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Il saluto del Direttore . . . . . . . . . . . . . . . . 1

l’editorialeCatene materiali e catene virtualidi Massimo Pavarini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2

il punto di vistaChi sono i detenuti?di Salvatore Iaccarino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

La costruzione di una nuova societàdi Rita Catapano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

La donnadi Nassim Saadi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

Come dovrebbe essere la galeradi Giovanni Alfieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

l’attualitàLa soluzione di tutti i malidi Attilio Milan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

La discarica di Chiaianodi Carmine Malinconico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

Un modo per soffriredi Rita Pagliarani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

mai dire maiLe tensioni di un detenuto fuori Regionedi Paolo Di Piazza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

Violenzadi Laura Visentino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

Un lungo viaggiodi Fabio Scimò . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

Ergastolodi Beppe Battaglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

la reteRicomincio dai benidi Fabio Giuliani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

il raccontoLa mia storiadi Massimo Romagnuolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

spoetandoAmmaliatricedi Attilio Milan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

Il fioredi Laura Visentino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

La cortecciadi Rita Catapano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

Dalla lettura alla creativitàdi Rita Pacilio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

Avevo pauradi Laura Visentino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

Il doloredi Rita Pagliarani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

Ho trovato...di Rita Catapano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

Il pesodi Rita Catapano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

Un mondo di violenzadi Sandra Siciliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

Nottedi Laura Visentino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Il volodi Rita Pagliarani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

La libertàdi Salvatore Iaccarino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

A Salvatoredi Sandra Siciliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Donnedi Rita Pagliarani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

i n d i c eda quale pulpito ...

Anno I - numero 0 - dicembre 2008

Espressione Periodica del Carcere di Benevento

DIRETTORE RESPONSABILE

Maria Luisa Palma

COORDINATOREPaola Maisto

LA REDAZIONE ALLARGATAFranco Amantea - Rita Catapano - Giovanni Caruson

Natale De Manuele - Andrea De Matteo - Angelo De PompeisPaolo Di Piazza - Alessandro Fusco - Ben Karamoko

Felicia Martone - Attilio Milan - Rita PagliaraniFranco Ruggiero - Fabio Scimò - Laura Visentino

HANNO COLLABORATOGiovanni Alfieri - Beppe Battaglia - Fabio Giuliani

Salvatore Iaccarino - Carmine Malinconico - Massimo Pavarini Massimo Romagnuolo - Nassim Saadi - Sandra Siciliano

CORRETTORE DI BOZZEMassimo Cesario

GRAFICA E IMPAGINAZIONE

Lello Iazzetta

Stampato nel mese di dicembre 2008 Officinae.ECS

e-mail: officinae.ecs@cittàsociale.it - tel. 0816020095

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da quale pulpito ...

Perché dar vita ad un giornale in un istituto penitenziario?

Non è la prima volta che io faccio questa esperienza insieme con l’associazione che porta

avanti questa iniziativa e sempre mi sono trovata di fronte a questa domanda, a questa perples-

sità che aleggia tra i detenuti, tra il personale.

Come se il fatto di scrivere su un giornale appartenesse ad altri, la capacità di scrivere

su un giornale fosse riservata ad altri, perché avere qualcosa da dire non potesse appartene-

re ai detenuti, agli operatori.

Dopo qualche momento di perplessità, come già mi è successo di verificare, viene fuori inve-

ce la voglia di comunicare.

Ma cosa comunicare?

E quindi si comincia a pensare a cosa comunicare e viene naturale pensare ai propri pensie-

ri, ai propri interessi, al proprio vissuto, ai propri sentimenti e probabilmente a meravigliar-

si della propria capacità di pensare.

E gli altri come percepiranno questa voglia di pensare, questa voglia di comunicare?

Da quale pulpito poi viene la predica …

Dal pulpito di un mondo che ha avuto esperienze non felici, spesso di sofferenza, esperien-

ze lavorative di partecipazione a questo mondo di emarginazione, da un mondo non così lontano

dalla società , a cui la società deve prestare ascolto.

Grazie alla Provincia di Benevento per l’aiuto economico che ci sta dando per realizzare

questi primi due numeri del giornale e a tutti quelli che hanno voluto comunicare e che lo vor-

ranno fare per il prossimo numero.

Speriamo che a questi due seguiranno gli altri.

Maria Luisa Palma

Il saluto del Direttore

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l’editoriale da quale pulpito ...n tema di controlloelettronico (braccialeo cavigliera che sia)come modalità diesecuzione alternati-

va ad alcune pene detentive oad alcune ipotesi di custodiacautelare mi sono trovato più diuna volta ad esternare pubbli-camente idee o impressioni chei più hanno riconosciuto comeanomale o quantomeno ina-spettate, tenendo conto dellamia posizione garantista neiconfronti della penalità.

Temo esista un fraintendi-mento e per questo ben accolgol’occasione offertami di riflette-re pacatamente sul tema.

In cosa consista, nell’espe-rienza dei Paesi che già datempo utilizzano questa nuovamodalità di “tenere sotto con-trollo” le persone, è prestodetto: trattasi di una modalitàdi sorveglianza di tipo situazio-nale che consente di sapere intempo reale dove una determi-nata persona si trovi. Così

almeno nelle esperienze tecno-logicamente più avanzate.

Nelle altre, come quelle spe-rimentate qualche anno addie-tro anche in Italia, l’investimen-to tecnologico si limita solo adaccertare che il controllato si èallontanato da un’area pre-determinata.

La persona che si vuole met-tere sotto sorveglianza (control-lato) indossa pertanto - diversa-mente occultato esteticamente -un apparecchio che via modemsegnala ad un’altra persona oservizio (controllore) ogni suospostamento o, appunto, il suoessersi allontanato da un’areadeterminata.

Per quanto concerne il siste-ma penale nel suocomplesso, è indubi-tabile che si provve-da a volte a privarequalcheduno dellalibertà personaleattraverso la deten-zione per sole neces-sità di controllo,prive queste ultimedi ogni contenutotrattamentale edisciplinare.

La fragile giusti-ficazione dellacustodia cautelare incarcere rispetto adaltre modalità menoinvasive è appuntoche l’imputato nonsi dia alla fuga, cioènon si sottragga alpossibile castigolegale, ad esempio.Ed infatti, ove possi-

bile, si deve provvedere nelsenso degli arresti domiciliari.

Altre volte, il contenutodelle misure di sicurezza per-sonali non detentive è preva-lentemente quello di impedireche un soggetto frequentideterminati ambienti o che siassenti in certi orari, comequelli notturni, da una deter-minata residenza.

Altre volte ancora, ciò chepreme in chiave di prevenzionespeciale negativa (finalità diincapacitazione) è che una certapersona responsabile di undeterminato reato sia messanelle condizioni di non recidiva-re, impedendogli di frequentaredeterminati spazi urbani (sipensi al piccolo spacciatore, o altifoso condannato per atti van-dalici): insomma, non sempre lapena persegue il fine di educare.

I Catene materiali A PROPOSITO DEL CONdi Massimo Pavarini

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l’editoriale da quale pulpito ...

Infine, attraverso penalitàaccessorie, si fa esplicito divietodi andare in un determinatoluogo, ovvero di abbandonarlo.In termini ancora più ampi,“non andare in” o “allontanarsida” è il contenuto specifico dialcune misure di prevenzione.

Fino a poco tempo fa, questenecessità di sorveglianza bendifficilmente potevano esseregarantite senza dovere farericorso alla privazione dellalibertà in carcere o attraversocontrolli poliziali particolar-mente stringenti ed invasivi.Oggi, l’elettronica, ci consentedi provvedervi altrimenti, informa più discreta, a bassi costie con una inflizione di sofferen-za limitata.

Non c’è dubbio che il brac-ciale elettronico possa esseresofferto dal controllato come

una catena, per quanto immate-riale. Ovvio: il controllo elettro-nico adempie le funzioni altri-menti garantite dalla catena almuro e dalla palla di piombo alpiede. Meglio: per impedireagli schiavi di darsi alla fuga, siprovvedeva un tempo nontroppo remoto a recidere loroentrambi i “tallone di Achille”.

