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Comitato di direzione

Fabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerralorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari

Maria cecilia Fregni, alessandro GiovanniniMaurizio logozzo, Giuseppe MariniSalvatore Muleo, Franco paparella

livia Salvini, loris tosi

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Tax Law Quarterly

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Comitato di direzioneFabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerra, lorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari, Maria cecilia Fregni, alessandro Giovannini, Maurizio logozzo, Giuseppe Marini, Salvatore Muleo, Franco paparel-la, livia Salvini, loris tosi

Comitato scientifico dei revisoriniccolò abriani, Francisco adame Martinez, antonia agulló agüero, Jacques au-tenne, Mauro Beghin, pietro Boria, Marc Bourgeois, andrea carinci, Giuseppe cipolla, Silvia cipollina, andrea colli Vignarelli, Gianluca contaldi, daria cop-pa, Giacinto della cananea, adriano di pietro, augusto Fantozzi, andrea Fedele, luigi Ferlazzo natoli, Stefano Fiorentino, Guglielmo Fransoni, Gianfranco Gaffuri, Franco Gallo, cesar Garcia novoa, alfredo Garcia prats, daniel Gutman, pedro h. herrera Molina, Manlio ingrosso, enrico laghi, Salvatore la rosa, carlos lopez espadafor, raffaello lupi, Jacques Malherbe, enrico Marello, Gianni Marongiu, enrico Marzaduri, Giuseppe Melis, Sebastiano Maurizio Messina, Marco Miccinesi, Salvo Muscarà, Mario nussi, carlos palao taboada, leonardo perrone, raffaele perrone capano, Franco picciaredda, Francesco pistolesi, ana María pita Gran-dal, Gianni puoti, José a. rozas Valdés, claudio Sacchetto, Salvatore Sammartino, roberto Schiavolin, roman Seer, Maria teresa Soler roch, paolo Stancati, dario Stevanato, Giuliano tabet, Francesco tesauro, Giuseppe tinelli, edoardo traversa, antonio Uricchio, Juan enrique Varona alabern, Marco Versiglioni, Bjorn West-berg, Giuseppe Zizzo

Comitato di redazioneantonio Viotto (coordinatore), ernesto-Marco Bagarotto, Gianluigi Bizioli, Susanna cannizzaro, pier luca cardella, anna rita ciarcia, Marco di Siena, Stefano dori-go, antonio Marinello, pietro Mastellone, Michele Mauro, annalisa pace, damiano peruzza, Federico rasi, laura torzi, caterina Verrigni

Tutti i contributi pubblicati nella Rivista sono stati sottoposti alla valutazione colle-giale da parte del Comitato di direzione e alla revisione anonima da parte di due dei componenti del Comitato scientifico dei revisori, in base all’apposito Regolamento (consultabile sul sito www.giappichelli.it/RTDT_regolamento.html)

Amministrazione: presso la casa editrice G. Giappichelli, via po 21 – 10124 torino

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INDICE-SOMMARIO

pag.

Gli Autori e i Revisori IX Dottrina P. Barabino, Le Zone Franche Urbane in Italia: un primo risultato

dell’esperienza sarda (The Urban Free Zones in Italy: a first result of the Sardinian experience) 815

V. Ficari, Crisi di liquidità, omesso versamento e forza maggiore: quid iuris? (Financial crisis, omitted tax payment and force majeure: quid iuris?) 837

F. Gallo, L’imposizione sui redditi societari 10 anni dopo la riforma del diritto societario (The taxation of corporate income 10 years af-ter the reform of company law) 847

M.V. Serranò, Il rispetto del principio di proporzionalità e le garan-zie del contribuente (The compliance with the principle of propor-tionality and taxpayer’s rights) 871

C. Trenta, La “Google tax” italiana. Il Regime fiscale italiano e la e-economy europea (The Italian “Google Tax”. National taxation and the European e-economy) 889

L. del Federico, La via italiana alla tassazione del Web: un interven-to poco meditato, ma dalle condivisibili finalità (The Italian ap-proach to taxation of the web: a little meditated reform, but with fair purposes) 913

A. Viotto, Considerazioni sui regimi di tassazione dei redditi dei co-niugi alla luce del principio di capacità contributiva (Some remarks on the tax regimes of spouses’ income in the light of the ability to pay principle) 925

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INDICE-SOMMARIO RTDT - n. 4/2014

VIII

pag.

Giurisprudenza

Cass., sez. III, 7 maggio 2014, n. 9859 – Pres. Carleo, Rel. Rubino, P.M. (conf.) Patrone, con nota di E. Marello, Sul regresso del co-obbligato solidale, in seguito al perfezionamento di un accerta-mento con adesione (On the action of recourse of the joint and se-veral guarantor following a tax settlement procedure) 951

Cass., sez. trib., 13 giugno 2014, n. 13588 – Pres. Cicala, Rel. Cosentino, con nota di A. Panizzolo, Una pronuncia limitativa del diritto al contraddittorio anticipato del contribuente non in linea con il re-cente insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (A decision restricting the taxpayer’s right to be heard in advance in conflict with the recent trend of the Grand Chamber of the Italian Supreme Court) 965

Cass. pen., sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 44003 – Pres. Sirena, Rel. Izzo, con nota di A. Tomassini, Effetti penali dello scudo fiscale e domi-nus di società (Criminal aspects of the Italian “tax shield” and the concept of dominus of a company) 979

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GLI AUTORI E I REVISORI

Paolo Barabino Assegnista di ricerca in Diritto tributario, Università di Sassari

Lorenzo del Federico Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Chieti e Pescara

Valerio Ficari Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Sassari

Franco Gallo Presidente emerito della Corte Costituzionale Professore emerito di Diritto tributario

Enrico Marello Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Torino

Antonio Panizzolo Dottore di ricerca in Diritto tributario, Università Sapienza di Roma

Maria Vittoria Serranò Professore associato di Diritto tributario, Università di Messina

Antonio Tomassini Dottore di ricerca in Diritto tributario e dell’impresa, Università Tor Vergata di Roma Responsabile fiscale DLA Piper Italia

Cristina Trenta Senior lecturer di Diritto tributario, Università di Örebro, Svezia

Antonio Viotto Professore associato di Diritto tributario, Università Ca’ Foscari di Venezia

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GLI AUTORI E I REVISORI RTDT - n. 4/2014

X

Andrea Colli Vignarelli (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Messina); Daria Coppa (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Palermo); Augusto Fantozzi (Professore ordinario di Diritto tributario, Uni-versità di Roma Sapienza); Franco Fichera (Professore ordinario di Diritto tribu-tario, Università di Napoli Suor Orsola Benincasa); Enrico Marzaduri (Professo-re ordinario di Diritto processuale penale, Università di Pisa); Francesco Mo-schetti (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Padova); Mario Nussi (Professore straordinario di Diritto tributario, Università di Udine); Franco Picciaredda (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Cagliari); Jose Andres Rozas Valdes (Catedrático de Derecho Financiero y Tributario, Uni-versitat de Barcelona); Salvatore Sammartino (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Palermo); Roberto Schiavolin (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Padova); Marco Versiglioni (Professore straordi-nario di Diritto tributario, Università di Perugia)

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DOTTRINA

SOMMARIO:

P. Barabino, Le Zone Franche Urbane in Italia: un primo risultato dell’espe-rienza sarda (The Urban Free Zones in Italy: a first result of the Sardinian ex-perience)

V. Ficari, Crisi di liquidità, omesso versamento e forza maggiore: quid iuris? (Fi-nancial crisis, omitted tax payment and force majeure: quid iuris?)

F. Gallo, L’imposizione sui redditi societari 10 anni dopo la riforma del diritto societario (The taxation of corporate income 10 years after the reform of com-pany law)

M.V. Serranò, Il rispetto del principio di proporzionalità e le garanzie del con-tribuente (The compliance with the principle of proportionality and taxpayer’s rights)

C. Trenta, La “Google tax italiana”. Il Regime fiscale italiano e la e-economy europea (The Italian “Google Tax”. National taxation and the European e-eco-nomy)

L. del Federico, La via italiana alla tassazione del Web: un intervento poco me-ditato, ma dalle condivisibili finalità (The Italian approach to taxation of the web: a little meditated reform, but with fair purposes)

A. Viotto, Considerazioni sui regimi di tassazione dei redditi dei coniugi alla luce del principio di capacità contributiva (Some remarks on the tax regimes of spou-ses’ income in the light of the ability to pay principle)

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Paolo Barabino

LE ZONE FRANCHE URBANE IN ITALIA: UN PRIMO RISULTATO DELL’ESPERIENZA SARDA

THE URBAN FREE ZONES IN ITALY: A FIRST RESULT OF THE SARDINIAN EXPERIENCE

Abstract Circoscritto lo studio degli “istituti” franchi alle Zone Franche Urbane, l’argo-mento si distingue per l’attualità del tema: in particolare, la ZFU dei Comuni della Provincia di Carbonia e Iglesias viene osservata quale concreta applicazione delle ZFU in Italia. L’analisi comparata con la pluri-generazionale esperienza francese mira a tratteggiare un’ipotesi sul destino della ZFU sarda. Parole chiave: istituti franchi, deposito franco, porto franco, Zona Franca Ur-bana, Sardegna

Limiting the research to the study of Urban Free Zones (UFZs), the topic appears ex-tremely actual: in particular, the UFZ of the Municipalities of the Province of Carbo-nia and Iglesias is considered the first concrete enforcement of UFZs in Italy. The comparative analysis with the long French experience aims at checking the fate of the Sardinian UFZ. Keywords: free institutes, free warehouses, free port, Urban Free Zone, Sardinia

SOMMARIO: 1. Gli istituti franchi: cenni distintivi. – 2. La Zona Franca Urbana dei Comuni della Provincia di Carbonia e Iglesias. – 2.1. L’individuazione del profilo territoriale delle Zone Franche Urba-ne in Sardegna: dall’attuale “snaturamento” a futuri scenari di ampliamento. – 2.2. Rapporti tra la riserva di legge e il presupposto territoriale delle Zone Franche Urbane sarde. – 2.3. Analisi dei primi dati di applicazione delle Zone Franche Urbane in Sardegna: criticità dei risultati conseguiti da un “de minimis territoriale”. – 3. Dall’esperienza francese un’ipotesi per il futuro delle Zone Franche Urbane.

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1. Gli istituti franchi: cenni distintivi

Nel linguaggio comune con l’espressione “zona franca” si evoca un con-cetto attinente a esenzioni, agevolazioni e, persino, “paradisi fiscali”.

Nel diritto esistono differenti istituti riconducibili al concetto di agevola-zione e per poter studiare le Zone Franche Urbane (ZFU) occorre, innanzi-tutto, tentare di delimitarne l’ambito.

Scomponendo l’espressione “zona franca urbana” si percepisce subito la natura dello strumento fiscale, contraddistinta dal concetto di area territo-riale (“zona”), da quello d’esenzione (“franca”), e da una delimitata area cit-tadina (“urbana”).

L’aggettivazione della zona franca con il termine urbano consente di di-stinguerle dalle zone franche doganali: la differenziazione va oltre l’aspetto formale per calarsi in quello oggettivo, in ragione del ramo del diritto che coinvolge, rispettivamente, quello doganale ovvero quello dei tributi diretti, indiretti e dei contributi

1. Le fonti del diritto doganale sono rinvenibili innanzitutto nel TFUE, con

l’affermazione della libera circolazione delle merci 2, pilastro dell’Ordinamen-

to comunitario, dell’Unione doganale 3. La cornice normativa si completa con

il Regolamento comunitario rivolto all’omogeneizzazione dell’intera materia, con l’istituzione del c.d. Codice doganale comunitario (Reg. n. 450/2008),

1 Sui rapporti tra l’Unione doganale e le libertà comunitarie, vedasi diffusamente FI-CHERA, Federalismo fiscale e Unione europea, in Rass. trib., n. 6, 2010, p. 1538 ss.

2 In particolare, l’art. 28 TFUE recita «1. L’Unione comprende un’unione doganale che si estende al complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli Stati mem-bri, dei dazi doganali all’importazione e all’esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equi-valente, come pure l’adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi. 2. Le disposizioni dell’articolo 30 e del capo 32 del presente titolo si applicano ai prodotti originari degli Stati membri e ai prodotti provenienti da paesi terzi che si trovano in libera pratica negli Stati membri» L’art. 28 TFUE: «Sono considerati in libera pratica in uno Stato membro i prodotti provenienti da paesi terzi per i quali siano state adempiute in tale Stato le formalità di importazione e riscossi i dazi doganali e le tasse di effetto equi-valente esigibili e che non abbiano beneficiato di un ristorno totale o parziale di tali dazi e tasse». L’art. 31 TFUE: «I dazi della tariffa doganale comune sono stabiliti dal Consiglio su proposta della Commissione».

3 La CGE 23 ottobre 2003, C-115/02, interpretando l’art. 23 del Trattato ha ribadito la necessità di garantire la libera circolazione delle merci fra gli Stati membri. In tal senso AL-BENZIO, I principi fondamentali e le fonti del diritto europeo ed internazionale, in SCUFFI-ALBENZIO-MICCINESI (a cura di), Diritto doganale, delle accise e dei tributi ambientali, Mila-no, 2014, p. 24.

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Paolo Barabino

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già integrato e colmato dal T.U. n. 43/1973 4.

In estrema sintesi, la zona franca doganale è uno spazio escluso dal terri-torio doganale dello Stato ove il transito delle merci in entrata e in uscita non viene assoggettato ad imposte doganali

5. Simile esclusione territoriale rappresenta una finzione giuridica in grado di distinguerle dalle zone fran-che extradoganali, le quali risultano essere realmente collocate fuori dal ter-ritorio di un determinato Stato

6. Gli Stati membri dell’UE hanno la potestà di destinare talune parti del

proprio territorio doganale a zona franca mediante la definizione puntuale del limite geografico prescelto

7.

Dal punto di vista funzionale, le zone franche doganali riguardano aree in cui si vuole promuovere lo sviluppo economico mediante benefici tributari finalizzati ad attrarre investimenti e rilanciare l’economia del luogo

8.

Analogamente, i punti e i porti franchi si differenziano dalle zone franche doganali in ragione dell’estensione territoriale coinvolta: così come le secon-de individuano vaste zone territoriali (comprendenti anche città), allo stes-

4 Così per una sintetica panoramica, osserva FRANSONI, I dazi doganali, in FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2004, p. 1075. Si sottolinea la recente entrata in vigore del Nuovo Codice doganale comunitario, Reg. n. 952/2013 il quale tra le differenti novità introdotte in materia doganale elimina la possibilità, dal 2016, di istituire zone franche non intercluse, consentendo la creazione esclusivamente di quelle intercluse. Per approfondimenti si rin-via a MASSIMO, Manuale di diritto e pratica doganale, Milano, 2014, p. 588 ss.

5 V. UDINA-CONETTI, “Zone franche”, in Enc. giur. Treccani, 1998 ove si citano, a titolo esemplificativo, le passate esperienze italiane costituite dai porti franchi di Livorno, Geno-va, Civitavecchia, Messina, Ancona, Venezia, Trieste. In particolare, la zona franca dogana-le mostra i suoi vantaggi laddove consente di effettuare lavorazioni e trasformazioni sulle merci senza impatto sulla fiscalità indiretta nazionale ed europea. In tal senso, MASSIMO, op. cit., p. 589, il quale porta ad esempio le realtà franche della Bulgaria e della Croazia nel settore manifatturiero.

6 In tal senso e per una sintesi dell’istituto, PISCITELLI, Punti franchi, in Enc. dir., 1988, XXXVII. Sulla assimilazione delle zone franche e dei depositi franchi alle aree extradoga-nali, v. CERIONI, Ordinamento doganale e commercio internazionale, in SCUFFI-ALBENZIO-MIC-CINESI, op. cit., p. 171.

7 L’art. 155, Reg. n. 450/2008, rubricato “Determinazione delle zone franche” recita: «Gli Stati membri possono destinare talune parti del territorio doganale della Comunità a zona franca». Per una analisi del nuovo regolamento istitutivo del Codice doganale comunita-rio, v. AMOROSO, Regimi doganali e regimi speciali nel nuovo codice doganale comunitario, in Il Fisco, n. 38, 2009, p. 6279 ss.

8 V. BUCCICO, Il fondamento giuridico delle Zone franche urbane e l’equivoco con le zone franche di diritto doganale, in Dir. prat. trib., n. 1, 2008, p. 10. Con riferimento alla discipli-na IVA, la zona franca rileva quale fonte di operazioni di importazione/esportazione.

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so modo i porti franchi sono costituiti da ampie aree ubicate negli spazi por-tuali, comprensive dello specchio d’acqua territoriale

9. In ottica comunitaria, le zone franche, svolgendo la loro funzione di area

di approdo o scalo per le merci dell’import/export comunitario 10, ma restan-

do in qualche modo all’esterno dell’Unione, in quanto tali, non dovrebbero contraddire il principio della libera circolazione dei beni sul quale si basa il Mercato interno.

Dal punto di vista tributario, l’UE assume, dunque, un assetto “a geome-trie variabili” capace di accogliere al suo interno situazioni eccezionali

11. Anzi, quando non entrano in contrasto con le regole della concorrenza e non turbano le aree adiacenti del mercato interno, le zone franche potrebbero diventare un’opportunità di sviluppo per le imprese e favorire i flussi di inve-stimento internazionali

12. La progressiva costruzione dell’Unione doganale ha richiesto, nondime-

no, che tali aree fossero ben regolamentate, onde evitare incontrollate vie d’accesso al mercato comune

13.

Va tenuto comunque presente che gli aiuti concessi dagli Stati, favoren-do talune imprese o talune produzioni, potrebbero falsare la concorrenza, rivelandosi incompatibili con il mercato unico, laddove incidano sugli scam-bi tra gli Stati membri

14.

9 V. DE CICCO, Legislazione e tecnica doganale, Giappichelli, Torino, 2003, p. 544. 10 Per una rassegna delle incentivazioni fiscali nelle zone franche, vedasi NUZZO, Le in-

centivazioni fiscali e le attività economiche in ambito CEE, in Rass. trib., n. 5, 1998, p. 1211 ss. 11 Nonostante la disciplina sia regolamentata a livello comunitario, restano in vita i re-

gimi agevolativi fiscali collocati in apposite zone franche istituite anteriormente al Tratta-to. In Italia, è emblematico il punto franco di Trieste, salvaguardato in forza dell’art. 307 TUE. Per altri esempi di coesistenza di zone franche comunitarie e regimi agevolativi pre-esistenti, si rinvia a quanto analizzato da DE CICCO, op. cit., pp. 546-547. Per un esempio re-cente di adeguamento tra regimi doganali e Ordinamento comunitario, v. LOVETERE-SGROI, Ingresso della Croazia nell’UE: il regime doganale cede il posto a quello comunitario, in Il Fisco, n. 31, 2013, p. 4764 ss.

12 Sui vantaggi derivanti dall’insediamento di un investitore estero nelle zone franche, v. BERTOLASO-PASUT, Normativa doganale, zone franche e di libero scambio: strategie UE e opportunità d’investimento per le imprese, in Il Fisco, n. 19, 2010, p. 2946 ss.

13 Per una recente analisi tra diritto doganale e ruolo interpretativo della Corte di Cas-sazione, si rimanda a SCUFFI, Diritto doganale e delle accise. Gli orientamenti della giurispru-denza di legittimità, in Rass. trib., n. 3, 2011, p. 627 ss.

14 Così osserva ROCCATAGLIATA, La zona franca: problematiche di ordine fiscale, in Il Fi-sco, n. 41, 1999, p. 13055 ss.

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Le Zone Franche Urbane, invece, costituiscono un particolare e differen-te regime agevolativo a favore delle attività produttive, senza un immediato coinvolgimento del diritto doganale.

La Commissione europea può autorizzare tale particolare misura d’aiuto, per determinate aree o quartieri in difficoltà, territori in deficit di sviluppo rispetto alla media nazionale, quale attuazione di quell’obiettivo strumenta-le alla coesione economica e sociale imposto dagli artt. 2 e 3 dello stesso Trattato.

Il modello di ZFU particolarmente gradito dalla Commissione UE è quello applicato (rectius creato) in Francia con l’individuazione dei quartieri o delle aree urbane particolarmente sensibili e svantaggiate dal punto di vi-sta economico e sociale

15. La ZFU, quale applicazione di una misura di fiscalità di vantaggio, deve

sottostare a limiti sia interni che esterni: i primi sono costituiti dall’armonia con la Costituzione ed il rispetto dei principi di coordinamento della finan-za pubblica e del sistema tributario; in particolare, emergono i principi di uguaglianza, di capacità contributiva, di progressività e di divieto di doppia imposizione. I limiti esterni scaturiscono dal rispetto dei principi di neutrali-tà e di non discriminazione sanciti nei Trattati dell’Unione, da considerarsi alla stregua di vere e proprie regole fondamentali della Costituzione mate-riale comunitaria.

15 Con le seguenti principali caratteristiche: 1. una elevata disoccupazione, una presenza significativa di popolazione con meno di

25 anni, un basso tasso di scolarizzazione, oltre ad un potenziale fiscale basso; 2. per non creare un problema di concorrenza la legislazione francese ha stabilito che i

beneficiari siano esclusivamente aziende a diffusione locale, secondo la stretta definizione comunitaria, che prevede che il fatturato di queste aziende non superi i 10 milioni di euro ed il numero di dipendenti non sia superiore a 50 dipendenti full time (nel caso di part-time 2 dipendenti verranno conteggiati per una unità);

3. le aziende beneficiarie, industriali, commerciali, non commerciali e artigianali, sono quelle installate, create o insediate nel periodo di applicazione della ZFU;

4. le aziende dovranno assumere o avere nel proprio organico dipendenti a tempo in-determinato o determinato a 12 mesi, che risiedono nella ZFU, in percentuale di almeno 1/5 dell’organico;

5. i vantaggi fiscali consistono nell’agevolazione per 5 anni degli oneri sociali, delle im-poste sugli utili, della tassa sul reddito e delle imposte sui fabbricati;

6. per le aziende già insediate nella ZFU, i vantaggi consistono in esenzioni applicate in misura piena alle assunzioni effettuate dopo l’applicazione della ZFU, in misura ridotta per le assunzioni già in essere;

7. la durata delle esenzioni, il cui tasso decresce dopo 5 anni, varia dagli 8 anni per le aziende con più di 5 dipendenti e 14 anni per le altre.

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In particolare, per giudicare la legittimità delle agevolazioni fiscali rico-nosciute dagli Stati membri ad imprese o a determinati settori di produzio-ne, dovranno essere presi in considerazione particolari criteri di svantaggio, la cui valutazione, consentirebbe di interpretare l’aiuto, non quale elemento di distorsione della libera concorrenza, bensì quale rimedio compensativo (e transitorio) ad una disuguaglianza strutturale di chances e di produttività incontrata dai soggetti economici che operano in determinate realtà. D’al-tronde uno degli obiettivi della UE coincide con il tendenziale azzeramento del divario presente tra i differenti livelli di sviluppo degli Stati membri, del-le Regioni meno favorite o di quelle insulari.

2. La Zona Franca Urbana dei Comuni della Provincia di Carbonia e Iglesias

La chiave di lettura che si vuole fornire nel presente lavoro consiste nel-l’osservare le ZFU, istituite in Italia, nella loro concreta applicazione sul ter-ritorio della Regione Sardegna. Se le componenti oggettive e soggettive del-le ZFU hanno conseguito un’attuazione omogenea in tutte le diverse realtà franche individuate sul territorio italiano, l’osservazione del profilo territoriale suggerisce di soffermarsi per comprendere se sia stata rispettata (e in quali termini) l’originaria finalità contenuta nello strumento agevolativo.

La ZFU dei Comuni della Provincia di Carbonia Iglesias 16 si concretizza in

un sistema di agevolazioni aventi ad oggetto le imposte sui redditi, l’IRAP, l’IMU e i contributi previdenziali da lavoro dipendente. Temporalmente l’a-gevolazione ha una estensione pari a quattordici periodi d’imposta: il paga-mento di tali tributi e contributi è esonerato totalmente, per i primi cinque e, parzialmente e in valore decrescente, per i successivi nove. I soggetti bene-ficiari devono appartenere alla categoria delle micro e piccole imprese, ov-verosia possedere un numero di dipendenti inferiore, rispettivamente, ai 10

16 Circolare 30 settembre 2013 Ministero dello Sviluppo Economico. Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica Direzione Generale per l’incentivazione delle attività imprenditoriali. «Per l’attuazione dell’intervento nel territorio dei comuni della provincia di Carbonia-Iglesias è stato adottato, in data 2 settembre 2013, dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto, ora in corso di registrazione alla Corte dei conti, con il quale, ai sensi del comma 4-bis dell’articolo 37 del decreto-legge n. 179 del 2012, sono individuate, a valere sulle somme destinate all’at-tuazione del “Piano Sulcis” dalla delibera CIPE n. 93/2012 del 3 agosto 2012, come inte-grate dal medesimo decreto-legge n. 179 del 2012, le risorse per l’applicazione sperimenta-le in detto territorio delle misure in favore delle ZFU».

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o ai 50 ed un fatturato minore ai 2 o 10 milioni di euro, già costituite al mo-mento della richiesta dell’agevolazione

17. Coerentemente con la ratio delle ZFU, create per il recupero dei quartieri o aree urbane arretrate, è necessa-rio che l’impresa beneficiaria abbia un ufficio o un locale destinato all’attivi-tà all’intero dell’area eletta a Zona franca urbana: parrebbe sufficiente la se-de amministrativa e non anche quella legale

18. Da ultimo, si nota che l’impianto agevolativo delle ZFU italiane, e quindi

anche quelle presenti sul territorio della Regione Sardegna, è stato inserito all’interno degli aiuti de minimis

19 ed è, in tal modo, svincolato dall’autoriz-zazione preventiva da richiedere alla Commissione europea, necessaria in caso di aiuti di Stato, in forza dell’art. 107 TFUE.

2.1. L’individuazione del profilo territoriale delle Zone Franche Urbane in Sar-degna: dall’attuale “snaturamento” a futuri scenari di ampliamento

A differenza di quanto avvenuto nella maggior parte delle altre porzioni di territorio italiano ove sono state attuate le ZFU, quello sardo offre l’op-portunità di avanzare delle considerazioni critiche sulla specifica normativa adottata per l’individuazione del presupposto territoriale, percependo (e ri-levando) da subito il rischio che essa generi un ampliamento tale da mettere in discussione l’originaria ratio istitutiva.

Il presupposto territoriale delle ZFU in Sardegna è stato esteso “speri-mentalmente” dalla norma nazionale anche ai Comuni della Provincia di Carbonia Iglesias

20. Un simile intervento legislativo segna la caratterizzazio-

17 I requisiti dimensionali sono quelli individuati dalla Raccomandazione n. 2003/361 della Commissione europea e dal Decreto del Ministro delle attività produttive del 18 aprile 2005. L’applicazione alle imprese già nate è espressamente prevista dalla lett. b) dell’art. 3, rubricato “Beneficiari”, del D.M. 10 aprile 2013.

18 Il punto 5 dell’art. 3 del D.M. 10 aprile 2013 recita «Per accedere alle agevolazioni di cui al presente decreto, è necessario che i soggetti individuati ai sensi del comma 1 abbiano un ufficio o locale destinato all’attività, anche amministrativa, all’interno della ZFU». Le FAQ (p. 2) pubblicate sul sito del Ministero affermano che sia sufficiente la presenza della sede ammi-nistrativa e non anche di quella legale. Tuttavia, a parere di chi scrive, il decreto con la locuzio-ne “anche” potrebbe essere interpretato in senso “aggiuntivo” al requisito della sede legale (d’altronde, il Dizionario Treccani alla voce “anche” attribuisce valore di “particella aggiunti-va”; in effetti, per generare l’effetto limitativo indicato nelle FAQ alla congiunzione “anche” si sarebbe dovuto affiancare l’avverbio “solamente” (anche solamente amministrativa).

19 Aiuti minori disciplinati dal comma 2 dell’art. 2, Reg. n. 1998/2006. 20 Tramite l’inserimento del comma 4 bis nell’art. 37 del D.L. n. 179/2012, conv. in L.

n. 221/2012.

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ne territoriale delle ZFU: pensate avendo ad oggetto (solo) quartieri urbani, delimitate anche sul dato quantitativo della popolazione residente, hanno visto l’introduzione di una deroga espressa

21 alla regola generale stabilita per le altre ZFU.

La spinta ad un simile ampliamento, rivolto alla necessità di rilanciare un territorio regionale in crisi da diverso tempo come quello del Sulcis, si con-cretizza nella sperimentazione di un nuovo e diverso ambito territoriale del-le ZFU, nell’estensione geografica delle ZFU al territorio di tutti i Comuni della Provincia di Carbonia Iglesias. Ciò significa, sul piano quantitativo, per-dere il parametro di riferimento rappresentato da un preciso limite numerico della popolazione

22, sul piano qualitativo focalizzarsi non più sui quartieri di una Città, ma su una intera Provincia o interi Comuni. Si marca in maniera in-delebile, dunque, un cambiamento del rapporto parte/tutto: il quartiere qua-le porzione del territorio comunale, ovvero la Provincia quale parte del terri-torio regionale.

A parere di chi scrive, la strada appare tracciata in direzione di una modu-lazione territoriale che potrebbe consentire di accogliere un insieme di agevo-lazioni tributarie

23 sull’intero territorio regionale quale parte della più gran-de realtà nazionale

24. D’altronde il lavoro del legislatore aveva già in passato inciso sull’elemento

territoriale delle ZFU, sollevando rilevanti questioni sulla finalità della ZFU e sulla compatibilità comunitaria: si pensi al caso della ZFU de L’Aquila pro-posta sull’intero territorio comunale e non (solo) su alcuni quartieri o sull’in-tera area colpita dal sisma

25.

21 Già contenuta nel comma 4 bis, art. 37 del D.L. n. 179/2012, conv. in L. n. 221/2012, ripresa nell’art. 7 del Decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 10 aprile 2013.

22 Trentamila abitanti quale massima popolazione delle altre ZFU a fronte di quella di tutti i Comuni della Provincia di Carbonia Iglesias pari a circa centoventimila abitanti. Sebbene ciascun Comune possieda un numero di abitanti inferiore ai trentamila, l’indica-zione del legislatore è onnicomprensiva indicando tutti i Comuni della Provincia.

23 Pur mantenendo salva la funzione di favore, la differente ratio ispiratrice della norma agevolativa rispetto quella del tributo. Sulla teoria funzionale e strutturale delle agevola-zioni v. FICHERA, Le agevolazioni fiscali, Padova, 1992, p. 32 ss., LA ROSA, Le agevolazioni tri-butarie, in Trattato di diritto tributario, a cura di A. Amatucci, Padova, 1994, p. 410 ss.

24 Con significative conseguenze anche sul piano della selettività e, dunque, degli aiuti di Stato, su un piano che comunque esula dal presente lavoro e che si riserva la facoltà di indagare successivamente.

25 V. FICHERA, Calamità naturali e aiuti di Stato: il caso dell’Abruzzo, in Riv. trim. dir. trib., n. 2, 2012, p. 309, il quale evidenzia come i confini territoriali di una ZFU possano condi-

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Si osserva, infine, che i parametri adottati dal CIPE 26 in applicazione con-

creta delle linee guida di massima indicate nella legge istitutiva delle ZFU non hanno mostrato una sensibilità capace di intercettare ulteriori elementi caratterizzanti il territorio sul quale si sono installate le ZFU, anch’essi po-tenzialmente utili e finalizzabili ad identificare il disagio economico sociale; focalizzando l’attenzione sul territorio sardo, un elemento del tutto assente dalla normativa delle ZFU è quello dell’insularità. A ben vedere, il quartiere urbano di una città collocata all’interno di una Regione insulare, è esposto ad ulteriori fattori di penalizzazione sia dal punto di vista economico che sociale

27 e, di conseguenza, meriterebbe maggiore attenzione da parte del legislatore nell’interesse della finalità delle ZFU.

Un altro ordine di considerazioni investe il presupposto territoriale delle ZFU (anche sarde) con riferimento alla “localizzazione” delle imprese nel territorio franco. Se la legge

28 istitutiva ha adoperato il termine evidenziato, che nella sua genericità intende creare un nesso di collegamento tra l’impre-sa e il territorio da agevolare (la ZFU), il Decreto attuativo del Ministero

29 ha tradotto tale rapporto nell’esistenza di un ufficio o di un locale destinato all’attività anche amministrativa all’interno della ZFU. L’importanza del col- zionarne la finalità dello strumento agevolativo: dal rilancio di quartieri urbani degradati dal punto di vista socio economico al sostegno per lo sviluppo di territori colpiti da eventi calamitosi.

26 V. CIPE 30 gennaio 2008 ha individuato un indice di disagio economico basato sul tasso di disoccupazione, di occupazione, di concentrazione giovanile e sul tasso di scola-rizzazione.

27 Sul riconoscimento dell’insularità quale fattore penalizzante v. LA SCALA, Il divieto di aiuti di Stato e le agevolazioni fiscali nella Regione Siciliana, in Rass. trib., n. 5, 2005, p. 1503 ss. il quale richiama la Risoluzione della Commissione del 16 maggio 1997 su una politica integrata e adeguata alla specificità delle regioni insulari dell’UE; le Conclusioni dei tre congressi delle camere di commercio delle regioni insulari dell’UE di Chio (1994), Palma di Maiorca (1995), Palermo (1996); le Conclusioni del Consiglio europeo di Torino del marzo 1996, ed in particolare, la decisione di inserire il problema delle regioni insulari all’ordine del giorno della relativa CIG (Conferenza intergovernativa); lo Schema di svi-luppo dello spazio comunitario presentato a Noordwijk il 9 e il 10 giugno del 1997; il do-cumento di lavoro “Le regioni costiere ed insulari dell’Unione europea” pubblicato dalla Dire-zione generale degli studi del Parlamento europeo nell’aprile del 1996 (PE 166.018); la pub-blicazione dell’ufficio statistico delle Comunità europee (Eurostat) recante il titolo “Portrait des iles”.

28 V. comma 1, art. 37, D.L. n. 179/2012. L’art. 2 della L. n. 244/2007 prevede esclusi-vamente che la “attività economica” avvenga nella ZFU.

29 In particolare v. comma 5, art. 3, Decreto del Ministero dello Sviluppo del 10 aprile 2013.

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legamento con il territorio, in ragione dell’obiettivo ultimo di rilancio delle aree urbane degradate, è manifestata anche dalla specifica previsione a cari-co dei soggetti che non svolgono una attività d’impresa sedentaria: essi de-vono impiegare almeno un lavoratore dipendente presso l’ufficio o il locale all’interno della ZFU, o realizzare almeno il 25% del volume d’affari da ope-razioni poste in essere all’interno del territorio della ZFU

30. Il sistema delle agevolazioni contemplato dalla ZFU non crea quindi un rapporto di esclu-sività tra l’attività economica e il territorio, consentendo alla prima di essere esercitata anche al di fuori dell’area franca urbana (salvo obbligo di tenuta della contabilità in maniera separata

31 per poter comprendere la quota di reddito derivante dalla ZFU e quindi agevolabile). Tale formulazione offre una certa elasticità alle scelte imprenditoriali che possono collocarsi in parte all’interno e in parte all’esterno della ZFU al fine di ottimizzare il reddito prodotto ed evitare la creazione di una eccessiva chiusura delle ZFU scon-giurabile, sia dal punto di vista economico

32 che giuridico 33.

Ulteriore elemento di collegamento territoriale è osservabile sia con rife-rimento agli immobili siti nelle ZFU ai fini dell’agevolazione sull’Imposta municipale propria, che in relazione ad una parte (pari al 30%) dei lavorato-ri dipendenti residenti necessariamente all’interno della ZFU al fine di poter attribuire l’agevolazione sui contributi previdenziali

34. Simile previsione si colloca con coerenza all’interno della finalità delle ZFU, ovverosia il rilancio e la riqualificazione di aree urbane degradate dal punto di vista economico e sociale, obiettivo perseguibile senz’altro facendo leva sia sulla destinazione degli immobili collocati sul territorio franco che sulla popolazione residente lavoratrice al suo interno. Resta da osservare, tuttavia, il parziale condizio-namento operato dal legislatore sull’obbligo di assunzione di una determi-nata percentuale di lavoratori dipendenti: non aver stabilito che la totalità dei dipendenti fosse residente all’interno della ZFU probabilmente è giusti-

30 In tal senso vedasi il comma 6, art. 3, Decreto del Ministero dello Sviluppo del 10 aprile 2013.

31 In forza dell’art. 9 del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 10 aprile 2013.

32 Innegabili sono anche i benefici sulla libera circolazione delle persone, delle merci e dei servizi che in tal modo ottengono una determinata tutela.

33 Al fine di contrastare eccessivamente, e quindi proporzionalmente, con le suddette qualità poste a fondamento dei principi della UE.

34 Sulla base di quanto contenuto del comma 562 dell’art. 2, L. n. 244/2007, ripreso anche dagli artt. 4 e 13 del Decreto del Ministro dello Sviluppo del 10 aprile 2013.

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ficabile dal non voler rendere eccessivamente vincolante il reclutamento del personale dipendente rivolgendosi solo all’interno della popolazione resi-dente, con evidenti problemi di selezione del personale in relazione a deter-minate qualifiche che ipoteticamente potrebbero non essere presenti sul ter-ritorio. La percentuale fissata dal legislatore a seconda del numero di lavora-ti coinvolti, si traduce in un maggior o minor interessamento della popolazio-ne residente: essa assume un ruolo centrale, sia laddove ha raffigurato la ba-se di calcolo per l’individuazione delle aree da destinare a ZFU, sia quando rappresenta il beneficio ultimo delle ZFU consistente nel contrasto ai feno-meni di esclusione sociale e di incentivo all’integrazione sociale e culturale

35.

2.2. Rapporti tra la riserva di legge e il presupposto territoriale delle Zone Fran-che Urbane sarde

La criticità del rapporto tra l’art. 23 Cost. e le ZFU è individuabile laddo-ve l’identificazione delle aree urbane degradate è stata demandata a provve-dimenti amministrativi: emerge, quindi, il carattere relativo della riserva di legge, grazie al quale il rinvio

36 dei particolari della disciplina agevolativa do-vrebbe consentire di assolvere al meglio il compito di natura tecnica di circo-scrivere, sulla base dei parametri indicati dalla legge, le porzioni di territorio adatte ad accogliere lo strumento agevolativo delle ZFU

37. Più nello specifico, aver coinvolto gli enti territoriali denota ulteriormente

il carattere territoriale delle ZFU, in ragione del principio secondo il quale un Comune dovrebbe ben conoscere il proprio territorio e, quindi, essere in pos-sesso di quei dati necessari per poter correttamente applicare i parametri sta-biliti dalla normativa primaria statale sulla fattispecie concreta locale

38.

35 Tale intento è contenuto nell’art. 2, L. n. 244/2007. 36 Rinvio operato dal D.M. 10 aprile 2013 (fonte secondaria) ad un protocollo d’intesa

(13 novembre 2012) sottoscritto tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Mi-nistro per la coesione territoriale, la Regione autonoma della Sardegna, la Provincia di Car-bonia-Iglesias e i Comuni del Sulcis Iglesiente per l’individuazione delle aree franche.

37 Anche la giurisprudenza di legittimità, Cass. n. 16498/2003, Cass. n. 17602/2003, Cass. n. 18262/2004, giudica legittimo l’utilizzo di fonti secondarie per integrare il precet-to normativo istituito necessariamente da fonti primarie. Così commenta BORIA, I principi costituzionali dell’ordinamento fiscale, in FANTOZZI (a cura di), Diritto tributario, Torino, 2012, pp. 142-143.

38 Già nel primo tentativo di istituzione delle ZFU in Italia, sulla base di quanto rego-lamentato dalla circolare emanata dal Dipartimento per lo sviluppo e la coesione econo-mica il 26 giugno 2008, le proposte progettuali elaborate dai Comuni furono inviate alle

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Si constata quindi che anche con l’istituzione delle ZFU si conferma quel tendenziale allentamento del vincolo stabilito dall’art. 23 Cost., il quale, se da un lato, richiede che il presupposto, i soggetti passavi e gli indici di con-tribuzione siano fissati dalla legge, dall’altro, consente di demandare il det-taglio a fonti normative non legislative

39. D’altronde un presupposto territoriale individuabile tramite una legge

regionale si ben coordinerebbe sia con quella dottrina 40 che interpreta l’art.

23 Cost. annoverando nella sfera legislativa anche le leggi regionali, sia con la finalità del c.d. federalismo fiscale rivolto a delegare agli enti locali quelle scelte attuabili sul territorio locale.

L’apprezzamento del principio di riserva di legge rispetto alla disciplina delle ZFU resta una questione di rilevanza interna, ricordando che l’art. 23 Cost. non assume, in generale, la qualifica di controlimite

41.

2.3. Analisi dei primi dati di applicazione delle Zone Franche Urbane in Sarde-gna: criticità dei risultati conseguiti da un “de minimis territoriale”

È di recente pubblicazione il Decreto direttoriale con il quale è stato ap-provato l’elenco delle imprese beneficiarie del sistema di agevolazioni con-templato dalla Zona Franca Urbana dei Comuni della Provincia di Carbonia Iglesias

42. L’istituzione e la concreta applicazione delle ZFU in Sardegna han-no segnato un primo obiettivo degno di nota: circa la metà

43 delle imprese attive sul territorio della Provincia di Carbonia Iglesias sono state ammesse ai benefici agevolativi del sistema ZFU. Le imprese presenti sul territorio della Regioni, le quali assieme al Dipartimento hanno inviato al CIPE le aree potenzialmente be-neficiarie delle misure agevolative.

39 Sul punto FANTOZZI, Riserva di legge e nuovo riparto della potestà normativa in materia tributaria, in Riv. dir. trib., n. 1, 2005, p. 9 ss.

40 DI PIETRO, I regolamenti, le circolari e le altre norme amministrative per l’applicazione della legge tributaria, in AMATUCCI (a cura di), op. cit., p. 626 ss.

41 V. Corte cost. n. 183/1973 richiamata da GALLO, Ordinamento comunitario e principi costituzionali tributari, in Rass. trib., n. 2, 2006, p. 407.

42 V. Decreto direttoriale del 17 aprile 2014 pubblicato sul sito internet del Ministero dello Sviluppo Economico.

43 L’allegato al Decreto direttoriale del 17 aprile 2014 contiene un numero di imprese beneficiarie pari a 4.359, circa pari alla metà sia rispetto alle 8.620 imprese attive nella sola Provincia di Carbonia Iglesias nel 2012 (9.631 sono quelle complessivamente registrate alla Camera di Commercio; vedasi l’Osservatorio Economico del Nord Sardegna, Camera di Commercio Nord Sardegna, 2013, p. 17), sia rispetto alle 8.477 imprese attive nella Pro-vincia di Carbonia Iglesias nel 2013 (dati Osservatorio 2014, p. 22).

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Provincia di Carbonia Iglesias hanno ora la possibilità di ottenere un con-creto alleggerimento degli oneri tributari per una durata pluriennale e decre-scente nel tempo. La restante parte delle imprese che non hanno avuto ac-cesso (ai benefici fiscali attribuibili) alla ZFU presumibilmente è costituita da quei soggetti che non hanno avuto conoscenza dell’opportunità di aderi-re al regime agevolatorio o che non erano in possesso dei requisiti oggettivi, soggettivi e territoriali richiesti dalla normativa.

Le istanze presentate per accedere alle agevolazioni hanno permesso al Ministero dello Sviluppo Economico di attribuire ai beneficiari un determina-to bonus da utilizzare in compensazione per far fronte al pagamento dei tributi per gli anni avvenire

44. Tuttavia i benefici sulla riduzione degli oneri di bilan-cio degli imprenditori sono condizionati da due ordini di fattori: la portata dell’aiuto ridotta in ragione della formula de minimis e la possibilità di com-pensazione solo in presenza di un imposta a debito. Detto diversamente, la presenza di scarse risorse per finanziare la ZFU e la scelta del legislatore di at-tuare le agevolazioni all’interno degli aiuti minori se per un verso ha mostrato un successo di adesioni da parte del mondo imprenditoriale sardo, dall’altro si è tradotto in una frammentazione del quantum (già limitato) tra tutti i richie-denti mettendo a repentaglio la percezione e l’efficacia della misura.

Se gli aiuti de minimis non sono soggetti alle limitazioni degli artt. 107 e 108 TFUE in quanto non sono in grado di falsare la concorrenza o gli scam-bi tra gli stati membri a causa della loro modesta entità, allora è lecito do-mandarsi come una ZFU concepita all’interno degli aiuti minori possa esse-re in grado di attrarre il mondo imprenditoriale. La modesta entità dell’aiu-to è irrilevante per la concorrenza ma non lo è per il vantaggio fiscale che crea in capo all’imprenditore.

Prendendo spunto dalla valutazione delle ZFU italiane richiesta a segui-to della notifica dell’aiuto nel 2009 dall’Italia, più nello specifico laddove la Commissione analizza la base giuridica ai fini della compatibilità della misu-ra agevolativa con l’ordinamento europeo, si sottolinea che il discrimine tra il regime fiscale delle ZFU e gli aiuti de minimis è costituito esclusivamente dall’ammontare delle agevolazioni, inferiore o superiore alla soglia degli aiu-ti minori

45.

44 Le domande presentabili solo online dal 7 gennaio 2014 al 7 aprile 2014 hanno con-sentito di suddividere la dispensa economico a disposizione del Ministero tra i soggetti istan-ti in ragione dell’importo richiesto.

45 Vedasi punto 39 Aiuto di Stato n. 346/2009 Italia-Zone franche urbane, Bruxelles, 28 ottobre 2009, C(2009) 8126.

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Se da un lato, istituire delle ZFU quale aiuto de minimis può consentire una maggiore celerità nell’attuazione delle agevolazioni, rispetto la procedu-ra comunitaria di ammissibilità dell’aiuto di Stato, dall’altro lato, si viene a creare una sorta di “de minimis territoriale” con un potenziale svilimento de-gli effetti benefici sullo sviluppo dell’economia e della coesione sociale. In-dubbiamente, inoltre, la ZFU attuata in Sardegna avrebbe dovuto confron-tarsi con la disciplina degli aiuti di Stato ex art. 107 TFUE, in particolar mo-do sulla giustificazione di una estensione territoriale non irrilevante, sia per l’entità della popolazione coinvolta, sia per l’estensione territoriale, immagi-nando un dialogo con la Commissione europea rivolto a dimostrare l’ogget-tiva individuazione di precisi parametri da utilizzare per apporre i confini della ZFU, tali da consentire una coerente applicazione delle agevolazioni rispetto alla finalità dell’aiuto rivolto alle aree urbane degradate. Il limite co-sì delineato, da un lato, atterrebbe alla definizione dello strumento fiscale Zona Franca Urbana, dall’altro, consentirebbe un nuovo dispositivo agevo-lativo simile alla ZFU ma differenziato sul profilo territoriale, pur sempre soggetto alla compatibilità con l’Ordinamento europeo

46. La genesi delle due agevolazioni, Zone franche urbane e aiuti de minimis,

sottendono una ratio differente: le prime, sono rivolte al recupero delle aree degradate cittadine, le seconde, alla concessione di aiuti di Stato di piccola entità, in quanto tali legittimi de iure.

L’elemento territoriale nelle ZFU è un fattore essenziale, mentre negli aiuti de minimis è eventuale: di solito tali aiuti minori sono gestiti da Comu-ni

47, enti locali o regionali, ma il caso italiano delle ZFU dimostra che l’uso è ammissibile anche a livello statale. Gli aiuti minori non nascono con il gene della selettività territoriale finalizzata alla ripresa economica di una determi-nata area urbana. Detto diversamente, una ZFU in de minimis possiede i ca-ratteri della ZFU ma non è vero il contrario, ovverosia, un aiuto de minimis non necessariamente assume le caratteristiche di una ZFU. Se da un lato, il

46 V. FICHERA, Calamità naturali e aiuti di Stato, cit., p. 313, il quale sottolinea l’apertura della Commissione europea (mostrata in occasione del tentativo di istituire ina ZFU a L’A-quila) a nuove forme di aiuto, di Zone franche urbane, di aiuti a finalità regionali che tutta-via debbano possedere i requisiti (da dimostrare) della necessità, dell’appropriatezza, della proporzionalità.

47 Ad esempio, il Comune di Sassari in attuazione dell’art. 19 della L.R. 24 dicembre 1998, n. 37 della Regione Sardegna ha deliberato (Deliberazione di Giunta Comunale n. 361 del 24 novembre 2010) dei contributi de minimis a favore di attività imprenditoriali di nuova costituzione localizzate nel centro storico cittadino (degradato).

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cuore della questione è rappresentato dalla costruzione dei parametri dell’aiu-to de minimis, da altro lato, resta l’incertezza circa l’efficacia di un sistema agevolativo costruito per il rilancio di aree urbane degradate limitato quan-titativamente negli aiuti minori.

Al di là delle “delusioni” 48 che le ZFU italiane hanno generato nel per-

corso normativo ed attuativo che le ha viste ridotte ad aiuto minore, tutta-via, si può ritenere che anche una simile misura possa essere in grado di con-tribuire alla ripresa socio economica di un’area urbana, collocandosi in quel solco, appena rinnovato

49, dei nuovi aiuti de minimis compatibili con in mer-cato ex artt. 107 e 108 TFUE.

Inoltre non si trascuri di rilevare che le ZFU articolare in aiuti de minimis possono incarnare una duplice franchigia: quella tributaria territoriale (già esposta) e quella autorizzatoria comunitaria (regime de minimis/aiuti di sta-to)

50, mostrando per certi versi una doppia semplificazione d’ordine fiscale e procedimentale.

3. Dall’esperienza francese un’ipotesi per il futuro delle Zone Franche Urbane

La nascita delle ZFU in Francia coincide con l’entrata in vigore della L. n. 987/1996

51. Tale atto rappresenta la sintesi di una duplice attività: esterna, frutto del dialogo intrattenuto tra la Francia e la Commissione europea, tra-dottosi nell’autorizzazione per la concessione di aiuti di Stato

52; interna, quale elemento del progetto economico sociale elaborato dallo Stato mem-

48 COPPOLA, Un esempio emblematico di snaturamento di un regime di fiscalità di vantag-gio: l’uso distorto della tax expenditure per il rilancio della competitività delle città, in Rass. trib., n. 3, 2014, p. 531 ss., la quale avanza forti dubbi sulla efficacia e sulla legittimità comunita-ria delle ZFU in de minimis.

49 Vedasi i nuovi Regolamenti CE, emanati il 18 dicembre 2013, n. 1407/2013, di ap-plicazione generale, e n. 1408/2013, in materia di agricoltura.

50 In linea generale, la franchigia degli aiuti de minimis in relazione al recupero di aiuti dichiarati illegittimi è stata teorizzata da STEVANATO, Se l’agevolazione fiscale è un illegittimo aiuto di Stato si recupera anche quella inferiore alla soglia «de minimis»?, in Dialoghi trib., n. 1, 2012, p. 101 ss., il quale ha richiamato l’apertura della prassi comunitaria al recupero par-ziale, mentre in senso contrario la posizione della Corte di Cassazione.

51 V. COPPOLA, Le attuali agevolazioni a favore del Mezzogiorno alla luce dei vincoli del Trattato CE posti a tutela del principio della libera concorrenza tra Stati, in Rass. trib., 2007, p. 1678 ss., BUCCI, Zone franche urbane: quadro normativo e compatibilità comunitaria, in Riv. trib. loc., 2010, p. 141 ss.

52 Approvato dalla Commissione UE il 26 aprile 1996, atto n. 159.

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bro, denominato “Pacte de Relance des Villes”. La normativa francese compren-dente tale progetto di rilancio delle città (L. 14 novembre 1996, n. 96-987), individua delle macro aree denominate Zone Urbane Sensibili (ZUS) corri-spondenti a quartieri o aree cittadine deficitarie dal punto di vista economico e sociale, all’interno delle quali vengono ulteriormente circoscritte, sia, le Zo-ne di Ridinamizzazione Urbana (ZRU), sia, le Zone Franche Urbane (ZFU). La raffinatezza del sistema agevolativo così congegnato è riscontrabile, sia, nelle ZRU ove vengono individuate delle aree sulla base di specifici fattori (disoccupazione, età, istruzione), sia, nelle ZFU ove si indicano i quartieri al-l’interno delle ZRU, limitate per numero di abitanti e particolarmente svan-taggiate sulla base dei suddetti parametri socio-economici

53. Studiando i mutamenti normativi subiti dal Codice generale delle impo-

ste 54 francese, in particolare negli anni 1996 e 1997, si osserva che i Comuni

francesi avevano la facoltà di esentare in determinate aree alcune imprese ivi localizzate al ricorrere di precisi requisiti: se ne desume che, anche prima della istituzione delle Zone Franche Urbane, esisteva già un potere di esen-zione in capo agli enti locali, il quale con l’avvento di quest’ultime è stato potenziato e perfezionato.

L’attenzione del legislatore per la politica territoriale e di urbanizzazione non rappresentata un’operazione inedita nel panorama delle esperienze nor-mative, ma si mostra come una strutturazione dello strumento agevolativo fi-nalizzato al rilancio dell’economia locale

55.

53 Così, COPPOLA, Il fisco come leva ed acceleratore delle politiche di sviluppo, Padova, 2012, p. 284 ss., la quale richiama i Decreti che nel concreto individuarono i parametri delle ZRU (Decreto 26 dicembre 1996, n. 1157) e delle ZFU (Decreti del Consiglio di Stato del 26 dicembre 1996, nn. 1154 e 1155).

54 Il comma 1 dell’art. 1466 A del Codes general des impots, in vigore fino all’11 aprile 1997, recitava: «Les communes peuvent, dans des parties de leur territoire caractérisées par la présence de grands ensembles ou de quartiers d’habitat dégradé dont la liste sera fixée par décret et par un déséquilibre accentué entre l’habitat et l’emploi, délimiter, par délibération prise dans les conditions de l’article 1639 A bis, des périmètres à l’intérieur desquels sont exonérées de la taxe professionnelle les créations ou extensions d’établissement, dans la limi-te d’un montant de base nette imposable fixé pour 1992 à un million de francs et actualisé chaque année en fonction de la variation des prix constatée par l’Institut national de la stati-stique et des études économiques pour l’année de référence définie à l’article 1467 A. La dé-libération fixe le taux d’exonération ainsi que sa durée; elle ne peut avoir pour effet de repor-ter de plus de cinq ans l’application du régime d’imposition de droit commun. Elle porte sur la totalité de la part revenant à chaque commune. Seuls les établissements employant moins de cent cinquante salariés peuvent bénéficier de cette mesure. Les délibérations des conseils municipaux s’appliquent à la cotisation de péréquation de la taxe professionnelle».

55 Come osservato da COPPOLA, op. ult. cit., p. 287, esistono esperienze passate di zone

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Il merito del legislatore francese di aver creato un sistema di agevolazioni riassumibile nell’espressione Zona Franca Urbana, emerge laddove l’istitu-zione delle esenzioni tributarie sono state corredate dalla previsione di una organizzazione a livello territoriale. Infatti, in Francia sono state create delle Unità di sviluppo economico, al fine di fornire servizi di assistenza alle im-prese beneficiarie e consentire un corretto ed efficiente insediamento e svi-luppo nelle ZFU: individuazione dei terreni e degli edifici ove poter colloca-re l’attività produttiva, possibili fonti di finanziamento necessarie per con-sentire l’iniziativa imprenditoriale

56. In estrema sintesi, le Zones Franches Urbaines possono essere raffigurate

come un sistema di agevolazioni istituito a favore di determinate imprese, limitate nel tempo e circoscritte in un definito territorio, finalizzate alla lotta del degrado sociale cittadino

57. Più nello specifico, le esenzioni previste dalle ZFU francesi hanno per

oggetto i contributi previdenziali, le imposte dirette personali, gli utili e il tri-buto locale sugli immobili

58. Il presupposto soggettivo per godere del regime agevolatorio è rappre-

sentato dal possesso dello status di impresa medio-piccola 59, localizzata per

franche a favore delle imprese: le Zone d’esonero fiscale applicate negli Stati Uniti negli anni ’30, le Enterprise zone inglesi degli anni ’80.

56 V. COPPOLA, op. ult. cit., p. 303 ss. 57 LOI n. 96-987 du 14 novembre 1996 relative à la mise en oeuvre du pacte de relance

pour la ville. Art. 1er «La politique de la ville et du développement social urbain est condui-te par l’Etat et les collectivités territoriales dans le respect de la libre administration de cel-les-ci, selon les principes de la décentralisation et dans le cadre de la politique d’aménage-ment du territoire. Outre les objectifs de diversité de l’habitat et de mixité sociale définis par la loi no 91-662 du 13 juillet 1991 d’orientation pour la ville, elle a pour but de lutter contre les phénomènes d’exclusion dans l’espace urbain et de favoriser l’insertion profes-sionnelle, sociale et culturelle des populations habitant dans des grands ensembles ou des quartiers d’habitat dégradé. A cette fin, des dispositions dérogatoires du droit commun sont mises en oeuvre, dans les conditions prévues par la présente loi, en vue de compenser les handicaps économiques ou sociaux des zones urbaines sensibles, des zones de redy-namisation urbaine et des zones franches urbaines».

58 Nella prima generazione delle zone franche urbane, istituita con la L. 14 novembre 1996, n. 96-987 relativa alla messa in opera del patto di rilancio per la città, le imprese esi-stenti o di neo costituzione, aventi meno di 50 dipendenti, assunti a tempo indeterminato o determinato con durata maggiore di 12 mesi, stabilite nel territorio delle ZFU, potevano godere di un regime di esenzione (prima integrale, poi decrescente rispetto al tempo) dei seguenti tributi: taxe professionelle (art. 1466 AI quater del Codice generale delle imposte), taxe foncière sul les proprietés bâties (art. 1383 B del Codice generale delle imposte), impôt sur le revenu et impôt sur les sociétés (art. 44 octies del Codice generale delle imposte).

59 Vedasi la Raccomandazione CE 361/2003, art. 2, rubricato “Effettivi e soglie finanzia-

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mezzo di una sede legale all’interno del territorio già individuato dal legisla-tore, con a carico non più di 50 dipendenti, i quali devono essere assunti con contratto a tempo indeterminato o determinato con durata maggiore ai 12 mesi. Il legislatore francese ha previsto, anche, la c.d. clausola d’assunzio-ne

60 in base alla quale viene stabilita una proporzione di assunzione dei lavo-ratori tra la popolazione residente all’interno della zona franca urbana, fissan-do una condizione che appare in piena sintonia con la ratio dell’istituto

61. La peculiarità delle agevolazioni in oggetto consiste nella limitazione di

tali esenzioni sia dal punto di vista territoriale che temporale. Le aree del territorio francese elette a ZFU possiedono dei particolari re-

quisiti quanto a numero ed età della popolazione, disoccupazione, istruzio-ne e reddito medio pro-capite

62. Tali parametri hanno consentito di delimi- rie che definiscono le categorie di imprese” secondo il quale: «1. La categoria delle microim-prese delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occu-pano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR». Inoltre, non tutte le attività possono godere dei benifici delle ZFU, essendo espressamente escluse, ex art. 44 octies, com-ma VI, lett. c): «la construction automobile, de la construction navale, de la fabrication de fibres textiles artificielles ou synthétiques, de la sidérurgie ou des transports routiers de marchandises».

