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IL DIBATTITO RIPRESA ECONOMICA: QUANTO, PERCHÉ, PER COSA LA FOTOGALLERY FIRENZE 12-13-14 GIUGNO : LE GIORNATE DEL LAVORO L’ANALISI REDDITO MINIMO, ECCO PERCHÉ VA MESSO A REGIME L’INTERVISTA CAMUSSO: GLI EFFETTI DEL JOBS ACT SULLA SICUREZZA Poste italiane SpA - Spedizione in a. p. - d.l. 353/03 (conv. l.27/02//04 n.46) art. 1, comma 1, Aut. MBPA/C/RM/01/2015 - Euro 2,50 (prezzo di lancio) - Contiene I. R. n.1 2015 LUGLIO IL TEMA DEL MESE E LA CHIAMANO ripresa Ammesso che non ci sia più alcuna ulteriore flessione del Pil nazionale, quanti anni ci vorranno per tornare ai livelli pre-crisi? L’informazione non può star ferma. Si rinnova al passo con i tempi e con le nuove tecnologie. Da gennaio, come sapete, Rassegna Sindacale è diventata il quotidiano online del lavoro della Cgil: dopo l’estate sarà pronto il nuovo sito, completamente rinnovato. E la carta? La carta non scompare. Da questo mese i nostri lettori hanno a disposizione un nuovo strumento: i Materiali di Rassegna Sindacale, realizzato da Edit Coop. In questo mensile potrete trovare il meglio di quanto pubblicato giorno per giorno sul sito di Rassegna: approfondimenti, reportage, campagne, vertenze e informazioni di servizio. Il mensile sarà inoltre il veicolo per le eventuali pubblicazioni realizzate dalle diverse strutture della Cgil, cui offrirà un canale di distribuzione nazionale. Non solo. I Materiali nascono anche come risposta a un’esigenza che ci è stata più volte manifestata: quella di mantenere un luogo “fisico” dove conservare e tenere insieme su un supporto “solido” – la carta – ciò che altrimenti rischia di smarrirsi nel flusso della rete. Buona lettura QUESTO MENSILE © S. CALEO/CGIL 01-MATERIALI-luglio_Layout 1 25/06/15 17.28 Pagina 1

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IL DIBATTITORIPRESA ECONOMICA:QUANTO, PERCHÉ, PER COSA

LA FOTOGALLERYFIRENZE 12-13-14GIUGNO : LE GIORNATEDEL LAVORO

L’ANALISIREDDITO MINIMO,ECCO PERCHÉ VA MESSO A REGIME

L’INTERVISTACAMUSSO: GLI EFFETTIDEL JOBS ACTSULLA SICUREZZA

Poste italiane SpA - Spedizione in a. p. - d.l. 353/03 (conv. l.27/02//04 n.46) art. 1, comma 1, Aut. MBPA/C/RM/01/2015 - Euro 2,50 (prezzo di lancio) - Contiene I. R.

n.12015

LUG

LIO

IL TEMA DEL MESE

ELACHIAMANOripresa

Ammesso che non ci siapiù alcuna ulterioreflessione del Pilnazionale, quanti annici vorranno per tornareai livelli pre-crisi?

L’informazione non può starferma. Si rinnova al passo con itempi e con le nuove tecnologie.Da gennaio, come sapete,Rassegna Sindacale è diventata ilquotidiano online del lavoro dellaCgil: dopo l’estate sarà pronto ilnuovo sito, completamenterinnovato. E la carta? La carta nonscompare. Da questo mese inostri lettori hanno a disposizioneun nuovo strumento: i Materiali diRassegna Sindacale, realizzatoda Edit Coop. In questo mensilepotrete trovare il meglio di quanto pubblicato giorno pergiorno sul sito di Rassegna:approfondimenti, reportage,campagne, vertenze einformazioni di servizio. Il mensilesarà inoltre il veicolo per leeventuali pubblicazioni realizzatedalle diverse strutture della Cgil, cui offrirà un canale di distribuzione nazionale. Nonsolo. I Materiali nascono anchecome risposta a un’esigenza checi è stata più volte manifestata:quella di mantenere un luogo“fisico” dove conservare e tenereinsieme su un supporto “solido” –la carta – ciò che altrimenti rischiadi smarrirsi nel flusso della rete.Buona lettura

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MaterialidirassegnasindacaleDirettore responsabile Guido IoccaEditoreEdit. Coop. società cooperativa di giornalisti,Via dei Frentani 4/a, 00185 - Roma

Iscritta al reg. naz. Stampa n. 76/2015Proprietà della testataEdiesse SrlUfficio abbonamenti06/44888201 [email protected] vendite06/44888228 [email protected]

Grafica e impaginazioneMassimiliano Acerra, Cristina Izzo, Ilaria LongoStampaSpadamedia - Ciampino (Rm)Chiuso in tipografia 26 giugno 2015 ore 13

Il trend delle elezioniamministrative ha rivelato una

spiacevole verità: non hafondamento alcuno la leggendache almeno con Renzi si vince.Egli ha oggi meno voti delmalandato Pd del 2010. Anche a“Repubblica” cominciano adaccorgersene e scrivono delledifficoltà di “Matteo senzaterra”.Dubitano persino che il carisma(quale?) sia sufficiente per laconquista di un consenso cherichiede politica, radicamento,gruppi dirigenti. Che l’astensionismo deilavoratori e degli insegnanti, oltre che le urne,abbia coinvolto anche le edicole, costringendo ilquotidiano diretto da Ezio Mauro a più miticonsigli sulle virtù del suo energico, imbattibile“Renzi performer”?Renzi, uno (personaggio mitico, castigatoreirriverente del vecchio potere) o due(imborghesito e mediatore, cioè politico comegli altri, intrappolato tra le istituzioni) che sia,non può liberare “la terra” dalla rete clientelareche l’avvolge, semplicemente perché sonoproprio i sindaci o i governatori che controllanoil territorio ad averlo appoggiato. Ognisegretario, per vincere le primarie, ha bisognodei signori dei luoghi, dei notabili che orientanole preferenze. E verso di loro, direbbeMachiavelli, nessun leader può usare “medicineforti, sendo loro obbligati”. Qualsiasi leader, peraggiudicarsi la gara, deve ingraziarsi i cacicchi. Edunque, è ancora Machiavelli a spiegarlo, ancheun capo “fortissimo”, per farcela a conquistare igradi, “ha bisogno del favore di provinciali adintrare in una provincia”.Soprattutto chi ha “scalato” un partito (e sul cuicarro sono saliti tutti i vecchi notabili: Bassolino,Burlando, Franceschini, Fioroni, Bettini, DeLuca, Emiliano, Marino, La Torre, Fassino,Chiamparino, Veltroni, Testa, Ranieri), è schiavodei padroni del territorio. Oltre che succube deipadroni dei media, che lo hanno rifornito dimunizioni infinite (e in cambio hanno ricevuto ilJobs Act, e persino la possibilità di spiare laprivacy dei lavoratori). Non c’è alcuna differenza

tra Renzi uno e Renzi due:entrambi hanno gli stessireferenti, e non sono quelli dellavoro e della sinistra.Per uscire dai guai, Renzi ricorreal solito trucco, quello, per dirladi nuovo con le espressioni diMachiavelli, di “nutrirsi conastuzia qualche inimicizia”. Eallora dagli contro Fassina eD’Attorre, dietro le cui bizze,annuncia, smetterà adesso diandare, per comandare con veropiglio decisionista. Prima di

spezzare le reni alla Francia, Renzi sfiducia ilsindaco di Roma a “Porta a Porta” (con unoscambio di battute con il pubblico!). Peroccupare il partito e rilanciarlo, mobilita ilformidabile trust di cervelli politici costituito daisuoi seguaci di stretta osservanza: Carbone,Ermini, Scalfarotto, Lotti, Serracchiani. Buona fortuna.Le urne hanno restituito un Renzi già cotto, cheparla a vuoto. La sua narrazione sembra giuntaai titoli di coda. Il piffero del parolaio adessocaccia soltanto dei suoni confusi, che scorronosenza alcun peso, leggeri, insignificanti.Appartengono già ad un altro tempo, ad unvecchio spartito. Sembrano pagine di unastagione finita. Sbaglierebbe la sinistra Pd arinunciare all’affondo proprio adesso,pensando che con un Renzi così debole èpossibile venire a patti, per costringerlo alnegoziato e poter ricominciare con la storiadelle mediazioni, del metodo Mattarella.Abbatterlo è impresa meno dannosa chemantenerlo in sella. Al governo, farà solo altriguai. Con l’Italicum e la guerra civile a sinistra,Renzi rischia persino di non arrivare alballottaggio. La minoranza Pd, al cospetto delle tante offese subite su grandi questioniidentitarie, dovrebbe mandare a memoria unverso della “Gerusalemme Liberata”, che piaceva tanto anche a Marx: “Risorgerò nemicoognor più crudo, / cenere anco sepolto e spirtoignudo”. Più debole di adesso, Renzi lo sarà solo dopo il voto, quando scaricarlo sarà ormai troppo tardi.

