· Web viewL’implementazione di modelli di co-produzione in sanità si basa sull’assunto...
-
Upload
nguyenhanh -
Category
Documents
-
view
217 -
download
0
Transcript of · Web viewL’implementazione di modelli di co-produzione in sanità si basa sull’assunto...
La coproduzione della tutela e della promozione della salute: l’applicazione di nuovi approcci di cura nel sistema sanitario penitenziario
AbstractIl paper discute, in termini concettuali ed empirici, l'applicazione dei modelli di “co-produzione” del servizio alle prestazioni di assistenza sanitaria erogate in ambito penitenziario: il lavoro si basa sull'assunto, ampiamente condiviso in dottrina, secondo cui il coinvolgimento del paziente sia essenziale per il conseguimento di migliori condizioni di efficienza operativa e di maggiore qualità della cura.
All'inquadramento teorico del concetto di co-produzione, segue un approfondimento sul coinvolgimento del paziente nelle prestazioni sanitarie; dopo aver fornito brevi cenni sul peso istituzionale assunto dalle logiche di co-produzione nei servizi di assistenza alla persona, l'attenzione è concentrata sulle attività di tutela e promozione della salute realizzate in seno al peculiare contesto penitenziario.
Attraverso la somministrazione di un questionario semi-strutturato ai dirigenti medici penitenziari degli istituti di pena attivi in una regione italiana, si tenta di pervenire all’identificazione dei fattori agevolanti e dei vincoli, di tipo strutturale e culturale, alla diffusione degli approcci di co-produzione nell’ambiente di vita detentivo. Il lavoro si conclude con brevi note riepilogative sulle prospettive future della co-produzione dei servizi di cura a favore degli individui sottoposti a una misura restrittiva della libertà personale.
1. Cenni introduttiviIl paper fornisce un inquadramento concettuale dell’approccio di co-produzione dei servizi
pubblici, valutandone l’applicazione al particolare caso dell’assistenza sanitaria prestata negli
istituti di pena a favore degli individui sottoposti a una misura restrittiva della libertà personale. La
ricerca è strumentale sia all’identificazione degli specifici connotati assunti dalle logiche di co-
creazione del servizio di assistenza in ambito penitenziario che all’individuazione dei fattori
abilitanti e dei vincoli che ne condizionano la diffusione.
In accordo a quanto argomentato sia in accademia che tra i practitioner, il coinvolgimento
del paziente nelle attività di cura potrebbe essere considerato un presupposto irrinunciabile per il
miglioramento della qualità dei servizi di assistenza erogati all’interno delle mura carcerarie,
perseguendo il contestuale intento di rinvigorire, nel lungo termine, la sostenibilità del sistema
sanitario penitenziario (Jordan, 2012; Duke, 2011; Powell, et al., 2010; Dara, et al., 2009; Winter,
2008; Møller, et al., 2007; Hek, 2006). Nondimeno, l’implementazione di modelli di co-produzione
del servizio di assistenza richiede condizioni strutturali e culturali favorevoli, in assenza delle quali
le iniziative protese alla valorizzazione del ruolo del paziente nel percorso di cura, siano esse di
natura individuale o istituzionale, potrebbero risultare quasi del tutto inefficaci.
Attraverso la somministrazione di un questionario semi-strutturato ai dirigenti medici
penitenziari in carica presso gli istituti di pena di una regione italiana, si tenta di analizzare
l’orientamento di questi ultimi rispetto ad otto aree tematiche rilevanti in tema di empowerment e
coinvolgimento del paziente nel percorso di cura. L’indagine, in primo luogo, è strumentale al
conseguimento di informazioni utili sulla propensione dei professionisti sanitari che operano in
ambito penitenziario ad adottare approcci di co-produzione nell’erogazione delle prestazioni di
assistenza. In aggiunta, essa consente di pervenire a una potenziale identificazione e alla
discussione delle inerzie strutturali e culturali che ostacolano la rivisitazione dei tradizionali modelli
di cura implementati nel contesto di vita carcerario.
1
Seppur non rappresentative a livello nazionale, le risultanze dell’analisi empirica dipingono
un quadro fortemente contradditorio, testimonianza dell’inadeguatezza degli interventi posti in
essere sino a questo momento al fine di promuovere la partecipazione dei pazienti alla progettazione
e all’implementazione del percorso di cura. A un clima di diffusa fiducia manifestata a livello
individuale dai dirigenti medici penitenziari con riferimento al coinvolgimento dei pazienti in
vinculis nelle prestazioni di cura, si contrappone un contesto istituzionale e culturale tuttora ostile
alla co-creazione del valore negli istituti di pena, con inevitabili ripercussioni sia in termini di
efficacia che di efficienza del sistema sanitario penitenziario.
Pur scontando i tipici limiti delle fasi iniziali di un lavoro di ricerca, la presente indagine
costituisce un terreno fertile su cui innestare future ricerche di tipo concettuale ed empirico, aventi
ad oggetto l’implementazione di approcci di co-produzione nelle attività di cura e di assistenza a
favore dei ristretti. Lo studio, inoltre, esprime implicazioni sia sotto il profilo teorico che su quello
pratico: da un lato, esso contribuisce all’avanzamento scientifico, proponendo le formule di co-
produzione del servizio quale approccio particolarmente efficace all’interno del peculiare contesto
penitenziario; dall’altro lato, si propone un modello organizzativo e gestionale innovativo per
l’erogazione dei servizi di assistenza sanitaria a favore degli individui in vinculis, che congiunge le
esigenze di miglioramento della qualità delle prestazioni e di rinvigorimento della sostenibilità
economica e finanziaria del sistema sanitario penitenziario.
2. Verso una definizione del concetto di co-produzioneParte della dottrina raggruppa i servizi pubblici in due categorie, in considerazione delle
relative caratteristiche assiologiche e funzionali (Whitaker, 1980; Brudney & England, 1983). Da
un lato, vi sono i servizi alla persona, altrimenti definiti “trasformativi”, tesi al positivo
condizionamento delle attitudini, del comportamento, dello stato o delle condizioni di vita
individuali, come nel caso dei servizi sanitari, sociali o educativi. Dall’altro lato, si collocano i
servizi di tipo collettivo, o “diffusi”, il cui accesso è generalmente garantito a tutti i membri della
2
comunità; la peculiare natura di questi ultimi implica l’impossibilità di tenere in considerazione le
specifiche esigenze personali degli utenti, nell’intento di rispondere a esse durante le attività di
prestazione: è quanto accade, a titolo esemplificativo, con riferimento alla sicurezza pubblica.
L’interazione diretta tra gli attori deputati alla prestazione dei servizi e gli utenti che ne
beneficiano rappresenta un requisito essenziale per la prima tipologia di servizi, mentre costituisce
un semplice fattore strumentale per la seconda; in entrambe i casi, nondimeno, il coinvolgimento
dell’utente e la sua partecipazione alla prestazione è un aspetto caratterizzante dei servizi,
contraddistinguendo questi ultimi rispetto alle tradizionali attività di produzione e consumo dei beni
materiali (Gronroos, 2009; Zeithalm, Bitner, & Gremler, 2005). Ciò assume rilievo ancor maggiore
qualora l’attenzione sia focalizzata sui servizi pubblici: la loro specifica natura incentiva la
partecipazione diretta degli utenti nelle attività di prestazione, creando condizioni favorevoli
all’implementazione di approcci orientati alla co-produzione del servizio.
Nel caso dei servizi pubblici, infatti, gli utenti concorrono sia direttamente che
indirettamente alla predisposizione delle condizioni necessarie alla realizzazione della prestazione:
in primis, essi entrano a far parte come attori protagonisti del processo di erogazione, in qualità di
suoi beneficiari diretti o indiretti; in secondo luogo, essi contribuiscono alla costruzione del contesto
fisico e sociale in cui le attività di prestazione sono realizzate, agevolandole od ostacolandole
(Sharp, 1980). Coerentemente a tale prospettiva, si assiste a un radicale cambiamento nelle relazioni
che si innescano tra le organizzazioni pubbliche, nella loro qualità di erogatori di servizi, e i
cittadini, in veste di utenti delle prestazioni, con una conseguente maggiore difficoltà nella
discriminazione tra i compiti attribuiti da un lato al “provider” e, dall’altro, allo “user” (Humphreys
& Grayson, 2008). Ne deriva una sorta di “alleanza” tra chi eroga la prestazione e chi beneficia di
essa, in virtù della quale quest’ultimo non agisce quale mero percettore di valore, ma come co-
creatore di esso (Tapscott & Williams, 2006; Pitt, et al., 2006).
3
È opportuno precisare, d’altro canto, che l’interazione tra l’utente e il prestatore del servizio
non implica, di per sé, l’implementazione di un approccio orientato alla co-produzione (Botero,
Paterson, & Saad-Sulonen, 2012): l’incontro tra i due attori, prima facie, rappresenta un
presupposto ontologico della prestazione del servizio, a prescindere dall’intento di coinvolgere il
primo in essa. La dottrina, nondimeno, ha ampiamente discusso il contributo che i modelli ispirati
alla co-produzione potrebbero esprimere in termini di miglioramento della qualità e di economicità
della prestazione, anche con riferimento al particolare caso dei servizi pubblici (Bovaird & Loeffler,
2012; Coote, 2011; Massoli, 2011; Needham, 2008; Pestoff, et al., 2006; Cahn, 2000; Alford, 1998;
Ferris, 1984; Percy, 1984). Prendendo spunto dalla citata letteratura, si descrivono i vari approcci
cui è possibile ricorrere al fine di promuovere il coinvolgimento dell’utente nelle attività di
erogazione dei servizi, differenziando le diverse formule in relazione al numero degli attori
coinvolti e delle modalità con cui questi ultimi prendono parte alla prestazione.
