· Web viewDISPENSA DI CUCINA CLASSE II A I FONDI DI CUCINA I fondi di cucina sono preparazioni...

72
DISPENSA DI CUCINA CLASSE II A I FONDI DI CUCINA I fondi di cucina sono preparazioni liquide ottenute attraverso una bollitura prolungata di elementi nutritivi ed aromatici. Questi ultimi sono costituiti da verdure, generalmente da cipolle, carote, sedano, alloro, rosmarino, timo, salvia, aglio, pomodori maturi e di altri aromi e, in alcuni casi, da vini. Gli elementi nutritivi (così definiti per le proteine che compongono) sono costituiti da ossa, scarti di carne, lische e ritagli di pesce, a seconda del tipo di fondo in preparazione. Si chiamano fondi di cucina perché sono alla base di tutta la cucina e sono aggiunti in quasi tutte le preparazioni. Perciò se sono fatti bene risulteranno buone tutte le preparazioni. Un esempio pratico ed elementare con il brodo: se sarà bene aromatizzato, continuamente sgrassato durante l’ebollizione, scremato di tutte le impurità che affiorano, lasciato bollire scoperto e adagio, si otterrà un brodo chiaro e saporito; ma se lo trascurerete, di conseguenza, tutti i preparati ai quali saranno aggiunti ne risentiranno. E così dicasi per i fondi bruni, e per i

Transcript of  · Web viewDISPENSA DI CUCINA CLASSE II A I FONDI DI CUCINA I fondi di cucina sono preparazioni...

DISPENSA DI CUCINA CLASSE II A

I FONDI DI CUCINA

I fondi di cucina sono preparazioni liquide ottenute attraverso una bollitura

prolungata di elementi nutritivi ed aromatici. Questi ultimi sono costituiti da

verdure, generalmente da cipolle, carote, sedano, alloro, rosmarino, timo, salvia,

aglio, pomodori maturi e di altri aromi e, in alcuni casi, da vini. Gli elementi nutritivi

(così definiti per le proteine che compongono) sono costituiti da ossa, scarti di carne,

lische e ritagli di pesce, a seconda del tipo di fondo in preparazione.

Si chiamano fondi di cucina perché sono alla base di tutta la cucina e sono aggiunti in

quasi tutte le preparazioni. Perciò se sono fatti bene risulteranno buone tutte le

preparazioni.

Un esempio pratico ed elementare con il brodo: se sarà bene aromatizzato,

continuamente sgrassato durante l’ebollizione, scremato di tutte le impurità che

affiorano, lasciato bollire scoperto e adagio, si otterrà un brodo chiaro e saporito; ma

se lo trascurerete, di conseguenza, tutti i preparati ai quali saranno aggiunti ne

risentiranno. E così dicasi per i fondi bruni, e per i grassi (come burro, olio, lardo,

ecc.) che dovranno rosolare o semplicemente fondere, secondo le indicazioni delle

singole ricette, senza bruciare; come pure la cipolla, l’aglio, il porro, dovranno

biondire senza colorire troppo, altrimenti l’aroma ne verrebbe alterato negativamente.

È importante, inoltre dosare attentamente gli aromi, in special modo quelli forti, come

aglio, peperoncino, origano, alloro.

La buona cucina saporita e di gusto perfetto nasce dal fondo bruno e fondo bianco

fresco. I sapori e gli aromi devono essere ben individuabili: se un elemento è

preparato al burro, si deve sentire il burro, se viene preparato alla salvia si deve

sentire l’aroma della salvia, e cosi via.

La delicatezza e la fragranza di una salsa calda (come la bèchamel, la vellutata, la

salsa di pomodoro, il fondo bruno legato, ecc.) dipende dalla sua freschezza, infatti,

conservata per lungo tempo in frigorifero, oltre a perdere le sostanze e le vitamine,

perde il gusto. Le salse fredde, invece, possono essere conservate in fresco per alcuni

giorni in recipienti di porcellana, di vetro, di plastica per alimenti e di acciaio.

I fondi si dividono in due categorie.

Fondi bianchi:

Fondo bianco comune.

Fondo bianco di vitello.

Fondo bianco di pollo.

Fondo bianco vegetale.

Fumetto di pesce

Fondi bruni:

Fondo bruno di vitello

Fondo bruno d’agnello

Fondo bruno di selvaggina

Poi in particolare sono considerati anche fondi:

Le glasse, gli estratti o gelatine, i roux, le marinate, le salamoie, le farce, il court-

bouillon.

Le glasse

Sostanze sciroppose che si ottengono per riduzione dei fondi bruni descritti-

Gli estratti o gelatine

L’estratto si ottiene dalla riduzione del fondo bruno, mentre le gelatine sono ottenute

da brodi ristretti con alto contenuto di componenti .

Le farce

Le farce sono delle preparazioni che hanno procedimenti diversi in base

all’ingrediente principale (es: carne ricotta, zucca), possono essere preparati a freddo

oppure a caldo e servono principalmente per ripieni.

I roux

I roux si dividono in: roux bianco, biondo e bruno.

La differenza è nel metodo di cottura, infatti, il roux bianco si lascia cuocere

solamente qualche minuto e si usa per legare salse bianche; il roux biondo si lascia

cuocere mescolando finché raggiunge una coloritura biondo scuro e si usa per legare

le vellutate; il roux bruno si lascia cuocere finché raggiunge un colore bruno e si usa

per legare fondi bruni e salse brune.

Le marinate

Le marinate sono procedure utili per dare un particolare gusto e rendere più tenere e

gustose le carni e i pesci; i metodi sono due:

Marinata a crudo

Ingredienti: mirepoix, alloro, chiodi di garofano, pepe in grana (verde o nero), aceto,

vivo bianco o rosso e per alcune preparazioni si uniscono i funghi, bacche di ginepro

e olio d’oliva.

Marinata cotta: consiste nel far cuocere i vari aromi nell’acqua con aggiunta di vino

e aceto per 15 minuti circa, il tutto, poi viene versato per ricoprire il prodotto che si

desidera marinare.

Le salamoie.

Le salamoie sono preparazioni utili per conservare le carni e i pesci.

La salamoia secca è composta da uguale percentuale di sale fino e zucchero o solo

sale (baccalà), foglie di alloro e pepe in grana (per pesci e carne); in base alla

pezzatura cambia il periodo di realizzazione conservare in frigo.

Il court-bouillon.

Si tratta di un liquido aromatizzato per la lessatura di pesce e dei crostacei. E’

preparato con acqua, vino bianco (o aceto o limone), verdure, aromi e spezie. Per i

pesci di grosse dimensioni in court-bouillon deve essere freddo e poi procedere per la

cottura, mentre per i pesci di piccole dimensioni il court-bouillon deve essere bollente

prima di introdurre l’alimento e procedere per la

cottura.

Sono considerati fondi anche le mirepoix.

Le mirepoix sono dadolate con lato di circa 6-8 millimetri. Sono distinte in:

Mirepoix magra: costituita da carote, sedano e cipolla;

Mirepoix grassa: composta dagli stessi ortaggi con l’aggiunta di dadini di prosciutto

e pancetta.

La brunoise è una dadolata piccola composta di sedano, carote e cipolla.

Le dadolate sono preparazioni, realizzate tagliando a piccoli dadi ingredienti richiesti

dalla ricetta. Le dadolate possono essere semplici e composte. Le semplici realizzate

con un solo elemento, composte se realizzate con più elementi.

Le salse madri e le salse derivate

Le salse sono dei condimenti più o meno liquidi, calde o fredde, che servono per

cucinare o completare determinate preparazioni.

Per ottenere delle buone salse è necessario partire da buoni fondi, utilizzare materie

prime d’ottima qualità, sapere aromatizzare molto bene gli ingredienti che le

compongono. Le salse devono avere la giusta consistenza (non troppo pesante, né

troppo densa, né troppo liquida) e la finezza (lucente, liscia, vellutata). È di estrema

importanza conoscere le tecniche di preparazione.

L’attributo “madri” sta a indicare che partendo da queste preparazioni è possibile

elaborare tantissime altre salse. Qualsiasi chef saucier capace ed esperto, partendo da

una salsa madre, può creare infinite variazioni sul tema per offrire abbinamenti nuovi

ma sempre armoniosi.

Le principali regole per la buona riuscita di una salsa.

1) Gli ingredienti devono essere di ottima qualità, soprattutto il fondo di partenza, il

burro e l’olio.

2) Bisogna schiumare con particolare cura tutte le impurità che affiorano in superficie

durante la cottura.