Dalle urne esce ridimensionata la leggenda del Renzi vincente

di Michele ProsperoLA

RUBRICA

Non c’è alcunadifferenza tra Matteouno e due: entrambi

hanno gli stessireferenti, che nonsono affatto quelli

del lavoro e della sinistra

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Jobs Act, al peggio non c’è mai fine.Non sapremmo come diversamente

commentare la norma con cui ilgoverno ha dato il via liberaall’eliminazione, nell’ambito del decretosemplificazioni, dell’obbligatorietàdell’accordo sindacale relativamenteall’utilizzo da parte di un’impresa disistemi di controllo a distanza dei propridipendenti. L’ennesima offensivasferrata contro il mondo del lavoro –sotto forma di atto deliberatamenteunilaterale – che giunge quando ancoranon è spenta l’eco delle polemiche chehanno accompagnato negli ultimi mesil’iter parlamentare della riformarenziana del lavoro, contribuendo agettare nuova benzina sul fuoco dei giàproblematici rapporti tra Palazzo Chigie Cgil, Cisl e Uil (e inducendo la solaCgil a organizzare una campagna disensibilizzazione con una serie di flash mob in tutto il paese comepunto di forza).“Spionaggio”, “colpo di mano”, attodegno del “Grande Fratello” (quello diorwelliana memoria, ça va sans dire),sono alcuni degli epiteti utilizzati in casasindacale nei riguardi della misuragovernativa. Esagerati allarmismi? Nonproprio. Anzi, a sostegno della levata discudi delle principali sigle confederali cisono almeno due ordini di fondatimotivi. Il decreto infatti, oltre arappresentare un pesante arretramento– in assenza dell’autorizzazionesindacale o di quella delle Direzioniterritoriali del lavoro – rispettoall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori,è in evidente contrasto con laRaccomandazione approvata lo scorso 1° aprile dal Consiglio d’Europa con loscopo di proteggere la privacy deilavoratori, stabilendo limiti ferrei suqualsiasi tipo di controllo operato conmezzi tecnologici.Ce n’è abbastanza insomma persollevare un problema di legittimità neiconfronti del provvedimento. Che lostesso ministro Poletti difende facendouso di argomentazioni non proprio

solidissime. Non saremmo, a giudiziodel titolare del Lavoro, in presenza diuna liberalizzazione dei controlli, ma diuna misura finalizzata ad adeguare lenorme dello Statuto “alle innovazionitecnologiche nel frattempo intervenute”,vale a dire i computer, i cellulari e i tabletdei lavoratori, e agli annessi limiti diutilizzabilità dei dati da questi “nuovi”strumenti (nuovi, naturalmente, a fardata dal 1970) raccolti. E nel tentativo difugare ogni dubbio sulle cattiveintenzioni degli autori del decreto, è lastessa modifica all’articolo 4 della legge300 a chiarire che “non possono essere considerati strumenti di controllo a distanza gli strumenti chevengono assegnati per rendere laprestazione lavorativa”.Ora, ammettendo pure – e con estremadifficoltà – i buoni propositi delministero del Lavoro, un dubbio (per piùdi qualcuno una convinzione) rimane inpiedi: e cioè che da strumenti concepitiper “servire” il lavoratore nella propriaprestazione, i cellulari o i pc possanofacilmente trasformarsi – con l’aggiuntadi appositi software o filtri (e nonsarebbe la prima volta) – in mezzi utili aldatore per controllare l’operato dei suoidipendenti. Un modo francamentediscutibile di adeguare alle esigenzedell’oggi – ma sarebbe più corretto dire:manomettere – la legge 300.Un’involuzione che ha del clamoroso eche non può che preoccupare leorganizzazioni dei lavoratori. Il tutto (equi la beffa è praticamente al culmine)in una fase in cui proprio da parte dellaCgil si rilancia con grande convinzionel’idea di un nuovo Statuto dei lavoratoriche affermi “diritti universali”. Un testofinalizzato all’estensione reale delletutele e per il cui conseguimento a corsod’Italia non si esclude la raccolta di firmeper una legge di iniziativa popolare. Com’era quel vecchio refrain sui governidi centro-sinistra e sulla loro amichevoleacquiescenza nei confronti dei sindacati?Se la faccenda non fosse così seria,verrebbe quasi voglia di scherzarci su.

Un provvedimento che modifica le norme dello Statuto dei lavoratori ed è in evidente contrasto con la Raccomandazione del Consiglio d’Europa sulla privacy

di Guido Iocca

l’editorialeControlli a distanza, l’ennesimoatto unilaterale contro il lavoro

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Nella tradizione popolare, ilgufo viene spessoconsiderato un animale cheporta sfortuna. Come altri

animali notturni, si spera che non simetta a cantare sopra il propriotetto. Eppure, sin dall’antichità, nellacultura di massa, gufi e civettehanno sempre rappresentatosapienza, saggezza, erudizione. Unudito sopraffino e una vistaeccezionale gli permettono di vederebene, lontano, anche nell’oscurità,anche nelle notti più buie.Molti economisti vedononell’inversione di tendenza di alcuniindicatori macroeconomici la tantodesiderata quanto rinviata ripresadell’economia italiana. Un barlumedi speranza sembra provenire dalsegno positivo della dinamicatrimestrale del Pil nazionale(gennaio-marzo 2015, + 0,3%rispetto al trimestre precedente e +0,1% rispetto allo stesso trimestredel 2014). In effetti, dopo 14trimestri di segno negativo o nullo, ilprimo segno positivo appare comeun’importante novità.Per tre anni, bollettini economicidella Banca d’Italia, Rapporti annualiIstat, ma anche Bollettini Bce,Economic outlook del Fmi edell’Ocse hanno parlato di“rallentamento della caduta”. Leprevisioni istituzionali hanno tuttesbagliato ripetutamente epuntualmente l’anno della ripresa.Sta di fatto che dal 2008 al 2014, si ècumulata una caduta del Pil di ben 9punti. Altro che rallentamento. Altroche ripresa. Nello stesso periodo,l’economia mondiale è cresciuta del20,5%, quella americana del 7,9%,mentre l’Eurozona ha registrato unaflessione dello 0,8% (comunque 11volte meno intensa di quellaitaliana), in cui agli estremi sitrovano la Germania (+ 5,2%) e laGrecia (- 28,8%).Considerando, poi, il tasso medioannuo di crescita italiana negli anni2001-2007 (1,2%), se non ci fossestata la crisi il Pil italiano sarebbecresciuto di almeno 17,4 punti negliultimi sette anni. Considerando,invece, le proiezioni del Fmi (aprile

2015) del ritmo di crescita del Pil daqui al 2020, il nostro paese sarà tra ipiù lenti del mondo (185esimo su189 paesi considerati). Il fatto è chel’economia italiana era in declino giàprima della crisi.Tutte le imprese a bassaspecializzazione produttiva e piccoladimensione non hanno retto l’urtodella competizione globale, nétantomeno della crisi. Così,investimenti e produzioni industrialesi sono ridotti del 25% dal 2008 aoggi. Di conseguenza, il tasso didisoccupazione in Italia è passatodal 6,3% dell’ultimo trimestre 2007(pre-crisi) al 13% del primo trimestre2015, contando circa un milione dioccupati in meno e gonfiando laplatea dei disoccupati oltre la sogliadei 3 milioni di persone, a cui vannoaggiunti altri 700 mila disoccupati“potenziali” (scoraggiati, Neet, nuoviinattivi, sottoccupati ecc.).Le recenti statistiche Istat sulle forzedi lavoro nel mese di aprile 2015indicano una riduzionecongiunturale e tendenziale deltasso di disoccupazione di appena0,2 punti e un aumento del tasso dioccupazione di 0,4 punti, che losolleva a quota 56,1%, ma che cimantiene al penultimo posto nellaclassifica dei paesi Ocse. L’ultimarilevazione Istat sui prezzi alconsumo (dati provvisori) di maggio2015 indica un’inflazionetendenziale dello 0,2%, dopo averchiuso il 2014 in deflazione e i primi4 mesi dell’anno ancora con il segno

meno. È la ripresa?Ma soprattutto: cos’è la “ripresa”?Ammesso che non ci sia più alcunaulteriore flessione del Pil nazionale,quanti anni ci vorranno ancora pertornare ai livelli pre-crisi? E,soprattutto, la “ripresa” del Pil sitraduce in un ripristinodell’occupazione perduta? E i salari, i consumi, individuali e collettivi, gli