Ma il punto è proprio que-sto: quali delle possibili misureper impedire di esercitare libe-ramente il diritto di deambula-zione è “più elegibile”, cioè pre-feribile?

Se la questione si pone inquesti termini, la risposta nonpuò essere che una sola: è quel-la misura che riduce meno idiritti del “controllato”, cioèche è più rispettosa dei suoidiritti e della sua dignità. E allostato delle conoscenze scientifi-che penso che la catena virtualesia comunque e sempre preferi-bile a quella materiale, perchéfa meno male, oltre ad esserepiù efficiente e più economicadi altre misure. E queste non misembrano ragioni di pococonto.

Se non esistessero altri pro-blemi (che invece esistono),almeno nei paesi del c.d. primomodo il controllo elettronicosarebbe già e da tempo “pacifi-camente” adottato e in formamassiva. Ma ciò ancora non si èdato. In alcuni Paesi (come USAe Inghilterra) è abbastanza dif-fuso, in altri è a livello speri-mentale e in altri ancora comein Italia semplicemente non c’è.

Intorno alla implementazio-ne e diffusione del controllo

elettronico nel sistema dellagiustizia penale si pongono unaserie di problemi, alcuni diordine più “tecnico”, altri inve-ce di natura più “politica”. Main entrambi i casi, pur semprealla fine gioca una valutazionedi opportunità.

Le perplessità tecniche ruo-tano intorno ad alcune questio-ni; vediamo le principali:• Per controllare, bisogna

avere i controllori, cioè ilsistema non funziona senzaun personale professionaleadibito a monitorare costan-temente gli spostamenti deicontrollati. In Italia, adesempio, le polizie di stato,inclusa quella penitenziaria,affermano di non avere per-sonale sufficiente distribuitosul territorio nazionale daformare e da adibire a que-sta funzione. Servirsi di per-sonale “civile” come si fa, adesempio, altrove, soventenon è ben visto e poi certo,tutto ciò lieviterebbe, e dimolto, i costi. Le ritengoobiezioni pretestuose. Ipaesi che fanno uso di que-sta tecnologia, affermano - enon si intende perché

dovrebbero mentire - chealla fine si risparmiano soldie personale.

• Una volta che esista unastrumento certo e sicuro percontrollare altri e una voltache qualcheduno sia profes-sionalmente chiamato a con-

e catene virtuali:TROLLO ELETTRONICO

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l’editoriale da quale pulpito ...

trollare, si deve - o dovrebbe- poi agire di conseguenzaogni qualvolta il sistemaregistri che il controllato si èsottratto al controllo.Insomma, in sistemi come ilnostro ad obbligatorietà del-l’azione poliziale, una voltache sia segnalata la “fuga”,la polizia dovrebbe interve-nire per “catturare” l’infrat-tore. La situazione non èmolto diversa da quanto èdato sapere a propositodella videosorveglianza,strumento paventato inItalia soprattutto dalle poli-zie, appunto perché esso“obbliga” di fronte alla regi-strazione anche a distanzadi un fatto criminoso adintervenire, riducendo cosìdi fatto la discrezionalitàdell’operatore di sicurezza.In questo caso, le obiezioniper quanto “inconfessabili”sono però di un certo peso.Ma è pur vero che anchealtri Paesi in cui vige il regi-me dell’obbligatorietà del-l’azione poliziale hannoadottato senza grandi diffi-coltà di avvalersi del con-trollo elettronico.Esaminiamo ora le perples-

sità di natura più politica:• Il controllo elettronico

appunto in ragione delle suevirtù - perché a basso costo,poco invasivo, efficace - oveimplementato finirebbe perdiffondersi a tal punto daaumentare l’area del con-trollo. Insomma: più perso-

ne verrebbero controllate diquanto già non si faccia ovequesto mezzo non vengaimpiegato. È possibile, manon dimostrato. Poi, il ragio-namento è comunque vizia-to. Se esso fosse corretto,dovremmo auspicare ilritorno allo squartamentonella pubblica piazza comeunica sanzione penale perlimitare il ricorso massivoalla pena detentiva.

• Non esiste garanzia che ilcontrollo elettronico alla finesi ponga in termini di effetti-va alterità nei confronti dellemodalità più invasive dilimitazione del dirit-to alla liberadeambulazio-ne, ma sem-pl icementesia impiega-to per con-trollare chialtrimenti -in assenzadel mezzo -semplicemen-te non si control-lerebbe. Quindi ilrischio del controlloelettronico è quello inverità da sempre corso daqualsiasi misura alternativaalla privazione della libertà:cioè di non risultare nei fattialternativa al carcere, maalternativa alla libertà.Questo dubbio è sicuramen-te fondato. Ergo: la questio-ne non è tanto di controlloelettronico sì/controllo elet-tronico no, quanto come faresì che attraverso questamodalità di sorveglianza sipossano ridurre le personeoggi private o fortementelimitate nella libertà perso-nale. Soluzioni tecnicheinfallibili non esistono inmateria, come qualunquepenalista ben sa. Che invece

di ridurre la popolazionedetenuta si operi per esten-dere la rete del controllosenza nulla incidere sullapopolazione penalmenteristretta, sappiamo essere unrischio sempre incombente aqualsiasi intento riformatorein materia sanzionatoria. Mi sembra che così argo-

mentando si sia arrivati al cuoredel problema. Nutrire simpatiao diffidenza nei confronti diquesta modalità elettronica disorveglianza dipende alla fineda come ognuno di noi si rap-presenta in concreto l’uso diquesta tecnologia.

Io so per certoche se mi si

ponesse lascelta trac u s t o d i acaute larein carcereo controllo

elettroniconon avrei

alcuna per-plessità nello

scegliere questaseconda modalità. E

così pure se mi si subor-dinasse la concessionedel permesso o di altra

modalità di esecuzione dellapena al di fuori delle mura delcarcere alla sottoposizione alcontrollo elettronico, acconsenti-rei prontamente. È certo: di tuttele modalità di controllo, questa èla preferibile per chi la deve sof-frire, perché è la più soffice, cioèsemplicemente fa meno male,anche se un po’ di sofferenzadetermina e non potrebbe esserealtrimenti. E all’opposto rispon-derei ove questa modalità dicontrollo mi fosse posta in alter-nativa all’assenza di ogni restri-zione della libertà personale.Lapalissiano, direi.

Di più, realisticamente, nonsi può dire.

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utti i giorni, attraver-so i media, si viene aconoscenza di reaticommessi, arresti ealtri fatti di cronaca.

Durante i commenti che si svol-gono in famiglia, con gli amici,al bar e nei locali pubblici, conpersone conosciute o solo dipassaggio, si assiste al fenome-no di “autoproclamazione agiudice”. La condanna per ilcolpevole del reato, più o menoefferato, è quasi sempre a peneestreme, ma esiste qualche ecce-zione: alcuni reati, in certi ambi-ti o commessi da particolaripersone, vengono celebrati conastuzie, e come tali ammirati.La circostanza vede l’imputatodel tutto scagionato, un po’

invidiato o addirittura posto adesempio da imitare. Il fenome-no di “autoproclamazione agiudice” non esclude la catego-ria dei detenuti. L’accanimentocontro chi ha commesso reati asfondo sessuale o nei confrontidei minori è tale da dover cau-telarli, affinché le “sentenze “non diventino immediatamenteesecutive.

Comunque i giudici, o pseu-do tali, politici o opinionisti,psicologi o similari, che riem-piono talk-show e programmidi attualità, esternano con forzail loro parere a favore di penepiù severe, certezze delle pene ecritiche negative sulle cosiddet-te scarcerazioni facili. Non sisente quasi mai parlare dei

diritti dei detenuti: chisono, perchè hannocommesso il reato, dovevivono e in quali condi-zioni. È opinione dimolti che i detenuti man-giano e si mantengono aspese dello stato. Nessunodi loro sa, ovviamente,quanto spende lo statoper fornire i tre pasti algiorno di una personadetenuta. E allora pro-viamo a dirglielo, cosìalmeno si fanno un’idea:mediamente DUE euroal giorno (per tre pasti!).E ancor meno sanno chea fine pena ci pensaEquitalia a presentare ilconto dei pasti consu-mati in carcere!