3) I corpi grassi che affiorano in superficie dopo la cottura devono essere asportati, in

modo da sgrassare la salsa per renderla più digeribile e gradevole. Se si vuole dare

maggior corpo alla salsa i grassi asportati possono essere sostituiti da un po’ di burro

freschissimo.

4) Le uova, i cui tuorli sono utilizzati per legare alcune salse bianche e ne

costituiscono il corpo vellutato, devono essere assolutamente fresche.

5) Se la salsa dovesse riuscire troppo liquida, è consigliabile utilizzare il “legante”

più appropriato.

6) Durante la cottura, le salse devono essere ben mescolate, questa operazione può

essere fatta utilizzando la spatola d’acciaio, che permette di raggiungere ogni punto

interno del recipiente, evitando che la salsa si attacca.

7) Dopo aver raggiunto il punto d’ebollizione, le salse devono continuare a sobbollire

dolcemente finché, diventano di consistenza desiderata. È importante non smettere di

mescolare durante la cottura.

8) Per mantenere le salse calde fino al momento dell’utilizzo, è bene tenerle a

bagnomaria nell’apposito recipiente, dove l’acqua deve restare calda senza mai

bollire.

10) Le salse devono essere preparate al momento e, utilizzate in breve tempo: quelle

calde riscaldate diventano indigeste e perdono la loro gradevolezza; quelle fredde,

pur resistendo più a lungo, non migliorano se tenute a lungo in frigorifero.

Facciamo alcuni esempi pratici. Immaginate di avere già pronte le seguenti salse:

napoletana, salsa pomodori a pezzi, sugo di carne, estratto di carne, besciamella,

vellutata

ordinaria.

- Con la salsa vellutata addizionata alla panna montata potete ottenere la salsa

suprema.

- Con la salsa vellutata addizionata di panna e pomodoro otterrete la salsa aurora.

- Con la salsa vellutata addizionata di panna ed estratto di carne otterrete la salsa

avorio

- Con la salsa vellutata addizionata di succo di limone e capperi otterrete la salsa

capperi.

- Con la salsa vellutata addizionata di panna e curry otterrete la salsa indiana.

- Con la salsa besciamella addizionata di panna e parmigiano grattugiato e legata con

qualche rosso d’uovo, otterrete la salsa Mornay per gratinare legumi, uova, carni.

- Con il fondo bruno legato, aromatizzato con il marsala, diventa la salsa marsala.

- - Con la salsa napoletana addizionata di ricotta avete la salsa napoletana ricca.

- Alla salsa di pomodoro a pezzi con l’aggiunta d’aglio diventa salsa livornese o

provinciale.

- Aggiungendo alla salsa provinciale, il basilico e l’origano otterrete la salsa

pizzaiola.

Le salse si dividono in salse calde e salse fredde

Fondi e salse calde

Fondi Salse Madri Salse di base Salse derivate

Fondo bianco comune Vellutata comune Suprema comune

(rosso d’uovo +panna)

Salsa Albufera

Salsa crema

Fondo bianco di pollo Vellutata di pollo Suprema di pollo

(rosso d’uovo +panna)

Fondo bianco vegetale

Vellutata vegetale Suprema vegetale

(rosso d’uovo +panna)

Fumetto di pesce Vellutata di pesce Salsa per pesci Salsa marinara per

risotti e per paste

Fondo bruno di vitello Fondo bruno legato Salsa demi-glace Salsa alla cacciatora

Salsa alla diavola

Latte Salsa besciamella Salsa Mornay

Pomodori freschi

pomodori freschi

Salsa pomodoro fresco

(concassè)

Salsa pomodoro con pelati

Salsa napoletana

Salsa pomodoro

Salsa pizzaiola

leggera

Salsa all’arrabbiata

Salsa alla carrettiera

Salsa portoghese

Le salsa madri

Fondo bianco comune + Roux bianco o biondo = Vellutata comune

Fumetto di pesce + Roux bianco o biondo = Vellutata di pesce

Fondo bruno comune + Roux bruno o fecola diluita = Fondo bruno legato

Latte + Roux bianco = Salsa besciamella

Aromi imbionditi + Pomodori = Salsa pomodoro

Salse fredde

Emulsioni stabili Emulsioni instabili Altre salse

Salsa maionese (salsa madre) Salsa vinaigrette (aceto e

limone)

Pesto alla genovese

Salsa cocktail Salsa sitronette (olio e limone) Pesto garganico (genovese +

concassè di pomodori)

Salsa mussoline Salsa salmorigano Pesto siciliano (genovese +

concassè di pomodori + polpa di

melanzane cotte in forno e frullate e

tagliate a dadini)

Salsa tartara Salsa verde

Le emulsioni sono delle dispersioni di due liquidi (uno dei quali sottoforma di

piccolissime gocce) che normalmente non sono miscibili tra loro; ad esempio,

l’agitazione di un composto formato da una parte d’aceto e tre parti d’olio

(vinaigrette).

In base alla preparazione l’emulsione può essere INSTABILE e STABILE.

- INSTABILE è, quando si smette di agitare e dopo poco tempo i due o più liquidi si

separano nuovamente.

- STABILE è quando due o più liquidi restano sempre legati tra loro. La difficoltà

della preparazione di un’emulsione stabile è nel creare tutte le condizioni necessarie

alla buona riuscita: non si tratta solo di saper mescolare ma anche di saper usare gli

ingredienti in giusta temperatura, versare lentamente il grasso nella parte liquida,

usare le uova fresche. La sostanza emulsionante più usata in cucina è il tuorlo d’uovo.

I PRODOTTI ITTICI

Anche se è consuetudine dire “pesci” per indicare tutto ciò che proviene dal mare, la

denominazione esatta è quella di “prodotti ittici”.

Essi comprendono i pesci, i crostacei e i frutti di mare. Generalmente le tre tipologie

offrono numerose possibilità di consumo durante tutto l’anno, ma la scelta non deve

essere limitata a quelle dal costo più elevato, perché ve ne sono di gustosissime anche

tra quelle più comuni.

Per esempio il pesce definito “azzurro” si presta a molte preparazioni semplici e nello

stesso tempo di ottimo sapore. Bisogna inoltre ricordare di prediligere il pesce

rispetto alle carni, perle sue qualità dietetiche rispetto a molti altri alimenti.

Innanzitutto il pesce è più digeribile, contiene iodio e vitamine e sopr attutto i pesci a

carne magra hanno un valore nutritivo quasi equivalente alla carne di manzo.

I molluschi e i crostacei hanno le carni ricche di magnesio, cloruro di sodio, iodio e

ferro. I frutti di mare sono ricchissimi di sali minerali.

Anche se le ricette indicano sempre un tempo di cottura preciso, esso può variare in

base allo spessore del pesce, al materiale dell a pentola, all’energia utilizzata per

cuocerlo, oltre che al gusto. Un pesce troppo cotto perde gran parte delle sue qualità

nutritive, in generale i pesci grandi rendono meglio lessati oppure al forno, quelli

tagliati a trance o divisi a filetti sono buoni alla griglia, i pesci piccoli sono indicati

per la frittura o in tegame.

I prodotti ittici o prodotti della pesca in mare, laghi, fiumi oppure di allevamento,

comprendono le carni e le parti commestibili degli animali acquatici. Il consumo del

pesce da parte dell'uomo risale a circa due milioni di anni fa, ed ha lasciato numerose

testimonianze. ittici. Delle circa 600 specie ittiche commestibili che abitano i mari del

nostro paese, solo una sessantina arriva sulle nostre tavole. Tutte le altre hanno

uno scarso valore commerciale perchè il consumatore non le conosce e quindi non le

compra. Il pesce deve essere consumato fresco oppure perfettamente conservato

attraverso procedimenti e mezzi tecnici adeguati. I principali metodi utilizzati per la

conservazione del pesce sono:

salagione

essiccamento

affumicamento a caldo o a freddo

surgelazione

inscatolamento

conservazione sott’olio

Polverizzazione

liofilizzazione

Nel caso di pesce surgelato, i prodotti ittici di piccola pezzatura possono essere

sottoposti a glassatura, uno strato di ghiaccio applicato sui pesci congelati o surgelati

tramite nebulizzazione o immersione in acqua. Lo scopo della glassatura è di

proteggere i pesci durante le fasi di stoccaggio e di vendita, evitare i danni da urti,

disidratazione e imbrunimento del colore, oppure contaminazioni accidentali. Lo

strato di ghiaccio aumenta il peso del pesce fino al 40 per cento, ma viene

considerato «tara». Non esiste al momento una norma che indichi la percentuale

massima ammessa di glassatura, che quindi può variare in funzione

tecnologiche e delle caratteristiche del prodotto. Sono pesci poveri

di grassi, ricchi di proteine e molto digeribili: Merluzzo Nasello

sogliola

Orata Luccio Ghiozzo

Branzino o spigola Merlano Platessa

Sono pesci semi-grassi, ricchi di vitamine e che contengono

vitamine: Grongo Aringa Sardina acciuga Sgombro Triglia trota

Rombo

Sono invece pesci grassi e quindi meno digeribili di altre qualità:

Dentice Luccio tonno

salmone Anguilla Palombo

I FORMAGGI

Dal francese antico “formage”, dal latinomedievale “caseum”, è

un prodotto alimentare derivato dal latte, da cui si ottiene per

coagulazione della caseina.