LUGLIO4

EconomiaE LA CHIAMANORIPRESA

Un miglioramento, comunque,c’è stato. Va da sé che un po’ dicrescita è meglio che niente,ma occorre chiedersi se abbiasenso accalorarsi per questacircostanza. Proviamo a riflettere sulla sua rilevanza

di Paolo Ramazzotti,professore di Politica economicaall’Università di Macerata e vicedirettore del Forum for social economics

Ripresa:quanto, perché, per cosa

di RICCARDO SANNA

IL DIBATTITO

mentol’argo

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investimenti, il benessere, l’equitàsociale, il progresso, lo sviluppo?Occorre, dunque, interrogarsi sulsignificato stesso di “ripresa”. Perfarlo, possiamo affrontare laquestione dal punto di arrivo,anziché da quello di ri-partenza:l’uscita dalla crisi avviene quandosono state disinnescate le causeall’origine della stessa crisi, per impedirne la riproposizione,riformando il modello di crescita edi sviluppo. In questa prospettiva,sono necessarie sapienza, saggezza, ascolto e lungimiranza.Proprio le virtù dei gufi.La profondità dell’analisi, ilconfronto continuo, il rigorescientifico e l’onestà intellettualerestituiscono alla Cgil il merito diaver avvertito subito la vastità diquesta nuova “grande crisi”. La terzain tre secoli e tre rivoluzioniindustriali, ma anche la piùimponente. Sappiamo, infatti, che adandare in crisi è l’intero modello disviluppo globale, dopo la nuova

ALLA FINE LA CRESCITA È ARRIVATA. A dire il vero si tratta di ben poca cosa, lo 0,3%rispetto al trimestre precedente e lo 0,1% rispetto allo stesso trimestre del 2014. C’è stato,comunque, un miglioramento. Va da sé che un po’ di crescita è meglio che niente, maoccorre chiedersi se abbia senso accalorarsi per questa circostanza. Proviamo a rifletteresulla sua rilevanza, sia in sé che per la più generale qualità della vita delle persone.Intanto, merita osservare che, malgrado la politica della Banca centrale europea e lariduzione del prezzo del petrolio, la crescita interna è sostanzialmente riconducibile auna ripresa estera. Da più di quattro anni quel poco di contributo positivoall’andamento del reddito che c’è stato, è dipeso fondamentalmente dalla domandaproveniente dal resto del mondo. In modo particolare, come ci segnala l’ultimoRapporto annuale dell’Istat, nel 2014 sono stati gli Usa che hanno reso possibile laripresa dei paesi avanzati. L’Italia, che l’anno scorso non era riuscita a evitare ilpersistere della recessione – con un tasso di crescita del -0,4% – finalmente ha potutobeneficiare delle migliori condizioni altrui.Il ruolo di “locomotiva” della crescita mondiale è stato a lungo svolto dagli Stati Uniti.Potevano permetterselo decenni addietro, quando il dollaro veniva accettato senzadiscussioni come valuta internazionale, e hanno potuto farlo in periodi più recenti,quando la crescita impetuosa dei mercati finanziari statunitensi ha attratto capitalidall’estero, permettendo di finanziare i disavanzi commerciali americani. Lo scoppiodella crisi, nel 2007-2008, ha portato le autorità di politica economica americane acontravvenire alla tradizione conservatrice che fino a poco tempo prima le avevacontraddistinte.

Andando contro le regole imposte dallasaggezza convenzionale, hanno presomisure espansive che – se non altro percontrasto con quanto è avvenuto in Europa– sono state rilevanti. Rimane da capirequanto tutto ciò potrà continuare. Se unpo’ di pragmatismo ha avuto la megliofinora, non mancano gli interessiconsolidati che privilegiano guadagni –tipicamente, quelli finanziari – disgiuntidalla crescita. Né gli ambienti accademicisembrano avere compreso gli errori diteoria economica alla base delle politicheche hanno causato la crisi.A beneficio di chi? L’andamento del redditoviene solitamente ritenuto importanteperché accresce l’accesso della collettività abeni e servizi e perché la produzione diquesti implica impiego di manodopera,quindi maggiore occupazione. I dati Ocsesulla distribuzione delreddito, tuttavia, segnalano ➲SEGUE PAG.6

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Dal 2008 al 2014, si è cumulata una caduta del Pil di ben 9 punti. Nello stesso periodo si è registrata a livello mondiale una crescita parial 20,5%. Dalla crisi si esce soltanto con una politica economica giusta

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Una crisi innescata dall’accentuazione delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza“l’argomento

“grande trasformazione” delcapitalismo trainata dallaglobalizzazione, dalla tecnologia e,soprattutto, dalla finanza. Ne èdimostrazione il fatto che, ancoraoggi, dinnanzi alla tenue ripresadell’area euro (+ 0,4% nel primotrimestre 2015), si conta un inattesorallentamento dell’economia Usa edi quelle di nuova crescita, tra cuispicca la frenata della Cina. Dal 2007a oggi non c’è mai stato un trimestreconsecutivo in cui si registrassecontemporaneamente un incrementodella produzione nelle economieavanzate e in quelle emergenti.

Come tra enormi “vasi comunicanti”,l’eccesso di sovraproduzione globalecomporta che le grandi areeeconomiche del pianeta si scambinocrescita e recessione, occupazione edepressione, inflazione e deflazione.Dopo sette anni di crisi, i cosiddettisquilibri macroeconomici globaliancora insistono e continuano aevidenziare la crisi di domanda incui è caduta l’economia globale. Unacrisi innescata dall’accentuazionedelle disuguaglianze nelladistribuzione del reddito e dellaricchezza, alimentata dalladegenerazione finanziaria, che ha

inevitabilmente comportato alti livellidi disoccupazione, forti riduzionisalariali, minori investimenti einnovazione. Per questo occorre unnuovo intervento pubblico ineconomia, in Italia come in Europa.Alla radice delle cause della crisi,però, c’è una politica liberista,guidata dal mercantilismo,dall’individualismo e dallaspeculazione finanziaria. Eccoperché le cause all’origine della crisicontinuano ad agire indisturbate.Anzi, la negazione del fallimento delpensiero economico liberista haaddirittura indotto le istituzioni

che negli ultimi anni le disuguaglianze in Italia – già più marcateche in gran parte d’Europa e superiori alla media dei paesi

industriali. I risultati di un’eventuale crescita, quindi, tendono a privilegiarechi già gode di un elevato benessere economico. Quanto ai possibili effetti

