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Page 1:  · Web viewUniversità degli Studi di Verona – Facoltà di Scienze della formazione BREVISSIMA INTRODUZIONE A HEGEL A cura di Paolo Giuspoli. Per un approfondimento dei temi trattati

Università degli Studi di Verona – Facoltà di Scienze della formazione

BREVISSIMA INTRODUZIONE A HEGEL1

1. Due principi guida per il presente: libertà e razionalità.

Da giovane, Hegel non vede nella filosofia un modo efficace per comprendere il proprio tempo. Fino all’età di 30 anni la considera un modo del tutto astratto di considerare le cose: considera per lo più la filosofia come un modo formale e aprioristico, cioè che non si alimenta dell’esperienza, e che non è interessato a interrogarsi sui bisogni e le trasformazioni del proprio tempo. Inizialmente Hegel concepisce il proprio impegno intellettuale semmai contro la filosofia, proprio perché la vede come una forma di sapere del tutto unilaterale, cioè incapace di cogliere i processi e i cambiamenti nella loro complessità e nel loro insieme. Per Hegel è invece proprio questo il bisogno più pressante del proprio tempo: maturare un sapere volto a interrogarsi sul senso di un intera civiltà, sulle condizioni e la direzione di sviluppo di un intero mondo storico.

A questo atteggiamento unilaterale e astratto Hegel dà il nome di considerazione “intellettuale” o “intellettualistica”. Che significa questa parola? Hegel vi vede (e questo è un tratto che caratterizza anche i suoi scritti della maturità) un modo tipico di fare esperienza del mondo. Sta ad indicare un atteggiamento di questo tipo: a me non interessa calarmi nell’esperienza, capire in che mondo vivo, comprenderne i conflitti latenti, le direzioni di sviluppo verso il futuro. Per la considerazione intellettualistica ciò che conta è dare ordine alla realtà nella propria mente; rapportare e distinguere cose, persone, situazioni, problemi secondo operazioni anche del tutto estrinseche; generare schemi (a priori) che ci aiutino a classificare le esperienze. In questo modo si genera una visione del mondo che è creata a nostro uso e consumo, che non ci dice nulla dei bisogni, dei conflitti (più o meno latenti), dello stato concreto del mondo in cui viviamo. Anzi: questo mondo intellettualizzato presenta un ordine privo di ombre, di tensioni, di movimento: un mondo cristallizzato che non è il mondo di cui facciamo esperienza. Secondo Hegel, il mondo di cui fa concreta esperienza l’uomo moderno è altra cosa da questo mondo intellettuale. Il mondo moderno manifesta una vita lacerata, in ogni ambito di esperienza: nel rapporto con la natura, nella scissione interiore tra sensibilità e freddo intelletto, nella frustrazione dei suoi diritti alla libertà sia in campo culturale sia in campo politico, nella distanza tra legalità e moralità, ossia tra l’osservanza del tutto esteriore (non sentita) di norme e pratiche di vita che ci lasciano indifferenti e ciò che invece sentiamo importante e giusto.

Come dare risposta a queste fratture che caratterizzano la vita e il pensiero dell’uomo moderno? Come cercare di capirne l’origine, il senso, la direzione di sviluppo?

1 A cura di Paolo Giuspoli. Per un approfondimento dei temi trattati si rimanda a: L. Illetterati, P. Giuspoli, G. Mendola, Hegel, Carocci, Roma 2010.

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Nella sua formazione Hegel cerca anzitutto - cosa tipica questa dell’atteggiamento giovanile - dei modelli. Dico tipica dell’atteggiamento giovanile perché è caratteristico della vita giovanile l’atteggiamento di rifiuto delle risposte che si trovano nell’ambiente in cui si vive e la ricerca di altre risposte, più forti e chiare, in modelli di vita e di pensiero lontani dalla realtà presente. Tali modelli risultano spesso “idealizzati” e “irrealizzabili”: ma la funzione principale di un modello (idealizzato) non è poi quella di fornire risposte; piuttosto serve ad evidenziare in modo netto quelli che avvertiamo come i limiti del mondo che vogliamo cambiare.

A. In questo modo la generazione di Hegel pensava al mondo antico come ad un “ideale”. In particolare, per Hegel e per la sua generazione (es. Schiller) l’ideale di vita e pensiero è incarnato prima di tutto nel mondo greco.Quali sono gli aspetti che Hegel enfatizza del mondo greco? E quali sono, per contrasto, quelli che a suo avviso sono aspetti di vita mancanti nel mondo a lui contemporaneo?

1) Nel mondo greco Hegel vede anzitutto un forte senso della comunità. Il singolo non si percepisce anzitutto come un individuo isolato: come se fosse originariamente solo e a lui spettasse di scegliere se appartenere o meno ad una cerchia affettiva, culturale, socio-politica più ampia. L’uomo greco si sente anzitutto come parte di un mondo più ampio: figlio di una cultura, membro di un tessuto sociale e politico che costituisce il suo stesso modo di essere.

2) Nel mondo greco Hegel vede anche un modello di armonia tra razionalità e bellezza: l’arte e la letteratura greca sono l’emblema di una razionalità che è solidale con la bellezza. Ma questa armonia tra ragione e bellezza non era il prodotto di un progetto intellettuale: era la manifestazione spontanea di una concezione armoniosa della vita. E questo si manifestava fin negli stili di vita e nel modo di concepire il proprio abitare. Questo ideale di armonia non era dunque solo un’astrazione. Ci sono dei rilievi di carattere “architettonico” e “urbanistico” molto interessanti negli scritti giovanili di Hegel:

«Già nel modo di costruire si mostra il genio diverso dei greci e dei tedeschi: quelli abitavano liberi, in strade ampie: nelle loro case c’erano cortili aperti, scoperti; nelle loro città erano frequenti le grandi piazze; i loro templi erano costruiti in uno stile bello e nobile, semplice come lo spirito dei greci, sublime come il dio cui erano dedicati. Le immagini degli dei erano il supremo ideale della bellezza. [...] tutto era presentato nella più alta forza del suo esserci e della sua vita; nessuna immagine della putrefazione; l’orrenda larva della morte era per i greci un genio mite, il fratello del sonno»2.

