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PROGETTO POF 2003/04 LABORATORIO STORICO LINGUISTICO CLASSE IV A EL L’inno de su Patriottu Sardu

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PROGETTO POF 2003/04LABORATORIO STORICO LINGUISTICO

CLASSE IV A EL

L’inno de su Patriottu Sardu

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Indice

La Rivoluzione in Sardegna

L’inno di Francesco Ignazio Mannu

Approfondimento strofe 28, 29, 30

Bibliografia

Gli autori

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La Rivoluzione in Sardegna Torna all’indice

1Le Cinque domande

Il 29 dicembre del 1792 i francesi ⑴ avevano occupato Carloforte senza colpo ferire e si preparavano ad invadere l’isola. Ma il 17 gennaio 1793 dovettero ritirarsi dall’istmo di Sant’Antioco, grazie alla resistenza dei miliziani ⑵ di Iglesias.Il 20 gennaio la flotta francese fece vela sulla città di Cagliari.Fin dal 4 gennaio 1793 lo Stamento militare ⑶ si era autoconvocato per prendere provvedimenti di fronte alla minaccia francese. Il governo sabaudo aveva sempre preferito rivolgersi direttamente agli Stamenti ⑶ (militare, dei nobili; ecclesiastico, del clero; reale, dei rappresentanti delle città, cioè i borghesi) attraverso dei loro referenti, evitando la riunione plenaria dell’assemblea generale dei tre rami del Parlamento ⑶ (la cui ultima convocazione risaliva ad un secolo prima). L’autoconvocazione era dunque già di per sé un atto eccezionale.Nella discussione, il vicerè ⑷ Balbiano fu oggetto di critiche per la sua inazione.Dopo qualche giorno anche lo Stamento ecclesiastico decise di riunirsi. Si chiese il rispetto delle “leggi fondamentali” ⑷ del Regno di Sardegna e lo ristabilimento del Parlamento, entrambi, sia leggi che organo, risalenti al periodo spagnolo ed ancora vigenti, benché mai presi in considerazione dai Savoia.Nel frattempo si mobilitò un altro organo istituzionale: la Reale Udienza ⑸, il supremo tribunale dell’isola, che doveva giudicare se fosse legittima l’autoconvocazione dello Stamento militare.La Reale Udienza non solo giudicò legittima l’autoconvocazione del Parlamento, ma ribadì il suo importante ruolo di Consiglio politico del vicerè.

Il 22 gennaio la flotta francese comandata dal Truguet inizia il bombardamento sulla città di Cagliari ed in febbraio hanno luogo le operazioni di sbarco sul litorale di Quartu, al Margine rosso. I miliziani sardi riescono a resistere agli assalitori, che si ritirano.Nobili e borghesi, nell’entusiasmo della resistenza ai francesi, hanno assaporato il piacere del comando, hanno riscoperto il valore delle tradizionali “autonomie” sarde, che i Savoia avevano trascurato e disprezzato.I nobili cagliaritani si lamentano della lentezza del vicerè nella difesa, richiedono che alla nobiltà sarda venga riservata l’assegnazione di incarichi civili e militari. Si diffondono idee di cambiamento, e si rafforza la volontà di richiamarsi alle “leggi fondamentali”.

Nell’estate del 1793 gli Stamenti pronunciano le Cinque Domande, in un memoriale indirizzato al sovrano:1- che il Parlamento, mai riunito dai re sabaudi, fosse convocato come già dai re di Spagna, ogni dieci anni; 2- che si riconfermassero gli antichi privilegi del regno; 3- che, fatta eccezione per la carica di viceré, tutti gli impieghi civili e militari fossero concessi esclusivamente a Sardi; 4- che si istituisse un ministero per gli affari della Sardegna in Torino; 5- che si istituisse in Cagliari un Consiglio di Stato che il viceré avrebbe dovuto consultare per l’ordinaria amministrazione.Due membri di ciascuno degli stamenti vengono designati a costituire la delegazione che dovrà illustrare il memoriale al sovrano. Per lo stamento militare vengono designati Gerolamo Pitzolo e Domenico Simon. Le Cinque Domande vengono dunque affidate alla delegazione che si recherà a Torino per essere ricevuta dal re.Ma le Cinque Domande vengono respinte dal re Vittorio Amedeo III. Vennero solo concesse delle nomine ad alcuni sardi: Gerolamo Pitzolo, che aveva fatto parte della delegazione, ottenne l’incarico di Intendente generale delle Finanze e il Marchese della Planargia quello di Generale delle Armi.

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Successivamente si verificò una spaccatura tra coloro che, insieme a Giramo Pitzolo, ritenevano esaurito l’entusiasmo per la resistenza antifrancese e che dovesse essere ristabilito l’ordine, e coloro che invece ritenevano si fosse giunti solo ad una prima fase di un processo di cambiamento.Facevano parte di quest’ultimo schieramento soprattutto avvocati e notai e i rappresentanti dello Stamento reale, che consideravano Giovanni Maria Angioy come punto di riferimento. Essi godevano di un solido appoggio popolare.Il Pitzolo e il Planargia verranno infine accusati di tradimento e uccisi.

2 La Rivoluzione a Sassari

Per vent'anni i Savoia tennero in posizione marginale l'isola, che pure aveva conferito loro il titolo regio, appunto quello di re di Sardegna.Il re Vittorio Amedeo II di Savoia (1720-1730) non effettuò nessun intervento per migliorare le condizioni di grave arretratezza lasciate dagli spagnoli, salvo una prima riorganizzazione del sistema fiscale; mentre qualche prima misura fu adottata in maniera episodica da Carlo Emanuele III (1730-1773). A partire dal 1743 un potente ministro piemontese, Gian Lorenzo Bogino, attuò illuminate misure di carattere riformistico: riaprì, rifondandole sul modello dell'ateneo di Torino, le università di Cagliari e di Sassari, dove si provvide nel 1764 a riorganizzare il funzionamento dell’università in seguito alle richieste delle autorità locali.; rafforzò i consigli comunali e creò i monti frumentari, ossia un sistema finanziario pensato per incrementare l'agricoltura e liberare i contadini dal peso dei debiti. A Bogino si deve anche la valorizzazione dell'arcipelago della Maddalena, dove venne costruita una piazzaforte militare a protezione del porto, che diventerà nell'Ottocento un'importante base militare. Ma la già debole spinta riformistica si spense sotto Vittorio Amedeo III (1773-1796) durante il cui regno tornarono a prevalere in Sardegna condizioni di isolamento e arretratezza.

