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Alberto Rinaldini già docente di Storia e Filosofia al Liceo Mazzini Il fenomeno dell’immigrazione “ Mai, prima della nostra epoca, si erano visti tanti sradicamenti. La migrazione forzata o scelta, oltre le frontiere nazionali o dal villaggio alla metropoli, è l’esperienza fondamentale del nostro tempo”.(John Berger) 1. Premessa: migrazione segno dei tempi. Se guardo il tempo che scandisce la mia vita, vedo il fenomeno della migrazione, non come fatto emergenziale, ma strutturale del nostro tempo. Quand’ero bambino conoscevo il nostro emigrare nelle Americhe o in Australia. E chi non ha qualche parente emigrato? Ma, approfondendo il tema della migrazione italiana, si constata che, dall’unificazione politica della penisola, l’onda migratoria italiana non si è più spenta. Sono cambiati i soggetti: prima erano i poveri impoveriti dalle guerre di conquista del Sud Italia o delle regioni venete strappate all’Impero austriaco. Nel secondo dopo guerra l’emigrazione italiana si orientò sull’Europa del Nord. Oggi l’emigrazione si intreccia con l’immigrazione: dall’Italia emigrano i cervelli e in Italia vivono migranti dall’Est europeo, dall’America Latina, dall’Africa e dall’Asia. Ma quale percezione ne ha la gente? Scrive il sociologo Allievi: Nell’immaginario passa l’identità reattiva, tipica di chi si rinchiude nel proprio piccolo mondo. Magari usa il crocefisso come un’arma o nel caso di alcuni immigrati obbliga la famiglia dentro il recinto della comunità. È la rappresentazione alimentata da alcuni media, funzionale alla propaganda. Ma non è certo l’unica. C’è anche un’identità aperta, accogliente e non pregiudiziale. E si sta facendo strada

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Alberto Rinaldini già docente di Storia e Filosofia al Liceo Mazzini

Il fenomeno dell’immigrazione “ Mai, prima della nostra epoca, si erano visti tanti sradicamenti. La migrazione forzata o scelta, oltre le frontiere nazionali o dal villaggio alla metropoli, è l’esperienza fondamentale del nostro tempo”.(John Berger)

1. Premessa: migrazione segno dei tempi. Se guardo il tempo che scandisce la mia vita, vedo il fenomeno della migrazione, non come fatto emergenziale, ma strutturale del nostro tempo. Quand’ero bambino conoscevo il nostro emigrare nelle Americhe o in Australia. E chi non ha qualche parente emigrato? Ma, approfondendo il tema della migrazione italiana, si constata che, dall’unificazione politica della penisola, l’onda migratoria italiana non si è più spenta. Sono cambiati i soggetti: prima erano i poveri impoveriti dalle guerre di conquista del Sud Italia o delle regioni venete strappate all’Impero austriaco. Nel secondo dopo guerra l’emigrazione italiana si orientò sull’Europa del Nord. Oggi l’emigrazione si intreccia con l’immigrazione: dall’Italia emigrano i cervelli e in Italia vivono migranti dall’Est europeo, dall’America Latina, dall’Africa e dall’Asia. Ma quale percezione ne ha la gente? Scrive il sociologo Allievi: “Nell’immaginario passa l’identità reattiva, tipica di chi si rinchiude nel proprio piccolo mondo. Magari usa il crocefisso come un’arma o nel caso di alcuni immigrati obbliga la famiglia dentro il recinto della comunità. È la rappresentazione alimentata da alcuni media, funzionale alla propaganda. Ma non è certo l’unica. C’è anche un’identità aperta, accogliente e non pregiudiziale. E si sta facendo strada

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l’identità proattiva che scorge nella mobilità una risorsa da non disperdere e nella diversità culturale un accrescimento per tutti”. Allargando lo sguardo al mondo le statistiche narrano che 258 milioni di persone sono in movimento. La sedentarietà apre al nomadismo? Il fatto è che tante persone sono in cerca di spazi diversi da quelli in cui sono nate e cresciute. Questo è il colore del nostro tempo. Se non prendiamo atto del fenomeno migratorio siamo fuori dalla storia. Il mondo si mescola e rimescola. Da bambino sentivo cantare “faccetta nera” che ricorda il triste nostro colonialismo. Oggi persone di colore abitano con noi, lavorano con noi, affrontano i nostri problemi. 258 milioni di persone sono in movimento alla ricerca di un pezzo di Terra vivibile. Non siamo regrediti allo stadio in cui l’umanità era solo nomade, ma questo fenomeno della migrazione segna un cambiamento d’epoca. Esploso nell’ultimo trentennio, per quanto riguarda l’Europa e l’Italia come terra di immigrazione, ma risale molto prima nel tempo. Si può addirittura dire che il fenomeno migratorio con diversa modulazione accompagna l’umanità da quando inizia il passaggio alla stanzialità. Marguerite Youicenar usa una bella immagine: “Sembra esserci nell’uomo, come nell’uccello, un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove”. Più direttamente il sociologo Allievi: “ l’homo sapiens sempre più sta diventando (o forse ridiventando: la nostra storia nasce con le tribù nomadi, non quelle stanziali, con i cacciatori e raccoglitori che si spostavano in cerca di cibo e di migliori condizioni di vita, non come con i contadini e poi cittadini) anche homo vagans”. (1) Il fenomeno migratorio come ‘segno dei tempi’ rimanda ad altri segni. Penso ad altri fenomeni che segnano profondamene la nostra epoca: il cambiamento climatico, i processi di globalizzazione, il crescete squilibrio economico tra Nord e Sud del mondo, gli sviluppi demografici inversamente proporzionali alla concentrazione delle risorse. Il collegamento causale di questi fenomeni con i flussi migratori appare evidente. 2. l fenomeno migratorio del terzo millennio La nostra epoca è l’ epoca della globalizzazione e il fenomeno migratorio esprime il movimento delle persone a livello mondiale. L’America del Nord (USA e Canada) - nata da flussi migratori dal Vecchio continente - è ora meta di migranti provenienti dall’America centrale e dal Sud America, dal Medioriente e dall’Africa. Si sta costruendo un muro tra USA e Messico per impedire l’entrata di nuovi migranti?

