Recognition (il rico-noscimento dei segnali stradali) e Lane-Centring (mantenimento della carreggiata).Ford Explorer Plug-in Hybrid verrà offerto in due versioni: con allesti-mento ST-Line e un allestimento più elegante e raffinato (presumi-bilmente Titanium o Vignale).
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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019
di Massimiliano ZOCCHI
N ell’ormai lontano 2013, BMW fu
una delle prime case a stupire con
una proposta di mobilità elettrica.
La compatta e futuristica i3 insieme alla
ibrida sportiva i8 erano un’accoppiata
all’avanguardia per quel periodo. Ma
oltre a due aggiornamenti di batteria
per i3, le mosse della casa tedesca si
sono fermate. Ora sembra che, seguen-
do un trend generale, anche BMW sia
pronta a ripartire con un ricco portfolio
di proposte elettriche. Scopriamo oggi
nuove foto, scattate durante i test inver-
nali in Svezia, di tre vetture che a breve
distanza una dall’altra arriveranno sul
mercato. La prima, come ormai ribadito
da tempo, sarà la iX3, che come il nome
stesso ricorda, è un po’ la versione elet-
trificata dell’omonima endotermica già
AUTO ELETTRICA Lancio definitivo probabilmente entro la fine di quest’anno, vendite dal 2020
BMW pronta per la “tripletta” elettrica Ecco le foto dei test di iX3, i4 e iNEXTBMW si appresta a lanciare la sua offensiva elettrica con un SUV, una sedan e un crossover
sul mercato. Un SUV
con circa 400 km di
autonomia e la capaci-
tà di ricarica alle colon-
nine DC fino a 150 kW
di potenza. Sarà inoltre
il primo modello pro-
dotto nei nuovi stabili-
menti in Cina, nati dalla
joint venture BMW Bril-
liance Automotive. Il
lancio definitivo probabilmente avverrà
entro la fine di quest’anno, con vendite
dal 2020.
Dal 2021 invece dovrebbe essere di-
sponibili la berlina i4 e “l’auto del futu-
ro” iNEXT. La sedan i4 ha linee piutto-
sto classiche e si piazza nel segmento
delle coupe medie premium. La sportiva
sarà prodotta a Monaco di Baviera ed
ha prestazioni di tutto rispetto: 600 km
di autonomia, velocità massima di 200
km/h e accelerazione da 0 a 100 in 4
secondi. iNEXT invece sarà la prima
di un nuovo corso, anche stilistico, ab-
bracciando il segmento più in voga al
momento, quello dei crossover o Sport
Active Vehicle. Costruita su una nuova
piattaforma comune, avrà guida autono-
ma, connettività al massimo della tecno-
logia e un range di 600 km.
Jaguar verso l’elettrificazione della gamma J-Pace sarà elettrica e ibrida plug-inLa futura ammiraglia Jaguar avrà una piattaforma declinata in due varianti a batteria di M. ZOCCHI
Nel 2021 Jaguar dovrebbe iniziare a rinnovare l’attuale gamma, inclu-si i modelli SUV, che finora hanno riscosso un buon successo. La nuova vettura flagship dovrebbe chiamarsi J-Pace, e andrebbe a sostituire l’attuale F-Pace. Ma non si tratterà solo di un cambio este-tico, piuttosto sarà una vera linea di confine tra il passato e il futuro. J-Pace infatti, quando arriverà nel 2021, dovrebbe essere una delle prime auto Jaguar Land Rover a beneficiare della nuova piattafor-ma in alluminio denominata MLB, quella che poi troveremo in tutte le Jaguar dal 2025. Si partirà appunto da J-Pace, accompagnata da un al-tro SUV Land Rover e forse da una nuova sedan in sostituzione dell’at-tuale XJ. Una delle principali novità di J-Pace sarà la trazione integrale ottenuta senza trasmissione longi-tudinale ma attraverso l’uso di un motore elettrico sull’asse posterio-re. In questo modo il pianale potrà essere piatto, senza l’ingombrante tunnel centrale. Questa situazione suggerisce due cose: anche nella versione base J-Pace sarà quanto meno ibrida ricaricabile, e il pianale sarà compatibile con una variante 100% elettrica. Non ci sono al mo-mento altre indicazioni sulle vettu-re future se non queste voci di cor-ridoio. Jaguar però ha indicato che prevede per il futuro circa il 20% di elettriche nel totale delle vendite, per cui più di due terzi resteranno auto in qualche modo legate ai motori a combustione.
di M. ZOCCHI
Al termine dell’evento e-MOTICON
che ha lo scopo di sviluppare la
mobilità elettrica nell’Arco Alpino,
EvWay by Route220 e Duferco Energia
hanno annunciato che renderanno i pro-
pri sistemi interoperabili. Questo signifi-
ca che i due operatori consentiranno ai
propri clienti di utilizzare indistintamente
entrambi i circuiti di colonnine, in modalità
roaming, così da facilitare gli spostamenti
elettrici nell’Arco Alpino. Ovviamente i re-
sponsabili delle due realtà nostrane sono
soddisfatti dell’accordo, come sottolinea
Carolina Solcia, co-founder di Route220:
“L’accordo con Duferco conferma il nostro
impegno fattivo nel promuovere l’intero-
perabilità tra gli operatori. Il nostro obiet-
tivo è quello di offrire agli utenti elettrici
una nuova esperienza di mobilità, grazie
all’adozione sempre più smart di servizi
digitali di pagamento e di scoperta del
territorio. Ci fa piacere annunciare questo
accordo proprio oggi, in occasione del-
RETE DI RICARICA Ad e-MOTICON accordo tra i due protagonisti della rete di ricarica italiana
EvWay e Duferco Energia uniscono le proprie forze I due sistemi di ricarica saranno interoperabiliLe colonnine diventano interoperabili, per una migliore elettrificazione dell’Arco Alpino
l’evento finale del progetto e-MOTICON,
per dimostrare le nostre azioni concrete
nello sviluppo della mobilità elettrica nelle
zone alpine”.