A Sassari, che precedentemente aveva tratto beneficio dalle iniziative del Bogino, espandendosi e superando i 16000 abitanti, un governatore avido e prepotente, Allì di Maccarani, condusse i ceti popolari a ribellarsi, il 23 aprile 1780, devastando gli edifici pubblici e saccheggiando la frumentaria e numerosi negozi.Durante gli anni della Rivoluzione francese, nel decennio rivoluzionario di fine secolo, si formò nell’isola un movimento antifeudale e antisabaudo. Le popolazioni rurali soprattutto del Logudoro tumultuavano ed insorgevano contro i feudatari. Queste insurrezioni miravano a conseguire proprio ciò che i sardi avevano perduto respingendo valorosamente la flotta del Truguet! I vassalli ⑹ si rifiutavano di pagare i tributi feudali. Nel 1793 Ossi fece resistenza contro il duca dell’Asinara e sul suo esempio si ribellarono anche Sennori e Sorso, mettendo in fuga i dragoni del Governatore⑺. Il fermento si estese pure a Bulzi, Sedini, Nulvi, Osilo, Ploaghe, che rifiutarono di pagare i diritti feudali.Via via i moti si estesero a quasi tutto il Logudoro e oltre: Ittiri, Uri, Thiesi, Pozzomaggiore, Bonorva; e mentre in principio furono dimostrazioni passive e isolate, ora i vassalli, nel 1795, si armano (Ozieri leva in armi 600 uomini) e qua e là si impossessano (Ittiri e Uri con 700 armati) dei granai e dei feudatari. Si stipulano anche patti di intesa, come quello di Thiesi, Bessude e Cheremule, con atto pubblico notarile registrato a Sassari, con la firma di 113 persone che affermano di non riconoscere più alcun feudatario e chiedono il riscatto delle terre. Anche Bonorva, Semestene e Rebeccu stipulano un documento analogo. Sassari divenne il luogo di raccolta delle forze conservatrici feudali e religiose, che vi si asserragliarono, assumendo un atteggiamento di ribellione e di disubbidienza di fronte a Cagliari, capitanate dal ricchissimo e superbo Duca dell’Asinara. Ma, ciò nonostante, un piccolo esercito di democratici, formato da alcune migliaia di contadini, riuscì ad impadronirsi della città mentre i feudatari fuggivano al primo scambio di archibugiate. I capi della rivolta, gli

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avvocati Gioacchino Mundula e Francesco Cilocco, posero il loro quartier generale nel convento di Sant’Agostino. Seguì una breve battaglia presso il Castello e davanti alla torre di Porta Macello (l’attuale mercato) e Sassari si arrese : Il palazzo del duca dell’Asinara fu messo a soqquadro, fu rimosso il consiglio civico, l’arcivescovo Della Torre e il governatore Santuccio, fatti prigionieri, furono inviati a Cagliari .In queste circostanze, inviato da Cagliari col compito di rimettere ordine nel Logudoro, il 28 Febbraio del 1796, fece il suo ingresso in città, l’alternos ⑻ Giovanni Maria Angioy, accompagnato ed acclamato da una folla di patrioti raccolti durante la sua marcia trionfale verso la città, al canto dell’Inno “A su Patriottu sardu” del poeta Mannu: “Procurade ‘e moderare barones sa tirannia”. Essi erano animati dall’intento, rivelatosi però ancora prematuro, di giungere all’abolizione del sistema feudale.Questo tentativo finì ben presto nel nulla, e fu seguito da feroci repressioni.L'isola rimase saldamente controllata dai Savoia, grazie anche all'appoggio navale fornito dall'Inghilterra. Il regime feudale che gravava sulle proprietà fu abolito solo nel triennio 1836-1839, sotto Carlo Alberto.

3 La Rivoluzione a Cagliari

La rivolta popolare

Il 28 Aprile 1794, una compagnia di granatieri del reggimento svizzero Schmid scende dalla Porta Reale, dirigendosi verso Stampace, un rione nato nel XIII secolo, al momento della prima fortificazione di Castello, raccogliendo artigiani e capimastri pisani, ed in seguito popolato dai sardi.Gran parte dei granatieri si dispone in cerchio attorno all’abitazione dell’avvocato Vincenzo Cabras per notificargli un ordine di arresto che si estende al genero del Cabras, Efisio Pintor, anche lui avvocato. Essi devono essere arrestati perché considerati pericolosi rivoluzionari.Quando i due uomini, in catene, escono dalla casa, la notizia percorre immediatamente Stampace. Lo sdegno si trasforma presto in rivolta. I granatieri si richiudono all’interno del Castello il quale viene assalito dal popolo. Una volta entrati, gli insorti giungono nella piazza antistante il Palazzo viceregio e lo scontro si fa più accanito tra il popolo e la guardia di palazzo. Viene ucciso il Comandante delle guardie, ed il popolo conquista il palazzo e ha la meglio sui granatieri.

Lo Scommiato: “La scacciata”

Una cosa che le cronache non dicono è quale atteggiamento abbia assunto di fronte alla sommossa popolare la nobiltà cagliaritana. Fatto sta che appena i fucili hanno smesso di sparare e il viceré e i funzionari piemontesi, in preda al terrore di essere massacrati da una plebe urlante, si sono rintanati nella stanza più riposta del Palazzo, i nobili sono prontissimi a entrare in scena per prendere in mano le redini della città.Il primo impulso di fronte alla folla in tumulto che circonda il Palazzo viceregio è quello di calmare i più accesi, di introdurre un elemento di moderazione nella dinamica di una rivolta di cui si temono ulteriori sviluppi.Da un lato i nobili rassicurano il viceré, dall’altro il visconte di Flumini, don Francesco Asquer, a capo di un centinaio di persone, procede all’arresto dei piemontesi presenti in città.Lo “scommiato” dei piemontesi da Cagliari si svolge in un clima in cui toni enfatici si alterneranno a quelli, più familiari alla città, del lazzo e della battuta. Il 30 aprile il vicerè Balbiano sale sulla nave veneziana che deve portarlo in Italia e che salperà il 7 Maggio 1794.Intanto entro le mura della darsena dove Balbiano sta per imbarcarsi, gruppi di popolani festosi inscenano un irridente ballo sardo. Un “Manifesto Giustificativo”

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Così come era avvenuto anche a Sassari, le cose si erano svolte tutto sommato con ordine: non vi era stato neppure per un momento il pericolo di una “tirannia plebea”, ed il popolo cagliaritano era stato solo provocato da arresti insensati (quello dell’avvocato Vincenzo Cabras e quello, tentato, di Efisio Pintor).L’esempio più vistoso della febbre di iniziative che aveva preso la città era costituito dal notaio stampacino Vincenzo Sulis, il quale, nei giorni dell’attacco francese si era fatto capopopolo e aveva reclutato armati, li aveva organizzati, li aveva utilizzati in azioni audaci; dopo la sconfitta dei francesi tutto questo apparato non era stato smobilitato, per cui il 28 aprile ritroviamo gli uomini di Sulis presidiare armati le strade di Stampace.Ma presto la rivolta popolare era rientrata sotto il controllo dei nobili cagliaritani.Il momentaneo vuoto di potere, era stato riempito dalla Reale Udienza.Non mancavano certo implicazioni rivoluzionarie e la richiesta avanzata dai sardi rivoluzionari della “privativa degli impieghi” per i sardi era passibile di una doppia lettura. Quella in chiave patriottica poteva anche odorare pericolosamente di giacobinismo. L’altra però riconduceva al tema degli antichi privilegi dell’aristocrazia sarda.Le cose inizialmente parvero avviarsi in questa seconda direzione. Da parte del governo di Torino prima vi fu la sostituzione del ministro dell’Interno Granari con il conte Avogadro di Quaregna, poi, subito dopo, la nomina di alcuni sardi alle cariche lasciate scoperte dall’allontanamento dei funzionari piemontesi.

Un manifesto giustificativo dei fatti di Stampace (anonimo ma in realtà steso da Antonio Cabras, figlio di uno degli arrestati) escludeva che dietro di essi vi fosse un preciso progetto politico.In realtà le cose non sarebbero finite così, ma avrebbero avuto un seguito con l’entrata in scena di Giommaria Angioy.