occupazionali, occorre distinguere l’effetto della ripresa da quello dei recentiprovvedimenti governativi. Questi ultimi hanno offerto un incentivo fiscale adassumere, combinato con la libertà di licenziare i nuovi assunti quando occorra.È possibile che questa opportunità di precarietà legalizzata finisca per indurre leimprese a sostituire quella che fino a oggi è stata solo precarietà di fatto. Quanto aglieffetti della crescita, può anche darsi che essa induca un qualche aumento delleassunzioni, ma gli stessi dati sulla distribuzione, nonché l’accresciuta precarietà dellecondizioni di lavoro, suggeriscono che i benefici della ripresa saranno limitati: lafacilità con la quale si può licenziare rende difficile contrastare l’aumento dei ritmi e ilpeggioramento delle condizioni lavorative, senza per questo determinare unmiglioramento sul piano delle remunerazioni. Non c’è dubbio che, alla fine, qualcheimpresa possa trarre beneficio da questo stato di cose, ma è dubbio che lo stesso sipossa dire per la generalità della popolazione.La compressione dei redditi delle famiglie non solo costringe queste a risparmiaresempre meno – da tempo va riducendosi la propensione al risparmio – ma riduce ladomanda interna e la conseguente propagazione dell’eventuale crescita del reddito.La speranza di qualcuno è che una maggiore flessibilità nell’impiego della forza lavoropossa favorire la competitività, quindi le esportazioni. Ammesso che gli altri paesisiano disposti ad accrescere i loro disavanzi a nostro vantaggio, una strategia di questo tipo può funzionare? Il fatto è che la possibilità di “raschiare il fondo delbarile” con la riduzione dei costi disincentiva gli sforzi innovativi necessari a soddisfare una domanda di prodotti di qualità elevata: la competitività di costodell’oggi pregiudica quella di qualità del domani.Purtroppo, a ben vedere, il domani è già qui: il declino industriale cui assistiamo è ilprodotto di queste strategie. Insomma, si può anche gioire del recente aumento dello 0,6% degli occupati su base annua (www.istat.it), purché si tenga a mentequanto ha dichiarato il presidente dell’Istat nel presentare la Sintesidel Rapporto annuale 2015: “Conseguire un tasso di occupazione eguale a quello medio europeo significherebbe per il nostro paese un incremento di circa tre milioni e mezzo di occupati”.E la politica economica? A fronte di questa situazione, la politica economica italiana,in linea con quella di vari altri paesi, rinuncia a una spesa pubblica – nazionale, nonchéeuropea – che alimenti la crescita e compensi le sperequazioni di reddito e diricchezza. La filosofia dominante è che occorra tagliarla, rinunciando al ruoloredistributivo delle imposte e dei servizi collettivi. L’effetto è quello di peggiorare laqualità della vita delle fasce di reddito meno agiate. Naturalmente, a giustificazione di

questa scelta vi sono nobili motivi:l’esigenza di ridurre gli sprechi; il rispettodei peraltro discutibili accordi europei.Viene, d’altra parte da chiedersi perché nonaltrettanta attenzione venga prestata aidiritti civili e sociali sanciti dallaCostituzione e perché i “doveri inderogabilidi solidarietà politica, economica e sociale”– possano essere subordinati a istanze che,pur importanti, non hanno lo stesso statusnella nostra Carta.A chiarimento che non di vaghi principi sista trattando merita ricordare, fra i tantipossibili elementi di preoccupazione, chepoco meno di un quarto delle famiglieitaliane vive in condizioni di disagioeconomico, che il 17% dei giovani – fra i 18e 24 anni – non ha conseguito altro che ildiploma di terza media e che il 26,0 percento di quelli tra i 15 e i 29 anni nonstudia e non lavora. Viene naturalechiedersi perché problemi come quelliappena menzionati non trovinoun’adeguata attenzione nel dibattitopolitico. Le spiegazioni possono essere divario genere: disattenzione del cetopolitico; la scelta di strumenti sbagliati per realizzare gli obiettivi comuni; lascelta di obiettivi che non mettono alcentro dell’attenzione le questioni di cui discutiamo qui.Se è vero che, nel nostro mondocomplesso non si può pensare di trovareuna spiegazione valida in assoluto e taleda escludere tutte le altre, nondimenovale la pena fare alcune considerazioni. Ildistacco della politica attuale dalla realtàsociale è un fenomeno acquisito, ma non èsufficiente a spiegare tutto. Sembraentrata in molto senso comune, per

IL DIBATTITO

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europee a moltiplicare la crisiattraverso le politiche dell’austerità,ovvero rigore fiscale e svalutazionedel lavoro. Serve a pocol’allentamento monetario della Bce.La politica monetaria, per quantonon convenzionale, non risolve ivuoti della domanda aggregata.Senza una politica fiscale espansivanon è possibile creare nuovaoccupazione, nuovi redditi, nuoviinvestimenti, nuovi consumi. Persinola Banca d’Italia e l’Istat hannorecentemente stimato che lapossibile crescita del Pil italiano èdovuta in larghissima parte ai

potenziali effetti positivi sugliscambi di merci e capitali dovuti allariduzione del costo del petrolio ealla svalutazione competitiva dellamoneta unica dettata dalQuantitative Easing europeo. Etuttavia, a marzo di quest’anno ilprezzo del Brent torna a salire e dafebbraio è iniziato l’aumento deitassi di interesse a lungo terminenegli Stati Uniti, che sconta unriapprezzamento del tasso di cambiodell’euro nei confronti del dollaro.Si può negare la crisi, si può anchenegare il dialogo o, semplicemente,l’ascolto con chi resta in allerta sulla

crisi e propone soluzioni diverse daquelle del governo. Ma la crisi restae continua a generaredisoccupazione, povertà, dissestosociale, disordine geopolitico eindebolimento delle istituzionidemocratiche. Anzi, scommettere suuna fiducia delle famiglie e delleimprese fondata su unamistificazione della realtà e suun’ipnosi mediatica – anziché suaspettative reali di lavoro e direddito – produce solo nuove bollespeculative e illusioni socialmentecontroproducenti. Il cuore duoleanche se l’occhio non vede. •

esempio, l’idea che l’Italia debba conformarsi alle indicazioni della Commissione eche i vincoli istituzionali europei non possano essere contestati e cambiati. D’altra parte, senza essere economisti, basta consultare alcuni siti Internet (fra gli altri: www.sbilanciamoci.org; www.economiaepolitica.it;www.euromemo.eu) per vedere che esistono tante opzioni alternative di politicaeconomica, solo che le si voglia prendere in considerazione.Un nuovo modello di società. In realtà, il problema di fondo sembra riguardare ilmodello di società che le autorità di politica economica perseguono. Con coerenzapiù o meno pronunciata tutti i governi che si sono succeduti in questi anni – daquelli di centro-destra a quello “tecnico” di Monti, fino all’attuale – si sono adoperatiper ridurre l’intervento pubblico e per avvicinarlo a una logica di mercato: per lepensioni si è promosso il criterio della capitalizzazione da integrare con pensioniprivate; per la sanità si proceduto a una progressiva riduzione della spesa, quindi dimolti servizi – basti pensare alle lunghe liste d’attesa per visite specialisticherilevabili anche in regioni e province ritenute “efficienti” – così da sospingere versole prestazioni di operatori privati; per l’università si è ridotto il finanziamentopubblico, invitando gli atenei a cercare risorse presso i privati; un discorso analogolo si è fatto per la scuola, mentre si procedeva all’aumento dei fondi a disposizionedelle scuole private. Sul mercato del lavoro, infine, all’obiettivo di una pienaoccupazione, di cui lo Stato doveva essere il garante di ultima istanza, si è sostituito quello di un’elevata precarietà occupazionale associata a sussidi di disoccupazione decrescenti nel tempo.La logica dietro tutte queste politiche non è solo quella delle privatizzazioni e dellasostituzione di prestazioni private a quelle pubbliche. Di fatto, quello che sipropone è una profonda trasformazione istituzionale della società.Con la giustificazione, accattivante quanto pretestuosa, che gli individui vannoposti di fronte alle loro responsabilità – di non sprecare le risorse pubbliche, di non rimanere disoccupati a carico della collettività ecc. – si propone un modellodi società nel quale la responsabilità del disagio economico viene attribuita, fatte salve alcune eccezioni, alle sole condotte dei singoli. La disoccupazione èprovocata non dall’assenza di posti di lavoro, ma da chi non si decide ad accettare un impiego. Una pensione insufficiente non dipende dalla difficoltà atrovare lavoro o dalle remunerazioni insufficienti, ma dalle scelte individuali di non effettuare versamenti pensionistici adeguati.Chi ricorre al sistema sanitario nazionale probabilmente non ne ha bisogno, per cui occorre disincentivarlo con liste d’attesa e ticket, anche se ciò porta aprivilegiare la cura – quando è ormai inevitabile – ai programmi di diagnosiprecoce e di prevenzione. Chi fa ricerca nelle università è bene che si attenga alleesigenze dei privati, anche se questi si guarderanno bene dal finanziare studiindipendenti sugli effetti di lungo periodo degli Ogm, delle onde