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Gli Usa egemonizzano economicamente l’America del Sud e bloccano l’arrivo degli sfruttati latino americani? L’America del Sud e la sua tela di stati sono nati nell’800 con la liberazione dalla colonizzazione europea spagnola e portoghese. Spagna e Portogallo arrivano nel Nuovo Mondo prima ancora che altri europei giungano nel Nord America, a partire dalla scoperta dell’America del 1492. Dal 1800 anche l’Italia, a sua volta costruzione storica da popoli immigrati, conobbe la via dell’emigrazione. In modo massiccio a partire dalla fine del secolo. Verso il Sud America, verso il Nord America e verso l’Europa del Nord. L’Africa e l‘Asia - esclusa la Cina – furono suddivisi tra i colonizzatori europei. Una colonizzazione, in particolare franco - inglese, ma anche belga, olandese, tedesca e, per finire, anche italiana. Ora gli africani e asiatici cercano una possibilità di vita più umana nell’Unione Europea e trovano sbarrata la strada da muri o filo spinato. Da due anni la via dei Balcani è bloccata dalla Turchia, ben ripagata dai miliardi di € della Comunità. L’unione Europea nata per includere ora esclude o lascia sola l’Italia ad accogliere i migranti che arrivano attraverso il mare Mediterraneo. L’Europa, vista come un posto sicuro da molti immigrati, diviene una tragica illusione, quando non una tomba. Migliaia di persone hanno perso la vita nel mare nostrum per giungere in Italia e quindi in Europa. Il fenomeno della migrazione è forte anche all’interno dell’Africa dove la guerra è sempre viva tra stati o all’interno degli Stati. Dopo il crollo del muro di Berlino è iniziato il processo migratorio dei paesi dell’ex URRSS verso la Comunità Europea. Nell’Italia dei 6 milioni di migrati, i provenienti dall’est Europa sono il gruppo più consistente. All’Unione Europea guardano l’America Latina, l’Africa, i paesi dell’Asia e dell’Est Europa. Scrive Eugenio Scalfari: “Interi popoli sono in movimento in tutto il pianeta e in modo particolare in Africa, nel vicino Oriente, nell’Asia centrale e nell’Asia del Pacifico. Fuggono da guerre, stragi, povertà; hanno come destinazione i Paesi e i continenti di antica opulenza, suscitando rari sentimenti di accoglienza e molto più frequentemente reazioni di chiusura e respingimento. Questo tema ha ripercussioni sociali, economiche, demografiche, politiche; durerà non meno di mezzo secolo, cambierà il pianeta, sconvolgerà le etnie vigenti, accrescerà ovunque le contraddizioni che sono il tratto distintivo della nostra specie; tenderà ad avvicinare le diverse religioni ma contemporaneamente ecciterà i fondamentalismi e i terrorismi che ne derivano”. E’ in atto non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento di epoca.

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3. Cause del fenomeno migratorio “globale”. * Economiche (per sfuggire alla povertà, per cercare migliori condizioni di vita cioè lasciare il proprio paese per vivere meglio); * alimentari (per una mancanza di cibo tale da non soddisfare il minimo necessario per la sopravvivenza); * climatiche (a causa di sconvolgimenti ambientali come la siccità); * politiche (dittature, persecuzioni, soprusi, guerre, genocidi, pulizia etnica) ; * religiose (impossibilità di praticare il proprio culto religioso); * derivate da disastri naturali (tsunami, alluvioni, terremoti, carestie); * personali (scelta ideologica, fidanzamento con un partner residente in un altro paese); * di tipo sentimentale (riunificazione familiare); * di tipo criminale: (a) fuga (per sfuggire alla giustizia del proprio paese, per evitare un arresto); (b) attrazione (per ottenere risultati migliori dalla propria attività malavitosa); * per istruzione (per frequentare una scuola e conseguire un titolo di studio, garantire ai propri figli un'istruzione,). * in maniera forzata, dove chi migra è vittima della tratta di esseri umani. C’è un passato generatore di molte delle cause indicate - ma non se ne parla, forse perché siamo prigionieri del ‘presente’ - che orienta il fenomeno migratorio: il colonialismo e il neo colonialismo. La scelta del nostro continente come terra di asilo per non europei non è casuale: segue il canale di relazioni creato nel passato da un’Europa che imponeva ai loro popoli la propria forza , la propria religione, le proprie lingue. E anche il proprio commercio. Vanno ricordate anche le recenti guerre per portare la democrazia, perpetrate dagli USA, Gran Bretagna, Francia … con il sostegno di altri paesi membri della Nato, compresa l’Italia. Tutta l’Africa mediterranea è stata smossa o modificata dall’Occidente al tempo delle cosiddette primavere arabe del 2011… Ora ne stiamo pagando le conseguenze: nei paesi “democratizzati con le bombe” è sorto un clima di odio da cui è nato il ribellismo terroristico. La sconfitta della dittatura in Iraq ha generato l’Isis, divenuto “flagello dormiente” del mondo dopo essere stato sconfitto come stato territoriale. Quanto questo sommovimento dell’Africa del Nord e di parte dell’Asia incrementi il fenomeno della migrazione è sotto gi occhi di tutti. Quelle popolazioni guardano l’Europa come possibile meta del loro vivere. Abbiamo paura che gli immigrati rubino il posto di lavoro ai “nostri”? Noi abbiamo derubato quei popoli delle loro ricchezze e le multinazionali del petrolio sono ancora all’opera. E cosa pensare poi

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del vergognoso mercato delle armi vendute a paesi in guerra? E qualcuno ci guadagna due volte: vendita delle armi e ricostruzione post bellica. 4. La grande emigrazione italiana E’ stato un emigrare verso l’Europa e verso l’ America. Precede l'unificazione dell’Italia - Mazzini a Londra insegnava a leggere e a scrivere ai lavoratori italiani emigrati in quella città capitale imperiale – ma diventa fenomeno di massa solo nel 1880. Desumiamo dati e le informazioni in gran parte da Internet.

4.1 Tra il 1880 e il 1915 circa tredici milioni di italiani lasciano l’Italia per trovare una nuova vita in un’altra Patria. Non vi è regione d'Italia che non abbia emigranti. Le mete preferite sono l'Argentina, il Brasile e gli Stati Uniti. Anche il Cile, il Perù, la Colombia e il Venezuela sono viste come terre dove iniziare una nuova vita. Gli italiani sono stati protagonisti del più grande esodo migratorio della storia moderna. Nell’arco di poco più di un secolo, a partire dal 1861, sono emigrati dall’Italia più di ventiquattro milioni di persone . Il dato, va ricordato, non tiene conto dei rientri. Dà tuttavia un’idea della vastità del fenomeno … che tocca tutte le regioni italiane. L’esodo inizia nelle regioni settentrionali tra 1876 e il 1900. Tre regioni fornirono da sole il 47 per cento del contingente migratorio: il Veneto (17,9), il Friuli Venezia Giulia (16,1 per cento) e il Piemonte (12,5 per cento). Nei due decenni successivi il primato migratorio passa alle regioni meridionali con la Sicilia che dette il maggior contributo, 12,8 per cento con 1.126.513 emigranti, seguita dalla Campania con 955.1889 (10,9 per cento).