Si può partire dal latte intero, dal latte totalmente o parzialmente

scremato, dalla crema.La coagulazione può essere naturale

provocata aggiungendo il latte o provocata aggiungendo latte

portato a temperatura di 35 gradi una determinata quantità di

caglio o presame.

Dalla coagulazione si ottiene una massa bianca ed elastica che ha

la consistenza di una gelatina, la cagliata, che ritirandosi lascia

trasudare il siero latteo, provocando la separazione delle varie

sostanze in sospensione o soluzione; grassi, caseina e fosfato di

calcio restano quasi per intero nella massa coagulata, zucchero e

Sali solubili passano nel siero. L’eliminazione del siero continua

con la frantumazione e la cottura; nel corso di queste operazioni ad

alcuni formaggi vengono aggiunti fermenti, muffe o aromi. Le fasi

della coagulazione, frantumazione e cottura costituiscono il

processo di caseificazione.

L’ultima fase è quella della maturazione o stagionatura.

Il latte può subire un trattamento termico iniziale o meno: si parla

quindi di formaggi a "latte pastorizzato" o formaggi a "latte

crudo". La scelta tra le due opzioni varia in funzione di molti

fattori: tipologia di formaggio, caratteristiche igieniche della

produzione e conferimento del latte, legislazione vigente, usi

locali, caratteristiche organolettiche che si vogliono ottenere. Vi

sono in atto tendenze culturali per promuovere i formaggi a latte

crudo e riscoprire i prodotti tipici dell'alpeggio o comunque del

pascolo.A seconda del tipo di latte utilizzato e dal tipo di

scrematura cui viene sottoposto varia la percentuale di grassi

all'interno del formaggio. I formaggi vengono quindi differenziati

in formaggi grassi, formaggi semigrassi e formaggi magri. Alcuni

dietologi non condividono questa terminologia, affermando che

nessun formaggio può essere considerato magro, in quanto la

percentuale di grasso è sempre almeno del 20%. La percentuale di

grasso varia anche a seconda della provenienza del latte: il latte di

bufala e di pecora sono generalmente più grassi rispetto al latte

vaccino o caprino.

Formaggi a latte crudo

Un formaggio è a latte crudo se la materia prima non è stata

sottoposta a pastorizzazione. Il latte è avviato alle fasi iniziali di

sosta e/o acidificazione a temperatura di circa 38 °C che è analoga

a quella di mungitura. In questo caso, la microflora batterica

positiva del latte è mantenuta inalterata con effetti specifici sulle

caratteristiche organolettiche del formaggio . Solitamente, i

formaggi a latte crudo subiscono la cottura della pasta. Un

formaggio a latte crudo è il Parmigiano-Reggiano ed è tipico dei

formaggi duri a stagionatura lenta ma anche dei numerosi

formaggi d'alpeggio o di malga di media stagionatura (formagelle,

robiole, stracchini, tome, etc.).

Formaggi a latte pastorizzato

Un formaggio è a latte pastorizzato se si è proceduto al

trattamento termico di pastorizzazione. In questo caso il latte è

portato a 72 °C per 15 s[. L'effetto è quello di eliminare eventuali

batteri patogeni e di ridurre la microflora (sia caseofila che

dannosa). In questi casi, è necessario l'insemenzamento mediante

innesti o starter. La pastorizzazione è impiegata tipicamente nei

formaggi freschi e molli. Un formaggio a latte pastorizzato è il

Gorgonzola.

Formaggi grassi

I formaggi grassi o di latte intero sono quei formaggi come il

Dolomiti o il Casolet, il cui contenuto di grassi è superiore al 42%.

Sono i formaggi a con la maggior quantità di lipidi e vengono

prodotti con il latte intero, cioè latte non scremato o parzialmente

scremato.

Formaggi semigrassi

I formaggi semigrassi, sono quei formaggi come l'Asiago il cui

contenuto di grassi è generalmente compreso tra il 35% e il 42%

Prodotti solitamente nelle zone montuose, prevedono la parziale

scrematura del latte utilizzato per la produzione

Formaggi leggeri

I formaggi leggeri sono quei formaggi come il Quark, il cui

contenuto di grassi è generalmente compreso tra il 20% e il 35%.

Formaggi freschi e formaggi duri con scrematura rilevante

rientrano in questa categoria, comunque piuttosto limitata in

termini di tipologie presenti.

Formaggi magri

I formaggi magri sono quei formaggi il cui contenuto di grassi è

inferiore al 20% I formaggi magri sono pochisimi poiché produrre

un formaggio significa, in modo molto semplicistico, concentrare i

grassi contenuti nel latte tramite la disidratazione dello stesso

Esistono in commercio vari tipi di formaggi definiti magri che

durante la lavorazione vengono sottoposti ad un ulteriore processo

di scrematura, tuttavia tale processo tende ad impoverire il gusto

del formaggio. Si possono citare la "cagliata magra" nonché alcuni

caprini totalmente scremati. In realtà, la maggior parte dei prodotti

caseari classificabili, legalmente, come magri sono latticini e non

formaggi: ad esempio, la ricotta fresca e scremata

La pasta del formaggio

Con pasta si intende tutta la parte di formaggio esclusa la crosta.

La consistenza della pasta varia a seconda della quantità d'acqua in

essa contenuta e dal periodo di stagionatura alla quale è sottoposta.

In ordine alla classificazione per cottura della pasta s'intende il

tipo di processo termico che ha subito la cagliata.

Attenzione a non confondere formaggio a "latte" crudo con

formaggio a "pasta" cruda: sono due cose diverse e le

combinazioni di formaggio a seguito dei due tipi di processo

termico (latte e cagliata) sono molteplici.

Formaggi a pasta molle

I formaggi a pasta molle, come il Gorgonzola dolce bianco o il

Camembert, sono i formaggi la cui cagliata, al momento della

lavorazione, non è stata soggetta a riscaldamento o pressione

mantenendo il formaggio morbido e liscio anche a piena

stagionatura e quindi con un contenuto di acqua relativamente alto,

tra il 45% e 70% . Di norma comunque il periodo di stagionatura

dei formaggi a pasta molle è comunque relativamente breve in

quanto il prodotto matura naturalmente in pochi giorni. Nella

categoria dei formaggi molli vanno menzionati i formaggi cremosi

(distinti ulteriormente in "doppia" o "tripla crema"), come il

Quark o il mascarpone, il cui elevato contenuto di acqua comporta

una consistenza semiliquida e particolarmente cremosa della pasta.

Spesso raggruppati tra i formaggi freschi, i formaggi cremosi non

subiscono alcun tipo di cottura della cagliata o di stagionatura

nelle cantine.

Formaggi a pasta semidura

I formaggi a pasta semidura sono quei formaggi come il pecorino

toscano o il bra, il cui contenuto di acqua è generalmente

compreso tra il 36% e il 45% e a stagionatura media.

Formaggi a pasta dura

I formaggi a pasta dura come il formaggio grana o il gorgonzola

piccante verde, sono quei formaggi il cui contenuto di acqua è

relativamente basso, in genere dal 30% al 40% e a stagionatura

lenta.

Formaggi a pasta cruda

I formaggi a pasta cruda] sono quei formaggi come la robiola o il

taleggio, la cui cagliata non è stata sottoposta a nessun processo di

cottura o riscaldamento e la concentrazione dei grassi avviene

unicamente per disidratazione.

Formaggi a pasta semicotta

I formaggi a pasta semicotta sono quei formaggi come la fontina o

il Salignon valdostano, la cui cagliata è stata riscaldata ad una

temperatura di circa 48 °C .

Formaggi a pasta cotta

I formaggi a pasta cotta sono quei tipi di formaggi come il

Montasio, Piave o il Bitto, la cui cagliata è stata riscaldata ad una

temperatura superiore ai 50 °C.