4 Giommaria Angioy

Nacque a Bono il 21 ottobre 1751, visse nel periodo sabaudo del Regno di Sardegna.Intraprese gli studi a Sassari nel convitto nazionale del Canopoleno dove conseguì il magistero di Filosofia ed Arti.Trasferitosi a Cagliari si laureò in “utroque jure”,divenendo dottore in legge a soli 20 anni. Nel maggio del 1789 fu professore di Diritto civile nell’Università e poi giudice nella Reale Udienza.La sua grande stagione politica ebbe inizio all’indomani della fallita invasione francese e, soprattutto, dopo l’insurrezione del luglio 1794 che portò alla cacciata del viceré piemontese e che diede tutto il potere alla Reale Udienza. Egli era l’anima e il capo del partito democratico riformista e divenne ben presto il punto di riferimento dei patrioti rivoluzionari.Il 3 febbraio 1796 venne nominato dal nuovo viceré Vivalda (che aveva sostituito il Balbiano dopo la sua caccaiata) suo Alternos con pieni poteri civili, militari e giudiziari, ed inviato nel Logudoro per calmare i disordini. Dopo molte titubanze l’Angioy partì da Cagliari il 13 febbraio, con poca scorta, a cavallo. Per raggiungere Sassari sarebbero stati sufficienti pochi giorni di viaggio, invece ne trascorsero quindici: ovunque accolto con dimostrazioni di simpatia, fatto sostare per rendersi conto dello stato e dei bisogni delle popolazioni, apparve come un redentore ed accese molte speranze. Dappertutto giudicava le cause pendenti tra vassalli e feudatari, discuteva le questioni locali, dirimeva controversie, dava suggerimenti. Ogni villa, a mano a mano che avanzava, voleva fargli omaggio di una scorta. Quando giunse alle porte di Sassari il suo seguito era imponente, nella maggior parte costituito di cavalieri armati.

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Il 28 febbraio Angioy entrò trionfalmente a Sassari, per porta Sant’Antonio, avvolto nel suo mantello rosso, mentre le campane suonavano a festa, seguito da oltre mille cavalieri che si erano uniti a lui nella sua marcia attraverso l’isola, accolto da ali di popolo che lo acclamava: “viva Angioy, viva l’Alternos, non più duchi, non più marchesi e baroni, cadano preti e frati, bando ai traditori, viva la Nazione sarda, viva la libertà!”. Anche il Capitolo della Cattedrale, coi paramenti corali, aveva atteso l’alternos nella gradinata del Duomo intonando il Te Deum.Nella casa dello zio canonico Arras, dove aveva trovato ospitalità, Angioy riceveva la visita di molti nobili repubblicani. Intanto, come Alternos prima di tutto provvide a riordinare la Milizia e a ricostituire la Reale Udienza nella città. Ridato ordine e tranquillità alla città, egli pensò alle scorte di grano che si erano esaurite, dispose l’esecuzione di lavori pubblici, assorbendo la disoccupazione.Anche i feudatari ed altri che erano fuggiti cominciarono a rientrare, mentre nei villaggi le popolazioni, deposte le armi, erano tornate al lavoro, sempre decise comunque a non pagare i diritti feudali.

Ciò fu motivo di un vivace scambio di corrispondenza tra l’Angioy e il viceré che insisteva perché i vassalli venissero costretti a pagare, ma l’Angioy faceva rilevare che la missione affidatagli era quella di cercare un accordo tra vassalli e baroni e non di fare l’esattore. Egli era convinto che la soluzione della controversia non potesse essere che il riscatto, così come chiedevano le stesse comunità dei villaggi.Il suo impegno per reprimere gli abusi feudali indusse i feudatari sardi a screditarlo presso il viceré ed a tramare contro di lui.L’Angioy pensò allora di compiere assieme ai suoi seguaci una marcia dimostrativa sulla capitale per ottenere l’esplicito riconoscimento dei diritti dei vassalli sardi. E’ probabile che egli, come farebbe intendere in un suo successivo memoriale, avuto notizia della fulminea offensiva di Napoleone Bonaparte e delle vittorie dei francesi che si susseguirono dal 12 al 22 aprile con le quali l’esercito piemontese era stato completamente battuto, abbia voluto approfittare della debolezza dei Savoia e tentare un atto di forza fidando nell’aiuto dei francesi.

Il 2 giugno lascia Sassari e con una buona scorta che si ingrossa via via , scende nel Logudoro verso il Marghine puntando su Macomer, dove deve affrontare con i suoi 5000 uomini a cavallo la resistenza degli abitanti del villaggio. Di qui scende a Santulussurgiu e raggiunge l’8 giugno Oristano.

Dipinto di Sciuti nell’aula del Consiglio Provinciale a Sassari

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Solo ora apprende la conclusione della guerra in Piemonte, con l’armistizio di Cherasco (28 aprile) al quale seguirà la pace di Parigi (15 maggio). Dirà nel suo memoriale scritto in esilio che: “se la guerra del ’96 fosse continuata due settimane di più, la Sardegna sarebbe stata libera sotto la protezione della Repubblica francese “.

l’Angioy giunto ad Oristano scrisse subito al viceré per un abboccamento, per esporre i motivi dell’agitazione delle comunità del Logudoro: in caso di rifiuto minacciava la separazione del distretto del Logudoro. A questo punto gli stamenti, timorosi di un’azione rivoluzionaria, inoltrarono un’istanza al viceré per la destituzione dell’Angioy da alternos dichiarando lui e i suoi seguaci ribelli alla monarchia.Dopo aver atteso il 9 e il 10 una risposta del viceré, che invece lo aveva destitutuito, Angioy aveva creduto opportuno abbandonare la città, anche per evitare i saccheggi dei suoi uomini, in buona parte privi di vettovaglie. Dopo uno scontro sul ponte del Tirso con gli oristanesi che, irritati per i ripetuti saccheggi, si erano uniti alle truppe inviate dalle autorità cagliaritane, l’Angioy , ormai sfiduciato, decise la ritirata.Rientrò a Sassari con pochi fedelissimi la sera del 15, e la popolazione, che era all’oscuro dei provvedimenti viceregi, lo accolse con acclamazioni.

Imbarcatosi a Porto Torres su un veliero diretto ad Aiaccio, allo scopo di evitare l’arresto, dalla Corsica passò a Livorno e poi a Genova. Andò a Torino, con l’intento più che difendersi di accusare il viceré e gli stamenti. Ma la Segreteria di Stato ed il re non potevano certo accogliere le ragioni dei vassalli sardi contro i feudatari. Le repressioni, gli arresti e le impiccagioni sarebbero continuate in Sardegna. Sembra inoltre che si pensasse di assassinare l’Angioy.Così Giommaria Angioy preparò la fuga. Riuscì ad allontanarsi da Casale, dove dimorava durante l’istruzione della sua causa, e si imbarcò a Genova per raggiungere la Francia, dove morì esule nel 1808.

In Sardegna la repressione fu dura e sanguinosa: i villaggi di Thiesi, Bono, Tissi, Osilo, Bessude, Banari, Usini, Santulussurgiu furono tra quelli più colpiti dall’intervento repressivo delle truppe. Molti furono i morti negli scontri, molte le condanne capitali, moltissimi gli arresti.

Sassari fu il principale teatro della spietata punizione dei seguaci dell’Angioy: il giudice Giuseppe Valentino fece impiccare l’avvocato Gavino Fadda, Antonio Vincenzo Petretto e Antonio Maria Carta nel 1796, l’avvocato Gavino Davilla e il medico Gaspare Sini nel 1797, mentre veniva arrestato il parroco di Semestene, don Murroni; nel 1802 verrà condannato Francesco Cilocco che era tornato dalla Corsica per un nuovo tentativo di sollevare le popolazioni.