4.2 Oggi gli italiani sono ancora al primo posto tra i migranti comunitari (1.185.700 di cui 563.000 in Germania, 252.800 in Francia e 216.000 in Belgio) seguiti da portoghesi, spagnoli e greci. Nel 1994 effettuarono la cancellazione anagrafica per l’estero 59.402 italiani con una prevalenza di partenza dall’Italia meridionale e insulare (57 per cento); e la Sicilia è di nuovo la prima regione con 13.615 cancellazioni. (2 )

4.3 L’esodo verso l’Europa e verso l’America. Il mezzogiorno fornì il 90 per cento della propria emigrazione verso le Americhe, privilegiando gli Stati Uniti. Dalle regioni del Nord l’emigrazione transoceanica privilegiò l’America Latina: i Veneti emigrano prevalentemente in Brasile, i piemontesi prevalentemente in Argentina. Dalle regioni dell’Italia centrale l’emigrazione si divise equamente tra stati nordeuropei e mete americane. Caratterizza questa emigrazione l’alto tasso di maschi, la giovane età e la temporaneità. Solo un terzo degli emigrati decise di fermarsi definitivamente

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all’estero negli anni 1861-1940. Si tratta di un esodo di popolazione agraria, prevalentemente analfabeta, Nel 1871 il tasso di analfabetismo nazionale era del 67,5, e nelle regioni meridionali superava spesso il 90 per cento. Causa l’esodo l’aggravarsi delle imposte nelle campagne del Meridione dopo l’unificazione del Paese. La condizione contadina aggravata dalla presenza di piccole proprietà e dal latifondismo. Le piccole proprietà erano insufficienti per il mantenimento della famiglia. Scriveva Gaetano Salvemini: Nel Sud si ricava dalla terra appena tanto da mangiare e da pagare le tasse … E alla prima difficoltà tutto va per aria. Se non ci fosse l’emigrazione transoceanica, avremmo ad ogni cattiva raccolta … delle vere e proprie crisi di fame.

4.4 Ai fattori di espulsione si sommavano quelli di attrazione Mai prima di allora c’era stata tanta richiesta di manodopera in Europa, soprattutto in Francia e in Svizzera e nelle Americhe. L’Argentina incoraggiava l’immigrazione per la colonizzazione delle sue terre, in Brasile dove dal 1888 era stata abolita la schiavitù, la richiesta di braccia per le fazendas: intere famiglie prevalentemente venete, vennero reclutate e lavorarono per i latifondisti in una sorta di regime mezzadrile. Negli Stati Uniti gli italiani si concentrarono nelle grandi città del Nord Est privilegiando i lavori salariati, anche in vista del rientro in Italia, e furono impiegati nelle fabbriche, nella costruzione di strade e ferrovie e nelle miniere. Non trascurabili furono, specialmente nei primi anni del grande esodo, gli episodi di sfruttamento degli emigranti. Dopo essere stati taglieggiati e raggirati in patria dagli agenti di emigrazione, giunti in America non trovavano una situazione migliore. Da un’inchiesta del 1897 a Chicago risulta che il 22 per cento degli immigrati italiani lavorava per un padrone. Dovevano versare una tangente per ottenere un lavoro e l’abitazione e l’obbligo di acquistare le merci in uno spaccio indicato.

4.5 I migranti italiani oggetto di numerosi episodi di xenofobia sia in Europa che negli Stati Uniti. Attingiamo i dati sempre da Internet. I più noti sono quelli di Aigues Mortes, in Francia, dove nel 1893 morirono nove italiani per mano di una folla inferocita che colse un banale pretesto per vendicarsi della disponibilità degli italiani ad accettare paghe più basse dei lavoratori francesi. Negli Stati Uniti, a New Orleans, nel 1901 undici siciliani vennero linciati con l’accusa di appartenere alla Mafia. Sempre in America i calabresi e i siciliani vennero descritti come coloro che davano un contributo fondamentale alla crescita del fenomeno della delinquenza nelle città americane. Nei primi decenni di immigrazione la statistiche censivano separatamente italiani del Nord e del Sud, attribuendo i primi a un’ipotetica razza "celtica" ed i secondi alla razza mediterranea. La voce del censimento che riguardava gli italiani inserì i siciliani sotto la voce non white, perché di pelle scura. Due guerre mondiali e il fascismo limitarono fortemente il flusso migratorio italiano che riprese però nel dopoguerra, inserendo nuove mete come il Canada e l’Australia,

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accanto alle solite Stati Uniti, Argentina ed Europa. Durante il ventennio fascista l’Italia ha vissuto anche una emigrazione antifascista. Trova accoglienza in Francia: già negli anni ’20 agricoltori e artigiani italiani insofferenti del Fascismo vanno esuli in Francia ove già operavano numerosi italiani. Dopo la soppressione dei partiti nel 1926 alla grande comunità italiana presente in Parigi si aggiunsero i capi partito che organizzarono un’altra Italia in esilio. Formarono al tempo della rivoluzione spagnola del ’36-39 la legione antifascista che combatté contro Franco e gli italiani e tedeschi corsi in suo aiuto. “Oggi in Spagna, domani in Italia”: era il motto di Giustizia e Libertà, movimento creato da Carlo Rosselli a Parigi. 4.6 Dal 1945 i valori medi annui dell’esodo toccarono le trecentomila unità. Mentre nel decennio 1946-55 più del cinquanta per cento privilegiò mete extraeuropee, tra il 1961 e il 1965 l’85 per cento degli espatri avvenne verso paesi europei. A partire dagli anni sessanta l’emigrazione – quasi quattro milioni di persone, di cui ben uno dalla Sicilia - avvenne quasi esclusivamente dalle regioni meridionali e si orientò verso le aree industrializzate dell’Europa settentrionale e nel triangolo industriale italiano, in cui si riversarono circa due milioni di immigrati.