Formaggi a pasta erborinata

I formaggi a pasta erborinata, chiamati anche formaggi blu ((EN)

blue cheese, (FR) fromage bleu), sono quei formaggi come il

Gorgonzola o il Roquefort, il cui processo di lavorazione prevede

la comparsa di striature e chiazze verdi-blu all'interno della pasta,

dovute alla formazione di miceli colorati dati dalle colture di

funghi del genere Penicillium alle quali le forme vengono

sottoposte.

Formaggi a pasta filata

Sono una categoria di formaggi tipici del meridione d’Italia;

accomunati dalla lavorazione della cagliata matura con acqua

bollente che riduce la caseina in fili sottilissimi e lunghissimi. La

cagliata fila quando il paracaseinato di calcio ha eliminato parte

del calcio combinato alla caseina. La filatura consiste nel

sottoporre la pasta fusa a flusso elongazionale esercitando

un’azione di stiro delle micelle caseiniche saldate tra loro a seguito

della coagulazione del latte e rese mobili dall’acidificazione della

cagliata. O, più semplicemente, la filatura è l’operazione in virtù

della quale dieci grammi di cagliata matura portati a elevata

temperatura si possono tirare in filamenti continui in lunghezza

superiore ad un metro.

La cagliata viene sottoposta a trattamenti fisici (acqua bollente e

rotazioni) che provocano dei mutamenti della struttura, da grumi a

quella di filamenti che originano “gomitoli” più o meno grandi:

mozzarelle, scamorze, etc. Con tale pratica molto complessa si ha

un dilavamento della cagliata con notevole perdita di grasso

proveniente dal latte di partenza e dal siero residuo nella cagliata.

Il “liquido di filatura” che residua dopo aver ottenuto i formaggi a

pasta filata è quel

liquido ancora ricco in grasso che viene scremato per affioramento

e la materia grassa così ottenuta viene aggiunta al siero e poi

passata per la scrematrice centrifuga per ottenere panna di siero

più ricca.

Il liquido di filatura, scremato per affioramento, diventa poi la

base per il liquido di governo e la salsetta tradizionale. I formaggi

freschi a pasta filata subiscono un solo trattamento termico, la

filatura, mentre i semi-duri (scamorze, cacetti, ecc.) ed i duri

(caciocavalli, provoloni, ecc.) subiscono prima della filatura una

vera e propria “cottura” con acqua molto calda; la cagliata (acerba)

appena rotta in piccole dimensioni viene riscaldata con acqua e/o

siero a 75-85 °C così da portare la temperatura della massa

caseosa a 40-45 °C o addirittura 50 °C.

Questa operazione serve per eliminare acqua dalla cagliata ed

ottenere un prodotto più asciutto e quindi più conservabile, ma

questa pratica comporta una ulteriore perdita di grasso della

cagliata iniziale che viene recuperato scremando il liquido di

filatura oltre ad una riduzione della carica batterica filo casearia.

La resa è la quantità di un formaggio o di un prodotto lattiero

caseario che si ottiene da una quantità di latte riferita a 100 parti,

espresse in chilogrammi o in litri, in relazione ad una determinata

lavorazione razionale. Per poter valutare correttamente la resa di

lavorazione di una pasta filata, bisognerebbe riferirsi ad uno

“standard” preciso di lavorazione, che spesso manca.

Risultano, quindi, a volte discordanti i dati disponibili, relativi a

lavorazioni di formaggio con lo stesso nome, ma ottenuti nelle

condizioni più disparate (O.S. Del Prato 1990). I rendimenti, in

genere, si calcolano dopo 24 ore dalla fabbricazione, oppure alla

fine della lavorazione o, meglio ancora, al momento della

commercializzazione. Le rese in formaggi a pasta filata e

sottoprodotti derivati (burro e ricotta) variano a seconda della

materia prima, dell’umidità dei prodotti finiti, ma soprattutto a

seconda della tecnologia di lavorazione. Da 100 litri di siero di

latte di bufala, derivante dalla produzione di mozzarella, si

ottengono da 4,5 a 7 kg di ricotta oppure 0,700 - 1 kg di burro,

invece da 100 litri di siero di latte di vacca, derivanti dalla

produzione di fior di latte, si ottengono da 3 a 4 kg di ricotta

oppure 0,500 kg di burro.

Questi valori vanno quasi raddoppiati in caso di filatura

meccanica. Il grasso che fuoriesce dalla cagliata matura in corso di

filatura con acqua bollente viene recuperato aggiungendo il liquido

di filatura al siero e poi scremando il tutto. Da 100 kg di latte di

bufala si ottengono circa 20 - 22 kg di mozzarella (resa dopo 24

ore); da 100 kg di latte di vacca si ottengono circa 10 - 12 kg di

mozzarella. I formaggi a pasta filata si differenziano in freschi o

morbidi, semi-freschi o semiduri, e stagionati o duri. I formaggi a

pasta filata freschi possono essere ottenuti da latte di vacca, latte di

bufala, latte misto (latte di vacca e latte di bufala) ed anche con il

latte di pecora (Citro A. 2010).

Formaggi a pasta pressata

I formaggi a pasta pressata sono quei formaggi come il Canestrato

pugliese o il Raschera, il cui processo di lavorazione prevede la

pressatura meccanica della cagliata per facilitare la fuoriuscita del

siero in essa contenuto. Tali formaggi sono tutti caratterizzati dalla

formazione, a seguito di una stagionatura media, di una crosta

regolare e ben definita.

Formaggi a pasta fusa

I formaggi fusi sono i formaggi la cui cagliata, dopo eventuale

breve maturazione, è sottoposta a fusione. Alcune legislazioni

nazionali prevedono precise restrizioni relative alla produzione dei

formaggi fusi. Un classico "formaggio" fuso è la sottiletta (senza

dimenticare i numerosi e famosi formaggi fusi USA, venduti a

fette per la realizzazione dei vari panini imbottiti).

La crosta del formaggio

La crosta del formaggio è il rivestimento esterno che ricopre

alcuni formaggi (i formaggi freschi, ad esempio, ne sono

completamente sprovvisti). Può essere di varie consistenze,

spessore e colore, e si divide principalmente in due tipi: artificiale

e naturale; un esempio di crosta artificiale è la cera nera che

ricopre il formaggio inglese Derby alla salvia, mentre con crosta

naturale si intende la crosta che si forma da sola durante il

processo di lavorazione del formaggio. La crosta naturale si divide

in crosta fiorita e crosta lavata.

Formaggi a crosta fiorita

I formaggi a crosta fiorita o crosta brinata sono quei formaggi

come il Brie e il Caprice des dieux che, nel momento della

lavorazione, vengono sottoposti ad un trattamento tramite muffe

speciali del genere Penicillium, come il Penicillium camemberti

utilizzato per la produzione di Camembert e Brie. Tali muffe

conferiscono alla crosta la tipica consistenza soffice e la

colorazione biancastra da cui proviene il nome, ricordando talvolta

un prato fiorito e talvolta uno strato di brina. In provincia di

Brescia è diffusa, per tradizione, la produzione di robiole (sia di

latte di vacca che di capra) a crosta fiorita (si utilizza quasi sempre

il camemberti come penicillium spruzzato sulla superficie).

Formaggi a crosta lavata

I formaggi a crosta lavata o crosta rossa] sono quei formaggi

come lo Chaumes e il Rollot, la cui superficie viene ripetutamente

lavata e spazzolata al fine di eliminare le eventuali muffe che si

formano, permettendo la crescita di un particolare tipo di batteri

che conferiscono alla crosta la tipica colorazione rosso-marrone

andando ad incidere direttamente sul sapore e sull'aroma del

formaggio . La lavatura della crosta avviene principalmente per

mezzo di acqua salata, ma anche birra, brandy e altre soluzioni. Il

formaggio DOP italiano a crosta lavata più famoso è il Taleggio.

La stagionatura del formaggio

Con stagionatura o maturazione del formaggio si intende il

processo di riposo al quale viene sottoposto un formaggio. A

livello chimico si hanno la fermentazione degli zuccheri e la

degradazione di proteine e grassi. Le forme di formaggio vengono

generalmente poste nelle cantine dove vengono fatte riposare per

settimane, mesi o anni a seconda del tipo di formaggio, in un

ambiente chiuso e con un'umidità particolarmente alta, attorno al

90%. La cantina non è però l'unico luogo per la stagionatura, vi

sono infatti formaggi come il formaggio di fossa o il formaggio di

grotta che, come suggerisce il nome, vengono lasciati riposare per

alcune settimane in fosse artificiali o naturali appositamente

predisposte.