La co-produzione “individuale” concerne la relazione inter-personale tra l’utente e il
prestatore del servizio: tra i due si instaura un vero e proprio rapporto di collaborazione, in virtù del
quale essi contribuiscono parimenti al buon esito della prestazione. Gli utenti non sono relegati al
mero ruolo di destinatari passivi e beneficiari della prestazione, ma assumono un compito pro-
attivo, divenendo co-generatori di valore (Fotaki, 2011; Ramirez, 1999); a sua volta, chi è deputato
all’erogazione del servizio si rende disponibile a valorizzare l’apporto che l’utente può esprimere
sia ai fini della predisposizione che dell’implementazione delle attività di prestazione, attraverso
un’azione informativa, formativa e abilitativa (Etgar, 2008).
Connotati peculiari assume la co-produzione “di gruppo”: essa, difatti, sottende l’azione
congiunta di un aggregato omogeneo di attori, i quali, condividendo in linea di massima la
medesima provenienza sociale e/o culturale, esprimono bisogni analoghi sia in termini quantitativi
che qualitativi; attraverso la loro azione congiunta, essi perseguono lo scopo di incrementare la
4
gamma e la qualità dei servizi offerti dal sistema pubblico, ponendo in essere prestazioni ausiliarie,
sostitutive o integrative rispetto a questi ultimi (Parks, et al., 1981).
Infine, la co-produzione “collettiva” concerne sfere di azione che vanno oltre i confini della
precedente formula (Joshi & Moore, 2004). Essa si realizza attraverso il più ampio coinvolgimento
della collettività insediata all’interno di un certo contesto territoriale o sociale di riferimento,
esprimendo un modello alternativo alle formule tradizionali di erogazione dei servizi pubblici; se
queste si fondano sui presupposti della centralità istituzionale dell’attore che presta il servizio e di
una comunità servita sostanzialmente inerte, la co-produzione collettiva assume che la comunità
provveda in maniera diretta, anche in assenza dell’allocazione di risorse aggiuntive derivanti dalle
casse pubbliche, alla produzione di beni di natura collettiva, affinché tutti i propri membri ne
traggano beneficio.
Diversi fattori concorrono a spiegare le ragioni di un più ampio ricorso a modelli di
prestazione basati sull’approccio della co-produzione del valore. Consolidata dottrina, pur
concentrando lo sguardo in maniera prevalente sui casi di co-creazione del valore posti in essere nel
settore privato, ha evidenziato come il coinvolgimento dell’utente nelle attività precedentemente
realizzate ricorrendo alle sole risorse interne dell’azienda determini riflessi positivi in termini di
produttività e, di conseguenza, di efficienza organizzativa (Lovelock & Young, 1979; Mills &
Moberg, 1982; Mills, Chase, & Margulies, 1983; Mills & Morris, 1986; Fitzsimmons, 1985;
Bowers, Martin, & Luker, 1990). I medesimi utenti, inoltre, potrebbero manifestare una forte
propensione al coinvolgimento attivo nelle attività di prestazione (Bateson, 1985), in particolar
modo nel momento in cui essi percepiscano un elevato livello di committment psicologico nei
confronti dell’azienda con cui interagiscono (Goodwin, 1988). In questa prospettiva, parte della
dottrina associa all’empowerment dell’utente effetti benefici in termini di più elevata qualità della
prestazione e di maggiore soddisfazione dell’utente (Kelley, Donnelly, & Skinner, 1990;
Dabholkar, 1990; Song & Adams, 1993; Lengnick-Hall, 1996): ciò deriva dall’effetto
5
motivazionale che l’implementazione di formule collaborative genera tanto nei confronti di chi
eroga la prestazione che dei suoi beneficiari.
È innegabile che fattori istituzionali, politici e sociali esprimano una rilevante influenza ai
fini della diffusione di modelli ispirati alla co-produzione dei servizi nel settore pubblico (Espring
Andersen, 1996): essi creano condizioni favorevoli o sfavorevoli all’implementazione di modelli di
co-produzione, contribuendo a determinare le specifiche caratteristiche che questi assumono. La
dottrina, in aggiunta, ha evidenziato come l’interazione tra gli utenti e gli attori deputati
all’erogazione delle prestazioni assuma modalità diversificate, in relazione alle specifiche
caratteristiche del sistema pubblico in cui essa trova implementazione (Anuradha & Moore, 2004):
si ritiene opportuno, pertanto, prestare attenzione allo specifico contesto istituzionale, politico e
sociale in cui si intende promuovere l’introduzione di approcci ispirati alla co-produzione dei
servizi pubblici, identificando le variabili che esercitano maggiore influenza sull’innesto di relazioni
collaborative tra gli user e i provider.
Accanto agli interventi di natura istituzionale, l’introduzione di approcci ispirati alla co-
produzione nel settore pubblico richiede un radicale cambiamento nelle logiche di azione, oltre che
nella mentalità degli attori preposti alla prestazione dei servizi: essi debbono liberarsi
dell’impostazione culturale invalsa nel passato, che li concepisce quali attori monocentrici e
autonomi (Adinolfi, 2005), la cui azione, nella maggior parte dei casi, non trova condizionamento
da parte degli utenti. Chi è preposto alle attività di erogazione, piuttosto, dovrebbe avere il compito
di creare le condizioni favorevoli, affinché i propri interlocutori rivestano un più incisivo ruolo di
co-creatori del valore: a tal pro, sono essenziali interventi di tipo strutturale, che abbattano le
barriere organizzative e culturali al coinvolgimento dell’utente, accompagnati da azioni di tipo soft,
mirate a promuovere la diffusione delle competenze e delle conoscenze strumentali alla concreta
implementazione dei modelli di co-produzione.
6
Il processo di empowerment dell’utente presume anche un’adeguata formazione e
l’acquisizione di una buona maturità psicologica da parte di quest’ultimo, entrambe essenziali ai fini
dell’efficace co-produzione del servizio. Affinché utenti ed erogatori allaccino una relazione non
viziata dalla dipendenza dei primi verso i secondi o dall’assenza di fiducia dei secondi verso i primi,
è necessario che i beneficiari della prestazione siano nelle condizioni di raccogliere, comprendere
ed elaborare correttamente e tempestivamente le informazioni che concernono il servizio e che
siano motivati a prendere parte alle decisioni che concernono la prestazione (Geyskens, et al., 1998;
Charles, et al., 1997; Lusch, Brown, & Brunswick, 1992).
È opportuno, dunque, che, a livello individuale, l’utente sviluppi una spontanea e
consapevole propensione al coinvolgimento nella prestazione dei servizi (Gilson, 2003), assumendo
responsabilità precedentemente monopolizzate dal provider del servizio: il successo negli approcci
di co-produzione, difatti, dipende dalle caratteristiche individuali e dalla personale volontà
dell’utente di contribuire attivamente e positivamente alle attività di prestazione (Pralahad &
Ramaswamy, 2004). In questi termini, è opportuno che chi eroga il servizio maturi una più profonda
consapevolezza sugli impatti positivi associabili alla co-produzione, assumendo la veste di
“facilitatore”, piuttosto che di mero “prestatore” del servizio (Bovaird, 2007). I provider dovrebbero
incamminarsi verso un percorso che li conduce da un’impostazione di semplice soluzione
unilaterale dei problemi alla copertura di un ruolo di “abilitazione” (Normann, 2001). In assenza di
tali condizioni, gli sforzi profusi per conseguire un più elevato livello di co-produzione della
prestazione e, di conseguenza, di co-creazione del valore potrebbero rivelarsi completamente vani.
È facile intuire che la co-produzione non rappresenti semplicemente un approccio inteso a
garantire più ampi margini di azione all’utente o ad offrire maggiori opportunità di
personalizzazione del servizio a quest’ultimo; essa costituisce, in termini più generali, un sentiero
praticabile, che conduce alla rivisitazione dello “stato sociale”, sempre più stretto nella morsa di
maggiori bisogni espressi dalla popolazione e di minori risorse finanziare a disposizione (Boyle &
7
Harris, 2009). Il coinvolgimento dell’utente nella prestazione dei servizi pubblici si rivela essenziale
per la costituzione di un sistema di welfare partecipato e pluralistico, cui prendano parte sia la
società civile che il terzo settore, integrando e, laddove opportuno, sostituendo l’intervento delle
organizzazioni pubbliche (Pestoff, 2009).
3. La co-produzione del servizio in ambito sanitarioLa centralità del paziente (patient centeredness) e il suo coinvolgimento nel percorso di cura
(patient empowerment) costituiscono concetti ormai ricorrenti in ambito sanitario (Mead & Bower,
2000): essi ispirano l’instaurazione di un rinnovato rapporto tra l’utente e il professionista sanitario
(Dahlberg, 1996), non viziato dalla condizione di subordinazione psicologica e di asimmetria
informativa percepita del primo nei confronti del secondo (Freidson, 1970), ma rivisitato in una
prospettiva di partecipazione attiva alla cura del paziente (Guadagnoli & Ward, 1998), a cui è
riconosciuto il ruolo di “soggetto”, piuttosto che di “oggetto” della prestazione (Takman &
Severinsson, 1999). Puntare sulla co-produzione dei servizi di tutela e promozione della salute
significa affermare la centralità del paziente, nell’intento di accrescere la qualità della prestazione,
senza che ciò implichi ripercussioni in termini di inefficienze organizzative.
