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DISPENSA DI CUCINA CLASSE II A
I FONDI DI CUCINA
I fondi di cucina sono preparazioni liquide ottenute attraverso una bollitura
prolungata di elementi nutritivi ed aromatici. Questi ultimi sono costituiti da
verdure, generalmente da cipolle, carote, sedano, alloro, rosmarino, timo, salvia,
aglio, pomodori maturi e di altri aromi e, in alcuni casi, da vini. Gli elementi nutritivi
(così definiti per le proteine che compongono) sono costituiti da ossa, scarti di carne,
lische e ritagli di pesce, a seconda del tipo di fondo in preparazione.
Si chiamano fondi di cucina perché sono alla base di tutta la cucina e sono aggiunti in
quasi tutte le preparazioni. Perciò se sono fatti bene risulteranno buone tutte le
preparazioni.
Un esempio pratico ed elementare con il brodo: se sarà bene aromatizzato,
continuamente sgrassato durante l’ebollizione, scremato di tutte le impurità che
affiorano, lasciato bollire scoperto e adagio, si otterrà un brodo chiaro e saporito; ma
se lo trascurerete, di conseguenza, tutti i preparati ai quali saranno aggiunti ne
risentiranno. E così dicasi per i fondi bruni, e per i grassi (come burro, olio, lardo,
ecc.) che dovranno rosolare o semplicemente fondere, secondo le indicazioni delle
singole ricette, senza bruciare; come pure la cipolla, l’aglio, il porro, dovranno
biondire senza colorire troppo, altrimenti l’aroma ne verrebbe alterato negativamente.
È importante, inoltre dosare attentamente gli aromi, in special modo quelli forti, come
aglio, peperoncino, origano, alloro.
La buona cucina saporita e di gusto perfetto nasce dal fondo bruno e fondo bianco
fresco. I sapori e gli aromi devono essere ben individuabili: se un elemento è
preparato al burro, si deve sentire il burro, se viene preparato alla salvia si deve
sentire l’aroma della salvia, e cosi via.
La delicatezza e la fragranza di una salsa calda (come la bèchamel, la vellutata, la
salsa di pomodoro, il fondo bruno legato, ecc.) dipende dalla sua freschezza, infatti,
conservata per lungo tempo in frigorifero, oltre a perdere le sostanze e le vitamine,
perde il gusto. Le salse fredde, invece, possono essere conservate in fresco per alcuni
giorni in recipienti di porcellana, di vetro, di plastica per alimenti e di acciaio.
I fondi si dividono in due categorie.
Fondi bianchi:
Fondo bianco comune.
Fondo bianco di vitello.
Fondo bianco di pollo.
Fondo bianco vegetale.
Fumetto di pesce
Fondi bruni:
Fondo bruno di vitello
Fondo bruno d’agnello
Fondo bruno di selvaggina
Poi in particolare sono considerati anche fondi:
Le glasse, gli estratti o gelatine, i roux, le marinate, le salamoie, le farce, il court-
bouillon.
Le glasse
Sostanze sciroppose che si ottengono per riduzione dei fondi bruni descritti-
Gli estratti o gelatine
L’estratto si ottiene dalla riduzione del fondo bruno, mentre le gelatine sono ottenute
da brodi ristretti con alto contenuto di componenti .
Le farce
Le farce sono delle preparazioni che hanno procedimenti diversi in base
all’ingrediente principale (es: carne ricotta, zucca), possono essere preparati a freddo
oppure a caldo e servono principalmente per ripieni.
I roux
I roux si dividono in: roux bianco, biondo e bruno.
La differenza è nel metodo di cottura, infatti, il roux bianco si lascia cuocere
solamente qualche minuto e si usa per legare salse bianche; il roux biondo si lascia
cuocere mescolando finché raggiunge una coloritura biondo scuro e si usa per legare
le vellutate; il roux bruno si lascia cuocere finché raggiunge un colore bruno e si usa
per legare fondi bruni e salse brune.
Le marinate
Le marinate sono procedure utili per dare un particolare gusto e rendere più tenere e
gustose le carni e i pesci; i metodi sono due:
Marinata a crudo
Ingredienti: mirepoix, alloro, chiodi di garofano, pepe in grana (verde o nero), aceto,
vivo bianco o rosso e per alcune preparazioni si uniscono i funghi, bacche di ginepro
e olio d’oliva.
Marinata cotta: consiste nel far cuocere i vari aromi nell’acqua con aggiunta di vino
e aceto per 15 minuti circa, il tutto, poi viene versato per ricoprire il prodotto che si
desidera marinare.
Le salamoie.
Le salamoie sono preparazioni utili per conservare le carni e i pesci.
La salamoia secca è composta da uguale percentuale di sale fino e zucchero o solo
sale (baccalà), foglie di alloro e pepe in grana (per pesci e carne); in base alla
pezzatura cambia il periodo di realizzazione conservare in frigo.
Il court-bouillon.
Si tratta di un liquido aromatizzato per la lessatura di pesce e dei crostacei. E’
preparato con acqua, vino bianco (o aceto o limone), verdure, aromi e spezie. Per i
pesci di grosse dimensioni in court-bouillon deve essere freddo e poi procedere per la
cottura, mentre per i pesci di piccole dimensioni il court-bouillon deve essere bollente
prima di introdurre l’alimento e procedere per la
cottura.
Sono considerati fondi anche le mirepoix.
Le mirepoix sono dadolate con lato di circa 6-8 millimetri. Sono distinte in:
Mirepoix magra: costituita da carote, sedano e cipolla;
Mirepoix grassa: composta dagli stessi ortaggi con l’aggiunta di dadini di prosciutto
e pancetta.
La brunoise è una dadolata piccola composta di sedano, carote e cipolla.
Le dadolate sono preparazioni, realizzate tagliando a piccoli dadi ingredienti richiesti
dalla ricetta. Le dadolate possono essere semplici e composte. Le semplici realizzate
con un solo elemento, composte se realizzate con più elementi.
Le salse madri e le salse derivate
Le salse sono dei condimenti più o meno liquidi, calde o fredde, che servono per
cucinare o completare determinate preparazioni.
Per ottenere delle buone salse è necessario partire da buoni fondi, utilizzare materie
prime d’ottima qualità, sapere aromatizzare molto bene gli ingredienti che le
compongono. Le salse devono avere la giusta consistenza (non troppo pesante, né
troppo densa, né troppo liquida) e la finezza (lucente, liscia, vellutata). È di estrema
importanza conoscere le tecniche di preparazione.
L’attributo “madri” sta a indicare che partendo da queste preparazioni è possibile
elaborare tantissime altre salse. Qualsiasi chef saucier capace ed esperto, partendo da
una salsa madre, può creare infinite variazioni sul tema per offrire abbinamenti nuovi
ma sempre armoniosi.
Le principali regole per la buona riuscita di una salsa.
1) Gli ingredienti devono essere di ottima qualità, soprattutto il fondo di partenza, il
burro e l’olio.
2) Bisogna schiumare con particolare cura tutte le impurità che affiorano in superficie
durante la cottura.
3) I corpi grassi che affiorano in superficie dopo la cottura devono essere asportati, in
modo da sgrassare la salsa per renderla più digeribile e gradevole. Se si vuole dare
maggior corpo alla salsa i grassi asportati possono essere sostituiti da un po’ di burro
freschissimo.
4) Le uova, i cui tuorli sono utilizzati per legare alcune salse bianche e ne
costituiscono il corpo vellutato, devono essere assolutamente fresche.
5) Se la salsa dovesse riuscire troppo liquida, è consigliabile utilizzare il “legante”
più appropriato.
6) Durante la cottura, le salse devono essere ben mescolate, questa operazione può
essere fatta utilizzando la spatola d’acciaio, che permette di raggiungere ogni punto
interno del recipiente, evitando che la salsa si attacca.
7) Dopo aver raggiunto il punto d’ebollizione, le salse devono continuare a sobbollire
dolcemente finché, diventano di consistenza desiderata. È importante non smettere di
mescolare durante la cottura.
8) Per mantenere le salse calde fino al momento dell’utilizzo, è bene tenerle a
bagnomaria nell’apposito recipiente, dove l’acqua deve restare calda senza mai
bollire.
10) Le salse devono essere preparate al momento e, utilizzate in breve tempo: quelle
calde riscaldate diventano indigeste e perdono la loro gradevolezza; quelle fredde,
pur resistendo più a lungo, non migliorano se tenute a lungo in frigorifero.
