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"LA COSCIENZA CRISTIANA A SOSTEGNO DEL DIRITTO ALLA VITA" ATTI DELLA TREDICESIMA ASSEMBLEA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA Città del Vaticano, 23 - 25 Febbraio 2007 A cura di : ELIO SGRECCIA JEAN LAFFITTE LIBRERIA EDITRICE VATICANA 2008 Discorso del Santo Padre BENEDETTO XVI Dichiarazione finale Comunicato Ufficiale CONTRIBUTI DELLA TASK-FORCE H.E. Card. JAVIER LOZANO BARRAGÁN, Reflexiones a propósito de algunos textos sobre la conciencia de Juan Pablo II y Benedicto XVI H. E. Msgr. Anthony FISHER, La coscienza morale secondo la riflessione etica e l'attuale crisi di autorità Prof. Brian JOHNSTONE, La coscienza morale e l’innovazione cristiana:elementi per una lettura teologica 1

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"LA COSCIENZA CRISTIANA A SOSTEGNODEL DIRITTO ALLA VITA"  ATTI DELLA TREDICESIMA ASSEMBLEA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA Città del Vaticano, 23 - 25 Febbraio 2007  A cura di  :   ELIO SGRECCIA  JEAN LAFFITTE    LIBRERIA EDITRICE VATICANA2008  Discorso del Santo Padre BENEDETTO XVI Dichiarazione finale Comunicato Ufficiale  CONTRIBUTI DELLA TASK-FORCE  H.E. Card. JAVIER LOZANO BARRAGÁN, Reflexiones a propósito de algunos textos sobre la conciencia de Juan Pablo II y Benedicto XVI

H. E. Msgr. Anthony FISHER, La coscienza morale secondo la riflessione etica e l'attuale crisi di autorità

Prof. Brian JOHNSTONE, La coscienza morale e l’innovazione cristiana:elementi per una lettura teologica Prof. Robert P. GEORGE, Doveri Politici, Coscienza Morale e Vita Umana Prof. Luke GORMALLY, La responsabilità personale e sociale nel contesto della difesa della vita umana: il problema della cooperazione al male Prof. Jean LAFFITTE, Storia dell’obiezione di coscienza e differenti accezioni del concetto di tolleranza

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 Prof. Gerard MEMETEAU, Clausola di  Coscienza e Istituzioni Prof. Carl ANDERSON, La coscienza cristiana in supporto al diritto alla vita Prof. Patricio VENTURA-JUNCÁ, L'obiezione di coscienza nella pratica medico-sanitaria: il caso della contraccezione d'emergenza Prof. Monica LÓPEZ BARAHONA, Obiezione di coscienza nel campo della ricerca biomedica Prof. Alicja GRZESKOWIAK, Obiezione di coscienze per categorie professionali particolari (farmacisti, giudici, amministrativi, consulenti,..) H.E. Card. Ivan DIAS, L'impegno della coscienza cristiana per la promozione della vita in relazione ai paesi in via di sviluppo.

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BENEDETTO XVI DISCORSOSala Clementina  

24 Febbraio 2007

Cari fratelli e sorelle, è per me una vera gioia ricevere in questa Udienza così affollata i Membri della Pontificia Accademia per la Vita, riuniti in occasione della XIII Assemblea Generale; e quanti hanno inteso partecipare al Congresso che ha per tema: "La coscienza cristiana a sostegno del diritto alla vita". Saluto il Cardinale Javier Lozano Barragán, gli Arcivescovi e Vescovi presenti, i confratelli sacerdoti, i relatori del Congresso e tutti voi, convenuti da diversi Paesi. Saluto in particolare il Vescovo Elio Sgreccia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che ringrazio per le amabili parole rivoltemi, e per il lavoro a cui attende insieme con il Vice-Presidente, il Cancelliere e i membri del Consiglio Direttivo, per attuare i compiti delicati e vasti della Pontificia Accademia.Il tema che avete posto all’attenzione dei partecipanti, e pertanto anche della comunità ecclesiale e dell’opinione pubblica, è di grande rilevanza: la coscienza cristiana, infatti, ha una interna necessità di alimentarsi e rafforzarsi con le motivazioni molteplici e profonde che militano a favore del diritto alla vita. E’ un diritto che esige di essere sostenuto da tutti, perché è il diritto fondamentale in ordine agli altri diritti umani. Lo afferma con forza l’Enciclica Evangelium vitae: "Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cfr Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario. Sul riconoscimento di tale diritto si fonda l'umana convivenza e la stessa comunità politica" (n. 2). La medesima Enciclica ricorda che "questo diritto devono in modo particolare difendere e promuovere i credenti in Cristo, consapevoli della meravigliosa verità, ricordata dal Concilio Vaticano II: ‘con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo’ (Gaudium et spes, 22). In questo evento di salvezza, infatti, si rivela all’umanità, non solo l’amore sconfinato di Dio, che ‘ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito’ (Gv 3,16), ma anche il valore incomparabile di ogni persona umana" (ibid.)Continuamente, perciò, il cristiano è chiamato a mobilitarsi per far fronte ai molteplici attacchi a cui è esposto il diritto alla vita. In ciò egli sa di poter contare su motivazioni che hanno profonde radici nella legge naturale e che possono quindi essere condivise da ogni persona di retta coscienza. In questa prospettiva, soprattutto dopo la pubblicazione dell’Enciclica Evangelium vitae, molto è stato fatto perché i contenuti di tali motivazioni potessero essere meglio conosciuti nella comunità cristiana e nella società civile, ma bisogna ammettere che gli attacchi al diritto alla vita in tutto il mondo si sono estesi e moltiplicati, assumendo anche nuove forme. Sono sempre più forti le pressioni per la legalizzazione dell’aborto nei Paesi dell’America Latina e nei Paesi in via di sviluppo, anche con il ricorso alla liberalizzazione delle nuove forme di aborto chimico sotto il pretesto della salute riproduttiva: si incrementano le politiche del controllo demografico, nonostante che siano ormai riconosciute come perniciose anche sul piano economico e sociale. Nello stesso tempo, nei Paesi più sviluppati cresce l’interesse per la ricerca biotecnologica più raffinata, per instaurare sottili ed estese metodiche di eugenismo fino alla ricerca ossessiva del "figlio perfetto", con la diffusione della procreazione artificiale e di varie forme di diagnosi

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tendenti ad assicurarne la selezione. Una nuova ondata di eugenetica discriminatoria trova consensi in nome del presunto benessere degli individui e, specie nel mondo economicamente progredito, si promuovono leggi per legalizzare l’eutanasia. Tutto questo avviene mentre, su un altro versante, si moltiplicano le spinte per la legalizzazione di convivenze alternative al matrimonio e chiuse alla procreazione naturale. In queste situazioni la coscienza, talora sopraffatta dai mezzi di pressione collettiva, non dimostra sufficiente vigilanza circa la gravità dei problemi in gioco, e il potere dei più forti indebolisce e sembra paralizzare anche le persone di buona volontà. Per questo è ancor più necessario l’appello alla coscienza e, in particolare, alla coscienza cristiana. "La coscienza, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, è un giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto. In tutto quello che dice e fa, l’uomo ha il dovere di seguire ciò che sa essere giusto e retto" (n. 1778). Da questa definizione emerge che la coscienza morale, per essere in grado di guidare rettamente la condotta umana, deve anzitutto basarsi sul solido fondamento della verità, deve cioè essere illuminata per riconoscere il vero valore delle azioni e la consistenza dei criteri di valutazione, così da sapere distinguere il bene dal male, anche laddove l’ambiente sociale, il pluralismo culturale e gli interessi sovrapposti non aiutino a ciò. La formazione di una coscienza vera, perché fondata sulla verità, e retta, perché determinata a seguirne i dettami, senza contraddizioni, senza tradimenti e senza compromessi, è oggi un’impresa difficile e delicata, ma imprescindibile. Ed è un’impresa ostacolata, purtroppo, da diversi fattori. Anzitutto, nell’attuale fase della secolarizzazione chiamata post-moderna e segnata da discutibili forme di tolleranza, non solo cresce il rifiuto della tradizione cristiana, ma si diffida anche della capacità della ragione di percepire la verità ci si allontana dal gusto della riflessione. Addirittura, secondo alcuni, la coscienza individuale, per essere libera, dovrebbe disfarsi sia dei riferimenti alle tradizioni, sia di quelli basati sulla ragione. Così la coscienza, che è atto della ragione mirante alla verità delle cose, cessa di essere luce e diventa un semplice sfondo su cui la società dei media getta le immagini e gli impulsi più contraddittori. Occorre rieducare al desiderio della conoscenza della verità autentica, alla difesa della propria libertà di scelta di fronte ai comportamenti di massa e alle lusinghe della propaganda, per nutrire la passione della bellezza morale e della chiarezza della coscienza. Questo è compito delicato dei genitori e degli educatori che li affiancano; ed è compito della comunità cristiana nei confronti dei suoi fedeli. Per quanto concerne la coscienza cristiana, la sua crescita e il suo nutrimento, non ci si può accontentare di un fugace contatto con le principali verità di fede nell’infanzia, ma occorre un cammino che accompagni le varie tappe della vita, dischiudendo la mente ed il cuore ad accogliere i fondamentali doveri su cui poggia l’esistenza sia del singolo che della comunità. Solo così sarà possibile avviare i giovani a comprendere i valori della vita, dell’amore, del matrimonio, della famiglia. Solo così si potrà portarli ad apprezzare la bellezza e la santità dell’amore, la gioia e la responsabilità di essere genitori e collaboratori di Dio nel dare la vita. In mancanza di una formazione continua e qualificata, diventa ancor più problematica la capacità di giudizio nei problemi posti dalla biomedicina in materia di sessualità, di vita nascente, di procreazione, come anche nel modo di trattare e curare i pazienti e le fasce deboli della società. E’ certamente necessario parlare dei criteri morali che riguardano questi temi con professionisti, medici e giuristi, per impegnarli ad elaborare un competente giudizio di coscienza, e, nel caso, anche una coraggiosa obiezione di coscienza, ma una pari urgenza insorge a livello di base, per le famiglie e le comunità parrocchiali, nel processo di formazione della gioventù e degli adulti. Sotto questo aspetto, accanto alla formazione cristiana, finalizzata alla conoscenza della Persona di Cristo, della sua Parola e dei Sacramenti, nell’itinerario di fede dei fanciulli e degli adolescenti occorre unire coerentemente il discorso sui valori morali che riguardano la corporeità, la

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sessualità, l’amore umano, la procreazione, il rispetto per la vita in tutti i momenti, denunciando nel contempo con validi e precisi motivi, i comportamenti contrari a questi valori primari. In questo specifico campo l’opera dei sacerdoti dovrà essere opportunamente coadiuvata dall’impegno di laici educatori, anche specialisti, dediti al compito di guidare le realtà ecclesiali con la loro scienza illuminata dalla fede. Prego, pertanto, il Signore perché mandi fra voi, cari fratelli e sorelle, e fra quanti si dedicano alla scienza, alla medicina, al diritto, alla politica, dei testimoni forniti di coscienza vera e retta, per difendere e promuovere lo "splendore della verità" a sostegno del dono e del mistero della vita. Confido nel vostro aiuto, carissimi professionisti, filosofi, teologi, scienziati e medici. In una società talora chiassosa e violenta, con la vostra qualificazione culturale, con l’insegnamento e con l’esempio, potete contribuire a risvegliare in molti cuori la voce eloquente e chiara della coscienza. "L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio nel suo cuore -ci ha insegnato il Concilio Vaticano II-; ubbidire ad essa è la dignità stessa dell’uomo e, secondo questa, egli sarà giudicato" (Gaudium et spes, 16). Il Concilio ha offerto sapienti indirizzi perché "i laici imparino a distinguere accuratamente diritti e doveri che spettano loro in quanto membri della Chiesa da quelli che competono loro in quanto membri della società umana" e "perché imparino ad armonizzarli fra loro, ricordando che in ogni cosa temporale, devono lasciarsi guidare dalla coscienza cristiana, perché nessuna attività umana, nemmeno temporale, può sottrarsi a Dio" (Lumen gentium, 36). Per questa stessa ragione il Concilio esorta i laici credenti ad accogliere "quanto i pastori decidono come maestri e capi della Chiesa" e, d’altro canto, raccomanda "che i pastori riconoscano e promuovano la dignità e responsabilità dei laici nella Chiesa, si servano volentieri del loro prudente consiglio" e conclude che "da tali rapporti familiari tra laici e pastori si devono attendere molti vantaggi nella Chiesa" (Lumen gentium, 38). Quando è in gioco il valore della vita umana, questa armonia tra funzione magisteriale e impegno laicale diventa singolarmente importante: la vita è il primo dei beni ricevuti da Dio ed è fondamento di tutti gli altri; garantire il diritto alla vita a tutti e in maniera uguale per tutti è dovere dal cui assolvimento dipende il futuro dell’umanità. Emerge anche da questa angolatura l’importanza di questo vostro incontro di studio. Ne affido i lavori ed i risultati all’intercessione della Vergine Maria, che la tradizione cristiana saluta come la vera "Madre di tutti i viventi". Sia Lei ad assistervi e a guidarvi! A suggello di questo auspicio, desidero impartire a tutti voi, ai vostri familiari e collaboratori l’Apostolica Benedizione. © Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana

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PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA DICHIARAZIONE FINALE

15 marzo 2007 1. Nei giorni 23 e 24 febbraio scorsi, la Pontificia Accademia per la Vita, in occasione della sua XIII Assemblea Generale, ha organizzato un Congresso internazionale, tenutosi in Vaticano, che ha sviluppato un'approfondita riflessione sul tema: "La coscienza cristiana a sostegno del diritto alla vita". Il Congresso ha registrato la presenza dei Membri della PAV e di altri studiosi di nota fama provenienti da diversi Paesi, oltre ad un numeroso pubblico (circa 420 presenze) dai cinque continenti.A conclusione dei lavori, sulla scorta di quanto emerso dalle relazioni proposte e da un vivace e costruttivo dibattito in assemblea, la Pontificia Accademia per la Vita desidera offrire alla riflessione della comunità ecclesiale, alla comunità civile e ad ogni persona di buona volontà le seguenti considerazioni. 2. "Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore. . . L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore; obbedire ad essa è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato" (Gaudium et Spes 16).Agendo dunque in fedele obbedienza ai giudizi della propria coscienza morale, che rettamente cerca il bene e costantemente si nutre della verità conosciuta, ogni persona esprime e realizza in profondità la sua dignità umana, edificando se stesso e la comunità intera mediante le proprie scelte consapevoli e libere. 3. Perché l'uomo possa essere guidato dai giudizi della sua coscienza morale ad agire sempre per realizzare il bene nella verità, è necessario che egli ne curi con ogni impegno la formazione continua, nutrendola con quei valori che corrispondono alla dignità della persona umana, alla giustizia e al bene comune, come ha ricordato il Santo Padre nel suo discorso alla Pontificia Accademia per la vita: "La formazione di una coscienza vera, perché fondata sulla verità, e retta, perché determinata a seguirne i dettami, senza contraddizioni, senza tradimenti e senza compromessi, è oggi un’impresa difficile e delicata, ma imprescindibile" (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti alla XIII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, 24/2/2007).La coscienza del cristiano, in particolare, è illuminata pienamente nella sua ricerca del bene dall'incontro costante con la Parola di Dio, compresa e vissuta nella comunità cristiana, secondo gli insegnamenti del Magistero. 4. Questa esigenza di continua formazione ed approfondimento della coscienza, si rende oggi del tutto evidente di fronte all'emergenza di tante problematiche culturali e sociali che toccano il diritto alla vita nell'ambito della famiglia, nell'assunzione dei compiti propri dell'essere coniugi e genitori, nelle professioni sanitarie e nei compiti politici.In maniera sempre più necessaria ed urgente, la coscienza cristiana, assumendo gli autentici valori umani, a cominciare da quello fondamentale del rispetto della vita, nella sua esistenza fisica e nella sua dignità, ha il compito di considerare tali problemi, alla luce della ragione illuminata dalla fede, nell'elaborazione dei giudizi sul valore morale dei propri atti. 5. Inoltre, non possono essere taciute le numerose difficoltà che la coscienza cristiana dei credenti incontra oggi nei suoi giudizi e nel suo percorso formativo, a causa del contesto culturale in cui si trova immersa la vita dei credenti, un contesto in cui si sperimenta la crisi di "autorità", la perdita della fede e spesso una tendenza a rifugiarsi in forme di razionalismo estremo.

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Altra coordinata che mette alla prova la coscienza cristiana, oltre quella culturale, è costituita dalle norme giuridiche vigenti, sia quelle codificate sia quelle definite dai tribunali e dalle sentenze dei tribunali, che, in misura crescente e sotto una forte pressione di gruppi coalizzati e influenti, hanno aperto e stanno aprendo la breccia rovinosa delle depenalizzazioni: si prevedono eccezioni al diritto individuale alla vita, si vanno legittimando sempre più diversi attentati contro la vita umana, finendo di fatto per disconoscere che la vita è il fondamento di ogni altro diritto della persona, e che il rispetto dovuto alla dignità di ogni essere umano è il fondamento della libertà e della responsabilità. A questo proposito, Benedetto XVI ha ricordato che "il cristiano è chiamato a mobilitarsi per fare fronte ai molteplici attacchi a cui è esposto il diritto alla vita" (Benedetto XVI, ibid). 6. Le esigenze specifiche della coscienza cristiana trovano il loro banco di prova nell'applicazione alle professioni sanitarie, allorquando si trovino di fronte al dovere di proteggere la vita umana e di fronte al rischio di trovarsi in situazioni di cooperazione al male nell'applicazione dei doveri professionali.In questa situazione, acquista maggiore rilievo l'esercizio doveroso, di una "coraggiosa obiezione di coscienza", da parte dimedici, infermieri, farmacisti e personale amministrativo, giudici e parlamentari, ed altre figure professionali direttamente coinvolte nella tutela della vita umana individuale, laddove le norme legislative prevedessero azioni che la mettono in pericolo. Ma, allo stesso tempo, va anche messo in rilievo come il ricorso all'obiezione di coscienza avvenga, oggi, in un contesto culturale di tolleranza ideologica, che talvolta, paradossalmente, tende a non favorire l'accettazione dell'esercizio di questo diritto, in quanto elemento "destabilizzante" del quietismo delle coscienze. Desideriamo sottolineare come, in particolare per le professioni sanitarie, sia difficile l'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza, dal momento che questo diritto viene generalmente riconosciuto solo alle singole persone, e non alle strutture ospedaliere o associazioni.Nel campo della prassi medica, una menzione specifica merita il caso della "contraccezione di emergenza" (in genere realizzata mediante ritrovati chimici), ricordando innanzitutto la responsabilità morale di coloro che ne rendono possibile l'uso ai vari livelli e l'esigenza di ricorrere all'obiezione di coscienza nella misura in cui i suoi effetti siano abortivi (antinidatori o contragestativi); va ribadito anche il dovere morale di fornire al pubblico un'informazione completa sui veri meccanismi d'azione ed effetti di tali ritrovati. Naturalmente, sussiste il dovere di opporre la stessa obiezione di coscienza di fronte ad ogni intervento medico o di ricerca che preveda la distruzione di vite umane. 7. Sempre più opportuna appare una mobilitazione di tutti coloro che hanno a cuore la tutela della vita umana, una mobilitazione che si deve estendere anche a livello politico: è un'esigenza imprescindibile della giustizia il rispetto del principio di uguaglianza, che esige di onorare e proteggere i diritti di tutti, specialmente nel caso dei soggetti più fragili ed indifesi.Riproponiamo con convinzione l'insegnamento specifico in materia di obiezione di coscienza dell'Enciclica Evangelium Vitae (nei § 72, 73 e 74), particolarmente nella prospettiva dell'adesione dei cristiani ai programmi proposti dai partiti politici, così come auspichiamo una legislazione che completi l'Articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, proclamata dalle Nazioni Unite nel 1948, per garantire il diritto all'obiezione di coscienza e difendere questo diritto contro ogni discriminazione nei campi del lavoro, dell'educazione e dell'attribuzione dei benefici da parte dei governi. 8. In conclusione, riproponiamo l'auspicio del Santo Padre, come messaggio di speranza e di impegno per contribuire a costruire una società umana realmente edificata a misura dell'uomo: "Prego, pertanto, il Signore perché mandi fra voi, cari fratelli e sorelle, e fra quanti si dedicano alla scienza, alla medicina, al diritto, alla politica, dei testimoni forniti di coscienza vera e retta, per

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difendere e promuovere lo "splendore della verità" a sostegno del dono e del mistero della vita. Confido nel vostro aiuto, carissimi professionisti, filosofi, teologi, scienziati e medici. In una società talora chiassosa e violenta, con la vostra qualificazione culturale, con l’insegnamento e con l’esempio, potete contribuire a risvegliare in molti cuori la voce eloquente e chiara della coscienza." (Benedetto XVI, ibid.). (Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede di Venerdì 16 marzo 2007)

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COMUNICATO UFFICIALE  In seguito ad alcune interpretazioni - palesemente parziali e fuorvianti - dei contenuti della Dichiarazione finale della XIII Assemblea Generale, apparse in questi giorni su alcuni organi d'informazione italiani, La Pontificia Accademia per la Vita (PAV) desidera puntualizzare quanto segue:

1. la Dichiarazione finale è un breve documento di sintesi che, ogni anno, viene pubblicato a conclusione dei lavori dell'Assemblea Generale della PAV, in forma di messaggio, allo scopo di presentare al pubblico i principali risultati delle sessioni di studio.Come è noto, quest'anno, il Congresso internazionale organizzato in occasione dell'Assemblea ha riflettuto sul tema "La coscienza cristiana a sostegno del diritto alla vita" ed ha registrato un'ampia presenza di studiosi e partecipanti da tutto il mondo (oltre trenta Paesi dai cinque continenti). Appare, pertanto, del tutto scontato ed inequivocabile il carattere d'indirizzo universale di quanto riportato dalla suddetta Dichiarazione Finale, come peraltro risulta chiaramente dal testo, che recita: "La Pontificia Accademia per la Vita desidera offrire alla riflessione della comunità ecclesiale, alla comunità civile ed ad ogni persona di buona volontà le seguenti considerazioni" (Dich. Fin. , 1), e come si addice di consuetudine ad un organismo legato alla Santa Sede. Di conseguenza, ogni interpretazione che tenda a considerare quanto proposto nel documento come se fosse rivolto ad una nazione in particolare risulta del tutto errata e, talvolta, mostra il sapore di una forzatura un po’ "provinciale".2. La PAV è un organismo legato alla Santa Sede, che ha finalità specifiche di studio e di ricerca sui temi della vita. Il valore dei suoi testi e dei risultati dei suoi studi si basa sostanzialmente sulla correttezza scientifica dei dati presentati e sull'argomentazione bioetica che in essi viene proposta.Inoltre, la PAV ha il compito di diffondere, mettendoli a disposizione della comunità ecclesiale e civile, i risultati del suo lavoro. Concretamente, questo significa mettere in evidenza, accanto ai dati della scienza, anche i problemi bioetici connessi con le tematiche fatte oggetto di studio.Tale prospettiva si è verificata anche nella Dichiarazione di quest'anno, in particolare a proposito del delicato problema del ricorso all'obiezione di coscienza nell'ambito della tutela della vita umana (Dich. Fin., n. 6). In essa, è contenuta un'esortazione generale a sollevare un problema di coscienza di fronte alla possibile cooperazione con quegli atti, privati o pubblici, che costituissero un attentato all'integrità ed alla dignità della vita umana individuale e, laddove non vi fossero alternative, a considerare il ricorso all'obiezione di coscienza.Interpretare una tale esortazione, rivolta a tutti coloro che, nel mondo, hanno parte attiva nelle decisioni ed azioni che riguardano la vita umana e la sua tutela, come un "attentato" alla sovranità dello stato o addirittura come un'istigazione a commettere reato, francamente risulta iperbolico, strumentale e, soprattutto, poco incline alla garanzia effettiva di quella libertà di pensiero e di espressione che costituisce il requisito necessario di ogni società autenticamente democratica.3. Alla PAV, così come agli altri organismi della Santa Sede, non appartengono in alcun modo finalità di intervento politico o di interferenza con i processi democratici dello Stato, in nessun Paese del mondo.Spetta ai laici cattolici ed ad ogni persona di buona volontà, secondo le proprie responsabilità sociali, il compito di trovare le vie concrete e possibili per tradurre in pratica le esigenze che scaturiscono dal riconoscimento della dignità di ogni essere umano e del valore inviolabile della sua vita.

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Ma la PAV ritiene di avere anch'essa il diritto (che peraltro essa considera come un dovere) di contribuire a richiamare ed incoraggiare ciascuno ad esercitare la propria responsabilità in ordine alla tutela della vita umana individuale, ben consapevole del fatto che, talvolta, l'esercizio concreto di tale responsabilità ha dei costi personali anche pesanti.4. Alla luce di queste precisazioni, la PAV ribadisce il suo impegno per continuare a contribuire, mediante i suoi studi e le sue ricerche, ad una più approfondita comprensione del mistero della vita umana, in uno stile di dialogo costruttivo e fecondo con ogni persona o istituzione che abbia a cuore la dignità dell'uomo e riconosca nella vita umana un bene fondamentale. La ricerca comune della verità, perseguita con onestà intellettuale e rettitudine morale, nel rispetto delle diverse visioni, sarà la strada migliore per raggiungere mete comuni al servizio del bene autentico di ogni essere umano.

Città del Vaticano, 21 marzo 2007

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JAVIER LOZANO BARRAGÁN Reflexiones a propósito de algunos textos sobre la conciencia de Juan Pablo II y Benedicto XVIConciencia y Cultura

Al leer algunos textos de Juan Pablo II y de Benedicto XVI sobre la conciencia, me ha llamado la atención la manera como plantean la relación entre subjetividad y objetividad en la sociedad actual en la que fácilmente se cae en el Relativismo. Este problema se profundiza a tratar las relaciones entre Dios y la conciencia y entre la Teología y el Magisterio de la Iglesia. Mi propósito en esta intervención al inicio del trabajo de la Pontificia Academia de la Vida es aportar una modesta reflexión que pudiera contribuir a iluminar estas relaciones desde el concepto de cultura.Comienzo presentando una selección de textos de ambos Pontífices, donde resalta la problemática aludida. En una segunda parte intentaré profundizar en dicha problemática.

I. EL PENSAMIENTO PONTIFICIO.

1. Juan Pablo II."La conciencia es alguien, no algo en realidad, es el sitio donde el hombre es iluminado por una luz que no viene a el de su razonamiento creado y siempre falible, sino de la Sabiduría misma de la Palabra de quien creo todas las cosas"1 ."Solamente una conciencia desarrollada cabalmente corresponde a la dignidad humana- una conciencia que busca la verdad, e iluminada por ella, decide. Por lo tanto, la dignidad humana requiere, que una persona oriente su conciencia de acuerdo con el orden de la ley establecida por el Creador. En asuntos de conciencia ella debe consultar la verdad revelada en Cristo, e incluir la enseñanza reveladora de la Iglesia." 2 

"La formación de la conciencia propia es un deber fundamental. La razón es muy simple: Nuestra conciencia puede errar. Y cuando el error prevalece sobre ella se convierte en la causa del daño mas grande para la persona humana..." 3 "Es a través de la Iglesia como la conciencia moral de una persona crece y madura; la Iglesia la ayuda a evitar el `ir y venir con cada viento doctrinal, por la astucia de los hombres'. La Iglesia en realidad es el `pilar y defensa de la verdad' (1 Ti 3:15). La fidelidad al magisterio de la Iglesia por lo tanto, evita que la conciencia moral se desvíe de la verdad sobre el bien del hombre."4 

"...el peregrinaje hacia una conciencia moral madura no puede ni siquiera comenzar, si el espíritu no esta libre de una enfermedad mortal muy difundida hoy en día: la indiferencia a la verdad... "Si un ser humano es indiferente a la verdad...ni siquiera pensará en el desarrollo de su conciencia y terminara tarde o temprano confundiendo la fidelidad a su conciencia con la adherencia a cualquier opinión personal de la mayoría".5 

"No es suficiente, por lo tanto, decirle al hombre: `Sigue siempre tu conciencia'. Es necesario añadir inmediatamente y siempre: Pregúntate a ti mismo si tu conciencia te esta diciendo la verdad o algo falso, y busca incansablemente la verdad'. Si no hiciéramos esta clarificación necesaria, el hombre se arriesgaría a encontrar en su conciencia una fuerza que es destructora de su verdadera humanidad, en vez del lugar santo donde Dios le revela a él su verdadero bien".6 Cuando el juicio de la mente decide erróneamente que algo es legal cuando en realidad es ilegal, o vise versa, el error puede estar en los falsos principios usados o porque la mente fue obscurecida o confundida en su razonamiento. "Puesto que Cristo el Señor creo el Magisterio de

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la Iglesia para iluminar la conciencia, apelar a esa conciencia precisamente para rebatir la verdad de lo que enseña el Magisterio, implica un rechazo del concepto Católico tanto del Magisterio como de la conciencia moral". "La tarea de interpretar auténticamente la Palabra de Dios, ya sea escrita o transmitida de unos a otros, ha sido asignada exclusivamente al oficio de enseñanza viviente de la Iglesia, cuya autoridad se ejerce en el nombre de Cristo Jesús." “No se puede ver la intervención de la Iglesia en esta campo como el equivalente de una opinión entre otras.... (porque) ella disfruta del carisma de la verdad y certeza ." "Apelar a una `fe de la Iglesia' para oponerse al Magisterio de la Iglesia sobre la moral, equivale a negar el concepto Católico de Revelación." 7 "No se puede decir que los fieles se hayan embarcado en una búsqueda diligente de la verdad, si ellos no toman en cuenta lo que el Magisterio enseña, o si al ponerlo al mismo nivel que cualquier otra fuente de conocimiento, uno se convierte en juez, o si ante la duda, uno sigue su propia opinión o aquella de los teólogos, prefiriéndolas a la enseñanza segura del Magisterio".8

 2. Benedicto XVI.Benedicto XVI, nos dice sobre las relaciones entre fe y cultura y cómo se han desarrollado en las últimas décadas: "La cultura europea se ha formado a través de los siglos con la contribución del cristianismo. A partir del Iluminismo la cultura de occidente se fue alejando de sus fundamentos cristianos con creciente velocidad. Especialmente en el periodo más reciente la disolución de la familia y del matrimonio, los atentados contra la vida humana y su dignidad, la reducción de la fe a experiencia subjetiva y la consiguiente secularización de la conciencia pública nos demuestran con dramática claridad las consecuencias de este alejamiento"9. La conciencia no es solamente subjetiva sino que responde también a criterios objetivos que se encuentran en la fe. Me parece que la "subjetivización" de la conciencia es un gran error de nuestra época 10. "La verdad no se determina mediante un voto de la mayoría." "La ciencia como tal no puede generar una ética y no se obtiene una conciencia ética mediante debates científicos." 11 

En el primer Congreso internacional sobre la “Fides et Ratio” decía el entonces Cardenal Ratzinger: “No dice Pablo que si los gentiles se mantienen firmes en su religión sean buenos ante el juicio de Dios; al contrario, condena muchas de las prácticas religiosas de su tiempo; remite más bien al único Dios que los gentiles llevan escrito en sus corazones (Ro 2,14...). “Actualmente la conciencia aparece como expresión del carácter absoluto del sujeto, sobre el que no puede haber, en el campo moral ninguna instancia superior; pues lo bueno como tal no es conocible, el único Dios no es conocible. El concepto moderno de conciencia es la canonización del subjetivismo relativista; sobre la cual no puede haber ninguna instancia superior. Es imposible que haya normas morales y religiosas comunes. Mientras que para Pablo y la Tradición cristiana la conciencia es la garantía para la unidad del hombre y para la cognoscibilidad de Dios, para la obligatoriedad común del mismo y único bien.. El que haya santos paganos se basa en que la voz de Dios es perceptible en el corazón y se hace Thorá perceptible también como obligación en nosotros mismos, en nuestro ser creatural y así se hace posiblesuperar lo meramente subjetivo con relación de unos con otros y en relación con Dios. Y esto es salvación” 12. En su libro "Verdad, valores, poder" nos insiste Benedicto XVI: "La identificación de la conciencia con el conocimiento superficial y la reducción del hombre a la subjetividad no liberan, sino que esclavizan. Nos hace completamente dependientes de la opiniones dominantes y reducen día a día el nivel de las mismas opiniones. La conciencia se degrada a la condición de mecanismo exculpatorio en lugar de representar la transparencia del sujeto para reflejar lo divino, y, como consecuencia, se degrada también la dignidad y la grandeza del hombre. La reducción de la conciencia a la seguridad subjetiva significa la supresión de la verdad".

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Quisiera resaltar el pensamiento de Benedicto XVI en una curiosa cita que él mismo antes de ser Papa hace de una anécdota que narra del Cardenal Newman de quien cita una frase de la carta dirigida al duque de Norfolk: “Ciertamente, si yo debiera emplear la religión en un brindis después de un banquete – cosa que no es muy indicado hacer – entonces brindaría por el Papa, pero primero por la conciencia y después por el Papa” 13. Y explicaba el ahora Santo Padre el por qué de la actitud del Cardenal Newman, concibiendo la conciencia como cierta memoria “anamnesis” profunda del hombre: “El significado auténtico de la autoridad doctrinal del Papa consiste en el hecho de que él es quien garantiza la memoria cristiana. El Papa no impone desde afuera sino que desarrolla y defiende la memoria cristiana. Por esto el brindis por la conciencia debe preceder a aquel por el Papa, porque sin la conciencia no habría ningún Papado. Todo el poder que él tiene es poder de la conciencia: servicio al doble recuerdo sobre el que se basa la fe, que debe ser purificada, ampliada y defendida contra las formas de destrucción de la memoria que se ve tan amenazada por una subjetividad que olvida su propio fundamento, y por las presiones sociales y culturales14 .

II. ENSAYO DE REFLEXIÓN: CULTURA Y CONCIENCIA

Primero expongo el concepto de cultura y luego lo aplico a la comprensión de la problemática enunciada a propósito de la conciencia, subrayando tres aspectos: Dios y la conciencia; Objetividad y Subjetividad; y Magisterio, Teología y conciencia.Como introducción a mi reflexión sobre conciencia y cultura, me parece interesante hacer un recorrido sintético sobre algunos conceptos importantes sobre la conciencia fuera del ámbito católico.Para algunos La conciencia es el conocimiento que tiene el ser humano de sí mismo y de su entorno. Es la facultad de decidir y hacerse sujeto. Es la atención para percibir la entidad global de un objeto o su propia existencia. Es la capacidad de un organismo de tener experiencia. Locke afirma que la conciencia es el conjunto de informaciones recibidas de los sentidos. Leibinitz dice que la conciencia es el alfabeto de los pensamientos humanos semejante a un orden matemático. Para Freud el inconsciente más que el consciente es quien determina la conducta. Es creado por experiencias infantiles que producen heridas, traumas, y la conciencia las sepulta en el inconsciente. Marx por su parte afirma que la conciencia es creada por la pertenencia de clase social. En el Behaviorismo John Watson opina que no hay conciencia, sólo se trata de reacciones correspondientes a estímulos externos. Contra las posiciones de Freud, en la así llamada Psicología americana se sostiene que no se debe recurrir al inconsciente, sino a las zonas inexploradas de la conciencia que se hacen patentes en circunstancias extraordinarias, por ejemplo en experiencias místicas, alucinaciones drogadas, meditación trascendental, percepciones extra sensoriales. Se trata de actividades y potencialidades de la mente humana que rebasan la moral tradicional. Se afirma que la Resonancia Magnética descubrió en qué zonas del cerebro se organiza la memoria, cuál es la región cerebral en la que se toman las decisiones, cuál es el comportamiento de los neurotransmisores. La conciencia entra dentro de las realidad cuánticas. Se comporta como una manifestación de los procesos cuánticos de la materia. Se explica así por una superposición de estados, la no localización y el entrelazado de partículas. Desde estos conocimientos se prevé a lo que pudiera ser un concepto científico del alma. 15.

1. Concepto de cultura.El punto de partida para la reflexión, decíamos que es el concepto de cultura. El Papa Benedicto XVI, antes de ser Papa, ha presentado claramente su pensamiento con relación a una cultura concreta, nos dice que la verdad supera todas las culturas pero no las excluye. Estas, en su

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legitimidad son diversas aproximaciones a la verdad como tal. Así no es posible que el Cristianismo se identifique con una cultura, sino que es la trascendencia de todas. Las culturas se caracterizan por el vencimiento de las categorías espacio temporales, pero una forma de lograrlo como en la cultura hindú, no significa la absolutización de dicha cultura.La cultura bíblica no se identifica con la cultura de Israel. Lo característico del A.T. es el desinstalar al pueblo de su cultura hacia el Dios de Israel. Así desde Abraham que se hace salir de su pueblo, el rechazo del Becerro de oro, etc.. No es pues el Cristianismo una cultura europea, o incluso semítica, es un desinstalarse de cualquier cultura, estando al mismo tiempo arraigado en las diversas culturas. En cambio sí entra en contacto con la Filosofía en su búsqueda de la verdad. No entra en contacto con las religiones, pero sí con las filosofías. En cambio, las religiones pueden presentar formas de acercamiento a la Verdad.Siguiendo el pensamiento del Papa, mi reflexión no parte de la concretización de una cultura determinada, sino más bien del mismo concepto de cultura. Si bien, el Cristianismo no se identifica con ninguna cultura, sin embargo, el concepto de cultura puede servir para comprenderlo un poco más.Entiendo la cultura como la humanización de la naturaleza. Para que se logre esta humanización son cuatro las etapas que hay que recorrer, a saber, la introspección, la Tradición, la Asimilación y el Progreso. El hombre es una existencia que enmarca una necesidad. En sí mismo es receptibilidad, y es actuando esta receptibilidad, como capacidad de recibir, como va humanizando la naturaleza y creando la cultura, esto es, cultivándose. Esto se puede concebir de una manera simple, primitiva, básica e inicial; o bien en la complejidad de relaciones de la sociedad actual tecnológica que concretizan la receptibilidad humana actual, ya sea tomando a la persona en su individualidad o bien en su vertiente social y colectiva; ya sea en su propia actualidad infrahumana, o aun en la posibilidad de su agrandamiento, trascendiendo categorías temporales y espaciales gracias a su participación en la filiación divina. Esta receptibilidad se muestra en perenne avance, no en un sentido oscuro y nebuloso, sino como rompimiento de límites.

Etapas de la cultura.Para que cualquier cultura sea posible, necesita recorrer cuatro etapas bien definidas, aunque entrelazadas. Estas son las ya enunciadas de Introspección, Tradición, Asimilación y Progreso.

1.1. IntrospecciónLa introspección significa un mirarse adentro y ser conscientes del propio vacío, a la vez que tener la posibilidad más o menos consciente de con qué se puede llenar dicho vacío.La introspección es esencialmente relacional. Esta relacionalidad es fundamental, puesto que sin ella no se da la introspección, pues es detectar necesidades. Esto es, en la introspección cultural el sujeto entra y sale de si mismo. Entra y sale a la vez al comprender sus vacíos, pues no los puede catalogar como tales si no es por la presencia captada de posibles satisfactores externos a sí mismo.Estos satisfactores los encuentra en tres planos: el plano sub humano, el plano humano y el plano trans humano. En el plano sub humano encontramos los satisfactores que podemos en cierta forma llamar ampliamente constitutivos ambientales que rodean físicamente su existencia concreta, y demás satisfactores que se refieren también a la constitución bioquímica de la persona, desde su formación genética, que por las leyes de la herencia se remonta a todo el patrimonio genético de la humanidad, hasta la química biológica de su actual constitución celular. En los planos humanos los satisfactores se encuentran en el nivel de las relaciones interhumanas que constituyen la persona. Estas relaciones no se pueden concebir solo como meros añadidos

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desde fuera si un soporte real que se encuentra dentro del mismo sujeto. En este mismo nivel relacional, y todavía con mayor intensidad, en la misma constitución humana se encuentra dentro del sujeto el plan trans humano, que es la apertura total hacia la Trascendencia. Dentro de estos tres planos, como coordenadas dentro de las que se ubican todo género de satisfactores, se instituyen toda clase de relaciones, que son las que fundan el interés, como un verdadero “inter esse” entre el propio vacío y el propio satisfactor. El interés es el que compele a ir tras el satisfactor. Este interés es a la vez que subjetivo, objetivo, y en su compleja totalidad subjetiva y objetiva es a lo que llamamos valor. El valor es el núcleo de lo que es bueno.La mayor o menor transparencia consciente más profunda del interés que la persona percibe en estos niveles, no se encuentra en un razonamiento previo sino en una especie de “intuición de esencia” que va mas allá del enunciado lógico intelectual de los primeros principios, pues comprende toda la existencia ontológica del sujeto.Es a lo que se refiere la filosofía griega al hablar mediante Platón del mito de la cueva, o racionalizando con Aristóteles sobre la indemostrabilidad de los primeros principios. En cierta manera aparece esta misma intuición en San Anselmo con relación a la existencia de Dios; un anhelo de esta intuición se encuentra, bajo el influjo platónico, dentro de la elaboración de Descartes de su “idea clara y distinta”. Me parece encontrar un eco de ello en Heidegger en su percepción oscura del misterio del ser mediante el lenguaje.Dentro de los tres planos relacionales aludidos en mutua compenetración, intentando una primera categorización genérica de los vacíos, encontramos vacíos biológicos, psicológicos, sociales y espirituales. En los biológicos colocamos todo aquello que físicamente se necesita para vivir. Estos vacíos se pueden expresar muy diversamente y se proyectan hacia la necesidad de una subsistencia física. Aquí se encuentran todos los espacios fisiológicos. Su dominio es recorrido actualmente por las ciencias experimentales y la tecnología en sus aspectos biológicos, económicos, financieros, etc.. Los vacíos psicológicos los centramos en las necesidades que ven a la vida psíquica de la persona, centrada en la verdad y el bien. Es toda la complejidad psicológica de la persona, su entender y su amar, su decisión y su libertad. Los vacíos sociológicos los concebimos como los vacíos que se colman al encontrarse el “yo” con el “tú” humano. Es la esfera del amor y del odio, es la gran problemática que surge entre la individualidad y la colectividad. Los espirituales, los situamos como la necesidad vital expresada en lo más intimo como exigencia de auto posesión en la unidad; que sólo es posible en la Trascendencia. Es el problema de la autoposesión o alienación, es el problema integral de la vida y de la muerte, de la supervivencia y del amor infinito.Si existen vacíos que tengan la posibilidad de llenarse, es evidente que esta posibilidad estriba en la relación real con aquello que los puede llenar. Es obvio que una introspección verdadera no da una relación de vacíos entre sí como situados en compartimentos cerrados, sino que son formalidades de la misma realidad. Si se quiere usar una imagen, diríamos que dichos vacíos se relacionan entre sí a manera de vasos comunicantes. También resalta a la vista que en la introspección se hace patente una relación real que debe fincarse en ambos términos reales: el vacío y su satisfactor, el sujeto y el objeto. Por esta relación, la medida según la cual la introspección es auténticamente subjetiva es en tanto sea realmente objetiva.

1.2. Tradición .Cuando hablamos de la segunda etapa de la cultura, la Tradición cultural, nos atenemos al rigor etimológico de la palabra “tradere”. Todo aquello que no somos nosotros, como marco existencial de pura necesidad, es “traído” desde el exterior, es “entregado”, es “dado”. Pero antes de ser traído allí está en cierta manera “afuera” del sujeto, en espera de ser “tomado” “traído”. Este

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“afuera” es lo que llamamos “bien cultural”. Su conjunto es el fruto de la historia, es el acervo cultural acumulado por los siglos.Aquí ocurre regresar a lo dicho anteriormente a propósito de la relación: algo no puede ser traído al sujeto existencial si no hay una correspondencia subjetiva-objetiva. Por decirlo así, no puede ser asumido si no hay compatibilidad entre el sujeto y lo que se asume. Otra anotación importante es que ya desde aquí se puede entender la diferencia entre noticia y Tradición. En la noticia el sujeto se da cuenta de lo que existe fuera de él. Adquiere una información. Por su facultad retentiva puede repetir exactamente la más variadas informaciones, pero sin convertirlas en Tradición, en “traídas”. Una mera información que permanece sólo como tal no puede ser cultural. Es totalmente inútil. La erudición no es lo mismo que la cultura.

1.3. Asimilación.Esta última anotación nos abre el camino hacia la tercera etapa de la cultura, “Asmilación”. Cualquier percepción exterior al sujeto no se vuelve Tradición si no existe una verdadera Asimilación. La Asimilación significa traer del exterior lo que en cierta manera no es propio y apropiárselo. Así lo existente llega al sujeto y verdaderamente comienza a llenar sus vacíos, sus necesidades, tanto físicas, como psicológicas, como sociales. La Asimilación se basa en la introspección, haciendo de las relaciones algo absoluto; haciendo que la receptibilidad se vuelva recepción. Su naturaleza y variedad a la vez que sus relaciones internas con lo que se recibe, viene determinada por la naturaleza y variedad de la introspección.

1.4. Progreso.En la medida que se asimilan estos satisfactores y se van colmando los vacíos, la introspección avanza y se descubren nuevas relaciones, esto es, nuevos vacíos que en los tres planos iniciales dentro de las cuatro categorías mencionadas: fisiológicas, psicológicas, sociales y espirituales, exigen nuevos satisfactores y lanzan al sujeto en pos de nuevas adquisiciones de la Tradición. O bien, si verdaderamente la Tradición se ha ya agotado, tiene lugar el avance de nuevas combinaciones de lo existente en todos los campos biológicos, psicológicos, sociales y espirituales, dentro de un proceso metódico determinado por cada una de las categorías y coordenadas aludidas.Este progreso cultural en realidad tiene un límite que es propiamente la mutabilidad. En otras palabras, la perfectibilidad. Esto es llegar a lo perfecto sin ulterior perfectibilidad en plenitud de recepción mutua, que quiere decir, en plenitud de donación y recepción sin dar lugar a nuevos vacíos culturales y habiéndolos llenado todos en un cultivo total. O sea, el límite es llenar totalmente la propia capacidad que de por sí está abierta a una continua perfectibilidad. El límite es alcanzar la plena perfección, la cultura total. Aquí se encuentra el abismo entre la criatura y el Creador. Pasar este límite es la divinización. Al ocurrir esto la cultura no es más la humanización de la naturaleza, sino su divinización. La cultura se vuelve así la “divinización de la naturaleza” por supuesto que no en una concepción panteísta sino en la misteriosa participación divina.

2. Cultura y conciencia 16 .Notamos que en el segundo y tercer paso de la cultura, Tradición y Asimilación, en la Asimilación el sujeto examina la Tradición y encuentra en ella tres grandes vetas: errores, valores y acomodos. Esto es, la historia es la maestra de la vida, pero para que sea tal debemos ser conscientes de que en la historia encontramos innumerables errores; en el correr de los tiempos el hombre se ha equivocado muchas veces y ha ofrecido como satisfactor de las necesidades descubiertas en la introspección, lo que destruye al hombre, no lo que lo construye. Sin embargo

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no todo es error. La Tradición cultural encierra una cantidad enorme de valores que han hecho progresar a la humanidad.Pero no cabe duda que estos valores no se encuentran absolutizados. Seria absurdo pues son relacionales. Se encuentran de una manera vital asimilados en sujetos determinados de acuerdo a la asimilación lograda en un momento dado, en una época determinada de la historia, épocas que a pesar de sus parecidos con otras, no se repiten. Esto es, los valores se encuentran “acomodados”, asimilados en bienes culturales de acuerdo a la distinción característica de otras personas, ya sea de épocas pasadas, ya de la presente. Esto es, si bien la Tradición tiene valores, para que estos sean asimilados ahora y se tornen en bienes culturales hoy, es necesario que no se repitan exactamente las mismas asimilaciones de otras personas o épocas. Sin embargo, estas asimilaciones ajenas, sirven de soporte proporcional, esto es, si generaron bienes culturales en circunstancias distintas al sujeto que ahora los recibe, haciendo una proporción entre sus circunstancias actuales y las ajenas pasadas o presentes, pueden ser asimilados hoy de una forma diferente por un sujeto diferente.Situaría la conciencia especialmente en la etapa cultural de la introspección. Por supuesto que en plena interacción con estas dos etapas. Es el motor de asimilación correcta; por tanto juega un importante papel de discernimiento entre valores, desvalores y meros acomodos.Tratamos ahora de aportar algunas ideas, basándonos en estos conceptos sobre cultura, a la problemática enunciada: Dios y la conciencia; objetividad y subjetividad; Magisterio, Teología y conciencia.

2.1. Dios y la conciencia.La conciencia es la luz relacional entre el vacío y el satisfactor. Siendo el proceso de Tradición y Asimilación tan complicado, en la realidad se encuentra en su totalidad fuera del mero dominio humano y se necesita para ello una luz especial que perfeccione y complemente grandemente la intuición de esencia de la que hablábamos en un principio. Esto aparece con más claridad cuando la línea de satisfactores rompe la creaturalidad en la absoluta perfectibilidad de la que hablamos. Esta luz especial es aquello que en concreto nos participa la filiación divina. Se inicia con la imagen de Dios en el hombre y se perfecciona insospechadamente por la filiación divina. Esta imagen de Dios en el hombre la constituye la llamada “Ley Natural”, y la filiación es obra de la luz especial que es la persona del Espíritu Santo. En este ámbito nos encontramos en la categoría de las necesidades espirituales dentro de la coordenada aludida de lo trans humano.Consideramos en primer lugar la “Ley Natural”. Empiezo con las tres definiciones clasicas de ley natural: “Ratio vel voluntas divina, ordinem naturalem conservare jubans, perturbare vetans”; ”Participatio legis eternae in creatura rationalis”; “Lumen intellectus insitum nobis a Deo, per quod cognoscimus quid agendum, quid vitandum”. Me parece que poniendo en esta secuencia las definiciones, la clave se encuentra en la participación de la ley eterna. Esta participación constituye el orden que definido como “Parium dispariumque rerum apta dispositio”, en esa “apta dispositio” hace del hombre internamente imagen de Dios, lo hace orgánico, ordenado, organismo, ser vivo. Así, la ley eterna es el correlato relacional cultural de la introspección, el fundamento vital del hombre. No es meramente una luz “exterior” sino que constituye la esencia misma de la criatura como participación divina. La ley natural no es por tanto un voluntarismo, sino la máxima racionalidad que se comunica ejerciendo la voluntad creativa de Dios, esto es amando. Así se constituye lo más intimo de la humanidad.La conciencia es esta participación amorosa divina. Es el amor divino que abraza al hombre para que viva y así le dice por dónde puede vivir, por dónde puede satisfacer sus vacíos, por dónde puede construirse, por dónde encuentra el “orden natural”, por dónde puede crecer; qué es bueno y qué es malo para él; esto es, cuál es la apta disposición del plan de Dios que ha creado el

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universo para el hombre y lo ha hecho su señor. La conciencia como autentica introspección es imposible sin la ley natural, la conciencia es imposible sin la creación participativa, la ley natural la constituye. La conciencia es lo más profundo de la imagen de Dios en el hombre.

2.2. Objetivo Subjetivo.La conciencia es el punto genuino de coincidencia de la humanidad.La conciencia es auténticamente subjetiva en cuanto construye al hombre, y lo construye en cuanto su ser relacional responde a sus verdaderos “intereses”, que lo llevan a la Asimilación de bienes culturales que “le convengan”, esto es que le vengan al hombre, que sean verdaderamente “buenos” para él.Esto es, de acuerdo a la relación entre la introspección, la tradición y la asimilación, la conciencia es subjetiva en la medida que es objetiva; en la medida de que los propios vacíos se llenan de satisfactores adecuados; de lo contrario la conciencia se volvería una mera tautología que quisiera llenar sus vacíos sólo con vacíos. Sin “Asimilación” muere en su propio vacío.La oposición entre subjetivo y objetivo es la oposición entre vacío y satisfactor. Una conciencia meramente subjetiva y no objetiva es una conciencia vacía e inútil. La norma que la rige es la objetividad que la construye y construye así a la persona.

2.3. Magisterio, Teología y Conciencia.Ya anotábamos cómo en el bagaje cultural se encuentren los valores unidos con los errores y acomodos culturales. La conciencia en su gran complejidad de introspección que cotidianamente crece al crecer la vida del hombre, tanto individual como colectivamente, se encuentra sujeta a estas vicisitudes. Más todavía atendiendo al oscurecimiento de la luz inicial recibida de Dios, debido a la culpabilidad histórica personal y colectiva del pecado, la posibilidad y actualidad de una consciencia errónea es más que real. Así se llega a la conciencia errada. Más difícil todavía es ir tras los auténticos satisfactores cuando en la satisfacción de los vacíos pasa la frontera de la creaturalidad en la participación de la vida divina. Crecer en perfectibilidad hacia la divinización es donde los satisfactores se vuelven más oscuros y difíciles; más aun, tanto los satisfactores como los mismos vacíos se encuentran en su percepción y asimilación más allá de las meras posibilidades humanas. Entonces los senderos se estrechan porque el bien que pretende la conciencia es infinito.Aquí ocurre una luz especial para que el hombre sea transparente a si mismo. Pasamos las fronteras de la “Ley Natural”. Nos encontramos con la “Ley del Espíritu”. El máximo satisfactor que corresponde al máximo vacío vital humano, está más allá de las posibilidades humanas. Es el escándalo de la cruz como camino a la resurrección. La transparencia ante la paradoja cristiana muertevida que es gratuitamente constitutiva de la conciencia cristiana y que la hace así paradoxal, es sumamente ardua.Y aquí entra necesariamente como detector de necesidades y creador de satisfactores el Espíritu Santo, “Luz de los corazones”, que solo por el amor forja la conciencia crucificada, única constructora del hombre por la resurrección de Cristo. El es el Optimo Consolador, el Dulce huésped del alma. El es el único formador de la conciencia. La conciencia avanza en su formación en la medida que el Espíritu Santo hace que el hombre sea miembro del Cuerpo de Cristo y transparente a Cristo muerto y resucitado. Así en la intimidad de la conciencia, ya no es él sino Cristo Quien vive en él. La conciencia del cristiano se adecua muy penosamente en su sufrimiento y en su muerte con la conciencia redentora. Esta adecuación se da en plena gratuidad y mediante esta intimidad subjetiva del regalo del Espíritu, como persona “Don”, se realiza la máxima objetividad de la conciencia del Cristo total. Esta es la única manera cómo se crece culturalmente

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en humanidad, mas aun, la cultura así ya no es mas la humanización de la naturaleza sino su divinización17.

Magisterio y conciencia.Para realizar este misterioso proceso Cristo envía a sus apóstoles a proclamar el Reino de Dios. Según el Evangelio de San Marcos, los elige para tres cometidos, para que estén con El, para que proclamen el Evangelio y para que destruyan el mal (Mc. 3, 13-15). Experimentan la presencia amorosa de Cristo para que anuncien la máxima bondad que construye desde dentro al hombre y destruye el mal. De acuerdo a lo dicho anteriormente, leyendo la misión apostólica en clave de conciencia, los apóstoles son enviados para formar el recto sentido subjetivo y objetivo de las conciencias. Se comprende como este envío se realice plenamente en Pentecostés con el envío del Espíritu Santo. El Señor glorificado envía al Espíritu Santo a sus apóstoles para que con la clarividencia del amor infinito sean instrumentos que forjan la nueva conciencia. Esta es la autentica Tradición cultural que se convierte en la Tradición apostólica, la “Paradòseis”. Y valga aquí la redundancia, ya que Tradición y apóstol convergen.Magisterio y conciencia se compenetran en la Tradición del Espíritu. El amor divino invade a los Obispos con el Papa a la Cabeza, sucesores de los apóstoles con Pedro a la cabeza, para que presenten la transparencia de Cristo a toda la humanidad y así construyan la autentica conciencia.El misterio de la conciencia cristiana es el misterio de la vida del pueblo de Dios. Es en una mutua comunicación con el pueblo de Dios en su totalidad que el Magisterio debe discernir el desarrollo de la conciencia cristiana. El modelo a seguir es la “Pericóresis” trinitaria a través de la cruz y resurrección.La conciencia cristiana se desarrolla en todo el pueblo de Dios y adquiere tintes maravillosos que constituyen los carismas del pueblo de Dios, cuya autenticidad debe sujetarse a la discreción del Espíritu que ha sido dada al Magisterio. Entre estos carismas forjadores de la conciencia cristiana descuella el carisma teológico otorgado por el mismo Espíritu, que en su constitución divino humana tiene como objeto renovar, ampliar y unificar la Iglesia. Su punto básico de unificación es la discreción del Magisterio de la Iglesia. Así, una teología que no parte del Magisterio y culmina en él, no es una teología católica, y muchas veces no podrá superar el nivel de una ciencia de la religión. Teología, Magisterio y Conciencia.Al tratar el tema de la Teología y la conciencia, nos abocamos a la cuarta etapa de la cultura, el progreso. La Teología es uno de los factores de la evolución del dogma aunque no el único, y así, uno de los factores, importante, del progreso de la conciencia. Al hablar de la Teología en el sentido al que me he referido pienso que no habrá problemas con el Magisterio. La razón es que ambos, Magisterio y Teología, proceden del mismo Espíritu, aunque con funciones diferentes, como hemos recordado. De hecho, la autentica Teología es un esfuerzo por comprender la Palabra de Dios, pero un esfuerzo que podemos llamar teándrico. Dios y el hombre juntos. El conocimiento teológico a la vez que rigurosamente científico es un conocimiento gratuito que Dios misteriosamente infunde en el teólogo. Es un conocimiento místico que procede de la luz del Espíritu Santo. Esta es la luz determinante. Aquí se encierra la autentica relación entre Teología y Magisterio. Ambos provienen del mismo Espíritu. Aunando ambos, radican profundamente en el sentido de la fe del pueblo de Dios, y cada uno desde su ángulo diferente, coincide en el mismo amor divino. Es el Espíritu Quien guía a la Iglesia, Quien edifica el Reino y lo conduce por senderos insospechados.

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Esto es la conciencia: una actualización e iluminación cotidiana creciente que a manera de una sinfonía converge la fe del pueblo de Dios con el discernimiento magisterial y la elaboración teológica. El director de la orquesta es el Magisterio. Las tan difíciles circunstancias de un mundo actual en continuo cambio son firmemente iluminadas sólo así por la conciencia. El progreso es continuo, por eso la formación de la conciencia es siempre un progreso permanente. La vida avanza y en cada momento se debe construir la introspección creciente de la conciencia y el discernimiento del cúmulo de satisfactores para llegar a la divinización del hombre. Este progreso cultural de la conciencia viene a significar el crecimiento continuo del Reino de Dios.El motor del crecimiento es el amor divino. Es el Espíritu Santo. Todo enfrentamiento autosuficiente entre los actores del crecimiento de la conciencia es absurdo; genera odio y nunca puede hacer progresar la conciencia. O se crece en la bondad, comprensión y amabilidad como frutos del Espíritu o se destruye la conciencia.Por esto insiste tanto Juan Pablo II en que una conciencia pretendidamente formada por teólogos en disonancia, en desamor contra el Magisterio, es una conciencia equivocada que no hay que seguir. No se trata de represión del Espíritu sino de solidaridad bajo su dirección.******************Para terminar me parece oportuno regresar a la interpretación que Benedicto XVI hace del brindis del Cardenal Newmann con el que comenzamos estas modestas reflexiones: hace bien el Cardenal en brindar en primer lugar por la conciencia, pues es la que debemos seguir, y luego por el Papa, Quien es al que debemos oír para poderla seguir.Ciudad del Vaticano, 23 de febrero de 2007.

+ Javier Cardenal Lozano Barragán.

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1 Nov. 1988, al Segundo Congreso Internacional sobre Teología Moral, L'Obsservatore Romano, Dic. 19-26, 19882 Sep. 88, a los obispos Austriacos en Salzburgo, L'Obsservatore Romano, Sept. 5, 19883 Agosto. 1983, audiencia general, L'Obsservatore Romano, Agosto 22-29,19834 Agosto. 1983, audiencia general, L'Obsservatore Romano, Agosto 22-29,19835 Agosto. 1983, audiencia general, L'Obsservatore Romano, Agosto 22-29,19836 Agosto. 1983, audiencia general, L'Obsservatore Romano, Agosto 22-29,19837 Nov. 1988, al Segundo Congreso Internacional sobre Teología Moral, L'Obsservatore Romano, Dic. 19-26, 19888 Nov. 1988, al Segundo Congreso Internacional sobre Teología Moral, L'Obsservatore Romano, Dic. 19-26, 19889 Comunicación a la Conferencia episcopal italiana,/A los periodistas de la CEI; 03.06.06.10 « La foi chrétienne a son mot à dire sur la morale ",Le Figaro, 20 de abril de 200511 Carlos Soler cita el pensamiento del actual Papa sintetizándolo de la siguiente manera: El puro positivismo de los derechos humanos como tal no puede ser, en ningún sentido, la última palabra. Tal vez sea suficiente para una Constitución, pero para nuestro debate cultural humano, para nuestro encuentro con las demás culturas, es insuficiente. Este positivismo es, sin embargo, solo la fachada de un dilema más profundo. Como no existen ya grandes inspiraciones para nuestros grandes principios éticos, para la dignidad humana, se llega al positivismo. De hecho, también el "patriotismo constitucional" de Habermas es positivismo. En nuestro debate dijo que la Constitución de por sí produce moralidad. Pero eso no es verdad: tiene necesidad de fuerzas que la precedan. Tenemos que reencontrar y despertar estas fuerzas. El relativismo puede aparecer como algo positivo, en cuanto invita a la tolerancia, facilita la convivencia entre las culturas, reconocer el valor de los demás, relativizándose a uno mismo. Pero si se transforma en un absoluto, se convierte en contradictorio, destruye el actuar humano y acaba mutilando la razón. Se considera razonable solo lo que es calculable o demostrable en el sector de las ciencias, que se convierten así en la única expresión de racionalidad: lo demás es subjetivo. Si se dejan a la esfera de la subjetividad las cuestiones humanas esenciales, las grandes decisiones sobre la vida, la familia, la muerte, sobre la libertad compartida, entonces ya no hay criterios. Todo hombre puede y debe actuar solo según su conciencia. Pero "conciencia", en la modernidad, se ha transformado en la divinización de la subjetividad, mientras que para la Tradición cristiana es lo contrario: la convicción de que el hombre es transparente y puede sentir en sí mismo la voz de la razón fundante del mundo. Es urgente superar ese racionalismo unilateral, que amputa y reduce la razón, y llegar a una concepción más amplia de la razón, que está creada no solo para poder "hacer" sino para poder "conocer" las cosas esenciales de la vida humana. Cfr. “Joseph Ratzinger, Benedicto XVI: su idea de Europa” La Gaceta de los Negocios Madrid 22 de abril de 200512 Fe, Verdad y Cultura. Reflexiones a propósito de la Fides et Ratio, Primer Congreso Teológico Internacional sobre la Encíclica "Fides et Ratio/ Facultad de Teología "San Dámaso" febrero 16, 2000.13 Letter to Norfolk, p. 26114 “Coscienza e Verità”, en “La Coscienza, Conferenza internazionale patrocinata dallo “Wethersfield Institute” di New York, Orvieto, 27-28 maggio 1994”, Libreria editrice vaticana,15 Cfr. Nociones acerca de la conciencia, en www.es.witkipedia.org/wkj/concie16 Splet Jörg dice a este respecto: La conciencia es la experiencia de tres factores: yo mismo, mi experiencia íntima y el contenido de dicha experiencia. En cuanto al tiempo de tener esta conciencia se da en el momento de tener la experiencia, en su recuerdo y en su proyección al futuro. Funda una identidad entre objetos y sujeto en cuanto los objetos se interiorizan en el

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sujeto en su adecuación consigo mismo y por tanto lleva consigo la luz de los primeros principios: lo verdadero y o bueno. Se llama "intellectus principiorum", con relación a estos principios, y con relación a su desarrollo moral se llama "sindéresis". Por razón del conocimiento de estos principios y su actuación que depende del hombre en cada momento de la conciencia, el hombre es libre. La conciencia se esfuma en la medida que el objeto la avasalla y libremente no puede decidirse a la acción y entonces el objeto se apodera del sujeto. Se encuentra así también en el dominio del inconsciente. Por lo que el hombre no puede llegar a una plena conciencia. La conciencia da la norma en el momento de hacer propio el objeto, pero esta luz que allí se irradia, no es posible captarla con la misma intensidad por el recuerdo. Así la conciencia no da una luz refectible con absoluta certeza. No se sabe plenamente si se está o no oprimiendo la verdad. Aquí se toca el problema de conciencia y certeza cartesianos; y la respuesta del pensamiento cristiano con "cor, mens, anima": encuentro personal con Dios en una absoluta entrega que funda la solidez de la conciencia. Por otros caminos se ha llegado a la conciencia general de Kant, o la mera formalidad, o a la elevación de la conciencia a un nivel infinito en el Idealismo alemán, o a su objetividad en el Estado de Hegel, o bien en el pensamiento logístico o vitalista. Cfr. Conciencia, en "Sacramentum Mundi", Enciclopedia teológica I. Herder 1972, 950-854. Para Hofmann Rudolf, la conciencia Significa el núcleo de la vida unitaria de la persona, previo a la división en diversos actos específicos. Para Freud sería la elaboración de las tendencias del sujeto. Para el Existencialismo sería la llamada a la realización de la existencia. La originalidad receptividad del bien por parte de la conciencia no se puede falsear, aunque sí entorpecer debido a factores externos. Factores externos pueden también ayudar a determinar las posiciones de la conciencia. La conciencia se forma y se ejercita y de acuerdo a dicha formación y ejercicio se perfecciona la conciencia. La conciencia posterior a la acción no es solamente un juicio sobre el objeto moral, sino una manifestación de la conformación o no con el propio yo. La conciencia no se sitúa indiferentemente frente a la norma como frente a un objeto, sino que la norma, o sea la voluntad de Dios se hace el mismo hombre creado y redimido por Dios y llamado a la salvación eterna. La conciencia no puede ser suplida por la opinión moral o por la instrucción heterónoma. Es la norma última de moralidad, pero no puede convertirse en norma universal para la decisión personal en casos parecidos. El valor moral de una acción se mide por el dictamen que la conciencia ha emitido una vez ponderado todo el material disponible. Cuando persiste la duda hay que escoger el camino más seguro por 1. un esclarecimiento de la situación moral mediante la propia reflexión o con ayuda del consejo ajeno; cuando esto es imposible, 2. se debe buscar una decisión moralmente justificada a base de consideraciones morales de carácter general; 3. finalmente el cristiano debe buscar el bien y decidirse por él partiendo de toda su actitud moral, poniendo en juego la última fuerza moral de la persona, para emprender el camino a través de una oscuridad irremediable, por puro amor y fidelidad a Dios. La tentativa para superar estas dudas ha dado origen a los diversos sistemas morales. En todo caso, lo que siempre se impone es la prudencia. (cfr. Conciencia moral,"Sacramentum Mundi", Enciclopedia Teológica I, 857-864).17 En una rápida ojeada a la Sagrada Escritura, en el Antiguo Testamento no encontramos la palabra "conciencia", aunque sí su contenido que se describe como "riñones", "corazón". Significa la actitud frente a la Palabra de Dios, la acción conforme a su voluntad, el conocimiento del propio estado, el juicio de Dios. En el Nuevo Testamento tiene una importancia central, se describe con la palabra griega "synéidesis". Para San Pablo, en ella el cristiano se sabe llamado, requerido y juzgado por Dios, que le comunica el conocimiento de sus mandamientos y de su gracia (2Cor.1,12). Es la norma de conducta ante Dios (Ro.13,5), ya se trate de la buena o mala conciencia. La buena conciencia nos hace libres e independientes de los demás (Act.23,1; 1Cor.10,29...) En cuanto facultad humana no puede dar seguridad acerca del juicio de Dios (1Cor.4,4). transmite los mandamientos aun fuera de la Revelación como una ley dada por la

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naturaleza (Ro.2,15). Como conocimiento humano está vinculada al engaño, pero sigue siendo norma moral para el hombre (1Cor.8,7ss). En el cristiano actúa en el Espíritu Santo (Ro.9,1), en virtud de la fuerza de la Resurrección de Cristo (1Pt.3,21). Se purifica y perfecciona por la sangre de Cristo en el Espíritu Santo (Hb.9,9-14). En ella se revela apostólicamente la verdad (2Cor.4,2), se conservan puros los misterios de la fe (1Tim.3,9.) Se permuta con la fe "Pístis" (Ro.14,23) .

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ANTHONY FISHER La coscienza morale secondo la riflessione etica e l'attuale crisi di autorità 

1. La voce della coscienza

1.1 Cosa non è la coscienzaSpero che non vi scandalizziate nel sentire che nella mia automobile ho con me una signora. Dal cruscotto mi indica la strada da percorrere durante la vita. “Fra tre chilometri girare a sinistra” mi comanda. “Svoltare”, supplica. “Salendo a destra, sei arrivato”, avvisa. Naturalmente la signora è un navigatore satellitare ed io sarei perduto senza la sua voce calma che mi indica dove andare. So che qualche volta può sbagliare, per motivi meccanici o per informazioni errate soprattutto rispetto alle condizioni della strada. A volte ho buoni motivi per scegliere strade alternative, altre volte spengo completamente il sistema, ma di solito gli obbedisco e mi accorgo che quando non lo faccio, per disattenzione o perché credo di conoscere meglio io la strada, alla fine me ne pento sempre.Sotto diversi aspetti potrebbe sembrare che la coscienza funzioni proprio come un navigatore satellitare e quindi potremmo chiamarlo Conscientia. Sebbene io argomenti che, sotto importanti aspetti, la coscienza non sia come un navigatore satellitare, molti ritengono che sia esattamente la stessa cosa: una sorta di voce angelica diversa dal nostro modo di ragionare, che viene dal di fuori, anche se la sentiamo nella nostra testa o nel nostro cuore; questa voce esterna della coscienza è generalmente degna di fiducia, tuttavia noi possiamo decidere se obbedirle o no. Si potrebbe pensare che il Cardinal Newman, “la cui vita e il cui lavoro potrebbero essere considerati come un grande commentario alla questione della coscienza”,1 incoraggiasse questo punto di vista quando chiamava la coscienza – al meglio – messaggera di Dio, ‘il Vicario aborigeno di Dio’.2 L’influenza di Newman sul Vaticano II è resa evidente dalla citazione di questo testo nelCatechismo del Concilio3 e nella poetica descrizione conciliare della coscienza come ‘voce’ di Dio che echeggia nel più profondo o nell’intimità o nel sacrario della persona umana:Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità.4

Ora, indipendentemente dal significato di questi passaggi – su cui ritornerò – essi chiaramente non indicano l’intrusione di una voce divina o diabolica nei nostri normali processi di ragionamento, comandando e reclamando, e non agiscono in antagonismo con il nostro pensiero morale. Se avessimo esperienza di queste voci, avremmo probabilmente bisogno di un medico o di un esorcista! Se la coscienza fosse davvero una voce esterna al nostro modo di ragionare, non avrebbe nessun ruolo nell’etica filosofica e ci sarebbe una sorta di doppia verità nella sfera morale: la mia ragione pratica meramente umana mi dice di comportarmi nel modo X, ma la mia voce divina mi dice di comportarmi nel modo Y e non nel modo X. Ugualmente insoddisfacente (e per ragioni parallele) è il punto di vista comune che interpreta la coscienza come guardia psicologica, retaggio interiore delle figure autoritarie dell’infanzia (a la Freud) o costrutto sociale di una società che controlla (a la Nietzsche). Per tutti questi motivi, dovremmo spesso trovarci in conflitto con la nostra coscienza come voce estranea e dovremmo decidere se ignorarla – come a

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volte faccio con il mio navigatore satellitare – oppure obbedirle ciecamente e spegnere la nostra ragione.Secondo alcuni autori è stato il volontarismo Ockhamita a condurre la teologia morale cristiana in questo vicolo cieco dopo lo splendore dell’epoca scolastica.5 In quella prospettivala volontà umana era un potere semplicemente autonomo, totalmente indeterminato e libero. La sua regolamentazione derivò non dalla ragione pratica o dall’intelletto che la dirige dall’interno, ma dalla legge come principio estrinseco che la obbliga e la vincola. Anche qui, l’idea di legge è stata radicalmente deformata. Mentre S. Tommaso D’Aquino vedeva la legge come ‘ordinanza della ragione’, cioè l’illuminazione e la guida interna propria della ragione sulla volontà, nello schema di Ockham la legge appare come un controllo gratuito e arbitrario sulla volontà. L’obbedienza, dunque, rimpiazza la prudenza come prima virtù cardinale. Le stesse virtù, viste dall’Aquinate come ‘eccellenze’ o poteri che informano ed educano le passioni dall’interno, vengono ridimensionate. Esse ora esercitano la funzione negativa di repressione delle passioni tenendole fuori dall’ambito della volontà nella sua obbedienza alla legge.6

Diverse scuole di pensiero – lassisti e rigoristi, probabilisti, probabilioristi ed equi-probabilisti – hanno fornito differenti interpretazioni giuridiche e casi diversi, ma una volta riconosciuta la legge applicabile al caso specifico si è pensato che non ci fosse più nulla da fare se non obbedire. Il ruolo della coscienza, da questo punto di vista, è semplicemente quello di ascoltare ed obbedire ad una legge determinata dall’esterno: perciò potremmo definire Magisterium il navigatore satellitare dato che è lui a dire ciò che si deve fare, mentre il ruolo della Conscientia dell’autista è obbedire.Molti pastori e teologi moderni hanno raccolto l’eredità di questa tradizione. Alcuni rigoristi, per la formazione della coscienza dei fedeli, non offrono molto di più di un testo di diritto e di un precetto al quale obbedire. Per questi, la soluzione alla crisi attuale dell’autorità morale consiste nell’ordinare la sottomissione al navigatore chiamatoMagisterium. I Lassisti, dal canto loro, adottano una strategia da “fiscalisti” cercando di trovare vie parallele alla legge morale o di “navigare a vento” il più possibile senza infrangere realmente la legge morale. Si chiedono: Quanto si può andare oltre? Fino a che punto si può arrivare prima di compiere (seriamente) peccato? Si può fare un po’ di aborto o di sperimentazione sugli embrioni o di eutanasia senza infrangere la legge morale o magari classificare alcuni tipi di aborto, o di sperimentazione sull’embrione o di eutanasia come qualcos’altro in modo da aggirare la legge?Ciò che i rigoristi e i lassisti contemporanei hanno in comune con l’ultima scolastica è l’interpretazione del magistero come una voce esterna alla coscienza che ordina cose alle quali la coscienza non è disposta; se la coscienza non riesce a trovare una via alternativa a questi comandi, deve semplicemente adeguarsi al legislatore oppure disobbedire e pagarne le conseguenze.Il Liberalismo illuminista e l’Esistenzialismo hanno ereditato questa tradizione legalista potenziando il soggetto libero, non più soltanto al di sopra e contro istituzioni quali la chiesa e lo stato, ma anche direttamente contro Dio e la natura. Perciò Newman avvertiva già nel 1875 che l’dea di coscienza si stava degradando da mediatrice interiore della legge di Dio “a prerogativa dell’uomo inglese di essere padrone di se stesso in tutto”.7

La tradizione, la società e la stessa ragione furono sempre più viste come nemici della libertà dell’individuo. Invece di essere informata dalla retta ragione purificata dall’insegnamento della Chiesa, la coscienza era interpretata come scelta personale al di là e contro tutte le costrizioni.La Chiesa può fornire qualche regola di massima, ma alla fine è il soggetto che deve decidere da solo se obbedire o meno al Magisterium.La coscienza, invece di “renderci tutti codardi”, con tutto il rispetto per Amleto e Nietzsche, deve darci il coraggio di liberarci dalle catene della chiesa e dello stato (e dei parenti e degli amici, …).