60 L’art. 13 della L. n. 96-987 al comma 1 stabilisce il rapporto di 1/5 tra lavoratori re-sidenti e non residenti nella ZFU: «Lorsque l’employeur a déjà procédé, depuis la délimi-tation de la zone franche urbaine, à l’embauche de deux salariés ouvrant droit à l’exonéra-tion prévue à l’article 12, le maintien du bénéfice de l’exonération est subordonné, lors de toute nouvelle embauche, à la condition qu’à la date d’effet de cette embauche: le nombre de salariés embauchés depuis la délimitation de la zone franche urbaine, employés dans les conditions fixées au IV de l’article 12 dont l’horaire prévu au contrat est au moins égal à une durée minimale fixée par décret et résidant dans cette zone, soit égal à au moins un cinquième du total des salariés embauchés dans les mêmes conditions, au cours de la mê-me période».

61 La ZFU rappresenta chiaramente un aiuto di Stato e la clausola di assunzione locale esplicita chiaramente l’intento del legislatore di voler “aiutare” il territorio arretrato e, in quanto tale, dichiarato franco. Sul carattere selettivo e discriminatorio (anche) della clau-sola di assunzione, si dirà nel proseguo laddove si parlerà di ZFU e aiuti di Stato.

62 L’art. 2 lett. B) della L. n. 96-987 recita «Des zones franches urbaines sont créées dans des quartiers de plus de 10 000 habitants particulièrement défavorisés au regard des critères pris en compte pour la détermination des zones de redynamisation urbaine». I parametri che la norma citata individua rinviando alla disciplina delle ZRU contenuta nella Loi n. 95-115 du 4 février 1995 sono, in buona sostanza: popolazione maggiore a 10 mila abitanti, popolazione under 25 sia superiore al 36% di quella complessiva, tasso di disoc-cupazione sia superiore del 25% rispetto la media nazionale, presenza di non diplomati di età maggiore ai 15 anni, superiore del 29% rispetto la media nazionale, reddito pro-capite sia pari a 3800 franchi.

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tare con grande precisione le aree destinate a ZFU, caratterizzate da uno stato di arretratezza economica e sociale.

Sul profilo temporale si osserva che le ZFU hanno una durata ben circo-scritta: l’esenzione totale quinquennale è prorogata automaticamente, in modo parziale, per altri 3 o 9 anni in ragione del numero del personale di-pendente assunto dalla singola impresa

63. Il regime di vantaggio previsto dalle ZFU copre, dunque, un arco tempo-

rale pari a 14 anni, con una modulazione decrescente dell’entità dell’agevo-lazione.

L’esperienza francese delle ZFU dimostra quanto sia attuabile la volontà politica di intervenire nell’economia: dalla nascita dello strumento agevola-tivo, con particolare attenzione alla sua legittimità comunitaria, all’evoluzio-ne della normativa a seguito di una attività di vera e propria programmazio-ne e controllo

64. Dal 1996, anno di istituzione della prima generazione di ZFU, la Francia

ha conosciuto fino ad oggi una seconda ed una terza generazione, le quali sostanzialmente non modificano le tipologie di agevolazioni ma ne cambia-no la modulazione

65. In particolare, il fattore evolutivo contenuto nella terza generazione delle ZFU è costituito da un rafforzamento della clausola di as-sunzione e dalla limitazione dell’agevolazione all’interno della soglia de mi-nimis. La rilevanza di tali novità è indubbia, laddove si pensi, sia, alla libertà

63 L’ultimo periodo dell’art. 44 octies A del Code général des impôts afferma che: «Ces bénéfices sont soumis à l’impôt sur le revenu ou à l’impôt sur les sociétés à concurrence de 40%, 60% ou 80% de leur montant selon qu’ils sont réalisés respectivement au cours des cinq premières, de la sixième et septième ou de la huitième et neuvième périodes de douze mois suivant cette période d’exonération».

64 A partire dal Rapport au Parlement, Application de la Loi du 14 novembre 1996 rela-tive à la mise en oeuvre du Pacte de relance pour la Ville, per arrivare al Rapport d’infor-mation n. 1023/2013, passando per il Rapport d’information n. 354/2002, il legislatore francese posto in essere una precisa fase consuntiva sui reali effetti generati da ciascuna delle generazioni di ZFU, consentendo in tal modo di evidenziare gli effetti sulla occupa-zione e sul reddito del regime di esenzione, e di attuare delle azioni correttive nella succes-siva generazione di ZFU.

65 La seconda generazione (L. n. 710/2003) è stata autorizzata dalla CE con la decisio-ne n. 211/2003, la terza (L. n. 396/2006) con la n. 70/2006. Le principali modifiche ap-portate nella seconda generazione di ZFU sono: le imprese già presenti sul territorio delle ZFU possono accedere alle esenzioni nel limite della soglia del de minimis; estensione de-gli aiuti anche alle associazioni di nuova istituzione; estensione alle imprese anche colloca-te fuori dal territorio franco ma in possesso di un volume d’affari collegato per almeno il 25% ad una clientela residente nella ZFU ovvero che avessero assunto a tempo indetermi-nato almeno un dipendente che lavorava all’interno della ZFU.

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degli aiuti minori non più bisognosi di autorizzazione comunitaria preventi-va, sia, ai riflessi economici che gli aiuti de minimis possono implicare, rispet-to quelli illimitati. A parere di chi scrive, entrambi i fattori hanno dei pro e dei contra, il cui equilibrio (squilibrio) può consentire (negare) di raggiun-gere il fine ultimo del sistema di agevolazioni previsto dalla ZFU, ovverosia la rinascita delle aree urbane e l’allineamento economico e sociale di tali aree a quelle del territorio circostante.

Da un lato, l’aiuto minimo possiede i caratteri della celerità, della minore discriminazione (per entità) rispetto i territori a tassazione ordinaria, di una maggiore autonomia decisionale del legislatore nazionale rispetto i limiti co-munitari; da altro lato, il minore ammontare degli aiuti concedibili può com-portare un inferiore costo complessivo dell’operazione, ma anche un diffe-rente impatto sull’economia da incentivare.

Non si può non notare, inoltre, che la scelta del legislatore italiano di at-tuare delle ZFU all’interno della disciplina degli aiuti minori, si pone sullo stesso piano (o sullo stesso traguardo) che la normativa francese ha rag-giunto nella quarta generazione delle ZFU. Infatti, dopo le tre normative di ZFU susseguitesi in Francia, l’ultima integrazione ha visto concretizzare il si-stema agevolativo sotto la soglia degli aiuti minori.

L’esperienza pluriennale (e pluri-generazionale) francese delle Zone Fran-che Urbane consente di effettuare delle osservazioni sui benefici economici e sociali che le agevolazioni in oggetto possono produrre.

In prima approssimazione si può affermare che il sistema agevolativo rap-presentato dalle Zones Franches Urbaines, presente nell’Ordinamento fran-cese dal 1996 al 2014, nato al fine di rivitalizzare i quartieri depressi delle città, ha segnato un risultato positivo in quanto a creazione di attività econo-miche e incremento del livello occupazionale

66. Più nello specifico, si osserva un andamento irregolare della crescita eco-

nomica nelle zone agevolate verosimilmente a causa di fattori esterni, quali la crisi economica globale. Infatti, confrontando i dati economici raccolti nel-le ZFU rispetto quelli relativi alle zone di riferimento non agevolate, se da un lato si nota un tasso di crescita tendenzialmente maggiore nelle prime, tuttavia, da altro lato, nel picco di crisi verificatori nell’anno 2011, si consta-

66 Al 1° gennaio 2012 nelle complessive 92 zone franche urbane francesi erano presenti 64.073 imprese, segnando un tasso di crescita del 3,5% rispetto l’anno precedente. V. DU-HAMLE, Les zones franches urbaines, in Les éditions des Journaux Officiels, 2014, p. 90, in commento al flusso dei dati pubblicati a p. 92, questi ultimi estratti dal Rapporto annuale 2012 dell’ONZUS, Osservatorio nazionale della politica della città, p. 125.

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ta un livello di crescita del numero di aziende installate inferiore nelle ZFU piuttosto che nelle aree esterne

67. A parere di chi scrive, tale fatto, apparentemente paradossale, potrebbe

essere giustificato ricordando che le ZFU, istituite in quartieri e aree urbane degradate ove il livello socio economico era nettamente inferiore alla media nazionale, hanno subìto maggiormente gli effetti della congiuntura econo-mica a causa del minore livello di reddito pro-capite e della minore propen-sione al consumo.

Resta, comunque, doveroso sottolineare che nel primo anno di applica-zione del sistema agevolato contemplato dalle Zones Franches Urbaines il tas-so di crescita nelle aree agevolate è stato circa il triplo di quello “ordinario”

68. In una UE nata dal (e sul) Mercato unico, in un ordinamento fiscale co-

munitario definito “antisovrano” 69, la nascita e lo sviluppo del sistema di a-

gevolazioni raggruppate sotto l’espressione “Zone Franche Urbane” suscita una riflessione sull’esperienza francese quale applicazione o creazione di un modello comunitario.

Da un lato, le Zone Franches Urbaines possono apparire un’applicazione del regime degli aiuti fiscali disciplinato dall’Ordinamento europeo attorno all’art. 107 TFUE. Da altro lato, esse possono rappresentare la nascita di un insieme di agevolazioni fiscali, risultato della dialettica intrattenuta tra uno Stato membro e la Commissione europea.

La recente modifica che ha coinvolto la terza generazione di Zone Fran-ches Urbaines, ove il legislatore francese ha limitato tali agevolazioni alla so-glia del de minimis, ugualmente presente nella più recente normativa italia-na, induce a riflettere se essa rappresenti un’evoluzione o un’involuzione dello strumento. Probabilmente, non esiste un’unica chiave di lettura, ma entram-be appaiono ammissibili (come due facce di una stessa medaglia) in ogni

67 Dal Tableau n. 1 pubblicato a p. 92 del Rapporto 2014, sono state rilevate comples-sivamente nelle ZFU 46.423 imprese nel 2007, 51.871 nel 2008, 56.440 nel 2009, 61.568 nel 2010, 61.890 del 2011 e 64.073 nel 2012; il tasso di crescita degli stabilimenti aziendali nelle ZFU è stato pari a: 11,7% nel 2008, 8,8% nel 2009, 9,1% nel 2010, 0,5% nel 2011, 3,5% nel 2012; mentre nelle unità urbane di riferimento fuori dalla ZFU: 4,1% nel 2008, 6,3% nel 2009, 8,7% nel 2010, 2,5% nel 2011, 2,7% nel 2012.

68 Per una analisi completa dei costi vedasi p. 153 ss. del Rapporto 2014: costo di 419 M€ nel 2011, in ribasso del 29% in tre anni; 93 ZFU esistono in metropoli e 7 oltremare; 64.073 stabilimenti sono nati all’inizio 2012 nelle ZFU metropolitane; il tasso di crescita degli stabilimenti in attività in stabilizza nel 2012 al 3,5%.

69 La nota espressione è stata coniata da BORIA, L’antisovrano. Potere tributario e sovra-nità nell’ordinamento comunitario, Torino, 2004.

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caso sostanziandosi in una ragionevole interpretazione ed applicazione della normativa comunitaria sugli aiuti di Stato. Se da un lato, il sistema delle ZFU nasce quale ampliamento degli spazi in deroga al divieto degli aiuti di Stato, da altro lato, l’apposizione del limite dei de minimis “chiude il cerchio” rispon-dendo ad esigenze di non discriminazione e di urgenza provvedimentale.

Allo stato dell’arte confrontando il primo risultato conseguito dall’espe-rienza sarda con la pluriennale esperienza francese già affermatasi, appare opportuno formulare un’ipotesi sul possibile scenario che si verrà a delinea-re nella realtà locale dei Comuni delle Provincie di Carbonia-Iglesias e, indi-rettamente, sul territorio regionale della Sardegna.

La Zona Franca Urbana come sopra ideata, non particolarmente propen-sa all’attrazione di capitali esterni, necessita per conseguire risultati di effi-cienza ed efficacia un’importante organizzazione logistica e territoriale. Una criticità, intuibile da quanto già verificatosi nell’esperienza francese che po-trebbe avverarsi anche in quella sarda, è costituita dalla scarsa crescita eco-nomica realizzatasi all’interno delle ZFU in Francia nel picco della crisi eco-nomica: così anche in Sardegna, Regione già penalizzata economicamente da una arretratezza rispetto la media nazionale, sfavorita dal fattore dell’in-sularità, si può correre il rischio che una ZFU, pur inizialmente capace di ri-scuotere un discreto successo e coinvolgimento delle imprese locali, non sia in grado di intercettare capitali stranieri e non generi una crescita maggiore di quella che si dovrebbe verificare nei territori non agevolati presenti nel resto dell’isola. Resta fuor di dubbio, la necessità di proseguire il monitorag-gio della concreta applicazione delle ZFU nei Comuni delle Provincie di Carbonia-Iglesias al fine di poter effettuare un’analisi consuntiva e proporre eventuali correttivi all’insieme delle agevolazioni che caratterizzano le Zone Franche Urbane per consentire un effettivo sviluppo dei quartieri, delle aree depresse e di tutta la Provincia “franca”.

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Valerio Ficari

CRISI DI LIQUIDITÀ, OMESSO VERSAMENTO E FORZA MAGGIORE: QUID IURIS?

FINANCIAL CRISIS, OMITTED TAX PAYMENT AND FORCE MAJEURE: QUID IURIS?

Abstract La crisi economica spesso causa il mancato versamento di imposte sul reddito, sul valore aggiunto e di ritenute alla fonte, attraverso cui il contribuente può au-tofinanziarsi. La giurisprudenza ha indicato alcune condizioni perché si possa configurare la causa di forza maggiore o lo stato di necessità che possano rendere la condotta non sanzionabile. Parole chiave: IVA, ritenute, crisi, omesso versamento, non punibilità

The economic crisis often causes the non-payment of income taxes, value added tax and withholding taxes, through which the taxpayer may finance itself. The case law has identified certain conditions that show the existence of force majeure and status of necessity that might render non-punishable the conduct. Keywords: VAT, withholding taxes, crisis, omitted tax payment, non-punishability

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Reati dichiarativi e omesso versamento di tributi. – 3. Le indicazioni ritraibili dalla giurisprudenza (dolo generico, obbligo di accantonamento, forza maggiore). – 4. Possibili aperture e relative condizioni. – 4.1. Il dolo. – 4.2. La forza maggiore. – 4.3. Lo stato di necessità.

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1. Premessa

Uno dei temi interstiziali tra il diritto penale e il diritto tributario più fre-quentemente affrontati, in questi ultimi anni, dalla sezione penale della Cor-te di Cassazione è quello dell’eventuale rilevanza della crisi di liquidità ai fini della configurabilità degli illeciti penali di omesso versamento, in particolare sia dell’imposta sul valore aggiunto che delle ritenute applicate, tipizzati nel novellato D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

L’indirizzo interpretativo non si è ancora stabilizzato in orientamenti uni-voci

1, oscillando tra posizioni tradizionaliste incardinate su quanto statuito nella vigenza della L. 7 agosto 1982, n. 516 e posizioni, invece, più aperte verso forme, seppur diverse, di apprezzamento della sussistenza dell’elemen-to psicologico del reato e dell’impossibilità di adempiere all’obbligo di ver-samento a causa della mancanza delle risorse avendo impiegato quelle ac-cantonate (o che si sarebbero dovute da accantonare) per il pagamento di cre-ditori privati (quali i dipendenti, fornitori e/o banche) 2.

La questione, peraltro, si rivela di confine tra il penale/tributario e il tri-butario/amministrativo

3 e può essere meglio affrontata in ragione della so-miglianza tra il contenuto degli artt. 45 e 54 c.p. e quello dell’art. 6, comma 5 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 in punto di forza maggiore e di stato di necessità.

L’interesse per un’analisi interdisciplinare muove anche dalla circostanza che la specialità tra i due sistemi non è ancora recepita in modo consolidato: si è, anzi, ipotizzato un rapporto di progressione illecita tale da giustificare l’applicazione congiunta di entrambe le sanzioni

4. Tale eventualità parrebbe impedita da una recente sentenza della Corte Eu-

ropea dei Diritti dell’Uomo che escluderebbe, quantomeno in seno ai tributi

1 Per un quadro di insieme COALOA, Omesso versamento Iva e illiquidità, in Riv. dir. trib., 2013, III, p. 41 ss.; CARDONE PONTIERI, L’incidenza dell’illiquidità sui reati di cui agli artt. 10 bis e 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000, ibidem, 2013, p. 19 ss.

2 Tra gli altri anche per riferimenti VALSECCHI, Omesso versamento delle ritenute di ac-conto e dell’IVA, in Treccani. Il libro dell’anno del diritto 2014, 2014, p. 181 ss.

3 Per considerazioni da ultimo vedi PISTOLESI, Crisi e prospettive del principio del “dop-pio binario” nei rapporti fra processo e procedimento tributario e giudizio penale, in Riv. dir. trib., 2014, I, p. 29 ss.

4 In tal senso Cass., sez. un., 12 settembre 2013, n. 37425 e 37424, in Riv. dir. trib., 2013, II, p. 253 e ss. con nota di CARACCIOLI, Riflessioni sui reati di omissione propria e sulle cause di non punibilità suscitate dalle Sezioni Unite della Cassazione e in GT-Riv. giur. trib., 2013, p. 935 ss. con nota di SOANA, Le Sezioni Unite sui reati per omesso versamento Iva e ritenute.

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Valerio Ficari

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armonizzati, l’irrogazione della sanzione amministrativa pur temperata dalla sospensione dell’esecuzione fino all’esito del giudizio penale

5.

2. Reati dichiarativi e omesso versamento di tributi

La struttura principale del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, come è noto, si incentra sui delitti in materia di dichiarazione distinguendo la rilevanza del comportamento sotto il versante attinente sia alla dichiarazione che alla li-quidazione delle imposte.

Negli illeciti tipizzati negli artt. 2-5 del D.Lgs. n. 74/2000, l’omesso versa-mento, rilevante, ovviamente, se superiore alla soglia di punibilità, può, quin-di, essere apprezzato quale conseguenza dell’altro elemento costituito dalla natura fraudolenta ed infedele della dichiarazione

6 ovvero dalla sua omis-sione.

Negli illeciti di cui agli artt. 10 bis e 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000 7 tutto

ciò è ancora più palese: l’omesso versamento è del tutto sganciato, ai fini della configurabilità del reato, dall’illecito dichiarativo.

La necessità, però, di valorizzare e distinguere le fattispecie ha un fonda-mento anche storico ovvero la circostanza che gli illeciti penali esclusivamen-te omissioni del versamento non erano conosciuti fino all’intervento modi-ficativo, operato in seno al D.Lgs. n. 74/2000 dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223 conv. con modifiche nella L. 4 agosto 2006, n. 248 a seguito del quale, per l’IVA e le ritenute, la mera condotta dell’omesso versamento acquisirebbe rilevanza autonoma.

I reati omissivi in esame, infatti, sono perseguiti per il solo mancato ver-samento dell’IVA e delle ritenute nonostante una corretta e tempestiva pre-sentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sul reddito e dell’IRAP.

5 CEDU, 4 marzo 2014, nn. 18640/10, 18647/10, 18663710 e 18698/10 Grande Ste-vens e altri vs. Italia; v. GIOVANNINI-MURCIANO, Il principio del “ne bis in idem” sostanziale impedisce la doppia sanzione per la medesima condotta, in Corr. trib., 2014, p. 1548 ss.

6 Per una visione di insieme per tutti MICELI, Il sistema sanzionatorio tributario, in AA.VV., Diritto tributario, a cura di Fantozzi, Torino, 2012, p. 955 ss.

7 L’art. 10 bis, infatti, individua il reato di omesso versamento delle ritenute certificate entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale purché sia superata la so-glia di € 50.000,00; l’art. 10 ter del medesimo Decreto prevede che la disposizione di cui all’art. 10 bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valo-re aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.

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L’assenza del reato dichiarativo rende logico ipotizzare che la disciplina delle fattispecie non possa essere più gravosa, in termini di condizioni sog-gettive (es. dolo specifico o generico) ed oggettive e di scriminanti, rispetto a quella dei delitti di cui agli artt. 2-5, ciò anche per la necessaria esigenza di una interpretazione costituzionalmente orientata.

Oltre a ciò, all’interno della stessa categoria dei reati omissivi una diversi-tà genetica dell’illecito è rilevabile qualora l’omesso versamento attenga alle imposte sul reddito: in questo caso verrebbero meno alcune delle caratteri-stiche comportamentali che la giurisprudenza ha valorizzato in materia di IVA e di ritenute e, cioè, la disponibilità finanziaria delle risorse da parte del reo in quanto ricevute dal cessionario o committente o non erogate al sosti-tuito e, quindi, l’eventuale obbligo di accantonamento o, quantomeno, la previa disponibilità delle somme non versate

8. Di qui, l’assenza di una provvista esterna alla gestione del trasgressore co-

stituirebbe elemento differenziale tale da dover ipotizzare esiti interpretativi non necessariamente identici a quelli propri dell’IVA e delle ritenute.

3. Le indicazioni ritraibili dalla giurisprudenza (dolo generico, obbligo di ac-cantonamento, forza maggiore)

Ciò premesso, nella recente esperienza giurisprudenziale (non più solo dei giudici di merito ma anche) della sezione penale della Cassazione i reati omissivi stanno occupando molto spazio, soprattutto in sede di contestazio-ne della legittimità dei provvedimenti cautelari e di sequestro.

In tali occasioni viene in luce rispetto alla struttura degli illeciti de quibus l’asserita presenza del solo dolo generico, inteso come mera consapevolezza di omettere un versamento dovuto e non, invece, di quello specifico, ele-mento psicologico, il quale ultimo, se configurato, delimiterebbe assai la con-figurabilità degli illeciti stessi.

L’orientamento che ritiene trattarsi di dolo generico 9 sottolinea la con-

sapevolezza del trasgressore di omettere il versamento di quanto incassato

8 V. GIOVANNINI, Impossibilità di pagare le imposte nelle imprese in crisi: la forza maggiore esclude la pena, in Corr. trib., 2012, p. 3254 ss. il quale condivide la distinzione di cui al testo.

9 Sulla configurabilità del dolo generico Cass., sez. un., 12 settembre 2013, n. 37425 e 37424, cit.; adde Cass. pen., sez. III, 15 maggio 2014, n. 20266; Id., 17 gennaio 2013, n. 9578, in Riv. dir. trib., 2013, III, p. 41 ss. con nota di COALOA, op. cit.

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dal proprio acquirente o sottratto al sostituito, desumibile dal rilascio della certificazione e dalla presentazione della dichiarazione annuale; di conseguen-za, si assume irrilevante la situazione di crisi e, quindi, la consapevolezza di non versare, enfatizzando l’esistenza di un obbligo da parte del trasgressore di accantonare le somme dovute all’erario al fine dell’adempimento

10 e di cer-care di reperire risorse attraverso atti di dismissione patrimoniale.

Sulla base di queste argomentazioni tale giurisprudenza esclude la confi-gurabilità della scriminante della forza maggiore atteso che la situazione di illiquidità non sarebbe improvvisa ed imprevista.

Pari atteggiamento negativo è adottato in ordine alla sussistenza di qual-siasi stato di necessità ex art. 54 c.p.

11 corrispondente alla difficoltà a riscuo-tere crediti, quantomeno verso clienti privati; i danni gravi di cui all’art. 54 c.p., atterrebbero non a tutti i beni costituzionalmente rilevanti (tra quelli rilevanti ai nostri fini si citano la conservazione dei posti di lavoro, la conti-nuità dell’impresa e la possibilità di evitare il fallimento) ma solo a quelli mo-rali e fisici

12. Inoltre, con riguardo alla crisi causata dal ritardato ovvero omesso paga-

mento da parte di clienti pubblici, si è aggiunto che la difficoltà o impossibi-lità di incassare crediti pubblici sarebbe irrilevante in ragione della possibili-tà della compensazione e, in ogni caso, del rischio di impresa che si assume anche colui che sceglie di operare solo o prevalentemente con enti pubblici

13.

4. Possibili aperture e relative condizioni

La giurisprudenza è approdata anche a lidi diversi da quelli appena men-zionati e ciò offre alcuni spunti per una più approfondita riflessione

14 sulla rilevanza degli elementi soggettivi dell’illecito in termini di non punibilità per “forza maggiore” e di scriminante dello “stato di necessità”, entrambi noti alla legislazione vigente

15.

10 Cass. pen. n. 20266/2014 cit.; Id., 12 maggio 2014, n. 19426; Id., 11 aprile 2014, n. 16028; Id., 3 aprile 2014, n. 15176; Id., 1° aprile 2014, n. 14953.

11 Cass. pen. n. 20266/2014, cit., adde Cass. pen., sez. III, 8 gennaio 2014, n. 15416. 12 V. Cass. pen. n. 20266/2014, cit. 13 In questi termini Cass. pen. n. 20266/2014. 14 L’auspica anche MARINI, L’evasione da riscossione nei reati tributari, in Treccani. Il li-

bro dell’anno del diritto 2014, Roma, 2014, p. 427. 15 La questione ha già interessato in passato la dottrina: v. DEL FEDERICO, Le sanzioni

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4.1. Il dolo

Quanto al profilo soggettivo, il dolo, anche se generico, non sembra pre-sumibile ed accertabile senza tenere in conto avverse circostanze documen-tate e idonee a provare la non imputabilità della difficoltà finanziaria

16. Non si può, infatti, dare per scontato che l’inadempimento agli obblighi

di versamento sia conseguente alla mala gestio del soggetto e che sia sempre possibile per il contribuente trasgressore trovare soluzioni alternative volte al reperimento di risorse.

Non va trascurato che la prova di non colpevolezza (e, quindi, di forza maggiore) in sede penale è esperibile, si noti, con mezzi notoriamente più ampi (es. testimonianze) di quelli solo documentali (cui aggiungere quelli, indiretti, attraverso presunzioni semplici) propri del diritto tributario am-ministrativo e che, quindi, molte circostanze che in sede di accertamento tri-butario difficilmente potrebbero emergere possano, invece, giungere all’at-tenzione del giudice attraverso i canali processuali.

La diversa disciplina delle prove, dunque, rende possibile dimostrare con allegazioni documentali e/o prove testimoniali

17 che la crisi era inevi-tabile

18 per l’impossibilità effettiva di reperire risorse anche attraverso il fi-nanziamento bancario

19oppure la liquidazione del patrimonio personale/so-ciale

20. In questi termini, allora, sarà onere del trasgressore fornire tale prova.

amministrative nel diritto tributario, Milano, 1993, p. 311 ss. il quale proponeva, seppur su di un contesto normativo ora superato, l’affermazione della forza maggiore quale regola logi-co-sistematica.

16 In questi termini interessanti sviluppi potrebbero discendere da Cass. pen., sez. III, 22 maggio 2014, n. 20777.

17 Così Cass. pen. n. 15176/2014, cit.; egualmente sulla necessità della prova e sull’o-nere motivazione del giudice che ritenga, invece, insussistenti le circostanze addotte vedi Cass. pen., sez. III, 7 febbraio 2014, n. 5905, in Corr. trib., 2014, p. 1402 ss. con nota di TRAVERSI, Prova rigorosa della “forza maggiore” per l’omesso versamento di ritenute.

18 V. CARDONE PONTIERI, op. cit., p. 24; FORTE, I reati in materia di dichiarazione ed omessa dichiarazione e le fattispecie penali minori, in AA.VV., Corso di diritto penale dell’impresa, a cura di Manna, Padova, 2010, p. 550; COLAJANNI, Art. 10 bis D.Lgs. n. 7472000, in AA.VV., Commentario breve alle leggi tributarie, a cura di Moschetti, Padova, 2011, p. 604; SOANA, I reati tributari, Milano, 2008, p. 302 ss.; SOANA, Il reato di omesso versamento Iva, in Rass. trib., 2007, p. 111 ss.

19 Vedi Cass. pen. n. 19426/2014, cit.; riconosce tale eventualità previa prova docu-mentale Cass. pen., sez. III, 10 giugno 2014, n. 24341.

20 Cass. pen. n. 20266/2014, cit.

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A riguardo, da un lato, l’impossibilità menzionata potrebbe essere smen-tita se il trasgressore impiegasse risorse disponibili in acquisti ritenuti neces-sari per la sua attività: è, infatti, ovvio che l’investimento in beni produttivi di per sé costituirebbe una scelta non necessaria.

Dall’altro, la condizione che sia esperito il tentativo di soluzioni finanzia-rie attraverso la vendita di beni sembra ipotizzabile solo per la società ma non anche per l’amministratore della stessa: sarebbe, infatti, assurdo gravare tale soggetto di un simile impegno nonostante non sia esso il soggetto nell’inte-resse del quale il reato è stato commesso.

Infine, sebbene il reato omissivo abbia natura istantanea, è logico distingue-re, al fine della valorizzazione dell’effettiva situazione soggettiva di dolo, un’o-missione protrattasi nel tempo da quella occasionale o, quantomeno, tempe-rata dalla successiva rateizzazione o pagamento parziale tardivo

21. Appare utile formulare, pertanto, le seguenti considerazioni:

a) l’esistenza stessa dell’obbligo di accantonamento è discutibile ove si consideri che tali illeciti, di natura istantanea, andrebbero valutati, nella pre-senza dei loro elementi costitutivi, alla data entro la quale l’obbligo va adem-piuto e non anche in momenti a questo anteriori

22; b) tale obbligo perderebbe qualsiasi ragione laddove venisse nominato

un nuovo amministratore, liquidatore o rappresentante legale al quale certo non sarebbe imputabile tale omissione in virtù del principio di personalità della pena

23; c) in terzo luogo, la natura dei debitori inadempienti potrebbe rivelarsi

decisiva in materia di omesso versamento dell’IVA ove questi fossero lo Sta-to, enti territoriali ed altri enti pubblici e l’attività svolta a loro favore costi-tuisse l’esclusivo o il prevalente core business

24; salva la scelta di fatturare con IVA differita ex art. 6, comma 5 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 l’obbligo di versamento sorgerebbe, infatti, al momento dell’emissione della fattura ed il rimedio ultimo altro non sarebbe che una nota di variazione alle non fa-cili condizioni dettate, però, dall’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972;

21 Leggasi ancora in Cass. pen. n. 20777/2014, cit. 22 V. CARACCIOLI, op. cit., p. 260 ss. il quale esclude la sussistenza di un dovere di pre-

ventivo accantonamento. 23 Conforme anche DAMI, Alcune riflessioni sull’applicazione delle sanzioni amministrative

tributarie nelle procedure concorsuali, in Rass. trib., 2002, p. 1295. 24 Vedi Cass. pen., sez. III, 3 aprile 2014, n. 15176; contra Cass. pen. n. 24341/2014, cit. Nel senso del testo nonché, argutamente, che anche lo stesso Stato finisca per autofi-

nanziarsi ogniqualvolta ritardi i pagamenti a favore dei privati MARINI, op. cit., p. 426.

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d) inoltre, quand’anche si assumesse esistente tale obbligo di accantona-mento alla stregua di un elemento costitutivo della fattispecie penale, que-sto, per essere rilevante, dovrebbe essere prevedibile: considerando che gli artt. 10 bis e 10 ter citati sono stati introdotti con vigenza dal 4 luglio 2006, è evidente che per periodi di imposta antecedenti sarebbe mancata qualsiasi conoscibilità dell’obbligo di accantonamento

25; e) infine, in una prospettiva de iure condendo, da un lato, è significativo

che nella recente legge delega si preveda una riforma del sistema penal-tri-butario che garantisca una proporzionalità della pena alla gravità del com-portamento apprezzando circostanze concorrenti che possano escludere o attenuare la lesione degli interessi pubblici

26.

Infine, è indubbio che una compensabilità tra debiti e crediti tributari meno limitata quantitativamente e procedimentalmente, per quanto di ausi-lio nella crisi finanziaria, sarebbe, però, di per sé circostanza tale da limitare la sussistenza di cause di forza maggiore; allo stato attuale, però, non sussistono ancora le condizioni normative immaginate.

4.2. La forza maggiore

La “forza maggiore” cui fanno menzione sia l’art. 45 c.p. che l’art. 6, com-ma 5 del D.Lgs. n. 472/1997 al fine di escludere la punibilità del trasgresso-re è, invece, per sua natura meno condizionata a specifici requisiti come quelli dettati per lo stato di necessità e, quindi, più idonea ad adattare la pro-pria latitudine a tutte quelle situazioni contingenti geneticamente ricondu-cibili alla crisi delle imprese

27. Con riguardo a tale elemento oggettivo, mentre nella giurisprudenza pe-

nale 28 l’impedimento è stato molte volte ricondotto ad eventi materiali e fisi-

ci e solo raramente finanziari 29 in quella tributaria non penale si sono valoriz-

zati la crisi dovuta per la documentata perdita dell’unico cliente a sua volta in

25 In senso diverso dal testo vedi, però, Cass. pen., sez. III, 10 giugno 2014, n. 24341 che conferma un generalizzato obbligo di accantonamento.

26 V. anche MARINI, op. cit., p. 428. 27 Un cenno in tal senso in CARACCIOLI, op. cit., p. 265 ss.; propone una riduzione delle

sanzioni ex art. 7, comma 1 del D.Lgs. n. 47271997; DAMI, op. cit., p. 1294 ss. 28 Ricordata, in alcuni esempi, da CARACCIOLI, op. cit., p. 266 adde Cass. pen., sez. III,

18 febbraio 1992, n. 1355. 29 Cass., 13 ottobre 1981, in Foro it., 1982, II, p. 369.

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crisi 30 o il mancato adempimento del debitore Regione addirittura noto nel-

la stampa 31.

4.3. Lo stato di necessità

In ordine, invece, allo “stato di necessità” ex art. 54 c.p.c., è noto che que-sto esclude la punibilità ove la commissione del fatto illecito consegua alla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno.

Orbene, l’indirizzo giurisprudenziale tradizionale, ancorato ad un concetto di persona cui sarebbe aliena l’impresa societaria in ragione della fisicità del concetto

32, è, ora, affiancato a quello più permissivo 33 il quale individua una

serie di diritti della persona giuridica parimenti rilevanti, ai fini della confi-gurazione del danno grave, rispetto a quelli propri della persona fisica: tra questi, ad esempio, il diritto alla continuità aziendale ed al mantenimento del livello occupazionale.

Sotto l’aspetto relativo alla non evitabilità del danno, per quanto grave, questa è riferibile alle diligenti azioni che l’imprenditore dovrebbe effettuare di cui si è fatto cenno nel paragrafo che precede.

30 CTP Lecce, 23 luglio 2010, n. 352; sulla prevedibilità degli eventi leggasi, in materia di dazi doganali, Cass., sez. trib., 19 settembre 2012, n. 15777; in dottrina per tutti DEL FEDERICO, Le gravi difficoltà economiche del contribuente ai fini delle sanzioni tributarie, in GT-Riv. giur. trib., 1994, p. 737 ss.; AMBROSETTI, Art. 6, in AA.VV., Commentario alle dispo-sizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, Padova, 2000.

31 CTR Lazio, 20 giugno 2012, n. 158, in Corr. trib., 2012, p. 3253 ss. con nota di GIO-VANNINI, cit.

32 Da ultima Cass. pen., sez. III, 10 giugno 2014, n. 24341. 33 Lo ricorda ma ne prende le distanze CARACCIOLI, op. cit., p. 262 ss. e p. 26.

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Franco Gallo

L’IMPOSIZIONE SUI REDDITI SOCIETARI 10 ANNI DOPO LA RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO *

THE TAXATION OF CORPORATE INCOME 10 YEARS AFTER THE REFORM OF COMPANY LAW

Abstract I dieci anni della vigenza della riforma del diritto societario e della contestuale ri-forma del diritto tributario consentono di effettuare un’analisi di tali interventi, tenendo anche conto che, in questo arco di tempo, il legislatore ha più volte mo-dificato le scelte effettuate. Ci si sofferma, in primo luogo, sulla nuova tassazione societaria in sé, prestando particolare riguardo ai rapporti tra soci e società e, dunque, al problema della doppia imposizione del reddito, senza tuttavia trala-sciare l’analisi di altri istituti (consolidato, interessi passivi, abuso, ecc.) che han-no connotato il dibattito in questo decennio. Si affrontano, in secondo luogo, il problema dell’adeguamento del diritto tributario alle norme civilistiche in tema di redazione del bilancio e, tra gli altri, il problema dell’utilizzabilità dei principi IAS/IFRS in materia tributaria, nonché quello della regolamentazione fiscale de-gli strumenti finanziari la cui disciplina civilistica è ispirata alla regulatory competi-tion. Parole chiave: riforma del diritto societario, riforma tributaria, doppia imposi-zione, principio di derivazione, strumenti finanziari After a decade from the Italian reform of company law and the simultaneous reform of the tax system, it is possible to make an analysis of such initiatives, taking into ac-count that, in such period, the lawmaker has often re-defined the choices made.

* Contributo non sottoposto a referaggio. È il testo della relazione svolta dall’Autore al Convegno su “La riforma del diritto socie-

tario 10 anni dopo”, tenutosi a Milano il 13-14 giugno 2014 ed organizzato dalla Rivista Giu-risprudenza Commerciale.

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This paper will firstly focus on the new corporate tax system, by examining, in par-ticular, the relationship between company and shareholders and, then, on double tax issues, without neglecting the analysis of other measures (e.g. tax consolidation rules, passive interests, abuse of law, etc.) that have characterized the debate in this decade. Secondly, the research will focus on the adjustment of tax law to civil rules governing the drafting of financial statements and, among others, on the issue concerning the applicability of IAS/IFRS in tax matters and the tax discipline of financial instru-ments, whose civil rules are shaped on the regulatory competition. Keywords: corporate law reform, tax law reform, double taxation, dependency prin-ciple, financial instruments

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. L’introduzione nel 2003 dell’IRES e la riproposizione del (falso) problema della doppia imposizione del reddito prodotto. – 3. Il “respiro corto” del legislatore fiscale del 2003 e del 2008. – 3.1. In tema di interessi passivi, di consolidato fiscale e di soggettivizzazione dei trust. – 3.2. Segue: in tema di soggetti IRES. – 3.3. Segue: in tema di abuso del diritto. – 4. L’in-stabilità legislativa della disciplina IRES. – 5. Il problema del difficile adeguamento del diritto tributario dell’impresa alle norme civilistiche sulla determinazione del reddito societario e sulla qualificazione degli strumenti finanziari. – 5.1. La determinazione del reddito societario e l’ap-plicazione del principio fiscale di derivazione. – 5.2. Il c.d. disinquinamento del bilancio realiz-zato nel 2003 e gli interventi di segno opposto effettuati dalla legge finanziaria per il 2008. – 5.3. L’avvento degli IAS/IFRS. – 5.4. Il difficile adeguamento della normativa fiscale alla disci-plina civilistica degli strumenti finanziari. – 6. Conclusioni.

1. Premessa

I dieci anni di vigenza del “nuovo” diritto societario coincidono con quelli della nuova imposta sui redditi societari. È, infatti, con il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 che si è disciplinata, in attuazione della delega contenuta nella L. n. 80/2003, l’imposta sui redditi societari (IRES), la quale dopo tanti an-ni ha preso il posto della vecchia, gloriosa IRPEG prevista dalla legge delega n. 825/1971 e regolata per trent’anni con il D.Lgs. n. 598/1973 e con il suc-cessivo D.P.R. n. 917/1986 (TUIR).

Ma il collegamento tra il regime fiscale del reddito societario e la riforma del diritto societario del 2003 non è solo d’ordine temporale. Esso è pure d’ordine sostanziale nel senso che l’entrata in vigore del nuovo diritto socie-tario ha messo in moto un processo di revisione del regime fiscale delle socie-tà e dei titoli da essi emessi, iniziato appunto con il richiamato D.Lgs. n. 344 e

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proseguito con altre leggi fino alla legge finanziaria per il 2008. Questo duplice motivo di collegamento mi induce, in primo luogo, a trat-

tare, sia pure per grandi linee, della nuova tassazione societaria in sé, con particolare riguardo al rapporto tra la società che lo produce e il socio che lo percepisce e ad alcuni specifici, discutibili interventi effettuati dal legislatore nel decennio; in secondo luogo, a mettere a fuoco le difficoltà che, via via, gli interpreti e il legislatore hanno incontrato al fine di rendere consonante e di adeguare il diritto tributario dell’impresa al “nuovo” diritto societario e ai principi contabili internazionali.

2. L’introduzione nel 2003 dell’IRES e la riproposizione del (falso) problema della doppia imposizione del reddito prodotto

Il primo problema da affrontare è quello, direi quasi storico, della c.d. dop-pia tassazione dei redditi societari, sulla cui soluzione si sono da anni con-centrati con alterne vicende il legislatore e la dottrina.

Il citato D.Lgs. n. 344/2003 appare al riguardo ambiguo e la relazione che l’accompagna ultronea. Dalla lettura di detta relazione risulta, infatti, con molta chiarezza che la riforma dell’imposizione dei redditi societari e, in par-ticolare, la sostituzione dell’istituto del credito d’imposta con un sistema di parziale esenzione degli utili percepiti dai soci (il c.d. regime p.ex.) avevano lo scopo di trasformare la fino allora vigente IRPEG di natura personale in un’imposta reale che colpisse il reddito prodotto una sola volta in capo alla società che lo produce. In termini di politica fiscale, l’obiettivo perseguito a medio e lungo termine era, in particolare, l’eliminazione della “doppia im-posizione” degli utili societari e, perciò, l’assoggettamento ad imposta del solo reddito prodotto dalla società, in quanto unica titolare dell’attività eco-nomica produttiva di tale reddito e la tendenziale esclusione da tassazione del reddito percepito dal socio.

Se, però, si passa dalla suddetta relazione alle vigenti norme contenute nel richiamato decreto legislativo, ci si rende subito conto di un’insanabile discrasia tra ciò che in essa è auspicato, ciò che è scritto nel provvedimento e quel che è stato il suo sviluppo in quest’ultimo decennio. Dal contesto del-le norme varate nel 2003 non appare, infatti, alcuna consistente traccia della prospettata riconversione del sistema di tassazione societaria in termini di realità. Si ha solo la conferma che l’eliminazione del credito d’imposta e la sua sostituzione con il regime di esenzione p.ex. sono state frutto di un ade-guamento alla normativa comunitaria in materia, la quale consentiva al legi-

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slatore nazionale di optare tra il criterio del credito d’imposta e quello del-l’esenzione, con la condizione – peraltro irrealizzabile – che ove si optasse per il credito d’imposta esso avrebbe dovuto essere concesso anche ai non residenti. La scelta del criterio dell’esenzione va, dunque, giustificata unica-mente con il fatto che il sistema dell’esenzione era meno oneroso, più facil-mente gestibile e meno esposto al rischio di arbitraggi fiscali.

A non voler mettere in dubbio la buona fede politica del governo propo-nente, il riferimento fatto nella relazione all’eliminazione della doppia im-posizione degli utili societari – e, in particolare, alla non tassazione di essi in capo al socio – può tuttalpiù interpretarsi come l’indicazione di un mero in-dirizzo politico da attuare nel prosieguo. Tale indirizzo non si è, però, rea-lizzato ed, anzi, nel tempo si è sempre più avvalorata la tesi che l’esenzione solo parziale degli utili distribuiti ai soci-soggetti IRES e la tassazione piena di quelli percepiti dai soggetti IRPEF costituivano, nel loro insieme, la con-ferma della regola della doppia imposizione, e cioè della tassabilità in via di principio del reddito societario anche in capo al suo percettore.

Personalmente, sono dell’opinione che questo problema – che ci trasci-niamo dagli anni ’50 del secolo scorso e che affonda le sue radici nei primi anni dello stesso secolo – debba essere risolto nel senso che la doppia tassa-zione debba permanere. Ciò non certo per eccesso di fiscalità, ma perché ri-tengo la doppia tassazione giustificata sia sul piano economico che su quello giuridico. Il nostro sistema tributario è, infatti, strutturato su due distinte imposte personali: una che colpisce il soggetto persona giuridica, l’altra che grava sul soggetto socio persona giuridica o persona fisica. È, perciò, proprio la personalità dell’imposizione che porta inevitabilmente a non considerare identico il reddito in capo alle due categorie di soggetti e ad ostacolare qua-lunque ricostruzione che concentri la tassazione su un solo soggetto passivo.

Ma anche se si ragionasse in una prospettiva di imposizione reale, quale sarebbe quella indicata dalla suddetta relazione governativa, questa conclu-sione rimarrebbe valida. La riforma societaria del 2003 e la classificazione differenziata dei presupposti delle imposte sul reddito per categorie reddi-tuali offrono, infatti, argomenti difficilmente superabili a favore della doppia imposizione (soprattutto quando il socio è una persona fisica). Quanto alla riforma societaria, non v’è dubbio che la destinazione di mezzi economici allo svolgimento dell’attività sociale è ora vista più in termini “di impiego” di tali mezzi in funzione della percezione degli utili che di “partecipazione” al-l’attività sociale. Quanto alla differenziazione delle categorie di reddito, pro-prio il fatto che, ai sensi della ricordata disciplina civilistica, la destinazione

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dei mezzi economici è fatta dal socio come investitore – e cioè come sogget-to che impiega un capitale – non può che portare a qualificare i presupposti di imposizione in funzione delle circostanze assunte come fonti del reddito soggetto a imposta. Ed è indiscutibile che, sotto questo angolo visuale, anche nell’imposizione reale il reddito prodotto dalla società e la parte di esso spet-tante al socio avrebbero una doppia connotazione. Deriverebbero, rispetti-vamente e distintamente, in un caso, dall’esercizio dell’attività sociale e, nel-l’altro, dall’impiego del capitale investito.

Coerentemente all’evoluzione della disciplina societaria, i rapporti tra le società e i soci che partecipano ai suoi utili vanno perciò apprezzati, ai fini dell’IRES, nel senso che la società è solo un mezzo per la raccolta di capitali che sono tassati nella misura del reddito da essa prodotto e, ai fini dell’im-posizione dei soci, gli utili da questi percepiti sono il frutto del loro inve-stimento, e cioè sono il reddito del capitale investito. È, perciò, molto diffi-cile motivare in termini di mera “esclusione” e non di esenzione l’attuale (tra l’altro) parziale detassazione dei redditi da partecipazione agli utili so-cietari limitata alle società partecipanti e non alle persone fisiche socie. Questa detassazione deve essere, infatti, considerata non un’attenuazione della duplicazione d’imposta, ma una disciplina agevolativa diretta a pro-muovere le strutture societarie come strumento di raccolta di disponibilità finanziarie.

3. Il “respiro corto” del legislatore fiscale del 2003 e del 2008

3.1. In tema di interessi passivi, di consolidato fiscale e di soggettivizzazione dei trust

In altre sedi e in diversi contesti (rapporto della commissione Biasco, gli scritti di L. Salvini, A. Fedele, V. Visco ed altri ancora) si è posto ben in evi-denza il “respiro corto” dimostrato in questo decennio dal legislatore fiscale in materia di reddito d’impresa. Do conto qui di seguito solo degli interventi legislativi in tema di interessi passivi, di consolidato fiscale e di soggettiviz-zazione dei trust, che mi sembrano i più criticabili.

Quanto agli interessi passivi, l’intervento è stato piuttosto contradditto-rio. In un primo momento, con la riforma del 2003 si è abbandonata la dual income tax (DIT), che prevedeva un premio in termini di riduzione di ali-quota per le società che utilizzavano capitale proprio e la si è sostituita con l’adozione di misure fortemente “punitive” per le società sottocapitalizzate

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(la cosiddetta thin capitalisation). In un secondo momento, nel 2008, queste misure sono state abrogate, riproponendosi di incentivare la capitalizzazio-ne con mezzi propri attraverso la commisurazione della deducibilità degli interessi passivi eccedenti quelli attivi ad una prestabilita percentuale del ROL (con deducibilità delle eventuali eccedenze negli esercizi successivi). Nel 2011, poi, il governo Monti ha introdotto un sistema più perfezionato, c.d. sistema ACE (allowance for corporate equity), che prevede la possibilità di dedurre dalla base imponibile dell’imposta non solo gli interessi passivi, ma anche il rendimento teorico normale del capitale proprio. L’ACE, in so-stanza, è equivalente a una DIT con aliquota 0 (anziché 19%) sul rendimen-to ordinario del capitale proprio.

Quanto al regime del consolidato fiscale, la legge del 2008 ha annullato la maggior parte dei vantaggi che esso nella precedente riforma attribuiva e che erano coerenti all’essenza civilistica dell’istituto. Si è eliminata, in particolare, la previsione della totale neutralità fiscale delle cessioni infragruppo e della distribuzione di dividendi, sempre infragruppo, fondata sulla oggettivizzazio-ne delle attività produttive e si è ammessa solo la concorrenza delle perdite delle società del gruppo alla determinazione della base imponibile consolida-ta e la trasferibilità delle eccedenze degli interessi passivi infragruppo.

Quanto, infine, al regime fiscale dei trust, mi limito qui a sottolineare una patente incongruenza del legislatore nell’attribuire, da un lato, ad essi la sog-gettività fiscale ai fini IRES e, dall’altro, nel negare tale soggettività e privile-giare la tassazione per trasparenza dei beneficiari, nei casi in cui essi siano individuati. Così operando, il legislatore non ha tenuto conto del fatto che l’individuazione dei beneficiari ab origine esclude di fatto l’esistenza di un trust e che anche nei trust discrezionali tale individuazione è inevitabile e non giustifica, quindi, la tassazione per trasparenza. Se a ciò si aggiunge la discu-tibile forzatura della ratio dell’imposta sulle donazioni effettuata assogget-tando a tale tributo gli atti di dotazione del trust, e cioè atti che costituisco-no vincoli di destinazione non aventi affatto scopo liberale, si capisce come la disciplina di questo istituto sia ancora insoddisfacente e non incentivi cer-to l’istituzione di trust italiani.

3.2. Segue: in tema di soggetti IRES

La riforma del 2003 non ha mutato la classificazione dei soggetti passivi IRES. Nell’art. 73 TUIR è rimasta, infatti, la vecchia formula che, con riferi-mento alle società e agli enti non tipizzati, individua quali soggetti all’impo-sta societaria «... le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti

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passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell’imposta si verifica in modo unitario e autonomo». Se, però, passiamo dalla specifica elencazione e dalla suddetta formula al complesso della disciplina tributaria sopravvenu-ta in questi ultimi anni, ci si rende conto quanto possa essere a volte difficile ricondurre alla tradizionale nozione di soggetto come organizzazione “non appartenente ad altri soggetti passivi” una serie di centri di imputazione e di effetti impositivi dotati di una propria autonomia patrimoniale. Solo per fa-re degli esempi, si pensi alle reti d’impresa prima che acquisissero la sogget-tività giuridica nella forma di “reti soggetto” con il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, e, soprattutto, alle gestioni, nell’interesse collettivo di una pluralità di soggetti, di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e beni affida-ti da terzi, di cui all’art. 44 TUIR.

Anche la giurisprudenza sembra confermare questa lenta metamorfosi dei soggetti passivi IRES. Mi riferisco al concetto di stabile organizzazione di gruppo ricavabile da diverse sentenze della Suprema Corte. Ad esempio, nel noto caso Philip Morris, detta Corte (sentt. nn. 3367 e 3368/2002) ha affermato che «una o più società del gruppo possono esercitare un’attività di gestione attraverso una struttura operante nello Stato della fonte, come parte integrante di un più vasto programma facente capo al gruppo». Da ta-le sentenza emerge un orientamento diretto a ritenere che le sinergie delle diverse società, alle quali la struttura nazionale fa riferimento, non possono non essere unitariamente considerate. Non altrimenti può interpretarsi quel passo in cui si afferma che costituisce «indebito frazionamento del fenome-no [stabile organizzazione] la mancata utilizzazione di tutti gli elementi di prova che, pur non riguardando il singolo rapporto tra ciascuna società e struttura nazionale servente, contribuiscano a verificare l’esistenza di un ra-pporto di dipendenza in relazione ad un programma al quale diverse società del gruppo contribuiscono». Mi si permetta l’autocitazione, ma questa sen-tenza riecheggia in modo impressionante ciò che dicevo più di trent’anni fa, e cioè che la stabile organizzazione sta sempre più divenendo l’emblema di una dimensione socio-economica che sfiora la soggettività giuridico-tributa-ria senza mai toccarla.

Dagli esempi fatti mi pare risulti abbastanza evidente che, in tema di sog-gettività, l’evoluzione del tessuto normativo e della giurisprudenza è sempre più nel senso della valorizzazione dell’organizzazione, delle iniziative e dei programmi quali centro di imputazione di effetti giuridici e delle dinamiche economiche dell’impresa. Si lascia, invece, sullo sfondo la figura soggettiviz-zata formale dell’imprenditore e l’involucro costituito dalla società di capita-

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li. In questo senso, anche lo stesso consolidato IRES, di cui ho detto, po-trebbe costituire un paradigma normativo di questo scenario da tributo “sen-za soggetto”.

Gian Antonio Micheli aveva ben chiara questa situazione quando distin-gueva tra soggetto contribuente – che è poi quello che, ponendo in essere il presupposto di imposta, dimostra una specifica capacità contributiva – e co-lui che il legislatore, al fine di accrescere il numero di soggetti che garanti-scono la percezione del tributo, ritiene di dover assumere quale obbligato al pagamento di esso. Affermava, infatti, Micheli al riguardo che «la soggettivi-tà non è un mito, ma una tecnica che persegue finalità a seconda della struttu-ra del tributo».

3.3. Segue: in tema di abuso del diritto

In questi ultimi anni ha assunto particolare rilievo, specie per l’operativi-tà delle grandi imprese, il tema dell’elusione e dell’abuso del diritto, tanto da indurre il legislatore fiscale a definire, con l’art. 5 della legge delega 11 mar-zo 2014, n. 23 una clausola generale del divieto dell’abuso del diritto che ri-calchi la disciplina civilistica dell’analogo istituto del negozio in frode alla legge previsto dall’art. 1344 c.c. Questo intervento legislativo si è reso neces-sario per eliminare una grave situazione di incertezza nell’applicazione del-l’IRES, provocata, specie negli ultimi anni, dalla discutibile disciplina fiscale dell’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973 e successive modifiche e da numerose pronunce in materia della Corte di Cassazione. Esso dovrebbe permettere agli operatori italiani ed esteri di contare su più precise e certe regole fiscali nelle scelte di investimento e di localizzazione nel nostro Paese.

Il tema dell’abuso del diritto e dell’elusione interessa anche il diritto civi-le, perché il disconoscimento degli effetti fiscali delle fattispecie civilistiche, che è la conseguenza dell’accertato abuso, costituisce una rilevante fonte di divaricazione tra il sistema civilistico e quello fiscale; divaricazione aggrava-ta – in termini concreti e di direi quasi sociologici – dal fatto che la clausola fiscale antiabuso ha avuto effetti molto dirompenti per quanto riguarda sia gli eccessi autoritativi del fisco, sia la mancanza della previsione di un soddi-sfacente contraddittorio che tali eccessi prevenga.

È noto il dibattito attualmente in corso sul tema. Esso si è acceso in Italia soprattutto negli anni ’80 quando il fenomeno ha assunto, in concreto, pro-porzioni rilevanti. Si pensi alle operazioni di dividend washing, di usufrutto di azioni, di acquisto di azioni proprie, a quelle – portate alla ribalta dalle re-centi cronache giudiziarie – di acquisto di azioni cum cedola e rivendita ex-

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cedola (con l’utilizzazione del diverso regime p.ex. di esenzione) e a quelle di double-tip fondate sul doppio sfruttamento del credito d’imposta per tri-buti pagati all’estero, nonché alle c.d. operazioni conduit o di credito passan-te (che hanno alle loro spalle una storia contraddittoria di interventi legisla-tivi specifici diretti, prima, a vietarle e, poi, ad ammetterle). La Corte di Cas-sazione con numerose sentenze, prima, ha affermato l’impossibilità di appli-care l’art. 1344 c.c. anche agli effetti fiscali, poi, ha dichiarato la nullità del negozio elusivo per mancanza di causa concreta (n. 20398/2005), infine, ha riconosciuto l’inopponibilità del negozio stesso per violazione del principio comunitario antiabuso riconducibile a quello di lealtà reciproca tra contri-buente e fisco (n. 21212/2006). Il problema si è, però, radicalizzato nel 2008 quando la stessa Corte, con le sentenze n. 3055 e n. 3057, ha abban-donato le precedenti impostazioni e ha riportato l’abuso del diritto nell’al-veo dei negozi realizzati in frode alla legge imperativa fiscale, definendolo come “uso distorto degli strumenti giuridici” utilizzati e motivandone l’illi-ceità – e, perciò, l’inopponibilità al fisco – con riferimento al principio costi-tuzionale di capacità contributiva. Essa ha, in particolare, affermato che «non può non ritenersi insito nell’ordinamento, quale diretta derivazione delle norme costituzionali [art. 53 Cost.], il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’uso distorto, pur se non contra-stante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ot-tenere un risparmio fiscale».

Con queste pronunce la Corte ha, dunque, ritenuto applicabile il princi-pio generale antiabuso in tutti i casi in cui l’amministrazione finanziaria è in grado di dimostrare la fraudolenza delle operazioni assoggettabili ad impo-sta. Questa regola interpretativa si è, però, rivelata generica e insoddisfacen-te, perché ha posto il problema, di non facile soluzione, di cosa si intenda per operazione fraudolenta. Ci si è chiesto cioè, senza avere soddisfacenti risposte, se sia sufficiente dimostrare, come ha ritenuto la Corte di Cassazio-ne, che l’operazione è stata posta in essere in assenza di valide ragioni eco-nomiche e con eccesso di abilità fiscale evidenziato dalla tortuosità della ri-costruzione giuridica o se, invece, si debba anche dimostrare l’artificiosità e la preordinazione delle operazioni, la anormalità delle procedure usate e la manipolazione e alterazione di schemi negoziali classici che sarebbero irra-gionevoli in una normale prassi di mercato.

La legge delega di cui ho detto sembra muoversi, nel suo art. 5, in que-st’ultima direzione. La mia personale opinione è molto sinteticamente che, in ogni caso, questi interrogativi dovrebbero essere risolti facendo ricorso alla definizione di abuso accolta dalla Corte di Giustizia Europea, la quale in

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numerose sue sentenze sull’argomento (la cui capostipite è la nota sentenza Halifax CGCE, del 21 febbraio 2006 C-255/02 in materia di IVA) ha af-fermato che alla prova dell’aggiramento, dell’artificiosità e della tortuosità del-la ricostruzione giuridica debba aggiungersi anche l’accertamento che l’attri-buzione del vantaggio fiscale si pone oggettivamente in conflitto con l’obiet-tivo perseguito dalle disposizioni formalmente osservate.