Facciamo alcuni esempi pratici. Immaginate di avere già pronte le seguenti salse:
napoletana, salsa pomodori a pezzi, sugo di carne, estratto di carne, besciamella,
vellutata
ordinaria.
- Con la salsa vellutata addizionata alla panna montata potete ottenere la salsa
suprema.
- Con la salsa vellutata addizionata di panna e pomodoro otterrete la salsa aurora.
- Con la salsa vellutata addizionata di panna ed estratto di carne otterrete la salsa
avorio
- Con la salsa vellutata addizionata di succo di limone e capperi otterrete la salsa
capperi.
- Con la salsa vellutata addizionata di panna e curry otterrete la salsa indiana.
- Con la salsa besciamella addizionata di panna e parmigiano grattugiato e legata con
qualche rosso d’uovo, otterrete la salsa Mornay per gratinare legumi, uova, carni.
- Con il fondo bruno legato, aromatizzato con il marsala, diventa la salsa marsala.
- - Con la salsa napoletana addizionata di ricotta avete la salsa napoletana ricca.
- Alla salsa di pomodoro a pezzi con l’aggiunta d’aglio diventa salsa livornese o
provinciale.
- Aggiungendo alla salsa provinciale, il basilico e l’origano otterrete la salsa
pizzaiola.
Le salse si dividono in salse calde e salse fredde
Fondi e salse calde
Fondi Salse Madri Salse di base Salse derivate
Fondo bianco comune Vellutata comune Suprema comune
(rosso d’uovo +panna)
Salsa Albufera
Salsa crema
Fondo bianco di pollo Vellutata di pollo Suprema di pollo
(rosso d’uovo +panna)
Fondo bianco vegetale
Vellutata vegetale Suprema vegetale
(rosso d’uovo +panna)
Fumetto di pesce Vellutata di pesce Salsa per pesci Salsa marinara per
risotti e per paste
Fondo bruno di vitello Fondo bruno legato Salsa demi-glace Salsa alla cacciatora
Salsa alla diavola
Latte Salsa besciamella Salsa Mornay
Pomodori freschi
pomodori freschi
Salsa pomodoro fresco
(concassè)
Salsa pomodoro con pelati
Salsa napoletana
Salsa pomodoro
Salsa pizzaiola
leggera
Salsa all’arrabbiata
Salsa alla carrettiera
Salsa portoghese
Le salsa madri
Fondo bianco comune + Roux bianco o biondo = Vellutata comune
Fumetto di pesce + Roux bianco o biondo = Vellutata di pesce
Fondo bruno comune + Roux bruno o fecola diluita = Fondo bruno legato
Latte + Roux bianco = Salsa besciamella
Aromi imbionditi + Pomodori = Salsa pomodoro
Salse fredde
Emulsioni stabili Emulsioni instabili Altre salse
Salsa maionese (salsa madre) Salsa vinaigrette (aceto e
limone)
Pesto alla genovese
Salsa cocktail Salsa sitronette (olio e limone) Pesto garganico (genovese +
concassè di pomodori)
Salsa mussoline Salsa salmorigano Pesto siciliano (genovese +
concassè di pomodori + polpa di
melanzane cotte in forno e frullate e
tagliate a dadini)
Salsa tartara Salsa verde
Le emulsioni sono delle dispersioni di due liquidi (uno dei quali sottoforma di
piccolissime gocce) che normalmente non sono miscibili tra loro; ad esempio,
l’agitazione di un composto formato da una parte d’aceto e tre parti d’olio
(vinaigrette).
In base alla preparazione l’emulsione può essere INSTABILE e STABILE.
- INSTABILE è, quando si smette di agitare e dopo poco tempo i due o più liquidi si
separano nuovamente.
- STABILE è quando due o più liquidi restano sempre legati tra loro. La difficoltà
della preparazione di un’emulsione stabile è nel creare tutte le condizioni necessarie
alla buona riuscita: non si tratta solo di saper mescolare ma anche di saper usare gli
ingredienti in giusta temperatura, versare lentamente il grasso nella parte liquida,
usare le uova fresche. La sostanza emulsionante più usata in cucina è il tuorlo d’uovo.
I PRODOTTI ITTICI
Anche se è consuetudine dire “pesci” per indicare tutto ciò che proviene dal mare, la
denominazione esatta è quella di “prodotti ittici”.
Essi comprendono i pesci, i crostacei e i frutti di mare. Generalmente le tre tipologie
offrono numerose possibilità di consumo durante tutto l’anno, ma la scelta non deve
essere limitata a quelle dal costo più elevato, perché ve ne sono di gustosissime anche
tra quelle più comuni.
Per esempio il pesce definito “azzurro” si presta a molte preparazioni semplici e nello
stesso tempo di ottimo sapore. Bisogna inoltre ricordare di prediligere il pesce
rispetto alle carni, perle sue qualità dietetiche rispetto a molti altri alimenti.
Innanzitutto il pesce è più digeribile, contiene iodio e vitamine e sopr attutto i pesci a
carne magra hanno un valore nutritivo quasi equivalente alla carne di manzo.
I molluschi e i crostacei hanno le carni ricche di magnesio, cloruro di sodio, iodio e
ferro. I frutti di mare sono ricchissimi di sali minerali.
Anche se le ricette indicano sempre un tempo di cottura preciso, esso può variare in
base allo spessore del pesce, al materiale dell a pentola, all’energia utilizzata per
cuocerlo, oltre che al gusto. Un pesce troppo cotto perde gran parte delle sue qualità
nutritive, in generale i pesci grandi rendono meglio lessati oppure al forno, quelli
tagliati a trance o divisi a filetti sono buoni alla griglia, i pesci piccoli sono indicati
per la frittura o in tegame.
I prodotti ittici o prodotti della pesca in mare, laghi, fiumi oppure di allevamento,
comprendono le carni e le parti commestibili degli animali acquatici. Il consumo del
pesce da parte dell'uomo risale a circa due milioni di anni fa, ed ha lasciato numerose
testimonianze. ittici. Delle circa 600 specie ittiche commestibili che abitano i mari del
nostro paese, solo una sessantina arriva sulle nostre tavole. Tutte le altre hanno
uno scarso valore commerciale perchè il consumatore non le conosce e quindi non le
compra. Il pesce deve essere consumato fresco oppure perfettamente conservato
attraverso procedimenti e mezzi tecnici adeguati. I principali metodi utilizzati per la
conservazione del pesce sono:
salagione
essiccamento
affumicamento a caldo o a freddo
surgelazione
inscatolamento
conservazione sott’olio
Polverizzazione
liofilizzazione
Nel caso di pesce surgelato, i prodotti ittici di piccola pezzatura possono essere
sottoposti a glassatura, uno strato di ghiaccio applicato sui pesci congelati o surgelati
tramite nebulizzazione o immersione in acqua. Lo scopo della glassatura è di
proteggere i pesci durante le fasi di stoccaggio e di vendita, evitare i danni da urti,
disidratazione e imbrunimento del colore, oppure contaminazioni accidentali. Lo
strato di ghiaccio aumenta il peso del pesce fino al 40 per cento, ma viene
considerato «tara». Non esiste al momento una norma che indichi la percentuale
massima ammessa di glassatura, che quindi può variare in funzione
tecnologiche e delle caratteristiche del prodotto. Sono pesci poveri
di grassi, ricchi di proteine e molto digeribili: Merluzzo Nasello
sogliola
Orata Luccio Ghiozzo
Branzino o spigola Merlano Platessa
Sono pesci semi-grassi, ricchi di vitamine e che contengono
vitamine: Grongo Aringa Sardina acciuga Sgombro Triglia trota
Rombo
Sono invece pesci grassi e quindi meno digeribili di altre qualità:
Dentice Luccio tonno
salmone Anguilla Palombo
I FORMAGGI
Dal francese antico “formage”, dal latinomedievale “caseum”, è
un prodotto alimentare derivato dal latte, da cui si ottiene per
coagulazione della caseina.
Si può partire dal latte intero, dal latte totalmente o parzialmente
scremato, dalla crema.La coagulazione può essere naturale
provocata aggiungendo il latte o provocata aggiungendo latte
portato a temperatura di 35 gradi una determinata quantità di
caglio o presame.
