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41 1.3 BREVE STORIA DELLA TECNICA MUSIVA: L’INTRODUZIONE DEI MATERIALI VETROSI E LA NASCITA DEL MOSAICO DI TESSERE Il primo rivestimento pavimentale attualmente noto proviene da Gordion 1 , l’antica capitale della Frigia, e si colloca cronologicamente nell’VIII secolo a.C.. Si tratta di un assemblaggio di ciottoli di fiume, disposti in modo tale da creare motivi geometrici e allettati su più strati di preparazione, realizzati con una sequenza di malte idrauliche e aeree, che hanno lo scopo di rendere l’insieme stabile e resistente all’umidità di risalita del terreno. La scelta di impiegare ciottoli fluviali riscontra, anche nei secoli successivi, notevole fortuna, tanto che il mosaico di ciottoli diventerà una tecnica musiva vera e propria, che perdurerà fino alla fine dell’epoca ellenistica. Nel corso del V-IV secolo a.C. mosaici in ciottoli sono attestati più o meno contemporaneamente in numerosi siti del Mediterraneo: in Macedonia, Attica, Laconia, Asia Minore, Sicilia, Campania e Puglia 2 . È molto difficile capire se si possa ricostruire un percorso di diffusione della tecnica musiva o se, piuttosto, sia da riconoscere talvolta una genesi distinta e autonoma nei diversi siti. È comunque certo che per un primo, lungo periodo i materiali naturali sono l’elemento di elezione per realizzare lo strato più superficiale del mosaico e che i materiali artificiali arriveranno solo con la piena epoca ellenistica. In questo quadro non fanno eccezione nemmeno i materiali vetrosi: nell’ottavo, settimo secolo, quando nasce il mosaico, il vetro ha ormai una produzione avviata da 1 YOUNG 1957. 2 SALZMANN 1982.

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1.3 BREVE STORIA DELLA TECNICA MUSIVA:

L’INTRODUZIONE DEI MATERIALI VETROSI E LA NASCITA

DEL MOSAICO DI TESSERE

Il primo rivestimento pavimentale attualmente noto proviene da Gordion1,

l’antica capitale della Frigia, e si colloca cronologicamente nell’VIII secolo a.C..

Si tratta di un assemblaggio di ciottoli di fiume, disposti in modo tale da creare

motivi geometrici e allettati su più strati di preparazione, realizzati con una

sequenza di malte idrauliche e aeree, che hanno lo scopo di rendere l’insieme

stabile e resistente all’umidità di risalita del terreno. La scelta di impiegare

ciottoli fluviali riscontra, anche nei secoli successivi, notevole fortuna, tanto che

il mosaico di ciottoli diventerà una tecnica musiva vera e propria, che perdurerà

fino alla fine dell’epoca ellenistica. Nel corso del V-IV secolo a.C. mosaici in

ciottoli sono attestati più o meno contemporaneamente in numerosi siti del

Mediterraneo: in Macedonia, Attica, Laconia, Asia Minore, Sicilia, Campania e

Puglia2. È molto difficile capire se si possa ricostruire un percorso di diffusione

della tecnica musiva o se, piuttosto, sia da riconoscere talvolta una genesi

distinta e autonoma nei diversi siti.

È comunque certo che per un primo, lungo periodo i materiali naturali sono

l’elemento di elezione per realizzare lo strato più superficiale del mosaico e che

i materiali artificiali arriveranno solo con la piena epoca ellenistica. In questo

quadro non fanno eccezione nemmeno i materiali vetrosi: nell’ottavo, settimo

secolo, quando nasce il mosaico, il vetro ha ormai una produzione avviata da

1 YOUNG 1957. 2 SALZMANN 1982.

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almeno settecento anni e una rete commerciale ben consolidata, tuttavia, per

registrare un suo impiego nel mosaico bisogna attendere fino all’ultimo quarto

del IV secolo a.C..