Persino la morte era dunque pensata come solidale con la vita. L’armonia non era invocata o attesa per la fede in una redenzione futura: l’armonia era ricercata nella vita concreta, in ogni ambito dell’esistenza quotidiana.

2 G.W.F. Hegel, Gesammelte Werke, Bd.1: Frühe Schriften, hrsg. von F. Nicolin und G. Schuler, Meiner, Hamburg 1989, 81 (Scritti giovanili, vol. I, a cura di E. Mirri, Guida, Napoli 1993, 167). In seguito citato con l’abbrev. SG I.

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B. Accanto all’ideale greco, Hegel vede una guida importante anche tra i contemporanei per comprendere il mondo del suo tempo. Questi è un filosofo, Kant, e il suo tentativo di costruire la filosofia ponendo come chiave di volta la libertà della ragione umana.Il primo scritto organico di Hegel, “Vita di Gesù” (1795) risponde ad un progetto del tutto peculiare: interpretare i vangeli come un testo laico, senza riferimento a elementi trascendenti (è significativo che la vita di Gesù si concluda con la morte)Il punto focale diviene invece la morale. Gesù viene osservato attraverso la sua vita concreta e le sue parole, in modo da presentarlo come l’incarnazione di un ideale di moralità pura e universale, che ha al suo centro il valore assoluto di ogni uomo e donna. Ora, il valore di ogni singolo non dipende dalla sua appartenenza ad una istituzione o dalla sua adesione ad una religione particolare. Ogni uomo vale per quello che è, in quanto è per se stesso immagine del divino. Ogni uomo ha da scoprire e rispettare quel divino che è in ogni uomo: e questo elemento divino non è una presenza estranea che gli comanda di essere e agire in un certo modo. L’elemento divino in noi è qui per Hegel (come lo era per Kant) la ragione.E’ la ragione che consente all’uomo di essere autonomo e di agire liberamente, senza alcun condizionamento esterno e interno. E l’imperativo della ragione è quello di non obbedire a nient’altro che alla ragione stessa.

E’ importante evidenziare che questo tentativo di rileggere la filosofia morale di Kant come il punto di inizio di un nuovo modo di intendere l’uomo, è un tratto che Hegel condivide con altri della sua generazione. In primo luogo coloro che in questi anni egli sente come a lui affini: i suoi ex-compagni di camera e di studio negli studi di teologia e filosofia, Hölderlin e il più giovane Schelling.

Sembra che siano stati proprio loro a pensare un importante progetto culturale, scritto in questi anni, che ci dà la direzione verso cui questi giovani stanno muovendo. Si tratta de: Il piu antico programma di sistema dell’idealismo tedesco. Qual è il principio fondamentale di questo progetto culturale?

«la prima idea è naturalmente la rappresentazione di me stesso come un essere assolutamente libero»3.

Ma va notato che questa esigenza di libertà, di mettere al primo posto l’esigenza che l’io ha di valutare in prima persona ciò che deve fare, in modo critico e razionale, va a scontrarsi contro ogni tipo di asservimento. Non solo quello nei confronti di dogmi e codici di comportamento di carattere religioso, ma anche con forme di oppressione di carattere politico. Si legge in questo Programma:

«Dobbiamo dunque oltrepassare anche lo Stato! Ogni Stato, infatti, non può non trattare uomini liberi come rotelle di un meccanismo»4.

La Rivoluzione francese aveva introdotto violentemente nella storia europea un’istanza fondamentale: promuoveva l’esigenza di difendere i diritti alla libertà di ogni uomo e di

3 Il piu antico programma sistematico dellidealismo tedesco, a cura di L. Amoroso, ETS, Pisa 2007, pag. 21.4 Ibid.

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concepire le istituzioni politiche come incarnazione di una più ampia e libera partecipazione popolare.

La Riv. fra. era stata letta inizialmente dai giovani intellettuali, anche da Hegel e gli amici Schelling e Hölderlin, come l’annuncio di una nuova era. In particolare Hegel sembrava interpretare la filosofia di Kant, e specialmente la sua legittimazione del principio di autodeterminazione pratica come una rivoluzione culturale che dava seguito alla rivoluzione socio-politica dilagata oltre i confini della Francia.Hegel scrive a Schelling:

«Dal sistema kantiano e dal suo sommo compimento attendo in Germania una rivoluzione che partirà da principi già esistenti, i quali, dopo una generale rielaborazione, richiedono soltanto di essere applicati a tutto l’attuale sapere. [...] Alcuni signori rimarranno certamente sbalorditi di fronte alle conseguenze che risulteranno da tutto ciò. Si proveranno le vertigini dinanzi a questa somma altezza di ogni filosofia, mediante la quale l’uomo si è elevato tanto in alto; ma perché mai si è giunti così tardi a elevare maggiormente la dignità dell’uomo e a riconoscere questa sua facoltà della libertà che lo pone nello stesso ordine di tutti gli spiriti? Credo che non ci sia miglior segno del tempo di questo, che l’umanità è rappresentata come degna di stima in sé stessa; una dimostrazione questa che l’aureola che circondava il capo degli oppressori e degli dei della terra dilegua»5.

Hegel inizia qui a vedere la filosofia, dunque, come una possibile via per la rivendicazione concreta della libertà dell’uomo. Hegel vede nella filosofia, in particolare, la via per accedere ad una libertà integrale: una libertà che non solo si esprima nei diritti sociali e politici fondamentali, ma anche una libertà di carattere culturale, che riguarda l’esigenza di ridare dignità all’umano come tale. Ogni uomo come tale (e non per la sua posizione oppure per la sua adesione ad un determinato credo o gruppo di potere) deve essere “rappresentato come degno di stima in se stesso”. Questo il progetto culturale di cui solo la filosofia (in quanto sapere laico, critico e razionale) può essere la promotrice. Con gli anni la fiducia che la filosofia possa contribuire a questa riforma culturale generale si rafforza anche per il venir meno della fiducia nelle riforme politiche. Hegel è infatti sempre più cauto nella valutazione degli esiti della Rivoluzione francese: l’esportazione politica degli ideali della rivoluzione prende infatti sempre più palesemente la forma di una politica di annessione (alla Francia).