4. L’instabilità legislativa della disciplina IRES

Nell’ottica della politica fiscale, l’IRES si presta a un giudizio, diciamo così, ancipite. Da una parte, è un tributo che, attraverso il richiamato regime di agevolazione p.ex., ha positivamente avvicinato l’ordinamento fiscale italia-no ai parametri comunitari della tassazione societaria e ha, altrettanto posi-tivamente, consentito una qualche riduzione del carico fiscale in un’ottica di tax competition (compensata, peraltro, dalla permanenza dell’IRAP e da un allargamento delle basi imponibili, ad esempio, la giusta eliminazione degli ammortamenti anticipati). Dall’altra, la sua istituzione ha nello stesso tem-po aumentato, anziché ridotto come promesso, le differenze di trattamento tra i soci-soggetti IRES (parzialmente esentati) e i soci-persone fisiche sog-getti IRPEF (tassati con aliquote sempre più maggiorate). Addirittura, l’in-troduzione del sistema p.ex. è stata considerata come una misura da paradi-so fiscale a beneficio delle holdings, in quanto la sua applicazione ha com-portato il non assoggettamento a tassazione delle plusvalenze da cessioni di partecipazioni sia nel caso in cui esse derivino da utili accantonati e prece-dentemente tassati (nel qual caso l’esenzione ha un senso), sia in quello in cui derivino da variazioni dei relativi prezzi o da maggiori redditi futuri me-ramente “attesi”.

Il fatto è che, a seguito dell’alternarsi in questi ultimi dieci anni di governi di diverso orientamento, l’evoluzione della tassazione delle imprese in Italia ha avuto un andamento fortemente oscillante e in certa misura contraddit-torio, con riforme che si sono succedute senza una logica complessiva, anzi spesso con l’obiettivo di smentire decisioni precedenti. Soprattutto, il cam-biamento continuo della normativa non ha favorito le decisioni a medio termine delle imprese e le ha private degli importanti elementi della certezza e della stabilità del sistema. Sono significative al riguardo le vicende, di cui ho dato conto, della DIT, dell’ACE, della deducibilità degli interessi passivi e quelle del disinquinamento, prima, e della riunificazione dei due regimi (ci-vilistico e fiscale), dopo, dei quali dirò più avanti.

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A ciò va aggiunto un certo timore – che serpeggia nelle cancellerie dei più grandi paesi dell’eurozona – che l’evoluzione dell’imposizione societaria possa passare attraverso una distruttiva corsa al ribasso delle aliquote a favo-re dei paesi a più bassa tassazione o fuori dall’eurozona. Un esempio molto chiaro di questa prospettiva è rappresentato, già ora, dalla recente vicenda della Fiat, che ha costituito una newco di diritto olandese destinata a incor-porare Fiat Spa e Chrysler, ma con sede fiscale nel Regno Unito e quotazio-ne principale a Wall Street. Ciò è stato reso possibile dalla normativa che esi-ste in Olanda e Regno Unito, che consente a una società, costituita secondo il diritto societario di un paese, di continuare ad applicare la normativa so-cietaria del paese stesso e, nel contempo, di trasferire nell’altro paese la sede direzionale effettiva e, quindi, la residenza fiscale sfruttando i vantaggi di ambedue le legislazioni. Il diritto societario olandese prevede che, oltre alle azioni ordinarie, sia possibile emettere azioni star speciali che garantiscono ai soci “stabili” un voto plurimo nell’assemblea ordinaria, rafforzando, quin-di, il controllo del socio di riferimento. Da un punto di vista fiscale, la nuova società beneficerà in Inghilterra non solo di un’aliquota dell’imposta sulle società del 21%, ma anche della sua riduzione al 10% per la parte dei profitti attribuibili a marchi, brevetti e altri assets intangibili (senza considerare tutti i benefici di cui potrà godere il management che acquisterà lo status di resi-dent non domiciled).

Operazioni di questo genere sono, in termini di stretta legalità, in linea con la normativa UE e con le raccomandazioni OCSE, che fissano criteri – in verità particolarmente elastici – per l’individuazione del luogo in cui il red-dito d’impresa deve ritenersi prodotto. La loro generalizzazione sarebbe, pe-rò, molto pericolosa, quanto meno perché produrrebbe una forte contrazione del gettito fiscale conseguente alla trasmigrazione delle grandi imprese (an-cora) residenti in Italia.

Analogo discorso si può fare, mutatis mutandis, anche per l’IRES dovuta dalle cinque grandi imprese globali del web operanti in Italia. Esse continuano a fare affari miliardari nella penisola, ma nello stesso tempo riescono a mini-mizzare la loro base imponibile attraverso triangolazioni commerciali con l’Irlanda, l’Olanda e il Lussemburgo (normalmente con destinazione finale nelle Bermuda), la maggior parte delle quali difficilmente contestabili allo stato attuale della legislazione. La via seguita è quella, molto semplice, di ven-dere via internet i loro prodotti e di fornire i loro servizi a soggetti residenti in Italia. Gli incassi sono però fatturati dalle società aventi sede in Irlanda e in Lussemburgo, ove le aliquote sono molto basse. L’assoggettamento ad im-

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posta in Italia si riduce così ai soli ricavi derivanti dai servizi di marketing resi dalle filiali italiane alle controllanti estere.

Allo stato, finché non interverranno modifiche restrittive alle larghe re-gole fiscali relative alla localizzazione dell’attività produttiva e non si perver-rà, comunque, a definire soddisfacenti forme di ruling internazionale, le gran-di imprese globali tendono a divenire apolidi e, perciò, a sfruttare sapiente-mente tutte le opportunità offerte dalle normative dei diversi paesi per ri-durre il carico fiscale. Il fatto è che, almeno in questa congiuntura, l’ordina-mento vigente ha difficoltà a trattenere le grandi imprese globali nel nostro territorio che non siano quelle fortemente regolate (ad esempio, il settore bancario, assicurativo e finanziario e le utilities).

5. Il problema del difficile adeguamento del diritto tributario dell’impresa alle norme civilistiche sulla determinazione del reddito societario e sulla qualifi-cazione degli strumenti finanziari

Esaurito l’esame delle problematiche relative alla struttura dell’IRES, van-no ora considerate quelle relative al difficile adeguamento del regime fiscale delle imprese alle norme civilistiche sulla determinazione del reddito socie-tario e sulla qualificazione degli strumenti finanziari.

5.1. La determinazione del reddito societario e l’applicazione del principio fisca-le di derivazione

È noto che il principio fiscale cardine che regge il sistema di determinazio-ne del reddito societario tassabile è quello c.d. di derivazione, fissato dall’art. 83 TUIR. Tale articolo impone espressamente l’adeguamento della norma-tiva fiscale a quella civilistica (integrata e/o derogata dagli IAS/IFRS), salve le tassative variazioni previste dalla normativa tributaria.

Nonostante il fatto che tali variazioni siano presentate come un’eccezione, esse sono centrali nella costruzione del sistema di tassazione del reddito d’im-presa. E non potrebbe essere diversamente. Se la tassazione delle società deve avvenire sulla base del reddito effettivo prodotto e quella dei percipienti gli utili o gli interessi deve avvenire sulla base dell’esatta qualificazione dei titoli legittimativi, è evidente che il legislatore tributario (e, in sede di controllo, la stessa amministrazione finanziaria) non sempre può attenersi alle evoluzioni di un diritto che tutela altri interessi e che, come vedremo meglio più avanti, tende alla deregolamentazione ed esalta l’autonomia statutaria.

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La storia di questi ultimi anni del diritto tributario dell’impresa è, dunque, quella di un legislatore fiscale che ha voluto, in via di principio, tener ferma la regola della dipendenza del reddito imponibile da quello civilistico, ma nello stesso tempo – stretto nella morsa del processo di deregolamentazio-ne e dei nuovi principi IAS/IFRS – ha fatto interventi di variazione sempre più numerosi, arrivando spesso a ripensare gli istituti civilistici in un’ottica e-sclusivamente fiscale, più circoscritta e definita.

Dò conto qui di seguito di alcuni interventi legislativi che, in ragione di questa specificità del diritto tributario, hanno affrontato e in qualche modo risolto il problema del rapporto con il diritto societario, a volte, adeguandosi ad esso pur con qualche variante e, a volte, prendendone nettamente le di-stanze.

5.2. Il c.d. disinquinamento del bilancio realizzato nel 2003 e gli interventi di segno opposto effettuati dalla legge finanziaria per il 2008

Il periodico ondeggiare del legislatore fiscale tra il rispetto delle regole civilistiche di bilancio e la tutela dell’interesse fiscale ha prodotto un anda-mento sussultorio della disciplina della determinazione della base imponibi-le IRES. Fino al 2003 ha, infatti, prevalso la più volte richiamata regola della piena derivazione del reddito tassabile dal risultato del bilancio d’esercizio, regola confermata sul piano civilistico dall’art. 2426, comma 2, che consen-tiva, appunto, di effettuare nel bilancio «rettifiche di valore e accantona-menti esclusivamente in applicazione di norme tributarie». Dopo il 2003, l’inquinamento del bilancio civile ad opera della normativa fiscale è stato eliminato con l’abrogazione del comma 2 dell’art. 2426 e la conseguente previsione di una precisa deroga fiscale al principio civilistico dell’indeduci-bilità dei costi non imputati al conto economico. Pur permanendo in via ge-nerale il principio di derivazione, si sono infatti consentite deduzioni extra-contabili a titolo di ammortamenti, accantonamenti e altre rettifiche di valo-re, alla sola condizione che esse fossero iscritte in un apposito prospetto del-la dichiarazione dei redditi, integrato dalla previsione di un corrispondente vincolo alla distribuzione degli utili.

Con la legge finanziaria del 2008 (24 dicembre 2007, n. 244), la norma-tiva cambia, però, nuovamente e si ritorna a vietare la possibilità di effettua-re deduzioni che non siano transitate dal conto economico, e cioè di dedu-zioni che non siano giustificate dal punto di vista economico. Si introduce così nuovamente, con l’art. 1, comma 34, di detta legge, la possibilità per il

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contribuente di ottenere in ogni caso la deducibilità massima concessa dal TUIR purché risultante dal conto economico, ripristinando nella sostanza quanto nel 2003 era stato eliminato; questa volta, però, avendo almeno l’ac-cortezza di attribuire all’amministrazione finanziaria il potere di disconosce-re eventuali comportamenti contabili che non trovano riscontro nel bilancio e che, comunque, sono stati posti in essere al solo fine di beneficiare della più favorevole disposizione tributaria.

Ora, ci si può anche sbizzarrire sulle ragioni che hanno giustificato, pri-ma, il disinquinamento – e la conseguente adozione di un principio ispirato al doppio binario – e poi, di nuovo, l’applicazione (quasi) piena del princi-pio di derivazione. E si possono anche capire le ragioni che hanno portato ad abbandonare il meccanismo di deduzione extracontabile e ad escogitare rimedi per evitare che l’applicazione del principio di derivazione sia utilizza-to a fini evasivi ed elusivi. Sta di fatto che, indipendentemente dalla maggio-re o minore correttezza delle due soluzioni, gli operatori in nemmeno cin-que anni sono dovuti passare da un criterio ad un altro diametralmente op-posto.

Lo stesso discorso vale per l’IRAP, la cui base imponibile è stata, con la stessa legge finanziaria per il 2008, svincolata dai criteri meramente fiscali di determinazione del reddito d’impresa contenuti nel TUIR, per assumere una sua piena autonomia caratterizzata da una pressoché totale derivazione del-l’imponibile dal risultato del bilancio.

5.3. L’avvento degli IAS/IFRS

Un rilevante esempio di non facile adeguamento della normativa fiscale alle regole civilistiche di bilancio è quello dell’adozione degli IAS/IFRS. Ri-cordo che il nuovo testo dell’art. 83 TUIR dispone, in via di principio, che la determinazione del reddito degli IAS/IFRS adopter va effettuata applicando i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione di bilancio previsti dagli IAS/IFRS stessi. Nello stesso tempo, però, nel tentativo di me-diare tra forma e sostanza, lo stesso legislatore fiscale si è preoccupato di li-mitare il pieno recepimento delle regole contabili in tutti i casi in cui ha ri-tenuto opportuno di far prevalere le esigenze specifiche del sistema fiscale.

Attualmente, quindi, la tassazione delle società IAS compliant è tale che restano ancora applicabili ad esse, in via di variazione, una serie di regole speciali dettate dal TUIR e valevoli anche per i soggetti non IAS/IFRS adopt-er. Questa prudenza del legislatore fiscale è comprensibile; egli ha, infatti,

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considerato che principi – come quelli del fair value e, soprattutto, della pre-valenza della sostanza sulla forma – si risolvono in gran parte in valutazioni che, pur non avendo natura soggettiva in senso stretto, sono comunque di-screzionali, tecniche e legate a scelte gestionali e, quindi, di non facile inse-rimento in un contesto fiscale che continua, invece, ad essere rigido e vinco-lante.

Non sarà facile risolvere, nel corso del tempo, i problemi di adeguamen-to del sistema fiscale delle imprese ai principi IAS/IFRS. Da una parte, infat-ti, sarebbe auspicabile un collegamento più stretto fra imponibile fiscale e rappresentazioni di bilancio, dall’altra, però, è proprio il carattere valutativo di questi principi che potrebbe spesso produrre se non divergenze insanabi-li, quanto meno un ampio ambito di incertezza interpretativa e, di conse-guenza, potrebbe accrescere le ragioni di contrasto fra contribuente e fisco. L’esperienza di questi ultimi anni offre molti esempi di questa difficile con-sonanza delle valutazioni IAS/IFRS con l’applicazione delle norme fiscali. I problemi che ne conseguono possono così sintetizzarsi:

– l’introduzione solo rafforzata, ma non totale, del principio di deriva-zione rende difficile distinguere gli aspetti qualificatori derivanti dall’appli-cazione dei principi contabili internazionali da quelli valutativi;

– la convivenza tra imprese IAS adopter e imprese non IAS determina (seppur irragionevoli) diversità di trattamento riguardo a situazioni non ne-cessariamente dissimili, per lo più con conseguenze sull’individuazione del quando piuttosto che dell’an;

– soprattutto, la continua evoluzione dei principi IAS/IFRS fa sì che l’au-tomatico recepimento fiscale delle modifiche impone una continua rincorsa del legislatore al fine di evitare conseguenze non volute sul piano impositivo.

5.4. Il difficile adeguamento della normativa fiscale alla disciplina civilistica de-gli strumenti finanziari

Ma la maggiore difficoltà del legislatore fiscale ad operare l’adeguamento alle norme civilistiche riguarda la disciplina degli strumenti finanziari. Que-sta difficoltà deriva non solo dalla diversità degli interessi tutelati dai due corpi di norme, ma anche da una certa disponibilità del legislatore societario a privilegiare, sulla scia anche dell’esperienza nordamericana, la c.d. regula-tory competition come strumento organizzativo che lo autorizza ad astenersi dal dettare in materia societaria norme inderogabili e precise ed a lasciare il più possibile al mercato la selezione di quelle migliori e più idonee.

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In Europa e nel nostro Paese non si è arrivati forse agli eccessi mercanti-listici che hanno preceduto l’attuale grande crisi economico-finanziaria. Que-sti eccessi sono stati, del resto, criticati anche dagli USA, sul presupposto, molto pragmatico, che non è detto che la regulatory competition porti sem-pre – come hanno sostenuto i fautori di questa regola – ad una corsa verso l’alto (race to the top) e non – come è avvenuto a seguito della suddetta crisi economico-finanziaria che ancora ci attanaglia – verso il basso (race to the bot-tom). Tracce di queste impostazioni emergono, comunque, sia nell’ambito europeo sia nella “normativa Vietti”, specie laddove si lascia un ampio spa-zio alla competizione regolatoria sotto il profilo della scelta di modelli diffe-renziati.

Quanto all’ambito europeo, ricordo le due sentenze della Corte di Giu-stizia che hanno consentito che le società si incorporino nello Stato dell’UE che ritengono più opportuno, indipendentemente dalla circostanza che l’at-tività si svolga concretamente in un altro Stato membro.

Quanto alla normativa Vietti, che qui più interessa, si pensi alle difficoltà che incontra l’operatore quando deve individuare, negli artt. 2346 e 2411 c.c., agli effetti fiscali, le differenze tra uno strumento finanziario partecipati-vo che attribuisce diritti patrimoniali e un’azione senza diritti partecipativi, ma con diritti patrimoniali o, viceversa, tra strumenti finanziari che attribui-scono diritti partecipativi, ma non patrimoniali.

Queste difficoltà sono senza dubbio la conseguenza della moltiplicazione degli strumenti di finanziamento dell’impresa societaria messi a disposizione dalla legge, moltiplicazione che ha portato ad aggiungere a quelli tradizionali, e cioè alle azioni e alle obbligazioni, altri del tutto nuovi: i c.d. altri strumenti partecipativi, i patrimoni destinati, i finanziamenti destinati. Tutto ciò, in un quadro di complessiva deregolamentazione all’interno di ogni singolo stru-mento anche tradizionale. Riguardo alle azioni, basti pensare che il vulnus alla tipicità della categoria, già inferto dalle azioni di risparmio, è stato approfon-dito dal nuovo art. 2348 c.c., che non si limita più a concedere la possibilità di creare statutariamente categorie di azioni fornite di diritti diversi, ma espres-samente prevede, al comma 2, che la società può «liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie». Riguardo alle obbligazioni, la riforma ha poi consolidato quel processo di “neutralizzazione” della forma obbligazione iniziato con il testo unico bancario, il quale aveva concesso alle banche di usare la forma dell’obbligazione per rappresentare emissioni di pre-stiti irredimibili, subordinati o rimborsabili solo previa autorizzazione della Banca d’Italia. Il nuovo art. 2411 c.c. rende, infatti, applicabile la disciplina

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delle obbligazioni a quegli strumenti finanziari che (alla stessa stregua dei pre-stiti irredimibili) condizionano l’entità del rimborso del capitale all’andamen-to economico della società. Hanno, insomma, ragione – a mio avviso – coloro che dicono che nel diritto societario si è assistito a una graduale evaporazione della distinzione tra capitale di rischio e capitale di credito, ad opera soprat-tutto degli artt. 2348 c.c., comma 2, e 2411 c.c.

È evidente che questa carenza di più precise definizioni incide negativa-mente sull’interpretazione e sulla creazione delle correlate norme fiscali, per-ché, ad esempio, non aiuta ad individuare la nozione tributaria di titoli simi-lari alle azioni e di titoli similari alle obbligazioni, ed anzi – come si vedrà meglio più avanti – impone al legislatore fiscale di dare esso stesso una defi-nizione di questo tipo di titoli. Le cose si complicano ancora di più se alla tendenza deregolatoria si aggiunge una certa trascuratezza mostrata dal legi-slatore fiscale nel colmare le lacune della disciplina civilistica e nel superare le aporíe tra le due discipline.

Detto per inciso, questa distrazione del legislatore meraviglia specie se la si confronta con i puntuali interventi da esso effettuati in altri campi. Si pen-si, ad esempio, a quello relativo alla disciplina dei gruppi e dell’area del con-solidamento. L’art. 117 TUIR, pur richiamando ai fini dell’esercizio dell’op-zione per la tassazione di gruppo la nozione di controllo di diritto di cui all’art. 2359, comma 1, n. 1, c.c., nella sostanza se n’è allontanato, richieden-do altri diversi specifici requisiti nel successivo art. 120 (la partecipazione al capitale sociale o all’utile di bilancio della controllata per una percentuale superiore al 50%). Insomma, tanto la disciplina della tassazione di gruppo è analitica e circoscritta, tanto è generica la disciplina civilistica degli artt. 2497 e 2497 sexies c.c., preoccupata solo di regolare il fenomeno della responsabi-lità con norme di complessa lettura fondate su presunzioni di controllo e in-clusione nell’area del consolidamento.

Ma torniamo alle lacune e alle aporíe relative alla disciplina dei titoli similari. 5.4.1. – Quanto alle lacune, rilevo l’assenza nel TUIR di una chiara presa

di posizione sia riguardo alla disciplina dell’apporto di opera e servizi in cam-bio di strumenti finanziari incorporanti solo diritti patrimoniali e di ammi-nistrazione di cui all’art. 2346, comma 6, c.c.

1; sia riguardo al regime dei c.d.

1 Tale comma fa «salva la possibilità che la società, a seguito dell’apporto da parte dei so-ci o di terzi anche di opere o servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti».

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patrimoni dedicati ad affari speciali, con le importanti appendici della parte-cipazione dei terzi e del regime di opponibilità del patrimonio stesso ai cre-ditori, compreso il Fisco (artt. 2447 bis, 244 ter, comma 1, lett. a) e 2447 de-cies c.c.).

In ordine all’apporto di opere e servizi, nel perdurante silenzio del legi-slatore, devo dire che è intervenuto nel 2005 un parere dell’Agenzia delle Entrate (risoluzione 4 ottobre 2005, n. 138/E) che, non senza contrasti dot-trinari, ha escluso il carattere realizzativo degli apporti di opera e servizi (i quali, dunque, non comporterebbero il realizzo di plusvalenze imponibili, come invece accade per i conferimenti) e nel contempo, con una certa dose di buon senso, ha riconosciuto in via interpretativa ai proventi di tali stru-menti finanziari la natura di titoli similari alle azioni, con l’applicazione del conseguente regime fiscale (indeducibilità per l’erogante e imponibilità par-ziale per il percettore).

Anche in ordine ai patrimoni dedicati, l’orientamento dell’amministra-zione finanziaria è nel senso di considerare, almeno astrattamente, titoli si-milari alle azioni i titoli di partecipazione allo specifico affare cui è attribuito un patrimonio destinato. E ciò, sebbene parte della dottrina non sia perfet-tamente in linea con la posizione dell’amministrazione e si sia, a sua volta, divisa sulle caratteristiche che tali titoli devono avere affinché operi l’assimi-lazione

2. Non so se queste lacune siano frutto di una scelta consapevole del legi-

slatore di rimettere, nell’incertezza, la soluzione dei relativi problemi appli-cativi alla sola più elastica interpretazione degli operatori e dell’amministra-zione. Quali che siano le ragioni di questa carenza, sta di fatto che, data l’im-portanza di tali temi, qualcosa avrebbe dovuto essere fatta e dovrebbe essere fatta in via legislativa sia per risolvere a livello fiscale con più precisione i pro-

2 Non sarei alieno dall’aderire all’interpretazione dell’amministrazione finanziaria sia per i titoli di cui all’art. 2346, comma 6, c.c., che per quelli di cui all’art. 2447 ter c.c. Come vedre-mo meglio più avanti nel testo, l’art. 44, comma 2, lett. a), TUIR stabilisce che «si conside-rano similari alle azioni i titoli e gli strumenti finanziari la cui remunerazione è costituita to-talmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o dell’affare in re-lazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi». Considera, quindi, assimi-labili alle azioni non solo i titoli la cui remunerazione dipenda dai risultati economici della società emittente – ipotesi, questa, cui possono essere ricondotti i titoli ex art. 2346, comma 6, c.c. – ma anche quelli la cui remunerazione dipenda dai risultati economici dell’affare, ai quali, quindi, possono essere ricondotti anche i titoli ex art. 2447 ter cc. (su queste problema-tiche v., comunque, G. ESCALAR, Azioni, quote e strumenti similari per la società IAS ad opter, in G. ZIZZO, La fiscalità delle società IAS/IFRS, Milano, 2011, p. 193).

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blemi qualificatori posti dalla legislazione civilistica, sia per qualificare auto-nomamente fattispecie fiscali che non trovano in quest’ultima una precisa soddisfacente definizione.

5.4.2. – Quanto alle aporíe tra i due ordini di norme, assume particolare ri-

levanza il problema, sopra anticipato, della qualificazione e conseguente di-sciplina fiscale dei proventi percepiti in dipendenza dei titoli similari alle a-zioni e di quelli similari alle obbligazioni, nonché quello, conseguente, della permanenza o no dell’anacronistica categoria fiscale dei c.d. “titoli atipici”.

5.4.2.1. – Riguardo ai titoli similari alle azioni, rilevo che l’art. 44, comma 2,

TUIR, come modificato dal D.Lgs. n. 247/2005, nella prima parte della sua lett. a) considera tali, ai fini fiscali, i titoli e gli altri strumenti finanziari per il solo fatto che la loro remunerazione sia «costituita totalmente dalla parte-cipazione ai risultati economici della società emittente ...» residente. Nella seconda parte della stessa lett. a) considera, poi, similari alle azioni o alle quote di s.r.l. «le partecipazioni al capitale o al patrimonio di società ed enti non residenti, rappresentate o non rappresentate da titoli», alla condizione – imposta dall’essere la società emittente non residente – che «la relativa remunerazione sarebbe stata totalmente indeducibile [ai sensi dell’art. 109, nono comma, TUIR] nella determinazione del reddito d’impresa nello Sta-to estero di residenza del soggetto emittente».

Questa definizione si presta a rilievi di non poco conto. Infatti, il riferimento fatto dalla lett. a), prima parte, comma 2, dell’art. 44

al parametro della “partecipazione ai risultati economici della società emit-tente” porta ad applicare un medesimo regime fiscale a titoli che sono inve-ce qualificati in modo del tutto eterogeneo. In particolare, attraverso il rife-rimento a tale parametro l’art. 44, comma 1, lett. e) – che definisce quali redditi di capitale solo gli utili azionari «da partecipazione al capitale» – e la relativa specifica disciplina del successivo art. 47 si applicano, in ragione dell’assimilazione, in casi completamente diversi, e cioè sia nel caso della partecipazione a capitale sociale sia in quello della partecipazione ai risultati economici.

Le ragioni dell’impiego di questo duplice criterio qualificatore sono ab-bastanza oscure, tanto da avere indotto la dottrina a trovare una giustifica-zione estrinseca e non strutturale di tale disciplina esclusivamente in finalità antielusive dirette a contrastare la sottocapitalizzazione delle imprese o ad impedire che rapporti sostanzialmente “partecipativi” apparissero come rap-

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porti di finanziamento (con il conseguente beneficio della deduzione delle relative remunerazioni in capo al debitore e tassazione meno onerosa del percipiente). Non credo, infatti, che possa essere una valida, sostanziale giu-stificazione la considerazione che anche l’art. 109, comma 9, TUIR sancisce l’indeducibilità, dal reddito della società emittente, della remunerazione dei titoli quando tale remunerazione è correlata ai risultati economici della so-cietà stessa, e cioè alla stessa condizione richiesta perché un titolo sia assimi-labile alle azioni ai sensi dell’art. 44, comma 2, lett. a). Ciò significa soltanto che vi è una corrispondenza tra quest’ultimo disposto e quello dell’art. 109, comma 9, TUIR, quanto all’assunzione del c.d. requisito della partecipazio-ne ai risultati economici. Ma il fatto che esista questa corrispondenza non può essere da solo una giustificazione sostanziale della rimarcata non omo-geneità.

E ciò senza tener conto delle conseguenze irrazionali e sistematiche che deriverebbero dall’assumere questa corrispondenza come fatto giustificati-vo della disomogeneità dei criteri adottati dal legislatore tributario.

Infatti, anche se si rinvenisse la giustificazione formale di tale disomoge-neità nella volontà di mantenere la simmetria tra il (comune regime) di in-deducibilità dell’utile in capo all’emittente e quello di parziale non imponibili-tà dell’utile stesso in capo al percipiente, questa stessa giustificazione non potrebbe in alcun modo valere per quanto riguarda il regime delle plusva-lenze. È indubbio, infatti, che per i titoli assimilati alle azioni l’esenzione del-le plusvalenze non può trovare – nell’ottica della società emittente – la stes-sa giustificazione che ha per le azioni, è cioè il fatto che il prezzo di tali titoli si commisura alle riserve patrimoniali e alle plusvalenze latenti che si trasfe-riscono con la circolazione delle azioni. Il trasferimento di titoli che assicu-rano solo l’integrale rimborso del capitale e di quelli emessi senza alcun ap-porto di capitale non comporta, infatti, alcuna partecipazione alle suddette riserve e al patrimonio e rende, perciò, logicamente ingiustificabile l’esen-zione delle plusvalenze.

Questa conclusione appare ancora più evidente se si ha riguardo al regi-me dell’esenzione delle plusvalenze in capo al percipiente. Se tale esenzione deve essere giustificata – come generalmente si ritiene – dal fatto che vi è immedesimazione tra socio e società e, quindi, dal fatto dell’impossibilità di tassare due volte lo stesso reddito, è evidente che essa si “regge” solo alla con-dizione che il percettore delle remunerazione sia anche socio e, cioè, parte-cipi al capitale. Ma se invece, come può avvenire nel caso dei titoli similari alle azioni, tale soggetto non è socio, ma solo un terzo partecipante al risul-

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tato economico della società emittente, l’unica ragione dell’esenzione delle plusvalenze da titoli assimilati alle azioni rimane la regola fiscale – formale e asistematica e, perciò, insoddisfacente – della simmetria tra indeducibilità della remunerazione in capo alla società e deducibilità in capo al percettore.

5.4.2.2. – L’art. 44 non reca una soddisfacente definizione nemmeno ri-

guardo alla categoria dei titoli similari alle obbligazioni. Infatti, anche dopo l’entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 247/2005 titoli similari alle obbliga-zioni sono rimasti quelli definiti dall’originario art. 41, comma 2, lett. a) del vecchio TUIR del 1988, e cioè i titoli di massa che «contengono l’obbliga-zione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in esso indicata e che non attribuiscono ai possessori alcun diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione dell’impresa emittente».

Da ciò consegue che, in virtù del nuovo illustrato disposto della lett. a) del comma 2 dell’art. 44, non risultano più riconducibili fra “i titoli atipici” tutti i titoli che, ai sensi dello stesso comma 2 dell’art. 44, assicurano una “parteci-pazione ai risultati economici della società emittente” (stante la loro avvenuta assimilazione alle azioni), mentre, in virtù della permanenza della vecchia de-finizione di titoli similari alle obbligazioni, continuano ad essere riconducibili al tertium genus dei titoli atipici quelli che non presentano né i requisiti per es-sere considerati similari alle azioni (perché non assicurano una partecipazio-ne ai predetti risultati economici), né i requisiti per essere considerati similari alle obbligazioni (perché, diversamente da quanto previsto dalla stessa lett. c), del comma 2 dell’art. 44, non garantiscono il rimborso del capitale ovvero, pur garantendolo, assicurano una partecipazione diretta od indiretta alla ge-stione – e quindi non ai risultati economici – dell’impresa emittente).

Ne deriva che, a seguito di questo mancato coordinamento legislativo tra le due nozioni di titoli similari, uno stesso titolo, in astratto, potrebbe con-temporaneamente rappresentare le caratteristiche di un titolo similare alle azioni (remunerazione quale partecipazione al risultato economico) e quel-le di un titolo similare alle obbligazioni (rimborso del capitale impiegato), senza poter essere, quindi, collocato in una delle due categorie. Basti pensa-re, a titolo di esempio, a quegli strumenti finanziari che, pur garantendo l’in-tegrale restituzione del capitale, accordino una partecipazione agli utili della società emittente. Tale titolo potrebbe essere, in effetti, contemporaneamen-te considerato:

– come similare alle azioni, perché non costituisce un’obbligazione e com-porta una partecipazione ai risultati economici della società emittente;

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– come similare alle obbligazioni, perché prevede l’obbligazione incondi-zionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in esso in-dicata e non attribuisce ai possessori né diritti di partecipazione alla gestio-ne dell’impresa emittente, né di controllo sulla gestione stessa

3.

La Commissione governativa da me presieduta – che aveva avuto il com-pito nel 2003 di avanzare proposte per l’adeguamento alla riforma Vietti della disciplina fiscale delle rendite finanziarie – aveva rilevato questa discra-sia e si era espressa a favore di alcune modifiche legislative che l’avrebbero potuta eliminare e avvicinare alla disciplina civilistica

4. Peraltro, le proposte

3 Uno strumento finanziario che aveva queste caratteristiche e, quindi, era ascrivibile ai titoli atipici era la cambiale finanziaria. Ciò, però, solo fino all’entrata in vigore del citato D.L. 22 giugno 2012, n. 83 il quale, all’art. 32, comma 2, ha espressamente qualificato – non so con quanta coerenza con il richiamato disposto dell’art. 44, lett. c) – tale cambiale come titolo similare alle obbligazioni, senza tuttavia specificare se tale assimilazione operasse anche agli effetti fiscali. La pure citata legge di conversione di detto Decreto 7 agosto 2012, n. 134 ha confermato l’assimilazione delle cambiali finanziarie alle obbligazioni con riferi-mento proprio a una fattispecie tributaria, in quanto, nel riformulare il comma 1 dell’art. 1 del D.L. n. 239/1996, ha stabilito che «la ritenuta del 20% di cui al comma 1, dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non si applica sugli interessi ed altri proventi delle obbligazioni, delle cambiali finanziarie e titoli similari», includendo, dunque, espressamente e definitivamente le cambiali finanziarie tra i titoli similari alle obbligazioni.

4 In particolare, detta commissione aveva suggerito di incentrare la distinzione fra i due tipi di titoli similari unicamente sulla definizione degli strumenti assimilati alle obbligazio-ni, affidando ad una disposizione residuale il compito di individuare i titoli assimilati alle azioni. Il testo del comma 2 dell’art. 44 proposto dalla Commissione era il seguente: «So-no considerati titoli assimilati alle obbligazioni:

a) gli strumenti finanziari ai quali si applica la disciplina delle obbligazioni ai sensi del codice civile o di altre leggi;

b) gli strumenti finanziari di una stessa emissione che contemporaneamente: 1) costituiscono frazione uguale di un prestito unitario e sono fungibili tra loro; 2) contengono l’obbligazione incondizionata, salvo eventuali clausole di postergazio-

ne, di rimborsare alla scadenza una somma non inferiore a un importo prestabilito o di-pendente da parametri oggettivi diversi dalla partecipazione al risultato della gestione della società emittente, con o senza la corresponsione di proventi periodici;

3) non attribuiscono alcun diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione dell’impresa emittente o dell’affare in relazione al quale sono stati emessi;

c) i buoni fruttiferi emessi da società esercenti la vendita a rate di autoveicoli, autoriz-zate ai sensi dell’art. 29 del R.D.L. 15 marzo 1927, n. 436, convertito nella L. 19 febbraio 1928, n. 510».

Quanto ai titoli assimilati alle azioni si proponeva di aggiungere il seguente comma 2 bis: «ai fini delle imposte sui redditi sono assimilati alle azioni, oltre agli strumenti finanziari di cui al comma 1, lettera e), gli strumenti finanziari di una stessa emissione e fungibili fra lo-ro diversi da quelli di cui al comma 1, lettera b) e non compresi nel comma 2».

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avanzate al riguardo non sono state accolte. Pur guardandomi bene, dopo quasi dieci anni, di caldeggiarne ora l’accoglimento, non posso tuttavia non sottolineare che sarebbe opportuno che un legislatore tributario meno di-sattento ritornasse sull’argomento, quantomeno per evitare all’amministra-zione finanziaria di prodursi – come è avvenuto in questi anni – in difficili e, a volte, opinabili operazioni interpretative. Il criterio a cui bisognerebbe at-tenersi ai fini della qualificazione – come redditi di capitale e, tra questi, co-me redditi derivanti da titoli similari alle azioni o da titoli similari alle obbli-gazioni – dei proventi percepiti in dipendenza degli strumenti partecipativi dovrebbe essere d’ordine solo funzionale e pragmatico, legato soprattutto al dato economico della partecipazione a un risultato della società emittente e alla valutazione di opportunità fiscale circa la possibilità di deduzione o me-no di tali proventi dal reddito della società medesima.

6. Conclusioni

Quanto finora detto in ordine all’attuazione del principio di derivazione e alla difficoltà di adeguamento della normativa tributaria a quella civilistica conferma l’inevitabile tendenza del legislatore a privilegiare la specificità fi-scale nella determinazione sia del reddito della società, che del reddito di ca-pitale percepito dai detentori dei titoli da essa emessi.

Per quanto riguarda, in particolare, gli strumenti di finanziamento, riba-disco che la rilevata atipicità della loro disciplina e la forte autonomia statu-taria pongono delicati problemi di allineamento dei due sistemi normativi, a mio avviso difficilmente superabili in via interpretativa. Il che richiederebbe un intervento del legislatore fiscale diretto a meglio tipizzare le singole fatti-specie e ad individuare la regola che più si adatta a disciplinare il fenome-no economico sottostante (il che equivale, in ultima analisi, ad individuare la specifica capacità contributiva). Il problema che in questi casi si pone non è evidentemente quello classico, interpretativo, se debba prevalere la

Il criterio utilizzato per individuare i titoli similari alle obbligazioni sarebbe stato quello del rischio. Questa scelta era stata ritenuta preferibile rispetto a quella dell’inserimento, tra gli elementi tipizzanti tali titoli, dei requisiti della remunerazione o del rimborso, e cioè di requisiti non dipendenti dai risultati economici della impresa emittente. La Commissione proponeva questa soluzione per garantire una maggiore semplificazione del sistema di tas-sazione dei redditi finanziari: si sarebbe avvicinata la nozione fiscale a quella civilistica e si sarebbero ricondotti i proventi degli strumenti finanziari a due sole categorie, quella delle azioni e quella delle obbligazioni.

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titolarità giuridica o l’essenza economica, bensì quello della costruzione le-gislativa di fattispecie tributarie che non possono contare su una qualifica-zione civilistica sufficiente e, comunque, collimante.

Tutto sta a vedere se questo orientamento rimarrà circoscritto alle pro-blematiche della qualificazione degli strumenti finanziari o assumerà, inve-ce, un più ampio e generale significato nel senso di contribuire a suggellare, anche in altri importanti settori come la soggettività, l’autonomia e la speci-ficità del diritto tributario e la sua parità con le norme civilistiche. Ma que-sto è un discorso che non è il caso di approfondire in questa sede e che in ogni caso riguarda più il legislatore che l’interprete.

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Maria Vittoria Serranò

IL RISPETTO DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ E LE GARANZIE DEL CONTRIBUENTE

THE COMPLIANCE WITH THE PRINCIPLE OF PROPORTIONALITY AND TAXPAYER’S RIGHTS

Abstract Il contributo intende approfondire il canone di proporzionalità in quanto princi-pio di carattere generale del diritto europeo, e dunque dell’ordinamento interno, nonché applicarlo nell’ambito della fase istruttoria del procedimento di accerta-mento tributario. In definitiva l’Amministrazione finanziaria dovrebbe adoperar-si al fine di adottare gli strumenti istruttori più adeguati e tollerabili rispetto al fi-ne perseguito con riferimento alla idoneità, necessarietà ed adeguatezza. Significativa appare, al fine di segnalare una eventuale sproporzione, l’istituziona-lizzazione del contraddittorio nella fase procedimentale che può consentire al con-tribuente di sollevare eventuali censure con riferimento alla intensità dei mezzi adoperati dall’Amministrazione finanziaria. Parole chiave: proporzionalità, istruttoria, intensità, discrezionalità This paper analyses the principle of proportionality as a general principle of EU Law, and consequently of national law, as well as its respect during the investigative phase of tax proceedings. In this respect, it clearly emerges that Italian Tax Authorities (ITAs) should adopt investigative methods more compliant with the aims pursued in terms of suitability, necessity and adequacy. A significant step, in order to check possible violation of such principle, should consist in institutionalising the taxpayer’s right to be heard during the tax administrative phase, thus allowing the latter to raise his complaints with regard to the intensity of the tools used by ITAs. Keywords: proportionality, investigative tool, intensity, discretionality

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SOMMARIO: 1. Genesi ed evoluzione del principio di proporzionalità nell’ordinamento interno. – 1.1. Segue: ... ed in quello comunitario. – 2. Organizzazione dell’attività istruttoria ed art. 97 Cost. – 3. La congruità del mezzo (strumento istruttorio) rispetto al fine (accertamento tributario). – 4. Con-siderazioni finali.

1. Genesi ed evoluzione del principio di proporzionalità nell’ordinamento in-terno

La questione relativa all’approfondimento del principio di proporzionali-tà è assai complessa ed investe «quasi tutti i settori della scienza»

1 e della vita pubblica, dall’economia al diritto, e richiede, pertanto, una forte sensibilità in-terdisciplinare. È nostra intenzione, tuttavia, prescindendo da una ambiziosa indagine di così ampia portata, soffermarci unicamente sulla applicazione del principio di proporzionalità

2 nell’ambito del procedimento di accertamento tributario, inteso come adozione da parte dell’Amministrazione finanziaria del mezzo di controllo proporzionato rispetto al fine perseguito. In definitiva, si tratta di individuare gli strumenti più adeguati che comportino il minor sa-crificio dei diritti del contribuente e ridimensionino la discrezionalità del-l’Amministrazione finanziaria che, talvolta, si traduce nell’adozione di com-portamenti vessatori che eccedono, in termini sia di proporzionalità che di ragionevolezza, la corretta verifica dell’adempimento degli obblighi imposti al contribuente.

Ci sembra opportuno, in questa sede, tralasciare noti e storici riferimenti di tale principio

3, nonché la più recente formulazione penalistica 4, per ram-

1 Così SANDULLI, La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova, 1998. 2 Sul principio di proporzionalità in materia tributaria si veda BODRITO, Note in tema di

proporzionalità e Statuto del contribuente, in AA.VV., Consenso, equità e imparzialità nello Sta-tuto del contribuente. Studi in onore del Prof. Gianni Marongiu, Torino, 2012, p. 278 ss.; DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010; FALSITTA, Giustizia distributiva, principio di proporzionalità e federalismo nell’opera di Dante Alighieri, in Riv. dir. trib., 2011, p. 396; MARCHESELLI, Lo Statuto del contribuente: condivisione dei principi comunitari e nazionali, riflessi sulla validità degli atti, in Dir. prat. trib., n. 3, 2011, p. 521 ss.

3 Un primo approccio al principio di proporzionalità è decisamente da riferirsi all’alveo sanzionatorio e, difatti, già la Magna Charta del 1215, all’art. 20, disponeva che «per un reato lieve, un uomo libero sarà punito solo in proporzione al reato stesso e per un reato grave secondo la gravità dello stesso, ma non così severamente da privarlo dei mezzi di sussistenza ...».

4 Oggi la proporzionalità della sanzione penale è anche riconducibile agli artt. 52 (che

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mentare come la recente L. 11 marzo 2014, n. 23 (recante la delega al Go-verno in tema di disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita) faccia esplicito riferimento, nell’art. 8 e per ben due volte, al principio di proporzionalità. E, segnatamente, al comma 1, si stabi-lisce che la revisione del sistema sanzionatorio penale tributario debba av-venire «secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti» e, ancora, la revisione del regime della di-chiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo deve rispet-tare il principio di proporzionalità al fine di graduare le sanzioni alla gravità dei comportamenti.

La genesi di tale principio è da attribuirsi al diritto tedesco che individua-va tre requisiti (livelli o gradini) della proporzionalità: idoneità (Geeignet-heit), necessarietà (Erforderlichkeit) e proporzionalità (Verhaltnismabig-keit). Idoneità del mezzo rispetto all’obiettivo perseguito; necessarietà che la misura adottata sia conforme, appunto, a controllo di proporzionalità e, pertanto, non esista un altro mezzo efficace nella medesima misura (insosti-tuibilità del mezzo); proporzionalità in senso stretto da intendersi come una legittima proporzione fra la limitazione dei diritti dei cittadini e le finalità pubbliche perseguite e, dunque, come contemperamento tra interesse pub-blico e posizione dei privati.

Un importante riconoscimento della pregnanza di tale principio è, altre-sì, da riferirsi alla giurisprudenza comunitaria

5 che attribuisce ad esso la va-lenza di principio generale del diritto comunitario ed, in forza di esso, di-spone come «la legittimità del divieto di un’attività economica è subordina-ta alla condizione che il provvedimento sia idoneo e necessario per il conse-guimento degli scopi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restan-do che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono es-sere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti».

Specularmente anche la Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza del 13 febbraio 2009, nell’attribuire al principio di proporzionalità la natura di principio generale dell’ordinamento e, di conseguenza applica-bile anche nelle questioni tributarie, stabilisce che «la regola tendenziale della separatezza della sfera del singolo (governato) da quella dell’autorità (go- per ben due volte fa riferimenti al principio di proporzionalità stabilendo che la difesa deve essere proporzionata all’offesa) e 54 c.p.

5 Per tutte si vedano Corte di Giustizia, sentt. C-331/88; C-96/03 e 97/03.

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vernante) e della fissazione della linea del loro contatto (confine privato/ pubblico) attraverso la garanzia della legge, trova un limite nei doveri inde-rogabili di solidarietà politica, economica e sociale tra i quali rientrano an-che i vincoli di natura tributaria del cittadino. Ma, proprio perché le intro-missioni nella sfera del governato sono delle eccezioni rispetto alla regola della sua intangibilità, derivante dall’assunzione, da parte dello stato italia-no, della forma di stato di diritto, esse devono essere ridotte al minimo indi-spensabile secondo un altro principio, quello di proporzionalità, immanente anch’esso nell’ordinamento ed esplicitato dalla legge n. 241 del 1990».

Da ciò pare si possa ampiamente dedurre che qualsivoglia autorità inve-stita di una funzione deve adoperarsi affinché il corretto esercizio dell’atti-vità ad essa attribuita avvenga nel rispetto di tale precetto.

Se innegabilmente le origini del principio sono riferibili al diritto tede-sco, parimenti innegabili sono gli effetti di “spill-over” all’interno dell’ordi-namento italiano

6, specialmente con riferimento al diritto amministrativo ed alla L. n. 241/1990, così come modificata dalla L. n. 15/2005 che all’art. 1, comma 1, nel riconoscere i principi generali dell’attività amministrativa, ispirata e retta da criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza, fa espresso riferimento anche ai “principi generali dell’ordina-mento comunitario” e, dunque, anche al principio di proporzionalità

7. In definitiva, a nostro avviso, una più consapevole e corretta applicazione

del principio di proporzionalità, da parte anche del legislatore tributario ol-tre che dell’Amministrazione finanziaria nell’esercizio dei poteri ad essa at-tribuiti, costituirebbe garanzia di correttezza, collaborazione e buona fede tra le parti.

6 GALETTA, voce Principio di proporzionalità (dir. amm.), in www.Dirittoonline.it, 2012. 7 Come riportato nel testo, a seguito della L. n. 15/2005, l’art. 1, comma 1, della L. n.

241/1990 dispone: «L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza secondo le moda-lità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano i singoli proce-dimenti, nonché dai principi generali dell’ordinamento comunitario».

Non si può trascurare l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, in particola-re Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2006, n. 2087, nel riconoscere il principio de quo fra i prin-cipi generali dell’ordinamento.

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1.1. Segue: ... ed in quello comunitario

Il principio di proporzionalità è espressamente codificato nell’art. 5 TUE 8

che, nel definire le competenze dell’Unione, ne vincola l’esercizio delle stes-se ai principi di sussidiarietà e proporzionalità di cui al Trattato di Lisbona, recante il Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di pro-porzionalità, entrato in vigore il 1° gennaio 2009.

L’introduzione del Trattato, e la conseguente entrata in vigore del Proto-collo, avrebbero dovuto incidere sulla normativa comunitaria, ispirandone la produzione al generale canone di ragionevolezza insito, a nostro avviso, nel principio di proporzionalità che – in quanto principio generale del diritto comunitario – dovrebbe ispirare tutte le norme che incidono sui diritti dei privati. Anche l’art. 52, comma 1 della Carta dei Diritti Fondamentali del-l’Unione Europea rubricato “Portata dei diritti garantiti”, così dispone: «1. Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporziona-lità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e ri-spondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’U-nione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui».

La diretta ed immediata rilevanza dei principi di sussidiarietà e propor-zionalità nelle iniziative legislative comunitarie è stata anche sancita dalla

8 L’art. 5 così dispone: «1. La delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul principio di attribuzione. L’esercizio delle competenze dell’Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità.

2. In virtù del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri.

3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Le istituzioni dell’Unione applica-no il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del princi-pio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo.

4. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’U-nione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Le istituzioni dell’Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al proto-collo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità».

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Corte di Giustizia UE che ha affermato come «le misure considerate non superino i limiti di ciò che è idoneo (criterio dell’efficacia) e necessario (cri-terio dell’efficienza) per il conseguimento degli scopi perseguiti dalla nor-mativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva»

9. In definitiva, e tentando di chiarire ulteriormente, ci sembra evidente

che, alla luce della assoluta prevalenza del diritto comunitario sull’ordina-mento interno, i principi comunitari considerati fondamentali debbano es-sere riconosciuti come tali anche nei singoli ordinamenti interni

10. Il principio di proporzionalità si pone, pertanto, come indiscusso para-

metro (comunitario ed interno) per la valutazione che la misura adottata, sia essa o meno restrittiva dei diritti e delle libertà fondamentali dell’indivi-duo, sia anche necessaria, adeguata e non eccessiva con riferimento alla fina-lità pubblica da perseguire.

I presupposti, o “controlimiti” 11, in base ai quali un’autorità nazionale o

comunitaria possa interferire nei diritti fondamentali di un cittadino/contri-buente, sia pur legittimata dal perseguimento di scopi di interesse generale, è in ogni caso da escludersi se «le limitazioni imposte dalla normativa con-troversa siano realmente giustificate da obiettivi di interesse generale della Comunità e non costituiscano un intervento inaccettabile e sproporzionato rispetto ai fini perseguiti, nelle prerogative del proprietario, tale da ledere ad-dirittura la sostanza del diritto»

12.

2. Organizzazione dell’attività istruttoria ed art. 97 Cost.

Dopo aver individuato la matrice comunitaria della proporzionalità, arti-colata nei suoi tre gradini o livelli, e prima di verificarne l’impatto sul diritto tributario, ed in particolare all’interno del sub-procedimento istruttorio del-l’accertamento tributario, è opportuno procedere – sia pur sinteticamente – all’inquadramento costituzionale della nozione de quo.

9 V. Corte di Giustizia, sent. n. 223/2002. 10 In tal senso si veda la sentenza della Corte di Giustizia, 1° settembre 1999, causa C-

126/1997 Echo Swiss Time Ltd c. Benetton International N.V. 11 Cosi definiti da FERRARI, I diritti tra costituzionalismi statali e discipline transazionali,

in I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, Milano, 2001, p. 59 ss.

12 Si veda Corte di Giustizia, sent. Hauer, 13 dicembre 1979, n. 44/79.

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Quanto ai riferimenti costituzionali, è stato sostenuto che «la propor-zionalità è immanente anche al diritto costituzionale italiano»

13 ed, in par-ticolare, gli artt. 36, comma 1; 53; 56, comma 3 e 57, comma 3, Cost., espres-samente rinviano a tale precetto al fine di delimitare eventuali ed indebite prevaricazioni da parte dell’autorità in generale (sia essa legislativa, ammini-strativa e giudiziaria) che possano ledere i diritti dei cittadini; ma, a parer no-stro, è l’art. 97 Cost. che rappresenta il criterio ispiratore dell’azione ammi-nistrativa riferibile direttamente alla individuazione di limiti alla discrezionali-tà dell’Amministrazione finanziaria. E, difatti, è stato osservato «che non sem-bra … che possa revocarsi in dubbio che la proporzionalità costituisca un componente inscindibile ed essenziale della nozione di imparzialità e di buon andamento, non potendosi configurare un trattamento imparziale e corret-to che non rispetti anche la proporzionalità»

14. Il principio di imparzialità e di buon andamento impone all’Amministra-

zione di operare nel rispetto dei canoni di coerenza e di congruità, nonché di bilanciare, nel rispetto del principio di uguaglianza, l’interesse pubblico con i diritti del privato secondo ragionevolezza.

Quanto ai rapporti tra proporzionalità e ragionevolezza, entrambi inerenti alle valutazioni discrezionali della Pubblica Amministrazione, già il novella-to art. 1 della L. n. 241/1990 sembra scindere ed autonomizzare i due prin-cipi

15 sebbene sia stato evidenziato tra la proporzionalità e la ragionevolezza un rapporto tra species e genus

16, in realtà la ragionevolezza pondera la logici-tà e congruità della scelta operata, laddove il principio di proporzionalità im-plica una valutazione ed un contemperamento tra interesse pubblico perse-guito e diritto del privato.

Il nesso tra i due precetti è anche affermato dalla Corte costituzionale che, con la sent. 22 dicembre 1988, n. 1130, ha sostenuto come «in realtà il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valuta-zione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni

13 V. MARCHESELLI, Accertamenti tributari e difesa del contribuente, Milano, 2010, p. 18 ss. 14 V. ZINGALES, Disapplicazione da parte del giudice amministrativo di prescrizioni rego-

lamentari dei bandi di gara contrastanti con normativa primaria e con il principio di propor-zionalità, in Foro amm.-Tar, 1998, p. 2473.

15 Della stessa opinione anche VANZ, I poteri conoscitivi e di controllo dell’Amministrazio-ne finanziaria, Padova, 2012, p. 200 ss. il quale, nel prendere atto che dai più il principio di ragionevolezza è accomunato in un’unica e indistinta nozione a quello di proporzionalità, sostiene una sfera di operatività differente.

16 Così ZAGRELBESKY, Il diritto mite, Torino, 1992, p. 216.

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relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insin-dacabile discrezionalità rispetto alle esigenze oggettive da soddisfare o alle fi-nalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazio-ni concretamente sussistenti». Riteniamo, alla luce di quanto appena detto, che sia condivisibile l’affermazione

17 secondo la quale non possa negarsi al principio di proporzionalità il rango di precetto costituzionale, sebbene non espresso direttamente dalla Consulta.

Non v’è dubbio che la ragionevolezza rappresenti solo uno dei parametri della più complessa nozione di proporzionalità, «poiché dal raggiungimen-to di una soluzione formale ragionevole si passa ad una soluzione che si pro-fila come la più ragionevole possibile in relazione agli interessi dei soggetti coinvolti dall’attività amministrativa»

18. La maggiore pregnanza del principio di proporzionalità, con le articola-

zioni sopra individuate, consente di effettuare interessanti collegamenti con la fase istruttoria dell’accertamento tributario e, più in generale, con tutte quelle procedure dirette, in qualche modo, «all’acquisizione di conoscenze fiscalmente rilevanti incidendo in particolare nella fase della scelta dei poteri conoscitivi e di controllo da esercitare in concreto»

19. Va, comunque, osservato che – sebbene sia pacifico come l’Amministra-

zione finanziaria goda di un’ampia discrezionalità 20 anche con riferimento

alla scelta del potere istruttorio da esperire – «l’esercizio dei poteri istrutto-ri (sub specie di scelta del contribuente da accertare e\o di individuazione del potere istruttorio da esperire) costituisce espressione di un potere di au-torganizzazione avente rilevanza esclusivamente interna all’Amministrazio-ne finanziaria; potere cui, pertanto, non fa da contraltare alcuna posizione giuridicamente rilevante del privato ma, al più, un interesse di mero fatto del medesimo»

21. Sia pur riconoscendo una ampia discrezionalità nella scelta della intensi-

tà dell’esercizio dei poteri istruttori, «non sembra che possa ritenersi che la

17 V. BODRITO, op. cit., p. 282. 18 V. PARISIO, Principio di proporzionalità e giudice amministrativo italiano, in Nuove au-

tonomie, 2006, p. 729. 19 V. VANZ, op. cit., p. 200 ss. 20 Si veda SALVINI, La partecipazione del privato all’accertamento, Padova, 1990, p. 118

ss. la quale nel riconoscere una sostanziale libertà di scelta in capo all’Amministrazione fi-nanziaria e la mancanza di una posizione soggettiva tutelabile in capo al contribuente, am-mette comunque un interesse dello stesso qualora l’Amministrazione finanziaria operi ol-tre i limiti della ragionevolezza e della normalità.

21 V. RUSSO, Manuale di diritto tributario (parte generale), Milano, 2003, p. 267.

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compressione delle posizioni del privato disposta dalla legge abbia un’am-piezza illimitata, consentendo un sacrificio assoluto ed incondizionato di quelle posizioni, e ciò anche in considerazione del fatto che queste hanno so-vente un riconoscimento a livello costituzionale»

22. Orbene, se da un punto di vista di carattere generale non sembrano es-

servi dubbi sull’inquadramento del principio de quo, ciò che ci sembra fon-damentale ancora da chiarire è l’applicazione di esso alla materia tributaria, nonché l’esistenza di limiti all’operare dell’Amministrazione finanziaria al fine di rendere concreti i canoni della sopportabilità, fiducia ed organizza-zione tanto cari ad Ezio Vanoni

23. La potestà conoscitiva e di controllo, posta in essere con l’interesse prima-

rio della emersione del sommerso e della lotta all’evasione fiscale, natural-mente interferisce con le libertà del contribuente, tuttavia rivestono un ruolo di preminenza anche gli interessi dei privati «a non subire restrizioni delle proprie libertà individuali, se non nei limiti strettamente necessari al soddisfa-cimento delle superiori esigenze dell’Amministrazione finanziaria»

24. Pro-prio l’equo contemperamento fra l’interesse pubblico (e quindi anche fiscale) e quello dei privati è insito nei canoni della ragionevolezza e della proporzio-nalità.

3. La congruità del mezzo (strumento istruttorio) rispetto al fine (accerta-mento tributario)

La matrice comunitaria del principio di proporzionalità ne rafforza la sua piena applicazione nell’ordinamento interno e caratterizza ampiamente i rapporti tributari.

Il precetto della congruità del mezzo rispetto al fine comporta il contem-peramento di interessi contrapposti (dell’Amministrazione finanziaria e del privato) nell’ottica del minor sacrificio per il contribuente. Anche lo Statuto dei diritti del contribuente, sebbene non sancisca espressamente tale nozio-ne, si riferisce ad esso già in seno all’art. 1 che, nello stabilire come le dispo-

22 Così SALVINI, op. cit., p. 129. 23 Sulla mirabile opera vanoniana ci limitiamo a segnalare VANONI, Opere giuridiche, 2

vol., Milano, 1961; ID., Scritti e discorsi politici ed economici, Firenze, 1977. Per un interes-sante e snello contributo relativo al tema della semplificazione tributaria ed al pensiero di Vanoni si veda DE MITA, La legalità tributaria, Milano, 1993, p. 114 ss.

24 V. VANZ, op. cit., p. 208.

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sizioni statutarie, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., rappresentino principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali, applica alla materia tri-butaria il «principio democratico (e dunque di corretta gerarchia di valori tra interesse fiscale e diritti della persona)»

25 e, di conseguenza, non esisto-no interessi pubblici che possano violare i principi democratici costituzionali.

Se lo Statuto è interamente impregnato dal principio di proporzionalità (basti pensare all’obbligo di informazione del contribuente, al contradditto-rio, al principio di buona fede, alle verifiche fiscali

26, ciò che ci interessa, in questa sede, è valutarne le applicazioni in sede di procedimento di accerta-mento in generale, e nella fase istruttoria, in particolare, nell’ottica di una più efficace tutela del contribuente.