Ricostruire la storia dei materiali impiegati nel mosaico antico e, in particolare,

in quello delle origini, non è facile, perché gli aspetti materiali e la tecnica

musiva sono stati da sempre oggetto di interesse estremamente marginale.

Nonostante, in anni recenti, la sensibilità nei confronti di queste tematiche sia

aumentata, si può solo contare su una bibliografia molto scarna3.

Una ricerca mirata alla ricognizione dei primi impieghi di vetro nel mosaico

Mediterraneo darebbe, molto probabilmente, notizie inattese tuttavia, per ora,

ci si può solo basare su quanto viene riportato da trattazioni sporadiche, che

tranne rare eccezioni, hanno scopi diversi da quello di approfondire la

conoscenza della tecnica musiva. Stando a queste informazioni, il vetro farebbe

la sua comparsa nell’Oikos 5 di Pella4, altrimenti noto come casa di Elena, una

dimora aristocratica della città reale macedone decorata negli anni venti del IV

secolo a.C.. In questa casa, in cui trovano posto opere musive di qualità

esemplare, tra le quali si conta anche la famosa caccia al cervo di Alessandro ed

Efestione, firmata con l’ambiguo nome di Gnosis5, si trova il pavimento che

raffigura il Ratto di Elena, mosaico che dà il nome alla casa. Nella bardatura del

cavallo che traina il carro, assieme ai ciottoli fluviali, sono state impiegate delle

piccole masse sferiche di vetro blu. Purtroppo, questa notizia, riportata come

3 Un lavoro di stampo tecnico, era presentato dalla Dunbabin già alla fine degli anni ’70 DUNBABIN 1979, pp. 265-277. I maggiori contributi sono però degli anni ’90. Si vedano, ad esempio, GUIMIER-SORBETS, NENNA

1992; GUIMIER-SORBETS, NENNA 1995; WESTGATE 2000. 4 PETSAS 1962; MAKARONAS, GIOYRE 1989. 5 SANTORO BIANCHI 2005.

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breve nota in uno studio sui mosaici di Delo6, non è corredata da nessun

riferimento iconografico che permetta di osservare la natura di materiali e di

verificare se effettivamente si tratti di vetro o, piuttosto, di fritta o faïence.

Sempre a Pella, negli stessi anni, la presenza di materiali artificiali è segnalata

anche in un altro celebre pavimento di una casa del sito, la cosiddetta casa di

Dioniso, che raffigura il dio mentre cavalca una pantera. L’impiego di elementi

diversi dai ciottoli era stato riportato già da Petsas7 in un articolo degli anni

sessanta, che presentava in generale i mosaici del sito. Petsas riferisce8 che gli

elementi che compongono le foglie del tirso e la corona che cinge il capo del

dio sono costituiti da vaghi da collana in materiale artificiale, forse terracotta,

dipinti e, quindi, elementi destinati ad un altro uso e impiegati dal mosaicista.

L’autore lascia incerta l’identificazione di questo materiale che, comunque

classifica come sicuramente artificiale: ad un’osservazione diretta si è potuto

constatare che, per colore e struttura, si tratta molto verosimilmente di faïence

verde e, quindi, come nel ratto di Elena, di un materiale vetroso (Figura 1).

6 GUIMIER-SORBETS, NENNA 1992, p. 608. 7 PETSAS 1962. 8 Idem, p. 46.

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Fig. 1 Un particolare delle foglie di vite che incoronano il capo di Dioniso: la campitura è costituita da elementi rotondi e forati, con un corpo interno chiaro e residui di un rivestimento di colore verde smeraldo in superficie.