A Hegel rimane solo questa via per la realizzazione di questo ideale di una libertà integrale: quello di una riforma più paziente, interiore, di carattere formativo e culturale. E’ con questo atteggiamento di nuova fiducia nelle possibilità della filosofia di rispondere alle esigenze più profonde dell’umanità che Hegel, nell’anno 1800, scrive a Schelling per potersi avvicinare al mondo della ricerca e dell’insegnamento universitario.Fino a quel momento è vissuto di lezioni private, elargite a figli di signori benestanti. La sventura della morte del Padre diventa per lui un’occasione di riscatto. Egli eredita infatti un po’ di soldi da investire per provare ad introdursi nell’ambiente universitario. E la fortuna vuole che l’amico Schelling, più giovane di lui di 5 anni, sia già professore universitario a Jena (a soli 25 anni).

5 Briefe von und an Hegel, Bde. I-IV, hrsg. von J. Hoffmeister, Meiner, Hamburg 1952-1981 (trad. parziale in G.W.F. Hegel, Epistolario, voll. I-II, a cura di P. Manganaro, Napoli 1983-1988), (d’ora in Ep.), qui I, pp. 23-24 (pp. 117-118).

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«Nella mia formazione scientifica che è partita dai bisogni più subordinati degli uomini, dovevo essere sospinto verso la scienza6, e nello stesso tempo l’ideale degli anni giovanili doveva mutarsi in forma riflessiva in un sistema; mi chiedo ora, mentre sono ancora occupato con questo sistema, quale punto di riferimento è da trovare per incidere sulla vita degli uomini»7.

D’ora in poi, il problema di come elaborare un sistema filosofico in grado di offrire una comprensione razionale della realtà concreta nel suo insieme diventa l’obiettivo prioritario per Hegel. In questi anni egli trova anche l’ambiente universitario adatto per questo lavoro. Infatti, con l’appoggio di Schelling8, Hegel si trasferisce a Jena e ottiene l’abilitazione a tenere lezioni all’Università, seppur da docente non di ruolo.

[Di qui si può passare direttamente alla sezione 2]

Schelling e Hegel si presentano come due giovani che lavorano in strettissima collaborazione: organizzano seminari insieme, insieme curano una rivista (il Kritisches Journal der Philosophie - Giornale critico della filosofia), in cui, tra il 1802 e il 1803, escono alcuni saggi importanti di Hegel, come Fede e sapere. In questo saggio egli si confronta con le “nuove” filosofie che stanno dominando il dibattito filosofico a lui contemporaneo. Hegel considera le nuove filosofie dominanti come forme di soggettivismo: in esse la filosofia sembra aver smarrito la sua identità e sembra aver rinunciato a dire qualcosa sulla realtà delle cose, chiudendosi in una riflessione sull’inevitabile forma soggettiva di ogni esperienza culturale e sociale dell’uomo.

In questo senso, ora Kant viene visto in modo diverso da prima. Ora è visto come il promotore di una prospettiva che intende il soggetto conoscente come un centro del tutto unilaterale di esperienza. In tale prospettiva, infatti

«un soggetto pensante è una ragione affetta da finitezza, e l’intera filosofia consiste nel determinare l’universo per questa ragione finita»9.

Proprio perché il soggetto viene inteso come uno spazio chiuso di esperienza, entro cui egli elabora il senso della realtà, proprio per questo il soggetto non può rappresentarsi come un uomo libero e autonomo nel suo sapere: egli si sa come centro chiuso in se stesso, limitato. Il suo conoscere riesce a dare ordine ai fenomeni, ad apparenze, non alla realtà delle cose. Questo appare l’inevitabile esito del criticismo kantiano.Proprio perché il soggetto percepisce sé e la sua ragione come un centro mentale limitato e unilaterale, proprio per questo l’”uomo kantiano” cerca disperatamente nella fede o in qualcosa fuori da sé un punto di appoggio per cogliere il senso dell’esperienza.

«Secondo Kant il soprasensibile non può essere conosciuto dalla ragione, l’idea suprema non ha insieme anche realtà; secondo Jacobi [...] all’uomo è dato solo il sentimento e la coscienza della sua ignoranza del vero, solo il presentimento del vero nella ragione, che è soltanto qualcosa di universalmente soggettivo, un istinto.

6 Quando Hegel dice “scienza” qui si intende “procedimento scientifico”, di cui in questo momento la filosofia sembra dover esprimere la massima consapevolezza ed espressione.

7 Ep. I, pp. 59-60 (p. 156).8 Lettera a Schelling del 2 novembre 1800, in Ep. I, pp. 59-60 (I, pp. 155-156).9 G.W.F. Hegel, Glauben und Wissen oder Reflexionsphilosophie der Subjektivität, in der Vollständigkeit ihrer

Formen, als Kantische, Jacobische, Fichtesche Philosophie, in Gesammelte Werke, Bd. 4: Jenaer Kritische Schriften, hrsg. von H. Buchner und O. Pöggeler, Meiner, Hamburg 1968, pp. 315-415 (Fede e sapere, in Primi scritti critici, a cura di R. Bodei, Mursia, Milano 1971, pp. 121-261), qui p. 322 (p. 132).

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Secondo Fichte [...] il sapere nulla sa se non che nulla sa, e deve trovar rifugio nella fede»10.

E’ come se la precedente spinta illuministica verso l’autonomia della ragione, una ragione in lotta contro ogni forma di pregiudizio e ogni forma di autorità, si fosse non solo arrestata, ma addirittura rovesciata nel suo contrario. La ragione critica, che con Kant sembrava essersi imposta definitivamente contro ogni forma di dogmatismo, ora sembra non sapere godere della sua vittoria, sembra non riuscire a manifestare la sua libertà. Hegel vede che la liberazione illuministica del soggetto dal dogma è una vittoria parziale. Infatti l’io che si è liberato da qualsiasi forma di autorità esterna sembra essere diventato prigioniero di se stesso. Ora la ragione è ciò che il soggetto coltiva nel chiuso del suo io: il suo sapere non riesce a delineare il senso del reale. In Kant, le idee della ragione sono solo degli ideali regolativi, hanno funzione nel modo in cui noi organizziamo il sapere, ma non portano alcun contributo alla conoscenza effettiva della realtà delle cose. All’uomo sfugge la verità, l’assoluto; tutto ciò che il soggetto arriva a possedere come suo sapere gli si rivela solo come un suo prodotto limitato. In questo senso, Hegel valuta anche la filosofia di Fichte come un essere certi di non sapere nulla di ciò che è la realtà in se stessa.