L’implementazione di modelli di co-produzione in sanità si basa sull’assunto secondo cui i
professionisti sanitari e i pazienti, malgrado le reciproche divergenze cognitive, dovrebbero
partecipare congiuntamente alla definizione dei percorsi di assistenza, pervenendo a valutazioni
condivise in merito ai relativi impatti sullo stato di salute (Owens & Cribb, 2012). Al riguardo, è
opportuno considerare la diversità di substrato culturale che si riscontra nel professionista sanitario
rispetto al paziente: mentre il primo esamina lo stato morboso in terza persona e in maniera
oggettiva, il secondo è interessato in prima persona dal caso patologico, analizzandolo direttamente.
Per tale ragione, i due attori potrebbero maturare percezioni divergenti sugli aspetti che assumono
maggior rilievo ai fini della pianificazione e dell’implementazione del percorso di cura: tale
8
situazione potrebbe tradursi nell’emersione di contrasti non facilmente risolvibili, se gestita in
maniera inappropriata da essi (Bury, 1998).
L’attuale contesto operativo con cui le organizzazioni sanitarie si confrontano, in aggiunta,
si caratterizza per una crescente dinamicità e incertezza: l’intento, più o meno esplicito, di esercitare
un controllo sui determinanti dello stato di salute, tra cui i fattori ambientali, economici e sociali,
così come l’esigenza di prevenire la diffusione delle patologie croniche, non possono essere
adeguatamente perseguiti, qualora si pretenda di preservare un ricorso quasi del tutto esclusivo al
modello tradizionale di gestione dei servizi sanitari (Anderson, 1995). Urge pervenire alla
definizione di nuove risposte, che non si limitino alla gestione ottimale delle risorse interne delle
organizzazioni sanitarie, ma si propongano di attivare le abilità collettive, dando vita a un’ampia
rete di tutela e promozione della salute articolata a livello territoriale (Leadbeater & Cottam, 2004).
Gli approcci di co-produzione dell’assistenza sanitaria si fondano sul precipuo intento di
mobilitare le risorse e le conoscenze individuali, valorizzando il know how degli attori che, in
maniera formale o informale, sono coinvolti nel percorso di cura ed evitando di concentrare
l’attenzione sulle sole competenze tecniche e scientifiche dei professionisti che operano all’interno
delle organizzazioni sanitarie. Tra utenti e prestatori del servizio, in questi termini, debbono
attivarsi intensi rapporti collaborativi, basati sulla fertilizzazione incrociata delle conoscenze al fine
di accrescere l’appropriatezza delle prestazioni e di favorire l’empowerment del paziente.
Come brevemente accennato in precedenza, co-produrre i servizi sanitari non significa
semplicemente incrementare le possibilità di personalizzazione del servizio, quanto proporre un
approccio innovativo alla cura, che prenda le distanze dall’impostazione bio-medica classica,
concentrata sul trattamento della patologia, per promuovere un modello di assistenza bio-psico-
sociale, orientato al paziente e ai suoi personali bisogni di cura (Engel, 2004; Seedhouse, 2001;
Nordenfelt, 1995). Il coinvolgimento dell’utente è essenziale in un periodo segnato dalla crescente
diffusione delle malattie croniche e dalla carenza delle risorse a disposizione: esso stimola la ri-
9
concettualizzazione e la ri-focalizzazione del servizio sanitario verso le finalità di promozione della
salute e di prevenzione delle patologie, arginando i costi legati all’inappropriatezza e valorizzando
le capacità individuali di self management dello stato di salute (Wanless, 2004).
Il professionista sanitario, in quest’ottica, non rappresenta il solo attore “attivo” nel processo
di erogazione del servizio (Saha, Beach, & Cooper, 2008): accanto a questi agisce il destinatario
della prestazione, nella veste di individuo esperto e informato (Goodare & Lockwood, 1999). Egli
contribuisce alla pianificazione e all’implementazione del percorso di assistenza, apportando
conoscenze e informazioni specifiche, che il provider non avrebbe la possibilità di conseguire in
maniera alternativa (Bertakis & Azari, 2011; Weingart, et al., 2011; Cegalaa, Street Jr, & Clinch,
2007; Collins, et al., 2007; Buetow, 1998; Cahill, 1996; Speedling & Rose, 1985; Strull, et al.,
1984). L’empowerment del paziente offre la possibilità di pervenire a un percorso di assistenza che,
in quanto concertato, è condiviso tra chi eroga la prestazione e chi ne trae beneficio: la
concertazione, da un lato, pone le basi per una maggiore appropriatezza della prestazione e,
dall’altro, motiva il paziente a seguire fedelmente il trattamento terapeutico (Bettencourt, et al.,
2002).
Siffatto approccio è coerente con la concezione della salute quale “costrutto stratificato”,
determinato da fattori biofisici, psicologici, socio-culturali e ambientali, il cui impatto non può
essere oggetto di adeguata percezione ricorrendo alle tradizionali teorie riduzionistiche della pratica
clinica (Marmot, 2005). Il ricorso ai modelli di co-produzione in ambito sanitario consente di
valorizzare l’eterogeneità di punti di vista espressi dai professionisti e dai pazienti, considerandoli
entrambi validi e potenzialmente complementari, piuttosto che contradditori o incompatibili (Owens
& Cribb, 2012). Il coinvolgimento degli utenti nelle attività di prestazione della cura, inoltre,
rinvigorisce la “democraticità” del servizio di assistenza sanitaria, oltre a stimolare la sussidiarietà e
la devoluzione delle competenze istituzionali in materia di tutela e promozione della salute (Lyons,
2006; Leadbeater & Cottam, 2007). L’implementazione di formule di co-produzione, infine,
10
potrebbe esprimere un contributo positivo sia in termini di più elevata efficienza delle prestazioni di
cura che di percezione di una maggiore qualità dell’assistenza da parte dell’utente (Gershon, 2004;
Leadbeater, 2004).
Secondo parte della dottrina, i tempi sono ormai maturi per l’evoluzione dei modelli di
assistenza sanitaria verso un approccio orientato alla co-produzione della prestazione: le risorse
tecnologiche a disposizione agevolano un più intenso e trasparente flusso di informazioni sia in
direzione che a partire dai pazienti, sottraendo queste ultime dal controllo esclusivo dei
professionisti. L’accessibilità a fonti di informazione attendibili in materia di salute, invero, è
indispensabile ai fini della co-creazione dei servizi sanitari, creando i presupposti per il
coinvolgimento del paziente nelle diverse fasi che caratterizzano il processo di cura, dalla sua
pianificazione alle attività di implementazione, monitoraggio e valutazione della prestazione
(Realpe & Wallace, 2010).
Le circostanze favorevoli alla transizione verso la co-produzione, tuttavia, potrebbero essere
non adeguatamente valorizzate in assenza di un più ampio mutamento culturale, che fornisca il
giusto incentivo alla partecipazione attiva dell’utente alle prestazioni di cura. In questi termini, è
prima di tutto necessario che i professionisti sanitari mettano in discussione la loro fedeltà al
modello bio-medico tradizionale (Dacher, 1995): smettendo le vesti di “curatori” e “risolutori di
condizioni problematiche”, essi debbono agire quali “facilitatori” e “catalizzatori” dell’iniziativa
individuale, lavorando al fianco, non a capo, dei pazienti (Gannon & Lawson, 2008; Cummins &
Miller, 2007; Ostrom, 1996).
Il buon esito della prestazione, infatti, non dipende in via esclusiva dalla capacità del
professionista di formulare un’adeguata diagnosi del problema di salute e di predisporre
un’appropriata risposta clinica e esso, facendo leva sul vasto patrimonio di conoscenze e
competenze specifiche accumulato nel tempo attraverso lo studio teorico e l’esperienza empirica. Al
contrario, determinante è l’adesione fisica e psicologica del paziente al percorso di cura, considerato
11
che questi è portatore di informazioni specifiche essenziali ai fini della prestazione di assistenza
(Needham, 2012). L’attivazione di un approccio di co-produzione del servizio implica la
valorizzazione del ruolo del paziente quale self manager del suo stato di salute. A tal pro, è
necessario che siano realizzati radicali interventi, volti a promuovere, sia sotto il profilo
istituzionale che operativo, il suo empowerment in tutte le fasi del percorso di cura (Labonte, 1994);
in tal modo, si creano le condizioni per arginare gli effetti negativi generati dalla condizione di
asimmetria informativa che caratterizza l’interazione sanitaria, abbattendo sia i rischi di
inappropriatezza che di incomprensione tra i due interlocutori (Breen, 2004).
È bene osservare, tuttavia, che l’iniziativa individuale degli attori che prendono parte al
percorso di cura non può essere ritenuta sufficiente: si auspica, piuttosto, un intervento “sistemico”
(Wagner, et al., 2001), coerente con la molteplicità dei presupposti necessari ai fini del
coinvolgimento del paziente nelle attività di assistenza sanitaria. La diffusione di maggiore
consapevolezza sul contenuto del diritto individuale alla salute, la disponibilità dei professionisti e
degli operatori sanitari alla copertura di un ruolo di supporto formale e informale a favore dei
pazienti e la garanzia di un’accessibilità tempestiva a risorse e strumenti che agevolino lo scambio
di informazioni tra il beneficiario e l’erogatore della prestazione sono essenziali per l’introduzione
di approcci di cura basati sulla co-produzione del servizio di assistenza (Coleman, et al., 2009;
Tattersall, 2002).