Quanto alle indagini bancarie ricordiamo come il decreto c.d. “Salva Ita-lia”, approvato con D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 e conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214, sia intervenuto in tale materia con disposizioni che, nel caso di applicazione automatica delle stesse, rischiano di mettere in seria difficoltà il contribuente «pregiudicando in modo eccessivo il suo diritto di difesa»

27 e, quindi, in aperta violazione del principio di proporzionalità.

In primo luogo, la norma appena citata, all’art. 11, ha previsto che dal 1° gennaio 2012 gli operatori finanziari sono tenuti ad inviare annualmente all’Anagrafe tributaria i dati sui conti correnti (saldo iniziale, finale e importi totali degli accrediti e degli addebiti) con finalità antievasione. Le perplessi-tà che sono emerse negli studi più recenti

28 – prescindendo da quelle relati-

25 V. MOSCHETTI, Il “principio democratico” sotteso allo Statuto dei diritti del contribuente e la sua forza espansiva, in AA.VV., op. cit., p. 17 ss.

26 Con particolare riferimento alla tutela del soggetto debole delle verifiche fiscali si vedano le riflessioni di MARONGIU, Accessi fiscali: “disagi” per il soggetto passivo o diritti del contribuente?, in Rass. trib., n. 2, 2014, p. 225 ss.

27 V. LUPI, Manuale professionale di diritto tributario, Milano, 2011, p. 279 ss. 28 Per contributi più recenti sul tema si vedano F. AMATUCCI, Le indagini bancarie nella

determinazione del maggior reddito tassabile, in Riv. dir. trib., n. 11, 2010, p. 1019; SAMMAR-TINO, La rilevanza fiscale delle operazioni di prelevamento, in PERRONE (a cura di), Diritto tributario e Corte Costituzionale, Napoli, 2006; FICARI, La rilevanza delle movimentazioni ban-carie e finanziarie ai fini dell’accertamento delle imposte sul reddito e sul valore aggiunto, in Rass. trib., n. 5, 2009, p. 1269; FRANSONI, La presunzione di ricavi fondata su prelevamenti bancari nell’interpretazione della Corte Costituzionale, in Riv. dir. trib., 2005, p. 967; MARCHESELLI, Accertamenti bancari: regole rigide producono risultati irragionevoli e implausibili, in Corr. trib., n. 1, 2010; MULEO, Il principio dell’effettività della tutela e gli anacronismi delle presun-zioni legali tributarie alla luce dei potenziamenti dei poteri istruttori dell’Amministrazione fi-nanziaria, in Riv. trim. dir. trib., n. 3, 2012; PERRONE, Le indagini bancarie: contributo allo

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ve alla tutela della riservatezza del contribuente alla luce anche del parere del Garante della privacy, e vista l’ingente mole di dati che gestisce l’Anagrafe tributaria – ci sembrano, con riferimento al tema de quo, riconducibili es-senzialmente al fatto che l’interpretazione delle movimentazioni bancarie e l’applicazione dei relativi automatismi presuntivi, rischino di accertare ric-chezze inesistenti

29. In particolare l’applicazione della «presunzione legale secondo cui i versamenti di cui il contribuente non è in grado di giustificare la provenienza dovrebbero essere considerati sic et simpliciter come elementi positivi di reddito» (art. 32, n. 2).

Paradossale presunzione, per così dire contro natura, si trova anche a proposito dei prelevamenti, anch’essi considerati “ricavi”, mentre a rigor di logica dovrebbero essere “costi”. Il difetto della norma è di operare in modo assolutamente automatico e, in qualche modo, di violare il principio demo-cratico del contraddittorio sopra individuato.

Ci sembra scontato ribadire come l’Amministrazione finanziaria sia tenu-ta ad orientare la propria attività conoscitiva ed istruttoria con poteri mag-giormente intensi soprattutto nei confronti dei soggetti ad alto rischio di eva-sione e, in virtù del principio di proporzionalità e ragionevolezza, procedere in tale direzione unicamente nei confronti di quei contribuenti per i quali esista fondato e consistente pericolo di evasione.

La mancata previsione dell’obbligatorietà del contraddittorio priva il con-tribuente di qualsivoglia garanzia e si presta «ad un esercizio di vessazione fiscale, in cui il contribuente si sente chiedere una giustificazione per versa-menti di quattro o cinque anni prima, sotto pena di vedersi accertare come reddito o operazioni imponibili Iva queste movimentazioni di conto»

30. In questo generalizzato clima di indebolimento delle garanzie per il con-

tribuente (basti pensare alle problematiche relative alle autorizzazioni, non-ché all’acquisizione ed all’utilizzo dei dati) sentiamo di dover condividere l’affermazione dell’ex Ministro Tremonti

31, secondo il quale «l’accertamen-to non basta, se si vuole ridurre l’evasione dobbiamo trasmettere un mes-saggio non poliziesco ma sociale, di deterrenza ... aggiungendo alla repres-

studio delle presunzioni nel diritto tributario, Bari, 2009; SERRANÒ, Indagini finanziarie e ac-certamento bancario, Torino, 2012; VIOTTO, I poteri di indagine dell’Amministrazione finan-ziaria, Milano, 2002.

29 V. LUPI, Manuale professionale, cit., p. 279. 30 V. LUPI, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, Milano, 2001, p. 437. 31 Per il testo integrale del commento si veda il sito www.avvenire.it.

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sione la prevenzione sarà possibile intensificare significativamente il contra-sto all’evasione fiscale ... male che piega il nostro Paese, è un male storico e radicato, un male mai davvero venuto meno dai tempi dell’Unità d’Italia».

E, dunque, per le indagini finanziarie così come «nella materia degli ac-certamenti induttivi, ogni irrigidimento legale o giurisprudenziale allontana l’attuazione della pretesa tributaria dal requisito della ragionevolezza e pro-porzionalità» 32.

Quanto alle verifiche fiscali l’art. 12, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente pone interessanti limiti all’intensità degli accessi, ispezioni e verifiche fiscali che devono essere effettuati «sulla base di esigenze effet-tive di indagine e controllo del luogo» ed ancora «con modalità tali da ar-recare la minore turbativa possibile alo svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente». Ci sembra innegabile che la violazione del principio della proporzionalità nel-l’intensità e nell’utilizzo di tale strumento istruttorio comporti anche un danno dell’immagine e, allora, «le conseguenze investono anche le que-stioni relative al risarcimento del danno per attività illegittima dell’ammini-strazione»

33. Sempre rimanendo all’interno della fase istruttoria, evidenti violazioni del

principio di proporzionalità ci sembrano palesarsi anche nel caso di omessa risposta ad un questionario dell’Amministrazione finanziaria

34. Anzitutto occorre precisare come tramite il questionario il contribuente,

sia sollecitato a fornire al Fisco dati, notizie e documenti la cui acquisizione è finalizzata alla ricostruzione dell’effettivo imponibile. Ed, ancora, ai sensi del disposto dell’art. 32, commi 4 e 5, del D.P.R. n. 600/1973, la mancata risposta ad un questionario, comporterebbe una sorta di decadenza dei po-teri istruttori nei confronti di quei contribuenti che, sebbene sottoposti a formale richiesta, abbiano omesso di esibire la documentazione e di fornire le informazioni richieste dagli Uffici finanziari. Dal tenore della normativa pare si possa affermare che la preclusione de quo operi solo nel caso in cui il contribuente abbia dolosamente sottratto al controllo la documentazione contabile con «un atteggiamento psicologico di consapevole e studiato ri-

32 V. MARCHESELLI, Accertamenti bancari, cit., p. 51 ss. 33 V. BODRITO, op. cit., p. 295. 34 Sul tema si veda MENTI, L’omessa risposta al questionario e l’accertamento induttivo del

reddito: la questione della proporzionalità della previsione, in Dir. prat. trib., n. 2, 2013, p. 228 ss.; SERRANÒ, Omessa risposta ad un questionario e diritti del contribuente, in Boll. trib., 2014.

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fiuto» 35, e non anche nel caso di omessa risposta

36 tenuto conto che «le condotte omissive od inerti del soggetto passivo divengono significative, ai fini della previsione in esame, quando il contribuente non fornisca infor-mazioni rilevanti che, ad esempio, attengono alle dinamiche economiche dell’azienda e siano, dunque, necessarie per effettuare una verifica causa cognita sull’attività imprenditoriale, capace di illuminare i freddi dati con-tabili»

37. Di conseguenza, l’atteggiamento del contribuente che si sottrae al dialogo con l’Amministrazione finanziaria, per negligenza o per scelta strategica

38, diviene sanzionabile e si riverbera in sede processuale ex art. 32, comma 3, richiamando le parti – non solo il contribuente, ma anche l’Ufficio impositore – ad una condotta ispirata al canone di lealtà

39, quale si evince dall’art. 10, comma 1, della L. n. 212/2000, ed all’obbligo del-l’Amministrazione di informare il contribuente di ogni fatto e circostanza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione della sanzione.

In effetti, «l’inerzia del contribuente, che omette di rispondere all’invito nei termini di legge è, di per sé, un comportamento neutro»

40 nel senso che «fino a che sono pendenti i termini di risposta non sussiste alcun inadem-pimento; una volta che questi siano decorsi ci si trova dinnanzi ad un ina-dempimento, ma non è chiaro se tale situazione sia permanente e definitiva

35 V. TRIVELLIN, Mancata o tardiva risposta agli inviti dell’ufficio: limiti della corretta ap-plicazione del metodo induttivo, in Rass. trib., n. 3, 2012, p. 743.

36 Evidenzia l’ambiguità della disposizione relativa agli effetti preclusivi del contribuen-te negligente INGRAO, La valutazione del comportamento delle parti nel processo tributario, Milano, 2008, p. 232, il quale afferma che «può essere sanzionato il comportamento del contribuente che impedisce all’Amministrazione (non esibendo l’atto o il documento) la possibilità di controllare il rispetto degli adempimenti contabili e fiscali del contribuente, ma non certo anche quello che non agevoli l’accertamento delle violazioni da parte del-l’Ufficio omettendo di fornire (peraltro oralmente) dati e notizie dell’attività».

37 V. TRIVELLIN, op. cit., p. 745. 38 Sulla scelta tattica del contribuente di non esibire nel procedimento di accertamento

quanto richiesto dall’ufficio si veda LUPI, Manuale professionale di diritto tributario, Milano, 1998, p. 912 ss. Il quale rileva come il contribuente possa strategicamente decidere di pro-durre i documenti de quo solo in giudizio cioè quando è ormai preclusa all’amministrazio-ne la possibilità di esperire una ulteriore azione accertatrice.

39 Sul punto di veda TUNDO, Documenti non esibiti a richiesta: preclusioni probatorie e garanzie del contribuente, nota a Cass., Sez. Trib. 7 febbraio 2013, n. 2867, in Corr. trib., n. 16, 2013, p. 1265, il quale afferma che le ragioni di tipo strategico sarebbero «difficilmente conciliabili con una partecipazione all’insegna della buona fede».

40 Così TRIVELLIN, op. cit., p. 748.

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e si concretizzi in un’omissione o sia invece temporanea e destinata ad esse-re risolta tramite adempimento tardivo»

41. Ci sia consentito, in conclusione, rilevare come sia assolutamente ne-

cessario rispettare il canone di proporzionalità fra l’intensità dello stru-mento istruttorio utilizzato dall’Ufficio e conseguenze sfavorevoli in caso di inadempimento da parte del contribuente e, cioè, tra il fine perseguito dall’Amministrazione finanziaria ed i diritti del contribuente. E, difatti, «la circostanza che l’ufficio scelga il mezzo istruttorio del questionario da in-viare al contribuente per acquisire dati e notizie specifici, anziché acquisire gli stessi dati e notizie direttamente utilizzando, ad esempio, l’accesso, la verifica, l’ispezione, pone l’interrogativo della proporzionalità dell’utilizzo del citato mezzo istruttorio rispetto al conseguimento del fine di avere la conoscenza dei dati e delle notizie, specie qualora si consideri che l’omes-sa o incompleta risposta al questionario è sanzionata con pena pecuniaria e che i dati e notizie non trasmessi non possono essere utilizzati a favore del contribuente ai fini dell’accertamento ed, infine, che l’omessa risposta al questionario legittima l’ufficio a procedere all’accertamento del reddito con metodo induttivo»

42. Sembra, dunque, pacifico che nell’esercizio dell’attività di controllo ed

indagine, l’Amministrazione debba adottare quei mezzi proporzionati rispet-to al fine perseguito

43 e debba ispirare tutto l’iter istruttorio nel suo com-plesso «al rispetto del principio costituzionale dell’imparzialità dettato dal-l’art. 97 Cost., a ragione del quale la pubblica amministrazione deve operare in modo tale da non creare disparità di trattamento ed anche di procedere ad una congrua ponderazione di tutti gli interessi coinvolti nell’azione am-ministrativa»

44. In conclusione, considerato che l’omessa risposta al que-stionario comporta l’applicazione della sanzione amministrativa e legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere all’accertamento dei redditi con metodo induttivo, si pone con evidenza la questione della proporzionalità dell’utilizzo di tale mezzo istruttorio rispetto al fine perseguito (della cono-scenza di dati e notizie) ed alla entità dello stesso.

Nell’accertamento operato con gli studi di settore ci pare si possa affer-mare che l’interessante sentenza della Corte di Cassazione, sez. un., 18 di-

41 V. TRIVELLIN, op. loc. ult. cit. 42 Si veda MENTI, op. cit., p. 240 ss. 43 V. POTITO, L’accertamento tributario, Napoli, 2011, p. 69 ss. 44 V. MENTI, op. cit., p. 238.

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cembre 2009, n. 26635 45, riconoscendo la rilevanza della realizzazione del

contraddittorio endoprocedimentale, in ossequio al principio del giusto pro-cedimento, mitighi una presunta violazione del principio di proporzionalità.

Le innumerevoli applicazioni del principio in questione non si limitano alla fase istruttoria in quanto, in estrema sintesi, non è possibile non applica-re tale precetto alla scelta operata dall’agente della Riscossione, nell’applica-zione di misure, quali il fermo dei beni mobili registrati o l’iscrizione di ipo-teca. In tale ipotesi siamo d’accordo con chi

46 sostiene che «deve essere pon-derato il disagio inferto al contribuente con le esigenze della riscossione: È questa la via, ad esempio, per contestare l’iscrizione di ipoteca su immobili a fronte di crediti di ridotto ammontare».

Riteniamo che sia necessario, nel rispetto dei doveri statutari di informa-zione del contribuente e di collaborazione con l’Amministrazione finanzia-ria, che al contribuente venga prontamente comunicato che, ragioni di tute-la del credito erariale, impongono di dover procedere con il fermo.

Tale comunicazione effettuata al contribuente sembrerebbe meramente eventuale, mentre, a parer nostro, andrebbe prevista e disciplinata proprio per una superiore esigenza di conformità alla L. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) ed al principio di proporzionalità. Ciò in quanto, trattandosi di misura cautelare e non afflittiva, non deve sussistere una spro-porzione tra l’ammontare del debito e la misura adottata a garanzia del cre-dito, altrimenti, più che di un legittimo esercizio del diritto in questione, si avrebbe un vero e proprio abuso dello stesso nel caso in cui la misura caute-lare del fermo si presenti sproporzionata ed irragionevole rispetto al credito erariale da tutelare. Nella pratica, purtroppo e sovente, accade che, a fronte della tutela di un credito irrisorio, venga disposto il fermo di un automezzo senza alcun rispetto della proporzionalità del credito.

4. Considerazioni finali

Dalle brevi riflessioni fin qui condotte emerge come la proporzionalità, sebbene non espressamente codificata come principio generale della discipli-na tributaria, dovrebbe essere, tuttavia, il canone ispiratore dell’agire dell’Am-ministrazione finanziaria.

45 Si veda DE MARCO, Dalla fase statica alla fase dinamica degli studi di settore, in Fiscali-tax, nn. 9-10, 2010, p. 1175 per un efficace commento alla sentenza citata.

46 V. MARCHESELLI, Lo Statuto del contribuente, cit.

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Il contemperamento di diritti del contribuente e degli interessi erariali attraverso il principio della congruità del mezzo rispetto al fine perseguito, in sede procedimentale, dovrebbe condurre l’Amministrazione finanziaria ad adottare strumenti istruttori tollerabili e poco invasivi nelle situazioni di mo-desto interesse erariale.

Con riferimento a tale esigenza, il Supremo Collegio 47 si è pronunciato

stabilendo come «proprio perché le intromissioni nella sfera del governato sono delle eccezioni rispetto alla regola della sua intangibilità, derivante dal-l’assunzione, da parte dello Stato italiano, della forma dello Stato di diritto (art. 2 Cost. prima proposizione), esse devono essere non solo ridotte al minimo indispensabile, secondo un altro principio – quello di proporziona-lità – immanente anch’esso nell’ordinamento ed esplicitato dalla legge 7 ago-sto 1990, n. 241, art. 1, 2° comma (la Pubblica Amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze im-poste dallo svolgimento dell’istruttoria) ma, devono essere ispirate al prin-cipio di collaborazione e di lealtà e devono essere tali da non indurre in er-rore il governato».

Ci sembra, pertanto, che si possa affermare come tale criterio, a tutt’oggi, «costituisce un parametro di valutazione teleologica della norma, vale a dire un criterio di giudizio della idoneità strumentale della fattispecie normativa a raggiungere l’obiettivo sistematico ad essa assegnato dal legislatore. Si tratta, pertanto, di un criterio dai confini inevitabilmente evanescenti, la cui appli-cazione concreta è affidata a giudizi di tipo probabilistico-quantitativo e ad analisi prognostico sulle finalità della legge all’interno dell’ordinamento, che sconta il sensibile rischio di un ampio grado di apprezzamento soggettivo e, di conseguenza, di indeterminatezza»

48. Inteso in tali termini, e non solo come parametro di commisurazione del-

la sanzione rispetto alla gravità dei comportamenti, il principio in questione avrebbe dovuto essere espressamente sancito come precetto di carattere ge-nerale all’interno delle disposizioni statutarie ed essere declinato in seno alla fase istruttoria, della riscossione e, più in generale, come canone ermeneuti-co di bilanciamento di interessi tenendo conto, altresì, che in situazioni di emergenza e di crisi economica, l’interesse fiscale non deve mai sopprimere e/o mortificare la tutela del contribuente

49. Soltanto con siffatti presupposti

47 Cass., sez. trib., 13 febbraio 2009, n. 3559. 48 V. BORIA, L’anti-sovrano, Torino, 2004, p. 74 ss. 49 Si veda BORIA, L’interesse fiscale, Torino, 2001, p. 115 il quale fa riferimento alla pre-

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il rischio di evanescenza di tale principio, fondamentale di ogni Stato demo-cratico, può essere scongiurato.

Quanto alla costituzionalizzazione del principio del contraddittorio ex art. 24, comma 2, secondo il quale «la difesa è diritto inviolabile in ogni sta-to e grado del procedimento», concordiamo con chi

50 ha asserito che «è impensabile che il legislatore abbia utilizzato il termine “procedimento” senza la necessaria consapevolezza» e, di conseguenza, «bisogna dedurre che il principio del contraddittorio debba essere rispettato anche nella fase proce-dimentale ed istruttoria».

Ecco, dunque, chiarito il nesso tra il principio di proporzionalità ed il contraddittorio, la cui istituzionalizzazione, come momento imprescindibile del procedimento, può consentire al contribuente di sollevare (e motivare) una eventuale sproporzione fra gli strumenti istruttori adoperati e le “dimen-sioni” del contribuente. L’intensità degli strumenti istruttori realizza una spro-porzione, e dunque diventa censurabile, quando è eccessiva rispetto agli scopi da perseguire con riferimento alla idoneità, necessarietà ed adeguatezza.

A tal proposito, ed in conclusione, rammentiamo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sent. 19 dicembre 1991, n. 467 che, nel sancire la regola della “ragionevole proporzione”, impone al legislatore che una even-tuale restrizione di un diritto inviolabile dell’uomo avvenga «soltanto nei limiti strettamente necessari alla protezione dell’interesse pubblico sotto-stante al dovere costituzionale contrapposto».

In conclusione, riteniamo che, al fine di evitare «una sorta di conventio ad excludendum nei riguardi del contribuente»

51, sarebbe quantomai op-portuno anticipare il contraddittorio

52 ed istituzionalizzarlo all’interno della fase procedimentale poiché in tutti i casi di tutela differita del contribuente si realizza a nostro avviso una evidente lesione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità.

valenza dell’interesse fiscale “in senso forte”, cioè come interesse erariale, rispetto a quello del contribuente.

50 V. FERLAZZO NATOLI, La tutela del contribuente nel procedimento istruttorio (tra con-ventio ad excludendum ed uguaglianza costituzionale), in Dir. prat. trib., n. 3, 2006, p. 582.

51 V. FERLAZZO NATOLI, Diritto tributario, Milano, 2010; ID., La tutela del contribuente nel procedimento istruttorio, cit., p. 575.

52 Tale esigenza è stata fortemente ribadita da FERLAZZO NATOLI, La rilevanza del prin-cipio del contraddittorio nel procedimento di accertamento tributario, in L’evoluzione dell’ordi-namento tributario italiano, Atti del Convegno “I settanta anni di Diritto e Pratica tributa-ria”, Genova 2-3 luglio 1999, Padova, 2000, p. 541 ss.

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Cristina Trenta

LA “GOOGLE TAX” ITALIANA. REGIME FISCALE ITALIANO ED E-ECONOMY EUROPEA

THE ITALIAN “GOOGLE TAX”. NATIONAL TAXATION AND THE EUROPEAN E-ECONOMY

Abstract Questo articolo analizza le misure introdotte nel Testo Unico IVA sulla pubblici-tà online con la cosiddetta “Google tax”. Sebbene la “Google tax” sia stata infine abrogata, un attento esame del suo profilo giuridico e fiscale in relazione ai prin-cipi sottesi sia alla normativa e alla Carta costituzionale italiana che ai valori eu-ropei, specialmente alla luce dei diritti e delle libertà fondamentali sanciti dal-l’Unione, fornisce principi guida per future iniziative legislative nel settore emer-gente dell’economia digitale. Parole chiave: principi costituzionali, pubblicità on-line, economia digitale, Google Tax, libertà fondamentali UE This paper analyses the measures introduced within the Italian VAT Statute dealing with online advertising through the so-called “Google Tax”. Although the “Google Tax” has finally been repealed, an in-depth analysis of its legal and tax aspects in connection with both national and European rules, the EU funda-mental freedoms and rights, and the Italian Constitutional principles, provides inte-resting guidelines for future legislative initiatives in the emerging area of digital economy. Keywords: constitutional principles, online advertising, digital economy, Google tax, EU, fundamental freedoms, fundamental rights

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SOMMARIO: 1. Introduction. – 2. The Google Tax. – 2.1. Online Advertising Services and Search advertis-ing Services. – 2.2. VAT Place of Supply. – 3. Breach of Competition. – 3.1. Freedom to Con-duct a Business. – 3.2. Tax Avoidance and Evasion. – 4. Conclusions.

1. Introduction

Information and communication technologies have a large influence on the European economy: Internet-wise businesses open up markets were traditional operators stumble, while consumers benefit from lower prices and more choice. At a moment when Europe demands growth

1 and growth also implies improvements to the free movement of goods, services, people and capital within Europe’s Single Market

2, the free movement of digital services and a stronger Digital Single Market

3 as well seem a necessary part of any plan that aims at succeeding.

It is not by chance that the European Commission supports the Digital Single Market as one of the seven pillars of their Digital Agenda for Europe, with a stated goal of moving 50% of the European customers to online commercial transactions by 2015

4. At the same time, the activities of many of the big Internet players such

as Google, Amazon, Apple, Facebook, or those of smaller emerging new me-dia firms pushing innovative business models, are illustrating how at times the traditional way of collecting taxes

5 can be easily sidestepped, with a neg-

1 COM (2011) 942 final, Commission Communication to the European Parliament, the Council, the Economic and Social Committee and the Committee of the Regions. A cohe-rent framework for building trust in the Digital Single Market for e-commerce and online services. See also JENSEN-VESTERGAARD, Untapped Potential of Cross-Border E-Commerce De-lays Growths in the EU, Confederation of the Danish Industry, February 2012.

2 TFEU, art. 26. 3 The Digital Agenda for Europe (DAE) aims to reboot Europe’s economy and help

Europe’s citizens and businesses to make the most of digital technologies. It is the first of seven flagships initiatives developed under Europe 2020, the EU’s strategy to deliver smart sustainable and inclusive growth. http://ec.europa.eu/digital-agenda/digital-agenda-europe. See also MARTENS-ZULEEG, The Digital Single Market 2.0, in Policy Brief, European Policy Center, 27 February 2012.

4 COM (2010) 245 final, Communication from the Commission to the European Par-liament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions, A Digital Agenda for Europe.

5 DE FILIPPI, Taxing the Cloud: Introducing a New Taxation System on Data Collection?, in Internet Policy Review, 2013.

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ative impact on public revenues. There is no need of creativity here: very of-ten, Internet-based service companies are taking advantage of loophole op-portunities provided by old national taxation systems and obsolete Europe-an rules to obtain a more favorable tax treatment. Google located its head-quarters in Ireland

6, to profit from lower taxation, while Skype has offices in Luxembourg. These companies perform in the rest of Europe, Italy includ-ed, only ancillary activities that do not generate in and by themselves useful taxable income: in the specific area of intervention of the “Google Tax”, online advertising, all of the revenue is taxed in the country where such enti-ties have their headquarters

7. This has led to various domestic proposals to change the ways on how

such transactions and companies are to be taxed 8, not a surprising turn of

events given how many countries deal with high levels of public debt and tre-mendous pressure to collect more tax revenue

9. Alternative taxation forms and controversial approaches to taxation for the digital economy have been discussed and introduced, sometimes repealing already approved acts, all over Europe, often introducing, because of their local and non-harmonized impact, more issues than they solved. The adoption of a common European single policy for these specific issues is becoming crucial.

In the light of national and European principles, this paper discusses the so called Italian “Google Tax”, or “Web Tax”, initially adopted, then pro-

6 Interrogazione e Risposta Parlamentare n. 5-08526, 28 November 2012, Risposta del Sottosegretario Vieri Ceriani all’interrogazione presentata dall’onorevole Graziano, Accer-tamenti tributari nei confronti del gruppo Google. See also Camera dei deputati – Com-missione Finanze 28 November 2012, Stefano Graziano (PD) rinuncia ad illustrare la propria interrogazione. Il sottosegretario Vieri Ceriani risponde all’interrogazione, Testo della risposta. http://documenti.camera.it/leg16/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2012/ 11/28/leg.16.bol0746.data20121128.com06.pdf.

7 TOMASSINI-IASELLI, Web-Tax in cerca d’autore, in Corri. trib., n. 4, 2014, p. 297. 8 AVI-YONAH, Hanging Together: A Multilateral Approach to Taxing Multinationals, 2013.

University of Michigan Public Law Research Paper no. 364. http://ssrn.com/abstract= 2344760. For specific issues concerning supporting content production with levies on ISPs, see KOWOL-PICARD, Content Taxes in the Digital Age: Issues in Supporting Content Pro-duction With Levies on ISPs, Telecoms, Search and Aggregator Firms, and Digital Products, in Policy Brief, Reuters Institute for the Study of Journalism, University of Oxford, 2014. https://reutersinstitute.politics.ox.ac.uk/fileadmin/documents/Publications/Working_Papers/Kowol_and_Picard_Content_Taxes_Policy_Brief.pdf.

9 FUEST-SPENGEL-FINKE-HECKEMEYER-NUSSER, Profit Shifting and Aggressive Tax Plan-ning by Multinational Firms: Issues and Options for Reform, in ZEW Discussion Papers, no. 13-078, 2013. See also SULLIVAN, Economic Analysis: Should Tech and Drug Firms Pay More Tax?, in Tax Notes International, 2012, pp. 655-656.

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crastinated, and finally repealed by the Italian government, as noteworthy be-cause of its fiscal policy implications and larger significance in today’s Euro-pean landscape. The possible down sides of the Italian approach as a national approach are examined in detail, and the analysis is therefore limited to the VAT provisions and does not include the examination of art. 1 par. 177 and 178 of the Stability Act, Legge 27/12/2013 no. 147, the former dealing with transfer pricing issues for purposes of income taxation, and the latter with the purchase of online advertising services and ancillary services transacted through either a bank or post office account for general accountability.

The paper introduces the general topic first, moves on to describing the Italian disposition, then proceeds with the analysis and review of the provi-sions, focusing on whether they pose a threat to EU law and national consti-tutional principles and if this threat might be justified somehow. Finally, con-clusions are drawn.

2. The Google Tax

Italy has initially approved, and then repealed, a much disputed act con-cerning advertising services acquired online and online advertising spaces or sponsored links appearing in results pages provided by search engines and viewable in Italy through a fixed line or mobile devices and network. The reg-ulation mandated for such services to be purchased exclusively through enti-ties registered in Italy and having a VAT Italian number, even if the transac-tion was concluded through media centers or third-party operators

10. This new disposition was introduced in the Italian 2104 Budget Act,

with the actual provision included in the Stability Act 11. Then, according to

art. 1(1) of the Law Decree 30/12/2013 no. 151 12, the entry into force of

this new fiscal measure was postponed from January 1 2014 to July 1 2014 13.

10 DIRITTO&INTERNET, Il blog dello Studio Legale Finocchiaro, Legge di stabilità 2014: isti-tuito l’obbligo di acquistare pubblicità online solo da aziende italiane. http://www.blogstudio legalefinocchiaro.it/miscellanee/legge-di-stabilita-2014-istituito-lobbligo-di-acquistare-pubblicita- online-solo-da-aziende-italiane/.

11 Legge di stabilità 2014, L. 27 Decembre 2013, n. 147. Official Gazette 27 December 2013.

12 Published in the G.U. 30 December 2013, n. 304. Entered into force December 31 2013.

13 See GALLO, Italy: Taxation of Digital Economy Services – Entry Into Force of New Rules Postponed, in IBFD database, January 2014; LOMAS, Italy’s “Web Tax” Delayed For Six Months, 2014, http://tax-news.com.

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The Senate maintained the prorogation was justified by the need to verify the compatibility of the new measure with EU law

14. Nevertheless, on February 26 2014 the Government announced its deci-

sion to not convert the decree 15, factually killing the disposition. Then, with

Law Decree no. 16 of March 6 2014, the Italian Government definitely re-pealed the new rules. The Parliament converted the Law Decree into ordi-nary Act no. 68 on May 2

16. Regardless of the final abrogation, this disposi-tion is of extreme legal and fiscal interest, as it allows to shed some light into the possible consequences in respect to the general principles of tax law of similar domestic approaches to solving EU and international matters.

The original provision introduced a new article in the VAT Italian ACT, art. 17a, stating the mandatory requirement for foreign companies selling online advertising to a taxable person in Italy of obtaining an Italian VAT number:

«In the Republic Presidential Decree 26 October 1972, no. 633, after Article 17, the following is inserted:

1. Article 17(a): 1. The taxable persons wishing to buy advertising services and sponsored online links, through also online media centers and third-party operators, are obliged to purchase them from the holders of a VAT number issued by the Italian tax administration. 2. The online advertising spaces and sponsored links that appear in the results pages of search engines (search advertising services), viewable on the Italian territory during the vis-it of a website or the use of an online service through landline or network and mobile devices, must be purchased exclusively through entities, such as publishers, advertising agencies, search engines or other advertiser, regis-tered for VAT issued by the Italian tax administration. This provision shall also apply in cases where the sales transaction has been carried out through media centers operators and third parties advertisers»

17.

14 Senato della Repubblica, Servizio di Bilancio del Senato, Note di lettura, January 2014, no. 28, p. 1. http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/ dossier/file_internets/000/000/500/NL28.pdf.

15 Camera dei Deputati, 28/02/2014, XVII Legislatura, n. 41. http://www.camera.it/ application/xmanager/projects/leg17/attachments/shadow_newsletterr/file_names/000/000/ 506/newsletter_041.htm. See also art. 2 (1)(a) Law Decree no. 16, March 6 2014.

16 Published in the G.U. n. 102, May 5 2014. 17 Translation by BALCO-ASSILOV, International Tax News, Italian Google Tax Insight,

Nazkhanov and Partners, in Cooperation with Central Asian Tax Research Center, Tax Alert, 2014, p. 10. Original Italian text: «Nel decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre

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Previous drafts were also applicable to goods and services purchased online. This idea was abandoned

18, and the final proposed disposition fo-cused on advertising services only, rather than on electronic commerce as a whole, albeit remaining highly debatable and controversial even in this new reduced operative version

19. The goal of the new rule being introduced was simple: increase tax reve-

nue on Italian soil. It intended to achieve this goal by mandating Internet-based foreign companies operating in Italy and selling online advertising visible in Italy to do business through an Italian VAT number and conse-quently, as far as tax regulations are concerned, through a permanent estab-lishment in Italy

20. Immediate suspicion was raised that if approved, this regulation would

violate not only a number of prime principles established in the Italian Con-stitution, but also EU law under several aspects, first and foremost by forc-ing foreign companies to set up permanent establishments in Italy in order to do business, certainly a blow to the EU fundamental freedoms and prin-ciples of non-discrimination

21.

2.1. Online Advertising Services and Search advertising Services

Even if the phrasing of the provision is unnecessarily ambiguous and of-fers the side to criticism in its all-too-easy using or dropping of “online” be- 1972, n. 633, dopo l’articolo 17 è inserito il seguente: Art. 17-bis. (Acquisto di pubblicità on line) 1. I soggetti passivi che intendano acquistare servizi di pubblicità e link sponsoriz-zati on line, anche attraverso centri media e operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita IVA rilasciata dall’amministrazione finanziaria italiana. 2. Gli spazi pubblicitari on line e i link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca (servizi di search advertising), visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito internet o la fruizione di un servizio on line attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili, devono essere acquistati esclusivamente attraverso soggetti, quali edito-ri, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca o altro operatore pubblicitario, titolari di partita IVA rilasciata dall’amministrazione finanziaria italiana. La presente disposizione si applica anche nel caso in cui l’operazione di compravendita sia stata effettuata mediante centri media, operatori terzi e soggetti inserzionisti».

18 European Parliament, Italian “stability law” and notification procedure, E-014443-13, December 23 2013.

19 DE NIGRIS-ROUSSET-ZANOTTI, A Look at Italy’s 2014 Budget Law, Tax Notes Interna-tional, vol. 73, n. 11, 2014, pp. 1025-1030.

20 TOMASSINI-IASELLI, op. cit. 21 TFEU, art. 18.

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tween sentences, it is safe to state that the first paragraph applies to “online advertisement services”, and the second one to “search advertising services”. These can be subsumed to be the subset of online advertisement services provided to visitors after they perform a search, as opposed to simply visit-ing a page or website

22. Whatever applies to the former also applies to the latter.

Doctrine stresses how both the Italian VAT Act and the Italian tax sys-tem supposedly lack a necessary definition of online advertisement ser-vices

23. We find a mention in the European VAT Council Regulation no. 282/2011 though: while explaining the list of electronically supplied ser-vices contained within Directive 2006/112/EC

24, the Regulation classifies the provision of advertising space including banner ads on a website/web page as electronically supplied services

25. Art. 7 of the same text defines elec-tronically supplied services as including

«services which are delivered over the Internet or an electronic network and the nature of which renders their supply essentially automated and in-volving minimal human intervention, and impossible to ensure in the ab-sence of information technology».

Still, the VAT Directive, the VAT Council Regulation no. 282/2011, and the VAT Council Regulation no. 1042/2013

26 do not provide, strictly speak-ing, a definition of advertising. To understand what services were to be cov-ered by the Italian provision, then, we have to proceed by means of interpre-tation and start from the characteristics of traditional advertising first.

22 Case no. COMP/M. 5727-Microsoft/Yahoo! Search Business, Regulation (EC) no 139/2004, Merger procedure, 18/02/2010. Par. 37 states that “A first criterion to categorise online ads is the selection mechanism which is the way the ad is selected to appear on a user’s screen. On this basis, there are two main categories: search ads and non-search ads”.

23 QUARANTINO, New Provisions Regarding the Taxation of the Digital Economy, in Euro-pean Taxation, n. 5, 2014, pp. 211-217.

24 Council Directive 2006/112/EC of 28 November 2006 on the common system of Value Added Tax. OJ L 347, 11/12/2006.

25 Council Implementing Regulation (EU) no 282/2011 of 15 March 2011 laying down implementing measures for Directive 2006/112/EC on the common system of value added tax OJ L 77, 23/03/2011, pp. 1-22. Annex I.

26 Council Implementing Regulation (EU) n. 1042/2013 of 7 October 2013 amending Implementing Regulation (EU) n. 282/2011 as regards the place of supply of services OJ L 284, 26.10.2013, pp. 1-9.

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The ECJ provides a little guidance in the Belgian Electronic Sorting Tech-nology case

27: the Court there recalls the definition contained within the Directive on advertising

28 as including “the making of a representation in any form in connection with a trade, business, craft or profession in order to promote the supply of goods or services, including immovable property, rights and obligations”

29. The Court intends such definition broadly, not limited to traditional forms of advertising only but including also different types of promotional messages

30. In the Commission v French case, the ECJ also stated that advertising is a Community concept which must be inter-preted uniformly in order to avoid instances of double taxation or non-tax-ation which may result from conflicting resolves

31, and for this reason framed the concept rather broadly within the field of VAT:

«the concept of advertising necessarily entails the dissemination of a message intended to inform consumers of the existence and the qualities of a product or service, with a view to increasing sales. Although that message is usually spread, by means of spoken or printed words and/or pictures, by the press, radio and/or television, this can also be done by the partial or ex-clusive use of other means»

32.

In terms of online advertising services, the source is the eCommerce Di-rective

33. Recital 18 explicitly mentions commercial online communications

27 Case C-657/11, Belgian Electronic Sorting Technology NV v Bert Peelaers, Visys NV, OJ C 252, 31 August 2013, pp. 12-12.

28 Directive 2006/114/EC of the European Parliament and of the Council of 12 De-cember 2006 concerning misleading and comparative advertising. OJ L 376, 27 December 2006, pp. 21-27.

29 Directive 2006/114/EC, art. 2 (1) (a). See also Case 657/11 above, para. 4. The Court mentioned also Case C-112/99, Toshiba Europe GmbH v Katun Germany GmbH., [2001] ECR I-7945. Para. 28, «(i)n view of that especially broad definition, advertising, including comparative advertising, may occur in very different forms».

30 HOFER, European Union: The Court of Justice of the European Union. Recent Case-Law Affecting Advertising, Mondaq, 2013. http://www.mondaq.com/.

31 Case C-68/92, Commission of the European Communities v French Republic, [1993] ECR I-5881. Para. 14.

32 Case C-68/92, Commission of the European Communities v French Republic, [1993] ECR I-5881. Para. 16. See also Case C-73/92, Commission of the European Communities v Kingdom of Spain, [1993] ECR I-5997.

33 Directive 2000/31/EC of the European Parliament and of the Council of 8 June 2000 on certain legal aspects of information society services, in particular electronic com-

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Cristina Trenta 897

as information services. Furthermore, art. 2 (f) of the same Directive de-fines commercial communication as:

«any form of communication designed to promote, directly or indirectly, the goods, services or image of a company, organisation or person pursuing a commercial, industrial or craft activity or exercising a regulated profession».

Finally, according to recital 29, the Directive supplements applicable law in the field of information services

34. The definitions of traditional advertis-ing services and online advertising services are thus consistent, and coordi-nation between the two Directive does not present specific interpretation issues. Furthermore, both Directives have been implemented within the Italian legal system

35, while Case law of the ECJ are directly applicable in national law-making, rendering an additional, national tax-law-only, defini-tion of online advertising services unnecessary and problematic, a way to in-troduce more complexity into the legal framework without providing addi-tional clarity.

On the other hand, an explicit reference within the VAT EU frameworks to the Directives on Advertising and e-Commerce on this specific point would be highly desirable, as it would make the necessity to proceed by in-terpretation void.

2.2. VAT Place of Supply

The first paragraph refers to any Italian company that buys online adver-tising and specifies that they can only legitimately purchase such services from an entity identified by a VAT number issued by the Italian tax admin- merce, in the Internal Market (Directive on electronic commerce). Official Journal L 178. 17/07/2000.

34 Directive 2000/31/EC, Whereas 29th. See also EUROPEAN AUDIOVISUAL OBSERVA-TORY, Collection, Going Horizontal, IRIS Plus, Legal Observations of the European Audiovisual Observatory, Council of Europe, 2003, p. 28.

35 See Legislative Decree April 9 2003, no. 70, Attuazione della Direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato in-terno, con particolare riferimento al commercio elettronico. For the Advertising Directive, see Legislative Decree August 2 2007, no. 145, Attuazione della Direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le Direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE, 2002/65/CE, e il Reg. (CE) n. 2006/2004.

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istration. It is worth considering that the repealed provision was above all conceived specifically for B2B transactions, and that Council Implementing Regulation 282/2011

36, in its art. 11, positively prescribes the characteris-tics of the fixed establishment as having a sufficient degree of permanence, a suitable structure in terms of human and technical resources

37, and the ca-pacity to receive and use the services supplied to it for its own needs or to provide those services it supplies.

The same art. 11, third paragraph 38, expressly excludes that a VAT iden-

tification number is in itself sufficient to conclude that a taxable person has a fixed establishment in the territory of a state

39. Furthermore, the rule does not alter neither the provisions on territorial-

ity which are applicable to online advertising, nor introduces an exception to the rules on the application of VAT with respect to services rendered by non-residents to Italian taxable persons. Article 17(2) of the Italian VAT Act gives guidance on the obligations relating to the supply of goods and services provided on the territory of the state by non-residents in respect of taxable persons established in the territory of the state: these duties are ful-filled by the taxable persons established in the territory of the state

40. Addi-tionally, according to the Italian VAT Act, online advertising services pro-vided by a non-resident taxable person to a taxable Italian person (B2B) are regulated by the territorially provisions on B2B, again prescribing taxation in the consumer’s place of establishment

41.

36 Council Implementing Regulation (EU) no. 282/2011 of 15 March 2011 laying down implementing measures for Directive 2006/112/EC on the common system of value ad-ded tax.

37 Case 168/84, Gunter Berkholz v Finanzamt Hamburg-Mitte-Altstadt, [1985]ECR 2251. Para. 18 «(t)hat services cannot be deemed to be supplied at an establishment other than the place where the supplier has established his business unless that establishment is of a certain minimum size and both the human and technical resources necessary for the provision of the services are permanently present. It does not appear that the installation on board a sea-going ship of gaming machines, which are maintained intermittently, is ca-pable of constituting such an establishment, especially if tax may appropriately be charged at the place where the operator of the machines has his permanent business establishment». See also Case C-190/95, ARO Lease BV v Inspecteur van de Belastingdienst Grote Onderne-mingen te Amsterdam, [1997] ECR I-4383.

38 Council Implementing Regulation (EU) no 282/2011, Article 11(3). 39 TOMASSINI-IASELLI, op. cit. 40 TOMASSINI-IASELLI, op. cit. 41 Italian VAT Act, no. 633, 1972, art. 7 ter.

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Cristina Trenta 899

In conclusion, as far as VAT is concerned, the repealed disposition as such would not have modified the place of supply for online advertising ser-vices

42. The second paragraph narrows the field to advertising only visible on the

Italian territory and specifies that such advertising must be purchased exclu-sively through entities, such as publishers, advertising agencies, search en-gines or other advertiser, registered for VAT by the Italian tax administra-tion.

This measure would have forced any business specifically selling search advertising services through the World Wide Web but visible in Italy to ob-tain an Italian VAT position, even if their activities were carried out outside of Italian territory. The only fiscally relevant trigger being visibility, this dis-position would mandate an hypothetical Chinese seller part of such a trans-action to establish a permanent establishment in force of their being as-signed an Italian VAT number. Any literal interpretation and application of this rule of law would create paradoxical results, since an indefinite number of international companies whose advertising is viewable in Italy would have to file for an Italian VAT number in order to comply.

3. Breach of Competition

Another issue that need to be investigated is whether the conditions out-lined the repealed disposition were somehow permissible under both the Italian Constitution and EU law.

The Italian Constitution, art. 41(1), upholds that private economic initi-ative is free: limitations can be only provided by the law. Doctrine interprets this freedom as not being restricted only to the determination of whether to undertake a business enterprise or not, but to its organization as well. Eco-nomic initiative is framed as the freedom to decide what to produce, how to produce it, when to produce it, and where to produce it

43. Freedom of com-petition is protected as well, with doctrine maintaining it has always been

42 TOMASSINI-IASELLI, op. cit., quoting TROVATO, Destinazione IVAlia, quando la cattiva politica digitale incontra la cattiva politica fiscale, in Focus, no. 226, December 2013.

43 COSTANTINI, Limiti all’iniziativa economica privata e tutela del lavoratore subordinato: il ruolo delle c.d. “clausole sociali”, in IANUS, n. 5, 2011, pp. 199-262.

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considered a general principle of the Italian legal system 44. While art. 41 of

the Constitution recognizes the freedom of economic initiative, art. 117 (2)(e)

45 of the same Charter, explicitly protects competition. Competition not only limits regional legislative competence, but it is also

connected to the exclusive legislative power of the state, whose burden is to promote good competition and refrain from policies that restrict competi-tion. Very clearly, the Italian Constitution considers competition a value.

This is also in the interest of potential entrepreneurs: the Italian Consti-tutional Court has further maintained that this protection extends to the gua-rantee of equal treatment and measures among businesses, including a lack of obstructions for new players who want to enter the field

46, and has stated more than once that all legal frameworks regulating competition have the ultimate goal of promoting an open market economy through free competi-tion

47. It is to be noted that this domestic notion, as per art. 117 (2)(c) of the Italian Constitution, certainly reflects a concern that we also find in EU Law.

On the other hand, a provision which imposes the necessity, for foreign digital companies selling online advertising, of having an Italian VAT number is an attempt to apply to non-Italian enterprises the Italian tax rules, even when different EU tax principles would be applicable in the specific case, potentially harming both producers and consumers in the process. Producers, directly, by unbalancing the playfield, and consumers through the artificial restrictions imposed to their freedom of choosing as they could only buy from those who hold a VAT Italian number

48. While it could be argued that restrictions are what laws are about, laws cannot be in breach of the funda-mental values of the Constitution.

44 COSTANTINI, op. cit., pp. 199-262. 45 Art. 117: «Legislative powers shall be vested in the State and the Regions in compli-

ance with the Constitution and with the constraints deriving from EU-legislation and in-ternational obligations. 2 The State has exclusive legislative powers in the following sub-ject matters: (e) the currency, savings protection and financial markets; competition pro-tection; foreign exchange system; state taxation and accounting systems; equalisation of financial resources».

46 Italian Constitutional Court, no. 336, 2005/07/28. 47 Italian Constitutional Court, no. 13, 2004/01/13. 48 AMERICAN CHAMBER OF COMMERCE IN ITALY, La “Web Tax” è un danno d’immagine

per l’Italia, 2013. http://www.amcham.it/?id=418&id_n=4101. Accessed 2014/01/10.

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Cristina Trenta 901

3.1. Freedom to Conduct a Business Advertising services is considered as to be included into the area protect-

ed by the principle of freedom of economic initiative 49 and on the freedom

to conduct a business as per art. 16 of the Charter of Fundamental Rights of the European Union. In this field limitations and restrictions can be admitt-ed for superior reasons of public interest

50. EU legislation regulates advert-ising in electronic media in accordance with the case-law of the ECJ, as part of the system of fundamental freedoms. On the one hand, advertising is considered to be a service, and national laws may not therefore restrict the freedom to provide such a service, even if they may regulate it under certain circumstances, for example to protect the public interest. Such interventions should not be disproportionate in respect to their intended objective

51, and should not go beyond what is necessary to achieve it

52. In the Canal Satélite Digital case

53, the issue brought before the Court was as to whether national registration requirements would configure re-strictions to the free movement of goods and services. The ECJ maintained that they were neither justified nor necessary in pursuing the aim

54. In the case of the “Google Tax”, the issue is whether an Italian disposi-

tion may hinder or impede, for tax revenue and collection reasons, the free-dom of establishment or the freedom of providing services within the EU. If so, whether this restriction may be justified.

Freedom of trade constitutes one of the most basic human liberties: an open market based on free competition

55 is one of the core EU assets 56, and

the Treaty protects the free movements of goods, services, persons, capital,

49 See for instance the EUROPEAN COMMISSION XV, Report on Competition Policy, 1985, p. 11. «Effective competition (...) preserves the freedom and right of initiative of the individual eco-nomic operator and it fosters the spirit of enterprise». See also VAN DEN BERGH-CAMESASCA, Eu-ropean Competition Law and Economics – A Comparative Perspective, Antwerpen, 2001, p. 62.

50 HOFER, European Union: The Court of Justice of the European Union: Recent Case-Law Affecting Advertising, Mondaq, 2013. Available at: http://www.mondaq.com/.

51 Case 352/85, Bond van Adverteerders and others v The Netherlands State, [1988] ECR 2085. Para. 36.

52 Case C-390/99, Canal Satélite Digital SL v Adminstración General del Estado, and Di-stribuidora de Televisión Digital SA (DTS), [2002] ECR I-607. Para. 33.

53 Case C-390/99, Canal Satélite Digital SL v Adminstración General del Estado, and Di-stribuidora de Televisión Digital SA (DTS), [2002] ECR I-607.

54 HELBERGER, Controlling Access To Content: Regulating Conditional Access in Digital Broadcasting, The Hague, 2005, p. 218.

55 See for instance TFEU, artt. 119, 120, 127, 173. 56 Charter of Fundamental Rights of the European Union, art. 16.

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related payments, and non-discrimination as fundamental individual rights 57.

The ECJ maintains that

«it should be borne in mind that the principles of free movement of goods and freedom of competition, together with freedom of trade as a fun-damental right, are general principles of community law of which the court ensures observance»

58.

A fundamental right ought to be safeguarded 59. The market freedoms

within the Treaty expand from the original freedom of trade and freedom to conduct a business, and these originate from the basic right to liberty as stated within the Charter of Fundamental Rights of the European Union

60. These introduce the complementary government duties to provide and sustain an internal market without frontiers in which the free movement of goods, workers, services, establishment and capital can be ensured as per EU law

61. In its original meaning, this principle of free movement protects a general

freedom of cross-border economic activities 62. A fundamental role is played

in this context by non-discrimination on the grounds of the nationality prin-ciple

63. The ECJ considers this a fundamental principle of the EU 64, and gen-

erally interprets it as an equality of treatment resulting in the fact that

«comparable situations must not be treated differently and different sit-uations must not be treated in the same way unless such treatment is objec-tively justified»

65.

57 PETERSMANN, International Trade Law, Human Rights and Theories of Justice, in CHAR-NOVITZ-STEGER-VAN DEN BOSSCHE (eds.), Law in the Service of Human Dignity – Essays in Honour of Florentino Feliciano, Cambridge, 2005, pp. 44-57.

58 Case 240/83, Procureur de la République v Association de défense des brûleurs d’huiles usagées (ADBHU), [1985] ECR 531.

59 GORMSEN, A Principled Approach to Abuse of Dominance in European Competition Law, Cambridge, 2010, p. 102.

60 Charter of Fundamental Rights of the European Union, art. 6. 61 TFEU, artt. 26, 28-30, 45, 56, 49, 63. 62 DOUMA, Optimization of Tax Sovereignty and Free Movement - Part III: Optimization

by the ECJ in Direct Taxation Cases, in IBFD Dissertation series, 2011. 63 TFEU, art. 18. 64 VALENTE, La fiscalità diretta secondo la Corte di Giustizia UE, in Affari e Finanza, n. 5,

1998, p.53. 65 Case 106/83, Sermide SpA v Cassa Conguaglio Zucchero and others, [1984] ECR

4209. Par. 28.

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Cristina Trenta 903

The principle is in place to prevent

«not only overt discrimination by reason of nationality but also all cov-ert forms of discrimination which, by the application of other criteria of dif-ferentiation, lead in fact to the same result»

66.

Thus, avoiding discrimination and ascertaining equal treatment for all players is an indispensable step to achieve the goals of the internal market as set out by the EU. This basic criterion is also applicable to national measures that might negatively influence the exercise of a fundamental freedom, since domestic provisions can affect intra-Union trades in goods and services

67, or that de facto may intrude on the exercise of any of the fun-damental freedoms in a way that is prohibited by the Treaty

68. Indeed, restriction is not discrimination, but they do proceed alongside,

as each fundamental freedom delineates both a non-discrimination and a non-restriction profile, and these both play a role in the realization of a suc-cessful internal market

69. Restriction especially weighs in significantly in direct taxation when na-

tional tax measures are applied without any dissimilarity on the basis of a cri-terion, and when the concept of discrimination proves to be insufficient

70. The ECJ has in some cases ruled that domestic measures were not dis-

criminatory but nevertheless in breach of the fundamental freedoms of the Treaty. Restrictions are an impediment, but they can also become barriers

71: this is the case whenever «a Member state adopts regulations that have as a

66 Case 152-73, Giovanni Maria Sotgiu v Deutsche Bundespost, [1974] ECR 153. Para.11; Case C-175/88, Klaus Biehl v Administration des contributions du grand-duché de Luxem-bourg, [1990] ECR I-1779.

67 DERLÉN-LINDHOLM, Three Ideas: The Scope of EU Law Protecting Against Discrimina-tion, in DERLÉN-LINDHOLM (eds.), Volume in Honor of Pär Hallström, Uppsala, 2012, pp. 77-100.

68 LANDI, National Reporter Italy, in LANG-AIGNER-SCHEUERLE-STEFANER (eds.) CFC Legislation – Tax Treaties and EC Law, The Hague, 2004, p. 369.

69 BAMMENS, The Principle of Non-discrimination in International and European Tax Law, in IBFD Doctoral series, 2013, p. 568, quoting VANISTENDAEL (ed.), EU Freedoms and Taxa-tion, EATLP International Tax Series, vol. 2, IBFD, 2006, p. 9.

70 BAMMENS, op. cit., p. 568. 71 DAHLBERG, Direct Taxation in Relation to the Freedom of Establishment and the Free

Movement of Capital, The Hague, 2005, pp. 98-99.

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DOTTRINA RTDT - n. 4/2014 904

final effect to obstruct or restrict the freedom of establishment of non-na-tional companies in the territory of the state

72. The situation is the same when it comes to the freedom of providing services»

73. Restrictions make the performing of cross-borders EU transactions less

attractive and hinder, without impeding completely, the exercise of funda-mental freedoms guaranteed by the Treaty. It is matters of worse or less fa-vorable treatment granted to EU transactions in comparison to domestic ones. As opposed to discrimination rules, those handling restrictions do not need comparable situations, but they are applicable erga omnes

74. Furthermore, freedom of establishment is also not only related to illegit-

imate internal provisions that discriminate, directly or indirectly, between citizens and foreigners, but also to all dispositions that have the effect of pre-venting, impeding or discouraging the exercise of such right within the terri-tory of another Member state.

Fundamental freedoms encompass the non-discrimination clauses, which are equality based: on the other hand, prohibition of restrictions are better defined as liberty rights

75. In respect to the freedom of establishment, protection against discrimina-

tion comes from the idea of market equality while protection from restriction comes mostly from that of market access

76. Market access is a core concept in internal EU market law

77: in economic terms, it identifies the ability for an economic actor to gain access to a market on an equal footing with other eco-

72 MELIS, Libertà di circolazione dei lavoratori, libertà di stabilimento e principio di non di-scriminazione nell’imposizione diretta: note sistematiche sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in Rass. trib., n. 4, 2000, p. 1151.

73 Case 205/84, Commission of the European Communities v Federal Republic of Germany, [1986] ECR 3755. Para. 25.

74 ROSSI-MACCANICO, Principi comunitari di fiscalità diretta delle imprese. Il principio di non discriminazione, in Fiscalità Internazionale, n. 3, 2008, p. 226, quoting Case C-446/03, Opinion of Mr Advocate General Poiares, Marks & Spencer plc v David Halsey (Her Majesty’s Inspector of Taxes), [2005] ECR I-10837. Para. 28. See also Case C-190/98, Opinion of Mr Advocate General Fennelly, Volker Graf v Filzmoser Maschinenbau GmbH, [2000] ECR I-493. Para. 21.

75 LEHNER, Limitation of the National Power of Taxation by the Fundamental Freedoms and Non-discrimination Clauses of the EC Treaty, in EC Tax Review, Issue 1, 2000, pp. 5-15.

76 MELIS, Perdite intracomunitarie, potestà impositiva e principio di territorialità: unicui-que suum?, in Rass. trib., n. 5, 2008, p. 1486.

77 SNELL, The Notion of Market Access: A Concept or a Slogan?, in Common Market Law Review, no. 47, pp. 437-472.

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Cristina Trenta 905

nomic operators 78. Free movement provisions have to be compliant with it

79. A barrier to market access can be a circumstantial barrier to entry or a re-

striction to entry, an institutional obstacle such as legislation, tariffs, quotas, or taxation. Advocate General Fennelly pointed out in the in Volker Graf case that

«(t)he imposition of conditions regarding entry to the market or the taking up of economic activity is itself sufficient to establish the existence of a restriction»

80.

Italian law appears thus to be in clear breach of European Union rules concerning the Single Market and the free movement provisions

81, since imposing the requirement of an Italian VAT number for foreign companies is a clear legislative attempt to force them setup a permanent establishment in Italy to tax, in Italy, any income deriving from online advertising services, insomuch as to prevent what is perceived as tax avoidance and evasion. Fur-thermore, it made cross-border and EU transactions of online advertising more difficult and potentially more expensive in comparison to purely na-tional ones.

Nevertheless, restrictions and discrimination may have grounds for justi-fications with similar rationales

82, usually used when national measures are in conflict with the fundamental freedoms

83. Superior reasons of public in-terest may to all effects allow Member states to proceed even in the face of discrimination or crippling restrictions, but these are strictly limited in ratio and number ratione materiae to matters of public policy, public security,

78 DE BOER, Fundamental Rights and the EU Internal Market: Just how Fundamental are the EU Treaty Freedoms? A Normative Enquiry Based on John Rawls’ Political Philosophy Utrecht Law Review, vol. 9, Issue 1, January 2013, pp. 148-168.

79 SPAVENTA, From Gebhard to Carpenter: Towards a (non-)economic European Constitu-tion, in Common Market Law Review, vol. 41, no. 3, 2004, pp. 743-773.

80 Case C-190/98, Opinion of Mr Advocate General Fennelly, Volker Graf v Filzmoser Maschinenbau GmbH, [2000] ECR I-493. Para. 30. On the distinction between access and exercise of an activity see also DOUMA, op. cit., pp. 207-210.

81 TFEU, art. 26 (2): «(t)he internal market shall comprise an area without internal frontiers in which the free movement of goods, persons, services and capital is ensured».

82 ROSSI-MACCANICO, op. cit., p. 226. 83 DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea. Contributo al-

lo studio della prospettiva italiana, Milano, 2010, pp. 18-19.

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DOTTRINA RTDT - n. 4/2014 906

public interest 84, or public health

85. The ECJ interprets these exceptions very narrowly

86 as well, consistently upholding that

«restrictions must be justified by imperative requirements in the general interest, be suitable for achieving the objective which they pursue and not go beyond what is necessary in order to attain it. They must in any event be applied without discrimination»

87.