E’ da queste indagini che emerge l’idea, straordinariamente innovativa, di una Fenomenologia dello spirito.

10 Ivi, p. 316 (p. 124).6

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2. La Fenomenologia dello spirito

a. L’idea di una Fenomenologia

Dopo il 1803, Hegel attraversa una forte crisi personale e professionale: Schelling se ne va da Jena; lui se ne rimane lì a Jena come precario e non vede possibilità di essere assunto come professore di ruolo. Neanche l’attività didattica va molto bene: si sparge voce che non sia un gran docente, ha scarsa comunicativa e soprattutto risulta troppo difficile per la maggior parte degli studenti.

Hegel esce da questa crisi con la sua opera forse più geniale, la Fenomenologia dello spirito. Egli termina la stesura di quest’opera nell’autunno 1806, nella notte che precede la battaglia di Jena11.

Qual è l’obiettivo fondamentale dell’opera? La Fenomenologia svolge una funzione liberatrice per l’uomo. Viene da chiedersi anzitutto: in che senso un’opera filosofica può produrre libertà?

Ebbene, per Hegel non sono tanto i giornali, il denaro o i cannoni a cambiare il mondo: certo, questi hanno un gran potere nello spostare l’equilibrio dei poteri dominanti. Ma ciò che produce mutamenti veri, profondi nella storia dell’umanità è qualcosa di altro. Ciò che veramente conta, per Hegel, sono anzitutto i modi di pensare, rappresentare, immaginare la realtà. Tutto il resto viene dopo. Essenziale è il nostro modo di pensare noi stessi e il mondo in cui viviamo.

"La filosofia governa le rappresentazioni e queste governano il mondo"12

Per Hegel ciò di cui si aveva più bisogno nel proprio tempo non era tanto di forgiare nuovi ideali, nella forma di nuove utopie o ideologie: in una situazione internazionale tanto confusa e martoriata da rivoluzioni e controrivoluzioni, ciò di ci si ha più bisogno è di maturare una comprensione razionale della realtà. Per far questo, per maturare una comprensione razionale del reale occorre anzitutto esaminare i nostri modi di pensare all’io, all’intelligenza umana, alla natura, agli assetti sociali, al mondo; un mondo che in questo periodo per la prima volta l’uomo può provare ad abbracciare tutto insieme, con tutta la sua storia, in un solo sguardo.

Ma in che consiste l’energia liberante della comprensione razionale? Principalmente consiste in due attività .

[1] Solo un’attenta comprensione razionale ci permette di liberarci da credenze soggettive e da presupposti indiscussi che imbrigliano il sapere negli autoritarismi, nei dogmatismi, che bloccano l’autentica ricerca filosofica e scientifica in generale. Ora, a bloccare la ricerca non è tanto la presenza di credenze e presupposti: questi sono inevitabili. A bloccare la ricerca è semmai il pigro adagiarsi su credenze e presupposti, senza metterli in discussione.

11 Tre giorni dopo, le truppe napoleoniche, che non incontrano molta resistenza, entrano in Jena, dove Hegel ancora si trova. Anche la sua casa viene saccheggiata. Cfr. Briefe I, p. 121 (I, p. 234).

12 G.W.F. Hegel, Wastebook, 80.7

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«Nel processo della conoscenza, il modo più comune di ingannare sé e gli altri è di presupporre qualcosa come noto e di accettarlo come tale».

Ebbene: la Fenomenologia è anzitutto questo: una critica radicale e sistematica delle credenze e dei presupposti principali, i quali tendono a fissarsi in pre-giudizi, e come tali dominano la nostra esperienza del mondo e di noi stessi.

[2] La ragione ci permette quindi di liberarci dalle forme più sottili e più diffuse di schiavitù. Sono quelle date da una naturale esigenza di ordine nel nostro modo di rappresentarci l’esperienza. Un ordine che per natura noi tendiamo a concepire secondo rapporti del tutto estrinseci tra le cose, entro delle classificazioni a tinte forti di cose e situazioni utili o dannose, familiari o estranee, di forze potenti o deboli, benefiche o malvagie, di credenze vere o false e così via.

La verità non è affatto una moneta coniata che, così com’è, sia pronta per essere spesa e incassata. C’è un falso tanto poco quanto c’è un male. Il male e il falso non hanno affatto la malvagità del diavolo, e a prenderli per entità diaboliche si finisce col farne dei soggetti particolari13.

Ora questo modo del tutto estrinseco e dualizzante di mettere ordine all’esperienza è sì del tutto immediato e intuitivo, di facile applicazione nel quotidiano, ma produce una rappresentazione del tutto primitiva, unilaterale e settoriale della realtà.

Per Hegel la comprensione razionale è anzitutto questo: [1] liberarsi da credenze soggettive e presupposti indiscussi, [2] liberarsi da modi immediati, unilaterali e settoriali di rappresentarsi la realtà. Questa attività liberatrice del sapere viene denominata da Hegel in modo peculiare, con un termine che darà luogo a molti fraintendimenti; egli parla di sapere “assoluto”. Ma assoluto non ha qui il senso di divino-trascendente. Semmai indica l’energia liberante del sapere, che ci permette di essere svincolati, letteralmente slegati da (ab-soluti) condizionamenti di qualsiasi tipo nella nostra attività di pura e semplice comprensione del reale.

In questo senso la Fenomenologia dello spirito14 intende essere l’autentica introduzione alla scienza, ossia al sapere razionale e libero (assoluto).

[Di qui si può passare direttamente alla sezione 3]

b. La struttura della coscienza

La Fenomenologia dello spirito ha come protagonista la coscienza. Che cosa intende invece Hegel per “coscienza”?

13 G.W.F. Hegel, Gesammelte Werke, Bd. 9: Die Phänomenologie des Geistes, hrsg. von W. Bonsiepen und R. Heede, Meiner, Hamburg 1980, 30.

14 Il titolo Scienza della fenomenologia dello spirito viene ad indicare l’indagine scientifica sui modi in cui si manifesta (dal greco ψαίνομαι, che significa apparire, mostrarsi, manifestarsi) ciò che è propriamente è lo spirito dell’uomo e dell’umanità. La “scienza” (o “sapere assoluto”) è per Hegel il modo in cui lo spirito si libera massimamente dai condizionamenti ambientali e manifesta la sua intelligenza razionale.