Da episodio unilaterale di erogazione, il contatto tra il professionista sanitario e il paziente
diventa momento di incontro tra due esperti (Pawlikowska, et al., 2007), in cui il primo apporta
conoscenze scientifiche specialistiche, mentre il secondo esprime informazioni, nella maggior parte
dei casi tacite, relative alla personale “esperienza patologica”, ai determinanti dello stato di salute,
alla disponibilità individuale al coinvolgimento nel percorso di cura, nonché alle preferenze
personali. Tale incontro non è oggetto di indirizzo e coordinamento unidirezionale da parte del
professionista, ma assume natura partecipativa: esso è funzionale tanto alla prestazione quanto allo
12
scambio di conoscenze e competenze tra gli attori coinvolti, divenendo momento formativo e
informativo, oltre che di erogazione (Street Jr, et al., 2009).
La co-produzione del servizio, in sostanza, implica una sorta di “trasfigurazione” del
paziente, a cui è demandata parte della responsabilità in merito all’assunzione di decisioni critiche
sulla tutela e sulla promozione del suo stato di salute. Il conseguimento di un adeguato livello di
alfabetizzazione sanitaria, sia sotto il profilo funzionale che critico e sociale (Palumbo, 2012) è,
dunque, indispensabile ai fini dell’instaurazione di un rapporto collaborativo e sinergico tra il
paziente e i professionisti o gli altri operatori sanitari; tra essi deve attivarsi un dialogo aperto,
finalizzato allo scambio e alla raccolta delle informazioni utili per pervenire a una diagnosi accurata
del problema sanitario e alla formulazione di un trattamento appropriato a fronte di esso (Stewart,
2001). Chi eroga la prestazione sanitaria, a sua volta, ha il compito di rilevare e valorizzare la
prospettiva del paziente, di pervenire all’identificazione dei suoi bisogni di cura, nella maggior
parte dei casi inespressi, di condividere le informazioni che concernono la specifica fattispecie
patologica da affrontare e di definire un percorso di cura concertato, le cui probabilità di successo
sono più elevate rispetto ai casi di mera imposizione unilaterale della terapia da parte del medico
curante.
4. La co-produzione in sanità in una prospettiva istituzionaleL’intento di promuovere la partecipazione del paziente alle prestazioni di cura accomuna i
sistemi sanitari nazionali dei Paesi sviluppati, a prescindere dal modello finanziario e organizzativo
da essi adottato (Frist, 2005; Saltman & Figueras, 1998; Elola, 1996; Eng, Salmon, & Mullan,
1992): il coinvolgimento del paziente nelle attività di tutela e promozione della salute è ritenuto
imprescindibile in un contesto segnato dalla carenza delle risorse economiche e finanziarie a
disposizione per far fronte ai crescenti bisogni di cura di una popolazione che vive un graduale
processo di invecchiamento demografico (Leichsenring, 2004); cionondimeno, nella letteratura non
si riscontra consenso sugli impatti attribuibili a esso (Charles & DeMaio, 1993).
13
La diffusione di approcci ispirati alla co-produzione della cura è testimonianza di un
graduale ripensamento dei modelli di governo del sistema sanitario, nella prospettiva di una
transizione dalla tradizionale impostazione bio-medica a un approccio di tipo bio-psico-sociale,
centrato sul paziente (Needham, 2008). Le logiche di co-produzione invocano una rivisitazione dei
rapporti che si instaurano tra i pazienti e gli erogatori della prestazione, in un’ottica di cittadinanza
attiva e di democrazia partecipativa, in cui i primi non sono meri beneficiari passivi dei servizi di
cura, ma loro diretti artefici (Dunston, 2009). Da modello residuale, impiegato con riferimento a
poche prestazioni, tra cui la tutela e la promozione della salute dei pazienti affetti da patologie
croniche multiple, la co-produzione sublima a impostazione diffusa, applicabile in qualsiasi
contesto di cura (Andersson, Tritter, & Wilson, 2006; Peters, 2004). Essa garantisce più ampie
possibilità di scelta a favore del paziente (Saltman, 1994), ne promuove la centralità durante l’intero
percorso assistenziale (Holmström & Röing, 2010), agevola la personalizzazione della prestazione
(Walter, 2004) e stimola l’empowerment individuale (Laverack, 2006).
Ne consegue una rinnovata relazione tra user e provider, da cui scaturisce un modello di
assistenza più efficace e, allo stesso tempo, più sostenibile nel lungo termine (McLaughlin, 2004;
Wanless, 2004): il secondo matura una maggiore capacità di percezione e di risposta ai peculiari
bisogni del primo, mentre quest’ultimo acquisisce consapevolezza sulle opportunità di
coinvolgimento nel percorso di cura. Da esterno (outsider), depositario dei soli poteri di “scelta” e
di “voce” (Hirschmann, 1970), il paziente diventa attore interno (insider): egli apporta la sua
esperienza personale in seno alle dinamiche decisionali che segnano il percorso di cura, divenendo
fonte privilegiata di informazioni, da valorizzare facendo leva sul dialogo e sull’aperto confronto, in
assenza di tentativi di prevaricamento da parte del professionista (Parker & Heapy, 2006).
Affinché ciò sia effettivamente possibile, è necessario che il caregiver formale accompagni
alle tradizionali competenze di tipo hard, di stampo tecnico-scientifico, abilità soft, vale a dire
attributi attitudinali e comunicativi, funzionali a una proficua interazione con il destinatario della
14
prestazione. Il tradizionale approccio biomedico, difatti, trascura il positivo apporto che il paziente
potrebbe esprimere durante il percorso di cura, privilegiando una prospettiva riduzionista, incentrata
sulla cura della malattia. Fedeli a questa impostazione, i professionisti sanitari hanno maturato nel
tempo una bassa fiducia nei confronti dei pazienti, considerandoli incapaci di contribuire alla
prestazione di cura: lo scarso credito percepito nei confronti degli utenti si è tradotto, in molti casi,
nel mancato ascolto dei loro bisogni, con la conseguente incapacità di rendere i percorsi di cura più
consoni alle tacite o esplicite esigenze dei pazienti (Morris, et al., 2007).
Alla luce di tali riflessioni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha puntato
sull’empowerment del paziente quale strategia chiave per la riorganizzazione dei sistemi sanitari
nazionali, considerando la co-produzione delle prestazioni di cura uno strumento indispensabile per
rispondere alle esigenze di maggiore efficienza e di efficacia, storicamente avvertite in ambito
sanitario. Nella Dichiarazione di Alma Ata del 1978, il coinvolgimento del paziente e l’equità
nell’assistenza sanitaria sono identificati come traguardi prioritari per la riorganizzazione dei
sistemi sanitari nazionali; impostazione simile è mantenuta nella Carta di Ottawa e nella
Dichiarazione di Jakarta, adottate rispettivamente nel 1986 e nel 1997: l’empowerment del paziente,
finalizzato a eliminare le barriere formali e informali che si frappongono tra l’utente e il provider, è
concepito come approccio strumentale ai fini del miglioramento della qualità della prestazione e
della contestuale riduzione degli sprechi in sanità (Wallerstein, 2006).
Tale impostazione è coerente rispetto al mutamento demografico e sociale in atto su scala
globale: a una generazione di pazienti passivi, interessati prevalentemente da fenomeni patologici
acuti e dipendenti dai professionisti sanitari per il relativo trattamento, si sostituisce una
generazione di utenti attivi e informati, che ricorrono ai servizi di tutela e promozione della salute
allo stesso modo con cui si rivolgono alle altre prestazioni offerte sul mercato, esigendo il loro
pieno coinvolgimento in tutte le fasi decisionali che concernono la definizione del percorso di cura
(Health Consumer Powerhouse, 2009).
15
Su questa scia si colloca anche il nuovo quadro strategico formulato in seno alla macro-
regione europea dell’OMS, “Health 2020”, in cui si prevede l’attivazione di nuove strutture e
risorse che offrano maggiori opportunità di empowerment dei pazienti: si persegue non solo
l’obiettivo di coinvolgere gli utenti nell’erogazione delle prestazioni di cura, ma anche di renderli
partecipi alle attività di policy making, ossia alla formulazione delle politiche sanitarie di rilievo
comunitario, nazionale e locale. La Commissione Europea, costruendo sulle fondamenta gettate
dall’OMS, promuove la partecipazione del paziente attraverso strumenti aventi carattere normativo:
con la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e la biomedicina (STCE n. 164/1997) e,
successivamente, con il Libro Bianco “Insieme per la salute” (SEC[2007] 1374-1376),
l’empowerment del paziente e la co-produzione dei servizi sanitari assumono il connotato di valori
chiave del modello europeo di salute. In un contesto in cui i pazienti richiedono che l’assistenza
sanitaria diventi sempre più “personalizzata” e centrata sulla persona, il loro coinvolgimento nella
qualità di soggetti piuttosto che di oggetti della cura è ritenuto un requisito essenziale per la
riorganizzazione del sistema sanitario.
Pienamente coerente rispetto a questo approccio è l’impostazione adottata dal Governo
Italiano nella pianificazione sanitaria nazionale. Nel 2006, infatti, il Ministero della Salute ha
formalmente auspicato il passaggio dal consenso informato all’empowerment del paziente,
asserendo che quest’ultimo non debba solo essere un attore “informato”, quanto anche “formato”
per l’assunzione consapevole e partecipata delle decisioni che concernono la gestione del suo stato
di salute. Si intende fare in modo che il paziente manifesti la propria volontà in occasione delle
molteplici dinamiche decisionali che caratterizzano la formulazione del percorso di cura,
contribuendo in prima persona al miglioramento continuo dell’assistenza.