Sono rare le volte chequalcuno esprime com-prensione o che dia atte-nuanti ai colpevoli delle

malefatte. Non si sente, damolto tempo, più nessuno cheparli di progetti di recupero o direintegrazione; sarà perchèschierarsi da questa parte nonporta consensi, non porta voti enon porta audience!

Bisognerebbe forse conosce-re meglio le persone detenute,le condizioni che le hanno por-tate a delinquere, vedere dove ecome vivono all’interno degliistituti che li ospitano. Se alme-no provassero, prima di farsigiudici supplementari, adinformarsi un po’, allora forserischierebbero di avvicinarsialla verità. Ma anche questa èdiventata una merce rara: chi sene frega più della verità?

E’ più facile sparare senten-ze che cercare di capire ... Cosìva il mondo, questo mondostrano, fatto di un miscugliod’ignoranza ed ipocrisia tantodi moda! Poco importa se la“sentenza impropria” che ora iopronuncio contro Tizio, me larestituirà, con la stessa superfi-cialità, Caio!

TChi sono i detenuti?

di Salvatore Iaccarino

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il punto di vista da quale pulpito ...

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l’attualità da quale pulpito ...

n nuovo potere si èinsediato nella cittàeterna: attraverso imass media è statoinformato il BEL

PAESE che tutti i problemi, intempi brevi, troveranno unasoluzione. Si afferma che ilmalessere che affligge la nazioneè dovuto all’immigrazione e allasicurezza… l’ardua sentenza aiposteri.

Gli stranieri sono accusati diportar via lavoro, di sottrarreaffari … fanno da capro espiato-rio e scontano l’effetto della crisisociale ed economica che hannocolpito l’Italia, dove la disoccu-pazione è tra le più alte inEuropa; il costo della vita è sali-to vertiginosamente, non si tro-vano case, la criminalità non èvero che è cresciuta in misuraesponenziale mentre si sostieneil contrario e il divario tra ricchie poveri è diventato impressio-nante, una forbice che, aperta almassimo, ora si sta spezzando!

I generi alimentari di primanecessità: pane, pasta, farina,zucchero, latte hanno raggiuntoprezzi mai visti, i costi di luce,gas, telefono, autostrade, assi-curazioni, banche e carburantesono tali che possono essereconsiderati generi di lusso …

Fatte tali considerazioni, lalinea politica che si è dimostra-ta vincente nelle recenti elezioniè stato al primo posto la sicu-rezza e al secondo l’immigra-zione, con i problemi connessi,mentre non hanno trovatoposto tutti quei temi che afflig-

gono le famiglie e le migliaia dipensionati che, per arrivare afine mese, devono farsi fare laspesa dall’onnipotente Caritas.

Pertanto ad avviso di pochiil malcontento va sempre indi-rizzato dove il contesto è menooneroso a livello istituzionale,ben diverso sarebbe stato se gliitaliani avessero preteso che in

primis fossero risolti i problemieconomici e sociali che affliggo-no la popolazione, è stato piùsemplice mormorare il malcon-tento sui problemi reali, ma cer-tamente di minor spessore,rispetto al vivere quotidianoche l’italiano medio si trova adaffrontare.

In ogni caso la leader ship

di Attilio Milan

La soluzione U

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l’attualità da quale pulpito ...

politica manifesta la primapalese contraddizione, procla-ma la detassazione degli straor-dinari, però si escludono idipendenti statali, cioè propriocoloro che hanno sempre subitoper primi il carichi fiscali delletasse, si esclude dall’unicobeneficio completo un’interaclasse lavorativa apparente-mente senza un valido motivo,forse gli straordinari degli statalisono differenti da quelli di tutti glialtri lavoratori …

Non resta che ipotizzare chela politica voglia assicurarsi ivoti della classe operaia, questiultimi costituiscono un bacinodi voti ben superiore ai dipen-denti pubblici, inoltre la classeoperaia determina il controllodel nord Italia, cioè la partericca del paese. Si osservi chedalla confusione post elettoraleemerge un dato che ci accomu-na al continente africano, l’im-migrazione è un problema cheaffligge sia il sud Africa, sial’Italia, da Pretoria aJohannesburg gli immigratisono scacciati, uccisi e bruciati,nel nostro paese per fortuna,per ora, si limitano a fuggire, èla guerra dei poveri, li accomu-na il malcontento e la dispera-zione.

Le istituzioni prima di pun-tare il dito propagandisticamen-te dovrebbero tutelare il patri-monio nazionale ad esempiodel Made in Italy, che non è piùtale perché prodotto in Cina,essendo ormai un dato statisticonoto a livello internazionale, sta

iniziando a perdere credibilità,il guadagno di pochi a scapitodi un prodotto nazionale.

I problemi sono tanti e sicu-ramente di difficile soluzione,ma è improbabile che una nuovaemergenza sia la cura di tutti imali, la tolleranza non deveeccedere, non deve essere igno-rata come in tutte le cose, forse,dovrebbe esistere una giustamisura.

Forse questa classe politicanon si rende conto che, nelpaese globale e nell’epoca della“virtualità”, a forza di gridare

“al lupo, al lupo”, il lupo dav-vero si produce! Aver cavalcatola “tigre della sicurezza” forsenon porterà bene a nessuno,neppure ai loro propugnatori!

di tutti i mali

Ammaliatrice

Da sola non hai motivo di esseree il tuo fine è avere un padrone.Di bestia hai sembianza:stessa voracità!Tutti vediamo il dolore della tua bestialità:lasci cancellare la ragione e strangoli la realtà.Per istinto sai che il bene del tuo padronesta nella contemplazione della sua infelicità, cocaina…

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mai dire mai da quale pulpito ...

i chiamo FrancescoPaolo Di Piazza esono di Palermo. Mitrovo in questo isti-tuto da circa 10 mesi,

la grossa lontananza dalla miafamiglia crea in me un alto statodi tensione.

Il giorno prima che la miafamiglia viene a colloquio, perme è un dramma perché pensoche devono prendere la nave,anche col cattivo tempo. E dopola nave il pullman. Così comin-cio a pensare “vengono o nonvengono?”. E così la mentecomincia ad andare per aria,

passando la notte in bianco fin-chè non arrivano le 11 del matti-no. Poi finalmente li vedo e mitranquillizzo, tutta la tensione siscarica in quelle due ore di col-loquio. Dopodichè, finito il col-loquio, riparte l’ansia perchè soil viaggio che i miei familiaridevono rifare in senso inverso.Ed è di nuovo una tensioneangosciosa. A causa di questaforte tensione ho chiesto allamia famiglia di non venire ogni15 giorni ma una volta al mese.È brutto pensare ogni volta atutto quello che potrebbe succe-

dere con tutte le cose brutte chesi sentono in giro, inoltre se suc-cedesse qualcosa … non potreinemmeno ricevere notizie! Nonposso stare tranquillo!

1000 km di distanza da casasono troppi, nonostante unalegge che impedisce una distan-za maggiore a 300 km.

Evidentemente, dei legamifamiliari non importa nulla aiburocrati del Ministero. Anzi,viene da pensare che si tratta dicose fatte di proposito, per dis-suadere i familiari dal seguire ilproprio congiunto durante ladetenzione: minori fastidi,maggiore isolamento, fiacca-mento delle risorse per resiste-re, indebolimento della personareclusa fino al limite estremo. Sidimentica però un particolare:tutte le pene finiscono, prima opoi e le angherie subìte diventa-no bagaglio esperienziale dellapersona, della famiglia (questacosa strana nella bocca di tutti enella testa e nel cuore di nessu-no!). Giova a qualcuno tuttoquesto? A me pare di no, anzicredo che questi comportamen-ti siano gravemente lesivi degliinteressi di tutti e non solo dellapersona detenuta!

di Paolo Di Piazza

Le tensioni di un detenuto fuori Regione

M

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mai dire mai da quale pulpito ...

iolenza sulle donne,bambini, anziani, digruppo e sul lavoro: imedia ogni giorno neparlano abbondante-

mente. Ma non sento mai par-lare della violenza esercitata suidetenuti. Sono una detenuta eposso affermare che ogni gior-no subiamo violenze fisiche epsicologiche. Quando parlo diviolenza fisica non mi riferiscoal sesso perché qui nessuno miha mai sfiorata. Siamo rinchiusein piccoli spazi che dividiamotra noi compagne di avventura.