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La coscienza è il modo immediato e basilare di essere dello spirito umano. Consiste propriamente nell’essere consapevoli di un mondo di oggetti che stanno davanti a noi, come qualcosa di altro da noi stessi. La coscienza dunque [1] si riferisce sempre ad un oggetto15; al tempo stesso [2] considera questo oggetto come qualcosa di altro da sé, ossia gli attribuisce una consistenza propria, indipendente dai propri modi (coscienziali) di conoscere e fare esperienza dell’oggetto; [3] in questo senso la realtà le appare come qualcosa di dato.

Nel momento germinale e basilare della nostra esperienza, noi siamo quindi questa attività proiettata all’esterno, verso oggetti che stanno fuori di noi e che consideriamo come un mondo che ci è dato. Questo è il primo livello della nostra esperienza conoscitiva: solo in un secondo tempo diventiamo autocoscienza, coscienza di ciò che noi stessi siamo. Dapprima la nostra attività è rivolta dunque all’esterno, verso la considerazione di ciò che si presenta anzitutto ai nostri sensi.

Questo fa sì che noi abbiamo l’impressione di essere inizialmente una sorta di scatola vuota, che riceve passivamente dal mondo esterno dato le informazioni di cui ha bisogno per poter conoscere. E’ in questo modo, secondo Hegel, che si genera una delle principali credenze, che poi ritroviamo alla base di tanta parte delle teorie filosofiche e scientifiche.

c. L’itinerario fenomenologico

L’itinerario fenomenologico è un itinerario tortuoso e complesso. La coscienza naturale progredisce ad autocoscienza, poi a ragione autocosciente, quindi ad autocoscienza spirituale, religiosa e infine ad autocoscienza scientifica (come “spirito assoluto”).

A. Coscienza

I. La certezza sensibile o il questo e l’opinione

II. La percezione o la cosa e l’illusione

III. Forza e intelletto

B. Autocoscienza

C. (AA) Ragione

(BB) Lo spirito

(CC) La religione

(DD) Il sapere assoluto

Per ragioni di tempo, noi ci soffermiamo solo sul momento iniziale e quello conclusivo. L’inizio dell’itinerario viene denominato da Hegel: “La certezza sensibile”. Che cosa ha in mente l’autore?

15 Oggi si indica in genere questa funzione con il termine intenzionalità.9

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Hegel qui esamina quella che abbiamo indicato come una delle principali credenze: la certezza di essere un centro interiore, vuoto di contenuti, che però attraverso i sensi è in grado di crearsi un’immagine fedele di come è la realtà esterna in se stessa.

E’ questo un caso tipico di una credenza che può fissarsi in un pregiudizio ampiamente diffuso, anche nel campo scientifico. Che cosa presuppone la “certezza sensibile”? Presuppone una certa immagine di sé, dell’oggetto e del suo rapporto con l’oggetto. Infatti è certa

[1] che i sensi ci ridanno la conoscenza più ricca e concreta del mondo esterno;

[2] che attraverso i sensi la mente ripete direttamente (per immagini) quegli oggetti così come essi sono “in se stessi” (realmente, in verità);

[3] che la conoscenza sensibile è una modalità di conoscenza che non altera, modifica, o condiziona in alcun modo il contenuto dell’esperienza (cosa che fanno invece le parole e i concetti, i quali trasformano l’esperienza sensibile concreta in astrazioni).

Hegel genera qui un esame del tutto peculiare di questa posizione. Lo fa nella forma di un auto-esame. Mostra cioè, passo passo, come la coscienza non riesca a dimostrare la verità di questi presupposti di cui è assolutamente certa.

Ciò che la coscienza riesce a mostrare è solo che c’è qualcosa che essa sente. Ma tutto ciò che essa asserisce di ciò che sente, inevitabilmente, non è più la puntualità del suo sentire. Di fatto i modi stessi con cui prestiamo attenzione al nostro sentire, cercando di localizzarlo nello spazio e nel tempo, cercando di dirlo, o anche solo di indicarlo sono comunque degli atti linguistici. Il pensare e il comunicare linguisticamente si costituiscono come dei mediatori, ovvero come una forma di esperienza che non ridà direttamente o immediatamente il reale in se stesso. Tutte le parole che utilizzo (io, ora, questo, qui…) sono delle forme di universalizzazione, che non ridanno direttamente l’irripetibilità e unicità di ciò che sentiamo. Ma lo stesso accade per le localizzazioni non verbali (come l’indicare).

Risultato è che la coscienza non è in grado di dimostrare che le sue certezze sono vere, ossia:

[1] che i sensi ci ridanno la conoscenza più ricca e concreta. Ciò che possiamo attestare è solo una incessante corrente di modificazioni continue dei

nostri sensi. Perché si sia in grado di pensare e comunicare dei significati stabili e comprensibili occorre ricorrere al pensiero e al linguaggio, cioè a strutture stabilizzanti e universalizzanti.

[2] che i sensi ci ridanno immediatamente (senza mediazione) lo stato reale delle cose. E’ infatti impossibile dimostrare la corrispondenza tra le nostre sensazioni e le cose sentite. Di fatto è sempre la coscienza a compiere una comparazione (tutta interna) tra le proprie sensazioni e le cose sentite (ossia una propria raffigurazione delle cose).

[3] che la modalità sensoriale di conoscenza non incide sul contenuto.

Nel corso dell’intera opera risulterà che non si dà alcuna modalità di conoscenza che ci permetta un accesso diretto alle cose “in sé”, alla realtà così

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come essa si costituisce indipendentemente da noi, cioè a quello che in genere si definisce come “verità delle cose”.

Hegel mostra allora che la coscienza è di fatto una sorta di re Mida: cerca sempre (invano) di nutrirsi di verità, ha bisogno di mostrare a se stessa e agli altri che vi è una verità delle cose che non dipende da lei. Ma ogni volta che la coscienza stessa indica la verità, questa si trasforma immediatamente in suo sapere. Sembra così che la coscienza non riesca mai ad attingere a qualcosa che sia vero in se stesso, in senso assoluto, in modo indipendente dai modi con cui la coscienza conosce. Ogni “in sé”, ogni presunto “assoluto” le si converte subito in qualcosa che è così “per lei”, che è relativo al suo modo di conoscere16.