Dalla coagulazione si ottiene una massa bianca ed elastica che ha
la consistenza di una gelatina, la cagliata, che ritirandosi lascia
trasudare il siero latteo, provocando la separazione delle varie
sostanze in sospensione o soluzione; grassi, caseina e fosfato di
calcio restano quasi per intero nella massa coagulata, zucchero e
Sali solubili passano nel siero. L’eliminazione del siero continua
con la frantumazione e la cottura; nel corso di queste operazioni ad
alcuni formaggi vengono aggiunti fermenti, muffe o aromi. Le fasi
della coagulazione, frantumazione e cottura costituiscono il
processo di caseificazione.
L’ultima fase è quella della maturazione o stagionatura.
Il latte può subire un trattamento termico iniziale o meno: si parla
quindi di formaggi a "latte pastorizzato" o formaggi a "latte
crudo". La scelta tra le due opzioni varia in funzione di molti
fattori: tipologia di formaggio, caratteristiche igieniche della
produzione e conferimento del latte, legislazione vigente, usi
locali, caratteristiche organolettiche che si vogliono ottenere. Vi
sono in atto tendenze culturali per promuovere i formaggi a latte
crudo e riscoprire i prodotti tipici dell'alpeggio o comunque del
pascolo.A seconda del tipo di latte utilizzato e dal tipo di
scrematura cui viene sottoposto varia la percentuale di grassi
all'interno del formaggio. I formaggi vengono quindi differenziati
in formaggi grassi, formaggi semigrassi e formaggi magri. Alcuni
dietologi non condividono questa terminologia, affermando che
nessun formaggio può essere considerato magro, in quanto la
percentuale di grasso è sempre almeno del 20%. La percentuale di
grasso varia anche a seconda della provenienza del latte: il latte di
bufala e di pecora sono generalmente più grassi rispetto al latte
vaccino o caprino.
Formaggi a latte crudo
Un formaggio è a latte crudo se la materia prima non è stata
sottoposta a pastorizzazione. Il latte è avviato alle fasi iniziali di
sosta e/o acidificazione a temperatura di circa 38 °C che è analoga
a quella di mungitura. In questo caso, la microflora batterica
positiva del latte è mantenuta inalterata con effetti specifici sulle
caratteristiche organolettiche del formaggio . Solitamente, i
formaggi a latte crudo subiscono la cottura della pasta. Un
formaggio a latte crudo è il Parmigiano-Reggiano ed è tipico dei
formaggi duri a stagionatura lenta ma anche dei numerosi
formaggi d'alpeggio o di malga di media stagionatura (formagelle,
robiole, stracchini, tome, etc.).
Formaggi a latte pastorizzato
Un formaggio è a latte pastorizzato se si è proceduto al
trattamento termico di pastorizzazione. In questo caso il latte è
portato a 72 °C per 15 s[. L'effetto è quello di eliminare eventuali
batteri patogeni e di ridurre la microflora (sia caseofila che
dannosa). In questi casi, è necessario l'insemenzamento mediante
innesti o starter. La pastorizzazione è impiegata tipicamente nei
formaggi freschi e molli. Un formaggio a latte pastorizzato è il
Gorgonzola.
Formaggi grassi
I formaggi grassi o di latte intero sono quei formaggi come il
Dolomiti o il Casolet, il cui contenuto di grassi è superiore al 42%.
Sono i formaggi a con la maggior quantità di lipidi e vengono
prodotti con il latte intero, cioè latte non scremato o parzialmente
scremato.
Formaggi semigrassi
I formaggi semigrassi, sono quei formaggi come l'Asiago il cui
contenuto di grassi è generalmente compreso tra il 35% e il 42%
Prodotti solitamente nelle zone montuose, prevedono la parziale
scrematura del latte utilizzato per la produzione
Formaggi leggeri
I formaggi leggeri sono quei formaggi come il Quark, il cui
contenuto di grassi è generalmente compreso tra il 20% e il 35%.
Formaggi freschi e formaggi duri con scrematura rilevante
rientrano in questa categoria, comunque piuttosto limitata in
termini di tipologie presenti.
Formaggi magri
I formaggi magri sono quei formaggi il cui contenuto di grassi è
inferiore al 20% I formaggi magri sono pochisimi poiché produrre
un formaggio significa, in modo molto semplicistico, concentrare i
grassi contenuti nel latte tramite la disidratazione dello stesso
Esistono in commercio vari tipi di formaggi definiti magri che
durante la lavorazione vengono sottoposti ad un ulteriore processo
di scrematura, tuttavia tale processo tende ad impoverire il gusto
del formaggio. Si possono citare la "cagliata magra" nonché alcuni
caprini totalmente scremati. In realtà, la maggior parte dei prodotti
caseari classificabili, legalmente, come magri sono latticini e non
formaggi: ad esempio, la ricotta fresca e scremata
La pasta del formaggio
Con pasta si intende tutta la parte di formaggio esclusa la crosta.
La consistenza della pasta varia a seconda della quantità d'acqua in
essa contenuta e dal periodo di stagionatura alla quale è sottoposta.
In ordine alla classificazione per cottura della pasta s'intende il
tipo di processo termico che ha subito la cagliata.
Attenzione a non confondere formaggio a "latte" crudo con
formaggio a "pasta" cruda: sono due cose diverse e le
combinazioni di formaggio a seguito dei due tipi di processo
termico (latte e cagliata) sono molteplici.
Formaggi a pasta molle
I formaggi a pasta molle, come il Gorgonzola dolce bianco o il
Camembert, sono i formaggi la cui cagliata, al momento della
lavorazione, non è stata soggetta a riscaldamento o pressione
mantenendo il formaggio morbido e liscio anche a piena
stagionatura e quindi con un contenuto di acqua relativamente alto,
tra il 45% e 70% . Di norma comunque il periodo di stagionatura
dei formaggi a pasta molle è comunque relativamente breve in
quanto il prodotto matura naturalmente in pochi giorni. Nella
categoria dei formaggi molli vanno menzionati i formaggi cremosi
(distinti ulteriormente in "doppia" o "tripla crema"), come il
Quark o il mascarpone, il cui elevato contenuto di acqua comporta
una consistenza semiliquida e particolarmente cremosa della pasta.
Spesso raggruppati tra i formaggi freschi, i formaggi cremosi non
subiscono alcun tipo di cottura della cagliata o di stagionatura
nelle cantine.
Formaggi a pasta semidura
I formaggi a pasta semidura sono quei formaggi come il pecorino
toscano o il bra, il cui contenuto di acqua è generalmente
compreso tra il 36% e il 45% e a stagionatura media.
Formaggi a pasta dura
I formaggi a pasta dura come il formaggio grana o il gorgonzola
piccante verde, sono quei formaggi il cui contenuto di acqua è
relativamente basso, in genere dal 30% al 40% e a stagionatura
lenta.
Formaggi a pasta cruda
I formaggi a pasta cruda] sono quei formaggi come la robiola o il
taleggio, la cui cagliata non è stata sottoposta a nessun processo di
cottura o riscaldamento e la concentrazione dei grassi avviene
unicamente per disidratazione.
Formaggi a pasta semicotta
I formaggi a pasta semicotta sono quei formaggi come la fontina o
il Salignon valdostano, la cui cagliata è stata riscaldata ad una
temperatura di circa 48 °C .
Formaggi a pasta cotta
I formaggi a pasta cotta sono quei tipi di formaggi come il
Montasio, Piave o il Bitto, la cui cagliata è stata riscaldata ad una
temperatura superiore ai 50 °C.
Formaggi a pasta erborinata
I formaggi a pasta erborinata, chiamati anche formaggi blu ((EN)
blue cheese, (FR) fromage bleu), sono quei formaggi come il
Gorgonzola o il Roquefort, il cui processo di lavorazione prevede
la comparsa di striature e chiazze verdi-blu all'interno della pasta,
dovute alla formazione di miceli colorati dati dalle colture di
funghi del genere Penicillium alle quali le forme vengono
sottoposte.
Formaggi a pasta filata
Sono una categoria di formaggi tipici del meridione d’Italia;
accomunati dalla lavorazione della cagliata matura con acqua
bollente che riduce la caseina in fili sottilissimi e lunghissimi. La
cagliata fila quando il paracaseinato di calcio ha eliminato parte
del calcio combinato alla caseina. La filatura consiste nel
sottoporre la pasta fusa a flusso elongazionale esercitando
un’azione di stiro delle micelle caseiniche saldate tra loro a seguito
della coagulazione del latte e rese mobili dall’acidificazione della
cagliata. O, più semplicemente, la filatura è l’operazione in virtù
della quale dieci grammi di cagliata matura portati a elevata
temperatura si possono tirare in filamenti continui in lunghezza
superiore ad un metro.