Le comunità italiane all'estero oggi. Nonostante sia trascorso più di un secolo dagli esordi della diaspora italiana nel mondo numerosi elementi stanno ad indicare il perdurare di un senso di appartenenza etnico dei discendenti degli italiani nei confronti del loro paese d’origine. L’etnicità italiana sembra oggi frutto di scelte volontarie che si manifestano nei modi più svariati determinati anche dalla politiche dei paesi di insediamento. Il pluralismo culturale del mondo anglofono ha indubbiamente favorito il perdurare di rapporti privilegiati con il paese d’origine, basti pensare all’autoidentificazione di più di 14 milioni di cittadini statunitensi con l’Italia, al diffondersi dello studio della lingua italiana, all’associazionismo, agli scambi commerciali di prodotti etnici che, se nel passato erano legati prevalentemente dall’industria alimentare, sono oggi passati alla moda e al design.

5. Immigrazione in Italia I’Italia terra di emigranti diventa terra di immigranti. Il nostro Paese tuttavia continua ad emigrare nei paesi comunitari. Oggi emigrano anche “i cervelli”… Sono 6 milioni gli immigrati residenti in Italia e 500.000 irregolari. Il polverone mediatico e politico crea percezioni e non informazione. Viviamo in questo polverone che ci fa credere di vedere, ma non vediamo. Mi sento circondato da questo turbinio di voci sempre più contrastanti. L’ insistente martellamento nei media e dei politici nella campagna elettorale aumenta la confusione e sul razionale predomina il passionale … che fa guadagnare consensi, ma è un consenso drogato.

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5.1 Per una maggior informazione. Riporto il riassunto di un libro di Stefano Allievi, professore di sociologia e direttore del Master sull’Islam in Europa dell’università di Padova, e di Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Demografia presso la medesima sede universitaria. Il messaggio - che arriva dal libro “Tutto quello che non vi hanno detto sull’immigrazione”, Laterza Editori 2016 – è chiaro: Basta opinioni, più informazioni. E’ stato per me un aiuto per avvicinarmi ad una maggior informazione nel clima di paura, che sta montando in questi mesi di campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del 4 marzo 2018. Più dell’economia si parla e ci si confronta sul problema dei migranti e della sicurezza, temi cavalcati dalla coalizione di Centro Destra, in particolare dalla Lega di Salvini. Il popolo sovrano sembra vivere nella ‘non verità’: vive cioè più di percezione che di informazione sul fenomeno migratorio nel nostro Paese . Scrive nel 2016 Stefano Allievi nelle conclusioni del libro: “E così l’enfasi sui problemi, sui conflitti, sulle crisi e l’emergere di una visione globalmente pessimista e negativa delle trasformazioni indotte dalle migrazioni, rischia di mettere in ombra o di non farci proprio vedere i sempre più evidenti effetti di incontro, di arricchimento reciproco, a tutti i livelli: il denaro straniero che si muove, e compra e arricchisce e salva imprese e posti di lavoro locali, nei paesi di accoglienza e in quelli di origine (…) Le variabili in gioco sono sempre molto più numerose e complesse di quelle che tendiamo a prendere in considerazione quando

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vediamo il poliedro delle migrazioni da un lato solo. E costi in un settore non ci fanno vedere i guadagni complessivi di sistema. Come sempre, l’attenzione –mediatica e politica – al rumore dell’albero che cade , rischia di non farci sentire il rumore dirompente della foresta che cresce, e che pur avvertiamo nella società”.( 4) Una lettura della situazione del 2016 ancora più che valida nel 2018. La situazione si è ulteriormente aggravata come percezione delle persone ad opera anche di movimenti che si richiamano esplicitamente al fascismo in questi ultimi due anni. Distesi sul presente, abbiamo perso la memoria storica del nostro migrare . Reclinati sul nostro orticello nazionale non consideriamo la migrazione come fenomeno planetario. Daniele Biella, nella Rivista Vita, traduce, assieme a Stefano Allievi, in brevi pillole, quanto non è mai stato detto sui fenomeni migratori. Osserva Allievi: “E’ da almeno 25 anni - osserva Stefano Allievi - che ci occupiamo a tutto campo del tema: serve fare chiarezza dire le cose come stanno, smetterla di essere presa di opinioni dilettantesche che passano anche in televisione” … E’ un lavoro necessario, che va compiuto pezzo per pezzo, aspetto per aspetto”. Tv, stampa, partiti politici – aggiungiamo - danno opinioni parziali che, a volte, sono false, specie se si cerca di fare audience o conquistare consenso. Si batte allora sulla paura, sulla insicurezza e anche sulla difesa della razza bianca. Nell’onda della paura nei comizi si dice quello che la gente vorrebbe sentirsi dire. 5.2 Ecco quanto non è mai stato detto: 1. Demografia I dati veri – non le proiezioni – li abbiamo già sottomano ma non ci siamo accorti della loro portata: da qui al 2050, l’Unione europea perderà 3 milioni di lavoratori all’anno nella fascia 18-64 anni. Di questi, almeno 300 mila all’anno in Italia. La domanda è: come vengono rimpiazzati, siamo sicuri che non serva la manodopera in arrivo dall’estero? Sì, serve. “Di fonderci insieme già l’ora suono’”, recita, del resto, l’inno di Mameli. E se scegliessimo di non accettare questo nuovo innesto? Ci troveremmo di fronte a un grande rischio: guardiamo al Giappone, immigrazione zero ma un grosso punto di domanda sul futuro demografico del Paese.

2. Economia Altro che portare via il lavoro agli italiani: una maggiore presenza di stranieri porta più investimenti e fa girare di più l’economia. Guardiamo la Germania, che da anni sta puntando sulla manodopera straniera e che ha cifre di poco maggiori rispetto all’Italia (10% di stranieri sul territorio, contro il nostro 9% ), oggi locomotiva

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d’Europa. Il perché è davvero semplice: mettiamo che arrivino anche solo 100 persone in più in una cittadina di piccole-medie dimensioni: quante classi in più attivo per i minori grazie al maggior numero di presenze, e quindi quanti maestri in più colloco? Quanti medici di base in più? E l’aumento di lavoro delle imprese edili per fare loro le case? Infine, gli introiti dei negozi? Badiamo bene: si tratta di un ragionamento razionale, freddo, basato su dati concreti.

3. Carcere Gli immigrati hanno una particolare devianza nel delinquere? Il 32% di presenze straniere in cella porterebbe a pensarlo. Ma se togliamo uno dopo l’altro gli strati di buccia alla tesi, capiamo che molte persone sono “dentro” per reati minori, come quelli collegati al permesso di soggiorno, o resistenza a pubblico ufficiale. Ancora, per spaccio o piccoli furti: sono reati anch’essi, certo, ma se soppesiamo il dato iniziale con il fatto che solo il 5% dei condannati all’ergastolo è straniero, la percezione cambia. Anche gli italiani nelle Americhe all’inizio erano tra i più delinquenti, ma poi a fianco di Al Capone è arrivato anche Joe Petrosino, ovvero il poliziotto che l’ha arrestato. All’inizio i tassi sono più alti, insomma, ma via via scendono, di pari passo con l’integrazione.