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Nell’epoca moderna l’autonomia vince su tutto, la moralità è semplicemente un gioco di potere e i soggetti sono clienti in un mercato senza valori.A partire dagli anni ’60, la coscienza diventa un qualcosa come un sentimento forte o un’opinione sincera – ciò che Allan Bloom ha definito “il campo senza fondamenti della determinazione morale adatto a tutti gli scopi, il cui più lieve brontolio è sufficiente a screditare qualsiasi dovere o vincolo”.8

In alcuni ambienti cattolici “una certa reazione allergica alla legge ha spostato il centro di gravità nella teologia morale dalla legge alla libertà personale, all’individuo e alla coscienza”9.‘Segui la tua coscienza’ è diventata la parola d’ordine per seguire le proprie preferenze o argomentare al di là econtro gli insegnamenti di Cristo e della Chiesa nel campo della sessualità, della bioetica e dell’avvicinamento all’Eucaristia10.“Così la coscienza, legata ad un sentire genuino e autentico, diventa l’ultima corte d’appello”11 – guadagna il primato o l’infallibilità. Il linguaggio del primato della coscienza, sconosciuto alla tradizione, è stato presto messo in relazione con la Chiesa piuttosto che con lo spirito dell’epoca o la cultura dominante.12

I sostenitori del primato della coscienza ritenevano che la coscienza così intesa avrebbe prodotto giudizi in accordo, a grandi linee, con quelli del New York Times: non li vediamo mai insistere sul primato della coscienza di fronte al razzismo, al sessismo o al politicamente scorretto.Nel 1993 Papa Giovanni Paolo II ha riassunto così la “via senza uscita” in cui si è incamminato l’Occidente:Si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un'istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male. All'affermazione del dovere di seguire la propria coscienza si è indebitamente aggiunta l'affermazione che il giudizio morale è vero per il fatto stesso che proviene dalla coscienza. Ma, in tal modo, l'imprescindibile esigenza di verità è scomparsa, in favore di un criterio di sincerità, di autenticità, di «accordo con se stessi», tanto che si è giunti ad una concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale.13

Questa ‘coscienza’, della quale alcuni sostengono il ‘primato’ non è affatto, come ha affermato nel prosieguo il Papa, il concetto cristiano di coscienza. Essa è piuttosto, come asserito dai suoi collaboratori e dal suo futuro successore, “ilguscio della soggettività umana, in cui l’uomo può sfuggire alla realtà e nascondersi ad essa”14. 1.2 Cosa è la coscienza: breve storiaLa descrizione tradizionale della coscienza ha inizio dalla riflessione sull’esperienza universale dell’agire: per il fatto che posso scegliere e posso riflettere sulle scelte fatte; e così facendo posso giudicare razionalmente le possibilità attuali e le scelte effettuate in passato. Ho un senso della responsabilità, del rendere conto, dell’auto-possesso nelle scelte che compio oggi e che compirò in futuro e la capacità di analizzare le mie decisioni e le mie azioni passate. Potremmo chiamare questa capacità umana di conoscere e scegliere il bene e l’attività umana di pensare praticamente e scegliere bene, ‘coscienza’.Nel Vecchio Testamento non appare la parola ‘coscienza’, ma si parla di un cuore sincero che interiorizza la legge divina. Dio converte il cuore duro facendolo rinascere. Alcuni personaggi del Vecchio Testamento fanno l’esperienza di Dio che li chiama a vivere la Sua volontà o Legge; in altri momenti essi fanno la stessa esperienza interrogando o giudicando i loro cuori.15 La vergogna dei peccatori Adamo ed Eva e il continuo rimorso di Israele sono esempi di una coscienza che giudica retrospettivamente i suoi peccati.16 Anche la storia dell’Eden descrive bene il processo dell’autogiustificazione o dell’incolparsi a vicenda che di solito si verifica quando le

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persone trovano la propria coscienza colpevole.17 Gesù ha rafforzato questa idea del cuore giusto- o puro- o semplice che permette all’uomo di giudicare correttamente e agire autenticamente.18

Solo in un caso la Septuaginta traduce il termine ebraico ‘cuore’ (lêb) col termine greco συνειδησις (Giobbe 27:6).19 Nel libro della Sapienza il συνειδησις colpevole dell’uomo non pentito accresce la sventura (Sap 17:11). Questo testo riecheggia la saggezza filosofica del mondo grecoromano dove alcuni, come gli stoici, indicavano con il termineσυνειδησις la facoltà umana di compiere scelte giuste in armonia con il disegno eterno o  . Secondo questi autori,λογος lalegge naturale del λογος può essere colta dall’uomo virtuoso o dall’eccellenza umana della  .ΦρονησιςSan Paolo ha raccolto l’eredità di entrambe queste tradizioni: quella ebraico-cristaiana e quella greco-romana. Egli usa circa trenta volta nelle sue lettere e nei suoi discorsi il termine συνειδησις come sinonimo di καρδια che la traduzione inglese della Bibbia riporta normalmente con coscienza e cuore. Per Paolo, la coscienza non è una facoltà speciale, diversa dalle altre facoltà del pensiero e delle scelte dell’uomo, nè è una saggezza misteriosa affidata solo a pochi. Essa è invece la capacità umana di conoscere e scegliere il bene, la mente che pensa moralmente e la volontà che agisce responsabilmente. Quindi per Paolo:? συνειδησις è la conoscenza universale della legge di Dio (es. 2 Cor 4:2; Rm cap. 1 e 2)? συνειδησις si esperisce anche come un tribunale interno che guida, approva o disapprova il comportamento esteriore in modo prospettico o retrospettivo (Atti 24:16; 2 Cor 1:12-14; Rm 2:1415; 9:1; 2 Tim 1:3; Eb 13:18)? i giudizi della  , come altri atti della mente umana, possono essere esatti (1συνειδησις  Tim 1:5) ma anche sbagliati, poichè l’intelletto e la volontà possono essere deboli o corrotti; la coscienza può accusarci erroneamente o rimanere silenziosa quando dovrebbe invece parlarci (1 Cor cap. 8 e 10:23-30; Tit 1:15; Eb 10:22) cosicchè “ci comportiamo con astuzia falsificando la parola di Dio” (cfr. 2 Cor 4:2); può anche sentirsi soffocata a tal punto da non riuscire più ad operare (1 Tim 1:19; 4:2)? l’opera redentrice di Cristo guarisce, rinnova, libera e istruisce l’intelletto umano e la volontà, compresa la  , in modo da poterci “conformare alla volontà di Cristo” così che i nostri συνειδησιςgiudizi siano “confortati dallo Spirito Santo” (1 Cor 2; Rm 9:1; Eb 9:14)? la συνειδησις deve essere accettata anche quando erra (1 Cor 10:23-30; Rm 14).20

Questi temi, solo accennati in Paolo, nel periodo Patristico furono ulteriormente sviluppati, tra gli altri, da S. Gerolamo, Agostino e Giovanni Crisostomo.21 A partire da questo periodo, il termine συνειδησις è stato tradotto in latino in maniera non corretta come synderesis. Agostino insegnava che Dio partecipa la sua verità salvifica agli esseri umani attraverso l’illuminazione della loro synderesis. Tuttavia, dal peccato originale gli esseri umani hanno ereditato l’inclinazione agli errori di giudizio, alle tentazioni, alla debolezza della volontà e quindi al peccato; non cercherebbero più il loro bene autentico senza la tutela della legge di Dio, la moderazione dei costumi e la grazia offerta dalla morte salvifica di Cristo. Tutto ciò, secondo Agostino, era espresso nell’unico modo veritiero dalla Chiesa. Le tensioni tra la coscienza individuale e la Chiesa rappresentavano, per Agostino, l’evidenza della nostra natura corrotta. Il Cristiano dovrebbe cercare sempre di “conformarsi alla mente di Cristo” ponendo la sua synderesis in linea con le Sacre Scritture e la Tradizione.• Nell’era scolastica e pre-moderna Pietro Lombardo, Stephen Langton, Filippo il Cancelliere, S. Bonaventura, Tommaso D’Aquino e Alfonso Liguori hanno scritto tutti sulla synderesis, la conscientia e la prudentia.22 Bonaventura ha seguito Agostino e Lombardo, insegnando che “la coscienza non esprime comandi sulla base della propria autorità, ma di un’autorità derivante da Dio, come un messaggero che proclama l’editto del re. Questo è il motivo per cui la coscienza ha forza vincolante”23. Tommaso attinge molto da Aristotele fornendo:

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? Una teoria della ragione pratica con la quale i principi morali fondamentali o ‘leggi naturali’ sono conosciuti naturalmente riflettendo sulla natura umana e la scelta (synderesis), i principi secondari sono derivati e applicati nella scelta (conscientia);  ? Una psicologia morale delle virtù naturali e infuse che integrano, moderano e dirigono il carattere, in special modo la virtù più importante per un ragionamento retto nelle questioni morali, la prudentia; e? una teologia della grazia e della beatitudine che chiarifica, motiva e rende capaci gli individui di perseguire correttamente il loro bene ultimo.La conscientia, per l’Aquinate, è la norma immediata o prossima della moralità, quel definitivo e autentico giudizio con cui una persona di retta ragione e buona volontà si sforza di applicare la verità oggettiva alla propria vita.24

Mentre il concetto di coscienza ricopre un ruolo minore nella teoria morale di S. Tommaso, nella prima parte del periodo moderno esso è stato “innalzato a nuove altezze” e nei manuali sono apparsi interi e lunghi capitoli ad esso dedicati mentre venivano ridimensionati i ruoli della ragione pratica e della prudenza. Da questa prospettiva la coscienza appariva come giudice passivo che applica una legge data dall’esterno alle varie circostanze, e il ruolo dei teologi morali doveva essere quello di avvocati che assistono il giudice nell’interpretare e applicare la legge nei casi incerti. Presto “tutte le strade, nel mondo della morale, condussero alla coscienza.”25

La coscienza è apparsa particolarmente spesso nei documenti del Concilio Vaticano Secondo. Nella Gaudium et spes il Concilio ha preso come suo punto centrale “l’uomo, considerato nella sua unità e nella sua totalità, corpo e anima, l'uomo cuore e coscienza, pensiero e volontà”.26 Ecco alcune delle considerazioni del Concilio su “cuore e coscienza”:? tutti gli uomini sono vincolati alla ricerca della verità, ad abbracciare la verità alla quale sono pervenuti e a vivere fedelmente la verità;27 ? La coscienza è esperita dagli esseri umani come un sacrario o un tribunale interiore, piuttosto che come qualcosa di estraneo ad essi;28 ? La coscienza media una legge morale universale e oggettiva che è data (da Dio e dalla ragione naturale) piuttosto che creata dall’agente stesso;29

? La coscienza chiama l’agente a inscivere la legge divina in ogni aspetto della vita della città terrena cercando il bene ed evitando il male, amando Dio e il prossimo, seguendo i comandamenti e tutte le norme morali universali;30

? La coscienza è comune a tutti gli esseri umani, non solo ai cristiani, e la sua esperienza e l’obbedienza ad essa rappresentano “la vera dignità dell’uomo”, una dignità tutelata dal Vangelo;31

? Gli esseri umani saranno giudicati in base a come avranno formato e seguito la loro coscienza;32 ? La legge morale e i giudizi particolari della coscienza obbligano la persona umana;33 ? I soggetti a volte fanno esperienza di “ansia”, “contraddizioni” e “squilibri” all’interno dellacoscienza;34

? La coscienza può errare senza colpa al di là della "ignoranza invincibile" o essendo corrotta biasimevolmente; si possono ignorare i suoi giusti dettami o oscurarli con il vizio o agire in maniera arbitraria e falsa chiamando questo ‘coscienza’;35

? Il richiamo alla libertà personale o all’obbedienza alle leggi civili o ai superiori non giustifica l’allontanamento dai principi universali della buona coscienza;36

? La coscienza deve essere appropriatamente formata ed educata; per i cattolici ciò significa curarsi che la propria coscienza sia “rispettosamente conforme alla stessa legge divina e sottomessa all’insegnamento della Chiesa, che interpreta autenticamente quella legge alla luce del Vangelo”; 37 e

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? La libertà di coscienza, specialmente nelle questioni religiose, deve essere rispettata da parte delle autorità civili e le persone non possono essere obbligate ad alcuna pratica religiosa.38

 1.3 Tre atti della coscienzaNel riassunto dell’insegnamento del Concilio Vaticano Secondo sulla coscienza, il Catechismo della Chiesa Cattolica distingue tre atti o dimensioni della coscienza:La dignità della persona umana implica ed esige la rettitudine della coscienza morale. La coscienza morale comprende:? la percezione dei principi della moralità [“sinderesi”];? la loro applicazione nelle circostanze di fatto mediante un discernimento pratico delle ragioni e dei beni e, infine? il giudizio riguardante gli atti concreti che si devono compiere o che sono già stati compiuti.La verità sul bene morale, dichiarata nella legge della ragione, è praticamente e concretamente riconosciuta attraverso il giudizio prudente della coscienza. Si chiama prudente l'uomo le cui scelte sono conformi a tale giudizio39

Questi tre atti o dimensioni della coscienza richiedono una piccola spiegazione.Il primo atto della coscienza identificato nel Catechismo come synderesis è ciò che io chiamo Coscienza-1:40 la percezione dei beni umani primari e i principi più importanti della moralità. Ho già citato testi di Paolo, Agostino, Newman e del Vaticano II che propongono una dottrina della coscienza molto elevata – alcuni direbbero anche romantica – come voce o vicario o sacrario di Dio. Ciò è proprio specialmente della Coscienza-1 e presuppone una lunga tradizione di riflessione su ciò che noi oggi chiamiamo “i principi primi della legge naturale”: l’idea che i principi più importanti della ragione pratica – come quelli della ragione speculativa – sono accessibili a tutti gli uomini di buona volontà e retta ragione che riflettono sulla natura e il bene della persona umana, la comunità e la scelta.Norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio con sapienza e amore ordina, dirige e governa l'universo e le vie della comunità umana. E Dio rende partecipe l'essere umano della sua legge, cosicché l'uomo, sotto la sua guida soavemente provvida, possa sempre meglio conoscere l'immutabile verità. Perciò ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità in materia religiosa, utilizzando mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza.41

In virtù del loro ‘essere dati’, i principi della Coscienza-1 ci forniscono le basi sia per l’autocritica, sia per la critica sociale cosicchè quando le nostre passioni o l’interesse personale o le pressioni sociali ci indicano una direzione, questi principi possono indicarcene un’altra. Quindi la Coscienza-1, lungi dall’essere una causa per il soggettivismo di quanti pensano che coscienza significhi “fare le mie cose” o per il relativismo di quelli che pensano che significhi “fare quello che fa il gruppo”, è in realtà l’origine di un antidoto proprio a questo, suggerendoci a volte di agire in maniera contraria alle nostre inclinazioni o alle pressioni del gruppo.Il Catechismo afferma che la coscienza non è solo la percezione dei principi della moralità, ma anche “la loro applicazione nelle circostanze di fatto mediante un discernimento pratico delle ragioni e dei beni”.42 Io chiamo questo Coscienza-2: il processo del discernimento pratico e una certa disposizione della mente e della volontà necessaria a discernere bene, soprattutto la prudenza nella scelta. Alcuni studiosi della tradizione, compresi alcuni studiosi di S. Tommaso D’Aquino, hanno sostenuto che questo sia l’unico o il più importante significato della parola coscienza: essi identificano la coscienza e la prudenza.43 Altri hanno suggerito, credo in maniera convincente, che l’abituale e prudente operazione dell’intelletto quando applica i principi alle circostanze sia solo uno del complesso degli atti della coscienza e che dovrebbe essere distinto, come habitus dell’intelletto, dagli atti dello stesso nel ragionamento pratico.44 La prudenza, si

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potrebbe dire, è in realtà un aggettivo (una qualità dell’intelletto virtuoso) e soprattutto un avverbio (una qualità dell’agire virtuoso), mentre la coscienza è in realtà un sostantivo (l’intelletto che pensa praticamente) e soprattutto (come chiarirò nel seguito) un verbo (facendo un ragionamento pratico verso l’azione buona).Nel processo di deliberatio della Coscienza-2, l’intelletto spesso è posto di fronte a tentazioni, dilemmi e confusione.45 È qui che si verificano i conflitti di coscienza e, come spiegherò dopo, è qui che possono venire in conflitto le tensioni tra l’insegnamento del magistero e altre parti del processo del ragionamento morale di una persona. Il conflitto, si potrebbe dire, non è tra l’interiorità della persona e una qualche autorità esterna, ma all’interno del soggetto ragionante, poiché norme, valori, ragioni e beni diversi possono essere percepiti in conflitto tra di loro e difficili da armonizzare. Ragionare bene a questo livello richiede qualità come la previdenza, la sensibilità e la serietà verso il ragionamento morale e il discernimento: e affinchè queste qualità siano presenti la coscienza non deve essere solo ben informata, ma anche ben formata.La moralità non è come un gioco d’intelligenza. Il suo scopo, insistono gli antichi, è la scelta: la scelta di un atto reale da parte di una persona reale in circostanze reali. Quindi il terzo dei tre atti o dimensioni della coscienza identificati nel Catechismo è “il giudizio su atti concreti ancora da compiere o già compiuti”. La coscienza-3 è il nostro miglior giudizio su cosa fare o su cosa astenersi dal fare qui e ora (o su cosa avremmo dovuto fare o non fare in un determinato momento nel passato). Quando teologi come S. Tommaso usavano la parola conscientia era di solito in questo terzo senso. Ciò spiega perchè, con sorpresa di alcuni autori moderni, S. Tommaso non si preoccupa di elaborare un trattato specifico sulla coscienza nella Summa theologiæ: per ciò che gli interessa, sono sufficienti le descrizioni della legge naturale, il ragionamento pratico e la virtù della prudenza.La coscienza-3 è degna di considerazione solo quando è in grado di convincere, cioè quando ci può indicare cosa fare nel momento in cui noi agiremmo diversamente o, viceversa, quando ci può dare motivo di rimorso su qualcosa che abbiamo già fatto o che avremmo dovuto fare. Anche qui, c’è molto spazio per l’errore. Dunque, mentre insiste sul fatto che dobbiamo seguire il nostro definitivo e migliore giudizio della coscienza come norma prossima dell’azione, S. Tommaso indugia sulla necessità che questo giudizio rispecchi realmente la verità. Credo che S. Tommaso sarebbe rimasto sconcertato dal dibattito contemporaneo sul ‘primato della coscienza’ o di qualsiasi operazione intelletiva. Come il valore della memoria risiede nel ricordare dettagliatamente, così il valore della coscienza, per Tommaso, risiede nel compiere la scelta giusta. Per lui il primato spetta sempre alla verità.Tale visione della coscienza presuppone un punto di vista ottimistico sulle capacità umane di discernere il bene e in definitiva, aggiungerei, presuppone una posizione teologica sul modo in cui l’uomo intuisce la volontà di Dio anche dopo la sua Caduta. Almeno nella tradizione cattolica la ragione di questo ottimismo sta nel fatto che Dio è l’origine della ‘legge naturale’ degli esseri umani, che Dio rende puro e conferma questo ragionamento naturale attraverso la rivelazione e che Dio redime la mente umana attraverso la Sua grazia salvatrice. Se la coscienza viene ridotta da insieme di principi oggettivi dati da Dio a sincerità soggettiva o da principi universali dati da Dio a principi privati, risulta difficile capire perchè dovremmo prendere sul serio la coscienza delle persone o come si possa fare una reale conversazione morale – lasciamo da parte il consenso – tra persone diverse. Quindi nel contesto contemporaneo anche coloro che sono in cerca di consigli morali vengono ammoniti con il motto “segui la tua coscienza” o compiaciuti con “fai ciò che ti sembra meglio”. Allo stesso modo in alcuni consessi internazionali, eccellenti documenti sui diritti umani diventano armi contro i diritti umani e parole apparentemente innocenti nascondono significati negativi. Senza principi oggettivi condivisi, il richiamo alla coscienza degenera in una operazione di facciata per esprimere semplicemente una preferenza o

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un potere. Senza un modo per capire se la nostra coscienza sia ben formata o no, se funzioni correttamente o no, se sia accurata o irrimediabilmente compromessa. 1.4 L’autorità della coscienzaPertanto, quando il Concilio Vaticano II usa 52 volte il termine coscienza e il suo Catechismo parla ripetutamente di coscienza, ci sono una lunga storia e un contesto complesso da tenere presenti – una storia e un contesto non condivisi da molti di coloro che usano il termine coscienza o da coloro che interpretano i testi del Concilio. Nè appare spesso nel Concilio l’espressione ‘primato della coscienza’. Al contrario, quando celebra la dignità della coscienza, il Concilio qualifica sempre il termine coscienza con aggettivi come ‘giusta’, ‘retta’, ‘corretta’, ‘ben formata’ o ‘cristiana’ – lasciando intendere che non sono poche le coscienze confuse, deformate o comunque deviate e che esiste un altro standard che giudica le coscienze e al quale va attribuito il ‘primato’.46 Il concilio afferma che la coscienza spesso sbaglia, a volte in maniera ‘invincibile’ (cioè non per colpa del soggetto e quindi senza perdere la sua dignità), ma altre volontariamente (cioè a causa di negligenza o vizio, nel qual caso la coscienza si degrada).Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato.47

Duemila anni prima, S. Paolo, aveva espresso lo stesso concetto, ma con un linguaggio più colorito: coloro che hanno una coscienza corrotta sono dei buoni a nulla.Tutto è puro per i puri; ma per i contaminati e gli infedeli nulla è puro; sono contaminate la loro mente e la loro coscienza [ ]. Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti,συνείδησις abominevoli come sono, ribelli e incapaci di qualsiasi opera buona (Tit 1:15-16).Nella tradizione che segue Paolo, la coscienza, come ogni altra capacità intellettuale, può sbagliare poichè l’intelletto umano può essere più o meno maturo, esperto, esercitato, sano, sofisticato, immaginativo, prudente, corrotto dalla passione, ecc.. Di conseguenza, la coscienza può essere più o meno sensibile, realistica, imparziale, ampia … L’autoevidenza dei beni e principi per se nota non è dunque materia semplice,48 se lasciamo da parte la derivazione dei principi secondari e la loro conseguente applicazione, il pensiero delle persone su queste questioni può essere offuscato o corrotto. La coscienza è retta coscienza solo quando media accuratamente quella legge naturale universale che partecipa della legge divina; diventa erronea quando non lo fa. Quindi, come ho suggerito prima, può essere più d’aiuto pensare alla coscienza come a un verbo (espressione del fare), che descrive la mente umana che pensa praticamente il bene o le scelte giuste, piuttosto che reificarla come un sostantivo, una facoltà o una voce con qualità divine.Nonostante la tendenza della coscienza all’errore, la Chiesa mantiene la sua alta idea della dignità della coscienza. Da tutto ciò consegue:? che dobbiamo fare del nostro meglio per coltivare una coscienza ben formata e informata in noi stessi e in coloro che frequentiamo;? che dobbiamo assumerci la responsabilità delle nostre azioni e quindi cercare sempre seriamente di capire quali sono le scelte giuste da compiere;? che piuttosto che agire con coscienza dubbiosa , dovremmo cercare di risolvere il dubbio;? che dobbiamo seguire il giudizio definitivo e migliore della nostra coscienza anche se, a nostra insaputa, è oggettivamente in errore;

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? che dobbiamo fare tutto ciò in tutta umiltà consapevoli che la nostra scelta può essere sbagliata e quindi essere pronti, nel caso in cui ce ne accorgessimo successivamente, a pentirci e a ricominciare da capo; e? che, per quanto possibile, non si deve usare coercizione alla coscienza delle persone: esse, se possibile, devono essere persuase piuttosto che forzate a vivere bene e quindi bisogna lasciare loro un certo spazio per la scelta morale; dobbiamo aspettarci e tollerare le differenze nell’opinione morale.49

Questo rispetto per le persone e per il loro “cuore e coscienza” è perfettamente in accordo con la negazione che la coscienza sia infallibile o che abbia il ‘primato’ sulla verità o la fede o l’insegnamento di Cristo e della sua Chiesa. Come vedremo, il magistero cerca di aiutare la coscienza a raggiungere una mediazione e un’applicazione della verità morale più corretti: il primato è sempre della verità morale oggettiva della legge morale e del Vangelo e solo questa può essere infallibile. 2. La voce del magistero

2.1 cos’è il ‘magistero’?Il termine ‘magistero’ si riferisce all’autorità dell’insegnamento di una tradizione religiosa e/o dei suoi rappresentanti – ha a che fare con l’assenso dell’intelletto, della volontà e dell’azione dei credenti. In ambito cattolico,50 ci ri riferisce all’autorità dell’insegnamento della Chiesa che riafferma o chiarisce le implicazioni dell’insegnamento di Cristo.L'ufficio poi d'interpretare autenticamente la parola di Dio, scritta o trasmessa, è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale magistero però non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio.51

Da dove traggono questa idea i cristiani? La concezione cristiana del magistero ha inizio con alcune affermazioni sull’attendibilità della Chiesa: secondo Paolo, la Chiesa è “colonna e sostegno della verità” (1 Tim 3:15). Queste affermazioni sono basate a loro volta sulla promessa di Gesù di rimanere sempre con la sua Chiesa:Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi, disse loro: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". (Mt 28:16-20)52

Stranamente – considerata la recente controversia sull’infallibilità dell’insegnamento della Chiesa non solo in materia di fede, ma anche in morale – il compito che lascia Gesù in questo passo non è insegnare alle nazioni la cristologia o la soteriologia e neppure la teologia morale fondamentale, ma piuttosto i suoi comandamenti. Con la promessa di essere “insieme” alla sua Chiesa, egli promette di sorvegliare sulla sua veridicità:Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di Verità… Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza… Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera… (Gv 14:16f; 15:26; 16:13 ecc.)Così nelle loro varie lettere, i discepoli iniziarono la tradizione dei rappresentanti della Chiesa che danno indicazioni non soltanto in materia di “fede”, ma anche su come vivere esternamente,

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nella vita di tutti i giorni, quella fede, a volte offrendo solo la loro opinione, ma altre volte dichiarando di esprimersi con l’autorità di Cristo o dello Spirito Santo.53 In seguito i cristiani hanno continuato a fare riferimento ad alcuni autorevoli garanti e interpreti del Vangelo. Non esaminerò in questa sede l’evoluzione di questa fiducia: essa ha una storia lunga ed affascinante, esaminata nel dettaglio dagli studiosi della storia del magistero. Secondo Francis Sullivan, per esempio, i cristiani si resero conto che una genuina fede cristiana implicava la fiducia nella autenticità della Chiesa come mediatrice di quella fede; ciò a sua volta comporta l’idea che le affermazioni attraverso le quali si esprime la fede normativa della Chiesa siano vere:Non vedo come si possa credere che la Chiesa realmente ‘affermi la verità’ per opera dello Spirito Santo, e allo stesso tempo pensare che essa possa obbligare i suoi fedeli a professare la loro fede attraverso proposte che in realtà non solo sarebbero proposte umane, parziali, limitate, passibili di definizioni più adeguate, culturalmente condizionate, ecc., ma anche del tutto sbagliate. In altre parole, l’indefettibilità della verità della Chiesa richiede che la professione normativa della fede sia espressa in proposizioni che, con tutti gli inevitabili limiti, siano pur sempre vere. 54Quindi dal Vaticano II la Chiesa ha potuto affermare che il seguace di Cristo dovrebbe dare l’assenso incondizionato della fede (obsequium fidei) a tutto ciò che essa indica come certamente vero.55

Come è reso operativo questo magistero? Nella Lumen gentium il Vaticano II identifica diverse forme di insegnamento infallibile.56 Il primo viene dal Popolo di Dio quando, in comunione con i suoi vescovi, manifesta accordo universale su questioni di fede e di morale. Quindi è esercitato dai vescovi attraverso il ‘magistero straordinario’ quando riuniti in concilio ecumenico affermano che qualcosa debba essere considerato come definitivo e assoluto.57 Si esprime altresì nel ‘magistero ordinario’ del vescovi quando in comune indicano che qualcosa debba essere considerato come definitivo o assoluto. Può essere anche esercitato dal Papa che nel suo ‘magistero straordinario’ proclama una dottrina come assoluta. Infine l’insegnamento magisteriale si esprime attraverso il ‘magistero ordinario’ del Papa nelle sue definizioni conformi alla rivelazione trasmessa correttamente dalla tradizione o proposta dal Pontefice in comunione con i vescovi.Naturalmente dire che la Chiesa sia infallibile in queste situazioni non equivale a dire che essa sia onniscente o che non possa sbagliare in qualsiasi cosa essa dica o faccia. Tutt’altro. Oltre all’insegnamento magisteriale infallibile ci sono i più comuni pronunciamenti dei vari organismi della Chiesa o dei suoi rappresentanti proposti con autorità minore e in forma non definitiva e meno vincolante per i fedeli. Tali insegnamenti devono essere presi molto seriamente da parte dei fedeli per riguardo alla Chiesa considerata come maestra illuminata; tuttavia essi non esigono l’incondizionata ‘sottomissione della fede’, ma solo un certo grado di ‘religioso assenso’, il cui grado dipende da chi, come e quando esprime l’insegnamento.Diversamente dall’assenso incondizionato della fede, la forma del religioso assenso è provvisoria: per quanto ciò che viene espresso possa prima facie apparire vero, sussiste la possibilità dell’errore o la necessità di importanti specificazioni e sviluppi. Dunque, quando le ragioni di una persona contro un particolare insegnamento non-infallibile sono così convincenti per il soggetto da impedirgli di dare un assenso interiore sincero all’insegnamento, egli cionondimeno resta un cattolico.58 D’altra parte, bisogna riconoscere che alcuni insegnamenti non ancora definiti come infallibili, appartengono di fatto al nucleo della nostra tradizione e potrebbero diventare in futuro oggetto di una espressione infallibile.59 I credenti, qualora fossero incerti delle proprie conclusioni contrarie a un insegnamento non definitivo, dovranno mostrare inclinazione a seguire l’insegnamento finchè non saranno in grado di chiarire il loro giudizio per mezzo della fede e della ragione. 

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2.2 Esempi sul magistero moraleQuali esempi ci sono dell’insegnamento magisteriale in materia morale di autorià così elevata da essere considerati infallibili? Nei Vangeli Sinottici ascoltiamo più volte Gesù confermare l’autorità del decalogo:Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?". Gesù gli disse: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre". Egli allora gli disse: "Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza". Allora Gesù, fissatolo, lo amò. (Mc 10:17-21 et par)Paolo usa un linguaggio un po’ più colorito e diretto verso alcune pratiche incompatibili con il regno di Dio: l’irreligione, l’impudicizia, il furto, l’avidità e così via.60

Ci sono molti passaggi di questo genere nelle Scritture e nella Tradizione Sacra. Un esempio di quest’ultima, è l’anathema contro la poligamia espresso nel Concilio di Trento.61 Più di recente, il Concilio Vaticano Secondo ha condannato in termini inequivocabili le offese alla vita umana e alla sua dignità, la mancanza di condivisione con i più bisognosi, e l’uso delle armi di distruzione di massa contro la popolazione civile.62 Nella VeritatisSplendor (1993) Papa Giovanni Paolo II non ha offerto nessuna nuova definizione morale, ma ha ricordato alcuni esempi di questioni morali presentati come definitivi dal magistero.63

Due anni più tardi, Giovanni Paolo II ha confermato tre ‘dogmi’ morali nella sua enciclica sulla bioetica,Evangelium vitæ (1995).Qui si è mostrato attento nel citare i testi del Vaticano II riguardanti il magistero morale papale ed episcopale e nell’usare il linguaggio dell’autorità Petrina.L’esercizio più chiaro del più alto livello del magistero pontificio lo troviamo riguardo all’uccisione diretta dell’innocente.64 Giovanni Paolo II, quindi, applica questo insegnamento a due urgenti questioni della bioetica. L’insegnamento della Chiesa in base al quale l’aborto diretto rappresenta sempre un grave disordine morale “si basa – sostiene – sulla legge naturale e sulla Parola scritta di Dio”, “espresso dal magistero ordinario e universale”, confermato da “la tradizione dottrinale e disciplinare della Chiesa”, affermato “con accordo unanime dei vescovi”, e definito ora con “l’autorità che Cristo ha conferito a Pietro ed ai suoi Successori”.65 Allo stesso modo, ha affermato che l’insegnamento della Chiesa in base al quale l’eutanasia rappresenta una grave violazione della legge di Dio, “si fonda sulla legge naturale e sulla Parola scritta di Dio”, “trasmessa dalla tradizione della Chiesa ed espressa dal magistero ordinario e universale” ed ora “confermata” da lui stesso nel suo officio Petrino di rendere definitivo quanto espresso dai confratelli e nella sua veste episcopale “in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica”.66

Questa lista di esempi in cui la Chiesa Cattolica afferma di insegnare in maniera definitiva in ambito morale non può essere esaustiva. Ma offre un’idea dell’ampiezza delle questioni alle quali Cristo e la sua Chiesa hanno rivolto il loro interesse e la loro voce. 2.3 Coscienza versus magistero dopo il Concilio Vaticano IIAl tempo del Concilio Vaticano II l’influente peritus Karl Rahner scrisse un saggio su ‘La coscienza cattolica’ in cui spiegava che la coscienza è la sorgente prossima dell’obbligazione morale e quindi deve essere seguita anche quando di fatto è errata.67 Tuttavia, scrisse, abbiamo il dovere di formare rettamente la nostra coscienza ed evitare di confonderla con una mera inclinazione soggettiva o preferenza personale. Insistendo, quindi, sul fatto che dobbiamo essere preparati ad accettare insegnamenti: “l’uomo ha il dovere di fare tutto il possibile per conformare la sua coscienza alla legge morale oggettiva, per formarsi, lasciarsi istruire e per essere preparato ad accettare (cosa spesso assai difficile!) insegnamenti dalla parola di Dio, dal magistero della Chiesa

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e da ogni autorità nel suo campo.”68 Maturità morale significa attenersi ai comandamenti che Dio ci ha dato e che la Chiesa proclama. Rahner ha affermato che la Chiesa insegna questi precetti con autorità divina proprio come insegna le altre “verità di fede”, attraverso il suo magistero sia ordinario che straordinario e che questi debbono essere accettati dai cristiani come regole di comportamento.69

Rahner inoltre ha sostenuto che, sebbene la singola coscienza possa errare senza colpa, non ci si può mai appellare ad una norma espressa dalla Chiesa per costruirsi un’eccezione per se stessi, per la propria coscienza. Su questo punto ha insistito alquanto: se noi comprendessimo che come cristiani sotto la croce possiamo facilmente trovarci in situazioni nelle quali dobbiamo o sacrificare tutto o perdere la nostra anima, allora non cercheremmo eccezioni personali alla legge di Dio proclamata dalla Chiesa, e i nostri confessori non userebbero espressioni evasive come 'segui la tua coscienza' quando c’è qualcosa di difficile che necessita di insegnamento sensibile.70 Quindi Rahner conclude osservando che se nel nostro mondo la legge di Dio sembra irrealistica, il problema non è nella legge di Dio, ma nel mondo che vive nel peccato. Le esigenze della legge di Dio non limitano in alcun modo la libertà dei figli di Dio; nè in alcun modo si oppongono alle manifestazioni del suo Spirito, poiché chi vive nello Spirito non viola i comandamenti, ma li osserva mirabilmente. I comandamenti di Dio espressi da Gesù ci parlano ancora oggi per bocca della Chiesa e noi siamo chiamati all’obbedienza ogni qual volta siamo tentati di disobbedire.Il primo Rahner ha scritto sulla soglia di una nuova epoca in cui l’etica cristiana si trovava ad affrontare sfide provenienti da molte parti, compresa la crescente insoddisfazione per la morale cattolica anche all’interno stesso della Chiesa. Di fronte a ciò, il Concilio ha cercato di mettere nuovamente in evidenza il meglio dell’insegnamento e della prassi tradizionali e di aggiornarli in risposta ai bisogni e alle intuizioni del mondo moderno.71 I Padri Conciliari erano chiaramente consapevoli della crescente minaccia dell’individualismo e del relativismo, ma erano ottimisti al punto da sembrare a volte ingenui su come sarebbero state accolte le loro parole. Molti hanno accolto con più entusiasmo il punto di vista del Concilio sulla dignità e la libertà della coscienza piuttosto che il suo insegnamento sul dovere di formare la coscienza e di esercitare questa libertà con gli assoluti morali noti alla retta ragione e proclamati dal magistero.Il Concilio si era appena concluso quando l’enciclica sul controllo delle nascite di Paolo VI, la Humanæ vitæ(1968), trovò un’accoglienza ostile anche tra molti sacerdoti e teologi. Un gruppo di teologi americani, guidati da Charles Curran, affermò che i cattolici potevano a ragione ‘dissentire’ dall’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione e ‘seguire invece la loro coscienza’. Presto Curran giunse ad affermare che i cattolici potevano legittimamente dissentire da molti degli insegnamenti morali della Chiesa.72 Philip Keane affermò che nell’ambito della sessualità era positivo tutto ciò che si trovava in accordo con la propria coscienza: la contraccezione, la fornicazione, le relazioni omosessuali, le relazioni sessuali extraconiugali…73 Hans Küng liquidò tutte le affermazioni del Concilio sul magistero come aventi teologicamente “piedi di creta”.74 Anche Rahner sembrò ‘passare all’opposizione’ sulla questione dell’autorità ordinaria della Chiesa in materia morale e sul supposto conflitto con la libertà o il primato della coscienza.75 Si era preparata la strada alla polarizzazione della teologia morale per il quarto di secolo successivo, quando scuole di pensiero contrapposte risposero alla “crisi del ‘68”, una crisi almeno in parte sul significato della coscienza morale, le sue implicazioni sul processo decisionale e le sue relazioni con il magistero di Cristo e la Chiesa.Negli anni ’70, alcuni teologi continuarono negando che le Scritture, la Tradizione e la gerarchia potessero offrire un ‘solido’ insegnamento nelle questioni morali. Il movimento ‘Autonomous morality’ guidato da Josef Fuchs sosteneva che non esiste un insegnamento morale specifico cristiano, ma solo una morale universale di ‘autentica umanità’. Se il contenuto normativo

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dell’etica cristiana è identico alle conclusioni di una efficace etica secolare, tutto ciò che il magistero può fare è affermare in via ordinaria i valori umani e aggiungere una certa intenzionalitào gravitas al progetto morale. Questo punto di vista trovò eco in molti articoli accademici e manuali popolari.76

Qui presto si sviluppò una serie di teologie morali “fai-da-te” (me-generation moral theologies) con un concetto di coscienza del tutto soggettivista. ‘Situazionisti’ come Joseph Fletcher hanno riecheggiato l’esaltazione contemporanea della libertà umana e il rifiuto del richiamo alla natura, alla ragione, all’autorità, alle norme o a qualsiasi altro standard universale o oggettivo. Ciò che conta, alla fine, è se la gente ha ‘il cuore al posto giusto’: se è sincera o se ama. Andare contro il magistero della comunità di fede di qualcuno, non è un crimine. Secondo Curran la coscienza aveva pochissimi assoluti morali con cui confrontarsi e riguardava essenzialmente la tranquillità soggettiva di fronte ai dilemmi morali.77‘Proporzionalisti’ come Richard McCormick, allievo di Fuch, sostenevano che il ruolo della coscienza è quello di identificare e bilanciare gli aspetti positivi e quelli negativi delle opzioni personali. In questa opera di bilanciamento non esistono assoluti morali: mentre alcuni principi possono essere senza quasi nessuna eccezione (ne avranno comunque qualcuna), la maggior parte delle norme prevederà molte eccezioni e compromessi. Il magistero, allora, potrà proporre varie ‘regole di massima’, ma non insegnare, con la pretesa dell’infallibilità, che ogni atto concreto è sempre e comunque (‘intrinsecamente’) immorale.78

Timothy O’Connell, nel suo celebre manuale Principles for a Catholic Morality, ha proposto che la coscienza sia infallibile al suo livello più basilare come senso di responsabilità morale e di principi morali fondamentali.79 Tuttavia, nel momento in cui ci spostiamo verso lo specifico, gli individui possono dissentire o errare e quindi la Chiesa può essere utile come consigliere. In ogni caso la coscienza ha sempre il primato sul magistero. Mentre i cattolici pensano che “in una certa misura” lo Spirito Santo guidi la Chiesa, la Chiesa, spiega O’Connell, sembra più la ‘prostituta di Babilonia’ che non ‘la sposa immacolata di Cristo’.80 Sebbene la Chiesa sia in grado, teoricamente, di esprimere insegnamenti morali infallibili, in realtà non lo ha mai fatto. Essa ha semplicemente insegnato in materia morale con l’autorità del suo insegnamento ordinario e tutti gli insegnamenti ordinari della Chiesa sono “suscettibili di errore e quindi fallibili”.81

Anche Francis Sullivan, in “Magisterium: Teaching Authority in the Catholic Church”, asserisce che anche se sipotessero davvero definire principi morali molto generali—e si professa incerto che si possa—sarebbero talmente generici da essere assolutamente inapplicabili. Norme morali più concrete come, presumibilmente, quelle contro la contraccezione, l’aborto, l’eutanasia e l’omosessualità, “non appartengono alle verità rivelateci da Dio per la nostra salvezza, né possono essere rigorosamente desunte da queste verità”. Certamente tali questioni “non ammettono una determinazione irreversibile” e “non sono materia propria di un insegnamento definitivo”. Il ragionamento di Sullivan “esclude non solo la possibilità della infallibilità di tali norme, ma anche che tali norme siano mai state, o possano essere, insegnate come infallibili dal magistero ordinario universale”.82

Sappiamo bene come questo modo di pensare in morale, tipico degli anni ’70 e ’80, abbia completamente permeato molte società, anche se raramente è stato rivestito della pomposità di un linguaggio che usa espressioni quali ‘male ontico’ e ‘autenticità’. In una forma più sottilmente sofisticata questo modo di vedere le cose è stato insegnato ad una generazione di seminaristi e studenti di teologia. Ci vorrà un po’ di tempo per recuperare un senso più cattolico del ruolo e del contenuto della coscienza e del magistero. Nel frattempo tale pensiero continuerà a dividere i cattolici, anche se in maniera non così radicale come per alcune fedi Protestanti nostre sorelle. 

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3. La coscienza nella post-modernità

3.1 Roma rispondeIn Ethics After Babel Jeffrey Stout, un non credente, deplora la “quasi completa rottura di un fruttuoso dialogo tra il pensiero filosofico secolare e le tradizioni religiose”, affermando che ciò impoverisce entrambe ed è il risultato sia del fatto che i filosofi morali secolari hanno adottato “tropi e feticci” che precludono virtualmente tale dialogo, sia che la teologia non offre strumenti per un’educazione e una formazione pubbliche.Per guadagnarsi un uditorio nella nostra cultura, la teologia ha spesso parlato con una voce non sua e si è fondata semplicemente sulla ripetizione di luoghi comuni di intellettuali secolari in discorsi chiaramente figurativi… Mentre gli intellettuali secolari non hanno più mostrato alcun interesse. Essi non hanno bisogno di sentirsi dire da teologi che la Genesi ha un carattere mitico, che non si sa molto della figura storica di Gesù, che è un imperativo morale stare dalla parte degli oppressi, o che il controllo delle nascite è moralmente accettabile. Dunque, la spiegazione del declino dell’etica religiosa nella recente filosofia morale secolare potrebbe essere… che i teologi accademici hanno dato sempre di più l’impressione di non dire nulla che non fosse già noto agli atei.83

Alcuni commentatori, similmente, si sono lamentati che gran parte della recente teologia morale cristiana sia stata un’etica ‘del mondo’ vestita di poesia religiosa, un’etica, una morale di ‘borghese rispettabilità’, “una serie di banalità tra l’insensato e l’incoerente”, un misto di triviale e sentimentale, un’immagine di Dio non come legislatore, ma come ‘buon uomo che guarisce’ che accondiscende ai nostri piccoli ed efficaci compromessi e doppi standard. Essi hanno invocato un ritorno radicale ad un’etica distintivamente Cristiana, e che i cristiani siano disposti ad essere ‘profetici’, ‘contro-culturali’, propugnatori di uno stile di vita genuinamente alternativo. 84 In risposta alla secolarizzazione dell’etica cattolica, Giovanni Paolo II colse l’occasione del 25° anniversario dellaHumanæ vitæ per pubblicare la sua enciclica innovatrice Veritatis splendor.85 In questa egli ha riaffermato l’insegnamento del Concilio Vaticano Secondo implicitamente ripudiato da molti moralisti, affermando che Cristo e la Chiesa possono, lo hanno fatto e continuano ad insegnare in maniera definitiva sulle questioni morali, e che una coscienza cristiana ben formata sarà educata da questo autorevole insegnamento. Nelle questioni morali, come in altre questioni di fede, bisogna comportarsi con l’obbedienza personale della fede, sottomettendo le proprie esperienze, intuizioni e desideri al giudizio del Vangelo, pronti ad un rinnovamento personale secondo l’insegnamento di Cristo trasmesso autenticamente dalla Chiesa.86 La coscienza è certamente la norma prossima della morale personale, ma la sua dignità e la sua autorità “derivano dalla verità sul bene e sul male morale che essa è chiamata ad ascoltare e a diffondere.” La sincerità è insufficiente a stabilire la verità morale di un giudizio di coscienza e la libertà di coscienza non è mai libertà dalla verità, ma sempre e solo libertà nella verità. Il magistero non presenta alla coscienza verità estranee ad essa, ma rende un servizio alla coscienza cristiana illuminando e chiarificando quelle verità che una coscienza ben formata dovrebbe già possedere.87

Enfatizzando il ruolo del magistero, la Chiesa non nega il valore degli sforzi di elaborare una moralità razionalmente fondata e adeguata al dialogo e alla cooperazione con i non cattolici e i non credenti in una società pluralistica. Né nega che la sincerità, le situazioni, i motivi e le eventuali conseguenze di un atto siano da considerare appropriatamente nel compiere una scelta e che la loro considerazione possa influenzare la bontà o la malvagità di una scelta particolare. Ma dopo la critica a molte delle ‘nuove moralità’, Giovanni Paolo II riafferma la posizione tradizionale in base alla quale alcuni comportamenti sono assolutamente proibiti dalla legge

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divina e naturale e quindi da ogni coscienza ben formata; tali atti sono intrinsecamente cattivi, sempre e in ogni luogo, indipendentemente dalle buone intenzioni di colui che li compie o dalla desiderabilità delle conseguenze; essi rappresentano sempre una coscienza e/o volontà disordinata e non possono essere ordinati a Dio o al bene ultimo della persona. Approcci consequenzialisti come il proporzionalismo sono quindi logicamente incoerenti (per il problema della imprevedibilità e della incommensurabilità), moralmente fuorvianti (poichè si concentrano sulle motivazioni e i risultati, piuttosto che sull’oggetto specifico dell’atto morale), e non conciliabili con la tradizione cristiana (poiché in alcuni casi ammettono atti condannati dalla tradizione come ‘intrinsecamente cattivi’). Una coscienza cristiana ben formata cercherà di essere più obbiettiva verso la moralità e più vera verso la tradizione cristiana rispetto ad una moralità fondata sulla sincerità o il bilanciamento degli atti.Nella Formula da usarsi per la professione di fede e il giuramento di fedeltà nell’assumere un officio da esercitarsi a nome della Chiesa (1989) e nella Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo (1990), la Congregazione per la Dottrina della Fede ha dichiarato che compito del magistero è di “discernere, attraverso giudizi normativi per le coscienze dei fedeli, quegli atti che in se stessi sono conformi ai dettami della fede e li promuovono concretamente e quegli atti che, invece, sono incompatibili con questi precetti a causa del loro essere intrinsecamente cattivi.”88 In Veritatis splendor Giovanni Paolo II ha approfondito ulteriormente la vocazione del teologo e i limiti del dissenso.89

In Ad tuendam fidem (1998) Giovanni Paolo II ha identificato tre categorie di dottrine alle quali il credente deve aderire. Della prima fanno parte quelle dottrine di fede e morale “contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale”.90 La Congregazione per la Dottrina della Fede ha messo in evidenza che tali dottrine “richiedono l’assenso della fede teologica da parte di tutti i fedeli” e “chiunque le ponga ostinatamente in dubbio o le neghi cade nella censura dell’eresia”. La Congregazione ha indicato come esempio di tale insegnamento nella sfera morale la prima questione definita in Evangelium vitæ – “la dottrina della grave immoralità dell’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente”.91

Della seconda categoria di dottrine identificata in Ad tuendam fidem fa parte tutto ciò che viene “proposto come definitivo dalla Chiesa e riguarda questioni di fede e di morale” compresi “tutti quegli insegnamenti appartenenti all’area dogmatica o morale, che sono necessari alla fedele adesione ed espressione della fede, anche se non sono stati proposti dal Magistero della Chiesa come formalmente rivelati.” A tutti i credenti è richiesto di dare “adesione ferma e definitiva a queste verità” e “chiunque le negasse rigetterebbe una verità della dottrina cattolica e pertanto non sarebbe più in piena comunione con la Chiesa Cattolica.” In questa categoria la CDF ha incluso l’insegnamento cattolico sulla illiceità dell’eutanasia, la prostituzione e la fornicazione; anche l’aborto, presumibilmente, rientra in questa categoria, se non nella prima.La terza categoria di dottrine è rappresentata da quegli insegnamenti di fede e morale presentati come veri o almeno come sicuri, ma non solennemente definiti o definitivamente proposti dal magistero, per i quali è richiesta una “religiosa sottomissione della volontà e dell’intelletto”; espressioni contrarie a queste dottrine possono essere qualificate come erronee, imprudenti o pericolose. 3.2 La persistente divisione tra coscienza morale e autoritàNel 1991 l’allora Cardinal Ratzinger iniziò la sua esposizione su “Coscienza e verità” osservando che la coscienza è diventata il maggior punto di interesse della teologia morale cattolica contemporanea. Essa viene presentata come il baluardo della libertà, conferendole una sorta di

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infallibilità privata rispetto a qualsiasi altra autorità.92 Ma ritenere che la coscienza sia infallibile, afferma Ratzinger, è contraddittorio poichè la coscienza di due persone può differire su un determinato punto – anzi, la stessa coscienza, in momenti diversi, può esprimere giudizi diversi sulla stessa questione. Ma c’è un problema più importante. Coloro che oppongono la libertà di coscienza all’autorità di insegnamento della Chiesa spesso soffrono di una “avversione traumatica” a quella che considerano la fede-come-intralcio del cattolicesimo ‘preconciliare’. In risposta, il liberalismo contemporaneo offre una versione della coscienza come via di fuga da una religione così oppressiva e che qualcuno potrebbe essere molto contrario a promuovere con l’evangelizzazione o il consiglio pastorale.93

Ratzinger riferisce che, partecipando ad una conversazione in cui un docente universitario postulava che anche i nazisti erano santi poichè ‘seguivano la loro coscienza’, egli era “assolutamente certo che ci fosse qualcosa di sbagliato con la teoria della giustificazione del potere della coscienza soggettiva”94 – ciò che oggi chiameremmo ‘la dottrina del primato della coscienza’. Il suo studio delle antiche Scritture e della psicologia moderna, di Socrate e Newman, ha confermato la sua intuizione che il concetto andava completamente rivisto se si voleva che fosse di qualche utilità. Perché il Salmista implora perdono per colpe nascoste o ignote (Sal 19:12-13)? Perchè “la perdita della capacità di vedere le colpe, il silenzioso decadimento della coscienza in così tanti ambiti è per l’anima un male più pericoloso della colpa riconosciuta come tale.”95 Le buone opere del Fariseo sono indubbiamente buone; il problema è che “egli conosce le colpe che non sono sue”; ha chiara coscienza quando non dovrebbe. E “questo silenzio della sua coscienza rende impossibile a Dio e agli uomini penetrare nella sua corazza – mentre il lamento della coscienza che tormenta l’esattore lo induce ad aprirsi per ricevere verità e amore.”96

Quindi Ratzinger afferma che è sbagliato “identificare la coscienza dell’uomo con l’autoconsapevolezza dell’ego, con la sua certezza soggettiva circa se stesso e la sua condotta morale.”97 Tale riduzione non ci libera, ma ci rende schiavi, completamente dipendenti dal gusto personale o dalle opinioni prevalenti.Identificare la coscienza con uno stato superficiale di convincimento equivale a paragonarla ad una certezza solo apparentemente razionale, una certezza intrisa di ipocrisia, conformismo e pigrizia intellettuale. La coscienza è degradata a meccanismo che produce giustificazioni per una certa condotta, quando in realtà la coscienza ha il compito di rendere il soggetto trasparente al divino … La riduzione della coscienza ad una certezza soggettiva implica la rimozione della verità… [Essa] culla l’uomo in una falsa sicurezza e infine lo abbandona in solitudine in una terra desolata e senza sentieri.98

Quindi mentre il giudizio ultimo e definitivo vincola la persona nel momento dell’azione, ciò non può significare \“una canonizzazione della soggettività.”99 Mentre non è mai sbagliato seguire questo giudizio,può essere una colpa che uno sia arrivato a formarsi convinzioni tanto sbagliate e che abbia calpestato la repulsione dell’anamnesi dell’essere. La colpa quindi si trova altrove, più in profondità: non nell’atto del momento, non nel presente giudizio della coscienza, ma in quella trascuratezza verso il mio stesso essere, che mi ha reso sordo alla voce della verità e ai suoi suggerimenti interiori. Per questo motivo, i criminali che agiscono con convinzione, come Hitler e Stalin, restano colpevoli.100

Nonostante gli sforzi del nuovo papa e del suo predecessore per correggere alcuni comuni equivoci sulla coscienza, alcuni teologi e pastori continueranno indubbiamente ad affermare, e qualche fedele continuerà senza dubbio ad apprendere, che non esistono assoluti morali, che se esistessero la Chiesa non si troverebbe comunque in una posizione privilegiata per identificarli, che la coscienza deve comunque bilanciare l’insegnamento cristiano e varie altre fonti di

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opinione morale e che un cattolico dovrebbe in buona coscienza dissentire pubblicamente dall’insegnamento della Chiesa nella sfera morale e/o agire in maniera contraria ad esso.101 Ma ciò che è chiaro è che non è più teologicamente ocanonicamente sostenibile affermare, come hanno fatto molti sostenitori della “nuova moralità” postconciliare, che la Chiesa non può definire solennemente, proporre definitivamente o insegnare infallibilmente in questioni morali così come fa nelle questioni di fede. Riterrei, anzi, che le epistemologie e le teorie morali che hanno ritenuto impossibile questo tipo di definizione, proposizione o insegnamento, non possano essere riconciliate con la fede cattolica e che sarebbero da escludere per un vero credente. In caso contrario la nuova moralità renderebbe un non-senso l’idea di Dio che ci rivelasse qualsiasi cosa circa il modo in cui dovremmo vivere, che lo faccesse attraverso la Scrittura, il magistero vivente o attraverso suo Figlio in un discorso della montagna.La Chiesa Cattolica oggi non è sola nel confronto con la polarizzazione sul significato e il ruolo della coscienza personale e dell’autorità delle sue Scritture, tradizione e gerarchia. La polarizzazione permea in profondità la società moderna e lambisce ogni religione.102 Entrambi i poli, mi sembra, iniziano con la premessa che la questione è essenzialmente politico-legale, come facevano gli ockamisti e i loro eredi casuisti, sia rigoristi che lassisti, e gli illuministi, campioni dell’autonomia dalle vecchie autorità. Da una parte ci sono coloro che pensano che tutto andrebbe bene se solo le persone seguissero con più cura e ricettivamente il magistero invece dello zeitgeist. Invece di crearsi la loro propria etica o seguire quelle di moda, essi dovrebbero affidare le loro coscienze ai maestri della Chiesa; i rappresentanti della Chiesa, da parte loro, come maestri di morale dovrebbero assumere una posizione più austera e più chiara di come hanno spesso fatto nelle ultime decadi. Il fedele dovrebbe essere disposto ad obbedire e i loro maestri a guidarli ed entrambi dovrebbero rifiutare l’ossessione della generazione fai-da-te col suo “faccio a modo mio”. Da questa prospettiva la coscienza vera è l’autista che obbedisce al navigatore satellitare ecclesiastico, il Magisterium, che gli dice di svoltare a destra o a sinistra nei prossimi 500 metri se si vuole raggiungere l’unica destinazione che interessa.Nella scena contemporanea al polo opposto ci sono coloro che affermano che la coscienza deve avere il ‘primato’. Da questo punto di vista, il Concilio Vaticano Secondo ha aperto una nuova via perché i cattolici seguano la loro propria coscienza. Il Concilio ha insegnato che mentre gli uomini guarderanno giustamente alla gerarchia “per una luce e una forza spirituale”, i laici “non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione”.103 In base a questo punto di vista, i papi post-conciliari hanno tradito il richiamo che il Concilio ha rivolto ai laici di decidere da soli nelle loro “situazioni particolari e concrete”. Dalla Humanæ Vitæ alla Veritatis Splendor la gerarchia ha evitato di dare il potere alla gente di fare le proprie scelte di coscienza. Il patriarcato, il clericalismo, il celibato insieme ad altri fattori hanno contribuito alla ‘restaurazione’ di una teologia morale Romana fondamentalista in disaccordo con il sentire delle persone comuni e con gli sviluppi in teologia e nelle scienze umane. Ciò che si richiede è un rinnovato apprezzamento dell’esperienza e dell’interpretazione personale, degli obbiettivi individuali, e la libertà di conseguire tali obbiettivi senza interferenze. In questo ambito ilMagisterium è, ancora una volta, del navigatore satellitare ecclesiale, ma la coscienza è la capacità di decidere di spegnere il navigatore e di prendere decisioni da soli.104

Ho messo un po’ in caricatura i poli opposti delle ‘guerre culturali’ ecclesiali moderne allo scopo di metterne in evidenza le caratteristiche essenziali. Naturalmente esistono sfumature intermedie e approcci che non si adattano a questo continuum. Ma ciò che mi interessa è solo quanto questi poli ‘opposti’ abbiano realmente in comune. Un elemento è il loro reciproco antagonismo. Un ulteriore elemento è la loro convinzione che l’altro abbia tradito il Concilio Vaticano II. Entrambi sono convinti che l’altro stia rischiando di compromettere il futuro della

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Chiesa e vedono il magistero come un’autorità esterna, spesso in concorrenza con la coscienza personale. Nell’ultima parte del mio intervento vorrei cercare di capire se l’etica ‘post-moderna’ possa offrire in qualche modo una via di progresso. 3.3 Il comunitarianismo e la riconciliazione tra coscienza e magisteroDalla fine degli anni ’80 si è creata una certa impasse tra coloro che pensavano che una coscienza cristiana dovesse regolarmente trovarsi in dissenso con l’insegnamento morale della tradizione cristiana e coloro che ritenevano, invece, che l’assenso a tale insegnamento rappresentasse la vera essenza di una coscienza ben formata. Veritatis Splendor ha rappresentato uno spartiacque e ci ha spinto ad andare oltre questa separazione sterile e obsoleta. Vorrei considerare ora due prospettive nel dibattito sul giusto rapporto tra coscienza e magistero.105

La prima deriva da uno dei maggiori movimenti della filosofia morale contemporanea noto come comunitarianismo.106 La stessa parola conscientia potrebbe indicarci questa direzione: poichè letteralmente conscientiasignifica pensare con, e il con potrebbe riferirsi a qualche comunità o tradizione di pensiero sulla verità. Nel 1991 Ratzinger ha osservato che la coscienza dovrebbe apparire “come una finestra che permette all’uomo di vedere la veritàcomune a tutti noi, la verità che rappresenta le nostre fondamenta e che ci sostiene… che rende possibile una conoscenzacondivisa da cui può scaturire una volontà comune e una responsabilità condivisa.”107 Esponenti del comunitarianismo come Alasdair MacIntyre e Charles Taylor lamentano che le morali autonome della modernità non prendono sufficientemente sul serio il ruolo della comunità e della tradizione nel forgiare i valori e l’identità dei popoli. Dopo tutto, siamo animali sociali, fortemente interdipendenti e complementari; persino i nostri progetti e obbiettivi più privati sono inevitabilmente interrelati con quelli di altre persone. Più fondamentalmente, il nostro senso di chi siamo e di cosa ha interesse per noi ha a che fare in gran parte con i legami che abbiamo con la famiglia, il luogo di lavoro, la politica, la nazione, la cultura e, naturalmente, la chiesa. Alcuni di questi legami vengono scelti, altri semplicemente ‘acquisiti’. Ruoli/modelli preesistenti (come Cristo e i Santi) e comportamenti sociali (come il modo in cui adoriamo Dio e rispettiamo o ci prendiamo cura degli altri) sono appresi per emulazione o fiducia nel ragionamento morale e molto dipende dal tipo di comunità morale alla quale apparteniamo.Mentre l’enfasi moderna sull’autonomia è stata positiva per aver promosso l’individualità, la libera iniziativa, il rispetto per la libertà e così via, ha anche avuto costi reali in termini di stress emotivo, ambiguità normativa e paralisi politica: relazioni frantumate, giovani disorientati e gente frustrata da una libertà senza potere. Secondo i comunitarianisti, in queste situazioni una delle funzioni di comunità come la Chiesa è quella di reindirizzare le persone alla relazionalità, alle tradizioni e a quegli atteggiamenti che aiutano a costruire un tessuto e a dare un senso di identità e di finalità. In questo contesto di gruppo, persone con temperamenti e backgrounds diversi possono dare e ricevere molto. Si rafforzano legami reciproci; la condivisione si realizza a diversi livelli; e con ciò si giunge a speranze comuni. Il gruppo ha i suoi propri costumi e credenze… Se cerchi più dèi o sacrifici di bambini, il cattolicesimo non fa per te. Non venire in chiesa nudo: indossa abiti e buone azioni. Osserva il Credo e i Comandamenti. Il bene comune di qualsiasi comunità richiede una visione condivisa e un certo stile di vita tramandato all’interno della comunità e custodito da figure autorevoli o da meccanismi che potrebbero essere chiamati magistero.Le credenze e le pratiche proposte da gruppi come le chiese sono puramente arbitrarie? Sono prodotti del caso? Sono proposti da libri antichi, da santi eccentrici, da anziani gerarchi di sesso maschile, da pie donne molto impegnate, da insegnanti sfiniti o cose del genere? O c’è piuttosto uno standard più razionale con cui giudicare tutto questo bagaglio della chiesa? Nel prossimo capitolo sosterrò che di fatto esistono alcuni standard oggettivi. Ma bisogna anche riconoscere

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che alcuni di essi possono essere subordinati a quegli aspetti più ‘culturali’, mutevoli, particolari della storia della Chiesa. Anche le comunità, come gli individui, si trovano a dover scegliere tra una gamma di opzioni morali. Alcune verranno escluse da un efficace ragionamento morale e soprattutto dalla rivelazione costitutiva e dalle tradizioni del gruppo: l’uccisione volontaria dell’innocente, la mutilazione, la discriminazione ingiustificata, il desiderio di vendetta, la mancanza di rispetto per la coscienza e così via. Altre verranno invece privilegiate sulla base delle credenze, della storia, della cultura e di altri elementi specifici del gruppo. Quindi anche quelle comunità che si autopercepiscono come ‘pluralistiche’ non scelgono a caso tra le opzioni ragionevoli o senza tener conto di determinati valori: esse sostengono certe cose e ne rigettano altre e lo professano nelle loro preghiere e orazioni, nelle loro letture e nei loro credo e, naturalmente, nei loro codici morali e nei progetti comuni.Così anche Sullivan osserva che la fede della Chiesa è normativa per gli individui che vogliono appartenere ad essa: il cristianesimo non è una religione “scegli il meglio”.Come un atto di fede è libero, così è la scelta di appartenere alla comunità di fede cristiana. Nessuno può essere obbligato ad essere cristiano contro il suo volere. Ma, d’altra parte, una volta scelto liberamente di far parte della Chiesa, non si è liberi di scegliere la propria professione di fede o quali articoli della fede cristiana accettare o rifiutare. La Chiesa cristiana non si è mai considerata come insieme di individualità credenti, ognuna libera di scegliere tra i vari articoli offerti alla fede.108

Mentre si potrebbe voler sfumare l’affermazione di Sullivan che le persone sono libere di andare e venire rispetto alla fede e all’appartenenza alla Chiesa, egli ha sicuramente ragione nel dire che una volta che una persona abbia scelto (e sia stata scelta) di appartenervi, certe pratiche, per così dire, ‘fanno parte del pacchetto’. Se sei per l’aborto, per l’eutanasia e per la clonazione, la Chiesa Cattolica non fa per te; o – meglio – dal momento in cui la Chiesa Cattolica fa per te, devi convertirti e diventare contrario all’aborto, all’eutanasia, alla clonazione e a favore della vita e dell’amore, per il malato e il disabile e per la teologia del corpo.Documenti come il Catechismo della Chiesa Cattolica potrebbero quindi essere considerati come autorevole articolazione della ‘storia cattolica’. Nella parte morale appaiono varie norme, la maggior parte delle quali sarebbe conforme al modo di pensare della legge naturale che descriverò nel prossimo capitolo, ma tutte queste norme rappresentano anche le conclusioni di questa tradizione di fede. Essere parte della Chiesa non significa solo credere certe cose di Dio, della vita ultraterrena, ecc., ma anche vivere secondo quella tradizione e come gli altri membri di quella comunità. L’ortoprassi esprime l’ortodossia.Ciò significa che dobbiamo accettare o rifiutare ‘tutto il pacchetto’? Ho già indicato che alcuni insegnamenti della Chiesa sono presentati come definitivi: tali insegnamenti non sono semplicemente le credenze di una comunità estranea al credente: essi sono essenziali per l’identità dei membri di quella comunità e cultura; vanno esattamente al cuore del loro autoconcetto, dei loro valori e delle loro credenze; sono costitutivi della coscienza del soggetto. Per un membro di una comunità, pensare che la sua comunità abbia un concetto sbagliato di una questione essenziale significa perdere l’identificazione tra la sua ‘storia’ e quella della comunità; in un modo o nell’altro dovrà decidere se continuare ad essere membro di quella comunità.Ma se alcuni insegnamenti morali della Chiesa sono presentati come essenziali per l’identità cattolica, altri appaiono meno essenziali. A volte sarà difficile, secondo la prospettiva del comunitarianismo, decidere cosa è cosa. Nei momenti di crisi, la tradizione di una comunità può evolvere o essere abbandonata dai suoi membri; nel frattempo essi potrebbero trovarsi a vivere con un certo grado di tensione o incertezza mentre sono alla ricerca di una maggiore obbiettività e sicurezza. 

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3.4 La ragion pratica e la riconciliazione tra coscienza e magisteroDicevo di voler considerare due prospettive nel dibattito attuale sul rapporto tra coscienza e magistero. La prima era quella del comunitarianismo in cui le credenze e i comportamenti della comunità cristiana, che qui abbiamo chiamato ‘magistero’, sono considerati come parte costitutiva dell’identità e del destino, ivi inclusa la coscienza, dei suoi membri. Il rischio di questa prospettiva è che si potrebbe pensare che riduca il magistero alla cultura e la coscienza ad un costrutto sociale. Così un secondo approccio, assimilabile ad un’altra tendenza contemporanea nell’ambito della filosofia morale e politica, nasce dalla prospettiva dei sostenitori di una nuova interpretazione della ‘ragion pratica’ o della ‘legge naturale’. Anche in questo caso è ancora il termine conscientia a darci un indizio: poichè significa ragionare (moralmente) con conoscenza e non semplicemente sulla base di opinioni o tendenze.Secondo almeno una versione di questo approccio etico contemporaneo, alcuni ‘beni umani fondamentali’ rappresentano la causa di tutte le azioni umane: la vita, la salute, l’amicizia, la creatività, il benessere, la bellezza, la verità, la fede, l’integrità, e così via.109 Questi beni sono ugualmente basilari e intrinsecamente buoni; nessuno è semplicemente un mezzo rispetto agli altri; ognuno di essi è degno di essere tenuto in conto e curato in ogni vita e in ogni scelta; se pienamente realizzati in ogni vita umana danno prosperità. La famosa massima secondo cui ‘bisogna cercare e fare il bene ed evitare il male’, può dunque essere spiegata come una serie di principi fondamentali non derivati come “veglia alla trasmissione della vita, affina e sviluppa le ricchezze del mondo sensibile, coltiva la vita sociale, cerca la verità, fai il bene, contempla la bellezza… servi Dio, onora i genitori…” – l’elenco stesso dei principi fondamentali stilato da Giovanni Paolo II in Veritatis splendor.110 Essa implica anche un’apertura a tutti i beni umani, anche quelli non direttamente perseguiti, e il rifiuto di qualsiasi scelta direttamente contraria alla partecipazione ad alcuni beni.111Ragionando ulteriormente si può estrapolare una serie di principi morali intermedi e quindi norme specifiche che insieme formano la morale comune.Dato che questa morale è teoreticamente desumibile dalla ragione senza l’aiuto della fede, essa è stata chiamata legge ‘naturale’, cioè quella morale che nelle parole di S. Paolo è ‘scritta nel cuore dell’uomo’, anche di quelli ‘pagani’. Qui la fede cristiana ha una funzione estremamente riassuntiva, confermativa, ispirazionale e potenziativa.112 Ma è anche più di tutto questo. La Rivelazione influisce sul modo in cui concepiamo Dio, gli altri, il mondo e noi stessi: essa, quindi, inevitabilmente darà colore ad ogni istanza del credente nei principi ‘naturali’ e condurrà anche ad alcune norme aggiuntive. Cristo e la sua Chiesa entrano in questo contesto come maestriconsiglieri. Come nota il Catechismo, “L'educazione della coscienza è indispensabile per esseri umani esposti a influenze negative e tentati dal peccato a preferire il loro proprio giudizio e a rifiutare gli insegnamenti certi.”113

L’etica, in questo contesto che unisce legge naturale e fede, non rappresenta un’imposizione da parte di qualche autorità esterna come la Chiesa, è piuttosto un modello di vita che stimola gli uomini ad essere più ragionevoli, più autenticamente se stessi e quindi più genuinamente felici. Il magistero di Cristo e della Chiesa nel confermare, interpretare e applicare la legge naturale non propone un’alternativa esterna con cui la coscienza cristiana deve confrontarsi: essoinforma la coscienza proprio come l’anima fa con il corpo, conferendogli forma e direzione. Nessun conflitto apparente ‘tra la mia coscienza e il magistero’ è tale: o è un conflitto tra ciò che io ritengo sinceramente essere vero e ciò che un’autorità esterna mi dice essere vero, nel cui caso, in generale, devo risolvere il conflitto favorendo il primo; oppure, ed è il caso più probabile per il vero credente, è un conflitto nell’ambito della mia coscienza tra qualche norma acquisita dal magistero e qualche altra parte (o parti) del mio ragionamento morale (comprese altre norme magisteriali acquisite).

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Cosa pensare allora della coscienza non persuasa da alcune proposizioni morali della Chiesa? Se la questione è relativa a qualche verità morale definita infallibilmente e il credente la nega pur continuando ad accettare l’autorità di Cristo e della Chiesa come maestri, allora quanto meno la coscienza di quella persona è confusa: egli vive una contraddizione ed ha una sorta di ‘personalità dissociata’: in un modo o nell’altro dovrà risolvere tale contraddizione. Ma non tutti gli insegnamenti della Chiesa sono presentati come definitivi: molti sono provvisori, anche quando sono espressi con linguaggio che lascia intendere chiarezza e certezza. Grisez afferma che quando un cristiano non sa per certo se una proposizione morale della Chiesa appartenga o meno alla fede cristiana, egli dà correttamente il suo assenso condizionale o religioso a tale proposizione poiché essa potrebbe essere benissimo una proposizione di fede.114

Ma il religioso assenso contempla anche che l’insegnamento potrebbe rivelarsi in errore o incompleto. Quando la Chiesa si arrischia ad insegnare in maniera non definitiva andando oltre l’insegnamento comunemente ricevuto e proposto, ciò può rappresentare un primo passo verso uno sviluppo o un’articolazione più approfondita o un’applicazione autoritativa della fede e della morale della Chiesa; ma può anche rappresentare una falsa partenza. Qui il credente deve dare il proprio assenso ai pronunciamenti non infallibili della Chiesa come a chiunque altro che conosca e faccia del suo meglio per ragionare e discernere. Ma anche in queste situazioni, lo scopo del ragionamento morale non è convincersi a non seguire una norma data dalla Chiesa o ‘ridurre la tassa morale’ da pagare a Dio, ma piuttosto cercare davvero di abbracciare la visione morale proposta da Cristo e dalla Chiesa e cercare di risolvere i dubbi prima di prendere decisioni importanti.Cosa diversa sono le situazioni di disaccordo con la Chiesa non come maestra ma come amministratore. La Chiesa può prendere delle decisioni esecutive che alcuni membri non condividono. A volte ci saranno sanzioni per la disobbedienza come in qualsiasi comunità. In questo caso il disaccordo, se c’è, è tra il soggetto e coloro che detengono l’autorità governativa nella sua comunità ecclesiale, non è un conflitto di coscienza che invece si verifica sempreall’interno del soggetto tra beni, precetti o fonti diversi.115 Qui entriamo però in questioni quali lo scopo e i limiti dell’autorità temporale della Chiesa, l’autorità delle sue decisioni prudenziali e le tensioni tra la santità della Chiesa e gli atti dei suoi vari membri.116

 4. Verso dove?Già nel 1969, l’allora Padre Joseph Ratzinger espresse la preoccupazione che false interpretazioni del paragrafo 16 di Gaudium et Spes sulla coscienza potessero portare all’allontanamento della libertà dalla verità e che questo avrebbe potuto condurre ad aberrazioni di ogni tipo in nome di una ‘coscienza creativa’.117 L’allarme fu profetico. Il suo grande amico Papa Giovanni Paolo II ha dedicato gran parte del proprio magistero al recupero di un senso autentico di coscienza come ponte tra libertà e verità e l’attuale Papa Benedetto XVI sta già facendo lo stesso.In questa relazione ho delineato alcuni punti di vista tradizionali e recenti sulla coscienza, il suo ruolo in etica e il suo rapporto con le fonti dell’autorità morale come le Scritture, la Tradizione e la gerarchia della Chiesa. Ho esaminato l’affermazione comune in base alla quale la Chiesa non può o non insegna in maniera definitiva in materie morali, come quelle di cui si occupa questa Accademia. Ho indicato che molti di quelli che vengono identificati come conflitti tra la coscienza e il magistero in realtà non sono tali: rappresentano piuttosto una confusione sulla natura della coscienza o su quella dell’autorità o entrambe le cose. Di fronte alla continua divisione sulla coscienza, ho descritto a grandi linee due prospettive complementari nella riflessione etica: la prima vede il magistero come l’autorità morale della comunità di cui una persona fa parte e che forma la sua identità e la sua coscienza; la seconda vede il magistero morale come insegnamento autoritativo correttamente racchiuso nella coscienza del credente come ragionatore pratico. Da

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nessuna diqueste prospettive la coscienza può essere vista come autonoma rispetto al magistero o come suo antagonista; non ci può essre lotta per il ‘primato’ tra la coscienza e il magistero. Entrambi questi punti di vista sono più facilmente riconciliabili con la tradizione cristiana rispetto alle recenti alternative che considerano la coscienza come qualcosa di simile ad un navigatore satellitare, una voce distinta dal ragionamento morale o che vede il magistero come navigatore satellitare, una voce estranea alla coscienza personale del credente.La Chiesa del dopo Veritatis Splendor continua la sua sfida per ricostruire un senso cattolico della coscienza e del suo contenuto. Il compito è essenzialmente evangelico e catechetico,118 ed è un compito particolarmente urgente nel mondo occidentale dove, come abbiamo visto, false idee di coscienza sono assai diffuse e conducono a molte conclusioni errate sui principi morali e a molte decisioni personali moralmente disastrose. Il fatto che esistano ancora in alcuni luoghi istituzioni cattoliche che praticano o collaborano all’aborto, alla fecondazione in vitro, alla sterilizzazione o all’eutanasia, impoverisce la fede. Il fatto che ci siano ancora teologi e pastori cattolici che appoggiano queste o simili pratiche indica che c’è ancora molto da fare per ricostruire un senso di vera vocazione ecclesiale del teologo e del pastore.119 Il fatto che ci siano ancora politici ed elettori cattolici che cooperano volontariamente a questi mali dimostra l’erroneità dell’idea che hanno del legame tra coscienza, verità e autorità, sia civile che ecclesiastica. Concezioni errate della coscienza sono state disastrose anche dal punto di vista pastorale. Uno degli effetti negativi, identificato dall’allora Cardinal Ratzinger, è stato la riluttanza nell’evangelizzare e cathechizzare in ambito morale. Un altro, identificato dal Cardinale George Pell, è stato la lacerazione che false visioni della coscienza hanno causato non solo nella vita morale, ma anche in quella spirituale, i cui effetti si riflettono nel declino della pratica della Confessione e nell’abuso della Santa Comunione.120

Senza una comprensione esaustiva del significato, della funzione e dell’applicazione della coscienza cristiana, essa non potrà mai realisticamente essere messa al servizio della cultura della vita e dell’amore. Ma quand’anche questo avvenisse, ci sarà ancora molto da fare per formare e informare correttamente la nostrra stessa coscienza e quella altrui e per trarre conclusioni di fronte ai complessi dilemmi contemporanei – in bioetica così come in altri ambiti. Ma è anche necessaria una rigorosa analisi teologica e filosofica in questioni come, per esempio, l’elaborazione del biodiritto,121 la cooperazione al male,122 e l’obiezione di coscienza – questioni alle quali si tornerà opportunamente nel corso di questo convegno.

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1 JOSEPH CARDINAL RATZINGER, “Conscience and truth,” Values in a Time of Upheaval (New York: Crossroad / Ignatius, 2006) (d’ora in poi, ‘C&T’), 75-100, 84. Questa relazione fu pronunciata per la prima volta in inglese durante il 10° incontro dei Vescovi tenutosi a Dallas, Texas, nel febbraio del 1991 ed è reperibile in internet all’indirizzo http://www.ewtn.com/library/CURIA/ RATZCONS.HTM. Questa versione inglese, tradotta da Brian McNeil è tuttavia una traduzione dalla versione tedesca “Wenn du Freiden willst, achte das Gewissen jades Menschen: Gewissen und Wahrheit,”Wahrheit, Werte, Macht: Prüfsteine der pluralistischen Gesellschaft (III ed, Freiburg i.Br., 1995), 27-62.2 JOHN HENRY CARDINAL NEWMAN, “A Letter Addressed to His Grace The Duke of Norfolk on Occasion of Mr Gladstone’s Recent Expostulation”, 1875, in Certain Difficulties Felt By Anglicans in Catholic Teaching Considered (Vol. 2, Westminster: Christian Classics, 1969), 246. Sul significato di questa lettera si veda: JOHN FINNIS, “Conscience in the Letter to the Duke of Norfolk,” in Ian Ker e Alan G. Hill (a cura di), Newman after a Hundred Years (OUP, 1990) 401-418; GEORGE CARDINAL PELL, “Conscience: ‘the aboriginal Vicar of Christ’,” Be Not Afraid – Collected Writing (ed. Tess Livingstone, Sydney: Duffy & Snellgrove, 2004), 283-300; Pell, “Newman and the drama of true and false conscience,” Lumen Christi Institute, University of Chicago, 20 October 2004 [non pubblicato]; RATZINGER, C&T, 84-90.3 Il Catechismo della Chiesa Cattolica (1994) (d’ora in poi, ‘CCC’) §17784 VATICANO II, Gaudium et spes §16.5 TERENCE KENNEDY, Doers of the Word. Vol. 1: Tracing Humanity’s Ascent to the Living God (London: St Paul’s, 1996), cap. 5; SERVAIS PINCKAERSOP, Les sources de la morale chrétienne (Fribourg: UP, 1985), cap. 10, 11, 12 e 14.6 DAVID BOHR, In Christ a New Creation: Revised Catholic Moral Tradition (Huntington: Our Sunday Visitor, 1998), 174. cfr. ALASDAIR MACINTYRE, Whose Justice? Which Rationality? (Notre Dame: UP, 1988), 183-208; PINCKAERS,Sources, 250 (Trad. Ing. A cura di Mary Thomas Noble OP, Washington DC: CUAP, 1995).7 NEWMAN, “Letter to Norfolk”.8 ALLAN BLOOM, The Closing of the American Mind: How Higher Education has Failed Democracy and Impoverished the Souls of Today’s Students (New York: Simon and Schuster, 1987), 326.9 SERVAIS PINCKAERS OP, Morality: The Catholic View (trad. a cura di M Sherwin, Sound Bend: St Augustine’s Press, 2001), 56-57.10 Su questo punto si veda: JOHN FINNIS, “Conscience, infallibility and contraception,” The Month 239 (1978), 410 417; “IVF and the Catholic tradition,” The Month 246 (1984), 55-58; “‘Faith and morals’: a note,” The Month 21/2 (1988), 563-567; GERMAIN GRISEZ, JOHN FINNIS & WILLIAM E. MAY, “Indissolubility, divorce and Holy Communion,” New Blackfriars 75 (Giugno 1994) 321-330.11 BOHR, In Christ a New Creation, 170.12 Si veda, ad esempio, RICHARD M.GULA, ‘Conscience’, in Bernard Hoose (a cura di), Christian Ethics (London: Cassall, 1998), 114; JAMES FKEENAN, Commandments of Compassion (Franklin WI: Sheed & Ward, 1999), 112 & 134; GEORGE V. LOBO, Christian Living according to Vatican II (Bangalore: Theological Publications in India, 1982); ANNE E PATRICK, Liberating Conscience: Feminist Explorations in Catholic Theology (New York: Continuum, 1996).13 Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor: circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa(1993) (d’ora in poi, ‘VS’) §32.14 RATZINGER, C&T, 79. Il Cardinale continua: “E questo fa sì che la ‘coscienza’ sia utilizzata come giustificazione di una soggettività umana che rifiuta di essere chiamata in causa, così come di un conformismo sociale inteso come valore intermedio tra le varie soggettività rendendo

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possibile in questo modo la vita in comune per gli esseri umani. Non c’è più alcun bisogno dunque di sentirsi vincolati alla ricerca della verità, né si può mettere in dubbio il comportamento e la prassi comune. È sufficiente essere coinvinti della correttezza di una persona e del suo conformarsi agli altri. L’uomo è così ridotto alle sue convinzioni superficiali, meno è profondo meglio è.”15 Es. 1 Sam 24:6; 2 Sam 24:10; Ger 11:20; 17:10; Pr 21:2; Sal 26:2; 95:7f.16 Gen c. 3; Sal 7:10; 26:2; Ger 12:20; 17:10; 20:12.17 Es. Gen 3:8-10.18 Es. Mt 5:8; 6:19-21; 7:21-27; 15:10-20 etc. cfr. 1 Gv 3:19-21.19 Allo stesso modo, in un punto la Vulgata traduce cuore con conscientia: Eccle 7:22.20 BOHR, In Christ a New Creation, 173, nota che “Per Paolo, la ‘coscienza’ rappresenta la coordinata personale per rapportarsi all’impeto del potere civile (Rm 13:5); essa si riferisce alla consapevolezza personale della responsabilità morale… Il più delle volte Paolo la definisce come ‘testimone’ (Rm 2:15; 9:1; 2 Cor 1:12), che accompagna le nostre azioni e attesta la verità delle nostre dichiarazioni … Infine, essa si riferisce a tutta la visione interiore della realtà, del mondo e della vita umana che ha una persona, come visti attraverso gli occhi della fede (Rm 14:23). La coscienza governa la reazione spontanea della nuova creatura agli eventi quotidiani. Si forma con l’esame e la prova di se stessi (dokimazein– 1 Cor 11:28; 2 Cor 13:5; Gal 6:4), attraverso il discernimento della volontà di Dio (Rm 12:2; Ef 5:10) e di ciò che ha valore (Fil 1:10), come appare nel contesto dei due grandi comandamenti sull’amore per Dio e per il prossimo.”21 Sul contributo scritturale, patristico e scolastico si veda: Jean AUBERT, “Conscience e Loi,” in B. LAURET E F. REFOULÉ (a cura di), Initiation á la pratique de la théologie (tome IV, Paris: Éditions du Cerf, 1984), 204-208; G REVANS, Augustine on Evil (CUP, 1982); DOUGLAS KREIS, “Origen, Plato and Conscience in Jerome’s Commentary on Ezekiel,” Traditio 57 (2002), 67-83; KENNEDY, Tracing Humanity’s, ch 5; PINCKAERS, Sources, cap. 8.22 MICHAEL BAYLOR, Action and Person: Conscience in Late Scholasticism and the Young Luther (Leiden: Brill, 1977); ERIC D’ARCY, Conscience and Its Right to Freedom (London: Sheed & Ward, 1961); JOHN FINNIS, “Natural Law: the Classical Tradition,” in Jules Coleman & Scott Shapiro, The Oxford Handbook of Jurisprudence and Philosophy of Law(Oxford, Oxford University Press, 2002), 1-60; TIMOTHY C POTTS, Conscience in Mediæval Philosophy (Cambridge: CUP, 1980); POTTS, “Conscience,” in N Kretzmann, A Kenny & J Pinborg (a cura di), The Cambridge History of Later Medieval Philosophy (CUP, 1982); PINCKAERS, Sources, cap. 9 e 10.23 BONAVENTURA, In II Librum Sentent 39, a 1, q 3, citato in VS §58.24 Cfr. Summa theologiæ I, 79; Ia-IIæ 19, 5; II Sent 24, q 2, a 4; e De Veritate 17, a 4. Sulla teoria morale di S. Tommaso in generale e sulla coscienza in particolare cfr.: DENIS BRADLEY, Aquinas on the Twofold Human Good (Washington DC: CUAP, 1997), cap. 5-7; JOHN FINNIS, Aquinas: Moral, Political, and Legal Theory (OUP, 1998), 123ff; DANIEL WESTBERG, “Good and evil in human acts: Ia IIæ 18-21,” in Stephen Pope (a cura di), The Ethics of Aquinas (Washington DC: Georgetown UP, 2002), 90-102 spec. 97-98; RALPH MCINERNEY, Aquinas on Human Action: A Theory of Practice(Washington DC: CUAP, 1992), 92-95.25 PINCKAERS, Sources, 272. cfr. EDWARD VALLANCE & HARALD BRAUN (a cura di), Conscience and the EarlyModern World, 1500-1800 (New York: Palgrave Macmillan, 2003).26 VATICANO II, Gaudium et spes §3; cfr. §61. 27 VATICANO II, Dignitatis humanæ §§1 e 2.28 VATICANO II, Gaudium et spes §16.29 VATICANO II, Dignitatis humanæ §3; Gaudium et spes §16.