Note⑴ Nel corso degli eventi successivi allo scoppio della Rivoluzione francese, La Francia rivoluzionaria aveva sferrato l’attacco ai Savoia, alleati nella confederazione antifrancese. Sotto l’urto delle armi rivoluzionarie i Savoia verranno travolti e scacciati, prima da Nizza e dalla Savoia e poi dallo stesso Piemonte (nel 1799 il re Carlo Emanuele fu costretto ad esiliarsi in Sardegna e risiedette per breve tempo a Cagliari). Dopo l’occupazione di Nizza e Savoia, nel 1792, dovette sembrare ai francesi impresa facile anche l’occupazione della Sardegna.►⑵ La Milizia nazionale era costituita da volontari che venivano arruolati con la promessa di qualche esenzione e privilegio, era formata a quei tempi da 185 compagnie di fanteria che inquadravano 22.799 uomini e 80 compagnie di cavalleria con 5907 cavalli. Era però una forza pressoché inesistente, sparsa nei singoli villaggi, senza addestramento, male equipaggiata ed armata, senza graduati ed ufficiali atti a poterla guidare. Per questo motivo il viceré non volle tenerne conto fino all’ultimo momento ►

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⑶ Nel 1297 Giacomo d’Aragona ebbe dal papa BonifacioVIII l’investitura della Sardegna, fino a quel momento semplice feudo della Chiesa spartito e conteso tra il Giudicato di Arborea e i Comuni di Pisa e Genova. Nasceva così il Regno di Sardegna, allora non più che un titolo, un vasto territorio di cui bisognava ancora impadronirsi. Solo nel 1324 la conquista aragonese della Sardegna incominciò a concretizzarsi e solo nel 1421 Alfonso il Magnanimo poté dar vita effettiva al regno con la convocazione del Parlamento: esso era costituito, come quello valenzano e catalano, dai tre bracci, o Stamenti : ecclesiastico, militare, reale. Facevano parte del primo i grandi prelati, del secondo i nobili e i cavalieri, del terzo i rappresentanti delle città e delle ville non infeudate.Compito principale del Parlamento fu quello di votare (ogni dieci anni) il donativo, cioè la somma annualmente richiesta dalla corona ai tre bracci che si ripartivano l’incarico; inoltre esso svolgeva la sua funzione vera e propria, quella legislativa: proporre nuove leggi, modificarne o abrogarne altre ecc. Ma il Parlamento in effetti non aveva alcun potere di legiferare, che spettava solo al re, il quale poteva accogliere o respingere le “umili”proposte di “grazie” e “privilegi”. Nessuno dei tre bracci rappresentava la popolazione sarda, ma solo gli interessi ed i privilegi dei signori.In ogni caso l’esistenza e la convocazione Parlamento può considerarsi almeno teoricamente come una forma di autonomia ed identità del Regno sardo.Passando sotto il governo dei Savoia col trattato di Londra del 1718, il Regno di Sardegna, che conferì titolo di re ai duchi sabaudi, mantenne il suo Parlamento, così come era stato sotto il potere spagnolo, che però non venne mai convocato dai sovrani piemontesi, che dimostrarono così grande disprezzo verso l’autonomia dei sudditi sardi. ►⑷ Viceré fu il nuovo nome assunto nel 1418 dal luogotenente regio del Regno aragonese di Sardegna che all’inizio dell’istituzione, nel 1324, si chiamava governatore generale o alternos del monarca, e che reggeva lo Stato in assenza regia con poteri delegati, compresa la facoltà di convocare e presiedere i Parlamenti.Dopo il trattato di Londra, non fu Vittorio Amedeo II a recarsi sull’isola per prenderne possesso, ma direttamente il viceré barone di Saint Remy, senza che il re degnasse di mostrarsi ai suoi nuovi sudditi. La Sardegna, nonostante fosse il loro solo Regno, fu trattata dai Savoia come un vicereame, in secondo piano rispetto al loro ducato. Così nel 1720 avvenne lo scambio di giuramenti tra il viceré e i membri degli stamenti; questi promettevano fedeltà e vassallaggio al nuovo sovrano, il vicerè prometteva di conservare immutati i privilegi e le leggi fondamentali del Regno. Ciò significava per la Sardegna non già un’autonomia (più di diritto che di fatto), ma una duplice soggezione, verso i feudatari (i vecchi baroni di origine spagnola) e il governo piemontese. I vari viceré che si succedettero in Sardegna mantennero un atteggiamento di immobilismo lasciando l’isola sotto l’oppressione di un secolare regime medievalesco. ►⑸ La Reale Udienza era l’organo collegiale per l’amministrazione della giustizia nel Regno di Sardegna. Fu istituito nel 1564 da Filippo I di Spagna a seguito della richiesta degli stamenti allo scopo di poter esercitare in sede locale la funzione di Corte d’Appello , fino a quel momento esercitata dal Consiglio Supremo di Spagna. In caso di “vacatio regni” prendeva le redini dello Stato, e questo accadde nel 1794 con la cacciata del viceré Balbiano. ►⑹ Vassallo è un termine che si riferisce al sistema feudale instauratosi in Sardegna con la dominazione aragonese, per cui il vassallaggio è l’atto di sottomissione che un uomo libero fa ad un signore cui viene giurata fedeltà e assicurato l’appoggio militare in cambio di protezione e di un feudo o beneficio. In questo caso, per VASSALLI non si intendono i grandi feudatari, cioè i “baroni”spagnoli che il re d’Aragona aveva investito del beneficio delle terre prima appartenenti ai liberi sudditi degli antichi giudicati, ma il termine VASSALLI è riferito agli stessi abitanti sardi, cioè i contadini e soprattutto le comunità di villaggio sottomesse ai diritti feudali. ►⑺ Quando, nel 1418, il Governatore Generale(anche detto alternos), delegato dai sovrani spagnoli a sostituirli e rappresentarli nel Regno di Sardegna, prese il nome di viceré, il Capo di Logudoro, ed il Capo di Cagliari- Gallura, le cui denominazioni rimasero a segnare l’antica divisione territoriale dello Stato, furono rappresentati ognuno da un proprio GOVERNATORE, senza alcun effettivo potere, se non quello di sostituire il viceré in caso di vacatio ►⑻ Alternos significa “un altro da noi” dove per “noi” si intende il re o anche il viceré, dunque un funzionario con incarichi delegati. Il più famoso alternos fu Angioy, nominato il 3 febbraio 1796 dal viceré Vivalda a sostituirlo con pieni poteri civili, giudiziari e militari, presso il Capo del Logudoro per calmarne i disordini. ► Torna all’indice

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L’inno di Francesco Ignazio Mannu

Procurade ‘e moderare barones sa tirannia

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avvertimento al lettore che trovasse discordanze nel testo rispetto all’originale

STROFE 1-3 MESSAGGIO, AVVERTIMENTO, MINACCIA AI FEUDATARI

1Procurade ‘e moderare, Barones,sa tirannia,Chi si no pro vida miaTorrades a pè in terra!Declarada est già sa gherraContra de sa prepotenzia,E cominzat sa passienzia In su populu a mancare

2Mirade ch’est azzendendeContra de ois su fogu;Mirade chi non est gioguChi sa cosa andat a veras;Mirade chi sas aerasMinettana temporale;Zente cunsizada male,Iscultade sa ‘oghe mia.