Ognuna di noi è diversa dal-l’altra, o per cultura, o pernazionalità, o per religione. Quila nostra vita privata non esiste:infatti è il nostro pudore e lanostra intimità ad essere piùvolte violentato. Ogni volta cheusciamo dalla cella veniamoperquisite, e così quando rien-triamo. Le mani delle agenti ci

toccano e spesso per non senti-re quella prevaricazione prefe-riamo rimanere in cella.Purtroppo periodicamente lecelle vengono perquisite: dalcibo ai vestiti. Tutte le nostrecose devono essere toccate dalleagenti. La sofferenza più gran-de è essere lontane dai nostriaffetti: i figli e i nipoti.

Aspettiamo con ansia, anzi èla nostra ragione di vita, il col-loquio. Spesso i nostri parentiper svariati motivi non possonoraggiungerci e così il nostrocuore diventa triste, si compri-me, soffre di un dolore che nonsi può descrivere.

Aspettiamo una loro letteraper accorciare le distanze, perallargare gli spazi, per illudercidi avere tra le mani le mani deinostri cari. Quando non ricevia-mo la posta siamo in ansia, tre-miamo e ci incoraggiamo avicenda. Non soffriamo, però,solo di carcerite. Abbiamo pro-blemi anche seri di salute.

Ad esempio io ho avuto uninfarto in carcere e non sono lasola ad avere una grossa patolo-gia e per prendere la terapiasiamo costrette a fare le scaleper andare giù in infermeria,tutto questo per più volte algiorno.

Questo scendere e salire citoglie il fiato tanto che ci sonovolte che penso di rimaneremorta sulle scale. Per ogni pic-cola necessità dobbiamo chie-dere agli agenti , tipo: “Possofare la doccia?” È giusto cheespiamo le nostre colpe, anche

se le porteremo sempre dentrodi noi perché quando entriamoin carcere ci assegnano unnumero di matricola e sembrache quel numero diventi unmarchio indelebile. Forse si puòespiare anche rendendoci utili,facendo delle cose, impegnan-doci, per non pensare la nostrasolitudine, per non sentirne ilpeso esagerato e incontenibile.

Queste violenze le viviamoin silenzio, ogni giorno aspet-tando che il nostro incubo fini-sca. Sono consapevole che gliagenti della polizia penitenzia-ria fanno il loro lavoro e credoche a volte anche loro sentanopesante il proprio ruolo. Ognivolta che ci fanno sentireimportanti e persone noi siamofelici. Nonostante tutto il nostrodolore noi detenute abbiamouna identità che vorremmoandasse rispettata. Abbiamosbagliato! Ma siamo anche noiesseri umani!

Vviolenza

di Laura Visentino

Il fiore

Il mio capo chinoattende dietro le sbarre come girasole.

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l’attualità da quale pulpito ...

lavori di realizzazio-ne della discarica diChiaiano procedono,nonostante tutto etutti. Nonostante il

ritrovamento di migliaia di ton-nellate di rifiuti pericolosi enocivi, amianto addirittura,seppelliti nella cava delPoligono nel corso degli anni daipadroni del malaffare che suirifiuti illegali hanno costruitoimmense fortune; nonostante ilparere di uomini di scienza asso-lutamente super partes che ripe-tono, senza risultati, che non sipuò realizzare una discarica inun sito già così drammaticamen-te inquinato, se non a rischiograve per la salute pubblica eprivata; nonostante le parole diesperti del settore che non smet-tono di sottolineare che la disca-rica non risolverà i problemidello smaltimento dei rifiuti aNapoli, e sarà solo un palliativo

per qualche mese se non siavvierà una seria raccolta diffe-renziata in tutta la città e non simetteranno in campo politicheefficaci di riduzione della pro-duzione dei rifiuti; nonostantela indomita protesta delle popo-lazioni che vogliono salvaguar-dare, con la loro salute, un eco-sistema unico, l’ultimo vero pol-mone di verde e di ruralità den-tro la cintura urbana della città.

L’VIII Municipalità diNapoli, nel cui territorio cade ladiscarica, è rimasta isolata,esclusa dai tavoli di confronto,perché non ha mai dismesso lasua convinta opposizione aduna scelta dannosa ed inutile.

Dannosa perché sconvolgeun territorio, lo snatura, ne cam-bia le caratteristiche e l’immagi-ne. E non si tratta solo delle con-seguenze dirette dell’inquina-mento che una discarica provoca.In gioco c’è molto di più.Chiaiano ospita la gran parte del-l’area del Parco Metropolitanodelle Colline di Napoli, un’am-pia area verde che comprendezone di bosco incontaminato,

aree agricole, le ultime dellacittà, masserie, sentieri naturali-stici, fauna e flora rare.Insomma, un’area che potrebbee dovrebbe diventare un’attra-zione turistica e naturalistica,dove i prodotti di qualità di unaantica tradizione agricola (cilie-gie, castagne, mele, funghi,miele) incontravano le ideenuove dell’albergo diffuso, del-l’ospitalità rurale, dell’agrituri-smo. Una risorsa per l’interaarea metropolitana, in grado distravolgere e capovolgere l’im-magine di una Napoli soffocatadal traffico e dal cemento, e dioffrire il ritorno ad una radiceantica, messa in ombra dallo svi-luppo urbano caotico, ma maidel tutto recisa. È compatibiletutto questo con la discarica?

di Carmine Malinconico

La discarica di Chiaiano:una scelta inutile e dannosa

I

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l’attualità da quale pulpito ...

Una discarica, tra tutti glialtri danni, ha anche questo diparticolare: ha una forza conno-tativa del territorio particolar-mente incisiva. I luoghi cheospitano discariche, diventano“i luoghi della monnezza”, cosìvengono percepiti e vissutidagli abitanti, ma anche da tuttigli altri. Taverna del ferro,Pianura, Tufino, per decennisono stati non i nomi di paesi,contrade o quartieri, ma i nomidi discariche; sarà lo stesso conChiaiano. E quale parco pubbli-co, quale oasi naturalistica è cre-dibile dove c’è una discarica?Chiaiano o è il luogo del Parco oè il luogo della discarica, le duecose assieme non conviveranno,purtroppo, (e davvero vorrem-mo essere smentiti in questapessimistica previsione).

Ma oltre che dannosa, ladiscarica sarà anche inutile.500.000 o 750.000 tonnellatepoco importa: l’invaso si riem-pirà in un anno, un anno emezzo, dopo di che i rifiuti atonnellate continueranno a sta-zionare nei siti di stoccaggio, perle strade, prendendo faticosa-mente la via dell’incenerimento,

ovvero la via più triste e doloro-sa per affrontare il problema.

In verità tutti sanno cosabisognerebbe fare: raccolta dif-ferenziata diffusa e capillare,riuso, riciclo e … riduzione amonte della produzione di rifiu-ti. Agire sugli imballaggi giàsarebbe un buon risultato, ma civuole più coraggio, bisognaincidere sulle abitudini, gli stilidi vita, sui modi di consuma-re… e ancora di più, sui modi diprodurre le merci. Insommatutta un’altra via, non facilecerto, ma obbligata, se non sivuole riempire il territorio didiscariche e di inceneritori.

Le ragioni del no, dunque,sono ancora lì, irrisolte, forticome il primo giorno.

C’è ancora la possibilità di… evitare i danni peggiori?