La cagliata viene sottoposta a trattamenti fisici (acqua bollente e
rotazioni) che provocano dei mutamenti della struttura, da grumi a
quella di filamenti che originano “gomitoli” più o meno grandi:
mozzarelle, scamorze, etc. Con tale pratica molto complessa si ha
un dilavamento della cagliata con notevole perdita di grasso
proveniente dal latte di partenza e dal siero residuo nella cagliata.
Il “liquido di filatura” che residua dopo aver ottenuto i formaggi a
pasta filata è quel
liquido ancora ricco in grasso che viene scremato per affioramento
e la materia grassa così ottenuta viene aggiunta al siero e poi
passata per la scrematrice centrifuga per ottenere panna di siero
più ricca.
Il liquido di filatura, scremato per affioramento, diventa poi la
base per il liquido di governo e la salsetta tradizionale. I formaggi
freschi a pasta filata subiscono un solo trattamento termico, la
filatura, mentre i semi-duri (scamorze, cacetti, ecc.) ed i duri
(caciocavalli, provoloni, ecc.) subiscono prima della filatura una
vera e propria “cottura” con acqua molto calda; la cagliata (acerba)
appena rotta in piccole dimensioni viene riscaldata con acqua e/o
siero a 75-85 °C così da portare la temperatura della massa
caseosa a 40-45 °C o addirittura 50 °C.
Questa operazione serve per eliminare acqua dalla cagliata ed
ottenere un prodotto più asciutto e quindi più conservabile, ma
questa pratica comporta una ulteriore perdita di grasso della
cagliata iniziale che viene recuperato scremando il liquido di
filatura oltre ad una riduzione della carica batterica filo casearia.
La resa è la quantità di un formaggio o di un prodotto lattiero
caseario che si ottiene da una quantità di latte riferita a 100 parti,
espresse in chilogrammi o in litri, in relazione ad una determinata
lavorazione razionale. Per poter valutare correttamente la resa di
lavorazione di una pasta filata, bisognerebbe riferirsi ad uno
“standard” preciso di lavorazione, che spesso manca.
Risultano, quindi, a volte discordanti i dati disponibili, relativi a
lavorazioni di formaggio con lo stesso nome, ma ottenuti nelle
condizioni più disparate (O.S. Del Prato 1990). I rendimenti, in
genere, si calcolano dopo 24 ore dalla fabbricazione, oppure alla
fine della lavorazione o, meglio ancora, al momento della
commercializzazione. Le rese in formaggi a pasta filata e
sottoprodotti derivati (burro e ricotta) variano a seconda della
materia prima, dell’umidità dei prodotti finiti, ma soprattutto a
seconda della tecnologia di lavorazione. Da 100 litri di siero di
latte di bufala, derivante dalla produzione di mozzarella, si
ottengono da 4,5 a 7 kg di ricotta oppure 0,700 - 1 kg di burro,
invece da 100 litri di siero di latte di vacca, derivanti dalla
produzione di fior di latte, si ottengono da 3 a 4 kg di ricotta
oppure 0,500 kg di burro.
Questi valori vanno quasi raddoppiati in caso di filatura
meccanica. Il grasso che fuoriesce dalla cagliata matura in corso di
filatura con acqua bollente viene recuperato aggiungendo il liquido
di filatura al siero e poi scremando il tutto. Da 100 kg di latte di
bufala si ottengono circa 20 - 22 kg di mozzarella (resa dopo 24
ore); da 100 kg di latte di vacca si ottengono circa 10 - 12 kg di
mozzarella. I formaggi a pasta filata si differenziano in freschi o
morbidi, semi-freschi o semiduri, e stagionati o duri. I formaggi a
pasta filata freschi possono essere ottenuti da latte di vacca, latte di
bufala, latte misto (latte di vacca e latte di bufala) ed anche con il
latte di pecora (Citro A. 2010).
Formaggi a pasta pressata
I formaggi a pasta pressata sono quei formaggi come il Canestrato
pugliese o il Raschera, il cui processo di lavorazione prevede la
pressatura meccanica della cagliata per facilitare la fuoriuscita del
siero in essa contenuto. Tali formaggi sono tutti caratterizzati dalla
formazione, a seguito di una stagionatura media, di una crosta
regolare e ben definita.
Formaggi a pasta fusa
I formaggi fusi sono i formaggi la cui cagliata, dopo eventuale
breve maturazione, è sottoposta a fusione. Alcune legislazioni
nazionali prevedono precise restrizioni relative alla produzione dei
formaggi fusi. Un classico "formaggio" fuso è la sottiletta (senza
dimenticare i numerosi e famosi formaggi fusi USA, venduti a
fette per la realizzazione dei vari panini imbottiti).
La crosta del formaggio
La crosta del formaggio è il rivestimento esterno che ricopre
alcuni formaggi (i formaggi freschi, ad esempio, ne sono
completamente sprovvisti). Può essere di varie consistenze,
spessore e colore, e si divide principalmente in due tipi: artificiale
e naturale; un esempio di crosta artificiale è la cera nera che
ricopre il formaggio inglese Derby alla salvia, mentre con crosta
naturale si intende la crosta che si forma da sola durante il
processo di lavorazione del formaggio. La crosta naturale si divide
in crosta fiorita e crosta lavata.
Formaggi a crosta fiorita
I formaggi a crosta fiorita o crosta brinata sono quei formaggi
come il Brie e il Caprice des dieux che, nel momento della
lavorazione, vengono sottoposti ad un trattamento tramite muffe
speciali del genere Penicillium, come il Penicillium camemberti
utilizzato per la produzione di Camembert e Brie. Tali muffe
conferiscono alla crosta la tipica consistenza soffice e la
colorazione biancastra da cui proviene il nome, ricordando talvolta
un prato fiorito e talvolta uno strato di brina. In provincia di
Brescia è diffusa, per tradizione, la produzione di robiole (sia di
latte di vacca che di capra) a crosta fiorita (si utilizza quasi sempre
il camemberti come penicillium spruzzato sulla superficie).
Formaggi a crosta lavata
I formaggi a crosta lavata o crosta rossa] sono quei formaggi
come lo Chaumes e il Rollot, la cui superficie viene ripetutamente
lavata e spazzolata al fine di eliminare le eventuali muffe che si
formano, permettendo la crescita di un particolare tipo di batteri
che conferiscono alla crosta la tipica colorazione rosso-marrone
andando ad incidere direttamente sul sapore e sull'aroma del
formaggio . La lavatura della crosta avviene principalmente per
mezzo di acqua salata, ma anche birra, brandy e altre soluzioni. Il
formaggio DOP italiano a crosta lavata più famoso è il Taleggio.
La stagionatura del formaggio
Con stagionatura o maturazione del formaggio si intende il
processo di riposo al quale viene sottoposto un formaggio. A
livello chimico si hanno la fermentazione degli zuccheri e la
degradazione di proteine e grassi. Le forme di formaggio vengono
generalmente poste nelle cantine dove vengono fatte riposare per
settimane, mesi o anni a seconda del tipo di formaggio, in un
ambiente chiuso e con un'umidità particolarmente alta, attorno al
90%. La cantina non è però l'unico luogo per la stagionatura, vi
sono infatti formaggi come il formaggio di fossa o il formaggio di
grotta che, come suggerisce il nome, vengono lasciati riposare per
alcune settimane in fosse artificiali o naturali appositamente
predisposte.
Formaggi freschi
I formaggi freschi sono quei formaggi a pasta molle come il Bel
Paese o il mascarpone, la cui cagliata oltre a non essere stata
sottoposta a cottura, non è stata nemmeno sottoposta a
stagionatura. Questi formaggi contengono almeno l'80% di acqua
e non presentano mai la crosta]. Il formaggio fresco è quindi un
prodotto i cui tempi di deperibilità sono molto brevi e il consumo
avviene entro pochi giorni dalla lavorazione.
Formaggi affumicati
I formaggi affumicati sono i formaggi sottoposti, in fase di
maturazione, ad un processo di affumicatura che ne conferisce i
classici aromi fumé. Diverse interpretazioni di Pecorino o di
Provolone ma anche di Ricotta sono di tipo affumicato. Mediocri
sono i formaggi "aromatizzati" al gusto di fumo che non sono
sottoposti ad un vero procedimento di affumicatura ma a
trattamenti chimici (questo chiaramente incide sul prezzo del
prodotto).