Le fa eco Sergio Torre, Direttore Business
Development di Duferco Energia:”
“Questo accordo rispecchia la visione del
mercato che entrambe le aziende hanno
sempre sostenuto, basata su interopera-
bilità, roaming, competitività e apertura
della rete. Un lungo percorso ci ha porta-
to a questa integrazione, abbiamo svilup-
pato un progetto a garanzia di modalità
di interoperabilità più sicure, performanti
e meno costose di quelle oggi più diffuse.
Auspichiamo che questo possa portare
altri operatori a collaborare per la defini-
zione di servizi in Italia e in Europa che
non potranno che favorire la crescita del-
la mobilità elettrica”.
L’interoperabilità tra i due network di ricari-
ca dovrebbe essere attiva già da aprile.
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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019
di Massimiliano ZOCCHI
U no degli argomenti spesso trattati
dai detrattori della mobilità elettri-
ca è il prezzo (elevato) delle vettu-
re elettriche. Non c’è alcun dubbio che
le auto elettriche abbiano costi superiori
alle pari segmento endotermiche, ma è
altrettanto vero che la maggiore eco-
nomicità di gestione permetta sul me-
dio/lungo termine di recuperare parte di
questi costi. C’è poi il capitolo incentivi,
che può essere determinante per attira-
re potenziali clienti desiderosi di passare
all’elettrico ma frenati dai listini troppo
cari. Un caso eclatante in questo senso è
la Citroën C-Zero, utilitaria elettrica pre-
sente da anni sul mercato, costruita su
base Mitsubishi iMiev e con una gemella,
sempre francese, la Peugeot iON. Anche
la C-Zero ha sofferto a lungo del caro
prezzi, nonostante sia un’elettrica “della
prima generazione”, fino a che Citroën
non ha deciso di spingere le vendite con
una interessante promozione.
Il prezzo di listino di 30.890 euro viene
scontato dalla casa di ben 12.000 euro,
portandolo quindi a 18.890 euro. Deci-
samente meglio, ma sempre di molto al
di sopra di auto simili a benzina, diesel o
AUTO ELETTRICA Grazie agli incentivi statali e agli sconti dalle case, ci sono ottime occasioni
Le auto elettriche sono troppo care? La Citroën C-Zero può costare solo 6.890 € Citroën ha deciso di spingere le vendite della C-Zero con un’interessante promozione
metano. Ecco che quindi entrano in gio-
co gli incentivi statali, che con il bonus
di 6.000 euro (in caso di rottamazione
di vecchio veicolo) farebbero calare il
prezzo a 12.890 euro. Già a questo li-
vello le cose potrebbero iniziare a farsi
interessanti.
Ma non è finita, poiché alcune regioni
italiane hanno proposto incentivi indi-
pendenti, a favore dei cittadini residenti
in tali regioni. È il caso ad esempio del-
l’Emilia-Romagna, che mette in campo
ulteriori 3.000 euro per i suoi cittadini
che vogliano passare all’elettrico (con
ISEE entro i 35.000 euro). In questo caso
la nostra C-Zero costerebbe 9.890 euro.
Fa un poco meglio il Friuli Venezia Giulia,
dove il prezzo calerebbe a 7.890 euro,
grazie agli incentivi regionali di 5.000
euro. La situazione migliore si avrebbe
nella Provincia di Trento, dove i 6.000
euro offerti per le auto elettriche abbas-
serebbero il costo di Citroën C-Zero a
soli 6.890 euro. Un prezzo che la mette
alla pari - se non in vantaggio - rispetto
ad altre utilitarie a carburante.
In mezzo a questi esempi che abbiamo
fatto, ce ne sono altri, come il caso in
cui non si possieda un’auto da rottama-
re, con l’incentivo statale che scende a
4.000 euro, e di conseguenza il prezzo
dell’auto sale di 2.000 euro. C’è altre-
sì da considerare che il Governo non
ha ancora emanato il Decreto Attuati-
vo per gli incentivi, e non si è quindi
espresso sulla cumulabilità di sovven-
zioni statali e locali, anche se la mag-
gior parte degli addetti ai lavori sembra
concorde sul fatto che non ci saranno
limitazioni in questo senso.
La Citroën C-Zero, per chi non la co-
noscesse, ha una batteria con chimica
molto longeva, da 14.5 kwh, capace di
circa 100-150 km di autonomia a secon-
da dei tragitti, con velocità massima di
130 km/h. Gli interni sono semplici e
essenziali e il vano di carico è discreto,
rapportato ovviamente al segmento. In
molte regioni il bollo non si paga per
cinque anni, per poi passare ad una
frazione dell’equivalente termico, in al-
tre invece non si paga a vita. Molte città
offrono la sosta gratuita su strisce blu e
gialle, oltre all’ingresso in ZTL. Le assi-
curazioni poi hanno spesso tariffe dedi-
cate con corposi sconti e la ricarica può
anche essere effettuata presso i centri
commerciali, gratuitamente, mentre si
fa la spesa. Insomma, passare all’elettri-
co non è mai stato così conveniente.
La storia infinita della iCar: Apple ruba a Tesla l’esperto dei motori elettriciColpo di coda del Project Titan di Apple, con l’arrivo dell’ingegnere responsabile di tutti gli ultimi motori elettrici Tesla. Ma allora la iCar si farà? di M. ZOCCHI
Sembrerebbe proprio il caso di dir-lo, il progetto Apple per iCar non conosce pace. Per un certo perio-do i piani della Mela erano dati per certi, con una super car pronta per arrivare sul mercato seguendo le orme del successo di Tesla, azien-da non a caso spesso accostata ad Apple. A un certo punto però il Project Titan - nome in codice durante la fase di sviluppo - si è arenato, nonostante il ritorno di Bob Mansfield, chiamato anche per “sistemare” questo progetto. Le voci di corridoio hanno quindi insistentemente riportato un cam-biamento di rotta, con il passaggio al solo sviluppo software per la guida autonoma, con l’intento poi di trovare un partner nel mondo automotive. Ora Apple si è assicu-rata i servigi di Michael Schweku-tsch, ingegnere specialista di mo-tori elettrici e powertrain elettrici in generale, assunto proprio dopo la sua partenza da Tesla. Per meglio comprendere l’importanza della figura di Schwekutsch, basta dire che è il principale responsabile di due degli ultimi motori Tesla, quello della nuova Roadster e del camion elettrico Semi.A questo punto quindi sembra pre-maturo dare il Project Titan come defunto, in quanto la presenza di un ingegnere motorista ovviamen-te suggerisce che gli studi di Apple verso l’hardware di una ipotetica iCar stanno proseguendo. È pos-sibile che Apple sia riuscita, come un tempo, a nascondere i suoi veri piani e a preparare un prodotto ri-voluzionario in gran segreto?