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30 VATICANO II, Gaudium et spes §§16, 43, 74, 79; cfr. Lumen Gentium §36; Apostolicam Actuositatem §5; Dignitatishumanæ §3; cfr. CCC 1777.31VATICANO II, Gaudium et spes §§16, 41.32 VATICANO II, Gaudium et spes §16.33 VATICANO II, Gaudium et spes §16; Dignitatis humanæ §§1 e 11; cfr. CCC 1778.34 VATICANO II, Gaudium et spes §§8, 47.35 VATICANO II, Gaudium et spes §§16, 43, 50.36 VATICANO II, Gaudium et spes §79; Dignitatis humanæ §8.37 VATICANO II, Gaudium et spes §§31, 50, 87; Gravissimum educationis §1; Apostolicam Actuositatem, §20; Intermirifica §§9 e 21; Dignitatis humanæ §§8 e 14.38 VATICANO II, Dignitatis humanæ, spec. §3; Gaudium et spes §79; Gravissimum educationis §§1, 6, 8.39 CCC 1777-1802 at CCC §1780 8 [composizione nostra].40 Uso i termini Coscienza-1, Coscienza-2 e Coscienza-3 in maniera molto diversa dall’uso che Timothy O’Connell fa di coscienza/1, coscienza/2 e coscienza/3 in “The theology of conscience,” Chicago Studies 14 (1976), 149-66 e inPrinciples for a Catholic Morality (New York: Crossroad, 1978), 90ff.41 VATICANO II, Dignitatis humanæ §3.42 CCC §1780.43 JOSEF PIEPER, The Four Cardinal Virtues (Notre Dame: UP, 1966), 10-11, afferma che “coscienza e prudenza, in un certo senso, indicano la stessa cosa… La ‘coscienza’ situazionale è… intimamente collegata e pressochè interscambiabile con il termine ‘prudenza’. Egli ammette che quella che viene comunemente chiamata coscienza è una unità di synderesis(‘coscienza innata o naturale’) e prudenza (‘coscienza situazionale’).44 RALPH MCINERNEY, Ethica Thomistica: The Moral Philosophy of Thomas Aquinas (Washington DC: CUAP, 1997), 104-108.45 Un esempio di tale confusione è la sensazione di essere in colpa comunque: sia agendo, sia non agendo: cioè che ci siano diverse situazioni in cui non esiste una soluzione, ma solo una inevitabile tragedia morale. In realtà in ogni dilemma – qualunque sensazione si abbia al momento e per quanto difficile possa essere ragionare e decidere cosa fare – c’è sempre un percorso migliore di un altro.46 Es. VATICANO II, Lumen gentium §36; Apostolicam actuositatem §§5 e 20; Inter mirifica §§9 e 21; Unitatis redintegratio §4; Gravissimum educationis §1; Gaudium et spes §§16, 26, 43, 50, 52, 76, 87.47 VATICANO II, Gaudium et spes §16.48 ROBERT GEORGE, “Natural law and human nature,” in Natural Law Theory: Contemporary essays (OUP, 1994), 31-41; “Recent criticisms of natural law theory,” University of Chicago Law Review 55 (1988), 1371-429; ROBERT AUDI,The Right in the Good: A Theory of Intuition and Intrinsic Value (Princeton UP, 2004), cap. 2.49 VATICANO II, Dignitatis humanæ §§3 e 11; CCC 1973; D’ARCY, Conscience, Parte 4.50 Ma vale anche per qualsiasi credente la cui tradizione di fede pretenda di insegnare in materie morali. La recente crisi di autorità delle Scritture e della Tradizione della fede Anglicana in argomenti come l’omosessualità, presenta molte analogie.51 VATICANO II, Dei Verbum §10.52 Si pensi alla promessa che Gesù fa a Pietro e agli apostoli e all’autorità che conferisce loro: Mt 16:18-19; 18:18; Gv 21:15-19; At 1:8 etc.53 crf. At 15:28; 1 Ts 1:5; 4:8; 1 Cor 7:10-16; Rm 9:1; 1 Tim 6:3 etc.

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54 FRANCIS SULLIVAN, Magisterium: Teaching Authority in the Catholic Church (Dublin: Gill and Macmillan, 1983), 16. Come vedremo, Sullivan stranamente restringe l’infallibilità della Chiesa alle questioni di fede escludendo quelle morali. cfr. JOHN M.HAAS (a cura di), Crisis of Conscience (New York: Crossroad, 1996).55 VATICANO II, Dignitatis humanæ §14: “La Chiesa cattolica per obbedire al divino mandato: «Istruite tutte le genti (Mt 28,19), è tenuta ad operare instancabilmente «affinché la parola di Dio corra e sia glorificata» (2 Ts 3,1)… I cristiani, però, nella formazione della loro coscienza, devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa. Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell'ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana. Inoltre i cristiani, comportandosi sapientemente con coloro che non hanno la fede, s'adoperino a diffondere la luce della vita con ogni fiducia e con fortezza apostolica, fino all'effusione del sangue, «nello Spirito Santo, con la carità non simulata, con la parola di verità» (2 Cor 6,6-7). Infatti il discepolo ha verso Cristo Maestro il dovere grave di conoscere sempre meglio la verità da lui ricevuta, di annunciarla fedelmente e di difenderla con fierezza, non utilizzando mai mezzi contrari allo spirito evangelico. Nello stesso tempo, però, la carità di Cristo lo spinge a trattare con amore, con prudenza e con pazienza gli esseri umani che sono nell'errore o nell'ignoranza circa la fede.”56 VATICANO II, Lumen gentium §§12 e 25.57 VATICANO II, Lumen gentium §2558 SULLIVAN, Magisterium, 557; crf. GERMAIN GRISEZ, The Way of Our Lord Jesus Christ. Vol 1: Christian MoralPrinciples (Chicago: Franciscan Herald Press, 1983), cap. 35.59 LADISLAS ORSY, The Church Learning and Teaching: Magisterium, Assent, Dissent, Academic Freedom(Wilmington: Glazier, 1987).60 Es. “Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio.” 1 Cor 6:9-10.61 CONCILIO DI TRENTO, Sul matrimonio, can. 2: “Se qualcuno dice che è lecito, per i cristiani, avere più di una moglie contemporaneamente e che ciò non è proibito da nessuna legge divina: aborritelo.”62 VATICANO II, Gaudiumet spes §§26, 69 e 80.63 VS §§51-52: “La persona deve compiere il bene ed evitare il male, vegliare alla trasmissione e alla conservazione della vita, affinare e sviluppare le ricchezze del mondo sensibile, coltivare la vita sociale, cercare il vero, praticare il bene, contemplare la bellezza... È giusto e buono, sempre e per tutti, servire Dio, rendergli il culto dovuto ed onorare secondo verità i genitori.”64 GIOVANNI PAOLO II, Evangelium Vitæ: Sul valore e l’inviolabilità della vita umana (1995) (d’ora in poi ‘EV’) §57: “L'inviolabilità assoluta della vita umana innocente è una verità morale esplicitamente insegnata nella Sacra Scrittura, costantemente ritenuta nella Tradizione della Chiesa e unanimemente proposta dal suo Magistero. Tale unanimità è frutto evidente di quel «senso soprannaturale della fede» che, suscitato e sorretto dallo Spirito Santo, garantisce dall'errore il popolo di Dio, quando «esprime l'universale suo consenso in materia di fede e di costumi». Dinanzi al progressivo attenuarsi nelle coscienze e nella società della percezione dell'assoluta e grave illiceità morale della diretta soppressione di ogni vita umana innocente, specialmente al suo inizio e al suo termine, il Magistero della Chiesa ha intensificato i suoi interventi a difesa della sacralità e dell'inviolabilità della vita umana. Al Magistero pontificio, particolarmente insistente, s'è sempre unito quello episcopale, con numerosi e ampi documenti dottrinali e pastorali, sia di Conferenze Episcopali, sia di singoli Vescovi. Né è mancato, forte e incisivo nella sua brevità, l'intervento del Concilio Vaticano II.Pertanto, con l'autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica,confermo

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che l'uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale. Tale dottrina, fondata in quella legge non scritta che ogni uomo, alla luce della ragione, trova nel proprio cuore (cfr. Rm 2, 14-15), è riaffermata dalla Sacra Scrittura, rasmessa dalla Tradizione della Chiesa e insegnata dal Magistero ordinario e universale.” (citazione del Vaticano II, Lumen gentium §§12 e 25, e Gaudium et spes §27).65 EV §62: “Di fronte a una simile unanimità nella tradizione dottrinale e disciplinare della Chiesa, Paolo VI ha potuto dichiarare che tale insegnamento non è mutato ed è immutabile. Pertanto, con l'autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi — che a varie riprese hanno condannato l'aborto e che nella consultazione precedentemente citata, pur dispersi per il mondo, hanno unanimemente consentito circa questa dottrina — dichiaro che l'aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale. Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla Legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa.”66 EV§65: “Fatte queste distinzioni, in conformità con il Magistero dei miei Predecessori e in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l'eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale.”67 Questo tema è trattato in maniera più approfondita da GRISEZ, Christian Moral Principles, e WILLIAM EMAY, AnIntroduction to Moral Theology (edizione aggiornata, Huntington: OSV, 1994) – verso i quali sono e sarò sempre in debito.68 KARL RAHNER, “An appeal to conscience,” Nature and Grace: Dilemmas in the Modern Church (London: Sheed & Ward, 1963) 49-69, pag. 50.69 RAHNER, “An appeal to conscience,” 51-53.70 RAHNER “An appeal to conscience,” 55-56.71 Riguardo alla teologia morale il Concilio ha chiesto “un contatto più vivo con il mistero di Cristo e la storia della salvezza”, una fondazione più solida nella Scrittura e nella tradizione e un più chiaro riconoscimento che la chiamata del cristiano è verso il regno celeste, ma nel mondo ha la sua rappresentazione temporale. Da un lato quindi si chiede una rinnovata attenzione scritturale, cristocentrica ed escatologica, e dall’altro un’apertura all’esperienza contemporanea, ai risultati dell’esegesi scientifica, delle scienze umane e al dialogo ecumenico e interreligioso. Tuttavia, come abbiamo visto, la Chiesa continua a proclamare l’autorità del proprio insegnamento in materie morali.72 CHARLES CURRAN, “Ten years later,” Commonweal 105(7 Luglio 1978), 429; Transition and Tradition in MoralTheology (Notre Dame: UP, 1979); Critical Concerns in Moral Theology (Notre Dame: UP, 1984); The Catholic Moral Tradition: A Synthesis (Washington: Georgetown UP, 1999); The Moral Theology of Pope John Paul II (Washington DC: Georgetown UP, 2005).73 PHILIP KEANE, Sexual Morality: A Catholic Perspective (New York: Paulist, 1977).74 HANS KÜNG, Infallible? An Inquiry (New York: Harper, 1971), 86.75 Su Küng e Rahner cfr. GRISEZ, Christian Moral Principles, 857-859.76 Si vedano ad esempio i numerosi articoli di Knauer, Janssens, Schüller, Fuchs e altri nella collana a cura di CHARLES CURRAN e RICHARD MCCORMICK: Moral Norms and Catholic Tradition (New York: Paulist, 1979); Dissent in the Church (New York: Paulist, 1988); Dialogue about Catholic Sexual Teaching (New York: Paulist, 1993) e Conscience(New York: Paulist, 2004).

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77 Due recenti e utili critiche a Curran sono: W MAY e EBRUGGER, “John Paul’s moral theology on trial: a reply to Charles E Curran,” The Thomist 69 (2005), 279-312; J MICHAEL MCDERMOTT, “Fr Charles Curran and Pope John Paul II,” Fellowship of Catholic Scholars Quarterly 29(3) (Fall 2006), 42-51.78 JOSEPH FLETCHER, Situation Ethics: The New Morality (London: SCM, 1966); CURRAN, nell’opera citata; RICHARD MCCORMICK, Corrective Vision: Explorations in Moral Theology (Kansas City: Sheed & Ward, 1994) e altre opere; RICHARD GULA, Reason Informed by Faith: Foundations of Catholic Morality (New York : Paulist Press,1989).79 O’CONNELL, Principles, 89-90.80 O’CONNELL, Principles, 94-95.81 O’CONNELL, Principles, 95. Robert Gascoigne, Freedom and Purpose: An Introduction to Christian Ethics (New York: Paulist, 2004), 241 e 243 allo stesso modo afferma che la Chiesa non ha mai proclamato l’infallibilità in nessuno dei suoi insegnamenti morali e, in linea di principio, non può neanche farlo; un cattolico dovrebbe considerare l’insegnamento morale della Chiesa “con rispetto e deferenza”, ma potrebbe correttamente dissentire “dopo una seria riflessione personale”.82 SULLIVAN, Magisterium, 148-152; allo stesso modo CURRAN, The Moral Theology of John Paul II, cap. 1.83 JEFFREY STOUT, “The voice of theology,” in Ethics After Babel: The Languages of Morals and Their Discontents(Boston: Beacon Press, 1988), 164; crf. STANLEY HAUERWAS, The Peaceable Kingdom: A Primer in Christian Ethics(Notre Dame: UP, 1983); ALASDAIR MACINTYRE, After Virtue (II ed, London: Duckworth, 1984).84 STANLEY HAUERWAS, Vision and Virtue: Essays in Christian Ethical Reflection (Notre Dame: UP, 1981); STANLEY HAUERWAS e ALASDAIR MACINTYRE (a cura di), Revisions, Changing Perspectives in Moral Philosophy (Notre Dame: UP, 1983); STEPHEN FOWL e L GREGORY JONES, Reading in Communion: Scripture and Ethics in Christian Life(London: SPCK, 1991); cfr. A CALLINICOS, Against Post Modernism (London: Routledge and Kegan Paul, 1990); L KOLAKOWSKI, Modernity on Endless Trial (Chicago: University of Chicago Press, 1990); AIDAN NICHOLS OP,Catholic Thought Since the Enlightenment: A Survey (Leominster: Gracewing, 1998); Christendom Awake: On Re-energising the Church in Culture (Edinburgh: T & T Clark, 1999); DAVID SCHINDLER, Heart of the World, Center of the Church: Communio Ecclesiology, Liberalism, and Liberation (Edinburgh: T&T Clark, 1996).85 VS§4 sul contesto culturale e il dissenso sistematico.86 VS §§60-64.87 VS§64.88 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Formula da usarsi per la professione di fede e il giuramento di fedeltà nell’assumere un officio da esercitarsi a nome della Chiesa (1989); Donum Veritatis: Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo (1990), §16.89 VS §§109-113.90 GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica motu proprio Ad Tuendam Fidem (1998) che modifica i canoni 750, 752 e 1371 del Codice di Diritto Canonico (Occidentale).91 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota illustrativa su Ad Tuendam Fidem (1998).92 RATZINGER, C&T, 75-76.93 RATZINGER, C&T, 78.94 RATZINGER, C&T, 80.95 RATZINGER, C&T, 81; cfr. VS §63.96 RATZINGER, C&T, 82.

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97 RATZINGER, C&T, 82.98 RATZINGER, C&T, 83-84.99 RATZINGER, C&T, 97.100 RATZINGER, C&T, 97.101 Es. CURRAN nelle opere citate.102 Alcuni studiosi di cultura occidentale contemporanea hanno identificato una crisi nella comprensione della libertà e dell’autorità, es. JEFFREY STOUT, ALASDAIR MACINTYRE e STANLEY HAUERWAS, The Flight from Authority: Religion, Morality and the Quest for Autonomy (Notre Dame: UP, 1981); MACINTYRE, After Virtue; CHRISTOPHER LASCH, The Minimal Self (London: Norton, 1984); ROBERT BELLAH, Habits of the Heart (New York, Harper and Row, 1985); BLOOM, The Closing of the American Mind; JEFFREY STOUT, Ethics After Babel: the Language of Morals and their Discontents (Boston: Beacon Press, 1988). Cfr. JOYCE LITTLE, The Church and the Culture War: Secular Anarchy or Sacred Order (San Francisco: Ignatius Press, 1995); BRYCE CHRISTENSEN, Utopia Against the Family (San Francisco: Ignatius, 1990); MICHAEL NOVAK, “Abandoned in a toxic culture,” Crisis 10 (1992), 16-17.103 VATICANO II, Gaudium et spes §43.104 Si veda, ad esempio, PATRICK, Liberating Conscience, o i vari testi di JAMES KEENAN.105 Con l’analisi di questi due approcchi alternativi alla coscienza e al magistero di fronte alla ‘nuova moralità’, non intendo che ciò esaurisca la serie di direzioni nuove e utili. Le tendenze contemporanee dell’ ‘Etica delle virtù’, del Personalismo e della riscoperta dei Doni dello Spirito Santo offrono alternative complementari che, per motivi di brevità, non è possibile affrontare in questa sede.106 MACINTYRE, in After Virtue e Whose Justice?; anche in Three Rival Versions of Moral Enquiry: Encyclopedia, Genealogy and Tradition (London: Duckworth, 1990); CHARLES TAYLOR, Sources of the Self: The Making of Modern Identity (CUP, 1989).107 RATZINGER, C&T, 79 [corsivo nostro].108 SULLIVAN, Magisterium, 12.109 Si veda: GRISEZ, Christian Moral Principles; GRISEZ, JOSEPH BOYLE, WILLIAM MAY e JOHN FINNIS, “Practical principles, moral truth, and ultimate ends,” Amer J Juris 32 (1987): 99-151; GERMAIN GRISEZ, JOHN FINNIS e JOSEPH BOYLE, “‘Direct’ and ‘indirect’: A reply to critics of our action theory,” The Thomist 65 (2001), 1-44. La considerevole produzione di questa scuola comprende: JOSEPH BOYLE, “Moral reasoning and moral judgment,” Proc Am Cath Phil Assoc 58 (1984): 37-49; “Natural law,” in J. Komonchak, M. Collins & D. Lane (a cura di), New Dictionary of Theology(Dublin: Gill & Macmillan, 1987), 702-708; JOHN FINNIS, Natural Law and Natural Rights (OUP, 1980); Moral Absolutes: Tradition, Revision and Truth (Washington DC: CUAP, 1991); Robert George (a cura di), Natural Law Theory: Contemporary Essays (OUP, 1992); Natural Law and Moral Inquiry: Ethics, Metaphysics and Politics in the Work of Germain Grisez (OUP, 1998); In Defense of Natural Law Theory (OUP, 2001); WILLIAM EMAY, Introduction; Moral Absolutes: Catholic Tradition, Current Trends, and the Truth (Milwaukee: Marquette UP, 1989). La gran parte di queste opere è conforme ai vari tomismi contemporanei, ma ci sono anche importanti differenze. Si veda: G.E.M. ANSCOMBE,The collected philosophical papers of G.E.M. Anscombe (Minneapolis: University of Minnesota Press, 1981) e Human Life, Action and Ethics: Essays by G.E.M. Anscombe (M Geach & L Gormally (a cura di), Exeter: Imprint Academic, 2005); BENEDICT ASHLEY OP, Living the Truth in Love: A Biblical Introduction to Moral Theology (New York: Alba, 1996); ROMANUS CESSARIOOP, The Moral Virtues and Theological Ethics (Notre Dame: University of Notre Dame Press, 1991) e Introduction to Moral Theology (Washington DC: CUAP, 2001); JOHN FINNIS, “Introduction,” to each volume ofNatural Law (2 voll., Dartmouth: Aldershot, 1991); LUKE GORMALLY (a cura di), Moral Truth and Moral Tradition: Essays in

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Honour of Peter Geach and Elizabeth Anscombe (Dublin: Four Courts Press, 1994); KEVIN FLANNERY, Acts Amid Precepts (Washington DC: CUAP, 2001); KENNEDY, “The heart of conscience,” Tracing Humanity’s Ascent, cap. 7; “The revival of practical reason,” Doers of the Word: Vol. 2 Moral Theology for Humanity in the Third Millennium(Ligouri MI: Ligouri, 2002), cap. 4; WILLIAM EMAY, “”Contemporary perspectives on Thomistic natural law,” in John Goyette et al (a cura di), St Thomas Aquinas and the Natural Law Tradition: Contemporary Perspectives (Washington DC: CUAP, 2004), 113156; MACINTYRE, After Virtue e Whose Justice? Which Rationality?; RALPH MCINERNEY, The Question of Christian Ethics (Washington DC: CUAP, 1993) e Ethica Thomistica (II ed, Washington DC: CUAP, 1997); LIVIO MELINA, Sharing in Christ’s Virtues (trad. W. May, Washington DC: CUAP, 2001); PINCKAERS, Sources andMorality; Augustine di Noia OPet al, The Love That Never Ends (Huntington: Our Sunday Visitor, 1996); EDMUND PINCOFFS, Quandaries and Virtues (Lawrence: University of Kansas Press, 1986); HAYDEN RAMSAY, Beyond Virtue: Integrity and Morality (London: Macmillan, 1997). Alcuni autori interessanti, che potrebbero essere definiti ‘senza fissa dimora’ [fellow-travellers] che attingono molto (ma non tutto) dalla tradizione della legge naturale, comprendono: ROBERT AUDI, The Good in the Right: A Theory of Intuition and Intrinsic Value (Princeton NJ: Princeton UP 2004); NIGEL BIGGAR eRUFUS BLACK, The Revival of Natural Law (London: Ashgate, 2001); RUFUS BLACK, Christian Moral Realism (OUP, 2001); DAVID BRINK, Moral Realism and the Foundations of Ethics (CUP, 1989); CORA DIAMOND e JENNY TEICHMAN (a cura di), Intention and Intentionality: Essays in Honour of G. E. M. Anscombe(Ithaca: Cornell UP, 1979); PHILLIPPA FOOT, Natural Goodness (OUP, 1993); RAIMOND GAITA, Good and Evil: An Absolute Conception (London: Macmillan,1991); ROSALIND HURSTHOUSE, On Virtue Ethics (OUP 1999); LEON KASS,Toward a More Natural Science (New York: Free Press, 1985); MARY MIDGLEY, Can’t We Make Moral Judgments?(Bristol: Bristol Press, 1991); THOMAS NAGEL, The Last Word (OUP 1997); MARTHA NUSSBAUM, The Fragility of Goodness (CUP, 1986) e Frontiers of Justice (Cambridge MA: Harvard UP, 2006); OLIVER O’DONOVAN, Resurrection and Moral Order (II ed., Grand Rapids: Eerdmans, 1994); ANTHONY O’HEAR, Beyond Evolution (OUP 1997; ONORA O’NEILL, Justice and Virtue (CUP, 1996); AMARTYA SEN, Development as Freedom (NY: Kopf 1999); NANCY SHERMAN, The Fabric of Character (OUP, 1989); MICHAEL SMITH, The Moral Problem (Oxford: Blackwell 1994).110 GIOVANNI PAOLO II, Veritatis Splendor: circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa §§51-52.111 Il precetto secondo cui bisogna fare il bene ed evitare il male tuttavia non esclude che le buone intenzioni a volte possano essere prevedibilmente, ma non intenzionalmente, compromesse dalla propria o altrui ricerca di un bene.112 RATZINGER, C&T, 95, afferma che “Solo in questo contesto possiamo intendere correttamente il primato del Papa e il suo legame con la coscienza cristiana. Il significato autentico dell’autorità dottrinale del papa consiste nel fatto che egli è il garante della memoria cristiana. Il papa non impone dall’esterno, ma sviluppa la memoria cristiana e la difende. Per questo il brindisi per la coscienza deve precedere quello per il papa, perché senza coscienza non ci sarebbe nessun papato. Tutto il potere che egli ha è il potere della coscienza al servizio della memoria …”113 CCC 1783.114 GRISEZ, Christian Moral Principles.115 Naturalmente, i conflitti con la Chiesa, lo stato o altre autorità di governo possono sollevare questioni di coscienza. Spesso le persone, per il bene comune, obbediranno a decisioni che non condividono. A volte però, per ragioni di coscienza, non possono farlo. Altri relatori di questa

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conferenza prenderanno in considerazione il significato e le condizioni della cosiddetta obiezione di coscienza.116 Si veda: GEORGES CARDINAL COTTIER OP, Memoria e Pentimento: Il rapporto fra Chiesa santa e cristiani peccatori (Roma: San Paolo, 2000); JEAN LAFFITTE, “L’Eglise et le pardon,” Cahiers Edifa 7 (1999), 24-36 e “Temps, mémoire etpardon,” Cahiers Edifa 7 (1999), 37-51.117 Si veda: HERBERT VORGRIMLER (a cura di), Commentary on the Documents of Vatican II, vol. 5 (New York: Herder & Herder, 1969), 134-136118 GIOVANNI PAOLO II, VeritatisSplendor §§106-108.119 GIOVANNI PAOLO II, VeritatisSplendor §§109-117. Nel §111 Giovanni Paolo II discute del particolare mandato dei docenti nei seminari e nelle facoltà teologiche.120 GEORGE PELL, “The inconvenient conscience,” First Things 153 (May 2005), 22-26 (disponibile all’indirizzo http:// www.firstthings.com/ftissues/ft0505/articles/pell.html)121 Su questo tema si veda il mio: “The duties of a Catholic politician with respect to bio-lawmaking,” Notre Dame J Law, Ethics & Public Policy, 20(1) (2006), 89-124.122 Su questo tema si veda il mio: “Co-operation in evil,” Catholic Medical Quarterly XLIV (3) (Feb 1994), 5-8, e “Co-operation in evil: understanding the issues,” in Helen Watt (a cura di), Cooperation, Complicity and Conscience: Moral Problems in Healthcare, Science, Law and Public Policy (London: Linacre Centre,. 2005), 27-64.

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BRIAN V. JOHNSTONE La coscienza morale e l’innovazione cristiana:elementi per una lettura teologica

La coscienza morale è definita dal Catechismo della Chiesa Cattolica come: “... un giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto. In tutto quello che dice e fa, l’uomo ha il dovere di seguire fedelmente ciò che sa essere giusto e retto”(1778). L’obbiettivo di questo articolo è trovare una risposta alla domanda: quali sono le regole che guidano la coscienza, nel giudicare quali innovazioni debbano essere accettate nella Tradizione Cattolica e quali invece no?Ai fini di questo articolo dobbiamo integrare la definizione di coscienza in un contesto teologico più ampio che abbracci la fede, la Chiesa, la tradizione e l’autorità nella Chiesa.Il primo passo in questa discussione sarà chiarire la natura della coscienza e la sua relazione con gli altri elementi appena elencati. Il secondo consisterà nel spiegare la nozione di tradizione e il suo legame con la coscienza. In questo contesto cercherò di stabilire la struttura della tradizione in relazione a due grandi innovazioni di base: la creazione e l’incarnazione, la morte e la risurrezione di Gesù. Entrambe sono, a mio parere, alla base delle regole di accettazione o rigetto di altre possibili innovazioni nella tradizione.        Sarebbe possibile discutere molte di queste novità nella tradizione, come ad esempio, l’accettazione della dottrina sui diritti umani, o del criterio di morte come “morte celebrale”. In questo articolo discuterò un caso di possibile innovazione, cioè l’accettazione della dottrina della “libertà di coscienza” nella tradizione Cattolica. La libertà di coscienza può venire interpretata sulla base di una tradizione “liberale”. Questo presuppone un concetto negativo di libertà vista come imposta o diversa, dove la coscienza individuale pretende libertà da ogni istanza esterna. Questa pretesa si estendeva anche alla “verità”, dove la verità in se stessa era considerata come la dottrina di un altro e quindi imposta all’individuo il quale ne rimaneva totalmente estraneo. Anche l’autorità, tranne quando veniva accettata da un supposto libero contratto tra individui, era considerata sospetta, specialmente se cercava di entrare nel campo della moralità. Ancora una volta, l’idea che la tradizione potesse avere un’autorità sarebbe stata fortemente contestata.Nell’era post-moderna, qualcuno potrebbe essere d’accordo nel sostenere che anche la coscienza debba essere libera dal dominio della “ragione”. In breve: verità, autorità, tradizione e ragione erano interpretate come forme di dominio. Come può un concetto cristiano-cattolico di coscienza rientrare in queste nozioni? Nell’articolo si argomenterà che alcune di queste versioni sono state usate come strumenti di dominio, ma, nella tradizione cattolica, la verità, l’autorità, la tradizione e la ragione sono intese come doni liberamente dati per essere liberamente ricevuti. Questo rende possibile una critica della nozione liberale di libertà di coscienza ed una trasformazione tale che le permetterebbe d'essere accettata come innovazione nella tradizione cattolica.            Per un cristiano credente, la coscienza trova il suo posto nell’atto di fede. Pensare alla coscienza come una zona separata dalla fede, presupporrebbe una divisione della persona. La fede richiede un impegno alla tradizione attraverso cui essa è trasmessa alla comunità che è sostenuta e sostiene la tradizione, cioè la Chiesa. L’atto di fede non può sostituire il giudizio di coscienza e viceversa.  Ciò che ha bisogno d’essere spiegato è la natura di quest’atto e le norme per affrontarlo in maniera genuina. Dobbiamo anche spiegare la natura di un giudizio di coscienza e le regole per un genuino giudizio di coscienza come discernimento della ragione.            La relazione tra fede e coscienza ha bisogno di maggiori spiegazioni. Per San Tommaso se una persona giudica in coscienza che un atto di fede in Cristo Gesù è male, ciò è moralmente

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sbagliato, quindi, se la persona si ostinasse a voler fare quell’atto di fede, la sua volontà sarebbe diretta verso il male. Da questo si potrebbe concludere che una persona non dovrebbe fare questo atto di fede. In questo caso non è la fede ad essere in se cattiva ma è presentata come cattiva dalla ragione alla volontà1. Ad esempio, la ragione potrebbe giudicare come male un atto di fede perché esso richiede una rinuncia morale illegittima all’integrità intellettuale.Il giudizio della ragione discusso da San Tommaso, in questo caso, è sbagliato. Il giudizio può essere erroneo perché la persona che lo ha prodotto può avere una concezione sbagliata di quella che è una fede genuina oppure può avere una corretta nozione di fede ma ragionare scorrettamente nell’accertarsi di un particolare avvenimento. Potrebbe anche essere possibile che una persona consideri come un genuino atto di fede ciò che di fatto era una cattiva azione morale. Ad esempio, una persona può professare una dottrina di fede solo per trarre vantaggi personali come una migliore posizione in azienda. Questo non sarebbe un genuino atto di fede e la ragione è capace di fare una distinzione sulla base di elementi puramente razionali. La ragione potrebbe anche scoprire ciò che la Rivelazione (le Scritture e la Tradizione) presenta come "fede", ad esempio un atto di  libero impegno verso la persona di Gesù Cristo. Con questa conoscenza, la ragione potrebbe giudicare che l’azione considerata come un atto di fede, non era quella presentata nella Rivelazione, cioè un impegno libero nei confronti di Cristo. Tale giudizio sarebbe entro i confini della ragione anche per coloro che non avessero fatto un personale atto di fede.            Comunque riferirci costantemente alla "ragione" non ci è di nessun aiuto se prima non diamo una qualche spiegazione del suo significato. Nelle risposte che cercherò di offrire, seguirò alcuni suggerimenti di Alasdair MacIntyre. Come egli ci ha ricordato, noi ragioniamo con la tradizione. Quindi, per capire la ragione dobbiamo capire prima la tradizione dalla quale emerge la ragione2. A questo punto del discorso dobbiamo considerare la prima e fondamentale innovazione, che rende possibile la tradizione della ragione di cui tutti noi facciamo parte. L’atto radicale del fare parte della creazione divina come dono assolutamente gratuito3. L’esistenza contingente è esistenza donata e la dimensione del dono è la linea guida fondamentale, l’orizzonte di tutti i nostri ragionamenti4. Dio dona l’esistenza; noi nel ricevere questo dono partecipiamo all’esistenza di Dio che è donare. Così diventiamo capaci di donare agli altri. Uno dei modi più comuni di donarsi agli altri è la comunicazione attraverso la propria lingua; questa forma d'interazione costituisce la tradizione umana del ragionamento. La ragione quindi capisce di esistere come dono e coglie le sue norme basilari, come norme del dare e del ricevere5. La ragione senza fede nella creazione, può arrivare ad una dichiarazione formale che le norme basilari del pensiero e della vita umana sono radicate nel dono, ma senza la fede nella creazione, rimarrebbero solo delle dichiarazioni6. Al contrario, possiamo invece cogliere che l'esistenza è esistenza donata, che le regole della ragione sono basate sul dare e sul ricevere perché riconosciamo di aver ricevuto la vita come dono divino e che la ragione divina in se è caratterizzata dal donare. Forse potremmo concepire la divinità, non come  pensiero pensante, ma come un donatore che fa un regalo, dove il regalo è Dio stesso. Potremmo dire che la ragione divina è impegnata nel contemplare l'essenza divina in modo tale da discernere come la partecipazione in quell’essenza possa essere donata. Quindi, poiché crediamo in una libera creazione e che il motivo per cui partecipiamo nella ragione divina ci è donato gratuitamente, concludiamo che, la ragione debba essere libera. Ecco che possiamo vedere come la ragione impari dalla fede, rimanendo allo stesso tempo distinta7.            Per un'adeguata ontologia dell'essere umano è necessario un resoconto di tutte le istanze significative del dare e del ricevere che costituiscono il vivere dell'uomo. Come scrisse Nicholas Boyle, l'esistenza di ognuno di noi è un dono ricevuto da un atto d'amore, quello dei nostri genitori, e in ultimo l'atto d'amore di Dio e una qualsiasi ontologia degna di questo nome deve

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avere un posto per questo dono8. L'esistenza è comunicata storicamente nel dono della vita che i genitori fanno ai figli. Il dono originale e tutti gli altri che sostengono e promuovono la vita costituiscono ciò che chiamiamo tradizione e il donare e ricevere questi doni nel tempo costituisce la nostra "storicità".           In questo senso per “nostra storicità” si intende il nostro dare e ricevere doni nell’arco della vita e questo è possibile solo con il passare del tempo9. Non possiamo invocare la "storicità" per richiamare la teoria che nessun insegnamento morale abbia una validità duratura nel tempo e invece sia applicabile solo ad alcuni periodi storici. Sarebbe come imporre all'umanità una nozione ideologica di storicità come frammentaria. La storicità assume valore solo nel continuo dare e ricevere che è la tradizione.            Il punto non è che la ragione emerga dalla storia, questo se consideriamo quest’ultima come una serie di eventi, ma che la  ragione è da scoprirsi nello sviluppo della tradizione, cioè una storia, costruita dai ragionamenti di coloro che vivono la tradizione. Noi non discerniamo la struttura della ragione riflettendo principalmente sui ragionamenti che si muovono nelle nostre singole menti, come propongono i filosofi del nostro tempo, ma riflettendo sui ragionamenti condivisi che costituiscono la tradizione.           MacIntyre ha così definito la tradizione: "Una tradizione viva è un discorso esteso storicamente e socialmente incorporato, un discorso che riguarda precisamente ciò che in parte di buono costituisce quella tradizione”10. Abbiamo bisogno di una nozione più allargata di quella di MacIntyre: non è semplicemente un “discorso” intellettuale, benché lo includa. La tradizione abbraccia la lingua, le testimonianze, le dottrine, le forme di culto e l'arte, tutti considerati come liberamente dati e ricevuti, assieme ad azioni pratiche, intenzioni e motivi ordinati ai fini o al bene della tradizione.Ancora prima  di iniziare un discorso argomentato, bisogna dire che la tradizione è costituita dalla testimonianza. Citando Paul Ricoeur, Nicholas Boyle notò che la testimonianza è una comunicazione della verità attraverso degli eventi, ed in particolar modo eventi concreti messi in atto per il superamento del male11. Infatti, le grandi tradizioni che nei secoli sono sopravvissute e hanno influenzato così tante persone sono proprio quelle rivendicate e vissute dai propri membri come capaci di superare il male. Questo è il caso della tradizione Ebraica, Islamica e Cristiana. Possiamo affermare che ogni tradizione umana degna di questo nome ha un fine principale: il superamento del male, soprattutto nella forma della paura della morte. E’ nel superamento del male che appare il bene, ciò che di buono c’è nella vita.Le regole della ragione pratica vengono alla luce nella libera gratuità del dare e del ricevere  che costituiscono la tradizione. L'atto morale ideale è il dono libero e gratuito di se verso un altro individuo, un dono che rende l'altro capace di donarsi gratuitamente ad altre persone, creando quindi una catena del dare e del ricevere che forma la comunità umana in un processo che nel tempo ha come scopo proprio quello di creare una comunità ideale del dare e ricevere. Questo prende  il nome di "Bene Comune".Un processo di ragionamento pratico si dice “giusto” quando si trova in accordo con la struttura del dono, cioè, quando discerne in maniera corretta il dono genuino e ne permette la ricezione da parte del destinatario, quando guida il destinatario nell'integrazione del dono e quando dirige l'azione gratuita del dare verso gli altri.            Il ragionamento teorico poi emerge per dare un significato ed una direzione a questo processo. Il ruolo primario del ragionamento teorico è quello di discernere la natura della persona umana ed il suo desiderio genuino, in modo da scoprire quale possa essere un vero dono per lei. Un altro ruolo è quello di discernere la presenza o la mancanza di coerenza tra più singole azioni e le regole principali derivanti dal gratuito dare e ricevere. Quindi abbiamo una

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ragionevole base di giudizio che alcuni doni sono veri doni cosi come alcune azioni di dare ed avere sono azioni giuste. Sono tali perché ciò che viene dato sono veri doni.            La nozione di verità appare proprio in questo contesto della tradizione del dare e ricevere12. La nozione primaria di verità passa da un vero dono all'altro, ovvero, un regalo che permette all'altro di diventare donatore e quindi trovare soddisfazione. In più, il "vero" si applica all'atto del donare che comunica questo dono. La relazione importante è tra il regalo ed il desiderio genuino del ricevitore. Il ragionamento teorico nella sua forma ontologica della "creatura data" stabilisce la coerenza tra il singolo dono ed il dono principale, ovvero la partecipazione nella creazione di Dio. Attraverso la lettura teologica che sto cercando di fornire, possiamo discutere sul fatto che la fede nella creazione renda possibile la ragione e che la struttura della creazione, forma libera e gratuita del dare e ricevere, in un ordine teologico, stabilisca le basi normative della giusta ragione. Tra gli uomini esistono però, diverse tradizioni di "ragione" e soltanto attraverso il dialogo ed una critica reciproca possono arrivare alla verità. Questo non per dire che una particolare tradizione di ragione non possa arrivare alla verità, ma non può sicuramente farlo senza il dialogo con le altre tradizioni. C’è una forma di ragione, cioè quella che prende come regola la gratuità del dare e ricevere, che riesce a soprassedere su tutte le altre forme di dominazioni13. Questo è necessario per qualsiasi tipo di dialogo. Questa forma di ragione trascende tutte le differenze e quindi può guidare il dialogo verso la verità.            Una tradizione umana è una struttura altamente complessa, piena di tensione e disaccordo, infatti più una tradizione cerca di raggiungere e mantenere coerenza, più è probabile che riesca a sviluppare solo un maggior numero di dibattiti. Come ha sottolineato MacIntyre, una tradizione storica ha bisogno di autorità, poiché senza di essa non c'è modo di risolvere le complesse dispute che nascono all'interno della tradizione14. Se la tradizione fosse incapace di gestire questi problemi, non riuscirebbe a perseguire i suoi obbiettivi, cioè il mantenimento dell’attitudine del dono e assieme a questo il superamento del male. L'autorità è quindi una condizione necessaria per una storica, tradizione umana.            I filosofi del Dono, in particolare Derrida, riconoscono che un dono libero e gratuito è un'azione ideale e benché la sua esistenza sia pensabile, è impossibile da realizzare15. Potremmo ammettere che questo tipo di dono è impossibile per la natura umana nella sua attuale condizione di peccatrice. Questo vorrebbe dire che le nostre tradizioni umane non potranno mai essere espressione di un vero e gratuito dare, e porteranno sempre con se elementi di opportunismo con il bisogno di dominare e controllare gli altri per i propri interessi. Da questo emergono due bisogni: da una parte una tradizione genuina deve promuovere e sostenere la conversione nella forma di una conversione personale dall’egoistico desiderio di dominare, e dall’altra deve essere aperta al cambiamento in modo da meglio promuovere i suoi obbiettivi. Quindi, la tradizione ha bisogno dello sviluppo di virtù e capacità per discernere e superare i vizi, specialmente quello che San Agostino chiamava "la lussuria di dominare"16.            La seconda innovazione che dobbiamo considerare è il dono Dio, storicamente avvenuto nel sacrificio di Gesù, culminato nella sua morte sulla Croce e nella sua resurrezione. Questo è  l’evento importante, il superamento del male, la testimonianza che da inizio alla tradizione Cristiana. Gesù risorto è la sorgente dello Spirito, il cui nome corretto è "Dono"17. Il dono dello Spirito rende possibile l'atto di fede ovvero l'atto per cui i cristiani liberamente accettano il dono dello Spirito. Questo dono ricevuto li rende capaci di comunicare la propria fede agli altri attraverso la loro testimonianza e quindi di partecipare alla tradizione cristiana. Le tradizioni cristiane e cattoliche hanno preso la forma storica ed umana della tradizione del "corpo", attraverso la quale hanno attraversato la storia. Così come la tradizione cristiana e cattolica mantiene la stessa struttura base, la tradizione umana, come la parola incarnata, prendendo su di se la natura umana, ne assume la stessa struttura. Però se da un lato la tradizione della fede

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cristiana incorpora la struttura della tradizione umana, dall'altro lato respingerebbe qualsiasi forma di tradizione distorta appositamente per diventare strumento di dominio. In questo modo possiamo dimostrare che la struttura dell'atto di fede è conforme alle regole della libertà del dare e del ricevere spiegata precedentemente. Queste, per me, sono le linee guida con le quali possiamo giudicare, ad un livello razionale, se l'azione è un genuino atto di fede ed un buon atto morale. Rispetto alla tradizione puramente umana possiamo indicare i motivi per cui la tradizione cristiana è un'innovazione. Tra i suoi atti costitutivi la tradizione cristiana non ha solo il dono di esistere nella creazione ma il dono di Dio stesso nell'incarnazione, Morte e Resurrezione di Gesù. Ciò che viene offerto da questa tradizione non è soltanto il frutto dell'esperienza umana e il risultato di riflessioni espresse in storie, dottrine, riti, nella filosofia (ontologia), etc…, ma l'esperienza dell'assoluto dono gratuito dello Spirito, dato come "rivelazione" comunicata nella tradizione ed espressa formalmente nelle Scritture18. L'innovazione nella tradizione cristiana risiede nei suoi obbiettivi che non sono solo la formazione di una comunità ideale del dare e del ricevere, ma una comunità che derivi dal dono divino o dalla grazia, ovvero la Chiesa. L'Eucaristia  è il paradigma di questa forma gratuita di dare e ricevere, e la Comunità Eucaristica è la "comunità ideale" di questa tradizione19.            In più la tradizione cristiana, ha come obbiettivo non soltanto il superamento del male in genere ma il superamento della ribellione contro Dio nel tentativo di dominio e la conseguente morte spirituale. Siccome la tradizione cristiana riprende la struttura della tradizione umana, si preoccupa di promuovere ciò che di buono c’è nella vita, sia questa sulla terra sia quella al di fuori di essa ovvero la vita eterna nella Resurrezione.            Un elemento chiave dell'innovazione che viene apportata attraverso il libero dono gratuito di Dio in Gesù è che un dono è diventato realtà nella figura del Dio-uomo, Gesù. Non è più impossibile. Non possiamo donare allo stesso modo di Dio, ma attraverso la grazia, possiamo partecipare in questa azione Divina, cercando di purificare il nostro dare attraverso una continua conversione del cuore. Da questo viene fuori un'altra regola per l'innovazione della tradizione cristiana: deve essere tale da stimolare e mantenere una conversione continua. In questo caso, la conversione implica non solo una rottura con tutte quelle forme di egocentrismo e dominio dell'altro, ma un abbandono della propria auto-sufficienza che si opporrebbe alla ricezione del dono di Dio e a quella forma di dominio che risulta dal cercare di prendere il posto di Dio come datore dei doni. Attraverso una riflessione ragionata sulla struttura del dare e del ricevere nella tradizione di fede, possiamo scoprire la struttura di una fede genuina e quindi le norme dell'atto di fede.            Di seguito, nella tradizione umana, la via verso la verità è fatta seguendo le regole del dare e del ricevere, nel dialogo tra tradizione e ragione. Però con la tradizione della fede, l'assoluto è il dono assolutamente gratuito, non solo dell'esistenza, ma di Dio stesso20. E' il dono che adesso diventa la regola della verità. La verità data è la persona divina che è verità. Nel contesto del dono possiamo capire il significato di "Verità": poiché esso corrisponde per natura al Datore, perché egli è il dono e come Dio-uomo è il primo ricevente. Poiché e fondata sulla verità ultima, la tradizione della fede può criticare gli errori e forme di verità parziale che nascono dalla tradizione umana. Questa è la base della capacità della fede di purificare la ragione.            Possiamo discernere le norme per una innovazione genuina della tradizione Cattolica, riflettendo sul processo del dare che costituisce questa innovazione. Questo tipo d'innovazione deve essere coerente con le norme di una genuina tradizione umana e con le norme della tradizione di fede, la quale riprende le regole della prima, portandole più in profondità. Dovremmo quindi porci le seguenti domande. L'innovazione proposta è offerta come dono gratuito che può essere liberamente ricevuto? Può essere ricevuto in modo tale da permettere a chi lo riceve, sia esso individuo o comunità, d'integrare quel dono in modo da diventare lui stesso

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un donatore? Può essere ricevuto in modo tale da promuovere una comunità umana come comunità del dare e del ricevere e come comunità dei credenti? Può essere un dono genuino e non invece una forma di dominio e di controllo? Promuovendo più possibilità di dare e ricevere e muovendoci più vicino ad una comunità ideale, questa innovazione promuove una conversione ed una trasformazione della persona e della tradizione in un simbolo più adeguato della comunità ideale del Regno di Dio? Costituisce forse un passo avanti nella ricerca del superamento del male, sia di quello  fisico che di quello spirituale del peccato? Possiamo intendere queste dottrine come interpretazioni del dono divino date alla comunità che è la Chiesa. Alcune di queste interpretazioni esprimono in modo autentico la natura di quel dare e ricevere in modo autentico e sono state riconosciute dall'autorità della Chiesa come regole per future interpretazioni. In questo modo dovremmo chiederci se le innovazioni proposte possano essere considerate come dono positivo o se siano incoerenti con le dottrine già accettate. Queste considerazioni forniscono le regole che la coscienza deve seguire nel giudicare se un'innovazione proposta è accettabile o meno.            La dottrina liberale della "Libertà di coscienza" può essere accettata come una valida innovazione? Questa dottrina, come è stato indicato precedentemente, sembrerebbe indicare una libertà negativa che presupporrebbe non soltanto una libertà dall'autorità e tradizione della Chiesa, ma anche dai requisiti della verità stessa. Alla luce degli argomenti qui trattati, questa non potrebbe essere accettata come innovazione dalla tradizione cattolica. Secondo la linea sviluppata in questo articolo, la coscienza non può essere interpretata adeguatamente senza un impegno verso la tradizione umana, la verità e la ragione, e per un cattolico credente, senza un impegno verso la tradizione cattolica incorporata nella sua comunità, cioè la Chiesa. Quindi, la dottrina della libertà di coscienza intesa nella sua forma liberale non potrebbe essere accettata.            Nella sua versione più comune, il problema della libertà di coscienza è spesso spiegato in questo modo. Ci sono alcuni argomenti lasciati all'autorità della Chiesa che non rientrano in un libero giudizio di coscienza. Ma ce ne sono altri che invece sono "lasciati alla coscienza individuale". Nel contesto della tradizione e del dono che abbiamo spiegato, non ha però alcun senso dire che determinati argomenti sono lasciati all’autorità della Chiesa e quindi non sono più problemi di coscienza. Come è stato spiegato, l'atto di fede include un atto della coscienza. L'atto di fede non può essere solo individuale ma deve essere un impegno ad una tradizione, che nel caso  di una persona impegnata nella tradizione cattolica è la Chiesa Cattolica. Non ha alcun senso dire che alcuni fatti della vita della Chiesa sono esenti dalla coscienza o, per usare un espressione più comune, non "hanno nulla a che fare con la coscienza". Tutte le scelte umane che impegnano la ragione e la volontà riguardano la coscienza e non smettono di esserlo solo perché l'autorità della Chiesa ha elaborato delle norme morali. Potremmo dire che questi argomenti non sono lasciati alla coscienza, intendendo coscienza come individuale e arbitraria. Ma in questo contesto la coscienza non è isolata, autonoma. Si riferisce ad una coscienza che ha valutato quell’impegno verso la Chiesa, la sua tradizione ed i suoi insegnamenti, le buone azioni, insomma un impegno che doveva essere preso. Giudizi di coscienza più precisi presuppongono quest’ultimo. Una persona non può fare un giudizio di coscienza indipendentemente dalla tradizione della Chiesa e, allo stesso tempo, dichiarare di mantenere quel giudizio base della coscienza. Accettare giudizi autorevoli sulla fede o sulla morale da parte della Chiesa non esclude il ruolo della coscienza ma necessariamente la include. Ma la coscienza è inclusa nel giudizio su un determinato atto perché io mi sono impegnato, seguendo un giudizio di coscienza, ad una tradizione di cui l’autorità della Chiesa è interprete autentico.            Anche se una persona dovesse tirarsi completamente indietro dal suo impegno verso la tradizione della Chiesa, come spiegato precedentemente, ritornerebbe alla tradizione umana della ragione. In questo caso la coscienza deve essere governata dall’impegno verso una verità

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razionalmente ottenuta facente parte di quella tradizione o per lo meno proposta come obbiettivo dalla stessa. Se una persona volesse abbandonare anche l’impegno verso la verità contenuto nella tradizione, allora si troverebbe ad essere sola e a ragionare da sola. Nessuno  può ragionare da solo. Possiamo pensare per noi stessi ma non possiamo pensare da soli.            Cosa dovremmo dire della proposta che la coscienza dovrebbe essere libera dai requisiti della ragione in se? Alcune versioni della ragione, come le ideologie, sono state usate come strumenti di dominio. Ma la ragione, intesa nel contesto del dono, è data in se liberamente, per essere ricevuta liberamente e attraverso di essa una persona può, liberamente, discernere i veri doni e darli liberamente ad altri. La ragione non smette di essere libera anche quando richiede un impegno verso una tradizione od una comunità, o verso una tradizione di fede o verso la comunità della Chiesa. Conclusioni            In questo articolo ho cercato di delineare le norme per un giudizio di coscienza sulla accettabilità o non-accettabilità di una proposta d’innovazione nella tradizione Cattolica. Alcune di queste norme derivano dalla ragione, intesa come ragione nella tradizione. I criteri della giusta ragione sono sviluppati all’interno del contesto del dare e del ricevere, essendo questo il contesto ultimo con cui possiamo capire il vivere umano. Ci sono altri criteri che derivano dalla fede.  Anche la fede però deve essere capita nel contesto del dare e del ricevere. In questo modo i requisiti della fede possono integrare i requisiti della ragione, senza negare la validità della ragione o distorcere la natura della fede. Ho suggerito che la relazione tra fede e ragione può essere meglio spiegata nei termini della filosofia e teologia del dono. 

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1 St. Thomas Aquinas,  Summa Theologiae,  I-II, 19, 5. 2 MacIntyre A., Whose Justice? Which Rationality?,  Notre Dame, Ind.: University of Notre Dame Press, 1988, p. 349. 3 Davies O., A Theology of Compassion: Metaphysics of Difference and the Renewal of Tradition, Gand Rapids: Eerdmans, 2001, p. 50. 4 Vedi il reconto di Jean-Luc Marion’s in Caputo J.D. e Scanlon M. J., God, the Gift, and Postmodernism, Bloomington, Indiana: Indiana University Press, 1999, p. 56. 5 Per queste riflessioni, sono in debito ai pensieri stimolanti di Claude Bruaire. Qui riconosco di rappresentare il suo stesso pensiero. Vedi López, A.,  Spirit’s Gift: The Metaphysical Insight of Claude Bruaire,  Washington, DC: The Catholic University of America Press, 2006, p. 114. 6  Sembrerebbe che questo fosse il caso dello stesso Derrida.  E’ stato ripreso ad aver detto: “ Passo giustamente per un ateo”. The Chronicle of Higher Education, http://chronicle.com/free/2004/10/2004101102n.htm. (Consultato il, 3 Dicembre, 2006). 7 John Paul II, Fides et Ratio, 14th.  Sept. 1988, n. 43. 8 Boyle, N.,  Who are We Now?  Christian Humanism and the Global Market, Notre Dame, Ind.: University of Notre Dame Press, 1999, p. 198. 9 John Paul II, Fides et Ratio, n. 11. 10 MacIntyre, A., After Virtue, 2nd, ed., Notre Dame, Ind.: University of Notre Dame Press, 1984,   p. 222. 11 Boyle, N., Sacred and Secular Scriptures: A Catholic Approach to Literature, London: Darton, Longman and Todd, 2004, p. 72. 12 Cf. John Paul II, Fides et Ratio, n. 24.13 Questo sarebbe un esempio della “purificazione critica” della tradizione del ragionamento per fede Cf. Benedict XVI, Incontro con i rappresentanti della scienza nell’Aula Magna dell’Università di Regensburg , Martedì 12 Settembre 2006, “Fede, ragione e università.Ricordi e riflessioni.”http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060912_university-regensburg_en.html. (Consultato il 3 Dicembre, 2006).14 MacIntyre, Whose Justice, p. 354.15 Un riassunto di questo punto di vista è dato dallo stesso Derrida in, Caputo e Scanlon, God, the Gift, p. 59. 16 Contra Faustum, XXII, p. 74. 17 St. Thomas Aquinas, S. Th., I, q. 38,  a. 2. 18 Fides et Ratio, n. 16 19 Cf. Ibid., n. 13. 20 Cf. Ibid., n. 7.

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ROBERT P. GEORGE Doveri Politici, Coscienza Morale e Vita Umana

La Chiesa Cattolica afferma il principio che ogni essere umano – senza distinzione di razza, sesso, etnia ed allo stesso modo senza distinzione d’età, statura, fase di sviluppo o condizione di dipendenza – ha diritto alla piena protezione della legge. La Chiesa insegna che ogni creatura umana in ogni stadio del suo sviluppo – inclusi lo stadio embrionale e fetale – ed in ogni tipo di condizione - inclusi i ritardati mentali o i disabili fisici, e coloro che soffrono di gravi forme di demenza o altre malattie della memoria – possiede i diritti fondamentali dell’uomo. Soprattutto, ognuno di noi possiede il diritto alla vita.            Questo insegnamento è contestato da alcune persone. Ci sono quelli, inclusi alcuni Cattolici,  i quali negano che l’embrione sia un essere umano. Essi affermano che un embrione umano è semplicemente una “potenziale” vita umana e non una vita alle sue origini. Il problema con questa posizione non è tanto teologico quanto scientifico. Si scontra con la realtà provata dall’embriologia umana e dalla biologia dello sviluppo. Un embrione umano non è qualcosa di distinto dall’essere umano – come un sasso, una patata od un alligatore. L’embrione umano è un uomo ad uno stadio primario del suo sviluppo. Un embrione, ancora prima di essere impiantato, è già a tutti gli effetti parte vivente della specie Homo sapiens. La creatura umana, allo stato d’embrione ha bisogno di ciò che ogni essere umano ad ogni stadio di sviluppo ha bisogno per la sua sopravvivenza ovvero una adeguata nutrizione ed un ambiente sufficientemente ospitale per il mantenimento della vita.            Fin dall’inizio, ogni uomo possiede - realmente e non solo potenzialmente – la costituzione genetica e il primordium epigenetico per uno sviluppo autonomo che partendo dallo stato embrionale, attraverso quello fetale, dell’infante, del bambino e dell’adolescente, arriva a  quello adulto mantenendo intatto la sua unità, determinazione ed identità. Rispetto a quanto detto, l’embrione è ben diverso dai gameti – cioè lo sperma e l’ovulo – la cui unione da inizio ad una nuova creatura umana. Tu ed io non siamo mai stati un ovulo o uno sperma; quelle erano parti genetiche e funzionali di altre creature umane. Ognuno di noi è stato però un embrione, così come ognuno di noi è stato un adolescente, e prima ancora un bambino, un infante, un feto. Ovviamente in questi ultimi tre stadi eravamo creature particolarmente vulnerabili e dipendenti, ma eravamo comunque esseri umani completi e distinti. Come i principali testi di embriologia umana e biologia dello sviluppo affermano all’unisono, noi non eravamo dei semplici “blocchi di cellule”, come nei o tumori. Quindi i diritti principali che le persone possiedono semplicemente in virtù della loro umanità – in particolare il diritto alla vita -  lo possedevamo anche allora.            Un altra scuola di pensiero riconosce l’embrione come un essere umano; però nega che tutti gli esseri umani siano persone. Rispetto a questo pensiero vi sono esseri umani pre-persona e post-persona, come ad esempio i ritardati gravi o creature umane particolarmente danneggiate che non sono, non saranno e non sono mai state persone. I sostenitori di questa visione continuano ad affermare che gli esseri umani nel loro stadio embrionale e fetale non sono ancora delle persone. In modo logicamente freddo e razionale essi affermano che gli infanti non sono persone umane, quindi non possiedono nessun diritto di vivere; da qui la volontà di Peter Singer, Michael Tooley ed altri di incoraggiare l’infanticidio così come l’aborto. Lo stato di persona è negato anche a coloro che sono in stato di coma permanente, con gravi ritardi mentali o forme di demenza. Nonostante alcuni sostenitori di questa linea di pensiero permettano che alcuni individui umani, considerati comunque come “ non ancora persone” meritino un certo rispetto in virtù del puro fatto biologico di essere parte vivente della specie umana, essi insistono sul fatto

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che gli uomini “pre-persona” non posseggano un diritto alla vita che li escluda dall’essere uccisi per il bene di altri o per far progredire gli interessi dalla maggioranza della società. Soltanto quelle creature umane che hanno ottenuto e mantengono quelli che sono considerati come attributi definiti della personalità – sempre se questi sono percepibili funzioni cerebrali, coscienza di se o un’esercitatile capacità immediata delle caratteristiche funzioni umane mentali – posseggono un diritto a vivere.            Il problema con questa posizione è che prende in giro il nostro impegno politico, filosofico e per molti di noi teologico verso il principio che tutti gli esseri umani sono uguali in dignità e valore. Essa crea una serie di enigmi semplicemente irrisolvibili, ad esempio, perché quella o questa qualità che la maggior parte degli uomini acquisisce nel corso del suo normale sviluppo ed altri no, che alcuni trattengono ed altri no, e che alcuni hanno in maggior quantità di altri, debba contare come criterio di personalità. Sicuramente, la posizione ufficiale, è che gli esseri umani possiedono un dignità uguale ed intrinseca e ciò costituisce la base morale dell’uguaglianza del diritto alla vita per tutti. Questo diritto appartiene ad ogni creatura umana semplicemente in virtù della sua umanità. Non dipende dall’età, statura o fase di sviluppo dell’individuo; e non può essere cancellato da un’infermità fisica, mentale o condizione di dipendenza. E’ ciò che rende il valore della vita di un bambino gravemente ritardato uguale a quella di uno scienziato vincitore del Premio Nobel. Esso spiega perché non possiamo estrarre legalmente organi trapiantabili da questo bambino per salvare la vita di un brillante medico afflitto da una malattia mortale al cuore, fegato o ai polmoni.            In qualunque caso l’insegnamento definitivo della Chiesa è che tutti gli esseri umani posseggono uguali diritti fondamentali, incluso il diritto alla vita. E’ su questa base che la Chiesa proclama che prendere una vita umana attraverso l’aborto, l’infanticidio, la ricerca distruttiva dell’embrione, l’eutanasia o il terrorismo è sempre e comunque gravemente sbagliato.            C’è di più. La Chiesa insegna anche l’obbligo solenne dei legislatori e degli altri funzionari pubblici, come servitori del bene comune, d’onorare e proteggere i diritti di tutti. Come questione di pura giustizia, il principio dell’uguaglianza necessita che la protezione verso forme di violenza mortale debba essere estesa dalla comunità politica a tutti coloro che sono all’interno della sua giurisdizione. Coloro a cui è stato affidata la salvaguardia della comunità – e soprattutto coloro che partecipano nell’emanare le leggi della comunità – hanno la responsabilità principale nell’assicurare che il diritto alla vita sia rappresentato dalla legge ed effettivamente protetto in pratica. Il dovere di un pubblico ufficiale non è quello di “attuare gli insegnamenti della Chiesa Cattolica”, ma è semmai quello di soddisfare la richiesta di giustizia e del bene comune alla luce del principio della dignità  innata ed uguale di ogni persona della famiglia umana.            Ad oggi molti politici cattolici, inclusi i leader democratici di entrambe le camere del Congresso degli Stati Uniti, il governatore repubblicano di New York ed il precedente governatore Repubblicano della Pennsylvania, sono solidi sostenitori di quello che chiamano “il diritto della donna ad abortire”. La maggior parte di questi politici supportano anche la creazione ed i fondi governativi ad un industria che produrrebbe decina di migliaia di embrioni umani grazie alla tecniche della clonazione da usare in ricerche bio-mediche all’interno delle quali questi esseri umani allo stato embrionale verrebbero distrutti.            Negli Stati Uniti ed in altre nazioni i politici cattolici che supportano l’aborto e le ricerche distruttive sull’embrione proclamano di essere “personalmente contro” queste pratiche ma rispettosi dei diritti di coloro che non sono d’accordo ad agire sulla base di un loro giudizio di coscienza e non vogliono avere interferenze legali. Nel 1984, il precedente governatore dello Stato del New York, Mario Cuomo, ha articolato e difeso questo punto di vista in un famoso discorso all’università di Notre Dame. Cuomo ritornò sull’argomento a Washington durante un Forum sulla Politica e la Fede in America. La sua argomentazione, se accettata con successo, non

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solo giustificherebbe i politici cattolici nel supportare l’aborto e le ricerche distruttive degli embrioni, ma richiederebbe loro di rispettare il diritto delle persone a prendere parte in queste pratiche nonostante esse siano generalmente additate come errori morali.            Cuomo dichiarò che i detentori di un ufficio pubblico – inclusi i Cattolici - hanno la responsabilità di “creare condizioni sotto le quali tutti i cittadini sono ragionevolmente liberi di agire seguendo il loro credo religioso, anche se in conflitto con i dogmi della Chiesa Cattolica Romana riguardanti il divorzio, il controllo delle nascite, l’aborto, la ricerca sulle staminali, e anche l’esistenza di Dio”. Sempre secondo Cuomo, i cattolici dovrebbero, supportare la liberalizzazione dell’aborto e la ricerca distruttiva dell’embrione, perché garantendo questi diritti ad altri, garantiscono il proprio diritto a “rifiutare l’aborto ed a partecipare o contribuire ad eliminare cellule staminali dagli embrioni”. L’idea di Cuomo che il diritto di “rifiuto” dell’aborto e di esperimenti distruttivi sull’embrione implichi un diritto di altri, sulla base della libertà religiosa, a prendere parte in questo tipo di pratiche è semplicemente fallace. L’errore logico viene immediatamente alla luce considerando se il diritto di un Cattolico (o Battista, Ebreo, o fedele di un’altra credo) di rifiutare l’infanticidio, la schiavitù e lo sfruttamento del lavoro implichi il diritto di altri che non condividono le stesse convinzioni religiose riguardo l’omicidio, la schiavitù e lo sfruttamento.            Con l’espediente di classificare le convinzioni pro-vita sull’aborto e sugli esperimenti distruttivi sugli embrioni come “Dogmi Cattolico Romani”, Cuomo furbescamente introduce nelle premesse della sua argomentazione la conclusione controversa che sta cercando di provare. Se i principi pro-vita fossero soltanto dei semplici insegnamenti dogmatici - come l’insegnamento che Gesù di Nazareth è l’unigenito figlio di Dio -  allora in accordo con la Chiesa stessa (per non parlare della costituzione Americana e della legge di molte altre repubbliche) non potrebbero essere legittimamente attuate dal potere coercitivo dello Stato. Il Problema per Cuomo è che i principi pro-vita non sono dei “Dogmi”, e non sono neanche intesi così dalla Chiesa Cattolica, nei cui principi Cuomo dichiara di credere, ne dai movimenti pro-vita siano essi Cattolici, Protestanti, Ebrei, Mussulmani, Hindu, Buddisti, agnostici o atei. Al contrario, queste persone capiscono questi principi e li propongono ai loro concittadini come norme fondamentali di giustizia e di diritto umanitario che possono essere capiti ed affermati nonostante le diverse dichiarazioni di rivelazione e autorità religiose.            Non si vorrebbe suggerire, come sembrerebbe fare Cuomo, che il semplice fatto che la Chiesa Cattolica (o qualche altra autorità religiosa) abbia un insegnamento contro queste pratiche, nonostante molte persone a volte rifiutino questi insegnamenti, voglia dire che la legge proibendo l’uccisione di vite umane nello stadio embrionale e fetale, viola il diritto di libertà di religione di coloro che non accettano questo insegnamento. Se questo ragionamento non fosse altro che fallace, la legge contro l’infanticidio, il possesso di schiavi, lo sfruttamento dei lavoratori e molte altre gravi forme di ingiustizia sarebbero veramente violazioni della libertà di religione. Sicuramente Cuomo non vorrebbe avvallare quella conclusione.            Eppure non suggerisce nessun metodo di distinzione tra quegli atti e pratiche che egli suppone cadere sotto la categoria della libertà religiosa, da quelli che ne sono fuori. Quindi dovremmo chiederci: se l’aborto è immune da restrizioni legali sulla base di un problema di credo religioso, com’è possibile che non lo sia anche la schiavitù? Se oggi l’aborto non può essere proibito senza violare il diritto di libertà religiosa di persone la cui religione non obbietta l’aborto, come può Cuomo dire che il divieto di schiavitù confermato dal tredicesimo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti non avesse violato, nel 1866, il diritto di libertà religiosa di quelli la cui religione allora non condannava la schiavitù? Cuomo afferma che la Chiesa Cattolica “interpreta la nostra moralità pubblica come dipendente da una visione consensuale di ciò che è giusto e sbagliato,” ma sarebbe scandaloso discutere sul fatto che i

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cattolici avrebbero dovuto opporsi all’emendamento costituzionale che aboliva la schiavitù nel diciannovesimo secolo o alla legislazione che proteggeva i diritti civili degli oppressi discendenti degli schiavi nella metà del ventesimo secolo, basandosi sul fatto che “prudenza” e “realismo” richiedono rispetto per il “pluralismo morale” lì dove non c’è “consenso” su problemi di giusto e sbagliato.            Ad un certo punto del Forum sulla Politica e la Fede, Cuomo ha suggerito che le leggi contro l’aborto e la ricerca distruttiva dell’embrione costringerebbero le persone che non hanno obiezioni verso queste pratiche a seguire la religione di coloro che invece si oppongono. Questo è un’altro errore logico. Nessuno può immaginare che il divieto costituzionale sulla schiavitù obbligò coloro che credevano in questa forma di oppressione a praticare la religione di coloro che non ci credevano. Cuomo vorrebbe forse farci pensare che le leggi che proteggono i lavoratori contro quello che egli considera, in linea con i solenni insegnamenti di tutti i Papi da Leone XIII a Benedetto XVI, sfruttamento ed abuso hanno l’effetto di spingere industriali non-Cattolici verso il Cattolicesimo?            In un altro momento, negando l’esistenza di un’incongruenza tra la sua disponibilità come governatore ad agire contro la pena di morte ma non contro l’aborto, Cuomo negò di aver mai parlato della pena di morte come “problema morale”. Egli dichiarò infatti che: “ raramente parla in termini di problema morale” e che, quando parla di pena di morte, non suggerisce mai di considerarla in questo modo. Però, proprio nella frase successiva, nella maniera più brillante possibile, condanna la pena di morte usando termini esplicitamente morali: “ Sono contro la pena di morte perché sbagliata ed ingiusta. E’ degradante. E’ degenerata. Uccide persone innocenti”. Non si è neanche fermato a pensare che queste sono precisamente le stesse dichiarazioni rivendicate dai movimenti pro-vita contro le politiche di legalizzazione dell’aborto e relativi fondi pubblici -  una politica che Cuomo difende in nome della libertà di religione.            Il fatto è che i Cattolici e tutte le altre persone che si oppongono all’aborto ed alle ricerche distruttive sull’embrione lo fanno per la stessa ragione per cui noi ci opponiamo all’infanticidio. I movimenti pro-vita di ogni fede si oppongono a queste pratiche perché esse riguardano l’omicidio deliberato di innocenti creature umane. La base da cui partiamo per il supporto alla proibizione legale dell’aborto e della ricerca distruttiva dell’embrione è la stessa della proibizione legale dell’infanticidio, ad esempio, o dell’obiezione di coscienza per i non combattenti anche in caso di guerre giustificate. Noi sottoscriviamo la proposta che tutti gli esseri umani sono uguali in dignità e valore e non gli può essere negato il diritto di protezione contro l’omicidio qualunque sia la loro età, statura, fase di sviluppo o condizione di dipendenza.            Una persona con un’integrità morale non può “personalmente opporsi” all’aborto e alla ricerca distruttiva dell’embrione e allo stesso tempo supportarne l’esistenza legale ed i fondi pubblici ad esse destinati come fanno molti politici cattolici negli Stati Uniti, inclusi la maggior parte dei Democratici Cattolici ed alcuni Cattolici Repubblicani. Poiché supportando l’aborto e questo tipo di ricerche essi inevitabilmente implicano se stessi nella grave ingiustizia di queste pratiche.            Ovviamente, è possibile per una persona che esercita un potere pubblico usare quel potere per stabilire o preservare il diritto legale all’aborto, e allo stesso tempo sperare che nessuno lo eserciti. Questo però non pone la persona fuori dal problema morale. Chi agisce per proteggere la legalizzazione dell’aborto automaticamente vorrebbe vedere negate alle vittime mai nate di quest’atto, le protezioni legali elementari contro l’omicidio deliberato che una qualunque persona vorrebbe per se stesso e per coloro che considera degni di essere protetti dalla legge. In questo modo si viola la Regola d’Oro, il precetto base più importante della normativa sociale e politica. Si divide l’umanità in due classi: quella che si è disposti ad ammettere nella comunità dei protetti e quella che si vuole escludere da questa cerchia. Esponendo dei membri di questa classe più

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sfavorita alla violenza letale, una persona implica profondamente se stessa nell’ingiustizia del loro omicidio – questo anche se la stessa persona spera sinceramente che neanche una donna sfrutti la scelta  dell’aborto. La bontà di una speranza non redime il male – la grave ingiustizia – di un atto volontario. Pensarla in un altro modo sarebbe sbagliato. Se la mia analisi fino ad ora è corretta, nasce spontanea la domanda: Cosa dovrebbero fare i responsabili della Chiesa con persone come Cuomo ed il suo successore a Governatore dello Stato del New York, il Repubblicano George Pataki che evidentemente mantiene la stessa posizione? Cosa dovrebbero fare con coloro che si dichiarano in piena comunione con la Chiesa ed allo stesso tempo promuovono politiche gravemente ingiuste e scandalose che espongono i non nati alla violenza ed ingiustizia dell’aborto?            Nella corsa alle ultime elezioni, l’Arcivescovo Raymond di St. Louis offrì una risposta. Egli dichiarò che un funzionario pubblico che avesse supportato l’aborto o qualsiasi altro attacco ingiusto verso innocenti vite umane non avrebbe potuto accostarsi alla Santa Comunione, il sacramento preminente dell’unità.            I movimenti pro-vita di ogni convinzione religiosa applaudirono la posizione dell’Arcivescovo. I critici, comunque, furono veloci nel condannarlo. Lo denunciarono per aver “oltrepassato la linea di confine” che divide la chiesa dallo stato.Tutto questo non ha senso. Con l’autorità conferitagli come Vescovo nel disciplinare i membri del suo gregge che hanno commesso quello che la Chiesa insegna essere un’ingiustizia contro innocenti vite umane, l’Arcivescovo Burke sta esercitando un suo diritto costituzionale di libero esercizio della religione;  non sta togliendo ad altri questo diritto. La libertà è una strada a due vie. Nessuno è costretto dalla legge ad accettare l’autorità ecclesiastica. L’Arcivescovo Burke però – così come altre persone negli Stati Uniti d’America o in altre nazioni rispettose della libertà – ha tutto il diritto di esercitare la sua autorità spirituale sopra tutti coloro che l’accettano. C’è un nome per coloro che accettano l’autorità dei vescovi Cattolici. Si chiamano “Cattolici”.            In molto casi, è anche ipocrita l’accusa per cui l’Arcivescovo Burke ed altri vescovi che adottano la politica di escludere i politici pro-aborto dalla Comunione “stiano oltrepassando la linea che separa chiesa dallo stato”. Un buon esempio d’ipocrisia arriva dal Bergen Record, un importante giornale dello mio stato, il New Jersey. John Smith, vescovo di Trenton, non si spinse così oltre dal proibire la comunione ai politici cattolici pro-aborto. Sua Eccellenza, però, usando le parole del Bergen Record “frustò pubblicamente” il Governatore James McGreevey, un Cattolico pro-aborto, per il suo supporto all’aborto ed alle pratiche distruttive sull’embrione. Per aver criticato il governatore su questi temi, il Record “frustò” il Vescovo nel suo editoriale del 25 Aprile. Il giornale lo accusò di mettere in pericolo il delicato equilibrio della nostra struttura costituzionale, mettendo a contrasto la posizione sfavorevole del vescovo Smith con quella di John F. Kennedy che assicurò ad un gruppo di ministri protestanti a Houston nel 1960 che, come cattolico, non avrebbe governato la nazione appellandosi alle sue credenze religiose. Siccome il Record aveva visto bene nel portarci indietro al 1960 come orientamento pensai, quindi, che avrei invitato il suo editore a considerare un caso andato alla ribalta solo pochi anni prima. In una lettera al giornale, ho proposto una domanda che avrebbe dato la possibilità al lettore di capire immediatamente se gli editori del Bergen Record erano persone di rigidi principi o semplicemente degli ipocriti.            Ho ricordato ai lettori che negli anni 50, nel bel mezzo del conflitto politico sulla segregazione, l’Arcivescovo Joseph Rummel di New Orleans informò pubblicamente i Cattolici che dare il proprio supporto alla segregazione razziale era incompatibile con l’insegnamenti della Chiesa sulla dignità innata e sull’uguaglianza dei diritti di tutti gli esseri umani. L’Arcivescovo Rummel affermò che: “la segregazione razziale è moralmente sbagliata ed è peccato perché è una negazione dell’unità e della solidarietà della razza umana così come concepita da Dio nella

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creazione di Adamo ed Eva”. Egli avvertì i funzionari pubblici cattolici che il supporto alla segregazione avrebbe messo la loro anima in pericolo. Infatti, Rummel scomunicò pubblicamente Leander Perez, uno dei più importanti capi politici della Louisiana insieme ad altri due che avevano promosso disegni di legge per impedire la di-segregazzione nelle scuole diocesane. Così domandai all’editore del Bergen Record: “L’Arcivescovo Rummel stava sbagliando? O forse i vescovi cattolici “passano la linea” e mettono in pericolo il delicato equilibrio costituzionale, solo quando il loro rimprovero verso i politici contraddice la visione degli editori del Record? A loro discolpa va la pubblicazione della mia lettera – ma sto ancora aspettando una risposta.            Alcune persone brave e sincere hanno espresso la loro preoccupazione sul fatto che l’Arcivescovo Burke ed altri vescovi di simili vedute siano colpevoli di avere una doppia faccia quando si parla di chiedere ad un politico fedeltà all’insegnamenti Cattolici sulla giustizia e sul bene comune. Essi sottolineano che i Vescovi che negherebbero la comunione a coloro che supportano pubblicamente l’aborto e la ricerca distruttiva dell’embrione non prendono la stessa posizione verso i politici che supportano la pena di morte, condannata totalmente da Giovanni Paolo II a parte qualche caso raro, e l’invasione degli Stati Uniti in Iraq, molto criticata dal Papa e da molti officiali del Vaticano.            Il Catechismo della Chiesa Cattolica infatti insegna che la pena di morte non dovrebbe essere usata, se non in circostanze ad oggi talmente rare da essere, parafrasando l’ultimo Papa, “praticamente non esistenti”. Comunque, bisogna tenere in conto due punti quando consideriamo l’obbligo dei Cattolici e la domanda se i politici cattolici a favore della pena di morte hanno interrotto la loro comunione con la Chiesa. Innanzitutto né il Papa né il Catechismo mettono la pena di morte a pari con l’aborto o altre forme di omicidio d’innocenti. ( La Chiesa probabilmente non uguaglierà mai la pena di morte con queste forme di omicidio anche se dovesse condannare in maniera definitiva queste pratiche.) Secondariamente, l’insegnamento sulla pena di morte è profondamente diverso da quello sull’aborto. Nell’importante enciclica Evangelium Vitae, Giovanni Paolo II ha chiarito che l’insegnamento sull’aborto( così come quello sull’eutanasia e tutte le altre forme di diretto omicidio d’innocenti) è proposto in maniera infallibile dal magistero ordinario ed universale della Chiesa conforme ai criteri del punto 25 dell’enciclica Lumen Gentium. Non si può dire la stessa cosa per l’insegnamento sulla pena di morte. Il Cardinale Avery Dulles ed altri hanno interpretato quest’insegnamento come un prudente giudizio riguardo alla sua convenienza, non una proibizione morale conseguente ad un’applicazione di un preciso principio. Come spesso accade non sono d’accordo con la loro analisi, ma nessuno è in grado di dire con precisione, da un punto di vista Cattolico, da che parte del dibattito sia la ragione almeno finché il magistero della Chiesa chiarificherà quest’insegnamento. Quindi, non si può dire che coloro in favore della pena di morte“persistono in maniera ostinata a manifestare un grave peccato”, e dovrebbero essere esclusi dalla Santa Comunione in conformità con il Canone 915 del Codice di Legge Canonica. Nessuno in maniera legittima può dichiarare l’opposizione alla pena di morte un insegnamento morale definito della Chiesa. (Allo stesso modo nessuno può dichiarare che la Chiesa insegna o mai insegnerà che la pena di morte – eccetto in quei casi in cui è applicata ingiustamente – implichi l’ingiustizia intrinsecamente grave che si trova nell’uccisione diretta di un innocente.)            Per quanto riguarda l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti, è importante capire i termini precisi dell’insegnamento cattolici sulla guerra giusta e ingiusta. Questi termini sono spiegati con chiarezza e precisione dal Catechismo. In linea con l’insegnamento della Chiesa lungo i secoli, né Papa Giovanni Paolo II né Papa Benedetto XVI hanno affermato che l’opposizione alla guerra sia legata ad una coscienza Cattolica. Le dichiarazioni di Giovanni Paolo II sul rifiuto di usare la forza durate la preparazione delle due invasioni metteva semplicemente in questione il giudizio prudente dei leader politici che, alla fine, hanno il diritto e la responsabilità ( secondo il

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Catechismo e tutta la tradizione della Chiesa sulla guerra e sulla pace) di giudicare se l’uso della forza è necessario. Questa è la ragione per cui né il Papa né i vescovi hanno detto, e diranno mai, che i soldati cattolici non possono partecipare alla guerra. Tutto ciò contrasta con la chiarezzadell’insegnamento per cui i Cattolici non possono partecipare nell’aborto o altre forme d’uccisione di embrioni o supportare l’uso di soldi pubblici per attività che hanno a che vedere con l’omicidio volontario di innocenti creature umane.            Vorrei chiudere con una parola rivolta a tutti coloro che lavorano in politica e nei media – cattolici e non cattolici – che hanno espresso rabbia, addirittura indignazione, per l’insegnamento che obbligava i fedeli a non partecipare in omicidi ingiustificati supportando la legalizzazione dell’aborto e la ricerca distruttiva sull’embrione.            Ad esempio, nel rimproverare i vescovi, gli editori del New York Times, hanno insistito che la “separazione tra chiesa e stato” presuppone che nessun capo religioso debba avere la presunzione di dire ai pubblici ufficiali quale posizione prendere nel campo delle politiche pubbliche. Se cambiamo il punto di vista dall’aborto al genocidio, alla schiavitù, allo sfruttamento del lavoro o alla segregazione razziale possiamo vedere come questa visione non abbia senso. Quando nel 1950, l’Arcivescovo Rummel scomunicò i politici segregazionisti, gli editori del New York Time si guardarono bene dal condannarlo, al contrario lo lodarono. Avevano ragione allora; hanno torto adesso.

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LUKE GORMALLY La responsabilità personale e sociale nel contesto della difesa della vita umana:il problema della cooperazione al male

 1.      IntroduzionePorsi la domanda se cooperare o meno ad un’azione moralmente negativa di un primo responsabile è certamente un problema di coscienza, sempre che per coscienza si intenda l’esercizio della capacità di giudizio su delle scelte che la persona fa’ alla luce della verità morale[1]. Questi  esercizi di giudizio sono propri  di un Cattolico a conoscenza degli insegnamenti della Chiesa sulla verità morale e che volendo rimanere fedele al cammino di nostro Signore Gesù, si sente legato dall’autorità della Chiesa ad insegnare ciò che è richiesto alla condotta di vita di una persona. Considerando che, in tema di difesa della vita nel campo della tutela alla salute, la Chiesa adotta come insegnamento definitivo che l’omicidio intenzionale di un’innocente creatura umana, incluso l’aborto diretto e l’eutanasia, “è sempre gravemente immorale”[2], un Cattolico coscienzioso si farà guidare da questa affermazione nella sua scelta di cooperazione.La distinzione tra cooperazione formale e materiale, argomento centrale dell’insegnamento sulla cooperazione al male, trae significato dal fatto che alcune tipologie di atto, identificate più in termini di intenzione che di causanti fisiche, non sono assolutamente permesse. Visto che l’argomento di questa conferenza è la difesa della vita umana e in maniera particolare poiché questo tipo di difesa è richiesta nel campo della salute, l’elemento centrale della nostra analisi sarà l’insegnamento definitivo della Chiesa sull’immoralità, in qualsiasi circostanza, di un atto omicida intenzionale nei confronti di vite umane innocenti. 2.      Cooperazione formale e materiale Quasi tutti noi siamo impegnati in relazioni di collaborazione senza le quali non potremmo assicurare una gamma di beni necessari alla crescita umana. Il lavoro di gruppo è uno degli elementi della vita di un’assistente sanitario, la cui preoccupazione è la salute dei pazienti, e dei legislatori, la cui preoccupazione è invece il giusto ordinamento delle relazioni sociali e la dipendenza d’alleanze politiche che assicurino il passaggio delle leggi. E’ però noto come le vite umane siano messe a rischio da ordinamenti ingiusti e accomodanti nei confronti dell’aborto, degli esperimenti sull’embrione e dell’eutanasia, e come tutte queste pratiche siano generalmente svolte da professionisti del settore sanitario i quali si affidano alla collaborazione di colleghi. Poiché le relazioni di collaborazione e di cooperazione sono necessarie al benessere umano nessuno si può isolare dal pericolo di una collaborazione sbagliata decidendo di escludersi completamente dal mondo. Pertanto diventa importante specificare sia quando la cooperazione non può mai essere scelta perché risulta intrinsecamente immorale, sia quando la cooperazione non dovrebbe comunque essere concessa poiché, nonostante il contributo dato all’azione negativa non implichi una scelta intrinsecamente sbagliata, è controindicata da altre considerazioni.  