Sembra allora che il modo in cui la coscienza fa esperienza della scienza sia solo negativo. Sembra cioè che il cammino non conduca alla scienza, ma alla negazione di qualsiasi forma di credenza nella verità oggettiva. Sembra cioè che l’esperienza operi come una sorta di relativizzazione del dato oggettivo a contenuto dell’esperienza coscienziale. Ma il risultato non è solo questo.

Vi è una progressione, che consiste nella consapevolezza che il lettore via via acquisisce dell’importanza dei mediatori logico-concettuali che stanno alla base di ogni esperienza conoscitiva. Ci si rende conto che nell’esperienza conoscitiva gli oggetti e i loro significati prendono forma anzitutto grazie al pensiero e alle strutture linguistiche in cui il pensiero si veicola.

Si è raggiunto il livello del “sapere assoluto” o “scienza pura”, cioè dell’autentica comprensione razionale, quando si è dimostrato [a] che non c’è modo di rinvenire un mondo dato, ovvero una verità che sta “oltre” e “prima” del pensiero e del linguaggio; [b] che il pensiero e il suo veicolo linguistico è la dimensione mediativa fondamentale di ogni esperienza conoscitiva; [c] che la consapevolezza di partecipare della dimensione mediativa del pensiero e del linguaggio è il modo che la coscienza ha per liberarsi da credenze, presupposti indimostrati, considerazioni unilaterali.

Con questo, secondo Hegel, siamo sicuramente pronti per affrontare il vero e proprio sistema della scienza.

16 Per questo la Fenomenologia viene definita da Hegel anche come il cammino del dubbio e della disperazione: la coscienza, e con lei le teorie che si affidano alle credenze coscienziali, non solo dubita ma giunge infine a disperare di poter trovare una verità in sé, non relativa a lei e alle sue modalità di conoscenza.

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3. La filosofia come scienza

a. L’Enciclopedia delle scienze filosofiche

Hegel presenta la filosofia come un ampio sistema multidisciplinare, che egli chiama Enciclopedia delle scienze filosofiche (ne pubblica tre edizioni, nel 1817, nel 1827 e nel 1830).

L’Enciclopedia di Hegel è strutturata in 3 parti tra loro strettamente connesse.

1) Scienza della logica: è il momento della considerazione logico-linguistica dei fondamenti del sapere. Qui Hegel mette a punto la sua peculiare concezione del metodo scientifico, in quanto procedimento puramente concettuale-razionale. [a] A dispetto delle apparenze, Hegel propone una concezione non formalistica della razionalità: la razionalità in senso stretto non consiste in una coerenza astratta, formale, ma nella piena aderenza alla struttura peculiare dei contenuti via via considerati. Tale aderenza è possibile solo se la scienza è in grado di render conto dei contenuti insieme con i procedimenti logico-concettuali che li hanno generati. In particolare, la scienza è tale solo se è in grado di mostrare in modo sistematico come si generano i propri contenuti nel loro insieme, nella loro concreta complessità. Razionalità non è quindi per Hegel formalismo di tipo simbolico-matematico, ma semmai è sinonimo di sapere concreto17 dell’intero. E questo significa [b] che la razionalità non è espressione di un ordine inerte e asettico di enti isolati, ma un ordine dialettico e dinamico: vale a dire esprime la comprensione dell’intero ambito dei contenuti che considera, con i loro processi generativi, le loro interne trame relazionali, fatte cioè di scambi e di opposizioni, fino a delineare tutta la complessità di ciò che via via considera.

2) Filosofia della natura: è il momento della considerazione filosofica dei concetti e dei procedimenti fondamentali della matematica, della fisica e della biologia.

3) Filosofia dello spirito: è il momento della considerazione filosofica dei concetti e dei procedimenti fondamentali delle scienze che si occupano dell’intero spettro dello sviluppo dell’uomo e dell’umanità in ogni suo aspetto. Si procede dalla formazione psichico-intellettuale del soggetto (Antropologia, Fenomenologia, Psicologia); si passa poi a considerare la sedimentazione oggettiva dell’intelligenza umana (diritto, morale, economia politica, politica istituzionale, politica internazionale, storia dell’umanità); infine si esaminano quelle attività che Hegel considera la

17 Concreto nel significato etimologico (dal latino cum-cresco), in quanto il sapere deve tenere assieme sistematicamente le varie componenti, funzioni, dinamiche, che compongono i contesti che consideriamo.

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massima espressione spirituale dell’umanità: la creazione artistica, l’esperienza religiosa, l’indagine scientifica (filosofica).

b) Diritto, morale ed etica: la razionalità dei sistemi di vita socio-politica

L’arte, la religione, la scienza esprimono per Hegel la libertà assoluta dello spirito. È comunque nella teorizzazione della sedimentazione e generazione oggettiva di interi mondi socio-culturali (quindi nel diritto, nella morale, nei sistemi socio-economici, nelle istituzioni politiche) che si creano le condizioni storiche concrete per lo sviluppo della massima libertà dell’intelligenza e dello spirito umano.

In questo ambito Hegel propone una importante distinzione. Afferma che un (I) sistema di “leggi” come tale esprime dei vincoli basilari per la costituzione di un tessuto civile. Ma al tempo stesso esprime solo delle regole del tutto estrinseche e generali: esprimono solo ciò che in determinate circostanze non dobbiamo fare, non ci dicono nulla della nostra vita.

Alla base di ogni forma di convivenza sociale razionale, Hegel pone invece il riconoscimento della assoluta libertà del volere del singolo soggetto. Ora, i soggetti sono anzitutto interiormente certi di essere liberi ed esigono di venir riconosciuti come tali, prima ancora di essere tutelati giuridicamente in ciò.

È soprattutto questa libertà soggettiva o morale ciò che si chiama ‘libertà’ nel senso europeo del termine18.

Questo è propriamente il tema della (II) moralità, intesa come scienza filosofica: non il giudizio (dottrinale) su ciò che va considerato morale o immorale, ma la teorizzazione dell’agire del singolo come manifestazione del suo libero volere.