DMOVE Aggiornamento firmware per la Tesla Model 3
Tesla sblocca il Supercharger V2 145 kW di potenza di ricarica
di M. ZOCCHI
I n attesa di inaugurare nuove stazioni Supercharger V3, Tesla ha diffuso un aggior-
namento firmware per la Model 3, per incrementare la potenza di ricarica presso le
esistenti colonnine Supercharger V2. Queste infrastrutture hanno da sempre una
potenza massima di 145 kW, ma le vetture erano bloccate ad un massimo di 120 kW. Ora
invece con il solito aggiornamento OTA - per ora solo per Model 3 - le auto potranno
sfruttare tutta la potenza, con un miglioramento quindi del 18% sui tempi di ricarica. L’im-
magine qui sopra, pubblicata da un proprietario su Reddit, e diffusa da Teslarati, mostra
una potenza di picco addirittura superiore al nominale, 147 kW, per una performance
di carica pari a circa 1.000 km ogni ora.
Si attende ora che il firmware 2019.7.11 di-
venti disponibile per tutte le Model 3, per
poi probabilmente passare a Model S e
X. Con l’atteso Supercharger V3 invece la
ricarica aumenterà fino a 250 kW di po-
tenza, con un rate quindi di 1.600 km per
ogni ora di collegamento.
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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019
di Massimiliano ZOCCHI
D a tempo in Europa si discute circa
la possibilità di nuovi obblighi an-
che per chi si muove con una bici,
muscolare o elettrica che sia. Anche sulle
nostre pagine ne abbiamo parlato, dato
l’interesse verso l’argomento anche
della Commissione Europea. Questa vol-
ta però l’input non arriva dall’organo più
alto in grado del Vecchio Continente, ma
dal Governo Italiano.
Andrea De Bertoldi, senatore di Fratel-
li d’Italia è il firmatario di un disegno di
legge che propone diverse novità per
le bici. A partire dal casco obbligatorio,
norma forse sensata, fino al divieto di
circolazione contromano, decisamente
più necessario. Ma i punti che fanno più
preoccupare gli appassionati del mondo
BICI ELETTRICA Possibilità di nuovi obblighi anche per chi usa la bici, muscolare o elettrica che sia
Disegno di legge per il popolo delle bici Casco, targa e assicurazione obbligatori?La proposta di FDI introduce anche una sorta di immatricolazione proprio come per le auto
a pedali sono altri.
La proposta di FDI
introduce anche
una sorta di imma-
tricolazione per il
velocipede, con tan-
to di contrassegno
per il telaio e targa
posteriore, esatta-
mente come per le
automobili e le moto.
Ma non solo, con questa novità arrivereb-
be anche l’obbligo di assicurazione per
responsabilità civile, così da poter rispon-
dere in caso di incidenti in cui la colpa sia
del ciclista o condivisa con chi coinvolto.
Difficile dire cosa succederà ora. Un dise-
gno di legge non significa che le norme
siano già in atto, ma che il Governo va-
luterà la proposta, approvandola o boc-
ciandola. In questo senso avrà un ruolo
fondamentale la coordinazione delle
forze politiche al comando, ultimamente
non proprio sulla stessa linea in quanto
a mobilità in generale. Dal canto loro le
associazioni di ciclisti hanno più volte
espresso preoccupazione per eventuali
norme simili, temendo una contrazione
del mercato a causa delle ovvie spese di
pratiche e assicurazione
FCA e PSA insieme per una piattaforma comune, anche per le elettricheCircolano insistenti le voci di una joint venture tra Fiat e il gruppo PSA per sviluppare una super piattaforma comune, utile anche per auto elettriche di M. ZOCCHI
Secondo gli esperti di finanza di Bloomberg, il dialogo tra Fiat Chrysler Automobiles e il Grup-po PSA è a uno stadio avanzato e l’oggetto è una possibile joint venture per sviluppare una super piattaforma comune. In particolare questa collaborazione andrebbe a toccare un tema che sta a cuore a entrambe le aziende, ovvero la progressiva elettrificazione della gamma. La nuova super piatta-forma che potrebbe nascere da questo progetto sarebbe quindi adatta a tutti i tipi di motorizzazio-ne, elettrica inclusa. Un’altra area di interesse potrebbe essere lo sviluppo della guida autonoma.Nel recente passato sia il CEO di PSA Carlos Tavares, sia John Elkann avevano confermato di essere al lavoro per sondare eventuali opportunità di collabo-razione. Secondo quanto riporta-to da Bloomberg, che ha chiama-to in causa anche Carlo Alberto Carnevale Maffe, Professore alla Bocconi, gli investimenti neces-sari per fronteggiare l’ampio cambiamento in corso nel settore automotive, sono spesso troppo onerosi per una singola azien-da, e la ricerca di alleati di PSA e FCA, esattamente come quella di BMW e Daimler, è la prova del-la ricerca di un nuovo equilibrio per l’intero mercato, portando la competizione in secondo piano.
di M. ZOCCHI
D opo averci tenuto con il fiato so-
speso, Lightning Motorcycle ha
tolto il velo da Strike, quella che a
tutti gli effetti può essere considerata la
prima moto elettrica sportiva con un prez-
zo abbordabile. Questo perché le dirette
concorrenti, Zero e Energica, hanno un
design naked (Zero SF/R) o un prezzo de-
cisamente più alto (Energica Ego). Strike
invece mantiene il suo DNA, con una line
sportiva e un’organizzazione produttiva
che permetterà un prezzo di partenza di
soli 12.998 dollari.