Rispetto alla tradizione musiva precedente, che privilegia la rappresentazione

di motivi geometrici o di soggetti legati al patrimonio figurativo orientaleggiante

o alla sfera dionisiaca9, i mosaici di Pella segnano un momento di rottura. Per

la prima volta i soggetti raffigurati sono chiaramente derivati da originali

pittorici, riconosciuti in opere di Melanzio e Pausia, esponenti della scuola di

Sicione, che lavorano attorno alla metà del IV secolo a.C. 10. Per comprendere

appieno la tecnica musiva adottata a Pella, quindi, il confronto con la pittura è

irrinunciabile e uno dei temi di principale discussione riguardo alla tecnica

pittorica adottata in Grecia tra epoca classica ed Ellenismo è senz’altro il

problema del colore e delle regole che ne governavano l’uso11. I pittori del

9 Sui temi dionisiaci nei mosaici di ciottoli si veda GUIMIER-SORBETS 2004. 10 MORENO 1987. Si cita Melanzio come modello per la caccia al cervo e Pausia per le cornici e i pavimenti ad ornato vegetale. 11 BRUNO 1981.

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periodo classico dipingevano attenendosi alla cosiddetta regola del

tetracromatismo, cioè utilizzando solo i quattro colori che venivano considerati

primari. Questi colori primari sembrano essere identificabili con il rosso, il

giallo, il bianco e il nero e, quindi, escludono il blu e tutte le sue mescolanze,

compreso il verde. Si ritiene che la tavolozza dei pittori tetracromatici

escludesse, in realtà, non solo i colori freddi, ma anche i colori accesi, come il

rosso e il giallo vivo e che ammettesse le mescolanze tra i quattro colori

realizzando, quindi, composizioni giocate sulle sfumature dei toni medi12. Il

Bruno cita13 come riproduzione esemplare di questo modo di dipingere il

mosaico di Alessandro della Casa del Fauno, dove è utilizzata una gamma

vastissima di sfumature nei toni del rosso, del giallo, del grigio e del bruno,

tuttavia, l’analisi della tecnica musiva ha rivelato che l’utilizzo di questi toni non

è esclusivo, ma sono presenti piccole quantità di tutti i colori ‘proibiti’, cioè del

blu, dei rossi e dei verdi accesi14. Questa constatazione, comunque, non esclude

che questi ultimi non fossero presenti nell’originale pittorico e che siano stati

aggiunti dai mosaicisti in virtù di consuetudini, se non, addirittura, di regole

tecniche seguite15. Tuttavia, dalle testimonianze pittoriche pervenuteci, si

osserva che in realtà il blu veniva utilizzato nelle opere tetracromatiche16, ma

mescolato ad altri colori, per rendere le ombre. Un’attestazione del blu puro si

trova invece nelle pitture macedoni venute alla luce nel corso degli ultimi

decenni. Questi rinvenimenti hanno dimostrato che, perlomeno in questa

12 Idem, pp. 74-77. 13 Vedi supra. 14 Si vedano le schede dei mosaici italici nel Capitolo 2. 15 Nei mosaici italici in tessere minute si è potuto riscontrare un forte rapporto tra soggetto figurato e colore. Si veda, nel dettaglio, il paragrafo 4.1.1. 16 BRUNO 1981, pp. 85-87.

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regione, i colori brillanti e puri, come il verde malachite, il blu egizio e il rosso

cinabro, erano in realtà di largo uso17.

Alla luce di queste considerazioni, quindi, si può avanzare l’ipotesi che a Pella

la tavolozza dei mosaicisti sia stata ampliata aggiungendo il blu e il verde

conseguentemente ad un avvicinamento della tecnica musiva a quella pittorica.

Gli effetti di questo fenomeno si osservano anche in un altro espediente

tecnico introdotto dai mosaicisti che operarono a Pella. Si tratta, nello specifico,

della pratica di utilizzare sottili lamine metalliche messe in opera di taglio per

creare, in alcuni dettagli, le linee di contorno delle figure. Queste lamine sono di

piombo e talvolta18 sono alternate a listelli di terracotta per ottenere un effetto

di variazione nel colore e negli spessori (Figura 2).

Fig. 2 Particolare del mosaico con Dioniso che cavalca la pantera. Il contorno della testa dell’animale è realizzato con listelli di terracotta. In corrispondenza delle sommità del capo la linea si assottiglia sostituendo ai listelli una lamina di piombo.

