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MAGAZINE n.197 / 19 8 APRILE 2019 Nasce la divisione Electronics Products & Solutions di Sony 08 39 Huawei P30 Pro La super recensione Nuovi Apple Airpods Conviene comprarli? Dyson Airwrap, lo styler delicato con i capelli IN PROVA IN QUESTO NUMERO Approvata la riforma europea sul copyright. Novità e reazioni Gli editori faranno accordi con le piattaforme online per farsi pagare l’utilizzo dei contenuti di informazione. Google amara, gli editori esultano 15 Huawei P30 e P30 Pro raccontati dalla A alla Z Di tutto e di più sui nuovi top di gamma Huawei. Dal SuperSensitive CMOS, al teleobiettivo a periscopio, al sensore ToF. Netflix rimuove il mese gratuito di prova. Per ora 12 Perché lo switch off rischia di affondare la corazzata Mediaset 03 Switch off a costo zero: il MiSE nel mondo del mulino bianco Il MiSE e la Fondazione Ugo Bordoni rassicurano gli italiani: switch off all’MPEG4 del 2021 a costo zero per i consumatori. Ma sarà davvero così? 02 44 Apple Watch salvavita Cuore sotto controllo 19 Il fotoreportage dalla Cappadocia con Huawei P30 Pro Notizie, TV e carte di credito: così Apple guarda al futuro 14 Arriva Ford Kuga La prima in tre versioni elettrificate 49 17 42 46

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

Nasce la divisione Electronics Products & Solutions di Sony08

39

Huawei P30 Pro La super recensione

Nuovi Apple Airpods Conviene comprarli?

Dyson Airwrap, lo styler delicato con i capelli

IN PROVA IN QUESTO NUMERO

Approvata la riforma europea sul copyright. Novità e reazioniGli editori faranno accordi con le piattaforme online per farsi pagare l’utilizzo dei contenuti di informazione. Google amara, gli editori esultano15

Huawei P30 e P30 Pro raccontati dalla A alla ZDi tutto e di più sui nuovi top di gamma Huawei. Dal SuperSensitive CMOS, al teleobiettivo a periscopio, al sensore ToF.

Netflix rimuove il mese gratuito di prova. Per ora 12

Perché lo switch off rischia di affondare la corazzata Mediaset 03

Switch off a costo zero: il MiSE nel mondo del mulino bianco Il MiSE e la Fondazione Ugo Bordoni rassicurano gli italiani: switch off all’MPEG4 del 2021 a costo zero per i consumatori. Ma sarà davvero così?

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Apple Watch salvavita Cuore sotto controllo

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Il fotoreportage dalla Cappadocia con Huawei P30 Pro

Notizie, TV e carte di credito: così Apple guarda al futuro 14

Arriva Ford Kuga La prima in tre versioni elettrificate

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Gianfranco GIARDINA

L a strategia che il Governo intenderà tenere sul digi-

tale terrestre e sulla questione switch off si fonda su

una ricerca commissionata a Fondazione Ugo Bor-

doni dal MiSE tesa a delinare il scenario del parco tele-

visori installato. Una ricerca che arriva a conclusioni non

accurate se non del tutto errate, visto che, per fare un

esempio, i relatori non sanno distinguere correttamen-

te i TV HEVC da quelli privi di questo codec. Malgrado

ciò, si tratta di una ricerca che è bastata per spingere il

MiSE a lasciarsi andare a rassicurazioni rispetto all’im-

patto nullo dello switch off sulle tasche dei consumatori.

Nullo, zero euro, zero televisori da cambiare o decoder

da comperare. Possibile?

Una ricerca basata su 2936 intervisteOvviamente impatto zero vuol anche dire che il MiSE

rimanda al mittente chi chiede l’aumento dei contributi

per i consumatori: non servono, secondo il Ministero.

Non bisogna lavorare troppo di fantasia, basta leggere.

Il MiSE, proprio sulla base della ricerca FUB, dichiara

espressamente nel documento di consultazione pub-blica sul reframing della banda 700 MHz, pubblicato in

questi giorni, che “Per quanto sopra, nell’ultimo quadri-

mestre 2021 nello scenario supportato con il contributo

statale, la dismissione della codifica DVBT/MPEG2 con

attivazione della codifica DVBT/MPEG4, non avrebbe ef-

fetti negativi per gli utenti”. La ricerca (che è consultabi-le qui, sul sito del MiSE), si basa su un campione rappre-

sentativo di 2936 famiglie sulle quali è stata proiettata

l’intera popolazione delle famiglie: non sappiamo quale

sia il grado di confidenza di un dato basato su meno di

tremila interviste per descrivere tutte le famiglie italiane.

La confusione dei TV: non basta leggere le schede tecniche, vanno conosciutiIl documento identifica quattro tipologie di televisori:

quelli DVB-T, che si dividono in solo MPEG2 e anche

MPEG4, e quelli DVB-T2, solo MPEG4 o anche HEVC. Va

detto che nel nostro Paese la tipologia dei TV DVB-T2

non HEVC è stata distribuita per pochissimo tempo (solo

Sony, tra i grandi brand, ha spinto su questo aspetto per

una stagione con prodotti di derivazione UK) dato che

è sempre stato chiaro in Italia che se DVB-T2 sarebbe

stato, sarebbe stato con codec HEVC. Eppure la Fon-

dazione Ugo Bordoni, riclassificando i dati della ricerca

di base Ipsos/Auditel, trova che addirittura in Italia ci sa-

rebbero 2.439.469 famiglie in possesso di un rarissimo

TV DVB-T2 non HEVC, per una quota sul totale famiglie

dell’11,3%. Invece i TV DVB-T2 HEVC, che è obbligatorio

vendere oramai dal 1 gennaio 2017, sarebbero pratica-

mente la metà, poco meno di un milione e mezzo. Que-

sto vorrebbe dire che in due anni, secondo la ricerca, si

sarebbero venduti meno di un milione e mezzo di TV

principali, contro gli otto milioni di TV totali che invece

TV E VIDEO Una ricerca della Fondazione Ugo Bordoni commissionata dal MiSE sentenzia che i primi TV solo MPEG 2 nel 2021 saranno zero

Il MiSE e la Fondazione Bordoni come il Mulino Bianco “Switch off nel 2021, nessun impatto sui consumatori”Il MiSE interpreta a modo suo: secondo il dicastero di Di Maio non ci saranno costi per i consumatori. Scommettiamo?

sono per certo i numeri di

mercato nello stesso perio-

do: molto difficile, tanto più

che la stessa ricerca accre-

dita il mercato spontaneo

dei primi TV in Italia a valori

superiori ai due milioni al-

l’anno. Quasi sicuramente

alla base di questo risultato

assolutamente poco credi-

bile c’è l’errore di censire

come DVB-T2 MPEG4 dei

TV già HEVC, nato sempli-

cemente dall’incapacità dei

ricercatori di scoprire quali modelli fossero anche HEVC

e quali no. Le interviste devono infatti aver restituito agli

analisti la marca e il modello del TV (ammesso che que-

sto lavoro sia stato fatto con perizia) e poi qualcuno si

deve essere occupato di verificare se i singoli modelli

riportavano il termine HEVC nella scheda tecnica. Cosa

che spesso, invece, non veniva riportata perché sempli-

cemente al momento dell’uscita il codec HEVC non ve-

niva considerato importante dai dipartimenti marketing

e comunque non sempre presente nelle versioni degli

altri Paesi europei. Un errore che non sposta più di tanto

i risultati finali ma dà la misura della cura metodologica

sulla quale si basano gli assunti che ne seguono. Senza

contare che la ricerca non fa alcuna differenza tra TV HEVC Main 10 (cioè quelli capaci di gestire segnali a 10

bit per canale) da quelli HEVC di “serie B”, solo a 8 bit,

che di fatto non sarebbero in grado di gestire eventuali

nuove trasmissioni HDR.

E i secondi e terzi TV? E le seconde case?Ma il baco più grande è che, malgrado le interviste siano

state svolte direttamente e fisicamente presso le fami-

glie, si sia considerato solo il TV principale di casa (che

di solito è il migliore) senza contare i secondi e i terzi TV

che spesso sono presenti in cucina e nelle camere da

letto. Guarda caso sono proprio questi i TV sui quali è

lecito aspettarsi una maggiore arretratezza tecnologica

e che, molto probabilmente, hanno percentuali di distri-

buzione tra le varie tipologie totalmente diverse. Quindi,

anche se la ricerca chiarisce nelle premesse che si parla

solo di prime case e solo di primo TV, non si fa molti

scrupoli a mettere un bel numero “zero” nella casella

dei TV solo MPEG2 a settembre 2021 nello scenario che

prevede l’utilizzo degli incentivi. Zero: un numero tondo

che evidentemente ha finito per saltare anche all’occhio

del Ministero che arriva diritto diritto alla conclusione

che nessun cittadino dovrà tirare fuori quattrini. E che

quindi l’operazione non ha un vero costo “politico”.

Peccato che:

•I TV sono molti di più di quelli proiettati, se aggiungiamo

la popolazione dei secondi e terzi apparecchi

•I secondi e terzi apparecchi sono in larga parte TV di

piccole dimensioni, spesso non HD, quindi non MPEG4

•Non esistono solo le prime case, ma anche le seconde

case e le case di studenti e lavoratori fuori sede, case

che probabilmente ospitano una popolazione di TV si-

curamente non all’avanguardia tecnologica

•In nessun caso si arriverebbe a zero, perché il ricambio

dei TV non è “uniforme”: c’è chi cambia il TV ogni 5 anni

e chi non lo cambia da 20.

Il compito della politica dovrebbe essere mitigare i danni, non negarne l’esistenzaLo switch off all’MPEG4, anche nel 2021, comporterà dei

problemi e dei costi, non sarà in nessun caso un’opera-

zione indolore. Non sarà una tragedia, ma non si può de-

rubricarla semplicemente negandola, dicendo che l’im-

patto sarà zero. Definirla tale vuol dire essere stati sulla

luna per tutto il periodo dello scorso switch off: durato

molti anni (più di quanto durerà questo secondo, anche

se si partisse domattina), costato molto ai consumatori e

costato molto alla nazione, malgrado i contributi da 150

euro (!) per ogni decoder. Oppure diciamoci che gli italia-

ni non avranno più di un TV per casa e che i broadcaster

non sono affatto interessati al fatto che gli italiani rinun-

cino ai secondi o terzi TV. Sia chiaro, se dovessimo dare

un parere, saremmo favorevoli al previsto switch off ver-

so l’MPEG4, a patto che ci sia una sorta di “ricompensa”

per l’utenza che sarebbe impatattata. L’unica promessa

di vendita possibile sarebbe l’obbligo per tutte le emit-

tenti di passare all’alta definizione: il passaggio della TV

italiana all’HD sarebbe una “scusa” credibile e di valore

per l’utenza che, in un modo o nell’altro, dovrà mettere

mano al portafoglio. Ora il MiSE, mal interpretando una

ricerca largamente imperfetta e magari pagata profuma-

tamente dai cittadini, non solo vuole farci credere che lo

switch off all’MPEG4 a fine 2021 non abbia alcun impatto

sull’utenza; ma si dice convinto che entro e non oltre il

30 giugno 2022 si debba fare anche l’ulteriore passag-

gio a DVB-T2 HEVC. Come se gli italiani e i broadcaster

potessero permetterselo. Siamo nel mondo del mulino

bianco: magari ci salverà un incantesimo.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Gianfranco GIARDINA

L a corazzata Mediaset sta facendo rotta verso una

pericolosa tromba d’aria (o per lo meno una bella

tempesta) e sembra che nessuno dell’equipaggio

abbia voluto leggere al comandante il bollettino me-

teo, almeno per quello che riguardava le previsioni più

cupe. Il riferimento è al processo di cessione delle fre-

quenze TV in banda 700 MHz che dovranno passare

alle telco al più tardi entro il giugno 2022.

Mediaset ha puntato tutto sul digitale terrestreIl “peccato originale” per Mediaset è aver puntato tut-

to, 20 anni fa (e ancora fino a oggi), solo sul digitale

terrestre. Certo, i contenuti Mediaset sono presenti an-

che su satellite e, con Mediaset Play, su Internet, ma

non c’è dubbio che il Biscione non abbia mai spostato

il proprio focus dal digitale terrestre, strozzando l’impe-

gno verso le altre piattaforma. Basti pensare che solo

da un anno Mediaset ha i propri canali in HD sul satelli-

te, dove la banda costa un decimo, mentre sul costoso

digitale terrestre sono già presenti da molto tempo.

Lo spettatore non si innamora di una piattaforma. Mediaset come Telecom Italia, a difesa di una rete superataLo spettatore, più di qualunque emittente, è veramente

“platform independent”: non gli interessa affatto qual

sia la piattaforma attraverso la quale guardare il canale

che vuole vedere. Non ha una preferenza “a prescin-

dere” per il digitale terrestre, per il satellite o per lo

streaming, Semplicemente predilige quello che offre

di più e che pome meno problemi e limiti. Mediaset,

come capita spesso ai player in posizione dominante, è

caduta nel tranello dell’autocompiacimento. Come Te-

lecom Italia che ha difeso il proprio asset della rete in

rame perdendo in buona parte la corsa della fibra, così

Mediaset, per difendere le antenne e gli impianti di EI

Towers, ha favorito ciecamente il solo digitale terrestre

senza proteggersi a sufficienza su eventuali cambia-

menti di scenario. Che peraltro erano noti: che ci sareb-

be stata una forte contrazione delle risorse frequenziali

destinate alla TV, si sapeva già da anni. Al momento

della cessione della banda 800 MHz era emerso che si

sarebbe poi passata a quella 700. Come oggi si sa già

che nei prossimi anni verrà chiesto al mondo TV di sa-

crificare anche la banda 600 sull’altare del traffico dati

in mobilità. È ragionevole: perché mai occupare l’etere

con servizi residenziali, che possono essere forniti con

successo anche via satellite e, a tendere, via fibra?

Così Mediaset, in maniera miope, non ha impostato, a

tutela del proprio ruolo di editore, una strategia franca-

mente multipiattaforma che l’avrebbe resa più indenne

ai cambiamenti in atto.

TV E VIDEO A poco più di due settimane dal riassetto del digitale terrestre, Mediaset non ha ancora trovato il bandolo della matassa

Piersilvio mal consigliato: lo switch off del digitale terrestre rischia di affondare la corazzata MediasetPer anni la società ha messo la testa sotto la sabbia: che il DTT fosse destinato alla contrazione era ben noto a tutti

Malgrado il numeri del MiSE, siamo lanciati verso una riduzione cospicua degli spettatori del digitale terrestre

Oggi il mondo della TV attende con curiosa preoccu-

pazione la scadenza del 15 aprile, oramai vicina, entro

la quale il MiSE renderà pubblica la nuova roadmap

della cessione della banda 700 alla telefonia. Anche

se, all’atto pratico, Il piano dovesse tardare un paio di

mesi, come è probabile che avvenga, la sostanza non

cambia. Le decisioni di cui si è parlato finora dovreb-

bero prevedere una prima fase con il passaggio delle

trasmissioni alla codifica MPEG 4 AVC, a partire dalla

seconda metà del 2020, anche se non è ancora noto

se si procederà a scaglioni per area o meno. E poi, nel

2022, un secondo, e ancora più sanguinoso, switch off

al DVB-T2 HEVC. Il tutto chiedendo grandi sacrifici ai

consumatori per l’adeguamento dei TV e dei decoder,

a fronte di… nulla. Una proposizione di vendita davve-

ro poco convincente: cari consumatori, cambiate TV o

aggiungete un nuovo decoder se volete semplicemen-

te continuare a vedere quello che vedevate prima.

In uno scenario di questo tipo, già con la prima fase di

switch off dell’anno prossimo, andrebbero a nero circa

10 milioni di TV, soprattutto secondi e terzi televisori di

piccola dimensione ma anche molti TV principali delle

fasce sociodemografiche meno evolute dal punto di

vista tecnologico. Nel secondo switch off, quello del

2022, si spegnerebbero addirittura altri 30 milioni di

TV. Il MiSE ha comunicato dei numeri più ottimistici,

assemblati dall Fondazione Ugo Bordoni e derivanti

dalla ricerca di base Auditel integrati con dati Anitec-

Assinform. SI tratta però di numeri che non riflettono

la realtà dei fatti: i 5 milioni di TV non MPEG-4 indicati

dal Ministero si riferiscono in realtà ai soli TV principali

di casa, ma non contano affatto tutti i secondi e terzi

schermi, diffusi oramai in tantissime case. E, guarda

caso, l’audience Mediaset è spesso polarizzata proprio

sugli schermi più piccoli, con grandi picchi nelle fasce

mattutine e pomeridiane proprio su secondi e terzi TV.

Ma soprattutto, l’assunto alla base della ricerca dalla

Fondazione Bordoni è che il ricambio dei TV sia “uni-

forme”, ovverosia che tutti gli utenti sostituiscano il pro-

prio TV ogni 8,9 anni. Ovviamente così non è: c’è chi lo

cambia più spesso e chi non lo cambia da vent’anni. La

quantità di schermi che si spegneranno con lo switch

off è ben superiore alle rosse previsioni del Ministero.

Con questi numeri e senza una vera contropartita,

anche ipotizzando generosi contributi governativi

(ben superiori dei 150 milioni di euro stanziati finora),

è inevitabile che una certa aliquota di spettatori del

digitale terrestre abbandonerebbero la piattaforma:

chi si farebbe bastare l’offerta in streaming, che è in

forte crescita, soprattutto con provider non broadca-

ster, come Netflix, Amazon Prime video e la neo-an-

nunciata Apple TV +; chi si affiderebbe al più perfor-

mante satellite; chi, soprattutto tra la fasce più giovani

e con le abitudini di visione in rapido cambiamento,

potrebbe addirittura decidere di abbandonare il TV

a favore degli smartphone dagli schermi sempre più

grandi e affiancati da piani dati sempre più generosi.

Con il primo e il secondo swtich off che ci attendono,

inevitabilmente, Mediaset perderà (perderebbe) una

quota rilevante di spettatori. E, con la rifocalizzazione

verso la TV gratuita generalista che da qualche anno

Mediaset ha messo in campo, questo rischia di essere

un danno netto pesante per il gruppo. Se gli spettatori

Mediaset dovessero diminuire - tanto per dire dei nu-

meri a caso - del 20%, il valore della pubblicità con la

quale Mediaset si sostiene, diminuirebbe della stessa

quota. E non basterebbe più buttarla in caciara con i

soliti dati percentuali di share Auditel che trascurano

spesso di ricordare che la base assoluta di spettatori

segue a pagina 04

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

è in contrazione. Mediaset, malgrado i segnali fossero

chiari, ha deciso deliberatamente di non spalmare la

propria utenza su tutte le piattaforme, avversando per

anni il satellite e lasciando tivùsat con il freno a mano

tirato, prendendosi così la responsabilità di aumenta-

re esponenzialmente il proprio rischio d’impresa. Lo

stesso problema - beninteso - ce l’avrebbero anche le

altre emittenti. Ma la RAI, in fondo, potrebbe chiede-

re di avere, a causa dei cambiamenti in atto, una fetta

maggiore dei cospicui proventi del canone, a parziale

ristoro dei ridotti introiti pubblicitari. La 7, invece, non a

caso, ha chiesto ripetutamente al Governo, anche con

qualche ragione di ordine giuridico, di poter mantenere

integro il proprio multiplex.

Mediaset non sa più qual è il male minore: cancellare o no lo switch off?Evidentemente il “circolo magico”, che in questi anni

ha rassicurato Piersilvio Berlusconi nei confronti dei

rischi connessi a questo innamoramento per il digitale

terrestre, pensava che alla fine sarebbe riuscito a “do-

mare” molto meglio gli eventi, evitando o spostando

aventi nel tempo all’infinito eventuali catastrofi. For-

se anche in considerazione del fatto che, nel gruppo

dirigente di Mediaset, Berlusconi Jr è il più giovane,

mentre gli altri sono generalmente vicini alla pensio-

ne e quindi meno motivati a mettere in campo oggi i

sacrifici necessari per garantire al gruppo un futuro

davvero solido.

Piersilvio, che a noi pare persona intelligente e ca-

pace, anche in un passato recente, si è dimostrato

sicuro che lo switch off non avrebbe comportato ri-

schi per Mediaset, citando rassicurazioni in tal senso

avute dal proprio gruppo dirigente: c’è il rischio con-

creto che sia stato mal consigliato.

Ora, per salvare il salvabile ed evitare danni gravi,

Mediaset deve spingere per disinnescare lo switch

off, anche quello “leggero” verso l’MPEG4, per man-

tenere intatto più a lungo possibile il parco spettatori

del digitale terrestre. Magari favorendo una strategia

di incentivi all’esodo delle frequenze, a colpi di con-

tributi pubblici; rendendosi disponibile a spostare su

satellite e online qualche canale secondario dei pro-

pri e chiedendo proporzionali sacrifici agli altri edi-

tori. E soprattutto facendo eliminare dalla roadmap

lo switch off dell’MPEG2 del 2020-21; uno swtich off

che invece sarebbe solo ragionevole, visto che tut-

t’ora si continua a buttare via banda, risorsa sempre

più scarsa, per trasmettere in simulcast i principali

canali sia in MPEG2 SD che in MPEG4 HD.

Sia chiaro, però, che se Mediaset riuscisse a disin-

nescare lo swtich off o a procfrastinarlo (e l’allarga-

mento del tavolo tecnico TV 4.0 a nuovi temi e nuovi

scenari sembra preludere proprio a questo) non avrà

ancora risolto il suo problema, ma semplicemente lo

avrà rimandato di qualche anno.

E c’è ancora il rischio che da qui al 2022 nessuno

racconti al comandante che per schivare una tem-

pesta imminente, la rotta potrebbe aver preso una

piega ancora più pericolosa: l’unica cosa davvero

certa in questa vicenda è che il 30 giugno del 2022

le frequenze in banda 700 passeranno al 5G. E una

Mediaset tutta votata al Digitale Terrestre, è desti-

nata a perdere, insieme alle frequenze, buona parte

delle sue velleità di crescita.

TV E VIDEO

Switch off, cosa farà Mediaset?segue Da pagina 03

di Roberto PEZZALI

L G ha comprato la divisione OLED di

Dupont, azienda americana che da

oltre 15 anni effettua studi e ricerche

sui materiali organici degli OLED ed è

leader al mondo nella produzione pro-

prio del materiale organico usato oggi.

Una acquisizione strategica: LG Chem

in un solo colpo si trova nel portafoglio

tutti gli asset Dupont che prevedono

540 brevetti, tutta la divisione r&d, al-

cune fabbriche di materiale organico e

anche tutte le risorse e le soluzioni per

la produrre pannelli OLED con la tecno-

logia inkjet. Oggi la produzione di TV

OLED da parte di LG passa attraverso

il processo di deposizione, che prevede

alcuni passaggi lenti e costosi che por-

tano inevitabilmente ad una crescita

TV E VIDEO LG Chem acquista l’azienda leader nella produzione di materiale organico per OLED

TV OLED LG in futuro a prezzi bassissimi LG Chem acquista “un pezzo” di DupontL’obiettivo è far partire entro 5 anni la produzione di pannelli stampati con tecnologia inkjet

del costo del prodotto finale. Usando

i nuovi materiali solubili creati da Du-

pont in questi anni, e con i brevetti e

le soluzioni dell’azienda, LG tra 5 anni

sarà in grado di far partire la produzi-

one di massa di pannelli OLED realizzati

semplicemente “spruzzando” materiale

organico con ugelli simili a quelli delle

stampanti OLED su un substrato che

contiene l’elettronica di attivazione.

Aumenta la velocità, aumenta anche la

qualità, perché con i materiali solubili si

può estendere ulteriormente il gamut

riproducibile, e diminuiscono i costi. La

stima, secondo LG, è che realizzare un

pannello OLED con questa tecnologia

possa costare meno di quanto costa

oggi produrre un pannello LCD.

Da anni tutti stanno cercando soluzioni

per produrre pannelli OLED usando la

tecnologia inkjet, e la stessa Samsung

ha lavorato con Dupont e altre aziende:

LG ha acquisito tutto, e ora è decisa-

mente più avanti degli altri. Non sarà una

cosa immediata, ci vorrà un po’, ma tra

qualche anno gli LCD saranno davvero

preistoria. Soppiantati dall’OLED e da

altre tecnologie nascenti. Quanto è cos-

tata la divisione OLED di Dupont? Circa

200 milioni di dollari.

TV E VIDEO

Giallo, Food Network e Motor Trend ora in HD su TivùsatBuone notizie per chi segue la TV sulla piattaforma Tivùsat di Hot Bird: dal primo aprile sono disponibili nella nuova versione in alta definizione altri tre canali del gruppo Discovery, ossia Giallo, Food Network e Motor Trend. I tre canali si aggiungono a DMax e Real Time, che erano passati all’HD lo scorso mese di marzo.

Nessun cambiamento nella numerazione dei canali su Tivùsat; quindi possiamo ritrovare Giallo HD sul 38, Food Network HD sul 53 e Motor Trend HD sul 56. Questi canali sono visibili anche sul digitale terrestre, ma nella sola versione in definizione standard. I canali dovrebbero comparire automaticamente nella nuova versione su TV e decoder predisposti.

Ricordiamo che poter vedere i nuovi canali sulla piattaforma Tivùsat sono sufficienti un dispositivo certificato tivùsat (decoder o televisore con CAM), una parabola satellitare orientata su Eutelsat Hotbird 13° Est e la smartcard inclusa nella confezione del decoder o della CAM.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Roberto PEZZALI

N onostante con l’OLED si sia rag-

giunto un livello di qualità dei tele-

visori che non si vedeva da tempo,

i produttori continuano a investire per

migliorare l’unico aspetto dove l’OLED

è ancora carente, ovvero la copertura di

uno spazio colore più ampio. E tutto sen-

za sacrificare l’aspetto in cui la tecnologia

OLED è regina, ovvero la resa sul nero.

TCL ha presentato l’ultimo ritrovato in ter-

mini di tecnologia di display, un pannello

realizzato con tecnologia Inkjet dove un

subpixel realizzato con materiale organi-

co OLED blu è affiancato da due subpixel

rosso e verde realizzati con tecnologia

QLED. Si chiama H-QLED, Hybrod QLED.

Questa tecnologia non ha nulla a che

TV E VIDEO H-QLED è stato presentato da TCL: un pannello realizzato con tecnologia Inkjet

H-QLED, nei laboratori TCL nasce l’ibrido OLED - QLEDIl blu è un elemento organico OLED mentre rosso e verde sono due elementi quantum dots

vedere con quella QD-

OLED a cui sta lavorando

Samsung, ovvero un filtro

QLED davanti ad un pan-

nello OLED che funziona

da pannello retroillumi-

nante, è una ibridazione

vera che unisce le due

tecnologie. Secondo TCL,

questo tipo di pannello permetterebbe di

mantenere il nero degli OLED raggiun-

gendo però una copertura più ampia del-

lo spazio colore Rec.2020, fino all’80%. E

del 112% dello spazio colore DCI-P3, oggi

coperto al 95% dai modelli OLED più diffu-

si. TCL avrebbe già realizzato un prototipo

con questa risoluzione, un 31” 4K ibrido

con una luminosità su schermo bianco di

150 nits e copertura BT2020 all’80%. Pre-

stazioni niente male, se si considera che

l’OLED su uno schermo pieno non è così

luminoso e che un TV calibrato ha una

luminosità di circa 120 nits. Il problema di

questa tecnologia è l’assenza di una data

di mass production: TCL potrebbe anche

decidere che è troppo costosa e abban-

donarla, o trovare altre strade.

Anche Samsung abbraccia il codec libero AV1. Si unisce a Google, Microsoft e AppleIl consorzio che sviluppa il codec open source e gratuito, Alliance for Open Media, si arricchisce di un nuovo importantissimo elemento di Pasquale AGIZZA

L’Alliance for Open Media si arric-chisce di un nuovo partner di spes-sore: Samsung. La casa coreana ha comunicato, infatti, l’ingresso nel consorzio e ha annunciato quindi il supporto al codec AV1 nei pro-pri dispositivi e software. Il codec AV1 nasce proprio per offrire uno strumento aperto, libero e gratuito ai creatori di contenuti. Possiamo considerarlo la risposta ai formati h.264 e h.265/HEVC, che seppur più usati, richiedono ai produttori il pagamento di costi fissi. Lo svilup-po di AV1 è curato dall’Alliance for Open Media, l’organizzazione no profit che vede come soci fonda-tori Amazon, Cisco, Google, Intel, Microsoft, Mozilla, Netflix, ARM, Nvidia e AMD. Dal 2018 si è unita anche Apple. Samsung siederà allo stesso tavolo dei soci fonda-tori e potrà quindi essere parte attiva delle prossime decisioni del consorzio. “L’utilizzo del codec AV1 ci consentirà di ottimizzare il nostro ecosistema e soddisfare le crescenti esigenze degli utenti di nuova generazione”, ha dichiara-to Seunghwan Cho, alto dirigente della società coreana. Sulla stessa linea le dichiarazioni di Matt Frost, vicepresidente di AOMedia: “Sia-mo entusiasti di dare il benvenuto a Samsung nell’Alliance for Open Media. L’arrivo di Samsung coin-cide con un momento di grande espansione ed utilizzo del formato AV1, e siamo sicuri che la loro col-laborazione contribuirà ad accele-rare ancor di più la diffusione del codec all’interno delle periferiche multimediali del futuro”.

di Gianfranco GIARDINA

Cambiamento di strategia al MiSE,

oramai a pochi giorni dalla pubbli-

cazione della nuova roadmap per il

nuovo switch off televisivo, attesa entro il

15 aprile. Nella nuova convocazione del

tavolo tecnico TV 4.0 alla riunione del 3

aprile prossimo agli attori del digitale ter-

restre sono stati aggiunti dei nuovi nomi,

ovverosia gli operatori dello streaming,

presenti e futuri. Stiamo parlando, tra gli

altri, di Netflix, Amazon, DAZN, Tim Vision,

Chili e Walt Disney, un panorama quasi

completo a cui manca praticamente solo

Apple (che presto con il servizio Apple

TV+ giocherà sullo stesso campo).

L’intento dell’incontro - copiamo dalla

convocazione - è quello di “avviare una

discussione sulla trasformazione digita-

le del settore televisivo”. Decisione un

po’ tardiva, visto che arriva a 15 giorni

dalla pubblicazione della roadmap che

dovrebbe decidere il destino del setto-

re televisivo stesso. Come chiarisce la

convocazione, “A tal fine, alla riunione

sono stati invitati anche gli operatori del

settore che operano su piattaforme di-

gitali alternative a quella terrestre”.

TV E VIDEO Al tavolo TV 4.0 convocate anche le società di streaming ma si dimentica il satellite

Colpo di scena digitale terrestre: al tavolo TV 4.0 anche Netflix, Amazon e compagniCambiamenti di strategia nel MiSE nella gestione del passaggio della banda 700 MHz alle telco?

Questo segna una gran-

de discontinuità rispetto

al passato: il tavolo TV

4.0 fino a ieri era stato

confinato ai soli opera-

tori coinvolti dal digitale

terrestre, una cosa sin-

golare per un gruppo

di lavoro che dovrebbe

definire gli assetti della

TV del futuro. Noi stessi, in più circo-

stanze, abbiamo invocato l’allargamen-

to del tavolo e delle sue considerazioni

ad un panorama più ampio rispetto a

quello confinato al solo DTT. Il proble-

ma viene parzialmente risolto oggi, con

la convocazione, tardiva, degli operato-

ri streaming; ma parallelamente risuo-

na ancora più assordante - e a questo

punto quasi persecutoria - la mancanza

degli operatori satellitari, come Eutelsat

e Astra, che invece un ruolo potrebbero

averlo (o addirittura dovrebbero averlo)

nella TV del futuro, prossimo e più lon-

tano. La convocazione questa volta non

prevede il classico tavolo di discussione

paritetico ma una presentazione del

“parlamentino” del Ministero, qualcosa

di più simile a una conferenza che a una

discussione. Nell’occasione ci sarà una

presentazione intitolata “La trasformazi-

one digitale del settore televisivo” tenuta

dal sociologo Derrick de Kerckhove e da

Massimo Bernardini, giornalista e condut-

tore della trasmissione TV talk.

Arrivare a lavori già avviati e nel momen-

to delle decisioni importanti con un inter-

vento di questo tipo (che forse avrebbe

potuto essere la puntata zero del tavolo

tecnico) sembra preludere a dei cam-

biamenti dell’ultim’ora nelle strategie del

MiSE nei confronti dello switch off, magari

nella direzione di un allargamento della

visione ad altre modalità di trasmissione.

Staremo a vedere: oramai tocca aspet-

tare solo poco più di due settimane.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Gianfranco GIARDINA

Squadra che vince non si cambia. Adagio che, vi-

sto che ci troviamo all’interno del Teatro alla Scala,

potremmo parafrasare come “Spettacolo di suc-

cesso, si replica”. L’occasione è la presentazione italiana

della gamma di TV OLED di LG, o come dice l’azienda,

della “Collezione OLED 2019” che si è tenuta appunto

al Teatro alla Scala ad inaugurare, tra le altre cose, un

prestigioso accordo pluriennale (anche a livello globale)

che vede LG diventare il partner tecnologico dell’impor-

tante istituzione scaligera.

“Squadra che vince”, dicevamo. Sì, perché la gamma

2018 di OLED LG continua ad andare molto bene: è

anche grazie a OLED che, nei primi tre mesi dell’anno,

contro un mercato TV in difficoltà che segna un -6%, i

TV LG in totale controtendenza segnano una crescita

simmetrica del +6%.

Inevitabile che la gamma nuova fosse nel segno di

una chiara continuità. A partire dai nomi del modelli:

cambia solo il suffisso, che da 8 (che richiama appun-

to il 2018) diventa 9. Si parte così dall’entry level B9,

per passare alla gamma media C9, al TV premium con

soundbar integrata E9 e il top di gamma W9, l’iconico

TV-poster da appendere alla parete della serie Signa-

ture. Di questi TV si sapeva praticamente tutto, dopo

il lancio di gennaio al CES di Las Vegas e le notizie

uscite subito dopo: il pannello è sostanzialmente

quello dello scorso anno (anche se il management di

LG Italia ha insistito che sarebbe migliorato rispetto

alle performance di quello 2018), mentre cambia in

maniera più decisa l’elettronica e il sistema operati-

vo. Infatti, con questa gamma arriva la generazione

2 del processore A9, questa volta con l’integrazione

dell’immancabile Intelligenza Artificiale, destinata a

migliorare l’immagine e il suono percepiti.

Ma soprattutto il nuovo processore dovrebbe avere

la potenza necessaria per aggiungere un livello di

controllo sull’immagine, destinato a minimizzare la

perdita di dettaglio sui movimenti grazie all’aumento

TV E VIDEO La presentazione dei TV OLED 2019 di LG si è tenuta al Teatro alla Scala. Nuova linea in continuità con la gamma 2018

Al teatro alla Scala di Milano va in scena la “prima” della gamma TV OLED 2019 di LGMigliorato il processore, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, e il software, con l’apertura all’ecosistema Apple e ad Alexa

di frequenza e all’inserimento di un frame nero tra un

fotogramma e l’altro, in modo da limitare il “motion

blur”; il tutto operando a 120 Hz e senza perdere lu-

minosità. Quanto questa elaborazione sia riuscita e

funzionale lo potremo però verificare solo nei nostri

test di laboratorio. Migliorato anche il suono, che vie-

ne ottimizzato sulla base del tipo di contenuto rilevato

dall’Intelligenza Artificiale.

Il processore A9 di seconda generazione approda sui

tutti i modelli OLED tranne che sull’entry level B9, che

deve accontentarsi della versione A7, meno potente

ma anch’essa di seconda generazione e potenziata

dall’impiego di intelligenza artificiale.

La nuova gamma si arricchisce, tra le altre cose, dell’in-

gresso HDMI 2.1 capace di accettare contenuti in high

frame rate, a frame rate variabile e a latenza ridotta,

innovazioni che al momento interessano soprattutto

i gamer ma che certamente rendono questi TV più al

riparo da rischi di obsolescenza.

Molto interessanti le novità a livello di sistema opera-

tivo, che però ancora non si possono vedere all’opera

perché arriveranno con la versione finale del software:

all’integrazione del Google Assistant (già presente nel-

la gamma 2018) si aggiunge quella con Amazon Alexa,

invocabile direttamente dal telecomando, tenendo

premuto il tasto “Prime Video”.

Ma soprattutto, arriva la promessa integrazione con

l’ecosistema Apple: AirPlay 2, iTunes e HomeKit, ai

quali dovrebbe aggiungersi e integrarsi la nuova app

Apple TV, annunciata qualche giorno fa da Apple.

I prezzi non sono stati ancora stabiliti da LG Italia, ma

stante la continuità della gamma rispetto allo scorso

anno, non ci aspettiamo sostanziali differenze di prez-

zo, soprattutto in un anno dispari senza grandi eventi

sportivi. L’introduzione dei nuovi TV sarà graduale nei

prossimi mesi a partire da fine aprile e comunque do-

vrebbe essere completata prima dell’estate. Bisognerà

invece attendere la seconda parte dell’anno (presumibil-

mente dopo l’IFA di Berlino di settembre) per vedere nei

negozi, ovviamente solo in quelli esclusivi, i costosissimi

OLED R, l’arrotolabile, e il modello 8K presentati al CES

di Las Vegas. È stato comunque confermato che anche

questi modelli arriveranno in Italia.

La video-intervista Alessandro Zearo, divisione TV di LG

lab

video

Sulla destra, a fianco del tasto Netflix, c’è il tasto Prime Video: se lo si tiene schiacciato a lungo, si invoca l’assistente Alexa di casa Amazon.

Nella foto, l’OLED entry level della gamma 2019, il B9.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Gianfranco GIARDINA

Apple aveva due strade di fronte a sé: comprarsi

Netflix (tutto ha un prezzo, anche il leader mon-

diale dello streaming) o provare a fare da sé. Fat-

ti un po’ di conti e una montagna di studi di fattibilità,

Apple ha scelto la seconda via e ha annunciato Apple

TV +: si tratta di un servizio di streaming, ovviamente a

pagamento, di contenuti originali, prodotti direttamen-

te da Apple o acquisiti in esclusiva e creati - almeno

per i titoli presentati oggi - da nomi grossi: basti dire

che la presentazione è partita con Steven Spielberg

(nel ruolo di produttore esecutivo di Amazing Stories,

una serie di fantascienza) ed è terminata con Oprah

Winfrey, vera regina della TV americana, che porterà

sulla piattaforma Apple dei documentari. Nel mezzo

tanti altri artisti importanti: impossibile nominarli tutti.

Ci saranno film, serial, show di intrattenimento e musi-

cali, docuserie e anche programmi per bambini (ci sa-

ranno episodi originali di produzione Sesame Street e

Peanuts). Il tutto per un piano di produzione poderoso

che si è già messo in moto da un anno.

Ma l’annuncio di oggi è stato solo uno “sneak preview”,

ovverosia un’anticipazione, come ci ha tenuto a sotto-

lineare Tim Cook: di Apple TV + si sa molto poco al

momento. Le uniche informazioni disponibili sono che

il servizio arriverà in autunno di quest’anno sulla piat-

taforma (rivista ed estesa) Apple TV. E lo farà anche in

Italia, visto che al momento del lancio i Paesi coinvolti

saranno più di 100. Inoltre si tratterà di un servizio -

proprio come Netflix - del tutto privo di pubblicità.

Da segnalare che la piattaforma Apple TV va ben ol-

tre l’hardware con lo stesso nome e diventa di fatto

un’app disponibile su iPhone, iPad, Mac e ovviamente

anche (l’hardware) Apple TV. Con la possibilità, su tut-

te le piattaforme, di vedere in streaming o di scaricare

per rivedere offline successivamente. Inoltre - almeno

per quanto è emerso dalla conferenza stampa - an-

che Apple TV+, insieme alla nuova piattaforma Apple

TV, dovrebbe essere visibile anche sugli smart TV di

produzione Samsung, LG e Sony (ma non si sa se si

parla dei TV futuri o di quelli correnti). Inoltre, la piat-

ENTERTAINMENT Il servizio di streaming in abbonamento di Apple arriverà anche in Italia, con tantissime produzioni originali

Apple sfida Netflix: un piano di produzioni super prepara l’arrivo di Apple TV+ in autunnoTra i nomi forti, Spielberg, Oprah Winfrey, Ron Howard e altri. Un attacco più che a Netflix, alle major e alle TV tradizionali

taforma dovrebbe essere disponibile anche sui device

Fire di Amazon. Non sono trapelati dettagli sui prezzi,

neppure per gli Stati Uniti; né si sa se a tendere Ap-

ple conta anche di acquisire i diritti in esclusiva per

contenuti “storici” prodotti da terzi, attività che è stata

alla base del volano iniziale di Netflix: al momento si

è parlato solo di “Apple Originals”, anche se appare

un’operazione davvero complessa allestire da zero

un catalogo credibile (e vendibile) solo con produzioni

originali e che di fatto non possono contare su un ca-

talogo pregresso. Certamente - lo dicevamo all’inizio

- se il budget teorico disponibile per tutta l’operazione

è il valore di Netflix meno un dollaro, ci sono fondi per

lanciare uno dei più grandi sforzi produttivi della storia

del cinema e della TV. Apple può permetterselo e la

concorrenza, almeno per il momento, può fare bene

al consumatore. Chi ne esce con le ossa rotte, invece,

sono i produttori di contenuti tradizionali.

Le major e i broadcaster ora, per aggiudicarsi gli artisti

e le loro opere, dovranno certamente sborsare qual-

cosa in più: la creatività da oggi è una risorsa un po’

più scarsa sul mercato.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Gaetano MERO

D ebutterà anche in Italia, proba-

bilmente da maggio, Apple TV

Channels, il nuovo servizio made

in Apple che aggrega network e canali

streaming per guardare comodamente

i contenuti attraverso un’unica applica-

zione. Della piattaforma fanno già parte

Prime Video, Hulu, HBO e chiaramente il

nuovo servizio Apple TV+ che offrirà con-

tenuti originali in esclusiva. TV Channels

consentirà agli utenti di organizzare i con-

tenuti preferiti in un unico ambiente senza

essere reindirizzati su app di terze parti:

basterà effettuare il login una sola volta.