Ovviamente a questo prezzo non si avran-
no le caratteristiche top, in quanto Strike
è proposta in tre versioni, Standard, Mid
Range e Carbon Edition. Il prezzo aggres-
sivo è valido ovviamente per la Standard,
che comunque offre lo stesso motore
delle sorelle maggiori, con 67 kW di po-
tenza e 245 Nm di coppia, e una velocità
massima di 217 km/h. Bisogna rinunciare
a parte dell’autonomia, perché a prezzo
base avremmo solo 10 kWh di batteria,
MOBILITÀ SOSTENIBILE Dopo teaser e anticipazioni, Lightning Motorcycle ha svelato Strike
Finalmente svelata la Lightning Motorcycle Strike la prima moto elettrica sportiva al giusto prezzoStrike mantiene il suo DNA, con una linea sportiva e un prezzo di partenza di soli 12.998 dollari
sufficienti secondo la
casa per 113-161 km di
range, a seconda che
sia autostrada o urbano.
Inclusa però la ricarica
Level 2, ovvero a 220
V, per la quale sono
necessarie circa 3 ore
con la potenza standard
di 3.3 kW. Si può però
portare il caricatore a 6.6 kW, scendendo
a circa un’ora e mezza ma aggiungendo
1.500 dollari. Con la Mid Range il prezzo
sale a 16.998 dollari, ma la batteria passa
a 15 kWh. Di conseguenza l’autonomia fa
un bello step in avanti, arrivando a 169-
241 km, sempre con riferimento il ciclo ex-
traurbano/urbano. Il peso della moto pas-
sa da 206 kg a 211 kg, strana variazione
per i 5 kWh in più, il che suggerisce che
Lightning sia riuscita a risparmiare peso
altrove per bilanciare l’aumento dovuto al
maggior numero di celle al litio. Infine tro-
viamo la Carbon Edition, che sarà anche
la prima ad essere prodotta e consegna-
ta (ricalcando quindi un modus operandi
diffuso tra le aziende americane), che per
19.998 dollari offre più potenza (90 kW)
e batteria da ben 20 kWh. Con questa
quantità di energia immagazzinata, Strike
Carbon può spingersi fino a 241 km in
autostrada o 322 km in tratti urbani, con
solo 9 kg di peso in più. Migliora anche
la velocità di ricarica poiché il modello
top avrà di serie il caricatore AC da 6.6
kW, così come il caricatore fast DC, che
permetterà una carica completa in 35 mi-
nuti, oppure circa 160 km aggiuntivi in 20
minuti. In più, come suggerisce il nome,
Carbon Edition avrà componenti realizza-
te in carbonio, oltre a sospensioni Öhlins
e freni Brembo.
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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019
di Massimiliano ZOCCHI
T esla ha comunicato i dati di ven-
dita del primo trimestre 2019, e
come anche noi abbiamo sottolin-
eato, per diversi aspetti sono numeri
deludenti a causa delle mancate con-
segne. Ma mentre in linea generale la
Model 3 ha comunque venduto bene,
nonostante le tante vetture ancora da
consegnare in Europa e Cina, le due
più vecchie ammiraglie, Model S e
Model X, hanno segnato una notevole
contrazione. Nei primi tre mesi del-
l’anno Tesla ha consegnato un totale
di 12.100 vetture, sommando Model
S e X, il che rappresenta un calo del
56% rispetto alle 27.550 unità date in
mano ai clienti nell’ultimo trimestre
2018. Per questo dato tuttavia c’è una
parziale scusante, ovvero la scadenza
del tax credit di 7.500 dollari negli Sta-
ti Uniti, motivo per cui molti potenziali
clienti avevano accelerato gli acquisti
proprio in chiusura del 2018. In ogni
caso anche considerando il Q1 del-
l’anno passato, Tesla resta sotto del
44%, segno che effettivamente la do-
manda per le sue auto più costose è
realmente calata.
Un primo fattore che potrebbe aver
pesato sul disinnamoramento dei
clienti riguarda le voci di possibili re-
style che Tesla si appresta a mettere
in campo. Se esternamente Model S e
Model X appaiono ancora attuali, sono
forse invecchiate di più per quanto ri-
guarda gli interni, soprattutto se para-
gonati al design super minimalista di
Model 3. Nel frattempo Tesla inoltre
ha migliorato la qualità dei materiali
e dell’assemblaggio, e molti sperano
AUTO ELETTRICA Tesla ha comunicato i dati di vendita (deludenti) per il primo trimestre 2019
Tesla Model S e Model X in crisi di vendite Le ragioni di un crollo (quasi) inaspettatoNetta diminuzione delle vendite per le due ammiraglie. I motivi sono sia interni che esterni
che questo salto di qualità
passi anche sulle due am-
miraglie.
C’è poi la questione Super-
charger V3, al momento
prerogativa della sola Mo-
del 3. Tesla ha fatto capire
che con i soliti aggiorna-
menti OTA migliorerà le prestazioni
anche per S e X, ma è ovvio che non
arriveranno mai ai 250 kW di cui Model
3 è capace, per il semplice fatto che
non sono state ingegnerizzate con in
mente questa novità. Cosa deciderà di
fare quindi Tesla? Modificherà l’archi-
tettura della batteria con celle 18650,
permettendo più potenza di ricarica, o
Model S e Model X sono destinate a
restare come sono ora? Questa inde-
cisione forse ha spinto diversi clienti
ad attendere momenti più sicuri per un
acquisto non certo di poco conto.
Ultimo motivo della contrazione, ma
non per ordine di importanza, è la
cosiddetta cannibalizzazione interna.