Analogamente, il documento preliminare informativo sui contenuti del Piano Sanitario
Nazionale per il triennio 2010-2012 individua l’empowerment e l’alfabetizzazione sanitaria del
paziente tra i fattori propedeutici alla predisposizione di modelli di co-produzione, a loro volta
16
considerati una frontiera verso cui indirizzare il sistema sanitario. Il piano sanitario 2011-2013, in
questi termini, attribuisce forte risalto sia alla co-produzione che al processo di empowerment del
paziente: il loro coinvolgimento nelle attività di assistenza sanitaria si realizza in primo luogo
attraverso il supporto al self care, nell’intento di recuperare la centralità dell’utente tramite la
personalizzazione delle cure e di incentivare i pazienti ad affrontare in maniera consapevole e
responsabile la gestione della malattia.
Il contesto penitenziario rappresenta un ambito particolarmente interessante per analizzare
gli impatti che il coinvolgimento del paziente nel percorso assistenziale esprime sul buon esito delle
prestazioni di cura, in considerazione delle peculiarità che lo caratterizzano. La co-produzione dei
servizi assistenziali, infatti, sta gradualmente assumendo, quanto meno sulla carta, maggior peso
nelle istituzioni penitenziarie, recentemente interessate da un radicale riassetto di natura
istituzionale e organizzativa in materia di salute. Il legislatore, infatti, ha sottratto agli istituti di
pena le competenze in tema di tutela e promozione della salute degli individui in vinculis,
trasferendole in blocco al Ministero della Salute e alle regioni territorialmente competenti; il
novellato quadro normativo reca in sé condizioni favorevoli all’insediamento di modelli di co-
produzione tra il professionista sanitario e il paziente in vinculis, valorizzando il ruolo di
quest’ultimo quale attore partecipe e co-responsabile della formulazione e dell’implementazione del
percorso di cura.
5. L’empowerment del paziente negli istituti di reclusione in Italia: esiti di un’indagine empirica
Con alcuni recenti interventi normativi, tra cui il Decreto Legislativo n. 230 del 1999 e il
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1 aprile 2008, il legislatore ha sancito la
scomparsa di un sistema sanitario penitenziario parallelo rispetto al sistema nazionale, ampliando la
competenza di quest’ultimo alle attività di tutela e promozione della salute degli individui sottoposti
a una misura restrittiva della libertà personale (Piscopo & Palumbo, 2012). Tale mutamento
17
istituzionale esercita con lentezza i suoi impatti sugli approcci di assistenza applicati all’interno
degli istituti di pena: è possibile argomentare a sostegno di una graduale transizione da un modello
bio-medico, centrato per lo più sul trattamento della patologia, a un’impostazione bio-psico-sociale,
che guarda in maniera globale al paziente, non più percepito in termini riduzionistici come corpo da
guarire (Foucault, 1975), ma quale soggetto della cura, avente il diritto, oltre che il dovere, di
partecipare alle attività di assistenza erogate a suo favore.
Il modello di salute promosso dal novellato quadro normativo è appropriato rispetto
all’attuale composizione demografica della popolazione detenuta; l’innalzamento dell’età media
degli individui sottoposti a una misura restrittiva implica un più elevato tasso di diffusione delle
patologie croniche, le quali non possono essere gestite efficacemente ricorrendo ai tradizionali
approcci di tutela della salute (Palumbo, 2013). La mera “cura” della malattia è spiazzata dalla
“presa in carico” del paziente (De Valck, et al., 2001), nell’intento non già di pervenire alla
formulazione di un’opportuna diagnosi e alla proposizione di una terapia adeguata rispetto al
problema clinico affrontato, quanto di formare l’interlocutore per agevolarne il coinvolgimento nel
percorso di cura.
I ristretti, tuttavia, presentano nella maggior parte dei casi inadeguate competenze sanitarie,
che ne potrebbero ostacolare tanto la loro attiva partecipazione ai servizi di assistenza quanto il loro
ricorso al self-management dello stato di salute. Gli interventi di alfabetizzazione sanitaria, in questi
termini, sono propedeutici all’introduzione di formule di coproduzione in ambito penitenziario: è
necessario che i pazienti in vinculis acquisiscano adeguate competenze tecniche, relazionali e
critiche, affinché siano nelle condizioni di interpretare correttamente le informazioni sanitarie e
maturino consapevolezza sugli impatti riconducibili al loro coinvolgimento nel percorso di
assistenza.
In questi termini, è necessario che il cambiamento istituzionale sia accompagnato da un
mutamento nei compiti e nella cultura dei professionisti sanitari: questi dovrebbero smettere i panni
18
dei curatori e agire come tutor o partner del paziente, nell’intento di promuovere la gestione
autonoma dello stato di salute da parte di questi. Gli interventi di formazione sanitaria dovrebbero
aggiungersi alle tradizionali attività assistenziali, non più sufficienti per rispondere in misura
soddisfacente alle esigenze di salute nutrite dai pazienti in vinculis: il percorso di cura diventa
momento di “abilitazione”, piuttosto che semplice trattamento di una condizione patologica.
Il contesto penitenziario, d’altro canto, è condizionato da rilevanti inerzie, che generano una
forte resistenza al cambiamento dei modelli di cura nei termini sino a questo punto descritti: la
tradizionale impostazione retributiva, che concepisce lo status detentivo come punizione a carico
del reo per il reato commesso prima ancora che come occasione di riabilitazione, contrasta con il
coinvolgimento dei ristretti nelle attività di tutela e promozione della salute. In aggiunta, i
professionisti sanitari che operano all’interno delle mura carcerarie rischiano di subire l’influenza
culturale esercitata da un’istituzione totale, quale l’istituto di pena: essi potrebbero maturare un
sentimento di scarsa fiducia nei confronti dei loro interlocutori, prestando poca attenzione alle loro
specifiche richieste di assistenza.
In maniera analoga, i ristretti nutrono scarsa fiducia nei confronti dei professionisti sanitari:
essi, infatti, percepiscono una minaccia ogni qualvolta interagiscono con gli attori che
rappresentano l’istituto di pena, ivi compresi coloro che afferiscono all’area sanitaria. Come se ciò
non bastasse, i ristretti tendono a considerare l’accesso ai reparti di cura come un’occasione per
sottrarsi temporaneamente al regime detentivo (Marshall, Simpson, & Stevens, 2000), piuttosto che
come risorsa strumentale alla tutela e alla promozione della salute. Tali atteggiamenti, ovviamente,
non agevolano la nascita e il rafforzamento nel tempo di relazioni di reciproca e fidata
collaborazione tra medico e paziente, ostruendo le possibilità di empowerment del secondo.
Alla luce di tali riflessioni, il costante impegno dei professionisti sanitari a sostegno del
coinvolgimento del paziente per l’innesto di modelli di cura innovativi in ambito penitenziario è
ritenuto indispensabile: a costoro è richiesta un’evoluzione culturale da un approccio riduzionistico,
19
che sminuisce il paziente a mero oggetto della prestazione, a un modello bio-psico-sociale, che
recuperi la centralità del paziente. Nell’intento di pervenire all’identificazione di evidenze
empiriche sull’approccio sanitario attualmente prevalente in ambito penitenziario, è stata condotta
un’analisi esplorativa di tipo quantitativo presso gli istituti di pena attivi in una regione italiana: un
questionario semi-strutturato, appositamente costruito per la rilevazione dell’orientamento degli
intervistati rispetto ad otto tematiche di interesse in materia di co-produzione del servizio di cura, è
stato sottoposto all’attenzione dei dirigenti medici penitenziari degli istituti coinvolti nell’indagine.
Sebbene non rappresentativi a livello nazionale, i dati desunti dall’indagine possono essere ritenuti
relativamente significativi, in quanto tutte le tipologie di strutture detentive previste nell’attuale
sistema penitenziario sono state oggetto di considerazione; le unità di analisi selezionate, inoltre,
ospitano tutte le tipologie di ristretti in relazione alla macro-tipologia di reato commesso.
I risultati dell’indagine empirica trovano sintesi grafica nella Figura 1; essa raffigura un
ottagono, ai cui vertici sono indicati gli otto item in base ai quali è stato costruito lo strumento di
rilevazione: per esigenze di snellezza espositiva, ciascun item è espresso in termini bi-modali,
polarizzando da un lato le modalità affini a un’impostazione bio-medica della cura e, dall’altro, le
modalità corrispondenti a un approccio di tipo bio-psico-sociale. Gli orientamenti dei medici
coordinatori sono desunti dalla rielaborazione delle risposte fornite dagli intervistati ai quarantotto
quesiti di cui si compone il questionario utilizzato: le unità di analisi hanno risposto a ciascun
quesito sulla base di una scala Likert a cinque valori, in cui punteggi bassi suggeriscono la
propensione verso un modello di cura riduzionistico, mentre valori elevati indicano la tendenza
verso un approccio patient-centered, compatibile con la logica di co-produzione del servizio.