Formaggi freschi

I formaggi freschi sono quei formaggi a pasta molle come il Bel

Paese o il mascarpone, la cui cagliata oltre a non essere stata

sottoposta a cottura, non è stata nemmeno sottoposta a

stagionatura. Questi formaggi contengono almeno l'80% di acqua

e non presentano mai la crosta]. Il formaggio fresco è quindi un

prodotto i cui tempi di deperibilità sono molto brevi e il consumo

avviene entro pochi giorni dalla lavorazione.

Formaggi affumicati

I formaggi affumicati sono i formaggi sottoposti, in fase di

maturazione, ad un processo di affumicatura che ne conferisce i

classici aromi fumé. Diverse interpretazioni di Pecorino o di

Provolone ma anche di Ricotta sono di tipo affumicato. Mediocri

sono i formaggi "aromatizzati" al gusto di fumo che non sono

sottoposti ad un vero procedimento di affumicatura ma a

trattamenti chimici (questo chiaramente incide sul prezzo del

prodotto).

Formaggi a stagionatura media

I formaggi a stagionatura media sono quelli il cui periodo di

stagionatura è inferiore ai 6 mesi ma oltre il mese (sotto tale

periodo si è nel caso dei formaggi "freschi")-

Formaggi a stagionatura lenta

I formaggi a stagionatura lenta (o "lunga") sono quelli il cui

periodo di stagionatura va oltre i 6 mesi per arrivare a 12 e oltre

nel caso dei cosiddetti formaggi extraduri.

IL MENU

Il momento determinante dell'intero servizio ristorativo è costituito

dalla scelta delle pietanze, preparate nella zona di produzione e

consumate dal cliente, nella maggior parte dei casi, nella sala

ristorante.

Al cliente viene data la possibilità di effettuare la sua scelta

consultando il menu.

Il termine "menu" è usato correntemente:

sia per indicare il menu operativo, cioè l'insieme delle pietanze

che costituiscono un pranzo;

sia per indicare il menu fisico, cioè il supporto (la carta o il

cartoncino) sul quale vengono ordinatamente riportati i piatti.

Per concepire correttamente il menu operativo, è necessaria

un'accurata selezione dei piatti, che tenga conto di molteplici

fattori: le esigenze e le abitudini alimentari della clientela, il

contesto nel quale viene svolto il servizio ristorativo, la

stagionalità dei piatti offerti e così via.

Le principali tipologie di menu

I tipi di menu più utilizzati possono essere raggruppati in due

categorie:

menu alla carta , detto anche “a scelta del cliente”;

menu fisso;

MENU ALLA CARTA

È l'elenco delle preparazioni gastronomiche proposte dall'azienda

ristorativa, ordinate per portate.

Per portata si intende ciascuna delle diverse vivande che si portano

in tavola: un pranzo di tre portate, per esempio, può essere

costituito dal primo, dal secondo e dal dessert. La lista delle

vivande riporta, oltre agli ingredienti caratterizzanti il piatto,

l'indicazione se si tratta di un alimento fresco o surgelato e il

prezzo di vendita. Questo tipo di menu consente al cliente di

determinare la scelta gastronomica e l'ammontare del conto.

Nella grande carta, la lista è molto più lunga e comprende piatti

raffinati ed elaborati, talvolta appartenenti alla cucina

internazionale. Viene generalmente proposta nei ristoranti di

categoria superiore ed è solitamente aggiornata con cadenza

stagionale.

MENU FISSO

In questo caso l'offerta gastronomica viene definita dall'azienda

ristorativa e il cliente effettua la sua scelta in relazione a essa,

quindi non ha un ampio margine di discrezionalità. Il menu

propone, generalmente, da due a tre piatti per portata, offrendo al

cliente la possibilità di scegliere un piatto per portata. Il prezzo,

solitamente accessibile, è prefissato e si riferisce al menu nel suo

complesso.

Tra le tipologie più diffuse di menu fisso ricordiamo il menu

turistico, il menu a tema.

Il menu turistico costituisce una vera e propria strategia

commerciale per attirare i clienti. Viene proposto con prezzi

particolarmente vantaggiosi nei ristoranti delle località turistiche.

Per invogliare i turisti non si punta solo sul prezzo, ma anche

sull'offerta: di solito si propongono due o tre menu alternativi

completi a prezzo fisso.

Il menù a tema prevede la presenza dello stesso alimento in tutte

le portate .

Il menu per ricorrenze è stilato dai ristoratori in occasione di

festività particolari, come il Natale, il Capodanno, il giorno di San

Valentino ecc.

ALTRI TIPI DI MENU FISSO:MENU DEGUSTAZIONE

Possiamo definirlo una variante raffinatissima del menu a prezzo

fisso. Infatti, anche in questo caso il prezzo è predefinito; i piatti

sono però di livello decisamente superiore, sia per la qualità e la

freschezza degli alimenti impiegati, sia per la tecnica culinaria.

Le pietanze sono generalmente elaborate, creative e innovative. Il

servizio si svolge con dressage di ogni singolo piatto e le porzioni

sono ridotte: si tratta, in buona sostanza, di "assaggi", ben

presentati e completati con guarnizioni. A ogni piatto è in genere

abbinato un vino specifico.

Queste pietanze incuriosiscono, stuzzicano l'appetito e appagano la

fantasia degli ospiti, che possono gustare in un solo servizio le

diverse specialità della casa. Il prezzo fisso è comprensivo dei vini

e del servizio.

MENU CONCORDATO

Si stila in linea di massima per banchetti, cerimonie e occasioni

diverse: matrimoni, feste, convegni ecc. Il menu viene definito dal

cuoco o dal manager della ristorazione insieme al committente del

banchetto, il quale conosce le caratteristiche del gruppo di invitati

e le loro esigenze gastronomiche e nutrizionali. La scelta dei piatti

viene fatta considerando anche la spesa pro capite che il

committente intende sostenere.

PIATTO UNICO

Non può essere considerato un vero e proprio menu, bensì la

proposta, a prezzo fisso, di un piatto variamente composto che da

solo potrebbe costituire un pasto. La richiesta del piatto unico è

sempre più diffusa e trova la sua motivazione nella necessità, oggi

molto sentita, di rispettare sani principi nutrizionali.

La composizione del piatto unico si rifà alla dieta mediterranea,

che prevede il consumo prevalente di pane, pasta, legumi, pesce,

latte e derivati, frutta fresca, olio d'oliva come condimento.

L'apporto calorico complessivo di un piatto unico non deve

superare le 700/800 kcal e deve garantire un equilibrato apporto di

nutrienti: carboidrati, lipidi, glucidi, vitamine e sali minerali.

I CRITERI PER LA DETERMINAZIONE DEL MENU

Il menu è il catalogo dei prodotti che l'azienda ristorativa può

offrire. Per la sua realizzazione è necessario molto impegno: un

menu poco curato può contribuire all'insuccesso dell'attività, al

contrario, se ben studiato e progettato nei minimi dettagli può

favorirne il successo.

La determinazione di un menu operativo, che raggiunga

l'approvazione e il gradimento dei clienti, è quindi un'attività

complessa e delicata, che richiede esperienza e sensibilità e che

non si esaurisce con la stesura di un semplice elenco di piatti e

bevande.

I piatti proposti devono tenere conto non solo della personalità e

della professionalità di chi stila il menu, ma presuppongono il

rispetto di alcune regole pratiche nelle seguenti fasi di

composizione:

definizione del numero di portate;

scelta dei singoli piatti e della loro corretta successione;

abbinamento tra piatti e bevande e abbinamento dei cibi tra loro.

NUMERO E SEQUENZA DELLE PORTATE

Si deve ad Auguste Escoffier, grande nome della cucina francese

della metà del XIX secolo, la codificazione della sequenza delle

portate che per lungo tempo ha caratterizzato i menu di gala.

Tuttavia, i grandi pranzi del passato, costituiti da 10-12 portate,

attualmente non sono più realizzabili.

I menu, infatti, sono stati oggi snelliti e semplificati, sia per la

ridotta disponibilità di tempo, sia per rispettare le regole dietetiche

basilari.

Tre portate è il numero minimo indispensabile perché si possa

parlare di un vero menu operativo. Nel caso di pranzi o cene di

gala, il menu può prevedere cinque portate, introdotte da un

aperitivo.

L'aperitivo è costituito in genere da bevande aromatizzate

leggermente alcoliche o analcoliche e da stuzzichini salati, che

hanno lo scopo di predisporre al pasto.

La prima portata corrisponde agli antipasti, che si suddividono

in caldi e freddi; gli antipasti freddi vanno serviti solo a colazione.