Ovvero, c’è sicuramente una schiera
di clienti che anziché buttarsi su una
Model S base ha pre-
ferito fare direttamen-
te il salto alla vettura
più nuova, e portarsi a
casa magari una Model
3 Performance, rispar-
miando anche diversi
soldi. La media di Tesla
ha ricevuto spesso re-
censioni molto positive,
soprattutto sul lato della
guidabilità, maneggevo-
lezza e sportività, doti
più difficili da ottenere
con la più grande Model S, non parlia-
mone nemmeno per Model X. Quelli
elencati finora sono fattori interni, pro-
blemi che Tesla deve affrontare con
se stessa e le sue decisioni a breve
termine. Ci sono però anche fattori
esterni, per lo più rappresentati dalla
concorrenza. La lentezza dei competi-
tor non è cambiata molto, ma ci sono
già diversi clienti, anche in Italia, che
nel frattempo hanno preferito tentare
la strada del full electric proposto da
altri brand. Come il caso di Jaguar I-
Pace, che fa registrare numeri discre-
ti, erodendo sicuramente una parte
di potenziali clienti di Model X, così
come Audi e-tron, le cui consegne
sono iniziate proprio in questi giorni.
Sul fronte delle berline l’offerta è an-
cora scarsa, ma sappiamo ad esempio
che in Norvegia, mercato quanto mai
proficuo per Tesla, molti clienti hanno
pre-ordinato una Porsche Taycan an-
ziché una Model S.
Forse Tesla per la prima volta si trova
a dover fronteggiare le normali regole
di mercato alle quali è sempre stata
immune, per la gamma composta di
sole due vetture e per la mancanza
di concorrenza. Le decisioni che Elon
Musk e i suoi prenderanno da qui ai
prossimi 3 mesi potrebbero condizion-
are i risultati di tutto il 2019.
Caro Elon, che fine ha fatto la Model 3 da 35.000 dollari? Tesla ha finalmente introdotto la Model 3 Standard da 35.000 euro, ma sembra inesistente e impossibile da acquistare di M. ZOCCHIMesi fa ci eravamo chiesti che fine avesse fatto la Tesla Model 3 da 35.000 dollari. Dopo diversi mesi di vendite dei soli modelli più costosi (e più performanti) finalmente un mese fa Tesla ha annunciato di essere pronta a realizzare il tanto atteso model-lo Standard, al prezzo promesso di 35.000 dollari, oppure una versione “Plus”, per soli 2.000 dollari in più, ma con interni parzialmente premium. Ad oggi però non c’è evidenza di clienti americani che abbiano ricevuto l’auto desiderata, nonostante il configuratore sia aperto ormai da settimane. Al contrario, come segnalato da Electrek, alcuni clienti sono stati avvisati che la data prevista di consegna non poteva essere rispettata, a meno che non avessero deciso di fare un upgrade al modello Standard Plus. I motivi di una mossa del genere sono facilmente intuibili. La versione Plus ha praticamen-te tutto in comune con la Long Range, dall’estetica agli interni, con gli stessi identici componen-ti. In pratica con questo modello Tesla può essere più efficiente in catena di montaggio, non do-vendo differenziare l’assemblag-gio con componenti diversi, con l’unica differenza rappresentata dalla batteria. Una mossa però non del tutto trasparente. Nella tabella di marcia comunicata dal-lo stesso Musk, la Model 3 Stan-dard dovrebbe essere importata anche in Europa entro l’autunno, ma questa linea temporale pre-vedeva consegne americane a partire da... subito.Riusciremo a vedere la Tesla più economica di sempre in Italia prima del 2020?
Gli interni di Model S e X avrebbero bisogno di un restyling.
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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019
di Franco AQUINI
I n Nord America e in Canada pren-
deranno il volo gli idrovolanti della
prima compagnia aerea con velivoli
totalmente elettrici. Ad annunciarlo è la
compagnia stessa, Harbour Air, che gra-
zie alla collaborazione con MagniX (che
produce propulsori per velivoli elettrici)
ha completato la propria flotta con più di
30 idrovolanti completamente elettrici.
Gli aerei monteranno il motore MagniX
magni500, un propulsore elettrico da
750 cavalli di potenza.
Chi sta immaginando una piccola compa-
gnia aerea da poche decine di voli all’an-
no si sbaglia di grosso: Harbour Air infatti
opera nel nord-ovest degli Stati Uniti e in
Canada, dove collega città come Seat-
tle, Vancouver e Vittoria, per un totale di
30.000 voli all’anno su 12 rotte traspor-
tando 500.000 passseggeri.
Il primo idrovolante ad essere testato sarà
TRASPORTI Harbour Air si occupa del trasporto aereo tra alcune città del Nord America e Canada
Harbour Air, 30.000 voli all’anno con la flotta di idrovolanti totalmente elettriciGrazie alla collaborazione con MagniX, l’intera flotta di idrovolanti passerà all’elettrico
l’Harbour Air’s DHC-2. Si tratta di un picco-
lo velivolo commerciale per 6 passeggeri
che Harbour Air e MagniX contato di por-
tare in volo nel corso di quest’anno. Se-
condo il CEO di MagniX, Roei Ganzarski,
“nel 2018 il 75% dei voli intorno al mondo
hanno avuto una lunghezza uguale o
inferiore ai 1000 miglia (circa 1.600 km).
Con il sistema di propulsione MagniX, ac-
compagnato da una batteria di emergen-
za, vediamo un altissimo potenziale nel
trasformare il pesante e trafficato “medio
raggio”. Harbour Air non è però l’unica
compagnia aerea ad essere interessata
alla propulsione elettrica. L’anno scorso
Easyjet ha annunciato di voler testare nel
2019 i prototipi di piccoli aerei elettrici e il
CEO, Johan Lundgren, ha affermato che i
voli elettrici “stanno diventando realtà”. E
a quanto pare è proprio così.