Forse. Ora che la cava harivelato il suo triste e nascostocontenuto, occorrerebbe ferma-re tutto e bonificare davvero ilterritorio, e solo dopo tornare adiscutere il se e il come. E se ilgoverno, col commissario e sot-tosegretario, non fa questa scel-ta, sia la Magistratura ad accer-tare quante e quali gravi viola-zioni sono state compiute suquei suoli, anche sequestrando-li, prima che il prosieguo deilavori sconvolga talmente l’areada rendere impossibile l’accer-tamento dei fatti.

E poi, se proprio la sceltaviene ritenuta irreversibile, sifaccia vincere almeno il buonsenso. In un perimetro urbano,vicino ad ospedali ed aree den-samente abitate, una discaricaper il tal quale è insostenibile. Sidecida, e senza equivoci, chenella cava di Chiaiano vada afinire solo la frazione secca, cheè di gran lunga il male minore.

La mortificazione del terri-torio resterebbe, ma almeno iguasti peggiori alla salute eall’ambiente sarebbero se nondel tutto evitati, almeno dimolto ridotti.

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mai dire mai da quale pulpito ...

i chiamo Scimò Luigie vi racconto un epi-sodio che mi è suc-cesso durante ladetenzione.

Mia figlia doveva subireun’operazione di ablazionetachicardica. La mia fami-glia cercava di rassicurar-mi, dicendomi che nonc’era nessuna preoccu-pazione ed io ovvia-mente non potevo farealtro che fidarmi di ciòche mi dicevano i fami-liari al colloquio.

Non potevo che taceredato che … essendoristretto, non avevo altrealternative per sapere le diffi-coltà dell’operazione.

Partono per Milano daPalermo e l’operazione sembra-va essere andata per il versogiusto, almeno così mi diceva-no. Ma non è stato così! Di soli-to per questo tipo di operazionimettono un sondino nella venafemorale e questo ha provocato

una fistola. I medici avevanodetto che in poco tempo sisarebbe rimarginata da sola.Invece mia figlia ha dovutosubire un’altra operazione.

Siamo ora in attesa di unariabilitazione totale.

Se dovessi narrare questiultimi sei mesi di ansie, ango-sce, attese, speranze, preoccu-

pazioni, mi ci vorrebbe un libro.Certo è facile immaginare lostato emotivo di chi, impedito apartecipare in qualche modo dipresenza alle disavventuresanitarie della propria figlia,

altro conto è però vivere inattesa perenne di notizie ...

L’angoscia è una paro-la semplice, viverla oradopo ora, giorno dopogiorno è un’altra storia.Tuttavia, ora pare chetutto procede per ilverso giusto, con l’aiuto

di Dio che prego conti-nuamente.

In genere, si pensa che ildetenuto sia nient’altro che

una pratica burocratica, unaspecie di “pacco in deposito”,una non-persona.

Raramente si pensa cheanche il detenuto sia una per-sona, una persona detenuta edunque con i problemi, gli statiemotivi e razionali di tutte lepersone, con l’aggiunta di unproblema in più: si tratta diuna persona costretta a viverein un luogo, senza mobilità, coilegami sociali recisi e i contattiaffettivi, familiari ridotti allumicino. Quasi mai si fa mentelocale al fatto che la reclusionesia una sofferenza (e pocoimporta che si tratti di una sof-ferenza “legale”) che si aggiun-ge alle normali sofferenze.

Un castigo più che un’occa-sione di ripensamento, diassunzione di responsabilità.Ed è risaputo, il castigo generasempre odio, anche quando èmeritato, lo si subisce, ma nonlo si accetta mai!

MUn lungo viaggio

di Fabio Scimò

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i disgusta guardarela tv per i troppi pro-grammi di quiz, chemettono in palioenormi somme di

denaro mentre l’Italia va a roto-li, tra… immondizia, disoccu-pazione, e fame, per cui qualcu-no per sopravvivenza commet-te reati. Ma lo Stato cos’è? E chifa giustizia umana?

Non è certo giustizia giu-sta, se ognuno, che rappre-senta lo Stato fa ciò cheritiene giusto per il pro-prio conto.

Da donna giova-ne vorrei che tutti imiei coetaneiavessero mag-giori opportu-nità per evol-vere questasocietà dandomaggiori possibilità, mettendosoprattutto in gioco le capacitàdi ogni singola persona, valu-tandosi non come showgirl oveline, ma come imprendito-ri/trici, negozianti, operai,

insomma come costruttori diuna nuova società. Senza pen-sare di raggiungere un idealepartecipando a programmi tele-visivi che danno il successo conun secondo fine e poi sentendo-mi dire dalle stesse tv, ognigiorno dei problemi economicidel paese che vanno sempre piùgiù. L’Italia è un paese europeo

solo per formalità, ma ciò dicui mi rendo sempre più

conto è che questa Italia èdissociata dall’Europa,

sia per le leggi cheper il modo di agire,

siamo rimasti ilfanalino di coda.

Avvolte hol’impressione

che a questanostra Italiamanchi soloun dittato-

re, ma la beffa è che comunquenessuno si fa avanti per dire“da oggi il dittatore di questopaese sono io”, tutti si nascon-dono comunque dietro il fatidi-co “noi siamo lo Stato”.

N.d.R. Cara Rita, non ti paredavvero troppo pensare che“manca un dittatore”? I proble-mi che dici sono sicuramenteveri. E noi riteniamo che queiproblemi non si affrontino soloperché dietro di loro c’è un “dit-tatore”: ma il mercato coi suoimercanti! Si, un “mercato” chenon si vergogna di non riuscirepiù a rispettare le sue stesseleggi. Un “mercato” che non famistero della sua determinazio-ne - secondo noi illusoria - acomprare e vendere TUTTO,PROPRIO TUTTO, compresa lacoscienza delle persone, spe-cialmente se povere!

il punto di vista da quale pulpito ...

Mdi Rita Catapano di una nuova societàLa costruzione

La corteccia

Ogni mattina il mio stelo

vorrebbe levarsi nel vento.

Resta a terra la sua corteccia

che non si dissolve.

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Questo spazio è riservato alla lettura dellapoesia che diventa pensiero creativo e canaledi comunicazione.

Attraverso la poesia si parla un linguaggiouniversale: l’emozione. In senso etimologico:dal latino poesis a sua volta dal greco poiesis,nome d’azione di poiein che ha il significato di“fare”, “creare”, ne deriva che la poesia hainsito fin dalla sua origine semantica un carat-tere prevalentemente operativo; l’atto poeticoè innanzitutto un atto creativo e fattuale.

Si tratta chiaramente di una fattualità intesain senso lato che ha anzi la necessità di essereaccolta, ricevuta da qualcuno perché‚ possarealmente manifestarsi, farsi”cosa”, realizzarsi.

dalla lettura

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spoetando da quale pulpito ...

a cura di Rita Pacilio

Avevo paura

Avevo paura di tee mi chiedi: “Perché?”Perché mi avresti tolto al mondo, ai figli.Quando ti ho vista non ho più tremato,vuoi sapere perché?Hai saputo darmi la pace:mi hai tenuta per mano.E nel mio animo tutto è mutato!Serena restoin attesa del tuo sonno.

Laura Visentino

Un mondo di violenza

Il mondo gira intorno a noi:tra dolori e sofferenze.

Sandra Siciliano

Ho trovato ...

Ho trovato un mondo dove vivere.Ho trovato un mondo dove sognare,con le bolle color grano:saldare i riflessi del cieloche tra le acque si fermano.Ho trovato dove correre libera mentre cerco di allineare l’orizzonte.Ai nodi dei pensieri non resta scampo:volo sul tuo vento che mi porta per mano.

Rita Catapano

Il peso

Cristallo trasparente la catena:mi tiene prigioniera!Come una montagna su di me.

Rita Catapano

Il dolore

Di pietra questo spaziodove sonoe nulla posso muovere.Di pietra il legnosu cui scrivoil mio dolore.Come pietra le lacrime sul viso.

Rita Pagliarani

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Il solo processo attraverso il quale tale ope-ratività si concretizza è la comunicazione.

Il lettore, distante dall’autore a livello spa-ziale e spesso temporale, per procedere ad unritorno comunicativo reale (feedback), rielabo-ra e fa proprio il messaggio recepito.