Sarà possibile gestire in modo semplice

gli abbonamenti famiglia ed utilizzare

Siri durante la riproduzione, ha affermato

Apple. Apple TV Channels provvederà

inoltre a suggerire film e serie TV in base

ai gusti degli spettatori grazie al machine

learning nella sezione “For You”, diven-

tando di volta in volta più precisa. Sarà

possibile anche acquistare singoli conte-

nuti con un clic da qualsiasi piattaforma

ENTERTAINMENT Apple TV Channels unisce network, TV on demand e servizi streaming

Più servizi streaming sotto lo stesso tetto Apple lancia TV Channels (anche in Italia)L’app sarà disponibile per Apple TV, iPhone, iPad, Smart TV e in autunno anche per dispositivi Mac

associata. L’applicazione sarà disponibile

su iPhone, iPad, Mac (una novità anche

per gli USA che arriverà in autunno), Ap-

ple TV e Smart TV: per queste ultime, tra

i primi produttori ad aderire ci sono LG,

Samsung e Sony. L’aggiornamento arrive-

rà anche sul set top box Roku e Fire TV di

Amazon (una sorta di reciprocità, vista la

presenza di Prime Video nell’app). L’effet-

to del lancio di Channels e della revisione

del concetto di Apple TV, che perde la

connotazioni di solo hardware e diventa

un ambiente accessibile da diversi devi-

ce, cambia i connotati ad Apple TV (inteso

come apparecchio): questo diventa infatti

una soluzione di accesso all’offerta di ser-

vizi di intrattenimento di Apple e non certo

la soluzione unica o comunque prioritaria,

come era di fatto considerata finora.

di Pasquale AGIZZA

Impossibile nascondere i contenuti

pubblicitari e una serie di app sponso-

rizzate nel menù iniziale delle proprie

Android TV. È questa la frustrante situa-

zione che molti utenti hanno segnalato

su Reddit. Particolarmente colpiti gli

utenti delle TV Sony, ma ci sono segna-

lazioni anche da parte di possessori del

Mi Box Xiaomi e Nvidia Shield. Alla base

di tutto un aggiornamento software di

Android arrivato sui dispositivi coinvolti

qualche giorno fa. Tutto nasce dal post

di un utente infuriato su Reddit, che si la-

menta del fatto che nonostante dal menù

del suo TV Sony abbia nascosto tutte le

opzioni riguardanti la pubblicità, conti-

ENTERTAINMENT Impossibile nascondere i consigli per gli acquisti delle Android TV

Su Android TV pubblicità e app consigliate non si possono nascondere. Bug o strategia di Google?Alla base un aggiornamento software. Coinvolti i TV Sony, Xiaomi Mi Box e Nvidia Shield

nuino a spuntare canali ed

app sponsorizzate da in-

stallare. A dar manforte al-

l’utente, arrivano le segna-lazioni di utenti alle prese

con lo stesso problema su

dispositivi Xiaomi e Nvidia

Shield. Dispositivi acco-

munati dal fatto di aver

scaricato l’ultimo aggiornamento di An-

droid Home propostogli dal dispositivo

i giorni scorsi. Dopo qualche ora arriva

anche una parziale soluzione al proble-

ma. Basterebbe, infatti, disinstallare gli

aggiornamenti del servizio Android TV

Core Services per tornare alla situazione

di partenza e rendere opzionali pubbli-

cità e consigli di installazione. Qualche

utente, sempre su Reddit, parla di un

semplice bug di cui Google è già a co-

noscenza e che dovrebbe risolvere velo-

cemente. Google, però, ha dichiarato che

sta facendo esperimenti con i contenuti

sponsorizzati, quindi l’impossibilità di na-

scondere pubblicità ed app potrebbe far

parte di una nuova strategia commerciale

del colosso di Mountain View.

Netflix, in Italia viene rimosso il mese di prova gratuita. Per oraNetflix sperimenta sugli utenti italiani l’addio al mese di prova gratuito: scegli un piano e inizi subito a pagare. L’azienda precisa: “Potrebbe non diventare permanente”

di Massimiliano DI MARCOPer alcuni utenti la prova gratuita di Netflix potrebbe non essere più disponibile. Non si tratta dell’inizio di una nuova politica commerciale; almeno, non già da ora. L’azienda, in risposta alla richiesta di chiari-menti da parte di DDay, ha infatti ri-lasciato la seguente dichiarazione: “Stiamo testando la disponibilità e la durata di una prova gratuita per capire meglio come i consumatori valutano Netflix. Questi test tipica-mente variano in termini di durata e paesi, e potrebbero non diventa-re permanenti”. Si tratta, in sostanza, di uno dei vari test che Netflix porta avanti per modulare la propria offerta secondo l’impatto che eventuali cambiamenti avrebbero sui suoi utenti. Esattamente come, a luglio 2018, era stato per un quarto pia-no a pagamento, Ultra, che veni-va proposto persino a due prezzi differenti a seconda dell’utente. A oggi, insomma, tutti i potenziali nuovi utenti del servizio dovranno scegliere e pagare fin da subito uno dei tre piani di abbonamento previsti. Il fatto che non si tratta di una decisione definitiva implica che, naturalmente, si potrebbe creare una spaccatura: gli iscritti oggi non possono usufruire del-la prova gratuita, ma tra qualche mese nuovi altri utenti potrebbero averne la facoltà.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Sergio DONATO

L ’Autorità Garante della Concorrenza

e del Mercato (AGCM) ha stabilito

che DAZN, nella promozione del suo

servizio di streaming per le dirette delle

partite di calcio di Serie A e Serie B per la

stagione 2018/19, ha commesso due pra-

tiche commerciali scorrette riguardanti le

limitazioni tecniche del servizio di strea-

ming e il mese di prova gratuito. Legge-

rezze che a DAZN sono costate 500mila

euro di multa. Per la sanzione scatenata

dalle limitazioni tecniche, il procedimen-

to dell’AGCM si riferisce ai messaggi pub-

blicitari che, nel corso della promozione,

enfatizzavano la possibilità di fruire del

servizio “quando vuoi, dove vuoi”, senza

fare riferimento con sufficiente chiarezza

ai limiti tecnici - soprattutto nella qualità

e nella continuità dello streaming - che il

servizio avrebbe potuto incontrare. Infat-

ti, specie all’inizio della stagione calcisti-

ca, il Garante ha ricevuto circa sessanta

segnalazioni da parte di consumatori e

associazioni di consumatori che lamen-

tavano soprattutto le notevoli difficoltà di

accesso e la pessima qualità del servizio

DAZN offerto causati da gravi disservizi

tecnici. La sanzione che invece punisce

il comportamento di DAZN in merito

all’abbonamento al servizio riguarda

l’ingannevolezza del messaggio pubbli-

citario diffuso sul sito web in cui viene

specificato che l’adesione alla piattafor-

ma DAZN avviene in assenza di contrat-

to. DAZN prospettava al consumatore la

possibilità di fruire di un mese di prova

gratuito con la semplice registrazione al

sito, non precisando però che la registra-

zione comportava la sottoscrizione di un

contratto di abbonamento; tanto che,

alla fine del mese gratuito e in assenza di

disdetta, l’abbonamento proseguiva con

l’addebito sistematico dei costi mensili.

DAZN: diritti assegnati in ritardo, poco tempo per preparare il servizioLa difesa di DAZN sulla materia tecnica

della sanzione si è concentrata sulla

difficoltà di organizzare il servizio con la

dovuta cura a causa del ritardo nell’asse-

gnazione dei diritti di trasmissione delle

partite di calcio, avvenuta il 16 giugno

2018. DAZN ha iniziato a operare in Ita-

lia solo dal 26 luglio e tale necessità di

ENTERTAINMENT La scure dell’Antitrust italiano colpisce DAZN per pratiche commerciali scorrette

L’Antitrust multa DAZN di 500mila euro Condannati lo streaming e il mese di provaNel mirino la qualità del servizio e il mese di prova gratuito che era un contratto di abbonamento

affrettarsi per rendere disponibile il ser-

vizio ha condotto ai disservizi incontrati

soprattutto nella prima parte della stagio-

ne. Per il claim “quando vuoi, dove vuoi”

DAZN ha invece contato sulla prepara-

zione dei propri clienti che sarebbero

stati in grado di capire che il messaggio

era volutamente “esagerato” e “iperbo-

lico”, e che si riferiva più alla possibilità

di fruire del servizio sui dispositivi mobile

che non a una promessa in quanto tale

sulle prestazioni.

Nel merito del “contratto non contratto”,

DAZN ha riconosciuto la non correttezza

formale della formulazione testuale, che

nel sito web recitava: “Non c’è contratto,

potrai disdire ogni mese”. Tuttavia, se-

condo DAZN, la dizione “potrai disdire

ogni mese” avrebbe permesso al con-

sumatore di compren-

dere che se sussiste la

necessità di disdire, una

relazione contrattuale

con DAZN si viene co-

munque a instaurare.

Di conseguenza il “Non

c’è contratto” sareb-

be stato interpretabile

come facilità di uscita

dal contratto e l’assen-

za della necessità di

sottoscrivere un con-

tratto vero e proprio.

Nonostante la difesa

perorata da DAZN, le

due multe per pratiche

commerciali scorret-

te da 260mila, per le

limitazioni tecniche, e

240mila euro, per le

imprecisioni contrat-

tuali, diventano per

DAZN una sanzione

da 500mila euro.

Aggiornamento L’incontro con le associazioni di consumatoriIn una nota, l’associazione di consuma-

tori Altroconsumo che ha partecipato

alla produzione delle istanze presentate

all’AGCM, per voce del Responsabile Re-

lazioni Esterne, Ivo Tarantino, ha riferito:

“L’azienda [DAZN] non è stata in grado

di mantenere le promesse fatte ai clienti

[...] I mesi sono passati e DAZN si è con-

solidata sul mercato; ora dovrà trovare

un modo per rispondere alle aspettative

degli utenti. Per questo motivo incontre-

remo l’azienda dopodomani e cerchere-

mo una via per far sì che i diritti, sia nel

pregresso che nel futuro, siano rispettati

e compensati”

Spielberg vuole Netflix fuori dagli Oscar. Antitrust USA: “Concorrenza soppressa senza giustificazione”Il Dipartimento di Giustizia americano ha invitato l’Academy a riflettere: escludere le produzioni dei servizi streaming potrebbe minare la concorrenza e ricadere sull’intero settore di Gaetano MERO

ll Dipartimento di Giustizia ameri-cano si è espresso in modo chiaro in merito all’acceso dibattito sul-l’ammissibilità dei lungometraggi Netflix alla cerimonia degli Oscar, definendo anticoncorrenziali le richieste avanzate dal regista Ste-ven Spielberg. Secondo quanto emerso da una comunicazione indirizzata all’Academy dal capo della divisione antitrust Makan Delrahim, la modifica delle attuali regole di partecipazione alla mani-festazione potrebbe costituire una violazione delle norme per la con-correnza e la tutela del mercato.La preoccupazione del Garante, riporta Variety, è che il nuovo re-golamento venga stilato “in modo da sopprimere, senza una chiara giustificazione, la concorrenza”. “Gli accordi tra le parti - spiega Delrahim - possono violare le leggi antitrust se lo scopo è quello di im-pedire una leale concorrenza per beni o servizi acquistati e goduti dai consumatori, minacciando in questo modo i profitti delle impre-se”. L’esclusione dei film distribuiti tramite servizi streaming online po-trebbe dunque ridurre il valore in termini economici delle produzioni, violando l’Articolo 1 dello Sherman Act che sancisce il divieto di stabili-re accordi anticoncorrenziali tra più attori operanti in uno stesso setto-re. Il Consiglio di Amministrazione si riunirà il prossimo 23 aprile.Schermata tratta dal procedimento ACGM PS11233.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Roberto PEZZALI

Apple Pay era solo l’inizio: Apple ha

annunciato la sua prima carta di

credito, una carta nata in collabora-

zione con Mastercard e Goldman Sachs.

Una carta che nasce virtuale, all’interno

dell’iPhone, ma che avrà anche una sua

declinazione fisica per pagare nei nego-

zi in tutto il mondo.

Secondo Apple quest’ultima è la più bel-

la e sicura carta di credito mai creata: è

realizzata infatti in titanio, non ha firma,

non ha numero, non ha scadenza, ha

solo il chip. La carta sarà al momento un

prodotto dedicato al mercato america-

no, ma è comunque interessante vedere

come Apple ha cercato di cambiare un

servizio legato da sempre a logiche ben

precise, quelle dettate dal sistema ban-

cario. Per creare la carta basterà un click

dall’iPhone, e sarà subito utilizzabile in

ogni negozio che accetta Apple Pay.

La nascita di una carta che usa Pay ob-

bligherà molti esercenti che ancora non

accettano il sistema di pagamento Apple

a farlo. Dall’app Wallet si potrà vedere

l’estratto conto, diviso anche per tipolo-

gia di acquisto per avere un dato rilevan-

MERCATO Apple Card è la prima carta di credito Apple. Nasce per iPhone, ma c’è anche fisica

Apple Card, la carta di credito Apple che restituisce un po’ di soldi ad ogni acquistoAssenza di costi e commissioni e cashback istantaneo le particolarità. Non arriverà in Italia

te di dove si spende di più e per cosa.

Tutti dati che restano elaborati sul dispo-

sitivo, in nome della privacy: Apple tiene

a precisare che Goldman Sachs non po-

trà rivendere i dati a terzi, anche se, per

forza di cose, ne entrerà in possesso.

Il lato interessante della nuova carta, ol-

tre all’assenza di costi e commissioni, è il

cashback istantaneo: per ogni acquisto

fatto con la carta sarà accreditato nel

portafoglio virtuale dell’utente un “Daily

Cash” da spendere come si vuole. Soldi

veri, il 2% per ogni acquisto e il 3% per

ogni acquisto Apple: tutto senza limite

giornaliero. Gli acquisti fatti tramite la

carta fisica avranno solo l’1% di cashback,

ma è comunque uno sconto perenne.

Arriverà in estate. Non in Italia.

di Pasquale AGIZZA

Apple News+ viola le linee guida

di Apple per gli sviluppatori e

dovrebbe essere estromessa dal-

l’App Store. È questa la situazione para-

dossale in cui si troverebbe la casa di

Cupertino, secondo un ex sviluppatore

iOS. Dave DeLong, questo è il nome

dello sviluppatore, accusa l’app News+

di violazione della nuova versione 3.1.2

delle linee guida dell’App Store. Più spe-

cificatamente lo sviluppatore si scaglia

contro la mancanza di un collegamento

alla pagina della privacy nella scherma-

ta di iscrizione al servizio di Apple. Rile-

va, poi, la mancanza di informazioni sul

come annullare l’abbonamento. Le due

mancanze, linee guida alla mano, por-

terebbero all’esclusione di un’app terza

MERCATO È noto che Apple impone regole rigide agli sviluppatori per caricare le app sul suo store

Apple News+ accusata di violare le regole dello storeSecondo un ex sviluppatore, News+ violerebbe le regole imposte dalla stessa Apple

dall’Apple Store.

Come evidenziato

da The Verge, Ap-

ple impone agli svi-

luppatori di rendere

evidente al massimo

le spese ricorrenti

all’interno di un’app.

“L’importo che ver-

rà addebitato deve

essere l’elemento di

prezzo più importante nel layout ... Ciò

garantisce che gli utenti non siano in-

gannati” è il passaggio estrapolato dalle

nuove linee guida. Apple, invece, nella

pagina di registrazione a News+ non

mette in evidenza l’importo della sotto-

scrizione mensile, ma anzi avrebbe usa-

to un carattere molto piccolo rispetto alla

grandezza degli altri caratteri. Sempre

secondo la denuncia dell’ex sviluppato-

re, non sarebbe nemmeno la prima vol-

ta che Apple adotta questa politica del

doppio binario. Difatti il gigante di Cu-

pertino avrebbe pubblicizzato i servizi di

Apple Music e Carpool Karaoke tramite

notifiche push, una pratica che è impedi-

ta alle app sviluppate da terzi.

Musica Lo streaming la fa da padrone Crescono i viniliPer il quarto anno consecutivo il mercato mondiale della musica è cresciuto: nel 2018 è stato registrato un +9,7%. Streaming è la fonte più grande, quasi la metà della torta intera

di Riccardo DANZOSecondo i dati pubblicati nel Glo-bal Music Report 2019 dell’IFPI, i ricavi totali del mercato discogra-fico mondiale nel 2018 sono stati di 19,1 miliardi di dollari, il 9,7% in più rispetto a quelli del 2017. In particolare, i ricavi derivanti dello streaming musicale sono cresciuti del 34% e rappresentano oramai quasi la metà dei ricavi globali (47%), soprattutto grazie a un au-mento del 32,9% dello streaming a pagamento. La crescita dello streaming nel mercato musicale, quindi, ha più che compensato il calo del 10,1% della vendita delle copie fisiche e quello del 21,2% dei download digitali. Nel contesto del calo del prodotto musicale fisico, i ricavi dei vinili sono cresciuti per il tredicesimo anno consecutivo del 6%, mantenendo una fetta del 3,6% del mercato. È interessante notare, inoltre, che, per il quarto anno consecutivo, l’America Latina è stata la zona con la crescita più rapida (+16,8%). Riguardo al futuro del mercato discografico, Frances Moore, amministratore delegato di IFPI, ha dichiarato: “Affinché il mer-cato della musica continui a svi-lupparsi ed evolversi, è necessario che siano disponibili adeguate infrastrutture legali e commerciali per garantire che la musica stessa sia valutata in maniera equa e che i ricavi vengano restituiti ai titolari dei diritti per sostenere il prossimo ciclo di sviluppo. Continuiamo a lavorare per il rispetto e il ricono-scimento del copyright musicale in tutto il mondo e per la risoluzione del gap di valore stabilendo condi-zioni di parità per coloro che crea-no musica. [...]

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Gianfranco GIARDINA

L a domanda è lecita: l’operazione

Apple Card, che dà un cash back

regolare del 2% per ogni acquisto

contactless, è un miracolo della finanza

o è semplicemente un’attività in perdita,

per mettere fuori gioco le banche tradi-

zionali e prenderne il posto?

Sì, perché non è chiaro dove Apple trovi

l’equilibrio economico del programma

che prevede che il 2% di quanto speso

via Apple Pay torni quotidianamente nel

borsellino come contante. Questa per-

centuale si riduce all’1% per gli acquisti

fatti presso POS non compatibili con

Apple Pay e sale al 3% per acquisti fatti

presso Apple. Se per gli acquisti in Apple,

la marginalità per fare questo “sconto”

del 3% certamente non manca, è meno

chiaro come sia sostenibile la politica del

2% su tutti gli altri acquisti contactless.

Tanto più che Apple ha annunciato che

la Apple Card non avrà commissioni an-

nuali di alcun tipo e quindi tutti i ritorni

devono derivare solo dalle commissioni

che i rivenditori riconoscono al siste-

ma bancario. Siamo quindi andati a

guardare quali siano le cosiddette

tariffe di interscambio bancario, sul

circuito MasterCard USA (la Apple

Card sarà una MasterCard); ovvero-

sia quanto la banca che gestisce il

POS e che incassa, retrocede alla

banca che emette la carta: entro

quelle percentuali c’è il margine

dell’operazione, gestita per conto

di Apple, dalla banca d’affari Goldman-

Sachs. Se si scorre il documento, che

elenca tutte le categorie di merchant e

il tipo di transazione, nella stragrande

maggioranza di parla di percentuali com-

prese tra l’1 e il 2%, salvo la condizione

denominata “standard” (ovverosia il caso

peggiore) che sfiora il 3%. Se ci limitassi-

mo a questa osservazione, verrebbe da

dire che il cash back dell’1% si può an-

cora sostenere all’interno di queste cifre,

ma quello del 2% sembra essere un’at-

tività in perdita; potenzialmente, con il

volume di affari che l’iniziativa potrebbe

assumere negli Stati Uniti, una grande

perdita. Soprattutto perché la maggior

parte degli acquisti finisce verso punti,

come i supermercati, che certamente

non si vedono applicate le condizioni

MERCATO Abbiamo cercato di capire i fondamentali economici alla base dell’offerta Apple Card

Come può Apple Card dare il 2% di cash back? Apple ci perde o ci guadagna?L’offerta appare super-conveniente. Difficile che la stessa cosa venga replicata anche in Europa

standard ma hanno condizioni facilitate.

Per capire meglio, abbiamo contatta-

to un esperto di sistemi di pagamento,

che ha preferito mantenere l’anonimato

“Certamente, oltre alle percentuali del

documento che avete trovato, entrano

in gioco altre considerazioni direi più di

ordine statistico - ci spiega -. Come per

esempio la propensione dei consuma-

tori USA ad acquistare con la carta in

modalità revolving”. Ovverosia indebi-

tandosi e pagando quindi gli interessi

passivi sulla cifra anticipata dalla carta di

credito. Infatti, l’applicazione di interessi

passivi (malgrado Apple abbia dichiara-

to di voler applicare tassi più bassi delle

banche comuni) apre lo spazio a nuova

marginalità, nella quale può nascon-

dersi una fonte di sostentamento per

il programma di cash back. Gli analisti

Apple devono aver considerato che ne-

gli USA una quota parte rilevante delle

transazioni statisticamente avvengono a

debito, cosa che di fatto va a finanziare

anche il cash back per chi compra a cre-

dito, che da solo non si giustificherebbe.

“Ma potrebbe esserci anche dell’altro -

continua l’esperto -: nel computo non è

escluso che sia stata considerata anche

la tipologia dell’acquirente tipico Apple.

Si presume che questo compri più e me-

glio della media dei consumatori, e così

facendo alimenti maggiori margini per il

sistema”. L’allusione dell’esperto è, per

esempio, al fatto che i grandi discount,

sulla base dei propri volumi di transazio-

ni, strappano condizioni migliori ai circui-

ti di pagamento, che lasciano quindi una

marginalità ridotta. Cosa diversa è per

i negozi più piccoli e le boutique, in cui

la marginalità della banca resta buona:

se si assume che il mix di acquisto del-

la “popolazione Apple” sia più spostato

verso questi ultimi negozi rispetto alla

media, la marginalità netta delle transa-

zioni potrebbe rivelarsi più alta. Inoltre,

si scommette probabilmente sul fatto

che gli utenti Apple siano più portati

a viaggiare: negli acquisti all’estero le

commissioni di interscambio bancario

salgono. Non è neppure da escludere

a priori che, in un mercato concentrato

come quello USA, Apple abbia potuto

strappare ai grandi retailer e alle ca-

tene un’extra commissione per tutti i

pagamenti con Apple Pay che contri-

buisca a sostenere l’operazione.

Per il momento Apple Card esiste

solo negli USA: “Sarà molto difficile ve-

dere un programma simile anche dalle

nostre parti - conclude l’esperto -: da

noi il circuito dei pagamenti non ha as-

solutamente i margini per un cash back

universale del 2%, dato che le tariffe di

interscambio bancario sono regolate

dall’Unione Europea a livelli più bassi di

quelli USA. Inoltre la tipologia della no-

stra utenza, più votata al risparmio che

all’indebitamento, non attiva a sufficien-

za le altre fonti di reddito”. Questo ovvia-

mente non vuol dire che utenti USA non

possano acquistare anche in Italia con

Apple Card; ma gli utenti italiani, almeno

per il momento, si scordino di avere la

mela stampata sulla propria carta di cre-

dito, fisica o virtuale che sia. Per lo meno

a queste condizioni.

GameStop in difficoltà Nel 2018 ha perso 673 milioni di dollariIl più grande rivenditore di videogiochi al mondo, GameStop, sta lottando con il rallentamento delle vendite nei suoi negozi di Giovanni CAU

L’azienda ha reso ufficiale la notizia pubblicando i risultati finanziari del 2018 dai quali si evince una perdi-ta pari a 673 milioni di dollari nello scorso anno. Se nel 2017 i profitti netti della catena erano pari a 34,7 milioni, nel corso del 2018 queste entrate si sono trasformate in per-dite intaccando tutti i settori: le ven-dite di hardware sono scese dell’1% (1,77 miliardi di dollari); i giochi in digitali hanno registrato un calo del 5% (2,45 miliardi di dollari) e le vendite di giochi usati sono crollate di oltre il 13% (1,87 miliardi di dolla-ri). L’azienda, che recentemente ha venduto la divisione Spring Mobile per 700 milioni di dollari, non riesce a risollevarsi dai problemi econo-mici non riuscendo a trovare azien-de interessate ad acquisire l’intera compagnia. Secondo indiscrezioni, i vertici dell’azienda stanno cercan-do di risolvere il problema e si parla già di negozi “Gamestop 2.0”, alla base dei quali l’intento sembra sia di rendere i negozi più vivi e inte-ressanti, concentrandosi anche sulla promozione del videogioco inteso come prodotto culturale. Il progetto potrebbe partire già ad agosto in Nord America, con l’apertura di nuovi punti vendita e la trasformazione radicale di altri. Tra le novità in arrivo si parla di proiezioni di trailer, gameplay e an-teprime, oltre alla possibilità di far provare i giochi prima dell’uscita. Altri modi possibili in cui GameStop prevede di risparmiare denaro nel nuovo anno fiscale è quello di con-centrarsi su una migliore efficienza della supply chain, miglioramenti operativi, ottimizzazione dei prezzi e delle promozioni.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Massimiliano DI MARCO

Apple lo aveva promesso: meno fo-

cus sull’hardware e più attenzione

ai servizi, la vera leva sul quale cos-

truire la crescita dell’azienda. Con gli an-

nunci del 26 marzo, la casa di Cupertino

ha dato forma a tale spirito annunciando

tre abbonamenti: News+ per le notizie;

Arcade per i videogiochi mobile e TV+

per serie TV in streaming. C’è persino

una carta di credito, chiamata Apple Card.

Annunci che danno così l’ultimo colpetto

al chiodo che appende il quadro della vi-

sione futura di ciò che deve fare Apple

per restare in vetta e come deve farlo.

Nei giorni precedenti all’evento Apple ha

brevemente annunciato le riedizioni di al-

cuni componenti essenziali del suo cata-

logo hardware: i nuovi iPad Mini e iPad

Pro; iMac e iMac Pro rinnovati e, infine, le

tanto attese AirPods 2 con ricarica wire-

less e autonomia migliorata. Revisioni

tecniche che normalmente avrebbero

ricevuto il proprio spazio a un evento

primaverile dedicato, durante il quale

Apple avrebbe snocciolato le bontà del

rinnovamento hardware, avrebbe fornito

una direzione commerciale per ciascuno

MERCATO I nuovi iPad e iMac vengono annunciati via Twitter; ai servizi le luci della ribalta

Notizie, TV e carte di credito. Così Apple “retrocede” iPhone e guarda al futuroApple passa da una visione hardware-centrica a una in cui iPhone e soci sono solo un mezzo

dei nuovi prodotti e, in soldoni, avrebbe

cercato di far salire tutti gli affezionati del

marchio sul carro delle novità. Non più.

Le luci dei riflettori sono state usate per

mettere in evidenza i servizi di stream-

ing e di aggregazione delle notizie, pre-

sentati con ospiti illustri sul palco dello

Steve Jobs Theatre. I servizi sono il nuovo

iPhone, potremmo dire, parafrasando un

popolare detto del mondo della moda:

l’hardware va in secondo piano - addir-

ittura relegato a un annuncio su Twitter

dal profilo dell’amministratore delegato

- mentre ai servizi va dato lustro, il mega-

fono mediatico e la spinta necessaria per

farli partire al massimo.

Il verdetto nei prossimi trimestriCosì la trasformazione è ultimata, almeno

sulla carta. Ogni utente può avere molte-

plici servizi sul proprio iPhone, mentre è

molto meno probabile che un utente avrà

più di un iPhone; una “densità” più alta di

servizi installata su una corposa base di

1,4 miliardi di dispositivi Apple attivi. Ab-

biamo scritto “sulla carta” perché bisogn-

erà valutare sul medio e lungo termine

l’impatto che questa strategia commer-

ciale avrà sulla salute finanziaria di Ap-

ple che, nel frattempo, si è riappropriata

dell’etichetta di società a maggior capi-

talizzazione al mondo (ora vale quasi 890

miliardi di dollari) riprendendosi il posto

che Microsoft le aveva sottratto alla fine

dello scorso anno. Con gli iPhone che

tenderanno a registrare un segno nega-

tivo nella crescita annuale probabilmente

per tutto l’anno, servizi come News+, Ar-

cade e TV+ diventeranno sempre più es-

senziali. Per cui non è stato sorprendente

che Apple abbia deciso di far arrivare TV+

anche su TV di terze parti, esattamente

come per Apple Music decise di sbarcare

anche su Android. Nel trimestre di dicem-

bre i servizi di Apple hanno portato nelle

casse aziendali 10,9 miliardi di dollari. Pur

in calo, iPhone ha sfiorato i 52 miliardi di

dollari. Con la sua nuova strategia Cook

mira a ribaltare tale equilibrio perché,

semplicemente, dagli iPhone non riuscirà

a spremere nessun’altra crescita; i servizi,

al contrario, dimostrano ampio margine

di miglioramento. A caccia del nuovo te-

soro, Apple ha definitivamente svelato le

carte: servizi, servizi e altri servizi, da ap-

poggiare sull’hardware - che continuerà

a esserci, sarà costantemente rinnovato

e genererà miliardi di dollari.

Estratto dai quotidiani onlinewww.DDAY.it

Registrazione Tribunale di Milanon. 416 del 28 settembre 2009

e

www.DMOVE.itRegistrazione Tribunale di Milano

n. 308 del’8 novembre 2017

direttore responsabileGianfranco Giardina

editingMaria Chiara Candiago

EditoreScripta Manent Servizi Editoriali srl

via Gallarate, 76 - 20151 MilanoP.I. 11967100154

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Dall’Europa 573 milioni di euro per la banda larga nelle zone disagiateLa Commissione Europea ha stan-ziato circa 573 milioni di euro per il finanziamento del piano digitale italiano, ovvero per il piano Banda Ul-tralarga, che intende portare internet ad alta velocità anche a chi risiede in zone non interessanti economica-mente per gli operatori privati. Il fi-nanziamento coprirà il 60% dei “costi ammissibili del progetto”, dando un sostegno consistente al progetto già in corso di realizzazione, che prevede la copertura di 7.000 comuni italiani e circa 12,5 milioni di abitanti e 1 milione di imprese (i cui cantieri sono già in fase di apertura). L’obiettivo è dotare di una connessione di almeno 100 Mbps l’85% delle famiglie e degli edifici pubblici e di almeno 30 Mbps per tutto il resto della popolazione en-tro il 2020. Il finanziamento fa parte dei Fondi strutturali e d’investimento europei di cui l’Italia è il secondo maggiore beneficiario.

MERCATO Un utente ha postato le foto del suo acquisto

L’Antitrust multa Girada: non rispettati gli impegni assunti

di Massimiliano DI MARCO

Violazione degli impegni assunti il 21 febbraio

2018. Con tale accusa, l’Autorità Garante per la

Concorrenza e il Mercato (AGCM) ha multato

Girada per 250mila euro. In particolare, l’Autorità ha

accertato che l’azienda non ha portato avanti quanto

aveva promesso di fare affinché il proprio sistema di

vendita - basato sulla prenotazione dei prodotti a prezzo basso fintanto che l’utente

accetta di essere inserito in una lista e che altri consumatori prenotino tale prodotto - po-

tesse essere in regola. Tra gli impegni che lo scorso anno AGCM aveva chiesto a Girada

di assumere citiamo, a titolo d’esempio, la necessità di una “sostanziale modifica del set

informatico al fine di chiarire lo schema di vendita”, oltre a permettere agli utenti, dopo

“almeno 9 mesi dalla prenotazione”, di acquistare il prodotto scelto al prezzo di mercato

praticato “al momento della richiesta”. Le misure richieste dall’Autorità erano “orientate a

superare gli elementi di criticità [...]” che se adottate “avrebbero consentito ai consuma-

tori di disporre di una serie di informazioni capaci di sanare i possibili profili di illegittimità

delle condotte commerciali”, oggetto del precedente provvedimento.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Roberto PEZZALI

AirPower era un progetto impos-

sibile. Apple ci ha provato fino

all’ultimo, ma poi ha mollato. I

commenti pubblicati sotto il nostro arti-

colo dedicato alla chiusura del progetto,

lasciano pensare che molti non abbiano

capito davvero quanto fosse allo stesso

tempo, complesso, ambizioso e di scarsa

fattibilità il progetto di AirPower.

Apple non voleva un semplice o banale

caricatore wireless, come quello dell’Ikea

a tre posti o come quello che producono

Belkin e altre aziende cinesi, Apple vole-

va una piattaforma dove si potessero ap-

poggiare dispositivi in ogni posizione o

modo e questi venissero di conseguen-

za ricaricati. La cosiddetta “free position

wireless charging”, un qualcosa che an-

cora oggi con lo standard Qi non è stato

fatto da nessuno. Igor Spinella è un inge-

gnere meccatronico, ed è

anche l’ingegnoso pro-

gettista di un innovativo

sistema di carica wireless

diverso da quello usato

oggi in tutto il mondo

(magnetico), la ricarica

capacitiva, a suo dire più

efficiente e molto più

promettente. E abbiamo

chiesto proprio a lui,

che ha trasformato la

sua Eggtronic in una delle più promettenti aziende mondiali nel campo della ricarica, wireless, e non, di

spiegarci perché nessuno è mai riusci-

to a creare un caricatore come quello

che voleva Apple, e anche Apple, con

le risorse che ha a disposizione, ha fal-

lito. “Lo avevo detto tanti anni fa: quella

tecnologia non avrebbe mai potuto fun-

zionare. Se si vuole efficienza si perde la

possibilità di avere lunga distanza, se si

vuole compatibilità con più dispositivi e

totale libertà di posizionamento si perde

la possibilità di passare la certificazione.

Le emissioni elettromagnetiche sono

troppo elevate con una concentrazione

tale di bobine”.

Tutto ciò che trasmette ad alta distanza

non può avere anche alta potenza, al-

trimenti è pericoloso ci spiega Spinella,

che aggiunge “Chiunque dica il con-

MERCATO Molti non hanno capito quanto il progetto di AirPower fosse complesso e ambizioso

AirPower era un progetto impossibile Ecco i motivi per cui Apple ha fallitoUn ingegnere ci spiega le difficoltà tecniche e perché la libertà di posizionamento è fallita

trario sta mentendo. Se si vuole libertà

di posizionamento si deve necessaria-

mente abbandonare la tecnologia in-

duttiva, perché altrimenti un dispositivo

diventa un concentrato tale di bobine

che per calore generato e emissioni

non avrai mai il permesso per la com-

mercializzazione”. Questo è un limite

dello standard Qi, lo standard oggi usa-

to dagli smartphone e

basato proprio sulla

ricarica magnetica. La

corrente passa in un

filo, la bobina, e induce

un campo magnetico

che viene raccolto con

un’altra bobina e ritra-

sformato in corrente.

“Per dare un po’ di li-

bertà servono molte

bobine, quindi non

è scalabile, inoltre

una bobina da lap-

top è poco adatta a

un telefono o ad uno smart watch e vi-

ceversa”. Infatti, nonostante sia Qi, oggi

l’Apple Watch ha bisogno di una sua

bobina e di un suo caricatore dedicato:

nelle basi di ricarica ha il suo posto fis-

so, non può essere appoggiato a caso.

Apple ha fatto il passo più lungo della

gamba, perché questo non è un proble-

ma di ingegneria ma di fisica e Spinella

lo chiarisce bene “In generale il position

freedom, ovvero il poter ricaricare dove

si vuole, e la scalabilità da dispositivi

piccoli e grandi è un problema più di fi-

sica che di ingegneria. Nel sistema che

abbiamo creato, e lo abbiamo mostrato

con successo alle varie fiere internazio-

nali, con TV alimentati senza fili, abbia-

mo cambiato completamente la fisica

utilizzando il campo elettrico invece del

campo magnetico. Il campo elettrico è

più facile da confinare e da scalare sui

vari dispositivi in modo sostanzialmente

indipendente”.

Nella ricarica con campo elettrico, per

farla semplice, si mettono cariche positi-

ve o negative sulle superfici e di genera

attrazione con le cariche di segno oppo-

sto posizionate sul dispositivo. “Con la

tecnologia capacitiva, rispetto a quella

induttiva usata oggi dallo standard Qi,

si evita di passare da campo elettrico a

magnetico e viceversa, rimane tutto elet-

trico senza passaggi intermedi” spiega

l’ingegnere, aggiungendo che stanno

lavorando per estendere gli standard Qi

ed Airfuel integrando la loro tecnologia.

Apple non ha fallito su un banale acces-

sorio, come pensano in molti, ha fallito

nel tentativo di fare un qualcosa che con

le attuali regole in termini di emissioni e

di sicurezza non è proprio possibile fare.

Probabilmente nei laboratori funzionava,

ecco perché l’annuncio, ma non si è riu-

sciti a scendere sotto determinati livelli

di emissione e calore senza perdere di

prestazioni. Una cosa andrebbe anche

aggiunta: Apple ha fallito cercando di

spremere al massimo uno standard che

non è suo e non ha creato lei, il Qi, uno

standard che funziona anche con altri

prodotti di ogni marca e tipo.

Una cosa “non da Apple”: qualcuno ha

affermato che Steve Jobs avrebbe pre-

so tutti a schiaffi fino a quando non lo

facevano funzionare, ma probabilmente

con Steve Jobs Apple si sarebbe fatta

il suo standard di ricarica senza fili, ma-

gari sfruttando una soluzione capacitiva

come quella di EggTronic, disinteressan-

dosi della compatibilità con altro. Una

AirPower “non Qi” probabilmente oggi

sarebbe in vendita negli Apple Store.

Igor Spinella - CEO di Eggtronic

Huawei: “In due anni metà dei nostri smartphone top di gamma sarà pieghevole”Il CEO di Huawei Richard Yu si lancia in previsioni sul futuro dei dispositivi pieghevoli. In due anni i pieghevoli costeranno quanto gli attuali top di gamma. E il P40 potrebbe essere rivoluzionario di P. AGIZZATempo due anni e gli smartphone pieghevoli costeranno quanto gli attuali top di gamma. E Huawei spingerà forte sul settore, con al-meno la metà dei dispositivi top di gamma dei prossimi anni che sa-ranno pieghevoli. È questo il sunto dell’intervista rilasciata da Richard Yu a GSMArena. Il CEO di Huawei, che dichiara di utilizzare come telefono principale il Mate X, si dimostra molto ottimista riguardo al futuro degli smartphone pieghe-voli. “Penso che in un paio d’anni, metà dei nostri dispositivi di punta potrebbero essere pieghevoli” ha detto. Huawei, che insieme a Sam-sung ha tracciato la strada dei di-spositivi pieghevoli, sembra inten-zionata quindi a spingere forte su questa tecnologia, anche se attual-mente il prezzo di questi prodotti rappresenta uno scoglio spesso insormontabile per i clienti.“ I tele-foni pieghevoli sono solo all’inizio e la quota di mercato è piccola, costano molto ed è molto costoso produrli” ha sintetizzato Yu. “Sono convinto, però, che in due anni i te-lefoni pieghevoli avranno un prez-zo simile agli attuali telefoni top di gamma”. In chiusura, l’alto dirigen-te ha parlato del nuovo P30 Pro appena lanciato, concentrandosi anche sul successore. “Proporre-mo un telefono pieghevole con la stessa tecnologia di P30 Pro ma di-mensioni pari alla metà. Siamo già al lavoro su un telefono pieghevo-le più piccolo.”

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Massimiliano DI MARCO

Smartphone, TV e fotocamere sot-

to un’unica bandiera. Dal 1 aprile

Sony racchiuderà tutte e tre le divi-

sioni sotto l’etichetta di Electronics Pro-ducts & Solutions. Non per nascondere

le prestazioni finanziarie - a oggi ancora

pessime - dei suoi smartphone Xperia,

bensì per aumentare la cooperazione tra

le varie aree tecnologiche dell’azienda

e rilanciare così gli smartphone, a oggi

il segmento finanziario più debole di

Sony. La cooperazione tra i vari rami del-

la società, però, è qualcosa che ha già

iniziato a fare con Xperia 1, smartphone

che condivide alcuni tratti salienti della

longeva competenza di Sony nel campo

TV e fotografia. L’unificazione di questi

tre segmenti porta con sé il segno del-

l’ufficialità di tale volontà aziendale.

Sony ha inoltre annunciato che chiuderà

l’impianto produttivo in Cina, a Pechino,

in un’operazione di riduzione dei costi

associati ai suoi smartphone; gli Xpe-

ria saranno quindi prodotti soltanto in

Thailandia, ultimo impianto previsto per

questi dispositivi. Il giro d’affari mobile è

MERCATO Nasce la divisione Electronics Products & Solutions: più cooperazione tra le varie aree Sony

Sony unisce Xperia, TV e fotocamere Obiettivo? Rilanciare gli smartphoneTanti vedono un modo per nascondere il passivo dei telefoni, ma per Sony è una scelta strategica

uno dei più critici per Sony: tra ottobre

e dicembre, la divisione smartphone ha registrato un passivo di 124 milioni

di euro; per l’intero anno fiscale 2018

è previsto un passivo di 95 miliardi di

yen (765 milioni di euro). Per fare un

confronto, i videogiochi hanno portato

nelle casse ricavi per oltre 6 miliardi di

euro, nonostante PlayStation 4 si avvii

verso l’ultima parte del suo ciclo vitale.

Dato l’attuale stato di salute dei telefo-

ni Xperia, tanti analisti hanno intravisto

la volontà di celare il costante calo dei

ricavi degli smartphone che, nel conte-

sto di un’unica divisione, sarebbero bi-

lanciati dalle prestazioni commerciali di

altre categorie di prodotto, come le fo-

tocamere e i TV. La società giapponese

non solo smentisce tale prospettiva, ma

ritiene che anche vendere i propri smar-

tphone a un’altra azienda sarebbe con-

troproducente ora che stanno nascendo

i primi servizi basati sul 5G; anzi, Sony

prevede di ribaltare le sorti dei suoi smar-

tphone entro aprile 2020, rendendoli un

giro d’affari in attivo.

di Franco AQUINI

Quanto cibo viene buttato via ogni

anno in Italia? 10 milioni di tonnel-

late, pari a circa 15 miliardi di euro.