Il Ministero dei Trasporti approva la sperimentazione della guida autonomaL’Osservatorio tecnico del MIT ha dato l’ok alla prima sperimentazione della guida autonoma sulla strade italiane di M. ZOCCHI
Dopo l’istituzione dell’Osserva-torio tecnico di supporto per le Smart Road del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si attendeva la prima applicazione pratica di questo organo di con-trollo. È arrivata pochi giorni fa, con l’approvazione all’unanimità della prima domanda di autoriz-zazione alla sperimentazione di veicoli a guida autonoma su stra-de pubbliche italiane.Si tratta della prima volta, dalla creazione del DM 70/2018, in cui abbiamo un riscontro della volontà, anche nel nostro Pae-se, di modernizzare il concetto di mobilità. Non è stato comuni-cato quale costruttore o azienda abbia richiesto il permesso, forse anche per via di segreti azien-dali, ma il Ministero si augura che questa prima autorizzazione possa dare il via a un numero cre-scente di domande con sempre più soggetti coinvolti. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti segnala sul comunicato ufficia-le, la casella di posta elettronica [email protected] dove è possibile richiedere infor-mazioni aggiuntive, mentre le do-mande di sperimentazione vanno inoltrate tramite PEC all’indirizzo [email protected].
di M. ZOCCHI
Che FCA stesse seriamente pen-
sando alle Jeep ibride ricaricabili
era certo, con ingenti investimenti già pronti per aggiornare gli impianti pro-
duttivi, e un ulteriore passo è stato fatto
al Salone di Ginevra con l’annuncio di
Renegade e Compass Plug-in. Arriva
un’altra conferma grazie a delle foto spia
circolate in rete che ritraggono una Jeep
Wrangler in fase di test, molto probabil-
mente anch’essa ibrida alla spina. La sup-
posizione deriva dall’unico camuffamento
sulla vettura, piazzato proprio dove molte
auto simili hanno gli sportelli dedicati alla
presa di ricarica, e al fatto che il modello
AUTO IBRIDA Spuntano le foto dei test della Jeep Wrangler Plug-in, una delle prime ibride
Jeep Wrangler Plug-in, prime foto. Pronta entro il 2019Al momento non è chiaro se sarà l’unico elettrificato o il cambiamento interesserà tutta la gamma
è del tutto simile a quello già esistente,
quindi senza nessuna necessità di test. A
questo punto anche gli investimenti per
gli stabilimenti americani verranno suddi-
visi diversamente, in quanto la Wrangler
viene prodotta in Ohio e non in Michigan,
dove sembravano inizialmente indirizzati
i 4.5 miliardi di dollari stanziati. La parte
a combustione del motore dovrebbe re-
stare quella della versione classica, con
il 3.6 litri V6. Nelle immagini il modello è
quello a quattro porte, e al momento non
è chiaro se sarà l’unico elettrificato o il
cambiamento interesserà tutta la gamma.
In ogni caso il rinnovamento della gamma
è previsto per il 2020, quindi la presenta-
zione ufficiale dovrebbe avvenire in uno
dei saloni di fine anno, o anche al CES
di Las Vegas dove Jeep ultimamente ha
avuto una presenza costante.
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e alla sua famiglia nel percorso di sviluppo e crescita
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FONDAZIONE IRCCS CA’ GRANDA - OSPEDALE MAGGIORE POLICLINICODipartimento per la Salute delle Donna, del Bambino e del Neonato
U.O. di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatalevia Francesco Sforza, 28 - 20122 Milano
GIORNO MESE ANNO
CONTRIBUENTECOGNOME (per le donne indicare il cognome da nubile) NOME SESSO (M o F)
DATA DI NASCITA COMUNE (o Stato estero) DI NASCITA PROVINCIA (sigla)
CODICE FISCALE(obbligatorio)
DATI ANAGRAFICI
Da consegnare unitamente alla dichiarazioneMod. 730/2008 al sostituto d’imposta, alC.A.F. o al professionista abilitato, utilizzandol’apposita busta chiusa contrassegnata suilembi di chiusura.
MODELLO 730-1 redditi 2007
Stato
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Chiesa cattolica
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Assemblee di Dio in Italia
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Chiesa Valdese unione delle chiese metodiste e valdesi
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Chiesa Evangelica Luterana in Italia
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Unione Comunità Ebraiche Italiane
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Scheda per la scelta della destinazione dell'8 per mille dell'IRPEF e del 5 per mille dell'IRPEF
Sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale e delle associazioni riconosciute
che operano nei settori di cui all’art. 10, c. 1, lett a),del D.Lgs. n. 460 del 1997 e delle fondazioni nazionali di carattere culturale
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
AVVERTENZE Per esprimere la scelta a favore di una delle finalità destinatarie della quota del cinque per mille dell’IRPEF, il contri-buente deve apporre la propria firma nel riquadro corrispondente. Il contribuente ha inoltre la facoltà di indicare anche il codice fiscaledi un soggetto beneficiario. La scelta deve essere fatta esclusivamente per una delle finalità beneficiarie.
Codice fiscale del beneficiario (eventuale)
Finanziamento agli entidella ricerca sanitaria
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
FIRMA
Finanziamento agli enti della ricerca scientifica e della università
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Codice fiscale del beneficiario (eventuale)
FIRMA
Sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI a norma di legge
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Codice fiscale del beneficiario (eventuale)
FIRMA
Codice fiscale del beneficiario (eventuale)
FIRMA
genziantrate
AVVERTENZE Per esprimere la scelta a favore di una delle sette istituzioni beneficiarie della quota dell'otto per mille dell'IRPEF, ilcontribuente deve apporre la propria firma nel riquadro corrispondente. La scelta deve essere fatta esclusivamente per una delleistituzioni beneficiarie.La mancanza della firma in uno dei sette riquadri previsti costituisce scelta non espressa da parte del contribuente. In tal caso, la ri-partizione della quota d’imposta non attribuita è stabilita in proporzione alle scelte espresse. Le quote non attribuite spettanti alleAssemblee di Dio in Italia e alla Chiesa Valdese Unione delle Chiese metodiste e Valdesi, sono devolute alla gestione statale.
In aggiunta a quanto indicato nell’informativa sul trattamento dei dati, contenuta nel paragrafo 3 delle istruzioni, si precisa chei dati personali del contribuente verranno utilizzati solo dall’Agenzia delle Entrate per attuare la scelta.