elettromagnetiche dei cellulari, deifarmaci introdotti dalle casefarmaceutiche ecc. Quanto alla scuola,un’istruzione congeniale agli interessiprivati porta, nel migliore dei casi, aprivilegiare la formazione professionale,ma certo non favorisce l’offerta di queglistrumenti culturali che, pur non generatoridi reddito, fanno di un individuo uncittadino consapevole.In sostanza, le politiche attuali mirano ainvertire il ragionamento di MargaretThatcher. L’ex primo ministro ingleseaffermava che la società era solo unconcetto astratto e che erano gli individuiche contavano. Anziché darla per scontata,il mutamento istituzionale in corso mira arendere quanto più possibile concretaquesta affermazione. Punta a desocializzarele persone, a far sì che l’unico criterio diaccesso alle risorse della collettività siaquello privatistico. I diritti socialiscompaiono, in questa prospettiva. Lasolidarietà non fonda il patto sociale, mainterviene residualmente, quando non sia possibile altro che la carità, privata o pubblica che sia.Viene naturale osservare che questo processo – in cui la società èsubordinata all’economia, anziché ilcontrario – non può che rinforzarel’individualismo, il disinteresse per levicende collettive, quindi la disaffezionealla politica e l’astensione dal voto. Inquesta situazione, dibattere sull’entità dellaripresa diventa uno dei tanti passatempi,tanto più interessante in quanto distoglie l’attenzione dalle ragioni per cuiuna ripresa possa essere effettivamentedesiderabile. •

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la fotogallery

Dibattiti, incontri e concerti.“Le Giornate del Lavoro” della Cgil,giunte alla loro seconda edizione(l’anno scorso si tennero a Rimini),hanno invaso il centro di Firenze dal 12al 14 giugno. Tante idee e contributi per provare a immaginare cosa sarà il lavoro di domani, in un dialogo ricco e prolifico con esponenti di primo piano del mondo della politica, della cultura e dello spettacolo(foto di S. Caleo e M. Merlini)

LEGIORNA

FIRENZE 12-13

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NATEDEL

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LUGLIO10

Senza ripresa dell’occupazionesarà difficile ridurre la povertà.

Investire nella crescitadell’occupazione è perciòfondamentale. Non è tuttaviasufficiente. Bassi salari e precarietàdel lavoro, bassa intensitàoccupazionale a livello famigliare epolarizzazione tra famiglie ricche epovere di lavoro, riduzione delladomanda di lavoro nei settoritradizionali a favore di quellitecnologicamente più avanzati,incapacità del sistema scolastico dicompensare le disuguaglianze dipartenza, rischiano di lasciare fuorimolti individui e famiglie anche dauna futura auspicabile ripresa.Se l’obiettivo è anche prevenire ocontrastare la povertà, occorronopolitiche dell’occupazione, e primaancora della formazione, miratealla popolazione con maggioredifficoltà nel mercato del lavoro,sostenute da servizi per l’impiegopreparati adeguatamente, insieme apolitiche che favoriscano laconciliazione tra lavoro remuneratoe responsabilità famigliari. Accantoa politiche del lavoro e dellaformazione mirate ai soggetti più svantaggiati, occorrono,tuttavia, anche forme diintegrazione economica per chi ha un reddito insufficiente.In primo luogo, al fine di evitareche si creino eccessivi squilibri trareddito famigliare e numerositàdella famiglia, occorronotrasferimenti monetari a parzialesostegno del costo dei figli, vuoiuniversali, vuoi, in situazione dicarenza di risorse, mirate allefamiglie a basso reddito, senzadistinzioni categoriali. A questofine, è necessario mettere manoall’insieme delle misure esistenti –assegno al nucleo famigliare,detrazioni per i figli a carico,

assegno per il terzo figlio, il

neonato bonus bebé – perdisegnare una forma ditrasferimento che sia inclusiva esoprattutto non rischi di escludereproprio i più poveri, vuoi perchénon sono lavoratori dipendenti,vuoi perché sono incapienti, vuoiperché non hanno figli tutti minori,o non mettono al mondo un figlionei prossimi tre anni.Una misura di questo generefarebbe uscire dalla povertà unbuon numero di famiglie dilavoratori, che sono tali spessoperché con un reddito modestodevono far fronte ai bisogni di unafamiglia numerosa. È utile a questoproposito tenere a mente che nel2013 in Italia circa un milione e 39mila persone in povertà assolutavivevano in famiglie in cui lapersona di riferimento eradisoccupata (quindi eranoprobabilmente famiglie in cui nonvi era nessun occupato), ma unmilione e 996 mila poveri assolutivivevano in famiglie in cui lapersona di riferimento svolgevauna professione operaia.Le cifre erano più basse, ma noninesistenti, anche in caso dipersona di riferimento impiegata oin altra condizione professionale.L’Italia, in effetti, è uno dei paesieuropei in cui il fenomeno deilavoratori poveri su base famigliareè più diffuso, per l’elevataincidenza delle famigliemonoreddito e per la scarsaefficacia dei trasferimenti legati allapresenza dei figli. Sarebbe ancheutile, oltre che equo, introdurreuna forma di imposta negativa,almeno per compensare gliincapienti delle detrazioni cuiavrebbero teoricamente diritto madi cui, a causa dell’incapienza, nonriescono a fruire.Chi, come il presidente del

Consiglio, parla avventatamente diincostituzionalità di una eventualemisura di reddito minimo per ipoveri, dovrebbe chiedersipiuttosto se non siaincostituzionale non aver previstoforme di compensazione nel casodell’incapienza e se gli stessi 80euro di detrazione fiscalericonosciuti dal suo governo ailavoratori dipendenti a bassoreddito, purché capienti, oltre acostituire una palese ingiustiziaentro la stessa categoria deilavoratori dipendenti, non siconfigurino come una misuraanticostituzionale, perché nonaccessibile a tutti i cittadini chehanno gli stessi requisiti di reddito.Anche una politica abitativa chesostenesse l’accesso alla casa aiceti più modesti avrebbe un forteimpatto contro la povertà. Oggivediamo che, a parità di reddito edi composizione famiglia, avere onon avere accesso a un’abitazionedi edilizia popolare fa unadifferenza enorme sul redditoeffettivamente disponibile. Questemisure ridurrebbero, ma noneliminerebbero la platea di coloroche avrebbero bisogno, per unperiodo più o meno lungo, di unagaranzia di reddito minimo analogaa quella presente da tempo nellastragrande maggioranza dei paesieuropei e anche in altri paesi extra-europei.Ci sono in Italia oltre 6 milioni dipoveri assoluti. Un milione e 438mila sono minori (13% di tutti iminori), 888 mila anziani. Come hosegnalato sopra, circa un milione e39 mila vivono in famiglie in cuinessun adulto è occupato o gliadulti presenti non lavorano perpiù del 20% del loro potenzialeteorico. Il reddito minimo ènecessario per consentire a questi

L’ANALISI

Il contrasto alla povertà richiede una pluralità di interventi tra loro coerenti. Non basta investire nell’occupazione. Un trasferimento rivolto ai meno abbienti serve nell’immediato

REDDITO MINIMO,ecco perché va messoSUBITO A REGIMEdi Chiara Saraceno*

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individui e famiglie l’accesso aiconsumi di base mentre si dannoda fare a cercare un lavoro o adacquisire le competenze richieste.È necessario per consentire ai minoriuna crescita adeguata e ilproseguimento della formazione,invece di essere tolti precocementedalla scuola per cercare lavorettinell’economia informale, quando noncriminale. È necessario perché nontutti e non sempre sono in grado dilavorare, anche quando la domandadi lavoro fosse abbondante eriguardasse anche le basse qualifiche.Età matura, carichi famigliari pesanti,problemi di salute possono impediredi presentarsi sul mercato del lavoro orendersi poco appetibili ai potenzialidatori di lavoro. Un reddito minimo,quindi, è necessario sia come ponteverso un’occupazione che dia redditosufficiente, sia come rete diprotezione stabile per chi non ce la fa.Come avviene nella maggior partedei paesi europei che hanno datempo uno strumento di questotipo, una misura di reddito minimodovrebbe essere universale, nonperché rivolta a tutti i cittadini aprescindere dal reddito, ma a tutti icittadini che si trovano al di sottodella soglia di reddito equivalente(cioè commisurato sia alle risorsesia all’ampiezza della famiglia diresidenza) considerataindispensabile. Si può prenderecome riferimento la soglia dellapovertà assoluta, perché menosensibile di quella relativa agliandamenti congiunturali, tenendoconto (come non sembra fare lapur apprezzabile proposta delMovimento 5 Stelle) dellavariabilità del costo della vita tracittà grandi e piccole, centro eperiferia, Nord e Sud.Oppure si possono prendere comeriferimento altri redditi minimi