Più o meno come un pezzo importante

di una manovra finanziaria. Ma in questo

caso lo spreco è doppiamente grave,

perché si tratta di cibo, per giunta ancora

buono. Per evitare tutto questo, l’app Too

Good To Go permette ai proprietari di bar,

ristoranti, forni, pasticcerie, supermercati

e hotel di rimettere in vendita tutto quello

che a fine giornata non è stato venduto,

ma è ancora “troppo buono per essere

buttato”. A prezzi ribassati, ovviamente,

ma pur sempre venduti. L’app in que-

stione arriva in Italia dopo essere nata in

Danimarca nel 2015 e dopo aver riscos-

so successo sugli app store di mezza

Europa. Funziona in modo semplice: a

MERCATO Anche in Italia il servizio per acquistare prodotti non venduti di ristoranti, bar e supermercati

Too Good To Go: cibo avanzato venduto a pochi euroSi eviteranno così sprechi di cibo e si potranno gustare piatti da ristorante con pochi euro

fine giornata i ristora-

tori possono prepara-

re delle “Magic Box”

contenenti piatti e pro-

dotti che sono rimasti

invenduti e che non

possono essere rimes-

si in vendita il giorno

dopo. L’utente dell’app

non sa cosa c’è den-

tro, ma può accettare

di scoprirlo pagando un prezzo che va

dai 2 ai 6 euro. In questo modo si può

portare a casa un piatto, magari dal co-

sto anche elevato, e il ristoratore eviterà

di buttare via del cibo ancora buono. C’è

poi il vantaggio per l’ambiente: sarà una

stima un po’ forzata, ma secondo i crea-

tori dell’app, ogni Magic Box acquistata fa

risparmiare all’ambiente 2 Kg di anidride

carbonica emessa. I primi negozi a sup-

portare Too Good To Go saranno i risto-

ranti biologici EXKi e i negozi Carrefour,

mentre Eataly partirà con un progetto

pilota nel punto vendita di Milano Smeral-

do. Sempre a Milano, le Magic Box saran-

no preparate anche da to.market, Tramè

e il micropanificio artigianale Le Polveri.

ipio della domanda e dall’offerta.

Huawei vola Ricavi oltre 100 miliardi nonostante le controversie politicheIl settore consumer diventa il reparto più in crescita. Calo nel settore dei dispositivi per infrastrutture di rete di P. AGIZZA

Più di 100 miliardi di dollari di ricavi, con una crescita del 19,5% su base annua nel 2018. Sono questi gli im-pressionanti numeri di Huawei, che continua il suo periodo magico no-nostante le controversie politiche, in particolar modo con gli Stati Uniti. Nello specifico parliamo di 107 mi-liardi di dollari di ricavi, con un utile netto di 59,3 miliardi. Un rialzo del 25,1% rispetto allo scorso anno. Gran parte del merito per questi ot-timi dati finanziari va al settore con-sumer, che per la prima volta nella storia dell’azienda cinese diventa il reparto più remunerativo. Le con-troversie politiche, col governo degli Stati Uniti che ha espresso preoccupazione per il fatto che i di-spositivi di rete di Huawei possano essere utilizzati dal governo cinese per azioni di spionaggio, hanno la-sciato però un segno sul bilancio dell’azienda cinese.Il settore carrier, cioè quello in cui vengono conteggiati i ricavi derivanti dalla vendita delle appa-recchiature per le infrastrutture di rete, segna infatti un piccolo calo rispetto allo scorso anno e, per la prima volta nella storia del gigan-te asiatico, perde il titolo di settore più remunerativo dell’azienda.Riguardo le prospettive per il futu-ro, Guo Ping, uno dei dirigenti più in vista di Huawei, ha dichiarato che nel periodo di gennaio e feb-braio l’azienda ha fatto segnare un +30% rispetto allo stesso pe-riodo dello scorso anno. Grazie anche alla presentazione della nuova serie P30, il dirigente si è sbilanciato prevedendo anche per il prossimo anno una percentuale di crescita in doppia cifra.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Sergio DONATO

L a dibattuta riforma europea sul di-

ritto d’autore è stata approvata dal

Parlamento Europeo in seduta ple-

naria con 348 voti a favore, 274 contrari

e 36 astenuti.

In modo particolare, l’Articolo 11 della

riforma darà la possibilità agli editori di

stampa di fare accordi con le piattafor-

me online per farsi pagare l’utilizzo dei

contenuti di informazione. I ritagli delle

notizie che danno forma ai cosiddetti

“snippet” e che descrivono il contenuto

di una notizia non avranno alcuna pro-

tezione dalla riforma e quindi resteranno

nel libero uso delle piattaforme online.

Gli introiti derivanti dall’uso dei contenuti

di informazione dovranno essere condi-

visi con i loro creatori, dunque i giorna-

listi. L’Articolo 13, anch’esso monitorato

dall’opinione pubblica, non richiederà

SOCIAL MEDIA E WEB Finalmente approvata la riforma. Articolo 11 con importanti novità

Approvata la riforma europea sul copyright. Che cosa prevedeLa riforma esclude i meme e le piattaforme senza scopo di lucro come Wikipedia o GitHub

l’utilizzo di filtri rappre-

sentati da algoritmi au-

tomatici che esclude-

ranno la pubblicazione

di materiale protetto

da copyright di cui non

si possiede la licenza,

ma l’eventuale reclamo

dei possessori di quei

diritti sarà gestito da

persone. Inoltre, i sin-

goli utenti non rischiano più sanzioni per

aver caricato online contenuti protetti da

copyright, e la responsabilità sarà tutta

nelle mani delle grandi piattaforme come

Facebook o Youtube, mentre quelle di

dimensioni medie avranno obblighi mi-

nori e le piccole saranno completamente

esentate da qualsiasi verifica. I meme, le

parodie e la satira non subiranno alcuna

limitazione dovuta alla contaminazione

della loro esistenza con materiale pro-

tetto dal diritto d’autore. Restano fuori

dalla riforma anche le piattaforme senza

scopo di lucro, come Wikipedia, e quelle

dedicate alla condivisione di materiale

open source, come GitHub. I contenitori

cloud di file non avranno alcun obbligo

circa la nuova riforma e non dovranno

controllare l’esistenza sui loro server di

materiale soggetto a copyright.

SOCIAL MEDIA E WEB Dopo due anni di istruttoria, il Garante della privacy ha multato il M5S

Garante della Privacy contro piattaforma Rousseau “Voti manipolabili”. Scatta multa da 50mila euroLa piattaforma di voto online, Rousseau, è stata ritenuta poco sicura e poco moderna

di Sergio DONATO

I l Garante della Privacy ha concluso

l’istruttoria iniziata due anni fa che

aveva come oggetto la sicurezza dei

dati degli iscritti alla piattaforma online

Rousseau del Movimento Cinque Stelle,

ingiungendo all’Associazione Rousseau

una sanzione di 50mila euro per la man-

cata garanzia nella segretezza e nella si-

curezza dei voti degli iscritti che possono

essere manipolati dagli amministratori del

sistema. Siamo andati a leggere il provve-dimento del Garante, che dal dicembre

2017 ha condotto indagini in diverse fasi

ispettive sui siti “rousseau.movimento-

5stelle.it” e “www.movimento5stelle.it”. Il

Garante ha notato un innalzamento com-

plessivo dei livelli di sicurezza, ma anche

una pericolosità insita nell’obsolescenza

di alcuni software del Movimento, che

utilizza un CMS Movable Type 4 quan-

do la versione più aggiornata è la Type

7. Inoltre, per la Type 4 il produttore Six

Apart non rilascia più

aggiornamenti né patch

di sicurezza.

Alcuni servizi delle

piattaforme software

in capo a Movimento 5

Stelle e all’Associazio-

ne Rousseau possono

essere controllati dagli

amministratori di siste-

ma con connessione

VPN, non lasciando traccia dell’intera-

zione con i sistemi ed escludendo quindi

la possibilità di verifiche. Nel corso delle

votazioni online, inoltre, si è riscontrato

che le misure adottate in ottica di sicu-

rezza sono basate su procedure orga-

nizzative e non su automatismi informa-

tici. La conclusione del Garante ingiunge

all’Associazione Movimento 5 Stelle e

all’Associazione Rousseau di implemen-

tare la verifica a posteriori delle attività

compiute, di assegnare credenziali di au-

tenticazione ai differenti profili di autoriz-

zazione, di aggiornare i software utilizzati

e di riprogettare di fatto il sistema di voto

online. E stacca dal blocchetto anche una

sanzione da 50mila euro. Enrica Sabati-

ni, socia dell’Associazione Rousseau, ha commentato il provvedimento del Ga-

rante affermando che “l’infrastruttura tec-

nologica di Rousseau è stata potenziata

recependo le istruzioni del Garante e che

è uno strumento all’avanguardia in grado

di soddisfare le esigenze degli utenti”.

Perché vedi un post nel news feed? Ora Facebook te lo spiegaFacebook introduce la sezione che spiega perché un contenuto è proposto in quel momento di Giuseppe RUSSO

Con un comunicato Facebook ha annunciato che è in fase di rilascio la funzionalità che consentirà agli utenti di avere molte più informa-zioni e controllare e apportare modifiche sui contenuti mostrati per migliorare la propria l’espe-rienza. All’atto pratico la sezione sarà raggiungibile da ogni singolo post dall’icona a forma di tre puntini come già avviene per le inserzioni pubblicitarie. A proposito della se-zione che consente di valutare le inserzioni pubblicitarie, Facebook ha dichiarato che, grazie ai feed-back ricevuti dagli utenti in questi cinque anni, sono state apportate delle migliorie sulle informazioni da mostrare all’utente per una sua valutazione sulla coerenza di quan-to proposto. Grazie a questa nuo-va funzionalità ogni utente sarà in grado di:- Comprendere il mittente del post se, ad esempio, il contenuto è con-diviso da un amico, un gruppo cui si partecipa oppure una pagina seguita; - I criteri che hanno contribuito sulla scelta di mostrare tale contenuto come ad esempio la quantità e la ti-pologia di interazioni che di recen-te sono state registrate con quel mittente e la popolarità che quel contenuto ha riscosso da parte di altri “attori” che fanno parte della rete dell’utente;- Controllare e modificare quali contenuti mostrare prima, quali eliminare e quali preferire in deter-minati contesti così come mostra l’immagine:Questa funzionalità è parte del pro-gramma di trasparenza promesso da Zuckerberg dopo gli scandali che hanno coinvolto Facebook.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Sergio DONATO

A seguito della riforma approvata dal

Parlamento Europeo in seduta ple-

naria, il diritto d’autore nel mercato

digitale in Europa assumerà nuove carat-

teristiche, soprattutto per la protezione

dei contenuti sotto copyright e della loro

remunerazione a seguito del loro uso da

parte dei prestatori di servizi online. È ov-

vio che laddove si estendono dei diritti ci

può essere qualcuno che di contro vede

aumentare i propri doveri, come Google e

Facebook, per fare solo due nomi. Gli edi-

tori, invece, si dicono soddisfatti. Mentre

Wikipedia, sebbene non sia stata toccata

dalla riforma, si fa paladina della libertà di

espressione e si dice delusa ma pronta a

combattere. Già qualche giorno prima del

voto, in un comunicato congiunto, la Fe-

derazione Italiana Editori Giornali (FIEG) e

l’Associazione Italiana Editori (AIE) si era-

no schierate in modo aperto e favorevole

alla riforma, invocando la protezione del-

l’industria culturale e dell’informazione:

dunque per garantire la remunerazione di

quei contenuti originali che le piattaforme

online utilizzano in modo indiretto per ot-

tenere ricavi senza ridistribuirne una par-

te ai possessori di quei contenuti.

Infatti, l’Articolo 15 della riforma (ex Artico-

lo 11), esprime in modo chiaro che (facen-

do riferimento alla direttiva 2001/29/CE) i

prestatori di servizi della società dell’infor-

mazione devono essere autorizzati dagli

editori di giornali all’utilizzo online delle

loro pubblicazioni di carattere giornalisti-

co. Dunque, la norma non parla di una

“retribuzione” in quanto tale di alcun tipo,

e non potrebbe essere diversamente,

dato che l’autorizzazione del proprietario

di un contenuto potrebbe risolversi anche

in modo gratuito. Ovviamente, è un cam-

biamento notevole nei rapporti di forza

degli editori con le piattaforme online di

servizi, tanto che subito dopo l’approva-

zione della riforma, il Presidente di AIE, Riccardo Levi ha detto: “Una bella pagi-

na e una grande giornata per la cultura e

l’Europa”. Andando a spulciare l’Articolo

15 e fermandoci dalle parti del comma 5,

scopriamo però che anche i giornalisti

(cioè i produttori effettivi di quei contenu-

ti) devono “ricevere una quota adeguata

dei proventi percepiti dagli editori per

l’utilizzo delle loro pubblicazioni di carat-

SOCIAL MEDIA E WEB Dopo l’approvazione della riforma, i due schieramenti hanno reagito

Riforma copyright, le prime reazioni Google: “Danni all’economia digitale”Google e Wikimedia danno sfogo alla propria amarezza. Gli editori celebrano la loro vittoria

tere giornalistico da parte dei prestatori di

servizi della società dell’informazione”.

Google: “Danno all’economia digitale”Dalle parti di Facebook per il momento

tutto tace e non ci sono state dichiarazio-

ni all’indomani della riforma, nemmeno

ufficiose, come invece è avvenuto per

Google. Un portavoce di Google ha fatto

sapere che la versione della riforma ap-

provata martedì è “stata un miglioramen-

to, ma porterà ancora incertezza giuridica

e danneggerà le economie creative e

digitali”. Ha poi aggiunto che la società

collaborerà con i responsabili politici, gli

editori, i creatori e i titolari dei diritti nel

momento in cui i Paesi UE applicheranno

le norme. Google, in quel “danneggia-

mento delle economie creative e digitali”

non si riferisce al solo Articolo 15, ma an-

che all’Articolo 17 (ex Articolo 13), che ri-

guarda l’ottenimento di un’autorizzazione

preventiva dal possessore del contenuto

protetto da copyright per poterlo pubbli-

care sulle piattaforme online che preste-

ranno quel servizio, In pratica, Google, Fa-

cebook, Youtube, devono fare accordi per

ottenere una licenza di pubblicazione. Da

parte delle piattaforme però non ci sarà

alcun obbligo di sorveglianza preventiva,

quindi nella riforma non si parla espres-

samente di algoritmi automatici che do-

vranno filtrare i contenuti senza licenza. È

però altrettanto vero che le piattaforme,

in caso di reclamo del possessore del

materiale sotto copyright, dovranno di-

mostrare di aver compiuto i massimi sforzi

per l’ottenimento di un’autorizzazione alla

pubblicazione del contenuto protetto e gli

algoritmi potrebbero tornare come unica

scelta per scremare quelli che non sono

stati oggetto di una negoziazione contrat-

tuale. Senza contare che il reclamo dovrà

essere gestito da persone fisiche e senza

un filtro automatico che riduca la possibi-

lità di questi reclami, le piattaforme online

si potrebbero trovare di fronte a un lavoro

di scartoffie di dimensioni elefantiache.

Wikimedia dura: “Risultato deludente”Wikimedia Foundation, in qualità di rap-

presentante del mondo libero e aperto

della divulgazione e dell’informazione, ha

detto che con la riforma il Parlamento Europeo ha limitato la libertà di internet. Si dice preoccupata per la scelta arbitra-

ria di ciò che potrà essere pubblicato dal-

le piattaforme soprattutto per non cadere

nell’infrangimento della legge, e ciò sarà

un male per tutta internet. Gioisce solo in

modo sotteso per la non inclusione nella

riforma per tutto ciò che riguarda la diffu-

sione di materiale di pubblico dominio e

che viene attuata da società senza scopo

di lucro. Quindi, si prende anche la gioia

dei musei, degli archivi e delle librerie che

potranno avere libero accesso ai conte-

nuti digitali per scopi di ricerca e senza

fini di lucro. “Una nuova salvaguardia del

pubblico dominio assicurerà che le ripro-

duzioni fedeli dei lavori di pubblico domi-

nio restino non coperte dal diritto d’auto-

re, anche se vengono digitalizzate” dice

Wikimedia. Wikimedia però continuerà

a combattere e tenere le orecchie ben

dritte affinché la riforma sia implementa-

ta correttamente all’interno delle singole

leggi nazionali. La comunicazione della Wikipedia italiana è stata un po’ più di-

messa e ha avuto il sapore della sconfitta.

Si legge infatti sul sito Wikimedia.it: “No-

nostante tutti i nostri sforzi e le proteste

della comunità di Wikipedia, di tantissime

associazioni e di milioni di cittadini euro-

pei, la direttiva copyright è passata così

come proposta.”

I dati di milioni di utenti di Facebook trovati su un server. Il problema è Amazon?I dati di 540 milioni di utenti Facebook sono stati trovati su un server ospitato da Amazon. Il problema risiederebbe nel servizio di storage di Amazon di Franco AQUINII dati di 540 milioni di utenti di Fa-cebook sono stati pubblicati su in-ternet, ma Facebook non c’entra. Com’è possibile? Innanzitutto, i dati esposti erano su un server di un’altra società, Cultura Colectiva, che collezionava dati (non privati) degli utenti che interagivano con la propria pagina Facebook. I dati poi venivano memorizzati in un data-base che, forse per errore, è stato reso pubblico su un server di Ama-zon. A scoprire il problema è stata la società UpGuard, che controlla i server di Amazon S3 alla ricerca di problemi di questo genere. I dati erano informazioni liberamente rin-tracciabili sulle pagine Facebook dei rispettivi proprietari, che però Cultura Colectiva collezionava mas-sivamente in un grosso database evidentemente mal gestito. Ama-zon ha rilasciato una dichiarazione ufficiale: ”I clienti AWS possiedono e controllano pienamente i propri dati. Quando riceviamo una notizia di abuso che riguarda contenuti che non sono chiaramente legali o comunque proibiti, avvisiamo il cliente in questione e chiediamo che vengano presi provvedimenti adeguati, che è quello che è ac-caduto in questo caso. Amazon S3 è sicuro di default, ma offriamo anche la flessibilità di cambiare le configurazioni di base per rispon-dere alle richieste degli utenti che possono richiedere un accesso ampio (...). Chi realizza applicazioni deve assicurarsi che le modifiche che fa alla configurazione degli accessi permetta di proteggere gli accessi come previsto.”

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Roberto PEZZALI

L e indiscrezioni trapelate prima della presentazione

hanno rovinato la sorpresa: si è detto tanto sui nuo-

vi smartphone, quasi tutto, e non c’è più molto da

raccontare. P30 e P30 Pro sono soprattutto fotografia. E

video. Due modelli, come sempre, affiancati dal classico

modello “lite” che però poco condivide, nome a parte,

con i due fratelli superiori.

La vera novità del P30 Pro e del P30 è il super sensore

Huawei Super Spectrum, che l’azienda ha progettato

esclusivamente per questi nuovi smartphone. Un senso-

re che viene condiviso da entrambi i modelli anche se la

sensibilità differisce.

Ci troviamo davanti a due prodotti tuttavia abbastanza

diversi tra loro, con il Pro che può contare anche su

quella che è la seconda grande novità, il teleobiettivo

periscopico da 125 mm.

A firmare gli obiettivi e le lenti c’è sempre Leica, che

questa volta ha dovuto fare un triplo lavoro per battere

ancora una volta le leggi dello spazio: una buona lente

richiede spazio, spessore, movimento, Leica ha dovuto

trovare il modo di impacchettare un 125 mm stabilizzato

in un corpo spesso pochi millimetri.

Trattandosi di uno smartphone costruito attorno alle

fotocamere, iniziamo a parlare del P30 Pro partendo

proprio dal sistema Leica Quad Camera, dove il sensore

principale è il Super Spectrum CMOS con obiettivo 27

mm f/1.6 OIS, stabilizzato quindi ottico. La parola “Super

Spectrum” deriva dalla scelta, decisamente fuori dagli

schemi, di adottare su questo sensore un nuovo par-

ticolare filtro Bayer, ovvero quel filtro montato davanti

ai fotorecettori per filtrare solo una componente dello

spettro. Al posto del filtro RGGB usato oggi da tutte le

fotocamere al mondo, Huawei usa un nuovo filtro RYYB,

con giallo al posto del verde. Una scelta questa che per-

mette all’azienda di aumentare notevolmente la sensibi-

lità del sensore, il giallo è meno assorbente del verde,

ma che ha costretto anche Huawei a rivedere tutto il

processo di generazione dell’immagine. La sensibilità

del sensore raggiunta, secondo l’azienda, è di 409.600

MOBILE Huawei ha finalmente annunciato la nuova serie P30. La vera novità è il super sensore Huawei Super Spectrum

Huawei P30 Pro e P30 sono finalmente ufficiali Una super fotocamera fatta smartphoneIl modello di punta ha un teleobiettivo super e un nuovo tipo di sensore che promette meraviglie quando non c’è luce

iso, ovvero scatto al buio più completo. Nel caso del P30

la sensibilità si dimezza, 204.800 iso, e non sappiamo

perché se il sensore è lo stesso, chiederemo.

A questo punto dovrebbero sorgervi tantissime doman-

de: “E’ un quad bayer o è un vero 40 megapixel? Se fo-

tografo un campo verde si vede bene? I colori non sono

sfalsati? Perché nessuno lo ha mai fatto prima?”. Per il

momento prendete per buono quello che dice Huawei,

tra qualche giorno vi daremo talmente tanti dettagli cor-

redati da prove sul campo che del nuovo sensore Super

Spectrum saprete tutto quello che serve.

Gli altri sensori del sistema Quad Camera sono un 20

megapixel con obiettivo Ultra Wide da 16 mm f/2.4 e un

8 megapixel con un obiettivo 125 mm f/3.4 stabilizzato.

Quest’ultimo è un tele fisso montato a periscopio, quindi

in orizzontale, unico modo per sviluppare un’ottica che

richiede un po’ di distanza focale, quindi spazio. Huawei

è stata decisamente (e stranamente) onesta nel descri-

vere il suo “zoom”: parla infatti di 5x ottico perché usa il

27 mm come base. Se prendiamo però la scritta 16-125

sul retro si capisce bene che sarebbero 8x, anche se

come abbiamo detto più volte la parola “zoom ottico”

non può essere usata perché quello di Huawei è uno

zoom digitale, che solo in un caso, a 125 mm, lavora con

lenti e sensori senza interpolazioni. In tutti gli altri casi

interviene un algoritmo che usa il sensore principale per

aggiungere qualche informazione mancante. Questo

zoom arriva in modalità ibrida a 10x (250mm) usando il

machine learning, ma Huawei lo spinge in puro digitale

anche a 50x, 1250 mm, una esagerazione.

Anche su questo obiettivo faremo prove molto appro-

fondite, e già da domani sera potrete trovare su DDay.it

un confronto di ingrandimento tra P30 Pro e una bridge

super zoom di fascia alta. Ovviamente uno smartphone

non può competere con fotocamera simile, ma sarà cu-

rioso vedere quanto si avvicina al risultato ottenuto con

prodotti di fascia alta a tutte le focali.

Infine, ma non meno importante, il sensore TOF: il P30

Pro usa l’innovativo sensore 3D per disegnare una map-

pa 3D molto accurata che permette di gestire un effetto

bokeh multilivello. Oggi la maggior parte degli effetti sfo-

catura si limitano a staccare il soggetto e a sfuocare lo

sfondo, Huawei crea una mappa e gestisce la sfocature

su circa 40 livelli, rendendo l’effetto meno “artificiale”. Il

sensore ToF 3D servirà anche ad altre applicazioni, ad

esempio per misurare oggetti fornendo altezza, larghez-

za, profondità e calcolando il volume.

L’uso del Kirin 980, decisamente più potente del pro-

cessore usato sul P20 Pro, ha permesso a Huawei di

segue a pagina 18

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

MOBILE

Huawei P30 Pro e P30segue Da pagina 17

potenziare gli effetti già presenti sul P20 che facevano

uso del machine learning.

L’eccelso Night Mode è stato migliorato ancora, e usan-

do lo stesso principio è stato aggiunto anche un utilis-

simo Silk Mode. Quest’ultimo è una modalità a lunga

esposizione che non sovraespone gli oggetti fissi, quin-

di aiuta a fare quello che solitamente richiederebbe un

filtro Neutral Density: è utile per le scie d’acqua e per

rendere “dinamiche” immagini scattate con tanta luce.

Nuova anche la modalità HDR, potenziata dall’intelligen-

za artificiale e chiamata AI HDR+.

Sempre grazie al machine learning novità anche in am-

bito video: la stabilizzazione ibrida viene migliorata an-

cora e il Night Mode funziona anche in video oltre che

in foto. Si chiama uguale, ma sfrutta solo la sensibilità: il

video non si può usare l’esposizione multipla.

Questo è principalmente P30 Pro, un enorme upgrade

in campo foto e video rispetto a Mate 20 Pro dal quale

eredita però altre piccole novità. La batteria è la stessa

da 4.200 mAh, c’è il super charge da 40 watt, c’è la rica-

rica wireless che funziona anche come ricarica inversa,

la scocca è protetta IP68 e manca, come sul Mate, il jack

audio. Il corpo è molto simile a quello di Mate 20 Pro,

doppio edge sul fronte e sul retro: da

una parte c’è il vetro che protegge

lo schermo curvo da 6.47” e 2340 x

1080 pixel di risoluzione, dall’altra c’è

la scocca colorata con diverse nuove

tonalità cangianti.

La fotocamera frontale è stata inse-

rita in un piccolo notch a goccia: 32

megapixel, e nessun sensore 3D

aggiuntivo, quindi P30 Pro ha come

unica soluzione di sblocco il finger-

print ottico sotto lo schermo. Rispetto

al Mate 20 Pro perde lo sblocco 3D

con il volto. Bluetooth 5, wi-fi clas-

sico, modem LTE cat 21 a 1.4 Gbps,

8 GB di RAM e 128 GB di storage

chiudono una lista di caratteristiche da vero top di

gamma. Il modello da 128 GB costerà 999 euro, quello

da 256 GB 1.099 euro, come il Mate 20 Pro. Entrambi

sono espandibili, ma serve la piccola card proprietaria

Huawei. Per P30 serviranno invece 799 euro: ha uno

schermo più piccolo, 6.1”, senza bordi edge, quindi piat-

to, con sensore biometrico integrato sotto lo schermo.

La risoluzione è sempre di 1080 x 2340. Sul P30 man-

cano anche la ricarica wireless, la RAM sarà di soli 6GB

e la memoria storage di 128 GB comunque espandibile.

Niente certificazione IP68 e niente zoom periscopico: il

reparto fotografico sarà praticamente quello del Mate

20 Pro ma con il nuovo sensore da 40mp f/1.8 non sta-

bilizzato (elemento da verificare), un super wide da 16

megapixel f/2.2 e un tele da 80 mm di fianco classico.

Più piccola anche la batteria, 3650mAh.

Inutile dire che a questo prezzo, considerando che sul

P30 c’è il nuovo sensore ma castrato, meno sensibilità,

zero OIS e lente più chiusa, f/1.8, forse è meglio prende-

re Mate 20 Pro: si trova oggi a circa 800 euro e è sicu-

ramente migliore come caratteristiche. P30 Pro arriverà

nei negozi italiani dal 26 marzo.

di Roberto PEZZALI

Al termine della presentazione dei

nuovi flagship abbiamo avuto modo

di incontrare una delle persone che

ha guidato lo sviluppo e la creazione di

questi nuovi P30 e P30 Pro, Bruce Li, Vice

President Device Handset di Huawei. E ci

siamo fatti dare qualche dettaglio in più.

La prima curiosità riguarda il sensore: il

manager ci conferma che il sensore è pro-

dotto da Sony ed è un quad pixel, come

quello dello scorso anno. C’è curiosità

anche per quanto riguarda il dato, esage-

rato, di 409.600 ISO di sensibilità che di-

ventano, nel caso del P30, 204.800 ISO.

Se il sensore è lo stesso, come è possibile

questa perdita di sensibilità?

In realtà il valore di ISO dichiarato non è

affatto nativo del sensore (che sarà pari ai

6400 impostabili in pro mode), ma è una

sorta di equivalenza che si ottiene combi-

nando i vari elementi tra i quali la modalità

notte, la lente e la stabilizzazione. Qui ci

sarebbe da fare un discorso su cosa sia

l’iso nativo di un sensore, ma non è l’am-

bito adatto. In poche parole usando la

MOBILE A margine della presentazione, Bruce Li, Vice President Handset Huawei, ci ha dato qualche dettaglio su P30 e P30 Pro

P30 Pro, dubbi e curiosità. Dall’assenza del 5G al display con una risoluzione inferiore a quella del Mate 20 Bruce Li spiega la scelta di certe decisioni in fase progettuale, come il sensore quad pixel prodotto da Sony e gli ISO

modalità notte a 32 secondi di posa (che

non è una esposizione unica, ma una raf-

fica di esposizioni), si arriva a quel valore.

Il calcolo è semplice: in modalità notte im-

postando a mano 1600 ISO e 32 secondi

P30 Pro scatta 8 foto al secondo: 32 * 8 *

1600 restituisce i famosi 409600 ISO.

La differenza di sensibilità tra P30 e

P30 Pro è dovuta alla mancanza sul

primo dello stabilizzatore e l’uso di un

obiettivo leggermente meno aperto,

f/1.8 contro f/1.6. Il secondo dubbio era

legato al display: perché su un prodot-

to destinato alla fotografia, come il P30

Pro, si è scelto di usare un display con

una risoluzione inferiore a quella del

Mate 20 Pro? Dovendo mostrare le foto,

era preferibile avere uno schermo con

una definizione più elevata. Bruce Li ci

risponde che hanno visto che la maggior

parte delle persone anche sul Mate 20

Pro non usava la piena risoluzione, per-

ché consumava troppo, quindi per una

questione di consumi e ottimizzazione

hanno preferito ridurre la risoluzione

nativa, anche perché dai test fatti la dif-

ferenza ad occhio è minima. Qualche cu-

riosità sulla stabilizzazione: sul P30 Pro

viene usato un nuovo tipo di stabilizza-

tore basato su un metallo che riscaldato

cambia forma, quindi non su una bobi-

na magnetica: questo perché il gruppo

ottico del sensore pesava troppo e un

motore tradizionale potrebbe bruciarsi.

Il test e le prove di affidabilità su que-

sto tipo di motore OIS hanno richiesto

3 anni. Sull’ottica super grandangolare

non è montato lo stabilizzatore: se i pri-

mi “teardown” mostreranno l’ottica che

si “muove”, non è perché è stabilizzata,

si tratta semplicemente della messa a

fuoco, dell’autofocus. Questo per ricor-

dare gli anni scorsi, dove l’assenza dello

stabilizzatore su alcuni modelli P aveva

creato qualche dissapore soprattutto

dopo che iFixit, smontandolo, aveva tro-

vato le ottiche “mobili”. Semplicemente

è la messa a fuoco.

Infine una nota sul 5G: tutti si aspettava-

no un P30 5G ma non ci sarà, almeno

oggi. Secondo Huawei lo sviluppo delle

reti non ha raggiunto ancorata maturità

tale da giustificare un prodotto 5G ora.

Soprattutto perché, usando la tecnologia

attuale, l’autonomia sarebbe penalizzata,

serve un processore più efficiente.

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torna al sommario 19

MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Roberto PEZZALI

Quando un produttore punta tutto sulla fotografia,

non si può pensare di valutare uno smartphone

semplicemente scattando alcune foto di prova.

Ecco perché per il P30 Pro abbiamo deciso di fare una

prova sul campo vera, mettendoci nei panni di un tu-

rista che ha speso 1000 euro per lo smartphone che

sognava da tempo, e pensando di avere tra le mani il

miglior cameraphone al mondo e ora vuole usarlo per

la sua vacanza. Risponderà alle aspettative? Mancherà

qualcosa? Sarà facile portare a casa un buon risultato?

Siamo volati in Cappadocia, regione storica della Tur-

chia che ogni anno attrae milioni di turisti da tutto il

mondo. Un posto dove ogni giorno migliaia di perso-

ne attendono il tramonto nella valle rosa, dove ogni

mattina alle 5.00 in punto suona la sveglia e centocin-

REPORTAGE Siamo volati in Cappadocia con il nuovo P30 Pro e lo abbiamo messo alla prova in ogni condizione, da veri turisti

Il viaggio in Cappadocia con Huawei P30 Pro Ecco le nostre foto e i video. Che spettacolo! Tutte le foto, i video in Full HD e i video in 4K che abbiamo realizzato alla caccia di pregi e difetti di un cameraphone da 1000 euro

quanta mongolfiere si alzano in cielo portando i turisti

a fotografare l’alba, dove ci sono città sotterranee dif-

ficili da fotografare, paesi che la notte risplendono al

buio e angoli esotici perfetti da “istagrammare”. Deci-

ne e decine di clip video, un migliaio di foto scattate

in ogni condizione, dal buio più totale alla luce forte.

Una prova di tutte le modalità, dal bokeh l’HDR, pas-

sando per le modalità assistite dall’IA al puro ma-

nuale con scatto in RAW. Le abbiamo provato tutte,

e questo è il risultato. In ogni foto abbiamo messo

il link per scaricare la foto a formato intero, e, dove

disponibile, anche il file in formato RAW per chi vo-

lesse provare ad aprirlo in Lightroom o un Photoshop.

Sotto ogni scatto, per avere un riferimento di tempi,

sensibilità e obiettivo utilizzato i dati Exif. E ovviamen-

te anche due video: uno a 1080p, per vedere come

si comporta lo smartphone quando deve avere a che

fare con il formato comunque più usato, un video rea-

lizzato usando tutte e tre le ottiche, dal grandangolo

al tele. E un video in Ultra HD a 30 fps (grande limite

del P30 Pro l’assenza dei 60p), realizzato ovviamente

con le stesse modalità.

segue a pagina 20

lab

video

Questo scatto dei camini delle fate è stato fatto usando l’ottica principale. Sensibilità molto bassa, c’è luce, buonissimo recupero sulle luce e sulle ombre. L’abbiamo scattata in modalità Pro a 40 me-gapixel, questo è l’output in formato Jpeg e si può apprezzare una buonissima definizione, soprattutto sui ramoscelli degli arbusti in primo piano.

Una vista dei camini delle fate: questa volta abbiamo sfruttato l’obiettivo super grandangolare per scendere e fare una foto dal basso, cercando di dare maggiore respiro alla fotografia. Anche per questo scatto in RAW, così si può apprezzare la resa del sensore più piccolo con ottica super wide.

Clicca sulle foto per l’ingrandimento

1429 shutter / 50 ISO / 2.4 mm / 5120x3840

1/1250 shutter / 50 ISO /2.3 mm / 5104x3824

Come per il Mate 20 Pro resta la modalità super macro, che permette di avvicinarci a pochi centimetri dal soggetto fotografato. In questo caso una farfalla sugli alberi appena fioriti. Anche qui si può apprezzare una eccellente nitidezza.

Il video a 1080p con P30 Pro Dal grandangolo al timelapse

lab

video

1/1429 shutter / 50 ISO / 2.4 mm /5120x38401/5000 shutter /50 ISO / 5.6 mm / 7280x5456

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

REPORTAGE

In Cappadocia con Huawei P30 Prosegue Da pagina 19

segue a pagina 21

Uno scatto in bianco e nero per non dimenticarci che la serie P è nata proprio con il bianco e nero. Questa volta non c’è il sensore dedicato, ma si può usare il filtro B&N su tutte le ottiche. Il risultato è quello che si può ottenere semplicemente levando la saturazione da una foto: manca un po’ di dinamica.

Due case nella valle rosa, la luce è quasi quella del tramon-to. Molta saturazione cromatica, tanto dettagli nonostante la “piattezza” della scena. Come su ogni smartphone a mancare un po’ è la tridimensionalità.

Il “canyon” al tramonto scattato usando l’obiettivo super grandangolare: si apprezza un ottimo controllo sia delle alte sia delle basse luci. Anche i ramoscelli in primo piano mostrano un eccellente dettaglio.

Il classico star trail: questa funzione è una delle nostre preferite, anche se ci sembra che sul P30 Pro Huawei non abbia regolato bene la luminosità: appare leggermente sovraesposta. Questo è il risultato di 20 minuti di esposizione intervallata. Sarebbe bello se lo smartphone suggerisse, usando la bussola, la direzione dell’angolo di rotazione della volta celeste.

Un closeup di una teiera: da apprezzare anche qui la definizione, soprattutto nel punto in cui il cotto è rotto ed è stato aggiustato.

Clicca sulle foto per l’ingrandimento1/3300 shutter / 50 ISO / 5.6 mm / 5472x7296

1/570 shutter / 50 ISO /14.5 mm /3248x2432

1/190 shutter / 50 ISO / 2.3 mm / 5104x3824

1245.5 shutter / 800 ISO/ 5.6 mm / 3648x27361/125 shutter / 50 ISO / 5.6 mm / 7280x5456

Siamo all’interno di una città sotterranea, tufo scavato e una grossa pietra di granito che chiudeva il passaggio in caso di attacco. Illuminazione molto bassa, e questo è quello che si ottiene usando la modalità notte.

1/35 shutter 364 ISO 5.6 mm 7280x5456

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

L’unica luce presente in questo scatto è quella del bru-ciatore che sta gonfiando la mongolfiera: iso nemmeno troppo alti, tempo di posa ai limiti per non avere mosso. Risultato decisamente buono.

Un “quasi” controluce. Qui nonostante gli iso bassi il sensore pasticcia tantissimo, molta polarizzazione sul pile e sul collo.

Abbiamo lo zoom, usiamolo: la luce è poca, a gran-dezza naturale ci si potrebbe aspettare di più ma con altri smartphone è impossibile portare a casa questo scatto. Qui una serie di scatti con zoom.

Di nuovo il grandangolo, questa volta dal basso: guarda verso l’interno della mongolfiera. C’è un po’ di rumore, ma riducendo si elimina. E lo scatto è davvero buono.

REPORTAGE

In Cappadocia con Huawei P30 Prosegue Da pagina 20

Clicca sulle foto per l’ingrandimento

1/25 shutter / 408 ISO / 2.3 mm / 5104x3824

1/950 shutter / 50 ISO / 5.6 mm/ 7280x5456 1/130 shutter / 50 ISO / 14.5 mm / 3248x2432

1/400 shutter/ 50 ISO/ 2.3 mm / 3824x5104

1/500 shutter / 50 ISO / 14.5 mm / 3248x2432

1/170 shutter / 50 ISO / 14.5 mm / 2432x3248

lab

video

Il video in 4K Ultra HD Sulla mongolfiera per riprendere l’alba

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Roberto PEZZALI

I lP20 Pro con la sua fotocamera da 40 megapixel

ha lanciato un trend: “It’s all about photo”. La foto-

camera “quad bayer”, la modalità notte e l’uso inten-

sivo del machine learning per ottimizzare alcune moda-

lità di scatto sono senza dubbio i più grandi contributi

che Huawei ha portato al mondo degli smartphone, e

qui tutti hanno seguito. Uniche eccezioni Apple e Sam-

sung, che non hanno voluto “copiare” il marchio che

solitamente “copia” e ancora oggi si ritrovano senza

una modalità di scatto notturno degno di questo nome.

P30 Pro nasce sulla base del Mate 20 Pro, e Huawei

già sul modello precedente aveva già capito che la fo-

tocamera in bianco e nero era un “di più” che pochi ap-

prezzavano: le foto in bianco e nero ricavate togliendo

la saturazione da una foto normale a colori sono suffi-

cienti ad accontentare un utente che non è un profes-

sionista. Chi distingue la foto fatta da un vero sensore

in bianco e nero da una fatta da un sensore a colori che

è stata resa in bianco e nero dopo? Crediamo nessuno.

Sul Mate 20 Pro, al posto del sensore B&W, Huawei ha

deciso così di introdurre l’ottica super grandangolare,

un 16mm che farà la felicità di molti turisti: durante la

nostra prova fotografica in Cappadocia più volte abbia-

mo sognato di avere il sensore “buono”, ovvero il 40

megapixel grande, sull’obiettivo super grandangolare.

In moltissime situazioni abbiamo trovato infatti più utile

e sfruttabile l’inquadratura ampia. Il 16 mm per il turista

è una benedizione: abbiamo visto persone schiacciate

contro un muro per cercare di fotografare un minareto

che, dopo mille acrobazie, è uscito comunque tagliato

nella foto.

La terna con cui scende in campo Huawei è completa

e versatile: c’è il 16 mm con apertura f/2.4 che abbiamo

elogiato prima, appoggiato ad un sensore da 20 mega-

pixel, c’è il classico 27mm con sensore super gigante

(1/1.7”) e c’è il nuovo obiettivo da 125 mm a periscopio

con sensore da 8 megapixel. I numeri raccontano già

quello che poi riscontreremo anche nelle fotografie fat-

MOBILE Un approfondimento sulla “mostruosa” sezione fotografica di Huawei P30 Pro, che accompagna il nostro reportage

Huawei P30 Pro, vi sveliamo come funzionano le fotocamere e il sensore SuperSensitiveTutto quello che c’è da sapere su SuperSensitive CMOS, teleobiettivo a periscopio e sensore ToF, una miniera ancora da sfruttare

te: l’ottica super grandangolare, ovviamente non sta-

bilizzata, ha un obiettivo non luminosissimo e questo

durante gli scatti e i video in notturna si percepisce.

La stessa cosa si può dire per l’obiettivo a periscopio,

il particolare percorso ottico costringe Huawei a usare

un sensore piccolo e una apertura ridottissima, f/3.4. È

stabilizzato, quindi si guadagna qualche frazione di se-

condo di tempo di posa, ma resta comunque un obiet-

tivo sfruttabile solo con tanta luce, perché al tramonto

e al buio non può fare miracoli. La modalità notte, in

alcuni frangenti, viene comunque in aiuto del tele, ma

nella maggior parte dei casi se si prova un super zoom

la notte la resa è disastrosa, vedi sotto. Ma è una estre-

mizzazione: oltre i 10x, modalità notte, buio totale.