Formaggi a stagionatura media
I formaggi a stagionatura media sono quelli il cui periodo di
stagionatura è inferiore ai 6 mesi ma oltre il mese (sotto tale
periodo si è nel caso dei formaggi "freschi")-
Formaggi a stagionatura lenta
I formaggi a stagionatura lenta (o "lunga") sono quelli il cui
periodo di stagionatura va oltre i 6 mesi per arrivare a 12 e oltre
nel caso dei cosiddetti formaggi extraduri.
IL MENU
Il momento determinante dell'intero servizio ristorativo è costituito
dalla scelta delle pietanze, preparate nella zona di produzione e
consumate dal cliente, nella maggior parte dei casi, nella sala
ristorante.
Al cliente viene data la possibilità di effettuare la sua scelta
consultando il menu.
Il termine "menu" è usato correntemente:
sia per indicare il menu operativo, cioè l'insieme delle pietanze
che costituiscono un pranzo;
sia per indicare il menu fisico, cioè il supporto (la carta o il
cartoncino) sul quale vengono ordinatamente riportati i piatti.
Per concepire correttamente il menu operativo, è necessaria
un'accurata selezione dei piatti, che tenga conto di molteplici
fattori: le esigenze e le abitudini alimentari della clientela, il
contesto nel quale viene svolto il servizio ristorativo, la
stagionalità dei piatti offerti e così via.
Le principali tipologie di menu
I tipi di menu più utilizzati possono essere raggruppati in due
categorie:
menu alla carta , detto anche “a scelta del cliente”;
menu fisso;
MENU ALLA CARTA
È l'elenco delle preparazioni gastronomiche proposte dall'azienda
ristorativa, ordinate per portate.
Per portata si intende ciascuna delle diverse vivande che si portano
in tavola: un pranzo di tre portate, per esempio, può essere
costituito dal primo, dal secondo e dal dessert. La lista delle
vivande riporta, oltre agli ingredienti caratterizzanti il piatto,
l'indicazione se si tratta di un alimento fresco o surgelato e il
prezzo di vendita. Questo tipo di menu consente al cliente di
determinare la scelta gastronomica e l'ammontare del conto.
Nella grande carta, la lista è molto più lunga e comprende piatti
raffinati ed elaborati, talvolta appartenenti alla cucina
internazionale. Viene generalmente proposta nei ristoranti di
categoria superiore ed è solitamente aggiornata con cadenza
stagionale.
MENU FISSO
In questo caso l'offerta gastronomica viene definita dall'azienda
ristorativa e il cliente effettua la sua scelta in relazione a essa,
quindi non ha un ampio margine di discrezionalità. Il menu
propone, generalmente, da due a tre piatti per portata, offrendo al
cliente la possibilità di scegliere un piatto per portata. Il prezzo,
solitamente accessibile, è prefissato e si riferisce al menu nel suo
complesso.
Tra le tipologie più diffuse di menu fisso ricordiamo il menu
turistico, il menu a tema.
Il menu turistico costituisce una vera e propria strategia
commerciale per attirare i clienti. Viene proposto con prezzi
particolarmente vantaggiosi nei ristoranti delle località turistiche.
Per invogliare i turisti non si punta solo sul prezzo, ma anche
sull'offerta: di solito si propongono due o tre menu alternativi
completi a prezzo fisso.
Il menù a tema prevede la presenza dello stesso alimento in tutte
le portate .
Il menu per ricorrenze è stilato dai ristoratori in occasione di
festività particolari, come il Natale, il Capodanno, il giorno di San
Valentino ecc.
ALTRI TIPI DI MENU FISSO:MENU DEGUSTAZIONE
Possiamo definirlo una variante raffinatissima del menu a prezzo
fisso. Infatti, anche in questo caso il prezzo è predefinito; i piatti
sono però di livello decisamente superiore, sia per la qualità e la
freschezza degli alimenti impiegati, sia per la tecnica culinaria.
Le pietanze sono generalmente elaborate, creative e innovative. Il
servizio si svolge con dressage di ogni singolo piatto e le porzioni
sono ridotte: si tratta, in buona sostanza, di "assaggi", ben
presentati e completati con guarnizioni. A ogni piatto è in genere
abbinato un vino specifico.
Queste pietanze incuriosiscono, stuzzicano l'appetito e appagano la
fantasia degli ospiti, che possono gustare in un solo servizio le
diverse specialità della casa. Il prezzo fisso è comprensivo dei vini
e del servizio.
MENU CONCORDATO
Si stila in linea di massima per banchetti, cerimonie e occasioni
diverse: matrimoni, feste, convegni ecc. Il menu viene definito dal
cuoco o dal manager della ristorazione insieme al committente del
banchetto, il quale conosce le caratteristiche del gruppo di invitati
e le loro esigenze gastronomiche e nutrizionali. La scelta dei piatti
viene fatta considerando anche la spesa pro capite che il
committente intende sostenere.
PIATTO UNICO
Non può essere considerato un vero e proprio menu, bensì la
proposta, a prezzo fisso, di un piatto variamente composto che da
solo potrebbe costituire un pasto. La richiesta del piatto unico è
sempre più diffusa e trova la sua motivazione nella necessità, oggi
molto sentita, di rispettare sani principi nutrizionali.
La composizione del piatto unico si rifà alla dieta mediterranea,
che prevede il consumo prevalente di pane, pasta, legumi, pesce,
latte e derivati, frutta fresca, olio d'oliva come condimento.
L'apporto calorico complessivo di un piatto unico non deve
superare le 700/800 kcal e deve garantire un equilibrato apporto di
nutrienti: carboidrati, lipidi, glucidi, vitamine e sali minerali.
I CRITERI PER LA DETERMINAZIONE DEL MENU
Il menu è il catalogo dei prodotti che l'azienda ristorativa può
offrire. Per la sua realizzazione è necessario molto impegno: un
menu poco curato può contribuire all'insuccesso dell'attività, al
contrario, se ben studiato e progettato nei minimi dettagli può
favorirne il successo.
La determinazione di un menu operativo, che raggiunga
l'approvazione e il gradimento dei clienti, è quindi un'attività
complessa e delicata, che richiede esperienza e sensibilità e che
non si esaurisce con la stesura di un semplice elenco di piatti e
bevande.
I piatti proposti devono tenere conto non solo della personalità e
della professionalità di chi stila il menu, ma presuppongono il
rispetto di alcune regole pratiche nelle seguenti fasi di
composizione:
definizione del numero di portate;
scelta dei singoli piatti e della loro corretta successione;
abbinamento tra piatti e bevande e abbinamento dei cibi tra loro.
NUMERO E SEQUENZA DELLE PORTATE
Si deve ad Auguste Escoffier, grande nome della cucina francese
della metà del XIX secolo, la codificazione della sequenza delle
portate che per lungo tempo ha caratterizzato i menu di gala.
Tuttavia, i grandi pranzi del passato, costituiti da 10-12 portate,
attualmente non sono più realizzabili.
I menu, infatti, sono stati oggi snelliti e semplificati, sia per la
ridotta disponibilità di tempo, sia per rispettare le regole dietetiche
basilari.
Tre portate è il numero minimo indispensabile perché si possa
parlare di un vero menu operativo. Nel caso di pranzi o cene di
gala, il menu può prevedere cinque portate, introdotte da un
aperitivo.
L'aperitivo è costituito in genere da bevande aromatizzate
leggermente alcoliche o analcoliche e da stuzzichini salati, che
hanno lo scopo di predisporre al pasto.
La prima portata corrisponde agli antipasti, che si suddividono
in caldi e freddi; gli antipasti freddi vanno serviti solo a colazione.
La seconda portata è costituita dai primi piatti, cioè minestre,
zuppe, risotti, paste asciutte o piatti gratinati.
La terza portata comprende, in genere, il pesce o i piatti di
mezzo, vale a dire le preparazioni a base di pesce, carne, animali
da cortile, selvaggina, uova, nonché i soufflé, i flan e gli sformati.
La quarta portata è rappresentata dal secondo piatto. Quando è a
base di carne, viene anche detta "piatto forte" o "piatto centrale" e
ad essa si abbina solitamente il vino più prestigioso di tutto il
pasto; quando invece è costituita da pesce, viene definita "piatto
principale".