3.2. Tax Avoidance and Evasion

Can any such measures, restrictive as they are of the fundamental free-doms, be justified? The aim of the Italian “Google Tax” regulations was to prevent the possibility of tax avoidance and evasion

88: if this were the case, there would be grounds to consider them legitimate; If not, incompatibility with the EU legal framework would loom large.

The ECJ maintains that economic goals cannot support public policing according to the Treaty

89, nor can an economic goal be a justification for discrimination based on the place of establishment. Such discrimination can

84 Case C-288/89, Stichting Collectieve Antennevoorziening Gouda and others v Commis-sariaat voor de Media, [1991] ECR I-4007. Paras. 13-14. See also Joined cases 110 and 111/78, Ministère public and “Chambre syndicale des agents artistiques et impresarii de Bel-gique” ASBL v Willy van Wesemael and others, [1979] ECR 35. Para. 28; Case 62/79, SA Compagnie générale pour la diffusion de la télévision, Coditel, and others v Ciné Vog Films and others, [1980] ECR 881; Joined cases 62 and 63/81, Société anonyme de droit français Seco et Société anonyme de droit français Desquenne & Giral v Etablissement d’assurance contre la vieillesse et l’invalidité, [1982] ECR 223; Case C-113/89, Rush Portuguesa Ldª v Office na-tional d’immigration, [1990] ECR I-1417.

85 TFEU, art. 52. 86 ROTH, The Rule of Reason Doctrine in European Court of Justice Jurisprudence on Direct

Taxation, in Canadian Tax Journal, vol. 56, no. 1, 2008, pp. 67-140. 87 Case C-243/01, Tribunale di Ascoli Piceno, [2003] ECR I-13031. See also IZZO, Limiti

alla libertà di stabilimento e di prestazioni di servizi nella unione europea, in Impresa Commer-ciale Industriale, n. 12, 2003, p. 1888.

88 Interrogazione e Risposta Parlamentare no. 5-08526, 28 November 2012, risposta del Sottosegretario Vieri Ceriani all’interrogazione presentata dall’onorevole Graziano, Accertamenti tributari nei confronti del gruppo Google. See also Camera dei deputati – Comm.ne Finanze November 28 2012 – Stefano Graziano (PD) rinuncia ad illustrare la propria interrogazione. Il sottosegretario Vieri Ceriani risponde all’interrogazione, Te-sto della risposta.

89 Case 352/85, Bond van Adverteerders and others v The Netherlands State, [1988] ECR 2085.

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Cristina Trenta 907

only be justified on the grounds of general interest, and that does not in-clude economic aims

90. If economic aim is to be excluded, can tax evasion or tax avoidance as re-

ferred to in the text of the disposition provide some level of justification be-yond generic economic aims to the norm? It is a difficult proposition. The ECJ has interpreted the risk of tax avoidance very restrictively, and has re-fused early on to consider it as a valid basis for justification. In the Avoir fiscale case

91, the Court states that

«the risk of tax avoidance cannot be relied upon in this context. Article 52 of the eec treaty does not permit any derogation from the fundamental principle of freedom of establishment on such a ground»

92.

On the other hand, prevention of abuse has been considered valid grounds for justification in direct taxation

93. In the ICI case 94, for example, the ECJ

seems to acknowledge that the reduction of any phenomena of tax avoidance might justify restrictions to the fundamental freedoms. Nevertheless, the threshold for justification is set remarkably high: the restrictions operated by the UK in that specific case were not, according to the ECJ, sufficiently strict to operate as justifications. Simply defending from a possible revenue erosion of the tax base

95 cannot be used per se to justify discrimination or restrictions: «it must be pointed out that diminution of tax revenue occurring in this

way is not one of the grounds listed in Article 56 of the Treaty and cannot be regarded as a matter of overriding general interest which may be relied upon in order to justify unequal treatment that is, in principle, incompatible with Article 52 of the Treaty»

96.

90 Case C-484/93, Peter Svensson et Lena Gustavsson v Ministre du Logement et de l’Urbanisme, [1995] ECR I-3955. Para. 15.

91 Case 270/83, Commission of the European Communities v French Republic, [1986] ECR 273.

92 Case 270/83, Commission of the European Communities v French Republic, [1986] ECR 273. Para. 25.

93 ROTH, op. cit., pp. 67-140. 94 Case C-264/96, Imperial Chemical Industries plc (ICI) v Kenneth Hall Colmer (Her

Majesty’s Inspector of Taxes), [1998] ECR I-4695. 95 ROSSI-MACCANICO, op. cit., p. 226. 96 See for instance Case C-385/00, F.W.L. de Groot v Staatssecretaris van Financiën, [2002]

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DOTTRINA RTDT - n. 4/2014 908

It is apparent that any Member State adopting such measures to prevent tax avoidance or evasion has to prove its case more specifically in order to justify restrictive or discriminatory tax measures

97. The ECJ has also upheld the opinion that tax avoidance or abuse must be

assessed after considering also the economic reality of a company. In the Cadbury Schweppes case

98 for example, the fact that the company was es-tablished in a Member State for the purpose of benefiting from more favor-able legislation was not in itself a sufficient condition for abuse

99. However, the ECJ had also made it clear that national measures restricting the free-dom of establishment could be justified if they are aimed at contrasting

«(w)holly artificial arrangements aimed at circumventing national law» 100.

These “wholly artificial arrangements” configure the one exclusive cir-cumstance according to which the ECJ discriminates legitimacy of such measures, and it is also a determining factor in assessing any justification for the restriction of the fundamental freedoms if it allows to prevent phenom-ena of tax avoidance

101. In the Marks & Spencer case we read that ECR I-11819. Para. 103: «(i)t is settled case-law that a loss of tax revenue can never be relied upon to justify a restriction on the exercise of a fundamental freedom».

97 ROTH, op. cit., pp. 67-140. The author noted as the ECJ used a diverse criterion on VAT Judgement, The court has arguably applied a different, and less restrictive, stan-dard in its VAT decisions. In Halifax for instance (Case C-255/02, Halifax plc, Leeds Permanent Development Services Ltd and County Wide Property Investments Ltd v Commis-sioners of Customs & Excise, [2006] ECR I-1609), the ECJ defined abuse (Paras. 74-75) as (a)n abusive practice can be found to exist only if, first, the transactions concerned, notwithstanding formal application of the conditions laid down by the relevant provi-sions of the Sixth Directive and the national legislation transposing it, result in the ac-crual of a tax. Second, it must also be apparent from a number of objective factors that the essential aim of the transactions concerned is to obtain a tax advantage. As the Ad-vocate General observed in point 89 of his Opinion, the prohibition of abuse is not rele-vant where the economic activity carried out may have some explanation other than the mere attainment of tax advantages.

98 ROTH, op. cit. 99 Case C-196/04, Cadbury Schweppes plc and Cadbury Schweppes Overseas Ltd v Com-

missioners of Inland Revenue, [2006] ECR I-7995. Para. 37. See also O’SHEA, The UK’s CFC Rules and the Freedom of Establishment: Cadbury Schweppes Plc and its IFSC Subsidiaries – Tax Avoidance of Tax Mitigation?, in EC Tax Review, vol. 16, no. 1, 2007, pp. 13-33.

100 Case C-196/04, Cadbury Schweppes plc and Cadbury Schweppes Overseas Ltd v Com-missioners of Inland Revenue, [2006] ECR I-7995. Para. 51. See also O’SHEA, CFC Reforms in the UK-Some EU Law Comments, in EC Tax Journal, 13, 2012, pp. 65-89.

101 LAUTIER, Freedom of Establishment: An Unearthed Toy in the Hands of Tax Planners,

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Cristina Trenta 909

«Member States are free to adopt or to maintain in force rules having the specific purpose of precluding from a tax benefit wholly artificial ar-rangements whose purpose is to circumvent or escape national tax law. None the less, the Court must ascertain whether the restrictive measure goes beyond what is necessary to attain the objectives pursued»

102.

Within certain limits tax planning is acceptable, and EU taxpayers may trust the fundamental freedom of establishment in order to validly circum-vent the application of domestic anti‐avoidance provisions

103, as Member States can only adopt preventive domestic measures that counter artificial ar-rangements. Furthermore, any restrictive measure adopted by states to curb these phenomena have to be proportionate to the objectives pursued

104. In the Cadbury Schweppes case, the Court held that the objective pur-

sued by the fundamental freedom of establishment is achieved if there exists a genuine economic activity

105. If so, then any intention to achieve a tax ad-vantage becomes irrelevant, or secondary. Thus, canon like the tax resi-dence of a corporation, the application of a more favorable corporation tax rate, as well as the classification of income are not sufficient proof for de-termining an existing abuse and consequently for applying a discriminatory or restrictive measure

106. A genuine establishment can be assessed through the objective examina-

tion of all economic factors involved, such as premises, staff, and equipments. A mere letterbox or front subsidiary does not configure then a genuine es-tablishment, with a wholly artificial arrangement factually introducing a substance-over-form evaluation criteria. Application of the relevant tests in the context of the EU Treaty freedoms requires an estimation of their ob-jectives, goals, and aims

107, on a case-by-case analysis. Justifications based in EC Tax Students’ Conference, School of Advanced Study, University of London, Institute of Advanced Legal Studies, Working Papers, 2009.

102 Case C-446/03, Marks & Spencer plc v David Halsey (Her Majesty’s Inspector of Taxes), [2005] ECR I-10837. Paras. 53 and 57.

103 LAUTIER, op. cit. 104 MELIS, Perdite intracomunitarie, cit., p. 1486. 105 Case C-196/04, Cadbury Schweppes plc and Cadbury Schweppes Overseas Ltd v

Commissioners of Inland Revenue, [2006] ECR I-7995. Para. 75. 106 SCHREIBER, International Company Taxation. An Introduction to the Legal and Eco-

nomic Principles, Springer Texts in Business and Economics, 2013, pp. 111-112. 107 COM (2007) 785 final, Communication from the Commission to the Council, the

European Parliament and the European Economic and Social Committee – The applica-

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DOTTRINA RTDT - n. 4/2014 910

on the generic risk of tax avoidance, or legislative measures not specifically aimed at preventing wholly artificial arrangements, and generally applicable to all situations cannot be considered justifiable

108:

«(i)t is also important, in that context, to make clear that Member States are free to adopt or to maintain in force rules having the specific purpose of precluding from a tax benefit wholly artificial arrangements whose purpose is to circumvent or escape national tax law»

109.

Assessing if an activity configures a wholly artificial arrangements also entails an examination of the context of the activity itself: a highly techno-logical service-based economic function has different requirements in terms of equipment and staff than a manufacturing goods

110. In this light, it seems difficult to maintain that the Italian provision would

have been consistent with a case-by-case examination in order to identify specific pathological situations: the aim of the new regulation was to indiscri-minately target all foreign companies operating within the online advertis-ing sector, regardless of whether we were in the presence of a genuine eco-nomic activity or of a wholly artificial arrangement, and fundamentally re-strictive of the fundamental freedoms, in breach of the principle of non-discrimination, and operating outside of the limits imposed by the principle of proportionality.

tion of anti-abuse measures in the area of direct taxation – within the EU and in relation to third countries. Para. 2, p. 4. See also CLAES, The Taxation of Foreign Passive Income for Groups of Companies, in IFA Cahiers, vol. 98A, 2013, p. 144.

108 Case C-264/96, Imperial Chemical Industries plc (ICI) v Kenneth Hall Colmer (Her Majesty’s Inspector of Taxes), [1998] ECR I-4695. Para. 26; see also MURRAY, Tax Avoidance, London, 2012, pp. 23-24.

109 Case C-446/03, Marks & Spencer plc v David Halsey (Her Majesty’s Inspector of Taxes), [2005] ECR I-10837. Para. 57. The ECJ quoted also Case C-264/96, Imperial Chemical In-dustries plc (ICI) v Kenneth Hall Colmer (Her Majesty’s Inspector of Taxes), [1998] ECR I-4695. Para. 26, and Case C-9/02, Hughes de Lasteyrie du Saillant v Ministère de l’Économie, des Finances et de l’Industrie, [2004] ECR I-2409. Para. 50. See also DE BROE, International Tax Planning and Prevention of Abuse. A Study Under Domestic Tax Law, Tax Treaties and EC Law in Relation to Conduit and Base Companies, in IBFD, 2008, p. 818.

110 SCHREIBER, op. cit., pp. 111-112.

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Cristina Trenta 911

4. Conclusions

This paper has examined the so-called Italian “Google Tax”, a provision that initially introduced a new article in the Italian VAT Act to address the possibility of tax avoidance and tax evasion within Italian territory but ad-dressing EU and international operators in the sector of online advertising.

The provision had a turbulent course and was initially approved, then put on hold, and finally repealed.

The paper examined the provision within the larger framing of EU prin-ciples, the primary goal being to understand whether, at least theoretically, national measures may help solve issues of international and European tax evasion and avoidance within the digital economy markets, by their very na-ture transnational in structure, when no attempt at regulatory, harmonized and coordinated EU actions exists.

Doctrine, literature and case law all support the conclusion that if EU products or services are hindered in their access to the market more than do-mestic ones, as it is the case here, the free movement provisions have to be used in order to restore balance.

After close scrutiny, the “Google Tax” can be said not to offer a valid solu-tion. The provision does not pass examination from the point of view of re-specting the fundamental rights as pushed forth by the EU Charter, it does not comply with EU law in terms of the provisions granting free movements, prohibition of discrimination and restriction. It does not provide a specific enough profile to comply with the proportionality guidelines expressed by the ECJ. Finally, it does collide with the values enshrined in the Italian Con-stitution. From a legislative point of view, if regulations have such an uneven outcome in terms of consequences on market access, they have to be disap-proved

111. Domestic tax rules are often based on fiscal policies mostly concerned

with the national landscape, and aim at protecting domestic tax revenue. On the other hand, free movement provisions become the source of the legiti-mation of market integration and non-discriminatory competition, and their transnational nature is directly aimed at containing any undue interference to market activities arising out of national-only concerns

112.

111 SNELL, op. cit., pp. 437-472. 112 BIONDI, Free Trade, a Mountain Road and the Right to Protest: European Economic

Freedoms and Fundamental Individual Rights, in European Human Rights Law Review, 2004, pp. 51-61.

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DOTTRINA RTDT - n. 4/2014 912

The Italian “Google Tax” would have been a barrier impeding or hinder-ing market access to non-Italian companies selling online advertising, with no applicable exemption or justification coming from ECJ case law. Such unilateral measures can generate protectionist effects, and this is a major con-cern

113: domestic approaches to taxation in the area would increase the frag-mentation of the Single European market, and exacerbate the unevenness of the economic playfield

114. It is safe to conclude that the application of an entirely domestic legislative solution in this specific case would have intro-duced more issues than it would have solved.

Finally, looking further beyond the text and scope of the disposition itself, such conclusions raise important questions about the role of national law-makers trying to produce effective tax rules in the context of the so-called e-economy. While doctrine seems sometimes to hint at national solutions, this paper and its examination of the “Google Tax” case offer support for a Euro-pean-level approach, or at the very least for a EU-aware approach. Specific at-tention should be paid to coordination and harmonization with EU and in-ternational regulations beforehand, something that is not often so necessary for more traditional, and territorially inert, goods and services, but that seems necessary for services which are transparently transnational in nature. The OECD BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) action plan experience

115 and the recent EU appointment of an Expert Group on taxing the digital economy

116 seem to suggest positive steps in this direction are being taken.

113 DE NIGRIS-ROUSSET-ZANOTTI, A Look at Italy’s 2014 Budget Law, in Tax Notes In-ternational, vol. 73, no. 11, 2014, pp. 1025-1030.

114 TRENTA, VAT in Peer-to-peer Content Distribution: Towards a Tax Proposal for De-centralized Networks, Doctoral dissertation, Jönköping University, 2013.

115 The OECD looks at whether or not the current rules allow for the allocation of taxa-ble profits to locations different from those where the actual business activity takes place, and what could be done to change this if they do. See About BEPS, http://www.oecd.org/tax/ beps-about.htm.

116 European Commission, Taxation and Custom Union, Expert Group on Taxation of the Digital Economy. More at: http://ec.europa.eu/taxation_customs/taxation/gen_info/ good_governance_matters/digital_economy/index_en.htm.

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Lorenzo del Federico

LA VIA ITALIANA ALLA TASSAZIONE DEL WEB: UN INTERVENTO POCO MEDITATO, MA DALLE CONDIVISIBILI FINALITÀ

THE ITALIAN APPROACH TO TAXATION OF THE WEB: A LITTLE MEDITATED REFORM, BUT WITH FAIR PURPOSES

Abstract La previsione di uno speciale regime IVA sulla pubblicità online – introdotta nel sistema tributario italiano nel 2014, ma poi subito accantonata – si è dimostrata una misura poco meditata, ma dalle condivisibili finalità. L’intervento legislativo italiano è stato accantonato, ma il vulnus dell’economia digitale alla sovranità fiscale degli Stati resta un problema tanto grave da aver re-so inevitabili le reazioni dell’Unione Europea, dell’OECD e del G-20. In questa più ampia prospettiva, l’idea della “Google tax” italiana potrebbe esse-re ripresa, ma dovrebbe essere collocata nell’ambito delle iniziative dell’Unione Europea in tema di IVA sui servizi elettronici; più in generale, l’idea italiana do-vrebbe essere coordinata con gli indirizzi dell’OECD e con le analoghe iniziati-ve degli altri Paesi. Parole chiave: Google tax italiana, IVA, economia digitale, servizi elettronici, pub-blicità online In 2014, Italy approved a special VAT regime on online advertising – shortly aboli-shed following a heated discussion – which, although constitutes a little meditated dis-cipline, undoubtedly has fair purposes. The Italian reform has been repealed, but the vulnus of digital economy against States’ tax sovereignty remains a so severe problem that led to inevitable reactions from the European Union, the OECD and the G-20.

* Contributo non sottoposto a referaggio.

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DOTTRINA RTDT - n. 4/2014 914

In this broader perspective, the Italian “Google tax” may be resumed, but it shall be devolved to EU prerogatives in the field of VAT applicable on electronic services. More generally, the Italian idea may be further developed in line with OECD guidelines and similar initiatives of other Countries. Keywords: Italian Google tax, digital economy, electronic services, online advertising

SOMMARIO: Premessa. – 1. Web ed imposizione tributaria, tra categorie tradizionali ed innovazione legisla-tiva. – 2. La virtuosa evoluzione Europea dell’IVA ed il nuovo regime dei servizi elettronici. – 3. La bit tax e le prospettive per una nuova fiscalità dell’economia digitale.

Premessa

Il tentativo di introdurre in Italia la c.d. “Google Tax” ha suscitato grande interesse, non soltanto in Europa. La vicenda viene ben illustrata dal saggio di Cristina Trenta

1, che evidenzia l’inadeguatezza di tale intervento nazio-nale, i profili di criticità rispetto ai principi informatori del mercato unico europeo, l’eccentricità rispetto alle azioni promosse dall’OECD nel proget-to BEPS (Base Erosion and Profit Shifting)

2. Come è noto, ormai il poco meditato intervento legislativo italiano è sta-

to accantonato e dismesso, ma il vulnus dell’economia digitale alla sovranità fiscale degli Stati resta un problema tanto grave, da aver reso inevitabili le rea-zioni dell’UE

3, dell’OECD 4 e del G-20

5.

1 V. retro TRENTA, The Italian “Google Tax”. 2 L’Action Plan del 19 luglio 2013 è consultabile sul sito www.oecd.org/ctp/BEPSAction

Plan.pdf (OECD (2013), Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting, OECD Publi-shing, http://dx.doi.org/10.1787/9789264202719-en; in particolare ai nostri fini rileva la prioritaria azione n. 1 “Address the Tax Challenges of the Digital Economy”.

3 EU COMMISSION, Taxation and Custom Union, Expert Group on Taxation of the Di-gital Economy, in http://ec.europa.eu/taxation_customs/taxation/gen_info/good_governance_ matters/digital_economy/index_en.htm.

4 OECD, Public Discussion Draft, BEPS Action 1: Address the Tax Challenges of the Digi-tal Economy, 14 April 2014, in www.oecd.org/ctp/BEPSActionPlan, cit.

5 V. ad es. il Comunicato G-20 del 21 settembre 2014 (Cairns-Australia), mentre, per quanto riguarda lo scenario economico, v. THE BOSTON CONSULTING GROUP, The Internet Economy in the G-20, Boston 2012, in https://www.bcg.com/documents/file100409.

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Sul piano giuridico risulta palese come il continuo ed inarrestabile svi-luppo di internet, dei rapporti e dei contratti informatici, dia vita a proble-matiche sempre nuove nel sistema tributario, che soffre in quanto rigidamen-te imperniato sul principio di legalità.

Nonostante la tendenza al particolarismo ed alla settorialità, la legislazio-ne tributaria resta sostanzialmente ancorata alle categorie giuridiche civili-stiche ed alle fattispecie negoziali concepite in un periodo storico in cui non era ipotizzabile l’attuale assetto dell’economia digitale. Emerge quindi la dif-ficoltà di ricondurre i diversi strumenti negoziali che si sono venuti a creare nel mondo di internet alle categorie civilistiche tradizionali, il ché crea note-voli ricadute sul sistema tributario.

Sono soprattutto la vis espansiva del commercio elettronico e lo sfrutta-mento pubblicitario della rete a porre problemi particolarmente complessi e rilevanti, laddove le transazioni si perfezionano direttamente nella rete, con l’attenuazione, dei collegamenti con il mondo fisico.

La prospettiva risulta preoccupante specie nel commercio elettronico di-retto, in cui tutte le fasi dell’operazione si svolgono telematicamente (dalla conclusione del contratto alla consegna del bene). In tale ambito diventa dif-ficile l’individuazione di criteri di collegamento personali, sia con riferimen-to alle parti fra cui si perfeziona il contratto, sia per quanto riguarda l’indivi-duazione di criteri di collegamento reali, con riferimento alle attività produt-tive di reddito d’impresa. Peraltro nel ciberspazio si sviluppano anche mol-teplici attività differenti dal commercio elettronico strictu sensu, riconducibi-li alle categorie reddituali del lavoro autonomo, del lavoro dipendente, dei redditi da capitali, delle rendite finanziarie e dei redditi diversi, ma il vero core business risulta essere la pubblicità e lo sfruttamento commerciale dei profili (e dei dati personali) degli utenti

6. Basti pensare che la sola Google raccoglie, in Italia, proventi pubblicitari stimati in oltre un miliardo l’anno.

La questione dei criteri di imputazione territoriale è comunque priorita-ria nell’ambito della fiscalità delle transazioni telematiche caratterizzate dal fenomeno del disappearing taxpayer

7. Il nodo è quello dell’individuazione del

6 V. ad es. CALIFANO, Rapporti e contratti informatici: categorie reddituali, territorialità e criteri di imputazione nelle imposte sui redditi e nell’IRAP, in AA.VV., Diritto dell’informatica, a cura di Delfini-Finocchiaro, Torino, 2014, p. 1021 ss.

7 Si evoca il noto articolo di fondo dell’Economist, The disappearing taxpayer (29 mag-gio 1997): «“The art of taxation”, advised Louis XIV’s treasurer, Jean Baptiste Colbert, “consists in so plucking the goose to obtain the largest amount of feathers, with the least possible amount of hissing”. His observation remains true, except for one big change. Un-

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DOTTRINA RTDT - n. 4/2014 916

soggetto cui imputare il reddito e del luogo in cui viene effettivamente svol-ta l’attività; più in generale si pone poi la questione di fondo della effettività nella corretta applicazione delle norme tributarie nel ciberspazio, al di là della loro astratta implementazione

8.

1. Web ed imposizione tributaria, tra categorie tradizionali ed innovazione legislativa

La c.d. “Google Tax” Italiana si è caratterizzata come tentativo di interven-to fiscale nell’economia digitale, poco meditato e certamente criticabile

9, ma ispirato da finalità condivisibili

10. L’idea di porre dei vincoli soggettivi e territoriali nell’acquisto della pub-

blicità on line 11 – mediante un apposito regime in ambito IVA – così come

like geese, people in the 17th Century did not know how to fly. Now they can. In the co-ming decades electronic commerce – combined with the growing ease with which firms can shift their operations from one part of the world to another – will make it ever easier for people to flee countries where taxes are high, or to evade tax altogether by doing their business in cyberspace. The hole this will leave behind is already worrying many govern-ments ... Some argue that it is “unfair” for others to lure their firms away by levying lower taxes, and are pushing for the harmonisation of taxes. Another new idea is to impose a tax on electronic transactions. But although governments everywhere will have to start thin-king – and soon – about how to raise taxes in the newly weightless global economy, both remedies are flawed ...».

In ambito giuridico il suggestivo uso della formula, disappearing taxpayer, è riconduci-bile a: OWENS, Wath Chance for the Virtual Taxman, in The OECD Observer, n. 208, 1997, p. 16 ss.; HINNEKENS, L’applicazione del concetto di stabile organizzazione e degli altri princi-pi di giurisdizione all’imposizione del reddito derivante dal commercio elettronico, in AA.VV., La fiscalità del commercio via internet: attualità e prospettive, a cura di Rinaldi, Torino, 2001; ID., International Tax Planning and Electronic Commerce, in Dir. e prat. trib. int., 2004, p. 798.

8 Tra il 2011 ed il 2013 la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate hanno dato cor-so ad approfonditi controlli nei confronti di Google, Apple, Amazon, Facebook, eBay ed altri noti operatori del Web; nel settore sono stati emessi molteplici e significativi atti di accertamento. Sulle sottostanti tematiche tributarie v. RICCI, Rapporti e contratti informatici: stabile organizzazione e tassazione delle imprese e delle società, in AA.VV., Diritto dell’infor-matica, cit., p. 1041 ss.

9 Per un ampio quadro dei commenti critici in ambito nazionale ed Europeo si rinvia a TRENTA, The Italian “GoogleTax”, cit.

10 V. ad es. HOULDER-PICKARD, Pressure to End Digital ‘Tax Bonanza’, in Financial Ti-mes, 3 January 2014.

11 Sui primi spunti teorici v. URICCHIO, Evoluzione tecnologica e imposizione: la cosiddetta Bit Tax. Prospettive di riforma della fiscalità di internet, in Dir. Inf., 2005, p. 753.

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formulata nel novello art. 17 bis, D.P.R. n. 633/1972, è stata contestata sot-to molteplici profili:

– la scarsa chiarezza della norma, soprattutto a causa della vaghezza delle formule “servizi di pubblicità on line”, “link sponsorizzati on line”, ecc.;

– la radicale limitazione nei canali di acquisto dei servizi on line; – la necessità della partita IVA rilasciata dall’Amministrazione Finanzia-

ria Italiana in capo ai fornitori di tali servizi; – il contrasto con i principi costituzionali ed Europei in tema di iniziativa

economica e di concorrenza, e con il principio di proporzionalità (sotto il profilo delle eccessive restrizioni), anche laddove si volesse giustificare il ri-gore della norma in ottica anti evasiva o antielusiva

12.

Trattasi di contestazioni che hanno sortito effetto, tant’è che l’intervento è poi finito nel nulla; tuttavia, al di là dei problemi evidenziati, ciò che più la-scia a desiderare è stata non solo l’avventatezza del provvedimento, ma an-che la sua assoluta marginalità, stante il limitato ambito dei servizi pubblici-tari on line.

Un intervento del genere era chiaramente destinato all’insuccesso. Sono mancate una fase preliminare di studio, un substrato Europeo – quantome-no con riferimento all’evoluzione in corso in tema di IVA sui servizi elettro-nici (v. infra)– un coordinamento con gli indirizzi dell’OCESE e con le altre analoghe iniziative in corso di implementazione in altri Paesi.

Si è trattato insomma di un intervento contingente ed improvvisato, del tutto avulso dai grandi della Web economy in cui, come è noto, si pone un’al-ternativa di fondo tra l’adeguatezza delle regole e delle categorie giuridiche tradizionali e la necessità di interventi legislativi innovativi

13. In ambito tri-butario tale prospettiva risulta ancor più complessa, sia in ragione dell’inte-resse fiscale e delle connotazioni pubblicistiche delle norme impositive, sia in ragione del principio di legalità, del rischio di delocalizzazione delle atti-vità produttive, della competizione fiscale tra Stati.

Del resto è noto che nella Web economy le stesse forme di conclusione del contratto assumono caratteristiche nuove in ragione della natura telematica dei mezzi di espressione della volontà e della massiccia digitalizzazione (de-materalizzazione) dei beni e servizi oggetto dello scambio. Tale evoluzione

12 Su tutti questi aspetti v. TRENTA, The Italian “Google Tax”, cit., che nella parte cen-trale del saggio passa in rassegna tutti i controversi profili dell’intervento legislativo.

13 V. per tutti il quadro di sintesi delineato da DRAETTA, Internet nel diritto internazionale, in AA.VV., Diritto dell’informatica, cit., p. 3 ss.

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DOTTRINA RTDT - n. 4/2014 918

ha comportato un profondo mutamento anche sul versante dei mezzi di pa-gamento e dell’articolazione strutturale dei rapporti commerciali; l’utilizzo della rete ha ridimensionato il ruolo dell’intermediario commerciale (midd-leman) incrementando i contatti diretti fra produttore e consumatori

14. Il trasferimento per via telematica, tramite la digitalizzazione, mette in

crisi la tenuta dei consueti criteri di individuazione del luogo di produzione del reddito e di effettuazione dell’operazione, basati sino ad oggi sulla fisici-tà dell’attività produttiva; entra in crisi tutto il sistema delle imposte tradizio-nali, incentrate su attività materiali e su documenti cartacei

15. L’ambiente in-ternet incide su modalità e luoghi di formazione del consenso sotto molte-plici profili, estremamente rilevanti non solo dal punto di vista civilistico, ma anche dal punto di vista tributario, basti pensare alle funzioni di sito, server e provider, ed all’impatto sul processo di commercializzazione dei servizi e dei beni.

Tale fenomeno, relativo non solo alle imprese, ma anche ai lavoratori au-tonomi, dilata il mercato, dematerializza i rapporti, le forniture ed i mezzi di pagamento, esprime una marcata connotazione internazionale, pone in crisi i sistemi tributari tradizionalmente incentrati sulla sovranità territoriale.

Ci si è chiesti ripetutamente se tali cambiamenti siano tanto significativi da pregiudicare la tenuta delle tradizionali categorie giuridiche tributarie

16. A fronte di un iniziale sbandamento, istituzioni internazionali e naziona-

li, operatori ed interpreti hanno reagito metabolizzando la variegata feno-menologia emergente in internet

17.

14 Per i contributi più aggiornati v. DELFINI, Il commercio elettronico: inquadramento ge-nerale, e MALAGUTI, I pagamenti internazionali, in AA.VV., Diritto dell’informatica, cit., p. 351 ss. e p. 667 ss.

15 In tal senso FICARI, Profili generali, in AA.VV., Il regime fiscale delle transazioni telema-tiche, a cura di Ficari, Torino, 2004, pp. 2-3; più in generale WESTBERG, Cross-Border Taxa-tion of E-Commerce, in IBFD Amsterdam, 2002.

16 Per la dottrina tributaria Italiana v.: MARELLO, Le categorie tradizionali del diritto tri-butario ed il commercio elettronico, in Riv. dir. trib., 1999, I, p. 595 ss.; ed in AA.VV., La fisca-lità del commercio via internet, cit., p. 169 ss.; FICARI, op. cit., p. 3; URICCHIO, op. cit.; MER-CURIO, Il commercio elettronico. Profili di diritto internazionale tributario, comunitario e inter-no, Bologna, 2009, p. 15 ss.; SALLUSTIO, Commercio elettronico diretto e imposizione sui red-diti. Beni digitali, beni immateriali e “dematerializzazione” dell’attività d’impresa, Roma, 2012, p. 60 ss.

17 V. ad es.: MARELLO, op. cit.; GARBARINI, Profili impositivi delle operazioni di commercio elettronico, in Dir. prat. trib., 1999, I, p. 1407 ss.; GARBARINO, Nuove dimensioni della trans-nazionalità dell’imposizione, in Rass. trib., 2000, p. 866 ss., WESTBERG, op. cit.

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Lorenzo del Federico 919

Sul piano teorico, negli anni ’90, si sono contrapposti un revolutionary approach ed uno status quo approach; il primo si prefiggeva l’obiettivo di in-dividuare regole del tutto nuove, tali da delineare un regime fiscale ad hoc per il ciberspazio; il secondo considera il ciberspazio una propaggine del mondo fisico, e ritiene quindi applicabili le ordinarie norme tributarie, come per lo più tutte le altre norme giuridiche, sia pure con qualche adattamento prati-cabile in termini di interpretazione evolutiva o mediante limitati interventi legislativi.

Ha prevalso la linea più prudente e conservatrice dello status quo ap-proach

18. Si è andata delineando la proficua distinzione tra commercio elettronico

diretto – in cui tutto avviene in ambiente internet, anche la consegna dei servizi e dei beni digitalizzati – e commercio elettronico indiretto – nel qua-le il consenso si forma per via telematica, ma prestazione dei servizi, conse-gna dei beni e pagamenti avvengono in via materiale (fuori da internet); il commercio elettronico indiretto è stato agevolmente ricondotto alla tradi-zionale e sperimentata esperienza delle vendite a distanza

19. In ragione della crescente cessione per via telematica di beni digitalizzati,

hanno iniziato a diffondersi teorie e logiche interpretative tese ad ampliare la categoria delle prestazioni di servizi a scapito di quella della cessione dei beni, anche in ambito tributario

20. Soprattutto si è sviluppata in sede OECD, ed in ottica comparatistica, una

prospettiva di graduale adeguamento dell’esperienza giuridica alle novità del ciberspazio

21, che poi ha prodotto risultati concreti ed apprezzabili, a li-vello dell’UE e dei singoli Stati membri

22.

18 Per un quadro del dibattito v. per tutti CIPOLLINA, I confini giuridici del tempo presente. Il caso fiscale, Milano, 2003, p. 289 ss.

19 V. per tutti, sui profili civilistici: FINOCCHIARO, Il ruolo dell’UNICITRAL nello svilup-po della disciplina del commercio elettronico, in AA.VV., Diritto dell’informatica, cit., p. 63 ss., e DELFINI, op. cit.; sui profili tributari PIERRO, Beni e servizi nel diritto tributario, Padova, 2003, p. 286, e FICARI, op. cit., p. 5.

20 MARELLO, op. cit., p. 180 ss.; GARBARINO, op. cit., p. 866; PIERRO, op. cit., p. 222. 21 MAISTO, Le prime riflessioni dell’OCSE sulla tassazione del commercio elettronico, in

Riv. dir. trib., 1999, I, p. 47 ss.; WESTBERG, op. cit.; CIPOLLINA, op. cit., p. 277 ss.; MERCU-RIO, op. cit., p. 25 ss.

22 Sia pure con particolare riguardo all’IVA, v. per tutti il quadro delineato da TRENTA, VAT in Peer-to-peer Content Distribution. Towards a Tax proposal for Decentralized Net-works, Jonkoping, 2013, p. 17 ss.

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DOTTRINA RTDT - n. 4/2014 920

Il settore nel quale la fiscalità ha fornito la risposta più adeguata è stato certamente quello dell’IVA, grazie al ruolo attivo dell’Unione ed al forte gra-do di armonizzazione di tale tributo.

Restano invece aperti, e quantomai critici, i problemi della imputazione dei redditi, della localizzazione degli operatori, della stabile organizzazione e più in generale dei controlli fiscali.

2. La virtuosa evoluzione Europea dell’IVA ed il nuovo regime dei servizi elet-tronici

Nel disagio generale per la mancanza di un coordinamento europeo nel-l’imposizione sui redditi, brilla l’IVA, per la quale, invece, dall’Unione giun-gono indicazioni chiare, tali da aprire prospettive anche per gli settori della fiscalità.

Peraltro è evidente che nell’IVA le problematiche poste dalle transazioni telematiche sono oltremodo amplificate, laddove, oltre al continuo prolife-rare di fattispecie contrattuali atipiche, è estremamente sfumata ed eteroge-nea la nozione stessa di bene o servizio

23 informatico. Al tempo stesso, co-me avviene per quasi tutti i tributi, la rete internet permette di localizzare l’at-tività economica in qualunque parte del mondo senza alcun limite sul piano operativo, con tutto ciò che ne consegue in termini di territorialità dell’IVA

24, di identificazione del luogo di stabilimento della attività e, conseguentemen-te, di possibili arbitraggi fiscali.

L’Unione ha avviato una specifica fase di riordino mediante la Direttiva 2008/8/CE, 12 febbraio 2008, comportante la modifica della Direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi, an-che con riferimento ai servizi elettronici, di telecomunicazione e di tele-ra-diodiffusione (v. pure il Reg. UE, 15 marzo 2011, n. 282/2011 recante di-sposizioni di applicazione della Direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto).

23 V. in particolare: PIERRO, op. cit., p. 267; SERRANÒ, Beni e cose nella fattispecie dell’e-commerce, in Boll. trib., 2007, p. 606; MONTANARI, Rapporti e contratti informatici: il sistema dell’IVA e dei tributi indiretti sugli affari, in AA.VV., Diritto dell’informatica, cit., p. 1063.

24 Su tali aspetti v.: in ottica Europea ed internazionale RENDHAL, Cross-Border Consu-mption Taxation of Digital Supplies, in IBFD Amsterdam, 2009; TRENTA, VAT in Peer-to-peer Content Distribution, cit.; in ottica italiana MONTANARI, op. cit.

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In tale contesto avrebbe dovuto collocarsi l’idea della “Google Tax” Ita-liana, ma ciò non è accaduto, ed anzi il Legislatore Italiano ha ritardato no-tevolmente l’attuazione del quadro Europeo.

Il nuovo corso sarà implementato dallo schema di decreto approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 dicembre 2014, che infine ha recepito gli indi-rizzi di cui all’art. 5 della Direttiva n. 2008/8/CE, intervenendo su:

– i servizi elettronici, forniti attraverso Internet o una rete elettronica e la cui natura rende la prestazione essenzialmente automatizzata, corredata di un intervento umano minimo e impossibile da garantire in assenza della tec-nologia dell’informazione;

– i servizi di telecomunicazione, aventi per oggetto la trasmissione, l’emis-sione e la ricezione di segnali, scritti, immagini e suoni o informazioni di qual-siasi natura via filo, per radio, tramite mezzi ottici o altri mezzi elettromagne-tici;

– i servizi di tele radiodiffusione, consistenti nella fornitura al pubblico di contenuti audio e audiovisivi, come i programmi radiofonici o televisivi tra-smessi attraverso reti di comunicazione da un fornitore di servizi di media sotto la sua responsabilità editoriale.

Il perno della novella è l’art. 5 della Direttiva 2008/8/CE, che ha ridefini-to i criteri di individuazione del luogo impositivo dei suddetti servizi, esten-dendo ai rapporti “B2C” le regole già attualmente applicabili alle prestazioni di servizi generiche scambiate nell’ambito nei rapporti “B2B”. Pertanto, or-mai, anche per i servizi elettronici prestati a persone che non agiscono come soggetti IVA, l’imposta sarà dovuta nello Stato del cliente a prescindere dal-lo Stato in cui il fornitore è stabilito (UE o extra-UE)

25. Lo schema di decreto interviene anche sulle modalità di applicazione del-

l’IVA per gli operatori UE, che decidano di optare per il regime del mini spor-tello unico (MOSS), così da assolvere l’imposta nello Stato di stabilimento o di identificazione (del fornitore). Il sistema è simile a quello introdotto nel 2003 dall’art. 74 quinquies, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per i servizi elet-tronici resi dai soggetti extracomunitari nei confronti di persone che non agiscono come soggetti IVA.

Nei nuovi artt. 74 quinquies, 74 sexies e 74 septies del D.P.R. n. 633/1972 saranno contenute le regole di funzionamento del MOSS, basate sulla distin-

25 Tuttavia fanno eccezione i servizi di telecomunicazione e tele radiodiffusione resi a clienti nazionali, non soggetti ad IVA, in quanto il nostro Legislatore si è avvalso della fa-coltà di deroga prevista dall’art. 59 bis, par. 1, lett. a), della Direttiva 2006/112/CE.

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DOTTRINA RTDT - n. 4/2014 922

zione tra “regime UE” e “regime non UE”, laddove il primo riguarda gli ope-ratori Italiani ed Europei e quelli extracomunitari con stabile organizzazione in Italia, mentre al secondo possono aderire le imprese extracomunitarie prive di stabile organizzazione e di identificazione IVA nell’Unione.

Non è facile cogliere a caldo l’impatto di questo nuovo regime dei servizi elettronici, ma è chiaro che si tratta di una linea di intervento Europeo, frut-to attenti studi e di adeguata meditazione istituzionale

26. Tuttavia risulta evidente che si tratta di un intervento di riassetto nella

logica interna dell’IVA, che mira a risolvere problemi specifici nell’imposi-zione sul consumo dei servivi elettronici, prescindendo dai problemi di fon-do della digital economy, oggetto del recente BEPS dell’OECD.

3. La bit tax e le prospettive per una nuova fiscalità dell’economia digitale

L’UE e l’OCDE si stanno attivando per rispondere alle molteplici sfide lanciate dall’economia digitale

27, ma sembra necessaria una rivisitazione cri-tica dell’approccio degli Stati.

A livello mondiale, europeo e nazionale, la fiscalità della rete è stata sino ad oggi caratterizzata dallo status quo approach, ma i tempi sembrano ormai maturi per riprendere taluni spunti del revolutionary approach.

Sin dall’avvio del dibattito questo orientamento radicale, che escludeva la possibilità, e l’opportunità, di piegare il mondo di internet alle regole del mondo reale, si è suddiviso tra la teoria della completa detassazione e la teo-ria di un nuovo regime fiscale specificamente concepito.

Vasti movimenti di opinione e battaglie politiche hanno supportato la teoria della completa detassazione; sul piano legislativo si è giunti al c.d. In-ternet Tax Freedom Act, approvato negli Stati Uniti nel 1998, che in realtà più che verso la detassazione si è orientato in favore di una moratoria, escludendo l’introduzione di qualsivoglia nuova imposta statale, locale o federale

28. Ovviamente tale moratoria non ha riguardato affatto le imposte preesi-

stenti, né, tantomeno ha inciso sui normali regimi tributari applicabili al

26 Per un quadro generale si rinvia alla Guide to the VAT mini One Stop Shop, EU Comm., Directorate – General Taxation and Customs Union, Indirect Taxation and Tax admi-nistration, VAT, Brussels, 23 ottobre 2013.

27 Si rinvia ancora all’iniziativa Europea da cui è scaturito il Report of the Commission Expert Group on Taxation of the Digital Economy, cit.

28 Per tutti i riferimenti v. CIPOLLINA, op. cit., p. 287 ss.

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commercio elettronico ed agli atti, contratti e rapporti che nascono e/o si sviluppano in internet.

Tuttavia l’Internet Tax Freedom Act ha avuto, nei fatti, la capacità di para-lizzare qualsivoglia iniziativa volta ad introdurre nuove forme di tassazione, e ciò non soltanto negli Stati Uniti, ma anche in Europa e nel resto del mondo.

Oggi, ad oltre quindici anni, dopo l’adeguata metabolizzazione del feno-meno internet, consentita dallo status quo approach, sembra opportuno tor-nare a riflettere sulle nuove e moderne forme di tassazione ipotizzate sul fi-nire degli anni ’90

29. Si intende far riferimento non solo alla bit tax (imposizione sui “dati” pre-

levati dalla rete), ma anche al tributo sulla registrazione dei domini, alla tas-sa di concessione degli indirizzi IP, all’imposizione sulla pubblicità on line, alla hit tax (imposizione sugli accessi alla rete)

30. Queste nuove forme di tassazione potrebbero consentire un’attenuazio-

ne della normale tassazione sulle attività produttive (reddito d’impresa e red-dito di lavoro), ma soprattutto potrebbero essere concepite come una sorta di imposizione sostitutiva rispetto ai tributi ordinari, cui molto spesso il “ci-berspazio” sottrae materia imponibile, dando vita al disappearing taxpayer.

Ecco allora che, in questa più ampia prospettiva, l’idea della “Google Tax” Italiana potrebbe essere ripresa. Tuttavia, superata la fase contingente delle leggi di stabilità, dei decreti legge, ecc., si dovrebbero creare le condi-zioni per dare corpo ad una fase di studio centrata sull’idea base, ma dove-rosamente volta a valorizzare il quadro Europeo e gli indirizzi dell’OECD, e soprattutto tendente al massimo coordinamento con le analoghe iniziative degli altri Paesi

31.

29 Si intende far riferimento ai lungimiranti contributi di Cordell, Soete e Kamp (sui quali v. ancora CIPOLLINA, op. cit., pp. 289-293); spunti condivisi e ripresi, nella prospettiva italia-na, da URICCHIO, op. cit., il quale, comunque, esprime la convinzione che qualsivoglia nuova forma di tassazione di internet necessiti di scelte condivise a livello internazionale.

30 Per gli eventuali approfondimenti non si può che rinviare ad URICCHIO, op. cit., e per le più aggiornate riflessioni – anche in ottica comparatistica – a DE FILIPPI, Taxing the Cloud: Introducing a New Taxation System on data Collection?, in Internet Policy Review, 2013.

31 La necessità di una ampia prospettiva di studio Europea ed internazionale è decisa-mente evidenziata nelle sue conclusioni da TRENTA, The Italian “Google Tax”, cit.

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Antonio Viotto

CONSIDERAZIONI SUI REGIMI DI TASSAZIONE DEI REDDITI DEI CONIUGI ALLA LUCE DEL PRINCIPIO

DI CAPACITÀ CONTRIBUTIVA

SOME REMARKS ON THE TAX REGIMES OF SPOUSES’ INCOME IN THE LIGHT OF THE ABILITY TO PAY PRINCIPLE

Abstract I redditi dei coniugi sono assoggettati ad imposizione diretta in base al criterio della tassazione individuale, avendo il legislatore scelto di escludere la famiglia dal novero dei soggetti passivi ed essendo stato abbandonato il criterio del cumulo giuridico. Si tratta, in linea di massima, di un sistema che, ancorché penalizzante per le famiglie monoreddito, è in linea con il principio della capacità contributi-va, poiché ciascun membro della famiglia viene tassato per il proprio reddito. Si deve tuttavia approfondire la compatibilità con tale principio delle ulteriori rego-le in materia, riferite alle fattispecie della comunione legale e convenzionale, del-le attività separate, delle partecipazioni, dell’azienda coniugale e del fondo patri-moniale. Parole chiave: famiglia, capacità contributiva, fondo patrimoniale, azienda coniu-gale, comunione The spouses’ income is taxed according to the principle of individual taxation, since the Italian tax system does not consider the family as an autonomous taxpayer and has abandoned the method of cumulative taxation. The actual system, although pe-nalising those families with a unique source of income, is in line with the ability to pay principle, since each family member is taxed for his/her income. However, it is neces-sary to check the compatibility with this principle of other rules governing this field, such as those on the legal and conventional community property system, on separated activities, on stocks, on family business and family fund. Keywords: family, ability to pay, family fund, family business, community property system

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SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. – 2. Principio della capacità contributiva e criterio dell’imputa-zione ripartita dei redditi dei beni della comunione legale. – 3. Principio della capacità contri-butiva e tassazione dei redditi che derivano dall’attività separata di ciascun coniuge. – 4. Criterio dell’imputazione ripartita con riferimento ai redditi derivanti da partecipazioni societarie. – 5. Criterio dell’imputazione ripartita con riferimento ai redditi derivanti dall’azienda coniu-gale. – 6. Criterio dell’imputazione ripartita con riferimento ai redditi derivanti dai beni ogget-to di comunione convenzionale. – 7. Criterio dell’imputazione ripartita con riferimento ai red-diti derivanti dai beni inclusi nel fondo patrimoniale.

1. Considerazioni introduttive

Il regime impositivo dei redditi dei coniugi è, come noto, ispirato al crite-rio della tassazione individuale, nel senso che ciascun coniuge è tassato per il suo reddito, essendo stato abbandonato il criterio del cumulo giuridico

1 e non essendosi provveduto a far rientrare tra i soggetti passivi d’imposta la fa-miglia nel suo complesso

2.

1 In forza del quale, ai fini della determinazione del reddito complessivo, al marito do-vevano essere imputati, oltre ai redditi propri: a) i redditi della moglie, eccettuati quelli nella libera disponibilità della moglie legalmente ed effettivamente separata; b) i redditi dei figli minori non emancipati conviventi con il contribuente, compresi i figli naturali, i figli adot-tivi, gli affiliati e i figli dell’altro coniuge; c) i redditi altrui dei quali il contribuente ha la li-bera disponibilità o l’amministrazione senza obbligo della resa dei conti (così l’art. 4 del D.P.R. n. 597/1973). L’istituto del cumulo è stato abbandonato a seguito della pronuncia della Corte cost., 14 luglio 1976, n. 179. Tra i molti interventi della dottrina in ordine a detto criterio si segnalano: MOSCHETTI, Capacità contributiva, in Enc. giur., 1988, V, pp. 11-12; MARONGIU, Il cumulo al vaglio della corte costituzionale, in Dir. prat. trib., 1975, II, p. 177; FANTOZZI, Regime tributario, in BIANCA (a cura di), La comunione legale, II, Milano, 1989, p. 1083 s.; PERRONE, Il cumulo dei redditi familiari: costituzionalmente illegittimo o soltanto iniquo?, in Giur. cost., 1976, I, p. 2188; GRANELLI, Finalmente abolita la ... “tassa di maritag-gio”, in Boll. trib., 1976, p. 1172; FEDELE, “Possesso” di redditi, capacità contributiva ed inco-stituzionalità del “cumulo”, in Giur. cost., 1976, I, p. 2159; GRIPPA SALVETTI, Cumulo dei red-diti e costituzione, in Foro it., 1976, I, p. 2530; nonché, più di recente, TURCHI, La famiglia nell’ordinamento tributario, Torino, 2012, p. 59 s. e p. 99 s.; GIOVANNINI, Famiglia e capaci-tà contributiva, in Riv. dir. trib., 2013, I, p. 228.

2 Riguardo al tema della soggettività passiva tributaria della famiglia v., tra gli altri, MO-SCHETTI, Capacità contributiva, cit., p. 12; TOSI, Considerazioni sul regime fiscale della fami-glia: discriminazioni ai danni delle famiglie monoreddito, prospettive di riforma e problemati-che di ordine costituzionale, in Rass. trib., 1988, p. 344; GRIPPA SALVETTI, Famiglia nel diritto tributario, in Dig. disc. priv., sez. comm., 1990, V, p. 477; PROTO, Riflessioni in tema di tassa-zione dei redditi del nucleo familiare, in Riv. dir. trib, 1991, I, p. 795 s.; GIOVANNINI, Famiglia

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Il legislatore del Testo Unico, anche dopo la riforma degli anni 2003-2004, ha dunque optato per l’attribuzione di soggettività passiva ai singoli com-ponenti della famiglia e, per quanto interessa in questa sede, ai singoli co-niugi, adottando un criterio di tassazione in linea con il principio della capa-cità contributiva – nella misura in cui ciascuno viene tassato per il proprio reddito – ancorché penalizzante per le famiglie monoreddito rispetto a quelle plurireddito, a parità di ricchezza complessivamente prodotta dai componen-ti del nucleo familiare

3. Nel rapporto tra i coniugi, il criterio della tassazione individuale opera a

prescindere da quale sia il regime patrimoniale dagli stessi adottato, sia esso, cioè, quello della separazione dei beni ovvero della comunione legale.

In particolare, in caso di separazione dei beni, quello coniugale resta un rapporto ininfluente ai fini impositivi quanto ad imputazione dei redditi de-rivanti dai beni personali dei coniugi, mentre in caso di comunione legale, per i redditi prodotti dai beni oggetto di comunione il legislatore ha previsto una regola di ripartizione tra i coniugi.

2. Principio della capacità contributiva e criterio dell’imputazione ripartita dei redditi dei beni della comunione legale

La disposizione a cui fare riferimento è quella contenuta nell’art. 4, lett. a), del TUIR, la quale sancisce che i redditi dei beni che formano oggetto della comunione legale, di cui agli artt. 177 c.c. ss., sono imputati a ciascuno dei coniugi per metà nel loro ammontare netto o per la diversa quota stabili-ta ai sensi dell’art. 210 dello stesso codice (c.d. imputazione ripartita)

4; la e capacità contributiva, cit., pp. 222-223. In giurisprudenza v. Cass., sent. 15 aprile 2004, n. 7191; sent. 26 aprile 2004, n. 7951.

3 Ciò in ragione dell’effetto della progressività delle aliquote IRPEF che si manifesta in misura più accentuata allorquando la ricchezza si concentra in capo ad un solo soggetto, rispetto al caso in cui la medesima ricchezza complessiva si spalma su più persone, nel no-stro caso sui due coniugi o sui componenti del nucleo familiare: v. Corte cost., sent. 24 lu-glio 1995, n. 358; nonché Cass., sent. 19 gennaio 2005, n. 1034.

4 Il criterio dell’imputazione ripartita di cui all’art. 4 del TUIR cessa di operare con il venir meno della comunione legale, che può verificarsi, vuoi per la morte di un coniuge, vuoi per l’opzione per il regime della separazione dei beni, vuoi per lo scioglimento del vin-colo coniugale. In quest’ultima eventualità, però, bisogna tener presente che la separazione ed il divorzio non producono l’automatica divisione dei beni in comunione, sicché ci si de-ve chiedere cosa accada medio tempore, vale a dire prima che si realizzi la divisione dei beni

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stessa disposizione precisa, inoltre, che i proventi dell’attività separata di cia-scun coniuge sono a questo imputati in ogni caso per l’intero ammontare.

Dunque, i redditi dei beni che fanno parte della comunione legale si im-putano per il 50% a ciascun coniuge, il che conferma, dal punto di vista siste-matico, che la comunione legale non dà luogo ad un distinto soggetto passi-vo ai fini delle imposte sui redditi, in quanto i soggetti passivi sono i coniugi.

Giova segnalare che la norma parla di imputazione per metà dell’ammon-tare e non precisa che tale imputazione debba avvenire «indipendentemen-te dalla percezione», come invece accade nell’art. 5 del TUIR, a proposito delle società di persone. Tale differenza di formulazione mi sembra tuttavia coerente con la diversità delle due situazioni che si vengono a creare, giacché nelle società di persone vi è una divaricazione, quanto meno formale, tra il soggetto che produce il reddito e il soggetto in capo al quale avviene la tassa-zione

5 – sicché è ragionevole che si precisi che la tassazione del relativo reddi-

ed i redditi ritratti dagli stessi vengano imputati al coniuge assegnatario (mi sia consentito rinviare in proposito a VIOTTO, Separazione e divorzio: profili fiscali, in SICCHIERO (diretto da), Separazione, annullamento e divorzio, Bologna, 2005, p. 960 s.). La soluzione che appa-re più immediata ed idonea a non produrre problemi applicativi è quella di proseguire ad applicare la regola prevista dall’art. 4 del TUIR anche successivamente allo scioglimento della comunione e fintantoché non si perfezioni la divisione dei beni. Come rilevato dalla dottrina (v. TARIGO, Profili tributari della separazione e del divorzio, in Riv. dir. trib., 2002, I, p. 269), una simile impostazione può essere argomentata rifacendosi alla (minoritaria) tesi civilistica che ritiene che il patrimonio in comunione – fintantoché non intervenga la divi-sione – deve considerarsi comunque disciplinato dalle disposizioni in materia di comu-nione legale dei beni. Senonché, potrebbe ritenersi che detta disposizione non sia applica-bile una volta sciolta la comunione legale in quanto, da un lato, nel periodo di attesa della divisione dei beni, detti beni non formano più «oggetto della comunione legale» e, dal-l’altro lato, non si è più in presenza di due “coniugi”. In particolare, la dottrina civilistica ha evidenziato come nel periodo successivo alla separazione ed anteriore alla divisione non vi sia una “comunione legale”, sicché in detto arco temporale dovrebbero ritenersi applicabili le norme in materia di comunione ordinaria (DE MONTIS, Divisione dei beni della comunione, in BIANCA (a cura di), op. cit., p. 989). Nel periodo di tempo in argomento, dunque, non potrebbe ritenersi applicabile la regola prevista dall’art. 4 del TUIR in materia di imputa-zione dei redditi, ma dovrebbero operare quelle che disciplinano la tassazione dei redditi derivanti da beni oggetto di comunione ordinaria, quale, ad esempio, l’art. 26, comma 2, del TUIR, per i redditi fondiari.

5 Ancorché tale divaricazione venga ricomposta in virtù del vincolo societario che si in-staura tra i soci, che è finalizzato all’esercizio in comune di un’attività economica e che at-tribuisce loro il potere di decidere in ordine alla distribuzione degli utili. In tal senso v. an-che NUSSI, Spunti per una rimeditazione della disciplina impositiva reddituale delle società di persone, in Riv. dir. trib., 1994, I, pp. 733-735; ZIZZO, Reddito delle persone giuridiche (impo-sta sul), in Riv. dir. trib., 1994, I, p. 627; MICCINESI, I tributi diretti erariali, in RUSSO, Ma-

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to avviene in capo ai soci anche se costoro non lo hanno materialmente per-cepito – mentre nel caso della comunione legale il legislatore presuppone che non vi sia tale divergenza perché ciascun coniuge ha il diritto di proprie-tà sui beni che producono reddito

6. Di conseguenza, si può affermare che, nel caso della comunione legale

tra i coniugi, non c’è separazione tra il soggetto titolare della fonte e il sog-getto titolare del reddito. nuale di diritto tributario, Milano, 1999, pp. 564-565. Anche RUSSO, I soggetti passivi del-l’IRES e la determinazione dell’imponibile, in ID. (a cura di), La riforma dell’imposta sulle so-cietà, Torino, 2005, p. 73, ritiene che, nel caso delle società di persone, la titolarità del red-dito venga sin da subito riferita ai soci, in forza della regola della tassazione per trasparen-za, sull’assunto che gli stessi abbiano quel potere di disporre in via originaria del reddito che rappresenta il tratto essenziale del presupposto dell’imposizione reddituale. Nello stesso sen-so, v. PUOTI, (voce) Dividendi e utili distribuiti dalle società (dir. trib.), in Nov. Dig. it., ap-pendice III, 1982, p. 42; NUZZO, Questioni in tema di tassazione di enti non economici, in Rass. trib., 1985, I, p. 133; PANSIERI, Il presupposto di fatto dell’IRPEF e i soggetti passivi, in FAL-SITTA, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Padova, 2013, pp. 91-92; RASI, La tassa-zione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria, Padova, 2012, pp. 15-17; MENTI, L’imposizione degli utili da partecipazione societaria, Padova, 2007, p. 68. In argomento v. altresì SCHIAVOLIN, I soggetti passivi, in Giur. sist. dir. trib., Imposta sul reddito delle persone giuridiche. Imposta locale sui redditi, diretto da Tesauro, Torino, 1996, pp. 124-128; MENCARELLI, Art. 5 – Redditi prodotti in forma associata, in Commentario al testo unico delle imposte sui redditi, a cura di Tinelli, Padova, 2009, pp. 56-58; NUSSI, Reddito delle per-sone giuridiche (imposta sul), in Riv. dir. trib., I, 1994, pp. 627-628. Per una ricostruzione sistematica del regime della trasparenza delle società di persone, incentrata sulla composi-zione nell’ambito di una fattispecie complessa degli eventi rappresentati dallo svolgimento dell’attività (e dunque della titolarità formale della fonte) e dall’imputazione del reddito v. BORIA, Il principio di trasparenza nell’imposizione delle società di persone, Milano, 1996, in part. pp. 263-273.