Questo particolare processo comunicativo(comune in genere a tutte le opere artistiche eletterarie) stimola la creatività.

È questo il momento certamente più affa-scinante del “fare” poetico: il lettore diventa asua volta autore, la poesia si rigenera, rinasceda sé stessa, il percorso ricomincia ed infinita-mente si ripropone.

alla creatività

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spoetando da quale pulpito ...

A salvatore

Amore mio orsacchiottosono lì con te!E mai mi leggeraimentre io leggo te in ogni cosae manchi all’animacome manca il sogno.

Sandra Siciliano

Il volo

Un sogno in Africa:farfalle muovo le ali.

Rita Pagliarani

La libertà

Posso sapere io il significato della libertà?Forse fuori dalle sbarre sono mai stato libero?Da anni sento parlare di libertà di pensiero,di parola, di culto,di stampa,di Gaber,“il mio canto libero” di Battisti,“Liberi” di Vasco Rossi.Al cinema da bambino mi affascinòSpartacogli schiavi da secoli ritornati liberi.Mi chiedo cosa insegneremo a chi verrà?Dovremmo scrivere un’altra storia …come quella di Ghandi, di Martin Luter King, di Mandela …parlare di apartheidparlare dell’Arabia Saudita che nel 1968 abolì la schiavitùo delle elezioni libere dello Zimbabwe,o della libera Mauritania,del Tibet, dell’Afganistan, dell’Iraq, di Guantanam …Non ci sarà mai “LIBERTÀ” se non ricordiamo …e se non sappiamo vedere gli altri.

Salvatore Iaccarino

Notte

Quando è buio, quando ho freddoguardo una luce lontana.Anche dietro le sbarre è speranza.

Laura Visentino

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la rete da quale pulpito ...“Vogliamo che lo Stato seque-

stri e confischi tutti i beni di prove-nienza illecita, da quelli dei mafiosia quelli dei corrotti. Vogliamo che ibeni confiscati siano rapidamenteconferiti, attraverso lo Stato e iComuni, alla collettività per crearelavoro, scuole, servizi, sicurezza elotta al disagio”.

on queste parole ini-ziava nel 1995 la peti-zione popolare con cui“Libera. Associazioni,nomi e numeri contro

le mafie” chiedeva ai cittadini diriformare la normativa del 1965n. 575, di riprendere in esame leproposte da tempo bloccate inParlamento e, soprattutto, dicreare nuove opportunità per larestituzione alla collettivitàdelle ricchezze e dei patrimoniaccumulati illecitamente.

È nata così la legge n.109/96,promulgata (subito dopo lalegge n.108/96 che istituisce ilFondo di solidarietà per le vitti-me del racket e dell’usura) aseguito di una vasta campagnadi sensibilizzazione e riflessionesvolta in tutto il Paese da tutte lerealtà associative ed i soggettiaderenti a “Libera. Associazioni,nomi e numeri contro le mafie”e sfociata nella raccolta di un

milione di firme a sostegnodella legge.

Con la legge 109 non solo sidava seguito alla grande intui-zione di Pio La Torre, che proba-bilmente gli ha comportato lacondanna a morte, cioè quelladi isolare la pericolosità socialedel mafioso, dalla pericolositàsociale dei suoi beni; ma si cercadi restituire ai cittadini ciò che lamafia ha tolto con la violenza.

Libera è un’associazione diassociazioni che, ad oggi, racco-glie gruppi nazionali e locali edha riferimenti in tutte le regionid’Italia.

Elemento unificante per letante e diverse associazioni è laconsapevolezza che per scon-figgere le mafie l’azione repres-siva dei corpi dello Stato ènecessaria ma non sufficiente.Gli straordinari successi ottenu-ti negli ultimi anni dalla magi-stratura e dalle forze dell’ordi-ne dimostrano che le mafie pos-sono essere colpite duramente,ma per dare un carattere per-manente a questi risultati ènecessaria la prevenzione.Nelle scuole, nei quartieri, nellacreazione di prospettive dilavoro per i giovani sta la fron-tiera più avanzata della preven-zione alle attività mafiose.

Passi avanti, in questi dodicianni ne sono stati fatti. Se pen-siamo ad esempio alla Casa deiGiovani dove una comunità direcupero per tossicodipendentia Castelvetrano, coltiva i terreniabbandonati da Provenzano eMessina Denaro con l’ausilio diborse lavoro.

Oppure le cooperativePlacido Rizzotto, Pio La Torre,Valle del Marro tutte cooperati-ve sociali, che sorgono in territo-ri offesi dalla criminalità comeSan Giuseppe Jato, Corleone, lapiana di Gioia Tauro, tra pocoanche in Puglia, tutte cooperati-ve del progetto liberaterra , chese da un lato offrono serieopportunità di lavoro, dall’altrooffrono un modello di sviluppodiverso, giusto, trasparente, unmodello concreto di lotta alleculture mafiose, se si immaginache anche la costituzione avvie-ne attraverso un bando pubblico

C

Ricomincidi Fabio Giuliani

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e che c’è l’obbligo di assumerealmeno il 30% di lavoratori tra lecategorie di soggetti svantaggia-ti (tossicodipendenti, ex detenu-ti, malati psichiatrici, ecc.)

Anche in Campania, seppurcon ritardo, qualcosa si muove.In provincia di Napoli e diCaserta sono nati due consorzidi comuni che si occupano inmaniera specifica di beni confi-scati, il consorzio SOLE edAGRORINASCE rispettiva-mente.

In un bene del consorzioSOLE a Castellammare diStabia, precedentemente utiliz-zato per lo sfruttamento e laviolenza di donne immigrate,adesso c’è una casa di acco-glienza che accompagna allavoro tutte quelle persone cheraggiungono il nostro paese conun sogno e spesso finiscononelle maglie della criminalità.

Ancora, è nata l’agenzia coo-perare con Liberaterra, unostrumento di supporto per aiu-tare lo sviluppo delle cooperati-ve che operano sulle terre e

gestiscono beni confiscati allemafie e che si riconoscono nel-l’esperienza portata avanti dal-l’associazione “Libera” nel pro-getto “Libera Terra”.

Scopo dell’Agenzia è quellodi fornire gratuitamente servizifinalizzati alla nascita, allo svi-luppo e all’integrazione di ini-ziative imprenditoriali di normain forma di società cooperative,costituite allo scopo di gestirebeni e patrimoni aziendali con-fiscati alla criminalità organiz-zata o che comunque seguonopercorsi analoghi, sempre cioèimpegnate nella “liberazione diterre” e nella loro restituzionead un utilizzo sostenibile nelcircuito della legalità.

Ma il vero dramma del riuti-lizzo dei beni confiscati è rap-presentato dalle aziende, dovesu 801 confiscate 38 sono attivecon alcune centinaia di lavora-tori. Naturalmente, fino a quan-do non si agirà legislativamentee si capirà che le aziende confi-scate alle mafie, per la loro spe-cialità, hanno bisogno di unregime di mercato protetto, perla loro connotazione culturale eterritoriale, allora davvero sarà

complicato. Al di là di tutto,però, è proprio qui che ognunodi noi deve fare la propriaparte: la responsabilità.

La formazione, la professio-nalità, le competenze da solenon bastano. Non basterà il piùvincente business plain né unperfetto profilo di comunità, setutto non sarà accompagnatodalle relazioni sane che si rie-scono a costruire, alla rete soli-dale che si tesse in quel territo-rio dove molto spesso la mafia èstata l’unico orizzonte. Sui beniconfiscati si può battere lamafia, e se viene battuta ancheuna sola volta, lo si può faresempre.

Ecco allora che mutuandoun vecchio film di MassimoTroisi ci diciamo: “Ricominciodai beni”.