La quinta portata è costituita da formaggi, dessert e frutta.
REGOLE DI COMPOSIZIONE DEL MENU
I piatti che compongono un menu devono differenziarsi per evitare
di riproporre:
la stessa materia prima (per esempio un risotto alla crema di
asparagi e un filetto in crosta con punte di asparagi);
la medesima tecnica di cottura (per esempio più pietanze fritte);
lo stesso modo di presentare il piatto ;
alimenti dello stesso colore; è infatti importante il contrasto
cromatico tra un piatto e l'altro;
salse uguali nel colore o molto simili nel sapore e negli aromi;
in particolare, le salse a base di burro non vanno ripetute.
Inoltre, nella composizione dei menu è opportuno rispettare le
seguenti regole:
alternare le carni bianche a quelle rosse;
le paste e i risotti andrebbero serviti solo a colazione, a pranzo
si servono le zuppe e le minestre;
come dessert è bene servire sempre dolci al cucchiaio; le torte si
servono soltanto in caso di ricorrenze e cerimonie.
SCELTA DEI PIATTI
Nella scelta dei piatti che compongono il menu influiscono in
maniera determinante i seguenti parametri:
le condizioni climatiche in cui ci si trova;
la stagionalità degli alimenti;
la circostanza per la quale il menu è stilato;
la tipologia degli avventori.
Le condizioni climatiche, legate alla stagione in cui ci si trova,
influiscono concretamente sulla scelta dei piatti. Nelle stagioni
calde si devono evitare piatti particolarmente calorici e pesanti,
privilegiando i piatti freddi a base di vegetali freschi. I piatti caldi
devono essere leggeri e realizzati con cotture semplici e veloci.
Nei piatti autunnali in genere sono presenti la selvaggina, la frutta
e i vegetali di stagione (castagne, funghi ecc.). In inverno i piatti
sono più sostanziosi, calorici e caldi.
La stagionalità dei prodotti alimentari non è più molto seguita.
L'azienda ristorativa ha infatti la possibilità di approvvigionarsi
tutto l'anno di prodotti surgelati, coltivati in serra o importati
dall'estero.
Ciò nonostante, è opportuno, per quanto possibile, utilizzare gli
alimenti freschi nel periodo di produzione ed evitare in ogni caso i
prodotti conservati quando si ha la possibilità di reperire quelli
freschi.
Le circostanze che determinano la realizzazione di un pranzo o di
un banchetto sono innumerevoli. In questi casi i menu sono stilati
in relazione alle caratteristiche dell'evento: potremo avere menu
per le festività tradizionali, per cene e pranzi di lavoro, per
cerimonie e banchetti particolari ecc.
La composizione del menu varia a seconda dell'importanza e del
valore formale attribuiti alle diverse circostanze. In base a questo
si sceglieranno i piatti che rappresentino nel modo più appropriato
le caratteristiche dell'evento.
Così, per esempio, in occasione di una cena aziendale, circostanza
generalmente piuttosto formale, il menu potrebbe essere
caratterizzato da piatti della cucina tradizionale, curati nella
preparazione e nella presentazione. In considerazione
dell'eccezionalità dell'evento, in simili occasioni può essere
consentito assumere più calorie di quelle previste da una normale
dieta. Il menu potrà quindi proporre anche più di cinque portate,
oppure portate con doppi piatti o con più assaggi.
La scelta dei piatti che compongono un menu è fatta tenendo conto
anche della tipologia delle persone a cui esso si rivolge (sesso, età,
cultura, condizione sociale). Così, per esempio, per una clientela di
giovani si possono prevedere piatti semplici e sfiziosi, ma
soprattutto facili e veloci da consumare. Per le persone più mature,
invece, i piatti devono essere molto più curati ed elaborati, adatti a
una consumazione lenta e conviviale.
ABBINAMENTO TRA I PIATTI E LE BEVANDE
L'abbinamento tra piatti e bevande deve essere trattato con estrema
cura, in quanto la corretta scelta del vino da accostare a ogni piatto
valorizza la preparazione e consente al cliente di apprezzarla al
meglio.
Questa attività richiede grande esperienza e professionalità, ed è
ancora prematuro in questa sede parlare delle sue modalità di
svolgimento.
Per il momento è importante sapere che a ogni caratteristica del
piatto deve corrispondere una caratteristica del vino; quando
questo abbinamento avviene in maniera corretta, i sapori del vino e
del cibo si esaltano a vicenda e si equilibrano.
Errori da evitare
Nella determinazione dei menu si compiono talvolta degli errori,
che possono essere così riassunti:
liste di piatti lunghe e noiose, che determinano nei clienti
confusione e difficoltà nella scelta del piatto desiderato;
uso di una terminologia professionale o di fantasia, il più delle
volte incomprensibile per i clienti, i quali spesso non hanno il
coraggio di chiederne il significato e tendono a scegliere i piatti
che più li rassicurano;
menu immutabili, che risalgono all'apertura dell'attività e mai
più variati;
menu non adeguati al locale; in questo caso il piatto può essere
troppo raffinato per lo stile del locale.
LE UOVA
L'uovo occupa il primo posto nella scala degli alimenti ad alto
valore biologico, cioè contiene tutti gli aminoacidi essenziali e
tutti in forma utilizzabile.
Un uovo di gallina medio pesa circa 60 g, fornisce 8 g di proteine
nobili, ripartite tra albume e tuorlo.
Inoltre vitamine, sali minerali e acidi grassi sono presenti in ottime
percentuali.
Nel tuorlo sono contenuti fosforo, calcio, ferro, zinco, vitamina A,
B1, D, E.
Il tuorlo contiene anche circa 7 g di grassi, di cui grassi saturi il
30%, con 270 mg di colesterolo ed il 70% insaturi, benefici ed
indispensabili.
Contiene anche l'acido oleico, acido linolenico e lecitina.
Queste sostanze sono in grado di contrastare il colesterolo
(comunque necessario al corpo umano in certe quantità).
Con la lettera A sono indicate uova di 70 g circa, con la B quelle
di circa 60 g e quelle con la lettera C di 45 g.
Quelle di categoria C sono generalmente destinate all'industria
dolciaria.
Le extrafresche (raccolte ed imballate quotidianamente) hanno la
scritta "extra" in bianco su una banda rossa.
Un preconcetto riguarda la presunta indigeribilità dell'uovo e la
sua nocività per il fegato. In realtà l'uovo favorisce lo svuotamento
della colecisti ed in caso di calcolosi biliare, favorisce le dolorose
coliche biliari.
L'albume non andrebbe mai consumato crudo, in quanto contiene
dei fattori antinutrizionali, come l'avidina.
La vita media di un uovo è calcolata in tre - quattro settimane.
Le uova non dovrebbero bollire, poiché ferro e zolfo alla
temperatura di ebollizione, formano il solfuro di ferro, sostanza
venefica. Metterle nell'acqua fredda, mantenere il recipiente sul
fuoco fino ad ebollizione, quindi spegnere e lasciarle a bagno sino
a raffreddamento se si vogliono sode, togliendole prima se le si
preferisce alla coque. L'uovo così cucinato è più gustoso di quello
bollito e molto digeribile.
Un altro modo veloce per cuocere le uova è per esempio quello
delle uova strapazzata al microonde : romperle in un piatto e
infilarle nel forno a microonde per 3 minuti.
Anche se nel tuorlo c'è molto colesterolo, non ci sono i grassi
saturi responsabili dell'aumento nell'organismo del colesterolo
cattivo. Se si limita il consumo di salumi e formaggi grassi, si
possono consumare le uova senza alcune preoccupazione.
Un uovo al giorno può far raddrizzare i livelli di colesterolo
buono, lo ha scoperto una ricerca thainlandese che dimostra come
mangiarne uno al giorno per 3 mesi aumenti i livelli di Hdl
(colesterolo buono) del 48%, merito anche della lecitina che si
trova nel tuorlo.
Uova Extra : sono uova deposte da meno di 9 giorni, sono quindi
le più fresche.
Controllare in ogni caso la data di deposizione perché vanno
consumate entro un mese.
Sbucciare l'uovo sodo facilmente : rompere il guscio sulla punta
e sul fondo e togliere alcuni pezzi; avvicinare alla bocca la punta
tenendo l'uovo nella mano e soffiare forte : uscirà l'intero uovo dal
proprio guscio.