La seconda portata è costituita dai primi piatti, cioè minestre,

zuppe, risotti, paste asciutte o piatti gratinati.

La terza portata comprende, in genere, il pesce o i piatti di

mezzo, vale a dire le preparazioni a base di pesce, carne, animali

da cortile, selvaggina, uova, nonché i soufflé, i flan e gli sformati.

La quarta portata è rappresentata dal secondo piatto. Quando è a

base di carne, viene anche detta "piatto forte" o "piatto centrale" e

ad essa si abbina solitamente il vino più prestigioso di tutto il

pasto; quando invece è costituita da pesce, viene definita "piatto

principale".

La quinta portata è costituita da formaggi, dessert e frutta.

REGOLE DI COMPOSIZIONE DEL MENU

I piatti che compongono un menu devono differenziarsi per evitare

di riproporre:

la stessa materia prima (per esempio un risotto alla crema di

asparagi e un filetto in crosta con punte di asparagi);

la medesima tecnica di cottura (per esempio più pietanze fritte);

lo stesso modo di presentare il piatto ;

alimenti dello stesso colore; è infatti importante il contrasto

cromatico tra un piatto e l'altro;

salse uguali nel colore o molto simili nel sapore e negli aromi;

in particolare, le salse a base di burro non vanno ripetute.

Inoltre, nella composizione dei menu è opportuno rispettare le

seguenti regole:

alternare le carni bianche a quelle rosse;

le paste e i risotti andrebbero serviti solo a colazione, a pranzo

si servono le zuppe e le minestre;

come dessert è bene servire sempre dolci al cucchiaio; le torte si

servono soltanto in caso di ricorrenze e cerimonie.

SCELTA DEI PIATTI

Nella scelta dei piatti che compongono il menu influiscono in

maniera determinante i seguenti parametri:

le condizioni climatiche in cui ci si trova;

la stagionalità degli alimenti;

la circostanza per la quale il menu è stilato;

la tipologia degli avventori.

Le condizioni climatiche, legate alla stagione in cui ci si trova,

influiscono concretamente sulla scelta dei piatti. Nelle stagioni

calde si devono evitare piatti particolarmente calorici e pesanti,

privilegiando i piatti freddi a base di vegetali freschi. I piatti caldi

devono essere leggeri e realizzati con cotture semplici e veloci.

Nei piatti autunnali in genere sono presenti la selvaggina, la frutta

e i vegetali di stagione (castagne, funghi ecc.). In inverno i piatti

sono più sostanziosi, calorici e caldi.

La stagionalità dei prodotti alimentari non è più molto seguita.

L'azienda ristorativa ha infatti la possibilità di approvvigionarsi

tutto l'anno di prodotti surgelati, coltivati in serra o importati

dall'estero.

Ciò nonostante, è opportuno, per quanto possibile, utilizzare gli

alimenti freschi nel periodo di produzione ed evitare in ogni caso i

prodotti conservati quando si ha la possibilità di reperire quelli

freschi.

Le circostanze che determinano la realizzazione di un pranzo o di

un banchetto sono innumerevoli. In questi casi i menu sono stilati

in relazione alle caratteristiche dell'evento: potremo avere menu

per le festività tradizionali, per cene e pranzi di lavoro, per

cerimonie e banchetti particolari ecc.

La composizione del menu varia a seconda dell'importanza e del

valore formale attribuiti alle diverse circostanze. In base a questo

si sceglieranno i piatti che rappresentino nel modo più appropriato

le caratteristiche dell'evento.

Così, per esempio, in occasione di una cena aziendale, circostanza

generalmente piuttosto formale, il menu potrebbe essere

caratterizzato da piatti della cucina tradizionale, curati nella

preparazione e nella presentazione. In considerazione

dell'eccezionalità dell'evento, in simili occasioni può essere

consentito assumere più calorie di quelle previste da una normale

dieta. Il menu potrà quindi proporre anche più di cinque portate,

oppure portate con doppi piatti o con più assaggi.

La scelta dei piatti che compongono un menu è fatta tenendo conto

anche della tipologia delle persone a cui esso si rivolge (sesso, età,

cultura, condizione sociale). Così, per esempio, per una clientela di

giovani si possono prevedere piatti semplici e sfiziosi, ma

soprattutto facili e veloci da consumare. Per le persone più mature,

invece, i piatti devono essere molto più curati ed elaborati, adatti a

una consumazione lenta e conviviale.

ABBINAMENTO TRA I PIATTI E LE BEVANDE

L'abbinamento tra piatti e bevande deve essere trattato con estrema

cura, in quanto la corretta scelta del vino da accostare a ogni piatto

valorizza la preparazione e consente al cliente di apprezzarla al

meglio.

Questa attività richiede grande esperienza e professionalità, ed è

ancora prematuro in questa sede parlare delle sue modalità di

svolgimento.

Per il momento è importante sapere che a ogni caratteristica del

piatto deve corrispondere una caratteristica del vino; quando

questo abbinamento avviene in maniera corretta, i sapori del vino e

del cibo si esaltano a vicenda e si equilibrano.

Errori da evitare

Nella determinazione dei menu si compiono talvolta degli errori,

che possono essere così riassunti:

liste di piatti lunghe e noiose, che determinano nei clienti

confusione e difficoltà nella scelta del piatto desiderato;

uso di una terminologia professionale o di fantasia, il più delle

volte incomprensibile per i clienti, i quali spesso non hanno il

coraggio di chiederne il significato e tendono a scegliere i piatti

che più li rassicurano;

menu immutabili, che risalgono all'apertura dell'attività e mai

più variati;

menu non adeguati al locale; in questo caso il piatto può essere

troppo raffinato per lo stile del locale.

LE UOVA

L'uovo occupa il primo posto nella scala degli alimenti ad alto

valore biologico, cioè contiene tutti gli aminoacidi essenziali e

tutti in forma utilizzabile.

Un uovo di gallina medio pesa circa 60 g, fornisce 8 g di proteine

nobili, ripartite tra albume e tuorlo.

Inoltre vitamine, sali minerali e acidi grassi sono presenti in ottime

percentuali.

Nel tuorlo sono contenuti fosforo, calcio, ferro, zinco, vitamina A,

B1, D, E.

Il tuorlo contiene anche circa 7 g di grassi, di cui grassi saturi il

30%, con 270 mg di colesterolo ed il 70% insaturi, benefici ed

indispensabili.

Contiene anche l'acido oleico, acido linolenico e lecitina.

Queste sostanze sono in grado di contrastare il colesterolo

(comunque necessario al corpo umano in certe quantità).

Con la lettera A sono indicate uova di 70 g circa, con la B quelle

di circa 60 g e quelle con la lettera C di 45 g.

Quelle di categoria C sono generalmente destinate all'industria

dolciaria.

Le extrafresche (raccolte ed imballate quotidianamente) hanno la

scritta "extra" in bianco su una banda rossa.

Un preconcetto riguarda la presunta indigeribilità dell'uovo e la

sua nocività per il fegato. In realtà l'uovo favorisce lo svuotamento

della colecisti ed in caso di calcolosi biliare, favorisce le dolorose

coliche biliari.

L'albume non andrebbe mai consumato crudo, in quanto contiene

dei fattori antinutrizionali, come l'avidina.

La vita media di un uovo è calcolata in tre - quattro settimane.

Le uova non dovrebbero bollire, poiché ferro e zolfo alla

temperatura di ebollizione, formano il solfuro di ferro, sostanza

venefica. Metterle nell'acqua fredda, mantenere il recipiente sul

fuoco fino ad ebollizione, quindi spegnere e lasciarle a bagno sino

a raffreddamento se si vogliono sode, togliendole prima se le si

preferisce alla coque. L'uovo così cucinato è più gustoso di quello

bollito e molto digeribile.

Un altro modo veloce per cuocere le uova è per esempio quello

delle uova strapazzata al microonde : romperle in un piatto e

infilarle nel forno a microonde per 3 minuti.

Anche se nel tuorlo c'è molto colesterolo, non ci sono i grassi

saturi responsabili dell'aumento nell'organismo del colesterolo

cattivo. Se si limita il consumo di salumi e formaggi grassi, si

possono consumare le uova senza alcune preoccupazione.

Un uovo al giorno può far raddrizzare i livelli di colesterolo

buono, lo ha scoperto una ricerca thainlandese che dimostra come

mangiarne uno al giorno per 3 mesi aumenti i livelli di Hdl

(colesterolo buono) del 48%, merito anche della lecitina che si

trova nel tuorlo.

Uova Extra : sono uova deposte da meno di 9 giorni, sono quindi

le più fresche.

