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© pianopiano book bakery di Anna Lo Piano, 2014Via Ugo Ojetti, 79 - 00137 RomaPI 13014241007LPNNNA66T57G273Ywww.pianopianobooks.compianopianobooks@gmail.com

Titolo: Introduzione alla psicologia del lavoroCollana: ReSISBN: 978-88-940354-0-7Testi: Carla Borromeo, Maria Paola GazzettiIllustrazionI: Rachele Lo Piano

Editing, progetto grafico e impaginazione: pianopiano book bakery.Questa pubblicazione è realizzata con la partecipazione di (per Daniele: trovare una formula perevidenziare la partecipazione di ReS, OPRAS, ecc.)

Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. È vietata ogni forma di duplicazione, ancheparziale, se non autorizzata.

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L’uomo sa molto più di quello che comprende!(Alfred Adler)

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Introduzione

Questo ebook è il primo di una serie di tre opuscoli dedicati alla psicologiadel lavoro. I due che seguiranno saranno più specifici e tratteranno alcuniargomenti propri di questa disciplina che in questo libro affrontiamo solosinteticamente.Il nostro scopo è quello di rispondere alle esigenze e alle domande piùimmediate degli operatori e degli utenti della sicurezza, producendo ebookspecifici, accessibili nel linguaggio e tempestivi negli argomenti.In questo modo, in linea con quanto avviene negli altri paesi europei,intendiamo dare il nostro contributo professionale al mondo del lavoroattraverso l’utilizzo di una disciplina, la psicologia, che osserva la tematicacon competenza, se ne occupa a livello di ricerca e parla sempre dellavoratore come “di una persona” con le proprie preziose peculiarità.

Il lavoratore, infatti, è un soggetto con tante potenzialità nascoste dascoprire e sviluppare che, se riconosciute, possono essere messe adisposizione delle organizzazioni o delle aziende che desiderino migliorarele proprie performance e la propria reputazione.

Prima di affrontare la descrizione delle singole tematiche della Psicologiadel lavoro dobbiamo necessariamente parlare degli ambiti (selezione,formazione, valutazione) nei quali tale disciplina si è espressa fino ad ora esi esprimerà nei prossimi anni.

Quella dello psicologo del lavoro è una professione nuova – ha circa 60anni – e anche per questo a volte è fraintesa e confusa con altre professionicollegate, similari o più note.Noi vi proponiamo di analizzarla insieme con curiosità ed interesse,tenendo presente che la psicologia ha sempre l’obbiettivo di farci compiereuno stimolante viaggio dentro di noi prima ancora che nelle organizzazioni,aziende e gruppi nei quali operiamo. La psicologia del lavoro, inoltre, puògiocare un ruolo importante in un momento critico come quello che oggiviviamo nella nostra società.Oltre ai compiti istituzionali che svolge nelle aziende, infatti, la psicologiarappresenta una competenza professionale a disposizione del disagiopersonale e sociale, di grande aiuto nella ricerca continua di soluzioniorganizzative migliori.

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Infine, la psicologia del lavoro ricerca e stimola il cambiamento e lavoracon un impegno e una metodologia scientifica per far raggiungere ailavoratori e alle organizzazioni il benessere.

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1. Nascita e sviluppodella psicologia del lavoro

1.1 Definizione

La Psicologia del lavoro o psicologia delle Organizzazioni è la disciplina che sioccupa dello studio dei comportamenti delle persone nel contesto lavorativo enello svolgimento della loro attività professionale in rapporto alle relazioniinterpersonali, ai compiti da svolgere, alle regole e al funzionamento dell'Organizzazione.

La psicologia delle organizzazioni nasce come psicologia industriale1, perdiventare in seguito psicologia industriale e organizzativa. La comparsaufficiale di tale termine si trova nell’opera dello psicologo tedesco HugoMunsterberg, considerato il fondatore della psicologia applicata: LaPsicologia e l’efficienza industriale del 1913. Munsterberg era interessatoall’applicazione dei tradizionali metodi psicologici ai problemi concretidell’industria, in particolare all’organizzazione del lavoro e alla selezionedel personale. Tuttavia il primo intervento di psicologia applicatariconosciuto in azienda è antecedente all’opera di Munsterberg, e risale al1910, quando Jean Michel Lahy utilizza per la prima volta dei test psico-attitudinali per la selezione del personale operaio.