Ricominciare dai beni signi-fica soprattutto: utilizzarli incoerenza con le reali caratteri-stiche identitarie del territoriodi cui fanno parte; farne unluogo di recupero di quellafascia giovanile sempre più arischio di esclusione dalla vitapubblica delle proprie terre;sfruttare il loro potenziale diaggregazione per soddisfarequel bisogno di rete così forte-mente manifestato dagli attoridella solidarietà; permettere aquesti luoghi di rinascere sottonuove spoglie, come momentidi concreta lotta culturale oltreche patrimoniale alla camorra.

la rete da quale pulpito ...

o dai beni

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il racconto da quale pulpito ...

a mia è una storia tri-ste che inizia il 27aprile 1976, quandomia madre fu operatada un primario dell’o-

spedale Cardarelli, che dimen-ticò una garza all’interno provo-cando una setticemia e quindi lamorte. Avevo solo 5 anni.

Molto tempo prima, cinquemesi prima che io nascessi, imiei genitori, che allora gestiva-no un night club nel centro diNapoli, si divisero perchè miopadre fu scoperto da mia madrea letto con una cugina. Moltianni dopo mia zia mi raccontòche mia mamma non era mairiuscita ad accettare il fatto e avivere con mio padre. Fu allorache mio padre accettò unlavoro in Germaniacome batterista cheaveva rifiutato piùdi 10 anni prima.

Il giorno incui sono nato miopadre tornò e tentòinvano di riconci-liarsi con mia madre,avrebbe anche volutodarmi il cognome, ma miamadre era ancora accecata daldolore e non volle in nessunmodo farmi riconoscere. A miopadre non restò altro che torna-re in Germania. Tornò in Italiasolo alla notizia della morte dimia madre, che prima di spira-re mi affidò ad una sorella sup-plicandola di non farmi maiportare via da mio padre. Sodalla stessa zia che più volte

mio padre tentò difarlo. Molti annidopo mi sono sposatoe nel 1995 è nata miafiglia Nancy.

Purtroppo l’annosuccessivo la zia conla quale sono cresciu-to è morta per untumore polmonare.Mi trovai così in unasituazione difficile...non avevo altri punti di riferi-mento. È stato l’anno più tristedella mia vita, reagii solo grazieall’amore che avevo nei con-fronti di mia moglie e di miafiglia e all’aiuto di Dio.

Grazie ad un’amica di fami-glia riuscii a contattare i fami-

liari di mio padre e adavere il suo numero

di telefono, lo chia-mai esprimendo-gli il mio deside-

rio di vederlo,così gli chiesidi venire in

Italia, ma ciò nonfu possibile per-

chè era impegnatoper lavoro, ma mi invitò a

trascorrere il Natale da lui,solo in quel momento appresidi avere un fratello avuto da unaltro matrimonio, anch’essofinito.

Fui ancora più contento dipartire, sapendo che avrei vistoanche mio fratello, purtroppoautistico.

Al nostro arrivo fummoaccolti con molto entusiasmo,

mio padre fu felice di conosceremia figlia, identica a miamadre. Organizzammo unNatale entusiasmante!!!

Ricordo di aver comunicatopoco con mio padre quel perio-do, ero impacciato e avvolto dasentimenti contrastanti.

Tornai in Italia per fine annorimanendo d’accordo che cisaremmo sentiti ogni 15 giorni,da allora però ... non ho avutopiù notizie, rimasi deluso edispiaciuto.

A volte penso che mia figliaera destinata a non dover maipronunciare la parola nonno,visto che anche mia moglie èorfana di entrambi i genitori.L’anno dopo, il giorno dellafesta del papà, trovai il coraggiodi telefonargli, ma a quel nume-ro non rispondeva mai nessu-no. Penso che il mio sia unuomo privo di sentimenti ecapace di pensare solo a se stes-so. Mi dispiace non aver avutopiù notizie di mio fratello e dinon aver avuto più voglia diincontrarlo, forse se mi chia-masse ... chissà ...

di Massimo Romagnuolo

La mia storiaL

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il punto di vista da quale pulpito ...

a donna è un mem-bro molto importan-te nella società, inquanto svolge unruolo chiave nella

composizione della strutturasociale.

Infatti a lei è attri-buito il compito dieducare, insegnare etrasmettere alle gene-razioni future tutti gliinsegnamenti di base,che rappresentano ilfondamento di qual-siasi civiltà o nazione,ma al tempo stesso èun ruolo delicato esensibile, perché sefallisse il suo compitoe la sua missioneavremmo degli effetticatastrofici e ci trove-remmo con una gene-razione mal fondata,

mal educata e mal costruita concui poi, in futuro, dovremmofarci i conti. Quindi … il destinodella terra è nelle loro mani. Ècome … una “fabbrica”, se fun-ziona bene avremo un buon

prodotto, e ne godremo tutti,viceversa se fallisse il suo com-pito ne soffriremmo tutti, ed èper questo che la donna va pro-

tetta, salvaguardata erispettata, in quantonelle sue mani si trovail nostro destino.

È quindi la donnastessa che deve sapereil suo valore, che è ungioiello prezioso chenon va messo nellemani di tutti.

È come se la donna,essere sensibile e deli-cato, rappresentasseuna fonte di energia edi rinnovamento. È unobbiettivo strategico,per noi ma pure per inemici dell’umanità;perché, per questi ulti-mi il ragionamento sto-rico è quello di

“distruggere la moralità delladonna per distruggere tutta lasocietà”.

Per questi motivi nell’Islamla donna è intoccabile, qualsiasidonna è considerata come unasorella e non come un oggettodi piacere, di divertimento e disfogo senza darne il giustovalore.

Affinché non succedano stu-pri, violenze, sfruttamento, pro-stituzione, schiavitù, ignoranzae crudeltà, l’uomo per cambiaregli altri deve prima cambiare sestesso, sapendo che dietro ungrande uomo c’è sempre unagrande donna.

La donnaL

di Nassim Saadi

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mai dire mai da quale pulpito ...re 10,00 di sabato 29novembre 2008. Lavisita al carceredell’Ucciardone diPalermo da parte del

deputato europeo GiustoCatania è iniziata. Io lo accom-pagno, col direttore ed ilcomandante del carcere che cifanno la scorta. Ci conducononella sezione dove sono detenu-ti gli ergastolani, come darichiesta di Giusto. È la sezionedove sono detenute le personesottoposte all’EIV (ElevatoIndice di Vigilanza). L’intentoimplicito era quello di solida-rizzare con l’iniziativa dellosciopero della fame che gliergastolani avrebbero iniziato ilprimo dicembre a livello nazio-nale per chiedere l’abrogazionedell’ergastolo.

Una condanna, quella del-l’ergastolo, che a detta di emi-nenti giuristi mal si concilia conl’art. 27 della nostra CartaCostituzionale nel quale è dettoche “…le pene devono tenderealla rieducazione del condanna-

to”. Dove “rieducazione” (chesessant’anni fa aveva un senso)stava per recupero/reinseri-mento mentre l’ergastolo è“fine pena mai” (così è scrittonella cartella giudiziaria delcondannato a questa pena),dunque senza recupero, senza

reinserimento, senza rieduca-zione. Mi pare già di sentiremille vocine sapientine cheripetono luoghi comuni desti-tuiti di fondamento, di quelliche vanno tanto di moda:“intanto nessuno lo fa davverol’ergastolo”.

Chi dice questo, ovviamen-te, non ha la minima cognizionedi come stanno le cose. È soloaria rumorosa, spesso collegatacon le viscere, qualche volta con

l’opportunismopolitico, mai colcervello. A costoroio voglio presen-tare NINOMARANO, laseconda cella difronte alla quale ildeputato GiustoCatania si è fer-mato per interlo-quire, ad uno aduno con gli erga-stolani presentiall’Ucciardone.