Controllare in ogni caso la data di deposizione perché vanno

consumate entro un mese.

Sbucciare l'uovo sodo facilmente : rompere il guscio sulla punta

e sul fondo e togliere alcuni pezzi; avvicinare alla bocca la punta

tenendo l'uovo nella mano e soffiare forte : uscirà l'intero uovo dal

proprio guscio.

Per tutte le loro qualità, le uova fanno bene a :

Memoria e concentrazione

Funzionalità epatica

Prevenzione dell'ateriosclerosi

Formazione di ossa e muscoli

Lotta all'iposideremia (mancanza lieve o grave di ferro nel sangue)

Prevenzione della calcolosi biliare

Produzione di energia

Dieta ipocalorica (per l'elevato senso di sazietà con limitato

apporto di calorie)

Chi non dovrebbe farsi mancare le uova :

Bambini e adolescenti

I vegetariani

Gli anziani

Gli sportivi

A chi sono sconsigliate le uova :

A chi soffre di calcolosi biliare sintomatica (i lipidi delle uova

stimolano la contrazione della colecisti provocando possibili

coliche)

Alle persone immunodepresse o che si sottopongono a cicli di

chemioterapia ad alte dosi (perché sono esposte di più al pericolo

di contaminazione batterica, chi ha un sistema immunitario

indebolito deve consumare solo prodotti microbiologicamente

sicuri

Bambini con familiarità alle allergie alla proteine dell'uovo

Leggende sbagliate :

Le uova aumentano il tasso di colesterolo (è presente solo nel

tuorlo che ne contiene solo 185mg, concentrazione non allarmante

se si pensa che una dose prudente è 300mg al giorno. Il colesterolo

è una sostanza necessaria per produrre alcuni ormoni tra cui quelli

sessuali estrogeni e testosterone e il cortisolo!)

Si digeriscono difficilmente (in realtà due uova crude o alla coque

lasciano lo stomaco in circa 2 ore, contro ad esempio le 3 ore

necessarie per la carne. La digeribilità dipende alla preparazione!

E' bene non cuocere le uova troppo a lungo ed evitare

assolutamente l'impiego eccessivo di grassi e che danno quel senso

di pesantezza che non è da attribuirsi alle uova!

Fanno male al fegato (Sono i grassi della cottura portate ad alta

temperatura ad esempio nelle uova fritte ad appesantire e rallentare

il lavoro del fegato!)

Come riconoscerne la freschezza?

Un uovo fresco si riconosce dal guscio vellutato e pulito, dal

tuorlo senza macchie, dall'albume chiaro e limpido. Se si immerge

in acqua e sale : se si deposita orizzontalmente sul fondo vuol dire

che è fresco.

A parte la data di scadenza, un metodo per riconoscere se il

prodotto è fresco è verificare se in controluce si riesce a vedere

l'ombra del tuorlo al centro dell'uovo.

Segreti di cottura

L'uovo alla coque è ricco di nutrienti e dietetico. Toglierlo dal

frigo un'ora prima per evitare che il guscio si rompa in cottura.

Immergerlo in acqua quando è vicina all'ebollizione con un

cucchiaio in modo da coprirlo del tutto. Cuocere per 3 minuti

esatti.

Frittata light

Invece di friggere le uova, adagiarle su una piccola teglia e

spennellarla con un filo di olio. Infornare la teglia. Si

risparmieranno circa 100 calorie.

Quante mangiarne a settimana?

Circa 4.

Quali uova comprare ?

Comprare solo uova confezionate, nei contenitori in plastica o in

quelli meno inquinanti di cartone.

Controllarne la data di scadenza al quale è di 28 giorni dopo la

deposizione

Sul guscio è stampato un codice con le informazioni sulla

produzione, il paese IT è ovviamente l'Italia, poi comune,

provincia, azienda

Il tipo di allevamento è indicato da un numero : in gabbia 3, a terra

2, all'aperto 1, da agricoltura biologica 0.

Le galline libere fanno meno uova e quindi costano di più, sono

più saporite e sono prodotte rispettando gli animali.

Taglia e categoria delle uova

Le uova vanno da piccole S (meno di 53 grammi) a grandissime

XL (maggiori di 73 grammi).

Sapore e valori nutrizionali sono simili ma quelle piccole costano

di meno.

Categoria Extra : di qualità superiore, in vendita entro nove giorni

dalla deposizione.

Il colore dell'uovo non c'entra con la qualità ma solo con la razza

della gallina.

LE CARNI ROSSE: I BOVINI.

Classificazione dei bovini:

- vitello, bovino maschio o femmina di età inferiore ai 12 mesi

(generalmente viene macellato a circa 4 mesi) dalle carni molte

tenere grazie all’elevato contenuto di acqua, che a volte,

purtroppo, può essere stato ottenuto con la somministrazione di

ormoni, che hanno l’effetto di gonfiare le carni;

- vitellone, bovino maschio o femmina abbattuto tra i 12 e i 18

mesi, ha carni tenere e con un ottimo valore nutritivo anche se

contiene meno acqua del vitello;

-manzo, bovino di 3/4 anni, che se maschio è stato castrato, se

femmina non ha mai partorito, con una quantità di acqua contenuta

nelle carni più bassa ed un più alto contenuto in grassi;

-bue, bovino maschio castrato di oltre 4 anni, le carni sono simili a

quelle del manzo.

Classificazione dei tagli:

1° taglio – carni del quarto posteriore, sono le più pregiate e le più

costose, hanno una cottura rapida (ai ferri o in padella);

2° taglio – carni del quarto anteriore, sono meno pregiate, ma

ugualmente nutrienti, hanno una cottura semirapida (al forno,

arrosto, spezzatino);

3° taglio – carni del quarto anteriore, ma non pregiate, sono le

meno costose, hanno una cottura lenta (bollito, stufato, brasato).

Su cosa basarci per la scelta della carne bovina?

1) Il colore, è il biglietto da visita della carne, purtroppo può

essere influenzato dagli effetti dell’illuminazione ambientale.

2) Il pH, è la misurazione dell’acidità o della basicità di una

sostanza, è neutro al momento della macellazione, dopo di che si

modifica e si stabilizza intorno a 5,4/5,5, che corrisponde ad una

leggera acidità e che è il valore ideale per una carne di qualità; se

la carne ha un pH con valore più alto si manifesta il fenomeno

detto “carne strapazzata”; un ritardo nell’abbassamento del pH

provoca, invece, un aumento dell’intensità del colore e della

ritenzione idrica.

3) La ritenzione idrica, è determinante per una carne di qualità,

influisce su aspetto, cottura e succosità; l’acqua rappresenta il 75%

del peso di un muscolo dividendosi in acqua legata e acqua libera;

l’acqua legata è quella saldamente all’interno delle fibre muscolari

(è una percentuale esigua, circa il 5%), l’acqua libera è, invece,

racchiusa nella struttura muscolare; se l’acqua legata è in

percentuale troppo bassa, dopo la cottura la carne risulterà

stopposa e dura, ma potrebbe essere anche colpa di una cottura

troppo protratta; variazioni della capacità di ritenzione idrica sono

legate alla specie, al sesso, all’età, allo stato di salute, al grado di

preparazione, alle modalità di trasporto degli animali; gli ormoni

hanno un grandissimo potere nel far ritenere più acqua.

I SUINI

Il maiale è un animale tenuto molto in considerazione dal mondo

contadino, in quanto il suo allevamento comporta bassi costi per

un’ottima resa. Del maiale non viene sprecato niente, si mangiano

perfino pelle, piedi, orecchie e sangue. La tradizione italiana

implica che la maggior parte del maiale venga destinata alla

produzione di salumi. In Italia, appunto per soddisfare la forte

richiesta di salumi, si producono soprattutto suini pesanti.

Il suino pesante (destinato all’industria salumiera), deve avere

carne matura con capacità di trattenere i liquidi ed un contenuto di

grasso idoneo. Una carne troppo magra, dopo la stagionatura del

salame o del prosciutto, darebbe un prodotto secco e troppo salato.

Il suino magro (consumo diretto delle carni), ha, oggigiorno,

grazie ad anni di selezione genetica, di cure appropriate e diete

meticolose, addirittura carni più magre di quelle bovine, con tassi

di colesterolo e di grassi saturi inferiori.

La carne di maiale magro ha mediamente circa 140/146 calorie per

100 grammi, quella di maiale grasso ne ha 394.