Prima della seconda guerra mondiale, la psicologia delle organizzazioni eraintesa come tecnica e usata per la selezione di addetti: era fondata sull’usodi strumenti psicometrici e, in alcuni casi, includeva lo studio della fatica,delle condizioni di lavoro o della progettazione delle mansioni. (F.Avallone 2011).

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1.2 Storia e sviluppo della psicologia del lavoro

Il periodo compreso tra le due guerre mondiali assume particolare rilevanzaper la psicologia del lavoro: negli Stati Uniti è caratterizzatodall’espansione e diffusione della psicologia applicata e, in particolare,dallo sviluppo delle nuove tecniche di selezione del personale.Nel 1921, James McKeen Cattell fonda la Psychological Corporation,una S.p.A formata da psicologi, al fine di promuovere le attività e i servizispecifici per l’industria, garantendo l’efficienza, la competenza e la serietà.Nel 1924, presso lo stabilimento della Hawthorne Western ElectricCompany di Chicago, hanno inizio una serie di esperimenti cherappresentano probabilmente “uno dei più importanti programmi di ricercaper studiare la grande complessità del problema della produzione inrelazione all’efficienza” (F. Avallone, 2011).All’inizio, lo studio si propone solo d’indagare il rapporto tra la luminositàdell’ambiente di lavoro e la produttività.Dopo alcuni anni trascorsi lì dentro però, i ricercatori si rendono conto chela produttività non dipende in alcun modo dal livello di luminosità.L’aumento di produttività delle dattilografe e delle operaie della fabbrica,infatti, non dipende tanto dalle variazioni apportate alle condizioni dilavoro (illuminazione, durata delle pause e delle giornate lavorative,retribuzione ecc.), quanto dal fatto che le operaie sono consapevoli diessere “oggetto di attenzione” da parte dei ricercatori.Gli studi, coordinati da Elton Mayo, portano alla conclusione che laproduttività dipende quindi, dall’atteggiamento delle persone verso ilproprio lavoro, che la motivazione è condizionata dal morale e che questo èinfluenzato dal tipo di legami/relazioni prevalenti nell’ambito del loropiccolo gruppo.In sintesi, per la prima volta si constata con precisione che fattori di ordinepsicologico possono far cambiare i livelli di produttività.

Negli anni cinquanta, per indicare la psicologia del lavoro, nella letteraturaanglosassone entra in uso l’espressione Occupational Psychology, chenegli Stati Uniti era invece riferita solo allo studio dell’orientamentoprofessionale.A partire dagli anni sessanta si incomincia a parlare di Work andOrganizational Psychology, o psicologia del lavoro e delleOrganizzazioni, denominazione riconosciuta generalmente a livellointernazionale. Negli anni sessanta termini come motivazione, cambiamentoorganizzativo e sviluppo organizzativo incominciano a diventare di uso

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comune e l’attenzione dei ricercatori, pur senza abbandonare il settore dellaselezione del personale, incomincia a rivolgersi allo studio delle influenzesociali, alla vita dei gruppi nelle organizzazioni, alla leadership e alle suemanifestazioni, al problem solving.

problem solving: un'attività del pensiero che un individuo mette in atto perraggiungere una condizione desiderata, a partire da una condizione data.

Oggi potremmo dire che la Psicologia del lavoro è la specializzazione dellapsicologia fortemente “centrata sul contesto”, più che su modelliconcettuali.La Psicologia del lavoro si occupa, infatti, principalmente delleproblematiche che si sviluppano solo nel contesto lavorativo e ambientalenel quale l’individuo è inserito.L’attenzione è posta quindi sull’ambiente e sulle persone o risorse umaneche lavorano in uno specifico contesto lavorativo.

[1] La denominazione di “psicologia industriale” è apparsa per la prima voltanel 1904, al posto di “psicologia individuale”, in un articolo di W. L. Bryan,solo per un errore tipografico.

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2. La psicologia del lavoroin Italia

2.1. Origini della psicologia del lavoro

Come abbiamo detto in precedenza, la psicologia del lavoro è un settoredella psicologia applicata che ha il duplice obbiettivo di migliorarel’efficacia delle prestazioni e soddisfare le persone impiegate.