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2.1 La cooperazione formale La cooperazione non deve mai essere offerta quando il comportamento che una persona sceglie nel cooperare è caratterizzato dallo stesso obbiettivo del comportamento scelto dal primo responsabile dell’azione e la scelta dell’obbiettivo è intrinsecamente maligna (intrinsice malum). Avere la stessa intenzione[3] nell’agire vuol dire condividere le stesse intenzioni: per un cooperatore condividere le stesse intenzioni del primo responsabile vuol dire dare vita ad una cooperazione formale.E’ importante puntualizzare che condividere un obbiettivo non vuol necessariamente dire desiderarlo. Tutto ciò che è richiesto è che il ragionamento conduca la persona a fare una scelta mirata a raggiungere lo stesso obbiettivo del primo responsabile dell’azione. (Come potremo vedere, la nozione di scelta mirata a raggiungere un obbiettivo X ammette al suo interno dei conflitti d’interpretazione. Vedi il successivo paragrafo 2.3). Un’infermiera a cui viene ordinato di assistere ad un aborto, potrà anche considerarlo moralmente ripugnante, ma se quello che fa è diretto precisamente ad aiutarne lo svolgimento allora essa sta formalmente cooperando all’aborto. La scelta presa potrebbe essere semplicemente un modo per evitare di perdere il lavoro oppure di scontentare un collega più potente. In questi casi il suo ragionamento pratico sarà diverso da quello di un infermiera che si adopera nel causare l’aborto e lo ritiene una scelta importante perché soddisfa quello che essa pensa essere “ il diritto di scelta della donna”. Anche se gli obbiettivi secondari in questo caso sono diversi, l’obiettivo principale, cioè causare l’aborto, è il medesimo. La scelta di cooperazione formale nel provocare l’aborto è esclusa in qualsiasi circostanza così come, per le stesse ragioni, lo sono l’aborto e l’omicidio intenzionale di innocenti. Essa è intrinsecamente malvagia, una seria ingiustizia verso la persona uccisa, per cui un tipo di scelta che, se non è seguita da pentimento, pone la persona innanzi ad una pericolosa ingiustizia rendendola più violenta. Questo avviene non solo perché le nostre scelte esternano delle situazioni al di fuori di noi stessi ma perché allo stesso tempo plasmano ciò che siamo inclini a scegliere. Il vizio, che si oppone a ciò che di buono c’è nella vita umana nei suoi momenti più vulnerabili tende, nelle nostre società contemporanee, a nascondersi dietro una maschera di distinta rispettabilità diventando quindi una delle ragioni per cui rifiutare di farne parte può essere particolarmente difficile. Parlando della cooperazione formale mi sono riferito al comportamento indirizzato verso un obbiettivo scelto. Il motivo di questa locuzione è per evitare l’impressione che la cooperazione formale consista sempre nel fare qualcosa. Una persona potrebbe cooperare formalmente nel fare del male trattenendosi dal mettere in atto ciò che si dovrebbe e potrebbe fare per impedirla, agevolandone in questo modo l’esecuzione. Così, un vescovo che secondo la costituzione di un ospedale cattolico ha il diritto di scegliere quali pratiche siano accettabili dal punto di vista etico, potrebbe collaborare con il consiglio d’amministrazione della struttura sanitaria, che sta cercando di avvallare una pratica particolarmente lucrativa ma discutibile sul piano etico, astenendosi dal dare un giudizio. La sua scelta è precisamente quella di non impedire questa pratica per assistere l’ospedale nell’ottenere il suo obbiettivo finanziario. In questo caso però la scelta di non prevenire si traduce nella scelta di facilitare ciò che è moralmente criticabile.Questo esempio illustra come i “modi” di cooperare in un’azione moralmente negativa siano di vario tipo. San Tommaso D’Acquino ne identifica un certo numero[4] che descriverò schematicamente:

1. Nell’essere complice di A nel compiere X.2. Nell’accettare che X sia compiuto da A, laddove un accordo a priori sia richiesto3. Nel consigliare A su come compiere X.

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4. Nel non riuscire a consigliare A contro il compimento di X laddove si sarebbe dovuto e potuto fare ( quando il singolo ha l’obbligo di dare tale consiglio).

5. Nel non riuscire a richiedere/ordinare ad A di non fare X laddove si sarebbe dovuto e potuto fare.

6. Nel procurare forme di supporto/aiuto/occultamento senza le quali A non avrebbe compiuto X.

7. Nel non riuscire a procurare forme di aiuto/supporto che avrebbero impedito ad A di compiere X laddove si sarebbe dovuto e potuto fare.

   2.2 Cooperazione Materiale[5] Si può dare assistenza ad un’azione malvagia senza che il carattere della scelta – cioè quello che una persona intende fare – sia intrinsecamente cattivo. Però il carattere di un determinato comportamento non è l’unica ragione per cui una persona può trattenersi dal fare del male. Siamo responsabili verso ciò che intendiamo fare direttamente ma anche per le conseguenze prevedibili e inattese delle nostre scelte. Se è chiaro che ciò che l’agire della persona non è cooperazione formale e che il suo obbiettivo ultimo nel collaborare è la realizzazione di una qualche rappresentazione di uno dei beni primari costitutivi della crescita umana (invece che di puri beni strumentali[6]), allora la domanda della persona che prevede degli effetti secondari indesiderati nella sua cooperazione materiale all’azione negativa è: la mia motivazione per fare ciò che ho in mente giustifica una collaborazione di causa visto gli effetti secondari previsti? Questo domanda di coscienza sorge qualsiasi sia il tipo di cooperazione materiale che meglio descrive un eventuale scelta di comportamento[7]. La risposta dipende dal confronto tra le ragioni dell’agire e le ragioni del trattenersi dall’agire. E’ importante riconoscere che le ragioni a favore del trattenersi dall’agire possono essere diverse in natura: 1.  La gravità del torto può facilitare materialmente l’astensione, sopratutto se la persona subirà una grave ingiustizia. 2.   Una cooperazione ripetuta può rendere una persona progressivamente indifferente al male fatto ad altri causando una mancanza di sensibilità verso future richieste di collaborazione e può eventualmente predisporla ad una cooperazione formale. 3. Una cooperazione materiale può essere intesa dal responsabile dell’azione come un’approvazione del suo comportamento, portandolo quindi a rinforzare la sua inclinazione a perseguirlo. 4. La cooperazione materiale di una persona può essere sorgente di scandalo per altri, portandoli a cooperare materialmente o formalmente all’azione in maniera sbagliata, laddove il rifiuto a cooperare di una delle parti avrebbe potuto aiutarli a resistere da una qualsiasi forma di implicazione. 5. Chi  ha subito un torto dall’agente primario può ragionevolmente sospettare di una qualsiasi altra cooperazione e quindi la buona relazione che si dovrebbe cercare di mantenere risulterebbe danneggiata. 6. La cooperazione materiale con un’azione negativa rende impossibile la testimonianza contro la stessa perché mina la credibilità del testimone. 7. La cooperazione materiale tende ad occultare pratiche illegali che dovrebbero essere eliminate. Il peso che le considerazioni sopra citate hanno come ragioni contro la cooperazione differiscono da individuo a individuo a seconda del contributo cooperativo effettivo al torto perpetrato[8],

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delle responsabilità dell’individuo, della disponibilità di comportamenti alternativi nel raggiungere l’obbiettivo della cooperazione, della possibilità smettere di cooperare possa servire come deterrente per l’agente primario o dal grado di confidenza che una persona può esercitare nel prevedere le possibili conseguenze della cooperazione. Il giudizio che un individuo è chiamato ad esercitare nel tenere conto delle ragioni a favore della cooperazione e delle ragioni a favore dell’astensione non è basato su un impossibile confronto proporzionale dei beni incommensurabili in questione, ma è una valutazione prudente del comportamento ordinata verso “ il vivere una buona vita nella sua interezza”[9]. 2.3 Tracciare la linea di confine tra cooperazione formale e materiale. Proprio perché la cooperazione formalmente con il male, essendo una scelta intenzionalmente diretta ad aiutare a farlo emergere, è sempre e comunque sbagliata, è importante avere una visione difendibile delle intenzioni in modo da poter distinguere tra effetti predisposti, previsti e indesiderati di un’azione. E’ inevitabile fare alcuni richiami filosofici. Nella letteratura contemporanea ci sono almeno tre posizioni sulla cooperazione: 

1. L’intenzione dell’agente si identifica basandosi sulla descrizione di ciò che la sua ragione pratica gli specifica come fine/scopo ultimo di una scelta di comportamento.  

2. L’intenzione dell’agente si identifica basandosi sulla descrizione di ciò che la sua ragione pratica specifica come richiesto per il raggiungimento del suo fine (o scopo) e non include un effetto dell’agire che non sia logicamente implicato dalla descrizione. Qui l’idea di un’implicazione logica ha un’interpretazione differente dal terzo punto. 

3. L’intenzione dell’agente si identifica basandosi sulla descrizione di ciò che la sua ragione pratica specifica come richiesto per il raggiungimento del suo fine, il quale include qualsiasi effetto logico implicato dalla descrizione. 

La prima definizione d’intenzione sembrerebbe improbabile poiché elimina ogni riferimento ad obbiettivi di scelta vicini nel tempo, però, nonostante la sua inaccettabilità è particolarmente in voga nelle odierne discussioni sulla cooperazione. La differenza tra la seconda e terza definizione identifica l’arena di un’importante dibattito sulla teologia morale contemporanea, che tratterò qui in maniera sommaria[10]. La differenza tra la due  posizioni si basa su concezioni diverse della nozione d’implicazione logica applicata all’agire descrittivo. La nozione d’implicazione logica impiegata nel 2 si traduce nei termini di ciò che si deve ottenere in tutte le situazioni. Un effetto di un’azione scelta dall’agente si dice cadere al di fuori della possibilità delle intenzioni se la descrizione di ciò che è identificato nella ragione pratica dell’agente come necessario per il raggiungimento del suo scopo non comporti logicamente che qualcun’altro provochi quell’effetto, ovvero che si possa concepire una possibile situazione in cui l’effetto non sarà conseguenza del risultato di un modo di agire dell’agente. Questa posizione sulla gamma delle intenzioni è ben illustrata nell’esempio sulla craniotomia, famoso in letteratura. Una craniotomia fatta per salvare la vita di una madre in uno stato di gravidanza particolarmente difficile comporta, generalmente, la rimozione del contenuto del cranio del bambino con il conseguente schiacciamento e distruzione, causandone direttamente la morte. E’ stato detto su questa procedura:“ Un medico in grado di eseguire una craniotomia e di analizzare la situazione in maniera parziale, resistendo all’influenza di fattori fisici e causali che dominerebbero la percezione degli osservatori, potrebbe giustamente dire: ‘ Per nessun motivo voglio uccidere il bambino’ e ‘Uccidere il bambino non è parte di quello che voglio fare’... la nostra tesi... è che quando qualcuno sceglie di fare una craniotomia su un bambino per salvare la vita della madre in un caso ostetrico

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difficile, la descrizione dell’atto dal punto di vista della pertinenza morale non include l’uccisione del bambino”[11]. L’autore di questa frase mette in discussione il fatto che la sequenza causale che porta alla morte sia irrilevante nel determinare l’intenzione perché non fa parte del significato dell’atto determinato dalla ragione pratica del dottore che ha fatto la craniotomia d’emergenza. Uno di questi autori aveva precedentemente affermato che: “Sembrerebbe possibilmente logico fare una craniotomia senza uccidere il feto”[12]. Viene specificato successivamente che ‘logicamente possibile’ vuol dire ‘possibile in qualche mondo immaginario’ – ben distinto dalla struttura del mondo odierno – quando si spiega che “la morte del feto è prevista nella craniotomia e nelle relative leggi fisiche e nel presente stato delle tecnologie mediche” – ma non nella descrizione sulla base della quale viene scelta la procedura, cioè l’alterazione della dimensione della testa del bambino per rimuoverla dalla posizione che ostruisce il canale del parto. Dietro alla differenza tra questo tipo di visione della gamma dell’intenzione e la terza interpretazione  vi sono concezioni opposte della causalità, una fedele alla filosofia di Hume e l’altra di tipo Aristotelico. Per Hume, le leggi causali descrivono semplicemente costanti congiunzioni di causa ed effetto, e causa ed effetto sono, a livello concettuale, senza legame. La connessione è semplicemente di tipo contingente ed empirico e non ci può essere una ragione a priori per escludere la congiunzione di un qualche tipo di causa con un qualche tipo d’effetto e nessuna ragione, quindi, di parlare di una forma sostanziale d’effetto causale. Per Aristotele, invece, c’è una relazione logica e concettuale tra la causa ed il suo effetto, sulla base di una definizione di causa che ha come tendenza la produzione di un determinato effetto. Per questo motivo possiamo distinguere tra effetti sostanziali e accidentali. Così come esistono effetti sostanziali con cause naturali ci sono effetti sostanziali derivati da atti intenzionali, effetti che tendono ad essere prodotti da determinate azioni intenzionali. Questi effetti rientrano nel significato dato dalla scelta di un certo tipo d’azione. Potrebbe capitare che ciò che un agente considera di particolare valore nell’azione che sceglie di fare non espliciti l’interezza del significato sostanziale dell’azione scelta, ma, quando la descrizione dell’azione sulla base della quale egli sceglie di agire identifica un aspetto della sua efficacia che essenzialmente determina un altro effetto allora quest’ultimo fa parte del significato sostanziale dell’azione stessa. La determinazione sostanziale a cui qui si fa riferimento risale al carattere sostanziale del tipo di efficacia causale scelta dall’agente per ottenere quel preciso effetto. E’ la ‘determinazione sostanziale’ che stabilisce l’implicazione logica e concettuale, in modo che se l’azione di Y è intrinseca al significato dell’azione di X, una persona non può dire di non scegliere di fare Y nel scegliere di fare X.  E’ importante riconoscere che l’implicazione concettuale affonda le sue radici nel carattere dell’altrui intenzione. E’ vero che ciò che spiega la determinazione sostanziale che stabilisce l’implicazione concettuale sono verità sull’attività causale umana e le verità sugli obbiettivi su cui quella attività è esercitata. Queste sono verità che si inseriscono propriamente nella prospettiva dell’agire non tanto cercando di prevedere le conseguenze ma quanto nel caratterizzare le intenzioni. Per la valutazione dell’agente nel radicarsi sulle cause efficaci a raggiungere il suo scopo bisogna rendere intrinseco al carattere della scelta sia ciò che appartiene ad una modalità di azione efficacie e sia ciò che appartiene allo scontro con l’oggetto sui cui è esercitata l’azione. Questo cosa ha che vedere con l’esempio sulla craniotomia? Ciò che viene scelto come soluzione per alterare la dimensione della testa del bambino è l’evacuazione del contenuto del cervello e la distruzione del cranio. Estrarre il contenuto della testa di un bambino non ancora nato e poi distruggerla ne provoca essenzialmente la morte; difficilmente si può identificare un organo più importante del cervello. Eseguire una craniotomia implica concettualmente la morte del

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bambino; quest’omicidio è parte del significato sostanziale di ciò che uno sceglie di fare, anche se potesse immaginare un mondo possibile in cui si potrebbe ricomporre il bambino in maniera tale che continuerebbe a vivere. Il significato dell’azione umana è determinato in parte dalla costituzione naturale delle cose del mondo in cui viviamo. Se la natura sostanziale delle modalità dell’efficienza causale e la naturale costituzione delle cose mettono delle restrizioni sui caratteri dell’azione umana, potremmo chiederci se anche la natura convenzionalmente stabilita di alcune procedure non facciano lo stesso. Potremmo capire meglio il problema facendo riferimento ad un caso particolare, ovvero quello delle agenzie cattoliche in Germania che facevano un servizio d’assistenza sociale alle donne che volevano abortire, un caso che ha avuto l’interesse della Santa Sede nell’ultimo decennio del ventesimo secolo. Come condizione per ottenere l’aborto, la legge federale tedesca prevedeva che una donna dovesse rivolgersi ad assistenti sociali in centri approvati per questo tipo di procedure. Lo Stato, per assicurarsi l’assoluzione del requisito, chiedeva alla donna un certificato, debitamente firmato da un assistente sociale, da presentarsi al dottore che avrebbe effettuato l’aborto. All’interno della struttura della legge, quindi, una funzione del certificato era quella di facilitare l’accesso all’aborto. Questo nonostante il requisito del certificato inteso come un modo di comunicare a queste donne delle alternative all’aborto. Nel rispetto della legge, la Chiesa in Germania decise di aprire dei centri con la chiara intenzione, offertagli dalla legge stessa, di dissuadere le donne dall’aborto. Se queste donne erano state persuase a venire in questi centri dovevano sapere che gli assistenti, come si è dimostrato nella maggioranza dei casi, si erano impegnati precedentemente a firmare e consegnare certificati di presenza a tutte le donne che continuavano a volere un aborto. Il bisogno incontrato dalla proposta del certificato era quello delle donne che insistevano nel volere l’aborto. Era precisamente la funzione del certificato firmato come testimonianza dell’aver compiuto una necessaria pratica legale, il motivo che spingeva queste donne a venire dagli assistenti. Quindi la scelta da intraprendere per ottenere il certificato come incentivo per ricevere assistenza implicava il fatto che procurarsi il certificato era una scelta da intraprendere per ottenere l’aborto. In altre parole, la formalità attraverso la quale gli assistenti pro-vita si impegnavano alla fornitura di certificati era un modo di procurare dei documenti per la facilitazione dell’aborto. Se questa analisi è corretta, nonostante il fine più che onorevole di dissuadere le donne dal praticare un aborto, il mezzo scelto divenne la cooperazione formale nella pianificazione di quest’ultimo. Se questo fosse vero, non dovremmo essere sorpresi che un buon numero di assistenti di centri Cattolici avessero attitudini corrotte nei confronti della scelta all’aborto, adottando una visione permissiva nel consigliare le donne[13]. La chiave di volta della mia tesi è che,una delle facce della legge sui certificati, vede come protagonisti proprio quegli assistenti che, firmando i certificati di lasciapassare non solo prevedevano ma intendevano facilitare l’aborto, dando quindi un impegno a concedere un certificato firmato che poteva implicare un impegno a facilitare l’aborto[14]. Generalmente il significato convenzionale così come quello naturale di forme di efficacia causale possono determinare descrizioni del carattere formale dell’azione, tenendo ben presente che un comportamento può avere più di un obbiettivo formale. Nelle prossime tre sezioni mi concentrerò sull’applicazione dell’insegnamento sulla cooperazione formale e materiale su una serie di problemi di cooperazione che sorgono in differenti situazioni istituzionali dove la difesa della vita umana può essere messa a rischio. Ogni caso particolare scelto in questa sede potrebbe essere oggetto di uno studio a parte, quindi si dovrebbe sottolineare che l’attenzione offerta è sia selettiva che, data la complessità inerente alla materia trattata, soggetta a causare disaccordo.  

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3.      Come comportarsi davanti ad un rifiuto di cure per il prolungamento della vita motivate da una volontà suicida. Il rifiuto di curarsi da parte di un paziente è un rifiuto precisamente indirizzato ad affrettare la sua stessa morte. Questi tipi di rifiuto sono motivati da una varietà di fattori che portano il paziente a pensare che la sua vita non abbia più motivo di essere vissuta; il paziente si considera “finito” e cercherà di morire insistendo nella sospensione di tutte le cure necessarie al prolungamento della sua vita. Questi rifiuti si dovrebbero distinguere da quelli  basati sulle convinzioni che una particolare cura medica sia inutile, nel senso che non abbia nessun beneficio terapeutico, o nel caso in cui il paziente giudichi la cura, per tante possibili ragioni diverse, insostenibile. Questi rifiuti non sono basati tanto sulla perdita di speranza del paziente, ma sulla cura stessa che nelle circostanze del paziente non ha più nessun effetto. Quindi per semplificare la discussione supporrò che la motivazione del paziente non sia ambigua ed egli abbia capacità di discernimento[15]. Rifiuti a carattere suicida possono essere espressi da pazienti competenti rispetto a cure imminenti(‘ Non mi faccia più iniezioni d’insulina così da poter cadere in coma e morire ’) o rispetto a cure future quando il paziente capisce che non sarà più in grado di ragionare in maniera autonoma. Il secondo tipo di rifiuto spesso trova espressione in direttive precedentemente scritte. Discuterò del problema della cooperazione che pone medici ed infermieri davanti a questo tipo di rifiuto nel contesto della legge Inglese e del Wales. I pazienti competenti davanti alle legge hanno, apparentemente, diritto assoluto al rifiuto delle cure[16]. Bisognerebbe anche dire che la “nutrizione artificiale e l’idratazione” sono classificate dalla legge come  ‘cure mediche’. Se un dottore rifiutasse la richiesta d’interruzione delle cure si esporrebbe a responsabilità civili per danni e per torti subiti quali aggressione e violenza e potrebbe ricevere un rinvio a giudizio. Un rifiuto di curarsi anticipato considerato valido e applicabile nel momento in cui il paziente si trovi in uno stato di incapacità d’intendere e volere ha lo stesso valore legale di un rifiuto imminente fatto da un paziente capace. Non rispettare questo rifiuto esporrebbe l‘assistente sanitario agli stessi problemi legali. Sembra che i professionisti del sistema sanitario che contestano questo diritto di non curarsi abbiano poco spazio di manovra. Sulla base del Code of Practice (la bozza) per l’attuazione del Mental Capacity Act 2005 (che dovrebbe entrare in vigore nell’Aprile del 2007), essi dovrebbero fare in modo che il paziente sia trasferito nelle mani di un altro professionista. Quale sarebbe la scelta più ragionevole per un assistente sanitario davanti ad un rifiuto delle cure mediche e ad un obbligo verso i dottori specificato dalla legge? Tanto per incominciare, un dottore potrebbe ragionevolmente accettare di rispettare un imminente rifiuto di curarsi con la visione di conformarsi ai requisiti della legge che gli impongono di attenersi a tutti quei pazienti capaci d’intendere e volere che non vogliono curarsi? Se la nostra prima domanda è se il conformarsi implichi la cooperazione formale nel suicidio, penso che la risposta debba essere diversa a seconda dei due esempi che ho citato – omettere una dose d’insulina e omettere la nutrizione enterale. L’insulina è senza dubbio una cura medica ed è ragionevole che la legge proibisca la somministrazione  di una cura ad un paziente capace d’intendere e di volere che la rifiuta anche senza cercare di specificare quali potrebbe essere o non essere i motivi del rifiuto. Ci sarebbero delle difficoltà ingestibili per degli assistenti sanitari che dovessero applicare una legge che discriminasse tra motivi accettabili ed inaccettabili per un rifiuto. Detto questo, non può essere giudicato come intenzione sbagliata da parte di un dottore quella di conformarsi a questa legge, cioè una che protegga il diritto del paziente a rifiutare una cura medica. Il punto della legge è

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proteggere una sfera ragionevole di determinazione per un paziente capace e non c’è nulla nella natura di questo requisito che determini che una persona stia formalmente cooperando al suicidio. Se il fallire nello scavalcare il rifiuto suicida di un paziente a non prendere la sua dose di insulina non porta alla cooperazione formale vale lo stesso discorso anche per la cooperazione materiale, visto che l’accelerazione della morte in seguito al rifiuto dell’insulina è totalmente prevedibile? Nel rispondere a questa domanda bisogna tenere in mente che il dottore potrebbe ragionevolmente pensare[17] di non poter fisicamente scavalcare il rifiuto del  paziente facendogli una puntura contro il suo volere. D’altra parte non può semplicemente adeguarsi in quello che il paziente è determinato a fare, poiché fare ciò vorrebbe dire cooperare materialmente. Una serie di considerazioni possono essere prese in esame contro questo tipo di cooperazione: la gravità della proposta del paziente; il pericolo morale a cui è sottoposto il dottore nell’adeguarsi ad un rifiuto; l’incoraggiamento dato al paziente nel semplice adeguarsi alla sua decisione; lo scandalo che si procurerebbe ad altri con una politica di adeguamento; la perdita di credibilità come testimone di comportamenti contro il suicidio. Tutte queste considerazioni portano a pensare che un dottore che si confronta con un rifiuto a carattere di suicidio dovrebbe come prima cosa sforzarsi di far cambiare idea al paziente. Se dovesse fallire dovrebbe chiarire col paziente la sua incapacità a poter continuare il rapporto. Quindi, nel portare avanti la sua obbligazione di trasferire il paziente alle cure di un altro dottore non dovrebbe cercare un collega che accetti prontamente di collaborare con la volontà suicida del paziente. Penso che il carattere morale delle opzioni considerate cambi se prendiamo in considerazione un rifiuto alla nutrizione enterale[18]. Premettendo che la nutrizione enterale non è considerata come cura medica, ma come assistenza medica base del paziente, non dovrebbe venire presa in considerazione da tutte quelle leggi che danno diritto assoluto ai pazienti di rifiutare cure mediche.E’ opinione largamente diffusa, benché non ben definita, che il rifiuto al nutrimento enterale sia compreso nel diritto al rifiuto delle cure mediche. Non si può certo pensare di essere accondiscendenti con una legge considerata accomodante nei confronti di un rifiuto al nutrimento enterale inteso come suicidio quando il suddetto rifiuto è in questione[19]; se qualcuno fosse d’accordo nel farlo sarebbe come acconsentire al rifiuto del sostentamento di base. Aderire a tali pratiche nel facilitare il suicidio sarebbe formalmente come cooperare nel suicidio. Questa non è però l’unica formalità con cui una persona può decidere di aderire alla legge. Si potrebbe aderire perché la legge potrebbe punire i non-collaboratori. Nel tal caso ci sarebbe una cooperazione materiale al suicidio. A causa della serietà delle conseguenze del paziente e perché non è chiaramente stabilito che ci sia un diritto, con carattere di suicidio, nel rifiutare la nutrizione enterale, il dottore avrebbe più di un motivo per sfidare un tribunale sull’obbligo a partecipare al rifiuto delle cure. D’altra parte potrebbe sempre ordinare il trasferimento del paziente ad un altro collega. Infine lasciatemi sottolineare la sfida che i testamenti di rifiuto alle cure mediche presentano per gli ospedali Cattolici. La politica di questi ospedali sarebbe quella di scoprire prima di ammettere il paziente, la presenza di un testamento che abbia questo tipo di direttive. Nel tal caso il paziente dovrebbe essere rifiutato. Se la dichiarazione fosse trovata successivamente al ricovero allora i parenti o le persone aventi diritti legali sul paziente dovrebbero essere avvisati che ci si potrà prendere cura del paziente solo su condizione che le clausole a carattere suicida non vengano fatte rispettare.  

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4.      L’uso di sequenze cellulari estratte da embrioni o feti abortiti per la ricerca.  La scena specifica che ho in mente di discutere in questa sede è quella di ricercatori bio-medici ai quali viene chiesto di usare sequenze cellulari estratte da embrioni o feti che sono stati deliberatamente abortiti. Escludo dal considerare coloro che si organizzano per ottenere tessuti cellulari con l’intenzione di sviluppare delle sequenze: essendo personalmente coinvolti nel procurarsi tessuti freschi non possono che volere l’esecuzione dell’aborto, avere l’intenzione di farlo, e certamente non parleranno mai contro lo stesso[20]. Nel considerare la possibile complicità nell’aborto da parte di quei ricercatori che usano sequenze cellulari si dovrebbe distinguere tra coloro che usano sequenze vecchie[21] e coloro che ne sviluppano di nuove. Quest’ultimi nella misura in cui spingono alla vendita coloro che le producono e le inseriscono sul mercato, e sono a conoscenza che la fornitura di queste sequenze dipende da tessuti ottenuti tramite aborti, sono sullo stesso piano di coloro che vogliono l’aborto, e premiano, con la loro domanda di sequenze cellulari, i produttori che sono facilmente implicati nell’organizzazione dell’aborto stesso. L’intenzione di questi ricercatori si può descrivere nei termini di richiesta di un sistema di aborti continui come condizione per ottenere sequenze cellulari[22]. Quindi si può dire che essi cooperano formalmente al mantenimento del sistema. I ricercatori che usano delle sequenze vecchie di decenni non sono certo impegnati al mantenimento di questo sistema. Possono avere quindi una qualche forma di complicità nell’aborto? La modalità di svolgimento dell’aborto da cui furono estratti quei legami ci suggerisce che l’operazione aveva in parte lo scopo di estrarre delle cellule. Sembrerebbe quindi che, parte della ragione nello svolgere degli aborti così specifici, era proprio quella di estrarre sequenze utilizzabili. Ne consegue che i successori dei ricercatori che usano le suddette cellule stanno materialmente aiutando i trasgressori originali nel portare avanti il loro obbiettivo. Se l’esecuzione originale dell’aborto era in parte centrata ad ottenere quelle che ora sono sequenze vecchie di decenni, l’ottenimento di quelle cellule per fini di ricerca faceva parte di un piano gravemente sbagliato[23]. La soluzione migliore non è tanto quella di trovare un’idea che sia superiore alla loro, ma semmai inserirli in una situazione frustrante. Non c’è comunque ragione di pensare che un ricercatore usi proprio quella sequenza con l’intenzione di compiere i piani originali del trasgressore, ma materialmente egli contribuirà al raggiungimento di quei piani mettendo in crisi quello che verrebbe normalmente richiesto dalla giustizia[24]. Ci sono altri motivi che possono essere presi in considerazione contro l’uso di sequenze cellulari derivate da tessuti di embrioni e feti abortiti. Come in quei casi dove alcune persone tendono ad approfittarsi dell’atto immorale perpetrato da terzi per promuovere un loro fine apparentemente giusto, il valore dell’atto originale nel momento in cui si cerca di facilitarne lo scopo può portarli a sostenere l’atto originale solo nella misura in cui può facilitargli il raggiungimento del fine stesso. In realtà tutto questo è stato fatto proprio perché l’atto in se era sbagliato. Si potrebbe resistere alla tentazione di sostenerlo, ma se si fallisce allora le disposizioni stesse sono corrotte[25]. Altre due ragioni che possono essere prese in considerazione contro l’uso delle sequenze cellulari ottenute da tessuti provenienti da feti abortiti sono: l’utilizzo può essere pietra di scandalo per altri colleghi( ad esempio può divenire un ostacolo  per riconoscere la verità morale sull’aborto causato) e l’uso di queste cellule può indebolire la credibilità della testimonianza che si dovrebbe dare contro l’uso di questi metodi. Le persone che hanno un punto di vista privilegiato per obbiettare alla produzione di cellule sono proprio i ricercatori a conoscenza della natura del loro prodotto. Non presentare un obiezione su questi atti lascerebbe indisturbati le compagnie farmaceutiche e gli istituti di ricerca nelle loro pratiche. Nel momento in cui un ricercatore debba fare un giudizio prudente sul fatto o meno di usare sequenze cellulari ottenute da feti o embrioni abortiti, nessuna delle ragioni qui elencate sono

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considerazioni di poco conto. Il valore potenziale della sua ricerca dovrebbe essere molto importante e molto urgente per giustificarne l’uso. 5.  I legislatori e le proposte di legge restrittive a sostegno della vita umana: il dibattito attorno l’implicazione dell’Evangelium Vitae §73.3  Un legislatore che vota in favore di una legge mirata a permettere l’esecuzione dell’aborto coopera formalmente nell’aborto stesso, e la gravità del suo errore non è per nessun motivo mitigata da alcuna dichiarazione di opposizione personale all’atto stesso. Questa verità della morale ha dato vita ad un dibattito sull’ammissibilità di proporre o votare una legge che abbia l’effetto di limitare l’aborto ad un periodo gestionale più corto di quello in cui era precedentemente consentito, ma che comunque non cancelli la possibilità di ottenerlo. Secondo me, la soluzione a questo dibattito, ruota attorno al modo in cui la prassi di una corretta interpretazione della legge può chiarire l’efficacia – il suo vero effetto- attraverso il passaggio della legge e quindi attraverso il significato dato al voto. E’ oggetto di discussione il fatto che si possa votare una qualsiasi proposta restrittiva (legge o progetto di legge) che protegga alcune persone dall’ingiustizia di una legge esistente lasciandone altre esposte alla stessa ingiustizia. Questo non è ammissibile ( è argomento di discussione) quando la proposta in questione e parafrasata in maniera tale da ripetere alcune condizione ingiuste della legge precedente. Una proposta del genere sembra essere contraria all’Evangelium Vitae §73.2:“Nel caso quindi di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l'aborto o l'eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa, «né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto».”Un voto che dia la possibilità di abortire fino a 14 settimane in circostanze in cui l’aborto fin qui era proibito è chiaramente un voto per introdurre una legge intrinsecamente ingiusta, cioè una legge che permette la violazione di uno dei fondamentali diritti umani, diritto che non dovrebbe essere mai violato. Se non è mai giusto votare per una legge simile come potrebbe esserlo per una proposta scritta in maniera identica, ma dove il contesto in cui avviene il voto è quello di una legge preesistente che permetteva l’aborto fino a 24 settimane? La formulazione della proposta permette espressivamente l’aborto fino a 14 settimane, quindi, rende possibile ciò che non dovrebbe essere possibile. Il contesto e la prassi che caratterizza quel contesto, fanno la differenza. Nel momento in cui una proposta per autorizzare l’aborto fino a 14 settimane è una proposta restrittiva, l’effetto causato dal passare questo tipo di proposta in legge è quello di approvare una proibizione sull’aborto tra le 14 e le 24 settimane. Nessun nuovo permesso sull’aborto fino alle 14 settimane viene introdotto: quella parte della legge rimane così com’è. E rimane così com’è semplicemente perché non è politicamente possibile rimuoverla. La prassi d’interpretazione legale ci obbliga a distinguere tra i tipi di decreti ed il loro significato legale o ‘effetto giuridico’ ovvero la proposta di legge a cui questi decreti, se propriamente interpretati, danno validità legale. L’effetto legale di alcune di queste formule più permissive non è in un contesto permissivo, ma restrittivo, cioè le proposte di legge dichiarate valide da un voto positivo a loro favore sono proibitive. Una legge che riduca l’aborto ad un periodo gestionale minore rispetto a quello previsto precedentemente comprende, secondo il Professor Finnis, “ due o più distinte proposte di legge ... Una è una proposta di legge che proibisce certi tipi d’aborto. L’altra ... è una proposta di legge che ne permette altri”[26]. Questo punto è essenziale affinché abbia un senso l’Evangelium Vitae §73.3: 

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“Un particolare problema di coscienza potrebbe porsi in quei casi in cui un voto parlamentare risultasse determinante per favorire una legge più restrittiva, volta cioè a restringere il numero degli aborti autorizzati, in alternativa ad una legge più permissiva già in vigore o messa al voto. Simili casi non sono rari. Si registra infatti il dato che mentre in alcune parti del mondo continuano le campagne per l'introduzione di leggi a favore dell'aborto, sostenute non poche volte da potenti organismi internazionali, in altre Nazioni invece — in particolare in quelle che hanno già fatto l'amara esperienza di simili legislazioni permissive — si vanno manifestando segni di ripensamento. Nel caso ipotizzato, quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all'aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui.”L’Evangelium Vitae con il termine “lecitamente” intende un voto per una proposta restrittiva mirata ad effettuare una proposta di legge che proibisca determinati aborti. Anche se la formulazione della proposta è in termini permissivi, l’effetto non potrà essere quello di introdurre una nuova concessione sull’aborto, poiché quello è esistente[27], ma semmai l’effetto vero sarà la proibizione di alcune sue forme.E’ perché questo è l’effetto di una proposta restrittiva che, quando al punto 73.3, l’Evangelium Vitae immagina un legislatore votare per questa proposta precisamente con lo scopo di “limitare il numero di aborti autorizzati”, essa si trova in linea con il punto precedente, il 73.2, che insegna come non sia mai lecito votare per “una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l'aborto o l'eutanasia”; sarebbe come votare una legge restrittiva in quanto la restrizione ha l’effetto di proibire, fino ad un livello politicamente fattibile, la pratica dell’aborto, e così come formulata, non ha nessuna tendenza ha promuovere l’aborto. La legge dello Stato rimarrà “intrinsecamente ingiusta” fino a che continuerà a permettere l’aborto. Però i legislatori che con il loro voto riescono a limitare una linea più permissiva nei confronti dell’aborto hanno realizzato un giusto impedimento dell’aborto stesso. Facendo attenzione alla precisa intenzione formale del legislatore, mentre prende forma all’interno della prassi legislativa, egli chiarisce come votare per una proposta di legge restrittiva non implichi una cooperazione formale con l’aborto. 6.      Conclusione La casistica di cooperazione nel male non è un argomento chiaro. In questa relazione ho offerto un’interpretazione della nozione di cooperazione formale che suggerisce come ciò che alcuni sembrerebbero identificare come cooperazione materiale ( addirittura difendibile) dovrebbe essere identificata come cooperazione formale, mentre scelte considerate come cooperazione formale non dovrebbero essere pensate per rappresentare un intenzione che non può essere caratterizzata come tale. E’ chiaramente importante avere una comprensione vera di ciò che è la cooperazione formale a causa di tutte quelle scelte a rischio di essere cooperazioni formali in gravi torti verso l’umanità; l’agire solo sulla ragione non dovrebbe mai determinare una scelta e se lo fa, potrebbe corrompere gravemente la personalità di un individuo[28]. La complessità che attende il discernimento su cosa è giusto fare quando si è a rischio di cooperazione formale sorge dalla gamma di considerazioni che una persona deve prendere in esame nel cercare di raggiungere un giudizio prudente sulla propria responsabilità. Un errore di giudizio può sorgere dal fallimento nel prendere in considerazione tutte le scelte possibili. 

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Un giudizio di coscienza su ciò che una cooperazione formale o un errata cooperazione materiale possono mettere in particolari situazioni gli assistenti sanitari obbligandoli a non riuscire a rispondere a delle aspettative siano esse dei pazienti, dei colleghi, delle istituzioni o della legge. In alcune di queste situazioni il rifiuto ad incontrare tali aspettative può non essere particolarmente grave; ci sono però situazioni in cui l’obiezione di coscienza nel cooperare ad un torto può costare caro ad una persona ed in modi che non possono essere evitati. In queste situazioni egli deve ricordarsi che la difesa della vita umana di persone innocenti fa parte della proclamazione del Vangelo. Giovanni Paolo II scrisse: “Nell'annunciare questo Vangelo, non dobbiamo temere l'ostilità e l'impopolarità, rifiutando ogni compromesso ed ambiguità, che ci conformerebbero alla mentalità di questo mondo (cf. Rm 12, 2). Dobbiamo essere nel mondo ma non del mondo (cf. Gv 15, 19; 17, 16), con la forza che ci viene da Cristo, che con la sua morte e risurrezione ha vinto il mondo”[29].

[1] Vedi il chiarimento del concetto di coscienza in, ‘ La coscienza morale nell’etica e la crisi contemporanea dell’autorità’ scritto da sua eccellenza vescovo Antony Fisher OP.[2] Vedi la conferma solenne negli insegnamenti di Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae, §57.4 e nelle sue puntualizzazioni sull’aborto, §62.3, e sull’eutanasia, §65.4.[3] Ho usato il termine “intenzione” per riferirmi sia ai fini dell’azione più vicini che quelli più lontani. Questo modo (comune nella filosofia anglofona) è diverso da quello della Veritatis Splendor che con il termine “intenzione” fa riferimento ad un obbiettivo vicino o lontano nell’agire.[4] san tommaso d’acquino, Summa theologiae 2a 2ae, q. 62, art. 7.[5] Per la sezione 2.2 sono particolarmente in debito con la trattazione dell’argomento fatta da Grisez Germain, The Way of the Lord Jesus. Vol.3: Difficult Moral Question, Appendix 2: Formal and material cooperation in another’s wrongdoing, p. 871-897, specialmente 876-889. Vedi sua Eminenza Fischer OP Antony, “Cooperation in evil:understanding the issue”, in Watt Helen, Cooperation, Complicity and Conscience: Problems in Heathcare, science, law and public policy, London, The Linacre Center, 2005, p. 27-64.[6] E’ sottointeso che la relazione “strumentale” sia transitiva: se X è strumento per la realizzazione di Y e Y è strumento per la realizzazione di Z allora X è strumento per la realizzazione di Z.[7] Generalmente si fa una distinzione tra la cooperazione materiale immediata e mediata: una cooperazione si dice immediata se la persona contribuisce allo svolgimento dell’azione negativa perpetrata dal primo responsabile; si dice mediata se l’atto perpetrato è preparatorio alla malefatta o in qualche modo la facilita. La cooperazione mediata può essere prossima o distante: si dice prossima se la persona è coinvolta da vicino nel facilitare l’atto, lontana se la persona di fatto è coinvolta solo a mantenere ed assicurare le condizioni che ne renderanno possibili lo svolgimento.[8] Vedi nota 8[9] grisez, The Way of the Lord Jesus. Vol.3: Difficult Moral Question, p. 885, cita san tommaso, Summa theologiae 2-2, q. 47, a. 2, ad 1.[10] Ne ho trattato in maniera più articolata in un discorso non pubblicato, The scope of intention in the doctrine of double effect Ave Maria School of Law, 2002, Michigan.[11] finnis john, grisez germain, boyle joseph, Direct and Indirect; A reply to Critics of our Action Theory, 2001, vol. 63, The Thomist: 1-44, p. 24, 29.

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[12] boyle joseph M jr, Double-effect and a certain type of embryotomy, 1977, Irish Theological, Trimestrale n. 44,    p. 303-18, 308.[13] Al tempo di questi centri di assistenza Cattolici il prof Spaemann ne parlò dicendo che erano diventati “preda di una mentalità pro-aborto”. Ringrazio il Dott Helen Watt per le sue osservazioni che mi hanno aiutato a fare analisi più precise sulla cooperazione formale che credo esistesse nelle situazioni qui descritte.[14]  Non voglio dichiarare che Giovanni Paolo II, basandosi su questa tesi, abbia richiamato i vescovi tedeschi a desistere dal tenere aperti questi centri, poiché si può benissimo negare una cooperazione formale ma insistere sul fatto che questi centri fossero impegnati in una forma inaccettabile di cooperazione materiale.[15] Ignorerò le situazioni in cui i pazienti esibiscono motivazioni miste, in parte suicide ed in parte di rifiuto all’accanimento terapeutico. Motivazioni così complesse e la loro rilevanza sul piano delle decisioni da prendere sono discusse in watt helen, “Cooperation problems in care of suicidal patients” in Cooperation, Complicity and Conscience.Problems in healthcare, science, law and public policy, Londra, 2005, The Linacre Center, p. 139-147.[16] La posizione della legge non è completamente chiara. La corte ha usato un linguaggio troppo generale che fa apparire assoluto il diritto dei pazienti capaci di intendere e volere di poter rifiutare le cure; questo è anche il punto di vista della medicina forense. Il Professor Keown mi faceva notare che in teoria si può confutare che questo diritto sia assoluto e che i pazienti capaci di intendere e volere abbiano il diritto di rifiutare le cure per suicidarsi. La corte non si è ancora espressa sul fatto che il diritto al rifiuto delle cure mediche si possa estendere al suicidio. Persino nel caso di Re B(una donna dipendente dal respiratore e che voleva le fosse staccato) questo punto non fu discusso e giudicato. Vedi keown john, Euthanasia, Ethics and Public Policy, Cambridge, Cambridge University Press, 2002: p. 227-30.[17] Secondo il linguaggio della corte; vedi nota 17[18] Da distinguere da una procedura di nutrizione enterale come la gastrostomia. Il rifiuto di una gastrostomia può essere inteso come rifiuto di cure mediche, quindi, a seconda della complicità del dottore, non comporta la cooperazione formale nel suicidio.[19] Questo non vuol dire che non ci possano essere motivi ragionevoli per rifiutare la nutrizione enterale: ad esempio è ragionevole interrompere la procedura quando diventa impossibile da sopportare oppure quando il paziente è in una fase terminale[20] A volte la partecipazione nella raccolta di questi tessuti è talmente diretta che è la procedura per ottenerli che uccide il bambino nell’utero. In madraza, I., Fetal Homostransplants (Ventral Mesencephalon and Adrenal Tissue) to the Striatum of Parkinsonian Subjects, Archives of Neurology, 47, 1990: p. 1281-2, racconta una procedura dove dopo  aver dilatato la cervice, un tubo attaccato ad un catetere veniva inserito nell’utero e guidato da degli ultrasuoni verso il cervello del feto che veniva quindi aspirato e i tessuti trapiantati in un paziente affetto da Parkinson.[21] La WI-38 fu sviluppata nel luglio del 1962 dal tessuto di un polmone tolto da un feto di tre mesi deliberatamente abortito; la MRC-5 fu sviluppata nel settembre del 1966 dal tessuto di un polmone tolto da un feto di 14 settimane deliberatamente abortito. La HEK 293( ne parla wong alvin, The Ethics of HEK 293, The National Catholic Bioethics trimestrale 6, 2006: p. 473-95) fu sviluppato nel 1972.[22] La situazione qui descritta non è un requisito necessario per ottenere delle sequenze cellulari: è possibile svilupparle anche da aborti naturali spontanei.[23] Vedi le evidenze apportate da leiva rene, A Brief History of Human Diploid Cell Strains, The National Catholic Bioethics, trimestrale 6, 2006: p. 443-51.

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[24] Per questo paragrafo ringrazio pruss alexander, “Cooperation with past evil and use of cell-lines derived from aborted fetuses”, in watt, Cooperation, Complicity...,, p. 89-104. Vedi pruss alexander, Complicity, Fetal Tissue and Vaccines, The National Catholic Bioethics, Trimestrale 6, 2006: p. 461-70.[25] Il fenomeno a cui mi riferisco è stato studiato da kaveny m cathleen, Appropriation of Evil, Cooperation’s Mirror Image, Theological Studies, 61, 2000, p. 280-313.[26] finnis john, Helping enact unjust laws without complicity in injustice, American Journal of Jurisprudence, 49, 2004: p. 11-42, in particolare p. 14. Tutta la sezione cinque del mio lavoro è profondamente inspirata a questo articolo.[27] Evidentemente una proposta non dovrebbe estendere un permesso che altrimenti non sarebbe rispettato.[28] Il significato morale della cooperazione formale è discusso in gormally luke,  Why not dirty your hands?, in watt ,Cooperation, Complicity..., p. 12-26.[29] papa giovanni  paolo ii, Evangelium Vitae, n. 82.3.[30] papa giovanni  paolo ii, Evangelium Vitae, n. 82.3.

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JEAN LAFFITTE  Storia dell’obiezione di coscienza e differenti accezioni del concetto di tolleranza

I più antichi scritti di letteratura greca, filosofia e letteratura drammatica, gli scritti filosofici degli Stoici romani, i libri dell’Antico Testamento, ci offrono la testimonianza di uomini e donne che, giunti a un momento decisivo della loro esistenza in cui s’impone loro una scelta personale di portata religiosa o morale, si trovano nella posizione di dover disobbedire alla legge dei loro paesi. Anche se il concetto di obiezione di coscienza non esiste ancora così come è stato recentemente teorizzato, appena più di un secolo fa, a proposito del porto e dell’uso delle armi in un contesto militare, sembra essere sempre comunque esistita la realtà stessa dell’atto: rifiutare di obbedire a una legge civile giudicata gravemente ingiusta. Uno degli scopi di questa relazione è di mostrare questa permanenza nel corso dei secoli di una esigenza interiore dell’uomo che lo conduce, talvolta, a mettere in gioco la propria esistenza, e a giudicare che il rispetto delle leggi divine e l’onore morale sono dei valori che predominano sulla sua stessa sopravvivenza. Oggigiorno, il ricorso all’obiezione di coscienza  ha oltrepassato la cornice di battaglia pacifista alla quale essa si era limitata, senza essere sempre, peraltro, scevra da influenze ideologiche, per imporsi al dominio della medicina e dell’azione politica. Essa necessita senza dubbio di uno studio approfondito differenziato, ma anche di una analisi delle condizioni culturali e sociali del suo esercizio. La testimonianza dei secoli passati, almeno fino alla fine del Medioevo, sembra lineare e facile da inventariare. Un accordo generale esisteva sui valori essenziali che fondavano l’autorità politica e gli equilibri sociali: accettazione dei valori verso la patria e verso Dio, regole personali di comportamento, nobiltà del lavoro, cura della cellula familiare, pietà filiale, autorità paterna e tanti altri aspetti della vita in società.Sarebbe eccessivo affermare che tutti questi valori sono oggi scomparsi, ma il realismo impone di constatare che essi non sono più l’oggetto di un accordo indiscusso e che, al contrario, essi sono sottomessi a una costante rimessa in questione teorica e pratica. Evidentemente, l’attenuazione e al contempo, in certi casi, la sparizione di certi valori, suscitano necessariamente nuove norme sociali di comportamento. Noi siamo in presenza di referenze sociali e di questioni politiche di filosofie alternative e di idee correnti divenute sempre più trasversali alle culture in un mondo globalizzato. Queste idee generano dei giudizi e dei comportamenti insoliti, nella misura in cui esse si sostengono su concezioni culturali veramente rivoluzionarie della natura umana, segnate da un relativismo culturale di cui vedremo alcuneespressioni. Tolleranza ideologica e obiezione di coscienza Una di queste novità è senza alcun dubbio il concetto attuale di tolleranza che prospera in ragione di una autentica ambiguità che apparirà più avanti. Per darne già una prima idea, diciamo che, se l’idea stessa di tollerare con pazienza un male provvisorio che non si può evitare nell’immediato senza causare dei danni più grandi ancora, o affrontare pazientemente delle opinioni contrarie, ha sempre significato una espressione classica della virtù della prudenza e della sua espressione moderata, la tolleranza ha cessato oggi di essere una virtù pratica: essa si erge al rango di virtù teorica. Questa pretesa è di essenza politica, anche se ne risultano innumerevoli conseguenze nell’ordine dell’éthos. Il concetto di tolleranza ha, come quello dell’obiezione di coscienza, esso stesso una storia relativamente recente: si può farlo risalire ai tempi della Riforma protestante. Da Erasmo[1] a Locke[2] e Spinosa[3], da Bayle[4] a Voltaire, al

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secolo dei Lumi[5], esso è stato l’oggetto di più approfondimenti successivi e rivestito di sfumature diverse. Non sarebbe onesto non tentare di farne l’inventario preciso, ma l’evoluzione semantica del termine dall’Essay on  Toleration di Locke nel 1667, illustra che il concetto è divenuto nei nostri giorni un autentico strumento politico, che contiene in se stesso, sotto una forma paradossale, delle temibili forze di totalitarismo e di esclusione.Se la natura dell’argomento ci impone di pensare simultaneamente le due questioni ben distinte dell’obiezione di coscienza e della tolleranza, bisogna comprendere che l’atto di rifiutare in coscienza di obbedire a una legge ingiusta si realizza oggi in un contesto di tolleranza ideologica che, secondo natura, non è disposta a sopportarlo. La nostra tesi è che la società ideologicamente tollerante non può tollerare l’obiezione di coscienza, poiché questa in qualche maniera sfugge al suo controllo.Una tale affermazione preliminare ha di che sorprenderci: che la tolleranza sia intollerante, è un paradosso di cui la formulazione può sembrare provocatrice e semplicistica. Pertanto, il tollerante ideologico è un piccolo Epiménide, questo pensatore la cui fama si è trasmessa nel corso dei secoli sotto la forma di un paradosso conosciuto come il paradosso di Epiménide:Epiménide il Cretese diceva: tutti i Cretesi sono bugiardi.Epiménide è Cretese.Dunque, Epiménide è bugiardo.Dunque, i Cretesi dicevano la verità.Dunque, Epiménide dice la verità, poiché egli è CreteseSiccome egli dice la verità, tutti i Cretesi non sono bugiardi…Lo si vede: non si cessa di passare da un'affermazione al suo contrario. La ragione è che Epiménide, ponendo questa affermazione, distrugge mediante il suo contenuto la validità dell’atto dell’affermazione della frase. Dicendo: Tutti i Cretesi sono bugiardi, egli si dice bugiardo e distrugge così la validità delle sue proprie affermazioni. Il tollerante ideologico è un piccolo Epiménide. Perché? Dicendo: tutte le opinioni si equivalgono, egli afferma come una regola generale quella che non è altro se non una opinione fra altre, secondo la sua propria affermazione. Come si può uscire da  questo vicolo cieco? Solamente mediante la violenza che ritorna a dire: se voi mi contraddite quando io dico che tutte le opinioni si equivalgono, voi siete un pericoloso intollerante, da combattere con tutti i mezzi. In effetti, l’alternativa che consisterebbe nel dire: la mia tolleranza non è che una opinione tra le altre, non è sopportabile per lui. La tolleranza ideologica vuole imporsi a tutti. E’ per questa ragione che noi la dicevamo di essenza politica e non morale, anche se essa manifesta una pretesa morale abusiva. Quanto più questa intolleranza di fatto resta incosciente, tanto più essa si esprime con violenza. Quello che la tolleranza non può tollerare Il paradosso del tollerante ideologico non è un esercizio retorico. E’ necessario comprendere che una società che si afferma alto e forte una società tollerante, non è in grado di sopportare, di tollerare tutto ciò che mette in pericolo il suo equilibrio instabile e contraddittorio. In particolare:-                     essa non tollera l’idea che ci sia una verità da cercarsi;-                     essa non tollera che una tale verità possa avere un carattere universale;-                     essa impone l’evacuazione di ogni dibattito di fondo; in effetti, in un dibattito di fondo, gli interlocutori possono non essere d’accordo, ma essi hanno in comune il desiderio di una verità valida per tutte le parti coinvolte nel dibattito. Nella società ideologicamente tollerante, si evita la questione della ricerca della verità e, facendo ciò, si trasforma il dibattito di fondo in uno scambio di idee relative. Ciascun interlocutore informa l’altro delle sue proprie idee e deve

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interdirsi di considerarle eventualmente valide per l’altro. Esse cessano di essere delle idee di fondo. Non c’è posta in gioco nel dibattito;-                     essa non sopporta le implicazioni etiche delle idee di fondo;-                     essa si colloca sempre al di sopra dei dibattiti di fondo e rivendica il diritto, il buon diritto di giudicare le parti presenti; facendo questo, d’altronde, essa non esercita che un autentico arbitrio -ciò che si accorderebbe con un autentico potere politico- poiché la sua posizione la situerà sempre praticamente dalla parte delle posizioni degli interlocutori più teoreticamente tolleranti, posizioni sicuramente le meno disturbanti per l’equilibrio consensuale che essa pretende di mantenere;Insomma, la società tollerante impone un pensiero unico. E’ in questo senso che essa è totalitaria e che fa, senza saperlo, da culla ai totalitarismi, talvolta in tempi molto brevi. Per esempio, la proclamazione degli ideali rivoluzionari di tolleranza presso i teorici francesi del 1789 ha aperto la strada, nello spazio di soli tre anni, all’instaurazione di un autentico regime di terrore[6]. E’ invano che, poco dopo, dei preti hanno voluto far valere una obiezione di coscienza che interdiva loro di prestare giuramento alla Costituzione civile del clero. Il rifiuto di questi che vengono chiamati in modo ben eloquente i refrattari, valse loro la morte e, nel migliore dei casi, l’esilio con la perdita dei loro diritti civili e di tutti i loro beni.L’ideologia della tolleranza non è esente da pregiudizi filosofici. Si è giustamente sottolineato che i grandi teorici della tolleranza al momento della Riforma protestante erano per la maggior parte degli scettici. Era particolarmente evidente per Bayle. Il filosofo non si accontentava di reclamare gli stessi diritti per coloro che si trovavano nell’errore come per questi che non ci si trovavano. Egli arrivava fino a voler riconoscere lo stesso statuto per le dottrine erronee come per le espressioni della verità: una coscienza che si inganna dovrebbe poter assicurare alle sue convinzioni erronee gli stessi privilegi che uno spirito ortodosso ottiene per la verità, egli scrive nel suo dizionario. All’obiezione che, in questo caso, ci si esporrebbe ai tormenti di coloro la cui coscienza obbligherebbe a perseguitare gli altri, Bayle non può che rispondere riferendosi al carattere razionale della coscienza morale.[7] Lo fa in una maniera un po’ incantatoria, senza rendersi conto della contradictio terminorum presente nelle sue tesi: se la coscienza deve obbedire alla ragione, è quest’ultima che le offre dei criteri di verità. Sarà per questo motivo che Bayle incontrerà maggior opposizione tra i suoi primi seguaci, per esempio Jurieu.E’ necessario essere equi. Pierre Bayle era perfettamente sincero nel suo desiderio di lottare contro le intolleranze reali del suo tempo. Egli lo provò consacrando più capitoli della sua opera agli abusi commessi dai suoi propri fratelli ugonotti contro le minoranze anabattiste, i cattolici, e anche gli Ebrei (morte di Nicolas Antoine, strozzato e bruciato a Ginevra nel 1632).La posizione di Locke, il padre della tolleranza moderna, è ben più problematica di quella di Bayle. La sua concezione era piuttosto vasta: egli intendeva ben aprire la società civile non solamente agli Ebrei, ma anche ai musulmani e lo stesso anche ai pagani. Tuttavia ci associa due riserve: sono esclusi dalla tolleranza i cattolici e gli atei.[8] Lasciamo da parte l’esclusione dei cattolici senza dubbio molto condizionata dai pregiudizi che strutturavano la società inglese sotto Giacomo II; ma notiamo con interesse che quella degli atei si fondava su questa idea di Locke, secondo la quale un ateo, perfino virtuoso, non può impegnarsi né in rapporto a se stesso né in rapporto agli altri, a rimanere tale; è una virtù senza conseguenza dal momento che egli nega la necessità di pene o di ricompense in un altro mondo.[9] Così, la tolleranza di Locke, sensibile al ruolo del legame sociale esercitato dalle credenze religiose, non si fonda su una concezione nichilista o anche solamente neutra della società degli uomini: in ciò, essa si distingue dalla tolleranza ideologica delle società laiciste contemporanee.Se ora si desidera trovare risposta alla legittima preoccupazione di Bayle, Locke e tanti altri, sul pericolo dei totalitarismi, notiamo che essa non può trovarsi in una esigenza teorica di tolleranza.

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La tolleranza ideologica è una falsa risposta.[10]Dire, per sfuggire all’impresa totalitaria, che tutte le opinioni si equivalgono, legittimerebbe giustamente quello che ci si augurerebbe evitare. La sola risposta veramente realista, sul piano filosofico, è l’affermazione positiva della dignità dell’uomo come verità valida per tutti. Essa stabilisce la possibilità di un vero dibattito, poiché l’interlocutore è in tutti i casi reputato degno, vale a dire destinatario rispettato di questa libertà fondamentale che s’intende riconoscergli. Una tale attitudine è autenticamente tollerante, se si può dire, in senso classico, rispettosa e paziente, ma essa non si situa nellatolleranza ideologica, in ciò che si suppone e si afferma come una verità universale. Se ci si astenesse dalla ricerca di una verità sull’uomo, per natura universale, e che potesse così fondare il rispetto incondizionato che si deve portare alla sua vita, in qualunque stadio essa si trovi, i comportamenti concreti verso l’uomo non sarebbero allora più regolati dall’accoglienza di una verità riguardante la sua dignità, verità che la protegge. In realtà, essi sarebbero allora regolati da un equilibrio di forze ideologiche, politiche e finanziarie.Nei fatti, lo si vede, la tolleranza ideologica sopprime il solo punto di vista che rispetta la dignità dell’uomo. Come meravigliarci allora che è in nome della tolleranza che si porta danno alla vita dei bambini nel seno della loro madre e si manipola gli embrioni umani? Tutto diventa possibile salvo rispettare l’uomo incondizionatamente. L’invettiva, poiché essa è un corto circuito della ragione, prenderà il passo sul dibattito argomentato e leale.[11]La dignità dell’uomo si situa su un piano filosofico; essa è un dono fondamentale che può contribuire socialmente ad avvicinare più concezioni filosofiche differenti. A una condizione, tuttavia: evitare l’indifferentismo che riduce le scelte fondamentali a delle semplici espressioni di opinioni diverse. La dignità dell’uomo esigerebbe, soprattutto in ciò che tocca il rispetto della vita umana, una prudenza del politico che non può moralmente legalizzare ciò che un numero di cittadini considerano come una azione indegna dell’uomo.Sul piano religioso, il concetto di dignità integra anche una visione dell’uomo come essere creato. Così, nella prospettiva cristiana, l’uomo trova la sua consistenza ultima nella sua natura ad immagine di Dio: egli prende dunque in considerazione un certo disegno del Creatore leggibile nei doni di natura (in ciò che riguarda la vita, fanno parte di questi doni,  per esempio, la crescita dell’essere umano, le finalità dei fenomeni biologici nella formazione del corpo). I credenti non possono imporre una intelligibilità del fenomeno vitale che integra esplicitamente una prospettiva di fede. Tuttavia, l’apporto di quest’ultima non è insignificante per la società degli uomini. Per tenere l’esempio della vita umana, la fede e la cultura cristiane hanno certamente contribuito a pensare alla venuta all’esistenza di un nuovo essere umano in termini di avvenimento (o meglio: di avvento). Il rifiuto a priori, da parte di una società ideologicamente tollerante, dell’espressione di una tale sensibilità[12], non può che condurre a un impoverimento della coscienza sociale che la vita umana, ivi compresa in tutti i suoi primi istanti, è un bene da rispettare incondizionatamente, proteggere e servire. E’ comprensibile che  in questo contesto essa sia banalizzata e ridotta sempre di più a un semplice dono biologico.Nei fatti, la tolleranza ideologica priva la società dell’apporto specifico degli approcci filosofici e religiosi che essa rifiuta d’integrare, impedendo loro di apportare propri contributi al bene comune. La perdita del senso dell’oggettività del giudizio di coscienza La tolleranza ideologica è sempre legata a una concezione individualista della coscienza morale, secondo la quale l’individuo che decide di agire e di adottare un comportamento particolare è visto come una sorta di monade totalmente autonoma nelle scelte. La norma morale diventa una minaccia per la libertà. Nel  migliore dei casi, le norme recepite dall’autorità morale, dalla

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tradizione sociale, dalle istruzioni magisteriali dell’autorità religiosa, saranno recepite come delle indicazioni, senza dubbio interessanti, o delle opinioni stimolanti per la riflessione; ma in ogni caso, esse non coinvolgeranno il soggetto. In una tale prospettiva, vana è l’idea che una legge, scritta o non scritta, possa imporsi al soggetto, in ragione della forza stessa della verità certa di cui questa legge possa essere portatrice. Le leggi non scritte, alle quali, dopo Socrate, dopo Sofocle, si riferirà con san Paolo il pensiero cristiano, permettono di integrare armoniosamente esigenza razionale e insegnamento divino. In compenso, a partire dal momento in cui è rigettata a priori l’idea stessa di leggi non scritte[13] presenti nel cuore dell’uomo, si trova irrimediabilmente escluso ogni legame tra Dio e la coscienza. In altri termini, Dio è cacciato dalla sfera morale e non gli si riconosce più la possibilità d’intervenire nell’agire umano. Al di là del problema etico, lo si vede, è per i cristiani tutta una concezione della grazia divina, della sua efficacia e del suo potere di giustificazione dell’essere spirituale, che è rimessa in questione. Le concezioni individualiste, che sono anche, per definizione, necessariamente relativiste, non possono lasciare intatte le fondamenta della fede.Questo rapporto tra libertà e verità morale non è la sola a costituire un problema nella visione tollerante della coscienza. Tutta la problematica della coscienza erronea è al contempo elusa. O l’errore di coscienza è una possibilità che permette di agire ordinariamente senza commettere un fallo morale[14]; o la realtà stessa dell’errore morale è negata, per il fatto stesso che si concede alla coscienza morale uno statuto d’infallibilità, operante all’interno di una confusione tra i due livelli della coscienza classicamente designati con i termini di sinderesi e coscienza[15].Essendo molti di questi aspetti ampiamente trattati nella relazione di Anthony Fisher, io non li sviluppo qui, accontentandomi di sottolineare solamente una dimensione importante della questione delicata e ampiamente dibattuta dell’autonomia della coscienza morale: che esista una sorta di sovranità del soggetto morale il quale, per i suoi atti, decide di se stesso e del suo divenire uomo, virtuoso o no, è sempre stato nel cuore del pensiero classico: solo il carattere ragionevole del giudizio di coscienza offre alla libertà i mezzi di pervenire, seguendo la verità inscritta nel bene morale, alla sua autentica autonomia (in questo senso, il linguaggio comune parla della libertà dei santi). L’uomo ragionevole, sottomesso alla Provvidenza divina, vi partecipa in qualche maniera. Egli ha la capacità di governarsi e di governare gli altri esseri. Tuttavia, l’autonomia è spesso vista come una capacità della coscienza di decidere del bene. Essa afferma in questo senso una sorta di primato delle opinioni morali del soggetto, che non può mai ingannarsi moralmente, se è sincero. Al massimo si ammette la possibilità che questi commetta degli errori; ma tali errori non sono considerati che come errori di conoscenza, tutto sommato comprensibili; e la condotta morale che ne deriva non è più in se stessa motivo di biasimo. Essa è qualificata come inadeguata, o inappropriata. Lo spostamento del senso del concetto di autonomia della coscienza, si esprime così negli scivolamenti semantici del linguaggio dell’etica, ciò che impedisce sovente la formulazione di giudizi di valore sui comportamenti umani. A titolo illustrativo e per restare nel campo dell’autonomia,  Carlo Caffarra ha ben dimostrato quanto il fatto di parlare di decisione di coscienza in luogo del termine tradizionale di giudizio di coscienza contribuisce ad evacuare ogni possibilità di riferirsi a dei criteri di verità nel campo dell’agire.[16] La doppia posta in gioco dell’obiezione di coscienza Il dibattito interiore che prelude a ogni decisione morale poi, alla sua manifestazione visibile e pubblica, è unadeliberatio, un giudizio pratico che si riferisce a quello che si propone di fare (o, in ciò che concerne l’obiezione di coscienza, di non fare). Scegliere di non fare è comunque un atto morale, con un oggetto ben definito: obiettare, è compiere un’azione di rifiuto, in ragione di convinzioni sufficientemente importanti, le quali possano essere riferite alla

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coscienza personale.[17] Non si obietta di obbedire ad una legge positiva solamente per il motivo che questa legge non ci piace, o che si ha un’opinione diversa da quella del legislatore. Le leggi positive obbligano, quando esse provengono dall’autorità legittima alla quale sono sottomesse. Esse formano l’ordinamento legislativo che deve assicurare la giustizia tra i cittadini, regolare le loro relazioni e il concatenamento dei loro ruoli e delle loro funzioni, in tutti i campi della vita sociale: economia, educazione, sanità, cultura, informazione. Le leggi obbligano poiché esse sono supposte proteggere dei beni e dei diritti in una prospettiva, in principio, di custodia e di promozione del bene comune.I motivi di disobbedire a una legge positiva devono poter essere riferiti all’istanza della coscienza, nella quale entrano in gioco altre leggi invece che la legge positiva: esse si distinguono da quest’ultima in quanto non sono sottomesse a cambiamento come le legislazioni umane; si tratta di leggi immutabili e che impegnano la totalità della persona. Ecco qualche esempio che ci hanno lasciato gli antenati: a) La condanna a morte di Socrate    Ci si può porre la domanda di come la messa a morte del filosofo ha ben potuto essere l’opera del primo governo democratico della storia. Non è di poco conto vedere il contesto politico e culturale di questo processo poiché non mancano delle rassomiglianze con il contesto occidentale di questo inizio del XXI secolo. Atene esce stremata da una guerra che ha costato la vita di un quarto della sua popolazione (Guerra del Peloponneso); se due tentativi di rovesciamento del potere democratico sono falliti, i dibattiti intellettuali si trovano tuttavia animati dai paradossi dei sofisti. La loro arte, eredità del razionalismo ionico, consisteva nel rimettere in questione tutti i fondamenti della città, in particolare le divinità e le leggi. Insinuando il dubbio su tutto ciò che aveva contribuito alla gloria d’Atene nel secolo di Pericle, essi erano considerati come una minaccia. E’ giocando sul carattere originale di Socrate e l’impatto del suo insegnamento che i suoi accusatori giunsero a formulare contro di lui due capi d’accusa, corruzione della gioventù e fede in divinità che non erano quelle della città,  e a farlo condannare a morte al termine di un processo di cui è passata alla posterità l’ammirabile arringa del condannato.La morte fu votata da una maggioranza di 280 voci contro 221: già un consenso democratico per un’opera di morte! Nella sua difesa, il filosofo mette in avanti la rettitudine della sua propria coscienza e afferma di avere nella morte una sorte più invidiabile di coloro che lo condannano ingiustamente: Siate persuasi che se voi mi fate morire, a motivo di ciò che sto per dichiarare, voi vi farete più del male che non a me; in effetti, né Anitos, né Melitos mi faranno alcun male: essi non lo possono in quanto non credo che sia in potere di un misero nuocere a un uomo buono. I beni terrestri, e la vita salva non gli sembrano avere una dignità rassomigliante alla purezza della coscienza: Può essere che mi faranno condannare alla morte o all’esilio o alla perdita dei miei diritti di cittadino, e Anytos e gli altri prendono senza dubbio ciò come tre grandi mali, ma io non sono del loro avviso; a mio parere, il più grande di tutti i mali, è ciò che Anytos fa oggi, d’intraprendere di far perire un innocente.[18]Ci si può interrogare su ciò che rende, agli occhi di Socrate, la morte una sorte più invidiabile che non l’ingiustizia di condannare l’innocente. In questo caso, il sentimento religioso è congiunto alla convinzione morale e le dona tutta la sua prospettiva. Si tratta del giudizio degli déi, e di tutti coloro che ci hanno preceduto nell’Ade: poiché infine, se arrivando agli inferi, sfuggiti da coloro che si ritengono dei giudici, ci si trova i veri giudici, coloro che passano per renderci la giustizia, Minos, Rhadamanthe, Eaque, Triptolème e tutte le altre semi-divinità che sono stati giusti nel corso della loro vita, il viaggio sarebbe dunque così infelice? Quanto non si offrirebbe per

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intrattenersi con Orfeo, le Muse, Esiodo, Omero? Quanto a me, se ciò è vero, io voglio morire più volte.[19] b) Il faccia a faccia di Créonte e Antigone  Una simile unità tra le esigenze morali e i doveri religiosi si ritrova nel personaggio di Sofocle, Antigone. Il dramma oppone due volontà, quella di Antigone, che intende dare una sepoltura a suo fratello Polinice, e quella di Creonte, il re di Tebe che incarna dunque la legge positiva. Il contesto è quello di una guerra fratricida che oppone due suoi figli: Eteocle che si destina a regnare, e Polinice che, da lui esiliato, attacca la città. I due fratelli rimangono uccisi; il re decide di onorare il più giovane come un eroe e di rifiutarsi di dare sepoltura al maggiore. L’ordine diviene legge: si abbandona il corpo ai cani; chiunque tenterà di dargli sepoltura sarà condannato a morte. Antigone è sorpresa dalle guardie nel tentativo di ricoprire il corpo di suo fratello e condotta davanti a Creonte che, effettivamente, la fa imprigionare, attendendo di farla mettere a morte. E’ per l’intercessione del suo indovino, portatore di oscure profezie, poiché le divinità sono in collera per questa situazione, che Creonte si riprende, dà una sepoltura a Polinice, e vuole far liberare Antigone. I suoi rimorsi vengono troppo tardi: Antigone si è impiccata nella sua prigione. Emone, il figlio di Creonte e fidanzato di Antigone, mette fine ai suoi giorni: anche Euridice, moglie di Creonte e madre di Emone si suicida, quand’ella apprende della morte di suo figlio. Creonte ha così perduto tutto. Non gli resta che desiderare una morte liberatrice. Il dialogo tra Creonte e la sua donna merita attenzione. Dinanzi alla forza cieca e ingiusta della legge, ella si fa avvocato dei diritti dellaphusis, delle esigenze della natura, che esprimono la volontà degli déi.Il dialogo pone con grande chiarezza l’opposizione tra le due concezioni del dovere; in questo senso è di una lampante attualità. Creonte esprime un punto di vista che è quello di tutti i positivisti: Obbedire, obbedire, nelle piccole cose come nelle grandi cose, nel giusto e nell’ingiusto, sempre e dovunque, all’uomo che è al governo dello Stato. E’ l’anarchia che è il peggiore dei mali: essa distrugge le città e rovescia le case, mette in fuga e distrugge le armate in battaglia. Ma è l’obbedienza, l’obbedienza ai capi la sorgente della salvezza e della vittoria. Noi dobbiamo obbedire alle leggi, alle leggi scritte. Antigone, davanti al re, espone così il suo pensiero: Io non pensavo che i tuoi decreti avessero una forza tale che tu, che sei un uomo, fossi capace di rovesciare le leggi degli déi, quelle leggi non scritte e indistruttibili. Esse non risalgono solamente a oggi o a ieri, ma esse vivono da sempre, da sempre. Nessuno sa quand’esse sono apparse.L’antagonismo è totale: leggi divine contro leggi umane, decreti temporali e leggi non scritte, eterne. Notiamo che Antigone riferendosi agli déi, evoca anche il precetto di una legge di natura: non si può sotto alcun pretesto lasciare il corpo di un uomo senza sepoltura. La natura, qui, riflette la volontà di coloro ai quali è sottomessa, gli déi. L’obiezione di coscienza si congiunge naturalmente al dovere religioso, poiché quest’ultimo giustamente s’impone alla coscienza: è buono, è bene, è giusto obbedire agli dèi. Antigone mette in parallelo le sofferenze fisiche e le sofferenze morali che dona alla coscienza il fatto di disobbedire agli déi: subire la morte per me non è una sofferenza. Ce ne sarebbe stata una, al contrario, se io avessi tollerato che il corpo di un figlio di mia madre non avesse, dopo la sua morte, ottenuto una tomba.[20] c) Seneca o il carattere sacro del dovere di coscienza Malgrado le giustificazione del suicidio che si trova a Roma presso gli Stoici, azione condannata dagli spiriti anche diversi come Pitagora, Platone, Cicerone e Plotino, è presente la convinzione che gli uomini sono destinati a rispondere un giorno delle loro azioni dinanzi agli déi. Per Seneca, non c’è la possibilità per l’uomo di innalzarsi sopra il proprio destino senza Dio e senza di lui

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divenire veramente buono. La rivendicazione della coscienza ad agire bene entra nella prospettiva di dovere un giorno rendere conto alla divinità.[21] Noi abbiamo, ancora là, l’unità tra le due dimensioni, religiosa e morale, vale a dire l’esigenza di condurre una vita virtuosa sebbene costi. d) la testimonianza resa al Dio unico come motivo dell’obiezione di coscienza religiosa: i sette fratelli del Libro dei Maccabei In una prospettiva di primo acchito religiosa poiché essa si situa nell’atto cultuale per eccellenza, i sette fratelli del Libro dei Maccabei offrono l’esempio perfetto dell’obiezione di coscienza. Pur di essenza religiosa, il loro approccio è anche profondamente morale. Il loro rifiuto di mangiare delle carni sacrileghe offre loro l’occasione di offrire la testimonianza del martire. Ciascuno dei sette fratelli esprime prima di morire la sua sottomissione alle leggi della patria e la propria certezza di ricevere da Dio la ricompensa. Dio compirà ogni giustizia castigando gli empi persecutori. Osserviamo che nel loro caso, come in quello di Eleazaro che li ha preceduti nella morte, si trova anche la testimonianza al Dio unico come la esprime il più giovane dei fratelli accettando il supplizio: Anch’io come l’hanno già fatto i miei fratelli, io sacrifico il mio corpo e la mia vita per le leggi della nostra patria, supplicando Dio che si mostri piuttosto placato verso il nostro popolo.[22] Testimoniare Dio è un’esigenza della loro coscienza. E’ interessante vedere che, presso il vegliardo Eleazaro, è pure presente la preoccupazione di non dare un cattivo esempio ai giovani che potrebbero essere confusi, se egli fa finta di mangiare le carni sacrileghe, come si tenta di persuaderlo a fare. L’obiezione di coscienza include nettamente, in questo esempio, una responsabilità per gli altri. Ciò va aggiunto alla perfezione di voler guardarsi personalmente da ogni compromesso. e) la struttura della libertà dei credenti I cristiani si sono trovati, fin dall’inizio, in un equilibrio instabile in rapporto alla legge, ebraica e poi romana. La testimonianza è evidentemente, dapprima, di essenza religiosa, ciò che spiega lo scatenarsi delle persecuzioni. E’ grazie all’intervento di Gamaliele che gli Apostoli, che attorniano Pietro, scappano all’ira del Sinedrio che vuole metterli a morte. Il delitto è di avere disobbedito all’ordine di non insegnare più nel nome di Gesù. La risposta di Pietro comincia dando una regola assoluta di discernimento: Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, principio che accompagnerà tutti i battezzati dopo di lui; dopo, essa formula il kerigma, di cui, aggiunge l’apostolo, lui e i suoi compagni sono testimoni con lo Spirito Santo che Dio dona a coloro che si sottomettono a Lui. Queste parole riferite dagli Atti degli Apostoli fornirono la struttura di quella che viene chiamata dai cristiani l’obiezione di coscienza specifica che può condurre al martirio. Essa esprime la libertà del credente.[23] Gli elementi che ne costituiscono la struttura sono i seguenti:

1. le leggi divine hanno il primato;2. allorquando la legge umana contraddice categoricamente la legge divina i credenti

possono trovarsi nella situazione di disobbedire;3. la testimonianza è una trasmissione di una verità precisa su Dio[24]: insegnare nel nome

di Gesù;4. la testimonianza è resa possibile mediante la forza e l’aiuto dello Spirito Santo;5. il credente non può sfuggire: l’obiezione è un dovere di coscienza, proprio perché gli è

stato offerto il dono dello Spirito Santo. 