La Tabella 1 rappresenta in maniera tabulare gli otto item in cui sono stati aggregati i
quarantotto quesiti, articolandoli nelle due modalità associate, rispettivamente, all’impostazione
bio-medica tradizionale e al modello bio-psico-sociale. Da un lato, l’orientamento all’azione,
l’identificazione con l’istituto di pena, la prevalente premura verso le esigenze organizzative, la
20
preferenza accordata all’autonomia operativa e all’indipendenza decisionale, l’attesa di una
gratificazione immediata, la predilezione dell’interazione “uno ad uno” e l’adozione di un approccio
reattivo alla cura sono sintomatici di un modello di cura tradizionale, che guarda alla cura della
malattia piuttosto che alle esigenze assistenziali del paziente, concependo il medico come un
risolutore autonomo di casi patologici. All’estremità opposta, l’orientamento alla pianificazione,
l’identificazione con la professione di appartenenza, la premura verso le esigenze del paziente, la
propensione alla collaborazione e alla realizzazione di processi decisionali partecipati,
l’accettazione di una gratificazione posticipata e la manifestazione di una professionalità pro-attiva,
cui si associa la predilezione per un’interazione “uno a molti”, sono caratteri tipici
dell’impostazione bio-psico-sociale, che concepisce il professionista sanitario quale promotore del
benessere psico-fisico globale del paziente.
Tabella 1 - Tabulazione delle modalitàModello bio-medico Modello bio-psico-sociale
Orientamento all’azione Orientamento alla pianificazioneIdentificazione con l’istituzione Identificazione con la professioneCentralità delle esigenze organizzative Centralità del pazienteIndipendenza decisionale Partecipazione e concertazione decisionalePreferenza per l’autonomia operativa Preferenza per la collaborazioneAttesa di una gratificazione immediata Accettazione di una gratificazione posticipataProfessionalità reattiva Professionalità pro-attivaInterazione 1:1 Interazione 1:N
Fonte: elaborazione dell’Autore
Figura 1 - Esiti dell'analisi qualitativa
Fonte: elaborazione dell’Autore
21
Dai risultati dell’indagine si evince un quadro ambiguo, evidenza, da un lato, del profondo
mutamento culturale e organizzativo che interessa i servizi sanitari in ambito penitenziario e,
dall’altro, dell’intensa resistenza al cambiamento opposta dagli istituti di pena. Sotto alcuni aspetti,
infatti, i medici intervistati manifestano una spiccata propensione a un approccio “partecipativo”
alla cura, che prevede il coinvolgimento dell’utente, la pianificazione partecipata del percorso di
cura, la costante premura verso le specifiche esigenze del paziente e la valorizzazione
dell’interazione contestuale con più interlocutori, con l’assunzione da parte del professionista di un
ruolo di tutorship nei confronti del ristretto. Dall’altro lato, gli attori intervistati conservano
un’impostazione tipicamente reattiva alla cura, finalizzata al trattamento della patologia piuttosto
che alla promozione del benessere e alla prevenzione; essi preferiscono l’azione autonoma rispetto
al lavoro in team e prediligono una gratificazione immediata (sia di tipo materiale che immateriale),
aspetti che, almeno in parte, confliggono con il coinvolgimento del paziente nel percorso di cura.
Il quadro contraddittorio, chiaramente ritratto nella Figura 1, potrebbe trovare spiegazione
alla luce delle peculiari caratteristiche del contesto operativo in cui i dirigenti medici penitenziari
esplicano la loro attività professionale: la molteplicità dei casi clinici che essi affrontano, la loro
elevata complessità, aggravata dall’alto numero di pazienti con patologie multiple, e la scarsità di
risorse a disposizione, sia sotto il profilo tecnico che economico, determinano un’inevitabile
situazione di stress organizzativo, che paralizza qualsiasi spontanea iniziativa protesa al
coinvolgimento del paziente nella definizione e nell’implementazione del percorso di cura. Di
fronte a condizioni di emergenza, infatti, si predilige un atteggiamento reattivo, mirato alla cura
piuttosto che alla presa in carico del paziente, un’interazione “uno a uno” improntata alla
dominanza clinica e alla subordinazione del paziente, nonché un approccio individualistico e
orientato all’indipendenza professionale. Il professionista sanitario, di conseguenza, tende a
maturare una scarsa fiducia sia nei confronti dei colleghi che del paziente, fattispecie che impedisce
il passaggio a formule di coproduzione dell’assistenza sanitaria.
22
La promozione di approcci di cura basati sull’empowerment del paziente in ambito
penitenziario richiede il rapido avvio di interventi di natura istituzionale e organizzativa, che
esprimano l’energia necessaria a rompere le inerzie che legano l’istituto di pena al tradizionale
approccio bio-medico e a colmare il gap esistente tra le risorse a disposizione e i bisogni di cura dei
ristretti. In assenza di azioni tempestive tal senso, si rischia l’innesto di un circolo vizioso: a fronte
di richieste di assistenza crescenti e in una condizione di carenza delle risorse necessarie a
implementare modelli di cura più appropriati alla luce delle rinnovate esigenze dell’utenza, i
professionisti sanitari potrebbero reagire replicando i tradizionali approcci di assistenza, che,
tuttavia, non consentono di fornire un’appropriata risposta ai bisogni sanitari della popolazione
detenuta. Di qui l’emersione di una nuova e crescente domanda sanitaria, con il conseguente
aggravamento della già critica situazione in essere.
In questa prospettiva, l’empowerment e il coinvolgimento del paziente nel processo di cura,
intesi a creare maggiori spazi per la co-produzione dei servizi sanitari, rappresentano dei sentieri
che non conducono semplicemente a più elevata qualità delle prestazioni, ma anche a migliori
condizioni di sostenibilità del sistema sanitario penitenziario. Come dimostrano i risultati
dall’analisi svolta, si è già in presenza di un mutamento culturale da parte dei professionisti sanitari
che operano in ambito penitenziario: essi si dimostrano pronti ad abbandonare la retriva
impostazione bio-medica in favore dell’approccio bio-psico sociale; d’altro canto, mancano tuttora
le condizioni, sia in termini strutturali che istituzionali, per catalizzare e capitalizzare siffatta
propensione al cambiamento. In questi termini, si può spiegare la diffusa presenza di un approccio
tuttora reattivo, individuale e improntato all’autonomia dei professionisti sanitari, ostacolo
consistente alla diffusione della co-produzione dei servizi sanitari negli istituti di pena.
6. Conclusioni e sviluppi futuriCome più volte ribadito, la coproduzione dei servizi di assistenza sanitaria è strumentale alla
maggiore efficacia delle prestazioni di cura e al miglioramento delle condizioni di sostenibilità del
23
sistema sanitario; ciò è vero anche con riferimento al particolare caso del sistema sanitario
penitenziario, la cui sopravvivenza è, oggi più che mai, messa a repentaglio dalla carenza di risorse
a disposizione a fronte della crescente quantità di bisogni di salute espressi dalla popolazione
detenuta.
Malgrado i recenti interventi normativi, il presente studio testimonia come non siano stati
tuttora creati i presupposti per il concreto coinvolgimento del paziente in vinculis nelle prestazioni
di cura: se, da un lato, i dirigenti medici penitenziari manifestano un atteggiamento positivo con
riferimento all’empowerment del paziente e all’implementazione di formule di co-produzione,
dall’altro lato deficit organizzativi e inerzie di tipo strutturale e culturale ne impediscono una rapida
diffusione. L’insufficienza delle risorse finanziarie, umane e tecniche disponibili, la debolezza delle
relazioni inter-istituzionali tra gli istituti di pena e le organizzazioni sociali e sanitarie, l’assenza di
supporto a sostegno dei dirigenti medici penitenziari, lo scarso livello di alfabetizzazione sanitaria
dei ristretti e una scarsa fiducia reciproca tra i professionisti e i pazienti sono alla base dell’attuale
situazione di stallo negli istituti di pena.
I dirigenti medici penitenziari coinvolti nell’indagine si sono dimostrati consapevoli
dell’inappropriatezza del tradizionale modello bio-medico per fornire una risposta adeguata agli
attuali bisogni assistenziali degli individui in vinculis: si potrebbe ritenere, pertanto, che a livello
individuale esistano le precondizioni per l’evoluzione dell’impostazione di assistenza tradizionale
verso un approccio di tipo bio-psico-sociale; esse, nondimeno, sono sterilizzate da una condizione
operativa sfavorevole alle iniziative protese alla promozione dell’empowerment del paziente e al
suo coinvolgimento nel percorso di cura.
La ricerca condotta sconta il limite della non-rappresentatività a livello nazionale del
campione selezionato ai fini dell’indagine; in aggiunta, gli strumenti di rilevazione impiegati non
presentano un adeguato livello di raffinatezza, criticità difficilmente evitabile, in considerazione
della fase seminale in cui si trova il progetto di ricerca. Gli sviluppi futuri potrebbero riguardare sia
24
l’ampliamento dei confini geografici entro cui l’indagine è stata svolta che l’irrobustimento, sotto il
profilo metodologico e contenutistico, dello strumento di rilevazione; in aggiunta, un’osservazione
partecipata longitudinale in un istituto di riferimento potrebbe rivelarsi utile per triangolare i
risultati ottenuti e conseguire una maggiore significatività delle conclusioni esposte.
Il paper contribuisce alla ricerca scientifica vagliando l’applicazione dell’approccio di co-
produzione dei servizi sanitari a un contesto sino ad oggi raramente considerato, come quello
penitenziario. Sotto il profilo empirico, inoltre, si individua un modello alternativo di gestione della
salute dei ristretti rispetto alla tradizionale impostazione bio-medica, tuttora prevalente all’interno
degli istituti di pena: esso si fonda sul coinvolgimento del paziente nelle attività di cura, nel duplice
intento di consolidare la sostenibilità del sistema sanitario penitenziario e di migliorare la qualità
delle prestazioni erogate.
7. BibliografiaAdinolfi, P. (2005). Il mito dell'azienda. Milano: McGraw Hill.
Alford, J. (1998). A public management road less travelled: clients as co-producers of public services. Australian Journal of Public Administration, 57(4), 128-137.