3No apprettedas s’isproneA su poveru ronzinu,Si no in mesu caminuS’arrempellat appuradu;Mizzi ch’es tantu cansaduE non ‘nde podet piusu;S’imbastu ‘nd ‘hat a bettare.

1Cercate di frenare,Baroni,la tirannia,Se no, per vita mia,Ruzzolerete a terra!La guerra è dichiarataContro la prepotenzaE la pazienza staPer mancare nel popolo

2Badate! Contro di voiSta divampando il fuoco;Tutto ciò non è un giocoMa è un fatto ben vero;Pensate che il cielo neroMinaccia temporale;Gente spinta a far male,Senti la mia voce.

3Non date più di sproneAl povero ronzino,O in mezzo al cammino Si fermerà impuntato;E’ tanto striminzitoDa non poterne più,E finalmente dovrà gettare giù il basto.

Una serie di metafore, legate al mondo rurale da cui parte la protesta, rendono con grande efficacia la forza con cui il popolo rivolge le sue rivendicazioni agli oppressori:i baroni disarcionati dal cavallo –L’incendio che divampa-Il cielo nero del temporale che avanza-Il ronzino maltrattato dal padrone che si impunta rifiutandosi di proseguire e si scrolla il peso del basto.Il testo però esprime contemporaneamente una certa moderazione nei confronti dei baroni, accusati solo di eccedere nell’uso del potere e sollecitati a maggiore giustizia

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Le tre strofe costituiscono una sorta di proemio (introduzione) che delinea l’argomento dell’opera
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STROFE 4-27 DESCRIZIONE DEL SISTEMA FEUDALE: ANALISI STORICA, GIURIDICA, POLITICA E SOCIALE DEL SISTEMA FEUDALE SARDO

4Su populu chi in profunduLetargo fio sepultaduFinamente despertaduS’abbizzat ch’est in cadena,Ch’istat suffrende sa penaDe s’indolenzia antiga:Feudu, legge inimicaA bona filosofia!

5Che ch’esseret una inza,Una tanca, unu cunzadu,Sas biddas hana donaduDe regalu o a bendissione;Comente unu cumoneDe bestias berveghinasSos homines et feminasHan bendidu cun sa cria.

6Pro pagas mizzas de liras,Et tale olta pro niente,Isclavas eternamenteTantas pobulassiones,E migliares de personesServine a unu tirannu.Poveru genere humanu,Povera sarda zenia!

7Deghe o doighi familiasS’han partidu sa Sardigna,De una menera indignaSi ‘nde sunt fattas pobiddas;Divididu s’han sas biddasIn sa zega antichidade.Però sa presente edadeLu pensat rimediare.

4Il popolo, sprofondatoIn un profondo letargo,Finalmente, disperato,Si rende conto che è in catene,Che sta scontando la penaDell’antica indolenza. Feudo, legge contrariaAlla saggezza della filosofia!

5Quasi fossero una vignaO un oliveto o un chiuso,Hanno dato borghi e terre In regalo o in vendita;Come greggi Di pecore malnateGli uomini e donne Hanno venduto con i loro figli. 6Per poche migliaia di lire,E talvolta per niente,E’ stata resa schiava eternamenteTanta popolazione,E migliaia di personeHanno dovuto servire un sovrano.Povero genere umano,Povera genia sarda!

7Dieci o dodici famiglie Si sono spartite la Sardegna,In una maniera indegnaFurono fatte padrone;Si sono divisi i villaggiNell’età buia. Però l’età odiernaVuole rimediare.

La nascita del feudalesimo

Contrapposizione tra l’età buia e l’età della ragione:

il Medioevo e l’Illuminismo

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L’argomento centrale dell’inno riguarda l’abbattimento del sistema feudale. Viene qui chiaramente indicato lo strumento di lotta attraverso cui giungere all’abolizione dei feudi: i “PATTI DI UNIONE E DI CONCORDIA” con cui , attraverso un indennizzo ai feudatari si vuole la liberazione dei feudi.
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8Naschet su Sardu soggettuA milli cumandamentos,Tributos e pagamentosChi faghet a su segnore,In bestiamen et laoreIn dinari e in natura,E pagat pro sa pastura,E pagat pro laorare.

9Meda innanti de sos feudosEsistiana sas biddas,Et issas fini pobiddasDe saltos e biddattones.Comente a bois, Barones,Sa cosa anzena est passada?Cuddu chi bos l’hat dadaNon bos la podiat dare.

10No est mai presumibileChi voluntariamenteAppat sa povera zenteZedidu a tale derettu;Su titulu ergo est infettuDe s’infeudassioneE i sas biddas reioneTenere de l’impugnare.

11Sas tassas in su prinzipiuEsigiazis limitadas,Dae pustis sunt istadasOgni die aumentende,A misura chi creschendeSezis andados in fastu,A misura chi in su gatsuLassezis s ‘economia.

12Non bos balet allegareS’antiga possessioneCun minettas de presone,Cun gastigos e cun penas,Cun zippos e cun cadenasSos poveros ignorantesDerettos esorbitantes

8Nasce il sardo soggettoA mille comandamenti,Tributi e pagamentiChe deve al signore, In bestiame ed in grano,In soldi e in natura,Paga per il pascolo,Paga per seminare.

9Molto prima dei feudiEsistevano i villaggi Ed erano padroniDei salti e delle vidazzoni.Com’è che a voi, Baroni,E’ passata la proprietà altrui?Colui che ve l’ha regalataNon lo poteva fare.

10Non è presumibile Che volontariamenteLa povera gente abbiaCeduto a tale diritto; Gli atti di infeudazioneSono illegittimiE i villaggi hanno ragioneDi volerli impugnare.

11In principio esigevatele tasse in misura limitata,Con il tempo esse sonoDi giorno in giorno aumentate,Man mano che Andava aumentando il lusso,Man Mano che nella spesaAbbandonavate ogni economia.

12Non vi serve invocareL’antichità del possesso,Con minacce di prigioniaCon castighi e con pene,Con ceppi e con catene,Avete costretto I poveri ignoranti

Necessità del patto sociale e del rispetto dei diritti naturali

le comunità di villaggio

Contro i tributi e i diritti feudali

Moderazione della protesta:

i baroni hanno esagerato, ed è questo che è insopportabile

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Hazis forzadu a pagare

13A su mancu s ‘impleerentIn mantenner sa giustissimaCastighend sa malissiaDe sos malos de su logu,A su mancu disaoguSos bonos poterant tenner,Poterant andare e bennerSeguros per i sa via.

14Est cussu s’unicu fineDe dogni tassa e derettu,Chi seguru et chi chiettuSutta sa legge si vivat,De custu fine nos privatSu barone pro avarissia ;In sos gastos de giustissimaFaghet solu economia

15Su primu chi si presentatSi nominat offissiale,Fattat bene o fattal maleBastat non chirchet salariu,Procuratore o natariu,O camareri o lacaju,Siat murru o siat baju,Est bonu pro governare.

16Bastat che prestet sa manuPro fagher crescher sa rènta,Bastat si fetat contentaSa buscia de su Segnore;Chi aggiuet a su fattoreA crobare prontamenteE s’algunu es renitenteChi l’iscat esecutore.

17A boltas, de podattariu,Guvernat su cappellanu,Sas biddas cun una manuCun s’attera sa dispensa.Feudatariu, pensa,Chi sos vassallos non tenes

A pagare diritti esorbitanti.