LE CARNI BIANCHE

La carne bianca (pollo, tacchino, coniglio) è ricca di proteine

nobili (indispensabili all’organismo, per esempio, per rinnovare i

tessuti e per la formazione degli ormoni, degli enzimi, degli

anticorpi) e di aminoacidi ramificati (utili nel metabolismo dei

muscoli e nel promuovere lo smaltimento delle tossine che si

formano quando un organismo svolge un intenso lavoro atletico).

Nonostante l’aspetto bianco della carne, 100 grammi di pollo e

tacchino contengono rispettivamente 1,5 e 2,5 grammi di ferro,

valori più o meno equivalenti alla carne di bovino.

La carne di pollo ha il vantaggio di essere più facilmente

masticabile e digeribile, soprattutto se cucinata in modo semplice

(arrosto, ai ferri, lessata). La tenerezza del pollo è dovuta alla

struttura delle fibre muscolari che presentano un diametro di circa

45-48 micron, una misura inferiore a quella delle carni bovine (73-

75 micron), delle carni ovine (50-54 micron) e di quelle suine (90-

92 micron). Le carni bianche risultano più agevolmente masticabili

e digeribili anche perché hanno una minor presenza di tessuto

connettivo, un consiglio è quello di non esagerare nei condimenti e

nei sughi.

Un’altra caratteristica delle carni bianche riguarda la ridotta

presenza di grassi: solo l’1% nel petto di pollo e l’1,5% nel

tacchino (senza pelle). Il basso contenuto di grassi, (che tra l’altro

sono concentrati nella pelle, facilmente eliminabile), riduce

l’apporto calorico di queste carni, rendendole ideali per chi tiene

sotto controllo il peso corporeo. Comunque, il grasso di pollo e

tacchino ha caratteristiche più vicine ai grassi di origine vegetali,

infatti, nella sua composizione predominano gli acidi grassi

polinsaturi (acido linoleico e linolenico), e contiene molto meno

colesterolo.

E’ sbagliato credere che i polli in passato fossero migliori di quelli

di oggi perché mangiavano quello che trovavano in terra. Grazie ai

progressi della zootecnia (scelta dei riproduttori, mangimi

bilanciati, allevamento a terra, macellazione nel rispetto delle

norme sanitarie), i polli sono molto più garantiti dal punto di vista

igienico e nutrizionale. Una volta la carne era più soda perché gli

animali vivevano più a lungo ed impiegavano più tempo a

crescere. Nei polli e nei tacchini non c’è uso di ormoni estrogeni,

perché tale impiego può offrire dei vantaggi all’allevatore solo per

gli animali di grossa taglia (pollo e tacchino hanno una massa

corporea limitata e un ciclo d

SELVAGGINA DI PIUMA:FAGIANO-BECCACCIA-

QUAGLIA-PERNICE

Il fagiano ha carni molto pregiate, specialmente la femmina, che

per il piumaggio bruno-beige si differenzia dal maschio:

quest’ultimo ha penne variopinte e coda molto lunga. Per

distinguere i soggetti giovani da quelli vecchi occorre osservare la

prima penna dell’ala, che nei primi è a punta, mentre nei secondi è

arrotondata. Il fagiano può essere cotto arrostito, in casseruola, in

salmì, in chartreuse, in pâté. La beccaccia e il beccaccino si

distinguono per il caratteristico becco lungo e appuntito; hanno

zampe corte leggermente azzurrate e piumaggio bruno-rossiccio

(beccaccia) o bruno-grigio (beccaccino). Sono in genere cotti

arrostiti, in casseruola, in pâté e in salmì. La pernice ha forma

tozza, coda corta e becco rosso; il colore del piumaggio cambia

secondo la varietà: la più apprezzata è quella grigia. La pernice

vecchia si riconosce dal becco duro e scuro ed è utilizzata solo per

farce e chartreuse, mentre quella giovane viene cotta arrostita o in

casseruola. La carne, delicata e tenera, non necessita di frollatura

prolungata. La quaglia è un piccolo uccello migratore il cui

allevamento è oggi piuttosto diffuso. Le carni d’allevamento sono

abbastanza tenere, con un aroma quasi assente; non devono quindi

essere sottoposte ad alcun periodo di frollatura. Le quaglie

vengono in genere arrostite, cotte in casseruola oppure affogate.

SELVAGGINA DI PELO:LEPRE -CINGHIALE-

CAPRIOLO

Le carni di lepre più apprezzate sono quelle della femmina, di 6-10

mesi e del peso di 2,5 kg. Può essere utilizzata appena uccisa,

ancora calda, o dopo averla fatta frollare 2-3 giorni nella sua pelle.

Il cinghiale viene in genere fatto frollare con la pelle per un

periodo variabile da 3 a 7 giorni, secondo l’età dell’esemplare.

L’animale più pregiato e utilizzato è il cinghiale giovane, cotto in

umido, arrostito o al salto, tagliato come il maiale (costolette,

nocette, scaloppine). Il capriolo ha in genere carni molto delicate,

in particolar modo la femmina e i soggetti giovani. Di solito è

cotto al sangue, arrostito, grigliato oppure al salto. La carne dei

soggetti adulti, del peso di 15-20 kg, viene invece cucinata in

umido (civet).

LO SLOW FOOD

Lo slow food nasce a Bra è un associazione internazionale ed ha l’obbiettivo di tutelare e di promuovere il piacere del mangiar bene e del enogastronomia attraverso progetti, pubblicazioni,eventi e manifestazioni battendosi contro l’omologazione dei sapori ,l’agricoltura massiva le manipolazioni genetiche . l’Arca del Gusto è uno dei progetti più significativi e si occupa di un attività di ricerca di tutti quei prodotti appartenenti al patrimonio enogastronomico italiano che corrono il rischio di scomparire

Lo slow food è un’associazione internazionale fondata da Carlo Petrini che ha come obbiettivo quello di tutelare e di promuovere prodotti tipici enogastronomici attraverso eventi, progetti, manifestazioni che si battono contro l’omologazione dei sapori ,l’agricoltura massiva le manipolazioni genetiche e promuovono il piacere del mangiar bene. Uno dei progetti piu importanti

dello slow food è l’Arca del Gusto che ricerca e protegge quei prodotti che appartengono al patrimonio enogastronomico italiano e che possono correre il rischio di scomparire

È un movimento internazionale che ha come obiettivo quello di promuovere il mangiar bene sostenendo la cultura del cibo e del vino opponendosi alla tendenza ,tipica del fast food ,del mangiare velocemente attraverso eventi ,progetti e manifestazioni che vanno contro l’agricoltura di massa l’omologazione dei sapori le manipolazioni genetiche. Un progetto molto importante dello slow food è quello dell’Arca del gusto che serve a tutelare quei prodotti che appartengono al patrimonio enogastronomico italiano e che corrono il rischio di scomparire. Lo Slow Food nasce a Bra ed è fondata da Carlo Petrini

George Auguste Escoffier

Nato 28 ottobre 1846 in una modesta famiglia, a soli tredici anni abbandonò gli studi per andare presso la trattoria dello zio a Nizza, dove lavorò come lavapiatti ed aiuto cuoco. Presto si accorse di avere una grande passione per la gastronomia, e spinto dalla voglia di migliorarsi, abbandonò lo zio, per intraprendere varie esperienze presso hotel e ristoranti, fra i quali anche il Petit Moulin Rouge di Parigi. Dopo la pausa della guerra sotto l’impero di Napoleone III, dove fu destinato alle cucine militari, finalmente nel 1879 fondò un suo ristorante che conquistò in breve

tempo una rinomanza internazionale. Curiosamente, la carriera di questo cuoco francese si svolse prevalentemente in Inghilterra, dopo l’incontro con Cesare Ritz. Escoffier sosteneva che la “grandeur” della cucina francese era dovuta alle salse, e la sua abilità fu di comprendere il cambiamento dei ritmi della vita moderna, sostenendo la necessità di un servizio rapido e di una cucina priva di orpelli. Credeva che la gastronomia dovesse essere scientifica, curata con metodo e praticata con estrema semplicità, valorizzando il sapore ed il nutrimento dei cibi, che dovevano essere anche leggeri e digeribili. Secondo lui un menù non era soltanto una lista di un certo numero di pietanze, ma doveva essere un raggruppamento armonioso di cibi, in modo da formare una “leccorniosa orchestrazione”. Muore nel 1935 a Montecarlo Escoffier, con un senso organizzativo davvero unico fu il creatore della famosa “brigata di cucina”,in senso piramidale ,schema organizzativo rimasto in uso nei grandi alberghi fino ad oggi

Il grande George ha avuto anche un’intensa attività letteraria, collaborando con riviste e pubblicando vari libri, fra i quali gli immortali “Le Guide Culinaire” e “Le Livres des Menus”.