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f) non sacrificare agli idoli, non riconoscere i falsi déi: san Philea e san Cipriano D’ora in avanti, le testimonianze, rese dai preti cristiani nel martirio, comprenderanno tutte gli stessi elementi. Gli esempi abbondano: sotto la persecuzione di Diocleziano, nell’anno 304 san Philea è interrogato dal presidente del tribunale Culciano. Costui gli ordina di sacrificare agli déi.-                     Io non sacrifico, risponde Philea.-                     Tu agisci per scrupolo di coscienza?-                     Proprio a motivo di quella.-                     Perché dunque non osservi con lo stesso scrupolo di coscienza i doveri che riguardano i tuoi bambini e la tua sposa? Philea risponde:-                     Perché i doveri verso Dio sono più importanti che gli altri doveri. Testimoniare del vero Dio astenendosi dal culto agli idoli è ben un dovere di coscienza per Philea.[25]Il martirio di san Cipriano è ben conosciuto; si conosce meno che il vescovo di Cartagine fu costretto dapprima a soffrire l’esilio, in seguito ad una precedente comparizione dinanzi al tribunale. Nel corso di questo primo interrogatorio, il futuro martire associa al compimento della volontà di Dio la rettitudine di colui al quale Dio si è rivelato. Al Proconsole Paterno che gli domanda: persisti in questa volontà (di non sacrificare agli déi)? Cipriano risponde: La retta volontà che conosce Dio non può cambiare.Si è talvolta affermato, come lo farà Voltaire nel suo tempo, che queste persecuzioni provenivano in realtà dalla necessità per l’impero d’impedire che la diffusione della dottrina cristiana indebolisse l’unità dell’impero. Il filosofo aggiunge pure che questo non era un segno d’intolleranza. Noi ritroviamo qui un’illustrazione di ciò che dicevamo all’inizio a proposito del trascurare le vere questioni. Se i cristiani non avessero preteso una dottrina universale di salvezza, il loro culto avrebbe preso posto accanto ad altre religioni tollerate nell’impero. Perciò, sarebbe stato sufficiente riconoscere i riti romani, pur praticando la propria religione.Si tratta proprio di ciò che inaccettabile per i veri cristiani, e ciò che rifiutano chiaramente Cipriano e gli altri. Nell’interrogatorio precedente al suo esilio, Cipriano intende così formulare quello che si attende da lui:-                     I molto santi imperatori Valeriano e Gallieno  si sono degnati d’indirizzarmi una lettera nella quale essi hanno ordinato che tutti coloro che non praticano la religione romana ne riconoscano i riti. Che mi rispondi tu?-                     Io sono cristiano e vescovo, sostiene Cipriano, io non conosco alcun altro dio, se noi il Dio unico e vero, che ha creato il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che vi è contenuto.[26]Si osserva che la testimonianza dei martiri sulla quale la Chiesa dei primi secoli è stata fondata, permette di comprendere l’azione opposta di contro-testimonianza che rappresenta l’apostasia e il culto idolatrico agli déi romani. Notiamo che figuravano tra i lapsi, agli occhi dei cristiani, non solamente coloro che avevano abbandonato il Dio unico, ma anche coloro che avevano fatto finta di sacrificare agli déi dell’impero.L’atteggiamento di Cipriano pone una questione che è molto attuale e degna di una società ideologicamente tollerante. E’ esattamente l’oggetto della celebre controversia che oppose sant’Ambrogio a Simmaco: perché i cristiani non riconoscerebbero gli déi romani, dal momento che Roma accetta che essi pratichino la loro religione?[27] Voltaire non si è privato di dire nel suo Trattato della tolleranza, che ai suoi occhi, l’impero romano si è mostrato tollerante verso tutti e pure d’aggiungere che sono i cristiani che si sono mostrati intolleranti[28], non sostenendo gli déi della città. Dopo queste pagine, che non sono mai state oggetto, da parte degli storici e dei filosofi, di un esame critico serio, l’accusa fatta al cristianesimo di essere intollerante è stata continuamente ripresa fino ai nostri giorni. Secondo il pensiero del filosofo dei Lumi, i

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cristiani avrebbero potuto e dovuto tollerare gli déi romani. Si può estrapolare, senza forzare il tiro: essi allora non avrebbero turbato l’ordinamento tollerante della società dell’impero.Quantunque sia di carattere tendenzioso, una tale accusa mostra almeno che fin dal sorgere e dalla diffusione dei suoi ideali, la tolleranza ideologica ha visto di colpo nel cristianesimo un avversario da combattere. Come vedremo più avanti, questa constatazione non pregiudica altri aspetti positivi nella riflessione attorno al tema della tolleranza. Rimane vero che, se nella sua espressione eccessiva, è ben a riguardo del pensiero cristiano che l’ideologia tollerante riserverà i suoi attacchi più violenti. g) La lettera a Diogneto o la coerenza morale della fede cristiana. In ogni caso, la custodia fedele della dottrina e la limpida testimonianza dei martiri permettono ai cristiani di dare l’esempio coerente e credibile di una regola di vita escludente un certo numero di pratiche. La rettitudine morale e la rettitudine del volere sono indissolubilmente legate alla testimonianza resa al vero Dio. Qualcuno fra essi avanzerà delle obiezioni all’esercizio di certe attività (per esempio il portare le armi, come sarà il caso dell’apologista cristiano Lattanzio e di Tertulliano), ma tutti manifestano rispetto per le leggi della città, a meno che esse non contraddicano l’esigenza morale. Questa è la descrizione dei discepoli di Cristo che fa la lettera a Diogneto: i cristiani assolvono tutti i loro doveri di cittadini e tollerano tutte le cariche come gli stranieri. Si sposano come tutti, hanno dei bambini, ma non abbandonano mai i neonati. Essi dividono tutti lo stesso tavolo. Essi obbediscono alle leggi stabilite e il loro modo di vivere supera in perfezione le leggi [29]. h) la fedeltà alla Chiesa come contenuto dell’obiezione di coscienza del cristiano: Tommaso Moro I cristiani sanno ormai che possono essere costretti dalla pressione degli avvenimenti a scegliere la via diritta che li conduce a non rinnegare la loro fede. San Tommaso Moro costituisce senza dubbio il più eclatante esempio, agli inizi dei tempi moderni, di una obiezione di coscienza avanzata per dei motivi religiosi, e più specificatamente d’appartenenza ecclesiale: avendo abbandonato, come si sa, la sua sposa per sposare Anna Bolena, il re Enrico VIII si trovava nella necessità di fare dichiarare nullo il suo matrimonio sotto pena non solo di essere scomunicato, ma anche di affrontare dei problemi insolubili di successione. Quando Roma, interpellata da Caterina d’Aragona, rifiuta l’annullamento del suo matrimonio (23 marzo 1534), la legittimità della successione reale dei bambini che sarebbero nati dal matrimonio del re con Anna Bolena si trova immediatamente messa in questione. Il re reagisce facendo adottare dal suo parlamento una nuova legge sulla successione della Corona d’Inghilterra. Chiunque avrebbe rifiutato il contenuto sarebbe  stato dichiarato fellone. Ogni alto funzionario deve prestare giuramento: i membri dei comuni così come quelli della camera dei Lords. Solo il vescovo Fischer rifiuta di farlo, presso i Lords.Di fatto ci sono due giuramenti differenti: l’uno concernente la successione regale e si indirizzava ai laici; l’altro era destinato ai chierici ai quali si imponeva la soppressione di ogni autorità del papa in Inghilterra. Quando Moro sarà giudicato egli metterà avanti l’invalidità della legge di successione a motivo della legge naturale. Ma la questione della successione non fu la sola ad essere posta da Tommaso Moro. In effetti, quando gli si presenta il testo del giuramento, egli scopre che gli si poneva la condizione non solo di approvare la successione regale, ma anche l’autorità del re sulla Chiesa d’Inghilterra. Si sa dal suo genero Roper quanto fu aspro il combattimento interiore. Tommaso dovette in effetti resistere all’affetto dei suoi familiari, sino al momento in cui, a Lambeth, gli fu intimato di prestare giuramento. Ebbe il coraggio di contestare

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il carattere illegale del duplice giuramento che ci si aspettava da lui. Gli fu esplicitamente chiesto di preferire ai suoi dubbi e alla sua coscienza il suo dovere d’obbedienza verso il sovrano. Egli rispose che si trovava nel dovere di obbedire alla sua coscienza piuttosto che al suo re, ma che egli non si augurava di condannare nessuno. L’episcopato, in effetti, aveva già rinnegato il suo legame da Roma, ad eccezione di Fischer.Tommaso More fu allora imprigionato per contumacia. La fermezza di cui darà  prova sino alla fine è accompagnata da un sentimento molto acuto della sua propria debolezza, di modo che l’esempio che egli da di un’obiezione di coscienza profondamente cristiana nelle sue motivazioni, è in primo luogo l’espressione di un dono divino: Io non posso che sperare che non si farà ricorso a dei modi violenti di coercizione e che inoltre, se fosse il caso, Dio, con l’aiuto della sua grazia così come quello  delle motei preghiere della gente fedele, mi donerà la forza di rimanere fermo… poiché di questo io sono talmente certo, se mai prestassi giuramento agirei interamente contro la mia coscienza personale[30]. More dimostra che il diritto di obiettare ad una legge ingiusta non è il frutto di una decisione altezzosa di colui che si mette al di sopra della legge. Inoltre, la difficoltà, come nel suo preciso caso, ad esercitarlo per tappe, attesta che il martirio non è mai una scelta a priori: esso rappresenta il punto d’arrivo d’un processo desideroso di trovare, ad ogni stadio, una soluzione che salvaguardi il diritto della coscienza e, se è possibile, nello stesso tempo, il rispetto dell’autorità.Tommaso Moro non è un rivoluzionario. Il suo procedimento non è di natura politica. Tommaso Moro non si sottrae a nessuno degli obblighi che gli sono imposti: si reca a Lambeth, quando vi è convocato, testimonia rispetto e deferenza al suo sovrano, e non si sottrae a nessuno degli obblighi formali che gli sono richiesti, ad eccezione di ciò che giustamente fece oggetto dell’obiezione: il rigetto dell’autorità del papa. In nessun momento è contestata la legittimità del legislatore in quanto tale, l’obiezione verte solamente sull’oggetto della legge ritenuta ingiusta. Come per ogni obiettore di coscienza autentico, la sua passività, la sua docilità, a riguardo delle sanzioni che lo minacciano, impediscono di trattarlo come traditore e ribelle. Solo la sua impotenza assunta testimonia del suo attaccamento allo Stato, al quale riconosce l’autorità sovrana e il potere di legiferare[31].Il rifiuto di agire contro la propria coscienza si è naturalmente sviluppato nel corso dei secoli in un terreno cristiano; ha riguardato, come si è visto, diverse materie quali il porto d’armi, il rinnegamento della fede,  le leggi contro la Chiesa. Dietro il rifiuto di una legge o la disobbedienza ad un ordine immorale, è sempre presente una forza che, al di là della fermezza di una testimonianza personale, è subita e interpretata dalla testimonianza civile come una minaccia potenziale. Il rifiuto degli adolescenti martiri d’Uganda, per esempio, di piegarsi ai capricci immorali del re è stato interpretato e giudicato come un crimine di lesa maestà. La secolarizzazione dell’obiezione di coscienza: i tempi moderni. L’obiezione di coscienza si espone per natura alla ritorsione e alle sanzioni, a meno che sia codificata dalla legge. L’obiezione di coscienza dei tempi moderni si è secolarizzata e si è cristallizzata attorno a due temi precisi. Il primo è ilservizio militare, obbligo civile richiesto dalla maggior parte dei legislatori e che impone a tutti i giovani adulti un certo tempo di servizio nell’esercito; un tale servizio implica d’apprendere il maneggiamento delle armi dandosi il caso in cui il paese possa essere esposto ad un conflitto armato. Il rifiuto di questa eventualità da parte di questi che si chiamanoobiettori di coscienza ha dato luogo ad una codificazione che è stata il frutto di una lunga evoluzione dopo più di un secolo. Lo statuto dell’obiezione di coscienza, il contesto culturale e politico in Occidente nel quale questa azione è stata legittimata dalla legge,

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nonché l’oggetto di ciò che è diventato spesso una rivendicazione di natura politica, ci obbligano al confronto con la tradizione dell’obiezione di coscienza tradizionale.Il secondo campo d’applicazione è recente e tocca, dopo meno di cinquant’anni, la questione della pratica dell’aborto, depenalizzata e poi legalizzata. Il fatto che l’aborto procurato sia non solo tollerato ma anche riconosciuto come un diritto e una libertà individuale, crea una situazione totalmente inedita nella storia delle espressioni pubbliche delle esigenze della coscienza personale: è l’oggetto stesso di un diritto positivo che diviene l’oggetto di un’obiezione di coscienza.Esaminiamo queste due forme più recenti dell’obiezione di coscienza. a) Il servizio militare: I cristiani obiettori hanno attinto dalla Scrittura i fondamenti della loro posizione: espressione del quinto comandamento, insegnamento sull’amore ai nemici, ordine di Gesù a Pietro di rimettere la spada nel fodero (Gv 18,11); la prospettiva di fare un atto, versare il sangue, contro la propria coscienza li ha convinti d’incorrere nei rigori della giustizia divina il giorno del giudizio, secondo l’adagio di papa Gelasio nella sua lettera all’imperatore Anastasio: Quicquid fit contra conscientiam aedificat ad gehennam[32]. Tuttavia, il processo di rifiutare di portare le armi non è mai stata un’attitudine condivisa da tutte le coscienze cristiane. Con il regno di Costantino, sembra essersi affermato il carattere legittimo dell’esigenza dello Stato d’impiegare tutti i mezzi e quindi, le braccia dei soldati per la salvaguardia del bene comune. L’autorità del sovrano viene da Dio, e non c’è opposizione di principio tra i precetti evangelici e i doveri dei cittadini. La protezione del bene comune appartiene alla responsabilità di ogni cittadino, e il cristiano è, anche lui, un cittadino. In nessuna parte del vangelo si vede, per esempio, il Cristo rimproverare ai centurioni romani (pertanto degli occupanti) la natura del loro servizio. Si sa che solo una rilettura ideologica contemporanea dell’epoca costantiniana interpreta come un compromesso nei confronti dell’Impero il pensiero cristiano sul potere temporale, che a seguito di Sant’Ambrogio e di Sant’Agostino, inizia allora a sistematizzarsi. La riflessione medioevale s’applicherà a mostrare che esistono delle circostanze nelle quali la guerra, condotta da uno Stato sovrano, può essere ritenuta giusta[33].La protezione dei suoi soggetti e quella dell’integrità dei suoi limiti territoriali, in caso d’aggressione ingiusta, ne sono due illustrazioni.Nei fatti, il rifiuto di portare le armi, presso i cristiani, ha maggiormente riguardato, nei paesi anglosassoni, alcune correnti provenienti dalle Chiese della Riforma: Anabattisti, Mennoniti, Quaccheri.La dispensa dal servizio militare, concessa per motivi religiosi, è esistita nel XVI secolo in qualche regime europeo. Per esempio, i Mennoniti olandesi, poi, più tardi, quelli della Russia hanno beneficiato di una libertà di culto accompagnata da una dispensa dal dovere di servire nelle forze armate; tuttavia, questa concessione non era, a dirla schietta, dettata da motivi filosofici; essi s’inscrivevano nelle esenzioni abituali accordate, a titolo di privilegio, nei diversi campi giuridici, civile e religioso. Queste comunità gestivano il loro rito, i loro tribunali e i loro edifici scolastici. E’ così in favore dei Mennoniti che fu concesso e creato il primo servizio civile di sostituzione, in Russia, nel 1875: essi dovevano partecipare ai cantieri forestali. Il loro numero non superava mai il mille. È solo all’inizio del XX secolo che delle disposizioni in favore degli obiettori, furono stabilite nei diversi paesi, ma a condizione che la loro richiesta fosse presentata in maniera individuale. Citiamo la Svezia (1916), l’Australia (1903), l’Africa del Sud (1912), la Gran Bretagna (1916), il Canada, gli Stati Uniti e la Danimarca (1917), la Norvegia nel 1922, i Paesi Bassi (1923). Le persone interessate avevano la scelta tra un servizio militare non armato e un servizio civile.

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Molto rapidamente, una proporzione non trascurabile[34] di obiettori, rifiutò ogni impiego e scelse una opzione assolutista.Lo stesso fenomeno ha potuto essere osservato dappertutto. In certi paesi, il legislatore ha molto indugiato a prevedere uno statuto. Questo è il caso della Francia che ha atteso il 21 dicembre 1963 per votare uno statuto originale degli obiettori. Alcune ore prima, il rifiuto di fare il servizio militare era duramente sanzionato dalla legge e pene d’imprigionamento erano abitualmente inflitte. Il Paese dovrà affrontare la questione in ragione dello sviluppo rapido del movimento d’obiezione, favorito, fra gli altri, dai testimoni di Geova nel contesto difficile della guerra d’Algeria. La legge del 1963 era equivoca: da un lato essa riconosceva il diritto all’obiezione reclamata da una parte della popolazione (di fatto, molto minoritaria all’epoca) e risolveva la questione degli obiettori ancora imprigionati; dall’altro essa circondava questo diritto di condizioni amministrative così costringenti, che ne faceva un diritto vergognoso, se lo si può dire, per delle misure molto dissuasive (raddoppio del tempo del servizio civile in rapporto al servizio militare, interdizione di fare della pubblicità; inoltre, la domanda non era accettata se non veniva presentata molti mesi prima la data prevista per l’arruolamento. La soppressione del servizio militare obbligatorio, come conseguenza della professionalizzazione dell’esercito, ha reso in molti paesi la questione meno acuta. Essa si è spostata verso altri campi della vita sociale sempre maggiormente politicizzati.In realtà queste difficoltà a legiferare traducono il fatto che la secolarizzazione dell’obiezione di coscienza, alla fine del XIX secolo, ha trascinato una deriva del senso del processo. A dei casi evidenti di rifiuto autenticamente dettato da dei scrupoli di coscienza d’origine religiosa, si sono molto velocemente aggiunte delle motivazioni d’ordine filosofico e soprattutto politico. È un luogo comune dire che l’obiezione di coscienza ha trovato nell’antimilitarismo legato alla corrente anarchica[35] una matrice che contribuirà a fare un gioco d’azione politica. Il pacifismo duro, la teoria della non violenza, la disobbedienza civile hanno dato luogo, dopo qualche decennio, alla creazione in Occidente di una moltitudine di movimenti, d’associazioni e di pubblicazioni che hanno in comune la rivendicazione di un riconoscimento maggiormente esteso del diritto all’obiezione. Le esigenze della coscienza fanno talvolta posto alle convinzioni politiche e ideologiche e si trasformano semplicemente in opinioni. Oggi, la maggioranza degli obiettori si proclama non violenta e s’impegna in cause diventate punti focali della vita politica: lotte contro l’industria delle armi, contro l’energia nucleare, contro la mondializzazione. L’obiezione di coscienza è diventata una pura obiezione politica: non si tratta più di rigettare per motivi di coscienza una partecipazione personale a delle attività militari che imporrebbero il porto d’armi, ma di militare –peraltro talvolta non senza violenza- contro l’insieme di un sistema politico e economico in vigore nei paesi occidentali. Nei casi più estremi, il solo fatto che dei corpi costituiti, esercito, funzione pubblica, Chiesa, siano gerarchizzati, è sufficiente a farli considerare dei nemici da abbattere. L’opzione politica diviene allora come la parola di Cattelain, una opzione libertaria[36]. L’ambiguità dei concetti incontrati spiega le difficoltà incontrate dal legislatore a stabilire i criteri oggettivi dello statuto degli obiettori. Il rifiuto a fare il servizio miliare può essere basato sull'adesione a dei valori poco precisi ( non violenza, per esempio), o a delle opinioni filosofiche? Dove sarà il limite? Si sa che, in numerosi paesi, il legislatore aveva giudicato per non riconoscere che le obiezioni dettate dalle esigenze religiose. Questo fatto costituisce un paradosso, nella misura in cui, in ultimo ricorso, è la coscienza personale che dovrebbe dettare l’attitudine all’obiezione. Obbedire a delle prescrizioni religiose è anche un dovere morale, ma limitare il diritto a delle motivazioni religiose, ritornerebbe a escludere quelle che possono essere molto sinceramente motivate da ragioni morali. Questo detto, lo sviluppo delle ideologie illustrato prima e il dibattito che esse incontrano nei numerosi media, mostra quanto era necessaria la

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distinzione fra esigenze morali e semplici opinioni politiche, espressa all’inizio dal rigore della legge.Ciò permette di comprendere la vivacità dei dibattiti che hanno circondato la presa in considerazione della seconda forma moderna dell’obiezione di coscienza, relativa alle questioni immediatamente legate, nell’etica biomedica, ai problemi di rispetto della vita umana e alle diverse azioni sanitarie. b) lo sviluppo recente dell’obiezioni di coscienza in materia di sanità I dibattiti attuali in materia di obiezione di coscienza si sono dall’inizio cristallizzati attorno alla depenalizzazione e della legalizzazione dell’aborto, per estendersi ad un gran numero di questioni sollevate oggi in contesti molto diversi. Le problematiche affrontate sono numerose. Fra questi problemi che danno luogo all’obiezione, oltre l’aborto, si trovano la questione del rifiuto di certi pazienti di subire certe cure (il caso della trasfusione di sangue per i Testimoni di Geova, per esempio), il rifiuto di prestare il proprio concorso a degli atti d’eutanasia, la sterilizzazione, la partecipazione a degli atti d’esecuzione capitale, la ricerca che implica la distruzione degli embrioni, le tecniche di procreazione assistita, e di numerose altre questioni. Esse riguardano ogni pratica medico-chirurgica da una parte, e la ricerca biomedica dall’altra; come queste due ambiti costituiscono giustamente nel nostro congresso, l’oggetto di due studi specifici trattati peraltro, io non li affronto, nella prospettiva di questa relazione, che sotto l’angolo particolare di ciò che caratterizza questo tipo d’obiezione di coscienza:-dal punto di vista dell’autorità dello Stato, essa è una concessione fatta al cittadino, esattamente come lo era la licenza accordata all’obiettore di rifiutare di portare le armi. Notiamo che questo diritto di astenersi dal partecipare ad alcuni atti “medici” (in verità, "pseudomedici", trattandosi dell’aborto e di tutto ciò che minaccia la vita umana), o ad alcuni atti di ricerca che implicano manipolazioni giudicate dalla persona moralmente inaccettabili, si fonda sia su delle esigenze etiche (la tradizione ippocratica) sia su dei motivi religiosi. Spesso i due coincidono, peraltro, per le ragioni già illustrate a proposito della testimonianza dei martiri cristiani.- dal punto di vista del soggetto obiettore, questi nuovi campi d’applicazione comparati all’ambito dell’impegno militare, danno all’obiezione di coscienza, almeno tutte le volte in cui una vita umana è in gioco, una consistenza morale obiettivamente superiore: rifiutare di servire nel quadro delle forze armate del proprio paese è un motivo riconosciuto di obiezione di coscienza; tuttavia, nessuno può mettere in discussione sul piano morale il buon diritto di un paese ad adottare i mezzi proporzionati alla difesa del proprio territorio e alla protezione dei propri cittadini. Invece, il mettere in pericolo certo l’esistenza di un essere umano innocente mediante un atto deliberato non soltanto giustifica un’obiezione di coscienza, ma la impone assolutamente.Osserviamo che il diritto internazionale non disconosce l’esistenza di un tale dovere perché in certi casi esso ha potuto rimproverare a dei subordinati di avere, in un contesto di conflitto, eseguito degli ordini ai quali loro avrebbero dovuto disobbedire (partecipazione a dei crimini di guerra), anche quando questi atti erano compiuti sotto il falso pretesto di una ricerca scientifica; questo fu il caso del secondo processo di Norimberga intentato ai medici nazisti nel 1946-1947. In un’opera recente, Michel Schooyans nota, considerando il capo d’accusa pronunciato contro questi ultimi, che i giudici di Norimberga andarono più lontano dei moralisti cattolici di oggi[37].In effetti, il diritto canonico non considera che la materialità dell’atto, mentre il diritto militare,  come si è espresso a Norimberga, ha tenuto in conto anche l’intenzione per condannarlo.            Da queste osservazioni si evince l'esistenza di una catena di responsabilità nel male compiuto. Lo si riscontra in maniera particolarmente sviluppata nella questione dell’aborto: preparazione della legge, lobbying presso i media, opera del legislatore con diversi contributi di

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giuristi, partecipazione dei deputati che votano le leggi, impostazione delle condizioni materiali ( strutture ospedaliere, servizi sociali, prescrizioni “mediche”) che incoraggiano e orientano le persone, infine esecuzione dell’atto, con tutti gli aspetti di cooperazione immediata e mediata all’azione abortiva. Le leggi di depenalizzazione sono state un modo politicamente sottile di presentare all’opinione pubblica ciò che era già dettato da un’intenzione di legalizzazione pura e semplice: la Legge Weil del 1975 in Francia, in questo senso, non è stata che la prima di una lunga serie in Europa occidentale. Per negoziarla, conveniva presentarla mediante un termine tecnicamente neutro, moralmente asettico se lo si può dire (interruzione volontaria di gravidanza) e meglio ancora, dalle sole iniziali (IVG). Da qualche anno è anche utilizzato il termine IMG (interruzione medica di gravidanza) per designare l’aborto provocato nell’ambito delle cure mediche alla madre. La storia recente degli ultimi trent’anni non ha fatto che amplificare un movimento che è presentato come un diritto individuale (diritto della donna di disporre di se stessa) e ha stabilito anche le condizioni di un vero eugenismo, inscrivendo l’aborto chiamato "terapeutico" nelle procedure abituali di selezione di embrioni sani mediante l’eliminazione di embrioni portatori di patologie, per esempio nel contesto diagnostico prenatale.            L’obiezione di coscienza in questo contesto si pone a diversi livelli: quello delle professioni sanitarie e quello degli uomini politici. Prendiamo come esempio la legislazione francese.La legge in questo paese prevede un diritto alla obiezione di coscienza per le professioni sanitarie, ma restringendone talmente la possibilità d’esercizio, che ha di fatto stabilito un vero sistema di diritto all’aborto. Tutto si articola attorno alla distinzione tra istituzioni pubbliche e istituzioni private. Dal momento che l’obiezione non è riconosciuta alle istituzioni, ma alle persone soltanto, problema che viene d’altronde a porsi oggi in altri paesi, come in Argentina per esempio, tutte le istituzioni devono prevedere dei servizi in cui l’aborto possa essere praticato. I medici ostetrici che lavorano in queste istituzioni non possono rifiutare che siano praticati aborti nel loro reparto. Se, per caso, essi lo facessero, sarebbero invitati a lasciare la struttura pubblica. Nel settore privato, i medici non sono tenuti certamente a praticarlo. Tuttavia, essi devono indicare ai pazienti che lo desiderano una struttura alternativa, dove potranno ottenere l’interruzione di gravidanza. Rifiutare di indirizzarli costituirebbe motivo di gravi sanzioni, se il paziente decidesse di sporgere querela (per esempio invocando delle ragioni mediche: infezioni o altro).            Gli infermieri che sono stati destinati ad un servizio dove sono praticate le IVG, hanno senza dubbio la libertà di chiedere un cambio di reparto che è generalmente accordato, ma talvolta, non senza difficoltà.            Questo sistema solleva parecchie perplessità. La prima è che noi l’obiezione di coscienza è un diritto teorico, e non un diritto pratico. In quanto tale, esso non ha lo stesso statuto del diritto all’aborto: è infatti accompagnato da coercizioni e da condizioni d’applicazione tali, che il suo esercizio pubblico marginalizza colui che lo esercita e lo espone talvolta a delle sanzioni. Ciò che è vero per gli ostetrici del settore pubblico lo è a fortori per la professione dei farmacisti che non possono rifiutare di vendere dei prodotti reputati e registrati come contraccettivi, anche se, di fatto, sono dei prodotti abortivi. Si ritrovano così, nel campo dell’obiezione di coscienza sollevata contro l’aborto, le stesse limitazioni e disposizioni vincolanti che abbiamo indicato nel campo dell’obiezione sollevata contro l’attività militare.            La seconda osservazione è una implicazione di ciò che precede: i valori superiori che soli, in principio, giustificano che si obietti in coscienza a partecipare a un’azione giudicata moralmente inaccettabile, non sono considerati dall’autorità statale come veramente superiori, né allo stesso modo equiparati ai valori sui quali c'è consenso politico (come la libertà dell’individuo, la tolleranza).

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Terza osservazione: gli ostetrici e i ginecologi  non sono più in grado di esercitare il loro mestiere in condizioni serene. Si esporrebbero, infatti, a probabili sanzioni se, nell’ambito della diagnosi prenatale, commettessero un errore di valutazione, sottostimando l’infermità del feto e influendo così sulla decisione della madre di farlo nascere. Ma, qui, si nota l’incongruenza: quando, nel caso opposto, l’errore del medico provoca la morte del feto e la madre desidera la nascita del bambino, il medico non è perseguito[38].Il percorso della storia recente dell’aborto in Francia permette di comprendere come l’obiettore di coscienza venga sempre più marginalizzato, come accade in un numero sempre maggiore di paesi. Il fatto che dal 1982 (la Legge Roudy) gli aborti siano rimborsati dallo Stato, dimostra che l’atto dell’aborto non è più considerato un atto negativo, a dispetto delle vecchie intenzioni della prima legge del 1975, che mirava a dissuadere le madri dal compiere un tale atto. L’aborto procurato è diventato praticamente l’alternativa di una scelta iniqua, poiché non è oggetto di una disapprovazione maggiore di quella rivolta eventualmente alla decisione di mettere al mondo un figlio. Lo Stato stesso ne facilita le condizioni di realizzazione e il rimborso ne è simbolicamente la eclatante e triste espressione materiale.L’obiezione di coscienza è limitata anche nella scelta della sua azione. Analoga, di fatto, a ciò che avveniva prima del 1963 per le azioni contrarie al servizio militare, la legge sanziona certe azioni militanti perché considerate non rispettose della legge e intolleranti. Dopo il 1993, è stato addirittura istituito un nuovo reato: l'impedimento della IVG (il cosiddettoentrave à IVG). È, d’altronde, istruttivo il parallelo con il reato di renitenza alla leva nel campo militare: l’impedimento della IVG prevede pene detentive simili (da due a tre anni), ma la formulazione del reato sembra indicare che la IVG riguardi un bene sociale oggettivo, e non un male che lo Stato si asterrebbe dal sanzionare attraverso la depenalizzazione. La renitenza, invece, si incentrava soltanto su un aspetto soggettivo (l’azione di non sottomettersi all’obbligo militare). Si è capito: la IVG, nella cultura contemporanea, è diventata un bene non solo per le persone libere di praticarla, ma per la società stessa che la permette, la incoraggia, la promuove e la finanzia. Dal punto di vista storico, un tale approccio non fa che sviluppare sempre di più la pratica dell’aborto, banalizzandolo. Nel luglio del 2001, furono modificati i criteri d’accesso alla pratica abortiva e alcune delle nuove procedure possono essere definite, senza ingiustizia, come istigatrici: il termine legale viene esteso a dodici settimane, l’autorizzazione dei genitori non è più richiesta per i minori e viene soppresso anche l’obbligo del mantenimento per le donne adulte, fino ad allora in vigore. Il reato di impedimento è esteso alle pressioni morali e psicologiche. Per quanto attiene invece alla clausola di coscienza dei medici, essa è drasticamente ridimensionata e addirittura cancellata per i responsabili dei reparti ospedalieri. Nel 2004 viene firmato dal Ministro della Sanità (!) un decreto che autorizza l’aborto farmacologico a domicilio.Il caso dell’aborto è paradigmatico: l’ideologia che lo ha sostenuto e incoraggiato presentandolo come un diritto personale delle  donne incinte, ha privato la società di ogni possibilità di riflettere serenamente sulla questione fondamentale dello statuto dell’embrione, per timore che venga, giustamente, rimessa in discussione questa scelta legislativa. In questo modo, la società non è più in grado di far fronte eticamente alle sfide che presentano alcune pratiche medico-chirurgiche e le manipolazioni legate alla ricerca biomedica. Come, e in virtù di che cosa, essa potrebbe manifestare una riserva di principio riguardo a dei procedimenti che implicano la distruzione di parecchi embrioni, se non ha accettato di affrontare obiettivamente fino ad ora il problema legato alla pratica dell’aborto? La società ha tolto, da ogni riflessione futura su questi temi, i criteri essenziali che gli avrebbero permesso di affrontarli serenamente.Una tale azione politica ha un effetto immediato sulle possibilità che avranno in futuro i cittadini di esercitare un diritto all’obiezione di coscienza riguardo ai procedimenti scientifici che rappresentano una minaccia per la vita umana. Questa condizione politica rappresenta,

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nell’ambito del rispetto della vita umana, una limitazione immediata dell'esercizio del diritto all’obiezione di coscienza, poi, nel futuro, una sua soppressione. Già si manifesta una volontà giuridica di evolvere verso l’abolizione di questo diritto dell’uomo legato, in quanto tale, alle esigenze più fondamentali della coscienza morale dell’individuo. La ragione invocata è classica: l’obiezione esprime un modo di sfuggire alla legge, violando il principio di uguaglianza dinanzi ad essa.Ecco allora che si realizza la nostra tesi di partenza: una società tollerante non può tollerare che si eserciti in seno ad essa un diritto all’obiezione di coscienza poiché questa stessa società non è più nella posizione di accettarne, onorandoli, i valori superiori che si esprimono in essa. La società sceglie allora dei valori consensuali, alcuni dei quali, inevitabilmente, la conducono a morte. 

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[1] Erasmo, malgrado la sua rottura con Lutero di cui era stato amico e di cui deplorava l’azione sediziosa, s’impegnò pubblicamente affinché i metodi violenti fossero evitati nella lotta contro la Riforma. Egli preconizzava una sorta di compromesso politico che mirava a lasciare alle regioni la libertà di praticare la loro fede, nell’attesa che si realizzasse un accordo tra le diverse parti. E’ questo che valse a colui che divenne il miglior amico di Tommaso Moro, una reputazione di tolleranza. Presso Erasmo, la tolleranza era più una attitudine religiosa che il frutto di un relativismo, come lo si era a torto sovente interpretato.[2] Il Saggio sulla tolleranza (1667) costituisce la prima opera filosofica sul tema della tolleranza. Nel periodo segnato dalla crisi della Riforma, la posizione di Locke consiste essenzialmente nell’inviare spalla a spalla le parti che si affrontano dopo più di un secolo, per delle ragioni di pace civile che s’ispirano per lui all’insegnamento evangelico. In una seconda lettera sulla tolleranza, pubblicata nel 1686, il filosofo inglese scrive: “Dal momento che voi mi domandate qual è la mia opinione sulla tolleranza che le differenti sette di cristiani devono avere le une per le altre, io vi rispondo francamente che essa è, a mio avviso, il principale carattere della vera Chiesa. Le une hanno ben da vantarsi dell’antichità delle loro cariche, o del fasto del loro culto esteriore, le altre della riforma della loro disciplina e, in generale, dell’ortodossia della loro fede (poiché ciascuna si crede ortodossa); tutto questo dico io e mille altri privilegi di questa natura, sono piuttosto oggetti d’invidia per cui gli uomini dominano gli uni sugli altri, che non espressioni della Chiesa di Gesù Cristo. Qualche giusta pretesa che c’è a proposito di queste prerogative, se si manca di carità, di dolcezza e di benevolenza, ci si scosta fortemente a colpo sicuro dall’essere se stessi cristiani”. (J. LOCKE, Lettre sur la tolérance, trad. fçse de Jean Le Clerc, 1710, in édition numérique produite par J.M. Tremblay, Université du Québec, Chicoutimi 2002, p 7). Un passo importante è stato compiuto in rapporto a Erasmo : l’ortodossia non è concessa ad alcuna religione. Locke, come ogni tollerante teorico, si pone al di sopra delle parti e offre dei criteri per lui autentici della vera ortodossia: è veramente cristiano colui che è tollerante.[3] La tolleranza di Baruch Spinoza articola nel suo Tractatus teologico-politicus (1670) un approccio totalmente centrato sulla libertà individuale. In questo senso Spinosa è un grande ispiratore dei filosofi soggettivisti attuali, i quali molto si riferiscono a lui. L’idea è la seguente: gli Stati non devono costituirsi che sulla base della libertà degli individui; ciò fonda a sua volta il dovere fondamentale dello Stato di salvaguardarla. Nessuna considerazione religiosa deve intervenire poiché, in questa materia, prevale una totale libertà di coscienza. Il diritto di giudicare e di interpretare la religione appartiene a ciascuno, è un affare personale. Si può trovare in questa posizione un’origine filosofica del laicismo rigido che esiste oggi in certe democrazie occidentali (Francia, Spagna in particolare).[4] Pierre Bayle (1647-1706), calvinista francese, è considerato come uno dei teorici della tolleranza. La sua opera intitolata Commentaire philosophique sur ces paroles de Jésus-Christ: Contrains-les d'entrer, scatenò una polemica attorno all’idea di tolleranza. L’ugonotto Pierre Jurieu replicò mediante il suo Traité des deux souverains…contre la tolérance universelle (1687). Se Bayle è rimasto celebre, è in ragione del suo Dictionnaire historique  che difendeva la tesi totalmente relativista (o più esattamente scettica), secondo la quale gli uomini sono incapaci di pervenire ad una certezza assoluta. Da qui un appello alla tolleranza fondato sul primato della coscienza personale. Nel caso in cui questa dovesse diventare un pretesto per esercitare una persecuzione, essa dovrebbe sottomettersi alla ragione. Bayle accorda dunque alla ragione la capacità di giudicare tutta la sfera della Rivelazione. Il suo sistema sviluppa così un razionalismo estremo.[5] A partire dai Lumi, la tolleranza è stata inscritta nel cuore del messaggio diffuso in seno alle elites politiche ed economiche delle leggi massoniche. “La tolleranza nel XVII secolo è concepita

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come una conquista della libertà umana dinanzi ad un discorso religioso che pretenderebbe di legiferare sul bene e sul male. Per primo è preso di mira il cattolicesimo romano: la fede, approcciata in maniera negativa, è, agli occhi del massone come a quelli del filosofo dei Lumi, questo accecamento che permette a delle intelligenze sospette di aderire ingenuamente ad un certo numero di dati che la ragione non può impedirsi di rigettare…Così interpretata, la fede non può essere che il luogo di un settarismo e di un fanatismo di cui i sostenitori non provano alcun male nell’aver generato il terrore. Superiore ad essa appare allora questa virtù esemplare: la tolleranza” (N. EMONT, La Franc-Maçonnerie, Plon/Mame, Paris 1995, pp 231-232). [6] Ci si riferirà alla picola sintesi: La Révolution ou la mort, che forma il capitolo 9 dell’opera di J.SEVILLIA: Le terrorisme intellectuel, Perrin, Paris 2004 (2), pp 156-167. [7] Cfr. H. KAMEN, in L'éveil de la tolérance (trad. J. Carlander), Hachette, Paris 1967, 236-241.8 Cfr. P. THIERRY, in La tolérance. Société démocratique, opinions, vices et vertus, Puf, Paris 1997, 35-57. [9] Ibid., 38. [10] “ Noi viviamo sotto l’influenza di un terrorismo morale…una morale della comodità. Il pensiero unico, la morale unica sono tuttavia le più soventi reazioni di comodo. Un tempo ciò si chiamava conformismo…In un regime dispotico, il conformismo può andare verso la violenza. In democrazia, va sempre nel senso della moderazione. Il problema è che la moderazione può divenire dispotica. Tocqueville l’ha ben spiegato…C’è qualcosa di totalitario nel pensiero molle che ci governa”.(P. TESSON, in Un terrorisme intellectuel assez bienveillant. Propos recueillis par D. Lensel, in J.-M. Chardon et D. Lensel, éditeurs: La pensée unique. Le vrai procès, Economica, Paris 1998, 34-35. [11] E’ ciò che si è potuto osservare al momento della recente controversia su Téléthon, in Francia. In questi giorni, un vero dibattito, sereno e leale, sulla questione dell’etica dei mezzi utilizzati nella ricerca biomedica per avanzare nei trattamenti di certi malati (nel caso di Téléthon, la miopatia) non ha potuto aver luogo.[12] L’espressione pubblica della sensibilità di una cultura propria alle tradizioni di un paese non è più garantita nelle società occidentali, come l’hanno tristemente illustrato due piccoli incidenti recenti: a Londra, in dicembre 2006, è stato deciso di sopprimere nelle celebrazioni festive di fine anno, ogni menzione del Natale,  per non offendere le comunità d’immigrati; nel nord d’Italia, una maestra ha deciso di non far più cantare ai bambini i canti tradizionali del Natale, per lo stesso motivo: non offendere i bambini immigrati che frequentano questa scuola. Al di là dell’atto di violenza che consiste nel privare i cittadini di un paese dell’accesso legittimo alle loro tradizioni che sono parte del bene comune, si nasconde un’antropologia totalmente deficiente: essa misconosce l’importanza per il legame sociale di salvaguardare gli aspetti festivi che mettono insieme tutte le generazioni da secoli; inoltre, essa cela inconsciamente un profondo disprezzo delle popolazioni immigrate, pregiudicando che esse potrebbero, nel loro insieme, offendersi del fatto che si celebri una ricorrenza gioiosa nel paese che li accoglie.[13] CONC. OECUM. Vat. II, Cost. past. Gaudium et Spes 16. [14] "La coscienza erronea, che consente di vivere una vita più facile e indica una via più umana, sarebbe dunque la vera grazia, la via normale alla salvezza. La non verità, il restare lontani dalla verità, sarebbe per l'uomo meglio della verità." (J. RATZINGER, Coscienza e Verità, in La Chiesa. Una comunità sempre in cammino, Paoline, Cinisello Balsamo 1991, pp 113-137). [15] Notiamo che nell’articolo citato prima Ratzinger proponeva di sostituire al primo di questi termini, piuttosto oscuro e poco accessibile secondo lui, con anamnesi che ha il merito di essere più chiaro e più profondo, e anche di essere particolarmente adatto al linguaggio dell’antropologia biblica (ibid., pp 122 ss.).

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[16] CAFFARRA C., L'autonomia della coscienza e la sottomissione alla verità, in AA.VV, La coscienza, Conferenza Internazionale patrocinata dallo Wethersfield Institute di New York, Orvieto, 27-28 maggio 1994, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1996, pp 142-162. [17] RATZINGER J., art..cit.[18] PLATON, Apologie de Socrate, 30 c et 30 d.[19] Ibid., 41 a [20] SOPHOCLE, Antigone, II, Sc. 3, 462-470[21] SENEQUE, Ad Lucilius, IV, XII, 41. [22] 2 Mac 7, 37.[23] SCHOOYANS M., Le terrorisme à visage humain, F.X. de Guibert, Paria 2006, 112.[24] Vedere a questo riguardo le posizioni contrastanti di J. Assman e di J. Ratzinger, a proposito dell’affermazione del primo che l’intolleranza religiosa è databile ai tempi dell’Esodo, quando Mosè afferma l’esistenza del vero Dio, l’unico. Assman vede là l’origine dell’intolleranza etica, dal momento che Dio dà delle istruzioni agli uomini (Decalogo). Il secondo mostra che la questione della verità non è stat inventata da Mosè. Essa sorge immancabilmente quando la coscienza perviene ad una certa maturità (J. RATZINGER, Fede, Vertà, Tolleranza, Cantagalli 2003, pp 223-275) .[25] Martyre des saints Phileas et Philorome (in Actes des Martyrs, ed it.: Atti dei Martiri, Paoline, Milano 1985, 753). [26] Ibid., 467. [27] La controversia portava sulla questione di sapere se conveniva,  al di là della restaurazione dell’Autel della Vittoria, di ristabilire i culti pagani. Simmaco predica la tolleranza su questo punto, quando Ambrogio si mostra intrattabile, sulla base che un cristiano non può riconoscere déi falsi (S. AMBROISE, Lettres XVII et XVIII; SYMMAQUE, Relation III, in ed. it. La Maschera della tolleranza, Bur, Milano 2006).[28] “Cosa! I Romani avrebbero sofferto che l’infame Antinous fosse messo al rango di seconda divinità, ed essi avrebbero strappato, abbandonati alle bestie, tutti quelli ai quali non si sarebbe rimproverato che d’avere placidamente adorato un giusto! Cosa! Essi avrebbero riconosciuto un Dio supremo, un Dio sovrano, maestro di tutte le divinità secondarie, attestato dalla formula: optimus maximus; ed essi avrebbero ricercato quelli che adoravano un Dio unico!Non è credibile che mai ci sia stata un’inquisizione contro i cristiani sotto gli imperatori, vale a dire che sia venuti presso di loro ad interrogarli sulle loro credenze. Non si turbò mai su questo articolo né Giudeo, né Siriano, né Egiziano, né bardi, né druidi, né filosofi. I martiri furono dunque coloro che si elevarono contro i falsi déi. E’ una cosa molto giusta, molto pia da non crederci; ma, infine se, non contenti di adorare un Dio in spirito e verità, essi scoppiarono violentemente contro il culto ricevuto, quale assurdo possa essere, si è costretti a riconoscere che essi stessi erano intolleranti!”  (VOLTAIRE, inTraité sur la tolérance, Ed.Garnier-Flammarion, Paris 1989, chap. IX, pp 70-71). [29]Lettre à Diognetè, V, 6-10.[30]Citè par Ganne E.-M., Thomas More L’homme complet de la Renaissance, Nouvelle cité, coll. Historiques, Montrouge 2002, 216.[31]Cfr Broc M.- Pietra R., in L’objection de conscience, Esprit 10 (ottobre 1963), 375.[32]Gelasius PP:, Epistola VIII, Ad Anastasium imperatorem, PL LIX, col 42.[33] Estrapolando la nozione romana di guerra giusta (justum bellum), , nozione puramente formale nella misura in cui era ritenuta giusta la guerra dichiarata secondo riti previsti dai magistrati preposti a farlo, il pensiero cristiano con sant’Agostino e san Tommaso poi preciserà le condizione della guerra giusta : essa non può che essere dichiarata che dall’autorità competente,

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c’è bisogno di una giusta causa (esigenza della giustizia punitiva), ed infine una retta intenzione : la guerra non può avere altra finalità che il ristabilire la pace e la giustizia.[34]Secondo J.P. Cattelain, la scelta assolutista riguardò, a titolo d’esempio,  6261 obiettori su un totale di 15925 in Gran Bretagna per il periodo 1916-18. I dati statistici che noi offriamo sono tratti dalla sua opera storica sulla questione (J.P. CATTELAIN, L'objection de conscience, PUF, coll. Que sais-je?, Paris 1973, pp 50 ss). [35]Tutti i movimenti organizzati di obiettori di coscienza si riferiscono a delle figure storiche dell’anarchia, per la quale è inamissibile ogni rivendicazione da parte i uno stato.[36]Cfr. Cattelain J.P., in op. cit., p 76.[37]Schooyans M., Le terrorisme à visage humain, op. cit., pp 221 ss. L’autore aggiunge che i giudici hanno accolto l’idea della responsabilità inalienabile di coloro che istituzionalizzano il crimine. Hanno condannato l’organizzazione dell’egemonismo, di esperienze medicali immorali e crudeli, della morte in massa (ibid).[38] Cfr. Gènéthique 72 (Dicembre 2005)

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GERARD MEMETEAU CLAUSOLA DI COSCIENZA E ISTITUZIONI

Si tratta, dunque, di un diritto essenziale che, proprio perché tale, dovrebbe essere previsto e protetto dalla stessa legge civile. In tal senso, la possibilità di rifiutarsi di partecipare alla fase consultiva, preparatoria e esecutiva di simili atti contro la vita dovrebbe essere assicurata ai medici, agli operatori sanitari e ai responsabili delle istituzioni ospedaliere, delle cliniche e delle case di cura. Chi ricorre all'obiezione di coscienza deve essere salvaguardato non solo da sanzioni penali, ma anche da qualsiasi danno subito sul piano legale, disciplinare, economico e professionale.Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, 74(cf. Veritatis Splendor, 6 agosto 1993, 56) E' difficile impresa poter conservare l'onore solo contro la legge e accettando di diventare sospetto.

Jean GuéhennoJournal des années noires (prefazione) La clausola cosiddetta di coscienza si configura in una facoltà di rifiuto di prestazioni, in linea di massima professionali, ma può essere applicata anche in ambito privato (es.: nel matrimonio, la condizione di educazione dei futuri figli in una determinata religione ; vedere Diritto Canonico 1125-1°), forse in modo marginale. Tali rifiuti sono previsti, se non sanzionati, dal diritto positivo, in particolare quello penale o quello amministrativo, che proscrive i rifiuti di vendita o di prestazione di servizi a un consumatore, o discriminatori, gli accordi illeciti, alcune clausole di non-concorrenza… Possono essere qualificati come clausole di coscienza? Se la loro motivazione è economica, certamente no. Si tratta di una dinamica affaristica. Se è una motivazione razziale, etica, politica, sessuale, ecc., nei termini ad esempio dell'articolo 225-1 del Codice penale (francese), non sembra esserci un movimento positivo della coscienza, al contrario, ma alcuni casi sono al limite della qualificazione. È il caso del rifiuto in ragione dell'appartenenza a una «religione determinata», motivato da ciò che il soggetto considera un imperativo della propria religione. Si potrà rispondere che si tratta di una religione di esclusione, ma, che ne sia o meno cosciente, l'interessato adotterà la sua posizione secondo la propria coscienza. È la motivazione del rifiuto che gli conferisce la qualifica di esercizio di una clausola di coscienza. Colui che rifiuta invoca valori superiori a quelli del suo interlocutore o di un gruppo. Il conflitto di valori è tale da suscitare una ribellione contro un atto sollecitato, se non comandato, in quanto conforme ai valori del gruppo o del cocontraente, oppure previsto dal diritto positivo. Non vi è clausola di coscienza se non vi sono valori in causa, nonché un conflitto poiché, se non vi è conflitto, la persona continua ad agire in un quadro legale e sociale che la lascia libera di protestare; molto semplicemente, essa esercita un diritto. È anche necessaria una situazione di possibile rifiuto, il che presuppone preventivamente una richiesta o un ordine. Una situazione «neutra» aprirebbe al soggetto solo una contestazione teorica, dottrinale, forse dissimulata in un ambito totalitario, un atto di resistenza ma non una clausola di coscienza in senso stretto. 

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Dopo queste premesse, aggiungiamo che il termine «clausola» non deve essere preso in senso contrattuale. La  «clausola» di coscienza non è necessariamente la stipula di un contratto. Al contrario. Il fatto stesso di figurare in una convenzione ne elimina la difficoltà. La parola dipende piuttosto dall'antifrasi poiché detta clausola partecipa all'opposizione e non all'accordo contrattuale. Essa è, che vi sia relazione contrattuale o meno, una rivendicazione di opposizione. «Clausola» è una facilitazione usuale di linguaggio (v. l'eccellente tesi della sig.ra Laszlo-Fenouillet: La conscience, LGDJ, ed. 1993, prefazione di G. Cornu). A questo primo stadio della presentazione, si intuisce che vi è ricerca, rivendicazione, di una ribellione, il che lascia intravedere un aspetto negativo di tale comportamento. In primo luogo, non può esistere un rischio di destabilizzazione del corpo sociale in nome di valori - forse diversi - individuali? Inoltre, la clausola non può essere uno strumento di anarchia («È vietato vietare») che trascina il gruppo verso mali peggiori di quelli enunciati in nome del diritto naturale? Il suo studio, se non la sua difesa, non può eludere il criterio di proporzionalità nella sua messa in opera, affinché essa resti orientata al Bene comune (San Tommaso d'Aquino, Somma teologica, Parte II, sez. 1, questione 96), la cui misura verrà dalla virtù di Prudenza. Occorre evitare non solo il disordine che, secondo Goethe - implicitamente - produce molteplici ingiustizie, ma anche una deriva verso il riconoscimento della potenza (L. Labrusse-Riou, Conflits de conscience, inEthique et soins hospitaliers, AP-HP ed. 2001, p. 88). Infine, se vi è ribellione, questa si manifesta contro una prescrizione. Il soggetto che protesta con la parola o lo scritto contro un ordine o una legge iniqui quando non gli sia ancora stato ingiunto di cooperare alla loro applicazione, per essere esatti non si avvale di una clausola di coscienza anche se esercita una libertà - a volte temperata e pericolosa - di espressione e di critica. La clausola si espliciterà solo se egli verrà messo in guardia contro le sue manifestazioni, se gli verrà ordinato o consigliato di mettervi fine o di temperarle. Quindi, la cosiddetta clausola «di coscienza» del giornalista giudiziario francese è impropriamente qualificata… Vi sono dunque situazioni di resistenza vicine alla clausola di coscienza, ma che, in senso stretto, non le sono assimilabili appieno. In ogni caso, detta clausola presuppone che un'istituzione imponga i suoi (contro) valori all'individuo protestatario. Tale fenomeno istituzionale delimita il campo di applicazione della clausola: una disputa di «Dottori gravi» altro non è che una controversia dottrinale. Si vede quindi in un primo tempo quella clausola, ma dimenticando che la stessa istituzione può rivendicare la propria libertà di fronte a un ordine globale che la priva dei suoi valori. Ed è a ciò che vorremmo collegare - e limitare - la nostra riflessione (sulla clausola dell'individuo, ci permettiamo di rinviare a: Bioética y objeción de conciencia, in Vivir y morir con dignidad, temas fundamentales de Bioética en una sociedad plural, EUNSA ed. 2002, prefazione di A-M González, p. 131, e rif.). Nel campo della vita, che certamente include l'ambiente, il diritto veterinario troppo spesso trascurato (malgrado C. Halpern, B. Pitcho: Le droit vétérinaire, Eska ed. 2006), il diritto alimentare, il diritto urbanistico, ecc., utilizzare la parola «istituzioni» rinvia, istintivamente, alle istituzioni sanitarie, in particolare alla strutture sanitarie pubbliche e private. Il che può rinviare anche allo Stato, prima istituzione nel cui seno agiscono le altre, ma esso stesso soggetto a vincoli di unioni o di federazioni.  I - LE ISTITUZIONI SANITARIE Le loro forme giuridiche variano a seconda dei sistemi sanitari, ma anche dei mezzi materiali. Non si tratta in questa sede di presentare un diritto comparato di tali istituzioni. Più semplicemente, e partendo dal sistema che conosciamo meno male, proviamo a cogliere delle idee-guida che potrebbero essere, mettendo da parte ogni particolarismo, delle idee comuni. 

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A-    Principi fondanti variabili 1)      I principi pubblicati Gli ospedali pubblici istituiti dallo Stato o emananti dalle collettività territoriali, gestiti con fondi pubblici e che impiegano pubblici agenti (medici compresi), hanno la vocazione di accogliere tutti i pazienti, senza distinzioni di opinioni e di credenze. È questa una caratteristica del servizio pubblico. Anche se, in Francia, la legge impone loro una riflessione sulle questioni etiche poste dall'accoglienza e dalla presa in carico medica (art. L. 6111-1 C servizio sanitario pubblico), il che non rappresenta una riflessione sull'etica medica né sui valori del sistema sanitario, e se, in altri paesi, la legge richiede loro di istituire dei comitati etici (nella maggior parte dei casi di tipo clinico), essi hanno il dovere di ostentare una neutralità etica, controparte di quella accoglienza di un pubblico di cittadini - o di stranieri - dalle convinzioni variabili. Non che non siano confrontati a delle richieste di pazienti, lo abbiamo constatato per i casi di malate musulmane di stretta osservanza. Non è neanche vero che le credenze dei pazienti non vi vengano rispettate; anzi, tutte le credenze vengono trattate, protette e regolamentate, anche nell'atto della loro espressione. La Carta dei diritti del malato, nella sua ultima versione (circolare DHOS/E1, 2006/90, 2 marzo 2006), è testimone del principio di rispetto ma anche del principio di neutralità:«La struttura sanitaria deve rispettare le credenze e le convinzioni delle persone ricoverate. Nelle strutture sanitarie pubbliche, ogni persona deve poter partecipare all'esercizio del suo culto (raccoglimento, presenza di un ministro del culto della sua religione, cibo, libertà di azione e di espressione, riti funerari…).«Tuttavia, l'espressione delle convinzioni religiose non deve interferire né con il funzionamento del servizio, né con la qualità delle cure, né con le regole di igiene, né con la tranquillità delle altre persone ricoverate e dei loro familiari.«È vietata ogni forma di proselitismo, sia da parte delle persone ricoverate, che dei visitatori, dei membri del personale o dei volontari». Tali strutture pubbliche, tuttavia, funzionano nel rispetto dei principi fondamentali del sistema sanitario considerato nel suo insieme, comprendente il rispetto della dignità del malato (art. L. 1110-2 C servizio sanitario pubblico) e il divieto di discriminazioni (art. L. 1110-3 C servizio sanitario pubblico). Ciò detto, il soggetto non si aspetta dall'ospedale pubblico il rispetto di valori particolari, oltre ai principi fondamentali della deontologia e del diritto medico, il che, d'altronde, può condurre molto lontano e suggerire una dialettica di protezione dei diritti dei pazienti e di rivendicazione dei mezzi per assicurare tale protezione, e la clausola dell'istituzione si profila all'orizzonte se delle norme del diritto obbiettivo vi mettono ostacolo, ad esempio con la restrizione dei principi delle libertà di prescrizione, della libera scelta, del segreto… Inoltre, la neutralità del servizio pubblico di per sé garantisce alla persona che le sue convinzioni non verranno offese, se esse non sono contrarie all'ordine pubblico. Gli ospedali privati non sono tenuti a tale neutralità. In effetti, se molti non manifestano nessuna etica particolare, nessuna orientazione filosofica o religiosa, e sono «semplicemente» delle imprese commerciali riunite o meno in «catene», con una clientela che sottoscrive un contratto sanitario «globale» o «disgiunto», e funzionano secondo una preoccupazione principale e legittima di guadagno, altri si presentano con un orientamento aprioristicamente preciso. Si tratta, quale che sia il loro statuto giuridico, delle istituzioni religiose: nel caso della Francia cristiane e spesso cattoliche, ma possono essere anche ebraiche o musulmane (non disponiamo

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di dati su questi ultimi casi). La denominazione sembra precisa, o almeno priva di ambiguità, e offre al paziente che deve effettuare la sua scelta una prima informazione: si tratta di una clinica ebraica o cattolica, e questo è il suo modo di presentarsi! Se così ci si può esprimere, questo «fatto religioso» di cui parlava P. Coulombel diventa uno strumento di annuncio, diciamo pure la parola: di pubblicità, al pari dell'annuncio di offerta di cure e di servizi specialistici (cass. Civ. I, 14 ott. 1997, Dalloz 1999, somm. 391, oss. J. Penneau; RDSS 1998, p. 336) e costituisce un elemento determinante per la stipula di quel contratto sanitario da parte del malato se esso appartiene alla confessione annunciata. L'affermazione di essere una struttura cattolica entra, secondo l'espressione di J.-L. Aubert, «nel campo contrattuale». È lo stesso caso dell'annuncio di una istituto di insegnamento privato quando è definito confessionale: i clienti (i genitori degli allievi) si aspettano una pedagogia conforme ai precetti della Chiesa e non un indifferentismo e una vacuità catechetica, un abisso tra ciò che viene annunciato e ciò che invece si insegna. L'annuncio può costituire una pubblicità menzognera, dato che il pubblico che sceglie una determinata clinica per un motivo confessionale non è più un «consumatore medio» compreso in astratto, ma un consumatore particolare la cui fiducia è rivolta a un elemento essenziale del contratto, il cui apprezzamento ha basi concrete (v. in Lamy, Droit économique 2004, n. 3117, 3118). Vi è inganno su un elemento della prestazione offerta; l'utente-consumatore crede legittimamente che gli verranno fornite solo prestazioni mediche conformi alle esigenze del Magistero, esigenze che si presume non possano essere ignorate né dalla direzione né dai medici della clinica. Se così non è e se, ad esempio, la clinica permette, al suo interno, la pratica di aborti, ricerche sull'embrione, PMA, il cliente, anche se non coinvolto in tali attività, sarà stato ingannato e potrà interrogarsi sulla vera etica della casa di cura. Senza arrivare a perseguire il reato di inganno, il che configura un'azione penale, esso può optare per la nullità del contratto per dolo (lasciamo per ora da parte l'utilità pratica di una tale scelta strategica, salvo a riprenderla nel dibattito) poiché l'inganno assume aspetti civili, o semplicemente per errore sulla persona se si vuole benevolmente pensare che i dirigenti non erano consci di tale menzogna. In effetti, il contratto con la clinica è pieno di intuitus firmae (anche se, G. Kostic: L'intuitus personae dans les contrats de droit privé, tesi Diritto Parigi V, 14 ott. 1997, n. 239), e l'errore sui riferimenti (religiosi) di quell'interlocutore contrattuale comporta tale nullità relativa. Certamente, la denuncia per pubblicità ingannevole e l'annullamento del contratto di ricovero sono un'ipotesi di scuola, ma si può vedere che il diritto amministrativo induce la clinica confessionale ad una coerenza su cui essa potrà più solidamente fondare la rivendicazione della sua clausola di coscienza nei confronti di terzi. 2)      Il margine di libertà Il dovere di manifestare una coerenza tra i principi ragionati e l'azione della struttura sanitaria beneficia, in cambio, della libertà di testimoniare tale coerenza, anche se i supporti che abbiamo scoperto sono dottrinali solo in minima parte. Se si guarda in primo luogo al caso dell'istituto in quanto tale, prima di prendere in considerazione il caso individuale dei suoi attori, occorre considerare che, nel diritto francese, alcuni atti sono riservati a cliniche autorizzate (es. ricerche biomediche, art. L. 1121-3 C. sanità pubblica; PMA, art. L. 2142-1 C. sanità pubblica ; diagnostica prenatale, art. 2131-1 C. sanità pubblica). L'aborto può essere praticato, da un medico, solo in una struttura sanitaria o nel quadro di una convenzione tra il medico stesso e una determinata struttura, il che consente la venuta di un medico esterno alla struttura sia per rispettare il principio della libera scelta che per far fronte al problema di un ipotetico rifiuto di tutto il personale della clinica (art. L. 2212-2 C. sanità pubblica). Ma tutti gli ospedali pubblici che dispongono di reparti di chirurgia o di

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maternità sono in obbligo dotarsi di mezzi ad hoc (Decreto del 27 sett. 1982, Gazzetta Ufficiale 29 settembre 1982, p.   ). Il fatto è che l'aborto viene presentato come un servizio pubblico sanitario che non può essere interrotto (Circolare DGS, 22 giugno 1991; circolare del Ministero del Lavoro, 17 nov. 1999; Sig.ra Guigou, Ass. Naz. 29 nov. 2000, CR Analitica, 3ª seduta, p. 6). Se c'è un servizio pubblico, esiste una necessità pubblica, e quindi il dovere di rispondervi, e di conseguenza il divieto di opporvisi. Si può così constatare nella legge un abile equilibrio. Da una parte la struttura privata può rifiutare la pratica di aborti nelle sue mura. Dall'altra, se questa ha richiesto di partecipare all'esecuzione del servizio pubblico o ha stipulato un contratto di concessione di detto servizio, essa può esprimere la sua opposizione «solo se altre strutture sono in grado di soddisfare le necessità locali» (art. L. 2212-8 C. sanità pubblica). Non si sarebbe potuto scrivere meglio, anche se la parola «necessità» è presente con frequenza nel diritto sanitario, che il legislatore intende in modo prioritario soddisfare quest'ultimo, che è una «necessità» poiché risponde all'esercizio di un diritto della donna, o: delle donne. Dalla legge eccezionale del 17 gennaio 1975 si è passati, con la legge del 4 luglio 2001, a una legge di promozione e di rivendicazione, come lo provano i lavori preparatori a questa legge. È da notare che, all'inizio del 1985, la Signora Ministro degli affari sociali rispondeva che «l'aborto rimane un reato contro il rispetto della vita, salvo in due casi fondati sullo stato di necessità» (risposta, Gazzetta Ufficiale Ass. Naz. 28 genn. 1985, p. 346, n. 57606). Nel 1987, essa ribadiva: «Questa legge è stata concepita per delle situazioni di difficoltà. Non tornerò su ciò che abbiamo detto in merito» (Gazzetta Ufficiale Senato, 10 ott. 1987, p. 3099). Di conseguenza, il rifiuto della struttura è forzatamente limitato, mentre la sua cattolicità dichiarata glielo impone come dovere. Non ricorderemo in questa sede ciò che tutti conoscono e cioè l'insegnamento del Magistero sull'aborto. Per limitarci al nostro soggetto, citeremo dei testi precisi. Nella sua lettera ai medici del 20 novembre 1986, S. Em. Rev.ma il Cardinale Lustigier scriveva (v. in L'Homme nouveau, n. 913, 7 dicembre 1986):«Le strutture ospedaliere e le cliniche cattoliche devono quindi essere in prima fila nella lotta per il rispetto della vita umana. In uno spirito di grande rigore, nessun gesto deliberato di morte deve essere compiuto nelle strutture cattoliche. Nelle pratiche, non deve essere introdotta alcuna facilitazione abituale, anche se esistono situazioni in cui la coscienza è tentata di venire meno.«Questa alta esigenza può apparire pesante, in alcuni casi insopportabile. Tuttavia, vi ricordo che dovete assegnargli un posto centrale nella vostra coscienza, così come nelle regole deontologiche che siete chiamati a rispettare nelle strutture cattoliche di cui condividete le responsabilità. Essa costituisce una condizione morale della verità del vostro atteggiamento di fronte all'umanità e di fronte a Dio, nonché una condizione necessaria della vostra testimonianza comune di medici cristiani». Nella Evangelium Vitæ, il Papa Giovanni Paolo II conferiva a questa richiesta un valore universale, prima di richiamarsi all'esercizio dell'obbiezione di coscienza di fronte all'aborto procurato e all'eutanasia (n. 89): N. 73 - «L'aborto e l'eutanasia sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza» (ecc.). N. 74 - «Per illuminare questa difficile questione morale occorre richiamare i principi generali sulla cooperazione ad azioni cattive. I cristiani, come tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati, per un grave dovere di coscienza, a non prestare la loro collaborazione formale a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio. Infatti, dal punto di vista morale, non è mai lecito cooperare formalmente al male. Tale cooperazione si verifica quando l'azione compiuta, o per la sua stessa natura o per la configurazione che essa

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viene assumendo in un concreto contesto, si qualifica come partecipazione diretta ad un atto contro la vita umana innocente o come condivisione dell'intenzione immorale dell'agente principale. Questa cooperazione non può mai essere giustificata né invocando il rispetto della libertà altrui, né facendo leva sul fatto che la legge civile la prevede e la richiede: per gli atti che ciascuno personalmente compie esiste, infatti, una responsabilità morale a cui nessuno può mai sottrarsi e sulla quale ciascuno sarà giudicato da Dio stesso» (cf. Rm 2, 6, 14, 12). N. 82 - «Una speciale attenzione dobbiamo porre perché nelle facoltà teologiche, nei seminari e nelle diverse istituzioni cattoliche venga diffusa, illustrata e approfondita la conoscenza della sana dottrina. L'esortazione di Paolo risuoni per tutti i teologi, per i pastori e per quanti svolgono compiti di insegnamento, catechesi e formazione delle coscienze: consapevoli del ruolo ad essi spettante, non si assumano mai la grave responsabilità di tradire la verità e la loro stessa missione esponendo idee personali contrarie al Vangelo della vita quale il Magistero fedelmente ripropone e interpreta». In realtà, spiega Giovanni Paolo II, disobbedire a quelle leggi civili non significa disobbedire, poiché quei testi sono illegittimi, sprovvisti di qualsiasi forza vincolante. Si tratta di leggi ingiuste (San Tommaso d'Aquino, Somma teologica, Parte II, sez. 1, questione 96). Il 22 febbraio 1987, l'Istruzione Donum Vitae, firmata dal Cardinale Ratzinger, richiedeva il riconoscimento della clausola di coscienza di fronte alla «leggi civili moralmente inaccettabili» (Ed. Città del Vaticano, p. 38; Donum Vitae, Istruzione e commenti, Lib. Ed. Vat. 1990). Nel frattempo, il 6 agosto 1993, la Veritatis Splendoresprimeva un insegnamento privo di ambiguità (con riferimento ai can. 803 et 808), n. 116: «Una particolare responsabilità si impone ai Vescovi per quanto riguarda le istituzioni cattoliche. Si tratti di organismi per la pastorale familiare o sociale, oppure di istituzioni dedicate all'insegnamento o alle cure sanitarie, i Vescovi possono erigere e riconoscere queste strutture e delegare loro alcune responsabilità; tuttavia non sono esonerati dai loro propri obblighi. Spetta loro, in comunione con la Santa Sede, il compito di riconoscere, o di ritirare in casi di grave incoerenza, l'appellativo di "cattolico" a scuole, università, cliniche e servizi socio-sanitari, che si richiamano alla Chiesa». La Chiesa, al pari di una «autorità morale» laica, non ha certamente il potere di mettere fine in pratica ai comportamenti in questione. D'altra parte, essa conserva la facoltà di far conoscere l'incoerenza dei comportamenti delle cliniche interessate, che non sono poche. Allo stato attuale del diritto (francese), la struttura recupererebbe la sua libertà solo rinunciando a far parte del servizio sanitario pubblico, il che comporterebbe non poche restrizioni. Da parte loro, i dirigenti degli ospedali non sono tenuti ad osservare la legge, anche se, in occasione della stesura della sua prima versione, la loro sorte sembrava fissata. La clausola di coscienza sembrava espressamente prevista in loro favore (cf. Mézard, Gazzetta Ufficiale del Senato 14 dicembre 1974, p. 2859; Sig.ra Veil, Gazzetta Ufficiale del Senato 15 dicembre 1974, p. 2949), ma è stata abbandonata per un imprecisato «motivo redazionale», sul quale però il Sig. Ministro Jean Foyer potrebbe forse fornire un chiarimento. In definitiva, solo i professionisti della sanità, a titolo individuale, conservano il diritto di tirarsi indietro (art. L. 2212-8 C sanità pubblica), senza poter peraltro opporsi, secondo il Consiglio di Stato, alla creazione di un servizio autonomo di IVG, il che naturalmente non corrisponde a una clausola istituzionale. Non sarà privo di interesse conoscere come vengono regolati certi conflitti: in una clinica privata, un anestesista invoca la sua clausola di coscienza, il che impedisce di fatto ad un collega ginecologo-ostetrico di praticare degli aborti. Quest'ultimo viene indennizzato dalla clinica, che non ha messo a sua disposizione i mezzi per tali pratiche (Corte d'Appello di Poitiers, 23 novembre 2004, Rev. Gen. Dir. Med. 20/2006, p 358). Ecco quindi una tecnica per aggirare la clausola che è testimonianza, da una parte, di un'assenza di riflessione sul Diritto naturale in questo dossier, e

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d'altra parte del carattere risolutamente individuale del diritto di riserva. È vero che il ginecologo-ostetrico non avrebbe potuto citare la clinica se questa avesse fatto valere la propria clausola. Infine, non si può ignorare la situazione di un'importante istituzione di sanità e cioè l'Ordine dei medici. Quando questa istanza prepara il Codice deontologico, esse deve attenersi alle disposizioni legislative in vigore, poiché il Codice è solo un decreto (oggi incluso nella parte regolamentare del Codice di sanità pubblica). Ciò non gli impedisce di pubblicare le proprie opinioni. È notorio che, in occasione della preparazione della legge del 17 gennaio 1975, il Consiglio nazionale dell'Ordine dei medici, in Francia, prese posizione contro il progetto. Tale posizione è stata oggetto di rimprovero quando, nell'autunno 1978, furono depositate due proposte di legge per la soppressione dell'Ordine e quando si moltiplicò il fenomeno del rifiuto di pagamento delle quote associative. La sanzione voleva essere pesante nei confronti di chi non aveva voluto condividere il pensiero unico: doveva sparire. I comitati di etica, istituzioni dell'ambiente bio-medico, sarebbero stati più riservati? Senza volere riprendere qui la loro storia, ricordiamo che sono costituiti sul doppio principio della multi-disciplinarietà e del pluralismo (etico) per consentire il rispetto della libertà di scelta di ciascun gruppo o individuo secondo la propria coscienza privata, la vita pratica essendo solo il frutto di un consenso. Ciò, che induce un'etica forzatamente procedurale, non è senza legami con la filosofia nord americana, secondo cui un gruppo di «persone di buona qualità» che osserva delle regole formali rigorose riesce a circoscrivere una verità (v. J. Cerdras: La justice pénale aux Etats-Unis, 2ª ed., Economica, 2005). Ma ciò presuppone anche che i membri del gruppo accettino anticipatamente di indietreggiare sul terreno dei loro principi, di sfumarli, al fine di consentire l'espressione dell'opinione avversa. Il pluralismo richiede al teologo etico la rinuncia a parte della sua «eredità» (G. Durand: Introduction générale à la bioéthique, histoire, concepts et outils, FIDES/Cerf 1999, p. 44) e occorre ammettere che la risoluzione dei problemi etici presuppone da parte degli individui una revisione radicale delle loro convinzioni in favore di una conversione, personale o collettiva, poiché solo il compromesso salva la coerenza sociale (D. Roy, I. Williams, B. Dickens, J.-L. Baudouin: La bioéthique, ses fondements et ses controverses, ERPI. Ed. 1995, p. 36). Tale esigenza, la cui realizzazione è facilitata dall'assenza di voto del comitato e dall'assenza (relativa) di opinioni dissidenti pubblicate, è il contrario della clausola di coscienza, e anche un processo totalitario. Il paradosso (si tratta di un paradosso o di una logica?) è che il comitato di etica ha bisogno di una clausola di coscienza! Oggi è soprattutto questione di aborto e di ricerche su embrioni vivi. Non si sa bene se è prudente focalizzare la riflessione su questi due comportamenti. Anche l'eutanasia è all'ordine del giorno, così come la sterilizzazione dei malati mentali internati, (art. L. 2123-1 sq C sanità pubblica francese). È vero che i testi riconoscono la clausola di coscienza individuale dei medici (rt. L. 2123-1 sopracitato; art. 14, legge belga del 28 maggio 2002, che, oltre il medico, non cita «nessun'altra persona»; G. Schamps: La règlementation belge relative à la fin de la vie : l'euthanasie, les soins palliatifs, Rev. Gen. Dir. Med. 20/2006, p. 291). La legge olandese (modificata) sull'interruzione della vita su richiesta, la legge argentina 26.130 sulla contraccezione chirurgica… fanno riserva di obiezione individuale. Ma di nuovo sono da temere tutte le manipolazioni dell'essere umano e, poiché si nascondono dietro a pretesti terapeutici, esse richiedono, e richiederanno ancora, il concorso delle istituzioni sanitarie. E' necessario esigere in loro favore una clausola di coscienza estesa e non ipocrita. Naturalmente lo Stato non obbligherà manu militari un ospedale a lasciare praticare dal proprio personale degli atti rivoltanti quali quelli condannati a Norimberga nel 1947; esso non correrà il rischio di una disgregazione del sistema sanitario, ma userà coercizioni indirette efficaci di ordine amministrativo o economico per evitare la disobbedienza, pena la chiusura dei servizi. Lo stato di guerra dei potenti contro i deboli denunciato dal Cardinale Ratzinger (L'Osservatore Romano –

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ediz. francese – 9 aprile 1991, p. 6), che già pensava a «un eventuale documento sulla difesa della vita umana», non è per dopodomani! Siamo già in guerra. II – LO STATO Lo spirito contemporaneo rimprovera ad alcuni Stati di non aver potuto o di non aver saputo protestare contro delle misure abominevoli descritte in tempi tragici. A quegli Stati viene ingiunto di pentirsi e... di indennizzare... (es. Tribunale amministrativo di Toulouse, 6 giugno 2006, Dalloz 2006, IR p. 1771: SNCF e trasporto di deportati ebrei. V.P. Bruckner:La tyrannie de la pénitence; saggio sul masochismo occidentale,  Grasset ed. 2006, con alcune riserve). Chi non indovina la logica, o almeno: una delle logiche, di queste proteste politiche? Essa è contenuta nell'affermazione retrospettiva di una clausola di coscienza degli Stati, che l'avrebbero ignorata, nell'affermazione per cui uno Stato non può ordinare tutto e che, così è stato deciso a Norimberga, il cittadino ha il dovere di disobbedire alle leggi inique (aspetto dei giudizi scarsamente messo in evidenza), lo Stato non può fare astrazione delle esigenze del Diritto naturale. Può esservi obbligato dalla sua appartenenza a un insieme, nelle cui mani pone la scelta dei propri valori. Nel suo proprio seno possono manifestarsi delle difficoltà politiche, molto classiche. A) Lo Stato in un insieme Il fenomeno di dichiarazioni di bioetica dell'Assemblea Medica Mondiale, del CIOMS, dell'UNESCO, stabilisce che l'appartenenza a dei gruppi (l'AMM è, da un punto di vista giuridico, un «gruppo» mondiale di medici) sostiene (?) una rivendicazione etica, gli permette di scrivere i suoi principi suscettibili di passare nella consuetudine internazionale. Ma, quando lo Stato è integrato a una collettività, attraverso una federazione o una confederazione, non è forse tenuto ad attenersi alle aspirazioni collettive? 1) Lo Stato integrato L'ipotesi è quella dello Stato membro – a qualsiasi titolo giuridico – di un gruppo di Stati in cui un organo collettivo riceve, per delega delle sovranità, il potere di dettare delle norme, in particolare etiche, direttive o sentenze di una giurisdizione sopranazionale. Se si suppone che in detto Stato siano predominanti dei valori di rispetto della vita – il che non è assolutamente obbligatoriamente compatibile con le leggi di bioetica né con uno sviluppo organizzato di tale disciplina – e se si suppone che l'istanza proclamatoria contraddica quei valori, o anche che voglia imporre dei valori contrari, può lo Stato invocare una clausola di coscienza che gli permetta di non applicare le norme imposte? Certamente – si potrebbe pensare – può facilmente denunciare il trattato e lasciare il gruppo, poiché questo eccede i propri poteri e si pone come entità totalitaria. Ma questa risposta non tiene conto della molteplicità e dell'indivisibilità degli interessi rispettivi del gruppo e dello Stato aldilà della difficoltà puntuale. È possibile che la soluzione sia gravida di conseguenze negative per lo Stato in questione, con un rischio successivo di isolamento. (Questo paragrafo è ispirato dal nostro rapporto: La clause de conscience de l'Etat en bioéthique, in: La bioéthique au pluriel. L'homme met le risque biomédical, J. Libbey/Assoc. Descartes ed. 1996, colloquio di Budapest, p. 45 e ss.). Quella sollevata non è un'ipotesi di scuola. Ultimamente, la Corte europea dei Diritti dell'Uomo, anche se interprete dei valori umanistici dell'Europa «di Strasburgo», ha potuto aprire la via a un ritorno della corte di cassazione francese alla sua giurisprudenza «Perruche» del 17 novembre

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2000, tanto controversa, imponendo indirettamente i controvalori di quella giurisprudenza, utili alla Corte di cassazione ostinata sulla sua prima opinione. La tecnica è stata quella di scoprire nella legge del 4 marzo 2004, che limitava gli effetti perversi del decreto del 17 novembre, una contraddizione al diritto di credito, considerato giustamente come un bene (incorporeo), delle vittime, genitori di bambini nati con handicap. La Francia aveva portato pregiudizio ai beni, ai sensi dell'art. 1° del protocollo n. 1 della Convenzione europea (CEDH, 6 ott. 2005, JCP 2006, 10061, nota A. Zollinger), il che evita di portare un giudizio morale abbattendo effettivamente una parte del muro eretto contro quella giurisprudenza di «wrongful life» (vita che porta danno). E la Corte di cassazione, come anche il Consiglio di Stato, hanno potuto trasporre nel diritto interno questa interpretazione - all'apparenza di pregiudizio a un bene - per rianimare l'azione di «wrongful life» (Cass. Civ. I, 24 gennaio 2006, 10062, note A. Gouttentoire e S. Porchy-Simon), fosse anche a titolo transitorio. Le commentatrici citate scrivono alla fine: «… constatazione che sottolinea ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, l'influenza considerevole che l'articolo 1 del protocollo n. 1 della Convenzione è chiamato a esercitare sul nostro diritto della responsabilità interno». E, oseremmo aggiungere, sui rischi di pregiudizio alla dignità umana che minacciano quest'ultimo (v. tuttavia Card. B. Panafieu: Les racines éthiques de l'Europe : l'héritage chrétien, in Les racines éthiques de l'Europe, Libr. Univ. Aix-en-Provence ed. 2006, p. 83). Il ragionamento soddisfa lo specialista del diritto dei beni. Rivela invece a quello di diritto medico la sottigliezza dei rovesciamenti dei principi. Punto non vuol dire tutto. In primo luogo, una risoluzione CEE del 12 marzo 1990 sull'interruzione volontaria di gravidanza ha voluto imporre all'Irlanda di legalizzare l'aborto, poi la decisione del 4 ottobre 1991 della CGCE (Corte di Giustizia delle Comunità Europee) ha portato il dibattito sul terreno della libera prestazione di servizi: «l'interruzione di gravidanza, quale viene legalmente praticata in diversi Stati membri, è un'attività medica normalmente fornita contro una remunerazione», e rifiuta di temperare tale qualifica con un giudizio morale. Se viene riconosciuto allo Stato giudicato il diritto di vietare la diffusione sulle IVG praticate in altri Stati, a contrario tale diritto non gli sarebbe stato riconosciuto se la pubblicità fosse emanata dai prestatori stessi del servizio. L. Dubouis interpreta la disposizione come la traduzione «di una presa di posizione implicita in favore della libertà riconosciuta allo Stato di vietare o di regolamentare la pratica dell'IVG sul suo territorio» ma lo obbliga anche ad accettare alcune pubblicità contrarie ai suoi principi nazionali. Pur andando meno lontano delle risoluzione, la decisione rende sensibili alla libertà limitata di cuiuno Stato può disporre in seno a una comunità o a un'alleanza, anche quando delle linee fondamentali della sua etica sono in discussione. Edificare un'etica internazionale è un'opera tanto delicata quanto auspicabile, ma la congiunzione dei mercati e dei valori è cosa difficile. «L'obiettivo del trattato CEE è di istituire un mercato comune e non una morale comune. Quanto all'etica, lo concerne in quanto attività economica» (L. Dubouis). Ovviamente, il Diritto europeo della Comunità integra quello della Convezione europea dei diritti dell'uomo, ma si possono ben intuire le influenze che vogliono portare un tale Stato fuori dai suoi bastioni etici, rischiando di snaturare l'atto medico in atto economico. In merito a quel diritto della convenzione, esso consente alla citata sentenza del 29 ottobre 1992 di censurare l'Irlanda (che si pronunciata sull'IVG con referendum), certamente con più sfumature, e una maggiore riflessione sul diritto alla vita del bambino concepito, tramite l'invocazione del principio di proporzionalità (art. Convenzione). Dal canto suo, la Corte europea dei diritti dell'uomo, con la sua sentenza B/France del 25 marzo 1992, ha censurato la Francia per aver posto l'interessata - transessuale - in una situazione globale incompatibile con il rispetto dovuto alla vita privata. In seguito, e con riserva di commenti maggiormente autorizzati, tale organo sembra imporre allo Stato di rimediare a tale violazione della vita privata, mentre il nostro diritto non tratta tali questioni come un problema di vita