Queste due finalità sono state, almeno fino ad ora, poco conciliabili e hannoquindi rischiato di far sbilanciare la nostra disciplina

o verso un approccio strettamente produttivistico, o al contrarioverso una concezione focalizzata sullo sviluppo dell’uomo,utilizzando diversamente le informazioni e i dati ottenuti,studiando sia gli atteggiamenti verso il lavoro e sia laorganizzazione del lavoro. (U. Galimberti)

Nonostante nel nostro Paese esista in questo settore un’importantetradizione di studi, manca tuttavia una documentazione sistematica sulleinnumerevoli e particolari esperienze passate. È stata infatti a lungoopinione diffusa, nella storiografia, che le origini della psicologia dellavoro in Italia fossero da ricercare attorno alla metà degli anni Venti delNovecento, con gli studi svolti sulla selezione dei militari per deciderne ladestinazione. Si trattava tuttavia di una lettura parziale del fenomeno, tantoche nel corso degli anni ha cominciato ad essere gradualmente corretta,grazie anche all'avvio di studi e di analisi più puntuali del contesto socialeitaliano.Lo studio scientifico del lavoro umano, a partire dalla “fisiologia dellafatica” di Angelo Mosso e dalla “psicofisiologia del lavoro” di MarianoLuigi Patrizi, ha inizio nel nostro Paese nella seconda metà del XIXsecolo, in concomitanza con la rivoluzione industriale.Nel 1889 a Modena viene fondato il primo laboratorio di psicologia dellavoro, mentre si diffonde anche da noi l’interesse sociale e culturale per illavoro.Si attivano subito una lunga serie di iniziative – studi, ricerche, rivistescientifiche – in particolare ad opera di Agostino Gemelli, considerato ilpadre della psicologia del lavoro, e di Guido Della Valle, che ideò e

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diffuse la definizione di Psicotecnica.

Il termine psicotecnica è stato utilizzato, in alcuni Paesi occidentali e nel periodofra le due guerre (1920-1940) per indicare l’utilizzo della Psicologia nellagestione e nello sfruttamento del lavoro industriale. Tale utilizzo del termine ètuttavia ormai quasi scomparso, per essere sostituito da altre espressioni qualipsicologia applicata, orientamento, ergonomia, psicometria.

La rivoluzione industriale porta con sé numerosi traguardi di benesseremateriale, ma anche condizioni lavorative pesanti, difficili e traumaticheper molti operai. La psicologia scientifica, da subito, si interessa aiproblemi legati al mondo del lavoro e alle organizzazioni ma, anche esoprattutto, alle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori.

Nel corso della storia, le forme e le modalità del lavoro hanno subìtotrasformazioni legate alla crescente complessità delle organizzazioni e aimutamenti storici, sociali e culturali. L’evoluzione della psicologia dellavoro – nelle sue varie espressioni – e il ruolo dello psicologo del lavoronon possono prescindere da questi cambiamenti.

Nel 1920 si chiude la parentesi bellica che, in Italia come negli altri paesi,vede la psicologia concentrata sul servizio di selezione del personalemilitare. L’attività produttiva, la dinamica dei gruppi sociali, lo sviluppoindustriale e l’interesse per le scienze riprendono a pieno ritmo. Nel 1921la sede del laboratorio di psicologia sperimentale è trasferita da Torino aMilano, dove nel 1923 si tiene il terzo Congresso internazionale dipsicologia applicata all’esercizio professionale. In realtà, l’attenzionedell’Italia scientifica e politica nei confronti di queste tematiche è solo difacciata e quasi inesistente, mentre cresce la difficoltà della nascentepsicologia del lavoro a definire le sue peculiarità e a distinguersi dallealtre discipline similari che nel resto di Europa già si affermano, trovandosupporto e riconoscimenti anche nei Sindacati dei lavoratori e nella societàcivile.

Durante il periodo fascista si manifesta il tentativo di asservire e snaturarela psicologia sottomettendola alle esigenze del potere economico e politico,ad opera in particolare del ministro e filosofo idealista Giovanni Gentile,contro il quale si leva alta la voce di Agostino Gemelli.

La situazione peggiora quando la riforma Gentile vieta anche

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l’insegnamento della psicologia nelle scuole, confinando questa disciplinaai margini della cultura italiana. Inoltre, nel 1927, il regime emana la Cartadel lavoro fascista e tenta di promuovere l’utilizzo della psicologiaesclusivamente come psicotecnica e nella campagna per l’affermazionedell’autarchia nazionale e del modello corporativo del lavoro; in realtà lapsicologia viene osteggiata nelle sue espressioni più significative, quali laricerca e l’insegnamento universitario e le realizzazioni sindacali maturate

La Carta del lavoro fascista è un imponente documento che esprime l’etica e iprincipi sociali del fascismo e riassume tutta la legislazione del lavoro,fondamentale in una logica produttivistico-corporativa.