In aggiunta a quanto indicato nell’informativa sul trattamento dei dati, contenuta nel paragrafo 3 delle istruzioni, si precisa chei dati personali del contribuente verranno utilizzati solo dall’Agenzia delle Entrate per attuare la scelta.
SCELTA PER LA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF (in caso di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti)
SCELTA PER LA DESTINAZIONE DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF (in caso di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti)
LA SCELTA DELLA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF E QUELLA DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF NON SONO IN ALCUN MODO ALTERNATIVE FRA LORO. PERTANTO POSSONO ESSERE ESPRESSE ENTRAMBE LE SCELTE
ALLEGATO B
9 7 0 2 8 2 1 0 1 5 7Mario Rossi
5 per mille claudio.indd 1 18/03/2010 19:42:07
SOSTIENI AISTMAR Onlus con il tuo 5 per mille
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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019
di Franco AQUINI
Q uello dei SUV è un segmento di mercato sem-
pre più popolare. La vettura alta, spaziosa, co-
moda ed elegante ha fatto breccia ovunque,
dalle auto più piccole fino a quelle dalle dimensioni
importanti, ovvero quelle che anni fa hanno inaugu-
rato commercialmente questa nuova categoria di
auto che categoria, in realtà, non è.
Oggi però parliamo di Ford e delle Nuova Edge,
perché Ford ha silenziosamente fatto il suo ingresso
anni fa in questo settore e, modello dopo modello,
si è fatta spazio in un mercato che cresce anno su
anno, fino ad arrivare a conquistare, dato di Luglio-
Dicembre 2018, la prima posizione. Un risultato otte-
nuto anche grazie alla piccola di casa, la Ecosport, di
cui abbiamo parlato un anno fa circa.
Edge è simbolo di aggressività e di eleganza al tem-
po stesso e oggi la casa madre le dedica un restyling
che in realtà è qualcosa di più. Non vengono rivi-
ste soltanto le linee esterne, non vengono soltanto
aggiornate le motorizzazioni, ma viene adeguata
all’ultimo livello tecnologico raggiunto dal marchio.
Un’asticella piazzata molto in alto dalla nuova Focus,
che ha inaugurato un nuovo corso per Ford, fatto
di tecnologie all’avanguardia sia all’interno che al-
l’esterno. Si parla quindi di assistenza alla guida, di
sicurezza, ma anche di comfort di guida e infotain-
ment. Ecco il nostro racconto di una giornata passata
insieme alla nuova Ford Edge nell’Oltrepò Pavese.
Dentro è tutto nuovo, meglio del salotto di casaEdge è un’auto che si piazza ai vertici della pro-
duzione Ford. È una macchina lussuosa, elegante
e dalle dimensioni importanti. Legittimo quindi at-
tendersi una dotazione interna di primo livello e le
AUTO ELETTRICA Ford ha fatto un sostanzioso restyling della Ford Edge, il SUV di punta della casa. L’abbiamo provata
A spasso per l’Oltrepò pavese a bordo della Nuova Ford Edge: più salotto che autoL’auto porta in dotazione tutto il pacchetto tecnologico della Nuova Focus. Sicurezza e infotainment le parole d’ordine
aspettative, lo chiariamo subito, non vengono
affatto tradite. Tra la pelle cucita a mano, il
perfetto controllo della temperatura interna, i
sedili riscaldati, l’ottimo impianto audio B&O
già provato sulla nuova Focus, una console
dei comandi totalmente rivista e un sacco di
spazio nel tunnel centrale - merito anche del
cambio automatico - l’interno della Edge è un
vero spettacolo. Si entra con quel gesto na-
turale tipico delle auto alte e ci si rilassa sulle
poltrone rivestite totalmente in pelle. Nel cli-
ma ancora pungente della mattina, mentre ci
dirigiamo verso le distese pianeggianti della
provincia di Pavia, passiamo un po’ di tempo
testando il climatizzatore e mettendo alla pro-
va il riscaldamento dei sedili. L’obiettivo è uno
soltanto: trasformare il viaggio in un’esperienza
unica, rilassandoci come se stessimo nel salotto
di casa. Perché in fondo è quello che s’aspetta
chi entra in un concessionario con l’intenzio-
ne di acquistare un’auto di questo livello. La nuova
Edge è più sobria, gli interni sono più razionali, ele-
ganti. C’è più spazio per le gambe e per le braccia
e la plancia è più ordinata con il grande schermo da
8 pollici che ospita Sync 3 oppure, se lo si prefe-
risce, Apple CarPlay o Android Auto. La dotazione
di cassetti e alloggiamenti è ottima perché, com’è
evidente, di spazio ce n’è in abbondanza. Il viaggio
con la nuova Edge fila via liscio come quando ci si
abbandona su una poltrona a fine giornata. Difficile
pretendere di meglio.
Guida e parcheggia da sola, cos’altro serve?Edge, lo dicevamo prima, eredita gran parte dei si-
Pelle, cuciture a mano e impianto audio B&O, l’eleganza e il comfort non mancano.
Con Active Park Assist si parcheggia facilmente sia in parallelo che in perpendicolare.
Il restyling ha riguardato soprattutto il frontale, con un taglio dei gruppi ottici decisamente più aggressivo.
segue a pagina 58
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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019
stemi ADAS (ovvero di assistenza alla guida) della
nuova Focus. Sistemi studiati innanzi tutto per la
sicurezza, ma che riguardano anche la praticità di
guidare una vettura lunga 4,8 metri e larga quasi
due. Alla base di tutto ci sono telecamere, senso-
ri e radar, capaci di dire all’auto quando fermarsi,
quando evitare un ostacolo o semplicemente come
parcheggiare.
Il pacchetto che comprende tutte queste funzioni,
insieme alla connessione a internet, è Copilot 360.
Comprende una serie di funzionalità per l’assistenza
alla guida come la frenata in caso di emergenza (Pre-
Collision Assist with Pedestrian Detection ), il cruise
control adattativo, la sterzata in caso di emergenza,
il monitoraggio dell’angolo cieco dello specchietto
retrovisore, il mantenimento automatico della corsia,
riconoscimento automatico dei segnali stradali, limi-
tatore intelligente della velocità (sempre basato sulla
segnaletica stradale) e infine il parcheggio automati-
co (Active Park Assist).