17 BRECOULAKI 2002. 18 Il mosaico con Dioniso sulla Pantera vede l’impiego alternato dei listelli e delle lamine, mentre si osserva un uso esclusivo dei listelli nella caccia al leone e, in un altro mosaico proveniente dalla stessa casa e raffigurante due centauri.

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Il metallo viene utilizzato anche per realizzare gli occhi dei personaggi, che in

alcuni mosaici19 sono resi con una tecnica molto prossima al cloisonné: infatti,

nonostante l’avanzato stato di degrado, si riescono ad osservare i residui di un

materiale bicolore, forse vetro, che riempie i contorni tracciati dalle lamine di

metallo (Figura 3).

Fig.3 Un dettaglio del mosaico della caccia al leone. L’occhio dell’animale è realizzato con un contorno di piombo e un inserto di materiale bicolore.

L’espediente dell’inserimento delle lamine metalliche è stato interpretato,

soprattutto nei decenni passati20, come una soluzione per ottenere delle linee

guida nel montaggio del mosaico. Tuttavia, se fosse così, ci si aspetterebbe di

trovare le lamine in quasi tutti i mosaici di ciottoli ma, se si compie 19 Nel mosaico della caccia al leone e in quello con Dioniso. L’unica annotazione di letteratura su questo espediente tecnico è in MAKARONAS 1960, fig. 42-44, 46, che ipotizza l’utilizzo di una pietra dura. 20 Riguardo a questa tendenza è significativa l’osservazione di Henri Stern, riportata in conclusione alla presentazione, al I colloquio dell’AIEMA, del lavoro di Petsas sopra citato: Stern ritiene che la tecnica del mosaico di ciottoli sia imperfetta, poiché ha bisogno di ricorrere all’uso di materiali diversificati per ottenere l’effetto desiderato. Vd. PETSAS 1962, p. 54. La convinzione che l’uso di impiegare le lamine in mosaici di tessere sia segno di persistenza della tecnica dei ciottoli si trova anche nella trattazione sui mosaici di Delo del Bruneau. BRUNEAU 1972.

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un’osservazione mirata, si nota che il loro impiego è poco ricorrente21 e che

non vengono propriamente utilizzate per realizzare un vero e proprio contorno

che delimita tutta la sagoma delle figure, ma solo a tratti, per enfatizzare la

plasticità con dettagli grafici. Inoltre, si osserva che vengono messe in opera

giocando con sapienza sugli spessori e le linee si costruiscono accostando tra

loro segmenti sempre più sottili che, a volte, finiscono sfumando in una fila di

ciottoli, che ne riprende il colore (Figura 4).

Fig. 4 Un dettaglio del volto di Efestione nella Caccia al Leone. Si osservi la realizzazione della linea del mento: alle lamine di piombo segue una fila di ciottoli grigi, per ottenere un effetto più morbido.

Alla luce di questa considerazione, si conclude quindi che questa particolarità

tecnica ha una funzione più estetica che pratica e che trova un riscontro diretto

21 Le lamine non sono attestate in altri centri in cui si riscontra una significativa produzione di mosaici di ciottoli, come Eretria e Olinto, mentre si trovano con una certa frequenza a Delo, sito in cui il gusto per il mosaico polimaterico è molto accentuato. Una rassegna dei mosaici con lamine metalliche si trova in DASZEWSKI 1985 pp. 77-79.

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nella pittura dell’epoca, infatti, nelle coeve opere pittoriche macedoni si può

notare come, proprio come in questi mosaici, si alternino parti dipinte a

macchia con parti in cui i contorni delle figure sono delineati in punta di

pennello22.

Se si conducesse uno studio specifico sui mosaici più antichi, forse si

potrebbero rintracciare altri casi di impiego di materiali vetrosi ma, attraverso il

materiale attualmente edito, i mosaici di Pella risultano essere un unicum. È

comunque evidente come a Pella sia stato raggiunto un livello qualitativo che

non trova riscontro altrove e, forse, le sperimentazioni tecniche condotte

presso la capitale macedone non devono aver avuto un seguito diretto nella

produzione musiva immediatamente successiva. I mosaici di Pella si datano agli

anni attorno al 325 a.C., ed è singolare notare che, per trovare altri mosaici

caratterizzati da una tecnica polimaterica, che includa anche l’uso del vetro,

bisognerà attendere circa un secolo.