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privata ma di indisponibilità dell'integrità del corpo umano e dello stato delle persone. La Signora Lenoir, alla stregua di altri autori, constata la divergenza tra la privacy che pervade la dottrina della Corte e gli elementi della nostra tradizione civilista. Anche in questo caso, e anche se la sentenza concede agli Stati un margine di autonomia, un ordine sovranazionale mina questo piedistallo di ordine pubblico e deve porre agli Stati - e ai loro giudici - il problema della scelta quando entrano così in contraddizione delle norme, più o meno, di protezione dell'integrità dell'essere umano. Si può vedere che vi è nella clausola di coscienza, a questo livello, una opzione tra due regole, in favore di quella che protegge maggiormente il soggetto. Una Convenzione internazionale non riempie più il suo ruolo quando si orienta verso la protezione minima: «Per quanto riguarda le soluzioni di fondo, l'unificazione non è né possibile né auspicabile se deve condurre ad un allineamento al minimo denominatore comune». Il diritto dello Stato ad un suo ordine pubblico bioetico deve essere affermato nelle Carte e nei Trattati? Il ritiro dalla comunità o dall'alleanza non deve costituire l'unico mezzo di salvaguardia dei valori degli Stati. Occorre immaginare una sorta di clausola manifesta o implicita di protezione, fatta salva la permanenza all'interno del gruppo. Potrebbero essere utili a tale scopo dei documenti nello spirito, ad esempio, del «Compromesso di Lussemburgo». Si possono immaginare diverse tecniche, quali, per fare un esempio, le «riserve» che accompagnano la firma di una convenzione. Quando la Francia ha ratificato la Convenzione internazionale sui diritti del bambino, ha ritenuto di dover emettere la riserva di non rimessa in causa della sua legislazione (per ipotesi, meno protettiva nei confronti del bambino) sull'aborto… Perché non farlo a contrario? Alcuni preconizzano attualmente l'istituzionalizzazione dei comitati di etica in Africa nera, che era stata proposta nel corso del XVI congresso mondiale di diritto medico (Toulouse, 7-11 agosto 2006). Non significa suggerire di invocare una clausola di coscienza; significa incoraggiare un nuovo commercio triangolare, una nuova colonizzazione (v. in generale, B. Lugan: God Bless Africa, Carnot ed. 2003), che è la risposta data all'obiezione che lo Stato soggetto della ricerca beneficerà degli effetti di questa, il che non è del tutto impossibile ma sottomette quello Stato alle forze economiche dell'Occidente e gli impone di rendere i propri cittadini dei soggetti della ricerca senza proteggerli da essa (su questo punto, l'opinione espressa è personale e non vincola l'Accademia). È vero che una clausola di coscienza applicata a uno Stato ha un senso solo se volta al rispetto rafforzato della dignità e della vita dei suoi soggetti. Essa non può essere un velo che maschera le attività disumane svolte sul territorio, con la tolleranza o peggio l'autorità dello Stato. Il paradigma è quello delle azioni che hanno conosciuto il loro epilogo a Norimberga, e che erano state annunciate non solo in Mein Kampf, ma anche nelle pubblicazioni, ad esempio, di Binding e di Hoche (tradotti, come è noto, da M. Schooyans et K. Shank, Ed. Sarment 2002), nella proposta del 1932 del Consiglio regionale di sanità prussiano, nella legge del 14 luglio 1933 o nella decisione del 1° settembre 1939… Le nazioni libere avrebbero sentito il bisogno di un intervento solo nel nome della protezione dei valori etici radicalmente compromessi da tali misure e dagli stermini che seguirono, ne avrebbe avuto piena coscienza prima del 1945, il che è ancora in se oggetto di controversia? Non si è mai vista una guerra realmente dichiarata per la difesa dei valori! Eppure, il soggetto dello Stato abbastanza totalitario (vogliamo dire: nella sostanza, anche se lo Stato fosse formalmente democratico) da compromettere la dignità, l'integrità, la vita dei suoi cittadini attraverso delle discriminazioni sulla base del loro livello di sviluppo, della loro qualità di vita, della loro appartenenza sociale, è in diritto di sperare in un'assistenza da parte della comunità internazionale. Vi si sarà sensibili in tempi in cui alcuni denunciano «una nuova eugenetica… al tempo stesso dolce, molle e insidiosa» (J. Testard) e in cui le dottrine sataniche non si

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ripresentano sulle vie dove si pensa di rivederle… «Forse, scrive Müller-Hill, la reificazione degli esseri umani è andata abbastanza lontano…». In ogni caso, «il riconoscimento dei diritti dell'uomo come principio del diritto internazionale implica una restrizione del diritto all'autodeterminazione degli Stati» (T. Mertens). La tecnica più semplice, e più pacifica, è il ricorso giurisdizionale, che si supporrà internazionale per presunzione di insufficienza dei contenziosi interni. Ma tale ricorso presuppone che lo Stato di origine abbia accettato di far parte di tale sistema, ed è efficace solo se quello Stato si inclina di fronte alla sentenza, il che può avvenire solo in presenza di un'opinione pubblica internazionale molto forte. Tuttavia, la difficoltà si annuncia in termini di pregiudizio alla sovranità dello Stato. Uno Stato può limitare volontariamente quest'ultima tramite l'adesione a delle convenzioni di bioetica o di protezione dei diritti dell'uomo, o contro la tortura. Può anche impegnarsi in quello che il decano Torrelli chiama «l'offensiva normativa in nome dell'Umanità», accettando i principi del diritto umanitario, jus in bello. Può infine autorizzare interventi umanitari di ONG o di organizzazioni private sul suo territorio, ma è poco probabile che il tipo di Stato al quale pensiamo lo accetterebbe  di buon grado. E il problema non consiste in queste forme di auto-limitazione, ma nell'ingerenza negli affari dello Stato contro la sua volontà. In una parola, la bioetica invita all'ingerenza umanitaria? (L'assistenza alle vittime di catastrofi naturali o di situazioni di emergenza dello stesso tipo, oggetto di Risoluzioni dal 1988 al 1990 non rientra in questa discussione). Accanto al problema di principio dell'accettazione dell'ingerenza priva di qualsiasi posta politica e dell'imposizione in punta di baionetta dei nostri concetti di libertà in casa d'altri, sorge quello delle misure utili. Come portare uno Stato, colpevole, ad abrogare, ad esempio, una legge eugenetica o eliminatoria? Come e attraverso quale tribunale si possono sanzionare gli oltraggi constatati alla persona? Il procedimento della pubblica riprovazione da parte della Comunità scientifica o giuridica non è da trascurare. Ad esempio, l'8 febbraio 1995, la Conferenza internazionale degli Ordini disapprova le sanzioni corporali, crudeli e degradanti. Ma quali sono le conseguenze? Non si rischia forse di «bloccare» sulle sue posizioni il destinatario del messaggio critico, il quale a sua volta crederà, o fingerà di credere, che i suoi «valori» vengono attaccati? A nostra volta, citiamo Pascal: «La giustizia senza la forza…». Allo stato attuale della coscienza internazionale, vediamo male un intervento armato a seguito dell'invocazione di principi bioetici fondamentali; le partecipazioni delle forze internazionali alla protezione di popolazioni minacciate hanno purtroppo mostrato i loro limiti, e esiste d'altronde in questi casi una regola di ragione proporzionata: il fatto di aprire un conflitto, anche per ragioni «buone», è portatore di mali e di nuove infelicità di cui si è incapaci di misurare la progressione. Il rimedio che moltiplica gli effetti perversi è sempre a buon diritto sconsigliato. In questi casi gli effetti sono fin troppo evidenti! Questa ricerca particolare si ferma al limite stesso dell'efficacia dello stesso diritto internazionale pubblico, e le vie praticabili sono soprattutto un risveglio della coscienza attraverso l'insegnamento del diritto medico e dell'etica, ma anche con l'incitamento a partecipare all'elaborazione e alla realizzazione di Convenzioni bioetiche internazionali. Ma, e qui ritorniamo al nostro punto di partenza, con la condizione imperativa che queste si elevino verso il massimo comune denominatore. In caso contrario, esse non serviranno a niente. Uno Stato non dipende forse, soprattutto, dai suoi dirigenti? B - L'Uomo di Stato Monsignor Schooyans ha ricordato agli uomini politici le regole di azione conformi alla Evangelium Vitae, e in particolare alla regola morale in generale (M. Schooyans: L'objection de

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conscience en matière de santé: Le cas des hommes politiques, Revue Recherches Juridiques 2005-1, p. 505 e ss.; Le terrorisme à visage humain, coll. A.-M. Libert, presfazione Card. L. Trujillo, F.-X. de Guibert ed., 2006, spec. p. 116 e ss.), evocando anche l'ipotesi di una loro cooperazione ai crimini di eutanasia e di aborto. È noto che eminenti Uomini di Stato hanno invocato la clausola di coscienza per non doversi associare alla promulgazione di testi che andavano contro le loro convinzioni. L'esempio più illustre è stato quello di S.M. il Re Baldovino I°, nel 1990, che rifiutò di firmare la legge relativa all'interruzione di gravidanza, con il rischio di dare luogo a una nuova crisi costituzionale (v. il testo della lettera reale in X. Dijon, Droit naturel précité, p. 153; X. Dijon: Baudouin Ier et l'enfant à venir, in "Liber Amicorum Marie-Thérèse Meulders-Klein", Bruylant ed. 1999, p. 181). Il capo di Stato invocava il diritto spettante ad ogni cittadino. In Francia, nel 1996, il Presidente della Repubblica si oppone per qualche tempo alla promulgazione di ordinanze di diritto sociale in nome della sua coscienza. La posta non era la stessa di quella della legge belga. L'etica invocata era quella politica. In ogni caso, si vide un capo di Stato mettere avanti le sue convinzioni intime per rifiutare di riconoscere un testo di «legge». La clausola di coscienza aveva di nuovo una sua logica, e poteva comunque servire da esempio agli altri uomini politici (E. Sgreccia: Manuel de bioéthique. Les fondements et l'éthique biomédicale, Meme-Edifa 2004, prefazione del Card. Barabarin, trad. R. Hivon, p. 499 e rif.; v. anche M. Casini: Il diritto alla vita del concepito nella giurisprudenza europea, CEDAM ed. 2001, presentazione di F. Mantovani e rif.). L'interesse non è rivolto solo agli uomini politici cattolici. Si riferisce anche a tutti coloro che trovano inquietante la moltiplicazione di testi «sovra-nazisti» (l'espressione «sovra-nazismo» è di Mons. M. Schooyans; v. Maîtrise de la vie, domination des hommes, Le sycomore ed. 1986, e: La dérive totalitaire du libéralisme, Ed. Univ. 1991); in particolareBioéthique et population: le choix de la vie, Fayard ed. 1994, p. 116 e ss.). Alcuni parlamentari scrivono, senza alcun riferimento ad una teologia, per suggerire la clausola di coscienza, anche se questa dovrà in seguito essere cancellata dal progetto di legge (sic: A. Cleys e C. Huriet: L'application de la loi n° 94-654 du 29 juillet 1994…, rapporto all'Assemblea Nazionale N. 1407, Senato n. 232, 18 febbraio 1999, p. 139: «sarebbe d'altronde necessario permettere la messa in causa della clausola di coscienza per i medici che rifiutassero di condurre delle ricerche che vadano oltre l'interesse diretto del bambino che deve nascere»). E tale interesse non è dottrinale. Abbiamo ascoltato e letto, in occasione della preparazione e quindi della firma della legge francese del 17 luglio 1975 (IVG), uomini politici di altro rango (guardasigilli, primo ministro, presidente della Repubblica), ufficialmente cattolici, che presentavano e ufficializzavano un testo contro il quale aveva proclamato che la loro coscienza si ribellava. Le loro firme restano stampate a lettere di fuoco e chiamano il giudizio di Pio XI (In casti connubii, 31 dicembre 1930): «Infine, coloro che, nelle nazioni, detengono il potere o elaborano le leggi, non possono dimenticare che è dovere dei poteri pubblici difendere la vita degli innocenti tramite leggi e pene appropriate, soprattutto perché coloro la cui vita è in pericolo e minacciata, non possono difendersi essi stessi, ed è certamente il caso, fra tutti, dei bambini nascosti nel seno della loro madre. Se l'autorità pubblica omette di proteggere quei piccoli o anche se, tramite le sue leggi e i suoi decreti, li abbandona e li consegna nelle mani di coloro, medici o altre persone, che li uccideranno, si ricordi che Dio è giudice e vendicatore del sangue innocente che, dalla terra, grida verso il cielo». Delle aritmetiche elettorali prevarrebbero - e Dio sa a quanto breve termine inconseguente  - sull'affermazione di alcuni valori, certamente quasi eroica se si ragiona in termini di sondaggi e di suggestioni di consiglieri? Ma è l'affermazione ostentata di tali valori che vale a questi politici i loro voti, la loro elezione, mentre la politica che segue è contraria nei fatti. Questo inganno sulla qualità della "merce" eletta può nobilmente procedere dalla distinzione tra l'etica di convinzione

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e l'etica di responsabilità, o anche venire da Max Weber senza soffermarsi sulla considerazione della bontà dei fini permettendo, in tale analisi, di ignorare la riflessione sui mezzi. Nella politica bioetica occidentale, non si tratta di orientare la riflessione su questa possibile bontà o malvagità. Autori importanti sono in favore dell'etica di responsabilità, rimproverando all'etica di convinzione di non tenere conto «delle possibili conseguenze delle sue scelte» (sic. N.-J. Mazen: La démarche d'éthique appliquée, contribution à l'analyse du processus de décision, Et. Hosp.-EPHE ed., di prossima pubblicazione nel 2007, p. 51)… L'artificio formale che consiste nel qualificare come terapeutici gli atti legalizzati implica la bontà del suo fine e dispensa dall'esaminarlo. Ciò consente la presentazione enfatica dell'affermazione di convinzioni atte a sedurre dolosamente gli elettori, per poi passare a delle riserve virtuose e democratiche che permettono di riporle nell'armadio degli orpelli. Il tutto prima di presentare dei testi ingiusti, con la mano sul cuore. Anche se i riferimenti esistono, non sarebbe necessario presentare ulteriormente i dati del diritto francese esistenti (alcun sono presenti nel nostro rapporto: Il y a des lois de bioéthique ! in Rev. Gén. Dr. Méd. Numero speciale "Dieci anni di bioetica in Francia", 2006, p. 49 e ss.). Tale comportamento costituisce l'antitesi dell'invocazione della clausola, ed è esemplare della sottomissione al «pensiero unico», o, forse, a una disciplina di gruppo, in se assai legittima. Ma la clausola in questione impone di uscire da tale disciplina, con il rischio di una emarginazione politica. Ma di quale emarginazione si parla? Quella dettata solo da un partito o da un governo, mentre la massa degli elettori «riconoscerà i suoi» e restituirà fiducia all'homo politicus coerente. La Evangelium Vitæ ha confermato, in quanto necessità enunciata, i principi dell'azione politica. È noto che i paragrafi 72, 73 e 74 invocano l'obiezione di coscienza (cf. sopra). Essi apportano una sfumatura di azione nell'ordine di edificazione di dighe contro il male solo nella misura precisata dal paragrafo 73, così come viene interpretato autenticamente dalla «Nota dottrinale a proposito di questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica» del 24 novembre 2002, di cui non si può omettere un estratto del paragrafo 4 (p. 10 e 11 dell'edizione Téqui), rivolto ai cittadini:«Secondo l'insegnamento del Papa stesso, nella sua Enciclica Evangelium Vitæ, a proposito del caso in cui non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, è possibile che un parlamentare la cui personale assoluta opposizione all'aborto fosse chiara e a tutti nota, possa lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica»«In tale contesto, è necessario aggiungere che la coscienza cristiana ben formata non permette ad alcuno di favorire con il suo voto la messa in opera di una legge o di un programma politico in cui i contenuti fondamentali della legge e della morale vengono distrutti dalla presenza di proposte che sono loro alternative o opposte. Non si sappia che questa ingiunzione sia portata a conoscenza de «la base» in termini a cui essa è sensibile. Si tratta, per l'uomo politico, di rifiutare di collaborare alla redazione o alla messa in pratica di leggi ingiuste senza lasciarsi andare a proporre leggi di compromesso (A. Rodriguez Luno: Lois imparfaites et loi iniques, in Lexique des termes ambigus et controversés sur la famille, la vie et les questions éthiques, Pontificio Consiglio per la Famiglia, Téqui ed. – edizione francese, prefazione del Card. A. Lopéz Trujillo, 2005, p. 711). In caso contrario, egli si espone, o dovrebbe esporsi, a delle sanzioni canoniche, dedotte in modo eccellente da Mons. Schooyans (op. e loc. cit. Rev. Rech. Jur. 2005-1). All'esempio fornito da Mons. Schooyans (Mons. Wigand, 22 gennaio 2003), affianchiamo quello di Mons. Levada (in LA NEF, n. 164, giugno 2005, p. 12), salvo errore. Si constata tuttavia, in casi numerosi e con poche eccezioni, il fenomeno inverso, in nome della neutralità politica o parlamentare, che è del resto una contraddizione nei confronti dei principi

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democratici. C'è di più: si assiste a dei voltafaccia sorprendenti. Pensiamo al caso di una deputata, opponente notoria all'aborto, che, una volta diventata Segretario di Stato sostenne con veemenza delle azioni giudiziarie contro i membri dei «commando anti-IVG» (noi esprimiamo ogni rispettosa riserva sulla loro azione), affermando nel contempo: «Non ho mai pensato nemmeno lontanamente di rimettere in causa la legge del 1975 detta Veil, e non lo farò» (Le Monde, 19 luglio 1995, p. 8, con una definizione dell'aborto come «un diritto della donna»). Ma la messa in opera della clausola da parte dell'homo politicus è semplice e sarà giudicata solo dagli elettori che si suppongono consci di tale esigenza e di tale coerenza. Occorre solo non cedere a tentazioni a breve termine, senza nulla temere per una situazione durevole. Scrive Xavier Dijon: «Chi accetterà di essere "l'altro" della maggioranza, permettendo così alla democrazia di avanzare senza intenzione preconcetta?» (in: L'objection du roi des Belges à la justification de l'avortement, inedito). Altri si accontentano di proferire che le leggi della repubblica sono applicabili... Significa porre la questione della democrazia, principio aprioristicamente sostegno della libera espressione del pensiero, anche se fosse contro quello dominante? Hayek, se vogliamo un riferimento laico, ha ben compreso la sua insufficienza pratica, le sue potenzialità totalitarie. Il «contratto sociale» è purtroppo ricco. Non è una questione di scelta politica ma, nell'ordine politico, di resistenza individuale. I giudizi di Norimberga racchiudevano questo insegnamento, condannando il positivismo giuridico (J.-M. Aubert: Loi de Dieu, loi des hommes, Desclée ed. 1994, p. 65 e ss.). Il pensiero è stato portato al livello più alto: «È quindi indispensabile che gli Stati creino, su tali complesse questioni, delle leggi organiche e chiare, fondate su solide basi etiche, per proteggere il bene inestimabile della vita umana» (Giovanni Paolo II, esortazione, 2 febbraio 2003, L'Osservatore Romano – edizione francese 4 febbraio 2003, p. 1). La difficoltà non è di principio. Essa è politica, il che significa che allo stato del pensiero occidentale dominante dobbiamo accontentarci – un po' – di sperare (es. Mons. V. di Muro: La société en conflit entre la culture de la vie et la culture de la mort, Dolentium Hominum, 62/2006, p. 44). È vero che Christian Atias a scritto, traducendo il sentimento di numerosi giuristi: «Giuristi francesi, noi abbiamo visto il diritto indietreggiare sotto i colpi di riforme menzognere; e abbiamo dubitato. Tali leggi pretendono di autorizzare dei coniugi infelici a «rifarsi una vita». Esse pongono da una parte, dalla parte migliore, "il bambino desiderato", e dall'altra, "quello" che una donna, infine "responsabile" della sua gravidanza avrebbe la "scelta" di annientare. Abbiamo udito dei giudici mettere sulla bilancia la vita ricevuta e le pene che la accompagnano; essi hanno immaginato di concedere una riparazione al bambino la cui madre sarebbe stata "privata" della possibilità legale di non trattarlo come un bambino e di rifiutargli la vita. Tali leggi insegnano che i coniugi hanno la scelta tra la fedeltà e l'adulterio, che sono padroni di fondare, nell'uno o nell'altro caso, delle "famiglie" equivalenti. Cosa dicono quelle virgolette dietro le quali il senso delle parole deve essere nascosto? Esse denunciano le menzogne di quei taumaturghi che non hanno nemmeno voluto assolverci per i nostri sbagli, ma trasformare le nostre sconfitte in vittorie.«Una voce si è levata e il deserto è indietreggiato». (Da un giurista francese, in Giovanni Paolo II, La via della giustizia, Bardi e Lib. Ed. Vaticana ed. 2003, p. 395). Gérard MEMETEAUMembro corrispondente della Pontificia Accademia per la VitaMembro corrispondente dell'Accademia argentina di scienze morali e politiche(novembre 2006) 

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N.B. :Le opinioni espresse in questo rapporto vincolano solo il suo autore, e non le istituzioni cui ha l'onore di appartenere. G.M.

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CARL ANDERSON LA COSCIENZA CRISTIANA IN SUPPORTO AL DIRITTO ALLA VITAIl Rispetto per la coscienza nei paesi della Common Law

Carl A. Anderson

Vicepresidente, Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e FamigliaCavaliere Supremo, Cavalieri di Colombo

XIII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la vita24 Febbraio, 2007             Ad oggi, San Tommaso Moro è riconosciuto come uno dei grandi difensori della dignità umana e del diritto di coscienza. Abbiamo tutti una certa familiarità con le famose battute del film Un uomo per tutte le stagioni, riguardanti proprio il ruolo della coscienza: rifiutando di firmare l’atto di Supremazia, More disse: “a me non importa se ciò sia o non sia vero; ma che io creda che sia vero; o meglio, non che io lo creda, ma che io lo creda”[1].            San Thomas More è anche considerato come il modello del funzionario statale cattolico quando all’inizio del dramma afferma: “credo che quando gli uomini di Stato dimenticano la loro coscienza privata per amore dei loro pubblici doveri...conducono il [proprio] paese per la strada più breve alla rovina”[2]. Con queste ultime parole “Dite al Re che muoio come onesto suddito, ma prima, come onesto servitore di Dio”, in che modo semplice ma allo stesso tempo profondo, egli ha lasciato un modello per tutti i cristiani impegnati in politica.            Forse, faremmo solo del bene se considerassimo San Thomas More come una guida sicura per i politici, ricordando loro il suo approccio al servizio di Stato. Un uomo per tutte le stagioni narra come More, parlando del suo lavoro come Cancelliere d’Inghilterra, affermi: “Non desidero il male di alcuno, non parlo male di alcuno, non faccio male ad alcuno e se questo non dovesse bastare allora........”            Potremmo anche riferirci a San Thomas come patrono dei mariti e dei padri. Ricordiamo il modo in cui è raffigurato alla fine del processo nel dramma teatrale: alla corte che l’aveva appena condannato egli dichiara: “ non è per la supremazia che avete voluto la mia morte, ma perché non ho accettato di piegarmi alle nozze...”            Tutto ciò che sappiamo su More ci porta a pensare che avesse molto a cuore la sua famiglia e che una delle ragioni per cui cercò di evitare a tutti i costi un confronto diretto con il Re fu proprio per proteggerla. Eppure, alla fine, egli sacrificò la sua vita e la sicurezza dei suoi cari per un principio che diede un significato  ed un unità eterna alla sua famiglia: la natura sacramentale del matrimonio. Senz’ombra di dubbio, nell’acconsentire allo scioglimento dell’unione del Re, ci sarebbe stato anche un’implicita adesione alla possibilità di scioglimento di qualsiasi matrimonio. Sicuramente, questo punto non deve essere passato inosservato da parte di un Cancelliere d’Inghilterra e brillante avvocato quale era Thomas More. Così, uno dei più grandi statisti della storia e uomo di coscienza fu condannato a morte per la difesa del principio dell’unità sacramentale del matrimonio.            Detto questo dovremmo ricordarci l’osservazione di Clarence Miller, uno dei tanti editori della Raccolta Completa dei lavori del santo. Egli elenca quello che gli studiosi definiscono come “ le cause del martirio di More: l’integrità della propria persona nonostante la sottoscrizione ad un giuramento, l’irriducibile libertà della coscienza individuale nei confronti di uno stato autoritario,

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la supremazia papale come segno di un’unità sopranazionale della Cristianità Occidentale, passato e presente”. Continua Miller: “ Tutto questo è vero fino a un certo punto. In ultima analisi, More non morì per un principio, un’idea, una tradizione o per una dottrina ma per una persona, Cristo. Come Bolt stesso fa dire a More nel suo Dramma: “Bé.....finalmente....non è un problema di ragione; è un problema d’amore”[3]. Ed è per questo che penso sia particolarmente appropriato ricordare San Thomas mentre esploriamo la ricchezza dell’enciclica Evangelium Vitae con il suo richiamo per il popolo Cattolico a costruire una cultura della vita ed una civiltà dell’amore. Dovremo partire dal riconoscere che l’Evangelium Vitae è basata, per buona parte, sulle fondamenta fornite da Giovanni Paolo II con la sua importante enciclica sullo“Splendore della Verità” e la coscienza morale.            Veritatis Splendor impugna la domanda del dovere che la verità impone ai Cattolici nelle società democratiche. Nell’enciclica si osserva, infatti, come la richiesta di una morale universale e immutabile possa sembrare una contraddizione rispetto “all'unicità e l'irripetibilità della persona” e possa “attentare alla sua libertà e dignità” (n. 85). Essa ammette che: “i criteri di giudizio e di scelta assunti dagli stessi credenti si presentano spesso, nel contesto di una cultura ampiamente scristianizzata, estranei o persino contrapposti a quelli del Vangelo” (n. 88).            Successivamente, Giovanni Paolo II scrive qualcosa che avremmo potuto ritrovare nel pensiero o forse più precisamente nella spiritualità di San Thomas More: “Urge ricuperare e riproporre il vero volto della fede cristiana, che non è semplicemente un insieme di proposizioni da accogliere e ratificare con la mente. È invece una conoscenza vissuta di Cristo, una memoria vivente dei suoi comandamenti, una verità da vivere... È incontro, dialogo, comunione di amore e di vita del credente con Gesù Cristo...(n. 88)”. O come avrebbe detto Moro: “...è un problema d’amore”.            Dopo tanti anni, è forse un po’ semplicistico avere una visione dei martiri inglesi del sedicesimo secolo come uomini caratterizzati da una certa risolutezza e anche una certa impazienza per il loro destino. Qualcosa di profondamente diverso, lo troviamo nelle seguenti citazioni di More riguardanti il martirio, scritte durante la prigionia nella Torre. Nel De Tristitia Christi, così  Cristo parla ad un suo discepolo e martire: “ Fatti coraggio tu che sei pauroso, e non disperare. Hai timore, senti la tristezza, sei sconvolto dallo sconforto e dalla paura del supplizio crudele che ti è minacciato. Abbi fiducia. Io ho vinto il mondo; io, che più di te ho avuto paura oltre misura, che più di te ho provato lo sconforto; io, che più di te sono inorridito al pensiero della sofferenza tanto spaventosa che si avvicinava. Lascia che il forte abbia davanti a se mille martiri coraggiosi e che possa gioire nell’imitarli. Tu, pecorella timorosa e inerme, accontentati di avere me come tuo unico pastore, segui me come tua guida. Se non ti fidi di te, spera in me. Ecco, io ti precedo su questa strada tanto spaventosa”[4].Poche persone nella Chiesa hanno saputo descrivere in maniera così profonda la chiamata alla santità e la perfezione spirituale così come ha saputo fare More in questa breve descrizione della sequela Christi nel martirio. La lezione più grande che ci dona San Thomas è che per un Cattolico il servizio allo Stato apre l’orizzonte ad un tipo di martirio personale. Questo fu certamente vero per la vita del santo e per la maggior parte del sedicesimo secolo e anche del ventesimo. Questa verità si ripropone all’inizio del terzo millennio dove costantemente dobbiamo confrontarci con una cultura della morte. La politica, che tutt’oggi è troppo spesso un’arena di egocentrismi e promozioni personali, dovrebbe essere intesa di più dai cattolici come un sequela di Cristo aperta al martirio;  se non fino alla morte come San Thomas More per lo meno come un martirio di reputazione e carriera. Pensarla in un altro modo sarebbe una mancanza di servizio nei confronti della comunità Cattolica ed un atto di disonestà verso se stessi.            Possiamo affermare che Giovanni Paolo II ha una visione simile della lotta Cattolica verso una crescente cultura ostile, quando scrive nella Evangelium Vitae:

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Di fronte alle innumerevoli e gravi minacce alla vita presenti nel mondo contemporaneo, si potrebbe rimanere come sopraffatti dal senso di un'impotenza insuperabile: il bene non potrà mai avere la forza di vincere il male!È questo il momento nel quale il Popolo di Dio, e in esso ciascun credente, è chiamato a professare, con umiltà e coraggio, la propria fede in Gesù Cristo «il Verbo della vita» (1 Gv 1, 1). Il Vangelo della vita non è una semplice riflessione, anche se originale e profonda, sulla vita umana; neppure è soltanto un comandamento destinato a sensibilizzare la coscienza e a provocare significativi cambiamenti nella società; tanto meno è un'illusoria promessa di un futuro migliore. Il Vangelo della vita è una realtà concreta e personale, perché consiste nell'annuncio della persona stessa di Gesù.            Quello che Thomas More suggerì come la sicura speranza di coloro che soffrono per la fede cattolica, viene visto da Giovanni Paolo II come la luce guida dei Cattolici impegnati nei movimenti pro-vita.            Nella vita del santo osserviamo anche una verità riconosciuta dal Concilio Vaticano Secondo che nella Gaudium et Spes osserva: “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire” (n. 16). Commentando su questa realtà della vita morale, Giovanni Paolo II scrive nella Veritatis Splendor che questa legge si pone “a tutela della dignità personale, ossia dell'inviolabilità dell'uomo, sul cui volto brilla lo splendore di Dio” (n. 90).            Proseguendo, egli afferma che questo “splendore” di Dio “trova una conferma particolarmente eloquente nel martirio cristiano” (n. 90) ed in questo atto “come affermazione dell'inviolabilità dell'ordine morale risplendono la santità della legge di Dio e insieme l'intangibilità della dignità personale dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio” (n. 92).            In questo modo i martiri, “risvegliando il senso morale” (n. 93), offrono al bene della società un contributo senza valore addirittura insostituibile. Il senso morale indicato dal martirio di Thomas More è precisamente enunciato nellaVeritatis Splendor: “solo nell'obbedienza alle norme morali universali l'uomo trova piena conferma della sua unicità di persona e possibilità di vera crescita morale” (n. 96). L’apparente contraddizione tra la libertà individuale e la legge morale si riconcilia con una trasparente bellezza nella figura dei martiri i quali rivelano l’integrità della coscienza umana alla società.            L’ Evangelium Vitae ci suggerisce che l’incontro tra il Cristiano e la società è centrato attorno ad una serie di punti chiave, che vanno al cuore della vita di un cittadino cattolico, in una società pluralistica e democratica. Il Santo Padre è molto chiaro nel sottolineare che ciò che è a rischio nel dibattito pubblico riguardante aborto ed eutanasia, non è semplicemente un disaccordo tra scelte diverse in una società pluralistica, ma la grave minaccia di sopravvivenza della democrazia stessa (n. 18-20).            Che l’ideologia liberale democratica occidentale sia uscita vincitrice nella grande lotta con l’ideologie totalitarie, è ormai un principio entrato a far parte della cultura popolare[5]. Nel suo discorso alle Nazioni Unite, Giovanni Paolo II disse: “siamo testimoni di una straordinaria e globale accelerazione di quella ricerca di libertà che è una delle grandi dinamiche della storia dell'uomo”[6].            Comunque, per questo Papa, la storia non rappresenta un inevitabile processo evolutivo verso la realizzazione della democrazia. Al contrario, nel mondo di oggi, siamo davanti ad una svolta, che presenta non solo l’opportunità di realizzare il “desiderio universale di libertà”, ma dall’altro lato rappresenta un enorme minaccia alla libertà stessa.Evangelium Vitae (n.18) sottolinea come questa minaccia consista in una grande contraddizione annidata nel cuore della democrazia: l’aborto.

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            Giovanni Paolo II incomincia la sua analisi con quello che definisce una “sorprendente contraddizione”, nonostante una profonda valutazione pastorale delle  “situazioni difficili o addirittura drammatiche di profonda sofferenza”, che possono dar luogo a  “scelte contro la vita” (n. 18). Il Papa si rende conto dei momenti di “sofferenza, solitudine, totale mancanza di prospettive economiche, depressione ed angoscia per il futuro”, che possono influenzare una scelta per l’aborto, l’eutanasia o il suicidio. Egli enfatizza proprio il fatto che tali circostanze possono attenuare anche notevolmente la responsabilità soggettiva e la conseguente colpevolezza di quanti compiono queste scelte in sé criminose[7].            La tragedia personale che sfocia nella decisione di abortire, non rappresenta, ad esempio, una grave minaccia alla democrazia. Questi atti sono chiamati “tragici”, proprio perchè li riconosciamo essere sbagliati e sappiamo che il protagonista si è lasciato andare alla disperazione, sentendosi incapace di superare determinati ostacoli. Queste tragedie, in se stesse, non costituiscono una minaccia alle fondamenta di una società democratica, poiché il loro carattere tragico è prova del male oggettivo di ciò che è stato fatto. Al contrario, Giovanni Paolo II osserva come la società democratica sia messa in pericolo dall’insistenza a trasformare atti oggettivamente disturbati, anche se soggettivamente mitigati, da crimini a “legittime espressioni della libertà individuale, da riconoscere e proteggere come veri e propri diritti.” (n. 18). Per Giovanni Paolo II, è questa inversione da azioni “sbagliate” ad azione “giuste” che costituisce una “minaccia frontale a tutta la cultura dei diritti dell'uomo”(n. 18). Questa inversione è una minaccia diretta al futuro della democrazia, perché stabilisce “un’idea perversa di libertà” nel cuore della democrazia stessa.            Per il Santo Padre, questa libertà disturbata porta all’esasperazione ed alla deformazione del “concetto di soggettività” (n. 19). Questo concetto “esalta in modo assoluto il singolo individuo, e non lo dispone alla solidarietà, alla piena accoglienza e al servizio dell'altro”(n. 19). In breve, questo tipo di libertà rende impossibile una comunità democratica ed erodendo il consenso pubblico nei riguardi del bene comune, distrugge le fondamenta di una struttura democratica.            A questo punto l’Evangelium Vitae sposta su un livello più profondo lo scontro tra Cattolici e società contemporanea sulla domanda riguardante aborto ed eutanasia .I sostenitori dei diritti civili spesso rivendicano che una vera considerazione del pluralismo e della democrazia, richieda l’accettazione dell’aborto e dell’eutanasia. Essi sostengono che la divisione della società su questi temi possa essere propriamente risolta attraverso una privatizzazione o deregolamentazione.            In tutta risposta, Giovanni Paolo II sostiene che il concetto di libertà sottointeso nel “diritto” all’aborto e all’eutanasia, rende impossibile un vero rispetto per il pluralismo e per una struttura democratica durevole. Nell’Evangelium Vitae, il Santo Padre osserva che questo tipo di accordo è in realtà un invito per intere comunità o classi di cittadini ad essere “esclusi, emarginati, rimossi e soppressi” (n. 19). Quindi, la libertà di aborto che si presenta come essenziale per la realizzazione della libertà umana, diventa invece il veicolo attraverso il quale vengono negati i diritti di molti altri. Per Giovanni Paolo II, le origini di questa contraddizione sono la negazione di una libertà autentica  - quando viene proposto un concetto di libertà “ che non riconosce e rispetta più le sue linee essenziali con la verità” (n. 19). Questa separazione tra verità e libertà, crea una cultura in cui “viene meno ogni riferimento a valori comuni e a una verità assoluta per tutti ”(n. 20).            La conseguenza inevitabile di una separazione tra libertà e verità è l’istituzionalizzazione di una forma di conflitto destabilizzante all’interno delle stesse comunità. Scrive Giovanni Paolo II: “Se la promozione del proprio io è intesa in termini di autonomia assoluta, inevitabilmente si giunge alla negazione dell'altro [e] la società diventa un insieme di individui posti l'uno accanto

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all'altro, ma senza legami reciproci” (n. 20). L’impossibilità di trovare un consenso morale all’interno della comunità rende impossibile la vita comunitaria stessa e la realizzazione del bene comune.            La separazione della libertà dalla verità ha anche un implicazione nel ruolo della ragione nella dissertazione pubblica. La più importante di queste implicazioni, è la marginalizzazione della ragione come fondamento della società.Evangelium Vitae osserva quindi come la comunità sia sempre più incapace di mantenere se stessa “come luogo nel quale alle «ragioni della forza» si sostituisce la «forza della ragione».” (n.19). Il risultato è una sempre più grande incapacità ad ottenere un consenso su importanti questioni morali. Troppo spesso questa trasformazione culturale viene nascosta quando il dibattito sull’aborto/eutanasia è inserito semplicemente in un contesto di scontro tra la libertà dell’individuo e l’imposizione di una morale da parte dello Stato. Evangelium Vitae centra il discorso lanciando una domanda più importante. L’enciclica non guarda al dibattito sull’aborto incentrandolo sulla moralità o sulla questione di quando la vita umana incomincia o finisce.            Al contrario, il problema di fondo più importante è il conflitto fondamentale sulla natura e sulla dignità della persona umana. Riformulando la questione in questi termini, Evangelium Vitae sottolinea il fatto che l’uomo contemporaneo, per la prima volta, trova la sua libertà scardinata dalla verità di un oggettivo ordine morale esterno e dalla verità morale della sua stessa natura e dignità. Questa distorsione al centro della persona umana ha diminuito la possibilità di un’autentica comunione e comunità di individui. L’uomo è lasciato incredibilmente senza difese nei confronti dell’aumentare delle minacce provenienti dalla cultura anti-vita nichilista e dalla cultura della morte[8].            Quest’ultime non minacciano solo la vita della persona umana; ne minacciano   anche la coscienza. Questa società anti-vita, nel nome della libertà di scelta, minaccia la vita umana proprio perché ne distorce e sminuisce la coscienza che quindi diventa il luogo d’incontro tra queste culture.                       La cultura della morte ha fatto sì che Thomas More non sia solo “un uomo per tutte le stagioni” ma “un uomo per tutti i Cattolici”. La cultura della morte sfida tutti noi ad essere testimoni  dello splendore della coscienza cattolica.            Non dovremmo sorprenderci che l’Evangelium Vitae chieda “una generale mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo etico, per mettere in atto una grande strategia a favore della vita” (n. 95). Questa mobilitazione di coscienze in difesa della vita fatta dal “popolo della vita e per la vita”(n. 6), è al centro della visione evangelizzatrice dell’enciclica ed è anche il fondamento dell’approccio di Giovanni Paolo II verso la giustizia sociale e la legge. In questo modo, l’ Evangelium Vitae offre una risposta straordinaria alla corruzione della coscienza portata dalla ormai generalizzata pratica dell’aborto e dell’eutanasia.            Comunque, quest’enciclica non è la prima in cui il Santo Padre propone questo ruolo della coscienza nella trasformazione della società. Rivedendo le ragioni della caduta del Marxismo attraverso l’Europa dell’Est, Giovanni Paolo II scrive nella Centesimus Annus: “l'errore fondamentale del socialismo è di carattere antropologico”, poiché esso rigetta “ il concetto di persona come soggetto autonomo di decisione morale” (n. 13). La Centesimus Annus chiarisce che il confronto tra la Chiesa ed un qualsiasi ordine politico, che sistematicamente nega i diritti umani, deve concentrarsi all’interno della coscienza di ogni persona. Come nell’Evangelium Vitae, questa precedente enciclica asserisce che la missione della Chiesa confrontandosi con queste culture è quella di “un grande sforzo di [..] sensibilizzazione delle coscienze” (n. 52).            La Centesimus Annus osservava che la caduta del comunismo dietro alla cortina di ferro avvenne perché “le forme spontanee della coscienza operaia” espressero “una domanda di giustizia e di riconoscimento della dignità del lavoro” (n. 26). Ad esempio, in Polonia nel 1980,

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Padre Josez Tischner definì il Movimento di Solidarietà come legato in maniera innata alla “dignità umana che si basa sulla coscienza dell’essere umano”. In una serie di omelie pronunciate a Cracovia ai capi di Solidarność, Padre Tischner spiegò che: “ la solidarietà più profonda è la solidarietà della coscienza”[9].Quella stessa “solidarietà della coscienza” che Centesimus Annus aveva capito essere capace di distruggere la cultura anti-vita proposta dal totalitarismo marxista, è ora proposta da Evangelium Vitae come capace di distruggere la cultura della morte.            Se, come si è detto, la verità è la prima vittima della violenza, allora la cultura della morte è anche inevitabilmente una cultura in guerra con la verità. Infatti, la cultura della morte può continuare ad esistere soltanto nascondendo la verità riguardante la natura e la dignità della persona umana. Una delle più grandi menzogne di questa cultura è il suo rifiuto  a riconoscere l’umanità del bambino prima della nascita.            Nel caso Roe contro Wade, in cui fu legalizzato l’aborto durante la gravidanza, Harry Blackmun, giudice della Corte Suprema, diede una posizione legale a questo mascheramento della verità, dicendo:“ Dobbiamo risolvere l’intricata domanda di quando inizia la vita. Quando coloro che sono istruiti nelle rispettive discipline  quali medicina, filosofia e teologia non sono riusciti ad arrivare a nessun accordo...”[10].            Quando la cultura della morte è espressa in questo modo all’interno di un sistema legale, essa circonda il cittadino e la sua coscienza con un ambiente sociale che lo separa dalla verità su se stesso come persona umana. Quindi, accettare l’aborto sul piano legale, non uccide soltanto il bambino ma, in un certo senso, tutte le persone.            Nel 1978, Vaclac Havel con un suo scritto penetrò a fondo di questo fenomeno. Havel nel Potere dei senza poterescrisse:“La crisi profonda dell’identità umana che deriva dal convivere con una bugia, una crisi che al contrario rende questa vita possibile, certamente possiede anch’essa una dimensione morale; sembrerebbe tra le altre cose, una profonda crisi morale della società. Una persona sedotta dal consumismo, la cui identità si è dissolta nell’amalgama dell’abbigliamento di questa civilizzazione di massa, che non ha radici nella sua esistenza, nessun senso di responsabilità per qualcosa di più grande del suo o della sua personale sopravvivenza è una persona demoralizzata. Il sistema dipende da questa demoralizzazione, scava sempre più a fondo, è infatti una proiezione nella società”[11].            La persona descritta da Havel come una sedotta dal consumismo, la cui personalità è dissolta nella civiltà massificata, non esiste solo nelle società marxiste. Un processo simile di demoralizzazione della persona umana sta facendo il suo corso nella nuova cultura della morte in seno alle democrazie occidentali.            La risposta di Havel merita una profonda riflessione precisamente perché, con quest’analisi, egli cercò di reintegrare all’interno della politica della nativa Cecoslovacchia un senso di moralità, in modo che le persone potessero di nuovo “ vivere in verità”[12]. La riabilitazione dell’uomo “demoralizzato” richiede precisamente la riabilitazione della sua coscienza, attraverso la restituzione della relazione tra libertà e verità.            Jacques Maritain, in alcuni scritti della seconda guerra mondiale, esplorò le fondamenta cristiani della struttura politica democratica. Egli trovò che, nelle democrazie occidentali, il cristianesimo non era riuscito a soppiantare la coscienza secolare ma, al contrario, era riuscito a conquistare quella che definì l’“ispirazione evangelica” della coscienza secolare[13].            In Cristianesimo e Democrazia, Maritain concluse che:“ Ciò che è ammesso dalla coscienza profana, se essa non devia verso le barbarie, è la fede nella fratellanza umana, il senso del dovere sociale per cui l’uomo compatisce il debole e il sofferente, il

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convincimento che il compito per eccellenza della politica è di rendere migliore e più fraterna la vita comune, e di far sì che l’architettura di leggi, d’istituzioni e di usanze di questa vita comune diventi una casa per tanti fratelli”[14].            In breve, la proposta di Maritain è che ci fosse stata un “ispirazione evangelica” dei principi democratici che rese possibile la democrazia. Ridotta ai suoi tratti più essenziali, l’ispirazione cristiana della democrazia ottenne un consenso politico che portò al rigetto del “Machiavellismo e la politica di dominio”. Al suo posto si stabilì l’idea che “ la politica dipende dalla moralità perché il suo fine è il bene umano della comunità”[15].            In questo modo, Maritain vide l’importanza del ruolo vitale ed insostituibile dell’impegno dei cristiani nelle società democratiche a tutti i livelli del processo politico. Una coscienza secolare “evangelicamente inspirata” non è comunque la stessa cosa di una coscienza Cattolica o di una coscienza Cristiana. La difficoltà oggi giorno è che i politici cattolici non possiedono una coscienza Cattolica, ma una coscienza secolare con al massimo qualche evidenza di una qualche ispirazione evangelica. Quante volte sentiamo un politico cattolico affermare una filosofia politica o un principio guida che rifletta vada oltre quei valori che Maritain concluse essere stabiliti dall’“ispirazione evangelica” della coscienza secolare? Dovremmo aspettarci più di una coscienza secolare da un politico cattolico.            Comunque, quest’obbligo porta al suo interno un dilemma. Il Cardinal Joseph Ratzinger descrisse il problema quando si chiese in che modo fosse possibile: “permettere alla fede di avere un effetto come forza politica, senza trasformarsi in un altro elemento di potere?”[16]. Il Cardinal Ratzinger diede una nuova forma alla domanda, quando si chiese: “Come può il Cristianesimo diventare una forza positiva per il mondo politico, senza trasformarsi in uno strumento politico e dall’altro lato, senza afferrare il mondo politico per se?”[17].            Ovviamente una risposta sbagliata aprirebbe il prospetto a quello che Jacques Maritain definì adeguatamente come “ lo stato Cristiano farisaico”; uno stato che manipola fede e potere politico per preservare le strutture politiche esistenti.            La risposta dell’ Evangelium Vitae va in una direzione completamente opposta. E’ una risposta che cerca di difendere sia la coscienza secolare che quella cristiana e nel fare ciò, trova una risposta articolata nel contesto del Concilio Vaticano Secondo:“ la potestà civile deve provvedere [affinché] l’uguaglianza politica dei cittadini, che appartiene essa pure al bene comune della società, per motivi religiosi non sia, apertamente o in forma occulta, mai lesa, e che non si facciano fra essi discriminazioni”[18].            L’Evangelium Vitae abbraccia gli ideali democratici e cerca di evangelizzarli attraverso una comunità di credenti trasformata in nuovo “popolo della vita e per la vita”. In questo modo, l’enciclica cerca di riabilitare la coscienza secolare in merito ai veri principi degl’ ideali democratici.            Ciò che l’Evangelium Vitae porta all’interno del dibattito (n. 18-24) è un nuovo risveglio della sensibilità morale, la riabilitazione del concetto di libertà e la presentazione del ruolo e della dignità della coscienza. Questo triplice approccio offre l’unica opportunità durevole per evitare  un inaudito abuso dei diritti umani sui più deboli, gli handicappati e tutti coloro senza difesa che sono adombrati dalla cultura della morte.            L’“ispirazione” della coscienza è possibile perché, come Giovanni Paolo II ha osservato, c’è una “logica morale che illumina l'esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli. [..] La legge morale universale, scritta nel cuore dell'uomo, è quella sorta di "grammatica che serve al mondo per affrontare questa discussione circa il suo stesso futuro ”[19].            Dobbiamo però domandarci qual’è la lingua che usa questa grammatica? Si è discusso sul fatto che “la libertà di abortire voglia dire che la donna deve essere libera di scegliere per se stessa.......Non esiste modo facile di negare la potente argomentazione che l’uguaglianza di una

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donna nella società le dia alcuni diritti irriducibili nei confronti della sua natura, incluso il diritto di prendere la vita al suo interno”[20]. Quello che colpisce in questa frase, non è tanto la base ideologica della retorica sulla libertà d’aborto, ma l’identificazione esplicita con la cultura della morte.            Ma questo non è tutto. Se il diritto all’aborto non può essere limitato insieme dal diritto a vivere di un innocente creatura umana e dall’interesse dello stato nel proteggere una vita umana, come è possibile che possa essere limitato dal diritto di coscienza?            In contrasto con questa visione di libertà, Evangelium Vitae rifiuta ogni “concezione della libertà che esalta in modo assoluto il singolo individuo” (n. 19). L’insistenza di Giovanni Paolo II sul fatto che la libertà debba avere un “collegamento essenziale con la verità”, dichiara che la verità è legata non con qualche codice morale esterno ma anzitutto con la vera identità e dignità della persona umana e questo deve includere un riconoscimento dell’inviolabilità della coscienza.            Come Giovanni Paolo II ci ha ricordato alle Nazioni Unite: “il riferimento alla verità sull'uomo [...] è, in realtà, la garanzia del futuro della libertà”[21]. E’ soltanto quando la dignità della persona umana è riconosciuta e rispettata dall’ordine pubblico che esiste una possibilità per gli uomini e per le donne di vivere non soltanto in libertà ma in verità.            Oggi la Common Law è la base del sistema legale Inglese e di molti altri paesi formalmente sotto il regolamento britannico come Stati Uniti, Canada e Australia. L’Inghilterra, terra di San Thomas More, è anche la terra di nascita della Common Law; esso trae origine dalla legge naturale ed era visto come superiore ed indipendente dallo stato[22]. Molti diritti civili, anche quelli compresi nella Costituzione americana, sono da attribuire, almeno in parte, al sistema dellaCommon Law. “Esso enfatizza il consenso più che il dominio, la comunità più che lo Stato, l’autorità morale più che il potere fisico”[23]. Il sistema riconosce anche il valore di un precedente. Eppure, come scoprì San Thomas More, anche laCommon Law inglese – la tradizione indipendente del giusto o sbagliato all’interno di una comunità, non riuscì ad esonerarlo dal fare un giuramento di supremazia basato sulla coscienza e non potette salvarlo dalla decapitazione.            Comunque, Thomas More rimase saldo alle sue convinzioni e, strano ma vero, anche alla Common Law. William Blackstone, uno dei più grandi commentatori della Common Law e uomo verso il quale  i redattori dei documenti fondativi degli Stati Uniti  hanno un grosso debito di riconoscenza[24], scriveva: “Guai se una legge umana dovesse permetterci o portarci a commetterlo (un atto contrario alle legge divina o naturale), siamo obbligati a trasgredire quella legge umana altrimenti offenderemmo assieme la natura ed il divino”[25]. Thomas More come “buon suddito del Re, ma prima di Dio” certamente teneva molto a questo principio ma nessun atto di tolleranza per un uomo di coscienza arrivò dal Re Enrico VIII.            Negli anni a seguire, fortunatamente, l’Inghilterra ed altri Stati della Common Law diventarono sempre più tolleranti nei confronti di casi di coscienza ma, ad oggi, in questi paesi, non esiste uno standard assoluto per le esenzioni da obiezione di personale medico o farmacista che si dovesse confrontare con un caso di coscienza. Questi paesi quindi fanno uno sforzo per cercare di bilanciare i diritti di coscienza con quei diritti acquisiti verso i diversi tipi di procedure mediche. In generale, sembrerebbero muoversi verso l’accettazione di almeno alcuni casi di coscienza anche se esistono preoccupanti eccezioni. Benché per seguire il proprio Credo alcuni fornitori di servizi sanitari sono ricorsi alla legge, in molti casi il diritto di obiezione di coscienza sembra essere prevalso nei paesi della Common Law e così, dottori, farmacisti e personale medico riescono a far prevalere con successo le loro obiezioni morali nell’eseguire procedure quali l’aborto oppure dal dispensare i cosiddetti “contraccettivi di emergenza”. [Ho limitato questo commentario all’aborto e agli anti-concezionali, visto che sono le prime cause di preoccupazione tra i fornitori di servizi sanitari. In più, questo apparente spostamento verso una maggiore libertà

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nel fare eccezioni di coscienza in queste aeree potrebbe portare a precedenti in altre zone piene di problemi etici].            Nell’arco dei secoli, si è sviluppato un orientamento verso la libertà di religione e di coscienza. Sicuramente, gli ultimi cento anni hanno apportato una maggiore tolleranza di idee religiose in Inghilterra, dove le restrizioni nei confronti dei Cattolici furono finalmente tolte agli inizi del diciannovesimo secolo, e negli Stati Uniti dove fin dal diciottesimo secolo hanno custodito la libertà religiosa come un diritto preminente. C’è quindi una ragione di pensare che ci si stia muovendo verso una situazione in cui il singolo caso venga affermato in modo da portare ad una maggiore comprensione e facilitazione della coscienza dei singoli fornitori di servizi sanitari. Comunque, non esistendo una unanimità di opinione in queste aree, continuano ad essere prese decisioni contraddittorie sulla libertà di opinione. “Questo problema è la faglia di Sant’Andrea della nostra cultura”, ha dichiarato Gene Rudd della Christian Medical & Dental Association. “La decisione che prenderemo avrà un largo impatto sulla nostra società”[26].            Specialmente nei campi dell’aborto e dei contraccettivi molte giurisdizioni hanno incorporato elementi sull’obiezione di coscienza, ma il diritto assoluto a questa obiezione non è ancora accettato universalmente. Questo è tra l’altro soggetto di un largo dibattito e da fenomeni di Lobby da parte di avvocati abortisti, che spesso cercano di forzare procedure immorali su coloro che svolgono una professione medica[27]. Troppo comuni sono opinioni come quelle di Ken Kipnis, professore di filosofia: “ Se i vostri orientamenti religiosi vi impediscono di assolvere alle vostre responsabilità professionali, vuol dire che  non avreste dovuto accettare tali responsabilità in primo luogo[..] dovreste trovare un altro lavoro”[28].            Fortunatamente, la legge è stata spesso generosa nei riguardi del personale sanitario. Per quanto riguarda l’aborto esiste in Inghilterra un primo esempio di clausola pro-coscienza.La sezione 4(1) dell’Abortion Act del 1967, afferma che: “Nessuna persona avente un obiezione di coscienza, sotto alcuna circostanza, sia questa un contratto o un qualsiasi requisito legale o prescritto e’ tenuta a prendere parte alle procedure autorizzate dal suddetto articolo [...]”[29].Anche se l’onere della prova rimane a carico della persona che ha fatto l’obiezione di coscienza, una dichiarazione sotto giuramento di tale obiezione “è sufficiente evidenza per  assolvere la persona dall’onere stesso”[30].            La sezione 4(1) della legge del 1967 non era nel programma originale, ma fu introdotto per paura che i dottori sarebbero stati sotto pressione nello svolgere una procedura contro il loro Credo. E’ interessante sapere che un emendamento che non rientrò nella stesura finale della legge affermava: “nessuna persona [dovrà essere] [...] privata o esclusa da una promozione o un qualsiasi vantaggio a causa della sua obiezione di coscienza”[31].Sembrerebbe che questa protezione, benché meglio che niente, abbia comunque dei limiti.            Anche i farmacisti in Inghilterra sembrerebbero trarre vantaggio da alcune esenzioni di coscienza. La Reale Società Farmaceutica accorda alcune libertà ai farmacisti: Il Codice di Etica, Parte 2A1(k) dichiara che : “ prima di accettare un posto di lavoro i farmacisti devono rivelare qualsiasi causa che possa avere un effetto sulle capacità di attuare determinati servizi. Quando le credenze religiose o le convinzioni personali dei farmacisti li prevengono dall’offrire un servizio, essi non devono criticare o condannare il paziente ma  loro stessi od un collega indirizzarlo verso un altra risorsa in grado di assicurare il servizio”[32].            Comunque, proprio perché le linee guida stipulano che un farmacista debba “indirizzare il cliente verso un altra risorsa in grado di assicurare il servizio”, coloro che obiettano di fornire una particolare prescrizione medica possono trovarsi davanti ad una posizione strana poiché se

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non sono attori sono comunque complici. Alcuni hanno rifiutato di re-indirizzare i loro pazienti, e le conseguenze legali sono  tuttora ancora poco chiare[33].            Sembrerebbe che molti paesi del Diritto Comune abbiano seguito l’Inghilterra per quanto riguarda il permesso a dottori e farmacisti nel negare servizi medico-sanitari che trovino moralmente inaccertabili – almeno sotto alcune condizioni.  Un articolo datato 2002 del BC Catholic, giornale canadese, citava:            “Non si è ancora sicuri ma sembrerebbe che le infermiere canadesi possano usufruire del diritto all’obiezione di coscienza. Sia il codice etico delle Infermiere che l’accordo collettivo riconosce il diritto a non portare avanti delle cure che possano offendere la loro moralità fintanto che il paziente sia portato in un’altro istituto... Comunque, una recente cancellazione di un contratto all’ospedale femminile B.C. così come alcuni sviluppi in altre province, fanno aumentare i dubbi sul fatto che le infermiere godano in effetti di vera libertà di coscienza e religione”[34].L’articolo cita diversi esempi di infermiere forzate a partecipare ad aborti dagli stessi ospedali, ma nella maggior parte dei casi, dopo anni di lotte, i risultati hanno favorito coloro che sono rimaste salde alla loro obiezione di coscienza.            L’Associazione Medica Canadese scoraggia ogni forma di disparità, affermando che “ nessuna discriminazione deve essere praticata su dottori che non vogliono praticare o assistere ad un aborto indotto. Bisogna sollecitare il rispetto per il diritto alla decisione personale in questa area di lavoro e in maniera particolare per dottori che si stanno preparando in ostetricia, ginecologia e anestesia”[35].            All’inizio dell’anno, il Daily Herald Tribune di Grande Prairie, Alberta riportava che “I farmacisti di tutto il Canada hanno diritto di rifiutare la vendita di contraccettivi per problemi di coscienza, finché  indirizzino i clienti verso chi li può vendere”[36].Sia in Canada che in Australia, si vedono miglioramenti per gli obbiettori di coscienza. Negli ultimi venti, trent’anni molte sono state le battaglie legali ed i discorsi sulla coscienza, con un spostamento, in linea di massima, verso qest’ultima.In Australia, è generalmente permessa l’obiezione di coscienza per dottori e farmacisti.Nel 2002, ad esempio, assieme al passaggio di una legge liberale sull’aborto nello Stato di Canberra, passò anche un emendamento per l’obiezione di coscienza di dottori che non avrebbero optato per la procedura[37]. In molte zone del paese, incluso il Territorio della Capitale, l’Australia Meridionale, la Tasmania e Victoria, la legge riconosce al personale medico di esentarsi dall’eseguire un aborto[38].            Nel 2003, il The Age riferiva che: “i farmacisti che si oppongono moralmente dal vendere contraccettivi di emergenza, possano rifiutarsi di vendere il farmaco rimanendo però aperti ad una qualsiasi azione legale”[39]. Nel 2004 la CBS News riportò che un farmacista “ avente un obiezione morale, non è obbligato a fornire il prodotto, ma ci si aspetta che egli indirizzi il cliente ad un fonte alternativa”.  La storia continuava dicendo che alcuni farmacisti si rifiutano di “ indirizzare i clienti ad altri fornitori”[40].            Sempre fino all’anno scorso, il dibattito imperversava in Australia: “Tony Abbott, ministro della salute, era convinto che i singoli farmacisti avessero il diritto di decidere se vendere o meno la pillola del giorno dopo. L’opposizione federale al contrario affermava l’obbligo dei farmacisti a vendere un ampio spettro di prodotti, in particolare in cittadine con un’unica farmacia”[41]. Nonostante ci siano ancora alcune zone d’ombra, tutto sommato, l’idea di un’obiezione di coscienza per coloro che si oppongono a procedure come l’aborto, sembra farsi spazio in Australia.            Negli Stati Uniti, sia il Governo Federale che molti stati hanno provveduto a fornire forme di esenzione di coscienza per dottori contrari all’aborto.

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            La disputa sull’accesso all’aborto incominciò immediatamente dopo la legalizzazione della procedura da parte della Corte Suprema nel 1973. Sei mesi dopo, il Congresso formulò una serie di esenzioni per dottori e ospedali con obiezioni morali nei confronti dell’aborto. Quarantasette stati passarono leggi simili e la Louisiana, uno degli stati più restrittivi della nazione, dichiarò anche che nessuno avrebbe dovuto essere forzato a raccomandare o consigliare un aborto[42].            Recentemente, il Congresso ha fatto un passo avanti per proteggere i dipendenti di strutture sanitarie, la cui coscienza gli vieta di partecipare a tali procedure. Nel 2004, il Weldon Amendment divenne Legge Federale, dando “protezione federale ai dipendenti di strutture sanitarie, inclusi ospedali e assicuratori, che non scelgono di partecipare ad un aborto”[43]. L’emendamento dichiara che: “ Nessuno dei fondi resi disponibili in questo provvedimento [il federal Health and Human Services appropriations bill per l’anno fiscale 2005] sarà elargito ad un’agenzia o programma federale, stato o governo locale, se questa agenzia, programma o governo discriminasse una struttura sanitaria, privata o pubblica, sulla base del rifiuto della struttura ad effettuare, pagare, fornire copertura o indirizzare un aborto. (2) In questa sottosezione, con il termine “entità sanitaria”, si indica un singolo medico o altri professionisti sanitari, un ospedale, un’organizzazione medica sponsorizzata, un’organizzazione di mantenimento della salute, un piano assicurativo sulla salute o un qualsiasi altro tipo di strutture medico-sanitarie, organizzazioni o piani”[44].L’emendamento non fu accettato universalmente. L’avvocato Generale della California Bill Lockyer fece immediatamente causa per bloccarlo dall’entrare in vigore. [ Il caso è ancora aperto].Per quanto riguarda i farmacisti, negli Stati Uniti la legge cambia a seconda degli stati. A partire dal primo di agosto di quest’anno:            “ Quattro Stati – Arkansas, Georgia, Missisipi e Sud Dakota – hanno firmato una legge che permette ai farmacisti di rifiutarsi dal dispensare “contraccettivi d’emergenza”. L’Illinois ha  approvato una regola d’emergenza che richiede al farmacista di dispensare contraccettivi approvati dal FDA. Colorado, Florida, Maine e Tennessee hanno larghe clausole per il rifiuto che non si riferiscono specificatamente ai farmacisti mentre in California gli stessi hanno dovere di prescrivere farmaci e si possono rifiutare solo previa autorizzazione del datore di lavoro e se il paziente può accedere al farmaco in tempo utile”[45].            Purtroppo, rimangono ancora problemi difficili e preoccupanti. Mentre i farmacisti ed il personale medico possono spesso ricorrere ad un’obiezione di coscienza, gli ospedali inclusi quelli cattolici, sono costantemente attaccati da leggi che cercano di obbligarli a fornire contraccettivi d’emergenza a vittime di stupri.            Il Connecticut fa parte di un numero crescente di stati che stanno considerando o hanno già approvato leggi che richiedono agli ospedali di fornire un Piano B o comunque dare informazioni sui contraccettivi d’emergenza a vittime di stupro. Secondo i gruppi di difesa, il Massachusetts, California, New Jersey, New Mexico, New York, Sud Carolina e Washington richiedono agli ospedali di dispensare il farmaco. Gli ospedali cattolici non sono esenti da questa legge anche se nello stato del New Jersey e New York delle concessioni per rappacificarsi con la Chiesa hanno fatto in modo che la pillola non venga somministrata se la donna è già incinta.Leggi simili stanno per essere approvate in dodici stati incluso il Connecticut[46].Il “Connecticut bill” fu sconfitto, ma la spinta verso l’obbligo degli ospedali a svolgere procedure non etiche è preoccupante, così come il fatto che l’aborto può essere reso obbligatorio per dottori sotto tirocinio ed un loro rifiuto può ripercuotersi sulla carriera. E’ questo il caso di New York: “ Nel luglio del 2002 gli undici ospedali pubblici della città hanno imposto un tirocinio obbligatorio sull’aborto a tutti i medici interni. A seguito di questa brutta notizia, è affiorato un segno di

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incoraggiamento. Il 25% (trentotto dei centocinquanta dottori in tirocinio) sono usciti dal programma, anche se quest’azione potrebbe comprometterne la carriera[47].Nei paesi della Common Law, le sfide alla coscienza per un professionista del servizio sanitario continuano; il sistema odierno è tuttora lontano dall’essere adeguato o uniforme per far fronte a questi problemi. Questi continueranno a crescere quando nuove procedure non etiche verranno viste come normali da alcuni e giuste da altri. Una buona visione generale della situazione negli Stati Uniti è stata fatta nel 2002 dalla Conferenza Episcopale Americana che durante una dichiarazione fatta al Congresso, ha dichiarato:   “Mentre il principio di protezione del diritto di coscienza è largamente accettato, la sua concretizzazione è stata ben lontana dall’essere perfetta e ciò crea un bisogno di una legislazione più aperta e lungimirante. La maggior parte delle protezioni federali sui casi di coscienza vengono applicate soltanto a specifici programmi o fondi federali. Il loro scopo è quindi limitato da questi elementi e da un ristretto numero di procedure attivate.Nonostante la maggior parte degli stati accetti e protegga il diritto di coscienza, le loro leggi soffrono a causa di inadeguatezze simili tra loro. La maggior parte di queste leggi si limita all’aborto. Solo pochi stati proteggono il personale sanitario dalla coercizione a svolgere la sterilizzazione. Sono poche le leggi esistenti che proteggono tutta la percentuale di individui ed istituzioni impegnate nel fornire servizi medici nel nostro sempre più complesso sistema sanitario. Molti stati non proteggono il diritto di coscienza nell’uso delle nuove tecnologie come la clonazione e la ricerca embrionale o nell’uso sbagliato di tecnologie più vecchie come la maternità surrogata. Gli stessi stati non hanno ancora sentito il bisogno di proteggere i fornitori medico-sanitari per quanto riguarda le nuove minaccie riguardanti la fine della vita, come il suicidio assistito o l’eutanasia. Un commentatore ha notato che: “Con l’aumentare delle tecnologie mediche..., il numero di servizi sanitari che tengano conto dei seri conflitti di coscienza diminuirà sicuramente. (6)Con  minacce alla coscienza sempre più incombenti, è importante per gli stati allargare e rinforzare le norme di protezione già esistenti. Queste minacce sono diventate in particolar modo apparenti negli ultimi anni specialmente nel campo dell’aborto e della contraccezione[48].  I paesi della Common Law hanno ancora molto lavoro da fare per sviluppare appieno una legge sulla coscienza in campo medico, anche se, comunque una speranza è già data dai piccoli passi fatti in questi anni.            Sembrerebbe che la discussione sul ruolo della coscienza tra un politico ed un fornitore di servizi sanitari entrambi cattolici, siano due problemi distinti e non collegabili. Se fosse vero che la grande difficoltà dei politici cattolici riguarda il fallimento nel formare un’adeguata coscienza cattolica e capire in maniera appropriata l’implicazione che una richiesta di coscienza ha sulle proprie responsabilità pubbliche, allora difficilmente vedremo in futuro delle leggi – create attraverso un processo legislativo o giudiziario – in grado di far rispettare il diritto di una coscienza ben formata. Ancora una volta ritorniamo ad una scena di Un uomo per tutte le stagioni, in particolare questa volta alla conversazione tra More ed il suo amico, il Duca di Norfolk. E’ chiaro che la posizione di More è incomprensibile al Duca visto la richiesta, in onore della loro amicizia, di unirsi agli altri membri della nobiltà nell’accordare i voleri del Re. Quando San Thomas chiede al Duca se una volta fatto quello che avrebbe dovuto fare lo avrebbe seguito all’Inferno in nome dell’amicizia, Norfolk si lamenta dell’ostinazione di More. In breve, come possiamo aspettarci da coloro che hanno fallito nel prendersi buona cura della loro coscienza, di prendersi cura di quella degli altri?

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            Giovanni Paolo II ha elevato il ruolo dei cattolici insistendo, sia in Veritatis Splendor che nell’Evangelium Vitae,che il consenso morale all’interno di una società deve riconoscere i tre principi fondamentali della cultura della vita.            Il primo è il valore incomparabile della dignità di ogni persona umana qualsiasi sia la sua età, condizione sociale o razza. Questo è particolarmente vero nel caso dei poveri, dei deboli e di coloro che non si possono difendere e lo è anche per la dignità della coscienza umana.            Secondariamente, trattare un uomo come strumento o mezzo, per arrivare ad un fine prestabilito, è una violazione della dignità umana. Al contrario, ogni persona dovrebbe essere vista per ciò che è, non come un oggetto da manipolare. In fine, l’omicidio intenzionale di un innocente, qualsiasi siano le circostanze ed in particolare nell’aborto e nell’eutanasia, non può essere giustificato moralmente.In questi principi morali, possiamo vedere che la missione della Chiesa nel costruire la cultura della vita è inseparabile dall’eredità lasciata del Concilio Vaticano Secondo. In particolare modo per gli insegnamenti del Concilio sulla coscienza, la libertà e la dignità umana.Nell’insistere che i Cattolici devono essere “gente della vita per la vita” (n. 6), Giovanni Paolo II ha schematizzato la missione dei Cattolici nella conversione delle culture. In questa missione, l’Evangelium Vitae presenta le i tratti salienti dell’identità cattolica del terzo millennio in cui “la dignità della persona e il Vangelo della vita sono un unico e indivisibile Vangelo” (n. 2). Nel diventare “gente della vita per la vita”, il popolo cattolico darà una testimonianza più sincera della verità, della coscienza e della possibilità di costruire una cultura della vita. Ma questa “gente della vita per la vita” potrà esistere solo se sarà “una comunità di coscienze per sempre”, o come l’avrebbe chiamata Giovanni Paolo II, “una grande solidarietà di coscienze per sempre”. I cattolici devono avere una coscienza cattolica e quella coscienza per essere tale deve vivere in loro per tutta la vita. 

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[1] bolt r., Un uomo per tutte le stagioni, Firenze: Sansoni, 1966: p. 124. [2] bolt, Un uomo..., p. 52. [3] Miller C., ed., Complete Works of St. Thomas More, New Haven: Yale University Press, 1976, vol. 14, pt. 2, p. 775. [4] moro t., Gesù al Getseman;, De Tristitia Christi,Milano: Paoline, 2001: p. 81. [5] Fukuyama F., The End of History and the Last Man, New York: The Free Press, 1992. [6] John Paul II, Address to the General Assembly of the United Nations, October 5, 1995; L’Osservatore Romano,Edizione inglese, 11 Ottobre, 1995, p. 8. [7] Il riconoscimento di Giovanni Paolo II nel punto 18 delle sofferenze e della mancanza di speranza che spesso pervade queste decisioni contro la vita e la sua sensibilità nel punto 99 nel dare delle risposte pastorali a donne che hanno avuto un aborto riflettono l’impegno profondo di solidarietà che traspare nell’enciclica. [8] Anderson C., “’Evangelium Vitae’ e cultura post-moderna” in Evangelium Vitae: Enciclica e Commenti, Citta del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 1995, stampato anche nell’’Osservatore Romano del 28 Aprile 1995.[9] Tischner J., The Spirit of Solidarity, San Francisco: Harper and Row Publishers, 1984, p.4. [10] Roe v. Wade, 410 U.S. 113 (1973). [11] Havel V. Reprinted in., Living in Truth, London: Faber and Faber, 1986, p. 62. [12] Ibid., p. 63. [13] maritain jacques, Cristianesimo e democrazia, Milano: Vita e Pensiero, 1977, p. 47-48. (Prima edizione, New York ,1943). [14] Ibid., p. 47. [15] Ibid., pp. 42-43.  Certamente non tutti i contemporanei di Maritain erano così sanguigni nel considerare l’influenza del cristianesimo nelle democrazie moderne. Ad esempio, Christopher Dawson nel 1938 scrisse: “ Penso che si possa discutere sul fatto che il Comunismo in Russia, il NazionalSocialismo in Germania ed il Capitalismo e le Democrazie liberali nei paesi occidentali siano tre forme di una stessa cosa, e che si muovano tutte su linee parallele verso uno stesso fine, cioè la meccanizzazione della vita umana e la completa subordinazione dell’individuo allo stato ed al mercato economico. Vedi, Dawson C., Religion and the Modern State, Sheed and Ward, New York, 1938, p. XV.  [16] Ratzinger J., Church, Ecumenism and Politics: New Essays in Ecclesiology, New York: St. Paul Publications,1988, prima edizione in tedesco, 1987, p. 173. [17] Ibid., p. 216. [18] concilio ecumenico vaticano II, Dichiarazione su “La Libertà Religiosa” Dignitatis humanae, 6 (1965). [19] Discorso alla 50ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite,    5 Ottobre, 1995, op. cit. [20] Wolf N., “Our Bodies, Our Souls”, The New Republic, October 16, 1995, p. 33. [21] Discorso alla 50ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite,    5 Ottobre, 1995, op. cit. [22] Clinton R., God and Man in the Law: The Foundations of Anglo-American Constitutionalism, Lawrence: Univ. of Kansas Press, 1997, p.102-103. [23] Stoner James, Jr., Common-Law Liberty: Rethinking American Constitutionalism, Lawrence: Univ. of Kansas Press, 1999, p. 5. [24] Wayne House, “A Tale of Two Kingdoms: Can There be Peaceful Coexistence of Religion with the Secular State?”,BYU Journal of Public Law, vol. 13, 1999, p. 221. [25] Citato in Wayne House, “A Tale of Two Kingdoms: Can There be Peaceful Coexistence of Religion with the Secular State?”, BYU Journal of Public Law, vol. 13, 1999, p. 235. [26] Stein R., A Medical Crisis of Conscience, The Washington Post, 16 luglio, 2006, A1, online. 

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[27] Feminist Majority Foundation, Feminist Daily Newswire Sept. 24, 2002          http://www.feminist.org/news/newsbyte/uswirestory.asp?id=6910 [28] Stein. [29] Legge sull’aboro del 1967 citata in www.consciencelaws.org/Conscience-laws-United-Kingdom/LawUK01.htm   [30] Ibid. [31] Engel J., Abortion Law Reform and Conscientious Objection in the United Kingdom in nucleus, Ottobre2004,http://www.consciencelaws.org/ConscienceArchive/Documents/Abortion% 20Law%20Reform%20UK.html#13 [32] The Royal Pharmaceutical Society of Great Britain, Fitness to Practise and Legal Affairs Directorate: Fact Sheet: Thirteen, Employing a Locum/Working as a Locum, Novembre 2005, http://www.rpsgb.org/pdfs/factsheet13.pdf [33] Sanderson T., Nothing for the Weekend, in The New Humanist, 3 maggio, 2005 [34] Edwards G., Accommodating Conscience in The BC Catholic, Ottobre 2002, http://www.consciencelaws.org/Examining-Conscience-Background/ Abortion/ BackAbortion29.html [35] http://www.cma.ca/index.cfm/ci_id/3218/la_id/1.htm [36] Pharmacists in Religious Community Balking at Plan B Pill in The Daily Herald Tribune, 31 Gennaio, 2006, p. 7. (Lexis) [37] McLennan David, It’s not over say abortion adversaries, Canberra Times, 24 Agosto, 2002, C3. (Lexis) [38] http://www.childrenbychoice.org.au/nwww/auslawprac.htm [39] Wood M., Morning-after Pill Available over the Counter in The Age, 28 Dicembre, 2003 [40] Goodenough P., Objecting Pharmacists Refuse to Sell ‘Morning-After-Pill’, Cybercast News Service, 6 gennaio, 2004 [41] Cronin D., Morning After Pill Refused: ‘Battleground’ over Contraceptives Supply, Canberra   Times , 2 Aprile, 2005, A9. (Lexis) [42] Walsh B., Wording Bolsters Foes of Abortion: Women in Senate are Ready to Fight It, Times Picayune, 29 Novembre, 2004, National 1, (Lexis). [43]  http://www.nrlc.org/federal/ANDA/HydeWeldonwebnrlnews.html [44] Ibid. [45] States look at pharmacist 'conscience' laws regarding EC, Drug Formulary Review ,1 Agosto, 2006, (Lexis). [46] Haigh S., Connecticut Bishops Pursuing Stricter Interpretation of Abortion, Associated Press, 12 Marzo, 2006, (Lexis). [47] http://www.projectreach.org/nycDoctors.shtml [48] http://www.nccbuscc.org/prolife/issues/abortion/kansas202.htm

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PATRICIO VENTURA-JUNCÁ L’OBIEZIONE DI COSCIENZA NELLA PRATICA MEDICO-SANITARIA:IL CASO DELLA CONTRACCEZIONE D’EMERGENZA

1. Il dibattito sull’effetto abortivo del levonorgestrel usato per la contraccezione d’emergenza, e l’obiezione di coscienza.

 Vorrei discutere i problemi etici e scientifici della contraccezione d’emergenza, in particolare riguardo all’impiego del levonorgestrel (LNG), noto anche come ‘pillola del giorno dopo’, allo scopo di esemplificare la questione dell’obiezione di coscienza in campo sanitario. In Cile, il Ministero della Salute ha stabilito che l’LNG venga fornito gratuitamente dagli ambulatori a chiunque ne faccia richiesta, compresi gli adolescenti tra i 14 e i 18 anni senza bisogno del permesso dei genitori, né l’obbligo a informarli. Alle donne che richiedono l’LNG viene detto che la sua assunzione non interferisce con l’annidamento. Diversi governi locali si sono rifiutati di distribuire la pillola argomentando che per principio non possono fornire consapevolmente, tanto meno ai minori, un farmaco che compromette la vita umana.Nella controversia etica sulla contraccezione d’emergenza, in aggiunta alle obiezioni generiche sollevate dalla contraccezione in generale, è sorta un’ulteriore questione: il possibile effetto abortivo. Il dibattito pubblico è concentrato su ques’ultima questione, specie in America Latina, dove l’aborto è illegale in molti Paesi. Da qui sono nate varie polemiche circa l’approvazione della pillola. I problemi etici della contraccezione e dell’aborto sono distinti e fanno appello a sensibilità morali diverse, sebbene esista una forte connessione ideologica tra esse1. In questo contesto bisogna considerare anche l’obbligo da parte delle autorità sanitarie a fornire alla popolazione un’informazione chiara ed esaustiva sull’effetto di cui sopra.Il dibattito è importante per coloro che riconoscono come la genetica e l’embriologia moderna abbiano dimostrato che la vita di un nuovo essere umano inizia dal momento della fecondazione e che ogni essere umano gode di un irrevocabile diritto alla vita indipendentemente dallo stadio del proprio sviluppo o dalla progressione delle facoltà cognitive. La cultura latino-americana conserva una maggiore sensibilità riguardo a tali questioni ed è per questo che la polemica è stata e continua ad essere incentrata sulle prove scientifiche dell’effetto abortivo. Non ci riferiamo qui alla definizione di aborto data dall’OMS, che non comprende l’embrione prima che si impianti nell’utero, ma al concetto reale e sostanziale di aborto, cioè che: “nessuna parola vale a cambiare la realtà delle cose: l'aborto procurato è l'uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita”.2Inizialmente in Cile, nel corso del dibattimento davanti alla Corte Suprema circa la legittimità di commercializzare l’LNG, le autorità sanitarie locali ammisero che uno dei possibili effetti della pillola fosse di impedire che l’embrione si annidasse nell’utero, ma si riconobbe che l’LNG non era abortivo secondo la definizione dell’OMS. La Corte Suprema ne proibì la commercializzazione in attesa di una concreta definizione di aborto.3  Da allora in poi i difensori dell’LNG concentrarono le proprie argomentazioni sul concetto che le nuove scoperte scientifiche negavano qualsiasi effetto anti-impiantatorio. La Corte Suprema revocò, quindi, il divieto nella convinzione che il problema andasse risolto in seno alla comunità scientifica. 

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2.      Lo scopo della contraccezione d’emergenza La ricerca sulla contraccezione d’emergenza mira a creare farmaci altamente efficaci nel ridurre l’eventualità di una gravidanza in seguito a ‘un rapporto sessuale presumibilmente fecondante (PFI, nella sigla inglese)4,5,6 detto anche ‘rapporto non protetto’. In tali casi, riferirsi alla somministrazione di farmaci in tali casi con l’espressione ‘contraccezione d’emergenza’ introduce un linguaggio fuorviante per il pubblico, che di solito interpreta questa espressione come ‘prevenzione del concepimento o della fecondazione’7, laddove l’obiettivo non è solo questo. I ricercatori stessi ammettono che per una efficace riduzione della probabilità di una gravidanza, non basta che la pillola del giorno dopo abbia un effetto contraccettivo, bloccando sia l’ovulazione che la fecondazione, ma che ‘dovrebbe essere in grado di interferire con l’evento fisiologico che si verifica dopo la fecondazione, durante il primo sviluppo embrionale precendente all’annidamento’ (Figura 1). Quello che segue andrebbe sottolineato: l’effetto intercettivo, o abortivo[7] non è stato suggerito da persone contrarie alla contraccezione d’emergenza, ma dagli stessi ricercatori che stavano notoriamente studiando farmaci con tale effetto. Questo implica che la contraccezione d’emergenza è stata presentata da una posizione ideologica che, sebbene non esplicitamente dichiaratasi tale, di fatto nega all’essere umano il diritto alla vita allo stadio pre-impianto.I farmaci contragestativi, in contrasto con i normali contraccettivi, vengono prescritti in base al PFI (vedi sopra). Si raccomanda l’uso dell’LNG subito dopo il ‘rapporto sessuale potenzialmente fecondante’ in due dosi da 0.75 mg prese a intervalli di 12 ore, o in un’unica dose da 1.5 mg. 3. Efficacia dell’LNG            L’efficacia dell’LNG nel ridurre la probabilità di gravidanza è tanto maggiore quanto prima viene assunto il farmaco. Si calcola sia intorno all’85% se preso nelle prime 72 ore dopo il rapporto potenzialmente fecondante e intorno al 60% tra le 72 e le 120 ore. Per comprendere il metodo utilizzato per misurare l’efficacia della contraccezione d’emergenza, bisognerebbe ricordare che una donna può iniziare una gravidanza solo se ha avuto un rapporto sessuale durante i giorni fertili del suo ciclo mestruale, ossia cinque giorni prima e un giorno dopo l’ovulazione. Wilcox ha calcolato la probabilità di gravidanza basata sul giorno del rapporto sessuale in relazione all’ovulazione (Figura 2).8Altri, come Trussell, hanno fatto calcoli simili.9 È quindi possibile stimare l’insorgere della gravidanza per un gruppo specifico di donne moltiplicando il numero di quelle che hanno avuto un rapporto sessuale in un determinato giorno fertile in relazione all’ovulazione, attraverso la probabilità di gravidanza stimata per quel dato giorno. La contraccezione d’emergenza è stata calcolata confrontando il numero di gravidanze osservate in un gruppo di donne che hanno preso l’LNG con il numero di gravidanze previste senza l’assunzione del farmaco. L’efficacia è pari a 1-O/P, dove O sta per gravidanze osservate e P sta per gravidanze previste. A titolo esemplificativo, in uno degli studi in cui l’LNG è stato somministrato a 976 donne, le gravidanze osservate sono state 11,  mentre le gravidanze previste erano 75.3. L’efficacia è pari a 1-11/75.3 = 85%. Questo significa che con l’uso dell’LNG la probabilità clinica di gravidanza è diminuita dell’85%.Due pregiudizi importanti influenzano il metodo di cui sopra nel calcolare l’efficacia e sono stati segnalati in diverse pubblicazioni:

1. Le gravidanze previste sono state calcolate in un gruppo di donne le cui caratteristiche differiscono da quelle del gruppo che ha assunto l’LNG, e inoltre:

2. Il giorno dell’ovulazione viene stimato in base al ciclo mestruale. Sebbene in tutti gli studi siano state ammesse solo donne con cicli mestruali regolari, questa forma di valutazione è considerata imprecisa.