13Se almeno si usasseroA mantenere la giustiziaCastigando la malvagitàDei delinquenti del paese,Se almeno I buoniAvessero potuto avere sollievo,Avessero potuto andare e tornareSicuri per la strada.

14E’ questo l’unico fineDi ogni tassa e diritto, Che ognuno sicuro e tranquilloPossa vivere sotto la legge,Di questo fine ci privaIl barone per avarizia;Che solo nelle speseDi giustizia fa economia.

15Il primo che si presenta Si nomina funzionario,Sia che faccia bene o sia che faccia maleBasta che non chieda salario,Procuratore o notaio,O servitore o lacchè,Sia grigio o sia baio,Va bene per governare.

16Basta che si dia da farePer far crescere la rendita,Basta che si faccia contenta La tasca del signore;Che aiuti il fattoreA riscuotere prontamente le tasseE se qualcuno è renitenteChe lo sappia pignorare.

17A volte, come amministratore,Governa il cappellano,Con una mano pensa ai villaggi,Con l’altra alla dispensa.Feudatario, pensaChe i vassalli non ce li hai

Anticlericalismo:

corruzione della Chiesa alleata con i padroni

la corruzione e l’inefficienza dei funzionari dello Stato

Lo Stato di diritto:

difesa dei diritti dei cittadini e utilità sociale

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Solu pro crescher sos benes,Solu pro los iscorzare.18Su patrimoniu, sa vidaPro difender su villanuCun sas armas a sa manuCheret ch’ istet notte e die ;Gia ch’ hat a essere gasieProite tantu tributu?Si non si nd’ hat haer fruttuEst locura su pagare.

19Si su barone non faghetS’obbligasione sua,Vassallu,de parte tuaA nudda ses obbligadu;Sos derettos ch’ hat crobaduIn tantos annos passadosSunu dinaris furadosEt ti los devet torrare.

20Sas rèntas servini soluPro mantenner cicisbeas,Pro carrozzas e livreas,Pro inutiles servissios,Pro alimentare sos vissios,Pro giogare a sa basetta,E pro poder sa braghettaFora de domo isfogare.

21Pro poder tenner piattosBindighi e vinti in sa mesa,Pro chi potat sa marchesaSempre andare in in portantina;S’ iscarpa istrinta mischina,La faghet andare a toppuSas pedras punghene troppuE non podet camminare.

22Pro una litter solu Su vassallu, poverinu,Faghet dies de caminuA pè, senz ‘esser pagadu,Mesu iscurzu e ispozzaduEspostu a dogni inclemenza;

Solo per aumentare le tue ricchezze,Solo per scorticarli.18Per difendere Il patrimonioE la vita, il villanoCon le armi in manoE’ costretto a stare notte e giorno.Giacché dev’essere così,Perché tanti tributi?Se non se ne deve avere un fruttoÈ pazzia pagarli.

19Se il barone non fa Il suo dovere, Per parte tua,vassallo, Non sei obbligato a nulla;E i diritti che il barone ti ha estortoIn tanti anni passatiSono soldi rubatiE te li deve restituire.

20Le rendite servono solo Per mantenere amanti,Per carrozze e livree,Per inutili servizi, Per alimentare i vizi,Per giocare a basetta, E per potere sfogareLe braghe fuori di casa .

21Per poter imbandire la tavola Con quindici e venti pietanze, Perchè la marchesa possa Sempre andare in portantina;La scarpa stretta poverinaLa fa zoppicare,Le pietre pungono troppo E non può camminare.

22Per una sola lettera Il vassallo poverinoFa giorni di stradaA piedi, senza esser pagato,Mezzo scalzo e senza vestitiEsposto a ogni inclemenza del tempo;

La città per il villano

la buona tavola e la vita in città

i vizi dei nobili, i giochi e i divertimenti

il diritto dei popoli a ribellarsi

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Eppuru tenet passienzia,Eppuru devet cagliare.23Ecco comente s’impleaDe su poveru su suore!Comente, Eternu SignoreSuffrides tanta ingiustissia?Remendiade sas cosasBois, da ispinas, rosas Solu podides bogare

24O poveros de sas biddas,Trabagliade, trabagliadePro mantenner in zittadeTantos caddos de istalla.A bois lassan sa palla, Issos regoglin su ranu :E pensan sero e manzanuSolamente a ingrassare

25Su segnor feudatariuA sas undighi si pesa:Dae su lettu a sa mesaDae sa mesa a su giogu:E pustis prodisaogu Andat a cicisbeare;Giompid’a iscurigare:Teatru, ballu, allegria.

26Cantu differentementeSu vassallu passa’s’ora!Innantis de s’auroraGià es bessidu in campagna ;Bentu o nie in sa montagna,In su paris sole ardente.O poverittu! ComenteLu podet agguantare?

27Cun su zappu e cun s’aradruPeleà tota sa die;A ora de mesudieSi ziba de solu pane.Mezzus paschidu è su caneDe su barone, in zittadeS’es’de cudda calidade

Eppure ha pazienza,Eppure deve star zitto.23Ecco come si investe Il sudore del povero!Come, Eterno SignoreSopportate tanta ingiustizia?Rimediate a queste cose,Solo Voi dalle spinePotete far nascere rose.

24O poveri dei villaggiLavorate, lavoratePer mantenere in città Tanti cavalli di stalla.A voi lasciano la pagliaMentre loro si prendono il granoE mattina e sera pensanoSolamente ad ingrassare.

25Il signor feudatario, Si alza alle undici:Dal letto alla tavola,Dalla tavola al gioco:E poi per distrarsiVa a corteggiare qualche dama;Come arriva la seraTeatro ballo e allegria.

26Quanto diversamente Passa la giornata il vassallo!Prima dell’auroraÈ già andato in campagna;Vento o neve nella montagnaO sole ardente nella pianura.O poveretto!! ComeLo può sopportare?

27Con la zappa e con l’aratro Lotta tutto il giornoE a mezzogiornoSi ciba di solo pane.Meglio pasciuto è il caneDel barone, in città,Se è di quella razza

la giornata del villano

la giornata del nobile

invocazione a Dio

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Chi in falda solen portare Che portano in tasca.

STROFE 28- 30 GLI AVVENIMENTI SARDI DEL 1793- 1795

28 Timende chi si reformentDisordines tantu mannosCun manizzos et ingannosSas Cortes han impedidu;Et isperdere han cherfiduSos patrizios pius zelantes,Nende chi fint petulantesEt contra sa monarchia

29 Ai cuddos ch’in favoreDe sa petria hai peroradu,Chi s’ispada hana ‘ogaduPro sa causa comune,O a su tuju sa funeCherian ponner,meschinos!O comente a GiacobinosLos cherian massacrare

30Però su Chelu ha‘difesuSos bonos visibilmenteAtterradu ha’ su potenteEi s’umile esaltaduDeus,chis ‘es declaraduPro custa patria nostra,De ogn’ insidia bostraIsse nos hat a salvare.

28 Per timore che si riformasseroDisordini tanto grandiCon maneggi e inganni hanno impeditoLa convocazione del ParlamentoE hanno deciso di disperdereI membri degli stamenti più convinti,Dicendo che erano arrogantiE nemici della monarchia.

29Quelli che hanno peroratoIn favore della patria,Che la spada hanno sguainatoPer la causa comune O al collo la funeVolevano mettere, poveretti!O come Giacobini Li volevano massacrare

30Però il cielo ha difesoI buoni visibilmente, Atterrato ha il potente, E l’umile ha esaltato,Dio che si è dichiaratoA favore di questa nostra patria,Dalla vostra insidiaSarà lui che ci salverà.