In questo arco di tempo si sviluppa e muove i primi passi una tecnica, che

prevede l’impiego di tessere, cioè di elementi, generalmente squadrati, tagliati

appositamente per comporre il mosaico. La scansione cronologica delle origini

del mosaico di tessere non è ben chiara, ma deve essere sicuramente rintracciata

nella rete di rapporti che legano tra loro i siti del Mediterraneo sud-orientale23:

l’Egitto, la Cirenaica, la Grecia, l’Asia Minore, la Sicilia e, con un ruolo che pare

essere indipendente, Cartagine. Le letture di stampo evoluzionistico24 tendono a

vedere una linea di sviluppo che parte dai ciottoli, passa per una tecnica mista e,

22 Un esempio molto esaustivo di uso della linea modulata si osserva, ad esempio, nel letto funebre di Potidea. Si veda BRECOULAKI 2002. 23 Per una trattazione generale del problema si faccia riferimento a DUNBABIN 1999. 24 Tra queste, il primo studio che individua nei mosaici a tecnica mista una tecnica di transizione PHILLIPS 1960 e, da ultimo, DASZEWSKI 1985.

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infine, approda all’uso esclusivo delle tessere. Secondo queste teorie, un

mosaico emblematico di questo percorso sarebbe un pavimento rinvenuto a

Shatby25, una località egizia non lontana da Alessandria, raffigurante un quadro

con tre eroti intenti nella caccia al cervo, incorniciato da un fregio di animali e

da una serie di cornici. Questo mosaico è realizzato mescolando parti in

ciottoli, con parti in tessere cubiche e altre con elementi tagliati in altre forme

geometriche: tondi, gocce e ovali. Alcuni dettagli grafici sono sottolineati, come

nei mosaici di ciottoli di Pella, dall’inserimento di lamine metalliche(Figura 6).

Da Daszewski 1985

Fig. 6 Due dettagli della caccia al cervo di Shatby. A sinistra si osserva la varietà nella forma delle tessere della cornice, mentre, a destra, il particolare della chioma di uno degli eroti cacciatori. I capelli sono resi con ciottoli contornati da lamine di piombo.

Non esistono dati di scavo chiari che permettano di contestualizzare il

mosaico e, pertanto, le proposte di datazione sono state fatte esclusivamente su

base stilistica. La Dunbabin26 ha osservato che la caccia di Shatby sembra essere

25

BRECCIA 1923, p. 161; BROWN 1957, pp. 68-69, pp. 77-81, pl. 44,1.68; DASZEWSKI 1985, catalogo n. 2, pp.103-111. 26 DUNBABIN 1979.

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espressione di una tecnica matura, che mescola con consapevolezza elementi di

natura diversa per ottenere variazioni nella tessitura delle campiture, piuttosto

che il frutto delle prime sperimentazioni della nuova tecnica delle tessere.

Seguendo questa interpretazione il mosaico si collocherebbe quindi a metà del I

secolo a.C.27 e sarebbe espressione di un gusto antichizzante. Successivamente,

invece, il mosaico è stato riletto, nel corpus dei mosaici dell’Egitto, da

Daszewski28 mettendolo in relazione con altre testimonianze musive egizie

realizzate con tecnica mista29 e rivedendo le notizie relative al contesto di

rinvenimento30. Questa nuova analisi ha retrodatato il mosaico alla fine del

primo quarto del III secolo a.C., identificando quindi nell’Egitto il luogo in cui

si rielabora la tecnica greca dei ciottoli sperimentando l’impiego di elementi

tagliati, fino alla scelta dell’uso quasi esclusivo di elementi cubici e, cioè, delle

tessere vere e proprie. L’identificazione, da parte di Daszewski, dell’esistenza di

una tecnica di transizione a partire della seconda metà del IV secolo a.C. è stata

rafforzata31 negli anni novanta da alcuni nuovi rinvenimenti presso Alessandria,

che testimoniano l’effettiva diffusione della tecnica mista.