La scarsa penetrazione della psicoanalisi in Italia, per i noti fattori diarretratezza culturale e di ritardo formativo e culturale, allontanano glipsicologi dal problema lavoro, ritardando pesantemente il percorsod’ingresso della psicologia nel sociale.Fra le due guerre si afferma quindi la psicotecnica, che troverà alcuneapplicazioni nell'ambito dell'orientamento scolastico e professionale, nellaselezione attitudinale dei militari, dei tranvieri, dei ferrovieri e deglioperai, nella prevenzione degli infortuni e nello studio sui ritmi lavorativiin fabbrica, con le esperienze di Sante De Sanctis, Giulio Cesare Ferrari,Ferruccio Banissoni, Mario Ponzo, Cesare Musatti, Agostino Gemelli esopravviverà a lungo negli anni in ambito applicativo.

Nel 1944 viene pubblicata la ricerca di Agostino Gemelli La psicotecnicaapplicata all’industria, un compendio sistematico delle ricerche realizzateda in gruppo di psicologi da lui coordinati, relative all’ambiente di lavoro eal rapporto uomo-macchina, alle tecniche di motivazione ed incentivazionedel personale, alla selezione ed agli effetti psicologici della disoccupazioneprolungata sui lavoratori.Alla fine della seconda guerra mondiale, tuttavia, la psicologia del lavoroin Italia resta ancora priva del riconoscimento accademico e l’apparatodello Stato si dimostra inconsapevole ed incurante dei progressi e deiriconoscimenti che la disciplina ha realizzato nel frattempo. Si parla ancoraesclusivamente di psicologia come psicotecnica, perché l’interesse vasoprattutto alle attività di selezione del personale e di orientamento allavoro.

Finalmente, nel 1951, su proposta di Alberto Marzi nel corso di un

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convegno, la denominazione Psicologia industriale viene sostituitaufficialmente con il nuovo termine di psicologia del lavoro e nel 1955viene fondata la prima scuola di specializzazione che, tuttavia, potrà trovarericonoscimento istituzionale solo nel 1961 con la fondazione a Milanodell’Associazione per la psicologia italiana del lavoro.Si organizzando quindi i primi seminari e congressi scientifici, esconoriviste specialistiche e si cominciano a sensibilizzare enti pubblici, qualiENPI e CNR. L’Associazione per la Psicologia tenta di assumere un ruolodi riferimento e di coordinamento, facendo da tramite con il mondo dellavoro italiano rimasto ancora, all’epoca, totalmente lontano e diffidente.

2.2. Problematiche di una nuova disciplina

Negli anni Sessanta si assiste in tutto il mondo allo sviluppo del movimentosindacale, agli scontri tra lavoratori e imprenditori, alle occupazioni e agliscioperi nelle grandi aziende.Grazie anche all’introduzione di strumenti tecnologici sempre più raffinati,le organizzazioni si trasformano progressivamente in strutture moltocomplesse. Questa nuova tecnologia, complessa e sofisticata, richiede unaforza lavoro più specializzata, mentre le migrazioni dei lavoratori verso learee degli insediamenti industriali creano nuovi problemi di integrazione eadattamento.Ormai le organizzazioni iniziano a comprendere la centralità della gestionedelle risorse umane per il raggiungimento degli obiettivi produttivi, eoperano le prime aperture all’analisi del rapporto tra individuo eorganizzazione. Significative in questo senso sono le ricerche di autoricome Luigi Meschieri, Adriano Ossicini e Raffaello Misiti.Per la psicologia si apre la strada di un forte rinnovamento: cambiano learee di interesse della psicologia del lavoro e lo studio dei fenomeniorganizzativi inizia ad essere centrale. L’attenzione degli psicologi dellavoro si sposta sulla crescita, lo sviluppo e la soddisfazione deilavoratori: in breve, sul loro benessere.Emerge una figura di psicologo più attento alla dimensione soggettiva dellavoro e all’importanza della sua dimensione relazionale. Questa figuraprofessionale è finalizzata all’inserimento e all’adattamento dell’individuoall’interno delle organizzazioni/aziende e si affianca al ruolo dell’analistadel lavoro. Le aziende richiedono manager formati e competenti eaumentano le attività di consulenza professionale specialistica.Compaiono nuovi temi d’interesse e accanto a professionisti ancoraconcentrati sul tema della selezione, nasce una nuova categoria di psicologi