esistenti nel nostro sistema diprotezione sociale, quali lapensione sociale o la pensioneintegrata al minimo, tenendo,comunque, conto anche dellaricchezza, quindi utilizzando ilnuovo Isee, anche per avere unostrumento omogeneo divalutazione delle risorseeconomiche per tutte leprestazioni, facendo variaresoltanto le soglie a seconda deltipo di prestazione. Il riferimento èalla famiglia anagrafica, sia per iltest dei mezzi che per il calcolodell’importo dell’integrazionereddituale.Il sostegno al reddito si configuracome integrazione del redditodisponibile fino alla soglia definita– non, quindi, una somma ugualeper tutti a prescindere dalladistanza dalla soglia, come nellaproposta di Sel. Per incentivarel’iniziativa individuale e nonscoraggiare dalla ricerca di lavoro,anche a tempo (e reddito) parziale,si può eventualmente prevedereche l’integrazione non cessi deltutto una volta superata la soglia,ma venga ridotta progressivamente.I criteri di assegnazione devonoessere trasparenti e nondiscrezionali.L’accesso deve essere continuo, enon a bando (come è avvenuto perla sperimentazione della nuovacarta acquisti), dato che la cadutain povertà può avvenire inqualsiasi giorno dell’anno. I tempidi verifica devono essereragionevolmente brevi, per evitareindebitamenti o ricorsoall’economia sommersa in attesa diricevere sostegno. E l’erogazionenon deve essere a termine (comeprevedono sia la proposta di M5Ssia quella del Pd di Leva e altri),ma fino a che il bisogno persiste,salvo verifiche periodiche (ogni treo sei mesi) della permanenza dellostesso e della adeguatezza deicomportamenti dei beneficiari.L’integrazione del reddito vaaccompagnata da misure diintegrazione sociale il cuicontenuto specifico varia a secondadelle caratteristiche e i bisogni deibeneficiari, anche all’interno dellastessa famiglia. C’è chi ha solobisogno dell’integrazione di redditoper poter continuare nell’attività diricerca di lavoro o di formazione,chi ha bisogno di orientamento esostegno in questo, chi di entrarein un percorso di riabilitazione, chi di poter accedere a servizi di cura e così via.Nel caso dei minori, la cosa piùimportante è il sostegno allafrequenza scolastica el’arricchimento delle esperienzeeducative, in modo da rafforzare

le loro capacità e interessi,ostacolando la riproduzioneintergenerazionale della povertà.Mentre l’integrazione del redditoha come riferimento la famiglia nelsuo complesso, le misure diintegrazione sociale devono averecome riferimento i singoliindividui. Per questi aspetti nonmonetari occorre mettere in reteassistenti sociali, agenzie perl’impiego, associazioni datoriali,terzo settore nelle sue varie forme, scuola.Il costo di uno strumento di questogenere, comprensivodell’integrazione di reddito e dimisure di integrazione eaccompagnamento, varia a secondadi dove si pone la soglia di accessoe anche se e come vengono attuatele altre misure sopra brevementedescritte. Sulla base di entrambiquesti elementi viene individuatauna platea di potenziali beneficiaripiù o meno grande. Sia laCommissione Guerra che a suotempo aveva elaborato la propostadi Sostegno di inclusione attiva(Sia), sia l’Alleanza contro lapovertà con la proposta di Reis(Reddito di inclusione sociale),avevano suggerito di definire una soglia più bassa di quella della povertà assoluta, salvoinnalzarla gradualmente.Se si integrasse solo la metà delladistanza dalla soglia di povertàassoluta, si stima che il costo siaggirerebbe sul miliardo e700.000-due miliardi annui. Unacifra di tutto rispetto, certo, manon impossibile (si spende moltodi più per gli 80 euro ai lavoratoridipendenti a basso redditoindividuale). Potrebbe ancheessere integrata dalle Regioni e daiComuni, sotto forma di servizi o diintegrazione monetaria, tenendoconto che già oggi essi spendonoper l’assistenza economica. È unacifra molto più bassa di quellaipotizzata nella proposta delMovimento 5 Stelle, che invececonsidera l’intera soglia di povertà,per giunta prendendo comeriferimento la soglia individuataper i grandi Comuni del Nord, 781euro per una persona non anzianasola, 200 euro in più di quantostimato per una persona analogain un grande comune del Mezzogiorno.Tra i due approcci c’è spazio pertrovare una mediazione, purché siconcordi sulla non categorialitàdello strumento e sulla necessità dimettere qualche cosa a regimesubito, senza avviare ennesimesperimentazioni che in Italiasembrano essere solo foglie di ficoper non fare nulla.

*www.eticaeconomia.it

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Le solite sorprese. Come ogni anno,in concomitanza con l’uscita dei

dati delle dichiarazioni fiscali da partedel Dipartimento delle Finanze, siassiste a un ricorsivo sorprendersi peri bassi redditi medi denunciati dellevarie categorie di professionisti,artigiani, commercianti e, in generale,contribuenti (persone fisiche, societàdi persone, società di capitali)assoggettati agli studi di settore.In questo senso, un esempio, forseestremo, è rappresentato dalleattività di “discoteche, sale da ballo,night clubs e simili”, le quali nel 2013hanno denunciato mediamente unreddito negativo (una perdita) di1.300 euro. Nel 2012 erano riusciti aspuntare un reddito di 100 euroall’anno, risultato importante, vistoche le analisi delle 7 dichiarazioniprecedenti 2005-2011 le avevanoviste sempre in perdita.Visti gli ultimi 9 anni di dichiarazioni,quindi, un proprietario di un nightclub ha tenuto aperta un’attività che,mediamente, gli ha fatto perdere 3mila euro ogni 12 mesi (e poi diceche non ci si rimette a far delbene...). Questi dati riescono ognivolta a stupire dipendenti epensionati, che anche nel 2013hanno versato oltre l’80% dell’Irpeftotale, e a far fiorire commenti sutelegiornali e carta stampata.Commenti che, proprio come i fioridi certe cactacee, durano il tempo diuna giornata, per poi far tornarel’argomento nell’oblio per un altroanno.I dati complessivi. Gli studi di settoresono stati applicati a circa 3,6 milionidi soggetti. Il reddito complessivodichiarato nel 2013, 98 miliardi dieuro, risulta in diminuzione rispettoall’anno precedente, sicuramentesegno della difficoltà nell’affrontare ilsesto anno consecutivo di crisi daparte di autonomi e professionisti. Etuttavia è evidente che i redditidenunciati sono talmente bassi dacostituire quasi un’autodenuncia dievasione fiscale.Evasione fiscale che, è ovvio, ma varicordato, non è appannaggio di tuttii contribuenti, né di tutti i non

dipendenti, si pensi per esempio agli

autonomi che lavorano per imprese.All’interno degli studi, del resto, siassiste a una differenziazionereddituale per categorie, con iprofessionisti che hanno i redditi piùelevati (42.100 euro), seguiti dalleattività manifatturiere e dai servizi(rispettivamente, 29.000 e 23.500euro). Fanalino di coda in questaclassifica sono i commercianti, che denunciano in media 17.500euro annui.Per quanto riguarda i dipendenti, ilreddito medio è pari a circa 21.370euro all’anno, con notevoli differenzetra i dipendenti di persone fisiche esocietà di persone, reddito medio di12.260 euro, e i dipendenti dellapubblica amministrazione edipendenti di società di capitali, che hanno un reddito medio di 23.280 euro annui.Niente di nuovo. Guardassimo allestatistiche degli scorsi anni,troveremmo dati simili, al nettodell’abbassamento medio dei valoriprovocato dalla crisi. Al di là dellacosternazione, ci pare quindievidente che ci sono ancoragrandi passi da fare nella lottaall’evasione fiscale. A cominciaredal contributo che potrebbe darela legge delega, approvata loscorso anno.Quest’ultima dovrebbe avere tra i suoiscopi anche quello di migliorare la taxcompliance, la fedeltà fiscale,puntando verso la fatturazioneelettronica e l’utilizzo delle banchedati dell’Agenzia delle entrate perindividuare gli evasori. La fatturazioneelettronica, però, appare un obiettivodi lungo termine, visto il sistema