4. Scuola Nel 2001 gli alunni non italiani erano 196mila, il 2,2%, nel 2015 siamo arrivato a 803mila, il 9%. È dimostrabile che la scuola è peggiore se ci sono tanti studenti immigrati? No. Perché invece non ribaltare il ragionamento? Ovvero, guardiamo alla presenza di stranieri nel calcio, nelle multinazionali, all’università – dove la percentuale di stranieri diminuisce ma spesso la media dei voti è molto più alta della media italiana, così come le motivazioni a far bene – siamo sicuri che sia un problema? Qualche dubbio l’avrei.

5. Rifugiati L’arrivo di rifugiati? Non è più una emergenza, è un fenomeno strutturale, che durerà almeno un altro decennio. Ci vuole quindi una strategia: in mancanza di quella europea, e pur in presenza di iniziative della società civile di corridoi umanitari, che sono ottime esperienze ma per grandi numeri potrebbero non trovare presa, guardiamo alle comunità locali: in Germania come in alcune esperienze già in atto in Italia, dove ci sono comunità motivate all’accoglienza, il rifugiato diventa una risorsa (vedi il punto 2, legato all’economia). Serve però un grande investimento nazionale nell’accoglienza, in termini di professionalità diffusa. Poi i meccanismi della società faranno il resto: guardiamo all’immigrazione dal Meridione negli anni ‘60, c’erano giorni che arrivavano a Milano o Torino anche 700 persone al giorno. È stata una tragedia? No, la cosa si è risolta da sola, senza clamori.

6. Africa Aiutarli a casa loro? Magari, anche perché l’Agenzia Frontex costa decine di milioni di euro all’anno e comunque ci fa litigare tutti quanti sul proprio operato. Ci vorrebbe

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un vero Piano Marshall per il continente africano, per fare crescere i singoli stati almeno a due cifre: solo in quel momento si fermerebbe l’emorragia delle partenze. Attenzione che i segnali per cui un’azione in tal senso potrebbe funzionare ci sono: sono sempre di più le aziende, anche italiane, che investono nell’africa subsahariana. Senza la mentalità dello sfruttatore che vuole solo far soldi, piuttosto quella dell’imprenditore che investe in un ambiente dinamico e con grossi potenziali. Questa è una strada da percorrere, ora, con una collaborazione sempre maggiore tra realtà non profit e profit, anche con l’aiuto delle istituzioni, senza paura di sporcarsi le mani, in particolare per chi fa cooperazione.

7. Cittadinanza Almeno 500mila persone aspettano la riforma della cittadinanza per diventare “nuovi cittadini” italiani. Ma questa riforma continua a essere rinviata, e loro non aspetteranno in eterno: le seconde generazioni di oggi si candidano alle amministrative, hanno due lauree in tasca, nonostante questo continuano a sentire frasi come “ci fate schifo”, “no alla moschea”. Ebbene, molti sono amareggiati e stanno pensando che, in fondo, quella cittadinanza non è così fondamentale, e forse il loro sapere e attivismo cittadino si trasferirà altrove. Ricevo molti input in questo senso dagli studenti, ed è una cosa negativa per tutti. Stiamo perdendo un’occasione irripetibile.

8. Tratta Dal 1999 la Svezia punisce i clienti e non chi si prostituisce. Poi anche Islanda, Norvegia e Francia hanno fatto lo stesso, e nel 2014 l’Unione europea ha sancito l’efficacia del modello con una direttiva. In Italia il ragionamento può essere maturo, al di là delle ideologie e soprattutto si superano i moralismi. Questo porterebbe a una diminuzione della tratta più che la liberalizzazione e quindi il ritorno alle case d’appuntamento, per esempio. La stessa liberalizzazione, invece potrebbe favorire il moltiplicarsi dei bordelli e quindi delle mafie e l’indebolimento della condizione delle prostitute, con lo stesso ragionamento per cui la liberalizzazione del gioco d’azzardo porterebbe alla rovina migliaia di persone.

9. Islam Vogliamo liberarci dai cattivi, dai terroristi, dai tagliagole? Investiamo in diritti e libertà di culto, ingaggiando come alleati proprio gli stessi utenti delle moschee, anziché demonizzarli indiscriminatamente come avviene anche a livello di politiche regionali, vedi i casi di Lombardia e Veneto. Perché dico questo? Perché oltre a rappresentare un vulnus legislativo, questo atteggiamento fa perdere invece la convenienza di 1,6 milioni di persone, nel caso dei musulmani in Italia, che vivono il fondamentalismo islamico come vivevamo noi le Br, ovvero rifiutandolo in toto. Allora non avevamo chiuso le sedi della Cgil, oggi non dobbiamo chiudere le moschee, anche perché, dati alla mano, i foreign fighters intercettati finora operavano

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isolati, anzi in alcuni casi erano stati allontanati dai luoghi di culto, quando li frequentavano.

10. Pluralismo culturale Pensiamo agli stranieri come un’unica entità, immutabile? Sbagliato. Prendiamo la ricerca nazionale Itagen2, compiuta su 10mila ragazzi tra 11 e 14 anni stranieri viventi in Italia e altrettanti pari età italiani: l’88% degli stranieri e il 95% degli italiani considera i compagni di classe, senza distinzione di provenienza, importanti nella propria quotidianità. Pur con differenze legate all’età dell’arrivo in Italia – più tardi si arriva, più è bassa la percentuale – in molti indicatori la differenza tra italiani e stranieri è poca, segno che pur rimanendo le distinzioni religiose e culturali, la quotidianità è simile. Così come le aspirazioni: l’81% di ragazzi stranieri nati in Italia pensa l’istruzione fondamentale per “riuscire” nella vita. La percentuale degli italiani? La stessa. (5)