Ci sarebbe un quarto sensore, il Time of Flight, fatto

apposta per costruire una mappa 3D da usare per l’ef-

fetto bokeh: Huawei, con un 125 mm, non poteva più

costruire la profondità usando il parallasse e si è do-

vuta servire del sensore ToF che è comunque nato per

quello. I risultati li vedremo a breve.

Teleobiettivo da 125 mm e ToF sono sicuramente due

delle tre principali novità, ma sul trono ci mettiamo il

nuovo sensore SuperSensitive. Questo è un vero az-

zardo da parte di Huawei, lo diciamo subito, e lo è per

diversi motivi. Il sensore SuperSensitive è un sensore

CMOS da 40 megapixel unico.

Come funziona un sensore CMOSPer chi non sapesse come funziona un sensore CMOS

un piccolo ripasso tecnologico: in un sensore ogni fo-

toricettore, o pixel, è ricoperto da un particolare filtro

che gli permette di catturare uno solo dei colori dello

spettro. È il filtro di Bayer, così chiamato in onore del-

segue a pagina 23

Si può scattare una foto alla luna, come dimostra Huawei? Si, si può, anche se con qualche accorgi-mento. Ecco nostro tentativo.

Di giorno è incredibile, questo scatto è un esem-pio: la nitidezza c’è, il rumore è quasi inesistente. Dobbiamo pensare, valutando la foto, che è uno zoom periscopico con un sensore da 8mp piccolo e una apertura decisamente ridotta.

clicca per l’ingrandimento clicca per l’ingrandimento

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

l’ingegnere Kodak che lo ha creato. Ogni pixel di una

fotocamera quindi o è rosso, o è verde o è blu, e registra

l’intensità di luce rossa, verde o blu che raggiunge, gra-

zie ad una piccola lente, quel singolo pixel. Qui sotto la

tipica struttura di un filtro Bayer tradizionale, usato dal

99% dei sensori delle macchine fotografiche e delle fo-

tocamere oggi sul mercato. L’occhio umano è più sensi-

bile al verde, e proprio per questo motivo nei sensori il

numero di pixel con filtro verde è doppio rispetto a quelli

con filtro blu o rosso. In un sensore da 12 megapixel

ci sono quindi 6 milioni di pixel verdi, 3 milioni di pixel

rossi e 3 milioni di pixel blu. Se ogni pixel registra solo

un primario, come mai nella foto risultante ogni pixel è

invece “colorato”? Perché c’è un processo intermedio

che si chiama “demosaicizzazione”: il particolare mosai-

co di pixel rossi, verdi e blu viene decodificato usando

un algoritmo (ce ne sono diversi) che partendo dal pixel

selezionato e usando i pixel attigui ricostruisce lo spet-

tro della luce prima del filtro, quindi il colore reale. La

“demosaicizzazione” è in pratica la conversione da quel-

lo che è un dato grezzo, il RAW appunto, a quella che

è la foto finale, poi salvata nel caso degli smartphone

sottoforma di file Jpeg. Qui sotto uno scatto RAW non

demosaicizzato.

Huawei, dal Quad Bayer al SuperSensitiveCosa ha fatto Huawei? In questi anni Huawei ha giocato

con i filtri Bayer: sul P10 lo ha tolto, creando un sensore

in bianco e nero che, senza filtro, aveva una sensibilità

maggiore. Sul P20 invece ha riesumato dei vecchi bre-

vetti riportando in auge il “quad bayer”, una particolare

struttura di filtro Bayer che permette di avere risoluzioni

elevatissime su sensori di dimensioni decisamente pic-

cole. Il sensore quad bayer del Huawei P20 e del Mate

20 ha 40 megapixel, ma il mosaico è decisamente meno

fitto. C’è una motivazione tecnica per questo: come ab-

biamo detto prima su ogni pixel c’è una piccola lente, poi

MOBILE

Huawei P30 Pro, fotocamere e sensore SuperSensitivesegue Da pagina 22

clicca per l’ingrandimento

c’è il filtro e infine l’elemento sensibile, ma se il sensore

ha dimensioni ridotte la lente e i filtri diventano così mi-

nuscoli che creano “crosstalk”, ovvero interferenza con

i pixel vicini portando ad un calo della qualità d’immagi-

ne. Eco quindi che viene usata una lente sola e un filtro

solo, o rosso, o verde o blu per gruppi di quattro pixel.

Rivedendo l’algoritmo di demosaicizzazione si ricavano

comunque 40 milioni di pixel veri, anche perché come si

può vedere dalla foto sopra si riesce a ricavare una strut-

tura simile a quella del Bayer. Fujifilm, con il suo sensore

X-Trans, ha rivisto pure lei il filtro Bayer e non è così di-

verso da quello usato dagli smartphone Huawei. C’è un

secondo vantaggio, e ne abbiamo già parlato più volte: i

quattro fotorecettori sotto lo stesso gruppo “filtro lente”

possono essere usati come un solo evento fotosensibile

con sensibilità quadrupla.

Arriviamo così al SuperSensitive, che è l’ennesima evo-

luzione di questo sensore: Huawei ha giocato ancora un

volta con il filtro Bayer, ha eliminato il verde e al posto

del verde ci ha messo il giallo.

Detta così può sembrare una follia: Huawei, ultima arri-

vata nel campo della fotografia, stravolge un filtro inven-

Questo boost incredibile di sensibilità può risul-tare molto utile in qualche situazione, ma in altre sembra che Huawei accenda la luce dove non ce ne sia bisogno: usando la modalità notte alcuni panorami scattati alle 2 di notte al chiaro di luna sembrano illuminati a giorno.

Qui sopra un “fotogramma” estratto da un video: i In determinate condizioni di saturazione il giallo diventa verde fluo. Se nelle foto basta prendere il RAW per non avere problemi, sui video non c’è modo di correggerlo, deve intervenire Huawei. Noi ovviamente lo abbiamo segnalato.

Problemi seri non ne abbiamo riscontrati, tranne in alcuni casi, con una luce gialla ad altissima intensità come questo tramonto, dove l’alone giallo viene trasformato in verde fosforescente dal processo di conversione da RAW a Jpeg. Trattandosi di giallo e di verde, quasi sicuramente questo problema è dovuto alla particolare neces-sità di conversione delle informazioni, una cosa che si può correggere con un aggiornamento. Sul RAW questo alone verde non esiste, quindi il sensore cattura benissimo, è lo “sviluppo” che lo introduce.

Abbiamo anche fatto alcuni confronti di cattura sui primari usando condizioni reali: ecco come il P30 Pro si comporta rispetto ad un iPhone XS, scelto proprio perché Apple ha sempre privilegiato l’accuratezza cromatica rispetto alla risoluzione. Due note doverose: iPhone scatta in Wide Gamut se si usa il formato HEIF quindi ha una gamma cromatica molto più ampia. P30 Pro scatta in Adobe RGB a 8 bit quando si usa il RAW, e in sRGB

quando si usa il Jpeg. I file dell’iPhone hanno uno spazio colore più ampio. Queste foto pubblicate sotto sono tutte in sRGB e le abbiamo messe solo per fare vedere che “grossi problemi” sui colori non ce ne sono. Tuttavia, come ci han detto molti esperti di sensori, la precisione cromatica non è delle migliori motivo per il quale una soluzione simile non è stata adottata da altri in campo fotografico.

tato da Kodak e usato da tutti, Sony, Canon, Nikon e ogni

altro produttore di fotocamere, Leica inclusa.

La scelta è quanto meno un azzardo: Huawei, nel corso

del briefing di lancio del prodotto, ci ha detto che non

lo ha fatto nessuno perché questa modifica richiede un

totale re-design del flusso di cattura dell’immagine, e si

è detta sicura della sua scelta. Ma noi, non potendoci

basare su quello che ci racconta Huawei, siamo andati

un po’ a fondo. E abbiamo scoperto che questa non è

affatto un’idea Huawei: “Imaging System with Modified

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

simo ottenibile è 6400 iso. Usando la modalità notte lo

smartphone scatta davvero al buio, e per buio inten-

diamo il buio completo. In questa caverna della città

sotterranea di Kaymakli non c’era luce, e il sensore del

Huawei è riuscito a cogliere qualcosa. Una estremiz-

zazione, ma è solo per far vedere come realmente ci

troviamo davanti ad un sensore che vede più dell’oc-

chio umano. Lo scorso anno abbiamo scattato diverse

foto con il P20 Pro durante un safari in Sud Africa, e

siamo riusciti a catturare cieli stellati, animali al buio e a

scattare fotografie che non saremmo riusciti a scattare

con altri smartphone. Oggi anche altri modelli hanno

aggiunto le “modalità notte”, e Huawei ha voluto ricon-

fermare la supremazia nel campo esasperando la sen-

sibilità probabilmente oltre la reale necessità. A nostro

avviso sulle foto non serviva, ma sui video aiuta.

Se pensiamo poi che per raggiungere questo livello di

sensibilità i progettisti hanno dovuto ricostruire con una

matrice colore il “verde” rischiando di creare problemi

cromatici forse, a mente fredda, ci sentiamo di dire che

era meglio mantenere la soluzione classica del P20.

Albert Theuwissen, presidente della International Ima-

ge Sensor Society, ci aveva ad esempio messo in guar-

dia dicendo che per mantenere la migliore precisione

cromatica la soluzione RYYB non è la scelta ottimale.

Ma dalle foto fatte sembra che non ci siano problemi

evidenti, e se il sensore SuperSensitive perde qualco-

sa in termini di fedeltà cromatica non è qualcosa che

si può notare ad occhio. Il sensore principale resta ec-

cellente come quello del P20 Pro e del Mate 20 Pro,

e si riescono a scattare fotografie da 40 megapixel

con una definizione incredibile. Se si considera che la

maggior parte degli utenti “smartphone” applica filtri,

spinge un po’ sulla saturazione e vuole foto d’effetto,

probabilmente Huawei ha pensato che tra sensibilità

e scatti al buio e perfetta fedeltà cromatica era meglio

privilegiare la prima. Anche perché questo “push” di

sensibilità non è a solo vantaggio delle fotografie, dato

che sul P30 Pro la modalità notte interviene se neces-

sario anche sul video.

È tempo di migliorare l’applicazioneLa fotocamera però non è solo “hardware”: Huawei in

questi anni ha migliorato tantissimo l’aspetto tecnico e

con ogni generazione ha aggiunto funzionalità anche

uniche. Il risultato è però una applicazione che ormai

è un po’ un frankenstein, perché costringe a saltare da

una impostazione all’altra e a volte anche a passare dal

menu impostazioni. Lo zoom ibrido, ad esempio, fun-

ziona solo se si scatta a 10 megapixel e quindi per chi

vuole tenere lo scatto base a 40 megapixel il continuo

passaggio da 40 a 10 è un po’ frustrante. Ci sono tante

altre incongruenze: c’è “ritratto” e c’è “apertura”, la pri-

ma sfoca lo sfondo con le persone la seconda con gli

oggetti. Ma se c’è un sensore ToF, che riesce a costrui-

re una mappa 3D, che bisogno c’è di separare oggetti

e persone? Sono sempre elementi in primo piano e c’è

sempre uno sfondo da sfuocare.

La modalità “Pro” non ha un istogramma, si capisce se

si sottoespone ma non se si sovraespone, gli ISO si

fermano a 6400 e l’interfaccia non è chiarissima. Come

non è chiara sempre la gestione dello zoom, sfruttabile

sulle foto ma meno pratica quando si registrano video:

non si possono fare “zoomate” fluide perché si avverte

in modo netto il passaggio tra un obiettivo e l’altro. Cre-

diamo sia il caso di rivedere interamente l’applicazione

della fotocamera, magari spendendo anche qui il nome

Leica per realizzare un’app più “professionale” con

istogramma e personalizzazioni e una applicazione più

consumer con tutte le modalità automatiche.

La miglior fotocamera per smartphone migliora ancoraÈ tempo di trarre le conclusioni: la fotocamera del P30

Pro è meglio di quella del P20 Pro e degli altri smartpho-

ne? Sicuramente si, ma solo se la si conosce bene e la

si impara ad usare. Non è una camera punta e scatta di

un iPhone, un Pixel o un S10, è una po’ una fotocamera

per smanettoni. I risultati eccellenti si ottengono con un

po’ di testa. Tra le tre novità quella che abbiamo apprez-

zato maggiormente è il super grandangolo, verrà usato

tantissimo. E poi il tele da 125 mm: funziona benissimo,

e anche l’hybrid zoom lavora egregiamente. Si riesce

quasi a fotografare la luna, magari non è perfetta ma

con altri smartphone è impossibile ottenere un risultato

simile. Infine ci sono il ToF e il super sensore: il ToF a

nostro avviso è una miniera ancora da sfruttare, i ritratti

vengono bene ma non sono ancora perfetti. E poi c’è

il sensore “rivoluzionario”: il sensore del P20 era ecce-

zionale e a nostro avviso quello che si è preso Huawei

è un bel rischio. Avere più sensibilità è utile più per le

video che sulle: sulle foto siamo arrivati al punto dove lo

smartphone crea una luce che non c’è. E questa non è

fotografia, ma Photoshop.

Nelle mani di chi ci sa fare, di chi vuole scattare anche in

manuale, di chi conosce alla perfezione tutte le modalità

e come rendono, il P30 Pro è una fotocamera mostruosa

nascosta dentro uno smartphone. E con l’arrivo del su-

per grandangolo e del tele è più versatile di ogni fotoca-

mera compatta, priva o di superwide o di tele spinto.

MOBILE

Huawei P30 Pro, fotocamere e sensore SuperSensitivesegue Da pagina 23

clicca sulle foto per l’ingrandimento

Clear Image Pixel” è un brevetto Aptina dell’8 maggio

2014, brevetto con scadenza fissata al 2033. E questo

brevetto racconta esattamente quello che fa il sensore

SuperSensitive di Huawei: sostituendo il verde con un

filtro meno assorbente, quindi un filtro bianco, miglio-

ra la sensibilità del sensore di oltre due volte. Per non

creare problemi con il rumore e il bilanciamento del

bianco il brevetto suggerisce di usare un filtro bianco

con pigmenti gialli, esattamente come il sensore del

P30 Pro. Leggendo tra le pagine del brevetto emerge

la complessità necessaria per passare da una cattura

“Rosso Giallo Blu” ad una classica immagine sRGB: il

verde dev’essere ricavato con molteplici sottrazioni di

colori usando una matrice di conversione.

Aptina, ora acquisita da OnSemi, non realizza più sen-

sori per smartphone e sensori fotografici, ma dal 2015

ha stipulato un accordo di condivisione dei brevetti

fotografici con Sony. Huawei, come ci ha confermato

il Vice President Design, si è fatta realizzare il sensore

SuperSensitive da Sony usando il brevetto Aptina.

Diversi esperti di progettazione di sensori CMOS, da

noi interpellati, si sono detti abbastanza scettici sulla

soluzione: ogni vantaggio ottenibile dal punto di vista

della sensibilità comporta anche degli svantaggi dal

punto di vista della fedeltà cromatica, che con una

matrice di conversione non perfetta potrebbe portare

ad artefatti o a situazioni strane. Come vedremo nelle

foto che abbiamo scattato questo problema non si è

mai verificato, anche se in qualche situazione c’è da

migliorare proprio sullo sviluppo della foto finale. Ma la

cattura è perfetta.

Il P30 Pro scatta fotografie eccellentiCome scatta le foto il P30 Pro? In modo eccellente. Ab-

biamo scattato oltre 1000 fotografie, alcune più espli-

cative le vedete in questo articolo, altre le abbiamo

pubblicate nel fotoreportage dalla Cappadocia dove

potete anche scaricare i jpeg originali e gli eventuali

file RAW. Huawei ha voluto spingere ancora sulla sen-

sibilità, promettendo un valore di 409600 iso che ad

oggi sembra qualcosa di incredibile. Questa sensibilità

è però “figurata”: si raggiunge in automatico, in modali-

tà notte e in determinate condizioni: in manuale il mas-

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Massimiliano DI MARCO

A tre anni dal lancio sul mercato iPho-

ne SE è ancora un prodotto valido?

Con questa domanda in testa ab-

biamo aperto il cassetto, abbiamo ripreso

in mano un malconcio iPhone SE che ha

preso ben più colpi di quanti ne meritasse

e abbiamo iniziato a usarlo per qualche

giorno. Anni fa, iPhone SE è stata una

mossa di Apple con la quale ha teso la

mano agli utenti che cercavano un “me-

lafonino” a prezzo più basso pur rinun-

ciando a qualche caratteristica tecnica e

a qualche dettaglio dal punto di vista del

design. Oggi iPhone SE è quasi un tuffo

nel passato: non c’è la ricarica rapida né

tanto meno la ricarica wireless, che solo

nel 2017 Apple ha introdotto; lo schermo

è un 4”, molto piccolo per gli standard

d’uso attuali. Dopo due anni in cui i pro-

duttori ci hanno abituato a uno stile “a tut-

to schermo”, che concede ampio spazio

rubando soltanto qualche millimetro con

una tacca o un buco, il telefono stesso

risulta esteticamente vecchio.

A9 e 2 GB di RAM bastano e avanzanoAbituati ai grandi schermo da 6” attuali,

quei due pollici in meno implicano avere

difficoltà a guardare film o a giocare ai vi-

deogiochi (difficile immaginare di gioca-

re a Fortnite o PlayerUnknown’s Battle-

grounds su iPhone SE). Ma le sue piccole

dimensioni non devono dare l’impressio-

ne sbagliata: usare un iPhone SE non im-

plica essere limitati, nemmeno nel 2019.

C’è un sensore biometrico (il Touch ID),

si possono registrare video in 4K, offre

una buona autonomia, l’ultima versione

di iOS e le prestazioni garantite da pro-

cessore A9 e 2 GB di RAM sono ancora

MOBILE Nel 2016 usciva iPhone SE, l’ultimo vero telefono compatto, non solo di Apple

iPhone SE in prova tre anni dopo. Usarlo è ancora un piacere (ma è invecchiato)Peccato che il design “a tutto schermo” non venga usato per gli smartphone compatti di oggi

oggi fluide e valide. I principali segnali

di invecchiamento, almeno rispetto agli

standard attuali della fascia medio-alta al

quale originariamente (e tutto sommato

ancora oggi) iPhone SE apparteneva

al momento del debutto commerciale,

si notano nella fotocamera. Il sensore

frontale, invece, era vecchio già al tem-

po dell’uscita, perché era lo stesso che

era stato adottato, anni prima, da iPhone

5S: i selfie con iPhone SE, insomma, non

hanno retto bene la prova del tempo.

Con la fotocamera posteriore gli scatti

sono nella media e senz’altro al di sotto

di quanto oggi si può trovare da molte

parti visto e considerato che comunque

oggi un iPhone SE nuovo può costare

attorno ai 300 euro.

La nostalgia dei compattiUsando iPhone SE tutti i giorni - e ri-

cordando la facilità d’uso dei telefoni

compatti - viene da chiedersi perché

nonostante gli smartphone attuali offra-

no un rapporto schermo/corpo molto

elevato, ci troviamo unicamente con te-

lefoni grandi: tantissimi - ne siamo certi

- apprezzerebbero uno smartphone da

4,8/5” nel corpo di un 4”. A oggi, invece,

tra gli smartphone di fascia medio-alta

e alta più compatti troviamo iPhone 7 e

iPhone 8; Galaxy S10e si avvicina molto

(pur con uno schermo da 5,8”), ma è leg-

germente più grande di qualche millime-

tro sia in altezza sia in larghezza. Siamo

comunque lontani dalle dimensioni di un

telefono come iPhone SE, ossia 123,8 x

58,6 x 7,6 mm. E quindi utilizzabile con

una mano senza sforzi.

Sulle vendite di iPhone SE Apple è

sempre stata molto silente, per cui non

possiamo esprimerci su quanto oggi

potrebbe avere un senso commercia-

le proporre una versione aggiornata di

iPhone SE. Tanti, però, potrebbero con-

siderarlo come telefono secondario, da

usare quando si vuole essere connessi,

ma con molte meno distrazioni senza

installare le applicazioni social: è piccolo

e comodo da usare e quanto basta per

scattare qualche fotografia e registrare

video in compagnia; il giusto per non

venire distratti dalle tante notifiche, ma

senza dover passare a un cellulare.

Anche chi lo volesse scegliere come

dispositivo principale, però, sappia che

ancora oggi iPhone SE è una proposta

valida. E un po’ nostalgica.

Falla di sicurezza sugli smartphone Xiaomi. L’azienda corre ai ripariTrovata una grave vulnerabilità in una delle app preinstallate negli smartphone Xiaomi. L’azienda cinese corre subito ai ripari rilasciando un aggiornamento correttivo di Riccardo DANZO

I ricercatori di Check Point Re-search hanno scovato una grave vulnerabilità all’interno di una delle app preinstallate negli smartphone Xiaomi. Paradossalmente, la vulne-rabilità in questione era contenuta all’interno di un app che dovrebbe provvedere alla sicurezza dello smartphone, cioè Guard Provider. Quest’app, invece, anziché pro-teggere il telefono da un eventua-le attacco informatico, esponeva l’utente a potenziale attacco di tipo “Man in the Middle”. Tramite Guard Provider, un malintenzionato, col-legandosi alla stessa rete Wi-Fi di un’eventuale vittima, avrebbe potuto disabilitare le protezioni contro i malware e installare qual-siasi tipo di codice all’interno dello smartphone. Essendo Guard Pro-vider un app preinstallata in ogni telefono Xiaomi, non può essere eliminata dal telefono stesso. Che-ck Point Research ha prontamente avvisato Xiaomi che ha già rila-sciato un aggiornamento per cor-reggere il bug all’interno dell’app preinstallata nei telefoni dell’azien-da cinese. Gli utenti in possesso di uno smartphone della società ci-nese, quindi, farebbero meglio ad aggiornare il dispositivo.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Pasquale AGIZZA

S chermo da 6,15 pollici con risolu-

zione Ful HD+ e tacca a goccia,

processore Octa-Core e 6 GB di

RAM. E tripla fotocamera posteriore

con obiettivo ultra angolare. È questo

l’identikit del P30 Lite, l’ultimo arrivato

di casa Huawei che chiude il cerchio

della nuova serie dopo la presentazio-

ne di P30 Pro e P30. Il cuore del telefo-

MOBILE Dopo P30 Pro e P30, Huawei ha svelato P30 Lite. Schermo (con tacca) da 6,15”

Arriva Huawei P30 Lite e chiude il cerchio 6 GB di RAM e tripla fotocamera posterioreFotocamera frontale da 32 MP. Arriverà a maggio, prezzo presumibilmente sotto i 400 euro

no è rappresentato

da un processore

Kirin 710, affiancato

nelle operazioni da

6 GB di RAM e 128

GB di spazio inter-

no, espandibili. Lo

schermo misura

6,15 pollici, con ri-

soluzione Full HD+

e tacca a forma di

goccia. Rapporto di forma 19,5:9 e bor-

di 2,5D completano la dotazione del-

lo schermo proposto da Huawei. Uno

schermo che abbiamo già visto sul

Nova 4e, il dispositivo “gemello” del

nuovo P30 Lite. Il comparto fotografi-

co è interessante. Abbiamo, una foto-

camera posteriore con tre sensori, ri-

spettivamente da 24, 2 e 8 megapixel.

Particolarmente interessante l’uso di

un obiettivo ultra angolare capace di

catturare un campo visivo fino a 120

gradi. Fotocamera anteriore da 32

megapixel, la stessa di P30 e P30 Pro.

Seppur la versione installata di fabbri-

ca sia Android 9 Pie, P30 Lite arriva sul

mercato con la versione 9.0 dell’inter-

faccia grafica EMUI; non sarà installata

di fabbrica, quindi, la versione 9.1 della

EMUI. Segnaliamo, in chiusura, la bat-

teria da 3.340 mAh con supporto alla

ricarica rapida.

Il prezzo italiano dovrebbe essere infe-

riore ai 400 euro, ma al momento non

è stata data alcuna informazione uffi-

ciale. Sarà disponibile da maggio.

Ecco Galaxy A70 Schermo 20:9 da 6,7” e tripla fotocamera posterioreContinua l’evoluzione della serie Galaxy A di Samsung con il nuovo esponente A70. Schermo con tacca da 6,7”, tripla fotocamera e sensore di impronte sotto lo schermo di Matteo SERVADIO

Galaxy A3, A5, A7, A8, A9 e ora A10, A30 e A50. Samsung con-tinua a muoversi nell’evoluzione della sua serie A, che guadagnerà presto un nuovo esponente, A70. Atteso verosimilmente per l’even-to dedicato alla gamma A del 10 aprile, Galaxy A70 segue lo stesso canone di design di A50 e A30, af-finandolo ulteriormente.Al centro di quel design, lo scher-mo da 6,7” FullHD+ (1080×2400) con un curioso formato 20:9 e marchiato “Infinity-U”; ovvero una variazione dello schermo con foro dei Galaxy S10 (“Infinity-O”) che mostra un piccolo notch tondeg-giante, leggermente più goffo del-la tacca a goccia di OnePlus 6T.Altra caratteristica di rilievo è il sensore di impronte digitali po-sizionato sotto lo schermo, con una nuova collocazione che per-metterebbe di non “risistemare la presa”. Il comparto fotografico ruota attorno a un triplo modulo posteriore, con un sensore prin-cipale da 32MP, affiancato da un’ottica ultragrandangolare con sensore da 8MP e da un senso-re di profondità per la modalità ritratto. La fotocamera frontale in-vece è una singola 32MP. Il tutto è supportato da una batteria da 4.500 mAh e la nuova interfaccia OneUI basata su Android 9 Pie.

di Roberto PEZZALI

D opo Find X, con la sua camera

frontale a scomparsa, ecco Reno,

con la camera frontale a spicchio.

Oppo è originale, bisogna ammetterlo,

e con Reno sembra aver trovato quella

che è forse la soluzione più bizzarra

ma anche più funzionale per creare

uno smartphone che possa essere full

screen senza ricorrere all’antiestetico

notch. La camera frontale sarà infatti

integrata in una sorta di “spicchio”, che

esce solo quando serve: non lo abbiamo

provato, ma non ci vuole molto a capire

che è una soluzione più robusta della

fragile fotocamera del Vivo V15 Pro e an-

che meccanicamente più semplice (leggi

economica) di quella del Find X. La capsu-

la auricolare è integrata con la fotocame-

ra, ma una serie di forellini sulla cornice

rendono quest’ultima fono-trasparente.

Di Reno ancora sappiamo molto poco:

MOBILE Il prossimo top di gamma Oppo Reno compare nelle prime foto e nei primi video

Oppo Reno, niente notch e tutto schermo: genialeTra le soluzioni inventate per far sparire il notch questa sembra la più strana e la più convincente

sicuramente avrà

Snapdragon 855,

e dovrebbe esserci

anche un modello

con l’obiettivo tele

a periscopio che

copre le focali da

16 mm a 160 mm,

un 10x ottico vero.

Lo abbiamo prova-to al Mobile World

Congress con ottimi

risultati, ed era solo

un prototipo. Le foto mostrano tuttavia

una normale configurazione dual came-

ra. Su Youtube è possibile trovare anche

un video dove l’appendice motorizzata

entra in azione. Considerando l’assenza

dello sblocco biometrico, c’è il lettore di

impronte sotto lo schermo, la camera

frontale serve ormai davvero poco, solo

per i selfie e le videochiamate.

Ci sono persone che, probabilmente, la

usano due volte al mese. Una soluzione

come questa è quindi ottimale, niente

schermo sagomato e camera totalmente

nascosta. Unico sacrificio la protezione

waterproof: con una soluzione simile è

davvero difficile proteggere lo smart-

phone dall’immersione, ma magari Oppo

riesce a stupire anche qui.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Giuseppe RUSSO

N onostante il Mi9 sia compatibile

con lo standard quick Charge

4.0, all’appello dei caricatori a

ricarica rapida mancava ancora Xiao-

mi. Dovrebbe essere lanciato in Cina il

caricatore che assicura prestazioni da

urlo: 20 volt e 5 Ampere per un totale

di 100 Watt di potenza. In appena 7 mi-

nuti è stato raggiunto il 50% di carica su

uno smartphone da 4000 mAh. Il video

presenta il prodotto confrontando come

riferimento il caricatore SuperVOOC

Flash Charge da 50 Watt di OPPO. Alla

MOBILE Lin Bin, cofondatore e presidente di Xiaomi ha mostrato le prestazioni del caricabatterie

Xiaomi ricarica lo smartphone a 100 Watt Per una carica bastano meno di 20 minutiIn appena 7 minuti è stato raggiunto il 50% di carica su uno smartphone da 4000 mAh

fine del video (velocizzato) è sorpren-

dete vedere come il caricatore da 100

Watt di Xiaomi abbia caricato al 100% lo

smartphone da 4000mAh in appena 17

minuti. Al contrario l’ OPPO R17 Pro (che

ha capacità di 3700 mAh) ha raggiunto

il 65% della carica nello stesso arco di

tempo. Il cofondatore di Xiaomi ha mo-

strato il video per creare il giusto grado

di aspettative prima della presentazio-

ne. Non è stato infatti dichiarato se i

device di recente commercializzazione

saranno già compatibili con il nuovo ca-

ricatore o bisognerà attendere l’entrata

in commercio di futuri dispositivi.

Attorno all’utilizzo di una corrente così

“alta” per ricaricare una batteria rimane

però il dubbio di quanto l’utilizzo con-

tinuo di tale caricatore possa incidere

sulla longevità della batteria.

Per Huawei P10 e Honor 8X arriva Android 9 Pie. Aggiornamento in distribuzioneNuovo aggiornamento per Huawei P10 e Honor 8X: arriva Android 9 Pie. Aggiornata anche l’interfaccia EMUI che arriva alla versione 9.0 di P. AGIZZA

È tempo di aggiornamenti per i possessori di Huawei P10 e Honor 8X. Huawei ha iniziato a distribuire, infatti, l’aggiornamento dal peso di circa 3 GB che porta il sistema operativo dei due smartphone ad Android 9 Pie. Si aggiorna anche l’interfaccia utente EMUI che arri-va alla versione 9.0.1.Il Huawei P10, lanciato sul mer-cato nella prima metà del 2017, raggiunge così il suo secondo aggiornamento. Nato con Android 7 Nougat, ha ottenuto l’aggiorna-mento a Oreo e ora arriva l’ag-giornamento ad Android 9 Pie. Primo aggiornamento importante per Honor 8X, arrivato in Italia nella seconda metà del 2018 con a bordo Android 8 Oreo. Entram-bi i telefoni ottengono la nuova versione dell’interfaccia utente EMUI, la 9.0.1. Un aggiornamento molto importante perché Huawei con quest’ultima versione si è concentrata molto sulla fluidità del sistema operativo, sull’apertu-ra più rapida delle applicazioni e sulla semplificazione delle opzioni a disposizione dell’utente. EMUI 9 cambia anche esteticamente, con Huawei che ha curato molto gli elementi dell’interfaccia aggiun-gendo una serie di nuovi effetti sonori e feedback tattili capaci di migliorare l’uso di tutti i giorni. Mi-gliorato anche l’aspetto di alcune app proprietarie come il registra-tore vocale.

Xiaomi Super Charge Turbo

di Sergio DONATO

L e indiscrezioni più piccanti sul Ga-

laxy Note 10 sono iniziate già dalla

fine di marzo, quando, secondo la

testata coreana ETNews, si è parlato di

un Note 10 senza tasti fisici. Le ultime

voci, invece, suggeriscono un Note 10

che si farà in due. Sembra infatti che

ci saranno due varianti con schermi di

dimensioni differenti.

Il più grande, da 6,7 pollici sarà il Note

10 “standard”, mentre quello con lo

schermo da 6,4 pollici potrebbe finire

sul mercato europeo, ovviamente sem-

pre con il supporto di S-Pen. Il nome in

codice del progetto resta quello di “Da

Vinci”, e ancora non si sa nulla circa la

configurazione delle fotocamere, ma il

lancio ufficiale non è lontano. Si parla,

come di consueto per la gamma Galaxy

MOBILE Il lancio previsto in agosto potrebbe mostrare una variante del Galaxy Note 10

Samsung Galaxy Note 10 in due modelli ad agosto Il più piccolo è destinato al mercato europeoIl più grande, da 6,7” sarà il Note 10 standard, quello da 6,4” potrebbe finire in Europa

Note, di agosto come mese per la pre-

sentazione. È quindi impensabile una

sua presentazione nel corso dell’even-

to che Samsung terrà il 10 aprile in con-

temporanea a Bangkok, Milano e San

Paolo che invece vedrà protagonista la

famiglia dei Galaxy A.

Non è però escluso che togliendo i veli

sul Galaxy A90, Samsung non ci dia un

assaggio di quell’assenza di tasti fisici

del Note 10, dato che nelle indiscrezio-

ni coreane di fine marzo a questo pro-

posito c’era finita dentro anche questa

serie di smartphone, con il desiderio da

parte di Samsung di estendere il “key-

less” anche ai telefoni più economici.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Roberto PEZZALI

P rendiamo spunto da un commento che ci è sta-

to fatto da un utente su Youtube, relativo alla

review del Huawei P30 Pro, per approfondire

un tema che spesso viene trascurato: display, foto-

grafia, resa cromatica e qualità. La domanda che ci

viene posta è se non abbiamo esagerato nel dire

che le fotografie sul P30 Pro vengono meglio di

quanto il display lascia vedere, in riferimento anche

al fatto che in ogni caso lo schermo del P30 Pro è

uno schermo OLED con una buona risoluzione.

La qualità di uno schermo spesso viene associata solo

alla risoluzione, trascurando quelli che sono altri para-

metri fondamentali: questo vale per i piccoli schermi

degli smartphone, per i monitor, per i televisori e per

ogni altro display. Ci riferiamo ad esempio alla fedeltà

cromatica e alla linearità, leggi gamma (qui l’appro-fondimento dettagliato), una curva che racconta

come quel determinato schermo ci restituirà i livelli di

una immagine, le ombre, le luci, i mezzitoni.

L’importanza del colore e della sua corretta riproduzioneQuello che abbiamo detto migliaia di volte vale in

ogni ambito: uno schermo non deve mostrare quello

che “piace” all’utente in termini di colori, saturazio-

ne, tonalità, ma deve riprodurre la stessa immagine

scelta, anche in modo accurato, da chi ha creato

quel contenuto.

Può essere lo sviluppatore di un videogioco, un re-

gista per i film, il semplice programmatore di app: un

contenuto dev’essere visualizzato sempre nel modo

scelto da chi lo ha creato. Per questo motivo i con-

tenuti non vivono “da soli” ma viaggiano abbinati a

quelli che vengono chiamati “profili colore”, una sor-

ta di “suggerimento” per il dispositivo di visualizza-

zione che comunica quale rosso deve visualizzare,

o quale verde.

Questi profili mettono in relazione un contenuto ad

uno spazio colore, ovvero una gamma di colori pre-

determinata. Esistono tantissimi spazi colore, quelli

FOTOGRAFIA Un contenuto dev’essere visualizzato sempre nel modo scelto da chi lo ha creato, non deve solo piacere all’utente

Perché è importante avere lo schermo calibrato E vale anche in piccolo con lo smartphoneSpesso non ci si rende conto di come uno schermo imperfetto possa avere ripercussioni anche sulle foto che scattiamo

più noti sono sRGB, P3 e Adobe RGB.

Avete presente quel grafico a ferro di cavallo che

spesso si vede nelle misure? E’ la visualizzazione

grafica bidimensionale dei colori che l’occhio umano

può visualizzare, e all’interno, con una serie di trian-

golo più o meno ampi, vengono delimitati gli spazi

colore. Ai vertici si trovano il rosso, il verde e il blu,

all’interno del triangolo tutti i colori visualizzabili.

Il rosso “100%” nello spazio colore sRGB, quello più

comunemente usato, non è lo stesso rosso dello

spazio colore AdobeRGB, e nemmeno quello dello

spazio P3: sono rossi differenti, cambiano i vertici dei

triangoli, ed è per questo motivo che il contenuto

deve dire al display quale rosso visualizzare.

Partiamo proprio dalle foto: quando un utente scat-

ta una foto con lo smartphone, a questa foto viene

associato un profilo colore. Tutti gli smartphone An-

droid scattano le fotografie in formato sRGB, quindi

usando lo spazio colore più ridotto disponibile. Solo

alcuni smartphone, quando scattano in RAW, usando

lo spazio colore AdobeRGB a 8 bit, e il risultato sono

foto con una gamma cromatica più estesa. L’iPhone è

l’unico smartphone che ad oggi scatta in wide gamut:

le foto scattate con l’iPhone sono quelle che sulla

carta hanno la gamma cromatica più ampia. Nel caso

delle foto è la fotocamera lo strumento che ha crea-

to il contenuto, ed è lei a determinare in che spazio

colore devono essere visualizzati que-

sti contenuti. Quando le foto o i video

vengono visualizzati su un display, che

può essere quello stesso dello smar-

tphone, un televisore, o un computer,

dev’essere quest’ultimo a farsi carico

della visualizzazione nel modo corret-

to. Deve leggere il profilo e usare lo

stesso profilo di visualizzazione per

mantenere la perfetta fedeltà croma-

tica dall’input, ovvero lo scatto, all’ou-

segue a pagina 29

Page 29: 03 12 14 Switch off a costo zero: il MiSE nel mondo del ...€¦ · Arriva Ford Kuga La prima in tre ... vendere oramai dal 1 gennaio 2017, sarebbero pratica-mente la metà, poco

torna al sommario 29

MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

tput, ovvero l’immagine a schermo. Questo succede

non solo con le foto ma con tutti i prodotti che usiamo

oggi. I TV si adattano allo spazio colore del contenu-

to, che cambia se si guarda una trasmissione TV o

un blu-ray Ultra HD: l’utente non si accorge di nulla

è il TV a fare tutto se funziona bene. La stessa cosa

succede anche per i computer, Windows, Mac, Linux,

i driver della scheda grafica e di gestione del monitor

impostano i vari profili a seconda dei contenuti usati,

siano giochi, app, video o foto.

Nel caso dei computer è l’applicazione ad aprire il

file, leggere il profilo e a dire alla scheda video che

profilo il monitor deve usare.

Se le app di fotografia e fotoritocco gestiscono i pro-

fili colore nel miglior modo possibile, per i browser

ancora questa cosa non è del tutto vera: Chrome ad

esempio è il peggiore, Firefox, Edge e Safari non si

comportano affatto male.

Su internet sono presenti diversi test: provate ad

aprire ad esempio questa pagina (https://camera-tico.com/tools/web-browser-color-management-test/) con Safari, con Firefox e con Chrome, e se

avete uno schermo o un sistema che gestisce il wide

gamut, praticamente tutti quelli moderni, vedrete

che il comportamento è diverso. La stessa cosa con

la foto qui a fianco: vedete il simbolo? Chi ha un di-

splay wide gamut lo vede, proprio perché il simbolo

è disegnato con un rosso che che si trova fuori dallo

spazio colore sRGB.

Cosa succede sugli smartphoneE gli smartphone? Stessa cosa: nonostante Google

abbia introdotto con Android Oreo la gestione dei

profili colori, quasi tutti i produttori e gli sviluppa-

tori Android ignorano questa funzione. Le modalità

“vivid” o “wide color” che si possono impostare dal

menu impostazioni dei telefonini spesso non fanno

altro che espandere quello che è il profilo di base,

ovvero sRGB, alterando la resa cromatica.

Esempio pratico: scattiamo una foto ad un prato

verde, la foto è in sRGB, quindi il verde più saturo

presente nell’immagine catturata ha coordinate ben

precise, definite dal profilo. Se lo schermo dello

smartphone è impostato sul profilo standard, che

spesso corrisponde proprio all’sRGB della foto, vie-

ne visualizzato il verde corretto.

Se però si imposta su “vivid” o “wide color”, ogni

produttore ha i suoi nomi, il

verde verde viene visualiz-

zato usando le coordinate

di un altro profilo colore. E

non è affatto giusto: la foto

non ha quel verde, è solo

lo schermo che la mostra

così all’utente. Che magari

ritocca a sua volta colore

e saturazione, perché è in-

soddisfatto di una resa che

paradossalmente non ap-

partiene alla foto, è solo il

modo in cui un display, così

impostato, sta visualizzando

quella foto.

Apple con iOS e con gli

iPhone è l’unica che man-

tiene dallo scatto alla visua-

lizzazione il profilo corretto:

la foto visualizzata sullo schermo dell’iPhone non è

diversa da quella visualizzata sullo schermo del Mac,

o dell’iPad, con le ovvie tolleranze dovute alla diffe-

renza qualitativa dei display.

Non solo, anche le applicazioni si sono adattate:

500px, Instagram e molti altri siti gestiscono nativa-

mente il wide color gamut, ed è un po’ il motivo per

cui quando si scorrono le foto con un dispositivo che

gestisce correttamente i colori, le immagini scattate

da un iPhone appaiono più sature e cariche cromati-

camente. Non è Apple che le rende più cariche, sono

semplicemente foto con una gamma cromatica più

estesa che vengono visualizzate nel modo esatto in

cui devono essere trattate.

Spesso leggiamo commenti su colori e resa di foto-

grafie che vengono pubblicate online: “il samsung

è più saturo”, “questo ha i colori più spenti”, ma non

ci si rende conto che non si sta guardando davvero

la foto fatta dallo smartphone. Si sta guardando un

display, spesso non calibrato, che se non è gestito

bene sta alterando e non poco la resa cromatica del-

la foto originale. E soprattutto che sta mostrando una

foto diversa da come la vedono gli altri.

Perché i fotografi guardano l’istogrammaChi scatta con una macchina fotografica professio-

nale ha a disposizione un display piccolo per rive-

dere le foto. Lo usa per controllare se lo scatto è a

fuoco e soprattutto per leggere l’istogramma, la cosa

più importante. L’istogramma è quel piccolo grafico

che dice subito se quella foto è sottoesposta o so-

vraesposta, come sono distribuite le ombre, le luci e

i toni medi. E non inganna: l’istogramma, a differenza

dello schermo, ci dice esattamente come è la foto

scattata e se è da rifare o se può andare bene. Lo

schermo mente, l’istogramma no.

Torniamo così al P30 Pro: perché abbiamo detto che

le foto sono meglio di quello che lo schermo mostra?