Per tutte le loro qualità, le uova fanno bene a :
Memoria e concentrazione
Funzionalità epatica
Prevenzione dell'ateriosclerosi
Formazione di ossa e muscoli
Lotta all'iposideremia (mancanza lieve o grave di ferro nel sangue)
Prevenzione della calcolosi biliare
Produzione di energia
Dieta ipocalorica (per l'elevato senso di sazietà con limitato
apporto di calorie)
Chi non dovrebbe farsi mancare le uova :
Bambini e adolescenti
I vegetariani
Gli anziani
Gli sportivi
A chi sono sconsigliate le uova :
A chi soffre di calcolosi biliare sintomatica (i lipidi delle uova
stimolano la contrazione della colecisti provocando possibili
coliche)
Alle persone immunodepresse o che si sottopongono a cicli di
chemioterapia ad alte dosi (perché sono esposte di più al pericolo
di contaminazione batterica, chi ha un sistema immunitario
indebolito deve consumare solo prodotti microbiologicamente
sicuri
Bambini con familiarità alle allergie alla proteine dell'uovo
Leggende sbagliate :
Le uova aumentano il tasso di colesterolo (è presente solo nel
tuorlo che ne contiene solo 185mg, concentrazione non allarmante
se si pensa che una dose prudente è 300mg al giorno. Il colesterolo
è una sostanza necessaria per produrre alcuni ormoni tra cui quelli
sessuali estrogeni e testosterone e il cortisolo!)
Si digeriscono difficilmente (in realtà due uova crude o alla coque
lasciano lo stomaco in circa 2 ore, contro ad esempio le 3 ore
necessarie per la carne. La digeribilità dipende alla preparazione!
E' bene non cuocere le uova troppo a lungo ed evitare
assolutamente l'impiego eccessivo di grassi e che danno quel senso
di pesantezza che non è da attribuirsi alle uova!
Fanno male al fegato (Sono i grassi della cottura portate ad alta
temperatura ad esempio nelle uova fritte ad appesantire e rallentare
il lavoro del fegato!)
Come riconoscerne la freschezza?
Un uovo fresco si riconosce dal guscio vellutato e pulito, dal
tuorlo senza macchie, dall'albume chiaro e limpido. Se si immerge
in acqua e sale : se si deposita orizzontalmente sul fondo vuol dire
che è fresco.
A parte la data di scadenza, un metodo per riconoscere se il
prodotto è fresco è verificare se in controluce si riesce a vedere
l'ombra del tuorlo al centro dell'uovo.
Segreti di cottura
L'uovo alla coque è ricco di nutrienti e dietetico. Toglierlo dal
frigo un'ora prima per evitare che il guscio si rompa in cottura.
Immergerlo in acqua quando è vicina all'ebollizione con un
cucchiaio in modo da coprirlo del tutto. Cuocere per 3 minuti
esatti.
Frittata light
Invece di friggere le uova, adagiarle su una piccola teglia e
spennellarla con un filo di olio. Infornare la teglia. Si
risparmieranno circa 100 calorie.
Quante mangiarne a settimana?
Circa 4.
Quali uova comprare ?
Comprare solo uova confezionate, nei contenitori in plastica o in
quelli meno inquinanti di cartone.
Controllarne la data di scadenza al quale è di 28 giorni dopo la
deposizione
Sul guscio è stampato un codice con le informazioni sulla
produzione, il paese IT è ovviamente l'Italia, poi comune,
provincia, azienda
Il tipo di allevamento è indicato da un numero : in gabbia 3, a terra
2, all'aperto 1, da agricoltura biologica 0.
Le galline libere fanno meno uova e quindi costano di più, sono
più saporite e sono prodotte rispettando gli animali.
Taglia e categoria delle uova
Le uova vanno da piccole S (meno di 53 grammi) a grandissime
XL (maggiori di 73 grammi).
Sapore e valori nutrizionali sono simili ma quelle piccole costano
di meno.
Categoria Extra : di qualità superiore, in vendita entro nove giorni
dalla deposizione.
Il colore dell'uovo non c'entra con la qualità ma solo con la razza
della gallina.
LE CARNI ROSSE: I BOVINI.
Classificazione dei bovini:
- vitello, bovino maschio o femmina di età inferiore ai 12 mesi
(generalmente viene macellato a circa 4 mesi) dalle carni molte
tenere grazie all’elevato contenuto di acqua, che a volte,
purtroppo, può essere stato ottenuto con la somministrazione di
ormoni, che hanno l’effetto di gonfiare le carni;
- vitellone, bovino maschio o femmina abbattuto tra i 12 e i 18
mesi, ha carni tenere e con un ottimo valore nutritivo anche se
contiene meno acqua del vitello;
-manzo, bovino di 3/4 anni, che se maschio è stato castrato, se
femmina non ha mai partorito, con una quantità di acqua contenuta
nelle carni più bassa ed un più alto contenuto in grassi;
-bue, bovino maschio castrato di oltre 4 anni, le carni sono simili a
quelle del manzo.
Classificazione dei tagli:
1° taglio – carni del quarto posteriore, sono le più pregiate e le più
costose, hanno una cottura rapida (ai ferri o in padella);
2° taglio – carni del quarto anteriore, sono meno pregiate, ma
ugualmente nutrienti, hanno una cottura semirapida (al forno,
arrosto, spezzatino);
3° taglio – carni del quarto anteriore, ma non pregiate, sono le
meno costose, hanno una cottura lenta (bollito, stufato, brasato).
Su cosa basarci per la scelta della carne bovina?
1) Il colore, è il biglietto da visita della carne, purtroppo può
essere influenzato dagli effetti dell’illuminazione ambientale.
2) Il pH, è la misurazione dell’acidità o della basicità di una
sostanza, è neutro al momento della macellazione, dopo di che si
modifica e si stabilizza intorno a 5,4/5,5, che corrisponde ad una
leggera acidità e che è il valore ideale per una carne di qualità; se
la carne ha un pH con valore più alto si manifesta il fenomeno
detto “carne strapazzata”; un ritardo nell’abbassamento del pH
provoca, invece, un aumento dell’intensità del colore e della
ritenzione idrica.
3) La ritenzione idrica, è determinante per una carne di qualità,
influisce su aspetto, cottura e succosità; l’acqua rappresenta il 75%
del peso di un muscolo dividendosi in acqua legata e acqua libera;
l’acqua legata è quella saldamente all’interno delle fibre muscolari
(è una percentuale esigua, circa il 5%), l’acqua libera è, invece,
racchiusa nella struttura muscolare; se l’acqua legata è in
percentuale troppo bassa, dopo la cottura la carne risulterà
stopposa e dura, ma potrebbe essere anche colpa di una cottura
troppo protratta; variazioni della capacità di ritenzione idrica sono
legate alla specie, al sesso, all’età, allo stato di salute, al grado di
preparazione, alle modalità di trasporto degli animali; gli ormoni
hanno un grandissimo potere nel far ritenere più acqua.
I SUINI
Il maiale è un animale tenuto molto in considerazione dal mondo
contadino, in quanto il suo allevamento comporta bassi costi per
un’ottima resa. Del maiale non viene sprecato niente, si mangiano
perfino pelle, piedi, orecchie e sangue. La tradizione italiana
implica che la maggior parte del maiale venga destinata alla
produzione di salumi. In Italia, appunto per soddisfare la forte
richiesta di salumi, si producono soprattutto suini pesanti.
Il suino pesante (destinato all’industria salumiera), deve avere
carne matura con capacità di trattenere i liquidi ed un contenuto di
grasso idoneo. Una carne troppo magra, dopo la stagionatura del
salame o del prosciutto, darebbe un prodotto secco e troppo salato.
Il suino magro (consumo diretto delle carni), ha, oggigiorno,
grazie ad anni di selezione genetica, di cure appropriate e diete
meticolose, addirittura carni più magre di quelle bovine, con tassi
di colesterolo e di grassi saturi inferiori.
La carne di maiale magro ha mediamente circa 140/146 calorie per
100 grammi, quella di maiale grasso ne ha 394.
LE CARNI BIANCHE
La carne bianca (pollo, tacchino, coniglio) è ricca di proteine
nobili (indispensabili all’organismo, per esempio, per rinnovare i
tessuti e per la formazione degli ormoni, degli enzimi, degli
anticorpi) e di aminoacidi ramificati (utili nel metabolismo dei
muscoli e nel promuovere lo smaltimento delle tossine che si
formano quando un organismo svolge un intenso lavoro atletico).