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STROFE 31- 45 LA CACCIATA (SCOMMIATO) DEI PIEMONTESI DEL 28 APRILE 1794 E LE SUE MOTIVAZIONI

31Perfidu Feudatariu!Pro iteresse privaduProtettore declaraduSes de su Piemontesu.Cun issu ti fist’ intesuCun meda fazilidade :Isse pàpada in zittade,E tue in bidda a porfia.

31Perfido feudatario! Per interesse privato, Protettore dichiaratoSei del Piemontese.Con lui ti eri inteso,Con molta facilità,Lui mangia in città,Tu a gara nel villaggio.

riferimento alla reazione di termidoro in Francia

L’intervento dei sardi contro l’invasione francese del 1793

La mancata convocazione del Parlamento.In riferimento alla “prima domanda”

Assassinio del marchese di Planargia e di Pitzolu, perché conniventi con i piemontesi, nel luglio del 1795

Feudatari e piemontesi

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Il poeta delinea il difficile rapporto del colonialismo piemontese con la Sardegna e ne denuncia i soprusi e le connivenze con il ceto feudale sardo
., 01/03/2011,
Le tre strofe costituiscono un rapido cenno agli avvenimenti del Triennio rivoluzionario, dalla mancata convocazione del parlamento alla repressione nei confronti dei patrioti sardi più attivi che, dopo aver combattuto contro l’invasione francese del 1793, chiedevano, attraverso le “cinque domande” le riforme in Sardegna
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32Fi’ pro sos piemontesosSa Sardigna una cuccagna;Che in sas Indias D’ IspanaIssos s’incontrant inogheNos alzaia’ sa ogheFinzas unu camareri;O plebeu o cavaglieri,Si deviat umiliare.

33Isso da e custa terraCh’hana ‘ ogadu miliones.Benian senza calzonesE si nd’andaian gallonados.Mai ch’esserent istadosChi ch’hana postu su fogu!Malaittu cuddu logu,Chi creia’ tale zenia!

34Issos inoghe incontranaVantaggiosos imeneosPro issos fin sos impleos,Pro issos fin sos onores,Sas dignitades mazzoresDe cheia, toga e ispada:E a su Sardu restadaUna fune a s’impiccare.

35Sos disculos non mandànaPro castigu e curressione,Cun paga e cun pensione,Cun impleu e cun patente.In Moscovita tale zente Si mandat a sa Siberia,Pro chi morza’ de miseria,Però non pro governare.

36Intanto in s’Isula nostra Numerosa giuventudeDe talentu e de virtudeOzosa la lassàna:E si alguna nd’impleànaChircaian su pius tonto, Pro chi lis torrat a contu

32 La Sardegna fu per i Piemontesi Una cuccagna; Come nelle Indie della Spagna, Loro si incontrano qui da noi, Contro di noi alzava la voce, Perfino un cameriere. O plebeo o cavaliere, Il sardo si doveva umiliare.

33Loro da questa terra Ne hanno cavato milioni.Venivano senza pantaloniE se ne andavano gallonanti.Mai ci fossero venuti, Che ci hanno bruciato tutto,Maledetto il paeseChe crea una genìa simile!

34 Loro qua trovavano Matrimoni vantaggiosi, Per loro erano gli impieghi, Per loro erano gli onori, I gradi più alti, Di chiesa di toga di spada: E al Sardo restava Una corda per impiccarsi.

35 Mandavano persone poco raccomandabili Per castigo e correzione, Con paga e con pensione, Con impiego e con patente. In Russia gente simile Si manda in Siberia, Perché muoia in miseria, Non per governare.

36 Intanto nella nostra Isola Molta gioventù Di talento e di virtù La lasciavano oziosa: E se qualcuno ne impiegavano, Cercavano il più tonto, Perché gli conveniva

La Sardegna colonizzata e sfruttata

Gli impieghi devono essere attribuiti ai sardi.In riferimento alla “ terza domanda”

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Cun zente zega a trattare.

37Si in impleos subalternosAlgunu sardu avanzàdaIn regalos no bastàdaSu mesu de su salariu,Mandare fi’ nezessariuCaddos de casta a Torinu,e bonas cassas de binu,mascaldellu e malvasia.

38Tirare a su PiemonteSa prata nostra, ei s’ oroEst de su governu insoroMaxima fundamentale ;Su regnu andet bene o maleNo lis importat niente,Antis cren inconveniente Lassarelu prosperare.

39S’Isula hat arruinaduCusta razza de bastardos;Sos privilegios sardosIssos nos hana leadu,Da e sos archivios furaduNos hana sa mezus pezzas,E che iscritturas bezzasL’has hana fatta’bruiare.

40De custu flagellu,in parte,Deus nos ha’ liberadu ;Sos sardos ch’hana ‘ogaduCustu dannosu inimigu ;E tue li ses amigu,O sardu barone indignu ;E tue ses in s’impignuDe nde lu fagher torrare!

41Pro custu iscaradamente,Preigas pro Piemonte,Falzu! chi portas in fronteSu marcu de traitore;Fizas tuas tant’ honoreFaghent a su furisteri,

Avere a che fare con gente stupida.

37 Per gli impieghi subalterni Qualche sardo andava avanti, In regali non gli bastava La metà dello stipendio, Era costretto a spedire a Torino Cavalli di razza E buone casse di vino, Cannonau e malvasia.

38 Trasferire in Piemonte L’argento nostro e l’oro, E’ del loro modo di governare La massima fondamentale. La Sardegna che vada bene o male Non gliene importa niente, Anzi credono sconveniente Lasciarla prosperare.

39 Questa razza di bastardi Ha rovinato la nostra isola, Ci ha sottratto I nostri diritti, Ha rubato dai nostri archivi I documenti più importanti, E li ha fatti bruciare Come cartaccia vecchia.

40 Dio ci ha liberato, in parte, Da questo flagello; I sardi hanno cacciato via Questo nemico dannoso! Tu, invece, indegno barone sardo, Gli sei amico; non solo, Ma ti stai dando da fare Per farlo ritornare!

41 E’ per questo che vai predicando In modo sfacciato la causa del Piemonte. Falso! Tu porti stampato sulla fronte Il marchio del traditore! Intanto le tue figlie Accolgono il forestiero con tutti gli onori!

Lo “scommiato” dei Piemontesi durante la sollevazione a Cagliari il 28 aprile 1794

Sfruttamento coloniale delle risorse locali

Il tradimento dei baroni sardi, che stanno dalla parte dei Piemontesi

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Mancari sia’ basseri,Basta chi sardu no sia’.42S’accas ‘andas a Turino,Inie basare dèsA su ministru sos pes,E ater su…,già m’intendes,Pro ottenner su chi pretendesBendes sa patria tua,E procuras forsi a cuaSos Sardos iscreditare.

43Sa buxia lassas inieEd in premiu ne torrasUna ruggita in pittorrasUna giae in su tra seri;Pro fagher su quartieriSa domo has arruinaduE titulu has acquistaduDe traitore e ispia.

44Su Chelu non lassat sempreSa malissia triunfendeSu Mundu istat reformendeSas cosas chi andana male,Su sistema FeudaleNo podet durare medaCustu bender pro monedaSos Populos det cessare.

45S’homine chi s’imposturaHaiat già degradaduParet ch’a s’antigu graduAlzare cherfat de nou,Paret chi su rangu sou,Pretendat s’Humanidade.Sardos mios ischidade,E sighide custa ghia.