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Tali limiti metodologici nel calcolo dell’efficacia dell’LNG impediscono di avere una stima coerente e le cifre riportate sono considerate delle semplici approssimazioni.10,11 Lo ammettono gli stessi ricercatori: "Sebbene esista un generale accordo che la contraccezione d’emergenza protegga contro gravidanze indesiderate, l’ampiezza dell’effetto protettivo continua ad essere materia di dibattito, un dibattito che potrebbe non concludersi mai perché, per risolvere la questione, bisognerebbe condurre uno studio randomizzato che metta a confronto il tasso di gravidanza in gruppi sottoposti al trattamento e in altri sottoposti a placebo e questo non sarebbe etico". Qui l’espressione non etico non si riferisce alla possibilità che il farmaco sia abortivo, ma al fatto che non può essere somministrato alle donne che cercano di evitare gravidanze indesiderate.I cinque principali studi randomizzati, quattro dei quali sotto la direzione o con l’assistenza del Research Group on post-ovulatory methods of fertility regulation, dell’OMS 12,13,14,15,16,  hanno utilizzato il suddetto metodo per valutare l’efficacia dell’LNG confrontandolo con altri farmaci contraccettivi d’emergenza. 4. Meccanismo d’azione dell’LNGTutti gli studiosi riconoscono tre possibili meccanismi d’azione per spiegare l’efficacia di qualsiasi contraccettivo d’emergenza: l’inibizione o l’interruzione dell’ovulazione, l’interferenza con la fecondazione e l’inibizione dell’annidamento.17,18

Il meccanismo d’azione dei contraccettivi d’emergenza è rimasto a lungo poco studiato e l’interesse degli studiosi si è concentrato principalmente sul miglioramento dell’efficacia. L’attenzione per gli effetti sull’annidamento è nata perché molte donne si sono rifiutate di usarli preoccupate delle implicazioni etiche. L’OMS menziona la questione: "Sebbene i regimi di trattamento utilizzati nella contraccezione d’emergenza consistano semplicemente in dosi alterate di pillole contraccettive largamente diffuse, le donne potrebbero esitare ad usarle per ragioni culturali, religiose o di altra natura. È quindi importante chiarire come funzionino i contraccettivi d’emergenza in modo che le donne siano in grado di decidere se tali metodi siano accettabili e scegliere tra più metodi nel caso le modalità d’azione siano diverse."L’OMS sembra assumere che il rispetto per la vita dell’embrione pre-impianto sia dovuto principalmente a ragioni culturali o religiose.Oggi si sa di più riguardo ai possibili meccanismi d’azione implicati, malgrado "la precisa modalità d’azione sia ancora incerta."19

1. a.             Effetto sull’ovulazione. Alcuni studi mostrano che l’LNG, somministrato nel periodo pre-follicolare (pre-ovulatorio), può interferire con l’ovulazione. La sua efficacia dipende dalla prossimità al momento del picco dell’ormone luteinizzante (OL) che precede l’ovulazione. Prima del picco dell’OL la sua efficacia nel provocare disfunzioni ovulari si aggira intorno al 79-85%.20 Vari autori hanno raggiunto conclusioni simili.21,22,23 Nessuno studio ha valutato il blocco dell’ovulazione causato dall’LNG quando assunto in una situazione reale, ad esempio dopo un PFI. Quanto appena detto può essere importante nel determinare l’effettivo blocco dell’ovulazione perché l’attività sessuale può influenzare l’ovulazione24 e anche le circostanze in cui ha luogo, per esempio in caso di stupro.

2. b.            Effetto sugli spermatozoi. Questo meccanismo è difficile da analizzare ed esistono pochi studi in materia.25,26,27  Ci sono prove che la somministrazione di LNG da 3 a 10 ore dopo il rapporto aumentino la viscosità del muco cervicale, a partire da 9 ore dopo l’ingestione, impedendo l’ulteriore passaggio dello sperma nell’utero. In vitro, l’LNG non ha mostrato alcun effetto sulla motilità degli spermatozoi o sulla loro reazione acrosomica. Il fatto che lo sperma raggiunga le tube pochi minuti dopo il rapporto

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sessuale 28 rende improbabile che questo meccanismo svolga un ruolo rilevante nell’efficacia dell’LNG. 29

 5. Effetto dell’LNG sull’annidamento     Si tratta della questione più ampiamente dibattuta. Gli studi mostrano differenti livelli di evidenza che vanno chiaramente distinti.Prove indirette e preliminari.La gran parte delle informazioni che sono state fornite al pubblico, rassicurandolo sul fatto che l’LNG non alteri l’annidamento, viene da questo tipo di dimostrazioni.

1. Studi sugli animali. Gli studi pre-clinici sono un punto di riferimento importante per quelli clinici, ma non possono essere considerati probanti. In alcuni casi l’effetto sugli esseri umani non è lo stesso che sulle altre specie, per non parlare della difficoltà di comparare i dosaggi. In realtà, su cinque farmaci che superano i test pre-clinici, solo uno riceve l’approvazione per l’utilizzo da parte dell’uomo.30,31

2. Studi su alcuni eventi post-fecondazione che potrebbero alterare l’annidamento. I possibili processi post-fecondazione che potrebbero essere alterati dall’uso dell’LNG comprendono il trasporto dello zigote attraverso le tube di Falloppio; lo sviluppo pre-impiantatorio; la ricettività dell’endometrio; l’adeguatezza del corpo luteo e la capacità da parte dell’utero di trattenere l’embrione.  Di questi eventi fisiologici, "il solo meccanismo post-fecondazione esaminato nelle donne è l’alterazione della ricettività dell’endometrio, un meccanismo indiretto." All’inizio diversi autori hanno rilevato alterazioni dell’endometrio somministrando l’LNG prima e dopo l’ovulazione.32,33,34. 

Studi recenti che hanno utilizzato le dosi raccomandate per la contraccezione d’emergenza e tecniche ritenute più precise, non hanno rilevato tali alterazioni.35,36 Un autore ha riscontrato alterazioni con dosi più alte di LNG utilizzate per la contraccezione d’emergenza e suggerisce che: "le alterazioni superficiali osservate con dosi alte potrebbero non essere rilevate sotto l’influenza delle dosi raccomandate, ma i mutamenti molecolari sottostanti, provocati dal levonorgestrel potrebbero corrispondere all’effetto contraccettivo."37  Uno studio recente ha mostrato che quando l’LNG viene somministrato prima del picco dell’OL, a donne la cui ovulazione non è stata inibita, si verifica un calo della glicodelina A, che "potrebbe riflettere una riduzione dell’ambiente immuno-soppressivo nel momento dell’annidamento" e potrebbe costituire un elemento di alterazione dell’annidamento stesso.38 Tuttavia, la maggior parte dei ricercatori considera che attualmente non esista alcuna prova coerente a supporto dell’alterazione della ricettività endometriale. In ogni caso, il fatto che si rilevino o meno delle alterazioni nell’endometrio e nei marcatori della sua ricettività, non costituisce una prova decisiva nel determinare il possibile effetto dell’LNG sull’annidamento. Inoltre va sottolineato che esistono altri eventi fisiologici post-fecondazione che non sono stati studiati.Riteniamo che il dibattito si sia spesso erroneamente incentrato sulle opinioni fisiologiche degli esperti, sugli studi animali e su quelli indiretti sulla morfologia e la ricettività dell’endometrio. Tale informazione è importante, ma non può dare una risposta precisa e definitiva alla domanda riguardante l’effetto dell’LNG sull’annidamento nell’essere umano. La risposta richiede uno studio epidemiologico che dovrebbe mettere a confronto la probabilità di gravidanza in test clinici randomizzati (TCR) in cui l’LNG sia somministrato in determinati giorni del ciclo mestruale, quando non può agire sull’ovulazione o sullo sperma. Questo è l’unico modo universalmente accettato per dimostrare in via definitiva l’effetto di qualsiasi farmaco.39 L’approvazione di qualunque farmaco comprende una serie di test sequenziali che valutano le informazioni circa l’efficacia e la sicurezza necessaria a stabilire il rapporto rischi-

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benefici del farmaco stesso.40  Va precisato che tutti gli studi sulla contraccezione d’emergenza si sono concentrati sulla valutazione del rapporto rischi-benefici per le donne, ma non sulla sicurezza dell’embrione, che non riceve alcun beneficio da questi farmaci. Prove epidemiologiche dirette. Ad oggi non esistono test affidabili in grado di individuare la presenza di un nuovo essere vivente in gestazione. Questo è possibile solo dopo che è avvenuto l’impianto.41  Di conseguenza non è possibile verificare direttamente se l’LNG riduce il numero di embrioni impiantati. Tuttavia, si possono acquisire informazioni sostanziali esaminando l’efficacia dell’LNG relativamente al giorno del ciclo in cui viene assunto. Gli studiosi concordano sul fatto che da questo dipenda il meccanismo d’azione dell’LNG. Se il farmaco agisce solo bloccando l’ovulazione, non dovrebbe funzionare se preso nei giorni successivi all’ovulazione. Quindi, per rispondere alla domanda riguardante l’effetto dell’LNG sull’annidamento (effetto abortivo), è necessario stabilire l’efficacia dell’LNG assunto nei giorni del ciclo in cui non è in grado di inibire l’ovulazione, ossia, dal giorno prima a 4-5 giorni dopo l’ovulazione (Figura 1). Un sistema per valutare tale efficacia sarebbe quello di isolare tutte le donne dei cinque studi sopra menzionati, che hanno assunto il farmaco nel giorno dell’ovulazione o nei giorni immediatamente successivi e poi fare una stima dell’efficacia del farmaco nel ridurre la probabilità di gravidanza. I dati su quale giorno del ciclo le donne abbiano assunto il farmaco esistono,  sebbene non siano disponibili in pubblicazioni. Se tali dati fossero resi noti, lo studio potrebbe essere eseguito, ottenendo informazioni precise circa il suddetto effetto. Questi risultati avrebbero i limiti metodologici discussi precedentemente: la mancanza di un gruppo di controllo e l’inesattezza circa il giorno dell’ovulazione. Alcuni autori affermano che proprio per questi motivi un tale studio sarebbe inutile. Tuttavia, per le stesse ragioni, gli autori stessi tendono a concludere che la valutazione dell’efficacia dell’LNG sarebbe altrettanto inutile, perché in tutti gli studi le gravidanze previste sono state calcolate in base al giorno in cui si è avuto il rapporto sessuale in relazione al giorno dell’ovulazione.Anche se questa informazione manca, due fatti inducono fortemente a pensare che l’LNG possa avere un effetto ‘antinidatorio’.a.   Il primo riguarda le informazioni ricavate da uno degli studi dell’OMS su 243 donne che avevano avuto raporti sessuali un giorno prima o un giorno dopo la prevista ovulazione. Queste donne hanno preso l’LNG in un giorno del ciclo in cui l’ovulazione non poteva essere inibita. L’efficacia del farmaco è stata dell’88%: 4 gravidanze osservate, 33 previste (P = 1-4/33), secondo i dati dello studio (Tavola 1, Figura 3). In aggiunta, bisogna considerare che il 46% delle donne aveva preso la pillola nelle prime 24 ore dopo il rapporto; il 36% tra le 24 e le 48 ore e il 19% tra le 48 e le 72 ore. L’unica spiegazione possibile per l’efficacia dell’LNG in queste donne è l’inibizione dell’annidamento. Si potrebbe obiettare che alcuni degli effetti potrebbero essere dovuti all’azione sulla viscosità del muco cervicale che ha impedito l’ulteriore passaggio di sperma nell’utero, ma ciò sarebbe stato possibile solo se l’LNG fosse stato assunto prima che avesse avuto luogo la fecondazione e poche ore dopo il rapporto.b.  L’altro è che gli ultimi studi prima menzionati, su un totale di 5.800 donne, mostrano che l’LNG continua ad essere efficace, sebbene in percentuale inferiore, anche se preso tra 72 e 120 ore dopo (Tavola 2). Questo rende altamente probabile che l’LNG sia stato assunto in giorni in cui è impossibile bloccare l’ovulazione, dato che i giorni fertili di una donna prima dell’ovulazione sono non più di 5. 

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6. Considerazioni etiche conclusive           a.      Da un punto di vista etico, il solo fatto che la contraccezione d’emergenza sia concepita per avere un effetto ‘intercettivo’ o abortivo, e che ci siano fatti che dimostrano che tale effetto è probabile, rende il suo uso inammissibile per tutti coloro che rispettano la vita degli esseri umani. Questo rende gli operatori sanitari, e coloro che decidono, responsabili circa la diffusione o meno della pillola e possono rifiutarsi di distribuirla in base all’obiezione di coscienza.b.      Secondo il principio etico del rispetto per la persona o il principio di autonomia, la società dovrebbe proteggere gli esseri umani incapaci di esercitare l’autonomia 41.  Riferendosi ai soggetti incapaci di dare il proprio consenso, la recente Dichiarazione Universale sulla Bioetica e i Diritti Umani dell’UNESCO42 afferma che: "una tutela particolare deve essere riconosciuta alle persone che non sono in grado di esprimere il proprio consenso" e che "la ricerca dovrebbe essere condotta solo in caso di beneficio diretto sulla salute della persona coinvolta" (Articolo 7), e aggiunge: " Gli individui e i gruppi particolarmente vulnerabili dovrebbero essere tutelati e la loro integrità personale rispettata." (Articolo 8). È il caso dell’essere umano a questo stadio della vita, prima che si impianti in utero. Pertanto, a prescindere dal livello di certezza sull’effetto abortivo dell’LNG, ciò che più conta da un punto di vista scientifico ed etico è che l’embrione umano non trae alcun beneficio dall’uso dell’LNG, che l’intento originale dei promotori della contraccezione d’emergenza sia di inibire l’annidamento e che i dati epidemiologici esistenti lo dimostrino.c.       In base allo stesso principio, i soggetti hanno diritto a un’informazione completa e veritiera allo scopo di prendere decisioni autonome, legittime e in coscienza. Il pubblico ha il diritto di sapere che uno degli scopi della contraccezione d’emergenza, e dell’LNG, è di ottenere un effetto ‘intercettivo’ o abortivo; che esistono prove reali che dimostrano come l’LNG può avere tale effetto se preso in determinati giorni del ciclo mestruale e che nessuno studio pubblicato lo ha escluso in maniera decisiva. Nell’editoriale del numero di agosto 2006 di Contraception, James Trussell, uno dei maggiori studiosi e fautori della contraccezione d’emergenza, ha scritto: "Per fare una scelta consapevole, le donne devono sapere che i contraccettivi d’emergenza possono impedire la gravidanza ritardando o inibendo l’ovulazione, inibendo la fecondazione o inibendo l’impianto dell’ovulo  fecondato nell’endometrio". In un altro recente articolo, lo stesso autore afferma: "In assenza di una prova assoluta circa i meccanismi d’azione del Plan B, dev’essere rispettato il diritto a prendere decisioni personali riguardo al fatto che il suo uso sia o non sia  accettabile moralmente . Per questo motivo le donne dovrebbero continuare ad essere informate, come è scritto nel foglietto informativo del Plan B, che il suo uso può condizionare gli eventi post-fecondativi."43 Nonostante ci troviamo in profondo disaccordo con J. Trussell circa il rispetto per la vita che un essere umano merita nelle fasi iniziali del suo sviluppo, sulle strategie sanitarie per ridurre le gravidanze tra adolescenti e le cosiddette ‘gravidanze indesiderate’, non possiamo che concordare circa l’obbligo a fornire un’informazione chiara e veritiera sul fatto che l’LNG possa alterare il meccanismo di annidamento e quindi uccidere un essere umano.d.      Molti dicono che le obiezioni alla contraccezione d’emergenza e al rispetto per la vita nascono solo tra i gruppi di cattolici spinti da motivi religiosi, ma non è così. Il rispetto per la vita di un essere umano innocente è uno dei diritti umani fondamentali. È invece vero che tale rispetto acquisisce una dimensione nuova nella prospettiva delle Sacre Scritture. Come ha detto Papa Benedetto XVI: " L'amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l'uomo maturo o l'anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l'impronta della propria immagine e somiglianza (Gn 1,26). Non fa differenza perché in tutti ravvisa riflesso il volto del suo Figlio Unigenito, in cui "ci ha scelti prima della creazione del mondo, ... predestinandoci a essere suoi figli adottivi ... secondo il beneplacito della sua volontà" (Ef 1,4-6).44

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1 “Certo, contraccezione ed aborto, dal punto di vista morale, sono mali specificamente diversi: l'una contraddice all'integra verità dell'atto sessuale come espressione propria dell'amore coniugale, l'altro distrugge la vita di un essere umano; la prima si oppone alla virtù della castità matrimoniale, il secondo si oppone alla virtù della giustizia e viola direttamente il precetto divino «non uccidere».Ma pur con questa diversa natura e peso morale, essi sono molto spesso in intima relazione, come frutti di una medesima pianta. È vero che non mancano casi in cui alla contraccezione e allo stesso aborto si giunge sotto la spinta di molteplici difficoltà esistenziali, che tuttavia non possono mai esonerare dallo sforzo di osservare pienamente la Legge di Dio. Ma in moltissimi altri casi tali pratiche affondano le radici in una mentalità edonistica e deresponsabilizzante nei confronti della sessualità e suppongono un concetto egoistico di libertà che vede nella procreazione un ostacolo al dispiegarsi della propria personalità. La vita che potrebbe scaturire dall'incontro sessuale diventa così il nemico da evitare assolutamente e l'aborto l'unica possibile risposta risolutiva di fronte ad una contraccezione fallita.” (Evangelium Vitae 13).2 EV 58.3 Sentenza della Corte Suprema, 30 agosto 2001, p. 1011.4 Von Hertzen H. E van Look PFA., Research on new methods of emergency contraception. Fam Plann Perspect, 1996 mar-apr; 28(2):52-7, 88.5 Glassier A., Emergency postcoital contraception. N Engl J Med 1997; 337:1058-646 Croxatto H B, Devoto L, Durand M, Ezcurra E, Larrea F, Nagle C. et al. Mechanism of action of hormonal preparations used for emergency contraception: a review of the literature. Contraception 2001; 63:111-21.7 Hamel R.: “La saggezza popolare percepisce il concepimento come fecondazione dell’ovulo da parte dello sperma; al contrario, un contraccettivo previene la fecondazione inibendo l’ovulazione o la fecondazione. Utilizzando il linguaggio della contraccezione per descrivere l’azione del farmaco, gli autori sembrano manipolare l’opinione pubblica verso la sua accettazione.” N Eng J Med, 1993; 328:354[7] Gli autori hanno utilizzato il concetto di aborto proposto dall’OMS che esclude l’eliminazione intenzionale dell’embrione pre-impianto e hanno quindi scelto l’espressione ‘effetto intercettivo’ per descrivere l’inibizione dell’annidamento.8 Wilcox A.J., Weinberg C.R., Baird D.D. Timing of sexual intercourse in relation to ovulation: effects on the probability of conception, survival of the pregnancy, and sex of the baby. N Engl J Med  1995; 333:1517-21.9 Trussell J., Rodriguez G., Ellerston C., New Estimates of the effectiveness of the Yuzpe regimen of emergency contraception. Contraception 1998; Brit Med Bull 1993; 49:158-170.10 Van Look P., Von Hertzen H. Emergency Contraception Brit Med Bull 1993; 49: 158-17011 Raymond E., Taylor D., Trussell J.S., Steiner M.J.: Minimum effectiveness of levonorgestrel regimen of emergency contraception. Contraception 2004; 69:79-81.12 Ho P.C., Kwan M.S., A prospective randomized comparison of levonorgestrel with the Yuzpe regimen in post-coital contraception. Hum Reproduction 1993; 8:389-92.13 WHO Task Force on Postovulatory Methods of Fertility Regulation.  Randomised controlled trial of levonorgestrel versus the Yuzpe regimen of combined oral contraceptives for emergency contraception.  Lancet 1998;352:428-3314 Von Hertzen H., Piaggio G., Ding J., Chen J., Song S., Bartfai G., NgE., Gemzell-Danielsson K., Oyunbileg A., Wu S., Chen W. et al., Low dose mifepristone and two regimens of levonorgestrel for emergency contraception: a WHO multicentre randomized trial. Lancet 2002;360, 1803-1810.

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15 Hamoda H., Ashok P.V., Stadler C. et al., A Randomized Trial of  Mifepristone (10 mg) and Levonorgestrel for Emergency Contraception., Obstet Gynecol 2004; 104:1307-13.16 Wai Ngai S., Fan S., Li S., Cheng L. et al., A randomized trial to compare 24 h versus 12 h double dose regimen of levonorgestrel for emergency contraception. Hum Reprod gen 2005; 20(1):307-3.17 Glasier A. Emergency post-coital contraception. N Engl J Med 1997; 337:1058-64.18 OMS, Boletìn n°51 1999, Progress in Human Reproduction.19 Croxatto H.B., Ortiz M.E., Müller A.L., Mechanisms of action of emergency contraception. Dteroids 68 (2003) 1095-1098.20 Croxatto H.B. et al., Pituitary-ovarian function following tha Standard levonorgestrel emergency contraceptive dose or a single 0.75 mg dose given on days preceding ovulation. Contraception 2004; 70:442-450.21 Hapangama D., Glasier A.F., Baird D.T., The effects of pre-ovulatory adiministration of levonorgestrel on the mestrual cycle. Contraception 2001; 63:123-9.22 Durand M., Cravioto M.C., Raymond E.G., Duràn-Sànchez O., De la Luz-Hinojosa M., Castell Rodriguez A. et al., On the mechanism of action of short term levonorgestrel administration in emergency contraception. Contraception 2001; 64:227-34.23 Marions L., Hultenby K., Lindell I., Sun X., Stabi B., Gemzell-Danielsson K., Emergency contraception with mifepristone and levonorgestrel: mechanism of action. Obstet Gynecol 2002; 100:65-71.24 Jochle W., Current research in coitus-induced ovulation: a review. J Reprod Fertil Suppl 1975; (22):165-207.25 Kesseraü E. et al., The hormonal and peripheral effetcts of dl-norgestrel in postcoital contraception. Contraception1974; 10:411-424.26 Yeung W.S.B. et al., The effects of levonogestrel on various sperm functions. Contraception 2002; 66:453-437.27 Brito K.S., Bahamondes L., Nascimento J.A., de Santis L., Manuce M.J., The in vitro effect of emergency contraception doses of levonorgestrel on the acrosome reaction of human spermatozoa. Contraception 2005; 72(3):225-8. 28 Kunz G., Beil D., Deininger H., Wildt L., Leyendecker G., The dynamics of rapid sperm transport through the female genital tract: evidence from vaginal sonography of uterine peristalsis and sterosalpingoscintigraphy. Hum Reprod  1996; 11(3):627-32.29 Gemzell-Danielsson K. And Marions L., Mechanisms of action of mifepristone and levonorgestrel when used for emergency contraception. Human Reproduction Update 2004 10(4):341-348.30 Dale D., Wierenga E., Robert Eaton C., Drug Development and Approval Process. Phases of Product Development:  http://www.allp.com/drug_dev.html31 The beginnings: Laboratory and Animal Studies http://www.fda.gov/fdac/special/testtubetopatient/studies.html32 Moggia A., Beauquis A., Ferrari F., Torrado M.L., Alonso J.L., Koremblit E., Mischler T., The use of progestogens as postcoital oral contraceptives. J Reprod Med 1974; 13(2):58-61.33 Landgren B.M., Johannisson E., Aedo A.R., Kumar A., Shi Y.E., The effect of levonorgestrel administered in large doses at different stages of the cycle on ovarian function and endometrial morphology. Contraception 1989;39(3):275-89. 34 Wang J.D., Jie C. et al., Effects of emergency contraceptive mifepristone and levonorgestrel on the endometrium at the time of implantation. International Conference on Reproductive Health, Mumbai, India 1998;A83.

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35 Durand M., Cravioto M.C., Raymond E.G., Duràn-Sànchez O., De la Luz-Hinojosa M., Castell Rodriguez A. et al., On the mechanism of action of short-term levonorgestrel administration in emergency contraception. Contraception 2001; 64:227-34.36 Marions L., Hultenby K., Lindell I., Sun X., Stabi B., Gemsell-Danielsson K. Emergency contraception with mifeprietone and levonorgestrel: mechanism of action. Obstet. Gynecol. 2002; 100:65-71.37 Ugocsai G., Rozsa M., Ugocsai P. – Scanning electron microscopic (SEM) changes of the endometrium in women taking high doses of levonorgestrel as emergency postcoital contraception. Contraception  2002; 66(6):433-7.38 Durand M., Seppala M., Cravioto Mdel C., Koistinen H., Gonzalez-Macedo J., Larrea F., Late follicular phase administration of levonorgestrel as an emergency contraceptive changes the secretory pattern of glycodelin in serum and endometrium during the luteal phase of the menstrual cycle. Contraception 2005; 71(6):451-7.39 Clinical Trials.gov – Information on Clinical Trials and Human Research Studies glossary.url:http://www.clinicaltrials.gov/ct/info/glossary40 The New Drug Development Process: Steps from Test Tube to New Drug Application Review http://www.fda.gov/cder/handbook/develop.html41 All’inizio viene fatto attraverso metodi chimici basati sui livelli di gonatropina coriale, in seguito attraverso i sintomi clinici della gravidanza.41 Belmont Report: Guidelines for the protection of Human Subjects, Department of Health, Education and Welfare Office, Washington DC 1978.42 UNESCO Dichiarazione Universale di Bioetica e Diritti Umani: articolo 7, ottobre 2005.43 Trussell J., Plan B and the Politics of Doubt. JAMA, 2006; 296:1775-1778.44 Benedetto XVI: Discorso ai partecipanti alla 12°Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita e al Congresso Internazionale sul tema "L’embrione umano nella fase del preimpianto", 27 febbraio 2006.

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MONICA LÓPEZ BARAHONA OBIEZIONE DI COSCIENZA NEL CAMPO DELLA RICERCA BIOMEDICA

Mónica López Barahona

Professoressa di BioéticaUniversitá Francisco de VitoriaMadrid (Spagna)

L’uomo è un essere libero che regge la sua condotta e costruisce la sua volontà in una serie di principi etici e/o religiosi. Dalla fedeltà a questi principi nasce il diritto e il dovere all’obiezione di coscienza. Un uomo, nel legittimo esercizio della sua libertà può e deve negarsi all’esercizio di un’azione che si oppone o viola i principi che gli dice la sua coscienza.Allora, cosa è l’obiezione di coscienza? È una semplice applicazione della libertà di coscienza (sia laica che religiosa), che può più della libertà d’espressione e che suppone il rifiuto del cittadino a compromettersi contro le sue convinzioni più profonde, nelle situazioni in cui si mette a rischio la dignità e la vita umana.L’obiezione la fa la coscienza, non la legge, non si deve sperare che il legislatore preveda un’obiezione per poterla presentare o interporre.La maggioranza dei giuristi è d’accordo nell’affermare che questo è un diritto fondamentale, ampliamente riconosciuto da diversi trattati internazionali su diritti umani come la Convenzione Europea di Diritti Umani[1] e da ordinamenti interni d’ogni paese come per esempio, il caso della Costituzione Spagnola[2], nell’articolo 16. Il Tribunale Costituzionale spagnolo si è riferito con carattere generale all’obiezione di coscienza come “il diritto ad essere dispensato dal compimento dei doveri costituzionali o legali per risultare questo, contrario alle proprie convinzioni”[3] L’obiezione di coscienza è, in definitiva, una forma di non adempimento al Diritto che presenta come caratteristiche: 

1. Si rifiuta la norma solo in quanto lede il soggetto personalmente.2. Il soggetto solo perseguita il non compimento della norma.3. Non ha come obiettivo la deroga o modifica della norma. 

L’obiezione di coscienza, da una prospettiva giuridica si può vedere come:1. Una forma di disubbidienza al Diritto2. Come una forma di protezione della libertà individuale

 Si deve distinguere tra disubbidienza civile e obiezione di coscienza. L’obiezione di coscienza parte da una radice personale. Una persona davanti ad un mandato giuridico capisce che non lo può compiere perché lo impediscono la sua coscienza e i suoi principi morali, basati nella fede o nei ragionamenti etici.Invece, la disubbidienza civile, che può essere anche motivata per ragioni di coscienza, è già un’attitudine che tende ad impostare una legislazione che cambia o che non si compie, perché è una legislazione immorale o si considera come ingiusta.Possono stare unite poiche si può dire che la disubbidienza civile è un’obiezione di coscienza massiva o almeno molto numerosa. Se tutti i cattolici fossero coerenti, per il fatto di opporre la propria coscienza ad un mandato immorale, si darebbe una resistenza civile molto ampia.Parlare d’obiezione di coscienza nella ricerca biomedica suppone ammettere l'esistenza di minacce contro i valori importanti dell’umanità derivati della menzionata ricerca. Suppone così ammettere l’insufficienza attuale del diritto positivo per porre rimedio a questa situazione. Il

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cittadino necessita pertanto mantenere a distanza questo diritto per poter proteggere questi valori[4]. Siamo testimoni delle concezioni incessanti alla ricerca scientifica da parte del legislatore[5], concezioni che suppongono l’inversione di un ragionamento che presenta le consacrazioni della Bioetica per la legge come protezioni della persona, mentre in realtà si tratta della redazione di nuove dispense a favore della ricerca biomedica indipendentemente che questa abbia o no in conto la dignità di ogni vita umana. Negli ultimi decenni, la scienza Biomedica ha cambiato in modo vertiginoso. Questo cambiamento è conseguenza in grande misura della rivoluzione accaduta in un ampio numero di tecniche che hanno permesso generare in diverse occasioni, tanti risultati che la mente umana non è capace di processare. Ma, se per il progresso è necessario il cambio, non tutti i cambi sono sinonimi di progresso. E quando la scienza direttamente vincolata con la vita (com’è il caso della Biomedicina) non s’informa e non si regge sui  principi antropologici che hanno come fine ultimo al proprio uomo e come limite la dignità della vita di ogni persona umana, necessariamente si torna contro il proprio uomo. Dopo quello che è successo negli ultimi anni nelle scienze biomediche non è iperbolico affermare che ciò che interessa di più è il dominio della vita, consacrata attraverso i mezzi della biologia e della ricerca. Oltre quest’interesse di capire la vita come un dono che deve essere accolta e protetta nelle sue fasi più deboli. Molti dei risultati della ricerca biomedica hanno implicazioni e conseguenze dirette sulla propria persona e molti di questi risultati sono estrapolabili o si stanno già applicando nella pratica clinica. Senza voler essere esaustivi, ma nell’idea di dare una panoramica circa il conseguimento degli andamenti menzionati, enunceremmo di seguito alcuni di questi insieme alle sue implicazioni sulla persona. Ci è tocato vivere un tempo nel cui: a)      Il Genoma umano è stato sequenziato[6] e la tecnologia che l’ha permesso si applica oggi per selezionare geneticamente individui della specie umana dalle prime fasi della sua esistenza[7],[8] (diagnosi preimpianto, consulenza genetica, ecc.)b)      Abbiamo avuto la notizia alla fine di Marzo 1996, della nascita del primo mammifero generato attraverso la clonazione per trasferenza nucleare: la pecora Dolly[9], da quel momento non sono cessato i tentativi finora falliti di applicare questa tecnica alla specie umana.c)      La pratica della fecondazione in vitro ha conquistato le nostre leggi, partendo dal principio che il bambino è un oggetto, oggetto del desiderio della coppia, ed anche del desiderio di potere dell’equipe medica; ed è anche oggetto della ricerca o della volontà di trasferire o distruggere quando l’embrione fecondato non è più desiderato, diventa un soprannumerario o quando ci si rende conto che non è più desiderato.[10],[11],[12],[13] Le terribili conseguenze di questo tipo di tecniche sono da tutti conosciute.d)     Le ricerche in endocrinologia hanno permesso di conoscere il ciclo ormonale che regola la fertilità della donna e dell’uomo e conseguentemente di agire su di essa, sviluppando alternative contraccettive che in molte occasioni sono anche abortive.[14],[15]e)      Un’altro tipo di ricerca è stato diretto all’investigazione di mezzi abortivi efficaci.[16] Insieme al fatto in sé di dare morte a numerosi esseri umani innocenti, si trova il fatto della legislazione o depenalizzazione del proprio fatto, questo provoca nello stesso tempo un effetto moltiplicativo, e la messa in scena di un processo intellettuale per dare apparenza di legittimità a questi comportamenti.f)       Ricerca diretta alla pratica dell’eutanasia[17]g)      La ricerca con cellule staminali embrionarie che implica la morte dell’embrione.[18]h)      Ecc. 

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Tutto ciò che si è detto, risponde solo a dati obiettivi dal momento storico nel cui si trova la ricerca biomedica che ci tocca vivere. Davanti a questi, lo scientifico si trova frequentemente nel laboratorio con situazioni dov’è necessaria l’obiezione di coscienza: coinvolgersi o no in un progetto di ricerca che utilizza linee cellulari stabilite da cellule staminali embrionarie, usare o no materia biologica provenente di feti umani, vendere o no in una farmacia contraccettivi o composti abortivi, lavorare o no in una clinica di fecondazione in vitro, lavorare o no in un’equipe che apporta dati per una consulenza genetica.... Così possiamo continuare con un lungo e complesso elenco. La soluzione di questi dilemmi che il ricercatore biomedico affronta in più di un’occasione nella sua vita professionale, è secondo noi, perfettamente data dal Donum Vitae[19] che insegna l’obiezione di coscienza davanti alle leggi civili moralmente inaccettabili (cap. III morale e legge civile) e nel Evangelium Vitae[20], insieme all’infallibilità del Magistero ordinario universale, che impone l’obbligazione grave e precisa di opporsi mediante l'obiezione di coscienza alle leggi umane che autorizzano e favoriscono l’aborto e l’eutanasia (72, 73) Giovanni Paolo II cita (72) a Santo Tomasso d’Aquino[21] a proposito della grande ingiustizia della legge e subito ci chiede di opporci a queste leggi abortive ed eutanasiche attraverso l’obiezzione di coscienza (73). L’accettazione di un progetto di ricerca contrario alla dignità della persona umana o l’utilizzo di materiale biologico ottenuto a partire della morte d’innocenti per un progetto di ricerca a favore dell’uomo è una collaborazione diretta o indiretta con la mala prassi della ricerca biomedica è per questo che il ricercatore la cui etica si basa su un’antropologia personalista deve respingere questo tipo di pratiche mediante il suo legittimo diritto all’obiezione di coscienza. L’obiezione non è un semplice gesto, ma un’attuazione esemplare che ha il valore della coerenza, che è –secondo le parole di Giovanni Paolo II- il martirio dei nostri giorni. De quel che si è detto finora, sembra ovvio che nei nostri giorni sia urgente l’azione concreta nella direzione di permanenti testimoni nell’area della ricerca biomedica. Noi studiosi con una formazione antropologica personalista siamo pochi, ma ci siamo e dobbiamo unirci nell’impegno di alzare una voce che raggiunga notorietà nell’ambito della scienza biomedica. Da tristezza ricordare azioni come quella della carta inviata per 80 premi Nobel al presidente Bush (pubblicata nel diario Washington Post) nel 2001 chiedendo il diritto di ricercare con cellule staminali embrionarie. Questa rivendicazione ha avuto una risonanza mondiale che esorta tra l’altro alla promulgazione di leggi che favoriscono questo tipo di ricerca dietro la quale sembrava nascondersi la risposta terapeutica a fatali malattie.Oggi sappiamo che nel mondo non esiste nessun studio clinico con cellule staminali embrionarie davanti ai più di 500 verifiche cliniche con cellule staminali adulte. Per che non trascende di uguale modo questo dato obiettivo che raccoglie la web www.clinicaltrials.com dove si registrano i saggi clinici approvati per la FDA?Sembra che il tempo dimostri che la rivendicazione dei laureati per l’Accademia Svedese non è un’alternativa terapeutica, ma dove sono le voci che pubblicano questi dati?I ricercatori basici dell’area biomedica che credono nella dignità dell’uomo, di tutti gli uomini, anche di quello costituito per 4 o 8 cellule, abbiamo il dovere morale di unirci e di dare a conoscere la verità. Senza demagogia, senza falsa speranza. La verità obiettiva scientifica che solo se si cerca di modo onesto può condurre alla verità, perché solo una è la verità.Dobbiamo partecipare nei Comitati etici dove i nostri voti particolari si facciano costatare, partecipiamo nei fori di dibattito, dobbiamo segnare l’accademia di docenza in materia Bioetica, esaminare le leggi della bioetica, se non la bioetica intera, sotto il prisma della coscienza individuale con il fine di evitare che il cittadino contribuisca e aiuti, in una vasta impresa di distruzione della persona. Ma non risulta per niente facile scoprire i mezzi pratici. Tra la manifestazione pubblica e la redazione di una pagina dottrinale (che è in realtà una forma di

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manifestazione pubblica) tra il rifiuto immediato a partecipare a un atto contrario alla dignità umana e il voto contro un progetto di legge omicida o eugenetico, tra l’ignoranza deliberata dell’esistenza della legge e la resistenza positiva, l’elezzioni dipendono nello stesso tempo delle circostanze concrete del tempo e del luogo, delle pareri locali della maggiore efficacia, della comparazione delle possibilità e dei rischi dell’azione o dell’omissione, se il silenzio è sinonimo di complicità, raggiungiamo la voce contundente di chi cerca onestamente la verità. 

[1] Convenzione Europea per la tutela dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali, 1950[2] Costituzione Spagnola, 1978 Art. 16.1[3] Sentenza del Tribunale Costituzionale. 161/1987[4] V.C. CAILLÉ Y C.JONAS, Vis clause de conscience, en « Dict. permanent de bioéthique » ; G. MÉMETEAU,Recherche Antigone en bon état (âge indifférent), ou : la clause de conscience et la bioéthique (Èthique, la vie en question, 9/1993, 54) [5] G. RAYMOND, Bioéthique ou peur du gendarme?, « La Croix », 1989, p. 12. Science, 2001, Feb 16 ; 291 (5507) : 1304-5 [6] Non c’è [7] REPPING S, GERAEDTS J, SCRIVEN P et al. Central data colletion on PGD and screening. Reprod Biomed Online. 2006 Mar; 12(3):389[8] BARUCHS, ADAMSON GD, COHEN J et al. Genetic testing of embryos: a critical need for data. Reprod Biomed Online. 2005 Dec;11(6):667-70 [9] CAMPBELL KH, MC WHIR J, RITCHIE WA et al. Sheep cloned by nuclear transfer from a cultured cell line. Nature. 1996 Mar 7;380(6569): 64-6 [10] COHEN ME The “brave new baby” and the law: fashioning remedies for the victims of in vitro fertilization. Am J Law Med. 1978 Fall; 4(3):319-36 [11] JONES HW Jr IVF: Past and future. Reprod Biomed Online. 2003 Apr-May;6(3):375-81 [12] CLACK GN..AR.T. and history, 1678-1978. Hum Reprod.2006 Jul;21(7):1645-50 [13] TRUCKER MJ, MRTON PC SWEITZER CL et al Cryopreservation of human embryos and oocytes. 1995 Curr Op Obst Gyn 7, 188-192 [14] ERTOPCU K, INAL MM and OZELMAS I Demographic analysis of post-abortive and interval-administered hormonal contraceptive methods. Eur J Contracept Reprod Health Care. 2005 Mar;10(1):1-5. [15] GOLDBERG JR, PLESCIA MG and ANASTASIO GD Mifepristone (RU 486): current knowledge and future prospects. Arch Fam Med. 1998 May-Jun; 7(3):219-22. Review. [16] HARVEY SM and NICOLSON MD Development and evaluation of the abortion attributes questionnaire. J Soc Issues. 2005 Mar;61(1):95-107 [17] HUDSON PL, KRISTJANSON LJ and ASHBY M Desire for hastened death in patients with advanced disease and the evidence base of clinical guidelines: a systematic review. Palliat Med. 2006 Oct;20(7):693-701[18] KIATPONGSAN S, PRUKSANANONDA K, International trends in bioethics for embryonic stem cell research. J Med Assoc Thai. 2006 Sep; 89(9):1542-4.[19] Donum Vitae 1987[20] Evangelium Vitae 1995[21] Somme, I-II, quaestio 93

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ALICJA GRZESKOWIAK  Obiezione di coscienza per categorie professionali particolari (farmacisti, giudici, amministrativi, consulenti etc).

Prof. dr hab Alicja GrześkowiakUniversità Cattolica di Lublino Giovanni Paolo IIPolonia 1. Obiezione di coscienza risulta direttamente dalla inviolabile dignità di persona e dalla libertà inerente di religione e di  coscienza. Si fonda sul principio dell' importanza  fondamentale della sovranità dello spirito umano e sul diritto inalienabile  di vivere secondo la verità della coscienza, di lasciarsi guidare dalla forza di quello che, secondo il giudizio della  coscienza, è giusto. Quindi  nessuno deve essere costretto ad agire contro la sua  coscienza. Il re polacco Sigismondo Augusto, garantendo la libertà  della  coscienza e  della religione, disse chiaro e tondo „non sono padrone delle coscienze umane”. L'uomo vorrebbe che le sue azioni, di cui è responsabile, siano conformi al suo ideale del bene e al suo giudizio morale.[1] L'obiezione di coscienza  trova le sue radici sulla base  del conflitto tra il dovere di comportarsi secondo il diritto positivo e l'obbligo morale di  coscienza. Il conflitto può essere risolto o per obbedire alle norme giuridiche cioè violare la coscienza umana,  ferendo alla fine la sua inerente dignità di persona, o per  seguire la coscienza,  cioè  violare il diritto positivo. Richiamarsi all'obiezione di coscienza significa avere la scelta di agire secondo coscienza, conforme alle norme morali, ovvero la preferenza della  coscienza alle norme giuridiche. L'obiezione di coscienza nella situazione del conflitto tra la norma giuridica e la norma morale della coscienza diventa il diritto individuale, a condizione, che entrambe le norme abbiano lo stesso campo d'applicazione e concernino la stessa situazione, risultante in modo diverso da ambedue le norme[2]. Dall'obiezione di coscienza consegue giuridicamente l'abrogazione, nella situazione individuale, del dovere di rispettare la norma di agire derivata dalla legge essendo in conflitto con la coscienza umana. La legge che prevede l'obiezione di coscienza contiene la permissione di infrangere la norma giuridica con obbligatorietà generale, se è motivata dalla coscienza dell'individuo. Quando l'obiezione di coscienza è regolata chiaramente dalla legge o legalmente ammissibile in modo supposto, la persona che ci si richiama e non obbedisce alle norme giuridiche, non assume la responsabilità giuridica-penale, civile, amministrativa, disciplinare, nell' ambito del diritto del lavoro, o le altre conseguenze giuridiche. Occorre ammettere che tale coportamento è la circostanza che esclude illegittimità penale, nonché civile o amministrativa o disciplinare. Giovanni Paolo II scrive che: „Chi ricorre all’obiezione di coscienza deve essere salvaguardato non solo da sanzioni penali, ma anche da qualsiasi danno sul piano legale, disciplinare, economico e professionale”.[3]            Nella letteratura si presenta che „il conflitto tra il diritto umano e la coscienza è vecchio come la storia dell'uomo”[4], tuttavia bisogna trattare questa questione come segno dei tempi contemporanei perché proprio ai nostri tempi il problema dell' obiezione di coscienza è diventato molto attuale. È necessario vederlo come una nuova istituzione giuridica, interdisciplinare – diffusa in tutti liberali ordini giuridici.[5] Si può riconoscere la legittimità dell'obiezione di coscienza come caratteristica delle società pluralistiche attuali e degli stati democratici liberali e del processo di separarla dai valori morali[6]. Il fatto trova soprattutto una sua giustificazione, fonte dei conflitti di coscienza, nel contenuto del diritto positivo che imporre doveri opposti al sistema universale degli alti valori morali. Di conseguenza, le situazioni, in cui il

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conflitto di coscienza può esistere, diventano sempre più  numerose. Deriva da questo il problema delle regolazioni giuridiche, da una parte di non costringere in via legale la persona a comportarsi contro coscienza, ma dall'altra, per la disubbidienza alla legge, di non arrivare ad una situazione d'anarchia nello stato, in cui ciascuno potrebbe violare ogni norma giuridica di dovere, riferendosi all' obiezione di coscienza. Si osserva la tendenza a dare all'obiezione di coscienza la dimensione del diritto dell'uomo ed ad attribuirle la forma di norma giuridica vigente in modo universale. Tale tipo di soluzione, indica Giovanni Paolo II quando scrive: „Rifiutarsi di partecipare a commettere un’ingiustizia  non solo è un dovere morale, ma è anche un diritto umano basilare.(...) che, proprio perché tale, dovrebbe essere previsto e protetto dalla stessa legge civile”[7].            Qualche volta si solleva l'opinione che l'accettazione dell'obiezione di coscienza porta sempre le conseguenze dovute alla disubbidienza della legge tali da immunizzare i suoi autori. Talvolta per compensare questi costi si introduce l'obbligo di realizzare dall'obiettore le attività simili che riducano i danni della disubbidienza.[8]                Si pongono le domande che riguardano la giustificazione, nello stato democratico, di tale istituzione che viola il principio di ugualianza e di giustizia.[9] Peraltro la ragione di questa istituzione è insolitamente fondamentale per la dignità della persona. Agire a posto con la propria coscienza fa parte dell'identità della persona. L'istituzione dell'obiezione di coscienza deve intendersi come una tecnica per risolvere le controversie assiologiche. Grazie all'istituzione dell'obiezione di coscienza il conflitto può essere risolto in modo di attribuire il diritto ai comportamenti individuali conformi alla coscienza, ma in opposizione ai doveri della legge. Evidentemente l`obiezione di coscienza forma i problemi, non solamente giuridici, ma anche nell`ambito della filosofia del diritto, della medicina legale, e innanzitutto- dell` etica[10]. 2. Lo Stato può regolare in modi diversi il problema di ammettere l'obiezione di coscienza. La regolamentazione generale di tale istituzione direttamente nella costituzione si presenta come la soluzione ottima [11].  L'obiezione di coscienza ottiene allora lo status di diritto universale. Ci si può riferire in ogni situazione determinata dalla costituzione senza necessità di interventi legislativi particolari. Pertanto si sollevano spesso i dubbi consistenti nell'attribuire all'obiezione di coscienza la dimensione del diritto universale dell'uomo garantito costituzionalmente. Ciò potrebbe limitarene la possibilità di usare il diritto dell'uomo, come ad esempio l'obiezione di coscienza che possono porre i medici non volendo fare l'aborto,  creando le difficoltà nella realizzazione del cosidetto „diritto della donna all'aborto”.            L'impostazione  costituzionale dell'obiezione di coscienza significa la più alta garanzia giuridica di permettere di violare il dovere giuridico determinato se è motivato dalla coscienza. Omettendo la questione di regolamentazione costituzionale dell'obiezione di coscienza riguardante i servizi militari che trova riscontro in quasi tutte le costituzioni dei paesi democratici, sorrette dalle regolamentazioni internazionali, si riconosce che le regolamentazioni comuni dell'obiezione di coscienza negli atti normativi a livello costituzionale sono poche. L'esempio è la costituzione portoghese del 1976 che con la novelizzazione  del 1982 dell'art. 41.6 garantisce il diritto all'obiezione di coscienza ma sotto condizioni previsti dalla legge, ciò significa che deve essere determinato anche nell'ambito della legge ordinaria[12]. In realtà, in un certo modo, il diritto all'obiezione di coscienza costituzionale opera in dipendenza della legge in forza di cui è aplicabile.  Si ritiene che alla costituzione olandese del 1983 intenzionalmente non hanno introdotto la norma generale che garantisce il diritto all'obiezione di coscienza perché si riteneva che „un paese constituzionale non può autorizzare tutti degli scrupoli di coscienza, ciò porterebbe all'anarchia”[13]. Tuttavia anche in mancanza della legge particolare la persona che applica l'obiezione di coscienza potrebbe richiamarsi direttamente al diritto alla libertà di

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coscienza, imposto nella costituzione riguardo ai diritti umani, applicabile in modo indiretto, indipendentemente dall'intervento del legislatore che la determina.            Nella situazione, in cui la costituzione non comprende direttamente il diritto di obiezione di coscienza come il diritto dell'uomo, avviene che le corti costituzionali confermano questo diritto, durante l'analizi dei casi individuali, estrapolandolo dal diritto alla  libertà di coscienza e di religione. In questo contesto, la sentenza della Corte Costituzionale spagnola  ha decretato  che „l'obiezione di coscienza fa parte del contenuto del diritto fondamentale alla libertà ideologica e religiosa riconosciuto nell`art.16.1 della Costituzione,”[14]ribadendo, in questa occasione, che la costituzione spagnola è applicabile in modo diretto, in particolare in materia dei diritti fondamentali.  Le altre sentenze della medesima Corte non cofermano in pieno questa opinione.[15]            In materia del diritto alla  libertà di pensiero, di coscienza e di religione dall'art. 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali  la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a Strasburgo ammette il problema dell'obiezione di coscienza ma sostiene o nega l'esistenza che tale diritto dipenda dall'oggetto del caso esaminato. Nei diritti internazionali dell'uomo, l'obiezione di coscienza si collega, molto spesso, alla libertà di religione e di coscienza. Come dimostra la letteratura occorre ampliare le ragioni che sono alla base dell'obiezione di coscienza, nonché le ragioni di carattere etico, filosofico, ideologico e politico.[16] Tuttavia è significativo che nella Convenzione europea di bioetica e nella terapia genica del 4 aprile 1997 non abbiano inserito la clausola dell'obiezione di coscienza.[17] Benché durante l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa avessero presentato l'emendamento con la proposta di introdurlo[18] lo stesso venne rigettato. Il relatore ha contestato il senso di inserirlo in questo atto ritenendo che fosse già presente nelle altre convenzioni.[19]3. Nelle analisi delle regolamentazioni giuridiche relative al rispetto della libertà di pensiero e di coscienza nei riguardi delle  diverse categorie professionali si osservano le numerose soluzioni della questione. In tale caso le leggi prevedono le regolamentazioni che indicano in maniera evidente il diritto di esprimere l'obiezione di coscienza, sia in forma di non esercitare le azioni giuridicamente determinate che fanno parte della professione sia con la clausola di coscienza,  la quale prevede che la professione venga esercitata dalle persone secondo la loro coscienza ciò costituisce l'opzione di coscienza. Nel caso della clausola di coscienza la legge consente di non obbedire agli obblighi  derivanti dal diritto esercitando la professione determinata.            La regolamentazione dell'obiezione di coscienza con numerose leggi crea dei modelli di normative giuridiche dell'obiezione di coscienza che si differenziano in senso  soggettivo e oggettivo.[20] Si parla anche, applicando la forma plurale, dalle „istituzioni di coscienza”. Si rileva anche la dinamica particolare di questa materia del diritto che R. Navarro- Valls chiama „big-bang” giuridico”[21].            Attualmente si individuano due tendenze contrastanti riguardanti la posizione dell'obiezone di coscienza: da una parte, quella di estendere il campo di formula legale dell'obiezione di coscienza; dall'altra, si osserva la moderazione di questa tendenza rifiutando a certe categorie professionali il diritto all'obiezione di coscienza o limitando il suo contenuto, cioè, in un certo modo, attenta alla stessa natura dell'istituzione. Si può constatare che l'obiezione di coscienza prima di diventare una forma del diritto fondamentale dell'uomo viene  già limitata. Le concessioni legislative in favore dell'obiezione di coscienza sono fatte progressivamente per  ragioni ben determinate. [22]                Il nuovo modo complessivo di regolare giuridicamente l'obiezione di coscienza si è voluto applicare in Reppublica Slovacchia, collegandolo nettamente alla libertà di religione che riguarda i cattolici. In accordo con la Sede Apostolica hanno elaborato il proggetto di  accordo regolante la questione dell'obiezione di coscienza.[23] con riferimento al concordato del 24

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novembre 2000, in cui la Slovachia riconosce il diritto dei fedeli ad agire secondo la loro coscienza e si incarica ad approvare la legge sulla clausola di coscienza. Sotto forma di allegato garantirebbe ai cattolici il diritto di rifiutare certe attività professionali opposte alle loro convizioni religiosi.  L'obiezione di coscienza includerebbe la professione e la condotta fissata nel progetto. Riguarderebbe il personale sanitario, a cui garantirebbe il diritto di rifiutare gli aborti, la procreazione assistita, la partecipazione agli esperimenti, l'eutanasia, la clonazione, la sterilizzazione, contracezzione ed a la mercificazione del corpo umano, degli embrioni umani, delle banche degli organ. Gli insegnanti potrebberono rifiutare di tenere i corsi contro le proprie convinzioni, in particolare quelli sull'educazione sessuale, i legali -di condurre le cause e di dare assistenza giuridica, ma soprattutto autorizzerebbe a rifiutare di lavorare le domeniche e i giorni festivi. Tale soluzione giuridica, senza precedenti, non applicabile fin ora a costituire il diritto in questa materia conterrebbe la complessiva regolamentazione dell'obiezione di coscienza, anche se limitata soggetivamente ai cattolici. L'impostazione del proggetto slovacco significherebbe, anzitutto, il riconoscimento diretto dell'obiezione di coscienza come il diritto dell'uomo. Purtroppo il  progetto non venne approvato e il risultato di tutte le azioni per approvarlo hanno portato alla caduta il governo ed alle elezioni anticipate, ciò indica forse i coinvolgimenti politici della questione.            4. Recentemente, il riconoscimento dell'obiezione di coscienza viene molto spesso chiesto dalle persone obbligate al servizio militare-ma perché in questo caso lo stesso diritto offre la possibilità alternativa di scegliere la condotta- si parla piuttosto dell'opzione di coscienza.[24]. Pertanto, da qualche tempo, la questione di rifiutare di esercitare le attività ordinate dal diritto, per causa della loro opposizione alla coscienza dell'obbligo, è diventata particolarmente attuale nei confronti di certe categorie professionali e delle  loro attività che suscitano le obiezioni di coscienza. Si determina giuridicamente il cerchio di queste professioni e si legalizza il diritto di rifiutare di esercitare le attività definite opposte al giudizo della propria coscienza. Si afferma  da più parti l'esistenza di professioni, in cui il rifiuto di esercitare le attività previste dalla legge per ragioni legate all'obiezione di coscienza è inammissibile.[25] Si tratta soprattutto di adempiere ai doveri statali che esigono l'applicazione dell'obbligo legale per la tutela della sicurezza e dell' ordine publico-per esempio polizia, carceraria. Si ravvisa che l'obiezione di coscienza non è riconosciuta ai funzionari del servizio civile.[26] La problematica dell'obiezione di coscienza, esaminata in riferimento ai rapporti di lavoro non dipende più dal tipo di lavoro, ma dalla categoria del datore di lavoro-publico o privato e dalla maniera di stringere il rapporto di lavoro. Si suppone che se la base di stringere il rapporto di lavoro costiusce il contratto tra prestatore e datore, cioè il contratto di lavoro volontario che determina esplicitamente i tipi di lavoro, al lavoratore, ex post, non si riconosce il diritto del richiamo all'obiezioni di coscienza. Può scegliere- o ampliare i doveri del lavoro conformi alla sua coscienza o  rifiutare questo lavoro. D'altra parte se il contratto di lavoro non comprende tale esplicazione netta dei doveri professionali, o nel momento di cominciare il lavoro essi non vengono previsti, e ai quali la coscienza di lavoratore si ribella, bisogna dare al lavoratore la possibilità di riccorrere all'obiezione di coscienza, fissandogli un altro tipo di lavoro. In nessun caso il lavoratore che si richiama all'obiezione di coscienza  può assumersi la responsabilità disciplinaria e può essere licenziato, benché si metta l'accento che essa non può essere il titolo dei privilegi, perché questo attenta al principio di legalità e di giustizia. I casi simili sono esaminati dalle corti, in modo diverso.  Noto è  il caso esaminato dalla Commissione europea dei Diritti dell’Uomo, che riguarda il licenziamento del prete protestante che ha protestato non ampliando le attività  derivate del contratto di lavoro contro la legge abortiva, accettata dalla Norvegia. La Commissione ha deciso che il suo lavoro non ha nessun rapporto con la partecipazione diretta o indiretta all'atto abortivo e basandosi sul contenuto di contratto del lavoro ha ritenuto che „nei quadri della Chiesa officiale,

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al pastore si attribuiscono non solo i doveri religiosi ma egli deve accettare anche i doveri verso lo Stato”, agiungendo che se le esigenze legali sono in contrasto con la propria coscienza può sempre ritirarsi dal contratto di lavoro con la Stato.[27]            Nelle analisi dei problemi riguardanti l'obiezione di coscienza in diverse professioni si rileva che i codici deontologici di certe professioni comprendono il diritto all'obiezione di coscienza o l'indicazione che alla persona, esecutrice della professione, è riconosciuto il diritto di agire secondo la sua coscienza. Ai sensi dell'art. 62 del codice deontologico della provincia di Torino del 1948 si è precisato chiaramente che il medico che, per causa di sue convizioni, ritiene che non dovrebbe procurare, in quel tempo legale, il cosidetto aborto terapeutico, può rifiutare di realizzarlo, ma questa norma  venne abrogata nel 1954. L’obiezione di coscienza è inserita permanentemente nel codice deontologico medico italiano del 1978 ed è stabilita con fermezza nel codice deontologico del 1998, però a condizione che il rifiuto di adempimento delle attività contestate dalla coscienza del medico non metta direttamente in pericolo la salute del paziente[28]  L'art. 19 del medesimo codice contiene già il diritto comune del medico di rifiutare di eseguire ogni attività opposta alla sua coscienza o al suo sapere clinico.  Il codice etico medico polacco ritiene che il medico opera conforme alla sua coscienza e al sapere medico attuale, anzi, nei casi particolarmente giustificati, può rifiutare di curare il malato.[29] Tuttavia i codici etici non hanno il potere del diritto statale, quindi emerge la domanda riguardo il rapporto delle loro norme alle norme di legge che regolano l'adempimento delle professioni determinate nel caso, in cui non contengano la clausola di coscienza o ne estendano il campo più di quelle del codice deontologico. Delle relazioni tra le norme deontologiche e quelle di legge si incarica in Polonia La Corte Costituzionale, fra l'altro, con riferimento alle opposizioni fra le norme etiche mediche più restrittive dell'aborto di divieto di participare all'atto di uccidere e le norme di legge che legalizzano l'aborto. La Corte Costitutzionale nella sentenza del 7 ottobre 1992 ritiene che „le norme etiche mediche possiedono il carattere delle norme deontologiche e non di quelle del campo dell'amministrazione statale (...). L'affermazione che la norma etica deve essere conforme alla norma di legge[30] è ileggitima. Tale affermazione suppone la priorità delle norme di legge sulle norme etiche.”[31] La Corte sostiene che la legge debba avere la legitimazione etica piutosto l'etica non esige la legitimazione legale. Sottolineato che il medico può rifiutare di rilasciare l'autorizazione che attesta l'ammissibilità dell'aborto e di realizzarlo. Questo diritto deriva della libertà fondamentale ad agire conforme la propria coscienza, definita dalla costituzione. La costatazione della Corte Costituzionale polacca è importante tanto più che dal paragone dei codici etici delle professioni determinate deriva spesso esplicitamente il diritto di adempiere delle attività professionali, non confermato o confermato nel campo più vasto dei precetti di legge. In particolare, tale situazione avviene in  riferimento all'obiezione di coscienza dei farmacisti, confermata dalle commissioni etiche, e rifiutata dalle corti  che ne ritengono  prive di basi legali.5. Obiezione di coscienza  nelle professioni sanitarie.  L'obiezione di coscienza viene definita giuridicamente in relazione agli operatori sanitari, soprattutto nel contesto delle leggi che riconoscono l'aborto come intervento medico, e in forza delle quali i medici sono obbligati a realizzarlo, benché implica la morte del bambino concepito. Il diritto di rifiutare di collaborare all'aborto si estende anche su altre professioni che fanno parte delle professioni sanitarie. L'istituzione giuridica dell'obiezione di coscienza viene ampliata dallo sviluppo di bioetica[32] e dalla legalizzazione degli attentati alla vita umana- eutanasia e assistenza al suicido, nonché  fecondazione artificiale[33] e sterilizzazione volontaria. Comprende anche altre attività delle professioni sanitarie per esempio: la transplantazione degli organi, ma viene inclusa anche nelle professioni di scienziati, in particolare in ambito delle scienze che possono creare i problemi di coscienza, riguardanti gli esperimenti scientifici, anche

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sugli animali, biotecnologia o ingegneria genetica.[34]  Si introducono o propongono le leggi sulla scienza che stabilisce il diritto degli scienziati all'obiezione di coscienza nell'ambito delle ricerche sulle domene scientifiche indicate, estendole anche agli studenti.[35]            Giovanni Paolo II chiaramente caratterizza la questione dell'obiezione di coscienza nelle professioni sanitarie scrivendo che „la possibilità di rifiutarsi di partecipare alla fase consultiva, preparatoria ed esecutiva di simili atti contro la vita dovrebbe essere assicurata ai medici, agli operatori sanitari e ai responsabili delle istituzioni ospedaliere, delle cliniche e delle case di cura”[36].            È necessario stabilire l'obiezione di coscienza nell' ambito sanitario perché fra l'altro le persone che esercitano tale professione- medico, farmacista, infimiere, o biologista, prendano le decisioni delle dimensioni etiche che riguardano l'inizio e la fine della vita umana ed anche la sua dignità e la vita privata[37]. Sul piano delle attività professionali da loro adempite  nascono molti conflitti fra  la coscienza e la legge[38]. Come professioni sanitarie si intendono soprattutto i medici, ma anche  ostetriche, infermieri  e l'altro personale sanitario d'assistenza. E. Sgreccia, indica come i soggetti dell`obiezione di coscienza: i medici, personale paramedicale, responsabili dell`istituzioni ospedalieri, cliniche, e centri di salute, i farmacisti[39]. Alle menzionate professioni si attribuisce il diritto di riferirsi all'obiezione di coscienza per le attività che riguardano l'aborto, la procreazione assistita o gli esperimenti medici che si legano alla necessità della soppressione degli embrioni umani. La legalizzazione dei mezzi abortivi-pillola RU486 e „del giorno dopo” e del fenomeno crescente di rifiutare dei farmacisti di venderle,  rileva la questione se i farmacisti sono, anche loro, il personale sanitaro che può richiamarsi all'obiezione di coscienza in riferimento agli atti e alle procedure abortive, quindi se anche questo gruppo fa parte delle professioni sanitarie. Si indica che l'integrazione professionale del personale sanitario deve portare a riconoscere l'obiezione di coscienza come il diritto comune delle professioni sanitarie, alla quale hanno diritto in ogni caso.[40]   Nella pratica legislativa le clausole di coscienza sono atomizzate su varie attività e sono disperse in diversi leggi. Di più, si diferenziano molto nel loro contenuto e sarebbe difficile costruire da  questo il modello della clausola unica e comune per tutte le categorie delle professioni sanitarie. Si cerca di limitare al minimo qualche modello sostanziale con le rizoluzioni giuridiche in questione. R. Dresser ha presentato tale prova.[41]  Secondo la sua opinione il primo modello sarebbe fondato sul contratto fra il medico e il paziente; il medico, all'inizio del contatto, indicherebbe i confini del suo comportamento, benché si inseriscono le modifiche dettate dall'aiuto medico urgente.  Il secondo autorizzerebbe al medico che è l'obiettore di coscienza l'obbligo di rinviare il paziente all'altro medico. Questo modello è falso perché relativizza il diritto in questione.  Il farmacista ha espresso la questione, in modo preciso, dicendo che „non uccido io ma indico che lo farebbe l'uomo una strada un po' più lontano”[42]. Il terzo modello rigetta la possibilità di riferirsi all'obiezione di coscienza perché la persona che entra nella professione, accetta di essere in conformità ai suoi standard, benché l'autore sottolinea che non tutti i doveri del personale sanitario sono conosciuti  prima. Per altro lo sviluppo della biomedicina e della legalizzazione degli attentati alla vita umana, legalmente allegati alle professioni sanitarie dimostrano che il quadro delle attività professionali non è in pieno prevedibile. Nel quarto modello  R. Dresser dimostra lo schema dell'obiezione di coscienza nel servizio militare, cioè le indicazioni legali delle opzioni possibili delle condotte del personale sanitario di cui possono scegliere in conformità alla propria coscienza una condotta adeguata. Finalmente, il quinto modello costituisce la soluzione del compromesso di fare il bilancio  tra l'interesse del paziente e la libertà di coscienza del personale sanitario.             Il legislatore italiano ha introdotto l'unificazione giuridica della risoluzione del problema di clausola di coscienza in riferimento alla sperimentazione animale. Hanno emesso la legge speciale sull`obbiezione di coscienza sulla sperimentazione animale;[43] come criterio di tale

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regolamentazione hanno preso il fattore oggettivo-il tipo di esperimento in ambito di diverse categorie professionali. Consente il diritto comune all'obiezione di coscienza in riferimento a ogni atto connesso con la sperimentazione animale. Secondo la legge, medici, ricercatori, personale sanitario nei ruoli dei professionisti laureati, tecnici ed infermieri, nonché gli studenti universitari, possono riferirsi alla clausola di coscienza. È un peccato che tale regolamentazione, complessiva e unificata, dell'obiezione di coscienza non sia inserita nelle leggi che  legitimano gli attentati alla vita umana. Tuttavia riguardando l'ampliamento del campo dell'obiezione di coscienza nelle professioni sanitarie si indica a volte la necessità d'integrazione normativa in questa materia affinché, protteggendo la coscienza individuale, „si salva” il rispetto dei precetti di legge che incarica il personale di questa categoria  il dovere di realizzare le attività che appartengono alla professione.[44] Inoltre si rileva che la condizione di richiamare l'obiezione di coscienza in tutte le professioni sanitarie, anche i farmacisti, dovrebbe essere la  garanzia ai malati dell'accesso all'assistenza medica.[45]a.  Medici             I medici sono la categoria professionale nell' ambito del personale sanitario in cui, per la prima volta si è manifestato con tutta l'acutezza  il problema  di rifiutare di adempiere le attività imposte dalla legge, ma opposte alle loro coscienze. Nella  professione di medico hanno incluso molte attività che non hanno niente a che vedere con la cura dell'uomo e con il giuramento di Hipocrates- p.es. aborto, eutanasia,  contraccezione, diagnostica prenatale, selezione degli embrioni, fecondazione artificiale etc.            Il rifiuto presentato dai medici riguardava anzitutto le attività che conducono all'omicidio dell'uomo, cioè aborto, legalmente riconosciuto dall'intervento medico, ma anche, molto più tardi, eutanasia e la pena di morte per l'iniezione mortale. I medici rifiutavano di realizzare l'aborto nonostante che la legge non avesse ancora stabilito la clausola di coscienza.            La regolamentazione giuridica dell'obiezione di coscienza nel contesto della professione di medico, che è entrato con le leggi che legalizzano l'aborto, si estende anche, in primo luogo, sul diritto di rifiutare di uccidere il bambino concepito in via dell'aborto volontario[46]. L'ambito oggettivo della clausola di coscienza del medico si allargava con quello della legalizzazione dell'aborto e dell'ammissibilità dell'aborto per i motivi criminali e eugenici, ma soprattutto sociali e personali, o accettazione del modello di aborto a richiesta[47]. Comunque le prime leggi abortive, emesse nei paesi comunisti, non comprendevano i precetti autorizzanti il medico di rifiutare  l’interruzione della gravidanza. I medici che rifiutavano l'aborto erano oggetti della repressione, privati del diritto di esercitare la loro professione, e nel migliore dei  casi, licenziati del lavoro, gli studenti di medicina che non volevano assistere all'aborto erano espulsi. Questo era il caso della Polonia, dove la legge sull'aborto del 27 aprile1956 non prevedeva la possibilità legale di rifiutare di realizzare l'aborto. Soltanto nelle leggi emesse nei paesi occidentali, dagli anni settanta, hanno concesso-parallelamente ai permessi di uccidere senza pena il bambino concepito dal medico- il permesso di rifiutare impunemente tale attività,  radicata nelle norme della coscienza del medico, benché  in un certo senso, dipendenti dalle condizioni indicate[48]. Tale autorizzazione riguardava non solo i medici, ma si estendeva soggettivamente su tutte le persone- il personale sanitario che, in modo diretto o indiretto, assistava all'aborto legale[49]. Tale clausola si trova nel testo della prima, nei paesi occidentali, legge sancita da Grand Bretagna nel 1967[50]. L'obiezione di coscienza riguardava –indipendentemente dallo status legale del lavoratore- il rifiuto di realizzare le attività abortive nell'ambito della professione, con l'esclusione degli interventi necessari per salvare la vita e la salute o per prevenire il danno fisico grave o psichico della donna incinta. Tuttavia sollevando l'obiezione di coscienza, bisognava garantire la realizzazione della decisione della donna ad indicare un altro medico che lo procurava.[51] Si vede che la clausola comprendeva già i gravi limiti oggettivi. Il medico doveva

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fissare la persona che avrebbe realizzato l'aborto. Siccome il legislatore ha usato la parola „ogniuno che assiste”, supponeva che ella riguardava non solo il medico, ma tutte le persone che, in qualsiasi modo, collaborano all'aborto.; ciò è stato l'oggetto del noto caso.[52] Le clausole di coscienza erano incluse anche nelle leggi sull'aborto, successivamente emesse dai paesi europei. Senza dubbi, sulle base di tali leggi, il medico poteva usare la clausola di coscienza e rifiutare di realizzare l'aborto, quindi la clausola è stata iscritta alla pragmatica giuridica della sua professione. In maniera esplicita viene confermata dall'art. 9 della legge italiana del 1978[53] che legalizza l'aborto, in riferimento alle attività delle persone che assistono all'aborto, anzitutto ai medici. La  legge che legalizzava l`aborto in Spagna del 1985[54] non comprendeva la clausola di coscienza, perciò biognava riferirsi alle decisioni della Corte Costituzionale. La prevede invece il codice deontologico medico[55], ma resta senza significato per lo status legale del diritto all'obiezione di coscienza. La legge polacca sull'aborto del 1993 non include la clausola di coscienza.. All'inizio è stata inserita nel regolamento del Ministro della sanità[56] del 30 aprile 1990, cioè nell'atto di rango inferiore ma la Corte Costituzionale esaminando la sua leggitimità ha ritenuto che il diritto dei medici all'obiezione di coscienza deriva direttamente dal diritto costituzionale alla libertà di coscienza. Nel 1996 la clausola di coscienza viene stabilita nella legge sulla professione del medico,[57] dandole il quadro generale e trattandola come il diritto del medico di astenersi dal prestare oneri sanitari contro coscienza. L'uso della clausola è condizionato:ed è vietato al medico di rifiutare di prestare soccorso a chi corre il rischio della morte o di una grave mutilazione della salute, il medico è obbligato ad indicare le possibilità reali di ottenere questo onere dall'altro medico o nell'altra struttura sanitaria locale in grado di giustificare e annotare questo fatto nella documentazione medica.  Il medico che esercita la sua professione sulla base di rapporto di lavoro o  durante il servizio è in più obbligato ad avvertire per iscritto il suo primario.  In riferimento ad interrompere la gravidanza- secondo la legge polacca-il medico rifiutando di realizzarlo dovrebbe indicare un altro medico che lo pratica. Questa impostazione  è evidentemente sbagliata perché relativizza l'obiezione di coscienza. E ovviamente viola la coscienza del medico.[58] Nel realtà polacca, ha posto, il problema di possibilità di riferirsi alla clausola di coscienza dal medico in riferimento  al rifiuto di rilasciare le ricette per i mezzi di contraccezzione (in Polonia non hanno legalizzato i mezzi farmacologici abortivi) e in caso di rifiutare di dare il certificato dello stato di salute della donna incinta che l'autorizza di interrompere la gravidanza per le ragioni di salute e di rifiutare di rilasciare il certificato sullo stato di salute del feto e di trovare che gli esami prenatali indicano una grande probabilità di una grave e permanente minorazione del feto o una malattia incurabile che porta alla morte.[59] Sulla base del medesimo caso il medico è stato accusato di non adempiere ai doveri del funzionario publico, operando per il danno della donna incinta.            Le analisi delle formule giuridiche della clausola di coscienza riguardante la realizzazione dell'aborto, spettanti soprattutto al medico, dimostrano la tendenza alla „secolarizazione” del suo contenuto, ciò è connesso alla tendenza alla „secolarizazione” di coscienza, cioè di staccarla dalla religione e legarla unicamente con la decisione individuale dell'uomo.[60] Si può anche trovare le proposte di riferirsi, al riguardo dell'obiezione di coscienza, soltanto al concetto di moralità laica per  la quale è giustificata la diversificazione dei valori etici e che non accetta l'alta verità di carattere di norme giuridico-naturali.[61] In seguito, certi legislatori cercano di rompere il raporto fra il rifiuto di realizzare l'aborto e la coscienza del medico dando la formula eticamente „neutrale” come l'ha fatto il legislatore francese che all'art. L2212-6 Code de la Sante publique indica che se il medico non pratica l'intervento interruttivo della gravidanza, rimette la richiesta della donna a un altro medico[62], non si rileva che l'aborto rimane in contradizzione con la sua coscienza o le sue convizioni. Ciò ampia l'ambito oggettivo del rifiuto di realizzare l'aborto.