Avendo letto e riletto il libro di Stefano Allievi, mi domando: senza il testo le pillole sprizzano novità, ma riescono a superare la percezione e comunicare informazione? Sono un’ottima sintesi, una riduzione al cuore del problema … Meglio sarebbe leggere l’agile libretto. Anche se i dati, come dice il ministro degli Interni Minniti, non scalfiscono la percezione. Leggiamo a pag. 22- 23 del testo: “Il risultato più importante di questi studi è che sul piano del lavoro gli immigrati sono complementari piuttosto che concorrenti degli italiani , ossia che gran parte di loro va a fare i lavori che gli italiani possono permettersi di evitare. In altri termini, non è vero che in questo ventennio gli immigrati hanno ‘rubato’ il lavoro agli italiani. Una certa concorrenza con gli italiani meno qualificati o con gli immigrati già stabilizzati esiste solo per i ddd jobs” ( mansioni dirty, dangerous and demeaning = sporche, pericolose e umilianti) (…) Era prevedibile alla luce dei dati illustrasti sugli squilibri del ricambio nel mercato del lavoro. ( …) Gli economisti dimostrano che – in Italia come in altri paesi ricchi - i nuovi flussi di immigrati hanno causato la crescita dei salari dei nativi, favorendo nel contempo la compressione dei salari degli stranieri da tempo in Italia”. Si cambierà la percezione? Ho qualche dubbio. Il sentimento con difficoltà si lascia illuminare dalla razionalità. (5)

Sul tema della scuola il libro parla al capitolo 3°: “ Un laboratorio d’eccezione: La scuola ( 6) Troviamo l’analisi e la proposta per superarre il ‘problema migranti nella classe’. l dati fondamentali che connotano la situazione scolastica vengono presi dal Rapporto nazionale 2015 Alunni con cittadinanza non italiana curato dall’Ismu (Istituto per lo studio della multi etnicità) e dal MIUR relativo all’anno scolastico 2013-2014. E’ stata per me una felice sorpresa leggere che il problema della scuola con presenza di immigrati non è tanto dato dall’essere migrante quanto da ciò che don Milani rileva nella Lettera a una professoressa del 1967: la scuola integra poco o male non i figli degli stranieri, ma dei poveri. Non produce sufficiente mobilità sociale perché

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è inserita in una società immobile, i cui meccanismi la scuola da sola non è in grado di scardinare .

6. Analogie tra ieri e oggi. Gli italiani che partivano erano poveri, contadini e analfabeti. Partivano e viaggiavano in condizioni estreme . Quando arrivavano li aspettavano pregiudizio, razzismo e violenze. Il 25% di loro, viaggiando su "carrette dei mari" di quei tempi, moriva durante il tragitto.

L’Italiano era percepito: mafioso, sporco, che fa molti figli e vive nel degrado. Spesso vittime di soprusi ad opera di cittadini e poliziotti, vedevano i loro aguzzini quasi mai puniti per i crimini commessi.

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Ci ricorda qualcosa questa situazione? Gli immigrati che dai paesi poveri oggi vengono in Europa, cosa trovano? Trovano gli stessi pregiudizi, lo stesso razzismo, subiscono violenze e offese. La storia si ripete: stessa disperazione che motiva la partenza, tutti i propri averi investiti in un viaggio della speranza, la stessa voglia di cambiare il proprio destino, le ansie, le paure, i successi e le sconfitte. Ma i due fenomeni presentano solo in part e aspetti comuni. Nessuno Stato in passato si faceva carico del mantenimento degli immigrati. Dovevano arrangiarsi da soli col loro lavoro se e quando c’era. L’emigrazione italiana nella seconda metà dell’800 e inizio ‘900 è diversa da queste “migrazioni forzate” in atto da alcuni anni verso l’Italia e l’Europa.

7. Percezione – paura- bisogno di sicurezza. Abbiamo varie volte ripetuto che manca l’informazione e domina la percezione, magari indotta dai mass media e dalla politica. Scrive Emma Bonino: (L’Italia con) lo stop agli sbarchi non ha fermato gli spari di Traini” - anche grazie all’efficienza dei suoi apparati di sicurezza, ha fino ad oggi evitato attentati di cani sciolti Jiadisti, ma ha registrato un primo atto terroristico xenofobo che non ha prodotto una carneficina solo per errore di “mira” da parte dello sparatore. (…) Io respingo l’idea che la xenofobia sia un prodotto dell’immigrazione. Continuare a perseverare in questo errore di analisi significa scivolare verso la giustificazione del pregiudizio. “ Ci sono troppi stranieri, la gente è stanca … afferma qualcuno. E’ come sostener e che l’antisemitismo sia un prodotto dell’ebraismo. Che la rabbia dei carnefici sia colpa delle vittime. E’ storicamente vero il contrario. L’ebreo come lo straniero sono proiezioni di un odio che è culturale e ideologico non meramente psicologico. La xenofobia è il prodotto del nazionalismo, non dell’immigrazione e offre dei capri espiatori alla rabbia popolare. L’etnonazionalismo , antieuropeo e xenofobo, è una ideologia potente, non nuova nell’Europa di ieri e di oggi, che fomenta e cavalca l’inquietudine; non è un prodotto dell’inquietudine. E’ empiricamente dimostrato. La xenofobia è più forte nelle aeree del Paese in cui ci sono meno stranieri, non di più. Questo non vale solo in Italia. Pensiamo alla Germania nella quale Afd spopola nelle aree dell’Est, più povere ma anche culturalmente desertificate da decenni di dominazione sovietica, non a Berlino o nelle metropoli multietniche della Germania federale. Dove ci sono più stranieri c’è meno xenofobia! Vale per l’Italia, per tutti i paesi europei, e pure per gli Stati Uniti”.(7)

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La tesi della Bonino merita qualche osservazione. Se è vero che lo stop agli sbarchi non ha fermato gli spari di Traini, è però vero che l’emigrazione di massa suscita paura e timore. Il nostro Paese ha salvato tante vite dal naufragio nel Mediterraneo, ma non ha saputo gestire a dovere l’accoglienza. I numerosi migrati africani girovaghi per la città in attesa del documento di asilo politico e la presenza di “immigrati economici” diventano facilmente spacciatori di strada al servizio di mercanti della droga italiani. E questo inquieta la popolazione, ingigantisce il senso dell’insicurezza e risveglia anche turbe ancestrali di xenofobia. Lo stop agli sbarchi dei migranti non elimina la percezione dell’insicurezza e della paura che da anni la gente soffre ingigantita dai media e dalla politica. I migranti diventano facilmente il capro espiatorio del malessere sociale. Si sente gridare da qualcuno: rubano il lavoro agli italiani e vengono privilegiati nell’assegnazione della casa. L’emotività porta a vedere nella persona di colore un pericolo cui si aggiunge il rischio di vicinanze terroristiche dell’Islamismo. Capiamo il sentire della gente, non accettiamo l’uso strumentale di qualche forza politica. Non si vuole il bene comune quando non si presenta il fenomeno dell’immigrazione nella sua complessità. La memoria del nostro emigrare dovrebbe farci cogliere il motivo di fondo che genera il fenomeno immigrazione: certo i profughi di guerra hanno diritto all’accoglienza, ma “gli altri” lasciano il loro paese e affrontano i rischi gravi del mare spinti dalla miseria e dalla estrema povertà. Il diritto di essere accolti è dato dalla loro dignità umana.