Per il semplice motivo che in molti casi lo schermo

può mostrare un bianco bruciato, o poco dettaglio

sulle basse luci, ma poi questi dettagli nella foto ci

sono. Non è solo una questione di risoluzione: è una

questione di calibrazione e quindi di fedeltà nella ri-

produzione.

Perché è fondamentale avere uno schermo calibratoLo ripetiamo da sempre: dove possibile è sempre

bene avere uno schermo che sia calibrato e accura-

to. Come è importante avere una TV calibrata, per-

ché restituisce l’immagine che ha voluto il regista, è

ancora più importante avere uno schermo calibrato

quando si va ad intervenire sull’immagine stessa. Sui

film, sulle trasmissioni e sui giochi non possiamo in-

tervenire: li visualizziamo come li hanno fatti. Sulle

foto e sui video da noi scattati o ripresi possiamo

farlo e spesso lo facciamo.

Spesso si tende a sottovalutare la bontà della cali-

brazione dello schermo di uno smartphone, perché

si fa il collegamento mentale “display -> visione film”.

Ma è solo un aspetto, e dei meno importanti: sullo

schermo di uno smartphone una persona ritocca al

volo le foto per condividerle o pubblicarle su Ista-

gram o suoi social, valuta lo scatto che ha appena

fatto e decide se è il caso di rifarlo. Spesso giudica

anche altre immagini.

Uno schermo calibrato, dal più piccolo al più grande,

è più importante di quanto si possa pensare. Ma non

sempre si può avere: gli smartphone, ad esempio,

non sono calibrabili. Ed è anche sbagliato pensare

che quella che si sceglie nel menu schermo sia una

calibrazione: è semplicemente l’utente che forza la

conversione di uno spazio colore, ma è sempre una

conversione. Ecco perchè in fase di scelta è fonda-

mentale guardare anche questo parametro.

FOTOGRAFIA

Schermo calibrato, perché è importantesegue Da pagina 28

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Gianfranco GIARDINA

Come tradizione, Adobe si presenta al NAB di

Las Vegas (la più grande fiera per i broadcaster

al mondo) con alcune novità nella propria suite

Creative Cloud espressamente dedicate al video. Un

fattore chiave di questa release, che sarà disponibile

per tutti gli abbonati sin da oggi, non è tra i più visibili

a prima vista, ma è decisamente importante: il miglio-

ramento delle performance e dell’utilizzo della GPU,

soprattutto per i sistemi che possono contare su una

scheda grafica “dual”.

La velocità di export, per esempio, è 5,6 volte più alta

se si opera con GPU dual rispetto a una GPU singola.

Risultati ancora migliori per alcuni effetti che ora si

appoggiano alla GPU e non sono solo “software”. Per

esempio il mask tracking è diventato 4 volte più veloce

in HD e 13 volte più veloce in 4K.

Ma non ci sono solo miglioramenti prestazionali: la

nuova funzione che più colpisce è il riempimento

automatico in After Effects. Si tratta in pratica di uno

strumento analogo a quello che si trova su Photoshop,

comodo quando si vuole riempire una porzione di im-

magine basandosi sui contenuti adiacenti, per esempio

per far sparire con pochi clic un oggetto indesiderato.

Ora questa funzione viene estesa, sempre sulla base

del motore Sensei di intelligenza artificiale, alle imma-

gini in movimento.

Secondo quanto mostrato da Adobe, basta selezionare

le aree da riempire su un fotogramma di una sequenza

per vedere la “cancellazione intelligente” effettuata su

tutta la clip. Ovviamente la funzione va verificata all’atto

VIDEO CREATIVO Alla fiera più importante al mondo per i broadcaster, Adobe perfeziona la propria suite Creative Cloud

NAB 2019: Adobe migliora la Creative Cloud Più potenza e nuovi strumenti per il videoUn fattore chiave di questa release, disponibile dal 3 aprile, è il miglioramento delle performance e dell’utilizzo della GPU

pratico e con materiali reali, ma la demo fatta vedere

in conferenza stampa è stata a dir poco stupefacente:

sono spariti dei passanti, un pennone con una bandie-

ra e una grande pietra in primo piano. Premiere Pro, il

programma di montaggio video, ha ora una nuovo pan-

nello per l’organizzazione delle clip: si chiama freeform

view e permette di disporre le clip come se si operasse

su una lavagna, raggruppando e mettendo in ordine

le clip buone nelle diverse sequenze e definendo, al-

meno in maniera sommaria, anche i punti di in e out.

In questo modo, poi, basta trascinare in timeline un

gruppo di clip disposto nella freeform view per vederle

messe in sequenza secondo i punti di cut definiti, ov-

viamente poi raffinabili sulla timeline.

La freeform view, poi, permette di raggruppare le clip

secondo un gran numero di metadati e lascia libero

l’utente di scegliere con quale di essi comporre la di-

dascalia di ogni clip. Funzioni molto utili per progetti

complessi e con tante clip coinvolte, in cui la visione

a lista e raggruppamenti statici potrebbe non essere

il massimo.

Sbarcano anche su Premiere Pro le guide e i righelli: si

tratta della classica funzione di Photoshop per avere

allineamenti più facili.

Ora si possono tirare delle guide anche sul frame vi-

deo, in modo tale, per esempio, da allineare facilmente

titoli ricorrenti o elementi grafici. Le guide, tra l’altro,

possono essere esportate e importate tra Premiere Pro

e After Effects. Gli oggetti possono essere vincolati alle

guide che diventano calamitate.

Miglioramenti anche nella gestione del testo e della

grafica: gli elementi possono avere ora fino a 10 tracce

di contorno, con colori e spessori diversi. A un ogget-

to di testo, poi, è possibile aggiungere un colore del

tassello di sfondo senza dover creare un rettangolo

separato, che poi andrebbe tenuto allineato al testo.

Infine i testi possono diventare al volo anche maschere

per l’applicazione limitata all’interno o all’esterno della

scritta di determinati effetti.

Novità interessanti ma meno vistose anche su Audi-

tion, dove arriva la funzione di attenuazione della mu-

sica e dei rumori di fondo per garantire l’intelligibilità

del parlato.

Migliora anche Character Animator, che diventa più

flessibile nella personalizzazione dei personaggi e che

può essere connesso in tempo reale con applicazioni

web terze, come per esempio Twitch.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Pasquale AGIZZA

P rocessore Intel Core i7 di ottava

generazione, schermo da 14 pol-

lici con risoluzione Full HD con

cornici molto sottili e scheda grafica

Nvidia GeForce MX150. Sono queste

le caratteristiche più importanti del

nuovo ZenBook 14 di Asus che coniu-

ga potenza e design elegante. Presen-

tato a gennaio al CES di Las Vegas, lo

ZenBook 14 arriva sul mercato italiano

con prezzi a partire da 999 euro. Cuore

del notebook è il processore Intel Core

i7-8565U, un quad-core da 1,8 GHz con

Turbo Boost fino a 4,6 GHz e cache da 8

MB. A coadiuvare le prestazioni del pro-

cessore ci sono 8 GB di RAM integrata

a 2.133 MHz.

Grande attenzione di Asus per quel che

riguarda lo schermo, un IPS NanoEdge

da 14 pollici con risoluzione Full HD.

L’utilizzo della tecnologia NanoEdge

contribuisce ad ottenere un’ottima

PC Debutta sul mercato italiano il nuovo ZenBook 14, che coniuga potenza e design elegante

ZenBook 14 arriva in Italia a partire da 999 euroProcessore i7 di 8a generazione, schermo da 14” con cornici molto sottili e scheda grafica Nvidia

resa dei colori, oltre a permettere la

riduzione delle cornici dello schermo.

Le cornici laterali misurano poco più di

6 millimetri, donando al notebook un

aspetto piacevole e dimensioni molto

compatte. Lo ZenBook 14 pesa, infatti,

solo 1,45 chili e le dimensioni sono para-

gonabili ad un portatile da 13 pollici. La

scheda grafica Nvidia GeForce MX150,

SSD PCIe x2 M.2 da 256 GB e il sistema

audio a quattro altoparlanti firmato Har-

man Kardon completano la dotazione

Microsoft aggiorna Surface Book 2 con il Core i5 di ottava generazionePiccoli ritocchi al listino dei Surface Book 2. Compare il nuovo processore quad core i5-8350U di ottava generazione, ma la nuova opzione non è ancora disponibile in Italia di P. AGIZZA

Microsoft ha aggiornato il Surface Book 2 da 13,5” col nuovo proc-essore Intel i5-8350U di ottava generazione. Microsoft propone il nuovo modello sul mercato ameri-cano al prezzo di 1.499 dollari. In Italia non è ancora disponibile. L’i5-8350U è un processore di ottava generazione con 4 core e 8 thread. La frequenza base è di 1,70 GHz con turbo fino a 3,60 GHz. Il con-sumo dichiarato è di 15 W. Come detto, prenderà il posto del prec-edente processore i5-7300U dual core con 4 thread con frequenza di base di 2,60GHz e TDP di 25W. L’utilizzo del nuovo processore è l’unica novità di questo rinnova-mento della gamma Surface Book, anche se si tratta di una novità im-portante. Già in altri prodotti Micro-soft il passaggio da un processore dual core ad un processore quad core ha portato grossi benefici prestazionali. Attualmente, però, in Italia è possibile configurare il Surface Book 2 da 13,5” solo con l’i5-7300U di settima generazione e l’i7-8650U di ottava generazi-one, con un prezzo che parte da 1299 euro per la versione con i5, 8GB di RAM e 128GB di memoria interna. Per ora l’opzione con i5 di ottava generazione è presente sul sito italiano del Microsoft Store, ma non è possibile selezionarla in nessun modo. Nell’evento Sur-face in programma per il 17 aprile a New York, la star della serata sarà il nuovo Surface Hub 2, ma non si escludono novità anche per il resto della gamma Surface.

hardware di un portatile che nonostante

le dimensioni ridotte pone l’accento an-

che sulla sua robustezza. Lo ZenBook

14, infatti, soddisfa lo standard militare

MIL-STD 810G per quel che riguarda af-

fidabilità e durata. Molto ricca anche la

dotazione di porte, che vanta una USB

3.1 Type C da 10 Gbps, una USB 3.1 Type

A da 5 Gbps e una USB 2.0. Presenti

anche la porta HDMI per connettere un

secondo schermo, uno slot per schede

SD e il jack audio.

di Roberto PEZZALI

Andare su Amazon, digitare “ssd 1

TB” e vedere le proposte: dai 90

euro ai 120 euro si possono trovare,

ivati e con tutti i ricarichi del caso, ottimi

dischi Samsung ad elevate prestazioni.

Se fino allo scorso anno i dischi a stato

solido erano usati solo sui modelli di

fascia alta, il crollo dei prezzi li ha ormai

portati anche su notebook di fascia me-

dia in promozione. Oggi avere un disco

rigido tradizionale non ha più alcun sen-

so: consumi, prestazioni, possibilità di di-

fetti, tutto depone a favore dei nuovi SSD.

Ma non per Apple, che sui suoi prodotti

più recenti della famiglia iMac ha deciso

di usare ancora dischi classici. Anzi, il

modello entry, da 1549 euro, usa addirit-

tura un disco da 5400 rpm. Non che il

Fusion Drive sia una soluzione migliore:

lo era quando i dischi SSD costavano,

oggi non lo è più, resta comunque una

ibridazione che offre vantaggi sul lancio

PC Il nuovo iMac entry da 21.5” da 1.549 euro ha ancora un vecchio hard disk da 5400 rpm

Gli SSD costano ormai pochissimo ma sui nuovi iMac Apple usa hard disk preistoriciOggi avere un disco rigido tradizionale non ha più senso, per consumi, prestazioni e difetti

delle applicazioni ma che

mostra i suoi limiti se si de-

vono spostare grossi file o

trasferire grosse quantità

di dati.

L’unica a non esserci ac-

corta che gli SSD ormai

costano pochissimo, e

sono la soluzione a milioni

di problemi di prestazioni

che hanno toccato note-

book e portatili in tutto

il mondo, è Apple. Che

continua ad avere un costo di upgrade

esagerato, quasi 1000 euro per l’SSD da

1 TB. Lo stesso upgrade per i Macbook, e

non si capisce perché, costa decisamen-

te meno. Non solo: tutte e sei le confi-

gurazioni disponibili prevedono il disco

Fusion Drive. Chi acquista un iMac in un

negozio deve acquistare una delle solu-

zioni “preconfezionate”, e sia che si tratti

di 21.5” sia che si tratti di 27” ci si ritrova

comunque con un Fusion Drive. Per la

personalizzazione di un iMac con disco

SSD vero, e non costa poco, si deve pas-

sare dallo Store Apple. Se da una parte

è vero che i Mac non hanno mai sofferto

di grossi problemi di performance, gra-

zie al file system ottimizzato, dall’altra

è davvero difficile acquistare nel 2019

un prodotto “premium” pagandolo non

poco sapendo che dentro c’è un hard

disk di altri tempi. Che, dopo anni di ser-

vizio, meriterebbe la pensione.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Pasquale AGIZZA

Asus corregge la falla di Live Update

che ha messo a rischio più di un mi-

lione di PC con scheda madre della

azienda taiwanese. Allo stesso tempo

l’azienda ha dichiarato di aver rafforzato

la propria architettura server per preveni-

re attacchi simili in futuro e ha distribuito

uno strumento per controllare se il PC è

stato coinvolto dall’infezione. Il team di ri-

cercatori di sicurezza Kaspersky Labs ha scoperto che un gruppo di hacker erano

riusciti a compromettere un server usato

da Asus per gli aggiornamenti, e grazie

a questo erano riusciti ad installare una

backdoor all’interno del PC della vittima.

Impressionanti i numeri dei PC infetti, che

secondo i ricercatori russi potevano esse-

re più di un milione. Il file malevolo, a causa

della compromissione del server, portava

la firma digitale di Asus e veniva segnala-

to da Live Update come aggiornamento

critico da effettuarsi al più presto. Con un

comunicato stampa Asus ridimensiona di

molto la portata di questi numeri. “Una

PC Live Update, il software di Asus coinvolto in una diffusione di malware, è stato aggiornato

Un milione di PC Asus a rischio malwareOnline il programma per vedere se sei infettoAsus ci ha messo più di cinque mesi per accorgersi del problema e chiudere la falla L’azienda ha comunicato anche il rafforzamento dei sistemi di difesa dei propri server

quantità limitata di dispositivi - fa sapere

la società in una nota - è stata impattata

con un codice maligno attraverso un at-

tacco sofisticato sui server di Live Update,

nel tentativo di colpire un gruppo di utenti

molto piccolo e specifico”. Viene anche

sottolineato come il servizio clienti ASUS

abbia subito contattato gli utenti interes-

sati e fornito assistenza al fine di eliminare

qualunque rischio di sicurezza. L’azienda

taiwanese ha poi implementato una cor-

rezione nell’ultima versione di Live Upda-

te per impedire qualsiasi manipolazione

dannosa sotto forma di aggiornamenti

software. È fondamentale che gli utenti

aggiornino Live Update all’ultima versio-

ne disponibile, la 3.6.8 che implementa

anche un meccanismo di crittografia end-

to-end per aumentare la sicurezza.

Asus ha anche rilasciato uno strumento diagnostico di sicurezza da scaricare per

verificare se il nostro dispositivo è interes-

sato dall’infezione del malware. Lo stru-

mento ufficiale di Asus si affianca a quello

che Kaspersky ha messo online qualche

giorno fa allo stesso scopo.

Windows 10 May Update cambia politica: gli aggiornamenti non sono più imposti fin da subitoNon sarà più obbligatorio installare gli aggiornamenti funzionali fintanto che la versione in uso è supportata di Riccardo DANZO

Inizialmente previsto per aprile, Windows 10 19H1 verrà invece rila-sciato a partire da fine maggio con il nome di “May 2019 Update”. Per evitare i problemi avuti con l’Octo-ber 2018 Update, infatti, la nuova versione di Windows entrerà la prossima settimana nella Release Preview Ring dedicata agli insider e inizierà la distribuzione genera-le solo verso la fine di maggio. Le novità più importanti di Windows 10 May Update riguardano la ge-stione dei nuovi aggiornamenti. Da questo aggiornamento in avanti, l’utente potrà scegliere se aggior-nare subito il suo PC, aggiornarlo in un secondo momento o saltare completamente la release. No, Microsoft non è impazzita, sempli-cemente, fintanto che la versione installata sul dispositivo è suppor-tata, l’utente ha la facoltà di non in-stallare gli aggiornamenti succes-sivi. “Quando i dispositivi Windows 10 - spiega Mike Forlin, corporate vice president di Windows - saran-no, o saranno in procinto di, rag-giungere la fine del ciclo, Windows Update continuerà a iniziare auto-maticamente gli aggiornamento funzionali; mantenere le macchine supportate e ricevere gli aggior-namenti mensili è critico per la si-curezza del dispositivo e la salute dell’ecosistema”. La distribuzione del nuovo aggiornamento sarà graduale. Microsoft cercherà di capire a quali configurazioni hard-ware rendere poi effettivamente disponibile l’aggiornamento.

di Roberto PEZZALI

AMOLED su notebook, ci siamo. HP a

partire da aprile proporrà per i suoi

portatili Envy X360 e Spectre X360

anche la possibilità di avere un pannello

OLED. AMOLED per la precisione, e que-

sto ci porta a pensare che venga utilizzato

un pannello prodotto proprio da Samsung

Display. I benefici sono molteplici, oltre

ad una leggera riduzione dei consumi,

anche se in ambito computer tra un LCD

e un OLED il consumo è simile: il bianco

è sempre il colore che regna, ma i temi

scuri si stanno diffondendo. Lo schermo

sarà da 15.6” per entrambi i modelli, 3840

x 2160 di risoluzione e una luminosità che

va da 0.0005 a 600 nits, un contrasto di-

namico stranamente “alto” per un OLED,

120.000:1 e un angolo di visione quasi to-

tale. Il pannello sarà in grado di riprodurre

PC Sono già disponibili in Europa i nuovi portatili HP Envy e Spectre con schermo OLED

HP porta gli OLED 4K sui notebook Spectre e Envy Una vera novità in ambito notebook che potrebbe però alzare, non di poco, il prezzo

contenuti HDR10 con certificazione Vesa

DisplayHDR: probabilmente sarà il primo

display per notebook HDR che si merita

questa denominazione. Notevole, almeno

secondo quando dichiarato, la copertura

cromatica, che dovrebbe gestire senza

problemi sRGB, AdobeRGB e P3. Resta

il dubbio sul prezzo: quanto si dovrà pa-

gare di più per un pannello OLED? Siamo

davanti a portatili di fascia premium, per

i quali ancora non si conosce la configu-

razione. I processori dovrebbero essere

Intel’s Core ‘Whiskey Lake’, ma per gli altri

dati si deve attenere il lancio. HP Envy

X360 e Spectre X360 debutteranno in

Europa verso la fine di aprile.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Massimiliano DI MARCO

L a notizia è stata per giorni sulla bocca di tutti:

Google è entrata di prepotenza nel mondo dei

videogiochi. Lo ha fatto con uno sguardo al futuro

(lo streaming) e promettendo funzionalità che le at-

tuali aziende non hanno ancora e incuriosendo anche

chi non è strettamente appassionato di videogiochi:

streaming in 4K, accesso rapido alle sessioni di gioco

degli streamer, assistenza nei momenti difficili dell’av-

ventura.

L’arrivo di Google Stadia cambierà le strategie com-

merciali di Sony? Se sì, come? Lo abbiamo chiesto

direttamente a Marco Saletta, general manager di

Sony Interactive Entertainment Italia. E anticipiamo il

cuore della sua risposta: le potenzialità del servizio di

streaming di Google, come la risoluzione 4K a 60 FPS,

dovranno essere verificate sul campo e bilanciate da

ciò che fa davvero la differenza, cioè i contenuti.

DDAY.it: Ogni volta che grandi società tecnologiche come Google entrano in un nuovo segmento com-merciale lo fanno in modo abbastanza prepotente grazie alle risorse economiche che ovviamente han-no facendo quasi terra bruciata. L’ingresso di Google in che modo impatta le strategie di Sony? In generale Sony come risponde e come risponderà al-l’ingresso di nuovi giocatori che vanno un po’ ad alterare le dina-miche commerciali a cui siamo stati abituati in questi anni da parte dell’industria videoludica?Marco Saletta: “L’ingresso di

Google è benvenuto nel nostro

mercato. Il mercato italiano è un

mercato che ancora soffre di una

dimensione che non è quella di

altri Paesi europei. Google può

essere un elemento di ulteriore

apertura e penetrazione nel con-

sumo del videogame che oggi

sia il mondo PC sia quello con-

sole ma anche il mondo mobile

in qualche modo non sono riu-

sciti a fare. Google rappresenta

la novità, rappresenta il futuro

del modo di fruire i videogame.

Dal nostro punto di vista non ci sono impatti sul bu-

siness di PlayStation. Quello dello streaming è un

modello che Sony conosce bene. Sono cinque anni

che noi lavoriamo con PlayStation Now nel mondo; lo

abbiamo lanciato in 19 Paesi, conosciamo bene le di-

namiche dello streaming. Chiaramente siamo legati a

una tecnologia che è un pochino più vecchia rispetto

a quanto ha dimostrato Google, che poi andrà ogget-

GAMING L’arrivo di Google Stadia cambierà le strategie commerciali di Sony? Se sì, come? E il 4K di Google lascerà fuori PlayStation Now?

PlayStation Now, Sony non teme il 4K di Google Stadia: “La sfida sarà sui contenuti”Per Marco Saletta, general manager di Sony Interactive Entertainment Italia, la sfida non si giocherà solo sul piano tecnico

tivamente verificata sul campo. Quello che posso dire

è che noi non abbiamo grande preoccupazione, ma

vediamo l’opportunità che Google possa muovere ri-

spetto allo schema attuale e chiamare al consumo di

videogame un numero sempre maggiore di gamer”.

DDAY.it: Google è arrivata e promette streaming fino a 4K a 60 FPS su qualsiasi dispositivo, che sia la smart TV o lo smartphone. PlayStation Now è limi-tata, al momento, alla risoluzione massima di 720p

ed è disponibile solo su PS4 e PC. A causa di questa di-sparità tecnica sulla carta abbastanza consistente, PlayStation Now non rischia di essere già tagliata fuori a pochi mesi dall’espansione in Europa, dove è arrivata anche in Italia?Saletta: “Ci sono due ele-

menti che mi fanno dire che

non è così. Il primo elemento

è un tema di contenuti. Noi

abbiamo un parco di con-

tenuti, che per altro viene

aggiornato mensilmente, di

600 titoli. Vedremo cosa sa-

pranno offrire i nuovi arrivati

nel mondo del gaming via

streaming perché i contenuti

sono molto più rilevanti della

tecnologia attraverso la qua-

le riesci a fruirli. Oggi chi ha

una fibra gioca a PlayStation Now senza alcun ritar-

do, come detto, a 720p, ma nessuno si lamenta della

qualità dello streaming. Anzi, i feedback da parte del-

la community di PlayStation Now sono estremamen-

te positivi. Da un lato i contenuti, su cui ci sentiamo

particolarmente confidenti di avere oggi un’offerta

che non è equiparabile in nessun modo da nessun

player nel mondo dello streaming. Dall’altro il sistema

di tecnologie. Google ha lanciato una tecnologia che

probabilmente sarà “live” in maniera efficace tra due

anni. Quando lo confronti con una console che è al

sesto anno di vita (PlayStation 4, ndr), in mezzo c’è

quasi un decennio di tecnologia. C’è da aspettare un

attimo e capire anche quale sarà l’evoluzione anche

dal punto di vista di Sony”.

DDAY.it: Parlando di contenuti, oggi PlayStation Now non offre tutti i giochi più recenti, cioè diret-tamente al lancio come, per esempio, fa Microsoft con Xbox Game Pass. A un certo punto voi userete questo approccio, ossia PlayStation Now sarà una proposta parallela e quasi equivalente a giocare in locale, oppure il servizio resterà sempre una sorta di proposta secondaria per chi vuole una fruizione più leggera e continuerà a essere meno indicato, inve-ce, per chi vuole tutto al lancio?Saletta: “Oggi il catalogo di prodotti che sta su Play-

Station Now è un catalogo fatto per i gamer. Pur non

offrendo titoli al day one c’è una tale profondità di

catalogo, chi si affaccia al servizio oggi non sente

l’esigenza. Per quanto riguarda il futuro, ci siamo pre-

si sei mesi, un anno per valutare. Tra un anno faremo

le nostre considerazioni e prenderemo le decisioni su

come muovere ulteriormente in avanti il servizio di

PlayStation Now e i contenuti che ci sono dentro.”

DDAY.it: Verso la fine della scorsa generazione, PlayStation 3 ha avuto un grande slancio commer-ciale e ha recuperato gran parte del divario che aveva accumulato con Xbox 360 e già adesso po-tremmo dire che, a livello di vendite, PlayStation 4 ha stravinto questa generazione. Per la prossima generazione, cosa possiamo aspettarci? Vi sposte-rete verso un’offerta più bilanciata tra servizi su abbonamento, come PlayStation Now, e console oppure l’hardware PlayStation resterà sempre cen-trale nella strategia di Sony?

Marco Saletta, general manager di Sony Interactive Entertainment Italia

segue a pagina 35

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torna al sommario 35

MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

Saletta: “Sicuramente l’hardware è e rimarrà centrale

rispetto alle strategie di Sony. Noi continuiamo a cre-

dere che la via di accesso a una fruizione di conte-

nuti videoludici via console sia quella ideale. For the

players, per capirci. Non stiamo muovendo la nostra

considerazione. È chiaro che il lancio di PlayStation

Now ci metterà tra sei, dodici mesi nelle condizioni

di capire se e come modulare l’offerta di contenuti

tramite il Now rispetto a quella più tipicamente, di-

ciamo, retailer e capire rispetto alla domanda che il

consumatore fa di contenuti come muovere la nostra

offerta, anche in funzione dell’ottimizzazione delle ri-

sorse che abbiamo a nostra disposizione”.

DDAY.it: All’E3 2019 Sony non ci sarà e da poco ha inaugurato un nuovo formato di comunicazione, gli State of Play. È un vero e proprio cambio di strategia di comunicazione o la decisione di saltare l’E3 2019 è da ritenersi unica? Le fiere come l’E3 nei piani di marketing di Sony hanno ancora un senso o preferi-sce qualcosa di più flessibile e adattabile?Saletta: “Abbiamo fatto una scelta di comunicazione

diversa per il 2019 coerentemente con tutto ciò che

abbiamo già raccontato al nostro consumatore. Per

quanto riguarda le scelte definitive, non credo che lo

sarà la scelta di mancare all’E3”.

DDAY.it: Sin dal debutto sul merca-to PlayStation Classic, la versione “mini” della prima, storica Play-Station, non sembra aver avuto lo stesso impatto commerciale di prodotti concorrenti simili. Secon-do lei, perché?Saletta: “L’aspettativa che noi ab-

biamo incontrato sul mercato è

coerente con i numeri che abbiamo

sviluppato. Dal punto di vista dei

contenuti all’interno di Classic, ci è

stata mossa qualche critica che noi

ovviamente abbiamo recepito in maniera molto one-

sta, ma francamente siamo tutto sommato soddisfatti

di com’è funzionato il lancio della Classic”.

DDAY.it: PlayStation VR è tra i visori di realtà virtua-le che hanno avuto il maggior successo, parliamo di 4,2 milioni di unità vendute. In proporzione alle PlayStation 4 vendute si tratta, però, di una percen-tuale di utenti molto bassa. Non esiste il rischio che, nonostante questo buon successo commerciale, gli sviluppatori sentano PlayStation VR come una scel-ta rischiosa dal punto di vista commerciale e, a un certo punto, vengano poi a mancare i contenuti?Saletta: “Questo rischio non è paventabile. PlaySta-

tion VR è il visore VR più venduto al mondo. In Italia,

come nel resto d’Europa, la domanda per tutto il 2018

è stata altissima per il visore. Oggi siamo arrivati a

circa 300 contenuti tra videogame e serious game e

tutto quello che puoi trovare sullo store e nel retail. A

oggi parlare in termini critici dei risultati VR per noi è

abbastanza complicato. Capisco il tema della base

installata, ma la fruizione dei contenuti VR è ancora

complessa, non è un device per tutti.

Aggiungo un elemento importante. Guardando al

2019, abbiamo appena annunciato la partnership con

Marvel per il lancio di un titolo come Iron Man, che

sicuramente contribuirà a richiamare ulteriori consu-

matori sulla piattaforma e a dare un boost ulteriore

a PlayStation VR che sicuramente non mancherà di

sorprendere anche il consumatore”.

GAMING

Sony non teme il 4K di Google Stadiasegue Da pagina 34

di Massimiliano DI MARCO

Ancora poco e poi non sarà più

possibile acquistare codici per i

giochi completi in digitale tramite

i rivenditori fisici. Sony Interactive En-

tertainment ha annunciato che dal 1°

aprile i negozi che, come GameStop,

fanno parte del Global Digital at Retail

in tutto il mondo, potranno vendere

soltanto contenuti aggiuntivi oppure

ricariche per il portafoglio virtuale

legato all’account PlayStation Network.

“Possiamo confermare - ha detto Sony

Interactive Entertainment Italia in una

nota - che dal 1° aprile 2019, Sony In-

teractive Entertainment non offrirà più

giochi completi attraverso il program-

ma Global Digital at Retail. Questa deci-

sione è stata presa al fine di continuare

ad allineare il business a livello globale.

Per supportare i giochi completi e le

edizioni premium, SIE introdurrà ulte-

GAMING A breve non si potrà più acquistare codici per i giochi in digitale tramite rivenditori fisici

Nuova direttiva da Sony: stop ai giochi in digitale venduti da GameStop e altri storeDal 1° aprile i negozi terzi potranno vendere solo contenuti aggiuntivi e pass stagionali

riori denominazio-

ni per rivenditori

selezionati. DLC,

add-ons, valute vir-

tuali e season pass

saranno comunque

disponibili”.

Rimangono ancora

alcuni dubbi rispet-

to alla piena ope-

ratività di questa

decisione: piatta-

forme online come

Amazon vengono coinvolte? Verrebbe

da rispondere sì, sebbene non ci siano

ancora conferme ufficiali.

Amazon ha iniziato da poco a vendere

giochi in digitale. Spulciando il catalogo

di Amazon Italia, però, appare evidente

che già da ora i giochi completi PlaySta-

tion 4 non siano disponibili in versione

digitale; altrettanto, invece, non è vero

per Xbox One e Nintendo Switch, per

esempio. Il che ci lascia pensare che

Amazon rientri nei rivenditori aderenti

al Global Digital at Retail, che potesse

già essere a conoscenza di tale diret-

tiva di Sony Interactive Entertainment e

che, quindi, avesse già messo in pratica

tutte le indicazioni del caso per poter

vendere i giochi in digitale su piatta-

forme PlayStation seguendo quanto

stabilito da Sony.

GAMING

L’UE accusa Valve e altri cinque per violazione antitrustAver impedito ai consumatori europei di usare i giochi per PC acquistati in un Paese diverso da quello di residenza, una manovra contraria alle regole dell’antitrust. Così la Commissione Europea ha richiamato Valve, proprietaria della piattaforma di distribuzione digitale Steam, e cinque editori: Bandai Namco, Capcom, Focus Home, Koch Media e ZeniMax. In sostanza, Valve e gli altri editori impedivano agli utenti di comprare un codice di attivazione in vari Paesi dell’Unione Europea per poterlo poi usarlo in un altro Stato, come l’Italia. Ora le sei aziende dovranno presentare le proprie difese; se anche dopo averle ascoltato la Commissione Europea riterrà che abbiano violato le politiche commerciali europee, allora saranno passibili di una sanzione pecuniaria fino al 10% dei ricavi dell’ultimo anno.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Massimiliano DI MARCO

N emmeno quattro mesi dopo il de-

butto commerciale e PlayStation

Classic è disponibile ovunque a

metà del suo prezzo originale. Un dra-

stico calo dai 99 euro iniziali, che lascia

pensare che la console non abbia avuto

lo stesso traino commerciale di iniziative

simili come NES e SNES Classic Mini di

Nintendo; oggi, infatti, PlayStation Clas-

sic può essere facilmente acquistata

per poco più di 50 euro. Curiosamente,

mentre al tempo della disponibilità com-

merciale della prima PlayStation la pira-

teria aveva contribuito a diffondere la

console e con esso il marchio, altrettan-

to non sembra essersi concretizzato con

PlayStation Classic, pur caratterizzata da

un sistema di crittografia facilissimo da superare. Va detto che sin dalle prime

settimane di disponibilità sul mercato

PlayStation Classic ha dimostrato qual-

che acciacco: al di là di una modesta

prestazione in Giappone (120mila unità

vendute nella prima settimana, cioè un

GAMING La console “retro” di Sony, PlayStation Classic, costa la metà rispetto ai 99 euro di dicembre

PlayStation Classic, prezzo dimezzato dopo 4 mesi. È solo colpa dei giochi?Solo Nintendo con NES e SNES Classic Mini sembra poter dire la sua quando si parla di nostalgia

terzo di quanto ha fatto in quattro gior-

ni SNES Classic), la maggior parte dei

rivenditori internazionali - da Amazon a

Walmart - hanno abbassato di molto il

prezzo già durante le festività natalizie.

Sony non ha però mai fornito informazio-

ni ufficiali di vendita. Per dare un riferi-

mento, Nintendo ha dichiarato vendite

accumulate di NES e SNES Classic Mini

Edition superiori alle 10 milioni di unità.

Per quel che riguarda l’Italia non ci sono

molti dati commerciali. Dal rapporto an-

nuale di AESVI sappiamo soltanto che

nel 2018 sono state vendute circa 85mila

unità di console “retro”. Categoria nel

quale non appaiono soltanto Nintendo

e Sony, ma anche Commodore, SEGA

e Atari, per esempio. Eppure, sembra

che unicamente Nintendo abbia saputo

cogliere il vero entusiasmo dei nostalgici

che più che tenere sempre attiva una si-

mile macchina per il retrogaming hanno

visto una materializzazione dei “bei tem-

pi andati” da accendere di tanto in tanto

e da tenere in bella vista.

PlayStation Classic, poi, paga forse un

catalogo di giochi non particolarmen-

te interessante tra quelli preinstallati.

Certo, scegliere 20 giochi tra i tanti che

hanno rappresentato la grande era di

PlayStation (anche se di Mr. Driller nes-

suno avrebbe sentito l’assenza, mentre

un WipeOut sarebbe stato più apprez-

zato). Forse ha anche pagato il fatto di

garantire un’esperienza grafica invec-

chiata (molto) male: erano gli albori della

grafica tridimensionale e guardare certi

giochi oggi, pur con tutto il sentimento

che scaturisce dal ricordo, è un pugno

negli occhi. Diversamente la grafica 2D

“pixellosa” di NES, SEGA Master System

e SNES risulta semplicemente “retro” e

ancora oggi molto gradevole; anzi, oggi

viene ancora utilizzata da giochi come

Sonic Mania Plus, The Messenger o

Axiom Verge. Nessuno sviluppatore, in-

vece, ha piacere a riprendere la grafica

del primo Tomb Raider.

O magari, più semplicemente, PlaySta-

tion Classic è arrivata un momento di

stanca di questo sottosegmento com-

merciale delle console saturato, appun-

to, da Nintendo nel giro di due anni.

Eppure siamo convinti che un Nintendo

64 “mini” riaccenderebbe gli animi dei

nostalgici.

di Giovanni CAU

N on solo Nintendo e PlayStation; anche

SEGA proporrà una riedizione “mini”

di una sua celebre console. Parliamo

del Mega Drive (in altre parti del mondo noto

come Genesis), che sarà commercializzato il

19 settembre in tutto il mondo. L’AD Satomi

Haruki ha dichiarato che SEGA ha voluto

prendersi tutto il tempo necessario per la

produzione del Mega Drive Mini per realiz-

zare un prodotto eccellente, assicurando

che queste versione non ha niente a che vedere con la precedente uscita di SEGA

Mega Drive Flashback prodotto da AtGames, che non è stata molto apprezzata. Il Mega

Drive Mini manterrà lo stesso design storico risultando però il 55% più piccola (154 mm

di larghezza, 39 mm altezza e 116 mm profondità). L’edizione occidentale verrà venduta

dotata di due joypad che saranno una riproduzione fedele dei controller con 3 pulsan-

ti (A/B/C), a differenza dell’edizione giapponese che, oltre questa edizione, include la

variante con sei tasti (A/B/C/X/Y/Z), collegabili via USB, un cavo di alimentazione USB

- Micro USB e un cavo HDMI. Il prezzo dovrebbe aggirarsi sui 79.99 euro. Come in Giap-

pone, in occidente la mini piattaforma conterrà 40 giochi classici preinstallati anche se

ci saranno alcune differenze per quanto riguarda la lista dei giochi.

GAMING Riedizione “mini” della console Mega Drive a settembre

SEGA si unisce al coro: Mega Drive Mini con 40 giochi inclusi

Index è il primo visore di realtà virtuale marchiato ValveDopo mesi di speculazioni, Valve conferma Index, il suo visore di realtà virtuale. Sembra che stavolta HTC non c’entri nulla di Giovanni CAU

Dopo la stretta collaborazione con HTC, con la quale ha svi-luppato il visore Vive e la sua integrazione con Steam, Valve ha annunciato l’uscita del suo visore per la realtà virtuale di proprietà. Si chiamerà Valve In-dex e ne sapremo di più a mag-gio. A oggi, però, è tutto ciò che sappiamo. Al momento infatti è disponibile solo un’immagine in una pagina web di Steam a lui dedicata con un teaser seguito dalla didascalia “Upgrade your experience. May 2019”.Si intravede poi una levetta a scorrimento per gestire l’IPD, la distanza interpupillare, renden-dolo accessibile anche a perso-ne con gli occhi più vicini o più distanti rispetto alla media. È scontato pensare a una comple-ta integrazione del prodotto con Steam, piattaforma creata dalla stessa azienda per la distribuzio-ne dei giochi per PC in digitale. Non è chiaro nemmeno se si tratterà di un visore autonomo o se sarà progettato per essere collegato a un PC come altri vi-sori diretti concorrenti.Al contrario di quanto ci si pote-va aspettare, sembra quindi che i recenti tagli al personale ope-rati dall’azienda proprio nella divisione hardware non abbiano bloccato eventuali piani legati a un visore di realtà virtuale, an-che se sarà opportuno aspettare ancora due mesi per qualche no-tizia più sicura.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Franco AQUINI

N el corso dell’evento dedicato ai

servizi in abbonamento, spunta

un nuovo prodotto dedicato ai

gamers. Si tratta di Apple Arcade, che

volendo semplificare potremmo chia-

mare il Netflix dei giochi. La somiglianza

tra i due servizi è decisamente più alta

di quello che si potrebbe credere.

Sottoscrivendo un abbonamento ad

Apple Arcade non solo si avrà accesso

a tutti i giochi rilasciati, senza nessun

tipo di pubblicità o acquisto in-app, ma

i giochi saranno sviluppati in esclusiva

per i dispositivi Apple, quindi non sarà

possibile trovarli su altre piattaforme.

Apple sembra quindi seguire la strada

opposta rispetto ai concorrenti (ai quali si

è aggiunta recentemente anche Google

Stadia). Niente streaming, niente cloud

gaming, ma giochi di qualità, con una

qualità paragonabile a quelli che escono

per le console da salotto, giocabili sul di-

spositivo anche in assenza di connessio-

ne a internet. Quindi giochi offline, l’esat-

to contrario dei giochi in streaming, ma

soprattutto giochi in esclusiva giocabili

soltanto su iPhone, iPad, Mac e AppleTV.

Contenuti esclusivi con un solo abbo-

namento, proprio come Netflix (o come

Xbox GamePass, tanto per rimanere in

tema videogiochi).

Quando, come e a che prezzo?Apple ha parlato di più di cento giochi

al lancio; giochi che aumenteranno nel

tempo e che verranno costantemente

aggiornati. Il tutto senza pubblicità e

GAMING Mentre i rivali puntano al gioco in streaming, Apple va nella direzione opposta

Apple Arcade: giochi con qualità da console in esclusiva solo per i dispositivi AppleL’abbonamento comprende tutti i giochi pubblicati nel canale Arcade. Giochi di qualità ed esclusivi

senza costi aggiuntivi. In più, Apple ci

tiene a sottolinearlo, senza tracciare le

abitudini degli utenti per il rispetto della

privacy. Il servizio verrà lanciato questo

autunno in 150 paesi, tra cui dovrebbe

esserci con tutta probabilità anche l’Ita-

lia. Il prezzo però non è stato ancora

comunicato ed è probabilmente ancora

in fase di studio (soprattutto della con-

correnza, visto che anche Google Sta-

dia non ha ancora comunicato il prezzo

dei piani). Chi avrà ragione? Apple con i

suoi contenuti offline o Google, Nvidia,

Sony e Microsoft con il cloud gaming?

Di sicuro la risposta di Apple è molto in-

teressante, ma alla prova dei fatti sarà la

qualità dei giochi proposti a farne un’of-

ferta più o meno golosa e in grado di

giustificare l’ennesimo abbonamento.

Durante l’evento qualche nome impor-

tante è saltato fuori, come Hironobu

Sakaguchi, creatore dei primi dieci capi-

toli di Final Fantasy; Ken Wong, creatore

di Monument Valley e Will Wright, vera

leggenda del settore universalmen-

te conosciuto come il creatore di The

Sims. Non sono mancati nomi più popo-

lari come Sonic Racing, SEGA, KONAMI

e perfino il seguito totalmente in 3D di

una perla dal passato come lo storico

Beneath a Steel Sky, il cui seguito si in-

titolerà Beyond a Steel Sky. Non rimane

che attendere e provare il servizio non

appena sarà disponibile in Italia.