Nino è in carcere da 42 (qua-rantadue!) anni. Era entrato incarcere, poco più che ventenne,per un piccolo furto. Il resto loha fatto tutto la galera. OraNino ha sessantasei anni epassa ventidue ore al giorno inuna celletta di due metri per tre

O ergadi Beppe Battaglia

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mai dire mai da quale pulpito ...

con una “gelosia” (leggi persia-na) alla finestra di fronte allaquale, evidentemente, anche ilsole si vergogna! Lui parlavacol deputato mentre io lo osser-vavo: gli occhi umidi, i gestilenti, il tono pacato; una perso-na decorosa che non si può nonascoltare per l’alto livello disensibilità che esprime, per lalunga sofferenza che trasmettee pure per la straordinaria capa-cità di resistenza che si puòindovinare …

Quarantadueanni di prigione,davvero troppiper un uomosolo! È entratoanalfabeta (oquasi), ha presola licenza elemen-tare e poi quellamedia, poi si èmesso a dipinge-re maturando untalento semprepiù riconosciu-to… tolto che dal Ministerodella Giustizia che gli impediscedi fare uscire i suoi quadri,anche quando si tratta del ritrat-to (ricavato da una fotografia)della sua nipotina che risiede inSvizzera coi genitori. ConGiusto ha lamentato questo

impedimento, che non com-prende e che davvero non com-prendiamo neppure noi. Forse èuna delle mille forme di mortifi-cazione che può essere scagliatacontro una persona in nome diuna sicurezza cartacea che dellepersone non sa tenere conto.

D’altra parte ce lo conferma-va proprio il direttore del carce-re: “se Marano si rivolge al tri-bunale di sorveglianza per chie-dere qualcosa, il tribunale chie-de le informazioni su Maranoalla polizia di Stato la qualeattesta i livelli di pericolositàretrodatati di quarant’anni … ”.

Ed aggiunge: “in verità, ioche lo conosco bene perché hodi lui un’osservazione quotidia-na, penso che Marano non siapiù pericoloso e che l’unico peri-colo, se dovesse uscire, è per sestesso. Infatti, quando è entratoin galera lui, il mezzo di loco-mozione al suo paese era ilcavallo, ora rischierebbe diessere arrotato dalle macchi-ne!”. Come dire … è meglio perlui se resta in galera!

Giusto gli ha promesso chetornerà a trovarlo molto prestoe che per quell’occasione vuoleun quadro a lui dedicato …

Io credo che un uomo cosìnon debba più essere lasciatosolo e che, come tanti altri, nondebba più stare in galera. Credo

stolo01_da che pulpito 2-01-1970 6:51 Pagina 21

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mai dire mai da quale pulpito ...

inoltre che la pena dell’ergasto-lo, al di là di ogni disquisizionegiuridica, sia la più vile sanzio-ne penale a causa dell’ambi-guità che la caratterizza.

Ha la valenza della pena dimorte, dove però il boia si ver-gogna di se stesso e … lasciafare alla natura!

A ciascuno la sua scelta:essere complici del boia che sivergogna di sé o decidere didire basta all’ergastolo. Questoè il momento di farlo. “Non amio nome” e dunque a nome diun altro popolo voi manterretequesta vergogna!

È davvero difficile non leg-gere la vendetta che si cela die-tro il “fine pena mai”. Una ven-detta che trova la sua ratificaincontrovertibile di fronte apersone chiuse in galera datrenta/quarant’anni, senza pro-spettive, senza speranze.

La Giustizia, la legalità,hanno bisogno della “misura”,altrimenti è regressione verso il“taglione”, dove i “conflitti” sirisolvevano con scannamentireciproci, senza la mediazionedello Stato. La lotta pacifica,civile, democratica che gli erga-stolani stanno portando avanticon lo sciopero della fame “astaffetta” e che si protrarrà finoa marzo del prossimo anno, in

realtà è una lezione formidabi-le, un contributo prezioso teso atrovare la “misura” senza laquale lo Stato nega se stesso.“Mai” non è una “misura”!

La visita all’Ucciardone si èconclusa alle 13,15, dopo averraccolto le lagnanze più imme-diate, più vere ed autentichedegli ergastolani: le docce mal-funzionanti, i riscaldamenti ine-sistenti, i divieti di tenere sciar-pe e berrettini per proteggersidal freddo, l’impedimento asvolgere qualche attività lavo-rativa (anche nella forma nonremunerata), l’impedimento - èil caso di Nino Marano ma non

solo - a mettere in uscita le pro-prie opere. Il deputato europeoGiusto Catania si è impegnato atornare a trovare gli ergastolaniin lotta a breve scadenza.

Io esprimo qui la mia solida-rietà a questa lotta, negli occhile barriere che impediscono alsole d’infilare lo sguardo dentroquelle celle, nel cuore la speran-za di riuscire a convincere i piùriottosi che è tempo di direbasta alla tortura dell’ergastolo,basta con la vendetta, basta allasete di carcere.

La giustizia è un’altra cosa!

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l’attualità da quale pulpito ...

ttraverso i mediaapprendo notizie chemi toccano comemadre e come donna.Penso che il ruolo di

madre non si può staccare dalruolo della donna, eppure devofare i conti con le diversità dellanatura umana.

Ogni madre crea con il pro-prio figlio un legame indissolu-bile: li portiamo dentro di noi, livediamo crescere, li seguiamoda vicino creando così un’intesaunica. Anche se con il padre sicrea un legame più distaccatoquesto non giustifica la violen-za sessuale che un papà fa aduna figlia. Proprio come se nonl’avesse generata.

Quanto è accaduto nellacinica Australia è incredibile!Vivo con molta intensità quelloche ascolto dalla TV perché

ogni posto del mondo, anche selontano, ci appartiene, è vicinoa noi. Credo che ogni madre cheapprende che il proprio maritousa violenza sessuale sulla pro-pria figlia per ventiquattro annilunghissimi, provi indignazio-ne e sgomento.

La spinta al proibito puòesasperarsi a tal punto da scon-finare nel divertimento, nelgioco, esasperandosi in dolore,

sofferenza e lucida follia.Bisogna che si ritorni ai valori,come l’umiltà: la capacità dirimettersi in discussione, sen-tendosi non “maestri di vita”,ma persone capaci di ragionaree scalare le montagne con leproprie gambe.

Solo avendo più fiducia innoi stessi possiamo essere capa-ci di saper difendere i più debo-li, i più indifesi. A Napoli si diceche i figli sono pezzi di cuore (Sopiezz ‘e core) e in queste parolerisiede una grande verità.

Un modoper soffrire

A

di Rita Pagliarani

Donne

Allo specchiomoderna bellezzabambola lussuriosa,caviglie sottili,cosce scolpite, seni gonfiati,labbra artefatte, volti senza età.Non è la perfezione.È la ricerca di se stesse.

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il punto di vista da quale pulpito ...

l periodo di deten-zione, secondo la miaesperienza e il miomodo di pensare titoglie dagli affetti

più cari, dalla persona che amie dagli amici. Se si trattasse solodi stare rinchiusi 24 ore su 24 edi convivere continuamentecon persone nuove, non sareb-be tanto brutto, ma è quello cheti toglie dentro, che ti strappadall’anima che è grave.

Le conseguenze dopo unacerta pena che hai espiato,quando esci ti senti come in unmondo nuovo, tutto ti sembrastrano, ci vuole un certo perio-do di tempo per riabituarti alla

vita che conducevi prima, tisenti abbastanza frastornato epieno di problemi: lavoro, rein-serimento familiare e affettivo.È come se la mission della gale-ra fosse quella di disabilitare ilpiù possibile le persone.

Penso che per questo ladetenzione dovrebbe funziona-re in un altro modo, un’ora asettimana per stare con le per-sone che ami non è proprioniente, forse serve a non farecrollare psicologicamente deltutto la persona detenuta. Perfar si che si possano recuperarepiù persone, consiglierei altrimetodi. Quando c’è una con-danna da espiare, la persona

dovrebbe avere la possibilità diun lavoro interno o esterno, diandare a casa spesso per sentireil calore familiare e avere cosìpiù stimoli per cambiare; anchel’istruzione che è di primariaimportanza viene spesso tra-scurata, essere seguiti da perso-nale competente per il reiseri-mento. Questo, secondo me,sarebbe il metodo migliore perfar si che i detenuti non cadanoin una tristezza e mancanzad’affetto che si prova stando inqueste condizioni pietose.

È proprio un mondo a partequello in cui viviamo. E non sicapisce chi ricaverà vantaggioda questa opera disabilitante ...

Come dovrebbe essere la galera

Idi Giovanni Alfieri

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