Chi ha paura degli immigrati? La paura è un fatto. Scrive Massimo Cacciari: “io non ci sto a dire che è irragionevole questa paura, al contrario è ragionevolissima. L'immigrazione di massa è una grande novità che sarebbe stupefacente non creasse paura: i popoli non sono formati da intellettuali". Aggiungo dati e informazioni presi da un articolo di Maurizio Ambrosini , Quando il migrante diventa un capro espiatorio: “ Un recente tweet del politologo Ian Bremmer ben fotografa la crescita della paura della gente. “Nel 2012, a pensare che l’immigrazione rappresentasse un grandissimo problema era il 12 per cento della popolazione in Francia, il 9 per cento in Germania, il 3 per cento in Italia e l’8 per cento in media nell’Unione europea. Nel 2017, il dato resta quasi invariato in Francia (14 per cento), ma in Germania schizza al 37 per cento e in Italia al 36, contribuendo a portare la media europea al 22 per cento”.(8) Un altro sondaggio (Ipsos Perils of Perceptions) nota come i cittadini dell’Ue, come

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in quasi tutti i paesi sviluppati, sovrastimino la presenza di migranti sul territorio. In questa “classifica della paura”, gli italiani si piazzano al primo posto: “in media reputano che gli immigrati costituiscano il 26 per cento della popolazione, ossia più di 15 milioni, mentre in realtà sono circa il 9 per cento (poco più di 5 milioni). L’Italia poi è seconda solo alla Francia nel sovrastimare la presenza dei musulmani.

Sempre dai dati statistici: la percentuale delle richieste di asilo sugli sbarchi era del 37 per cento nel 2014, poi è salita rapidamente: 56 per cento nel 2015, 68 per cento nel 2016. Va ricordato poi che la tradizionale politica italiana dell’asilo è stata quella di favorire i transiti. Negli ultimi anni l’identificazione immediata all’arrivo e il controllo dei valichi ha ingrandito le dimensioni dell’accoglienza. E’ piuttosto una

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leggenda che numerosi migranti scelgano di vivere come fantasmi, senza tutele e risorse. Così come fa parte del mondo immaginario che gli immigrati siano portatori di malattie contagiose. Ma la paura cresce e certe forze politiche la cavalcano per aumentare il consenso. La paura è indiscutibile di fronte alla presenza massiccia di migranti dall’Africa e dall’Asia , ma anch’essi hanno paura dei nativi. La soluzione è governare il fenomeno dell’immigrazione. L’attuale ministro degli interni sta governando meglio di prima il fenomeno “immigrazione”. Ma il problema è molto complesso. Quanto conta la percezione L’arrivo massiccio di migrati ed i morti nel Mediterraneo influiscono sulle percezioni. Scrive Maurizio Ambrosini:

“I moli di Lampedusa e degli altri porti sono un palcoscenico ideale per una rappresentazione drammatizzante dell’immigrazione; naufragi, tragedie e salvataggi offrono un materiale di facile presa per le narrazioni mediatiche. Per di più, i rifugiati sono diventati ben presto la perfetta immagine dell’immigrazione indesiderata: arrivano senza essere richiesti, entrano senza chiedere il permesso e domandano pure di essere aiutati”.

Un altro dato Ipsos mostra che nel 2014 la questione immigrazione era sentita come un problema da meno del 5 per cento della popolazione, tanto a livello nazionale quanto a livello locale. Nel 2016 la visione ansiogena si è ingigantita, con un’interessante divaricazione: 15 per cento se riferita al livello locale, ben 30 per cento se proiettata su scala nazionale. “È soprattutto l’immigrazione rappresentata a influire sull’immaginario, meno quella di cui si può fare esperienza a livello locale. Di fronte agli insediamenti dei richiedenti asilo le reazioni più forti son quelle che seguono l’annuncio e precedono l’arrivo dei migranti”. Poi si sgonfiano lentamente. Le percezioni contano sottolinea Maurizio Ambrosini:

“alla fine non sono i dati effettivi a influenzare il voto e lo stesso discorso pubblico. E la maggior parte dei media e dei commenti della stampa ha seguito le percezioni dell’opinione pubblica, anziché sforzarsi di informarla in modo documentato. La visione drammatica e patologica dell’immigrazione ha vinto sul piano culturale e comunicativo, prima di determinare la svolta della politica nazionale sull’asilo. La condanna dell’Onu è arrivata troppo tardi per cambiare le cose ed è già scomparsa dai media”.

Perché si verifica la divaricazione tra percezione e realtà? Perché in Italia è così profonda? Povertà economica e sociale di molte famiglie, mancanza di prospettive e di fiducia generano paura e insicurezza. E allora, conclude Maurizio Ambrosini,

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“Nella difficoltà di individuare i responsabili dell’impoverimento del paese, la rabbia si indirizza verso gli africani sbarcati sulle coste meridionali. Benché non si possa dire che prima dell’arrivo dei rifugiati fossero in vigore generose politiche verso poveri, disoccupati e sfrattati, è facile attribuire la colpa dell’inadeguatezza delle politiche sociali ai nuovi arrivati. Si sta generando la classica dinamica del capro espiatorio, in cui frustrazione e impoverimento si scaricano su minoranze deboli e facilmente isolabili. È già accaduto nella storia, e non sono pagine da ricordare con orgoglio.”.