Nonostante l’aspetto bianco della carne, 100 grammi di pollo e
tacchino contengono rispettivamente 1,5 e 2,5 grammi di ferro,
valori più o meno equivalenti alla carne di bovino.
La carne di pollo ha il vantaggio di essere più facilmente
masticabile e digeribile, soprattutto se cucinata in modo semplice
(arrosto, ai ferri, lessata). La tenerezza del pollo è dovuta alla
struttura delle fibre muscolari che presentano un diametro di circa
45-48 micron, una misura inferiore a quella delle carni bovine (73-
75 micron), delle carni ovine (50-54 micron) e di quelle suine (90-
92 micron). Le carni bianche risultano più agevolmente masticabili
e digeribili anche perché hanno una minor presenza di tessuto
connettivo, un consiglio è quello di non esagerare nei condimenti e
nei sughi.
Un’altra caratteristica delle carni bianche riguarda la ridotta
presenza di grassi: solo l’1% nel petto di pollo e l’1,5% nel
tacchino (senza pelle). Il basso contenuto di grassi, (che tra l’altro
sono concentrati nella pelle, facilmente eliminabile), riduce
l’apporto calorico di queste carni, rendendole ideali per chi tiene
sotto controllo il peso corporeo. Comunque, il grasso di pollo e
tacchino ha caratteristiche più vicine ai grassi di origine vegetali,
infatti, nella sua composizione predominano gli acidi grassi
polinsaturi (acido linoleico e linolenico), e contiene molto meno
colesterolo.
E’ sbagliato credere che i polli in passato fossero migliori di quelli
di oggi perché mangiavano quello che trovavano in terra. Grazie ai
progressi della zootecnia (scelta dei riproduttori, mangimi
bilanciati, allevamento a terra, macellazione nel rispetto delle
norme sanitarie), i polli sono molto più garantiti dal punto di vista
igienico e nutrizionale. Una volta la carne era più soda perché gli
animali vivevano più a lungo ed impiegavano più tempo a
crescere. Nei polli e nei tacchini non c’è uso di ormoni estrogeni,
perché tale impiego può offrire dei vantaggi all’allevatore solo per
gli animali di grossa taglia (pollo e tacchino hanno una massa
corporea limitata e un ciclo d
SELVAGGINA DI PIUMA:FAGIANO-BECCACCIA-
QUAGLIA-PERNICE
Il fagiano ha carni molto pregiate, specialmente la femmina, che
per il piumaggio bruno-beige si differenzia dal maschio:
quest’ultimo ha penne variopinte e coda molto lunga. Per
distinguere i soggetti giovani da quelli vecchi occorre osservare la
prima penna dell’ala, che nei primi è a punta, mentre nei secondi è
arrotondata. Il fagiano può essere cotto arrostito, in casseruola, in
salmì, in chartreuse, in pâté. La beccaccia e il beccaccino si
distinguono per il caratteristico becco lungo e appuntito; hanno
zampe corte leggermente azzurrate e piumaggio bruno-rossiccio
(beccaccia) o bruno-grigio (beccaccino). Sono in genere cotti
arrostiti, in casseruola, in pâté e in salmì. La pernice ha forma
tozza, coda corta e becco rosso; il colore del piumaggio cambia
secondo la varietà: la più apprezzata è quella grigia. La pernice
vecchia si riconosce dal becco duro e scuro ed è utilizzata solo per
farce e chartreuse, mentre quella giovane viene cotta arrostita o in
casseruola. La carne, delicata e tenera, non necessita di frollatura
prolungata. La quaglia è un piccolo uccello migratore il cui
allevamento è oggi piuttosto diffuso. Le carni d’allevamento sono
abbastanza tenere, con un aroma quasi assente; non devono quindi
essere sottoposte ad alcun periodo di frollatura. Le quaglie
vengono in genere arrostite, cotte in casseruola oppure affogate.
SELVAGGINA DI PELO:LEPRE -CINGHIALE-
CAPRIOLO
Le carni di lepre più apprezzate sono quelle della femmina, di 6-10
mesi e del peso di 2,5 kg. Può essere utilizzata appena uccisa,
ancora calda, o dopo averla fatta frollare 2-3 giorni nella sua pelle.
Il cinghiale viene in genere fatto frollare con la pelle per un
periodo variabile da 3 a 7 giorni, secondo l’età dell’esemplare.
L’animale più pregiato e utilizzato è il cinghiale giovane, cotto in
umido, arrostito o al salto, tagliato come il maiale (costolette,
nocette, scaloppine). Il capriolo ha in genere carni molto delicate,
in particolar modo la femmina e i soggetti giovani. Di solito è
cotto al sangue, arrostito, grigliato oppure al salto. La carne dei
soggetti adulti, del peso di 15-20 kg, viene invece cucinata in
umido (civet).
LO SLOW FOOD
Lo slow food nasce a Bra è un associazione internazionale ed ha l’obbiettivo di tutelare e di promuovere il piacere del mangiar bene e del enogastronomia attraverso progetti, pubblicazioni,eventi e manifestazioni battendosi contro l’omologazione dei sapori ,l’agricoltura massiva le manipolazioni genetiche . l’Arca del Gusto è uno dei progetti più significativi e si occupa di un attività di ricerca di tutti quei prodotti appartenenti al patrimonio enogastronomico italiano che corrono il rischio di scomparire
Lo slow food è un’associazione internazionale fondata da Carlo Petrini che ha come obbiettivo quello di tutelare e di promuovere prodotti tipici enogastronomici attraverso eventi, progetti, manifestazioni che si battono contro l’omologazione dei sapori ,l’agricoltura massiva le manipolazioni genetiche e promuovono il piacere del mangiar bene. Uno dei progetti piu importanti
dello slow food è l’Arca del Gusto che ricerca e protegge quei prodotti che appartengono al patrimonio enogastronomico italiano e che possono correre il rischio di scomparire
È un movimento internazionale che ha come obiettivo quello di promuovere il mangiar bene sostenendo la cultura del cibo e del vino opponendosi alla tendenza ,tipica del fast food ,del mangiare velocemente attraverso eventi ,progetti e manifestazioni che vanno contro l’agricoltura di massa l’omologazione dei sapori le manipolazioni genetiche. Un progetto molto importante dello slow food è quello dell’Arca del gusto che serve a tutelare quei prodotti che appartengono al patrimonio enogastronomico italiano e che corrono il rischio di scomparire. Lo Slow Food nasce a Bra ed è fondata da Carlo Petrini
George Auguste Escoffier
Nato 28 ottobre 1846 in una modesta famiglia, a soli tredici anni abbandonò gli studi per andare presso la trattoria dello zio a Nizza, dove lavorò come lavapiatti ed aiuto cuoco. Presto si accorse di avere una grande passione per la gastronomia, e spinto dalla voglia di migliorarsi, abbandonò lo zio, per intraprendere varie esperienze presso hotel e ristoranti, fra i quali anche il Petit Moulin Rouge di Parigi. Dopo la pausa della guerra sotto l’impero di Napoleone III, dove fu destinato alle cucine militari, finalmente nel 1879 fondò un suo ristorante che conquistò in breve
tempo una rinomanza internazionale. Curiosamente, la carriera di questo cuoco francese si svolse prevalentemente in Inghilterra, dopo l’incontro con Cesare Ritz. Escoffier sosteneva che la “grandeur” della cucina francese era dovuta alle salse, e la sua abilità fu di comprendere il cambiamento dei ritmi della vita moderna, sostenendo la necessità di un servizio rapido e di una cucina priva di orpelli. Credeva che la gastronomia dovesse essere scientifica, curata con metodo e praticata con estrema semplicità, valorizzando il sapore ed il nutrimento dei cibi, che dovevano essere anche leggeri e digeribili. Secondo lui un menù non era soltanto una lista di un certo numero di pietanze, ma doveva essere un raggruppamento armonioso di cibi, in modo da formare una “leccorniosa orchestrazione”. Muore nel 1935 a Montecarlo Escoffier, con un senso organizzativo davvero unico fu il creatore della famosa “brigata di cucina”,in senso piramidale ,schema organizzativo rimasto in uso nei grandi alberghi fino ad oggi
Il grande George ha avuto anche un’intensa attività letteraria, collaborando con riviste e pubblicando vari libri, fra i quali gli immortali “Le Guide Culinaire” e “Le Livres des Menus”.