Anche se è uno sguattero, basta che non sia sardo!42 Se per caso vai a Torino, Lì sei costretto a baciare I piedi al ministro, E a qualche altro il…tu mi capisci! Per ottenere ciò che chiedi, Tu vendi la tua patria E probabilmente di nascosto ti adoperi A gettare discredito sui Sardi.

43 Lì ci lasci la borsa E come premio ne porti Una crocetta O una chiave nel deretano. Per andare a acquartierarti A Corte hai rovinato la tua famiglia, E per di più hai acquistato Il titolo di traditore e di spia.

44Per fortuna il Cielo non permetteChe la malvagità trionfi sempre,E il mondo attuale sta impegnandosiNella riforma delle storture;Per questo il sistema feudaleNon può avere ancora lunga vita;Questo mercimonio di popoliDeve finire una volta per tutte.

45L’uomo, cheE’ stato degradato dall’impostura, pare che voglia all’antica dignitàDi nuovo sollevarsi, Pare che l’Umanità Rivendichi il suo rango. Sardi miei, svegliatevi, E’ questa la guida che dovete seguire!

I principi dell’Illuminismo:

La dignità dell’Uomo

Riferimento al marchese di Planargia e al Pitzolu

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STROFE 46- 47 INCITAZIONE FINALE

46Custa Populos est s’oraDe estirpare sos abusosA terra sos malos usos,A terra su despotismuGuerra guerra a su egoismu,E guerra a sos oppressoresCustos tiranos minoresEst precisu umiliare.

47Sino calqui die a mossuBonde segades su didu,Como chi est su filu ordiduA bois toccat su tesser,Mizzi chi poi det esserTardu s’arrepentimentuCando si tenet su bentuEst precisu bentulare

46Questa, o Popoli, è l’ora Di estirpare gli abusi! A terra le cattive consuetudini,A terra il dispotismo!Guerra, guerra all’egoismoE guerra agli oppressori! Dovete umiliare Questi piccoli tiranni!

47Se non lo fate, un giornoVi staccherete le dita a morsi!Ora che la trama è già ordita,Spetta a voi tessere! Badate che poi saràTardivo il pentimento.Quando tira il vento favorevole,Allora si deve separare il grano dalla pula.

NOTE1 Le tre strofe costituiscono una sorta di proemio (introduzione) che delinea l’argomento dell’opera

4 L’argomento centrale dell’inno riguarda l’abbattimento del sistema feudale. Viene qui chiaramente indicato lo strumento di lotta attraverso cui giungere all’abolizione dei feudi: i “PATTI DI UNIONE E DI CONCORDIA” con cui , attraverso un indennizzo ai feudatari si vuole la liberazione dei feudi.

28 Le tre strofe costituiscono un rapido cenno agli avvenimenti del Triennio rivoluzionario, dalla mancata convocazione del parlamento alla repressione nei confronti dei patrioti sardi più attivi che, dopo aver combattuto contro l’invasione francese del 1793, chiedevano, attraverso le “cinque domande” le riforme in Sardegna

31 Il poeta delinea il difficile rapporto del colonialismo piemontese con la Sardegna e ne denuncia i soprusi e le connivenze con il ceto feudale sardo

46 Con le due strofe finali il poeta conclude la sua lunga rievocazione dei mali della società sarda, incitando le popolazioni infeudate del Logudoro a continuare la lotta e a dare la spallata decisiva al sistema feudale: tra la fine del 1795 e i primi del 1796 l’obiettivo del feudalesimo sembrava ai patrioti sardi veramente a portata di mano.

La lotta di tutti i popoli contro la tirannia

Incitamento attraverso metafore di vita rurale, che ricollegano il finale all’incipit dell’Inno

Immagine molto realistica della rabbia del popolo

., 01/03/2011,
Con le due strofe finali il poeta conclude la sua lunga rievocazione dei mali della società sarda, incitando le popolazioni infeudate del Logudoro a continuare la lotta e a dare la spallata decisiva al sistema feudale: tra la fine del 1795 e i primi del 1796 l’obiettivo del feudalesimo sembrava ai patrioti sardi veramente a portata di mano.
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Si avverte il lettore che eventuali discordanze del testo in lingua sarda, rispetto alle versioni conosciute, sono frutto del lavoro di confronto e scelta, fatto dagli autori del presente lavoro, tra i testi tratti dalle opere di L.Carta ed L.Macioccu, citate nella bibliografia, che presentano differenze nella stesura di alcune strofe. .►

APPROFONDIMENTO strofe 28, 29, 30Torna all’indice

Nelle strofe 28, 29 e 30, si parla di una delle cinque domande elaborate dai tre Stamenti solennemente riuniti a Cagliari nella primavera del 1793. In questa domanda si chiedeva la convocazione delle Corti, il solo organo dello stato legittimato a presentare al sovrano le riforme necessarie per avviare la rinascita della Sardegna. Le riunioni stamentarie del 1793 non erano il parlamento legittimamente convocato: le cinque domande erano un’anticipazione della necessità di un dibattito che esaminasse in profondità le cause del malessere della Sardegna e ciò era possibile solo nel Parlamento solennemente convocato dal sovrano.Il re aveva ufficialmente annunciato, attraverso il ministro per gli affari di Sardegna, Conte Pietro Avogadro di Quaregna, la prossima convocazione del Parlamento. Ma i maneggi dei due alti funzionari mandati a Torino come ambasciatori, il Pitzolo e il Planargia, e con la connivenza del nuovo ministro Della Loggia, avevano portato il governo, alcuni mesi dopo, al ritiro di quella promessa e al tentativo di far fuori i “patrioti più zelanti”, sia con vere e proprie liste di proscrizione sia attraverso la loro delegittimazione, consistente nell’accusa, infamante per i patrioti, di essere dei giacobini avversi allo Stato e al reggimento monarchico. Le trame del Pitzolo e del Planargia furono finalmente scoperte e ciò segnò la loro fine: furono infatti assassinati rispettivamente il 6 e il 22 Luglio 1795.Tutto ciò è ormai acqua passata. Ora è chiaro, dirà il poeta nella strofa 31, con la quale inizia una lunga analisi dei rapporti tra i sardi e i dominatori piemontesi, il motivo per cui i feudatari felloni stanno di nuovo cementando l’alleanza con quei piemontesi che l’ira del popolo cagliaritano aveva cacciato dall’isola il 28 aprile 1794: vogliono con tutti i mezzi impedire le riforme e innescare la guerra civile tra il capo settentrionale e quello meridionale.

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BIBLIOGRAFIA

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PIER PAOLO TILOCCA - I moti antifeudali in Sardegna – MODERNA SASSARI

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LUCIANO CARTA (a cura di) –DIDATTICA DAL VIVO:L’Inno di Francesco Ignazio Mannu-GRAF.GHIANI

CARTA RASPI – Storia della Sardegna - MURSIA

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Gli autori Torna all’indice

Coordinatrice e referente prof.ssa GIUSEPPINA AZZENA

alunni della classe IV A EL:

BAGNIOLO CARLOCADONI FABIOGIUA CARLOMANNU SERGIOMURTAS VALENTINANUVOLI MARCOPAZZOLA GIOVANNIPILERI DANIELPINNA SALVATOREPISONI FRANCESCO

SOTGIU ANGELOZUNCHEDDU ANT.

Hanno collaborato alla revisione del lavoro ed alle immagini gli alunni MONTI e CARTA