Anderson, R. M. (1995). Patient empowerment and the traditional medical model. A case of irreconcilable differences. Diabetes Care, 18(3), 412-415.
Andersson, E., Tritter, J., & Wilson, R. (2006). healthy democracy the future of involvement in health and social care. London: Involve and NHS National Centre for Improvement.
Anuradha, J., & Moore, M. (2004). Institutionalised coproduction: unorthodox public service delivery in challenging environments. The Journal of Development Studies, 40(4), 31-49.
Bateson, J. E. (1985). Self-service consumer: an exploratory study. Journal of Retailing, 61(3), 49-76.
Bertakis, K. D., & Azari, R. (2011). Patient-centered care is associated with decreased health care utilization. Journal of the American Board of Family Medicine, 24(3), 229-239.
Bettencourt, L. A., Ostrom, A. L., Brown, S. W., & Roundtree, R. I. (2002). Client co-production in knowledge-intensive business services. California Management Review, 44, 100-128.
Botero, A., Paterson, A. G., & Saad-Sulonen, J. (2012). Toward peer production in public services: cases from Finland. Helsinki: Aalto University Publication Series.
25
Bovaird, T. (2007). Beyond engagement and participation: user and community coproduction of public services. Public Administration Review, 67(5), 846-860.
Bovaird, T., & Loeffler, E. (2012). From engagement to co-production: how users and communities contribute to public services. Abingdon: Routledge, Taylor & Francis Group.
Bowers, M. R., Martin, C. L., & Luker, A. (1990). Trading places: employees as customers, customers as employees. The Journal of Services Marketing, 4(2), 55-69.
Boyle, D., & Harris, M. (2009). The challenge of co-production: how equal partnerships between professionals and the public are crucial to improving public services. London: Nesta.
Boyle, D., Clarke, S., & Burns, S. (2006). Hidden work: co-production by people outside paid employment. London: Joseph Rowntree Foundation.
Breen, K. J. (2004). The medical profession and the pharmaceutical industry: when will we open our eyes. Medical Journal of Australia, 180, 409-410.
Brudney, J. L., & England, R. E. (1983). Toward a Definition of the Coproduction Concept. Public Administration Review, 43(1), 59-65.
Buetow, S. (1998). The scope for the involvement of patients in their consultations with health professionals: rights, responsibilities and preferences of patients. Journal of Medical Ethics, 24, 243-247.
Bury, M. (1998). Postmodernity and health. In G. Scambler, & P. Higgs, Modernity, medicine, and health: medical sociology towards 2000 (p. 1–29). London: Routledge.
Cahill, J. (1996). Patient paricipation: a concept analysis. Joumal of Advanced Nursing, 24, 561-571.
Cahn, E. S. (2000). No more throw-away people: the co-production imperative. Washington, DC: Essential Books.
Cegalaa, D. J., Street Jr, R. L., & Clinch, R. (2007). The impact of patient participation on physicians' information provision during a primary care medical interview. Health Communication, 21(2), 177-185.
Charles, C., & DeMaio, S. (1993). Lay participation in health care decision making: a conceptual framework. Journal of Health Politics, Policy and Law, 18(4), 881-904.
Charles, C., Gafni, A., & Whelan, T. (1997). Shared decision-making in the medical encounter: what does it mean? (Or it takes at least two to tango). Social Science and Medicine, 44, 681-692.
Coleman, K., Austin, B. T., Brach, C., & Wagner, E. H. (2009). Evidence on the chronic care model in the new millennium. Health Affairs, 28, 75–85.
Collins, S., Britten, N., Ruusuvuori, J., & Thompson, A. (2007). Patient participation in health care consultations: qualitative perspectives. Maidenhead: Open University Press.
26
Coote, A. (2011). Co-production as a vehicle for sharing social responsibilities. In C. o. Europe, Towards a Europe of shared social responsibilities: challenges and strategies (p. 291-308). Strasbourg: Council of Europe Publishing.
Cummins, J., & Miller, C. (2007). Co-production, social capital and service effectiveness. London: OPM.
Dabholkar, P. (1990). How to Improve Perceived Service Quality by Improving Customer Participation. In B. J. Dunlap, Developments in Marketing Science (p. 483-487). Cullowhee, NC: Academy of Marketing Science.
Dacher, E. S. (1995). A systems theory approach to an expanded medical model: a challenge for biomedicine. The Journal of Alternative and Complementary Medicine, 1(2), 187-196.
Dahlberg, K. (1996). Intersubjective meeting in holistic caring: a Swedish perspective. Nursing Science Quarterly, 9, 147-151.
Dara, M., Grzemska, M., Kimerling, M. E., Reyes, H., & Zagorskiy, A. (2009). Guidelines for control of tuberculosis in prisons. Washington, DC: Tuberculosis Coalition for Technical Assistance, International Committee of the Red Cross and US Agency for International Development.
De Valck, C., Bensing, J., Bruynooghe, R., & Batenburg, V. (2001). Cure-oriented versus care-oriented attitudes in medicine. Patient Education and Counseling, 45(2), p. 119-126.
Duke, K. (2011). Reconceptualising harm reduction in prison. In S. Fraser, & M. David, The drug effect: health, crime and society (p. 209-224). Cambridge: Cambridge University Press.
Dunston, R. (2009). Co-production and health system reform – From re-imagining to re-making. The Australian Journal of Public Administration, 68(1), 39–52.
Elola, J. (1996). Health care system reforms in western European Countries: the relevance of health care organization. International Journal of Health Services, 26(2), 239 - 251.
Eng, E., Salmon, M. E., & Mullan, F. (1992). Community empowerment: The critical base for primary health care. Family & Community Health: The Journal of Health Promotion & Maintenance, 15(1), 1-12.
Engel, G. L. (2004). The need for a new medical model: a challenge for biomedicine. In L. A. Caplan, J. J. McCartney, & A. D. Sisti, Health, disease, and illness: concepts in medicine (p. 51-64). Washington, DC: Georgetown University Press.
Espring Andersen, G. (1996). Welfare states in transition: national adaptations in global economics. Thousand Oaks, CA: Sage Publications.
Etgar, M. (2008). A descriptive model of the consumer co-production process. The Journal of the Academy of Marketing Science, 36, 97–108.
Ferris, J. M. (1984). Coprovision: citizen time and money donations in public service provision. Public Administration Review, 44(4), 324-333.
27
Fitzsimmons, J. A. (1985). Consumer participation and productivity in service operations. Interfaces, 15(3), 60-67.
Fotaki, M. (2011). Towards developping new partnerships in public services: users as consumers, citizens and/or co-producers in health and social care in England and Sweden. Public Administration, 89(3), 933-955.
Foucault, M. (1975). Sorvegliare e punire. Torino: Einaudi.
Freidson, E. (1970). Professional Dominance: The Social Structure of Medical Care. New York: USA: Atherton Press.
Frist, W. H. (2005). Health care in the 21st Century. The New England Journal of Medicine, 352(3), 267-272.
Gannon, Z., & Lawson, N. (2008). Co-production: the modernisation of public services by staff and users. London: Compass.
Gershon, S. P. (2004). Releasing resources to the front line: independent review of public sector efficiency. London: HMSO.
Geyskens, I., Steenkamp, J., & Kumar, N. (1998). Generalizations about trust in marketing channel relationships using metaanalysis. International Journal of Research in Marketing, 15, 222–248.
Gilson, L. (2003). Trust and the development ofhealth care as a social institution. Social Science & Medicine, 56 , 1453–1468.
Goodare, H., & Lockwood, S. (1999). Involving patients in clinical research improves the quality of research. British Medical Journal, 319, 724-725.
Goodwin, C. (1988). I can do it myself: training the service consumer to contribute. The Journal of Services Marketing, 2(4), 71-78.
Gronroos, C. (2009). Management e Marketing dei Servizi. Torino: Isedi.
Guadagnoli, E., & Ward, P. (1998). Patient participation in decision making. Social Science and Medicine, 47(3), 329-339.
Health Consumer Powerhouse. (2009). The Empowerment of the European Patient 2009 - Option and implication. Brussels: Health Consumer Powerhouse.
Hek, G. (2006). Unlocking potential: challenges for primary health care researchers in the prison setting. Primary Health Care Research and Development, 7(2), 91-94.
Hirschmann, A. O. (1970). Exit, voice, and loyalty: responses to decline in firms, organizations, and states. Cambridge, MA: Harvard University Press.
Holmström, I., & Röing, M. (2010). The relation between patient-centeredness and patient empowerment: a discussion on concepts. Patient Education & Counselling, 79(2), 167-172.
28
Humphreys, A., & Grayson, K. (2008). The intersecting roles of consumer and producer: a critical perspective on co-production, co-creation and prosumption. Sociology Compass, 2(3), 963–980.
Jordan, M. (2012). Patients’/prisoners’ perspectives regarding the National Health Service mental healthcare provided in one Her Majesty’s Prison Service establishment. Journal of Forensic Psychiatry & Psychology, 23(5-6), 722-739.
Joshi, A., & Moore, M. (2004). Institutionalised coproduction: unorthodox public service delivery in challenging environments. The Journal of Development Studies, 40(4), 31-49.
Kelley, S. W., Donnelly, J. H., & Skinner, S. J. (1990). Customer participation in service production and delivery. Journal of Retailing, 66(3), 315-335.
Labonte, R. (1994). Health promotion and empowerment: reflections on professional practice. Health Education & Behavior, 21(2), 253-268.
Laverack, G. (2006). Improving health outcomes through community empowerment: a review of the literature. Journal of Health Population and Nutrition, 24(1), 113-120.