6 Si può quindi ritenere che in capo ad entrambi i coniugi si realizzi il presupposto del-l’imposizione reddituale consistente nel “possesso di redditi”, pur sapendo che piuttosto va-riegate sono le posizioni assunte su tale fondamentale concetto dalla dottrina, la quale tende oggi a valorizzare la titolarità della fonte rispetto all’elemento della materiale disponibilità dei redditi: senza pretesa di esaustività, per ripercorrere il dibattito sul tema mi limito qui a fare riferimento, oltre alla manualistica, ai lavori di TOSI, La nozione di reddito, in Giur. sist. dir. trib., L’imposta sul reddito delle persone fisiche, I, diretto da Tesauro, Torino, 1994, p. 42 s.; TI-NELLI, Art. 1 – Presupposto dell’imposta, in Commentario al Testo Unico delle Imposte sui Reddi-ti, a cura di Tinelli, Padova, 2009, p. 24 s.; MICHELI, Corso di diritto tributario, Torino, 1989, p. 371 s.; GALEOTTI FLORI, Il possesso del reddito nell’ordinamento dei tributi diretti, aspetti par-ticolari, Padova, 1983, in part. p. 24 s.; FEDELE, “Possesso” di redditi, cit., p. 2164; MICCINESI, L’imposizione sui redditi nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, Milano, 1990, p. 85 s.; PAPARELLA, Possesso di redditi ed interposizione fittizia, Milano, 2000, p. 157 s.; BORIA, op. cit., p. 264; CARINCI, Invalidità del contratto nelle imposte sui redditi, Padova, 2003, p. 83 s.; NUZ-ZO, Modelli ricostruttivi della forma del tributo, Padova, 1987, p. 38 s.; nonché, con più specifi-co riferimento all’imputazione dei redditi all’interno della famiglia, PROTO, op. cit., p. 808 s.

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Ed è ragionevole la supposizione, che sembra essere sottesa alla regola legale dell’imputazione ripartita, che ciascun coniuge possa comunque di-sporre della metà del reddito dei beni che fanno parte della comunione legale.

Sicché, come si è anticipato, anche il criterio dell’art. 4, lett. a), risulta co-erente con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.

7: se,

7 Anche nella prospettiva che considera idonee manifestazioni di capacità contributiva solo le grandezze che siano “tangibili”, monetizzabili e, dunque, almeno potenzialmente, spendibili nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo (momento che normal-mente non coincide con quello del pagamento). Non è comunque questa la sede per ap-profondire il concetto di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost., sul quale, come noto, la dottrina tributaria è divisa tra quanti attribuiscono alla disposizione costituzionale una particolare pregnanza normativa e vi riconoscono l’esistenza di una fonte di vincoli per il legislatore ordinario e quanti tendono a svalutare la portata della disposizione, ravvi-sando nella stessa una mera specificazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza. Mi limito quindi a segnalare – senza pretesa di esaustività e ben sapendo che, all’interno delle due posizioni che ho sintetizzato, molti sono i distinguo e variegate sono le argomen-tazioni in cui si dipanano i ragionamenti degli Autori – i lavori di FALSITTA, Il principio del-la capacità contributiva nel suo svolgimento storico fino all’Assemblea Costituente, in Riv. dir. trib., 2013, I, p. 765 s.; GIARDINA, Le basi teoriche del principio della capacità contributiva, Milano, 1961, p. 434 s.; GAFFURI, L’attitudine alla contribuzione, Milano, 1969, p. 35 s.; MO-SCHETTI, Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973, p. 21 s.; MARONGIU, La crisi del principio di capacità contributiva nella giurisprudenza della corte costituzionale dell’ultimo decennio, in Dir. prat. trib., 1999, I, p. 1772 s.; TOSI, Il requisito di effettività, in MOSCHETTI (a cura di), La capacità contributiva, Padova, 1993, p. 101 s.; MARONGIU, I fondamenti costi-tuzionali dell’imposizione tributaria, Torino, 1995, p. 110 s.; DE MITA, Interesse fiscale e tute-la del contribuente, Milano, 2006, p. 109 s.; e, da ultimo, POGGIOLI, Indicatori di forza eco-nomica e prelievo confiscatorio, Padova, 2012, p. 15 s., fra quanti enfatizzano i requisiti della “spendibilità” e dell’effettività. Fra quanti, invece, concepiscono l’art. 53, comma 1, come una proiezione del principio di eguaglianza e gli attribuiscono la (sola) funzione di porre un limite di razionalità alle scelte discrezionali del legislatore, ricordo gli scritti di GALLO, Le ragioni del fisco – Etica e giustizia nella tassazione, Bologna, 2007, p. 88 s.; FEDELE, La funzione fiscale e la “capacità contributiva” nella Costituzione italiana, in PERRONE-BERLIRI, Diritto tributario e corte costituzionale, Napoli, 2006, p. 14 s.; FEDELE, Ancora sulla nozione di capacità contributiva nella Costituzione italiana e sui “limiti” costituzionali all’imposizione, in Riv. dir. trib., 2013, p. 1041 s. Propendono poi per una concezione “oggettivistica” della capacità contributiva, declinata quale “forza economica”, come criterio di ripartizione del-le spese pubbliche: BASILAVECCHIA, Sulla costituzionalità dell’Irap – Un’occasione non del tutto perduta, in Rass. trib., 2002, p. 302 s.; BATISTONI FERRARA, (voce) Capacità contributi-va, in Enc. dir., Agg.-III, Milano, 1999, pp. 354-355; nonché GIOVANNINI, Capacità contri-butiva e imposizione patrimoniale: discriminazione qualitativa e limite quantitativo, in Rass. trib., 2012, p. 1139; GIOVANNINI, Il diritto tributario per principi, Milano, 2014, p. 29, ad avviso del quale «per il principio costituzionale, è sufficiente che l’elemento prescelto a presupposto del tributo sia in sé rilevante economicamente o lo sia almeno potenzialmen-te come produttivo di una ricchezza ulteriore rispetto a quella che esso, elemento, già espri-me». Anche nelle pronunce della Corte costituzionale si ritrova il “dualismo” che caratte-

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infatti, si può ragionevolmente supporre che ciascun coniuge, oltre ad essere comproprietario della fonte (i beni che producono reddito), possa disporre della metà dei frutti dei beni (e quindi dei redditi), si può ragionevolmente ritenere che ciascun coniuge sia titolare della capacità contributiva ricondu-cibile al 50% del reddito che deriva dai beni che fanno parte della comunio-ne legale.

Senonché, sempre in ottica sistematica, si potrebbe riflettere sul fatto che il legislatore ha previsto uno sdoppiamento dell’obbligazione tributaria a fronte della comunione legale sulla fonte reddituale, il quale sdoppiamento potrebbe non essere considerato del tutto coerente con la logica “comunita-ria” sottesa all’istituto civilistico

8, laddove si ritenesse che alla comunione della fonte avrebbe dovuto accompagnarsi, anche ai fini impositivi, la co-munione dei frutti: donde l’ipotesi che sarebbe stato forse sistematicamente più coerente prevedere l’esistenza di un’obbligazione tributaria unica, og-getto di una responsabilità solidale dei coniugi

9, piuttosto che di due obbli-gazioni separate tra di loro.

Tuttavia, al di là del fatto che non è pacifico che i coniugi realizzino con-giuntamente il medesimo presupposto e siano dunque titolari dell’intera capacità contributiva allo stesso sottesa

10, è possibile ipotizzare che il legi-slatore abbia optato per lo sdoppiamento delle obbligazioni

11 dei coniugi

rizza il pensiero della dottrina, se si considera che, dopo aver seguito l’impostazione se-condo cui il presupposto doveva essere rigorosamente agganciato ad un fatto economico effettivo e spendibile (sent. 26 giugno 1965, n. 50; sent. 26 marzo 1980, n. 42; sent. 7 lu-glio 1986, n. 178; ord. 3 dicembre 1987, n. 465), la Corte è più di recente giunta a ritenere sufficiente che gli indici individuati dal legislatore siano idonei a esprimere, in termini di ragionevolezza, le differenti posizioni dei consociati (sent. 4 maggio 1995, n. 143; sent. 5 febbraio 1996, n. 21; sent. 21 maggio 2001, n. 156; ord. 25 luglio 2002, n. 395).

8 Giova in proposito ricordare che l’orientamento giurisprudenziale consolidato è nel senso di considerare la comunione legale alla stregua di una comunione senza quote (c.d. comunione a mani riunite): v. Cass., sez. un., sent. 24 agosto 2007, n. 17952; Cass., sent. 6 luglio 2004, n. 12313; Cass., sent. 19 marzo 2003, n. 4033. Nello stesso senso si è pronun-ciata la Corte costituzionale nella sent. 17 marzo 1988, n. 311.

9 Che nei rapporti interni avrebbe potuto essere ripartita in parti uguali, onde assicura-re che ciascuno sia tassato solo sul proprio reddito.

10 Sicché difetterebbero i presupposti, individuati dalla dottrina (v. MOSCHETTI, Il prin-cipio della capacità contributiva, cit., p. 212; SCHIAVOLIN, Il collegamento soggettivo, in MO-SCHETTI (a cura di), La capacità contributiva, cit., p. 83) per configurare una fattispecie di solidarietà paritetica conforme al principio di capacità contributiva.

11 Soluzione che è coerente con le ulteriori disposizioni del TUIR che sanciscono l’im-putazione pro quota dei redditi scaturenti da beni di proprietà di diversi soggetti: si ricordi,

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anche per evitare il rischio che, in caso di inadempimento di uno dei due, l’altro possa essere chiamato a rispondere – in quanto coobbligato solidale paritetico – del debito tributario del primo con la propria quota dei beni della comunione senza possibilità di rivalersi nei confronti del coniuge ina-dempiente. Ciò che invece non si verifica in virtù dello sdoppiamento delle obbligazioni dal quale consegue che l’Amministrazione finanziaria assume la qualifica di creditore particolare di ciascuno dei coniugi per il debito di ognuno di essi e pertanto, in caso di inadempimento da parte di uno dei co-niugi, essa potrà rivalersi sui beni della comunione solo in via sussidiaria e fino al valore della quota del coniuge obbligato (e quindi non per l’intero valore dei beni in comunione), giusta quanto dispone l’art. 189, comma 2, c.c.

12.

3. Principio della capacità contributiva e tassazione dei redditi che derivano dall’attività separata di ciascun coniuge

Parimenti in linea con il principio della capacità contributiva è poi la di-sposizione contenuta nell’ultimo periodo dell’art. 4, lett. a), laddove si stabi-lisce che il criterio dell’imputazione ripartita non opera per i redditi che de-rivano dall’attività separata, professionale o imprenditoriale, di ciascun co-niuge

13: i proventi di questa attività separata sono imputati al coniuge che esercita quell’attività, in coerenza con la regola di cui all’art. 177, comma 1, lett. c), c.c., secondo la quale i frutti dell’attività separata appartengono alla comunione de residuo, il che significa che gli stessi diventeranno oggetto di condivisione da parte dei coniugi solo nel momento in cui si scioglierà la comunione, se non consumati. Medio tempore, dunque, un solo coniuge è titolare della fonte – l’esercizio dell’attività professionale o imprenditoriale, separata – ed è altresì titolare del potere di disporre dei relativi redditi, ra-gion per cui può essere considerato titolare della capacità contributiva

14. ad esempio, quanto accade nell’ambito dei redditi fondiari, laddove, ai sensi dell’art. 26, comma 2, del TUIR, «in caso di contitolarità della proprietà o altro diritto reale sull’im-mobile o di coesistenza di più diritti reali su di esso il reddito fondiario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun soggetto per la parte corrispondente al suo diritto».

12 A mente del quale, «i creditori particolari di uno dei coniugi ... possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del co-niuge obbligato».

13 Al pari di quanto avviene per i redditi che derivano dai beni che rimangono propri del coniuge, pur in presenza di comunione legale tra essi (v. art. 179 c.c.).

14 Sulla disposizione concernente l’imputazione dei proventi dell’attività separata di un

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Sicché, la scelta del legislatore di sottoporre a tassazione immediata tali redditi in capo al coniuge che li ha prodotti autonomamente rispetto all’al-tro coniuge, pur trattandosi di redditi che potenzialmente potrebbero di-ventare oggetto di una comunione, risponde al principio secondo cui la par-tecipazione ai carichi pubblici deve avvenire in capo a ciascuno in ragione della propria capacità contributiva

15. Principio che, per contro, sarebbe leso laddove il coniuge che non ha al-

cun rapporto con la fonte, né alcun potere attuale di disporre del reddito prodotto dall’altro coniuge, fosse chiamato sin da subito a corrispondere le imposte su detto provento.

Peraltro, la scelta di assoggettare immediatamente a tassazione tali reddi-ti in capo al coniuge che li ha prodotti, senza attendere lo scioglimento della comunione, tiene nel dovuto conto l’esigenza erariale di prossimità tra il mo-mento di realizzazione del presupposto e quello di esercizio del potere im-positivo, esigenza che non avrebbe senso sacrificare nel caso di specie.

Tale scelta deve però essere coordinata con il trattamento che dovrà es-sere riservato ai redditi in questione nel momento dello scioglimento della comunione, posto che, se è ragionevole che la tassazione non possa rimane-re in sospeso sino a quel momento, è altrettanto ragionevole che al verificar-si di quell’evento quegli stessi redditi non possano essere assoggettati nuo-vamente a tassazione.

Questo vuol dire che, quando si verificherà lo scioglimento della comu-nione e qualora dovessero far parte della comunione de residuo i frutti, cioè i redditi, dell’attività separata del coniuge, già tassati in capo a questi, l’impu-tazione di tali frutti all’altro coniuge, per la sua quota di comunione de resi-duo, non sarà un atto che ha rilevanza dal punto di vista reddituale, ma si do-vrà inquadrare tra gli atti di trasferimento di carattere patrimoniale

16. coniuge si veda anche FICARI, Brevi riflessioni sulla responsabilità tributaria del coniuge obbli-gato “dipendente” tra impresa individuale e dichiarazione congiunta, in Boll. trib., 2013, p. 486, il quale – affrontando il caso dell’esercizio dell’impresa da parte di un solo coniuge e del pas-saggio dal regime della comunione legale e quello della separazione patrimoniale – ritiene che, dall’interpretazione combinata dell’art. 4, lett. a), ultimo periodo, del TUIR e dell’art. 178 c.c. discenda che «i redditi prodotti dall’impresa individuale in comunione andrebbe-ro attribuiti al solo coniuge imprenditore, potendosi prescindere dalla proprietà personale o comune dei beni, bensì rilevando il solo possesso esclusivo dei medesimi in capo al tito-lare dell’azienda».

15 In tal senso v. anche TURCHI, Imputazione dei redditi e comunione dei beni fra coniugi. Considerazioni sull’art. 4 del Testo unico, in Rass. trib., 2013, pp. 165-167.

16 In tal senso v. anche FANTOZZI, op. cit., p. 1094; nonché SCHIAVOLIN, Regime patri-

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Diversamente si assisterebbe ad un’ipotesi di doppia imposizione la qua-le non potrebbe essere considerata in linea con il principio della capacità con-tributiva, essendo stato quel reddito già assoggettato ad imposizione – sulla scorta di una precisa scelta legislativa – in capo al soggetto che lo ha prodot-to ed avendo, dunque, lo stesso esaurito la sua idoneità ad essere espressio-ne di attitudine alla contribuzione per quella stessa imposta, ancorché in ca-po ad un soggetto diverso

17. A ciò si aggiunga che, sempre con riferimento alla fattispecie dell’eserci-

zio di un’attività separata da parte di uno dei coniugi, si pone il problema di stabilire quale sia l’impatto sul piano fiscale dell’eventuale mutamento del regime patrimoniale, ed in particolare del passaggio dal regime della comu-nione a quello della separazione. Quid juris, infatti, per le plusvalenze derivan-ti dalla cessione dei beni dell’impresa realizzate dopo lo scioglimento della comunione legale? Continuano ad essere attratte al regime del reddito d’im-presa oppure vi fuoriescono per la quota spettante all’altro coniuge?

Si tratta di questioni alquanto complicate, in ragione del fatto che – co-me subito vedremo – si configurano delle discrepanze tra le norme che di-sciplinano la fattispecie sul versante civilistico e su quello fiscale. Le disposi-zioni civilistiche da tenere in considerazione sono: l’art. 178 c.c., a mente del quale «i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio ... si considerano oggetto della comunione solo se sussi-stono al momento dello scioglimento di questa»; l’art. 191 c.c., il quale an-novera tra le ipotesi di scioglimento della comunione anche il «mutamento convenzionale del regime patrimoniale»; l’art. 194 c.c., il quale dispone che «la divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti

moniale della famiglia ed imposizione reddituale, in Giur. sist. dir. trib., L’imposta sul reddito delle persone fisiche, cit., p. 100; CAPOZZI, Brevi note sulla rilevanza del regime patrimoniale coniugale nell’imputazione dei redditi da partecipazione o derivanti dall’esercizio di un’impresa, in Riv. trim. dir. trib., 2014, p. 605.

17 Non è un caso, del resto, che gli artt. 67 del D.P.R. n. 600/1973 e 163 del TUIR, nel vietare la doppia imposizione sul medesimo reddito, sanciscano espressamente l’inapplica-bilità della medesima imposta anche «nei confronti di soggetti diversi». Senza contare che la plurima tassazione può condurre all’esaurimento della capacità contributiva e porsi in contrasto con l’art. 53 Cost. anche nella parte in cui esso racchiude il limite massimo del prelievo, come evidenziano MOSCHETTI, Profili generali, in MOSCHETTI (a cura di), La ca-pacità contributiva, cit., pp. 33-35; e FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova, 2008, pp. 153 e 234. Sul rapporto tra divieto di doppia imposizione e principio di capacità contributiva v. anche le considerazioni di PORCARO, Il divieto di doppia imposizio-ne nel diritto interno, Padova, 2001, in part. p. 102 s.

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uguali l’attivo e il passivo». Stando al dato civilistico, dunque, parrebbe che, con il passaggio dal regime di comunione a quello di separazione, anche i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi vadano attribuiti pro-quota all’altro coniuge

18, il che vorrebbe dire che il coniuge non impren-ditore indirettamente si avvantaggia dei frutti dell’attività imprenditoriale svolta dall’altro coniuge, non consumati al momento dello scioglimento del-la comunione, in coerenza con il disposto dell’art. 117, comma 1, lett. c), c.c., in base al quale «costituiscono oggetto della comunione ... i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della co-munione, non siano stati consumati». Dal punto di vista fiscale, tale impo-stazione dovrebbe condurre a ritenere che, in caso di vendita di detti beni dopo il mutamento di regime patrimoniale, il relativo componente reddituale dovrebbe, per la quota dell’altro coniuge, uscire dal regime del reddito d’im-presa ed essere tassato secondo le regole di altre categorie reddituali. Ma ta-le conclusione potrebbe non essere considerata in linea con il disposto del-l’art. 4, comma 1, lett. a), ultimo periodo, del TUIR, il quale stabilisce che «i proventi dell’attività separata di ciascun coniuge sono a lui imputati in ogni caso per l’intero ammontare», laddove la locuzione «in ogni caso» sembrerebbe attribuire alla disposizione una connotazione “speciale” rispet-to alla norma “generale” racchiusa nel menzionato art. 178 c.c., connotazio-ne che condurrebbe a ritenere che i plusvalori derivanti dalla cessione dei beni dell’impresa, anche dopo lo scioglimento della comunione, continuino ad essere tassati in capo al coniuge imprenditore, quali componenti del red-dito d’impresa

19. È chiaro, pertanto, che, così argomentando, si realizza una divaricazione tra situazione civilistica e situazione fiscale, giacché la tassa-zione verrebbe concentrata su un soggetto (il coniuge imprenditore), men-tre la titolarità di una quota del bene ceduto sarebbe di spettanza dell’al-tro

20. Una divaricazione che, tuttavia, potrebbe non contrastare con il prin-cipio della capacità contributiva qualora si valorizzi il fatto che, anche dopo

18 A meno che in sede di divisione non venga stabilito diversamente: con riferimento alla distinzione tra la fase dello scioglimento della comunione legale e quella della divisio-ne dei beni v., tra gli altri, BIANCA (a cura di), op. cit., p. 939; GALASSO, Del regime patrimo-niale della famiglia, tomo I, (artt. 159-230), in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di Galgano, I, Bologna-Roma, 2003, p. 450.

19 È questa la conclusione proposta da FICARI, op. cit., p. 486. 20 Divaricazione che andrebbe comunque ricomposta riconoscendo all’altro coniuge il

diritto alla sua quota degli utili derivanti dalla cessione dei beni, al netto dell’imposizione prelevata in capo al coniuge imprenditore e senza ulteriore tassazione.

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lo scioglimento della comunione, uno solo è il coniuge che esercita l’attività imprenditoriale e, dunque, uno solo è il soggetto che realizza il rapporto con la fonte dal quale origina l’obbligazione tributaria

21. Tale conclusione, peral-tro, sembra rispondere anche ad una finalità di contrasto ad eventuali com-portamenti elusivi, giacché l’assoggettamento dei plusvalori derivanti dalla cessione dei beni dell’impresa ad un diverso regime impositivo (ad esempio quello dei redditi diversi), dopo lo scioglimento della comunione, potrebbe consentire ai coniugi di strumentalizzare il mutamento del regime patrimo-niale per evitare o contenere la tassazione (grazie alle diverse regole previste per le altre categorie reddituali) sulla quota spettante al coniuge non im-prenditore.

Ciò detto, v’è da chiedersi quale potrebbero essere le ricadute sulla situa-zione testé descritta dell’eventuale introduzione delle modifiche normative in attuazione delle previsioni della legge delega di riforma tributaria 11 mar-zo 2014, n. 23, ed in particolare di quelle di cui all’art. 12, comma 1, lett. a), laddove, nel quadro della «ridefinizione dell’imposizione sui redditi», si indi-ca la «assimilazione al regime dell’imposta sul reddito delle società (IRES) dell’imposizione sui redditi di impresa, compresi quelli prodotti in forma as-sociata dai soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IR-PEF), assoggettandoli a un’imposta sul reddito imprenditoriale, con aliquo-ta proporzionale allineata a quella dell’IRES, e prevedendo che siano dedu-cibili dalla base imponibile della predetta imposta le somme prelevate dal-l’imprenditore e dai soci e che le predette somme concorrano alla formazio-ne del reddito complessivo imponibile ai fini dell’IRPEF dell’imprenditore e dei soci».

Ora, non essendo questa la sede per un’analisi approfondita della dispo-sizione, delle sue implicazioni sotto il profilo sistematico e delle numerose questioni di carattere applicativo che la stessa solleva

22, mi limito qui a rile-

21 Ciò quanto meno fino a quando i beni oggetto di successiva cessione continuino ad essere annoverati tra i beni dell’impresa ai sensi dell’art. 65 del TUIR, giacché la loro even-tuale fuoriuscita (prima della cessione) potrebbe integrare la fattispecie della destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa e determinare il realizzo del relativo compo-nente reddituale in capo al coniuge imprenditore.

22 Pensiamo, ad esempio, ai problemi che si possono porre con riferimento ai preleva-menti operati in occasione della chiusura dell’attività in un esercizio con un reddito d’im-presa basso o nullo che sia incapiente rispetto alla deduzione delle somme prelevate (sic-ché si verificherebbe una perdita che non è dato immaginare come potrebbe essere recu-perata e che, se non fosse recuperata, genererebbe una palese doppia imposizione), come pure alle possibili manovre di pianificazione fiscale realizzate attraverso la distribuzione

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vare come il legislatore delegante – nell’intento di evitare discriminazioni, quanto alla tassazione del reddito d’impresa, rispetto ai livelli d’imposizione che si verificano in capo alle società di capitali – abbia previsto una sorta di tassazione separata del reddito d’impresa, con l’applicazione – a quanto pa-re – di un nuovo tributo denominato «imposta sul reddito imprenditoria-le» ed affidando il raccordo tra la tassazione proporzionale di tale compo-nente del reddito complessivo e la tassazione progressiva del reddito com-plessivo medesimo al meccanismo della deduzione dei prelevamenti dalla base imponibile dell’imposta sul reddito imprenditoriale e della contestuale inclusione degli stessi nella base imponibile dell’IRPEF.

Ebbene, per venire al tema di cui mi sto occupando in questo scritto, an-corché non sia dato sapere come il legislatore delegato declinerà i principi direttivi sopra ricordati, mi sembra si possa dire che le prospettate modifi-che non dovrebbero sovvertire le conclusioni sopra indicate con riferimento alle questioni che si pongono in relazione alla modifica del regime patrimo-niale dei coniugi. Ciò in ragione del fatto che il reddito d’impresa verrebbe tassato, in prima battuta, al momento della sua produzione, come una gran-dezza separata e che l’assoggettamento ad IRPEF sarebbe procrastinato ad un momento successivo, quello del materiale prelevamento delle somme, talché l’eventuale passaggio dal regime della comunione legale a quello della separazione patrimoniale – ed il conseguente ingresso nella comunione de residuo dei beni destinati all’esercizio dell’impresa da parte di uno solo dei co-niugi costituita dopo il matrimonio – dovrebbe essere neutro in rapporto al-l’imposizione del reddito d’impresa e dovrebbe esserlo a maggior ragione rispetto a quanto sopra rilevato, proprio perché il reddito d’impresa verreb-be assoggettato ad un’imposta ad hoc di carattere proporzionale. Dunque, mi sembra che potrebbero essere mantenute ferme le conclusioni sopra in-dicate, nel senso che i plusvalori derivanti dalla cessione dei beni dell’impre-sa, anche dopo lo scioglimento della comunione, continuino ad essere tassa-ti in capo al coniuge imprenditore, quali componenti del reddito d’impresa, sul presupposto che il coniuge imprenditore continui ad essere il soggetto che realizza il rapporto con la fonte da cui origina l’obbligazione tributaria relativa tanto alla nuova imposta sul reddito imprenditoriale quanto all’IRPEF, an-corché la tassazione sia, come detto, separata e realizzata in due momenti distinti. dei prelevamenti negli esercizi in cui l’aliquota marginale IRPEF è più contenuta, per non dire delle problematiche che possono sorgere con riguardo ai soggetti non residenti che producono reddito d’impresa in Italia tramite una stabile organizzazione.

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Ed anche qualora si volesse enfatizzare la portata della separazione del-l’imposizione, rimarrebbe comunque il fatto che, sino al momento del pre-levamento, l’unico soggetto cui riferire la tassazione dovrebbe continuare ad essere il coniuge imprenditore (per l’appunto, in quanto unico soggetto che sembrerebbe realizzare il c.d. reddito imprenditoriale), mentre potrebbe pro-spettarsi qualche argomentazione ulteriore per riferire direttamente all’altro coniuge la tassazione ai fini IRPEF delle somme prelevate (riconoscendo nel prelevamento un evento autonomamente rilevante ai fini della realizza-zione del presupposto dell’IRPEF).

4. Criterio dell’imputazione ripartita con riferimento ai redditi derivanti da partecipazioni societarie

Ciò detto in merito alla compatibilità dell’art. 4, lett. a), del TUIR rispet-to al principio della capacità contributiva, non può sottacersi come la dispo-sizione che prevede l’imputazione pro quota dei redditi prodotti da beni in comunione sia spesso fonte di problemi applicativi, poiché si scontra con la consolidata prassi di attribuire i redditi al titolare formale del bene, indipen-dentemente dalla circostanza che esso ricada nel regime di comunione

23. È il caso, ad esempio, delle partecipazioni societarie

24 in relazione alle

23 Sul punto v. LUPI, La comunione legale: i “diritti che non si vedono” e gli “incroci perico-losi” dell’anagrafe tributaria, in Rass. trib., 1994, II, p. 1503. Si veda altresì GRIPPA SALVETTI, Famiglia nel diritto tributario, cit., p. 483, che affronta il problema concludendo – con rife-rimento ai redditi fondiari – che «entrambi i coniugi, compreso quindi quello estraneo al-l’acquisto, hanno l’obbligo di dichiarare ciascuno per metà dei redditi provenienti dall’im-mobile e pagare l’IRPEF ...» e che «l’eventuale dichiarazione dell’intero reddito da parte dell’unico acquirente non esclude l’applicazione delle sanzioni per il coniuge che, essendo estraneo all’acquisto, non ha dichiarato il reddito di sua spettanza».

24 Ampio è il dibattito che si è sviluppato in dottrina e in giurisprudenza sulla possibili-tà di annoverare le partecipazioni societarie tra i beni che possono formare oggetto di co-munione legale tra i coniugi. L’approdo cui è giunta la Corte di Cassazione è nel senso di ritenere che «le azioni di società costituiscono incrementi patrimoniali rientranti tra gli acquisti di cui all’art. 177 lett. a) c.c., e quindi, nell’oggetto della comunione legale tra co-niugi, chiarendo che se, anche, esse non sono titoli di credito, bensì titoli di partecipazione, l’aspetto patrimoniale è assolutamente prevalente rispetto ai diritti ed agli obblighi con-nessi con lo status di socio in essi incorporato» (v. sent. 24 febbraio 2001, n. 2736) e di estendere tale connotazione anche alle partecipazioni dei soci accomandanti nelle società in accomandita semplice, con riferimento alle quali la stessa Corte ha affermato che «ai redditi di partecipazione societaria, quali frutti civili di “beni” oggetto di comunione legale, debba applicarsi il medesimo regime, con la conseguenza che, in applicazione dell’art. 4

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quali si è sostenuto che, qualora i titoli siano acquistati da un solo coniuge, quindi siano intestati formalmente ad un solo coniuge, il soggetto titolare dell’obbligazione tributaria connessa ai dividendi sarebbe il solo coniuge in-testatario

25. Tale tesi non mi sembra però condivisibile in quanto pretende-rebbe di far prevalere un dato formale – l’intestazione del titolo ad un co-niuge – rispetto alla realtà sostanziale – la comunione legale su quel titolo

26 – senza nemmeno trovare un supporto nel dettato normativo dell’art. 4, lett. a), il quale imperativamente sancisce che il reddito dei beni in comunione legale vada imputato ad entrambi i coniugi, senza eccezioni.

Altra peculiarità che riguarda le partecipazioni che formano oggetto di comunione legale è quella che concerne il requisito della “qualificazione” il quale, come noto, si verifica allorquando le partecipazioni superano le soglie di cui all’art. 67, comma 1, lett. c), del TUIR. In particolare, ci si potrebbe chiedere se il fatto che la partecipazione rientri nella comunione legale inci-da sulle percentuali di cui alla menzionata disposizione, nel senso che la par-tecipazione non debba essere considerata come unitaria, bensì vada riferita per metà ad un coniuge e per metà all’altro coniuge.

In effetti, in dottrina c’è chi ha sostenuto che, se un pacchetto di parteci-pazioni che di per sé sarebbe qualificato forma oggetto di una comunione legale tra coniugi, esso andrebbe considerato come se si trattasse di due par-tecipazioni, ciascuna intestata ad ognuno dei coniugi, talché, se con questo sdoppiamento si ricadesse al di sotto delle soglie di cui al menzionato art. 67, comma 1, lett. c), allora non si avrebbe più una partecipazione qualifica-ta, bensì si sarebbe di fronte a due partecipazioni non qualificate

27. del D.P.R. citato [n. 597-1973], gli stessi vanno imputati a ciascuno dei coniugi per metà del loro netto ammontare». Ciò in coerenza con l’indirizzo dottrinale secondo il quale ri-marrebbero escluse dalla comunione legale le sole partecipazioni societarie comportanti una responsabilità illimitata in capo al socio per le obbligazioni sociali.

25 Si veda in tal senso il parere, piuttosto risalente, dell’Avvocatura dello Stato del 29 ot-tobre 1988, citato da LEO, Le imposte sui redditi nel testo unico, tomo I, Milano, 2006, p. 77.

26 Anche GRIPPA SALVETTI, Famiglia nel diritto tributario, cit., p. 483 rileva che «indi-pendentemente dalla titolarità apparente delle azioni o delle quote, una volte accertato che esse costituiscono oggetto di comunione legale, gli eventuali dividendi, spettando per quo-te uguali ai coniugi, dovranno in tale proporzione essere denunciati». Nello stesso senso v. FANTOZZI, op. cit., p. 1103; nonché TURCHI, La famiglia nell’ordinamento tributario, cit., p. 181 s.; TURCHI, Imputazione dei redditi e comunione dei beni fra coniugi, cit., p. 161 s. Anche l’Agenzia delle entrate ha ritenuto che il dato formale dell’intestazione dei titoli possa esse-re superato ai fini impositivi (nel caso prospettato da una convenzione tra i coniugi in re-gime di separazione dei beni): v. Ris. 30 aprile 2002, n. 131/E.

27 V. VOZZA, La tassazione dei redditi derivanti da partecipazioni societarie acquistate in

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In tal senso, si era espresso anche il Ministero delle Finanze con la Circo-lare 10 maggio 1985, n. 16, sostenendo che, diversamente, si sarebbe avuta una tassazione su una capacità contributiva inesistente e che comunque cia-scun coniuge sarebbe stato tassato con l’aliquota prevista per il doppio del suo reddito.

A me pare, tuttavia, che se si condivide il principio secondo cui le parte-cipazioni oggetto di comunione legale tra coniugi sono parte di una comu-nione pro indiviso, cioè di una comunione solidale senza quote

28, sia vera-mente difficile condividere la tesi sopra esposta, la quale presuppone che la partecipazione venga spezzata in due parti, che vengono riferite a ciascuno dei due coniugi ai fini della valutazione del superamento delle soglie di cui si è detto.

Il che non vuol dire che, considerando unitariamente la partecipazione, i coniugi vengano tassati con un’aliquota più alta rispetto a quella che sareb-be la loro o su una capacità contributiva che non hanno, in quanto la valuta-zione unitaria della partecipazione serve solo per stabilire se la stessa sia quali-ficata o meno, mentre poi ciascun coniuge verrebbe tassato sul 50% del red-dito della partecipazione (sia esso dividendo o plusvalenza), con le sue ali-quote, secondo le regole previste per le partecipazioni qualificate o non qua-lificate. In altri termini, qualora la partecipazione unitariamente considerata sia qualificata, ciascun coniuge dovrebbe sempre inserire nella propria dichia-razione il 50% del dividendo o della plusvalenza, e tali quote dovrebbero concorrere alla formazione dell’imponibile di ciascun coniuge per il 49,72% del loro ammontare.

In tal modo, da un lato, viene salvaguardata l’unitarietà della partecipa-zione che discende dalle norme civilistiche, dall’altro lato, viene rispettato il principio della capacità contributiva in quanto ogni coniuge viene tassato solo sul proprio reddito e con un’aliquota ad esso commisurata.

regime di comunione legale, in Il Fisco, 2003, p. 1017 s.; TURCHI, La famiglia nell’ordinamen-to tributario, cit., p. 182; TURCHI, Imputazione dei redditi e comunione dei beni fra coniugi, cit., p. 162.

28 V. sopra nota 8.

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5. Criterio dell’imputazione ripartita con riferimento ai redditi derivanti dal-l’azienda coniugale

Un’altra situazione nella quale il regime della comunione legale può dare luogo a delle criticità sul versante dell’imposizione reddituale è quella che concerne l’azienda coniugale, vale a dire l’azienda gestita da entrambi i co-niugi, rispetto alla quale l’art. 177 c.c. distingue il caso dell’azienda costituita dopo il matrimonio – che fa parte della comunione legale (comma 1, lett. d) – da quello dell’azienda costituita prima del matrimonio e appartenente ad uno dei coniugi – della quale, secondo la norma, appartengono alla comu-nione legale i frutti e gli incrementi (comma 2).

Dal punto di vista fiscale, partendo dalla questione, tutta civilistica, con-cernente la possibilità di configurare l’esistenza di una società di fatto tra coniugi “cogestori”, ci si è chiesti se tale possibilità potesse avere dei riflessi anche sulla tassazione dei redditi ritratti dall’azienda coniugale. Sul punto, il Ministero delle Finanze in passato aveva previsto che fosse necessario di-stinguere a seconda che l’azienda venisse gestita in forma societaria – nel qual caso si sarebbero dovute applicare le regole di tassazione delle società di persone per analogia – oppure non fosse gestita in forma societaria – nel qual caso si sarebbero dovute applicare, per assimilazione, le norme in ma-teria di tassazione dell’impresa familiare, ma senza il limite del 51%

29. Tuttavia a me pare che questa impostazione sia difficile da condividere dal

punto di vista teorico 30, perché mi sembra non tenga conto del fatto che l’art.

4, lett. a), detta una norma speciale che deve trovare applicazione nelle ipotesi che sono in essa contemplate e mi sembra difficile negare che tra queste vi sia l’azienda costituita dopo il matrimonio, la quale, per definizione

31, essendo

29 V. le istruzioni alla dichiarazione dei redditi contenute nel D.M. 12 febbraio 1993. Sul punto v. anche FEDELE, La comunione legale nel diritto tributario, in Dir. prat. trib., 2002, I, p. 43; MICELI, La prova del conferimento societario e la rilevanza dei rapporti familiari ai fini dell’individuazione dell’esistenza di una società di fatto, in Riv. dir. trib., 2000, II, p. 256; CAPOZZI, Brevi note, cit., p. 607.

30 Contrari alla qualificazione societaria dell’azienda coniugale sono anche FANTOZZI, op. cit., pp. 1114-1115 e GRIPPA SALVETTI, Famiglia nel diritto tributario, cit., p. 484, la quale conclude nel senso che «se si nega ... il carattere societario, la disciplina fiscale sarà condi-zionata dalla mancanza della soggettività passiva dell’azienda coniugale. Pertanto, riguardo all’IRPEF gli obblighi strumentali, l’accertamento e il pagamento dell’imposta faranno ca-po ai coniugi imprenditori. Ai fini dell’ILOR sembra possibile imputare il reddito derivan-te dalla gestione dell’impresa comune pro quota ai coniugi».

31 Giova, infatti, rammentare che l’art. 2555 c.c. definisce l’azienda come «il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa».

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DOTTRINA RTDT - n. 4/2014 942

un’universalità di beni, dovrebbe rientrare nel concetto di “beni” di cui al-l’art. 177 c.c. ai quali il legislatore tributario si riferisce per descrivere l’ambi-to di applicazione del criterio dell’imputazione ripartita

32. Ne consegue che, anche per i redditi derivanti dalla gestione dell’azienda coniugale, dovrebbe trovare applicazione la regola dell’imputazione in quote uguali prevista dal menzionato art. 4, lett. a), senza che vi sia la necessità di ricorrere a norme dettate per altre e diverse fattispecie per determinare l’imponibile che i sin-goli coniugi debbono dichiarare

33. Più articolata è, infine, la questione che attiene all’azienda appartenente

ad un coniuge prima del matrimonio, e gestita da entrambi i coniugi, rispet-to alla quale, come si è accennato, rientrano nella comunione legale solo «gli utili e gli incrementi» (art. 177, comma 2, c.c.) e dunque solo i frutti deri-vanti dalla gestione.

Senonché, l’art. 4, lett. a), del TUIR si riferisce ai «redditi dei beni che formano oggetto della comunione» e non ai frutti – cioè ai redditi – che en-trano in comunione, pur derivando da beni che non fanno parte della co-munione. Pertanto, rispetto a tale situazione, il dato testuale dell’art. 4 risul-ta carente e si dovrebbe prospettare un ampliamento della fattispecie legale che equipari, sotto il profilo dell’imposizione, l’azienda appartenente ad un coniuge anteriormente al matrimonio, gestita da entrambi i coniugi, ai beni appartenenti alla comunione legale, in ragione del rapporto con la fonte del reddito, consistente in entrambi i casi nell’esercizio in comune dell’attività imprenditoriale

34. Si perverrebbe, così, ad una conclusione tutto sommato in linea con il principio della capacità contributiva in virtù sia della gestione in comune dell’azienda da parte dei coniugi, sia del fatto che i redditi in que-stione sono per legge sottratti alla disponibilità del coniuge proprietario del-

32 Pur senza dimenticare che il reddito derivante dalla cogestione dell’azienda coniuga-le promana dall’esercizio di un’attività produttiva e non dal semplice possesso di un bene, attività produttiva che, comunque, deve essere esercitata da entrambi i coniugi, affinché l’a-zienda costituita dopo il matrimonio rientri nella comunione legale ex art. 177, comma 1, lett. d), c.c.

33 In tal senso v. altresì NUSSI, L’imputazione del reddito nel diritto tributario, Padova, 1996, pp. 348-350. Anche SCHIAVOLIN, Regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 107, ritiene che «l’imputazione pro quota degli utili ha il suo unico fondamento nell’art. 4 lett. a)».

34 Anche PROTO, op. cit., pp. 814-815, valorizza quale criterio di imputazione del reddi-to l’esercizio di un’attività economica, potenzialmente idonea ad arricchire la sfera eco-nomica di entrambi i coniugi; TURCHI, La famiglia nell’ordinamento tributario, cit., p. 241, dal canto suo, ritiene che l’imputazione del reddito d’impresa per metà a ciascun coniuge avverrebbe in entrambi i casi in base al criterio della “cogestione dell’impresa”.

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l’azienda e attratti, sin dall’origine, al patrimonio comune di entrambi i co-niugi.

6. Criterio dell’imputazione ripartita con riferimento ai redditi derivanti dai beni oggetto di comunione convenzionale

Per concludere la trattazione in merito al regime impositivo dei beni og-getto della comunione legale, resta da affrontare una questione particolare che concerne la c.d. comunione convenzionale, consistente nella possibilità attribuita ai coniugi di modificare il regime della comunione legale, facendovi rientrare anche beni che altrimenti non vi sarebbero compresi.

In passato, prima dell’emanazione del Testo Unico, si era aperto un dibat-tito in relazione al caso in cui i proventi dell’attività separata di ciascun coniu-ge venissero, per convenzione, fatti confluire nell’ambito della comunione le-gale: ci si chiedeva se, in tal caso, i redditi dell’attività separata di un coniuge potessero essere imputati ai due coniugi secondo il criterio della ripartizione al 50%

35. Quando si discuteva di questa opzione non era ancora stato intro-dotto l’ultimo periodo dell’art. 4, comma 1, lett. a) – il quale, come si è detto, prevede che i proventi dell’attività separata di ciascun coniuge sono a lui im-putati «in ogni caso» per l’intero ammontare – in quanto tale norma è stata dapprima inserita dall’art. 26 della L. n. 154/1989 e poi recepita all’interno del Testo Unico. Alla luce di questa disposizione, dunque, la questione a suo tempo sollevata deve considerarsi appianata, nel senso che la locuzione «in ogni caso» non lascia dubbi sul fatto che i proventi dell’attività separata di un coniuge debbano essere da questo solo interamente dichiarati, anche nel caso in cui i coniugi abbiano deciso di farli confluire nella comunione.

Né mi pare si possa dar credito ai dubbi di legittimità costituzionale che sono stati prospettati in punto di ragionevolezza di tale disposizione sulla scorta del contrasto della stessa con gli istituti civilistici diretti a regolare il regime patrimoniale della famiglia. Intanto, mi sembra opportuno rilevare che la disposizione rispetta il principio della capacità contributiva, nella mi-sura in cui il reddito viene tassato in capo al soggetto che lo produce – ovve-ro al soggetto che è titolare della fonte, cioè l’attività produttiva, sia essa pro-

35 In senso contrario a tale possibilità v. l’articolata analisi di TOSI, L’efficacia fiscale delle convenzioni matrimoniali tra coniugi, in Rass. trib., 1987, I, p. 165 s. A conclusioni diverse giunge invece FANTOZZI, op. cit., p. 1116 s.

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fessionale, piuttosto che imprenditoriale – e che è titolare del potere di di-sporne – tant’è che, per l’appunto, ne dispone attraverso la previsione con-venzionale di destinazione dello stesso alla comunione legale e dunque per metà in favore dell’altro coniuge.

Inoltre, non mi sembra vi siano nemmeno elementi di incoerenza e quin-di di eventuale conflitto rispetto all’art. 3 Cost., in quanto il disallineamento che si crea rispetto alla previsione civilistica ben si giustifica alla luce della funzione antielusiva della disposizione fiscale, tesa com’è ad evitare la pos-sibilità di “splittare” sui due coniugi il reddito prodotto da uno solo di essi e, quindi, di attenuare l’effetto della progressività dell’imposta beneficiando di un abbassamento del livello di tassazione complessiva

36. Rimane tuttavia un’incertezza sull’ambito di applicazione della disposi-

zione fiscale, a causa dell’equivocità del riferimento operato dall’art. 4, lett. a), TUIR, all’art. 210 c.c.: la disposizione tributaria sembrerebbe riferirsi, infatti, all’imputazione del reddito dei beni che formano oggetto della co-munione legale (vale a dire, quelli di cui all’art. 177 c.c.), nella diversa misu-ra prevista dalla convenzione, mentre sappiamo che per i beni di cui all’art. 177 non ci può essere l’imputazione dei frutti in misura diversa dal 50% (art. 210, comma 3). Sicché il riferimento all’art. 210 dovrebbe riguardare i red-diti di beni personali, beni che vengono inclusi nella comunione per con-venzione: il che significa che per questi beni si creerebbe la possibilità di “splittare” tra i coniugi il relativo reddito, di pari passo, però, con la condivi-sione della proprietà dei beni medesimi.

Dubbio è, invece, che allo stesso risultato si possa pervenire con riferi-mento ai soli frutti dei beni personali, allorquando tali frutti siano conven-zionalmente inseriti in comunione pur rimanendo i beni di proprietà di un solo coniuge

37. In effetti, la formula dell’art. 4, lett. a), potrebbe lasciare qualche margine a tale possibilità, in particolare nella parte in cui deroga al

36 V. FEDELE, La comunione legale nel diritto tributario, cit., p. 42. Di «elusione fiscale pattizia» parla TOSI, L’efficacia fiscale delle convenzioni matrimoniali tra coniugi, cit., p. 168. Anche la giurisprudenza di legittimità ravvisa dalle disposizioni in materia di tassazione dei redditi dei coniugi un generale «divieto dello splitting» (v. Cass., sent. n. 7951/2004, cit., e n. 7191/2004, cit.).

37 In senso critico su tale possibilità, v. TABET, Confusione nell’anti-elusione (a proposito della comunione convenzionale dei redditi), in Boll. trib., 1989, p. 1285, il quale attribuisce alla disposizione inserita nell’ultimo periodo dell’art. 4, lett. a), una funzione interpretativa, rite-nendo che, già prima della sua introduzione, i redditi dell’attività separata dei coniugi, al pari di quelli derivanti da beni di proprietà di un solo coniuge, non potessero formare oggetto di imputazione al 50% tra i coniugi.

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criterio dell’imputazione ripartita solo per i proventi dell’attività separata e non già per i frutti dei beni personali dei coniugi, ancorché inseriti (detti frutti) convenzionalmente nella comunione. Tuttavia, mi sembra che tale con-clusione non sia coerente con il principio di capacità contributiva in relazio-ne al presupposto dell’imposizione reddituale, nel senso che, se è vero che anche il coniuge non proprietario dei beni si arricchisce divenendo proprie-tario di una quota dei frutti di detti beni, è però altrettanto vero che detto arricchimento – che, in termini oggettivi, costituirebbe una forma di capaci-tà contributiva – non scaturisce direttamente dalla fonte reddituale, bensì da un atto di destinazione da parte dell’altro coniuge, atto che – ancorché preconcordato tra i coniugi – mi sembra dispieghi i propri effetti in un mo-mento successivo a quello in cui si verifica il presupposto e nasce l’obbliga-zione tributaria. Ed invero, la nozione di possesso dei redditi – che, come noto, costituisce il presupposto dell’imposizione reddituale – presuppone un rapporto qualificato con la fonte, oltre che con un potere di disposizione dei relativi frutti, che non si può rinvenire in capo al coniuge che non è pro-prietario dei beni e che si limita a beneficiare di una parte dei frutti sulla scorta di un atto dispositivo dell’altro coniuge. Sicché, mi sembra che l’in-terpretazione sistematica della disposizione dovrebbe condurre alla conclu-sione che la convenzione tra i coniugi, diretta ad inserire nella comunione legale i soli frutti dei beni personali di un coniuge, non consenta di trasferire (neppure in parte) l’obbligazione tributaria da un coniuge all’altro allorquan-do la fonte produttiva del reddito rimanga nella titolarità di uno solo dei co-niugi, ma dovrebbe semmai valere come atto di disposizione del reddito da parte del coniuge che ne è titolare, a favore dell’altro

38. Il che, peraltro, è coerente con il dato testuale dell’art. 4, lett. a), il quale – come innanzi evi-denziato – circoscrive la fattispecie dell’imputazione ripartita ai redditi “dei beni” che formano oggetto della comunione legale e non già ai redditi che vengono inseriti nella comunione pur derivando da beni che non ne fanno parte, essendo di proprietà di uno solo dei coniugi

39.

38 In tal senso v. altresì TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, Torino, 1989, pp. 31-32 (e nt. 38); nonché TURCHI, La famiglia nell’ordinamento tributario, cit., pp. 218-220; TURCHI, Imputazione dei redditi e comunione dei beni fra coniugi, cit., pp. 175-176.

39 Diversamente da quanto sopra evidenziato con riferimento ai redditi dell’azienda appartenente ad un coniuge, ma gestita da entrambi i coniugi, i cui redditi rientrano, per vo-lontà del legislatore (art. 177, comma 2, c.c.), nella comunione legale, nel caso qui prospet-tato i redditi dei beni personali affluiscono alla comunione per effetto di un atto di disposi-zione del coniuge proprietario dei beni medesimi.

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7. Criterio dell’imputazione ripartita con riferimento ai redditi derivanti dai beni inclusi nel fondo patrimoniale

Per concludere, un accenno meritano i redditi dei beni del fondo patrimo-niale, la cui tassazione è disciplinata dall’art. 4, comma 1, lett. b), del TUIR, in base al quale anche tali redditi sono imputati per metà del loro ammontare netto a ciascuno dei coniugi.

Anche il fondo patrimoniale, dunque, non è soggetto passivo delle impo-ste sui redditi ed anche per i redditi dei beni che ne formano oggetto la sog-gettività passiva ricade sui coniugi

40, i quali, in base alle norme civilistiche, hanno la responsabilità dell’amministrazione dei beni rientranti nel fondo patrimoniale

41. Viene da chiedersi, tuttavia, se questa regola di tassazione, così lineare e

semplice, valga anche quando la proprietà dei beni che vengono attratti al fondo patrimoniale rimane in capo ad un solo coniuge, oppure rimane in ca-po ad un terzo

42. A tal fine, è necessario appurare se possa dirsi coerente con il principio di

capacità contributiva il fatto che l’obbligazione tributaria sorga in capo a sog-getti diversi da coloro che sono i titolari della fonte

43. In tal senso, mi sem-bra che possa deporre la caratteristica del vincolo che si crea con il fondo patrimoniale, in forza del quale – giusta quanto dispone l’art. 168, comma 2, c.c. – i frutti dei beni del fondo «sono impiegati per i bisogni della famiglia»: sicché si crea una sorta di vincolo di destinazione a favore della famiglia – e non del proprietario dei beni – sui redditi in questione, vincolo che impedi-sce di considerare tali redditi come indici di capacità contributiva in capo al

40 V. NUSSI, L’imputazione del reddito nel diritto tributario, cit., p. 371, il quale rileva che «il possesso del reddito ... è incardinato pro quota nei confronti di entrambi i coniugi, in quanto il provento imponibile risulta destinato al soddisfacimento dei loro bisogni all’in-terno del nucleo familiare»; BARDI, Il regime fiscale del fondo patrimoniale, in Dir. prat. trib., 1997, II, p. 1197; MARINELLO, I profili fiscali del fondo patrimoniale della famiglia, in Riv. trim. dir. trib., 2014, p. 396 s.

41 Ciò in ragione del rinvio operato dall’art. 168, comma 3, c.c., alle disposizioni in te-ma di comunione legale (tra cui anche l’art. 180 c.c.).

42 Giusta quanto prevedono gli artt. 167 e 168 c.c. 43 La questione si pone, ovviamente, in termini più semplici se si accede all’indirizzo

dottrinale (di cui dà conto CAPOZZI, La registrazione dell’atto costitutivo del fondo patrimo-niale: la “Suprema Corte” torna sui suoi passi, in Rass. trib., 2003, p. 763) secondo il quale, per effetto dell’inserimento del bene nel fondo patrimoniale, al coniuge non proprietario ver-rebbe attribuito un diritto reale di godimento, assimilabile in parte all’usufrutto legale.

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soggetto che mantiene la proprietà dei beni 44. Dall’altro lato, è ragionevole

che tale indice sia riferito ad entrambi i coniugi, i quali, avendo la responsa-bilità del mantenimento della famiglia, sono dotati del potere di ammini-strazione dei beni del fondo patrimoniale e del conseguente potere di di-sposizione dei frutti, ancorché tale disponibilità sia vincolata al soddisfaci-mento dei bisogni familiari. Dunque, avendo escluso che la famiglia costitui-sca soggetto passivo dell’imposizione reddituale, è coerente che si attribui-sca ai coniugi

45, in parti uguali, l’obbligazione tributaria scaturente dai beni che, ancorché di proprietà di terzi, sono vincolati al soddisfacimento dei bi-sogni familiari per effetto della loro inclusione nel fondo patrimoniale.

44 Anche in deroga ad altre norme tributarie che collegano il presupposto dell’imposi-zione alla titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale, quale, ad esempio, con riguardo ai redditi fondiari, l’art. 23 del TUIR. Osserva in proposito GALEOTTI FLORI, op. cit., p. 29, che «la libera disponibilità (o l’amministrazione senza obbligo della resa dei conti, che ne è un modo di essere) sono una caratterizzazione del possesso; dunque la cu-mulabilità di quei redditi è una conseguenza ovvia del principio per cui il presupposto del-l’imposta è il possesso di redditi». Anche PERRONE, Profili tributari del fondo patrimoniale, in Rass. trib., 2008, pp. 1545-1547, ritiene che la disposizione dell’art. 4, lett. b), «muo-vendo dall’esistenza di un peculiare vincolo di destinazione impresso sui beni facenti parte del fondo patrimoniale (e sui relativi frutti), valorizza il potere di disporre (nell’interesse della famiglia) della fonte reddituale a prescindere, evidentemente, dalla titolarità giuridica della stessa». In argomento v. anche MARINELLO, op. cit., p. 399 s.

45 Ovvero al coniuge superstite o a quello cui sia stata esclusivamente attribuita l’ammi-nistrazione del fondo, nelle ipotesi di cui all’art. 171 c.c., giusta quanto prevede il secondo periodo della lett. b) dell’art. 4 del TUIR. Dubbi solleva in ordine alla ragionevolezza di ta-le disposizione, NUSSI, L’imputazione del reddito nel diritto tributario, cit., pp. 372-373.

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DOTTRINA RTDT - n. 4/2014 948

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GIURISPRUDENZA

SOMMARIO:

Cass., sez. III, 7 maggio 2014, n. 9859 – Pres. Carleo, Rel. Rubino, P.M. (conf.) Patrone, con nota di E. Marello, Sul regresso del coobbligato solidale, in se-guito al perfezionamento di un accertamento con adesione (On the action of recourse of the joint and several guarantor following a tax settlement procedure)

Cass., sez. trib., 13 giugno 2014, n. 13588 – Pres. Cicala, Rel. Cosentino, con nota di A. Panizzolo, Una pronuncia limitativa del diritto al contraddittorio an-ticipato del contribuente non in linea con il recente insegnamento delle Se-zioni Unite della Corte di Cassazione (A decision restricting the taxpayer’s right to be heard in advance in conflict whit the recent trend of the Grand Chamber of the Italian Supreme Court)

Cass. pen., sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 44003 – Pres. Sirena, Rel. Izzo, con nota di A. Tomassini, Effetti penali dello scudo fiscale e dominus di società (Criminal aspects of the Italian “tax shield” and the concept of dominus of a company)

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

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Cass., sez. III, 7 maggio 2014, n. 9859 – Pres. Carleo, Rel. Rubino, P.M. (conf.) Patrone Accertamento con adesione – Obbligazioni solidali – Esercizio del regresso da parte del coobbligato che ha perfezionato l’adesione – Procedimento di adesio-ne al quale non partecipano gli altri coobbligati – Non spettanza dell’azione di regresso (Cod. civ., artt. 1304, 1309)

L’azione di regresso non spetta al coobbligato che ha perfezionato un accertamento con adesione con l’Amministrazione, quando al procedimento di adesione non hanno partecipato gli altri coobbligati.

R.D., in data 27.3.1997, con due distinti atti notarili alienava un terreno a L.G., ed

altro terreno alla Althea s.r.l.; riceveva successivamente un avviso di accertamento dall’Ufficio del Registro competente relativo al valore degli immobili compravenduti, concordava con esso un importo a titolo di differenza per la relativa imposta, sia per il terreno venduto al L. che per il terreno venduto alla Althea s.r.l. e provvedeva al paga-mento delle somme concordate.

Nel 1999 agiva in regresso verso i due acquirenti, avendo pagato quanto richiesto dalla amministrazione in quanto obbligata solidale con gli acquirenti ai sensi dell’art. 57, T.U. n. 131 del 1986 e tuttavia essendo esclusivamente gli acquirenti gli obbligati sostanziali, ai sensi dell’art. 1475 c.c., e a quanto previsto nei contratti di vendita.

Il Tribunale di Bari, sez. distaccata di Altamura, rigettava la domanda compensan-do le spese legali al 50%.

La R. proponeva appello, chiedendo che sia il L. che l’Althea s.r.l. fossero dichiarati tenuti a pagare l’imposta di registro e condannati a rifonderle quanto da lei versato all’amministrazione. L’Althea proponeva appello incidentale, chiedendo che la R. fos-se condannata a versare integralmente le spese legali del giudizio di primo grado.