italiano e la diffusione dellamicroimpresa e dell’impresa familiare,poco avvezze all’innovazione.E invece la fatturazione elettronicaconsentirebbe la completatracciabilità delle transazioni, sia neivari passaggi B2B (Business tobusiness, da azienda ad azienda) chenei confronti del cliente finale,rendendo assai difficile l’evasioneIva: quindi, a cascata, l’evasione Ires,Irap, Irpef. Senza contare checostituirebbe anche una diminuzionedei costi e degli adempimenti.Tuttavia, perché vada a regime talesistema, ci sarà bisogno di tempo,anche perché i costi iniziali non sonoirrilevanti e perché la fatturazioneelettronica funziona davvero solo setutto il sistema vi aderisce.Sarebbe utile quindi prevedere deipassaggi intermedi di immediataapplicazione, come la trasmissionetelematica degli incassi, oraprevista –come opzione – solo perla grande distribuzione, el’incentivo della monetaelettronica. La trasmissionetelematica non incide nei rapportitra aziende, implicando invecesolo un diverso rapporto tra lasingola azienda e leamministrazioni tributarie. Affidarsisolo ai controlli per accertarel’evasione già consumata è unastrategia perdente, per la scarsaprobabilità dei controlli, per ledifficoltà della riscossione(Equitalia ha, per legge, strumentiinferiori a un creditore privato) eper le possibilità di insolvenza efallimenti, veri o “pilotati”.La storia ci insegna che riformeincompiute, non portate a termine onon strutturate, possono facilmenteessere cancellate in nome dellasemplificazione, della privacy o dellatroppo elevata pressione fiscale (chein Italia è effettivamente alta, ma soloper chi le tasse le paga).Paradigmatica appare la storia dellatracciabilità dei distributoriautomatici, prevista nel 2007 ecancellata dal governo Berlusconiancor prima che entrasse in vigore.È quindi necessaria una volontàpolitica chiara, e si deve agire perprevenire l’infedeltà fiscale e nonsolo per punire una volta che ildanno è stato fatto, a costo diinimicarsi qualche categoria che datroppo tempo non partecipa comepotrebbe al funzionamento delloStato. Perchè se è vero che unasettimana all’anno, dopo cheescono le statistiche delle Finanze,monta l’indignazione verso glievasori, questi stessi evasori, per 52settimane all’anno utilizzano benipubblici, servizi sanitari, istruzione,prestazioni di welfare pagate daaltri. Altri che, di solito, sonomediamente meno ricchi di loro. •

EVASIONE

Fisco, costernazionea parte ci sono ancora MOLTI PASSI DA FAREdi Cristian Perniciano La legge delega, approvata

lo scorso anno, dovrebbe averetra i suoi scopi anche quello di migliorare la tax compliance,puntando verso la fatturazioneelettronica e l’utilizzo delle banche dati dell’Agenziadelle entrate

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“Anche il sindacato devecambiare”. Quante volte

l’abbiamo detto, ma soprattuttoquante volte ce lo siamo sentitiripetere in questi anni. “Tutto cambiatranne voi”. E spesso quelli che ce lodicevano alzavano il dito indice conaria di rimprovero. Con l’accusa,implicita ma anche a volte esplicita, diessere retrogradi, conservatori,irrimediabilmente nostalgici deigloriosi anni d’oro del sindacato.Insomma, quelli del telefono agettone, del mangianastri e della FiatCentoventotto.In verità, è impossibile incontrarequalcuno, in Cgil, che si pronuncicontro il cambiamento e la suanecessità. La consapevolezza che moltecose non funzionano nella complessamacchina di quella che nonostantetutto rimane la più grandeorganizzazione di massa del nostroPaese, è ampiamente diffusa. Quandoperò si passa a discutere non più secambiare, ma come cambiare, le cose sicomplicano enormemente. Non ci sonosolo visioni diverse, ma anche visionispesso un po’ nebulose, nel senso chenon se ne comprende bene l’orizzonte.I distinguo si moltiplicano, riflettendoinesorabilmente la grandearticolazione, territoriale e funzionale,di un corpo organizzativo da tempocaratterizzato da legami sempre piùdeboli, con tutti i vantaggi ma anchele criticità che questo comporta.Cosicché, alla fine, gli unicicambiamenti che appaiono realmentea portata di mano rischiano anche diessere, spesso, cambiamenti diportata limitata. Ci sarebbe, per laverità, un tipo di cambiamentoabbastanza facile da perseguire, ma èun tipo di cambiamento che lastragrande maggioranza della Cgil –giustamente credo – respinge.

È il cambiamento di tipo “adattativo”,che porterebbe sostanzialmente adadeguarsi alle modificazioni già ingran parte intervenute, o comunquein corso, nel sistema dellarappresentanza politica edistituzionale. Del resto, larappresentanza sociale è stataefficacemente raffigurata come ilterzo lato di un unico triangolo delquale partiti e istituzioni costituisconoi rimanenti due lati. Difficileimmaginare che possano, nel lungoperiodo, perseguire orizzonti emodelli organizzativi radicalmentediversi. Il triangolo non può rimanerea lungo spezzato, prima o poi i suoilati si ricompongono in un nuovocompromesso.Diversi studiosi hanno ben descritto ilcambiamento in corso nel sistemapolitico istituzionale. Si potrebbe cosìriassumere, in “pillole”: i poteri -istituzionali e non solo - si accentranoverticalmente a livello sovranazionale,verso luoghi sempre più difficilmenteidentificabili, e contemporaneamentesi concentrano negli organismiesecutivi; il modello delegato e“parlamentare” della democraziaperde consenso, da molti non vienepiù giudicato adeguato a risponderecon efficienza ai tempi brevi dellacomunicazione e della decisione in unmondo non solo globalizzato macostantemente “online”; finita, forseormai irrimediabilmente, la stagionedei grandi partiti di massa, i partititornano ad essere null’altro chearticolazioni organizzative deisoggetti istituzionali, il cui compitoprincipale si esplica nel momentoelettorale, quando funzionanosostanzialmente da “agenzie direclutamento che individuano deicandidati alle varie cariche pubbliche”(P. Ignazi in Aa.vv., “Il triangolo rotto”,Laterza, 2013); si afferma in questoquadro la centralità del rapportodiretto tra chi governa e l’opinionepubblica, ovvero il popolo.Ovvio che in un quadro di questogenere risulti fortemente compressolo spazio della rappresentanzasociale, alla quale non si riconosce piùalcuna valenza di carattere generale,ma solo, al massimo, di legittimatutela di interessi molto parziali. Inuna logica di “adattamento”, l’unicospazio vero che rimane per un

soggetto della rappresentanza socialeè quindi quello di misurarsi a livellodecentrato, territoriale maprevalentemente aziendale, suglieffetti delle scelte politiche e socialialle quali gli è stata comunquepreclusa la possibilità di concorrere.È senz’altro una forma dirappresentanza degli interessi, ma chesi svolge dentro un recinto talmenteangusto, talmente parziale e limitato,da indurre inesorabilmente scelte ecomportamenti di caratterecorporativo. Ci possiamoscommettere: quegli stessi che oggi cisuggeriscono di imboccare questastrada sarebbero a quel punto i primipronti a rialzare il dito del rimproveroper accusarci di tutelare interessitroppo ristretti e quindi corporativi.Per tanti motivi, si tratterebbe di unaprospettiva del tutto indigeribile peruna organizzazione come la Cgil, cheha troppo radicato nel proprio dna iltema del nesso tra rappresentanzaparziale e rappresentanza generaleMa tra il non accettare questa deriva eil costruire davvero una diversaprospettiva di cambiamento, chetenga comunque conto di un quadrogenerale profondamente mutato, c’èun salto difficile da compiere. Cosìche spesso il rischio diventa, inassenza di alternative chiare econdivise, quello di rimaneresostanzialmente ancorati a modelli delpassato, alla riproposizione di ricetteche in altre epoche furono vincenti eche proprio per questo risulta difficileabbandonare. Magari rimuovendo,sostanzialmente, la portata deicambiamenti avvenuti in questi anni,non solo nel sistema politico-istituzionale, ma anche in quelloeconomico-sociale.Servono dunque idee davvero nuove,oltre che alternative a quelcambiamento adattivo che ho provatoa descrivere. Alla loro genesi, uncontributo possono offrirlo le ricerche“sul campo” compiute in questi mesida alcuni Ires regionali. Mi riferisco inparticolare a due di queste: quella diDavide Dazzi su “I delegati sindacali inEmilia-Romagna” e quella di VladimiroSoli e altri “Sindacalisti e politica.Un’inchiesta tra Veneto e Lombardia.Il valore di queste ricerche stasoprattutto nella loro capacità diaffrontare in modo “vivo”, attraversole parole e le risposte di numerosidelegati e funzionari sindacali, alcuninodi che stanno al centro anche dellaormai imminente conferenzad’organizzazione della Cgil: ilrapporto tra sindacato e politica; laqualità dei percorsi decisionali, quindila qualità della democrazia; la capacitàdi inclusione sociale, cioè di andareoltre il campo nel quale il sindacato èabituato ad esercitare la propriafunzione di rappresentanza. •