Alla luce dei rinvenimenti più recenti, la tesi dell’esistenza di questa tecnica di

transizione, che trova espressione fino alla metà del III secolo a.C., sembra

quindi effettivamente sostenibile, tuttavia non si riescano comunque a

rintracciare chiaramente le fasi che regolano la nascita e lo sviluppo del mosaico

27 Questa proposta cronologica è formulata da Breccia (BRECCIA 1923, p. 161) e viene successivamente seguita dalla Brown (BROWN 1957, pp. 68-69, pp. 77-81, pl. 44,1.68). Viene esclusa la possibilità che si tratti di un mosaico di III secolo, perché a quell’epoca l’area in cui sorgeva la casa a cui è pertinente era adibita a necropoli. L’abitato si sarebbe allargato all’esterno delle mura non prima del I secolo a.C.. 28 DASZEWSKI 1985, pp. 75-78, 103-11, catalogo n. 2. 29 Idem pp. 74-77. 30 Daszewski conclude che l’edificio a cui era pertinente il mosaico si trovava in un’area di poco spostata rispetto alla necropoli ellenistica. 31 GUIMIER-SORBETS 2001.

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di tessere vero e proprio che, come osservano giustamente il Daszewski e la

Guimier-Sorbets32, presenta numerosissime varianti tecniche ed è quindi

difficile da considerare come una categoria con caratteristiche ben definite. Gli

esempi più precoci di rivestimenti in tessere si collocano infatti a Cartagine

dove, già nel corso del V secolo a.C. vengono realizzate porzioni di

rivestimento di tessere inseriti in cementizi a base fittile33. Le prime

testimonianze di mosaici realizzati esclusivamente in tessere sono databili alla

seconda metà del III secolo a.C. e sono distribuite in numerose località del

Mediterraneo: in Egitto34, in Sicilia a Morgantina35, in Libia a Cirene36 e in

Grecia a Delo37. In questa fase le pietre continuano ad essere il materiale di

elezione, ma inizia a diventare usuale l’utilizzo della terracotta per i toni bruni e

rossi. Le tessere vengono tagliate da cocci di contenitori ceramici di cui,

talvolta, si sfrutta la forma, come in alcuni singolari pavimenti di Delo38 dove

sono state impiegate anse di anfore messe in opera in sezione, oppure si

tagliano placche piane, come a Cirene39. Le tessere sono spesso abbinate alle

lamine metalliche con cui si realizzano le linee di contorno e, già nel III secolo

a.C., si gioca sulla variazione mescolando, all’interno dello stesso pavimento,

parti in tessere con parti in scaglie e combinando tessere di dimensioni diverse,

che arrivano a misure ridottissime. La pratica di utilizzare piccole tessere finirà

per diventare una vera e propria tecnica musiva, il mosaico in tessere minute, 32 Vedi supra. 33 Per la cronologia e la distribuzione dei cementizi in Nord Africa si vedano: HARDEN 1962, pp. 133-34; CARTER 1965, p. 128; FANTAR 1966; FANTAR 1978; LANCEL 1985. Per una sintesi della scansione cronologica dei primi mosaici in Tunisia, con un buon corredo di immagini si veda: BEN MANSOUR 1995. 34 DASZEWSKI 1985. 35 PHILLIPS 1960; TSAKIRGIS 1989. 36 BALDASSARRE 1976. 37 BRUNEAU 1972. 38 BRUNEAU 1972, p. 38. 39 BALDASSARRE 1976, p. 214.

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generalmente noto come ‘opus vermiculatum’, caratterizzato da alcuni aspetti

ricorrenti e peculiari e, probabilmente, affidato a botteghe specializzate.

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