L’avv. T.P.N., quale erede legittimo di R. D., propone ricorso per cassazione artico-lato in due motivi per la riforma della sentenza n. 869 del 15.9.2009 della Corte d’Appello di Bari, che ha rigettato sia il suo appello principale che l’appello incidentale della Althea s.r.l. La corte territoriale confermava la valutazione del primo giudice se-condo il quale l’atto di accertamento unilateralmente effettuato dall’ufficio tributario nei confronti di uno dei condebitori in solido (con adesione o meno di questi), così come avviene per il riconoscimento di debito sottoscritto o l’accordo transattivo con-cluso dal singolo condebitore, non produce effetto nei confronti dei condebitori soli-dali che non vi abbiano partecipato e non abbiano dato il loro consenso al concordato tributario, ai sensi degli artt. 1304 e 1306 c.c.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 952

(omissis) Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applica-

zione degli artt. 1304, 1309 e 1475 c.c., nonché l’omessa ed insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia e ravvisa l’errore motivazionale in cui sarebbe in-corsa la corte d’appello nell’aver qualificato l’obbligo di pagamento dell’imposta di re-gistro come obbligo solidale tra venditore ed acquirente non solo nei rapporti esterni, verso l’amministrazione finanziaria, ma anche nei rapporti interni. Al contrario, eviden-zia che nei rapporti interni l’obbligo grava sui soli acquirenti, che quindi costoro erano tenuti a rifondere alla R. quanto corrisposto in più all’amministrazione rispetto alla quantificazione iniziale effettuata dal notaio al momento della redazione dei contratti di compravendita, tanto più che dall’accertamento effettuato dal c.t.u. in corso di cau-sa era risultato che l’importo concordato corrisposto dalla R. all’Ufficio del Registro fosse congruo rispetto al valore dell’immobile.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta che la corte avrebbe errato nel motivare attribuendo all’atto di accertamento per adesione natura giuridica di ne-gozio consensuale transattivo, rimanendo invece esso un atto unilaterale della P.A. pur con l’adesione del contribuente, e come tale sottratto all’ambito di applicazione degli artt. 1304 e 1309 c.c.

I due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente e sono infondati. In primo luogo, la sentenza impugnata non contiene l’errore di motivazione attribui-

tole dal ricorrente, secondo il quale anche nei rapporti interni venditore ed acquirenti di un immobile sarebbero obbligati solidali al pagamento dell’imposta di registro, ma si li-mita a dire che nella regolazione dei rapporti interni di soggetti che siano condebitori so-lidali verso l’esterno devono applicarsi appunto le regole delle obbligazioni solidali.

Quello che si è verificato nel caso di specie è che la R., alla quale l’amministrazione legittimamente poteva rivolgersi per gli accertamenti relativi alla verifica del valore im-positivo del bene ed al corretto pagamento dell’imposta di registro (essendo il vendi-tore obbligato solidale con il compratore nei confronti dell’amministrazione per il pa-gamento dell’imposta di registro, ex art. 57, del T.U. n. 131 del 1986), ricevuto l’avviso di accertamento a lei sola indirizzato (che non è atto di avvio del procedimento di ac-certamento tributario, come correttamente osservato dal giudice di prime cure, ma solo atto prodromico e rispetto al quale ella non aveva alcun obbligo di adesione, né tanto meno la mancata adesione l’avrebbe esposta al rischio della azione esecutiva), ha libe-ramente ritenuto di concludere con l’amministrazione un concordato tributario, rite-nendo equo l’importo aggiuntivo concordato, forse per evitare che qualora non avesse accettato potesse essere liquidato un importo superiore.

A questo procedimento non hanno avuto modo di partecipare né di interloquire in al-cun modo e probabilmente non ne sono stati neppure informati, i soggetti sui quali gra-vava l’obbligo di pagare l’imposta di registro, ovvero i due acquirenti. L’esito del procedi-mento, ovvero l’atto di accertamento per adesione sottoscritto dalla R. al quale ella ha da-to spontanea esecuzione, non vincola gli acquirenti che ad esso sono rimasti estranei.

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Cass., sez. III, 7 maggio 2014, n. 9859 953

L’azione di regresso spetta al coobbligato solidale che ha pagato (nella misura de-terminata dai rapporti interni, e quindi, in questo caso, per l’intero) solo qualora egli ab-bia sostenuto il pagamento di somme certe il cui obbligo di pagamento gravava su tut-ti, in relazione alle quali il creditore (in questo caso l’amministrazione finanziaria) abbia liberamente scelto di rivolgersi all’uno invece che all’altro obbligato solidale.

Non spetta invece quando il coobbligato, concludendo un accordo con l’ammini-strazione, abbia assunto esclusivamente in proprio l’obbligo di pagare una somma sep-pure allo stesso titolo per il quale esiste l’obbligazione solidale, senza coinvolgere nel procedimento di accertamento con adesione gli altri coobbligati.

A norma dell’art. 1299 c.c., e art. 1203 c.c., n. 3, il diritto di regresso postula l’adem-pimento di un’obbligazione del terzo, la cui esistenza e la cui entità siano divenute cer-te per fatti o atti giuridici opponibili a questo; ne consegue che il venditore che abbia pagato l’imposta integrativa di registro, la quale sia stata definita soltanto nei suoi con-fronti mediante concordato fiscale cui gli acquirenti non abbiano partecipato, non ha azione di regresso verso gli acquirenti medesimi.

Il principio di diritto sopra enunciato è stato già affermato in passato da questa Cor-te, in riferimento al concordato tributario tra erede ed amministrazione che non vinco-la il legatario, da Cass. n. 4012 del 1975, la quale richiama la sentenza della Corte co-stituzionale 16 maggio 1968 n 48, che ha dichiarato la parziale incostituzionalità del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639, artt. 20 e 21, anche in materia tributaria e applicabile l’or-dinaria disciplina delle obbligazioni solidali, con la conseguenza che il concordato tri-butario, cui ha aderito solo uno dei contribuenti, non è, del pari, opponibile ai contri-buenti che non vi hanno partecipato, dovendo tale concordato equipararsi al riconosci-mento del debito che, a norma dell’art. 1309 c.c., non ha effetto nei riguardi del con-debitore che non l’abbia compiuto. Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 954

Sul regresso del coobbligato solidale, in seguito al perfezionamento di un accertamento con adesione

On the action of recourse of the joint and several guarantor following a tax settlement procedure

Abstract La nota a sentenza esamina l’estensione del diritto al regresso del coobbligato in solido che perfezioni un accertamento con adesione cui gli altri obbligati non hanno partecipato. Parole chiave: obbligazioni solidali, coobbligato solidale, azione di regresso, ac-certamento con adesione This comment analyses the extension of the right to file an action of recourse by the joint debtor that signed a tax settlement, which does not involve the other joint debtors. Keywords: joint obligations, joint and several guarantor, action of recourse, tax set-tlement procedure

SOMMARIO: 1. La decisione. – 2. Incertezze sulla delimitazione del fatto. – 3. I punti fermi. – 4. Sull’applica-bilità dell’art. 1304 c.c. – 5. L’art. 1304 c.c. e la natura dell’accertamento con adesione. – 6. Sul-l’applicabilità dell’art. 1309 c.c. – 7. Conclusioni.

1. La decisione

La sezione III civile, con l’interessante sentenza in commento, è stata chiamata a decidere sulla sussistenza dell’azione di regresso in capo ad un coobbligato in so-lido che aveva concluso un accertamento con adesione con l’Amministrazione fi-nanziaria.

Non sembrano essere pubblicati, di recente, precedenti in termini, tanto che anche la Corte riprende una sentenza di quasi quaranta anni or sono (Cass. n. 4012/1975) 1.

1 I due capoversi della sentenza qui in commento che iniziano con «A norma ...» e terminano

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Cass., sez. III, 7 maggio 2014, n. 9859 955

Questo lo svolgimento dei fatti, per quanto è desumibile dalla sentenza: veniva realizzata la cessione di due terreni, da parte dello stesso venditore a due acquirenti diversi. In relazione a queste cessioni veniva notificato al venditore quello che sem-bra essere un solo avviso di accertamento in cui si accertava un maggior valore per entrambi i terreni. Non è dato comprendere se ai due acquirenti fosse stato notifi-cato analogo avviso 2 o se l’avviso fosse stato notificato al solo venditore.

Il venditore procedeva ad accertamento con adesione, perfezionando il proce-dimento e pagando la maggiore imposta risultante dall’adesione. In seguito, il ven-ditore agiva in via di regresso per l’intero verso i due acquirenti.

La sussistenza dell’azione veniva negata tanto in primo grado quanto in appel-lo. In particolare, il giudice di appello riteneva che non spettasse alcuna azione di regresso, in quanto l’accertamento con adesione perfezionato solo da uno dei con-debitori in solido deve essere assimilato al riconoscimento di debito o alla transa-zione e quindi non può produrre effetti nei confronti degli altri condebitori in soli-do rimasi estranei (ex artt. 1304 e 1306 c.c.).

La sentenza della Corte di Cassazione conferma la sentenza di appello e affer-ma le seguenti proposizioni:

a) l’avviso di accertamento non è un atto di avvio del procedimento tributario, ma solo un atto prodromico;

b) la scelta di procedere ad accertamento con adesione deriva dall’autonomia del singolo coobbligato;

c) al procedimento di adesione non hanno modo di partecipare gli altri coob-bligati, che restano estranei;

d) l’azione di regresso spetta al coobbligato solo quando abbia pagato somme certe che gravano su tutti i coobbligati;

e) l’azione di regresso non spetta quando il coobligato concluda un accordo con il creditore per pagare in proprio una somma che estingua il debito;

f) il concordato perfezionato da uno solo dei condebitori è equiparabile al rico-noscimento del debito e quindi non ha effetti ex 1309 c.c. nei confronti dei conde-bitori rimasti estranei.

con «... che non l’abbia compiuto» riproducono testualmente la massima della sentenza Cass., sez. II, 4 dicembre 1975, n. 4012, che non risulta pubblicata in esteso su alcuna rivista e che compare con questa massima solo in Mass. Giur. it., 1975, p. 1146-1147. La sentenza citata aveva preso in esame l’azione di regresso esperita dall’erede, che aveva perfezionato un concordato senza interpellare il legatario: la Cassazione aveva negato che in questo caso sussistesse il diritto di regresso.

2 Ovviamente riprodotto parzialmente per la parte di spettanza.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 956

2. Incertezze sulla delimitazione del fatto

Occorre precisare che dalla lettura della sentenza di cassazione non è dato com-prendere quale sia stato l’effettivo sviluppo procedimentale.

La sentenza nomina più volte l’«avviso di accertamento» notificato al venditore. Eppure, molte espressioni della Cassazione non sembrano compatibili con l’invio di un avviso di accertamento, essendo piuttosto coerenti con un invito preventivo. Anche per le imposte indirette, come noto, il D.Lgs. n. 218/1997 prevede, infatti, due diverse modalità di avvio del procedimento: un avvio a istanza dell’Ufficio, precedente la notificazione di un atto impositivo (disciplinato dall’art. 11) e un av-vio ad istanza del contribuente, successivo alla notificazione di un avviso di accer-tamento (disciplinato dall’art. 12).

Si noti che la distinzione tra i due tipi di adesione (preventiva e successiva) è assai importante nella prospettiva che interessa questo lavoro, perché, in caso di adesione preventiva, l’Ufficio deve obbligatoriamente notificare l’invito a tutti i co-obbligati 3, mentre, nel caso di adesione successiva, l’istanza presentata da un coob-bligato non impone che al contraddittorio partecipino gli altri obbligati: semplice-mente, dall’istanza presentata da uno scaturisce l’effetto esterno della sospensione dei termini per l’impugnazione a favore di tutti i coobbligati (ex art. 12, comma 2).

Prima la Corte lascia intuire che l’accertamento è solo indirizzato al venditore 4, il che farebbe pensare ad un avviso di accertamento vero e proprio; poi afferma che l’atto ricevuto dalla contribuente «non è atto di avvio del procedimento tributario, ma solo atto prodromico ... né la mancata adesione l’avrebbe esposta al rischio del-la azione esecutiva», affermazione – che a volere essere benevolenti – è più coerente con un invito preventivo che con un avviso di accertamento, che è provvedimento impositivo che ha immediata efficacia esecutiva (al minimo legittimando l’iscrizio-ne a ruolo). Ancora, la Corte ritiene che il venditore abbia concluso il concordato «forse per evitare che qualora non avesse accettato potesse essere liquidato un im-porto superiore»: descrizione coerente con un invito più che con un avviso di ac-certamento (quale timore avrebbe dovuto avere il contribuente se il provvedimen-to fosse già stato notificato?). Infine, la Cassazione rimarca che gli altri coobbligati

3 Il che è desumibile direttamente dal dato normativo: l’art. 11, D.Lgs. n. 218/1997 impone l’invio dell’invito “ai soggetti obbligati” (mentre, per differenza, l’art. 5 dedicato alle imposte dirette e all’IVA, impone l’invio “al contribuente”): l’uso del plurale e del riferimento all’obbligazione indi-vidua chiaramente un obbligo di integrazione plurisoggettiva del contraddittorio procedimentale. L’ob-bligo di inviare l’invito a tutti gli obbligati è riconosciuto anche nella prassi ministeriale: v. Circolare n. 235/1997, ove «l’Ufficio deve inviare l’invito di cui all’articolo 11, comma 1, a tutti i soggetti ob-bligati, per consentire a ciascuno di partecipare al contraddittorio e di assumere le proprie autonome decisioni».

4 «La R. … ricevuto l’avviso di accertamento a lei sola indirizzato».

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Cass., sez. III, 7 maggio 2014, n. 9859 957

«non hanno avuto modo di partecipare» all’adesione: questa affermazione è inve-ce coerente con la notificazione di un avviso di accertamento.

3. I punti fermi

Poiché il tema affrontato dalla decisione in commento è sdrucciolevole, è op-portuno mettere prima in chiaro i punti fermi, per poi analizzare le questioni opi-nabili. I capisaldi che contornano la vicenda possono essere elencati come segue:

I) l’imposta di registro prevede, tra l’altro, la coobbligazione delle parti con-traenti al pagamento dell’imposta (ex art. 57, comma 1, D.P.R. n. 131/1986);

II) nel caso di vendita, si ritiene che tra gli oneri della vendita contemplati dall’art. 1475 c.c. rientrino anche le imposte indirette correlate alla vendita, per cui – salvi diversi accordi – il venditore ha regresso per l’intero nei confronti del com-pratore 5;

III) il venditore non gode di alcun beneficio di escussione, per cui l’Ammini-strazione può legittimamente rivolgersi in prima battuta al venditore, chiedendo l’adempimento dell’intero debito 6;

IV) tra i modi dell’adempimento del credito insorgente da un atto impositivo ri-entra anche il perfezionamento dell’accertamento con adesione: a seguito del versa-mento, l’avviso notificato perde ogni effetto (art. 12, comma 4, D.Lgs. n. 218/1997) e il credito si estingue;

V) il D.Lgs. n. 218/1997 contempla l’ipotesi di un’adesione perfezionata singo-larmente anche a fronte di un’obbligazione solidale: ciò è desumibile dal tenore dell’art. 12, comma 2. La scelta operata dal D.Lgs. n. 218/1997 costituisce un arre-tramento rispetto a quanto sancito dal concordato del 1994: ai sensi dell’art. 2 ter D.L. n. 564/1994 e dell’art. 3, comma 3, D.P.R. n. 460/1996, infatti, l’adesione, in caso di obbligazione solidale nelle imposte indirette, doveva essere obbligatoriamen-te collettiva 7.

5 Sul punto si vedano Cass., sez. II, 5 gennaio 1995, n. 195; Cass., sez. II, 22 maggio 1998, n. 5106. 6 Cass., sez. V, sent., 16 luglio 2010, n. 16743. 7 Il che costituiva tratto di continuità con quanto sancito per l’imposta di registro dall’art. 50,

D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, a mente del quale «... l’imponibile può essere determinato con l’adesione di tutte le parti contraenti». L’impostazione del D.Lgs. n. 218/1997 è mantenuta dall’art. 16 l. 27-12-2002 che, in materia di chiusura delle liti fiscali pendenti, prevede che la definizione da parte di uno dei coobbligati «esplica efficacia a favore degli altri, inclusi quelli per i quali la lite non sia più pendente».

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 958

4. Sull’applicabilità dell’art. 1304 c.c.

Precisati sinteticamente i punti fermi, merita spostare ora l’attenzione verso i profili problematici.

La vicenda processuale ruota attorno all’applicabilità dell’art. 1304 c.c. all’accer-tamento con adesione perfezionato da un solo condebitore 8.

La Corte di Appello aveva risolto la controversia proprio facendo applicazione dell’art. 1304; invece, la Cassazione adotta una motivazione molto più ambigua. Infatti, prima la Corte adotta formule verbali del tutto compatibili con l’art. 1304 9, senza mai nominare tale disposizione, per poi avallare l’operato della Corte di Ap-pello, sulla base di un precedente del 1975 (citato alla nota 1), che argomenta sulla base di una differente disposizione, ossia l’art. 1309 c.c.

Merita subito chiarire che se – per ragioni dogmatiche – si ritenesse applicabile l’art. 1304, comunque la soluzione non potrebbe essere quella avallata dalla Corte di Appello prima e dalla Cassazione poi.

Secondo l’impostazione tradizionale, in applicazione dell’art. 1304, quando il condebitore non intende avvalersi della transazione perfezionata dal condebitore, non si realizza alcuna variazione nei rapporti esterni e nei rapporti interni 10. Il che significa che il creditore può domandare il quantum residuo al condebitore che non profitta della transazione e che le misure parziarie del regresso restano quelle del-l’originaria obbligazione. Tale assetto regolatorio significherebbe che, dopo il per-fezionamento dell’adesione da parte di uno dei condebitori, (1) l’Erario potrebbe ancora chiedere la differenza tra quanto accertato e quanto concordato all’altro con-debitore e (2) quest’ultimo calcolerebbe la misura del regresso sul quantum origi-nariamente accertato (domandando quindi al condebitore transigente la quota della differenza versata).

8 Per comodità di lettura si riporta il testo della disposizione codicistica: «La transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne profittare. Parimenti, se è intervenuta tra uno dei creditori in solido e il debitore, la transazione non ha effetto nei confronti degli altri creditori, se questi non dichiarino di volerne profittare».

9 Si può vedere, p.e., nei due capoversi che iniziano con «A questo procedimento», l’attenzione che la Corte presta alla non estensione degli effetti di un accordo cui non partecipano alcuni condebitori.

10 Questa l’impostazione tradizionale, ascrivibile a Rubino e Santoro Passarelli. Tra i contributi più recenti sul tema, si vedano, per precise indicazioni bibliografiche e per una completa ricostru-zione dell’evoluzione dottrinale nell’ambito del diritto civile: VENTURINI, Surrogazione legale e regresso, a seguito dell’adempimento di obbligazioni solidali ad interesse comune da parte di uno dei condebitori, in Nuove leggi civ. comm., 2008, I, p. 56 ss.; CERDONIO CHIAROMONTE, Transazione novativa e transazio-ne pro quota: intorno ad alcuni recenti interventi, in Riv. not., 2009, I, p. 1361 ss.; CAVAJONI, Obbliga-zioni solidali ed esercizio congiunto dell’azione di regresso, in Contratti, 2010, p. 127 ss.; DELLACASA, La transazione, o meglio «le transazioni» e le obbligazioni solidali: linee guida delle sezioni unite, in Giust. civ., 2012, p. 2628 ss.; D’ALESSANDRO, Transazione stipulata dal debitore solidale e diritto del condebi-tore di profittarne, in Giust. civ., 2012, p. 2068 ss.

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Cass., sez. III, 7 maggio 2014, n. 9859 959

Questa originaria impostazione civilistica è stata vivacemente criticata dalla dot-trina più moderna, che ha notato come – seguendo la lezione tradizionale – si ver-rebbe a privare di ogni effetto la transazione: sia perché il creditore non rinuncia ad alcunché (potendo chiedere la differenza agli altri condebitori che non si avval-gono della transazione), sia perché il condebitore transigente, che si vede azionare il regresso nella misura originaria, non trae alcun vantaggio dalla transazione stes-sa. Così, l’interpretazione oggi prevalente ritiene invece che: (1) la transazione esplichi effetti anche nei rapporti esterni, per cui il creditore, dopo l’adempimento della transazione non potrà più chiedere alcunché agli altri condebitori (che non si avvalgono della transazione) 11 e (2) l’inefficacia della transazione (di cui il conde-bitore non dichiara di volere profittare) comporta che il debitore transigente possa azionare il regresso nel confronto degli altri condebitori nella misura originaria, ottenendo così un vantaggio derivante dalla transazione 12.

Quindi, si vede subito come la soluzione offerta nella sentenza in commento sia incompatibile con l’art. 1304 13: affermare che il perfezionamento di un’adesione comporti sic et simpliciter l’impossibilità di azionare il regresso non ha alcun riscon-tro nella disposizione citata, anzi – volendo vedere nel concordato una transazione – costituisce un indebito e ingiustificato arricchimento del debitore non transigente. Come visto sopra, e a prescindere da altre precisazioni che si faranno subito oltre, la soluzione civilisticamente orientata avrebbe, anzi, legittimato l’azionabilità del regresso da parte del venditore per l’originario importo (accertato) e non per l’im-porto risultante dal concordato.

5. L’art. 1304 c.c. e la natura dell’accertamento con adesione

Premesso quindi che l’applicabilità dell’art. 1304 avrebbe condotto ad un risul-tato di molto diverso da quello scelto tanto dalla Corte di Cassazione quanto dalla Corte di Appello, va notato che il tema dell’applicabilità dell’art. 1304 all’accerta-

11 Il creditore potrebbe invece chiedere l’intero al condebitore solidale che non si avvale della transazione quando la transazione non venga adempiuta (garantendo così che il 1304 non venga abrogato per via interpretativa).

12 Così Cass., sez. III, 18 aprile 2006, n. 8946: «se la transazione ha ridotto o aumentato l’ammon-tare del debito originario, la misura del regresso va determinata applicando le percentuali delle quo-te interne all’ammontare originario e non a quello ridotto o aumentato»; il condebitore non può avvantaggiarsi in sede di regresso di una transazione di cui dichiara di non volere profittare: in que-sto senso CERDONIO CHIAROMONTE, op. cit.

13 A meno di volere vedere nell’adesione una transazione novativa, posizione che sembra esclusa (non solo da ragioni sistematiche, ma) anche dalle stesse parole della Corte, nella parte in cui de-scrive l’adesione come assunzione «di pagare una somma seppure allo stesso titolo per il quale esi-ste l’obbligazione solidale».

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 960

mento con adesione si radica tradizionalmente nel più ampio dibattito concernen-te la natura dell’istituto 14.

Da posizioni transattive, si nota come l’art. 1304 debba naturalmente esplicare effetti anche in ambito tributario e, anzi, l’interpretazione tesa ad escludere l’appli-cazione dell’art. 1304 a favore di un’efficacia collettiva e unitaria dell’adesione vie-ne ritenuta lesiva dei diritti di difesa degli altri condebitori 15.

Da posizioni unilaterali, esaltando l’efficacia accertativa dell’istituto, si tende invece a favorire l’estensione a tutti i coobbligati dell’adesione stipulata singolarmente 16.

Volendo travalicare l’apparente opposizione frontale, mi pare che – se si fa te-soro della civilistica più moderna – la soluzione delle due tesi sia in gran parte con-vergente.

Correttamente si nota che deve essere preservato il diritto di difesa del conde-bitore che non sia parte dell’adesione. È, però, necessario distinguere tra rapporti interni ed esterni: il diritto di difesa del condebitore può essere mantenuto, dan-dogli un contenuto nel rapporto interno tra condebitori, senza influire sugli effetti esterni dell’adesione, come segue.

Quanto ai rapporti esterni, anche a volere ritenere applicabile l’art. 1304 (e quindi in una prospettiva transattiva), si è visto sopra come l’accordo di uno dei coobbligati comporti l’impossibilità per il creditore di chiedere agli altri condebi-tori una somma superiore a quella oggetto di transazione e quindi che l’ente impo-sitore non possa domandare altro (effetto esterno solutorio). Quindi, anche in pro-spettiva transattiva, sembra difficile prefigurare la sopravvivenza di altri rapporti esterni tra condebitori ed ente impositore. Configurare, come è normale nel diritto civile, che l’accordo transattivo (non parziale) estingua le pretese creditorie, non significa per nulla privare il condebitore non transigente (nel nostro caso, non ade-rente) del suo diritto di difesa, che concerne la parziarietà del rapporto interno. Il condebitore estraneo all’adesione, infatti, potrà opporre, in sede di regresso, ogni eccezione utile a dimostrare che l’adesione stipulata senza la sua partecipazione non raggiunge il migliore risultato possibile: il giudice (civile) sarebbe quindi chia-mato a giudicare incidentalmente della fondatezza delle eccezioni che il condebi-

14 Per riferimenti bibliografici concernenti il dibattito sulla natura dell’accertamento con adesio-ne v. MARELLO, (voce) Concordato tributario, in CASSESE (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, II, Milano, 2006, p. 1132 ss.

15 V. VERSIGLIONI, Accordo e disposizione nel diritto tributario, Milano, 2001, p. 405 ss. 16 La matrice di tale posizione si ritrova in GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1938, p.

93 ss.; nega l’applicazione dell’art. 1304 anche FRANSONI, Osservazioni sui rapporti fra conciliazione giu-diziale ed accertamento con adesione, in Rass. trib., 2000, p. 1803 ss.; favorevole, invece, da posizioni ten-denzialmente unilaterali TOSI, Il procedimento conciliativo, in AA.VV., Il nuovo processo tributario, Padova, 1999, p. 111. Diversa appare l’impostazione di autorevole dottrina, che propugnava, a partire da posi-zioni unilaterali, la necessità di un concordato collettivo, con conseguente nullità di quello sottoscritto da uno solo dei condebitori: FANTOZZI, La solidarietà nel diritto tributario, Torino, 1968, p. 308 ss.

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Cass., sez. III, 7 maggio 2014, n. 9859 961

tore estraneo all’adesione avrebbe mosso al creditore: ove le ritenga fondate, potrà negare in tutto o in parte la richiesta di regresso del condebitore che ha proceduto ad adesione 17. Nel caso deciso in questa sentenza, se il compratore avesse avuto qualche eccezione non presa in considerazione dal venditore nell’adesione perfezio-nata (p.e. in materia di criteri di valutazione o di qualificazione dei terreni), avrebbe potuto opporla al venditore per limitare il proprio obbligo solidale.

Seguendo questa linea interpretativa, si evita di fornire un’interpretazione so-stanzialmente abrogante dell’art. 12, D.Lgs. n. 218/1997 e si consente a chi non partecipa all’adesione di esplicare pienamente il proprio diritto di difesa, senza essere ingiustamente inciso dal fatto altrui.

Questa tesi è perfettamente congruente con una visione “unilaterale” dell’ade-sione, sia perché così si mantiene l’efficacia unitaria dell’accertamento (nell’effetto esterno), sia perché si rende coerente e omogeneo il trattamento dell’adesione con quello dell’ordinario accertamento 18.

L’unica rilevante differenza tra i due approcci alla natura dell’istituto resta, co-me si dirà al par. 7, la misura del regresso.

Venendo infine al problema della eventuale continuazione del processo pen-dente tra il condebitore che non ha partecipato all’adesione e l’ente impositore, mi sembra che non sussistano fondate giustificazioni per mantenerlo in vita. L’interes-se ad agire del debitore, per ottenere una pronuncia nei confronti dell’ente imposi-tore, non ha più una consistenza 19, poiché l’ente impositore non ha più titolo al-cuno nei confronti del condebitore, essendo stato adempiuto il debito.

6. Sull’applicabilità dell’art. 1309 c.c.

Resta da considerare se sia possibile fare uso dell’art. 1309 c.c. 20, per risolvere la

17 Non sembra quindi neppure necessario ricorrere a quell’interpretazione secondo cui l’adesio-ne di uno dei coobbligati comporterebbe l’inefficacia del solo atto notificato a colui che ha aderito (FRANSONI, op. cit., p. 1814 ss.).

18 Poiché anche nell’ordinario accertamento, in caso di adempimento da parte di uno dei coob-bligati, gli altri obbligati possono, in sede di regresso, muovere ogni eccezione concernente la non de-benza di quanto versato.

19 Non quanto alla riscossione provvisoria effettuata nel processo tra ente impositore e coobbli-gato non partecipante all’adesione: infatti, in caso di adesione perfezionata da altro condebitore, l’effet-to sostitutivo fa sì che quanto versato provvisoriamente vada comunque rimborsato d’ufficio perché la pronuncia di estinzione darebbe atto della perdita di efficacia dell’atto impositivo sulla base del qua-le è stato effettuato il versamento. Neppure mi sembra che possa prendersi in considerazione l’effet-to riflesso su altre imposte, tipicamente, nell’effetto indotto sulle imposte reddituali del venditore a seguito di un’adesione del compratore: l’eventuale effetto riflesso potrà contestarsi successivamente, nell’autonomo giudizio concernente l’imposizione reddituale.

20 L’art. 1309 c.c. costituisce altra emersione della non estensibilità automatica tra condebitori degli effetti di segno incerto. Per comodità si ricorda che la disposizione recita: «Il riconoscimento

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 962

questione, come sembra suggerire la sentenza citata nella parte finale della motiva-zione.

I rapporti tra condono e art. 1309 sono stati ampiamente dissodati in dottrina, soprattutto nell’epoca aurea dei condoni, collocata tra l’inizio degli anni ’70 e la metà degli anni ’80 21. Il dibattito ha avuto tra i propri snodi la valutazione dell’im-patto sistematico di una sentenza della Suprema Corte che aveva affermato la non estendibilità dell’effetto estintivo del condono perfezionato da uno dei condebitori al giudizio instaurato da altro condebitore 22.

L’applicazione dell’art. 1309 implica, ovviamente, che si possa vedere nell’ac-certamento con adesione un riconoscimento del debito. Sembra, però, di potere e-scludere recisamente tale ipotesi.

Il riconoscimento del debito è un atto di natura dichiarativa, con cui il debitore si riconosce debitore dinanzi al creditore, con effetto «confermativo di un preesi-stente rapporto» 23. Il riconoscimento del debito ha effetti sul piano probatorio perché, come noto, dispensa il creditore dall’onere di provare il rapporto cui il ri-conoscimento si riferisce, ex art. 1988 c.c.

Ora, se questa è la lineare definizione del riconoscimento del debito, emerge ictu oculi la strutturale alterità dell’accertamento con adesione 24, in quanto l’adesione: (a) estingue il debito tributario risultante dall’atto impositivo; (b) non comporta alcuna ulteriore necessità di prova del rapporto fondamentale, che viene ad esau-rirsi. L’accertamento con adesione è uno dei modi attraverso cui la pretesa si fa certa, intangibile e perfetta: è un istituto collocato in una zona logica dell’esecu-zione dell’obbligazione molto più avanzata rispetto al riconoscimento del debito.

Tanto che, normalmente, le tesi di origine contrattuale avvicinano l’istituto alla transazione (e propugnano l’applicabilità dell’art. 1304) e non al riconoscimento del debito. Pertanto, va esclusa certamente la possibilità di risolvere la questione adoperando l’art. 1309 c.c.

del debito fatto da uno dei debitori in solido non ha effetto riguardo agli altri; se fatto dal debitore nei confronti di uno dei creditori in solido, giova agli altri».

21 Per una ampia ricostruzione critica del dibattito, v. FREGNI, Obbligazione tributaria e codice ci-vile, Torino, 1998, p. 321 ss.

22 Cass., 16 gennaio 1976, n. 147; in FREGNI, op. cit., p. 323 ss. si ritrovano maggiori dettagli sulla pronuncia e sul relativo dibattito. In anni più recenti, la giurisprudenza della Suprema Corte ha cam-biato indirizzo: Cass., sez. I, 3 marzo 1998, n. 2338.

23 Cass., sez. III, 20 gennaio 2006, n. 1101. 24 Peraltro la dottrina maggioritaria esclude la possibilità di applicare l’art. 1309 al condono: espo-

sizione della tesi e riferimenti bibliografici in FREGNI, op. cit., p. 323 ss.

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Cass., sez. III, 7 maggio 2014, n. 9859 963

7. Conclusioni

In conclusione, non si può condividere la conclusione tranchant cui perviene la sentenza citata.

La mancata partecipazione al concordato non può avere sic et simpliciter un’effi-cacia paralizzante quanto al regresso esercitato nei confronti del coobbligato non partecipante all’adesione. La soluzione prefigurata dalla sentenza in commento è amplificata nella sua iniquità dall’essere riferita ad ipotesi in cui il coobbligato che è andato esente (il compratore) è quello su cui naturaliter sarebbe gravata l’intera obbligazione tributaria.

Se si ritiene che l’accertamento con adesione costituisca un negozio transattivo, andrà applicato l’art. 1304 c.c. (e non certamente l’art. 1309), con la conseguenza che le questioni sulla debenza della quota faranno parte a pieno titolo delle ecce-zioni opponibili nel giudizio concernente il regresso. Quindi, spetterà al giudice civi-le valutare incidentalmente le ragioni opposte dal condebitore estraneo all’adesione, per delimitare i confini del regresso.

Alla stessa conclusione si può giungere da prospettive “unilaterali”, perché l’u-nicità dell’accertamento – nei rapporti esterni – è implicata dalla natura accertativa dell’istituto: anche da questa angolatura, l’adesione è idonea ad esaurire i rapporti esterni, lasciando intatti i rapporti interni. Un eventuale decisione di rigetto della domanda nei rapporti di regresso sarebbe comunque riportabile al diverso ambito privatistico

Si può, però, ritrovare una differenza tra le due impostazioni, quanto alla misu-ra del regresso.

Applicando l’art. 1304, come si è visto sopra, si impone che il condebitore che ha perfezionato l’adesione attui il regresso nella misura originariamente accertata (ov-viamente solo nel caso in cui l’adesione sia preceduta da un avviso di accertamento). Invece, da prospettive unilaterali, considerata la natura accertativa dell’istituto, il re-gresso sarebbe esercitabile solo nella misura di quanto risultante dall’accertamento con adesione, non essendo giustificabile un arricchimento del condebitore che ha portato a termine l’adesione.

Enrico Marello

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 964

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Cass., sez. trib., 13 giugno 2014, n. 13588 – Pres. Cicala, Rel. Cosentino Procedimento di accertamento – Garanzie del contribuente – Mancanza di ac-cesso nei locali dell’imprenditore – Non è obbligatorio il contraddittorio antici-pato – Validità dell’avviso di accertamento

Il termine dilatorio di cui all’articolo 12, settimo comma, L. 212/00 non si applica in relazione agli atti impositivi che non siano stati emanati a seguito di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO L’Agenzia delle Entrate ricorre contro il signor M.B. per la cassazione della senten-

za con cui la Commissione tributaria Regionale del Piemonte, riformando la sentenza di primo grado, ha annullato tre avvisi di accertamento Irpef rispettivamente relativi agli anni 2003, 2004 e 2005; con tali avvisi l’ufficio aveva rettificato il reddito del contribuen-te mediante un accertamento sintetico ex articolo 38, quarto comma, d.p.r. 600/73 fon-dato su elementi indicativi della capacità contributiva desunti da un questionario re-datto dallo stesso contribuente e dall’esercizio dell’attività istruttoria di cui all’articolo 32 del medesimo d.p.r. 600/73.

La Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto illegittimi gli avvisi in quanto emessi prima del decorso di 60 giorni dalla data dell’ultimo verbale di contraddittorio tra il contribuente e l’Ufficio; in particolare, disattendendo la prospettazione dell’Uffi-cio, la Commissione Tributaria Regionale ha affermato che la disposizione di cui al settimo comma dell’articolo 12 L. 212/00 trova applicazione non soltanto nell’ipotesi di accessi, ispezioni e verifiche effettuate presso i locali destinati all’esercizio dell’attivi-tà del contribuente, ma anche nel caso di verifiche effettuate “a tavolino”, vale a dire me-diante controlli effettuati in via cartolare nella sede dell’Agenzia delle entrate.

Il ricorso di articola su tre mezzi. Con il primo mezzo si denuncia la violazione dell’articolo 12, settimo comma,

L. 212/00; secondo la difesa erariale, la violazione del termine previsto da tale disposi-zione non determinerebbe, al contrario di quanto affermato dalla Commissione Tri-butaria Regionale, la nullità dell’atto impositivo.

Con il secondo mezzo si denuncia la violazione dell’articolo 12, settimo comma, L. 212/00 e degli articoli 32 e 33 d.p.r. 600/73 e 52 d.p.r. 633/72 in cui il giudice di merito sarebbe incorso ritenendo operante il termine di cui all’articolo 12, settimo com-ma, L. 212/00 anche nel caso, quale quello in esame, in cui l’avviso di accertamento consegua non ad accessi, ispezioni o verifiche presso i locali aziendali o professionali del contribuente, bensì all’esercizio dell’attività istruttoria svolta dall’Ufficio sulla base

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 966

della documentazione già in suo possesso o fornita dal contribuente rispondendo a questionari o domande rivoltegli in sede di comparazione presso l’ufficio ex art. 32, primo comma, numero 2), d.p.r. 600/73.

Col terzo mezzo, infine, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 12, settimo comma, L. 212/00 in cui il giudice di merito sarebbe incorso ritenendo necessario il rispetto del termine dilatorio previsto da detta disposizione pur quando il procedimento istruttorio si sia svolto in concreto con modalità tali da assicurare al contribuente la piena possibilità di far valere le proprie ragioni difensive nel contrad-dittorio amministrativo e, quindi, prescindendo da qualunque accertamento a tale ri-guardo.

Il contribuente si è costituito con controricorso, contestando le argomentazioni della difesa erariale.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 7.5.14.

MOTIVI DELLA DECISIONE Il primo mezzo di ricorso va giudicato infondato. Secondo la ricorrente l’inosservanza del termine dilatorio previsto dall’articolo 12,

settimo comma, L. 212/00 non determinerebbe, al contrario di quanto affermato dalla Commissione Tributaria Regionale, la nullità dell’atto impositivo; ciò per la mancanza di un’apposita previsione in tal senso, per la natura vincolata dell’atto impositivo ri-spetto al verbale di constatazione dal quale il medesimo deriva e perché il diritto di di-fesa del contribuente resterebbe in ogni caso garantito tanto in sede amministrativa quanto in sede giudiziaria.

La tesi sostenuta dalla difesa erariale, pur supportata da taluni precedenti di questa Corte, non può essere accolta, risultando superata dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 18184 del 2013, che – componendo il contrasto che si era aperto sull’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, previsto dal settimo comma dell’articolo 12 L. 212/00, – ha chiarito che tale inosser-vanza determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegit-timità dell’atto impositivo emesso ante tempus; ciò perché detto termine è posto a ga-ranzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.

Il secondo mezzo del ricorso deve invece giudicarsi fondato (ed assorbente del terzo). La Commissione Tributaria Regionale ha affermato che il termine dilatorio per

l’emanazione dell’atto impositivo previsto dal settimo comma dell’articolo 12 L. 212/00 opererebbe anche al di fuori del caso di controlli effettuati presso i locali ove si esercita l’attività aziendale o professionale.

L’assunto del giudice territoriale non può trovare adesione, perché esso urta con-

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Cass., sez. trib., 13 giugno 2014, n. 13588 967

tro la chiara lettera del menzionato articolo 12 L. 212/00, che, nel primo comma, fa espresso riferimento agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’e-sercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”; tale ri-ferimento delimita esplicitamente il perimetro applicativo delle disposizioni contenute nei setti commi di cui tale articolo si compone, le quali, del resto, contengono disposi-zioni tutte palesemente calibrate sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive in loco. Le stesse Sezioni Unite hanno valorizzato il suddetto argomento letterale, laddove, enunciando il principio di diritto della sentenza n. 18184/2013, han-no precisato che il termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento decorre “dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, del-la copia del processo verbale di chiusura delle operazioni”; nel medesimo senso si sono espresse le recentissime sentenze della Sezione Tributaria n. 7960/14, che ha escluso l’operatività del termine di cui al settimo comma dell’articolo 12 L. 212/00 in tema di accertamento standardizzato mediante parametri e studi di settore, e n. 7598/14, che ha espressamente chiarito che l’applicazione di detto termine postula lo svolgimento di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente.

Né possono condividersi i dubbi di costituzionalità genericamente prospettati nel-la sentenza gravata con riferimento al diverso regime di tutela del contraddittorio pro-cedimentale nel caso di accertamento effettuato mediante visita ispettiva in loco e ac-certamento effettuato mediante l’esame presso i locali dell’Amministrazione finanzia-ria dei documenti o dei questionari dalla stessa acquisiti (c.d. “a tavolino”).

Come infatti questa Corte ha già avuto modo di chiarire con la citata sentenza 7598/14, la particolare garanzia del contraddittorio procedimentale costituita dall’im-posizione di un termine dilatorio per l’emanazione dell’atto impositivo, decorrente dalla chiusura delle operazioni di controllo, è limitata all’ipotesi di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente perché solo in tali ipotesi si verifica una in-vasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza. Con l’accesso in loco, infatti, è l’Amministrazione, in base ai propri poteri d’impulso, a ricercare gli elementi che reputa utili a verificare la sussistenza di attività non dichiarate e da ciò deriva una specifica esigenza (che non sorge quando l’emanazione dell’atto impositivo derivi dal-l’esame di atti già in possesso dell’Amministrazione, o a questa forniti dal contribuen-te, e da questa esaminati nella propria sede) di dare spazio al contraddittorio, al fine di correggere, adeguare e chiarire gli elementi in tal modo raccolti, nell’interesse del con-tribuente e della stessa Amministrazione.

Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di merito e dalla difesa del contro ricorrente, dunque, le ipotesi di controllo eseguito presso la sede del contribuente e del controllo c.d. a tavolino non possono essere assimilate. Nella prima ipotesi l’espansio-ne della tutela del contraddittorio procedimentale è massima, in quanto tale tutela tende a bilanciare lo squilibrio tra contribuente e Amministrazione derivante dall’assoggetta-mento del primo ai poteri ispettivi della seconda; cosicché, come pure questa Corte

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 968

non ha mancato di precisare con la sentenza n. 20770/13, poi ripresa dalla sentenza 2593/14, il termine dilatorio in questione si applica in tutti i casi di accesso presso i locali del contribuente, pur quando il relativo processo verbale non contenga rilievi o addebiti (dovendo infatti, ai sensi dell’articolo 52, sesto comma, d.p.r. 633/72, richia-mato dall’articolo 33 d.p.r. n. 600/73, redigersi processo verbale anche degli accessi che si risolvano in una mera acquisizione di dati, elementi e notizie).

Nella seconda ipotesi, per contro, la naturale vis expansiva dell’istituto del contrad-dittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto di imporre termini dilatori all’azione di accertamento che derivi da controlli fatti dal-l’Amministrazione nella propria sede, in base ai dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente. Al riguardo il collegio intende ribadire che, come già que-sta Corte ha precisato con la sentenza n. 26316/10, nell’ordinamento non sussiste un principio generale che imponga il contraddittorio fin dalla fase di formazione della prete-sa fiscale; né l’esistenza di tale principio potrebbe desumersi dal diritto comunitario, avendo la Corte di Giustizia ancora di recente, con la sentenza 22.10.13 C-276/12, Jin Sabou, affermato che “l’Amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazio-ni, non è tenuta ad informarne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista” (punto 45).

Conclusivamente, il secondo mezzo di ricorso va accolto, il terzo resta assorbito e la sentenza gravata va cassata con rinvio al giudice territoriale, che si atterrà al princi-pio che il termine dilatorio di cui all’articolo 12, settimo comma, L. 212/00 non si ap-plica in relazione agli atti impositivi che non siano stati emanati a seguito di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo e dichiara assorbito il

terzo; cassa la sentenza gravata e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regiona-le del Piemonte, che si atterrà al principio di diritto sopra enunciato e provvederà al-tresì alla regolazione delle spese del presente giudizio.

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Cass., sez. trib., 13 giugno 2014, n. 13588 969

Una pronuncia limitativa del diritto al contraddittorio anticipato del contribuente non in linea con il recente insegnamento

delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione

A decision restricting the taxpayer’s right to be heard in advance in conflict with the recent trend of the Grand Chamber of the Italian Supreme Court

Abstract La presente nota si propone di evidenziare che la decisione in commento non trova supporto nella legge nazionale e nei principi europei, dai quali emerge la regola dell’obbligatorietà del contraddittorio procedimentale ogniqualvolta ven-ga adottato un atto impositivo potenzialmente lesivo dei diritti del contribuente. Parole chiave: procedimento, contraddittorio anticipato, accesso nei locali d’im-presa, accertamento, contribuente This paper aims at highlighting that the analysed decision contradicts both national law and EU principles, which show that the taxpayer must be heard before the issu-ance of a notice of assessment. Keywords: proceeding, right to be heard in advance, access to business premises, tax assessment, taxpayer

SOMMARIO: 1. La sentenza 13 giugno 2014, n. 13588. – 2. L’esegesi normativa porta ad escludere che il comma 7 dell’art. 12 sia riservato alle sole verifiche che si svolgono presso i locali dell’impresa o del professionista. – 3. Il comma 7 dell’art. 12 ha la funzione di consentire al contribuente di contraddire sui fatti controversi prima della emissione dell’avviso di accertamento anche per assicurare il miglior esercizio della potestà impositiva. – 4. I principi nazionali e comunitari a tutela dei contribuenti sottoposti a verifiche fiscali.

1. La sentenza 13 giugno 2014, n. 13588

La sezione tributaria della Corte di Cassazione, con la sent. 13 giugno 2014, n. 13588, ha fornito un’interpretazione restrittiva dell’art. 12, comma 7, della

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 970

L. n. 212/2000, secondo cui il termine dilatorio di sessanta giorni 1 per l’emanazio-ne dell’avviso di accertamento non opererebbe al di fuori delle ipotesi di controlli effettuati presso i locali dove si esercita l’attività aziendale o professionale.

La tesi dei Supremi Giudici poggia su due argomenti:

– uno letterale, secondo cui il perimetro applicativo dei sette commi dell’art. 12 della L. n. 212/2000 riguarderebbe unicamente le visite ispettive in loco;

– uno funzionale, secondo cui l’imposizione di un termine dilatorio prima del-l’emanazione dell’atto impositivo si giustificherebbe solo nelle ipotesi in cui si rea-lizza un’invasione della sfera del contribuente.

Si tratta di argomenti poco condivisibili, che non reggono ad un’esegesi appro-fondita dei testi di legge e che non riescono a cogliere la svolta epocale suggellata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sent. 29 luglio 2013, n. 18184 nella parte in cui ha affermato che il contraddittorio procedimentale «è andato as-sumendo, in giurisprudenza e in dottrina (e nella stessa legislazione), proprio con specifico riferimento alla materia tributaria, un valore sempre maggiore, quale stru-mento diretto non solo a garantire il contribuente, ma anche ad assicurare il mi-gliore esercizio della podestà impositiva».

Ma andiamo con ordine.

1 Termine dilatorio che può essere derogato solo in presenza di ragioni di motivata urgenza. In argomento: BASILAVECCHIA, Quando le ragioni di urgenza possono giustificare l’anticipazione dell’accer-tamento?, in Corr. trib., 2010, p. 3969 s.; BRUZZONE, Diritto al contraddittorio preventivo e motivazione del provvedimento impositivo nell’interpretazione adeguatrice “suggerita” dalla Consulta, in Riv. giur. trib., 2010, p. 121 s.; COLLI VIGNARELLI, La Cassazione si pronuncia in modo discorde in tema di invalidità dell’accertamento per violazione del contraddittorio anticipato, in Rass. trib., 2012, p. 453 s.; DEL TOR-CHIO, Estensione dell’obbligatorietà del contraddittorio preventivo nell’accertamento doganale, in Dir. prat. trib., 2012, II, p. 447 s.; MARCHESELLI, Nullità degli avvisi di accertamento senza contraddittorio con il contribuente, in Corr. trib., 2009, p. 2915 s.; SORRENTINO, L’accertamento anticipato ad una svol-ta? Riflessioni critiche a margine dell’ordinanza di rimessione alle sezioni unite del contrasto giurispru-denziale, in Dir. prat. trib., 2013, II, p. 7 s.; TABET, Ancora incerta la sorte degli accertamenti emessi pri-ma del termine di sessanta giorni, in Corr. trib., 2011, p. 3693 s.; TABET, Spunti controcorrente sulla va-lidità degli accertamenti “ante tempus”, in Riv. giur. trib., 2013, p. 848 s.; TUNDO, Diritto di difesa del contribuente in caso di emissione “anticipata” dell’avviso e mancata valutazione delle osservazioni difensi-ve, in Riv. giur. trib., 2012, p. 331 s.; TUNDO, Validità dell’avviso di accertamento emesso “ante tempus”: i difformi orientamenti richiedono l’intervento delle Sezioni Unite, in Riv. giur. trib., 2012, p. 679 s.; TUNDO, Illegittimo l’atto impositivo emesso “ante tempus”: le Sezioni Unite chiudono davvero la questione?, in Corr. trib., 2013, p. 2830 s.; TUNDO, Svista involontaria (?) della Cassazione sulla illegittimità del-l’avviso di accertamento emesso “ante tempus”, in Riv. giur. trib., 2014, p. 39 s.

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Cass., sez. trib., 13 giugno 2014, n. 13588 971

2. L’esegesi normativa porta ad escludere che il comma 7 dell’art. 12 sia riservato alle sole verifiche che si svolgono presso i locali dell’impresa o del professionista

La rubrica dell’art. 12 della L. n. 212/2000 è così intitolata: “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”.

Il primo quesito da porsi è: cosa significa la locuzione “verifica fiscale”? La locuzione “verifica fiscale”, come precisato dal Comando Generale della Guar-

dia di Finanza nella Circolare 20 ottobre 1998, n. 1, è da intendersi come un’inda-gine di polizia amministrativa, contrapposta all’indagine di polizia giudiziaria, fina-lizzata a prevenire, ricercare o reprimere le violazioni delle norme tributarie e a qualificare e quantificare la capacità contributiva del soggetto che ad essa viene sot-toposto.

Si ha pertanto una verifica fiscale ogniqualvolta i funzionari dell’amministrazio-ne finanziaria, operanti in veste di polizia tributaria, avviino un controllo sostanzia-le sulla posizione fiscale di un contribuente, indipendentemente dai poteri istrut-tori che vengono impiegati, che possono prevedere l’accesso presso i locali dell’im-presa o del professionista ai sensi dell’art. 52 del D.P.R. n. 600/1973, ovvero che possono limitarsi all’impiego degli altri poteri di indagine previsti dall’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973.

La rubrica dell’art. 12, dunque, induce a ritenere che i suoi setti commi siano ri-feriti a tutte le ipotesi di verifiche fiscali e non solamente a quelle che avvengono nei luoghi del contribuente.

La tesi contraria della Corte di Cassazione muove dal convincimento che la re-strizione del perimetro applicativo del diritto al contraddittorio anticipato sia rin-venibile nel comma 1 dell’art. 12, che fa riferimento alle sole verifiche che si svol-gono presso i locali dell’impresa o del professionista.

Tuttavia, un’attenta lettura di tale disposizione di legge evidenzia che la delimi-tazione in parola riguarda unicamente i diritti e le garanzie ivi contenuti (ossia le prescrizioni che i controlli avvengano sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo, durante i normali orari di lavoro e senza arrecare turbative al-l’esercizio delle attività economiche del contribuente), giacché essi hanno un sen-so solo per le verifiche fiscali che presuppongo l’accesso presso la sede del contri-buente 2.

Invece, dalla previsione del comma 1 in commento non è predicabile alcuna ri-duzione della fattispecie relativamente agli altri commi dell’art. 12, che trovano pa-cificamente applicazione a tutte le ipotesi di verifiche fiscali richiamate dalla rubri-ca dell’articolo: ipotesi che, come detto in precedenza, possono anche non preve-

2 Lo stesso dicasi per il successivo comma 5, che regola i tempi di permanenza presso la sede del contribuente.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 972

dere l’accesso nei locali dell’impresa o del professionista ai sensi dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972.

Ecco allora che, già sul piano testuale, non ha alcun valido addentellato l’inter-pretazione restrittiva dell’art. 12 della L. n. 212/2000 propugnata dalla sent. n. 13588/2014.

Né si può sostenere, come hanno fatto i Supremi Giudici, che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sent. n. 18184/2013, avrebbero anch’esse circoscrit-to l’applicazione del termine dilatorio di sessanta giorni, nella parte in cui hanno sostenuto che detto termine è «decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui con-fronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle opera-zioni».

In verità, le Sezioni Unite non hanno mai preso posizione sull’ambito di esten-sione del diritto al contraddittorio procedimentale previsto dal comma 7 dell’art. 12 e si sono limitate a formulare il surriferito principio di diritto in aderenza al caso che era stato tramesso alla loro cognizione, in cui i funzionari dell’amministrazione finanziaria avevano emesso un processo verbale di constatazione a seguito di una verifica fiscale avvenuta presso i locali del contribuente.

Se dovessero pronunciarsi sul perimetro applicativo del comma 7 dell’art. 12, è ragionevole supporre che le Sezione Unite, nell’esercizio della loro funzione no-mofilattica, confermino l’impostazione più aderente alla lettera della legge, ossia quel-la che porta ad estendere i diritti di partecipazione del contribuente a tutte le ipotesi di verifiche fiscali 3.

In questa direzione depone non solo il tenore testuale dell’art. 12, ma anche la lettera dell’art. 24 della L. n. 4/1929, a mente del quale «le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale»; tale ultima disposizione, mai abrogata e tuttora in vigore, fissa chiaramente, in capo ai funzionari dell’amministrazione finanziaria, l’obbligo di emettere il processo ver-bale di chiusura delle operazioni di verifica fiscale, indipendentemente dall’accesso presso i locali dell’impresa o del professionista 4.

3 Sostiene FRANSONI, L’art. 12, u.c. dello Statuto, la Cassazione e il tally-ho, in Rass. trib., 2014, p. p. 599, che dalla lettura della sent. n. 18184/2013 sembra «evidente che la regola contenuta nell’art. 12, comma settimo, dello Statuto rileva ... per il fatto di esprimere un principio cui è riconosciuta una posizione centrale nell’ordinamento. Ciò che impone, pertanto, di dare della regola stessa una lettu-ra quanto più estensiva – anzi, meglio, “pervasiva” – possibile». Nella direzione di ampliare l’ambito di applicazione del comma 7 dell’art. 12 a tutti i controlli fiscali si esprime anche MARONGIU, Contri-buente più tutelato nell’interazione con il Fisco anche prima dell’avviso di accertamento, in Corr. trib., 2011, p. 1723.

4 Così BEGHIN, Il processo verbale di constatazione quale presupposto per l’esercizio del potere accer-tativo, in Corr. trib., 2013, p. 3681, per il quale l’art. 24 della L. n. 4/1929 è un «testo particolarmen-te incisivo e ... privo di fronzoli. Il legislatore non distingue tra le violazioni riscontrate “in ufficio” e

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Cass., sez. trib., 13 giugno 2014, n. 13588 973

Così stando le cose, combinando i due enunciati legislativi sopra menzionati, la normativa attualmente vigente impone l’emissione del processo verbale di consta-tazione al termine di qualsiasi tipologia di controllo fiscale di natura sostanziale, con la conseguenza che non sono da reputare legittimi gli avvisi di accertamento emessi in modo automatico, senza il rispetto dei diritti di partecipazione del con-tribuente 5.

3. Il comma 7 dell’art. 12 ha la funzione di consentire al contribuente di contrad-dire sui fatti controversi prima della emissione dell’avviso di accertamento an-che per assicurare il miglior esercizio della potestà impositiva

Ancor meno convincente è l’argomento funzionale impiegato dalla Corte di Cassazione per restringere il campo di applicazione del comma 7 dell’art. 12 della L. n. 212/2000.

Secondo i Supremi Giudici, il diritto a contraddire ante tempus dovrebbe essere riconosciuto solo nelle ipotesi di accesso presso i locali in cui viene esercitata l’at-tività imprenditoriale o professionale, giacché servirebbe a bilanciare l’invasione del-la sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza.

Se questo fosse vero, non si capirebbe perché la legge non riconosca tale diritto nelle ipotesi di accesso nelle abitazioni private (locali non indicati nel comma 1 del-l’art. 12), ove è più incisiva l’aggressione delle libertà fondamentali del contribuen-te (tant’è che l’art. 52 del D.P.R. n. 600/1973 impone di accedere in tali locali solo con l’autorizzazione del procuratore della Repubblica).

Ma soprattutto non si giustificherebbe la mancanza di bilanciamento nel caso di impiego di poteri istruttori che spesso si rivelano molto più limitativi dell’ambi-to di autonomia del cittadino rispetto alle visite ispettive in loco, come il potere di accedere ai conti bancari o il potere di richiedere a terzi informazioni rilevanti sui rapporti intrattenuti col contribuente. quelle riscontrate “presso il contribuente”. La disposizione presenta, dunque, una struttura che po-tremmo definire “monolitica”. Essa sottolinea che la funzione amministrativa mette radici in un uni-co terreno e che, per conseguenza, unico deve essere il percorso procedimentale che conduce alla con-testazione delle violazioni di volta in volta riscontrate dai funzionari». Sul punto anche TOMASSINI, Con-traddittorio anticipato e tutela del contribuente nelle verifiche fiscali, in Riv. giur. trib., 2011, p. 534.

5 Di diverso avviso sembra MULEO, Avviso di accertamento ante tempus e vizi dell’atto, in Riv. trim. dir. trib., 2013, p. 1004, nella parte in cui afferma: «Pare a chi scrive che l’interpretazione letterale dell’art. 12, ultimo comma, dello Statuto non lasci spazi per un’inclusione delle verifiche effettuate in ufficio nella fattispecie ivi contemplata». Secondo l’Autore, comunque, l’estensione del contrad-dittorio a tutti i procedimenti tributari deve farsi discendere dal diritto vivente comunitario, che ob-bliga «ad integrare la disciplina positiva domestica che sia insufficiente e a superarne l’eventuale asfitti-ca previsione».

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 974

Se la funzione del comma 7 dell’art. 12 fosse davvero quella di compensare i poteri invasivi dell’amministrazione finanziaria, allora la limitazione del suo peri-metro di applicazione alle sole verifiche che presuppongono l’accesso presso i lo-cali d’impresa o della professione si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., giac-ché non sarebbe ragionevole una disparità di trattamento dei contribuenti in fun-zione delle differenti tipologie di scelte istruttorie operate dall’ufficio finanziario, dato che queste scelte istruttorie – implicando sempre l’impiego di poteri accerta-tivi molto penetranti – non modificano le esigenze di garanzia e di tutela che stan-no alla base della partecipazione del contribuente al procedimento di accertamen-to del tributo 6.

La verità è che l’introduzione del comma 7 dell’art. 12 rappresenta il punto di partenza di un’operazione culturale mirante a suggellare i diritti di partecipazione ante tempus del contribuente nel procedimento di accertamento dei tributi, ancor-ché si tratti di attività vincolata, interamente regolata dalla legge nei suoi presup-posti essenziali (nonché presidiata dalla riserva relativa di legge contenuta nell’art. 23 Cost.).

Il Legislatore, in altri termini, ha voluto fornire nello Statuto dei diritti del con-tribuente la cornice normativa per favorire il superamento dell’antico pregiudizio secondo cui in diritto tributario l’errore dell’amministrazione finanziaria possa sem-pre essere emendato nel corso delle procedure giudiziali, facendo emergere l’unica interpretazione corretta della legge; ed ha fatto ciò prendendo atto che molto spesso la mancata ricostruzione in contraddittorio dei fatti controversi porta l’ammini-strazione finanziaria ad assumere delle determinazioni completamente avulse dalla realtà imprenditoriale o professionale, suscettibili, di per sé, di pregiudicare i diritti del contribuente di comporre in via amministrativa le controversie potenziali con il fisco ovvero di difendersi in modo adeguato in sede contenziosa 7.