7. Conclusioni: 1. Zygmunt Bauman : ”Il viaggiare per profitto viene incoraggiato; il viaggiare per sopravvivenza viene condannato, con grande gioia dei trafficanti di “immigrati illegali” e a dispetto di occasionali ed effimere ondate di orrore e indignazione provocate dalla vista di “emigranti economici” finiti soffocati o annegati nel vano tentativo di raggiungere la terra in grado di sfamarli. L’attuale tendenza di ridurre drasticamente il diritto all’asilo politico, accompagnata dal ferreo divieto d’ingresso agli “immigranti economici”, non indica affatto una nuova strategia nei riguardi del fenomeno dei profughi, ma solo l’assenza di una strategia e il desiderio di evitare una situazione in cui tale assenza possa causare imbarazzo politico”. ( La società sotto assedio)

2. Kofi Hannan, come segretario generale dell'ONU: "I migranti hanno bisogno dell'Europa , ma l'Europa ha bisogno di migranti: un'Europa ripiegata su se stessa diventerebbe più meschina, più povera, più debole, più vecchia anche. Un'Europa aperta, invece, sarà più giusta, più forte, più ricca, più giovane se voi saprete governare l'immigrazione. I migranti sono una parte della soluzione e non una parte del problema: essi non devono diventare i capri espiatori di diversi malesseri della nostra società". (Discorso al Parlamento europeo)

3.Angelo Bagnasco: “ L’immigrazione è una realtà. Occorre saper coniugare insieme quel principio dell’ accoglienza che ha sempre innervato l’anima profonda del nostro Paese con un altro principio, non meno necessario, quella della legalità, di cui tutti si avverte la necessità per la convivenza sociale”. 4.Luigino Brunni: “Il dovere di ospitalità è il muro maestro della civiltà occidentale, e l’abc dell’umanità buona. Nel mondo greco il forestiero era

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portatore di una presenza divina. Sono molti i miti dove gli dèi assumono le sembianze di stranieri di passaggio. L’Odissea è anche un grande insegnamento sul valore dell’ospitalità”.

5. Alain De Benoist: “È innegabile il fatto che attualmente nella maggior parte dei Paesi europei si è sviluppato un razzismo popolare, la cui causa principale risiede nell’immigrazione massiva e ancor di più nelle patologie sociali che ne risultano. Sto pensando, in particolare, all’aumento della criminalità e all’aggravarsi dell’insicurezza, al crollo della qualità scolastica, alle innumerevoli “inciviltà” che sono la trama quotidiana dei fatti di cronaca. Questo razzismo non ha nulla di ideologico, è puramente sociologico (…) È diffuso soprattutto nelle classi popolari, che sono le prime a soffrire delle patologie sociali generate dall’immigrazione (…). Posso comprendere intellettualmente queste reazioni, ma non le approvo in alcun modo. Non è attraverso il razzismo, né con la xenofobia che verrà risolto il problema dell’immigrazione, ma con un’analisi ragionevole di quello che è concretamente possibile fare per risolvere le difficoltà”. (Alain De Benoist, filosofo e intellettuale francese)

6. “ Almeno un quarto di coloro che cercano rifugio in Europa sono bambini – nei primi sei mesi di quest’anno, più di 106.000 bambini hanno chiesto asilo in Europa. E non dobbiamo mai dimenticare ciò che sta dietro le tante storie delle famiglie che cercano rifugio in Europa: terribili conflitti come quello in Siria, che già ha costretto circa 2 milioni di bambini a fuggire dal loro paese”. (Anthony Lake, direttore UNICEF, settembre 2015)

7. da Avvenire del 14 febbraio 2018 “Gli immigrati in Italia rappresentano ormai una buona fetta della piccola imprenditoria, ll 9,6 % .Le loro imprese hanno toccato quota 590mila : nel corso del 2017 il loro numero è cresciuto del 3,4 % (il 42% dell’intero saldo annuale delle imprese), contro lo 0,75 % fatto registrare dalle realtà italiane.(…) L’indagine condotta da UnionCamere – InfoCamere a partire dai dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio testimonia una grande vitalità delle imprese guidate da persone nate all’estero. In Italia ci sono 5 milioni di immigrati residenti: le nazionalità più rappresentate sono la Romania(23%) seguita dall’Albania e Marocco rispettivamente con l’8,9 % e l’8,3 %. Quasi la metà di loro hanno ha un’occupazione : il 47,8 % per l’esattezza vale adire 2,4 milioni di persone. (…) Gli stranieri occupano prevalentemente posizioni non qualificate. Il valore aggiunto del loro lavoro rappresenta l’8,9% del PIL italiano con una particolare incidenza ( circa il 27% ) nell’ambito della ristorazione e degli alberghi, dell’agricoltura e delle

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costruzioni. I contribuenti nati all’estero sono 3,5 milioni e versano 7,2 miliardi di Irpef e 11,5 di contributi l’anno”.

8.Il numero di rifugiati e richiedenti asilo, nel mondo, conteggiato nel 2016, è stato

stimato in poco meno di 26 milioni di persone. La Turchia ne ospita la maggior parte (3

milioni), seguita da Giordania, Palestina, Libano e Pakistan. Nessuno Stato Ue, né gli Usa

figurano nei primi posti di questa classifica. "Dati affidabili sono fondamentali proprio per

combattere le percezioni errate sulla migrazione e per informare le politiche migratorie", ha

dichiarato il Sottosegretario generale per gli affari economici e sociali dell'Onu, Liu

Zhenmin, citando i negoziati sul Global compact per l'immigrazione che sono

stati abbandonati dagli Usa per volontà dell'amministrazione Trump.

"Nel settembre 2016 - ricorda il rapporto Onu - tutti i 193 stati membri delle Nazioni Unite,

compresi gli Stati Uniti sotto il presidente Barack Obama, hanno adottato la Dichiarazione

di New York per rifugiati e migranti, nella quale si afferma che nessun Paese può gestire

da solo la migrazione internazionale. Gli Stati hanno accettato di attuare politiche

migratorie concordate e si sono impegnati a condividere più equamente l'onere di ospitare

i rifugiati, hanno anche accettato di proteggere i diritti umani dei migranti e di contrastare la

xenofobia e l'intolleranza verso i migranti. Hanno inoltre concordato di avviare un processo

che portasse all'adozione di un patto globale nel 2018".

Il rapporto fa notare:

"i migranti hanno contribuito alla crescita della popolazione in Nord America e Oceania e

senza migranti la popolazione europea sarebbe diminuita dal 2000 al 2015".

Genova Fine febbraio 2018 Alberto Rinaldini

NOTE 1.Stefano Allegri, Tutto quello che non vi hanno detto sull’immigrazione, Editori Laterza , 2016 pag. 99 2. dati statistici desunti dall’opera, citata. 3. op. cit. Conclusione pag. 148 4.op. cit. pag 148-149 5. http://www.vita.it/it/article/2016/05/05/tutto-quello-che-non-vi-hanno-mai-detto-sullimmigrazione/139294/ 6. Stefano Allievi op. cit. pag.36-37 7. Emma Bonino, Lo stop agli sbarchi non ha fermato gli spari di Traini, art. Repubblica 12/ 2/ 2018 8. Maurizio Ambrosini, Quando il migrante diventa un capro espiatorio 24/1(2017 Internet.

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*Alberto Rinaldini, docente di Storia e Filosofia nei Licei di Genova