Leadbeater, C. (2004). Personalisation through participation: a new script for public services. London: Demos.
Leadbeater, C., & Cottam, H. (2007). The user-generated state: Public Services 2.0. In P. Diamond, Public Matters: The renewal of the Public Realm (p. 95–116). London: Politicos.
Leadbeater, H., & Cottam, C. (2004). Health: co-creating services. London: Design Council.
Leichsenring, K. (2004). Developing integrated health and social care services for older persons in Europe. International Journal of Integrated Care, 4, 1-15.
Lengnick-Hall, C. A. (1996). Customer contributions to quality: a different view of the customer-oriented firm. The Academy of Management Review, 21(3), 791-824.
Lovelock, C. H., & Young, R. F. (1979). Look to consumerst o increase productivity. Harvard Business Review, 57, 168-178.
Lyons, M. (2006). National prosperity, local choice and civic engagement: a new partnership between central and local government for the 21st century. London: HMSO.
Marmot, M. (2005). Social determinants of health inequalities. The Lancet, 365, 1099–1104.
Marshall, T., Simpson, S., & Stevens, A. (2000). Health care in prisons: a health care needs assessment. Edgbaston: Birmingham: Department of Public Health & Epidemiology - University of Birmingham.
Massoli, L. (2011). Citizen participation in public services: the case of civic evaluation. Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, 3, 507-532.
29
McLaughlin, H. (2004). Partnerships: panacea or pretence? Journal of Interprofessional Care, 18(2), 103-113.
Mead, N., & Bower, P. (2000). Patient-centredness: a conceptual framework and review of the empirical literature. Social Science & Medicine, 51, 1087-1110.
Mills, P. K., & Moberg, D. J. (1982). Perspectives on the Technology of Service Operations. The Academy of Management Review, 7(3), 467-478.
Mills, P. K., & Morris, J. H. (1986). Clients as 'partial' employees of service organizations: role development in client participation. The Academy of Management Review, 11(4), 726-35.
Mills, P. K., Chase, R. B., & Margulies, N. (1983). Motivating the Client/Employee System as a Service Production Strategy. The Academy of Management Review, 8(2), 301-310.
Møller, L., Stöver, H., Jürgens, R., Gatherer, A., & Nikogosian, H. (2007). Health in prisons. A WHO guide to the essentials in prison health. Copenhagen, Denmark: Who Regional Office for Europe.
Morris, P., O’Neill, F., Armitage, A., Lane, R., Symons, J., Dalton, E., et al. (2007). Moving from tokenism to co-production: implications of learning from patient and community voices in developing patient centred professionalism. Professional Lifelong Learning: critical debates about professionalism conference. Leeds: University of Leeds.
Needham, C. (2008). Realising the potential of co-production production: negotiating improvements in public services. Social Policy & Society, 7(2), 221–231.
Needham, C. (2008). Realising the potential of coproduction: negotiating improvements in public services. Social Policy and Society, 7(2), 221-231.
Needham, C. (2012). Co-production: an emerging evidence base for adult social care transformation. London: Social Care Institute for Excellence.
Nordenfelt, L. (1995). On the nature of health: an action-theoretic approach. London: Kluwer.
Normann, R. (2001). Service management: strategy and leadership in the service business. Hoboken, NJ: John Wiley & Sons.
Ostrom, E. (1996). Crossing the great divide: co-production, synergy and development. World Development, 24(6), 1073-1087.
Owens, J., & Cribb, A. (2012). Conflict in medical co-production: can a stratified conception of health help? Health Care Analysis, 20, 268–280.
Palumbo, R. (2012). Health literacy: una review della dottrina internazionale. Mecosan, 84, Forthcoming.
Palumbo, R. (2013). La promozione della salute negli istituti di reclusione: dalla cura della malattia all’empowerment del paziente. XIV Workshop dei docenti e dei ricercatori di Organizzazione Aziendale. Organizing in turbulent times: the challenges ahead. Roma.
30
Parker, S., & Heapy, J. (2006). The journey to the interface: how public service design can connect users to reform. London: Demos.
Parks, R. B., Baker, P. C., Kiser, L., Oakerson, R., Ostrom, E., Ostrom, V., et al. (1981). Consumers as co-producers of public services: some economic and institutional considerations. Policy Studies Journal, 9(7), 1001-1011.
Pawlikowska, T., Leach, J., Lavallee, P., Charlton, R., & Piercy, J. (2007). Consultation models. In R. Charlton, Learning to consult (p. 178-215). Oxford: Radcliffe.
Percy, S. L. (1984). Citizen participation in the coproduction of urban services. Urban Affairs Review, 19(4), 431-446.
Pestoff, V. (2009). Towards a paradigm of democratic participation: citizen participation and co-production of personal social services in Sweden. Annals of Public and Cooperative Economics 80:2, 80(2).
Pestoff, V., Osborne, S. P., & Brandsen, T. (2006). Patterns of co-production in public services. Public Management Review, 8(4), 591-595.
Peters, M. (2004). Citizen-consumers, social markets and the reform of public services. Policy Futures in Education, 2(3 & 4), 621–632.
Piscopo, G., & Palumbo, R. (2012). Dimensioni culturali e istituzionali della sanità penitenziaria: una lettura critical. In A. VV., Critical Management Studies: temi di ricerca nel dibattito internazionale (p. 125-139). Napoli: Editoriale Scientifica.
Pitt, L. F., Watson, R. T., Berthon, P., Wynn, D., & Zinkhan, G. (2006). The Penguin’s window: corporate brands from an open-source perspective. Journal of the Academy of Marketing Science, 30, 115–128.
Powell, J., Harris, F., Condon, L., & Kemple, T. (2010). Nursing care of prisoners: staff views and experiences. Journal of Advanced Nursing, 66(6), 1257–1265.
Pralahad, C. K., & Ramaswamy, V. (2004). The future of competition: Co-creating unique value with customers. Boston, MA: Harvard Business School Press.
Ramirez, R. (1999). Value co-production: intellectual origins and implications for practice and research. Strategic Management Journal, 20, 49–65.
Realpe, A., & Wallace, L. M. (2010). What is co-production? London: The Health Foundation.
Saha, S., Beach, M. C., & Cooper, L. A. (2008). Patient centeredness, cultural competence and healthcare quality. Journal of National Medical Association, 100(11), 1275–1285.
Saltman, R. B. (1994). Patient choice and patient empowerment in northern European health systems: a conceptual framework. International Journal of Health Services, 24(2), 201-229.
Saltman, R. B., & Figueras, J. (1998). Analyzing the evidence on European health care reforms. Health Affairs, 17(2), 85-108.
31
Seedhouse, D. (2001). Health: the foundations for achievement (2nd ed.). Chicester: Wiley Blackwell.
Sharp, E. B. (1980). Toward a new understanding of urban services and citizen participation: the coproduction concept. The American Review of Public Administration, 14, 105-118.
Song, J. H., & Adams, C. R. (1993). Differentiation through customer involvement in production or delivery. Journal of Consumer Marketing, 10(2), 4-12.
Speedling, E. J., & Rose, D. N. (1985). Building an effective doctor-patient relationship: from patient satisfaction to patient participation. Social Science & Medicine, 21(2), 115–120.
Stewart, M. (2001). Towards a global definition of patient centred care. British Medical Journal, 322(7284), 444-445.
Street Jr, R. L., Makoul, G., Arora, N. K., & Epstein, R. M. (2009). How does communication heal? Pathways linking clinician–patient communication to health outcomes. Patient Education and Counseling, 74, 295-301.
Strull, W. M., Lo, B., & Charles, G. (1984). Do patients want to participate in medical decision making? Journal of the Anmerican Medical Association, 252, 2990-2994.
Takman, C. A., & Severinsson, E. I. (1999). A description of health care professionals’ experiences of encounters with patients in clinical settings. Journal of Advanced Journal, 30(6), 1368-1374.
Tapscott, D., & Williams, A. D. (2006). Wikinomics: how mass collaboration changes everything. New York: Portfolio.
Tattersall, R. L. (2002). The expert patient: a new approach to chronic disease management for the twenty-first century. Clinical Medicine, 2(3), 227-229.
Wagner, E. H., Austin, B. T., Davis, C., Hindmarsh, M., Schaefer, J., & Bonomi, A. (2001). Improving chronic illness care: translating evidence into action: interventions that encourage people to acquire self-management skills are essential in chronic illness care. Health Affairs, 20, 64-78.
Wallerstein, N. (2006). What is the evidence on effectiveness of empowerment to improve health? Copenaghen: Health Evidence Network - WHO.
Walter, F. (2004). Challenge of personalized health care: to what extent is medicine already individualized and what are the future trends? Medical Science Monitor, 10(5), 111-123.
Wanless, D. (2004). Securing good health for the whole population. Norwich: Her Majesty’s Stationery Office.
Wanless, D. (2004). Securing good health for the whole population - Population health trends. Norwich: HMSO licensing division.
32
Weingart, S., Zhu, J., Chiappetta, L., Stuver, S. O., Schneider, E. C., Epstein, A. M., et al. (2011). Hospitalized patients’ participation and its impact on quality of care and patient safety. International Journal for Quality in Health Care, 23(3), 269-277.
Whitaker, G. P. (1980). Coproduction: ctizen participation in service delivery. Public Administration Review, 40(3), 240-246.
Winter, S. J. (2008). Improving the quality of health care delivery in a corrections setting. Journal of Correctional Health Care, 14(3), 168-182.
Zeithalm, V. A., Bitner, M. J., & Gremler, D. D. (2005). Services Marketing. New York: McGraw Hill.
33