6 In questo senso VIOTTO, I poteri di indagine dell’amministrazione finanziaria, Milano, 2002, p. 324, che, dopo avere affermato il fondamento costituzionale del principio del contraddittorio anticipato, è giunto alla conclusione che tale garanzia procedimentale debba trovare applicazione anche nelle verifiche c.d. “a tavolino”, giacché «un diverso trattamento in funzione della diversa tipologia di po-teri adottati dall’ufficio non sarebbe ragionevole, dato che le esigenze che stanno alla base della par-tecipazione del contribuente alla fase preaccertativa non mutano al mutare della metodologia di in-dagine seguita dall’ufficio. Oltretutto, la diversità di trattamento finirebbe con l’essere lasciata alla valutazione dell’ufficio, il quale potrebbe preferire un certo tipo di poteri anche per penalizzare il contribuente, privandolo di un diritto molto importante nell’ottica della tutela delle sue posizioni giuridiche». Analoghe considerazioni si leggono in BEGHIN, op. cit., p. 3681.

7 Osserva NICOTINA, Il contraddittorio tributario in funzione deflattiva: una “premessa/promessa” che non può essere tradita, in Riv. trim. dir. trib., 2014, pp. 417 e 419, che l’evoluzione della giurispru-denza dimostra che il modello partecipativo è conciliabile con la materia tributaria, giacché il con-fronto «si rivela utile e addirittura necessario nella realizzazione dell’interesse primario al giusto prelie-vo, nella specie dell’accertamento del fatto».

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Cass., sez. trib., 13 giugno 2014, n. 13588 975

Il punto di approdo dell’operazione culturale in commento, ignorato dalla sent. n. 13588/2014, è la già menzionata sent. n. 18184/2013 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che ha chiaramente fissato il principio che la disposi-zione contenuta nel comma 7 dell’art. 12 non è posta solo a tutela dei diritti del contribuente, ma è altresì funzionale al corretto esercizio della potestà impositiva. Sicché, si legge nella sentenza da ultimo citata, «l’inosservanza del termine dilato-rio prescritto dal comma 7 dell’art. 12, in assenza di qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento emanato prema-turamente, quale effetto del vizio del relativo procedimento, costituito dal non aver messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tempo previsto dalla legge per garantirgli la facoltà di partecipare al procedimento stesso, esprimendo le proprie osservazioni (che l’Ufficio è tenuto a valutare, come la norma prescri-ve), cioè di attivare, e coltivare, il contraddittorio procedimentale. La “sanzione” della invalidità dell’atto conclusivo del procedimento, pur non espressamente prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazio-nale, nella quale la norma opera e, in particolare, dal rilievo che il vizio del proce-dimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello normativo ... di particolare gravità, in considerazione della rilevanza della funzione, cui la norma stessa assolve ... e della forza impediente, rispetto al pieno svolgimento di tale fun-zione, che assume il fatto viziante».

In questa prospettiva, il diritto al contraddittorio è stato elevato – prima dal Legislatore e poi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – al rango di elemen-to essenziale in qualsiasi procedimento di accertamento dei tributi 8, anche in un’ot-tica di maggiore efficacia della funzione impositiva 9.

In conseguenza di ciò, qualsiasi controllo sostanziale della posizione fiscale del contribuente è soggetto alla disciplina del comma 7 dell’art. 12 e deve necessaria-mente concludersi con l’emissione di un processo verbale di constatazione, che

8 Non potendo essere surrogato dal contraddittorio che si svolge successivamente all’emissione dell’atto impositivo, prima in ambito amministrativo (a seguito di presentazione di istanza di accer-tamento con adesione) e poi in ambito giudiziario (a seguito di proposizione del ricorso). In questo senso RENDA, L’impossibilità di esercitare il diritto al contraddittorio anticipato non determina l’invalidi-tà dell’atto impositivo, in Riv. giur. trib., 2011, p. 1031.

9 Osserva COLI, Sull’invalidità degli atti d’accertamento adottati in violazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente, in Rass. trib., 2009, p. 1795, che «il consentire al contribuente d’intervenire in sede istruttoria, affinché questi possa apportare ulteriori elementi conoscitivi prima che l’amministrazione attivi la fase propriamente decisoria (diretta alla valutazione dei dati raccolti e all’eventuale adozione dell’atto accertativo), agevola una più compiuta e veritiera conoscenza della situazione di fatto e di diritto, riducendo il rischio d’adozione di provvedimenti ingiusti e, come tali, contrari all’interesse fiscale dello Stato-comunità, giacché probabile causa d’inutile dispendio di ener-gie organizzative ed economiche dal punto di vista dell’amministrazione ... e, soprattutto, fonte di possibile pregiudizio – sotto il profilo non solo economico ma anche, per esempio, dell’immagine e della dignità – per il contribuente».

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 976

consenta al contribuente di contraddire ante tempus con l’ufficio finanziario 10. In altri termini, la redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni di veri-fica è da considerarsi un atto obbligatorio nel corso di tutte le ipotesi di verifiche fiscali e la sua mancanza, al pari dell’inosservanza senza motivo del termine dilato-rio di sessanta giorni, costituisce un vizio del procedimento tributario 11, o comun-que una divergenza particolarmente grave dal modello normativo, di per sé suffi-ciente ad invalidare l’avviso di accertamento anche in assenza di un’esplicita previ-sione di legge 12.

La conferma di questa impostazione è stata fornita di recente sempre dalle Se-zioni Unite della Corte di Cassazione, che, con la sent. 18 settembre 2014, n. 19667, hanno ritenuto obbligatoria la comunicazione dell’atto di iscrizione di ipoteca prima della sua esecuzione, giacché deve essere esplicitato «in una norma positiva il precetto imposto dal rispetto del principio fondamentale immanente nell’ordina-mento tributario che prescrive la tutela del diritto di difesa del contribuente me-diante l’obbligo di attivazione da parte dell’amministrazione del “contraddittorio endoprocedimentale” ogni volta che debba essere adottato un provvedimento le-sivo dei diritti e degli interessi del contribuente medesimo. Principio il cui rispetto è dovuto da parte dell’amministrazione indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva e la cui violazione determina la nul-lità dell’atto lesivo che sia stato adottato senza la preventiva comunicazione al de-stinatario».

10 Similmente BEGHIN, op. cit., p. 3683. 11 Come annota STEVANATO, Mancato rispetto del termine per le deduzioni difensive e illegittimità

dell’avviso di accertamento, in Dialoghi trib., 2009, p. 617, l’argomento ipersostanzialista che porta a superare i vizi del procedimento «è assai pericoloso, poiché svaluta ogni diritto e garanzia endopro-cedimentale voluta dal legislatore a tutela del privato sottoposto a verifiche e ad accertamenti, dere-sponsabilizzando l’Amministrazione: qualsiasi vizio dell’atto di accertamento o di quelli che su que-sto si fondano sarebbe privo di rilevanza, potendo sempre il contribuente difendersi nel merito da-vanti alle Commissioni tributarie».

12 In forza del principio che nel nostro ordinamento non vige la regola della tassatività delle nul-lità, come ribadito da TESAURO, In tema di invalidità dei provvedimenti impositivi e di avviso di accer-tamento notificati ante tempus, in Rass. trib., 2013, p. 1139. Il verbale di chiusura delle indagini è un atto essenziale del procedimento tributario di accertamento del tributo, con la conseguenza che, come osserva RENDA, Contraddittorio endoprocedimentale e invalidità dell’atto impositivo notificato ante tem-pus: le sezioni unite e la prospettiva del bilanciamento dei valori in campo, in Dir. prat. trib., 2014, II, p. 17, se «il procedimento è parte integrante della fattispecie imponibile e la violazione della norma che lo regola è sempre dotata di effetti invalidanti, la violazione del contraddittorio …, poiché incide sulla rappresentazione della fattispecie compiuta nell’atto e sul suo contenuto, deve essere valutata quale vizio sostanziale dell’atto impositivo». Sulle problematiche relative all’invalidità degli avvisi di accertamento per difetto di contraddittorio, in una prospettiva culturale che enfatizza gli “scopi” degli atti, si vedano le analisi di FANTOZZI, Violazione del contraddittorio e invalidità degli atti tributari, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 137 s., e di RUSSO, Le conseguenze del mancato rispetto del termine di cui al-l’art. 12, ultimo comma, della legge n. 212/2000, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 1077 s.

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Cass., sez. trib., 13 giugno 2014, n. 13588 977

4. I principi nazionali e comunitari a tutela dei contribuenti sottoposti a verifiche fiscali

La sent. n. 13588/2014 asserisce che nell’ordinamento nazionale non vi sarebbe un principio generale che imponga la partecipazione del contribuente prima dell’e-missione dell’atto finale.

In realtà, il Legislatore, con l’introduzione dell’art. 12 della L. n. 212/2000 (nonché, con il mantenimento in vita dell’art. 24 della L. n. 4/1929), e le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la più volte citata sent. n. 18184/2013, non-ché con la recente sent. n. 19667/2014, sembrano di avviso completamente oppo-sto, visto che si sono mossi nella direzione di ritenere che il contraddittorio all’in-terno del procedimento di accertamento sia uno strumento diretto ad assicurare il miglior esercizio della funzione impositiva.

Ecco allora che è plausibile ritenere che il diritto al contraddittorio prima dell’e-missione del provvedimento impositivo trovi radicamento in almeno tre principi costituzionali: il rispetto della capacità contributiva del contribuente (art. 53), il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione (art. 97) 13 e il diritto di di-fesa contro gli atti amministrativi (art. 113).

Un’altra affermazione poco condivisibile contenuta nella sent. n. 13588/2014 è che in ambito comunitario non sarebbe previsto un obbligo generalizzato di con-traddire anticipatamente col contribuente sottoposto a verifica fiscale.

A conferma di tale assunto, viene menzionata la sentenza della Corte di Giusti-zia del 22 ottobre 2013, causa C-276/12, secondo la quale l’amministrazione fi-nanziaria «quando procede alla raccolta di informazioni, non è tenuta ad infor-marne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista». Tuttavia, i Supremi Giudici omettono di considerare che tale sentenza non riguarda affatto il diritto al contraddittorio anticipato, bensì il diverso diritto di partecipare alla richiesta di in-formazioni inoltrata da uno Stato ad altro Stato membro, nell’ambito delle proce-dure di mutua assistenza in materia tributaria. In quest’ultima ipotesi, sostengono i Giudici comunitari, non può essere fatto valere alcun diritto di partecipazione; ciò non toglie, affermano i medesimi Giudici comunitari, che il diritto al contradditto-

13 Secondo TESAURO, op. cit., p. 1143, poiché «i procedimenti di imposizione tributaria sono espressione di una funzione vincolata, per essi vale ... il principio di legalità, non il principio di im-parzialità». Tuttavia, alla funzione vincolata non equivalgono degli automatismi giuridici e ampi sono gli spazi dell’amministrazione finanziaria in punto di ricognizione dei fatti e di concretizzazione del diritto (basti solo ricordare le tante norme senza disposizione che quotidianamente vengono “adat-tate” dai funzionari amministrativi alle situazioni oggetto di verifica fiscale, dall’inerenza all’attività d’impresa, al divieto di abuso del diritto, sino all’indetraibilità dell’IVA per colpevole consapevolez-za della frode altrui). Ecco allora che, al cospetto di un potere “vincolato” solo in linea teorica, appa-re doveroso anche nel procedimento tributario il presidio dell’art. 97 Cost., benché non si tratti di attività rivolta alla generalità dei cittadini e l’autorità procedente sia parte del rapporto d’imposta.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 978

rio continua a figurare tra i diritti fondamentali dell’ordinamento giuridico del-l’Unione Europea ed opera nel senso che, lo dicono con parole inequivocabili, «i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizioni di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la decisione».

L’impostazione della Corte di Giustizia UE, espressa anche nella sentenza C-276/12, è molto chiara: il diritto al contraddittorio anticipato, pur essendo un principio fondamentale dell’ordinamento comunitario, non si spinge sino al punto di garantire la partecipazione a tutte le fasi istruttorie (come, ad esempio, nelle procedure di mutua assistenza) e deve ritenersi rispettato allorché la legislazione riconosca al contribuente un congruo lasso temporale per esprimere le proprie os-servazioni prima dell’emissione dell’atto impositivo 14.

In questa direzione si sono espresse proprio le Sezioni Unite della Corte di Cas-sazione, che:

– nella sent. n. 18184/2013, ricordando la sentenza della Corte di Giustizia UE del 18 dicembre 2008, causa C-349/07, hanno precisato che in ambito comunita-rio è stato valorizzato il principio di ordine generale «della partecipazione del con-tribuente – il quale “deve essere messo in condizione di far valere le proprie osser-vazioni” – a procedimenti in base ai quali l’amministrazione si proponga di adotta-re nei suoi confronti un atto di natura lesiva»;

– nella sent. n. 19667/2014, ricordando la sentenza della Corte di Giustizia UE del 3 luglio 2014, cause riunite n. C-129/13 e C-130/13, hanno affermato che «il rispetto del diritto della difesa e del diritto che ne deriva, per ogni persona, di essere sentita prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negati-vo sui suoi interessi, costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione».

In definitiva, contrariamente a quanto sostenuto dai Supremi Giudici, gli ordi-namenti nazionali e comunitari elevano il diritto al contraddittorio anticipato al rango di principio fondamentale nei rapporti tra il contribuente e l’amministrazio-ne finanziaria, con la conseguenza che non può reputarsi conforme al diritto viven-te il tentativo di restringere il campo di applicazione del comma 7 dell’art. 12 della L. n. 212/2000, riservandolo solo alle verifiche fiscali che presuppongono l’accesso presso i locali in cui si esercita l’attività imprenditoriale o professionale.

Antonio Panizzolo

14 Sul punto, a commento della sentenza Sopropé (18 dicembre 2008, C-349/07), si vedano MAR-CHESELLI, Il diritto al contraddittorio nel procedimento amministrativo tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario, in Riv. giur. trib., 2009, p. 210 ss., e di RAGUCCI, Il contraddittorio come princi-pio generale del diritto comunitario, in Rass. trib., 2009, p. 580 ss.

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Cass. pen., sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 44003 – Pres. Sirena, Rel. Izzo Dichiarazione riservata per l’emersione di attività estere – c.d. Scudo fiscale – Effetti penali – Reati commessi in qualità di dominus di società – Causa di esclu-sione della punibilità – Applicabilità – Sussiste

La causa di esclusione della punibilità per il reato di infedele dichiarazione ex art. 4 D.Lgs. n. 74/2000, garantita dall’accesso allo scudo fiscale, opera anche per i reati com-messi nella qualità di amministratore o socio di società, nel caso in cui questi possa esse-re ritenuto il dominus della stessa.

(Omissis)

MOTIVI DELLA DECISIONE 5.1. Ai fini del decidere è necessario premettere brevi cenni sulla disciplina del c.d.

“Scudo fiscale” introdotta con il D.L. n. 78 del 2009, conv. in L. n. 102 del 2009. La normativa consente il rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute,

irregolarmente, fuori dal territorio dello Stato, previo il pagamento di una imposta cal-colata in modo percentuale rispetto alla entità del patrimonio scudato. Il rimpatrio si perfeziona con il pagamento dell’imposta e la procedura attivata non può costituire ele-mento utilizzabile a sfavore del contribuente in sede amministrativa o giudiziaria. In par-ticolare la regolarizzazione esclude la punibilità per i reati di cui al D. Lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 5, nonché per i reati di cui al D.L. n. 429 del 1982, ad eccezione di quelli previ-sti dall’art. 4, lett. d) e f), del predetto D.L. n. 429, relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate (cfr. richiamo che la legge 102 effettua nei confronti del-la L. n. 409 del 2001, artt. 14 e 15).

L’art. 13 della legge disciplina le modalità per il rimpatrio dei capitali ed è articolata in modo tale da garantire l’anonimato del soggetto che effettua lo “scudo”. Infatti l’in-carico viene affidato ad intermediari mandatari, i quali effettuano il versamento delle somme dovute alla Banca d’Italia. Il rapporto tra il contribuente e mandatario è do-cumentato da carteggi detenuti esclusivamente da tali soggetti.

5.2. Ciò premesso la tesi sostenuta dal ricorrente nei motivi di impugnazione è che difetta il “fumus commissi delicti” in quanto la somma imponibile evasa dalla “Z.” s.r.l. e di cui il L. era amministratore, era stata scudata e, pertanto, i relativi reati non erano punibili. A sostegno di tale tesi, il ricorrente ha disvelato la documentazione relativa alla regolarizzazione di capitali detenuti all’estero e scudati ai sensi della legge 102 so-pra richiamata.

Nel provvedimento impugnato il Tribunale ha replicato che l’indagato aveva do-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 980

cumentato lo scudo di Euro 3.870.000, pertanto, tenuto conto che la imputazione prov-visoria riguardava la complessiva somma di Euro 7.000.000, sussisteva ancora la puni-bilità del delitto e, quindi, il “fumus”.

A fronte di tali argomentazioni, con i motivi di ricorso, il L. ha censurato che il Rie-same non aveva tenuto conto delle somme “scudate” da altri soci della s.r.l. “Z.”, che an-davano ampiamente a colmare la differenza mancante.

5.3. Per rispondere alla doglianza di erronea applicazione della legge, va fatto un chiarimento sulle norme che disciplinano lo “scudo” fiscale.

La possibilità di regolarizzazione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute fuo-ri del territorio dello Stato è stata prevista nella L. n. 102 del 2009, art. 13 bis. Tale nor-ma, per le modalità operative dello “scudo”, al comma 5, richiama gli “L. 23 novembre 2001, n. 409, artt. 11, 13, 14, 15, 16 e 19 ...”, che aveva disciplinato una precedente re-golarizzazione.

In particolare l’art. 11 della L. n. 409, nel delineare l’ambito soggettivo, di applica-bilità dello “scudo”, dispone che per “interessati” alla regolarizzazione devono intendersi “... le persone fisiche, gli enti non commerciali, le società semplici e le associazioni equi-parate ai sensi dell’art. 5 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917”.

La chiara dizione della norma ha indotto gli interpreti a ritenere che le società com-merciali non potessero beneficiare dello “scudo”.

Tale osservazione già basterebbe per ritenere infondate le tesi sostenute dalla dife-sa del L.

Va però considerato che con una circolare del 10/10/2009 (nr. 43/E) la Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate ha inteso dare una interpretazione della disposizio-ne precisando che “... ai soli fini tributari, si ritiene che tale divieto valga con riferimen-to non solo ai procedimenti direttamente riferibili al contribuente che ha effettuato le operazioni di emersione, ma anche a quelli concernenti soggetti riconducibili al con-tribuente stesso in qualità di dominus.

Pertanto, ad esempio, le operazioni di rimpatrio o di regolarizzazione effettuate dal dominus di una società di capitali non possono essere utilizzate ai fini dell’avvio o nel-l’ambito di un’attività di controllo fiscale nei confronti della medesima società. Allo stes-so modo le operazioni di emersione non determinano accertamenti nei confronti dei soggetti interposti attraverso i quali il contribuente ha detenuto all’estero le attività rim-patriate o regolarizzate ...”.

Con tale circolare l’Agenzia delle Entrate ha inteso ampliare l’applicabilità del con-dono anche alle società commerciali, a condizione che l’attività di emersione sia effet-tuata dal suo “dominus” e cioè da colui il quale ha il concreto dominio e la gestione della società.

Tornando al caso che ci occupa, premesso che le “circolari” non hanno una natura normativa e non possono modificare o interpretare in modo autentico le leggi; premesso ancora l’osservazione che l’estensione dello scudo alle società predicata dalla Agenzia delle Entrate, è limitata “ai soli effetti tributari” (v. pg. 40 della circolare), anche a vole-

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Cass. pen., sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 44003 981

re ritenere giuridicamente operante l’estensione, essa è limitata alle sole operazioni di emersione effettuate dal “dominus” della società.

Ne consegue che correttamente il giudice di merito, nel valutare la non congruenza delle somme emerse rispetto a quelle evase, non ha tenuto conto delle somme scudate da soggetti non “dominus”, ma meri soci della “Z.” s.r.l. Peraltro, a parte la documentazione dello scudo, tali soggetti non hanno dimostrato la imputazione del rientro di capitali alla società, né la devoluzione delle somme, dopo il rientro, alla società che, è bene ricordarlo, è persona giuridica distinta dai soci che ne costituiscono la compagine. (Omissis).

Effetti penali dello scudo fiscale e dominus di società

Criminal aspects of the Italian “tax shield” and the concept of dominus of a company

Abstract Nel pensiero della Corte di Cassazione, l’adesione allo scudo fiscale da parte del dominus di società garantisce la protezione penale nei confronti di quest’ultimo anche per i reati tributari commessi nella sua qualità di amministratore o socio di società. La decisione in commento fa leva sulla incerta nozione di dominus, ma sembra giungere a conclusioni condivisibili, supportate peraltro anche da ulteriori argomentazioni rispetto a quelle addotte dalla Corte. Parole chiave: scudo fiscale, esimente, amministratore, reati tributari, concetto giuridico di dominus According to the Italia Supreme Court (ISC), the application to the tax shield by the dominus of a company allows the first to be protected against criminal charges con-nected to tax crimes committed in its quality of director or shareholder. The com-mented decision is grounded on the uncertain concept of dominus, but it reaches shareable conclusions, which are also supported by different arguments from those highlighted by the ISC itself Keywords: tax shield, justification, director, tax crimes, legal concept of dominus

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 982

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La vicenda contenziosa. – 3. Lo scudo fiscale ter. – 4. L’esclusione delle socie-tà di capitali. – 5. Il comma 3 bis dell’art. 13 bis, D.L. n. 78/2009. – 6. Adesione allo scudo ed effet-ti penali. – 7. Il concetto di dominus nel diritto commerciale e fallimentare. – 8. Alcune osserva-zioni conclusive.

1. Premessa

La decisione della Corte di Cassazione insiste su un tema assai delicato, peral-tro lo stesso che oggi occupa i contribuenti nel decidere se aderire o meno alla nuova procedura di rientro dei capitali dall’estero 1.

Il tema è quello degli effetti verso terzi prodotti dall’adesione del contribuente al cosiddetto scudo fiscale ter previsto dall’art. 13 bis del D.L. n. 78/2009.

In particolare, stante la pacifica esclusione delle società dalla possibilità di ac-cesso allo scudo fiscale, le problematiche principali affiorano per quei contribuenti che siano anche imprenditori o comunque soci di società. È infatti di immediata evidenza che, laddove l’amministrazione finanziaria ritenga che le disponibilità este-re del contribuente oggetto di scudo fiscale siano riferite a violazioni fiscali impu-tabili alla “sua” società, potrebbero scaturire delle contestazioni anche in capo a quest’ultima, indotte, magari, proprio dalle informazioni rinvenienti dallo scudo.

La sentenza in commento ritiene sussistente in queste situazioni – ancorché in via indiretta – una forma di protezione derivante dall’adesione allo scudo fiscale per il dominus della società che dovesse ricevere una contestazione di tal fatta, recupe-rando una espressione, invero inusuale per il diritto tributario, utilizzata dall’Agen-zia delle Entrate nella Circolare 43/E/2009 2.

1 Nel rientro dei capitali, disciplinato dalla L. n. 186/2014, la problematica è invero ancor più ri-levante, essendo tale procedura, a differenza di quanto avveniva per lo scudo fiscale (dove vigeva il cosiddetto regime di riservatezza), del tutto trasparente e con obbligo di fornire una serie di informa-zioni su origine e movimentazione delle attività estere.

2 Non constano precedenti specifici, anche se secondo Cass., sez. III, 5 maggio 2011, n. 250605, la causa di non punibilità prevista dallo scudo fiscale opererebbe in modo restrittivo, riferendosi alle sole condotte afferenti ai capitali oggetto della procedura di rimpatrio. Sul tema si veda CISTERNA, Questioni sanzionatorie e procedurali della manovra-ter per il rientro dei capitali: dalla scudo fiscale e quello penale, in Dir. pen. proc., 2010, p. 144; LANZI, Le conseguenze sanzionatorie del c.d. “scudo fiscale”, in Dir. pen. proc., n. 3, 2002, p. 375 ss.; SOANA, Gli effetti penali dello scudo fiscale, in Rass. trib., 2002, p. 1238, nonché, anche per i riferimenti dottrinali e giurisprudenziali ivi contenuti, sia consentito rin-viare a TOMASSINI, Scudo fiscale con effetti penali limitati, in Corr. trib., 2011, p. 3287; TOMASSINI, Ef-fetti penali dello scudo fiscale al vaglio della giurisprudenza, in Riv. dir. trib., n. 10, 2012, II, p. 592.

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Cass. pen., sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 44003 983

2. La vicenda contenziosa

Il caso deciso dalla Suprema Corte riguarda un sequestro probatorio disposto sui beni di un imputato del reato di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000, rubricato “Dichiarazione infedele”.

A seguito di una prima impugnazione per il riesame del provvedimento di se-questro rigettata dal Tribunale di Ancona, il contribuente interponeva ricorso per Cassazione. La Corte, rilevata la carenza motivazionale della decisione, cassava la decisione con rinvio allo stesso Tribunale di Ancona. Quest’ultimo rigettava nuova-mente l’impugnazione, osservando come, pur non potendo essere condivisa l’opi-nione del P.M. quanto ai limiti soggettivi di operatività dello scudo, ed in partico-lare della causa di non punibilità, la quale può essere estesa anche ai fatti commessi in qualità di amministratore di società di capitali laddove questo agisca come do-minus della società, nel caso di specie fosse l’ambito oggettivo di applicazione a non consentirne l’operatività. Ed infatti la somma “scudata” non copriva l’intero am-montare dell’imposta evasa contestata e non era pertanto sufficiente a far operare la causa di non punibilità rispetto all’art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000.

Il contribuente ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di Ancona, che così ave-va deciso, lamentando l’erronea applicazione della legge e la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla non dichiarata improcedibilità, considerato che la som-ma di cui al capo di imputazione risultava “scudata” per l’intero, se solo si fossero considerati gli importi “scudati” dagli altri soci della società.

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, rigetta l’impugnativa, al-lineandosi alla decisione del Tribunale di Ancona. La Corte conferma l’estensione soggettiva della causa di non punibilità al dominus della società ma non agli altri soci (non dominus), sì che le somme scudate da questi ultimi non possono essere fatte valere ai fini della “copertura” dei reati tributari discendenti dalle violazioni commesse dalla società.

La decisione della Cassazione, nella sua parte motiva più rilevante, sposa la posi-zione dell’Agenzia delle Entrate esplicitata nella Circolare 10 ottobre 2009, n. 43/E, per la quale, ai fini tributari, la copertura opera «con riferimento non solo ai pro-cedimenti direttamente riferibili al contribuente che ha effettuato le operazioni di emersione, ma anche a quelli concernenti soggetti riconducibili al contribuente stes-so in qualità di dominus. Pertanto, ad esempio, le operazioni di rimpatrio o di rego-larizzazione effettuate dal dominus di una società di capitali non possono essere uti-lizzate ai fini dell’avvio o nell’ambito di un’attività di controllo fiscale nei confronti della medesima società». L’Agenzia delle Entrate, osserva la Cassazione, «ha inte-so ampliare l’applicabilità del condono anche alle società commerciali, a condizio-ne che l’attività di emersione sia effettuata dal suo dominus e cioè da colui il quale ha il concreto dominio e la gestione della società». Ciò posto, la Corte precisa che «le circolari non hanno una natura normativa e non possono modificare o inter-pretare in modo autentico le leggi», ma ritiene comunque la lettura proposta dal-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 984

l’amministrazione corretta, seppur circoscritta «alle sole operazioni di emersione effettuate dal dominus della società». Pertanto opportunamente, secondo la Corte, nel valutare la non congruenza delle somme emerse rispetto a quelle evase, il giu-dice di merito non aveva tenuto conto delle somme “scudate” da soggetti che non rivestivano la qualifica di dominus, quali i meri soci della s.r.l., che, peraltro, non ave-vano dimostrato l’imputazione del rientro di capitali alla società, né la devoluzione delle somme, dopo il rientro, alla società stessa, la quale è persona giuridica distin-ta dai soci che ne costituiscono la compagine. In definitiva la Corte ha sposato an-che ai fini penalistici la posizione assunta agli effetti tributari dalla (ovviamente non vincolante e non avente contenuto normativo) Circolare delle Entrate.

3. Lo scudo fiscale ter

Lo scudo fiscale ter 3 contemplato dal D.L. n. 78/2009, ovvero di fatto la terza resa del Fisco di fronte alle obiettive difficoltà di contrasto delle manovre evasive di respiro internazionale, prevedeva due possibilità di emersione delle attività finan-ziarie e patrimoniali detenute in violazione della normativa sul monitoraggio fisca-le all’estero, la regolarizzazione e il rimpatrio.

L’emersione preclude nei confronti del dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati ogni accertamento tributario e contributivo limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rim-patrio o regolarizzazione.

4. L’esclusione delle società di capitali

L’esclusione delle società dall’ambito di operatività dello scudo sembra porre due questioni, una di carattere sistematico, circa la ragionevolezza o meno dell’esclusio-ne stessa, alla luce del principio di parità di trattamento tra gli operatori economici, ed un secondo di carattere più applicativo, che riguarda i possibili effetti dell’adesio-ne allo scudo fiscale da parte del socio sulla società da quest’ultimo partecipata.

Sotto il primo aspetto, l’adesione allo scudo è consentita solamente alle persone fisiche, agli enti non commerciali, alle società semplici ed alle associazioni a questi equiparate.

3 Per un’analisi sistematica dello scudo fiscale, istituto a metà tra il premio e il perdono, ci sia consentito rinviare ad AA.VV., Il nuovo scudo fiscale, Milano, 2009; si veda altresì GIOVANNINI, Scudo fiscale e anonimato, in Rass. trib., n. 1, 2002, p. 253; SALVINI, Lo “scudo fiscale”, in Il Fisco, n. 42, 2001, p. 13577; più di recente v. DE PASQUALE, Lo scudo fiscale: problemi interpretativi e riflessioni sulla na-tura giuridica dell’istituto, in questa Rivista, n. 4, 2012, p. 889 ss.

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Cass. pen., sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 44003 985

Lo “scudo 2009” era quindi precluso alle società di capitali e alle società di per-sone. Mentre nella sua versione del 2001 lo scudo fiscale era affiancato dal condo-no, nel 2009 non è stato varato alcun condono ed è stata questa la ragione che ha posto la questione circa la ragionevolezza di tale scelta, in ragione del fatto che i vantaggi riconosciuti agli aderenti esorbitano rispetto a quelli riferibili alla disciplina del monitoraggio. Potrebbe quindi ritenersi che l’istituto discrimini i soggetti che non possono accedervi 4.

Quanto illustrato trova una parziale attenuazione nel caso delle società di per-sone. Le società di persone possono indirettamente godere degli effetti di copertu-ra sul piano tributario. Essendo tassate per trasparenza in capo ai soci, questi pos-sono opporre lo scudo a copertura delle maggiori imposte accertate.

Anche per quanto riguarda l’IRAP e l’IVA eventualmente accertate a carico di tali società può ritenersi che lo scudo sia “opponibile”. L’effetto di copertura da ac-certamenti esplica i suoi effetti, infatti, non solo nei confronti del soggetto che ha aderito allo scudo, ma anche nei confronti dei soggetti con questi «solidalmente obbligati». A parte la appena ricordata attenuazione, resta la discriminazione per le società di capitali, che peraltro potrebbero anche essere danneggiate dall’adesio-ne allo scudo fiscale di persone ad esse in qualche modo collegate. È proprio sotto tale luce che occorre guardare al secondo aspetto cui si faceva riferimento supra, ovvero agli effetti verso terzi dell’adesione allo scudo ed in particolare verso le so-cietà. Tale analisi passa dall’indagine della disposizione contenuta nel comma 3 bis dell’art. 13 bis del D.L. n. 78/2009.

5. Il comma 3 bis dell’art. 13 bis, D.L. n. 78/2009

Rispetto alle precedenti versioni dello scudo, il D.L. n. 78/2009 contiene una unica vera nuova disposizione sul fronte degli effetti e dei vantaggi della sanatoria, il comma 3 dell’art. 13 bis.

A mente di tale disposizione lo scudo fiscale non può costituire «elemento a sfavore» del contribuente in ogni sede amministrativa o giudiziaria, civile ammini-strativa ovvero tributaria in via autonoma o addizionale.

La norma non brilla per chiarezza ed in relazione ad essa l’Amministrazione fi-nanziaria, con la Circolare 43/E/2009, fornisce solo alcuni (ancorché rilevanti) chiarimenti.

4 TOSI-LUPI, Protezione dello scudo fiscale e trattamento deteriore per le società, in Dialoghi trib., n. 4, 2010, p. 369. Sono queste le ragioni che verosimilmente hanno portato il legislatore della recente L. n. 186/2014 sul rientro dei capitali ad affiancare alla regolarizzazione internazionale una regola-rizzazione nazionale.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 986

In particolare piuttosto laconica sembra essere la locuzione «in ogni sede am-ministrativa o giudiziaria, civile amministrativa ovvero tributaria», sì che risulta davvero arduo indagare la ratio di tale previsione. Si può forse ritenere che essa sia costruita per non operare con riguardo ai procedimenti penali, altrimenti il legisla-tore li avrebbe espressamente menzionati. E tale circostanza riveste una sua rile-vanza anche con riguardo al caso di specie, ancorché sembra che il ragionamento della Corte di Cassazione operi a monte, ovvero estenda l’operatività della coper-tura penale dello scudo in quanto, per immedesimazione organica, agli effetti tri-butari è il dominus della società a commettere il reato e sembra quindi opportuno considerare tali condotte tributarie aventi rilevanza penale rientranti nella causa di non punibilità di cui può fruire lo scudante. Non solo. Tornando al dettato legislativo, probabilmente l’unico modo per attri-buirgli un senso giuridico è riflettere sull’utilizzo dell’espressione «elemento a sfa-vore» apprezzandola essenzialmente per la sua rilevanza in chiave probatoria. Fa-cendo leva su tale lettura, lo scudo del 2009, rispetto alle sue precedenti versioni, sembrerebbe prevedere che l’emersione, non solo precluda l’accertamento, ma non possa nemmeno mai fornire elementi di prova idonei a corroborare contestazioni di qualsiasi natura in ambito amministrativo o giudiziario. Così interpretata, la nor-ma sembra rappresentare un argine a tutti quegli usi “distorti” cui le notizie indica-te nella dichiarazione riservata si prestano.

Il punto nodale è chiarire se tali effetti valgono solo per il contribuente che effettua la sanatoria, come sembrerebbe dal tenore letterale della norma, o anche per i soggetti terzi, circostanza che spiegherebbe un effetto protettivo piuttosto pregnante.

La Circolare 43/E/2009 precisa che l’adesione allo scudo importa che il divieto di utilizzare «elementi a sfavore» vale con riferimento non solo ai procedimenti di-rettamente riferibili al contribuente, «ma anche a quelli concernenti soggetti ricon-ducibili al contribuente stesso in qualità di dominus». Così, continua la Circolare, «ad esempio, le operazioni di rimpatrio o di regolarizzazione effettuate dal domi-nus di una società di capitali non possono essere utilizzate ai fini dell’avvio o nel-l’ambito di un’attività di controllo fiscale nei confronti della medesima società. Al-lo stesso modo le operazioni di emersione non determinano accertamenti nei con-fronti dei soggetti interposti attraverso i quali il contribuente ha detenuto all’estero le attività rimpatriate o regolarizzate».

Le precisazioni dell’Agenzia, seppur limitate all’ambito tributario e ancorate al-la non immediatamente identificabile – quanto meno sotto il profilo tributario – qualifica di dominus, sono rilevanti, in quanto impediscono che lo scudo possa es-sere utilizzato come fonte di innesco o come elemento a supporto nel caso di con-trollo a carico di soggetti formalmente terzi rispetto al contribuente ma a questi collegati. Ed ora tali precisazioni vengono amplificate dalla sentenza in commento, che le cala sul fronte degli effetti penali dello scudo.

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Cass. pen., sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 44003 987

6. Adesione allo scudo ed effetti penali

L’art. 13 bis del D.L. n. 78/2009 fa riferimento alla esclusione della punibilità per i reati tributari di fraudolenta, infedele e omessa dichiarazione dei redditi di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5 del D.Lgs. n. 74/2000, nonché per il reato di occultamento e distru-zione di scritture contabili (art. 10 dello stesso decreto) e per i principali reati so-cietari e di falso ad essi connessi 5.

Tale ampia previsione supera i problemi sorti in occasione dei precedenti prov-vedimenti di scudo relativi all’indagine del confine tra le ipotesi di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del D.Lgs. 74/2000 e quelle di dichiarazione fraudolenta (ed in particolare quella contenuta all’art. 3 del decreto). L’adesione allo scudo, in-fatti, “copre” entrambe.

Lo scudo, pur non limitando in modo apprezzabile le indagini di polizia giudi-ziaria, porta con sé notevoli benefici sul piano penale.

Va tuttavia ricordato che in caso di commissione di reati diversi da quelli coperti (su tutti, si pensi al riciclaggio) non si può escludere che la presentazione della di-chiarazione riservata possa essere considerata essa stessa una circostanza, pur chia-ramente non idonea ex se a costituire elemento o indizio di prova per qualsivoglia reato, meritevole di essere approfondita in quanto apprezzabile come indizio di colpevolezza del soggetto sospettato di aver commesso un reato.

Effetti boomerang potrebbero ipotizzarsi, da questo punto di vista, nei confronti di soggetti diversi rispetto alla persona fisica che accede allo scudo: si pensi al rin-venimento, attraverso l’acquisizione della dichiarazione riservata, di indizi concer-nenti eventuali violazioni amministrative o penali poste in essere da società. Que-sto è l’ambito che più ci interessa.

Non può rappresentare, come si diceva supra, un argine per così dire diretto a tale uso distorto il menzionato comma 3 dell’art. 13 bis del D.L. n. 78/2009, posto che le sedi giudiziarie in cui lo scudo non può essere utilizzato a sfavore del contri-

5 La sentenza in commento è sbrigativa sugli effetti penali dello scudo, facendo riferimento esclusivamente al rinvio operato dall’art. 13 bis del D.L. n. 78 agli artt. 14 e 15, D.L. n. 350/2001, senza considerare che – nella attuale formulazione – nella sua seconda parte lo stesso articolo opera altresì un rinvio all’art. 8, comma 6, lett. c), della L. n. 289/2002 (condono fiscale) e che quindi i due rinvii vanno letti congiuntamente ed implicano l’ampia copertura di cui si è appena fatto cenno. Il legislatore, infatti, con l’intervento correttivo di cui al D.L. n. 103/2009, ha inteso operare un rin-vio a tutta la disposizione contenuta nell’art. 8 citato, e quindi all’intera disciplina che esso reca nel sistema. Una dimostrazione testuale di tale interpretazione si ricava dall’inciso «in materia di esclu-sione della punibilità penale», contenuto nel suddetto secondo periodo della norma, dal quale si comprende che proprio alla legge di condono n. 289/2002 è affidata la regolamentazione dei profili penali dello scudo fiscale. Sul tema si veda, a commento proprio della sentenza che stiamo annotando, IMPERATO, Gli effetti penali dello scudo fiscale nella giurisprudenza della Suprema Corte, in corso di pub-blicazione su Riv. dir. trib.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 988

buente sono, per espressa previsione di legge, quella civile, amministrativa e tribu-taria, non anche quella penale.

Tuttavia la non menzione nel comma 3 bis dei procedimenti penali sembra sia dovuta alla necessità di poter lasciare le autorità libere di perseguire reati più gravi, non coperti dallo scudo, ma ciò non esclude che lo scudante possa fruire anche agli effetti penali della previsione così come interpretata dall’Agenzia delle Entrate ed ora anche dalla Cassazione. Del resto – in termini più generali – la causa di non pu-nibilità “copre” (la norma parla di copertura «ad ogni effetto») il reato sotto il pro-filo oggettivo e non distingue se lo stesso sia compiuto personalmente o come re-sponsabile di un ente. Inoltre, se si è anche dominus dell’ente, è verosimile che le disponibilità all’estero derivino dall’evasione dell’ente stesso 6, quindi non ritenere coperto il reato ascrivibile allo scudante, ed anzi addirittura utilizzare lo scudo co-me elemento a sfavore (rectius come base per contestare la violazione penale), si scontrerebbe con il principio di ragionevolezza ed anche con quello di unitarietà del-l’ordinamento giuridico.

Alla medesime conclusioni si giunge anche ragionando sull’elemento oggettivo dei reati. Pensiamo all’infedele dichiarazione di una società con un dominus ben in-dividuabile. Se sul piano tributario lo scudo copre anche la società (anche) perché lo stesso non può operare come elemento a sfavore a carico dell’ente di cui lo scu-dante sia il dominus, sembra evidente che quelle somme non possano essere ido-nee, ovviamente sino a concorrenza della franchigia, a rappresentare l’imposta eva-sa richiesta dalla norma incriminatrice penale. Ed infatti, pur nella autonomia tra i procedimenti tributari e quelli penali garantita dall’art. 20 del D.Lgs. n. 74/2000, è evidente che i fatti materiali alla base delle due violazioni siano i medesimi e che la verifica del superamento della soglia vada svolta con riferimento al superamento di una soglia di evasione che va accertata sul piano tributario. Ora è evidente che se tale evasione viene neutralizzata dalla presenza dello scudo fiscale, può ben rite-nersi che questa non possa avere rilevanza penale, sempre sulla base dei principi di ragionevolezza e di unitarietà dell’ordinamento.

La sentenza in commento sembra far leva su tali argomentazioni, valorizzando l’adesione dello scudo fiscale operata dal dominus di una società anche sul piano della protezione penale di quest’ultimo.

In dottrina vi è chi 7 è critico verso tale presa posizione (pur condividendone la conclusione), ritenendo che il riferimento al dominus sul piano tributario non ope-ri dal lato degli effetti, ma tenda esclusivamente ad evitare un maleficio e che la sfug-

6 Sull’ambito oggettivo di applicazione dello scudo ed i suoi effetti (ovviamente rilevanti “a monte” anche ai fini che qui interessano, perché le fattispecie penali “coperte” dalla sanatoria sono solo quelle che presentano un collegamento con gli imponibili oggetto di regolarizzazione) sia consentito rinviare a TOMASSINI, Effetti penali dello scudo fiscale, cit., p. 592.

7 IMPERATO, Gli effetti penali dello scudo fiscale, cit.

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Cass. pen., sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 44003 989

gente nozione di dominus di società, ricostruita nei termini individuati dalla sen-tenza, sarebbe incompatibile con i canoni costituzionali di determinatezza e tassa-tività prescritti dall’art. 25 Cost. Residuerebbe, secondo la citata dottrina, un onere probatorio di contenuto indefinito a carico del contribuente che volesse avvalersi, dichiarandosi dominus di una società, degli effetti favorevoli dello scudo.

Invero, poi, il medesimo Autore giunge per altra via – diremmo concorrente ed altrettanto convincente – a considerare la causa di non punibilità apprestata dalla scudo operante anche a favore dello scudante nella sua qualità di legale rappresen-tante di società. L’Autore fa leva sul tenore letterale dell’art. 8, comma 6, lett. c), della L. n. 289/2002, che si riferisce alla «esclusione ad ogni effetto della punibilità», che sembra chiaramente stabilire un’esclusione della punibilità per taluni reati tribu-tari senza limitazioni, potendo quindi abbracciare anche i reati commessi in qualità di legale rappresentante di un ente. Inoltre l’Autore fa riferimento alle lett. c) ed e) dell’art. 1 del D.Lgs. n. 74/2000, che si occupano del fatto commesso da chi agisca in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società o enti, preci-sando che le “dichiarazioni” cui si fa riferimento sono quelle presentate dal sogget-to rappresentato e che il dolo specifico di evasione va riferito a quest’ultimo. Se ne desume, quindi, che le norme definitorie concernenti il soggetto che agisca quale rappresentante legale di società non modificano la struttura della fattispecie incri-minatrice, ma anzi sembrano pensate per ricomprendere anche le condotte dell’amministratore. L’imputazione per il reato tributario va valutata in maniera formale, con riferimento agli elementi costitutivi della fattispecie, fra i quali non rientra la qualifica soggettiva posseduta dal soggetto agente 8.

Tale posizione sconta le critiche connesse al fatto che, accedendovi, nella so-stanza verrebbe surrettiziamente introdotto uno scudo fiscale con effetti penali an-che per le società, ma, del resto, le società nel nostro sistema non sono soggetti pu-nibili 9.

7. Il concetto di dominus nel diritto commerciale e fallimentare

L’utilizzo da parte della Circolare 43/E e della sentenza in commento del con-cetto di dominus è una novità per il nostro diritto tributario. Se il riferimento al do-minus è in astratto condivisibile, nella misura in cui individua un soggetto in grado di conseguire e poi occultare i ricavi prodotti dalla società, dal punto di vista appli-

8 Sull’art. 1, lett. a) del D.Lgs. n. 74/2000, v. IMPERATO, in CARACCIOLI-GIARDA-LANZI, Diritto e procedura penale tributaria, Padova, 2001, p. 18 ss.

9 Sul tema si veda CARACCIOLI, “Emersionismo” e “scudo penale”, in Il Fisco, 2001, p. 11420 ss.; IM-PERATO, I profili penali dello scudo fiscale, in Dir. prat. trib., 2012, I, p. 1210 ss.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 4/2014 990

cativo tale concetto presenta il limite di non essere sempre idoneo a qualificare ex ante i soggetti di cui si tratta.

Verosimilmente il riferimento è al concetto elaborato nel diritto commerciale e fallimentare, soprattutto a livello giurisprudenziale.

Del resto non è infrequente che nel diritto tributario si utilizzino termini giuri-dici tipici di altri rami dell’ordinamento 10. In via di prima approssimazione dominus indica un soggetto che è in grado di inci-dere in maniera preponderante sulla gestione societaria.

È possibile quindi identificare alcune categorie di soggetti che, in virtù dei pote-ri che esercitano, possono considerarsi ascrivibili alla figura del dominus. Tra queste, pare possibile annoverare non solo soggetti che rivestono qualifiche formali al-l’interno dell’azienda, come l’amministratore unico, il socio accomandatario di so-cietà in accomandita semplice ed in accomandita per azioni, l’amministratore de-legato o il presidente di società, ma anche soggetti che, pur non rivestendo qualifi-

10 Si tratta di una questione affrontata in dottrina sotto vari profili. Non è questa la sede per sof-fermarsi su questo aspetto, ma possiamo rilevare che è senz’altro superato il dibattito che contrap-poneva (i) chi (UCKMAR, Interpretazione funzionale delle norme tributarie, in Dir. prat. trib., 1949, I, p. 184, BERLIRI, Un concetto superato: l’impiego “ai soli fini fiscali”, in Riv. dir. fin., 1943, p. 100) soste-neva che il rinvio da parte della norma tributaria ad un termine di un altro settore dell’ordinamento implicasse che quel termine dovesse avere lo stesso significato del settore di provenienza e (ii) chi (VANONI, Natura e interpretazione delle leggi tributarie, in Opere giuridiche, I, Milano, 1961, p. 142; GRIZIOTTI, Il teorema della prevalente natura economica degli atti sottoposti ad imp. di registro, in Riv. dir. fin., 1941, II, p. 93) riteneva che il rinvio non fosse al significato definitorio dell’istituto in quel settore ma al fenomeno economico correlato all’istituto stesso. Resta tuttavia chi ritiene (TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Parte generale, Torino, 2003, p. 45; FEDELE, Appunti dalle lezioni di di-ritto tributario, Torino, 2005, p. 112) che il riferimento ad un termine tecnico importi necessaria-mente il riferimento al suo significato nel settore di riferimento e chi, a nostro modo di vedere con-divisibilmente, distingue caso da caso (FANTOZZI, Diritto tributario, Torino, 2003, p. 230; FREGNI, Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998, pp. 6 ss. e 213 ss.; LUPI, Società, diritto e tributi, Milano, 2005, p. 30 ss.). Ci sembra infatti opportuno superare il formalismo del linguaggio giuridi-co. Una “legge che non ammette ignoranza” deve mantenere qualche collegamento col linguaggio comune. Nella trama del linguaggio comune si inseriscono alcune espressioni ad elevato grado di tecnicismo ma si tratta comunque di espressioni che, nella disciplina giuridica, possono assumere significati diversi da quelli ordinari, ma che non attribuiscono al linguaggio giuridico quello status formale e quel carattere di universalità tipico dei linguaggi con cui si esprimono le scienze sperimen-tali (si veda SCARPELLI, Contributo alla semantica del linguaggio normativo, Milano, 1985, p. 51, per il quale il linguaggio giuridico è un linguaggio non formalizzato; analogamente Luzzati, L’interprete e il legislatore, Milano, 1999, p. 599 ss.). È fuorviante chiedersi se, in astratto, un singolo termine lingui-stico sia “preciso” o “impreciso”. Tutti i termini linguistici possono essere, infatti, a seconda dei casi, più o meno precisi. È quindi sterile qualsiasi tentativo di innestare sul diritto linguaggi formalizzabili, come quelli della matematica o della logica simbolica (si vedano in questo senso le interessanti con-siderazioni di LUPI, op. cit., p. 30 ss.). Nel caso che stiamo affrontando è evidente che l’utilizzo del termine dominus non possiamo che spiegarlo facendo riferimento agli ambiti giuridici dove più vie-ne utilizzato e per tale ragione nel testo indagheremo le principali posizioni interpretative sviluppa-tesi nell’ambito del diritto commerciale e fallimentare. Ma resta il fatto che tale indagine va svolta senza formalismi, caso per caso.

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Cass. pen., sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 44003 991

che formali, siano in grado di influenzare la vita sociale, come il socio di maggio-ranza, vero o occulto, di società di capitali o l’amministratore di fatto, o il socio che comunque eserciti una influenza notevole sulle attività della società (magari per-ché socio di maggioranza di altra società che ne detiene il controllo) o il socio delle s.r.l. unipersonali, data la sostanziale coincidenza degli interessi della società e del socio.

Ai fini che qui interessano, dunque, riteniamo che Agenzia delle Entrate e Cor-te di Cassazione nel riferirsi alla qualifica di dominus abbiano inteso riferirsi anche a chi, pur in carenza della necessaria qualifica formale, eserciti in concreto il potere di gestione e direzione dell’impresa.

Il tema sottostante allo studio della figura del dominus, ai nostri fini, ruota attorno alla distinzione tra la concezione formale e quella funzionale nell’individuazione dei soggetti responsabili all’interno delle organizzazioni societarie e ciò soprattutto con riguardo alla necessità di una qualifica formale in capo al soggetto attivo dei reati so-cietari e tributari, pena la violazione del principio di legalità e tipicità 11.

In realtà la responsabilità penale è stata da tempo estesa, secondo, appunto, una logica funzionale, ai soggetti privi di una qualifica formale, ma si è trattato più che altro di una estensione a titolo di concorso, ovvero non ad excludendum del soggetto che riveste la qualifica formale 12.

Peraltro quello tributario – tornando per un momento al nostro ambito di inda-gine – è il reato d’impresa che maggiormente resiste alla configurazione dell’ammi-nistratore di fatto come soggetto attivo esclusivo, nonostante la legge contempli, ex-pressis verbis, una responsabilità autonoma dell’amministratore non qualificato, sep-pure solo in caso di mancanza del rappresentante legale (v. art. 1, comma 4, D.P.R. n. 322/1998). In questo senso vanno lette quindi le pronunce che hanno aperto ad una responsabilità per reati tributari anche per l’amministratore di fatto solo quan-do vi sia la prova di un’assenza gestionale totale del rappresentante legale: in questi casi il soggetto di diritto è talmente estraneo alla gestione da non esistere e può

11 Sulla necessità di una qualifica formale si v. PEDRAZZI, Sub art. 223 l.fall., in PEDRAZZI-SGUBBI, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, in Commentario Scialoja-Branca. Legge fallimentare, a cura di Galgano, Bologna, 1995, p. 268; ALESSANDRI, (voce) Impresa (resp. pen.) in Dig. disc. pen., 1992, VI, p. 206. Più orientati verso una prospettiva funzionalistica CASAROLI, Ban-carotta c.d. impropria: note su alcuni punti chiave in tema di soggetto attivo del reato, in Ind. pen., 1979, p. 221; PAGLIARO, Problemi attuali del diritto penale fallimentare, ivi, 1985, p. 20 ss. Secondo autore-vole dottrina la figura dell’amministratore di fatto ha subito una dilatazione incompatibile con ogni garanzia di tassatività della norma penale, v. CARACCIOLI, Sul continuo allargamento della figura del-l’“amministratore di fatto”, in Impresa, 2005, p. 501 ss.

12 Questo modo di ragionare comporta invero la trasformazione dei poteri di denuncia ex post in poteri impeditivi ex ante. Nei fatti spesso l’amministratore di diritto è in realtà un dipendente del-l’amministratore di fatto ed è esposto a conseguenze pregiudizievoli in caso di frapposizione di osta-coli al progetto criminoso intrapreso dal reale dominus della situazione. Per tale ragione sovente tale soggetto non può esplicare alcun tipo di condotta impeditiva, poiché non ne ha il potere.

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quindi venire sostituito sul banco degli accusati dall’effettivo gestore 13. La ragione più profonda della costruzione presuntiva che lega inscindibilmente

i destini del gestore occulto e dell’amministratore apparente è di matrice probato-ria. La prova della responsabilità degli organi di vertice dell’organizzazione societa-ria è estremamente difficile e pertanto si è spesso raggiunta edificando presunzioni che hanno reso la prova automatica 14.

Più agevole risulta invece la criminalizzazione del vero e proprio amministrato-re di fatto, poiché si tratta di un soggetto operativo, che lascia tracce della propria presenza nell’evoluzione fattuale delle vicende societarie. La sua presenza, con le connesse responsabilità penali, promana dal compimento di atti di amministrazio-ne. L’assetto del sistema (quanto meno a far data dall’introduzione nel 2003 del-l’art. 2639 c.c.) comporta la responsabilizzazione dei soggetti di fatto, anche se at-tivi solo in alcuni settori di gestione, e non più quali estranei nel reato commesso dai soggetti di diritto. Con la riforma societaria del 2003 si è ancor più andati verso un criterio generale di responsabilità da eterodirezione abusiva, secondo la nozio-ne di direzione e coordinamento ricavabile dell’art. 2497 c.c. in materia di gruppi di imprese. Risulta quindi superato il principio per il quale per poter ammettere il fallimento in estensione della capogruppo, qualora insolvente, occorra la spendita del nome.

Da qui anche la proclamata fallibilità, avallata dall’ultima riforma del diritto fal-limentare, di qualsiasi soggetto che risulti dominus della impresa esercitata nomi-nalmente da altri, incluso il socio o la società occulta.

Tornando alla significanza del riferimento al dominus ai fini che qui interessa-no, riteniamo che gli elementi forniti ci conducano (specularmente, rispetto all’in-dagine sopra svolta) ad accoglierne una nozione ampia, che abbracci tutte le figure che abbiano una influenza rilevante, sia essa formale o sostanziale, nell’attività ge-storia della società.

13 Si veda Cass., sez. III, 29 dicembre 1994, in Cass. pen., 1996, p. 2380; Cass., sez. III, 24 no-vembre 1992, in Corr. trib., 1992, p. 3572. Più di recente si veda l’interessante presa di posizione del Trib. Milano, sent. 24 ottobre 2013, n. 11706. Il Tribunale si ispira alla giurisprudenza sulla respon-sabilità dell’amministratore di diritto a fianco del l’amministratore di fatto per rispondere alla do-manda se il prestanome debba comunque rispondere per non avere impedito l’evento. Ebbene, i giudici milanesi escludono anche questa forma di responsabilità, statuendo che l’elemento soggetti-vo «ha un contenuto che deve essere correlato alla concreta situazione in cui il prestanome opera», e invocando a supporto Cass. n. 23425/2011. I giudici superano la tesi nominalistica relativa ai reati tributari. Di recente, tuttavia, in senso contrario, v. Cass. n. 47110/2013, che ha ordinato un nuovo processo per l’amministratore (formale) di una s.r.l. assolto in primo grado. Nonostante il ruolo de-filato “per contratto”, il prestanome, secondo la Corte, riveste una posizione di garanzia che lo vin-cola a conservare il patrimonio sociale e a impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi.

14 IACOVIELLO, La prova della responsabilità dell’amministratore di diritto e dell’amministratore di fatto nella bancarotta fraudolenta, in Fall., 2005, p. 638.

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8. Alcune osservazioni conclusive

La sentenza della Corte di Cassazione sembra aprire ad un interessante approc-cio interpretativo con riguardo agli effetti, anche penali, dell’adesione allo scudo fiscale verso soggetti terzi ed in particolare verso le società di capitali in cui lo scu-dante eserciti un’influenza rilevante.

Il ricorso alla figura del dominus, sulla base delle elaborazioni che ereditiamo dal diritto commerciale e fallimentare, comporta una indagine fattuale da caso a caso non sempre agevole, ma sembra cogliere la ratio dello scudo fiscale, che non può essere quella di salvare il soggetto scudante ed al contempo anche quella di dan-neggiare il “suo mondo”.

Nell’individuare la figura del dominus rilevante ai fini che qui interessano va ac-colta una accezione ampia, che fa ritenere ascrivibile in tale genus una serie piutto-sto nutrita di soggetti che a vario titolo, formale o fattuale, influenzano l’attività ge-storia di una società.

Rientrano quindi, a titolo esemplificativo, in tale nozione l’amministratore unico, il socio accomandatario di società in accomandita semplice ed in accomandita per azioni, l’amministratore delegato o il presidente di società, ma anche soggetti che pur non rivestendo qualifiche formali siano in grado di influenzare la vita sociale, come il socio di maggioranza, vero o occulto, di società di capitali o l’amministratore di fatto, o il socio che comunque esercita una influenza notevole sulla vita della so-cietà (magari perché socio di maggioranza di altra società che detiene il controllo di quella verificata) o il socio delle s.r.l. unipersonali, data la sostanziale coincidenza de-gli interessi della società e del socio. Ebbene per tali soggetti può ipotizzarsi l’operati-vità della causa di esclusione della punibilità apprestata dallo scudo anche in relazio-ne a reati commessi nell’esercizio di funzioni gestorie dell’ente.

Inoltre non va dimenticato che nei casi della specie si può ammettere l’operati-vità della causa di esclusione della punibilità facendo leva altresì sulla copertura «ad ogni effetto» garantita allo scudante, sia per condotte a lui direttamente riferi-bili, sia per condotte a lui imputabili in quanto legale rappresentante di enti, nel caso in cui ovviamente le violazioni presentino un collegamento con gli imponibili regolarizzati.

Antonio Tomassini

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Finito di stampare nel mese di aprile 2015

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