A quasi sei anni dal lancio, GTA V resta uno dei giochi più venduti in ItaliaUscito nel 2013, GTA V resta il secondo gioco in digitale più venduto in Italia. FIFA 19 domina un anno che ha registrato ricavi per 1,7 miliardi di euro. Ma siamo ancora indietro rispetto ai grandi d’Europa di M. DI MARCO

Va verso i sei anni di presenza sul mercato, ma di demordere GTA V non ne ha proprio inten-zione: nel 2018 è stato il secon-do gioco più scaricato in Italia, battuto solo da FIFA 19. Il simu-latore sportivo di Electronic Arts è stato il gioco più venduto sia in formato fisico sia in digitale su console e PC. I dati emergono dall’ultimo rapporto annuale del-l’Associazione Editori Sviluppa-tori Videogiochi Italiani (AESVI), che inquadra il mercato italiano videoludico attuale in un numero ben preciso: 1,7 miliardi di euro. Tanto è stato il giro d’affari, cre-sciuto del 18,9% rispetto al 2017. Più di Regno Unito e Germania, per dare un riferimento, che però hanno già raggiunto un tet-to annuale di 4,4 miliardi. I video-giocatori italiani sono 16 milioni, ossia il 37% della popolazione tra i 6 e i 64 anni, quella analiz-zata per l’indagine di AESVI. La piattaforma preferita è lo smar-tphone, usato da oltre 10 milio-ni di utenti; per utilizzo segue il PC (7,6 milioni) e poi, al terzo posto, le console con 6,1 milioni di persone che la preferiscono. Il formato fisico subisce il colpo della comodità del digitale. Nel 2018 è infatti l’unico formato a registrare una flessione a valore: -8,7% su base annua. Cresce a dismisura il digitale su console e PC (che è valso 548 milioni ed è cresciuto dell’86,6%); i giochi mobile, invece, hanno generato ricavi per 445 milioni di euro.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Sergio DONATO

I n Europa, la fine del cambio da ora

solare a legale e viceversa si avvi-

cina a passo spedito. Il Parlamento

Europeo, riunito in seduta plenaria, si è

espresso con una larga maggioranza e

in modo favorevole per mettere fine al

cambio stagionale dell’ora nell’Unione

Europea entro il 2021. Avendo fin dal-

l’inizio assunto la forma tecnica di una

“direttiva europea”, adesso toccherà a

ogni Stato membro decidere se man-

tenere l’ora solare o quella legale per

poi darne nota alla Commissione per il

prosieguo dei lavori che coinvolgeran-

no i vari ministri dell’Unione per la for-

mulazione definitiva della normativa.

La votazione ha anche spostato il de-

finitivo abbandono del cambio dell’ora

dal 2019 al 2021, che quindi diventa il

SCIENZA E FUTURO Stop al cambio stagionale dell’ora nell’Unione Europea entro il 2021

Parlamento Europeo favorevole all’abolizione del cambio dell’ora. Puzzle di orari in vista?Tocca a ogni Paese scegliere, ma una quadra è necessaria per non spezzettare l’Europa in orari diversi

nuovo termine e che darà molto più

tempo agli Stati per trovare una qua-

dra. I Paesi infatti dovranno coordinarsi

– ed è stata una precisa richiesta dei

deputati europei – affinché il territorio

del vecchio continente non sia rappre-

sentato da un puzzle di orari mescolati

tra ora legale e solare che potrebbe

generare un caos non solo negli spo-

stamenti delle persone, ma anche in

quelli delle merci. Per fare un esempio,

avventurandosi in un viaggio in auto

attraverso l’Europa si potrebbe trova-

re disallineamenti di orario partendo

dall’Italia, fermandosi in Austria per poi

arrivare in Germania.

di Sergio DONATO

Sebbene indossi scarpe molto si-

mili a quelle di Boris Karloff nel

Frankenstein del 1931 e la sua

pelle somigli a quella dello Shrike idea-

to dallo scrittore Dan Simmons, il robot

progettato da Toyota sa di futuro e fa

paura solo per la sua precisione nei tiri

a canestro da tre punti.

Il suo nome è Cue 3, è alto due metri

e sette centimetri e usa i sensori sul

proprio torso per calcolare la posizione

del canestro in una rappresentazione in

3D, coordinare il movimento dei motori

delle braccia e delle ginocchia, ed effet-

tuare un tiro da tre che non manca mai

il bersaglio.

In realtà, quasi mai. Nella dimostrazione

avvenuta il 1° aprile a Fuchu, nei pressi

di Tokyo, Cue 3 ha centrato il canestro

cinque volte su otto. Gli ingegneri Toyota

hanno detto che si è trattato di un risul-

tato peggiore del solito. La sua prima

generazione, chiamata semplicemente

Cue, si era comportata meglio, ma era

SCIENZA E FUTURO Nella dimostrazione, Cue 3 ha centrato il canestro cinque volte su otto

Cue 3, il robot di Toyota che centra i canestri da tre puntiCue 3 può calcolare spazi e distanze e attivare i motori per centrare un canestro da tre

stata progettata solo per mandare a se-

gno i tiri liberi e aveva addirittura battuto

due giocatori della squadra dell’Alvark

Tokyo in una sfida simultanea organizza-

ta l’anno scorso.

Cue 3 per il momento non può muoversi,

non può correre, non può schiacciare,

ma Tomohiro Nomi, uno degli ingegneri

che ha lavorato sul robot, ha detto che

con gli attuali progressi tecnologici ci

riuscirà tra 20 anni. In realtà, Toyota non

vuole arrivare alla creazione di giocato-

ri di basket robot, ma Cue rappresenta

un modo per aumentare la creatività dei

suoi ingegneri, rendendoli aperti alle

idee e alle sfide nella robotica, tanto che

il nome “Cue”, secondo Toyota, simbo-

leggia proprio lo “spunto” o il “segnale”

delle grandi cose a venire. Se saranno

davvero giocatori di basket robot o la-

voratori automatici che sostituiranno gli

uomini, lo sapremo tra qualche anno.

A Open Fiber il terzo bando Infratel. Fibra ottica in Puglia, Calabria e SardegnaOpen Fiber ha firmato una nuova concessione con Infratel per la rete pubblica nelle aree bianche di Puglia, Calabria e Sardegna. Investimento da 103 milioni di euro

di Pasquale AGIZZA

Firmata la concessione per il terzo bando delle aree bianche. Con questo accordo Open Fiber si ag-giudica la possibilità di costruire e manutenere in concessione per 20 anni la rete pubblica realizzata in alcune aree di Puglia, Calabria e Sardegna. Le aree bianche, dette anche a fallimento di mercato, sono quelle zone della penisola dove gli operatori non offrono al-cun servizio di banda ultra larga e per vari motivi non sono interessati a investire su questo settore nel breve periodo. Per coprire con la fibra queste zone sono previsti dei finanziamenti statali. In questo caso il finanziamento pubblico è di 103 milioni di euro e l’intervento prevede il collegamento di 317 mila unità immobiliari in 959 comuni, in-teressando oltre 400 mila cittadini. Il completamento dei lavori è pre-visto entro tre anni dalla firma del contratto e Infratel si occuperà del-le fasi di verifica e approvazione della progettazione, dei collaudi e dell’alta sorveglianza.“Connettere tutto il Paese con una rete interamente in fibra ottica è fattore essenziale per garantire a tutti parità di accesso alle tecno-logie e ai servizi di oggi e a quelli che saranno sviluppati in futuro”, ha commentato Elisabetta Ripa, AD Open Fiber. Domenico Tudini, AD Infratel, ha dichiarato invece: “Con questa aggiudicazione si completa la prima fase della Stra-tegia Italiana per la Banda Ultra-larga relativa alle Aree Bianche”.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

segue a pagina 40

di Roberto PEZZALI

H uawei è uno schiacciasassi, un rullo compresso-

re: Mate 20 Pro è nei negozi da pochi mesi, e tra

poco si potrà comprare, nei negozi, il nuovo P30

Pro, che nome a parte è a tutti gli effetti una evoluzione

del modello precedente. La logica della doppia famiglia,

una più “consumer” e una più “business”, è totalmente

saltata: il P30 Pro è a tutti gli effetti un Mate 20 Pro con

qualcosa in più. Il ciclo ormai è scritto: con la famiglia

Mate Huawei introduce il nuovo processore, con la serie

P le innovazioni lato fotocamera. P30 Pro è soprattutto

fotocamera, perché tolta questa non sono moltissime

le novità rispetto al già ottimo Mate: il design è simile,

il processore è quello, l’autonomia e le caratteristiche

principali sono praticamente le stesse. Unica mancanza

il sistema di autenticazione frontale 3D: spariscono tutti

i sensori e questo comporta una riduzione del notch,

piccolo e a goccia. Identica la batteria, 4200 mAh, no-

nostante il nuovo zoom a periscopio richieda più spa-

zio all’interno. Se si guarda però all’aspetto puramente

fotografico P30 Pro guadagna due grosse novità che

dovrebbero aumentare il gap con la concorrenza so-

prattutto di notte: un nuovo sensore che promette una

sensibilità record e un obiettivo da 125 mm periscopico

che porta su uno smartphone, per la prima volta, uno

zoom ibrido che non fa rimpiangere per ingrandimento

quello delle fotocamere compatte. Abbiamo “massacra-

to” il P30 Pro nel vero senso della parola, aggiungendo

alla prova tantissimi altri contenuti extra.

Più bello dal vivo che in fotoEsteticamente il P30 Pro è più un “Mate” di un “P”: la

scocca infatti è una double edge, vetro curvo davan-

ti e vetro curvo dietro per dare l’impressione ottica di

avere davanti uno smartphone molto sottile. Il gusto è

come sempre personale, ma non ci dispiaceva il P20

con il suo retro decisamente particolare. Del P20 il

nuovo modello mantiene il profilo delle fotocamere e

l’orientamento “orizzontale”: logo Huawei e dettagli

dell’obiettivo sono stati posizionati per essere letti fa-

TEST Huawei P30 Pro è soprattutto fotocamera, tolta questa non sono moltissime le novità rispetto al già ottimo Mate

Huawei P30 Pro, la nostra recensione completa Per le foto resta lo smartphone da battereCon un super sensore e un obiettivo telescopico P30 Pro vuole migliorare quanto fatto dal P20 mantenendo un gap con la concorrenza

Huawei P30 ProLO SMARTPHONE PERFETTO PER IL FOTOGRAFO. SULLO SCATTO È ANCORA IMBATTIBILE

999,00 €

30 Pro è oggi la scelta obbligata per chi vuole uno smartphone che abbia tutto sotto il profilo fotografico: un super grandangolo da 16 mm, un tele da 125 mm, un sensore super risoluto con una sensibilità record e tantissime modalità di scatto, penalizzate solo da una interfaccia poco pratica che non aiuta l’early adopter. Noi Huawei la conosciamo bene, abbiamo scattato con P10, Mate 10, P20 e Mate 20 e con l’esperienza accumulata siamo in grado di portare a casa ogni scatto, anche quelli che apparentemente sembrano difficilissimi. L’arrivo di un tele da 125 mm permette anche di avere una profondità di campo buona “naturale”, e non è cosa da poco, le foto sugli smartphone spesso sono totalmente prive di profondità e un po’ piatte. Il P30 Pro è lo smarphone perfetto per un fotografo che conosce bene la fotografia, che non si spaventa a scattare in RAW, tanto è capace di svilupparli, e che capisce come correggere gli eventuali pro-blemi di esposizione che possono verificarsi in situazioni davvero difficili. Un utente che non ha la minima idea di cosa sia l’esposizione probabilmente riesce a scattare foto migliori con un S10 o con un iPhone, il P30 richiede un po’ di “manico” ma poi è quello che offre le migliori soddisfazioni. Non è un caso che si leggono spesso critiche alla qualità dei P20 e dei Mate 20: il 90% delle foto che circola, anche abbinate a recensioni, sono probabilmente scattate da persone che non sanno fotografare. Ma ci sta, come abbiamo detto più volte a Huawei in ambito fotografico manca solo la semplicità. La scelta di un P30 Pro ovviamente è tutta rivolta alla fotocamera, perché se questa non interessa non ci sono ragioni per prendere questo al posto di un Mate 20 Pro, magari risparmiando qualcosa ora che è uscito da un po’, o un altro prodotto di fascia alta. Trattandosi di Huawei, e sapendo ormai come ragiona, viene da chiedersi anche come sarà il Mate 30 e se vale la pena attendere qualche mese: il nuovo processore dovrebbe portare in dote alcuni elementi che mancano, come wi-fi 6 e Bluetooth 5.0, presenti su un S10 e assenti ad esempio su P30, e soprattutto potrebbe portare il 5G integrato. Senza alcuna ri-nuncia, perché difficilmente Huawei toglie: nuovo sensore, super tele e grandangolo saranno alla base anche del prossimo top di gamma. Esce tra soli sei mesi, ma ci si perdono così le foto durante le vacanze estive.

Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo

9 8 9 8 9 88.6

COSA CI PIACE COSA NON CI PIACEPrestazioni fotografiche eccezionali se lo sai usare beneAutonomia superiore alla mediaRicezione eccellente

Interfaccia della fotocamera troppo confusaPrezzo elevatoMancano jack audio, wi-fi 6 e audio stereofonico

lab

video

cilmente quando si impugna lo smartphone in modalità

di scatto. Lo smartphone non è leggerissimo ma regala

una buona sensazione di solidità, e non ci è dispiaciu-

ta la scelta di Huawei di appiattire i profili superiore e

inferiore, decisamente più elegante così. Posizionato

benissimo il bottone di accensione, facilmente raggiun-

gibile dal pollice, anche se con lo sblocco sul display

questo tasto verrà usato davvero poco. Tra gli “extra”

c’è l’emettitore IR sulla parte superiore, mentre le due

mancanze riguardano l’audio. La prima è il jack, che

come sul Mate 20 Pro è stato rimosso, la seconda è

l’assenza a vista dell’auricolare: Huawei ha dotato lo

smartphone, come vedremo, di un trasduttore sotto lo

schermo che sostituisce la capsula auricolare. Anticipia-

mo che funziona benissimo.

Usando tanto lo smartphone, soprattutto per fare foto-

grafie, ci siamo resi conto di una piccola mancanza a li-

vello ergonomico, comune a tutti gli smartphone in real-

tà. In molte situazione si avverte l’assenza di un “grip”

che possa aiutare a tenere lo smartphone fermissimo

quando si scatta. Non era così fondamentale su un P20

o su un Mate 20, zoom ibrido comunque relativamente

corto, ma sul P30 quando si passano i 10x diventa dav-Huawei P30 ProLa videorecensione

lab

video

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

tico: abbiamo scattate le foto e i video per Masterclick

Stagione 2, il nostro “reality” di fotografia”, e lo abbiamo

fatto con 12 telefoni top di gamma. Oltre 1500 fotografie

in diversi giorni, 120 foto dello stesso soggetto scattate

con 12 diversi smartphone, in sequenza. E mentre scat-

tavamo guardando lo scatto sull’iPhone, sul V40 LG, sul

Samsung ma anche su altri modelli come un OnePlus

o uno ZenPhone, abbiamo pensato subito, guardan-

dola a schermo “Guarda che bella foto”. Il Huawei più

volte ci ha lasciati perplessi, salvo poi renderci conto,

una volta guardata la foto su un computer, che questa

è nettamente migliore come risoluzione di quelle fatte

dagli altri. Sotto al sole lo schermo si vede bene. Con

gli occhiali da sole polarizzati, si perde però qualcosa:

la polarizzazione non è circolare ma diagonale quindi

oltre ad una leggera perdita di luminosità globale l’im-

magine sparisce con lo smartphone in diagonale. Nes-

suno usa lo smartphone in diagonale, ma d’estate, sul

lettino sotto l’ombrellone, smartphone in mano e testa

leggermente inclinata, può capitare.

Una fotocamera eccezionaleDelle quattro fotocamere del P30 Pro abbiamo parlato

in modo super approfondito in articoli separati: qui po-

tete trovare l’approfondimento sul sensore Super Sen-sitive, qui invece i dettagli sul super zoom con la prova sul campo. Due contenuti da leggere assolutamente.

Riassumendo, per dare completezza a questa prova, ci

troviamo davanti ad un upgrade della soluzione “Mate

20 Pro” con tre modifiche sostanziali: un nuovo tipo di

sensore con un filtro che usa il giallo al posto del verde

per aumentare la sensibilità, un tele 125 mm che combi-

nando il sensore permette di arrivare a 10x di ingrandi-

mento con una qualità più che buona e a 50x con molti

(troppi) compromessi, e un sensore ToF che assicura un

bokeh molto più realistico. Se dovessimo dare un ordi-

ne, il tele da 125 mm è quello che cui ha entusiasmato

di più: un obiettivo utilissimo per colmare quello che era

il vero gap tra una compatta e uno smartphone. Con un

TEST

Huawei P30 Pro, recensione completa segue Da pagina 39

vero difficile tenere lo smartphone fermo, soprattutto se

si deve scattare con il pollice. E “bloccare lo smartpho-

ne” è fondamentale per la qualità della foto ottenuta

con lo zoom ibrido, perché i dettagli vengono aggiunti

nei secondi successivi allo scatto dove lo smartphone

consiglia, a chi lo sta usando, “di non muovere il tele-

fono perché sta migliorando la foto”. Un grip vero piò

essere aggiunto solo come accessorio, ma sul P30 Pro

un piccolo tasto di scatto sulla cornice destra ci stava

benissimo: evita di cambiare impugnatura o di spostare

il pollice per scattare. Chi usa Sony Xperia è consape-

vole di quanto sia utile un tasto di scatto dedicato.

Si prova più fastidio per lo schermo curvo che per il notchGli smartphone sono ormai “tutto schermo” e Huawei

ha cercato di massimizzare lo schermo riducendo ulte-

riormente il notch, una goccia nella zona alta che spor-

ge di pochi millimetri e integra la camera frontale da 32

megapixel. Lo schermo è da 6.47”, dimensione genero-

sa per uno schermo che tuttavia non ha una risoluzione

elevata come quella di un Galaxy S10 o del Mate 20 Pro:

Huawei ha optato per un Full HD+ da 1080 x 2340 che

insieme al tema scuro dell’interfaccia aiuta a risparmia-

re un po’ di energia. Lo schermo è edge, e come ogni

schermo edge è più bello che pratico quando si tratta di

digitare qualcosa sulla tastiera, con alcune lettere che

si posizionano ai bordi. Il vetro leggermente curvato ai

bordi non è praticissimo neppure quando si tratta di usa-

re le “gesture” della nuova modalità di navigazione, ma

è solo questione di abitudine. Sono gusti, ma tra avere

lo schermo edge e il notch riusciamo ad accettare dia

più il notch, che così piccolo non disturba affatto. Le cor-

nici ai bordi sono sottilissime, merito anche dell’effetto

ottico della curvatura, e resta il solito sbilanciamento tra

top e parte inferiore, il “mento”, spesso qualche millime-

tro. Sotto lo schermo, nella parte bassa, trova spazio il

sensore d’impronte a lettura ottica: basta muovere lo

smartphone per far apparire l’impronta nella zona “sen-

sibile”. Funziona anche al buio, e funziona pure con lo

smartphone girato: ci è parso leggermente migliore di

quello del Mate, veloce e immediato, e solo pochissime

volte abbiamo dovuto ri-premere: trattandosi di un si-

stema ottico si deve lasciare il tempo per far la lettura,

se si passa rapidi con il polpastrello non funziona. Sulla

accuratezza non ci sono elementi per dare un giudizio.

Per il resto ci troviamo davanti ad uno schermo con una

buona compattezza, una luminosità di picco di circa 660

nits e un ottimo angolo di visione. Rispetto all’OLED del-

l’iPhone XS o del Galaxy S10 la visibilità sotto al luce è

simile, e in questo caso la luminosità di picco conta ben

poco, perché intervengono altri fattori. La risoluzione

inferiore si vede? Anche se non si vedono i pixel, biso-

gna andare davvero vicino, se mettiamo di fianco P30 e

Mate 20 si capisce che quest’ultimo ha una risoluzione

superiore, soprattutto quando riguardiamo le foto scat-

tate. Che sullo schermo del P30, spesso, spaventano

un po’: si vedono più brutte di quelle che sono. Questo

concetto è più facile da esprimere con un esempio pra-

vantaggio in più: offre una ridotta profondità di campo

per sfuocati più realistici di quelli che si ottengono con

l’elaborazione artificiale. Fino a quelli che Huawei chia-

ma 10x, che in realtà sono 250mm equivalenti, la resa è

davvero buona. Per un confronto a tutte le focali e per

capire come si posiziona rispetto ad altre fotocamere vi

rimandiamo al nostro approfondimento.

Al secondo posto mettiamo il sensore ToF: le potenzia-

lità sono incredibili, ora si tratta di lavorare bene di sof-

tware. Infine c’è il super sensore, che non lasciamo in

fondo perché lo riteniamo una novità poco rivoluziona-

ria ma perché a nostro avviso Huawei è andata a com-

plicarsi la vita per guadagnare una sensibilità di cui non

aveva bisogno. Non abbiamo inserito nella classifica il

super wide perché c’era già sul Mate 20: crediamo che

questo obiettivo non debba mai mancare su uno smar-

tphone perché ne aumenta la flessibilità a dismisura.

Una nota sulle fotocamere: scattano in formato stan-

dard, 3:2, a 10 megapixel o 40 megapixel. Purtroppo se

si vuole il 16:9 si deve fare un crop a mano, perchè gli

altri formati sono un 1:1 quadrato da 7 megapixel o un

19:9 full da 6 megapixel. Entrambi vengono ritagliati dal

formato 10mp. Il video è migliorato in un aspetto, la resa

segue a pagina 41

Huawei P30 Pro REGISTRAZIONE VIDEO IN 4K

lab

video

L’unica nota da segnalare è un errato sviluppo del file con il giallo molto saturo: il RAW è ok, il jpeg trasforma in verde il giallo super saturo. Per un utente che non ha scattato in RAW non si torna indietro, e sul video c’è poco da fare: anche qui alcuni frangenti, luci molto forti o fiamme, potreb-bero avere un verde fosforescente molto saturo al posto del verde. Niente che non si possa risolvere con un aggiornamento, ma è bene segnalarlo.

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torna al sommario 41

MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

TEST

Huawei P30 Pro, recensione completa segue Da pagina 40

con poca luce, ma si deve fare i conti con la qualità dei

tre diversi obiettivi e la differenza di resa a condizione

di luminosità diverse. Se si realizza un video spazian-

do dallo zoom al super wide, la resa sarà totalmente

diversa. Solo la fotocamera principale infatti garantisce

una qualità più che buona anche di notte. Ci sono però

dei problemi con cui fare i conti: il primo è l’assenza del

60p sul 4K, il secondo è una registrazione con frame-

rate dinamico che genera qualche saltello durante la

riproduzione e il terzo, forse il più grave, è un rolling

shutter decisamente abbondante. Quest’ultimo credia-

mo sia dovuto alla lentezza della pipeline di conversio-

ne da RYB a RGB su un sensore che è enorme, mentre

per l’assenza del 60p il problema è il sensore grande,

che non permette un “read-out” dei dati così veloce.

Nemmeno le reflex full frame con sensori ad elevata

risoluzione permettono sempre il 4K a 60p, è un pro-

blema tecnico: sui sensori a risoluzione elevatissima ad

oggi non si riesce ad avere. Huawei doveva scegliere,

e secondo noi ha scelto giusto: meglio questo sensore

di una feature che si userebbe pochissimo. Criticabile

la camera frontale, una 32 megapixel esageratamente

risoluta: forse era meglio una camera da 8 o 10 mega-

pixel con una dinamica migliore e un rumore più basso.

Siamo davanti ad una fotocamera a fuoco fisso.

Prestazioni ottime, autonomia superiore a Mate 20 ProDire che la EMUI è terribile ormai sembra lo sport na-

zionale, ma non ci siamo trovati affatto male. Huawei

ha semplificato molto i vari menu, ha ridotto le opzioni,

ha cercato una migliore uniformità per quanto riguarda

le icone che ora finalmente hanno tutte la stessa forma,

anche quelle delle app di Google. C’è uniformità, quello

che un po’ mancava, e navigare tra le diverse scherma-

te darà sicuramente meno fastidio a coloro che erano

attenti a stile e design. L’interfaccia di un Galaxy S10

è sicuramente più coerente, ma la EMUI del P30 Pro

non è affatto quel disastro che spesso viene descritto.

Certo, si potrebbero disegnare icone migliori, si potreb-

bero organizzare meglio le notifiche e si potrebbe lavo-

rare tantissimo sui piccoli dettagli, ma come abbiamo

detto più volte Huawei continua a spingere fortissimo

sull’hardware lasciando il software un po’ in secondo

piano. Manca ad esempio la possibilità di comprimere

i video in HEVC o H265, mancano formati ad elevata

efficienza per le fotografie, che a 40 megapixel pesano

non poco, ci sono tantissime ottimizzazioni che potreb-

bero essere fatte e ancora non sono state prese in con-

siderazione. Se solo investisse un terzo del tempo che

Huawei spende per innovare l’hardware nel software

(aggiornamenti inclusi) ci troveremmo di fronte proba-

bilmente ai migliori smartphone al mondo. Invece si ha

sempre la sensazione che una volta finito di progettare

lo smartphone si prenda il software del modello prece-

dente e si faccia qualche aggiustamento, nulla di più.

L’esempio dell’app fotocamera è palese: si prende l’app

del modello precedente e si cerca di infilare da qualche

parte, dove c’è spazio, la nuova funzione, senza mai

prendere in considerazione che esiste il tasto “cancel-

la” e si può ripartire da capo con il design se questo è

diventato troppo confuso.

Sotto il profilo delle prestazioni ci troviamo davanti alla

stessa identica resa del Mate 20: il Kirin 980 è veloce,

consuma decisamente poco e non crea grossi proble-

mi di prestazioni. Grazie all’ottimizzazione di GPU Turbo

anche in ambito gaming i giochi girano fluidi e con un

buon framerate, e in tutte le prove che abbiamo fatto

non ci siamo mai trovati in difficoltà su nessun aspetto.

Se guardiamo all’autonomia Huawei mantiene le ottime

prestazioni che hanno fatto segnare i predecessori, in-

terfaccia scura e schermo con risoluzione intelligente

permettono di arrivare a sera con una buona fetta di

carica residua. Anzi, con lo schermo dotato di risoluzio-

ne inferiore e la stessa identica batteria l’autonomia del

P30 è leggermente superiore a quella del Mate, diamo

un 5% di scarto. Unica nota da segnalare, come sempre,

una gestione delle applicazioni molto aggressiva che

rischia di far perdere qualche notifica con applicazioni

usate di rado. Nel menu batteria è possibile eliminare

alcune applicazione dalla gestione automatica, e per le

app di messaggistica con notifiche il consiglio è quel-

lo di lasciare la gestione standard. Il sistema dovrebbe

abituarsi alle app che si usano tanto, ma sono proprio

quelle usate poco che possono portare qualche proble-

ma: se un utente non usa mai Skype, è solo un esem-

pio, una notifica su Skype potrebbe non arrivare se per

qualche motivo l’EMUI ha deciso che è inutile tenere

Skype tra le app per le quali controllare le notifiche. Ma

sono casi comunque molto rari. C’è ancora il sistema

proiezione desktop, ma rispetto alle versioni precedenti

non è affatto cambiato. L’unico cambiamento è in “ne-

gativo”, ma dobbiamo verificare se già era così sul Mate:

app di streaming video, come Netflix, escono nere, non

possono essere fruite sul monitor collegato.

Audio eccellente senza auricolare Ma il diffusore è monoL’aspetto più particolare del P30 Pro è la sparizione del-

la capsula auricolare, sostituta da un trasduttore nasco-

sto sotto lo schermo (guarda il P30 aperto per vederlo).

La soluzione funziona davvero bene, la qualità di ascol-

to è decisamente buona e non c’è ritorno audio di alcun

tipo: ci si poteva aspettare, con una soluzione simile,

un leggero ritorno sul microfono invece questo viene

annullato alla perfezione. Le chiamate sono chiare, il

volume di ascolto soddisfacente. L’inserimento di una

capsula auricolare di questo tipo ha portato al sacrifi-

cio dell’audio stereo: l’audio in riproduzione è mono-

fonico, riprodotto dall’unico altoparlante inserito nella

zona inferiore. La qualità è buona ma non eccezionale,

e ci sono smartphone che grazie anche ad un doppio

speaker suonano molto meglio.Non cambia quasi nulla

rispetto al Mate 20 nel reparto di rete: ottima la ricezio-

ne, eccellente la tenuta della portante sulle telefonate e

niente da dire sulla navigazione in 4G, con un modem

che supera di gran lunga come velocità gestibile la ca-

pacità delle attuali reti italiane. Segnaliamo che non c’è

stato alcun upgrade del controller wireless: è sempre

l’Hi1103 da 1.7 gbps, niente Wi-fi 6. Per questo ci sarà da

attendere la nuova versione del Kirin.

clicca per l’ingrandimento

Scattare al buio era la missione del P20, con il P30 riesce a creare la luce dove non c’è e se è tecnicamente sorprendente riuscire a vedere l’invisibile stiamo andando oltre il confine del “realismo”, le immagini sembrano troppo finte. Per fortuna, senza la modalità notte (foto a destra), la resa è davvero ottima con un livello di rumore molto basso.

Sebbene lo sfuocato sia credibile, ancora l’ela-borazione digitale si mangia qualche dettaglio, in questo caso la bacchetta degli occhiali e un pezzo di tracolla.

Il tele da 125 mm è un obiettivo utilissimo per colmare quello che era il vero gap tra una compatta e uno smartphone. Con un vantaggio in più: offre una ridotta profondità di campo per sfuocati più realistici.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Roberto PEZZALI

I l 20 gennaio di quest’anno Vincenzo Bottiglieri, ex

maestro di sci, pensionato di 65 anni, stava potando

gli alberi in giardino quando il suo Apple Watch ha

iniziato a vibrare segnalando un problema al battito.

Inizialmente non ha dato troppo peso all’avviso, stava

facendo attività fisica, ma quando il Watch ha inviato

una seconda notifica in serata, a riposo, l’ex maestro

di sci si è presentato al pronto soccorso dell’ospedale

San Camillo, dove gli hanno diagnosticato un infarto in

atto: ostruzione di una arteria al 98%.

La tecnologia salva la vita, e questo è solo uno dei

tanti casi segnalati in tutto il mondo dove le persone

devono ringraziare, oltre ai medici, anche l’orologio

smart di Apple. Che è riuscito a dare con il giusto tem-

pismo l’allarme per un sintomo che spesso può passa-

re inosservato. Apple, insieme alla facoltà di medicina

dell’università di Stanford, ha diramato i risultati di

Heart Study, una ricerca di 8 mesi che ha visto 419.093

volontari sottoporsi ad un monitoraggio costante del

battito cardiaco tramite Apple Watch. Allo 0.5% di que-

sti volontari, oltre 2000 persone, è stata diagnosticata

una aritmia cardiaca. Lo studio è stato condotto utiliz-

zando i modelli precedenti all’Apple Watch Serie 4, il

primo Watch che grazie ad un nuovo sensore per il

rilevamento del battito e ad un elettrodo di titanio può

registrare un vero tracciato elettrocardiografico. Que-

sta funzione ECG, elettrocardiogramma, accompagna-

ta anche dalla funzione di rilevamento del battito non

regolare, arriva oggi anche in Italia e in Europa grazie

all’approvazione CE e all’update a WatchOS 5.2.

Tutti gli Apple Watch riceveranno WatchOS 5.2, che

abiliterà quella che è forse una delle più utili funzio-

niamo mai introdotte su un dispositivo indossabile

consumer, il rilevamento della fibrillazione atriale, la

forma più comune di aritmia cardiaca. La versione più

recente, Apple Watch 4, potrà anche fare un elettro-

TEST Arriva su Apple Watch il rilevamento del battito cardiaco irregolare, utile per segnalare una eventuale fibrillazione atriale

Apple Watch, arrivano in Italia elettrocardiogramma e rilevamento battito irregolare. Li abbiamo provatiTutti gli Apple Watch riceveranno WatchOS 5.2. Per i possessori del Watch Serie 4 è disponibile anche l’elettrocardiogramma

cardiogramma in seguito all’avviso. Il Watch di Apple

diventa così a tutti gli effetti il più diffuso rilevatore di

fibrillazione atriale, anche se è bene specificare che

non ci troviamo davanti ad un dispositivo medico:

Apple Watch controlla, analizza, e se c’è qualcosa

che non va nel battito segnala all’utente di fare un

tracciato elettrocardiografico e di andare all’ospe-

dale, o da uno specialista per l’analisi. Inoltre, come

Apple avvisa più volte, questo strumento è utile per

diagnosticare l’aritmia cardiaca, e non per prevenire

ad esempio un infarto.

La fibrillazione atriale è subdola e causa l’ictus: ecco perché è importante la diagnosi immediataPer capire l’importanza di avere uno strumento come

l’Apple Watch al polso e perché una funzione come

quella che Apple ha appena portato in Italia può dav-

vero salvare una vita si deve conoscere il male che

Watch contribuisce a combattere, l’aritmia.

“L’aritmia è un’anomalia del battito cardiaco che, nel

caso specifico della fibrillazione atriale, può essere

benigna e dovuta all’invecchiamento o, come spesso

accade, maligna, e può portare come grave compli-

canza all’ictus. L’ictus colpisce soprattutto il cervello, e

determina danni permanenti che una persona si porta

dietro per tutta la vita” ci ha spiegato Stefano Carugo,

direttore dipartimento Cardiorespiratorio asst Santi

Paolo e Carlo dell’Università di Milano e responsabile

della società italiana cardiologia regione Lombardia.

Stiamo parlando di una disfunzione cardiaca che col-

pisce l’8% della popolazione italiana sopra i 65 anni

e il 15 per cento della popolazione sopra gli 80 anni,

quindi stiamo parlando di decine di migliaia di perso-

ne che possono avere la fibrillazione atriale. Usiamo

il condizionale, “possono”, perché in molti casi non lo

sanno: “L’aritmia è subdola, entra e esce, entra e esce.

Ed è proprio questo continuo entrare e uscire della

fibrillazione atriale che porta poi avere l’evento ische-

mico cerebrale” aggiunge il cardiologo.

Un esame fatto una volta all’anno può quindi non es-

sere determinante per la diagnosi di questa malattia,

e basta prendere un caso molto recente per capire

quanto la la tempestività sia importante per contra-

stare la casualità: Sami Khedira, centrocampista della

Juventus, si è fermato in allenamento perché ha av-

vertito una palpitazione e gli è stata diagnosticata una

fibrillazione atriale, curata con un piccolo intervento di

ablazione. Khedira è un atleta controllato quotidiana-

mente dai medici della società, eppure fino ad oggi la

patologia non era stata diagnosticata.

“Il vantaggio dell’Apple Watch è proprio questo: es-

sere rapido e istantaneo soprattutto nel preciso

momento in cui uno può sentire il disturbo. E questo

per noi cardiologi è fondamentale: a volte facciamo

l’elettrocardiogramma, ma magari in quel momento

il paziente ha il battito regolare. E resta regolare per

una settimana. Il fatto di poter indossare un apparec-

chio che, oltre a rilevare una anomalia, permette on

demand di fare un tracciato elettrocardiografico da

mandare al medico in formato PDF per noi rappresen-

ta un avanzamento tecnologico straordinario. Un ictus

per noi medici equivale ad avere un paziente disabile

tutta la vita” conclude Carugo.

segue a pagina 43

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

Come funziona il rilevamento del battito e della fibrillazione atriale su Apple WatchPer il rilevamento della fibrillazione atriale non servirà

Apple Watch 4: con l’ultimo aggiornamento di iOS 12.2

infatti tutti i possessori di Apple Watch, a partire dalla

prima generazione, possono attivare la funzione che

sfrutta la fotopletismografia per rilevare le anomalie del

battito. Utilizzando il sensore ottico posto sotto l’Apple

Watch, combinato ad un algoritmo, Apple riesce a leg-

gere la variazione di volume del sangue che passa

nel polso (fotopletismografia) e quindi determinare il

battito e la sua frequenza. Quando si attiva la funzione

“Rilevamento ritmo irregolare” dall’applicazione Salute

dell’iPhone abbinato ad un Watch, quest’ultimo inizia a

raccogliere e analizzare dati per verificare se ci sono

incongruenze o irregolarità tramite i tacogrammi. I ta-

cogrammi sono grafici che mostrano la frequenza dei

battiti nel tempo, e vengono registrati dal Watch a fre-

quenza regolare ogni 2/4 ore quando lo si indossa. Se

l’algoritmo rileva una possibile aritmia, l’orologio inizia

a registrare tacogrammi con più frequenza, ogni 15 mi-

nuti circa: quando cinque di sei tacogrammi consecuti-

vi vengono classificati come irregolari in un periodo di

48 ore l’utente viene informato di una possibile anoma-

lia del battito, e ha accesso a una serie di informazioni

aggiuntive tramite l’app Salute. Questa funzione non

viene attivata automaticamente da Apple: dev’essere

l’utente a dare luce verde andando sull’app Watch -

Battito: prima di attivarla l’azienda vuole dare informa-

zioni chiare e precise sul funzionamento, specificando

che Watch non è un dispositivo medico e che non so-

stituisce il medico. Per poter fare l’elettrocardiogram-

ma, invece, serve un Watch di quarta generazione.

Come funziona l’elettrocardiogramma su Apple Watch 4Il rilevamento del tracciato del battito cardiaco si basa

su un elettrodo di titanio incorporato nella corona del

Watch e su un sottilissimo strato sensibile applicato

al cristallo di zaffiro sul retro del Watch: l’applicazio-

ne ECG legge e registra gli impulsi elettrici grazie alla

chiusura del circuito che si crea tra il polso, a contat-

to con il retro del Watch, e la corona, a contatto con il

dito indice. Il processo richiede circa 30 secondi e al

termine un algoritmo rivela se il tracciato non porta a

conclusioni utili, se non sono state riscontrate anomalie

o se c’è invece il rischio di una aritmia.

Quanto può essere preciso questo sistema rispetto ad un elettrocardiogramma classico? “Il tipo di elettrocardiogramma che si può avere con

l’Apple Watch è una monoderivazione - spiega Caru-

go - e da quanto abbiamo visto sembrerebbe molto

precisa e con una bella traccia. Il paziente deve stare

fermo non deve mettersi a correre, deve appoggiare

le mani nel modo corretto e stare tranquillo. La cosa

da precisare è che per infarto o altro non è sfrutta-

bile, e Apple lo dice, serve solo per l’aritmia. Ma

non è poco. C’è poi da segnalare che ci sono casi

in cui l’aritmia è talmente lieve che è anche difficile

da leggere, bisogna contare i quadratini. L’analisi del

software aiuta il medico, ma non lo sostituisce”. Il car-

diologo ci spiega che a volte la fibrillazione atriale si

presenta all’elettrocardiogramma con un tipo di trac-

ciato quasi simile a quello normale. Quindi è solo un

occhio esperto è in grado di fare una diagnosi corret-

ta, e anche questa valutazione può avere comunque

un margine di errore. Il cardiologo esperto nel 99%

dei casi vedendo una traccia riconosce l’aritmia, un

medico di famiglia al 50% 60%.

Abbiamo chiesto ad un paziente cardiopatico di in-

dossare anche Apple Watch e fare ECG con il dispo-

sitivo mentre ne faceva uno con la strumentazione

ospedaliera. Abbiamo mostrato i due tracciati ad un

cardiologo per un parere tecnico e ha confermato

che quello dell’Apple Watch è perfetto. La derivazio-

ne D1 è identica. Come per il rilevamento dell’aritmia

anche per utilizzare l’elettrocardiogramma un utente

deve completare una fase di “educazione” all’app e

alle sue funzioni. Tutti I dati raccolti, inclusi i tracciati,

vengono conservati su HealthKit e possono essere

condivisi, ad esempio al medico di famiglia, tramite

l’app Salute in formato pdf.

Il Watch non è l’unico dispositivo che permette la re-

gistrazione portatile del battito: esistono ad esempio

piccoli dispositivi come il Kardia Mobile, grande come

una carta di credito. Basta appoggiare i due pollici per

avere un tracciato. Secondo alcuni medici il Kardia è

leggermente più preciso del Watch nel tracciato car-

diografico, ma è sempre un dispositivo esterno che

una persona deve tenere in tasca o in borsa.

Il vero vantaggio del Watch non è il poter fare l’elettro-

cardiogramma, ma il controllo costante del cuore con

l’avviso che non sta battendo nel modo giusto. Può

anche essere un falso allarme, ma quando si gioca

con la vita meglio un falso allarme piuttosto che un

mancato allarme, con un sintomo trascurato che può

portare ad un problema molto più serio.

TEST

Apple Watch salva vitasegue Da pagina 42

Ecco il tracciato del Watch, a destra quello generato dalla strumentazione del reparto di cardiologia.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di Roberto PEZZALI

I l prodotto più apprezzato di Apple si rinnova: le

nuove AirPods sono in vendita da quasi dieci giorni

e nelle nostre tasche da più di una settimana. Sono

AirPods, e restano AirPods: il dna non cambia, la forma

nemmeno, e Apple ha fatto bene a non chiamarle Air-

Pods 2 perché è eccessivo parlare di “nuova generazio-

ne”: le modifiche apportate da Apple sono ovvi ritocchi

ad un prodotto che deve seguire il passo dei tempi.

Se esteticamente non cambia nulla cambiano interno

e custodia: negli auricolari c’è un nuovo chip custom,

compatibile bluetooth 5, mentre la custodia è ora dispo-

nibile anche in versione wireless charging, su standard

Qi ad un prezzo maggiorato, 229 euro contro i 179 della

versione senza wireless. Custodia che si può acquistare

anche a parte. Nonostante siano un prodotto che fun-

ziona anche con Android, esistono ottimi auricolari full

wireless che forse si sposano meglio delle AirPods con

altri smartphone. Le cuffie di Apple nascono per rendere

perfetta l’esperienza d’uso con l’ecosistema Apple, ed è

un po’ per questo che abbiamo impostato questa prova

in modo non convenzionale. Perché alla fine quello che

tutti i possessori di AirPods vogliono sapere è: conviene

comprare le AirPods nuove se si possiedono già quelle

vecchie? E soprattutto, nel caso in cui uno abbia aspet-

tato a comprarle, se esistono novità che possono spin-

gerlo a fare il salto.