Quest’ultimo, nel caso di una vettura di queste di-
mensioni, è particolarmente utile e importante. Il
parcheggio automatico di Ford l’avevamo già testato
attentamente in occasione della prova della Focus
sul circuito di Modena. Lo stesso sistema è stato
implementato sulla nuova Edge: l’auto parcheggia
da sola con la pressione di un tasto. Lo fa in modo
veloce e senza necessità di moltissimo spazio libero.
Ovvio che in questo caso ne serva di più rispetto alla
Focus, ma si tratta comunque di spazi ragionevoli.
L’auto inoltre segnala anche se c’è un veicolo in avvi-
cinamento così, se si sta uscendo da un parcheggio
e non si vede sopraggiungere un veicolo, ci pensa
lei ad avvisare. Nel complesso si tratta di un pac-
chetto ormai fondamentale su ogni auto moderna.
Ford ha implementato tutti questi sistemi in maniera
intelligente in un unico pacchetto. In fase di configu-
razione, basta scegliere il Copilot 360 per portarsi
a casa una dotazione tecnologica e di sicurezza di
tutto rispetto.
A bordo assistenti vocali e ricarica wireless, così la Edge diventa un ufficioTecnologia per la sicurezza, ma non solo. Ford ha
fatto un ottimo lavoro con la dotazione interna e l’ha
fatto a tutti i livelli. Certo, il grosso della dotazione
stupiva su un’auto sotto i trentamila euro come Fo-
cus, su Edge lo si da invece quasi per scontato. In
ogni caso a bordo c’è un sacco di tecnologia e non
dispiace affatto. Sync 3 è ormai una piattaforma di in-
fotainment collaudata. Ottimo il navigatore integrato,
il player audio e il riconoscimento vocale. Ma per chi
preferisce affidarsi alle app che usa tutti i giorni sullo
smartphone c’è a disposizione sia Apple CarPlay che
Android Auto. Si passa facilmente da uno all’altro per
usare Google Maps oppure Spotify a bordo. La diffe-
renza è enorme, sopratutto con gli assistenti vocali.
L’auto diventa così un vero e proprio ufficio, permet-
tendo di scrivere e rispondere ai messaggi (anche
Whatsapp) tramite comandi vocali. Programmare
appuntamenti, impostare il navigatore e riprodurre
musica o podcast. Su Edge poi c’è anche la ricarica
wireless dello smartphone. Basta appoggiarlo nel
piccolo vano per metterlo in carica. E come se non
bastasse c’è anche la connessione a internet. L’auto
infatti integra un modem 4G a bordo, utile per tutte le
funzionalità offerte dal Ford Connect - l’app con cui
si controlla, si chiude e si avvia l’auto da remoto - e
utile anche come hotspot di bordo. Viaggiare con il
wi-fi è tutta un’altra cosa. Ci si può collegare il tablet
dei bambini oppure evitare di consumare il basket
dati del proprio smartphone.
Listino un po’ alto, ma c’è sempre Idea FordVenendo al dunque è naturale porsi la solita doman-
da: quanto costa? Edge è un veicolo di fascia alta, un
SUV elegante che punta sul comfort e sulla sicurez-
za. Il listino però, a dirla tutta, non è dei più bassi. Si
parte da 50.400 euro per la versione Titanium (che
offre già un set di dotazioni importante) con motore
2.0 Ecoblue da 190 CV. Ford però offre in questo mo-
mento uno sconto consistente, per cui si tira una riga
sul prezzo e si scende immediatamente a 39.600
euro. Al di là del prezzo di listino, però, vale sempre
il cavallo di battaglia Ford: IdeaFord, la formula con
cui si può pagare soltanto una rata mensile ed avere
un valore garantito dell’auto al termine del contratto.
Così, al momento della scadenza, si può decidere
se restituire l’auto, cambiarla oppure rifinanziare il
rimanente. Un pacchetto che offre il top dei vantag-
gi se si decide di rimanere in casa Ford e sostituire
l’auto ogni tre o quattro anni. In questo caso il prezzo
da considerare è di 410 euro al mese IVA esclusa,
ovvero circa 500 euro al mese (anche per i privati)
con anticipo zero. L’allestimento riguarda la versione
Titanium con motore 2.0 TDCi Eco-
Blue 238CV e cambio automatico.
Il verdetto? Difficile scendere dall’auto, ma qualche difetto c’èDopo un centinaio di chilometri la
nuova Ford Edge mostra tutti i suoi
pregi, ma anche qualche difetto. La
vettura è comodissima e scendere
è sempre più difficile. A bordo del-
la Edge si sta davvero comodi e la
presenza a bordo del wi-fi e del-
le popolari app dello smartphone
fanno venire voglia di allungare il tragitto per fare
qualche chilometro in più. Tutto perfetto quindi? A
dire la verità no, qualche difetto c’è. Con un listino
così, al netto delle promozioni o del pacchetto Idea-
Ford, bisogna far attenzione alla concorrenza. Non
certo quella tedesca, posizionata ben più in alto, ma
a quella di altri produttori come Skoda e Hyundai,
tanto per fare un esempio. A bordo è stato fatto un
gran lavoro per pulire la plancia, il tunnel centrale e
i comandi in generale; tuttavia rimane la sensazione
che qualcosa sia rimasta dalla vecchia versione, con
un innesto di pelle sulla plastica non proprio piace-
vole alla vista. E poi rimane un certo rumore nell’abi-
tacolo che alla lunga si avverte. A bordo c’è anche
l’Active Noise Control che serve proprio a ridurre at-
tivamente il rumore dell’abitacolo, ma il risultato non
è comunque eccellente.
Edge è un SUV importante, dal design azzeccassi-
mo (sopratutto in questo restyling) e dalla dotazione
eccellente. Rimane qualche difetto da curare, ma il
comfort non manca di certo e la tecnologia a bordo
può fare la differenza.
TEST
Nuova Ford Edgesegue Da pagina 57