*Ere. Emilia Romagna Europa

SINDACATO

È impossibile incontrarequalcuno, in Cgil, che si pronuncicontro il cambiamento e la sua necessità. Quando però si passa a discutere di come cambiare, le cose si complicano

IDEE NUOVEper l’inclusione socialedi Giuliano Guietti*

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Gli effetti sulla sicurezza deilavoratori derivanti dal Jobs Act, la

valorizzazione del ruolo contrattualedei Rls, le resistenze di Confindustriasul piano dei rischi psico-sociali, lanecessità di una nuova organizzazionedel lavoro per attutire i colpi derivantidall’allungamento dell’etàpensionabile. È un’intervista a tuttocampo quella realizzata con lasegretaria generale Cgil SusannaCamusso sui temi della salute esicurezza sul lavoro: una panoramicasulle principali questioni, in cui emergecon chiarezza l’impegno che ilsindacato prodiga nella costruzione diuna vera “cultura della sicurezza”.L’approvazione del Jobs Act avrà notevolieffetti sulle condizioni generali e anche suquelle di salute e sicurezza dei lavoratori edelle lavoratrici. Oltre a quelle suilicenziamenti facilitati e sul contratto atutele crescenti, basti pensare alle misuresul demansionamento e alle loroconseguenze. È possibile, nei luoghi dilavoro, contrastare questa deriva?Anche se ovviamente non lo auspico,mi sembra sia chiaro che lo scenariodelineato sarà davanti ai nostri occhiin poco tempo. Il combinato dispostodella profondissima crisi in atto e lascelta deliberata di abbassamentodelle tutele e dei diritti da parte delgoverno questo ci consegnano.Ovviamente queste scelte nonpotranno non avere conseguenzeanche importanti sulle vite di milionidi lavoratori e lavoratrici di questopaese. Non da ultimo, questosignificherà certamente che, resi gliindividui maggiormente ricattabili,sarà difficile che essi si impegnino perchiedere miglioramenti delle lorocondizioni, ad esempio in relazione aturni e orari, o miglioramenti nelledotazioni produttive degliinsediamenti industriali. Inoltre saràpiù difficile che persone all’interno deiluoghi di lavoro si offrano per il ruolocentrale e faticosissimo di Rls. Per nonparlare di quella fetta di lavoratori over50 e dei molti giovani che sarannodisposti a duri sacrifici pur diconservare il proprio posto di lavoro.Sì, credo proprio che in futuro avremo,purtroppo, un possibile aumento degli

accadimenti infortunistici e dellemalattie professionali.Gli Rls svolgono un importante ruolo dirappresentanza. Ma spesso, comerilevato anche dagli stessi sindacati, sitrovano a operare in condizioni difficili.Quali azioni può mettere in campo la Cgilper sfruttare pienamente le loro funzioni?La Cgil già ora e quotidianamentesvolge un’azione di rafforzamento,valorizzazione, formazione dei propriRls. La svolgono le strutture territoriali,e anche le categorie. Il problema è chea volte le politiche contrattuali a tutti ilivelli hanno recepito poco le istanze ele esigenze dei nostri Rls, relegandotalvolta il loro ruolo in una separazioneimproduttiva e anche impropria.Dobbiamo riportare gli Rls al lorocorretto ruolo, che non è solo quello ditecnici, ma anche di persone chedevono portare le istanze dei lavoratorinel vivo della contrattazione. E devonoessere considerati come parteintegrante della rappresentanza.È in corso un’importante negoziazionecon Confindustria per giungere a unaccordo interconfederale su salute esicurezza e relativa rappresentanza nelmondo industriale, che seguirebbefinalmente a quello del giugno scorso suitemi della rappresentanza più generale.Quali sono i punti che la Cgil considerairrinunciabili per arrivare all’intesa?Sono soddisfatta che, alla fine di unlungo processo negoziale durato benotto anni, sembra si sia in diritturad’arrivo per questa intesa. Noi abbiamoposto due problemi di fondo, cuiesigiamo sia data una risposta positiva:il primo è l’allargamento dellarappresentanza dei lavoratori per lasicurezza in tutte le aziende delcomparto industriale, incluse quellepiccole, attraverso l’adozione del Rlst

come già avviene nel compartodell’artigianato; la seconda è lariconduzione della figura del Rls dentrole rappresentanze sindacali nei luoghidi lavoro. Credo che per le nostrecontroparti sia una grossa scommessa,ma è il naturale epilogo di ciò cheabbiamo cominciato a fare con il testounico sulla rappresentanza. I temi della sicurezza sono fatti vivere pocoin sede di contrattazione. Come valorizzarequesta materia nella contrattazione di categoria, di filiera, di sito?Come accennavo, non considerandoquesti temi e le persone che se neoccupano altro dalla politica sindacalee dalla nostra rappresentanza. E poi,provando a fare più contrattazioneinclusiva, ossia cercando di tenereinsieme o riunire tutte le parti delmondo del lavoro che adesso sonodisperse nella filiera produttiva, semprepiù polverizzata. Si può fare con un tipodi contrattazione innovativa, cherichiede uno sforzo evolutivo in primisalla nostra organizzazione e unacomprensione dei meccanismi chesono molto mutati. Ciò richiederà,inoltre, un impegno unitario e unaggiornamento culturale anche dellecontroparti, con una attenzioneparticolare al mondo degli appalti.L’allungamento dell’età pensionabile,conseguenza della riforma Fornero, haovvie ricadute sulla salute e sicurezza,anche in considerazione del generaleprogressivo invecchiamento degli addetti.Come intervenire?La cosa più semplice, e insieme piùcomplicata, è riuscire adaccompagnare il percorso lavorativodelle persone con un’organizzazionedel lavoro adeguata e flessibile per leloro esigenze, ad esempio attraversocambi di mansione o differenziazionedei ritmi. Mi rendo conto chesembrano soluzioni difficili, ancor piùse paragonate ai problemi dioccupazione ed espulsione dal mondo del lavoro di fronte ai quali citroviamo oggi.Da qualche anno si pone sempre piùattenzione ai “nuovi rischi”: lo stresslavoro correlato, il burn-out, i disagipsicosociali. Sono fenomeni ineliminabili,legati alle “naturali” trasformazioni delmondo del lavoro, o storture che sipossono e debbono correggere?Nel nostro paese c’è ancora moltaresistenza al concetto di rischipsicosociali, soprattutto da parte diConfindustria. Non sono fenomeninaturali: la gran parte deriva da erroriorganizzativi e di gestione, quando nonda veri e propri episodi di sopruso.Sono storture che si possonocorreggere con il contributo anchedelle professionalità scientifiche emediche, oltre che con l’attentavigilanza e denuncia. È una frontiera sucui si gioca una parte rilevante dellasalute nel lavoro, che è diventatosempre più complesso e terziarizzato. •

L’INTERVISTA

CAMUSSO, gli effetti del Jobs Act sulla sicurezza NEI LUOGHI DI LAVOROdi Marco Togna Il provvedimento rende più

ricattabili gli addetti e faràcrescere infortuni e malattieprofessionali, spiega la segretariagenerale Cgil. Decisivo il ruolodegli Rls, che devono rientrare a pieno titolo nel vivo della contrattazione

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