Il profilo argomentativo proposto da Hegel è il seguente: in un’azione propriamente detta, il soggetto vuole realizzare nell’oggettività un contenuto proprio, elaborato riflessivamente in lui stesso (come proponimento, intenzione o come ideale). E tuttavia nella realizzazione dell’azione il singolo modifica l’esistente, e questa modificazione viene definita un fatto. Ma il fatto non è solo la trasposizione oggettiva del proponimento o dell’intenzione del singolo. Il fatto risulta da un processo ben più complesso, che concerne non solo ciò che il singolo sa e vuole ottenere con il suo agire, ma anche il tortuoso corso del mondo, nel quale il singolo agisce. Da questa più ampia prospettiva, l’agire del singolo viene a fondersi entro una rete magmatica di condizioni e azioni, che solo inizialmente sono ben distinte, e che contribuiscono a generare delle linee di fuga instabili, tanto che risulta ben arduo stabilire la direzione del corso del mondo, non solo nel lungo periodo, ma anche nel futuro più prossimo.

18 G.W.F. Hegel, Gesammelte Werke, Bd. 20: Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse (1830), hrsg. von W. Bonsiepen und H.-C. Lucas, Meiner, Hamburg 1992 (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, con le Aggiunte, 3 voll., a cura di V. Verra e A. Bosi, Utet, Torino 1981-2002), parte III, § 503 ann.

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Si capisce allora perché per Hegel la morale non possa essere una scienza autonoma. Essa va invece considerata come l’esame di un lato particolare dell’agire: quello che pertiene i propositi, le intenzioni, gli ideali perseguiti dal soggetto, indipendentemente dalle conseguenze delle sue azioni.

Se miriamo ad una comprensione razionale dell’agire umano nella sua concreta complessità, allora non possiamo limitare lo sguardo agli aspetti morali-soggettivi dell’agire.

Parlando in termini morali, pensare solo a sé è la stessa cosa che non pensarci affatto, perché il fiore assoluto dell’individuo non è dentro di lui; è nell’umanità intera.

Pensare in termini individualistici la vita sociale è neint’altro che un’”astrazione” (lat. Ab-trahere, letteralmente uno “strappar via da-” e considerare “isolatamente”), cioè un de-contestualizzare. L’astratto individualismo (una sorta di atomismo sociale) tende ad occultare sono quegli aspetti che si stanno affermando in modo potente e irreversibile nel proprio tempo: la razionalizzazione della vita in sistemi socio-politici complessi, i cui membri non vivono isolati, ma sono essenzialmente interdipendenti.

Per presentare la necessità ad una comprensione razionale integrale di una tale società complessa, Hegel conia il termine di (III) Eticità.Hegel è generalmente considerato il primo filosofo ad avere integrato nell’ambito della filosofia politica la considerazione sistematica, in prospettiva politico-economica, della società civile.

La società civile non è intesa da Hegel come risultato di una somma di istituzioni o forme private di aggregazione, né, contrattualisticamente, come il frutto di un accordo stretto tra individui che intendono fondare una rete comune di protezione e di servizi, cedendo a questo scopo una parte delle loro risorse e della loro libertà. La società civile è per Hegel anzitutto un sistema storico, in cui la vita e il benessere del singolo è intessuta con la vita e il benessere degli altri.

La peculiarità di un sistema sociale razionale è che si costituisce attraverso il bilanciamento di due principi:

1) La singola persona concreta. L’attività dei singoli è infatt il motore di un sistema sociale; ma il singolo tende naturalmente ad avere se stesso come fine.

Secondo questo primo principio, ciascuno si percepisce naturalmente come una «totalità di bisogni» da soddisfare. Nella trama economica della società, è essenziale garantire al singolo la possibilità di orientare il proprio sapere e fare secondo una direzione che egli tende spontaneamente a tracciare, in vista della propria libera realizzazione sulla base di esigenze e convinzioni personali.

Dal punto di vista dell'economia politica si è trovato che la proprietà in mano ai proprietari privati viene coltivata meglio di quella che uno coltiva soltanto per una universalità e per la quale non ha lo [stesso] interesse che ha per la sua propria libera proprietà19.

19 G.W.F. Hegel, Vorlesungen über Naturrecht und Staatswissenschaft. Heidelberg 1817-18 mit Nachträgen aus der Vorlesung 1818-19. Nachgeschrieben von P. Wannenmann, hrsg. von C. Becker, W. Bonsiepen, A. Gethmann-Siefert, F. Hogemann, W.

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L’attività della «persona privata» tende naturalmente a «darsi libero corso da tutti i lati», sia dal lato dei bisogni, sia da quello dell’arbitrio, sia da quello della libido soggettiva20. E questo naturalmente pone il problema di come possa sopravvivere un sistema sociale se esso è ridotto ad un aggregato di atomi automoventesi, volti alla soddisfazione di ogni bisogno e impulso soggettivo.

Per questo, la società civile si costituisce regolandosi anche su un secondo principio:

2) Il principio della mediazione sociale. Ciascuna persona «si appaga tramite l’altra», però non estrinsecamente, solo secondo un principio di scambio, ma in modo tale per cui l’attività di ogni singola persona è «in pari tempo semplicemente come mediata dalla forma dell’universalità»21.

Abbiamo quindi a che fare con il costituirsi di un sistema del tutto peculiare, in quanto fondato su un duplice principio. Il problema principale che Hegel pone nel proseguimento di questa teorizzazione è proprio quello di considerare gli sviluppi del rapporto tra questi due principi: (1) l’agire del singolo, fondato e orientato alla soddisfazione personale, e (2) l’attività di mediazione dell’intero sistema sociale.

Il problema che si pone è quindi il seguente: in assenza di una regolamentazione esterna, l’attività dei suoi membri è naturalmente volta al perseguimento di interessi particolari. Compito essenziale per una scienza filosofica della società, allora, è comprendere come un sistema di convivenza mosso da forze centrifughe, ossia animato da singolarità che perseguono in modo anche conflittuale i propri interessi, e che si sviluppano in condizioni locali e internazionali contingenti, secondo eventi per lo più non prevedibili, si costituisca di fatto come un sistema relativamente stabile, capace di autoregolazione.

Questo dipende, secondo Hegel, fondamentalmente dalla peculiarità di quello strumento di soddisfacimento dei bisogni che è il lavoro, dove il singolo, per soddisfare i propri bisogni, va incontro anche ai bisogni degli altri:

lavorando per gli altri si lavora per se stessi; ognuno si procura [il soddisfacimento de]i suoi bisogni per mezzo degli altri22.