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focalizzati sull’ importanza e sulla dinamica delle relazioni, con unapreparazione in psicologia sociale e clinica.La psicologia del lavoro inizia ad utilizzare più linguaggi, a riferirsi adiversi contesti teorici ed a sperimentare nuove opportunità professionali.Nel 1986 nasce nelle Università l’indirizzo di psicologia del lavoro e delleorganizzazioni.Negli anni '90 il quadro culturale ed economico di riferimento mutanuovamente il suo aspetto.All’interno delle industrie si avvia una nuova trasformazione: l’espansionedei mercati e l’utilizzo di una tecnologia informatica che si rinnovacontinuamente fanno sì che la competizione assuma un ruolo centrale,provocando profonde trasformazioni nel mercato del lavoro. Le aziendecominciano ad operare secondo una gestione “per obiettivi”, che richiedel’utilizzo di una maggiore flessibilità e creatività. Le organizzazioni sonosempre più chiamate a misurarsi con problematiche di efficienza, efficaciae qualità del servizio. In questo clima di cambiamento si diffonde una nuovadomanda di ricerca, che vada verso il processo di sviluppo organizzativo.La psicologia del lavoro si confronta nel 2000 con i contributi dellasociologia, della medicina del lavoro, dell’economia e soprattutto con iprogressi delle discipline psicologiche.L’attività dello psicologo si esplica fondamentalmente nell’analisiorganizzativa rivolta all’interazione dei gruppi con l’organizzazione, eattuata attraverso diverse metodologie: valutazione del potenziale,interventi sulla sicurezza del lavoro e sul benessere psicofisico deglioperatori e, soprattutto, formazione dei quadri e formazione manageriale.La psicologia del lavoro è divenuta oggi una disciplina e una professioneportatrice di un sapere specialistico e di un’identità autonoma, in grado diconoscere, analizzare e risolvere diversi problemi. Essa non rappresentapiù un terreno sul quale applicare teorie e metodologie elaborate altrovema, al contrario,

rappresenta un punto d’osservazione privilegiato dal qualeattingere ipotesi di ricerca e spunti esplicativi delcomportamento umano. (F. Avallone)

Attualmente, la psicologia del lavoro e delle organizzazioni è una materiainsegnata con successo in tutti i corsi di laurea italiani di psicologia ed oraè stato anche attivato un corso di laurea specifico, molto frequentato,denominato Psicologia del lavoro e delle organizzazioni.

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2.3. Lo psicologo del lavoro

Lo Psicologo del lavoro è come detto, lo specialista che svolge le funzioniconnesse alla selezione, gestione e sviluppo delle risorse umane. In sintesi,si può definire lo psicologo delle risorse umane.Lo Psicologo del lavoro in qualità di libero professionista, sia che operi dasolo o collabori con società di consulenza nell'ambito delle risorse umane,può lavorare in vari e differenti contesti operativi connessi con il mondodella produzione di beni e di servizi.

aziende pubblicheaziende private aziende sanitarie ospedali istituzioni scolastiche di ogni ordine e gradoformazione professionale servizi per l'impiego associazioni di volontariato comunità e cooperative sociali

Lo Psicologo del lavoro si qualifica come una figura in grado di ricoprirediverse posizioni all’interno dell’area della gestione delle risorse umane,svolgendo di volta in volta le diverse attività a seconda del contesto e degliobbiettivi posti dall’ Organizzazione.Oltre a possedere le competenze tecniche e professionali specifiche persvolgere al meglio il suo compito, quindi, deve possedere anche una buonaconoscenza generale del funzionamento interno delleAziende/Organizzazioni.Tuttavia, nei fatti, ancora oggi la sua è una professione poco conosciuta enon valorizzata rispetto alle potenzialità che contiene e risulta per questoutilizzata in modo parziale ed improprio nelle Organizzazioni/Aziendeitaliane.Al contrario, noi riteniamo invece che sullala figura dello psicologo dellavoro si concentrino oggi differenti aspettative ed opportunità.