La qualità audio è migliorata?No, le AirPods hanno gli stessi identici pregi e difetti della

generazione precedente. Apple ha barattato la sempli-

cità d’uso con la pura qualità. Non che si sentano male,

anzi, ma all’ascolto non sono molto diverse a un paio di

auricolari di buon livello che a filo costerebbero 40 euro.

L’essere comode nell’orecchio, l’essere leggerissime e il

non sentirsi hanno come risvolto della medaglia la totale

assenza di isolamento dai suoni dell’ambiente esterno:

usarle su un treno, in aereo o in metropolitana equivale

a tenere il volume al massimo e non sentire neppure

tutto bene. Con una cuffia in-ear, o un altro tipo di au-

ricolare, si sente meglio a metà volume. Aggiungiamo

una cosa: se proviamo oggi a ascoltare le AirPods che

usiamo da quasi due anni e le AirPods nuove abbiamo la

sensazione che queste ultime suonino leggermente me-

TEST Abbiamo provato per una settimana i nuovi AirPods. E, dettagli a parte, sono esattamente come il modello precedente

Nuovi AirPods, conviene comprarli? La nostra provaSi confermano come le migliori cuffie per iPhone se si guarda alla praticità, ma per la qualità si deve guardare ad altro

glio, soprattutto sui bassi. Suggestione? Siamo portati a

pensare che le AirPods, dopo un po’ di tempo e con le

batterie ormai usate, non riescano a spingere e pilotare

i piccoli driver come fanno i modelli nuovi appena tolti

dalla scatola. Non sono quindi le nuove migliorate, ma

sono le vecchie che con il tempo peggiorano un po’: mi-

nore pressione sonora e probabilmente anche la griglia

parzialmente occlusa da cerume e sporcizia, anche se le

abbiamo pulite periodicamente.

C’è un aspetto che è migliorato: la riduzione del rumore

in ambienti rumorosi. Chi abbiamo chiamato mentre an-

davamo in bicicletta non ci ha mai chiesto, come invece

capitava prima, se eravamo nel mezzo di una tempesta.

Sono migliori da indossare?No, la forma non cambia: a chi non stavano nelle orec-

chie le vecchie AirPods non staranno nelle orecchie

neppure le nuove. Si era parlato di un grip sulla plastica

che migliorasse la tenuta, ma non è stato aggiunto. Le

uniche modifiche estetiche riguardano la custodia di ri-

carica senza fili, che ha il LED sul frontale, e non all’inter-

no, e ha la cerniera leggermente più solida e satinata.

Sono più veloci nel collegamento ai dispositivi?Si, ma in modo impercettibile. A dire il vero dopo l’ag-

giornamento firmware anche sui modelli precedenti il

pairing è velocissimo. Ogni tanto il collegamento al di-

spositivo è fulmineo, ogni tanto impiega qualche secon-

do di troppo ma le AirPods non perdono la loro imme-

diatezza e la semplicità d’uso che le ha rese gli auricolari

preferiti da tutti coloro che usano dispositivi Apple. In

ogni caso, anche se tecnicamente il pairing è più fulmi-

neo, all’atto pratico difficile accorgersi della cosa: per

passare spostare le AirPods da un dispositivo all’altro si

deve sempre passare da control center. Resta infatti lo

stesso limite del primo modello: non possono essere ac-

coppiate a più dispositivi contemporaneamente, quindi

se state guardando un video sull’iPad e suona il telefono

il passaggio non sarà immediato.

La batteria dura di più?Si, il nuovo chip H1 che sostituisce il vecchio chip W1 rie-

sce ad essere più efficiente nel risparmio energetico e

secondo Apple si guadagna un’ora di chiamata, mentre

l’autonomia per l’ascolto di film e musica resta la stes-

sa. Ma non è una cosa che un possessore nota, per un

semplice motivo: chi possiede le AirPods dal giorno uno

e le ha usate quasi tutti i giorni si troverà tra le mani due

auricolari che non durano più come un tempo, e il con-

fronto tra il vecchio e il nuovo rischia di essere imbaraz-

zante a favore di quest’ultimo. Inoltre con la custodia è

una continua ricarica.

Anche le nuove AirPods hanno la stessa minuscola

batteria da pochi mAh usata sul modelli precedenti, un

accumulatore piccolo e con una longevità nella media.

Ricordiamo infatti che una batteria al litio ha circa 500

segue a pagina 45

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

cicli di carica, poi inizia a perdere di prestazioni, e le

AirPods in due anni superano, e non si poco, i 500 cicli

di carica. La batteria delle AirPods dura il giusto, e il

sistema di ricarica con il case è efficace e pratico. Ma la

longevità resta quella del primo modello: tra due anni

l’autonomia di un paio molto usato potrebbe tranquil-

lamente dimezzarsi costringendo a comprarne un set

nuovo.

Serve davvero la custodia con ricarica wireless?Se fosse uscita AirPower avremmo detto si: poter la-

sciare sulla stessa base AirPods, Watch e iPhone sen-

za preoccuparsi di dove si appoggiavano era una gran

bella comodità. Una base di terze parti non è la stessa

cosa: la ricarica senza fili non è affatto veloce e la bo-

bina è piccola e dev’essere centrata bene. Una base di

ricarica verticale, come quella del Pixel, non può esse-

re ad esempio usata.

Abbiamo fatto una prova, e a ricaricare la custodia in

wireless ci vuole il doppio del tempo che richiede la

ricarica con il cavo, quasi quattro ore contro le due del

cavo. La versione con custodia wireless costa 179 euro,

quella con la custodia wireless 50 euro in più. Convie-

ne aspettare, per comprare la custodia che si

ricarica senza fili c’è tempo.

Ci sono funzioni sulle nuove che non c’erano sulle vecchie?Si, il nuovo chip H1 permette di chiamare “Siri”

hands free, quindi senza toccare l’auricolare. Il

vantaggio è di avere entrambi così gli auricolari

liberi per poter assegnare due comandi diversi,

come la pausa e il salto traccia. “Hey Siri” funzio-

na, ma dobbiamo fare una precisazione: mentre

con la prima generazione c’è un feedback sono-

ro che ci avvisa che Siri è in ascolto, con le Air-

Pods nuove manca e quindi siamo portati a dire

“Hey Siri” e aspettare diversi secondi prima di sen-

tire l’assistente vocale rispondere. In realtà Siri si aspetta

una domanda diretta, quindi se si dice solo “Hey Siri”

si deve attendere un po’, ma se si chiede “Hey Siri che

tempo fa” la risposta è immediata. Le AirPods devono

quindi essere usate così, domanda diretta senza atten-

dere un feedback. Per chi usa l’assistente vocale questa

funzione è particolarmente comoda.

Sono AirPods e restano AirPodsNon ci troviamo davanti ad una nuova generazione di

AirPods, ma alle stesse identiche AirPods che sono sta-

te riviste per tenerle aggiornate alle più recenti tecnolo-

gie, vedi bluetooth 5 e wireless charging. Quest’ultimo

viene un po’ meno con l’assenza di AirPower: spendere

di più per la custodia senza fili è un po’ uno spreco, la

ricarica senza fili non è una feature di cui in questi anni i

possessori di AirPods hanno sentito la mancanza.

Apple probabilmente era consapevole che le AirPods,

con la loro batteria microscopica, non avrebbero avu-

to una longevità enorme, e chi ha comprato le AirPods

quando sono uscite ora si trovano in tasca auricolari di

cui sono innamorati ma che hanno perso l’autonomia

di un tempo. E, visti i costi della sostituzione batteria,

conviene cambiarli con lo stesso identico auricolare che

hanno usato ogni giorno con soddisfazione e che è usci-

to giusto due anni dopo.

Ci sono alternative migliori? Se si guarda fuori dal mon-

do Apple probabilmente si, soprattutto se si cerca la

qualità audio e un migliore isolamento, ma per praticità,

immediatezza e ingombro le AirPods restano ancora

l’accessorio per Mac, iPhone e iPad con la A maiuscola.

TEST

Apple AirPodssegue Da pagina 44

di Giuseppe RUSSO

I l mercato delle cuffie true wireless

(auricolari completamente senza filo)

è quello che nel segmento mobile

è in più rapida espansione. Secondo

la Counterpoint Research nel quarto

trimestre del 2018 sono ben 12,5 mil-

ioni gli oggetti venduti, il 60% di questi

sono AirPods. Dopo un primo colpo

andato a vuoto con il Fire Phone, Ama-

zon potrebbe provare nuovamente ad

entrare nel mercato mobile, sfruttando

il trend delle cuffie true wireless e

puntando forte sulla compatibilità con

il suo assistente vocale Alexa. Da una

fonte interna all’azienda, emerge che

le cuffie dovrebbero essere molto si-

mili esteticamente a quelle che sono

le attuali AirPods, ma il team di inno-

vazione e sviluppo hardware Lab126

(interno di Amazon), sta lavorando

assiduamente per assicurare un audio

di qualità superiore. Anche la custodia

per il trasporto dovrebbe ricalcare le

MOBILE Nel settore degli auricolari total wireless non poteva mancare Amazon. Atteso modello nella seconda metà dell’anno

Amazon lavora ai suoi auricolari senza fili. Integrati con Alexa?Le cuffie integrandosi con smartphone e assistente vocale insieme potrebbero spingere i clienti a fare acquisti legati ad Alexa

funzionalità proposte da Apple, ossia

conservazione, powerbank e dock di

ricarica. Particolare attenzione in fase

di progettazione anche all’ergonomia,

le cuffie dovrebbero “calzare” nel-

l’orecchio garantendo comfort ma allo

stesso tempo senza l’utilizzo di clip

esterne.

Le cuffie dovrebbero rendere anco-

ra migliore l’esperienza di utilizzo di

Alexa per ordinare prodotti su Amazon

e ascoltare contenuti come musica,

meteo e informazioni provenienti dalle

skill dell’assistente vocale Alexa. Per ri-

chiamare l’assistente vocale a compie-

re una determinata azione l’esperienza

dovrebbe essere un po’ simile a quello

che accade oggi con Siri e Google As-

sistant, pronunciando in questo caso

“Alexa”. Sulle cuffie saranno presenti

dei controlli fisici che combinati in modo

diverso consentiranno di rispondere e

chiudere le chiamate ed il controllo

della riproduzione della musica. Par-

lando di possibili prezzi, l’aspettativa è

che Amazon possa offrire un prodotto

valido ad un prezzo più competitivo ri-

spetto ad Apple e Samsung che possa

suscitare interesse verso una platea

maggiore di clienti, magari portandosi

nella fascia sotto i 100 euro.

Se Amazon infatti riuscisse a ritagliarsi

una fetta importante in questo mercato

potrebbe colmare la distanza con Goo-

gle ed Apple dovuta alla mancanza di

un dispositivo mobile che integra na-

tivamente il suo assistente vocale. Le

cuffie integrandosi con smartphone e

assistente vocale allo stesso momento

potrebbero spingere i clienti a compie-

re acquisti legati ad Alexa e all’ecosi-

stema della smart home. Sempre a det-

ta dell’insider pare che Amazon abbia

sperimentato diversi ritardi dovuti ai

partner che andranno a fornire i com-

ponenti e realizzare la produzione.

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

di G. GENELLINI, A. LOJACONO

L a ricerca di uno styler per capelli ci porta sempre

a una sola richiesta: va bene purché non rovini i

capelli e crei una piega che duri come quella del

parrucchiere. E Dyson con il suo Airwrap vuole sod-

disfare questo bisogno: uno styler evoluto che sfrutta

tecnologie avanzate per ottenere effetti duraturi con

una particolare attenzione al capello. Uno strumento

per creare ricci e onde o per lisciare e dare volume,

Dyson Airwrap sfrutta un principio dell’aerodinamica

chiamato effetto Coanda che facilita la realizzazione

dello styling preferito.

Come funziona l’effetto Coanda?L’effetto Coanda, che prende il nome dallo scienziato

che lo ha studiato, indica la tendenza dei fluidi (liquidi

e gas) a seguire il contorno di una superficie vicina.

Applicato all’aerodinamica significa che l’aria, purché

spinta con la giusta pressione e velocità, tende a se-

guire spontaneamente il contorno di una superficie.

Proprio da questo principio parte l’idea Dyson di rea-

lizzare coni e spazzole che possano sfruttare l’effetto

Coanda per plasmare la forma dei capelli.

Grazie alla potenza del motore digitale Dyson V9, da

1300 W, nel cono si forma un’area di alta pressione

grazie a cui si genera un getto ad alta velocità che si

diffonde tra le fessure presenti nel cono; tutto ciò per-

mette ai capelli di avvolgersi da soli intorno al cono e

mettersi in piega senza utilizzare troppo calore ed evi-

tando il rischio che si aggroviglino. Ed è proprio grazie

al controllo intelligente del calore, che si mantiene

sempre al di sotto dei 150° C, che si riescono a preve-

nire i danni provocati dalle temperature eccessive.

Inoltre, per migliorare la finitura della piega, gli inge-

gneri Dyson hanno incorporato nella spazzola liscian-

te un meccanismo di movimento che, attraverso una

valvola, orienta il flusso d’aria in funzione della tensio-

ne della spazzola in modo tale che sia sempre nella

direzione desiderata.

Ma non è finita qui perché i coni, sia quelli da 30 mm

che da 40 mm, hanno una struttura geometrica che

permette di realizzare ricci simmetrici sia in senso ora-

rio che antiorario grazie alla presenza di deflettori.

TEST Airwrap è il prodotto ideale per la salute dei capelli, in grado di ottenere la migliore acconciatura e gli stili più diversi

Styler Dyson Airwrap è un vero lusso per i tuoi capelli... ma anche per il portafoglioAirwrap è adatto a qualsiasi tipo di capello, dal liscio al crespo, senza il rischio di rovinarlo. La nostra prova lo conferma

Per ogni esigenza la spazzola giustaDyson Airwrap è un prodotto completo perché forni-

sce ogni tipo di accessorio utile per creare diversi tipi

di acconciatura. Sono disponibili tre varianti (in tutte

sono inclusi l’asciugacapelli pre-styling e due coni

da 30 mm): Volume + Shape con spazzola lisciante

delicata e volumizzante rotonda per dare volume ai

capelli sottili e piatti, Smooth + Control con due coni

da 40 mm e la spazzola lisciante rigida per lisciare

i capelli ribelli tendenti al crespo e infine Complete,

che offre tutti gli accessori per le varie tipologie di

acconciature. Quest’ultima soluzione è quella che è

arrivata in redazione. Una volta aperta l’elegante ma

enorme custodia protettiva, inseriti negli appositi spa-

zi ben ordinati e protetti da una morbida imbottitura,

troviamo:

•1 asciugacapelli pre-styling

•2 coni da 30 mm con una freccia che indica il senso

orario e antiorario per ricci voluminosi in modo sim-

metrico

•2 coni da 40 mm con una freccia che indica il senso

orario e antiorario per ottenere onde e ricci morbidi in

modo simmetrico

•1 spazzola lisciante rigida

•1 spazzola lisciante delicata con setole morbide

•1 spazzola volumizzante rotonda

Troviamo anche un tappetino antiscivolo resistente al

calore per poter appoggiare Dyson Airwrap durante

l’uso e una spazzola per la pulizia del filtro.

Dyson AirwrapSTYLER DYSON AIRWRAP, UN’ACCONCIATURA DIVERSA OGNI GIORNO 499,00 €Dopo il successo dell’asciugacapelli Dyson Supersonic, l’azienda britannica presenta un nuovo prodotto dedicato alla bellezza: lo styler Dyson Airwrap. Come per tutti i prodotti Dyson, all’origine dello styler Airwrap c’è un’approfondita analisi del problema da risolvere: il team di in-gegneri Dyson ha studiato chilometri di capelli per identificare aree di miglioramento nelle tecnologie esistenti, in modo tale offrire un nuovo prodotto all’avanguardia. E c’è l’hanno fatta! Hanno centrato l’obiettivo. L’innovazione c’è, e in un epoca dove colori fluo e decolorazioni sono di moda, uno styler che “difende” il capello proprio ci voleva. La nostra valutazione è positiva, l’unica nota dolente il prezzo, notevolmente elevato, ma che per un prodotto che racchiude in sè 6 accessori, forse non è così ingente. Perfetto per la donna che vuole un’acconciatura diversa ogni giorno, da fare a casa, anche da sola e per chi ha a cuore la salute dei propri capelli.

Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo

10 9 10 8 9 7

COSA CI PIACE COSA NON CI PIACENon rovina i capelliDa liscia a riccia in un attimoI capelli risultano morbidi e naturali

Prezzo elevatoCustodia ingombranteLa cute rimane umida

lab

video

segue a pagina 47

9.0

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MAGAZINEn.197 / 198 APRILE 2019

Il pre-stylingPrima di iniziare a realizzare qualsiasi tipo di accon-

ciatura è bene preparare il capello nel modo giusto.

Dopo aver lavato i capelli si toglie l’umidità in eccesso

utilizzando l’asciugacapelli pre-styling in dotazione e

si procede con l’accessorio spazzola lisciante per pet-

tinare e lisciare i capelli. È importante che i capelli sia-

no umidi al tatto; nel caso i capelli fossero già asciutti, è

bene inumidirli con un po’ di acqua usando uno spray.

Un altro consiglio è quello di suddividere i capelli in 4 o

6 sezioni in modo da rendere più semplice lo styling.

Da lisci a mossi, da ricci a lisci… e anche voluminosiChi ha i capelli lisci li vorrebbe più mossi e con qualche

riccio e chi li ha ricci li vorrebbe lisci e setosi. Dyson

Airwrap soddisfa entrambe le esigenze. Nel caso di

capelli lisci, dopo aver rimosso l’umidità in eccesso è

sufficiente scegliere l’accessorio per i boccoli (un cono

da 30 o 40 mm a seconda della larghezza del riccio

che si vuole ottenere), selezionare la potenza massima

del flusso d’aria e calore elevato, prendere una ciocca

di capelli e avvicinarla al cono restando a una distanza

di circa 10 cm. A questo punto il getto d’aria cattura

immediatamente i capelli attorcigliandoli automatica-

mente su di esso. Si attende qualche secondo per la

totale asciugatura della ciocca e si attiva il getto freddo

per fissare il riccio, quindi si spegne e si rilascia. Termi-

nato un lato con il cono in senso orario si sostituisce

con quello in senso antiorario per realizzare ricci sim-

metrici dall’altro lato della testa per ottenere un effetto

più naturale, meno artificioso. Nel caso invece di ca-

pelli ricci e crespi è possibile ottenere un’acconciatura

liscia senza utilizzare piastre o maschere liscianti. La

premessa è sempre quella di avere i capelli bagnati;

quindi, dopo averli suddivisi in sezioni, si applica la

spazzola lisciante, si seleziona potenza media e ca-

lore medio, e si inizia a spazzolare lentamente, fino

ad ottenere un’ effetto seta sui capelli. Se necessario,

bisogna ripetere più volte il passaggio della spazzola

sui capelli. Dal momento che noi donne non ci accon-

tentiamo mai, spesso chi vuole mantenere i suoi ca-

pelli lisci vorrebbe donargli almeno un po’ di volume.

Anche in questo caso, Airwrap risponde all’esigenza.

Utilizzando l’accessorio spazzola volumizzante roton-

da, sollevando a ogni passata i capelli divisi in sezioni,

è possibile dare forma e volume a capelli piatti.

Addio a piastre e arricciacapelliDyson Airwrap è un prodotto innovativo, possiamo

definirlo un all-in-one della bellezza. Abbiamo prova-

to a fare un’acconciatura mossa su capelli molto lisci,

colorati e senza volume. Usarlo è veramente semplice,

vero che bisogna prenderci un attimo la mano, il tem-

po di qualche acconciatura, in particolare per l’utilizzo

dell’accessorio per i ricci, ma subito ci si impratichisce.

I tanti accessori presenti lo rendono ideale per ogni

tipo di stile, dal liscio al riccio, dall’ondulato al volu-

mizzato ad ognuno c’è l’accessorio dedicato (fino a 6

styling diversi e anche di più). Un’elegante custodia

raccoglie tutti gli accessori con ordine preciso, bella

da vedere, ma nella realtà si presenta molto ingom-

brante e difficile da riporre nei mobiletti tradizionali da

bagno. Importante invece che all’interno della scatola

sia possibile riporre lo styler senza aggrovigliare il lun-

go cavo ma avvolgendolo con ordine all’interno dello

spazio previsto così da garantire lunga vita al prodotto.

Al primo utilizzo, ci si stupisce subito della leggerezza,

la maneggevolezza è una delle caratteristiche princi-

pali che devono avere questi apparecchi per capelli

e Dyson Airwrap rispecchia perfettamente questa pe-

culiarità. La sua ergonomia e il peso di soli 560 g non

appesantiscono le braccia e consentono di utilizzarlo

da soli anche per molto tempo senza difficoltà, anche

utilizzando per acconciare i capelli dietro la nuca. Mol-

te critiche sono state fatte per la sua lunghezza eleva-

ta (27cm), ma spesso chi lo ha criticato lo ha utilizzato

nel modo sbagliato, in quanto lo styler deve essere

sempre parallelo al viso, e in questo modo con il brac-

cio destra si riesce a usarlo molto bene anche nella

parte sinistra della testa e dietro la nuca. A fine styling

notiamo però che la testa e l’attaccatura rimane un

po’ umida, in quanto si parte da un capello bagnato

e non completamente asciugato, perché lo styler non

arrotola tutti i capelli fino alla radice, come anche la

spazzola lisciante dove la valvola all’interno spinge il

flusso d’aria secondo la direzione della pettinata, quin-

di verso il basso. I tasti di utilizzo sono posizionati al-

l’altezza della mano e quindi raggiungibili con facilità,

e il filo lungo 260 cm non si attorciglia grazie al cavo

girevole. Il cambio degli accessori invece è veloce e

pratico, basta schiacciare un tasto, alcuni di essi sono

dotati di una punta anti-surriscaldamento che consen-

te di afferrare l’accessorio, che naturalmente durante

l’uso si è surriscaldato, senza scottarsi.

Adatto anche ai capelli trattati Oggi vanno di moda i colori fluo, le permanenti e le

decolorazioni, ma tutto ciò stressa tantissimo la strut-

tura del capello rovinandone soprattutto la cuticola, il

rivestimento protettivo del capello, ed è anche la pri-

ma parte a essere danneggiata dall’alta temperatura

di phon, piastre, arricciacapelli o prodotti aggressivi

chimici. In base a quanto sia danneggiata o meno, la

cuticola definisce anche quanto morbidi e lucidi sono

i capelli. E proprio per questo Airwrap è stato proget-

tato per non rovinare i capelli e per non danneggiarne

la cuticola. Un arricciacapelli in grado di ondulare le

ciocche senza bisogno di temperature estreme, gra-

zie al flusso d’aria calda. Altra particolarità di Dyson

Airwrap è che, a differenza di altri accessori per lo

styling, può essere utilizzato anche sui capelli bagna-

ti, senza rovinarli o bruciarli. Il risultato finale è un look

naturale e luminoso, con capelli naturali e voluminosi.

Dyson Airwrap vs arricciacapelliLa prima volta non si scorda mai… vero. Il nostro primo

styling con Dyson Airwrap è stato quello di ottenere

un effetto mosso su capelli lisci e senza volume.

Il risultato è veramente molto buono, i boccoli sono

molto simili a quelli fatti da un arricciacapelli tradizio-

nale, ma con Airwrap ci abbiamo messo la metà del

tempo tra pre-asciugatura e acconciatura e, cosa più

importante, non abbiamo danneggiato il capello.

Come possiamo vedere il tipo di ricciolo è simile, ma

si avverte proprio una differenza nella morbidezza e

lucentezza del capello. Con gli arricciacapelli tradizio-

nali la ciocca viene “scottata”, la peggior cosa che si

può fare è usarla sui capelli bagnati, con il rischio di

“bruciarli”; inoltre, a seconda della temperatura usa-

ta (di solito i ferri arricciacapelli vengono utilizzati dai

180 ai 220 gradi) si può notare addirittura una scia di

vapore che fuoriesce dalla ciocca arrotolata sul ferro,

segno che il capello sta subendo un danneggiamen-

to. Con Dyson Airwrap l’acconciatura rimane morbida

e ha un effetto naturale, il capello viene asciugato

mentre è avvolto nel cono e ne assume la forma on-

dulata. Ma quanto dura l’acconciatura? Abbiamo pro-

vato Airwrap su capelli lisci e senza volume, quindi dei

capelli difficili da arricciare e da mantenere acconcia-

ti. Ci sbilanciamo dicendo che se funziona su questo

tipo di capelli, funziona su tutti!

Dyson Airwrap is the new BlackLo dobbiamo ammettere Dyson ancora una volta ha

centrato l’obiettivo. Con Airwrap, Dyson è riuscita a

far innamorare molte donne, sempre alla ricerca di

styling diversi ma facili da realizzare, ma anche molti

professionisti del settore e anche chi tiene particolar-

mente alla cura dei propri capelli.

Il prezzo è sicuramente notevole, un lusso osiamo

dire, (la versione Dyson Airwrap Smooth + Control è

disponibile a 449 euro, Dyson Airwrap Volume + Sha-

pe a 449 euro e Dyson Airwrap Complete 499 euro),

ma niente da dire sulla completezza del prodotto e

sulla sua efficacia. Vero anche che, acquistando Dy-

son Airwrap è come comprare 4 prodotti insieme: 1

phon, 1 piastra per capelli, 1 ferro arricciacapelli e 1

spazzola volumizzante. Cosa volere di più.

TEST

Styler Dyson Airwrapsegue Da pagina 46

Foto a sx acconciatura appena fatta a casa con il ferro arricciacapelli, foto a dx come è rimasta l’acconciatura dopo una decina di ore.

Foto a sx acconciatura appena fatta a casa con il Dyson Airwrap, foto a dx come è rimasta l’accon-ciatura dopo una decina di ore.

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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019

di M. ZOCCHI

F ord presenta la nuova Kuga, com-

pletamente rinnovata nelle linee

esterne e nel design ma soprattutto

nelle motorizzazioni. Kuga sarà la Ford

più elettrificata di sempre, come ci tiene a

sottolineare la Casa dell’Ovale Blu. Offrirà

tre declinazioni elettrificate: Mild Hybrid,

Plug-in Hybrid e Hybrid classica. La novità

più importante molto probabilmente è la

versione ibrida ricaricabile da una presa

di corrente o da colonnina, che potrà ga-

rantire un’autonomia 100% elettrica fino a

50 km. Di conseguenza anche i consumi

saranno al top della categoria, con 1.2

L/100 km ed emissioni di CO2 di 29 g/km.

Kuga Plug-in Hybrid combina un motore

benzina a quattro cilindri a ciclo Atkinson

da 2.5 L, che insieme al motore elettrico

può sviluppare fino a 225 CV di potenza.

La batteria agli ioni di litio è da 14.4 kWh,

che secondo Ford sarebbe sufficiente

per 50 km in modalità completamente

elettrica. La presa di ricarica si trova sul

parafango anteriore e sono necessarie

circa 4 ore per ricaricare completamente

la batteria.

Il conducente può però scegliere come

sfruttare l’energia immagazzinata grazie

AUTO IBRIDA Ad Amsterdam, Ford ha presentato la sua immediata visione del futuro

Arriva Ford Kuga, la prima in tre versioni elettrificate: Mild Hybrid, Plug-in e Full HybridLa novità più importante è la versione ibrida ricaricabile da una presa di corrente o da colonnina

alle diverse modalità di marcia disponibili:

EV Auto, EV Now, EV Later e EV Charge.

Passando alla versione Mild Hybrid (qui la nostra spiegazione sul funzionamento

di questo motore), Ford ha scelto la so-

luzione a 48 V raffreddato ad aria, con

motorino elettrico collegato alla trazione

tramite una cinghia che sostituisce l’alter-

natore standard. Le previsioni di consumi

di Ford sono di 5.0 L/100 km, con emissio-

ni di CO2 pari a 132 g/km. Infine sarà di-

sponibile, nel 2020, anche la più classica

Hybrid, sempre con motore a ciclo Atkin-

son da 2.5 L e una batteria agli ioni di litio

molto più piccola. In questo caso le previ-

sioni sono di 5.6 L ogni 100 km e grammi

di CO2 pari a 130. Per quanto riguarda gli

interni e la tecnologia di bordo, continua

l’ottimo lavoro fin qui fatto da Ford, con la

presenza del sistema infotainment SYNC

3 (con Apple CarPlay e Android Auto), su

display tousch screen da 8”, il quadro di-

gitale da 12.3”, pad di ricarica wireless per

smartphone e il modem integrato per For-

dPass Connect. L’audio è curato da B&O.

Tecnologia significa anche e soprattutto

assistenza alla guida, e anche qui Kuga

sarà ottimamente equipaggiata. Sempre

presenti il Lane Keeping System, Blid Spot

Assist e Pre-collision Assist. Arriva anche

la novità della funzione Intersection, che

interviene sui freni per evitare o diminuire

gli effetti di un impatto in caso di svolta

presso un incrocio e possibile collisione.

Nuova Kuga dovrebbe essere disponibile

entro la fine del 2019, mentre la versione

Plug-in dovrebbe arrivare più avanti, nella

primavera 2020.

di M. ZOCCHI

L ’annuncio di Tesla arriva un po’ a sor-

presa: il computer per la guida com-

pletamente autonoma è già pronto,

verrà presentato il 19 aprile. Il nuovo

hardware, precedentemente identificato

con Autopilot 3.0, avrà una nuova intel-

ligenza artificiale, supportata dal cosid-

detto “neural net accelerator”, in grado di

affrontare tutte le situazioni dinamiche di

guida al posto di un guidatore umano. In

realtà i piani sono perfettamente in linea

con quanto previsto, dato che la presen-

tazione era programmata proprio per la

AUTO ELETTRICA Il nuovo super computer con AI è già in produzione. Presentazione il 19 aprile

Tesla, annuncio shock: il computer per la guida autonoma è già pronto, presentazione il 19 aprileL’hardware avrà una nuova intelligenza artificiale in grado di affrontare tutte le situazioni di guida

fine del Q1 2019. Molto proba-

bilmente quindi passerà ancora

un po’ di tempo prima di trovare

il nuovo componente a bordo

delle vetture ma, come già chia-

rito, Tesla farà un’operazione di

retrofit installando la nuova AI

anche nelle auto più vecchie,

per i clienti che hanno acquista-

to questa funzionalità a caro prezzo. Non

si tratta però di una comunicazione solo

fine a se stessa: Tesla terrà un evento

dedicato il 19 aprile per presentare agli

investitori i progressi possibili con il nuo-

vo computer. Pur trattandosi di un even-

to business, sarà trasmesso via web per

essere visto da chiunque, sebbene solo i

finanziatori presenti potranno effettuare i

primi test drive.

Volvo a tutto elettrico: la XC40 debutterà quest’anno con la stessa piattaforma di PolestarLa versione elettrica della Volvo XC40 dovrebbe arrivare entro il 2019, per arrivare a una flotta elettrica di cinque modelli entro il 2021 di M. ZOCCHI

Secondo un’indiscrezione lanciata da Automotive News Europe, Vol-vo sarebbe in procinto di lancia-re una versione completamente elettrica della XC40, proprio per raggiungere quell’obbiettivo.Come lecito aspettarsi in questi casi, non è ancora nota nessuna caratteristica tecnica, tanto meno il prezzo. L’unica cosa che pare certa è che anche XC40 Electric sarà basata sulla piattaforma CMA, la stessa che Volvo ha inau-gurato per la Polestar 2, la prima auto elettrica del suo marchio di lusso. A sua volta Volvo è ora proprietà della cinese Geely, che proprio la scorsa settimana ha an-nunciato un’altra importante part-nership, per realizzare in patria la Smart elettrica in collaborazione con Daimler. Nel 2020 quindi do-vremmo vedere sulle strade sia la Polestar 2 sia la XC40, per poi passare a stretto giro alla Polestar 3, il primo SUV del brand della Stella Polare. Non è chiaro a que-sto punto se i cinque modelli pro-messi da Volvo includano appun-to anche le auto del suo brand secondario, ma l’azienda dichiara di voler raggiungere entro il 2025 il 50% di vendite nel solo settore full electric.

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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019

di Franco AQUINI

F ino a qualche tempo fa sembrava

quasi che Ford non fosse interes-

sata al mondo dell’elettrico e in-

vece ieri, direttamente da Amsterdam,

sono state annunciate altre due auto

ibride che andranno a completare una

vera e propria gamma. Si tratta di Fiesta

e Focus Ecoboost Hybrid, due modelli

decisamente importanti per l’azienda

che conta così di fondere perfettamen-

te l’attenzione ai consumi tipica dei mo-

tori Ecoboost con le prestazioni offerte

dal mild hybrid.

Fin qui nulla di particolarmente nuovo a

livello tecnico, ma entrando un po’ nel

dettaglio si scoprono soluzioni più inte-

ressanti. Per esempio il sistema BISG,

uno starter/Generator azionato da un

cinghia che sostituisce l’alternatore, in

grado di recuperare l’energia prodotta

in fase di decelerazione e di immagaz-

zinarla all’interno di una batteria da 48

volt raffreddata ad aria. Il BISG funzio-

na anche da propulsore, andando a

AUTO IBRIDA Ford presenta i nuovi veicoli elettrici Fiesta e Focus in versione Ecoboost Hybrid

Arrivano Ford Focus e Fiesta Ecoboost Hybrid La gamma Mild Hybrid di Ford è al completoGrazie ad un uso intelligente del Mild Hybrid riesce a combinare efficienza e prestazioni

coadiuvare il motore Ecoboost 1000

da 3 cilindri - particolarmente efficiente

nei consumi - nel fornire coppia ad-

dizionale là dove serve. Un impiego

interessante, pensato per ottenere il

massimo dell’efficienza riutilizzando

l’energia di recupero per migliorare le

prestazioni.

La presenza del BISG ha permesso an-

che l’impiego di un turbocompressore

più grande, con il vantaggio di ridurre

il ritardo nell’erogazione della potenza

tipico dei motori sovralimentati (proble-

ma noto come turbo-lag).

La giornata di ieri è stata particolarmen-

te interessante per Ford, vista la mole di

annunci nell’ambito dei veicoli elettrici.

Oltre a Fiesta e Focus Ecoboost Hybrid,

sono state presentate infatti anche la

Nuova Ford Kuga nelle tre versioni Mild

Hybrid, Plug-in e Full Hybrid; il Nuovo

Transit e il Nuovo Tourneo Custom Plug-

in e infine il Ford Explorer Plug-In Hy-

brid. “Il nostro Ecoboost 1.0 ha già dimo-

strato che l’efficienza e le performance

possono andare di pari passo. La nostra

tecnologia Ecoboost Hybrid ci fa fare un

ulteriore passo in avanti” ha dichiarato

Roelant de Waard, Vice Presidente del

Marketing. Ed è questa evidentemente

la strategia di Ford: entrare nel mondo

dell’elettrico in punta di piedi, con una

gamma completa e che faccia dell’elet-

trico un uso pratico: performance dove

servono, ibrido plug-in e full electric su

alcuni modelli specifici.

DMOVE Da Amsterdam la nuova veste della mini coupé Ford

Dagli anni 90 torna la Ford Puma Ma ora è un crossover ibrido

di Franco AQUINI

All’inizio è stato poco più di un annuncio, seppellito nella montagna di novità

presentate da Ford ad Amsterdam. Ora però cominciano a circolare più det-

tagli sulla nuova Ford Puma, la versione aggiornata della storica mini coupé

che tanto successo riscosse negli anni novanta. In quegli anni andava di moda il

coupé. Tutti ricorderanno la rivale Opel Tigra, oppure il coupé di dimensioni mag-

giori Cougar. Come sarà la nuova Puma? Durante l’evento la vettura era presente,

appena visibile nella penombra del palco. Il logo parla chiaro, si tratta della nuova

versione di Puma. L’auto però non sarà un piccolo coupé, bensì un piccolo crossover

elettrificato. Come negli anni ‘90 erano di moda le coupé, oggi lo sono i SUV in tutte

le taglie. Così Ford ha deciso di proporre qualcosa che dovrebbe coprire lo stesso

segmento di Ecosport, probabilmente con

un carattere più aggressivo.

Qualche voce gira anche sul motore, che

dovrebbe ricalcare la soluzione presentata

con Fiesta e Focus: motore Ecoboost 1.0

Mild Hybrid con batteria da 48 V e recupe-

ro dell’energia prodotta in fase di frenata.

La potenza totale del veicolo dovrebbe

essere di 155 cavalli. Interessante anche il

dettaglio sul bagagliaio da ben 456 litri.

Il SUV sette posti Ford Explorer Plug-In Hybrid arriverà in Europa con 450 CV di potenzaDopo Mondeo, Nuova Kuga, Fiesta e Focus, mancava all’appello un SUV dalle grandi dimensioni. Ecco quindi l’enorme Ford Explorer Plug-in Hybrid di F. AQUINI

Nell’ondata di annunci relativi ai nuovi veicoli ibridi presentati da Ford, c’è stato anche quello del SUV Ford Explorer in versione ibrida plug-in, che vedremo final-mente anche in Europa. Si tratta di un SUV da 7 posti che monterà a bordo il meglio delle tecnologie Ford per l’intrattenimento a bor-do e per la sicurezza. Le novità partono dal propulsore, un Eco-boost 3.0 V6 unito a un motore elettrico che genera 450CV (350 CV il termico e 100 CV l’elettri-co) e permette fino a 40 km di autonomia in modalità esclu-sivamente elettrica. All’interno dell’abitacolo troviamo SYNC 3 e uno schermo touch da 10.1”, un cruscotto digitale da 12,3” e il modem integrato nel pacchetto FordPass Connect, oltre all’audio B&O. Sul fronte delle tecnologie per la sicurezza troviamo quanto già visto su Focus e su Edge, tra cui Adaptative Cruise Control, Speed Sign Recognition (il rico-noscimento dei segnali stradali) e Lane-Centring (mantenimento della carreggiata).Ford Explorer Plug-in Hybrid verrà offerto in due versioni: con allesti-mento ST-Line e un allestimento più elegante e raffinato (presumi-bilmente Titanium o Vignale).

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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019

di Massimiliano ZOCCHI

N ell’ormai lontano 2013, BMW fu

una delle prime case a stupire con

una proposta di mobilità elettrica.

La compatta e futuristica i3 insieme alla

ibrida sportiva i8 erano un’accoppiata

all’avanguardia per quel periodo. Ma

oltre a due aggiornamenti di batteria

per i3, le mosse della casa tedesca si

sono fermate. Ora sembra che, seguen-

do un trend generale, anche BMW sia

pronta a ripartire con un ricco portfolio

di proposte elettriche. Scopriamo oggi

nuove foto, scattate durante i test inver-

nali in Svezia, di tre vetture che a breve

distanza una dall’altra arriveranno sul

mercato. La prima, come ormai ribadito

da tempo, sarà la iX3, che come il nome

stesso ricorda, è un po’ la versione elet-

trificata dell’omonima endotermica già

AUTO ELETTRICA Lancio definitivo probabilmente entro la fine di quest’anno, vendite dal 2020

BMW pronta per la “tripletta” elettrica Ecco le foto dei test di iX3, i4 e iNEXTBMW si appresta a lanciare la sua offensiva elettrica con un SUV, una sedan e un crossover

sul mercato. Un SUV

con circa 400 km di

autonomia e la capaci-

tà di ricarica alle colon-

nine DC fino a 150 kW

di potenza. Sarà inoltre

il primo modello pro-

dotto nei nuovi stabili-

menti in Cina, nati dalla

joint venture BMW Bril-

liance Automotive. Il

lancio definitivo probabilmente avverrà

entro la fine di quest’anno, con vendite

dal 2020.

Dal 2021 invece dovrebbe essere di-

sponibili la berlina i4 e “l’auto del futu-

ro” iNEXT. La sedan i4 ha linee piutto-

sto classiche e si piazza nel segmento

delle coupe medie premium. La sportiva

sarà prodotta a Monaco di Baviera ed

ha prestazioni di tutto rispetto: 600 km

di autonomia, velocità massima di 200

km/h e accelerazione da 0 a 100 in 4

secondi. iNEXT invece sarà la prima

di un nuovo corso, anche stilistico, ab-

bracciando il segmento più in voga al

momento, quello dei crossover o Sport

Active Vehicle. Costruita su una nuova

piattaforma comune, avrà guida autono-

ma, connettività al massimo della tecno-

logia e un range di 600 km.

Jaguar verso l’elettrificazione della gamma J-Pace sarà elettrica e ibrida plug-inLa futura ammiraglia Jaguar avrà una piattaforma declinata in due varianti a batteria di M. ZOCCHI

Nel 2021 Jaguar dovrebbe iniziare a rinnovare l’attuale gamma, inclu-si i modelli SUV, che finora hanno riscosso un buon successo. La nuova vettura flagship dovrebbe chiamarsi J-Pace, e andrebbe a sostituire l’attuale F-Pace. Ma non si tratterà solo di un cambio este-tico, piuttosto sarà una vera linea di confine tra il passato e il futuro. J-Pace infatti, quando arriverà nel 2021, dovrebbe essere una delle prime auto Jaguar Land Rover a beneficiare della nuova piattafor-ma in alluminio denominata MLB, quella che poi troveremo in tutte le Jaguar dal 2025. Si partirà appunto da J-Pace, accompagnata da un al-tro SUV Land Rover e forse da una nuova sedan in sostituzione dell’at-tuale XJ. Una delle principali novità di J-Pace sarà la trazione integrale ottenuta senza trasmissione longi-tudinale ma attraverso l’uso di un motore elettrico sull’asse posterio-re. In questo modo il pianale potrà essere piatto, senza l’ingombrante tunnel centrale. Questa situazione suggerisce due cose: anche nella versione base J-Pace sarà quanto meno ibrida ricaricabile, e il pianale sarà compatibile con una variante 100% elettrica. Non ci sono al mo-mento altre indicazioni sulle vettu-re future se non queste voci di cor-ridoio. Jaguar però ha indicato che prevede per il futuro circa il 20% di elettriche nel totale delle vendite, per cui più di due terzi resteranno auto in qualche modo legate ai motori a combustione.

di M. ZOCCHI

Al termine dell’evento e-MOTICON

che ha lo scopo di sviluppare la

mobilità elettrica nell’Arco Alpino,

EvWay by Route220 e Duferco Energia

hanno annunciato che renderanno i pro-

pri sistemi interoperabili. Questo signifi-

ca che i due operatori consentiranno ai

propri clienti di utilizzare indistintamente

entrambi i circuiti di colonnine, in modalità

roaming, così da facilitare gli spostamenti

elettrici nell’Arco Alpino. Ovviamente i re-

sponsabili delle due realtà nostrane sono

soddisfatti dell’accordo, come sottolinea

Carolina Solcia, co-founder di Route220:

“L’accordo con Duferco conferma il nostro

impegno fattivo nel promuovere l’intero-

perabilità tra gli operatori. Il nostro obiet-

tivo è quello di offrire agli utenti elettrici

una nuova esperienza di mobilità, grazie

all’adozione sempre più smart di servizi

digitali di pagamento e di scoperta del

territorio. Ci fa piacere annunciare questo

accordo proprio oggi, in occasione del-

RETE DI RICARICA Ad e-MOTICON accordo tra i due protagonisti della rete di ricarica italiana

EvWay e Duferco Energia uniscono le proprie forze I due sistemi di ricarica saranno interoperabiliLe colonnine diventano interoperabili, per una migliore elettrificazione dell’Arco Alpino

l’evento finale del progetto e-MOTICON,

per dimostrare le nostre azioni concrete

nello sviluppo della mobilità elettrica nelle

zone alpine”.