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            L'obiezione di coscienza del medico si può estendere non solo sulla realizzazione fisica dell'aborto, ma anche su tutte le attività e le procedure necessarie condotte all'aborto: le informazioni, rilascio dei certificati, prescrizione degli esami di cui dipende la decisione dell'aborto.Quindi l`obiezione di coscienza per i medici ha due dimenzioni di carattere oggettivo - prima e la fase della verificazione, delle procedure abortive e seconda- l`esecuzione del`aborto[63]. Nei ultimi anni occore indicare anche terza dimenzione- cioe la proscrizione dei mezzi abortivi farmacologici.La legalizzazione, in numerosi paesi, dell’uso dei mezzi postcoitali abortivi, che prevengono l'impianto della blastocisti, distruggendo il bambino concepito, ha formato un nuovo spazio nel diritto all'obiezione di coscienza del medico. Il problema riguarda l'ammissione alla vendita soprattutto la pilola RU 486 e quella „un giorno dopo”, cioè cosidetta „contraccezione d`emergenza”, Comitato Nazionale di Bioetica in Italia ha nettamente ritenuto che „i medici devono avere facoltà di ricorrere all`obiezione di coscienza, se si tratta di prescrivere la pillola del giorno dopo”. Senza dubbio il medico può, per i motivi di coscienza, richiamare la clausola di coscienza e rifiutare di prescrivere tali mezzi come quelli che conducono all'aborto[64],  benché la questione è stata presentata come controversa[65] e nei certi paesi è diventata l'oggetto delle risoluzioni delle corti o della Corte Costituzionale. Purtroppo con riferimento alla definizione della gravidanza che comincia non dal concepimento ma dall'impianto, approvata spesso dalla legge, si contesta a volta il diritto del medico di rifiutare di prescrivere i mezzi abortivi. Si rileva che tale attività non ha niente da vedere con l'aborto e in conseguenza non è inserita nella clausola di coscienza. Tale ragionamento segue la proposta della risoluzione giuridica della questione dell'obiezione di coscienza, inclusa  nel progetto di legge sulla paternità e maternità consapevole del 2004[66], respinto dal parlamento polacco. Si indica esplicitamente che il ditritto del medico di astenersi degli oneri sanitari opposti alla sua coscienza non riguarda il diritto di rifiutare delle attività che prevengono la gravidanza, al senso di prevedere anche l'impianto dell' embrione nell'utero allo scopo di rendere impossibile la crescita dell'embrione o del feto.            Con lo sviluppo della biomedicina e della legalizzazione delle tecniche di fecondazione artificiale in vitro,connesse alla soppressione di embrioni umani e alle ricerche biomediche sugli embrioni umani, alla selezione degli embrioni agli scopi eugenici, alla manipolazione e a peggiorare del patrimonio genetico dell'embrione, alla clonazione, alla formazione delle ibride o delle chimere ed alla pratica della sterilizzazione contraccettiva[67], l'obiezione di coscienza sollevata dal medico viene ampliata dal rifiuto di esercitare tale attività. La Dichiarazione dell'Assosiazione mondiale dei medici sulla  fecondazione in vitro e sul transfer degli embrioni, accettata dal  XXXIX Assemblea dei medici del mondo del 1987 stabilisce che il medico nel contesto a titolo delle attività  non può infiangere i suoi principi morali e nello stesso tempo deve rispettare i principi morali dei pazienti. Dell' art 16 della  legge del 19 febbraio 2004, N.40 sulle norme in materia di procreazione medicalmente assisitita che riguarda l'obiezione di coscienza emerge, fra l'altro, che il personale sanitario, senza dubbio il medico  non può essere tenuto a prendere parte alle procedure per l`applicazione delle tecniche della procreazione assistita, quando solleva l'obiezione di coscienza con una preventiva dichiarazione, ciò non riguarda l'assistenza medica prima e dopo l'intervento.    Nella clausola di coscienza ribadita nell'art. 38 della legge Human Fertilisation and Embryology Act 1990 sancita da Grand Bretagna hanno generalmente indicato che nessuna persona, si intende il medico che ha sollevato l'obiezione di coscienza per qualsiasi attività previste in forza di questa legge,  può essere obbligata a realizzarle.[68]                Da qualche anno, in conessione della legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito, si  rileva la questione dell' estensione della clausola di coscienza per la professione del medico[69]. La legge olandese che pone fine alla vita su richiesta e al suicidio assistito[70] non

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include la clausola di coscienza.  Si trova però nell'art. 14 della legge belga sull'eutanasia.[71] Nell'ordinamento dello stato di Oregon, dove suicidio assistito e l'assistenza del medico in tale atto vengono legalizzati, hanno previsto al medico il permesso di astenersi di prescrivere i farmaci necessari al suicidio.[72]Occorre notare che nelle leggi sull'eutanasia cioè nelle quali l'omicidio della persona gravemente malata dal medico è legale, in sostanza non c'è il problema della clausola di coscienza perché la legge non incarica il medico di uccidere l'uomo con eutanasia o di assistere al suicidio. La situazione sembra rovesciata, i medici che vogliono uccidere la persona malata presentano il loro accesso a tale tipo di attività. Sanno che non verranno accusati per  la responsabilità penale per omicidio se osservano estremo rigore, ciò ai sensi dell''art. 2 della legge olandese significa che se praticano l'interruzione della vita o l'aiuto al suicidio con tutto il rigore medico richiesto. La legalizzazione dell'eutanasia e dell'assistenza al suicidio è evidentemente contraria all'etica della professione medica e delle norme deontologiche mediche. I numerosi codici deontologici indicano anzi che il medico non può partecipare a togliere la vita. Questa astensione include la norma comune di deontologia di questa professione, derivata della norma morale „non uccidere”.            Sul piano dell'obiezione di coscienza del medico si distingue la tendenza in cui la realizzazione può condurre a perdere o a limitare il diritto del medico all'obiezione di coscienza. Si tratta del concetto dei cosidetti valori medici neutrali[73] in riferimento alle attività imposte dalla legge al medico come:aborto, eutanasia o assistenza al suicidio. Presume che i valori che sono inscritti nella coscienza del medico non possono influenzare le sue decisioni nell'attegiamento verso il paziente. Il medico non deve presentare verso il paziente nessun sistema di valori, valutare moralmente gli interventi o le procedure che realizza o  avvia. Non deve trasferire i suoi valori individuali di religione, ideologici, politici sulle relazioni paziente-medico.[74]. Questo concetto si fonda sul principio che nessun valore è più giusto di altri, cosi i valori del medico non prevalgono sui valori del paziente. Il medico deve essere neutrale relativamente ai valori o, in altro modo, dovrebbe accettare „valori neuturali”. La presentazione, in forma dell'obiezione di coscienza, dei propri valori sarebbe scorretta politicamente. L'accettazzione di tale concetto, in conseguenza,  priverebbe il medico del diritto all'obiezione di coscienza.            Un' altra dimensione appartiene alla questione dell'obiezione di coscienza relativa alla pena di morte. Il problema si è rilevato con l'approvazzione, negli Stati Uniti, della pena di morte con iniezione letale. Alla notizia della prima esecuzione di questo tipo che avrebbe avuto luogo allo stato dell' Oklahoma negli Stati Uniti, il Primo Segretario dell'Assosiazione Mondiale dei Medici durante 34 Congresso mondiale dell'Assosiazione dei Medici ha preso la risoluzione condannando la partecipazione dei medici all'esecuzione della pena di morte. Il destino dei medici, della medicina e dei suoi mezzi è la protezione della vita e non agire come carnefice. Il medico non dovrebbe esercitare la pena di morte, ma soltanto dopo l'esecuzione constatarne il decesso.[75] Purtroppo succedevano i casi dell'eccessso volontario dei medici a realizzare, in questa via, la pena di morte. È necessario sottolineare che, nel caso dell'esecuzione della pena di morte con iniezione endovenosa di una quantità chimica letale, si esige la sapienza medica, non avviene la situazione tipica per l'obiezione di coscienza cioè il conflitto di due obblighi-legale e morale- perché la legge non costringe il medico alla partecipazione attiva all'esecuzione. Le richieste di incaricare di tale obbligo i medici carcerari, in certi stati  degli Stati Uniti, ha portato alle proteste i medici i quali mettevano in rilievo che erano medici e non carnefici [76]. Invece, negli Stati Uniti ci sono noti i casi dei medici che si sono presentati volontariamente per realizzare l'esecuzione della pena di morte con iniezione.b) Infermiere e l'altro personale sanitario     

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            La questione della clausola di coscienza delle infermiere e delle ostetriche non suscita i dubbi. La necessità di introdurla ha visto L'Organizazione Internazionale del Lavoro rilevando nell'art.18 della Raccomandazione nr157 del 1977 che i membri del personale infirmieristico dovranno potere, senza conseguenze, escludersi delle attività esercitate, che sono in conflitto con le loro convizioni di religione, morali o etiche, a condizione che ne avvertano i direttori sanitari a tempo debito per garantire debite misure affinché i pazienti non siano danneggiati. Il diritto all'obiezione di coscienza degli infermieri e l'altro personale sanitario viene introdotto nella formula della clausola di coscienza di numerosi leggi abbortive o delle leggi che riguardano tali professioni. Le leggi che consentono l'aborto e prevedono il diritto all'obiezione di coscienza determinano in modo ampio il suo ambito soggettivo, quindi senza dubbio si estende su infermieri, ostetriche ed altre persone del corpo professionale del personale sanitario. Bisogna anche indicare che nelle leggi relative alla professione dell'infermiera e delle ostetriche, a volta si garantisce il diritto all'obiezione di coscienza, determinando il suo ambito in linea di massima, in tale modo che si possa riccorrere in ogni attività professionale che solleva l'obiezione di coscienza, non limitata unicamente all'aborto. Nell'art. 23 della legge polacca sulle professioni delle infermiere e delle ostetriche si indica, in modo esplicito, che l'infeirmiera e la ostetrica può astenersi, con preventiva dichiarazione per iscritto comunicata al directtore sanitario, dal realizzare le prestazioni sanitare, contrarie alla sua coscienza, a condizione che soccorra in caso di un pericolo imminente della vita, di un deperimento della salute del paziente.[77] La questione viene risolta differamente nei paesi, in cui manca la regolamentazione giuridica dell'obiezione di coscienza relativa alla professione dell'infermiera e della ostetrica, con la clausola generale come quella polacca o precisa che riguarda le attività ausiliare sanitarie di realizzazione dell'aborto. Dopo la sudetta sentenza della Corte Costituzionale che afferma che l'obiezione di coscienza è il diritto dell'uomo, in sostanza, non si mette in dubbio che nella professione dell'infermiere, della ostetrica sia annessa la clausola di coscienza. Tuttavia, in tale piano, la sentenza della Corte Nazionale spagnola  del 20 gennaio 1987 (RJA 18/87), nel caso di otto infermiere del reparto di ginecologia che hanno presentato la domanda  di obiezione di coscienza relativa alle attività connesse all'aborto, assicurando che a parte le attività abortive, avrbbero esercitato tutte le altre attività del reparto. La direzione sanitaria, rispondendo alla loro domanda, ha indicato che avrebberono dovuto cambiare lavoro. Quatro di esse si sono appellate contro la sentenza riccorrendo all'art. 14 e 16 della Costituzione spagnola. La Corte Nazionale spagnola ha affermato il loro diritto all'obiezione di coscienza, però ha ritenuto che il fatto di rinunciare dall'adempimento dei  loro doveri di infermiere disturbava il lavoro normale del reparto[78].            Le clausole di coscienza o una chiara indicazione che l'infermiera agisce in conformità con la sapienza e la sua coscienza, si trovano nei codici deontologici delle infermiere e delle ostetriche.   L'ambito oggettivo dell'obiezione di coscienza sorpassa l'intervento abortivo, al quale le infermiere preparavano la paziente, sia quando prendevano parte all'intervento di interruzzione della gravidanza, sia quando esercitavano attività successive. Il campo di legalizzazione degli attentati alla vita umana realizzati „per la medicina” intendendo per esempio interventi sulla fecondazione artificiale o sull'eutanasia, viene allargato; anche alle attività che esigono la presenza delle infermiere. Anche nel caso della decizione della corte che permette di staccare il malato dal respiratore o di sospenzione della nutrizione artificiale, che conduce alla morte del malato, queste attività sono attribuite alle infermiere. Non c'è da stupirsi che esse richiedevano l'estensione della clausola di coscienza affinché comprenda non solo l'aborto ma gli altri interventi o attività contrarie alle loro coscienza. Tale questione non ha trovato la regolamentazione complessiva e, in realtà la dichiarazione dell'obiezione di coscienza dall' infermiera costituisce la base per applicare verso di esse le sanzioni disciplinarie, fino al

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licenziamento dal lavoro, o in generale, della discriminazione professionale da parte del  datore di lavoro.c)  Farmacisti            La questione dell'obiezione di coscienza è contemporaneamente la più attuale sul piano della professione del farmacista che lavora nel laboratorio o nella farmacia. La sua intensità segue l'insersione alla vendita legale dei mezzi contraccettivi, e soprattutto i mezzi preimpiantatori che provocano la morte del bambino concepito nei primi momenti della sua vita e anzitutto della pillola RU 486 e quella di cosidetto „giorno dopo”, ma anche i mezzi destinati all'assistenza al suicidio, all'eutanasia o alla produzione e alla vendita dei medicamenti fabricati dai feti umani. Questo problema è diventato particolarmente aspro negli Stati Uniti, dove in vari stati approvano gli atteggiamenti diametralmente diversi. Più frequentemente di rifiutare ai farmacisti il diritto all'obiezione di coscienza, soprattutto quando si trattava dei mezzi di emergenza (specie la pillola „giorno dopo”), ciò era pretesto di presentare queste questioni alle corti. Tuttavia, in certi stati degli Stati Uniti, in ordinamento statale, riconoscevano il diritto al rifiuto di vendere tali mezzi sulla base dell'obiezione di coscienza.[79]. La terza soluzione approvata in certi stati degli Stati Uniti è quella di riconoscere il diritto all'obiezione di coscienza ai farmacisti, ma a certe condizioni e per tutelare l'interesse del paziente.[80].             Il problema dell'obiezione di coscienza dei farmacisti si è manifestato un po' prima nell'ambito degli atteggiamenti dei farmacisti francesi che rifiutavano di vendere le siringhe ai tossicomani, non emettendo le prescrizioni rilasciate dai medici.[81]. Se il diritto all'obiezione di coscienza ai medici, alle ostetriche, alle infermiere  non suscita obiezioni, in riferimento ai farmacisti suscita controversia. I farmacisti sono categoria professionale alla quale, in particolare nel contesto della legalizazione del commercio dei farmaci abortivi, si rifiuta il diritto all'obiezione di coscienza.[82].  Ha ragione J. Lopez Guzman quando indica che in sostanza, il farmacista può sollevare l'obiezione di coscienza, come ogni altro citadino, perché costituisce il diritto dell'uomo[83]  fondato sul diritto alla libertà di coscienza e di religione, garantito costituzionalmente. In conseguenza di forte  proteste e noti processi giudiziari di casi di farmacisti che hanno sollevato l'obiezione di coscienza avvengono evidenti modifiche del trattamento dal diritto all'obiezione di coscienza di medesima categoria professionale. È significativa la decizione del 2 ottobre 2001 della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a Strasburgo che riconosce illegittimità della querela dei farmacisti francesi che hanno rifiutato di realizzare le prescrizioni per pillole abortive „giorno dopo”, nella sentenza chiamate “mezzi contraccettivi”. I farmacisti si sono riferiti al diritto alla libertà di coscienza e di religione ai sensi dall'art. 9§1 della convenzione europea dei diritti dell'uomo. Prima sono stati puniti, sulla base della decisione definitiva, con una multa, per il fatto di non adempiere  l'obbligo di vendere il medicamento prescritto dal medico. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha ritenuto che il riferimento al diritto dell'uomo alla libertà di coscienza per giustificare l'obiezione di coscienza è infondato perché l'art. 9 della Convenzione non garantisce sempre il diritto alla condotta, nell'ambito pubblico, dettata dalle propre convinzioni. Ha indicato che se la vendita del prodotto è legale, i farmacisti non dovrebbero imporre agli altri le loro convinzioni per motivare il rifiuto di vendere il prodotto della prescrizione, aggiungendo che possiedono molti modi di manifestare le loro convinzioni fuori dell' ambiente professionale[84].            I più discutibili problemi della questione del riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza dei farmacisti sono: se la professione del farmacista può appartenere alla categoria delle professioni sanitarie, perché nel loro esercizio la legge garantisce il diritto al rifiuto di adempiere gli obblighi legali per le ragioni dell'obiezione di coscienza?; se la produzione e la distribuzione dei mezzi abortivi dai farmacisti si inserisce nelle attività indicate dalle clausole di coscienza, come esplicita o implicita cooperazione alle procedure o alle attività abortive ?; se il

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farmacista che in conformità alla legge sulla sua professione è tenuto a distribuire le medicine delle prescrizioni del medico, può rifiutare la loro emissione riccorrendo all'obiezione di coscienza? Se la prima questione generalmente non solleva molti dubbi, quindi è evidente che la professione del farmacista è una delle professioni sanitarie, nel secondo caso si cerca di negare il diritto di inserire le attività del farmacista tra quelle indicate dalla clausola di coscienza  relativa alle procedure dell'aborto, e più alle attività e procedure che attentano alla vita umana o la dignità di persona, come per esempio: eutanasia, assistenza al suicidio, fecondazione artificiale o sterilizzazione contraccettiva esercitati dal personale sanitario. Hanno negato che la produzione o la realizazzione delle prescrizioni per i mezzi abortivi possono essere riconosciute come le attività imposte dalle leggi abortive che costituiscono  titolo per sollevare l'obiezione di coscienza.[85] Hanno provato che questo non era  la cooperazione nelle procedure di realizzazione dell'aborto. Tale punto di vista occorre ovviamente rifiutarelo perché la produzione o distribuzione del mezzo abortivo o eutanatico si trova, secondo il principio “sine qua non” nei quadri di cooperazione all'aborto o all'eutanasia.            Hanno anche negato che i mezzi postcoitali o mecanici hanno l'azione abortiva.  Se si, la loro distribuzione non può essere compresa nella clausola di coscienza. Il principale campo di conflitto riguardava sopratutto-ammesse al commercio- le pillole RU486 (sotto vari nomi medici) e quella „del giorno dopo”, legalizzate in molti paesi[86], e in alcuni di loro distribuite anche senza prescrizione e gratuitamente.  Indicavano anzitutto che l'interruzione della gravidanza può succedere solo dopo l'impianto, invece l’impedimento della nidazione non costituisce l'aborto, ciò escluderebbe titolo sostanziale per sollevare all'obiezione di coscienza. La questione ancora più complessa riguardava la giustificazione del diritto all'obiezione di coscienza relativa alla distribuzione della pillola postcoitale del giorno dopo. La questione era presa in esame dalle corti che valutano i casi dei farmacisti che rifiutano la realizzazione delle prescrizioni, in cui i medici prescrivono le pillole del giorno dopo, non accettando, in generale, l'esistenza del diritto del farmacista all'obiezione di coscienza.  La questione dell'obiezione di coscienza dei farmacisti, soprattutto, in riferimento alla pillola del giorno dopo è particolarmente attuale negli Stati Uniti, dove nel 1988  Food and Drug Administration ha approvato l'uso dell„emergency contraception pill” come strumento di controllo delle nascite. Si ritiene che la sua applicazione permette di prevenire 1,5 milione di gravidanze „indesiderate” e 700 mila aborti ogni anno.[87] Si indica anche, generalizzando, sul piano dell'applicazione delle pillole che viene formato un nuovo fronte di battaglia nazionale per i diritti di riproduzione.[88] Pochi ordinamenti statali hanno introdotto le garanzie legali all'obiezione di coscienza dei farmacisti che riguardano sia le pillole „del giorno dopo” che quelle di RU486 e altri mezzi abortivi, invece gli altri stati hanno escluso ovviamente tale possibilità., spesso dopo un intenso dibattito[89]. Numerosi farmacisti italiani hanno anche presentato l'obiezione di coscienza  indicando che è compreso nella formula dell'art. 9 della legge 194 del 1978 che approva la possibilità di sollevare obiezione di coscienza di fronte all`interruzzione di gravidanza perché appartengono al „personale sanitario ed esercente le attività sanitarie.[90] Similmente accade per i farmacisti francesi,  particolarmente, in Francia dal 2002 con la legge si obbligano i farmacisti a distribuire ai minorenni, anonimamente, la pillola Norvelo (pilola del giorno dopo), di più in Belgio è obligatorio  distribuire gratuitamente ai minori tale farmaco che ha l'azione abortiva[91].            Riguardo all'obiezione di coscienza dei farmacisti in riferimento alla pillola del giorno dopo, prendono la parola anche i comitati nazionali di bioetica e soprattutto hanno provato ad inserire, nell'ambito delle corporazioni dei farmacisti, la questione dell'obiezione di coscienza nei codici deontologici di questa categoria professionale. L'esempio è il Comitato Nazionale di Bioetica in Italia che ha approvato nettamente, accettando il richiamo dei medici all'obiezione di coscienza per la prescrizione della pillola del giorno dopo, anche ai farmacisti appartiene

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l'obiezione di coscienza per la realizzazione delle prescrizioni per contraccezzione d`urgenza, la pilola „del giorno dopo” inclusa. Diversamente si tratta la medesima questione nei paesi come Francia o alcuni stati degli Stati Uniti, dove l'obbligo di rilasciare le prescrizioni per tale tipo di mezzi viene annullato ed essi sono accessibili „da banco”. In Spagnia, in mancanza della clausola di coscienza legale per le professioni sanitarie, inclusi i farmacisti, hanno inserito la clausola di coscienza negli artt. 28 e 33 del codice etico e deontologico del 2000. Il codice è stato approvato dal ministro della sanità e benché non abbia la forza della legge si sottolinea il suo significato per l'esercizio della professione di farmacista e per l'eventualità dei casi giudiziari, esaminati dalla corte, di rifiuto di distribuire tali mezzi[92]. Invece, nel codice deontologico italiano del farmacista del 2000 hanno stabilito, prevedendo chiaramente, che il farmacista opera secondo la sua sapienza e coscienza, nonché con osservanza del diritto.                Tuttavia, generalmente, tale obbligo normativo con sanzione disciplinare si completa con la clausola che il farmacista non può rifiutare di distribuire le medicine senza giustificato motivo.[93] Hanno rilevato che in conformità alla legge sulla professione, il farmacista è tenuto a distribuire le medicine che sono legalmente ammessi al commercio.  Non c'è alcun dubbio che l''obiezione di coscienza è un giustificato motivo. Giovanni Paolo II  sottolineava con tutta la forza che  „il farmacista, che e sempre stato un intermediario tra il medico e il malato, vede allargarsi l’ambito della sua funzione di mediazione. La coscienza dei (...) doveri (…) porta a riflettere sempre piů sulle dimensioni umane, culturali, etiche e spirituali della (…) missione. Infatti, il rapporto tra il farmacista e colui che chiede dei rimedi va molto al di la dei suoi aspetti commerciali, poiché richiede una profonda percezione dei problemi personali dell’interessato oltre che degli aspetti etici fondamentali dei servizi resi alla vita e alla dignita della persona umana.(…) Nella distribuzione delle medicine, il farmacista non può rinunciare alle esigenze della sua coscienza in nome delle leggi del mercato, né in nome di compiacenti legislazioni[94]. Farmacisti non sono solo „semplici comercianti o distributori neutrali di cio che viene chiesto: la dignita del loro servizio professionale esige che vivano responsabilmente e in favore della vita il ruolo di mediazione tra medico e paziente(...).La vendita di prodotti, che fossero unicamente destinati ad uno scopo contrario alla vita, dev`essere oggetto di obiezione”[95].            Si sottolinea che i farmacisti costituiscono la categoria particolare professionale con i propri principi deontologici. I farmacisti devono compiere gli studi, ottenere l'autorizzazione all'esercizio della professione,  possedendo anche, in generale, il proprio codice etico.  Non possono distribuire mecanicamente le medicine, realizzare automaticamente le indicazioni della prescrizione, dovrebbero analizzarle perché esercitano una delle professioni sanitarie. Hanno quindi diritto al giudizio personale durante la realizzazione delle prescrizioni determinate. Non possono rifiutare la moralità della loro professione.[96]  Quindi la legge non dovrebbe imporre ai farmacisti di vendere i prodotti destinati a distruggere o porre la fine alla vita umana. Tale decisione  dovrebbe essere inclusa nella formula dell'obiezione di coscienza legale.[97]            Il diritto all'obiezione di coscienza è così duramente contestato che si propone di installare nelle farmacie le macchine automatiche per la realizzazione delle prescrizioni per i mezzi contraccettivi, abortivi inclusa la pillola „del giorno dopo”. I distributori non sollevebberono le obiezioni di coscienza e l'interesse del paziente sarebbe osservato.[98]            Un problema grave è: se l'autonomia della professione del farmacista può essere assoluta; dovrebbe possedere, nell'interesse del paziente, i limitti determinati.?  A riguardo, si notano le opinioni, secondo le quali non c'è bisogno di introdurre nel diritto la clausola generale di coscienza per i farmacisti, ma occorre collegarla con i sensi dei risultati determinati dall'azione delle medicine o mezzi distribuiti. Si rileva che i farmacisti non dovrebberono transmettere ai pazienti i loro giudizi morali sui medicamenti affinché non interferiscano sull'ordine legale vigente.[99]

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            L'obiezione di coscienza nell'ambito della professione dei farmacisiti dovrebbe comprendere solo i casi, in cui il farmacista ritiene che vendendo il farmaco assiste alla realizzazione dell'atto immorale, quando si forma il conflitto di coscienza insolubile. Ciò significa che in certi casi il farmacista non dovrebbe cercare i modi alternativi di rifiutare di distribuire i mezzi medici determinati, con argomenti professionali.  Molto dipende dal tipo di farmacia e dal modo di impiegare il personale. Il riferimento all'obiezione di coscienza, quando bastano le ragioni della sapienza professionale, costituisce secondo Guzman un errore[100], ciò riguarda non solo la realizzazione delle prescrizioni rilasciate dai medici per i mezzi medici abortivi, ma il loro lavoro nelle strutture dell'ospedale e le ricerche sui medicamenti nei laboratori.[101].d) Consulenti            L'istituzione dei consulenti in materia della vita umana e della famiglia è molto differenziata, e significa l`istituzione pubblica o privata cui e assegnato il compito  di offrire consulenza- cioe consigli, pareri e aiuto su questioni riguardanti la vita personale congiugale e familiare[102].È prevista da numerose leggi, sopratutto sull'aborto ma anche dalla legge olandese che legalizza l'eutanasia. Il medesimo problema viene anche regolato dalle leggi speciali. Il consulente non costituisce, in sostanza, una categoria professionale distinta, ma piuttosto una specializzazione determinata nell'ambito delle professioni più generiche, che però esige qualificazioni adeguate. Uno dei loro doveri è la consulenza prima dell'aborto. Il ruolo dei consulenti nella interruzzione di gravidanza è specifico perché dovrebbero presentare la verità sullo: sviluppo del nascituro,  natura e realizzazione dell'aborto,  risultati e pericolo di tale intervento, richiesto dalla madre, tipi di assistenza sociale o medica previsti per i bambini e le madre prima e dopo la loro nascita. In qualche caso le consulenze prima dell'aborto sono obbligatorie e costituiscono una condizione formale, prevista dalla legge, necessaria per l'interruzione della gravidanza. In questi casi si richiede il certificato che conferma la consulenza effettuata dalla donna incinta. Non ha purtroppo nessun influsso materiale sulla realizazione dell'aborto perché  egli dipende unicamente dalla volontà della donna incinta, ma è un documento neccessario presentato al medico che procura l'aborto.            Le consulenze prima dell'aborto sono previste, come obbligatorie o facoltative, per molte legge sull'aborto p.es. in Francia, Germania, Italia, Reppublica Cecha, Slovacchia, Svizzera. Si approvano le leggi speciali sui consulenti, p.es. in Svizzera è vigente la legge federale sui consulenti dell’aborto del 9 ottobre 1981[103], che ha istituito o riconosciuto i centri di consulenza, in forza della quale tutti i cantoni sono obbligati ad istituire tali centri per dare le consulenze a tutte le persone interessate. Tale consulenza dovrebbe essere una conversazione approffondita sulla situazione perssonale, su circostanze psichiche e sociali della donna incinta e sull'aiuto a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzzione della gravidanza.  Il legislatore suppone che sia sufficiente che la donna prenda la decisione di accettare l'aborto liberalmente e volontariamente.[104]   Particolarmente noto è caso dei consulenti cattolici per le donne incinte in Germania,[105] dove la consulenza costituisce una unica condizione dell'aborto legale. In conformità con § 218 del c.p. tedesco, con modifiche del 26 gunnio 1992, la vita del bambino concepito è tutelata non dal divieto dell'aborto con sotto la minaccia di una pena ma dalle consulenze obbligatorie date alla donna. Tale consulenze, recentemente, hanno effettuato i centri cattolici, ciò esigeva l'autorizzazione dello Stato ed è sottoposto al controllo statale[106] La questione dei certificati rilasciati dai consulenti cattolici di eseguire un'interruzione di gravidanza era l'oggetto di gravi controversie ed anche, in seguito all'intervento di Giovanni Paolo II. Il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Tedesca ha deciso di uscire dal sistema statale dei consulenti e di istituire consultori propri che, evidentemente, non rilasciano i certificati necessari  per la realizzazione dell'aborto legale e hanno altri doveri. In forza della direttiva della Conferenza episcopale tedesca del 26 settembre

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2000 per il lavoro dei consulenti per le donne incinte, hanno accettato che „a nessun consultorio cattolico è permesso di mantenere ne sussidiare idealmente o finanziarmente organizzazioni che rilascino certificati di consulenza che sono uno dei presupposti per l`esecuzione depenalizzata dell`aborto „questo certificato non puo essere utilizzato per l`esecuzione depenalizzata di aborti”[107].            In Italia funzionano i consulenti familiari, prima -di fatto- da 1948 a Milano, formalmente istituiti dalla legge n.405 del 29 luglio1975[108]. L'area di loro competenza è stata ampliata dalla legge del 22 maggio 1978 n. 194 sull'assistenza della donna in stato di gravidanza[109]. I numerosi doveri dei consulenti si estendono su p. es. educazione, paternita e maternita responsabile, educazione familiare, e problematiche coniugali e minorili, la contraccezione, nonché assistenza alla donna in stato di gravidanza,  informazioni  sui diritti a lei spettanti, e sui servizi sociali, sanitari e l'aiuto a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza. Ogni donna che vuole interrompere  la gravidanza deve rivolgersi obbligatoriamente al consulente che rilascia un certificato adeguato, presentato al medico che procura l'aborto.            I consulenti sono impiegati sulla base delle disposizioni vigenti determinate e sul contratto di lavoro, quindi conoscono la materie nell'ambito per il quale effettuano le consulenze. Sembra che non ci sia alcun dubbio sul fatto che gli attribuisca l'obiezione di coscienza ai sensi dell'art. 9 della l. 194 del 1975 che elenca espressis verbis il personale sanitario ed esercente la attività ausiliarie, ciò è fondato sul fatto che il loro lavoro non si limita a rilasciare il certificato alla donna incinta che vuole interrompere la gravidanza. Come consulenti familiari possono sollevare la clausola di coscienza in riguardo del rilascio del documento che autorizza l'interruzzione della gravidanza o delle consulenze sui metodi contraccettivi.            Tuttavia, come giustamente scrive L. Melina relativamente ai consulenti previsti dalle leggi sull'aborto, si sottopongono alla falsa logica dalla legge che rinuncia alla tutela del bambino concepito e mette in primo piano il rispetto della decisione della coscienza della donna[110]. Le persone che si decidono a lavorare nei centri di consulenza hanno la consapevolezza che i loro certificati possono servire come „sanzionamento” formale della decisione individuale della donna di interrompere la gravidanza. Il problema dei consulenti stabiliti dalla legge olandese sull'eutanasia è completamente diverso. Già ai sensi dell'art. 1 della  medesima legge per  “consulente si intende il medico, che è stato consultato in riferimento all`intenzione da parte del medico per porre fine alla vita su richiesta o a dare assistenza ad un suicidio”. Il medico che toglie la vita o assista al suicidio viene obbligato a  dare la consulenza con un altro medico- indipendente, che ha visitato il paziente e ha dato la sua opinione scritta sui requisti del trattamento dovuto, indicando la convinzione, “che la richiesta del paziente è volontaria è ben ponderata, che ha la piena convinzione che le sofferenze del paziente sono resistenti a terapia e insuperabili”, e che “ha informato il paziente sulla situazione clinica e circa le sue prospettive, che il medico e il paziente ha convinzione che non c`e altra ragionevole soluzione circa la propria situazione”. Alla luce della legge, non sembra che alla persona, che si è  incaricata del ruolo di consulente, sia attribuita l'obiezione di coscienza, perché possiede la piena consapevolezza dei suoi doveri relativi all'eutanasia o all'assistenza al suicidio, determinati dalla legge, e si è impegnata volontarmente ad adempierli. Nel caso di legge olandese il consulente conosce prima il suo ambito delle attività da lui spettanti, nel quadro delle consulenze, quindi sarebbe ipocrita attribuirgli il diritto all'obiezione di coscienza perché può rifiutare il lavoro che è contrario alla sua coscienza. Assegnare il diritto all'obiezione di coscienza è assurdo come dare questo diritto al carnefice, perché l’omicidio dell’uomo costituisce l’essenza della sua professione.e) Personale amministrativo del servizio sanitario.

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            Riguardo alla legalizzazione della clausola di coscienza, in certi ordinamenti tiene il medico ad indicare un altro medico o un'altra struttura socio-sanitaria dove l'aborto è realizzato. Le altri soluzioni giuridiche trasferiscono quest'obbligo direttamente ai direttori degli ospedali, delle cliniche o delle altre strutture socio-sanitarie. Il medico che richiama la clausola di coscienza nel riferimento all'aborto, previene il medico provinciale o il direttore sanitario che deve garantire la possibilità di realizzare l'aborto da un altro medico. I fautori dell'aborto sottolineano che la pubblica struttura sanitaria come tale non può sollevare l'obiezione di coscienza perché la coscienza possiede la dimensione individuale e non collettiva. Perciò è connessa alle persone fisiche e non alle persone giuridiche. La medesima opinione è criticata tanto più che certe leggi prevedono tale possibilità.[111].  Quello che fa le funzioni di direttore è tenuto ad indicare le persone del personale che procurano l'aborto o, nel caso quando tutti i medici di tale struttura sono obiettori di coscienza, deve indicare un'altra struttura socio-sanitaria. Certamente tale attività può essere contraria alla coscienza del medico provinciale o del direttore sanitario. Tuttavia non è più la questione della professione ma della funzione esercitata nella struttura amministrativa e dovrebbe essere esaminata nell'ambito del diritto all'obiezione di coscienza dei lavoratori, impiegati sulla base del contratto di lavoro o della nomina, quindi resta fuori del soggetto di questa presentazione.6.  Professione giuridica. a)  Molte controversie suscita il fatto di usufruire del diritto all'obiezione di coscienza dai giudici.  Tale questione viene rilevata non solo nel riguardo alla necesità di esaminare le cause di cui l'oggetto costituisce l'attentato alla vita, in generale nella forma di aborto, ma anche le cause di divorzio o quelle di coppie dello stesso sesso. In questi ultimi casi, la Chiesa Cattolica incitava a riferirsi all'obiezione di coscienza. In conformità ai precetti delle legge che riguardano l'ordinamento giudiziario, i giudici decidono  secondo la propria coscienza. Ciò gli permette di esaminare un caso preciso conforme alle norme della coscienza, ma sempre nei limiti della legge[112].  Si sottolinea che in questa formula si tratta dell'indipendenza dai giudici e delle decisioni sovrane, senza pressioni. Invece se il guidice non dà il  consenso ad esaminare le cause determinate dalla maggioranza dei giudici collegiali può dichiarare votum separatum manifestando la sua diversa opinione. Agisce allora nll'ambito della cosidetta opzione di coscienza,  inserita nella  pragmatica professionale dei giudici. Può anche escludersi di decidere un caso preciso.            Il problema più grave è la questione di vincolare il giudice dai precetti della legge  la cui „assiologia non accetta[113]” In generale si accetta che il giudice è vincolato dalla legge, quindi non puù rifiutare di realizzarla.[114]Talvolta, soprattutto con riferimento alla situazione delle „svolte politiche”, si indica la possibilità di applicare dal giudice c.d. clausola di Radbruch, secondo la quale, „il conflitto tra la giustizia e la sicurezza giuridica sarebbe necessario risolvere in  modo che il diritto positivo, garantito dalla legislazione e dal potere statale abbia la precedenza anche se il suo contenuto è iniquo e inutile, benché la contraddizione tra la legge positiva e la giustizia raggiunge tale livello che la legge come il diritto iniquo dovrebbe cedere alla giustizia. Si può comunque, con tutta chiarezza indicare (...) il confine: là dove non si tende mai alla giustizia, dove ugualianza, come l'essenza della giustizia è rifiutata consapevolmente nel momento di costituire il diritto positivo, è difficile di dire che la legge è soltanto „diritto iniquo” perché perde, in complesso, la natura del diritto”[115]. Radbruch spiega che „esistono tali principi giuridici che  prevalgono  su ogni disposizione di diritto e in conseguenza la legge  la loro opposta è privata del potere vigente. Tali principi si definiscono come il diritto naturale o il diritto della ragione”.[116] In tale  spiegazione che fonda la possibilità eccezionale di sottrarsi al rispetto delle norme legali si riflette, indicato, molto prima, da Santo Tomasso d'Aquino, il principio del diritto iniquo. Il giudice che nella sua coscienza  vede  l'indegnità della norma

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giuridica, la sua contradizzione rispetto ai valori morali universali e rifiuta di esercitare tale disposizione della norma giuridica, accettando le conseguenze o anche la rinunzia ad esercitare la professione del giudice, non dovrebbe assumere la responsabilità giuridica.[117] Nella letteratura polacca si può trovare una concezione ragionevole che „il giudice eticamente sensibile non può obedire a ogni legge (...) Esiste una soglia del sistema del diritto o dell'ordine giuridico, sotto la quale,  abbiamo a che fare con la negazione della stessa idea fondamentale del diritto per la violazione dei principi e valori fondamentali. Tale diritto non può essere esercitato da nessuno giudice onesto”[118]. Nonostante che la contradizzione sostanziale tra il diritto stalinista e i diritti dell'uomo fosse lo sfondo di tali opinioni, occorre estendere le norme etiche della condotta del giudice sulle sue attività relative alla questione del diritto alla vita o del diritto di famiglia. Il giudice, come ciascuno, ha diritto ad agire, esercitando la sua professione, in conformità con il giudizio della propria coscienza. Dovrebbe anzi riconosceregli il diritto all'obiezione di coscienza. Si deve accettare che nel caso di conflitto inamovibile fra il contenuto delle disposizioni e la coscienza del giudice, con riferimento ai diritti universali dell'uomo, p.es. diritto alla vita, il giudice dovrebbe avere la possibilità di rifiutare di decidere sulla sua base.  Sul medesimo campo si è rivelato il problema di rifiutare dal giudice tutelare il rilascio dell'autorizzazione all'aborto alla minorenne; agendo in  conformità con la sua coscienza, può rifiutare di rilasciare tale autorizzazione. Tale opinione ha anche espresso E. Sgreccia, sottolineando, che il giudice tutelare deve avere il diritto all` obiezione di coscienza, nei casi dei minnorenni e handicapati[119]. Si fanno notare le sentenze della Corte Costituzionale in Italia-p.es. 196/1987 i 445/1987, 1993, 2002, in cui si rifiuta al giudice, nei casi sopradetti, il diritto di sollevare l'obiezione di coscienza perché egli rimane in aspro contrasto con l'obbligo sostanziale della realizzazione dell'ordine giuridico, imposta alle persone che esrcitano delle funzioni pubbliche[120]. Sembra che il problema delle possibilità di richiamare dal giudice la clausola di coscienza può manifestarsi nell'ambito di altre leggi, non solo su quello che legalizza l'aborto. Alcuni però, vincolando rigorosamente il giudice all'obbligo di applicare la legge, indicano che, nel caso di essere convinto che una disposizione determinata di diritto viola le norme costituzionali, può comminciare „le procedure di esaminare la legittimità della norma contestata con la costituzione davanti alla Corte Costituzionale[121], ciò esclude evidamente la possibilità di sollevare da lui l'obiezione di coscienza.            La questione del diritto del giudice all'obiezione di coscienza viene anche rilevata con riferimento alle decisioni delle cause di divorzio, ed è molto attuale nell'ambito della legalizzazione delle coppie omossessuali nei confronti dei doveri del giudice che tiene registri civili delle persone che vogliono  contrarre il matrimonio. Vale la pena ricordare che La Congregazione per la dottrina della fede ha chiaramente indicato che occorre astenersi da qualsiasi tipo di collaborazione per sanzionare ed applicare le leggi che legalizzano tale coppie perché sono gravemente ingiuste. In tale caso „ognuno può rivendicare il diritto all`obiezione di coscienza”[122]. Presentando la medesima questione, nell'ambito della legge spagnola, si indica il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale del 11 aprile 1985, in verità, in relazione all'aborto, ma che riconosce l'obiezione di coscienza come diritto fondamentale e direttamente applicabile. Non esistono quindi alcune ragioni giuridiche affinché il giudice non possa riferirsi a tale risoluzione come base giuridica del rifiuto di applicare la legge sulle unioni civili di coppie delle persone dello stesso sesso, per riguardo all'obiezione di coscienza. In tale contesto, si indica che, in forza di una legge organica, il giudice, se sostiene che l'unione civile delle persone dello stesso sesso è  illegitima, può sporgere querela alla Corte Costituzionale[123].            In Italia, dopo il discorso di Giovanni Paolo II alla Rota Romana, pronunciato il 28 gennaio 2002[124], in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario si è intensificata la discussione sul diritto all'obiezione di coscienza delle persone che esercitano le professioni giuridche, in

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particolare i giudici e gli avvocati. Il Santo Padre, definendo il divorzio come una piaga per la società civile e sottolineando l'indissolubilità del matrimonio, ha invitato ad astenersi dal cooperare ai divorzi. . Presidente del Consiglio Nazionale Forense opponendosi al diritto all’obiezione di coscienza ha dichiarato che i giuristi facendolo tradirebbero la legge e il diritto. Similmente, Ministro italiano della giustizia si è dichiarato contro il diritto all'obiezione di coscienza dei giudici.[125].  Nell'occasione di tale discussione relativa all'obiezione di coscienza dei giuristi cattolici in riferimento ai divorzi, rilevano che l'ordine giuridico dovrebbe riconoscere il diritto all'obiezione di coscienza come diritto individuale, inviolabile ed inerente, notando che l'applicazione di tale diritto non dovrebbe causare le sanzioni giuridiche[126].b) Il diritto all'obiezione di coscienza degli avvocati e delle altre persone che esercitano la professione giuridica.             Si suppone che l'avvocato non abbia la facoltà di ricorrere all'obiezione di coscienza perché si trova nella situazione, in cui il conflitto insolubile tra la coscienza e il contenuto delle disposizione di dritto non esiste. Può semplicemente rifiutarsi di condurre l’affare che porterebbe alla violazione delle norme di coscienza. Rimane comunque la questione della difesa d'ufficio, richiesta, in determinate  situazioni, dagli organi giudiziari perché, in tale caso, possono scontrarsi due doveri; la possibilità di riferirsi alla clausola di coscienza sarebbe una soluzione giusta, tanto più che nei codici deontologici che riguardano gli avvocati c'è spesso la regola che l'avvocato agisce in conformità alla propria coscienza. Nella legge francese sull'avvocatura del 31 dicembre 1990, si indica che l'avvocato non deve prestare la propria attività difensiva se la trova contraria alla sua coscienza[127]            Occorre quindi accettare che l'avvocato abbia, anche lui, il diritto all'obiezione di coscienza che pur costituisce il diritto universale dell'uomo            Il progetto di legge sul concordato in Slovacchia ha chiaramente garantito il diritto all'obiezione di coscienza a tutti i giuristi le cui attività riguardano l'oggetto di questa legge, p.es. I divorzi. Nell'allegato al medesimo progetto hanno indicato: giudici, avvocati ed ufficiali giudiziari[128].c) La legge che legalizza il matrimonio omossesuale in Spagna ha suscitato il problema del diritto all'obiezione di coscienza non solo dei giudici civili o dei sindaci che uniscono i matrimoni civili di tali coppie, ma anche del personale amministrativo ausiliare. La segretaria di corte ha sollevato obiezioni di coscienza nei confronti delle attività imposte durante il processo di unire il matrimonio di una coppia dello stesso sesso. Occorre supporre che, sopratutto alla luce della costatazione generale della Corte Costituzionale spagnola che riconosce l'obiezione di coscienza come il diritto dell'uomo, che il segretario della corte ha  diritto a ricorrere all'obiezione di coscienza ciò non dovrebbe avere sanzioni disciplinarii.[129] Alle professioni, in cui è presente la questione dell'obiezione di coscienza bisogna quindi aggiungere il personale amministrativo e giudiziario, l'ambiente della loro cooperazione, la realizzare gli obblighi legali, contrari agli obblighi iscritti nelle loro coscienze.            Lo stesso concerne il personale amministrativo delle strutture sanitarie perché non sempre si può considerare il personale amministrativo come personale sanitario, benché ai sensi dell'art. 9 della legge italiana 194/1978 è „esercente la attività ausiliaria”. L’affare precisa della segretaria del medico che ha rifiutato di scrivere il documento, che comprendeva le indicazioni dal medico delle procedure dell'aborto, alla donna che voleva interrompere la gravidanza, è stato la base di rilevare la questione del diritto all'obiezione di coscienza. Si tratta del caso ben noto di Janaway v. Salford Area Health Autority a cui la corte di prima istanza ha dato ragione ritenendo che le attività adempiute da lei sono inserite nei sensi dell art. 4 (1) Abortion Act 1967. Tuttavia, nella decisione definitiva, la Camera dei Lords ha rifiutato alla segretaria il diritto all'obiezione di coscienza, sostenendo che l'attività di scrivere la lettera in riferimento all'aborto non si inserisce

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nelle disposizioni della legge sull'aborto del 1967, perché non costitusce la partecipazione al processo dell'aborto.[130] Nei casi, in cui la questione dell'obiezione di coscienza non viene regolata  expressis verbis, la base di sollevarla costitiusce il precetto che si trova in tutte le carte costituzionali dei paesi democratici che garantiscono il diritto alla libertà di convinzione e di coscienza. 7.  La professione dell’insegnanteLa questione dell’obiezione di coscienza per l’insegnante si pone sulla base dell’obbligo della trasmissione dell`opinioni contrarie ai valori riconosciuti dalla coscienza. In particolare, si tratta del tema dell’educazione sessuale. La questione dell’obiezione di coscienza non è regolata dalla legge ma incontra problemi di diversa natura. L’insegnante lavora secondo un contratto di lavoro; così, l’insegnante di educazione sessuale accetta il programma proposto tramite il quale insegnerà la sua materia nelle diverse scuole statali. In alcuni Paesi l’insegnamento dell’educazione sessuale è affidato ad insegnanti specializzati, cosiddetti educatori. Occorre inoltre distinguere gli insegnati delle scuole private, specie quelle confessionali, dalle statali. Nelle scuole private, questa materia può essere insegnata secondo il sistema di valori scelto dalla scuola. È necessario ricordare che i genitori sono i primi e fondamentali educatori dei propri figli. In conformità agli standard internazionali, nell’educazione dei bambini la scuola dovrebbe rispettare le convinzioni religiose e morali dei genitori.            Non si può rifiutare agli insegnanti il diritto di obiezione di coscienza. Nel progetto di accordo tra la Repubblica Slovaca e la Santa Sede è stata proposta una simile soluzione. Nella clausola relativa all’obiezione di coscienza sono state inserite anche le attività educativo formative, sottoposte fra l’altro a leggi sull’educazione pubbliche che giustificano l’educazione sessuale[131].  Come indicato, questo Progetto non è stato approvato.8. In relazione a leggi il cui contenuto tocca i valori fondamentali e lede i fondamentali diritti dell’uomo, si pone il quesito se le persone che esercitano funzioni pubbliche in alti Organi dello Stato possano o meno far ricorso alla calusola dell’obiezione di coscienza. Nei suddetti casi, tuttavia, non si tratterebbe di un vero e proprio esercizio professionale, anche se si parla di parlamentare professionista in quanto svolge pubblica funzione. Il fondamento legale di revoca dell’obbligo di eseguire determinate azioni contemplate dal diritto sta nel diritto alla libertà di coscienza. Un esempio è senza dubbio il gesto del re Baldovino di Belgio, che non ha accettato di firmare la legge sull’aborto perché contraria alla coscienza. I parlamentari hanno il diritto di elaborare la legge, di presentare emendamenti e di votare secondo coscienza; purtroppo, però, oggi questa regola viene raramente applicata[132].            Naturalmente, si potrebbero elencare altre professioni per le quali la garanzia del diritto all’obiezione di coscienza assume un ruolo più importante. Questo sarebbe un argomento per una monografia più ampia.9. Si rileva che ai nostri tempi si verificano forti tensioni fra la coscienza dell’uomo e l’autorità del paese democratico che, tende ad esercitare un potere assoluto sulla coscienza, dato che nella legge positiva crea seri dilemmi morali a chi accetti l’esistenza di un ordine normativo soprannaturale [133]. La situazione è tale che nel nome del pluralismo di convinzioni si approva la legge che viola i valori fondamentali e poi, nell’applicazione, si fa appello al titolo, giustificando così le decisioni individuali delle singole persone che risultano determinanti. Questa prassi svincola il legislatore dal porre attenzione a che gli atti non violino le regole morali e non tocchino i fondamentali diritti dell’uomo. L’Istituzione dell’obiezione di coscienza evidenzia acutamente la questione del diritto ingiusto e l’obiezione contro il suo contenuto[134]. Da qui sempre più numerose le leggi che danneggiano i fondamentali valori, specialmente relativi all’uomo e ai suoi intangibili diritti: in particolare, le leggi sulla vita, la famiglia e i diritti naturali. Introducendo la clausola dell’obiezione di coscienza, il legislatore sembra giustificare la sua scelta

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etica riguardo al contenuto della legge e giustifica il relativismo morale, rinviando esclusivamente alla coscienza individuale. L’ammissione giuridica dell’obiezione di coscienza è vista come ultima esigenza dell’ordine coerente fondato sui diritti dell’uomo[135].            La persona che si richiama all’obiezione di coscienza è immunizzata dalle conseguenze giuridiche di tale comportamento, secondo il principio della concessione individuale. Si può parlare così di privatizzazione della morale e di frammentarietà dipendente dalla condotta etica della persona concreta. L’etica, così, diventa etica delle personali clausole di coscienza[136]. La coscienza, però, non è criterio privato ma obiettivo[137].            La pratica frequente dell’appello all’obiezione di coscienza, da parte di rappresentanti delle diverse professioni, crea conflitti in coloro che tendono alla totale separazione del diritto dai fondamentali valori morali connessi all’uomo e alla famiglia. Pertanto, è in ripresa una campagna contro tale istituzione, supponendo che essa possa rappresentare un abuso per i diritti e la libertà personale. Un tale attacco di massa  è stato particolarmente illustrato nel riferimento al lavoro sul progetto di concordato riguardante il diritto di accettazione dell’obiezione di coscienza nella Repubblica Slovaca. Nel rapporto del 15 XII 2005 dell’Unione Europea Network of Independent Experts on Fundamental Rights preparato prima di tutto dalle organizazzioni proabortistiche, si indicava che tale regolazione avrebbe avuto negativo influsso su alcuni cosiddetti diritti fondamentali, come il diritto all’aborto, all’eutanasia o ai matrimoni ommosessuali ed anche il diritto di accesso ai contraccettivi[138]. Pur non entrando, in questo luogo, nella discussione relativa all’ammissione dei diritti come diritti fondamentali dell’uomo, come sopra indicato, l’esperienza della Slovacchia indica che la regola di concessione dell’obiezione di coscienza alle varie professioni non è regola stabile e può presentarsi ai contemporanei stati pluralisti come “troppo” pluralista. Riflettendo sul problema dell’obiezione di coscienza, si deve osservare che nelle situazioni in cui le leggi non si fondino sulle norme fondamentali del diritto morale riguardo i diritti dell’uomo, la vita umana e la famiglia, e non si può legalmente cambiarle, si dovrebbe almeno garantire il diritto all’obiezione di coscienza[139].  

[1]  WRIGHT J. J., Coscienza e autorità.Tensione e armonia, Roma, Citta Nuova Editrice, 1970:15.[2] DANESI G., L’obiezione di coscienza: spunti per un`analisi giuridica e metagiuridica, http:// www.giuri.unige.it/intro/dipist/digita/filo/testi/analisi_1998/Danesi1.rtf :90 [3]     GIOVANNI PAOLO II, Evangelium Vitae, n.74.[4]     DE AGAR J. T M, Problemi giuridici dell`obiezione di coscienza, versione italiana dell’ art. Problemas juridicos de la objecion de conciencia, Scripta Theologica, 1995, 2: 519-543. http://www. geociteies.com/martinagar.geo/obiezione.html .[5]     DANESI G., L`obiezione di coscienza: spunti per un`analisi giuridica e matagiuridica: 90.[6]     Cfr. p.es. DALLA TORRE G., Ruolo della Chiesa nella societa civile:pastori e laici nella prospettiva ecclesiologico-canonica, in: I cattolici e la societa pluralista. Il caso delle  “leggi imperfette”, Bologna, Edizioni Studio Domenicano 1996: 218, ss.[7]     GIOVANNI PAOLO II, Evangelium…n 74.[8]     DE  AGAR J. T M., Problemi giuridici dell`obiezione di coscienza…, :17.[9]     Ibidem.[10] Cfr. FIORI A.,SGRECCIA E.(ed),Obiezione di coscienza e aborto, Milano 1978:90.[11]    Cfr. PEREIRA COUTINHO F., Sentido e limites do direito fundamental a objeccao de consciencia, Faculdade de Direito da Universidade Nova de Lisboa, Working Papers 2001: 6.

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[12] Constitution de la Republique Portugaise, http://www.parlamento.pt/frances/const-leg/crp-franc/crp-97.1.html[13]    BEN VERMEULEN M., Rapport sur „Portée et limites de l`objection de conscience“, in: Liberté de conscience. Actes de Seminaire organisé par le Secrétariat General du Conseil de l`Europe en collaboration avec le Centre d`études des droit de l`homme. “F. M. von Asbeck” de Université de Leiden, 12-14 novembre 1992, Strasbourg, Les editions du Conseil de l`Europe 1993 : 85.  In Olanda si riconosce che l'ottimo livello per la regolazione dell'obiezione di coscienza sono le leggi particolari –ibidem: 90.[14]    STC  53/85 dell`11.IV. 1985.[15]    Cfr. DE AGAR  J.T.M., Problemi giuridici dell`obiezione... :17 .[16]    COUTINHO F. P., Sentido e limites do direito fundamental a objeccao de consciencia, EDUNL 2001, 6.[17]    SGRECCIA E., La Convenzione sui diritti dell`uomo e la biomedicina, Medicina e Morale, 1997,1:10.[18]    CONSEIL DE L`EUROPE,  ASSEMBLEE PARLAMENTAIRE, SESSION de 1995. Compte rendu officiel de lasixième séanc, 2 II 1995, AS(1995)CR6.[19]    Cfr. L’emendamento e l’intervenzione di A. Grześkowiak, Conseil de l`Europe,  Assemblee parlamentaire, Session de 1995. Compte rendu officiel de la sixième séanca, 2 II 1995, AS(1995) CR6.[20]    DE AGAR J. T. M., Problemi giuridici dell`obiezione di coscienza, versione italiana dell’art. Problemas juridicos de la objecion de conciencia, Scripta Theologica, 1995, 2 : 519-543.[21]    NAVARRO-VALLS R., MARTINEZ-TORRON J., Las objeciones de conciencia en el derecho espanol y comparado, Madrid, 1997 :1-2.[22]    QUINN G., Objection de conscience dans le domaine professionel (fonction publique et professions liberales, in: Liberté de conscience…: 114.[23]    Nvrah. Zmluva medzi Slovenskou republikou a Svatou stolicou o uplatnovani vyhrady svedomia.  [24]    Cfr. DELLA TORRE G., Ruolo della Chiesa...:220.[25]    BEN VERMEULEN M., Rapport ...: 90.[26]    CICHOŃ Z., Klauzula sumienia w różnych zawodach, in: Prawnik katolicki a wartości prawa, Kraków 1999: 50.[27]    Affaire Knudsen c/ Norvege- Decision de la Commission europeenne des Droit de l`Homme du 8 mars 1985. DR 42:247.[28]    DI PIETRO M. L., CASINI C., CASINI M., SPAGNOLO A. G., Obiezione di coscienza in sanita. Nuove problematiche oer l`etica e per il diritto, Siena, Edizioni Cantagalli 2005 : 8,28, 39, 138.[29]    Kodeks etyki lekarskiej del 2 I. 2004, Warszawa 2004.[30]    U.1/192[31] E. Sgreccia ha scritto  “Ce n`est donc pas la loi qui constitue l`ethique ni qui impose sa propre moralite”- SGRECCIA E. Manuel de bioethique. Les fundaments et l`ethique biomedicale, Paris, Mame-Edifa, 2004: 497.[32]    Cfr. RIPERT G., Bioethique et objection de conscience, il discorso al Colloque Pampelona, 2/3 X 1999, dattiloscritto.[33]    GAŁĄZKA M., Prawo karne wobec prokreacji pozaustrojowej, Lublin. Wydawnictwo KUL 2005: 384,[34]    NAVARRO-VALLS R., La objecion de conciencia, Bioetica y Justicia : 311- 314.[35]    Ibidem :314.[36]    GIOVANNI PAOLO II, Evangelium …n. 74.

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[37]    GUZMAN LOPEZ J.,Objecion de consciencia farmaceutica,http://www.andoc-biosanitario.org/Juridico/Lopezguz:1, DRESSER R., Professionals, Conformity, and Conscience, Hastings Center Report, 2005, XI/XII: 9.[38]    GUZMAN LOPEZ J., Objecion de conciencia …:1.[39] SGRECCIA E. Manuel...:499.[40]    HERRANZ G., La objecion de conciencia de las profesiones sanitarias, Scripta Theologica 1995, 2: 546.[41]    DRESSER R., Professionals, Conformity, and Conscience, Hastings Center report, 2005, XI/XII :9-10.[42]    Ibidem:9.[43]    Legge 12 X 1993,n.413 ,Norme sull`obiezione di coscienza alla sperimentazione animale, GU n.244.[44]    Secondo DUCA P., La difficile conciliazione di precetto morale, dettato della legge e diritto della paziente, Ochio Clinico, 2004, 8:23.[45]    MANASSE JR H. R., Conscientions Objection and the Pharmacist, Science 2005, 308,  9728: 1559.[46]  SGRECCIA E., Manuel...: 501[47]   WIAK K.,Ochrona dziecka poczętego w polskim prawie karnym, Lublin, Redakcja  Wydawnictwa KUL 2001:49-50.[48] Cfr. STELLA F., La situazione legislativa in merito alla obiezione sanitaria in Europa, Medicina e Morale 1985,2,:281-301.[49] Cfr.p.es. CASABONA C.M.R., Los delitos contra la vida y la integridad personal y los relativos a la manipulacion genetica, Granada, Canares, 2004:143.[50]    Abortion Act of 1967.[51]    DAVIES M., Medical Law, London Blekstone Press Limited,1998 : 279.[52]    Janaway v Salford Area Health Autority(1989)AC537, HL.[53] Legge 22 maggio 1978,n. 194, Norme per tutela sociale della maternita e sull`interruzione volontaria della gravidanza, GU n.140, del 22 maggio 1978, con le modifiche.[54] LO 9/1985 2. VII 1985.[55]    SERRAT MORE D., BERNAD PEREZ L., Las profesiones sanitarias ante la objecion de conciencia, http://www.andoc-biosanitario.org/Juridico/Serrat.htm :3.[56]    ROZPORZĄDZENIE MINISTRA ZDROWIA z 30 kwietnia 1990 w sprawie kwalifikacji zawodowych, jakie powinni posiadać lekarze dokonujący zabiegu przerywania ciąży oraz trybu wydawania orzeczeń lekarskich o dopuszczalności dokonania takiego zabiegu Dz.U. 2000. nr 29, 179.[57]    Testo Unito Dz. U. 2001, nr 126, 1382.[58]    Cfr. ZOLL A., Prawo lekarza do odmowy udzielenia świadczeń zdrowotnych i jego granice, Medycyna i Prawo, 2003, 13, :20.[59]    Cfr. ZIELIŃSKA E., Klauzula sumienia, Medycyna i Prawo, 2003,13 : 26-30.[60]    BEN VERMEULEN M., Rapport sur “Portée et limites de l`objection de conscience”, in: Liberté de conscience, Strasbourg 1993 : 81.[61]    DUCA P., La difficile conciliazione… :23.[62]    Loi n.2001-588 du 4 juillet 2001 art. 1 Journal Officiel du 7 juillet 2001.[63]  Cfr. SGRECCIA E., Manuel...:500.[64]    Cfr. DI PIETRO M. L., CASINI C., CASINI M.,  SPAGNOLO A. G., Obiezione... :73ss.[65]    ibidem.: 127.[66]    Projekt ustawy o świadomym rodzicielstwie, Warszawa 30 II 2004, Sejm RP, Druk nr 3214.[67]    Cfr. CAFARO  A., COTTINI G., Etica medica, Milano, Edizioni Ares:.113.

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[68]   Human Fertilisation and Embrylology Act 1990, c.37, “The Publicc General Acts and General Synod Measures” 1990, part IV: 1471-1509, cfr. anche §10 Gesetz zum Schutz von Embryonen (Embronenschutzgesetz-EschG) vom 13. Dezember 1990, BGBI Nr 69, Teil I : 2746-2748 con le modifiche, cfr GAŁĄZKA, op.cit: 324.[69] Cfr. MENDOZA F., La objecion de conciencia en derecho penal, Granada,Comares, 2001: 409,423, CASABONA C.M.R. Los delitos...: 142.[70]    Riforma delle procedure per porre fine alla vita su richiesta e per il suicidio assistito e degli emendamenti al Codice penale (Wetboek van Strafrecht) e alla legge su cremazione e sepoltura , Casa Alta degli Stati Generali, Anno parlamentare 2000-2001- 26691 n.137.[71]    Loi relative à l`eutanasie, (28 V 2002), Moniteur Belge 2002, 22:VI.[72]    DRESSER R., Professionals, Conformity, and Conscience, Hastings Center Report, 2005, nr XI/XII,: 9.[73]    PEPPIN J. F., D.O, The Christian Physician in the Non Christian Institution: Objection of Conscience and Physician Value Neutrality, Christian Bioethics 1997,1, : 39-49.[74]    Cfr. GAY S. G., „Conscience Clauses” for Doctors Are a Risc to Public Health, Science & Theology News, 2004, VI.[75]    GRZEŚKOWIAK A., Współczesne problemy kary śmierci, Przegląd Powszechny 1988, 1:28.[76]    Cfr. NAVARRO-VALLS R., La objecion de conciencia, Bioetica y Justicia, : 321.[77]    Legge dal 5.luglio.1996 sulla professioni dell’ ostetrica e dell`infermiera . G. U. Nr 57 , pos .602, con le modifiche.[78]    NAVARRO-VALLS R, La objecion de conciencia, Bioetica y Justicia,: 323.[79]    Si rileva che in 23 stati degli Stati Uniti, i legislatori hanno stabilito la legge che in modo esplicito riconosce il dritto all'obiezione di coscienza dei farmacisti cfr. The New York Times, 19.IV.2005, cfr. MANASSE JR H. R.,Conscientions Objection and the Pharmacist, Science 2005, v. 308,  9728,:.1559.[80]    CANTOR J., BAUM K., The Limits of Conscientions Objection- May Farmacists Refuse to Fill Prescription for Emergency Contraception, The New Journalo of Medicine 2004,.2,:2010.[81]    RODOTA S., Objection de conscience au service militaire, in: Liberté de conscience...:100.[82]    NAVARRO-VALLS R., MARTIN TORRON J., Le obiezione di coscienza.Profili di diritto comparato,: 106.[83]    GUZMAN LOPEZ J., Objecion de conciencia farmaceutica, op. cit,:2.[84]    Cfr.COUR EUROPEENNE DES DROIT DE L`HOMME, Décision sur la recevabilité de la requete n.49853/99 contre France du 2.X. 2001.[85]    GUZMAN LOPEZ J., El farmaceutico en la elaboracion, promocion y dispensacion de abortivos, http://www.bioeticaweb.com/content/view/150/42.[86]    P.es. in Italia, Francia, Spagna, Belgio, USA, Messico, Honduras, Colombia, Cile, cfr. Obiezione di coscienza e pillola del giorno dopo, http://italiasalute.leonardo.it/news2pag.asp?ID=6072.[87]    SCOTT S. GREENBERGER, “Morning –after pill” issue poses dilemma for Rommney, The Boston Globe, 12,VI 2005.[88]    STEIN R., Pharmacists` Rights at Front of New Debate, Washington post. Com, 28.III. 2005 s. A01.[89]    Cfr. p.es. ERTELT S., Arizona House Comitee Aproves Pharmacists Abortion Conscience Clause, Lifenews. Com, 3.II.2005, idem, Minnesota Bill Wond Allow Pharmacists to opt out on Morning After Pills, ibidem, 3. III, 2005,Newada Pharmacy Board Will, Consider Pharmacists Conscience Clause, ibidem 24.X. 2005, idem. , Georgia Haus Rejects Pharmacist`s Conscience Clause on Abortion Drugs, 14.III. 2006, Arizona Governor Votes Pharmacist Abortion Conscience Clause

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Bill, ibidem, 13.IV .2005, idem. Illinois Gov. Sued\Over Discrimination Against Pro-Life Pharmacists, LifeNews.com Editor 13.IV.2005.[90]    Cfr. p.es. Obiezione di coscienza dei farmacisti sulla pillola del giorno dopo, http://www.mpv-cav. veneto.it/a_93_IT_659_1.html, MORANDINI P., Obiezione di coscienza dei farmacisti sulla pillola del giorno dopo, http://www.pinomorandini.it/a_14_51_1.html, 2.XII.2000.[91]    Des pharmaciens sommes de distribuer la pilule du landemain, Alliance pour les droit de la vie, Revue de presse confidentielle nr 185 dal 15.III.2006.[92]    TALAVERA FERNANDEZ P., BELLEVER CAPELLA V., La objecion de conciencia farmaceutica, Medicina e Morale, 2003, 1,: 111.[93]    TALAVERA FERNANDEZ  P., BELLEVER CAPELLA V., La objecion...: 121.[94]    GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Federazione Internazionale del farmacisti Cattolici, 13. XI.1990, 3,4.[95]    Cfr. MELINA L., La cooperazione con azioni moralmente cattive contro la vita umana, in: Commento interdisciplinare alla “Evangelium Vitae”ed. E. Sgreccia, R. Lucas Lucas, Vaticano 1997: 488.[96]    CANTOR J., BAUM K., op.cit.: 2009.[97]    Cfr. MELINA L., La cooperazione con azioni moralmente cattive contro la vita umana ,in: Commenti interdisciplinare alla „Evangelium vitae, ed. E. Sgreccia e R. Lucas Lucas, Vaticano 1997: 488.[98]    BRAMSTEDT K. A., When pharmacists refuse to dispense prescription, www. thelancet.com, vol 365, 15V 2006 , 9518, : 1220.[99]    CANTOR J., BAUM K, op.cit.: 2010.[100]  GUZMAN LOPEZ J., Objecion de ...:2.-  l'autore presenta che il rifiuto di vendere il preservativo in farmacia non esige il riferimento all'obiezione di coscienza.[101]  LUNO A. R., L`obiezione di coscienza sanitaria (2006), http://www.eticaepolitica.net/corsodimorale/giudizia20.pdf:4.[102] PATTI L., Consultori Familiari in: LEXICON,Pontificio Consiglio per la Famiglia(a cura di),Bologna, Edizioni Dehoniane Bologna 2003 PATTI L., Consultori Familiari in: LEXICON,Pontificio Consiglio per la Famiglia(a cura di),Bologna, Edizioni Dehoniane Bologna 2003:113.[103]  RS 857.5[104]  POZO J. H., Droit penal. Partie special I. Infractions contre la vie, l`integrite corporelle et le patrimoine, Schulthess Polygraphischer Verlag, Zurich 1997: 69-70.[105]  REIS H., Consulenza per le donne incinte in Germania, w Lexicon...: 105-111.[106]  Ibidem, :109.[107]  Ibidem, pp. 110,111.[108] Cfr. PATTI L., Consultori Familiari :113,ss.[109]  Art 2, L. 22 V. 1978, n.194 Norme per la tutela sociale della maternità e sull`interuzione volontaria della gravidanza.[110]  MELINA L., La cooperazione...:483.[111]  Cfr. RIPERT G., Bioethique et objection de conscience, Colloque Pampelona, in dattiloscritto: 6.[112]  Cfr. DE ASIS ROIG R., Juez y objecion de conciencia, Sistema 1993, 113, 72 cit s. GUZMAN LOPEZ J., Objecion de conciencia farmaceutica…:2.[113]  ZOLL A., Związanie sędziego ustawą, in: Konstytucja i gwarancje jej przestrzegania. Księga pamiątkowa ku czci prof. Janiny Zakrzewskiej, Warszawa  1996:245.[114]  ZOLL A., op.cit.:251.

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[115]  RADBRUCH G., Ustawowe bezprawie i ponadustawowe prawo, in: M. Szyszkowska: Zarys filozofii prawa, Białystok 2000, :262.[116]  RADBRUCH G., Pięć minut filozofii prawa,in: Colloquia Communia 1988/89,41-42, :62.[117]  ŁĄCZKOWSKI W., Wymiar sprawiedliwości a stosowanie prawa, in: Ius et lex. Księga jubileuszowa ku czci Profesora Adama Strzembosza, red. A. Dębiński, A. Grześkowiak, K. Wiak, Lublin, 2002:236.[118]  SAFJAN M., Etyka zawodu sędziowskiego, in:Ius et lex, op.cit. : 272.[119]  SGRECCIA E, Manuel...:504.[120]  DI PIETRO M. L., CASINI C., CASINI M.,SPAGNOLO A.G., Obiezione di coscienza in sanità...:135-136.[121]  ZOLL A., Związanie…,:247.[122]  Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 32 Luglio 2003, cfr anche, Card. LOPEZ TRUJILLO A., Reflexiones sobre la objecion de conciencia en la Enciclica Evangelium vitae, Famiglia e Vita 2005, 2,:72.[123]  FORNES J., Il giurista : “L`obiezione de coscienza? Scelta legitima”, Avvenire, 27 IV 2005.[124]  GIOVANNI PAOLO II, Il discorso alla Rota Romana.[125]  RICCIOTTI R., Il giudice non puo obbiettare contro la legge, htt://www.giustiziacarita .it/ professioni/rom.htm[126]  ALTOBELLO M., Relazione deontological, http://www.giustiziacarita.it/professioni/relazione-deontologica.htm.[127]  La Croix.com, 10 VI 2005, L`Eglise et les lois[128]  Cfr. art 4 Nvrah Zmluva, op.cit.[129]  L’affare descritta da NAVARRO-VALLS R., La objecion de cociencia religiosa, Famiglia et Vita 2005,3: 105.[130]  [1988] AC537  HL  cfr. DAVIES M., Medical Law…:280, QUINN G., Objection de conscience dans le domaine professional (fuction publique et professions liberales) in: Liberté de conscience...op.cit : 124.[131]  Nvrah. Zmluva …, art.4 lit. c), Predkladacia sprava, II.[132] Sul problema della votazione dei parlamentari –cfr. GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Evangelium Vitae,73, anche cfr. SGRECCIA E, Manuel…:499-500.[133]  WRIGHT J.J., Coscienza e autorità…: 7.[134]  DE  AGAR  MARTIN J. T., Problemi…, op.cit:2[135]  DE  AGAR  MARTIN J. T., Problemi, op. cit:8.[136]  SCHOOYANS M., L`objection de conscience en politique, Communication à la Conference Internationale pour les Parlementaires d’Europe Centrale sur  le theme Contemporary Family, Bioethics, and Responsibility of the Members of Legislative Bodies, Bratislava, 3 octobre 2003.[137]  E. Sgreccia,Foundations of the Ethics of Life :Ethical Personalism, Bioethics Notes& News, Manila, 2006, 1,:.6.[138]  Cfr. UNIFER, Commissione dell`Unione Europea di espert indipendenti sui Diritti Fondamentali, htpp://europa.eu.int/com/justice_home/cfr_cdf/index_en.htm[139]  CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Instruzione sul rispetto della vita umana nascente e sulla  dignità della procreazione, Donum Vitae,III.

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IVAN DIAS  L’IMPEGNO DELLA COSCIENZA CRISTIANA PER LA PROMOZIONE DELLA VITA IN RELAZIONE AI PAESI IN VIA DI SVILUPPO

E’ bene chiarire, anzitutto, i termini di questa riflessione. In primo luogo si parla di “promozione della vita” che, per un cristiano, abbraccia le diverse dimensioni della persona umana: intellettuale, spirituale, psichica, fisica e sociale. Il Signore Gesù, venuto nel mondo perché “tutti abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza”,[1] invita a promuoverla nel suo insieme e nei suoi componenti. In secondo luogo, la presente relazione tratta dell’impegno a favore dei "paesi in via di sviluppo", ma è intesa principalmente ai paesi donatori perché aiutino i paesi in via di sviluppo a realizzare un proprio progresso integrale, lievitato dai valori cristiani della giustizia e dell’ amore-servizio.Vorrei iniziare con una testimonianza personale.  Provengo dall’India, un Paese “emergente” a maggioranza non cristiana. Infatti, su una popolazione di un miliardo e duecento milioni, l’80% è indù, il 13% è musulmano, e solo il 2,3% è cristiano. Il resto è costituito da buddisti, jains, sikhs, parsis ed ebrei. Ciò nonostante, i cristiani curano il 20% di tutta l’educazione primaria dell’India, forniscono il 10% dei programmi sanitari e di alfabetizzazione nelle comunità rurali, dirigono il 25% degli istituti per orfani e vedove, e il 30% dei ricoveri per handicappati mentali e fisici, per lebbrosi e malati di AIDS. La gran parte di coloro che beneficiano di questi servizi non sono cristiani: è questo un bel esempio dell’impegno dei cristiani in un paese in via di sviluppo per la promozione della vita.  I non cristiani apprezzano tale testimonianza genuina dei cristiani, ma sono talvolta scandalizzati dalla condotta di alcuni governi, enti e persone di fede cristiana, che talvolta impongono condizioni in contrasto con i valori cristiani. Ad esempio, c’è una famosa Banca internazionale che concede sussidi a Paesi in via di sviluppo soltanto con la condizione sine qua non che essi debbano adottare programmi di controllo delle nascite con mezzi anticoncezionali artificiali. Ecco perché il Padre della nazione Indiana, Mahatma Gandhi, che ammirava Gesù Cristo e riteneva il Discorso della Montagna la più bella predica mai fatta al mondo, diceva: “Amo Cristo, ma non i cristiani, perchè non fanno ciò che Gesù ha insegnato e comandato”.A partire da tali realtà vorrei delineare tre princìpi fondamentali – a mo’ di orientamento – che dovrebbero guidare l’impegno dei cristiani nella promozione della vita nei Paesi in via di sviluppo. 1.      Il primato della caritàLa Chiesa, soggetto della promozione della vita umana, tramite i suoi singoli credenti ed organismi di aiuto, prolunga nella storia la presenza di Cristo, buon Samaritano:“... è ormai chiaro – scrive Papa Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus caritas est - che il vero soggetto delle varie Organizzazioni cattoliche che svolgono un servizio di carità è la Chiesa stessa - e ciò a tutti i livelli, dalle parrocchie, alle Chiese particolari, fino alla Chiesa universale”.[2]

Compito primario del cristiano impegnato nello sviluppo integrale è quindi la «testimonianza della carità», e di una “carità senza finzione”,[3] vissuta partendo dall’interno delle comunità ecclesiali. Dice infatti Gesù: “Da questo riconosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”.[4] Tale testimonianza di amore rende credibile la missione profetica della Chiesa solo se si apre al mondo intero.[5] Infatti, la profezia, come proposta di valori da perseguire e di mete da raggiungere, è sterile se non é accompagnata dalla testimonianza di fatti concreti,

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poiché "la fede senza le opere è morta".[6]  In tal modo, la profezia rende più chiara la testimonianza e la testimonianza rende più credibile la profezia.L’annuncio del «Vangelo della vita» si fa persuasivo se è seguito da gesti di accoglienza e di servizio. Anche se, infatti, continuano ad avere valore le risposte alle emergenze, la complessità dei problemi di oggi richiede che essi non devono prescindersi da un raggio d’azione più ampio. Pertanto, se occorre rispondere alle urgenze, non è meno essenziale rimuovere gli ostacoli che ne sono spesso la causa, pena il rischio di istituzionalizzare le situazioni di miseria che feriscono la dignità della vita umana, come se fossero ineluttabili e non, invece, frutto di responsabilità personali e sociali. La convinzione che «la politica è una forma eminente di carità» mantiene, sì, tutta la sua importanza,[7] ma occorre agire sulle condizioni che rendono possibili le offese alla vita. Si tratta di bonificare il terreno così che il frutto cattivo sia sostituito da frutti buoni. Talvolta, però, l’impegno a misurarsi con le emergenze sembra più appariscente e gratificante di quello, umile e laborioso, teso a vincere la cultura di morte. Sul rapporto tra giustizia e carità fa luce la recente Enciclica di Papa Benedetto XVI Deus caritas est [8], specialmente quando dice che“la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia […] La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l'adoperarsi per la giustizia lavorando per l'apertura dell'intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente”.[9]

Il Pontefice invita pertanto a fare della carità il nucleo costitutivo e permanente della persona, anche ove siano già presenti le condizioni per assicurare la giustizia.[10] Così, l’impegno per la vita umana, nei Paesi in via di sviluppo, si fonda sulla testimonianza della carità. 2.      La formazione della coscienzaUna seconda pista, meno visibile, a sostegno della vita, chiede che si operi per la formazione della coscienza. Un tale compito va visto in rapporto alla dimensione relazionale della persona. Se dal Vangelo, infatti, non si può dedurre un modello politico di società, emerge, tuttavia, con chiarezza come la carità dovrebbe essere il principio-motore di ogni istituzione politica. Così, formare la coscienza significa imparare a orientare le scelte a partire dalla carità, tenendo conto della concretezza storica dentro la quale vive l’uomo. In tale quadro occorre formare la coscienza a quel senso di responsabilità che nasce dal rapporto tra la vita del singolo e quella altrui. E’ un invito ad uscire dall’individualismo per aprirsi agli altri. La cultura dominante, chiamata postmoderna, ha ulteriormente sviluppato una tale tendenza che assolutizza un elemento parziale come quello del mercato, e lo fa diventare fattore unificante di tutte le esperienze della vita. La globalizzazione, infatti, tende ad omologare la vita delle persone e dei Paesi secondo uno standard dettato dalle esigenze economiche, e finisce per ridurre le culture locali a ruolo di comparsa. Sta qui la radice della responsabilità delle strutture inique che si ritorcono contro coloro che le hanno prodotte.[11]

In tal modo, la vita delle persone subisce gli effetti di un’ingiustizia che si è istituzionalizzata. Promuovere la vita, in questa situazione, significa iniziare un cammino di conversione che riporta contemporaneamente l’uomo a Dio e al prossimo.[12]

La globalizzazione stessa, con la sua rete mondiale di distribuzione, potrebbe rappresentare una nuova opportunità per servire la causa della vita. Per promuovere la vita nei Paesi in via di sviluppo ci si deve rivolgere ai Paesi già evoluti, formando una coscienza che vada oltre l’interesse immediato di un gruppo o di una multinazionale. Senza, con ciò, dimenticare la formazione della stessa coscienza alla solidarietà, anche nei Paesi in via di sviluppo. Formare la coscienza significa convincersi che fino a quando in qualche parte del mondo delle persone

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moriranno di fame, significherà che altrove ci sarà chi mangia per due, non perché abbia più fame di altri, ma perché ha più abbondanza. 3.      Dio è Signore della vita umanaDa ultimo, vorrei suggerire un rinnovato impegno di annuncio della signoria assoluta e universale di Dio sul mondo e sugli uomini, come via concreta di promozione della vita umana.“«Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente». Con queste parole l'Istruzione Donum vitae espone il contenuto centrale della rivelazione di Dio sulla sacralità e inviolabilità della vita umana […] Dio si proclama Signore assoluto della vita dell'uomo, plasmato a sua immagine e somiglianza (cf. Gn 1, 26-28). La vita umana presenta, pertanto, un carattere sacro ed inviolabile, in cui si rispecchia l'inviolabilità stessa del Creatore”.[13]

Da tale affermazione derivano almeno due conseguenze. La prima concerne la chiamata dell’uomo a condividere la signoria di Dio sul mondo e sulla vita.[14] La seconda riguarda la responsabilità dovuta a tale partecipazione.[15] Pertanto, in quanto signore, l’uomo non può essere asservito a nessun altro uomo e a nessuna realtà umana. In quanto partecipata da Dio, la sua signoria va esercitata in obbedienza alla sua volontà. Ne deriva che solo l’obbedienza a Dio garantisce la vita umana da ogni sopraffazione. Nessuna antropologia è sicura quando Dio è tolto di mezzo e sostituito con pretese assolute di carattere politico o di mercato.La signoria di Dio, cui l’uomo partecipa, è rivelata e resa presente nella parola e nell’opera di Gesù, il quale ha concepito la sua missione come obbedienza al Padre e come risposta ai bisogni degli uomini, a partire dai poveri e dagli ultimi. Si tratta della legge del chicco di grano:“In verità, in verità vi dico: se il grano di frumento, caduto per terra, non muore, resta esso solo. Ma se muore, porta molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se qualcuno mi serve, mi segua e là dove sono io sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà”.[16]

La procreazione umana rimane impossibile al di fuori di un contesto di amore. Non basta aver procreato la vita per generarla. Occorre amarla perché solo l’amore fa vivere. Talvolta, l’accanimento della procreazione, ricercata a ogni costo e con ogni mezzo, fa dimenticare che l’amore può «ri-generare» comunque alla vita persone già nate, ma umiliate nella propria dignità di figli di Dio. Nella prospettiva cristiana, infatti, regnare è amare, e amare è servire, e non asservire cose e persone ai propri interessi o ai propri desideri. Quando viene offuscata la signoria di Dio sulla vita umana alcuni sono tentati di porre fine alla propria vita, chiedendo che l’eutanasia diventi legale. Altri tendono a dare pareri emotivi sulla questione della condanna a morte, ignorando la crudele realtà di migliaia di bambini che sono brutalmente uccisi ogni giorno nel seno della loro madri, un crimine spesso camuffato da leggi cosiddetti “civili”, quando in realtà sono totalmente “incivili” perchè condanno a morte bimbi innocenti e indifesi. Conclusione: il Vangelo della speranzaPiù che una vera conclusione, mi sia permesso di offrire due chiavi di rilettura del tema che abbiamo esaminato. Laprima è che la  promozione della vita umana nei paesi in via di sviluppo va oltre i problemi della genetica e delle forme di riproduzione. La questione etica chiama in causa le strutture politiche ed economiche del mondo che producono le condizioni avverse allo sviluppo della vita dell’uomo. Si potrebbe azzardare la conclusione che a ledere la dignità della vita non è tanto una coppia che vuole ad ogni costo un figlio tramite la procreazione artificiale, ma culture e mercati ossessionati di fornire risposte al desiderio e, talvolta, al capriccio di individui o singole nazioni, e che dimenticano i bisogni veri della maggioranza dell’umanità.

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Una seconda chiave di rilettura è che il Vangelo della carità e della vita invita tutti a vivere l’attesa vigilante del ritorno del Signore. Non si può schiacciare la speranza di un futuro migliore sull’oggi della nostra esperienza di vita. Per quanti sforzi possiamo fare, non potremo mai rispondere esaurientemente alla domanda di pienezza della vita, perché solo Cristo è la risposta.La conseguenza non è la disperazione di chi non vede l’esito dei propri sforzi, ma la speranza di chi è consapevole che il proprio impegno a promozione della vita diventa un segno visibile di quella pienezza di vita che aspettiamo da Cristo come dono.“L'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell'umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo […] E infatti, i beni, quali la dignità dell'uomo, la fraternità e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, ed illuminati e trasfigurati”.[17]

Il Vangelo della vita, infatti, è intimamente legato, nel suo annuncio, al Vangelo della carità e della speranza.

[1] Gv 10:10[2] Bendetto XVI, Lettera enciclica Deus caritas est, 25 dicembre 2005, 32.[3] Rm 12:9[4] Gv 13:35[5] “La Chiesa in quanto famiglia di Dio deve essere, oggi come ieri, un luogo di aiuto vicendevole e al contempo un luogo di disponibilità a servire anche coloro che, fuori di essa, hanno bisogno di aiuto” (Bendetto XVI, Deus caritas est, 32).[6] Gc 2:26[7] “In questo punto politica e fede si toccano” (ibid., 28).[8] Cfr. ibid., 26-29.[9] ibid., 28.[10] “L'amore – caritas - sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c'è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell'amore. Chi vuole sbarazzarsi dell'amore si dispone a sbarazzarsi dell'uomo in quanto uomo” (ibid., 28).[11] “É da rilevare, pertanto, che un mondo diviso in blocchi, sostenuti da ideologie rigide, dove, invece dell'interdipendenza e della solidarietà, dominano differenti forme di imperialismo, non può che essere un mondo sottomesso a «strutture di peccato». La somma dei fattori negativi, che agiscono in senso contrario a una vera coscienza del bene comune universale e all'esigenza di favorirlo, dà l'impressione di creare, in persone e istituzioni, un ostacolo difficile da superare.  Se la situazione di oggi è da attribuire a difficoltà di diversa indole, non è fuori luogo parlare di «strutture di peccato», le quali -come ho affermato nell'Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia - si radicano nel peccato personale e, quindi, sono sempre collegate ad atti concreti delle persone, che le introducono, le consolidano e le rendono difficili da rimuovere. E così esse si rafforzano, si diffondono e diventano sorgente di altri peccati, condizionando la condotta degli uomini” (Giovanni Paolo II, Sollecitudo rei socialis, 26).[12] “L'esercizio della solidarietà all'interno di ogni società è valido, quando i suoi componenti si riconoscono tra di loro come persone. Coloro che contano di più, disponendo di una porzione più grande di beni e di servizi comuni, si sentano responsabili dei più deboli e siano disposti a condividere quanto possiedono. I più deboli, da parte loro, nella stessa linea di solidarietà, non

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adottino un atteggiamento puramente passivo o distruttivo del tessuto sociale, ma, pur rivendicando i loro legittimi diritti, facciano quanto loro spetta per il bene di tutti. I gruppi intermedi, a loro volta, non insistano egoisticamente nel loro particolare interesse, ma rispettino gli interessi degli altri” (ibid., 39; si possono vedere anche i nn. 38 e 40).[13] Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 53.[14] “Difendere e promuovere, venerare e amare la vita è un compito che Dio affida a ogni uomo, chiamandolo, come sua palpitante immagine, a partecipare alla signoria che Egli ha sul mondo” (ibid., 42).[15] “Una certa partecipazione dell'uomo alla signoria di Dio si manifesta anche nella specifica responsabilità che gli viene affidata nei confronti della vita propriamente umana […] Ma, al di là della missione specifica dei genitori, il compito di accogliere e servire la vita riguarda tutti e deve manifestarsi soprattutto verso la vita nelle condizioni di maggior debolezza” (ibid., 43).[16] Gv. 12, 24-26[17] Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, 36.

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