Se il sistema sociale media l’attività particolaristica dei privati, questo avviene proprio perché, in una società industriale moderna, il lavoro retribuito è un’attività che può essere conseguita efficacemente soltanto se il singolo «determina in modo universale il proprio sapere, volere e fare» e si rende così «un anello della catena» di un contesto socio-economico complesso, internamente connesso e interdipendente. Ciò che appare al singolo come un mezzo per il raggiungimento di un fine personale costituisce, al tempo stesso, un Jaeschke, Ch. Jamme, H.-Ch. Lucas, K.R. Meist, H. Schneider, mit einer Einleitung von O. Pöggeler, Hamburg 1983 (Lezioni di filosofia del diritto. Secondo il manoscritto di Wannenmann. Heidelberg 1817/1818, a cura di P. Becchi, Istituto Benincasa, Napoli 1993), abbrev. LD 1817-18, § 83 ann.

20 G.W.F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, in Gesammelte Werke, Bd. 14/1, hrsg. von E. Weisser-Lohmann und K. Grotsch, Meiner, Hamburg 2009 (Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Laterza, Roma-Bari 19902), abbrev. FD, §§ 185-186.

21 FD, § 182.22 LD 1817-18, § 93 An.

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processo attraverso cui il sistema arriva a dare respiro universale (principalmente in termini di competenze intellettuali, autolimitazione e disciplina) all’agire dei singoli.

In questa dipendenza e reciprocità del lavoro e dell’appagamento dei bisogni, l’egoismo soggettivo si rovescia nel contributo all’appagamento dei bisogni di tutti gli altri, - nella mediazione del particolare ad opera dell’universale come movimento dialettico, così che, mentre ciascuno guadagna, produce e gode per sé, egli appunto con ciò produce e guadagna per il godimento di altri23.

Ma l’attenzione di Hegel è soprattutto rivolta all’interna connessione tra mutamenti sociali e trasformazioni economiche. Nel sistema sociale moderno, secondo Hegel, ciò che permette ai singoli membri di partecipare attivamente ai processi produttivi non è solo la combinazione tra attitudine personale e possibilità di accesso al capitale, ma anche un’adeguata formazione. E nei tempi recenti quest’ultima ha acquisito una sempre maggior importanza, per l’esigenza di educarsi ad una nuova forma mentis, caratterizzata da rapidità e duttilità di pensiero, abitudine all’utilizzo di linguaggi simbolici e segnici, spiccato senso critico e autocritico, elevate capacità di generalizzazione e di comprensione di sistemi complessi di relazioni24.

Lo stato deve tutelare la libertà sociale, come la libertà propria di un sistema che si autoregola, curandosi quindi principalmente della preservazione della libertà di iniziativa del singolo, ciò che tuttavia lo stato deve anche garantire è la possibilità di accesso al capitale e ad una adeguata formazione25.

Lo stato deve però evitare di intervenire come un potere esterno, livellatore delle ineguaglianze sociali, le quali sono inevitabilmente presenti in un tale sistema sociale, mosso principalmente dalla libera competizione per l’arricchimento per mezzo del lavoro. Se non può e non deve prevenire le ineguaglianze, lo stato deve invece prevenire e tutelare, a fianco dell’iniziativa privata (di singoli, istituti religiosi e fondazioni), gli effetti nocivi dell’ineguaglianza sociale e dalle situazioni contingenti di impoverimento.

c) Ragione e storia

Compito della scienza è principalmente comprendere come dietro il caos apparente degli eventi sociali si dia una logica, una trama che consente la creazione di organizzazioni storiche stabili e un vero e proprio progresso. Hegel conia l’espressione del tutto peculiare di “astuzia della ragione” per dire che nella storia si dà ragione, vale a dire un senso e una direzione di sviluppo che però generalmente non sono comprese, spesso anche dagli stessi protagonisti (apparenti) di un sistema storico.

Questo risulta particolarmente evidente, secondo Hegel, nella considerazione generale della storia dell’umanità. Hegel enfatizza la necessità di separare le aspettative di singoli o gruppi, da quello che appare essere il corso necessario

23 FD, § 199.24 Cfr. FD, § 197.25 Cfr. LD 1817-18, § 98 An.

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degli eventi mondiali. La storia non è la sfera della felicità, sostiene Hegel: e questo vale per dominatori e dominati, vincitori e sconfitti.

i periodi di felicità, per la storia, sono infatti pagine vuote, dal momento che l’oggetto della storia è, nella più blanda delle accezioni, la trasformazione. Nella storia universale la soddisfazione non può essere chiamata anche felicità, giacché si tratta del soddisfacimento di fini universali, che vanno al di là della sfera in cui si lasciano soddisfare le consuete preferenze particolari. L’oggetto della storia universale sono i fini che hanno in essa significato, che vengono portati a termine con energia e volere astratto e spesso si indirizzano contro la felicità dei protagonisti stessi e di altri individui26

Egli sembra limitarsi a constatare che gli attori principali della storia spingono verso trasformazioni che di fatto si realizzano attraverso processi conflittuali e non necessariamente promuovono benessere. E se viene realizzato qualcosa di decisivo per la storia dell’umanità, questo risulta da una considerazione razionale successiva, che spesso viene compresa dai posteri, molto tempo dopo, e questo solo sul piano complessivo dei processi storico-mondiali, e non sul piano dell’orizzonte limitato di visione e comprensione dei soggetti implicati in queste trasformazioni e dei fini contingenti da loro perseguiti.

26 G.W.F. Hegel, Vorlesungen. Ausgewählte Nachschriften und Manuskripte, Bd. 12, Vorlesungen über die Philosophie der Weltgeschichte, hrsg. von K.H. Ilting, K. Brehmer e H.N. Seelmann, Meiner, Hamburg 1996, 64 (Filosofia della storia universale. Secondo il corso tenuto nel semestre invernale 1822-23. Sulla base degli appunti di K.G.J. von Griesheim, H.G. Hotho e F.C.H.V. von Kehler, a cura di K.H. Ilting, K. Brehmer e H.N. Seelmann, introd. di S. Della Valle, Einaudi, Torino 2001, 61).

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