Le fa eco Sergio Torre, Direttore Business

Development di Duferco Energia:”

“Questo accordo rispecchia la visione del

mercato che entrambe le aziende hanno

sempre sostenuto, basata su interopera-

bilità, roaming, competitività e apertura

della rete. Un lungo percorso ci ha porta-

to a questa integrazione, abbiamo svilup-

pato un progetto a garanzia di modalità

di interoperabilità più sicure, performanti

e meno costose di quelle oggi più diffuse.

Auspichiamo che questo possa portare

altri operatori a collaborare per la defini-

zione di servizi in Italia e in Europa che

non potranno che favorire la crescita del-

la mobilità elettrica”.

L’interoperabilità tra i due network di ricari-

ca dovrebbe essere attiva già da aprile.

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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019

di Massimiliano ZOCCHI

U no degli argomenti spesso trattati

dai detrattori della mobilità elettri-

ca è il prezzo (elevato) delle vettu-

re elettriche. Non c’è alcun dubbio che

le auto elettriche abbiano costi superiori

alle pari segmento endotermiche, ma è

altrettanto vero che la maggiore eco-

nomicità di gestione permetta sul me-

dio/lungo termine di recuperare parte di

questi costi. C’è poi il capitolo incentivi,

che può essere determinante per attira-

re potenziali clienti desiderosi di passare

all’elettrico ma frenati dai listini troppo

cari. Un caso eclatante in questo senso è

la Citroën C-Zero, utilitaria elettrica pre-

sente da anni sul mercato, costruita su

base Mitsubishi iMiev e con una gemella,

sempre francese, la Peugeot iON. Anche

la C-Zero ha sofferto a lungo del caro

prezzi, nonostante sia un’elettrica “della

prima generazione”, fino a che Citroën

non ha deciso di spingere le vendite con

una interessante promozione.

Il prezzo di listino di 30.890 euro viene

scontato dalla casa di ben 12.000 euro,

portandolo quindi a 18.890 euro. Deci-

samente meglio, ma sempre di molto al

di sopra di auto simili a benzina, diesel o

AUTO ELETTRICA Grazie agli incentivi statali e agli sconti dalle case, ci sono ottime occasioni

Le auto elettriche sono troppo care? La Citroën C-Zero può costare solo 6.890 € Citroën ha deciso di spingere le vendite della C-Zero con un’interessante promozione

metano. Ecco che quindi entrano in gio-

co gli incentivi statali, che con il bonus

di 6.000 euro (in caso di rottamazione

di vecchio veicolo) farebbero calare il

prezzo a 12.890 euro. Già a questo li-

vello le cose potrebbero iniziare a farsi

interessanti.

Ma non è finita, poiché alcune regioni

italiane hanno proposto incentivi indi-

pendenti, a favore dei cittadini residenti

in tali regioni. È il caso ad esempio del-

l’Emilia-Romagna, che mette in campo

ulteriori 3.000 euro per i suoi cittadini

che vogliano passare all’elettrico (con

ISEE entro i 35.000 euro). In questo caso

la nostra C-Zero costerebbe 9.890 euro.

Fa un poco meglio il Friuli Venezia Giulia,

dove il prezzo calerebbe a 7.890 euro,

grazie agli incentivi regionali di 5.000

euro. La situazione migliore si avrebbe

nella Provincia di Trento, dove i 6.000

euro offerti per le auto elettriche abbas-

serebbero il costo di Citroën C-Zero a

soli 6.890 euro. Un prezzo che la mette

alla pari - se non in vantaggio - rispetto

ad altre utilitarie a carburante.

In mezzo a questi esempi che abbiamo

fatto, ce ne sono altri, come il caso in

cui non si possieda un’auto da rottama-

re, con l’incentivo statale che scende a

4.000 euro, e di conseguenza il prezzo

dell’auto sale di 2.000 euro. C’è altre-

sì da considerare che il Governo non

ha ancora emanato il Decreto Attuati-

vo per gli incentivi, e non si è quindi

espresso sulla cumulabilità di sovven-

zioni statali e locali, anche se la mag-

gior parte degli addetti ai lavori sembra

concorde sul fatto che non ci saranno

limitazioni in questo senso.

La Citroën C-Zero, per chi non la co-

noscesse, ha una batteria con chimica

molto longeva, da 14.5 kwh, capace di

circa 100-150 km di autonomia a secon-

da dei tragitti, con velocità massima di

130 km/h. Gli interni sono semplici e

essenziali e il vano di carico è discreto,

rapportato ovviamente al segmento. In

molte regioni il bollo non si paga per

cinque anni, per poi passare ad una

frazione dell’equivalente termico, in al-

tre invece non si paga a vita. Molte città

offrono la sosta gratuita su strisce blu e

gialle, oltre all’ingresso in ZTL. Le assi-

curazioni poi hanno spesso tariffe dedi-

cate con corposi sconti e la ricarica può

anche essere effettuata presso i centri

commerciali, gratuitamente, mentre si

fa la spesa. Insomma, passare all’elettri-

co non è mai stato così conveniente.

La storia infinita della iCar: Apple ruba a Tesla l’esperto dei motori elettriciColpo di coda del Project Titan di Apple, con l’arrivo dell’ingegnere responsabile di tutti gli ultimi motori elettrici Tesla. Ma allora la iCar si farà? di M. ZOCCHI

Sembrerebbe proprio il caso di dir-lo, il progetto Apple per iCar non conosce pace. Per un certo perio-do i piani della Mela erano dati per certi, con una super car pronta per arrivare sul mercato seguendo le orme del successo di Tesla, azien-da non a caso spesso accostata ad Apple. A un certo punto però il Project Titan - nome in codice durante la fase di sviluppo - si è arenato, nonostante il ritorno di Bob Mansfield, chiamato anche per “sistemare” questo progetto. Le voci di corridoio hanno quindi insistentemente riportato un cam-biamento di rotta, con il passaggio al solo sviluppo software per la guida autonoma, con l’intento poi di trovare un partner nel mondo automotive. Ora Apple si è assicu-rata i servigi di Michael Schweku-tsch, ingegnere specialista di mo-tori elettrici e powertrain elettrici in generale, assunto proprio dopo la sua partenza da Tesla. Per meglio comprendere l’importanza della figura di Schwekutsch, basta dire che è il principale responsabile di due degli ultimi motori Tesla, quello della nuova Roadster e del camion elettrico Semi.A questo punto quindi sembra pre-maturo dare il Project Titan come defunto, in quanto la presenza di un ingegnere motorista ovviamen-te suggerisce che gli studi di Apple verso l’hardware di una ipotetica iCar stanno proseguendo. È pos-sibile che Apple sia riuscita, come un tempo, a nascondere i suoi veri piani e a preparare un prodotto ri-voluzionario in gran segreto?

DMOVE Aggiornamento firmware per la Tesla Model 3

Tesla sblocca il Supercharger V2 145 kW di potenza di ricarica

di M. ZOCCHI

I n attesa di inaugurare nuove stazioni Supercharger V3, Tesla ha diffuso un aggior-

namento firmware per la Model 3, per incrementare la potenza di ricarica presso le

esistenti colonnine Supercharger V2. Queste infrastrutture hanno da sempre una

potenza massima di 145 kW, ma le vetture erano bloccate ad un massimo di 120 kW. Ora

invece con il solito aggiornamento OTA - per ora solo per Model 3 - le auto potranno

sfruttare tutta la potenza, con un miglioramento quindi del 18% sui tempi di ricarica. L’im-

magine qui sopra, pubblicata da un proprietario su Reddit, e diffusa da Teslarati, mostra

una potenza di picco addirittura superiore al nominale, 147 kW, per una performance

di carica pari a circa 1.000 km ogni ora.

Si attende ora che il firmware 2019.7.11 di-

venti disponibile per tutte le Model 3, per

poi probabilmente passare a Model S e

X. Con l’atteso Supercharger V3 invece la

ricarica aumenterà fino a 250 kW di po-

tenza, con un rate quindi di 1.600 km per

ogni ora di collegamento.

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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019

di Massimiliano ZOCCHI

D a tempo in Europa si discute circa

la possibilità di nuovi obblighi an-

che per chi si muove con una bici,

muscolare o elettrica che sia. Anche sulle

nostre pagine ne abbiamo parlato, dato

l’interesse verso l’argomento anche

della Commissione Europea. Questa vol-

ta però l’input non arriva dall’organo più

alto in grado del Vecchio Continente, ma

dal Governo Italiano.

Andrea De Bertoldi, senatore di Fratel-

li d’Italia è il firmatario di un disegno di

legge che propone diverse novità per

le bici. A partire dal casco obbligatorio,

norma forse sensata, fino al divieto di

circolazione contromano, decisamente

più necessario. Ma i punti che fanno più

preoccupare gli appassionati del mondo

BICI ELETTRICA Possibilità di nuovi obblighi anche per chi usa la bici, muscolare o elettrica che sia

Disegno di legge per il popolo delle bici Casco, targa e assicurazione obbligatori?La proposta di FDI introduce anche una sorta di immatricolazione proprio come per le auto

a pedali sono altri.

La proposta di FDI

introduce anche

una sorta di imma-

tricolazione per il

velocipede, con tan-

to di contrassegno

per il telaio e targa

posteriore, esatta-

mente come per le

automobili e le moto.

Ma non solo, con questa novità arrivereb-

be anche l’obbligo di assicurazione per

responsabilità civile, così da poter rispon-

dere in caso di incidenti in cui la colpa sia

del ciclista o condivisa con chi coinvolto.

Difficile dire cosa succederà ora. Un dise-

gno di legge non significa che le norme

siano già in atto, ma che il Governo va-

luterà la proposta, approvandola o boc-

ciandola. In questo senso avrà un ruolo

fondamentale la coordinazione delle

forze politiche al comando, ultimamente

non proprio sulla stessa linea in quanto

a mobilità in generale. Dal canto loro le

associazioni di ciclisti hanno più volte

espresso preoccupazione per eventuali

norme simili, temendo una contrazione

del mercato a causa delle ovvie spese di

pratiche e assicurazione

FCA e PSA insieme per una piattaforma comune, anche per le elettricheCircolano insistenti le voci di una joint venture tra Fiat e il gruppo PSA per sviluppare una super piattaforma comune, utile anche per auto elettriche di M. ZOCCHI

Secondo gli esperti di finanza di Bloomberg, il dialogo tra Fiat Chrysler Automobiles e il Grup-po PSA è a uno stadio avanzato e l’oggetto è una possibile joint venture per sviluppare una super piattaforma comune. In particolare questa collaborazione andrebbe a toccare un tema che sta a cuore a entrambe le aziende, ovvero la progressiva elettrificazione della gamma. La nuova super piatta-forma che potrebbe nascere da questo progetto sarebbe quindi adatta a tutti i tipi di motorizzazio-ne, elettrica inclusa. Un’altra area di interesse potrebbe essere lo sviluppo della guida autonoma.Nel recente passato sia il CEO di PSA Carlos Tavares, sia John Elkann avevano confermato di essere al lavoro per sondare eventuali opportunità di collabo-razione. Secondo quanto riporta-to da Bloomberg, che ha chiama-to in causa anche Carlo Alberto Carnevale Maffe, Professore alla Bocconi, gli investimenti neces-sari per fronteggiare l’ampio cambiamento in corso nel settore automotive, sono spesso troppo onerosi per una singola azien-da, e la ricerca di alleati di PSA e FCA, esattamente come quella di BMW e Daimler, è la prova del-la ricerca di un nuovo equilibrio per l’intero mercato, portando la competizione in secondo piano.

di M. ZOCCHI

D opo averci tenuto con il fiato so-

speso, Lightning Motorcycle ha

tolto il velo da Strike, quella che a

tutti gli effetti può essere considerata la

prima moto elettrica sportiva con un prez-

zo abbordabile. Questo perché le dirette

concorrenti, Zero e Energica, hanno un

design naked (Zero SF/R) o un prezzo de-

cisamente più alto (Energica Ego). Strike

invece mantiene il suo DNA, con una line

sportiva e un’organizzazione produttiva

che permetterà un prezzo di partenza di

soli 12.998 dollari.

Ovviamente a questo prezzo non si avran-

no le caratteristiche top, in quanto Strike

è proposta in tre versioni, Standard, Mid

Range e Carbon Edition. Il prezzo aggres-

sivo è valido ovviamente per la Standard,

che comunque offre lo stesso motore

delle sorelle maggiori, con 67 kW di po-

tenza e 245 Nm di coppia, e una velocità

massima di 217 km/h. Bisogna rinunciare

a parte dell’autonomia, perché a prezzo

base avremmo solo 10 kWh di batteria,

MOBILITÀ SOSTENIBILE Dopo teaser e anticipazioni, Lightning Motorcycle ha svelato Strike

Finalmente svelata la Lightning Motorcycle Strike la prima moto elettrica sportiva al giusto prezzoStrike mantiene il suo DNA, con una linea sportiva e un prezzo di partenza di soli 12.998 dollari

sufficienti secondo la

casa per 113-161 km di

range, a seconda che

sia autostrada o urbano.

Inclusa però la ricarica

Level 2, ovvero a 220

V, per la quale sono

necessarie circa 3 ore

con la potenza standard

di 3.3 kW. Si può però

portare il caricatore a 6.6 kW, scendendo

a circa un’ora e mezza ma aggiungendo

1.500 dollari. Con la Mid Range il prezzo

sale a 16.998 dollari, ma la batteria passa

a 15 kWh. Di conseguenza l’autonomia fa

un bello step in avanti, arrivando a 169-

241 km, sempre con riferimento il ciclo ex-

traurbano/urbano. Il peso della moto pas-

sa da 206 kg a 211 kg, strana variazione

per i 5 kWh in più, il che suggerisce che

Lightning sia riuscita a risparmiare peso

altrove per bilanciare l’aumento dovuto al

maggior numero di celle al litio. Infine tro-

viamo la Carbon Edition, che sarà anche

la prima ad essere prodotta e consegna-

ta (ricalcando quindi un modus operandi

diffuso tra le aziende americane), che per

19.998 dollari offre più potenza (90 kW)

e batteria da ben 20 kWh. Con questa

quantità di energia immagazzinata, Strike

Carbon può spingersi fino a 241 km in

autostrada o 322 km in tratti urbani, con

solo 9 kg di peso in più. Migliora anche

la velocità di ricarica poiché il modello

top avrà di serie il caricatore AC da 6.6

kW, così come il caricatore fast DC, che

permetterà una carica completa in 35 mi-

nuti, oppure circa 160 km aggiuntivi in 20

minuti. In più, come suggerisce il nome,

Carbon Edition avrà componenti realizza-

te in carbonio, oltre a sospensioni Öhlins

e freni Brembo.

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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019

di Massimiliano ZOCCHI

T esla ha comunicato i dati di ven-

dita del primo trimestre 2019, e

come anche noi abbiamo sottolin-

eato, per diversi aspetti sono numeri

deludenti a causa delle mancate con-

segne. Ma mentre in linea generale la

Model 3 ha comunque venduto bene,

nonostante le tante vetture ancora da

consegnare in Europa e Cina, le due

più vecchie ammiraglie, Model S e

Model X, hanno segnato una notevole

contrazione. Nei primi tre mesi del-

l’anno Tesla ha consegnato un totale

di 12.100 vetture, sommando Model

S e X, il che rappresenta un calo del

56% rispetto alle 27.550 unità date in

mano ai clienti nell’ultimo trimestre

2018. Per questo dato tuttavia c’è una

parziale scusante, ovvero la scadenza

del tax credit di 7.500 dollari negli Sta-

ti Uniti, motivo per cui molti potenziali

clienti avevano accelerato gli acquisti

proprio in chiusura del 2018. In ogni

caso anche considerando il Q1 del-

l’anno passato, Tesla resta sotto del

44%, segno che effettivamente la do-

manda per le sue auto più costose è

realmente calata.

Un primo fattore che potrebbe aver

pesato sul disinnamoramento dei

clienti riguarda le voci di possibili re-

style che Tesla si appresta a mettere

in campo. Se esternamente Model S e

Model X appaiono ancora attuali, sono

forse invecchiate di più per quanto ri-

guarda gli interni, soprattutto se para-

gonati al design super minimalista di

Model 3. Nel frattempo Tesla inoltre

ha migliorato la qualità dei materiali

e dell’assemblaggio, e molti sperano

AUTO ELETTRICA Tesla ha comunicato i dati di vendita (deludenti) per il primo trimestre 2019

Tesla Model S e Model X in crisi di vendite Le ragioni di un crollo (quasi) inaspettatoNetta diminuzione delle vendite per le due ammiraglie. I motivi sono sia interni che esterni

che questo salto di qualità

passi anche sulle due am-

miraglie.

C’è poi la questione Super-

charger V3, al momento

prerogativa della sola Mo-

del 3. Tesla ha fatto capire

che con i soliti aggiorna-

menti OTA migliorerà le prestazioni

anche per S e X, ma è ovvio che non

arriveranno mai ai 250 kW di cui Model

3 è capace, per il semplice fatto che

non sono state ingegnerizzate con in

mente questa novità. Cosa deciderà di

fare quindi Tesla? Modificherà l’archi-

tettura della batteria con celle 18650,

permettendo più potenza di ricarica, o

Model S e Model X sono destinate a

restare come sono ora? Questa inde-

cisione forse ha spinto diversi clienti

ad attendere momenti più sicuri per un

acquisto non certo di poco conto.

Ultimo motivo della contrazione, ma

non per ordine di importanza, è la

cosiddetta cannibalizzazione interna.

Ovvero, c’è sicuramente una schiera

di clienti che anziché buttarsi su una

Model S base ha pre-

ferito fare direttamen-

te il salto alla vettura

più nuova, e portarsi a

casa magari una Model

3 Performance, rispar-

miando anche diversi

soldi. La media di Tesla

ha ricevuto spesso re-

censioni molto positive,

soprattutto sul lato della

guidabilità, maneggevo-

lezza e sportività, doti

più difficili da ottenere

con la più grande Model S, non parlia-

mone nemmeno per Model X. Quelli

elencati finora sono fattori interni, pro-

blemi che Tesla deve affrontare con

se stessa e le sue decisioni a breve

termine. Ci sono però anche fattori

esterni, per lo più rappresentati dalla

concorrenza. La lentezza dei competi-

tor non è cambiata molto, ma ci sono

già diversi clienti, anche in Italia, che

nel frattempo hanno preferito tentare

la strada del full electric proposto da

altri brand. Come il caso di Jaguar I-

Pace, che fa registrare numeri discre-

ti, erodendo sicuramente una parte

di potenziali clienti di Model X, così

come Audi e-tron, le cui consegne

sono iniziate proprio in questi giorni.

Sul fronte delle berline l’offerta è an-

cora scarsa, ma sappiamo ad esempio

che in Norvegia, mercato quanto mai

proficuo per Tesla, molti clienti hanno

pre-ordinato una Porsche Taycan an-

ziché una Model S.

Forse Tesla per la prima volta si trova

a dover fronteggiare le normali regole

di mercato alle quali è sempre stata

immune, per la gamma composta di

sole due vetture e per la mancanza

di concorrenza. Le decisioni che Elon

Musk e i suoi prenderanno da qui ai

prossimi 3 mesi potrebbero condizion-

are i risultati di tutto il 2019.

Caro Elon, che fine ha fatto la Model 3 da 35.000 dollari? Tesla ha finalmente introdotto la Model 3 Standard da 35.000 euro, ma sembra inesistente e impossibile da acquistare di M. ZOCCHIMesi fa ci eravamo chiesti che fine avesse fatto la Tesla Model 3 da 35.000 dollari. Dopo diversi mesi di vendite dei soli modelli più costosi (e più performanti) finalmente un mese fa Tesla ha annunciato di essere pronta a realizzare il tanto atteso model-lo Standard, al prezzo promesso di 35.000 dollari, oppure una versione “Plus”, per soli 2.000 dollari in più, ma con interni parzialmente premium. Ad oggi però non c’è evidenza di clienti americani che abbiano ricevuto l’auto desiderata, nonostante il configuratore sia aperto ormai da settimane. Al contrario, come segnalato da Electrek, alcuni clienti sono stati avvisati che la data prevista di consegna non poteva essere rispettata, a meno che non avessero deciso di fare un upgrade al modello Standard Plus. I motivi di una mossa del genere sono facilmente intuibili. La versione Plus ha praticamen-te tutto in comune con la Long Range, dall’estetica agli interni, con gli stessi identici componen-ti. In pratica con questo modello Tesla può essere più efficiente in catena di montaggio, non do-vendo differenziare l’assemblag-gio con componenti diversi, con l’unica differenza rappresentata dalla batteria. Una mossa però non del tutto trasparente. Nella tabella di marcia comunicata dal-lo stesso Musk, la Model 3 Stan-dard dovrebbe essere importata anche in Europa entro l’autunno, ma questa linea temporale pre-vedeva consegne americane a partire da... subito.Riusciremo a vedere la Tesla più economica di sempre in Italia prima del 2020?

Gli interni di Model S e X avrebbero bisogno di un restyling.

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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019

di Franco AQUINI

I n Nord America e in Canada pren-

deranno il volo gli idrovolanti della

prima compagnia aerea con velivoli

totalmente elettrici. Ad annunciarlo è la

compagnia stessa, Harbour Air, che gra-

zie alla collaborazione con MagniX (che

produce propulsori per velivoli elettrici)

ha completato la propria flotta con più di

30 idrovolanti completamente elettrici.

Gli aerei monteranno il motore MagniX

magni500, un propulsore elettrico da

750 cavalli di potenza.

Chi sta immaginando una piccola compa-

gnia aerea da poche decine di voli all’an-

no si sbaglia di grosso: Harbour Air infatti

opera nel nord-ovest degli Stati Uniti e in

Canada, dove collega città come Seat-

tle, Vancouver e Vittoria, per un totale di

30.000 voli all’anno su 12 rotte traspor-

tando 500.000 passseggeri.

Il primo idrovolante ad essere testato sarà

TRASPORTI Harbour Air si occupa del trasporto aereo tra alcune città del Nord America e Canada

Harbour Air, 30.000 voli all’anno con la flotta di idrovolanti totalmente elettriciGrazie alla collaborazione con MagniX, l’intera flotta di idrovolanti passerà all’elettrico

l’Harbour Air’s DHC-2. Si tratta di un picco-

lo velivolo commerciale per 6 passeggeri

che Harbour Air e MagniX contato di por-

tare in volo nel corso di quest’anno. Se-

condo il CEO di MagniX, Roei Ganzarski,

“nel 2018 il 75% dei voli intorno al mondo

hanno avuto una lunghezza uguale o

inferiore ai 1000 miglia (circa 1.600 km).

Con il sistema di propulsione MagniX, ac-

compagnato da una batteria di emergen-

za, vediamo un altissimo potenziale nel

trasformare il pesante e trafficato “medio

raggio”. Harbour Air non è però l’unica

compagnia aerea ad essere interessata

alla propulsione elettrica. L’anno scorso

Easyjet ha annunciato di voler testare nel

2019 i prototipi di piccoli aerei elettrici e il

CEO, Johan Lundgren, ha affermato che i

voli elettrici “stanno diventando realtà”. E

a quanto pare è proprio così.

Il Ministero dei Trasporti approva la sperimentazione della guida autonomaL’Osservatorio tecnico del MIT ha dato l’ok alla prima sperimentazione della guida autonoma sulla strade italiane di M. ZOCCHI

Dopo l’istituzione dell’Osserva-torio tecnico di supporto per le Smart Road del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si attendeva la prima applicazione pratica di questo organo di con-trollo. È arrivata pochi giorni fa, con l’approvazione all’unanimità della prima domanda di autoriz-zazione alla sperimentazione di veicoli a guida autonoma su stra-de pubbliche italiane.Si tratta della prima volta, dalla creazione del DM 70/2018, in cui abbiamo un riscontro della volontà, anche nel nostro Pae-se, di modernizzare il concetto di mobilità. Non è stato comuni-cato quale costruttore o azienda abbia richiesto il permesso, forse anche per via di segreti azien-dali, ma il Ministero si augura che questa prima autorizzazione possa dare il via a un numero cre-scente di domande con sempre più soggetti coinvolti. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti segnala sul comunicato ufficia-le, la casella di posta elettronica [email protected] dove è possibile richiedere infor-mazioni aggiuntive, mentre le do-mande di sperimentazione vanno inoltrate tramite PEC all’indirizzo [email protected].

di M. ZOCCHI

Che FCA stesse seriamente pen-

sando alle Jeep ibride ricaricabili

era certo, con ingenti investimenti già pronti per aggiornare gli impianti pro-

duttivi, e un ulteriore passo è stato fatto

al Salone di Ginevra con l’annuncio di

Renegade e Compass Plug-in. Arriva

un’altra conferma grazie a delle foto spia

circolate in rete che ritraggono una Jeep

Wrangler in fase di test, molto probabil-

mente anch’essa ibrida alla spina. La sup-

posizione deriva dall’unico camuffamento

sulla vettura, piazzato proprio dove molte

auto simili hanno gli sportelli dedicati alla

presa di ricarica, e al fatto che il modello

AUTO IBRIDA Spuntano le foto dei test della Jeep Wrangler Plug-in, una delle prime ibride

Jeep Wrangler Plug-in, prime foto. Pronta entro il 2019Al momento non è chiaro se sarà l’unico elettrificato o il cambiamento interesserà tutta la gamma

è del tutto simile a quello già esistente,

quindi senza nessuna necessità di test. A

questo punto anche gli investimenti per

gli stabilimenti americani verranno suddi-

visi diversamente, in quanto la Wrangler

viene prodotta in Ohio e non in Michigan,

dove sembravano inizialmente indirizzati

i 4.5 miliardi di dollari stanziati. La parte

a combustione del motore dovrebbe re-

stare quella della versione classica, con

il 3.6 litri V6. Nelle immagini il modello è

quello a quattro porte, e al momento non

è chiaro se sarà l’unico elettrificato o il

cambiamento interesserà tutta la gamma.

In ogni caso il rinnovamento della gamma

è previsto per il 2020, quindi la presenta-

zione ufficiale dovrebbe avvenire in uno

dei saloni di fine anno, o anche al CES

di Las Vegas dove Jeep ultimamente ha

avuto una presenza costante.

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e alla sua famiglia nel percorso di sviluppo e crescita

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Tutto il personale di AISTMAR Onlus è volontario. L’intero ricavato delle donazioni viene impiegato in cure e assistenza ai neonati prematuri e patologici e alle loro famiglie.

AISTMAR Onlus - via della Commenda, 12 - 20122 Milano - www.aistmar.it

FONDAZIONE IRCCS CA’ GRANDA - OSPEDALE MAGGIORE POLICLINICODipartimento per la Salute delle Donna, del Bambino e del Neonato

U.O. di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatalevia Francesco Sforza, 28 - 20122 Milano

GIORNO MESE ANNO

CONTRIBUENTECOGNOME (per le donne indicare il cognome da nubile) NOME SESSO (M o F)

DATA DI NASCITA COMUNE (o Stato estero) DI NASCITA PROVINCIA (sigla)

CODICE FISCALE(obbligatorio)

DATI ANAGRAFICI

Da consegnare unitamente alla dichiarazioneMod. 730/2008 al sostituto d’imposta, alC.A.F. o al professionista abilitato, utilizzandol’apposita busta chiusa contrassegnata suilembi di chiusura.

MODELLO 730-1 redditi 2007

Stato

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Chiesa cattolica

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Assemblee di Dio in Italia

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Chiesa Valdese unione delle chiese metodiste e valdesi

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Chiesa Evangelica Luterana in Italia

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Unione Comunità Ebraiche Italiane

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Scheda per la scelta della destinazione dell'8 per mille dell'IRPEF e del 5 per mille dell'IRPEF

Sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale e delle associazioni riconosciute

che operano nei settori di cui all’art. 10, c. 1, lett a),del D.Lgs. n. 460 del 1997 e delle fondazioni nazionali di carattere culturale

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

AVVERTENZE Per esprimere la scelta a favore di una delle finalità destinatarie della quota del cinque per mille dell’IRPEF, il contri-buente deve apporre la propria firma nel riquadro corrispondente. Il contribuente ha inoltre la facoltà di indicare anche il codice fiscaledi un soggetto beneficiario. La scelta deve essere fatta esclusivamente per una delle finalità beneficiarie.

Codice fiscale del beneficiario (eventuale)

Finanziamento agli entidella ricerca sanitaria

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

FIRMA

Finanziamento agli enti della ricerca scientifica e della università

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Codice fiscale del beneficiario (eventuale)

FIRMA

Sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI a norma di legge

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Codice fiscale del beneficiario (eventuale)

FIRMA

Codice fiscale del beneficiario (eventuale)

FIRMA

genziantrate

AVVERTENZE Per esprimere la scelta a favore di una delle sette istituzioni beneficiarie della quota dell'otto per mille dell'IRPEF, ilcontribuente deve apporre la propria firma nel riquadro corrispondente. La scelta deve essere fatta esclusivamente per una delleistituzioni beneficiarie.La mancanza della firma in uno dei sette riquadri previsti costituisce scelta non espressa da parte del contribuente. In tal caso, la ri-partizione della quota d’imposta non attribuita è stabilita in proporzione alle scelte espresse. Le quote non attribuite spettanti alleAssemblee di Dio in Italia e alla Chiesa Valdese Unione delle Chiese metodiste e Valdesi, sono devolute alla gestione statale.

In aggiunta a quanto indicato nell’informativa sul trattamento dei dati, contenuta nel paragrafo 3 delle istruzioni, si precisa chei dati personali del contribuente verranno utilizzati solo dall’Agenzia delle Entrate per attuare la scelta.

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SCELTA PER LA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF (in caso di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti)

SCELTA PER LA DESTINAZIONE DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF (in caso di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti)

LA SCELTA DELLA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF E QUELLA DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF NON SONO IN ALCUN MODO ALTERNATIVE FRA LORO. PERTANTO POSSONO ESSERE ESPRESSE ENTRAMBE LE SCELTE

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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019

di Franco AQUINI

Q uello dei SUV è un segmento di mercato sem-

pre più popolare. La vettura alta, spaziosa, co-

moda ed elegante ha fatto breccia ovunque,

dalle auto più piccole fino a quelle dalle dimensioni

importanti, ovvero quelle che anni fa hanno inaugu-

rato commercialmente questa nuova categoria di

auto che categoria, in realtà, non è.

Oggi però parliamo di Ford e delle Nuova Edge,

perché Ford ha silenziosamente fatto il suo ingresso

anni fa in questo settore e, modello dopo modello,

si è fatta spazio in un mercato che cresce anno su

anno, fino ad arrivare a conquistare, dato di Luglio-

Dicembre 2018, la prima posizione. Un risultato otte-

nuto anche grazie alla piccola di casa, la Ecosport, di

cui abbiamo parlato un anno fa circa.

Edge è simbolo di aggressività e di eleganza al tem-

po stesso e oggi la casa madre le dedica un restyling

che in realtà è qualcosa di più. Non vengono rivi-

ste soltanto le linee esterne, non vengono soltanto

aggiornate le motorizzazioni, ma viene adeguata

all’ultimo livello tecnologico raggiunto dal marchio.

Un’asticella piazzata molto in alto dalla nuova Focus,

che ha inaugurato un nuovo corso per Ford, fatto

di tecnologie all’avanguardia sia all’interno che al-

l’esterno. Si parla quindi di assistenza alla guida, di

sicurezza, ma anche di comfort di guida e infotain-

ment. Ecco il nostro racconto di una giornata passata

insieme alla nuova Ford Edge nell’Oltrepò Pavese.

Dentro è tutto nuovo, meglio del salotto di casaEdge è un’auto che si piazza ai vertici della pro-

duzione Ford. È una macchina lussuosa, elegante

e dalle dimensioni importanti. Legittimo quindi at-

tendersi una dotazione interna di primo livello e le

AUTO ELETTRICA Ford ha fatto un sostanzioso restyling della Ford Edge, il SUV di punta della casa. L’abbiamo provata

A spasso per l’Oltrepò pavese a bordo della Nuova Ford Edge: più salotto che autoL’auto porta in dotazione tutto il pacchetto tecnologico della Nuova Focus. Sicurezza e infotainment le parole d’ordine

aspettative, lo chiariamo subito, non vengono

affatto tradite. Tra la pelle cucita a mano, il

perfetto controllo della temperatura interna, i

sedili riscaldati, l’ottimo impianto audio B&O

già provato sulla nuova Focus, una console

dei comandi totalmente rivista e un sacco di

spazio nel tunnel centrale - merito anche del

cambio automatico - l’interno della Edge è un

vero spettacolo. Si entra con quel gesto na-

turale tipico delle auto alte e ci si rilassa sulle

poltrone rivestite totalmente in pelle. Nel cli-

ma ancora pungente della mattina, mentre ci

dirigiamo verso le distese pianeggianti della

provincia di Pavia, passiamo un po’ di tempo

testando il climatizzatore e mettendo alla pro-

va il riscaldamento dei sedili. L’obiettivo è uno

soltanto: trasformare il viaggio in un’esperienza

unica, rilassandoci come se stessimo nel salotto

di casa. Perché in fondo è quello che s’aspetta

chi entra in un concessionario con l’intenzio-

ne di acquistare un’auto di questo livello. La nuova

Edge è più sobria, gli interni sono più razionali, ele-

ganti. C’è più spazio per le gambe e per le braccia

e la plancia è più ordinata con il grande schermo da

8 pollici che ospita Sync 3 oppure, se lo si prefe-

risce, Apple CarPlay o Android Auto. La dotazione

di cassetti e alloggiamenti è ottima perché, com’è

evidente, di spazio ce n’è in abbondanza. Il viaggio

con la nuova Edge fila via liscio come quando ci si

abbandona su una poltrona a fine giornata. Difficile

pretendere di meglio.

Guida e parcheggia da sola, cos’altro serve?Edge, lo dicevamo prima, eredita gran parte dei si-

Pelle, cuciture a mano e impianto audio B&O, l’eleganza e il comfort non mancano.

Con Active Park Assist si parcheggia facilmente sia in parallelo che in perpendicolare.

Il restyling ha riguardato soprattutto il frontale, con un taglio dei gruppi ottici decisamente più aggressivo.

segue a pagina 58

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MAGAZINEn.30 / 198 APRILE 2019

stemi ADAS (ovvero di assistenza alla guida) della

nuova Focus. Sistemi studiati innanzi tutto per la

sicurezza, ma che riguardano anche la praticità di

guidare una vettura lunga 4,8 metri e larga quasi

due. Alla base di tutto ci sono telecamere, senso-

ri e radar, capaci di dire all’auto quando fermarsi,

quando evitare un ostacolo o semplicemente come

parcheggiare.

Il pacchetto che comprende tutte queste funzioni,

insieme alla connessione a internet, è Copilot 360.

Comprende una serie di funzionalità per l’assistenza

alla guida come la frenata in caso di emergenza (Pre-

Collision Assist with Pedestrian Detection ), il cruise

control adattativo, la sterzata in caso di emergenza,

il monitoraggio dell’angolo cieco dello specchietto

retrovisore, il mantenimento automatico della corsia,

riconoscimento automatico dei segnali stradali, limi-

tatore intelligente della velocità (sempre basato sulla

segnaletica stradale) e infine il parcheggio automati-

co (Active Park Assist).

Quest’ultimo, nel caso di una vettura di queste di-

mensioni, è particolarmente utile e importante. Il

parcheggio automatico di Ford l’avevamo già testato

attentamente in occasione della prova della Focus

sul circuito di Modena. Lo stesso sistema è stato

implementato sulla nuova Edge: l’auto parcheggia

da sola con la pressione di un tasto. Lo fa in modo

veloce e senza necessità di moltissimo spazio libero.

Ovvio che in questo caso ne serva di più rispetto alla

Focus, ma si tratta comunque di spazi ragionevoli.

L’auto inoltre segnala anche se c’è un veicolo in avvi-

cinamento così, se si sta uscendo da un parcheggio

e non si vede sopraggiungere un veicolo, ci pensa

lei ad avvisare. Nel complesso si tratta di un pac-

chetto ormai fondamentale su ogni auto moderna.

Ford ha implementato tutti questi sistemi in maniera

intelligente in un unico pacchetto. In fase di configu-

razione, basta scegliere il Copilot 360 per portarsi

a casa una dotazione tecnologica e di sicurezza di

tutto rispetto.

A bordo assistenti vocali e ricarica wireless, così la Edge diventa un ufficioTecnologia per la sicurezza, ma non solo. Ford ha

fatto un ottimo lavoro con la dotazione interna e l’ha

fatto a tutti i livelli. Certo, il grosso della dotazione

stupiva su un’auto sotto i trentamila euro come Fo-

cus, su Edge lo si da invece quasi per scontato. In

ogni caso a bordo c’è un sacco di tecnologia e non

dispiace affatto. Sync 3 è ormai una piattaforma di in-

fotainment collaudata. Ottimo il navigatore integrato,

il player audio e il riconoscimento vocale. Ma per chi

preferisce affidarsi alle app che usa tutti i giorni sullo

smartphone c’è a disposizione sia Apple CarPlay che

Android Auto. Si passa facilmente da uno all’altro per

usare Google Maps oppure Spotify a bordo. La diffe-

renza è enorme, sopratutto con gli assistenti vocali.

L’auto diventa così un vero e proprio ufficio, permet-

tendo di scrivere e rispondere ai messaggi (anche

Whatsapp) tramite comandi vocali. Programmare

appuntamenti, impostare il navigatore e riprodurre

musica o podcast. Su Edge poi c’è anche la ricarica

wireless dello smartphone. Basta appoggiarlo nel

piccolo vano per metterlo in carica. E come se non

bastasse c’è anche la connessione a internet. L’auto

infatti integra un modem 4G a bordo, utile per tutte le

funzionalità offerte dal Ford Connect - l’app con cui

si controlla, si chiude e si avvia l’auto da remoto - e

utile anche come hotspot di bordo. Viaggiare con il

wi-fi è tutta un’altra cosa. Ci si può collegare il tablet

dei bambini oppure evitare di consumare il basket

dati del proprio smartphone.

Listino un po’ alto, ma c’è sempre Idea FordVenendo al dunque è naturale porsi la solita doman-

da: quanto costa? Edge è un veicolo di fascia alta, un

SUV elegante che punta sul comfort e sulla sicurez-

za. Il listino però, a dirla tutta, non è dei più bassi. Si

parte da 50.400 euro per la versione Titanium (che

offre già un set di dotazioni importante) con motore

2.0 Ecoblue da 190 CV. Ford però offre in questo mo-

mento uno sconto consistente, per cui si tira una riga

sul prezzo e si scende immediatamente a 39.600

euro. Al di là del prezzo di listino, però, vale sempre

il cavallo di battaglia Ford: IdeaFord, la formula con

cui si può pagare soltanto una rata mensile ed avere

un valore garantito dell’auto al termine del contratto.

Così, al momento della scadenza, si può decidere

se restituire l’auto, cambiarla oppure rifinanziare il

rimanente. Un pacchetto che offre il top dei vantag-

gi se si decide di rimanere in casa Ford e sostituire

l’auto ogni tre o quattro anni. In questo caso il prezzo

da considerare è di 410 euro al mese IVA esclusa,

ovvero circa 500 euro al mese (anche per i privati)

con anticipo zero. L’allestimento riguarda la versione

Titanium con motore 2.0 TDCi Eco-

Blue 238CV e cambio automatico.

Il verdetto? Difficile scendere dall’auto, ma qualche difetto c’èDopo un centinaio di chilometri la

nuova Ford Edge mostra tutti i suoi

pregi, ma anche qualche difetto. La

vettura è comodissima e scendere

è sempre più difficile. A bordo del-

la Edge si sta davvero comodi e la

presenza a bordo del wi-fi e del-

le popolari app dello smartphone

fanno venire voglia di allungare il tragitto per fare

qualche chilometro in più. Tutto perfetto quindi? A

dire la verità no, qualche difetto c’è. Con un listino

così, al netto delle promozioni o del pacchetto Idea-

Ford, bisogna far attenzione alla concorrenza. Non

certo quella tedesca, posizionata ben più in alto, ma

a quella di altri produttori come Skoda e Hyundai,

tanto per fare un esempio. A bordo è stato fatto un

gran lavoro per pulire la plancia, il tunnel centrale e

i comandi in generale; tuttavia rimane la sensazione

che qualcosa sia rimasta dalla vecchia versione, con

un innesto di pelle sulla plastica non proprio piace-

vole alla vista. E poi rimane un certo rumore nell’abi-

tacolo che alla lunga si avverte. A bordo c’è anche

l’Active Noise Control che serve proprio a ridurre at-

tivamente il rumore dell’abitacolo, ma il risultato non

è comunque eccellente.

Edge è un SUV importante, dal design azzeccassi-

mo (sopratutto in questo restyling) e dalla dotazione

eccellente. Rimane qualche difetto da curare, ma il

comfort non manca di certo e la tecnologia a bordo

può fare la differenza.

TEST

Nuova Ford Edgesegue Da pagina 57