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3. Le differenzetra discipline correlate

3.1. Definizioni

La psicologia: è la scienza che studia i processi psichici e mentali nelleloro componenti consce e inconsce, attraverso il metodo scientifico e/oappoggiandosi ad una prospettiva soggettiva intrapersonale. Tale studioriguarda quindi i processi cognitivi e intrapsichici dell'individuo, ilcomportamento individuale e di gruppo, ed i rapporti tra il soggetto el'ambiente.

La psicoanalisi o analisi dell’anima: è la disciplina fondata da SigmundFreud alla fine del XIX secolo (1895). Essa è innanzitutto una teoriadell'inconscio: si rivolge soprattutto a quei fenomeni psichici che risiedonoal di fuori della sfera della coscienza, approfondendo e perfezionando ilconcetto di inconscio introdotto nella riflessione della filosofia teoretica.In secondo luogo, la psicoanalisi è una prassi psicoterapeutica, cioè unatecnica o metodica esplorativa e psicoterapica.

La psicologia applicata: si serve delle elaborazioni approntate a livelloteorico dalle varie scuole psicologiche e dei modelli di riferimento dellealtre discipline per ricavare tecniche operative che permettono diintervenire su problemi concreti, individuali o collettivi riguardanti tutti gliaspetti del comportamento umano. Abbraccia e comprende, quindi, lapsicologia clinica, del lavoro, forense e la psicopedagogia.

La psicologia clinica: è considerata una delle principali branche teorico-applicative della psicologia. Con il termine “clinico” si intende unadisciplina che riguarda la psiche e che prevede un metodo (il rapportointerpersonale) e una disciplina applicativa nell’ambito della salute mentale(U. Galimberti)2.Si occupa in particolare di studiare, comprendere, prevenire ed intervenirenelle problematiche psicologiche e relazionali sia a livello individuale chefamiliare e di gruppo, e di promuovere il benessere psicosociale e lagestione (valutativa e di sostegno) di molte forme di psicopatologia.Il modello psicologico-clinico è detto modello "bio-psicosociale" perchéguarda alla psiche umana come a un fenomeno complesso, costituito da

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fattori biologici, psicologici e sociali.

Con riferimento alle discipline che si occupano del lavoro, nella secondaparte del Novecento nascono anche, nell’accezione e nel senso dellescienze umane, due discipline: la medicina del lavoro e la sociologia dellavoro, che si caratterizzeranno poi nelle rispettive peculiarità ed ambiti diintervento. L’attenzione all’uomo in toto e all’interazione con l’ambiente incui vive e lavora è oggi una grande conquista, scientifica e culturale.

La medicina del lavoro: è quella branca della medicina generale che sioccupa della prevenzione, della diagnosi e della cura delle malattie causatedalle attività lavorative.Il suo scopo è quello di tutelare la salute dei lavoratori e la sicurezza degliambienti lavorativi, prevenire malattie professionali e contribuire adevitare ogni tipo di infortunio sul posto di lavoro, controllandoperiodicamente la salute dei lavoratori impegnati.

Il medico del lavoro – o in alcuni casi, il medico competente – ha unaparticolare esperienza nell'identificare i sintomi causati durante l’attivitàlavorativa:

esposizione ad agenti chimici, come gli acidi, le basi forti o agentipericolosi in generale, con i quali si sia venuti a contatto;esposizione ad agenti fisici, quali le radiazioni ionizzanti o nonionizzanti, il rumore, le vibrazioni, il microclima;esposizione ad agenti biologici: batteri, virus, parassiti;presenza di fattori di rischio psicosociali: stress lavoro correlato.

La psicologia sociale: questa disciplina studia le interazioni umane e lerelazioni interpersonali a livello di individui, gruppi, istituzioni, oltre afenomeni come l’influenza sociale, la coesione, la comunicazione,l’attrazione sociale e il cambiamento. I fenomeni, in sostanza, che sono allabase delle dinamiche dei gruppi, delle organizzazioni e delle istituzionisociali.La psicologia sociale “è’ l’interesse per il modo in cui le persone vengonoinfluenzate dalla loro interpretazione o costruzione, dell’ambiente sociale”.Risulta importante quindi, capire come ogni persona percepisce o interpretal’ambiente, piuttosto che comprendere l’ambiente solo oggettivamente.

La sociologia del lavoro: ha come oggetto di studio il mercato del lavoro etutte le attività e le problematiche ad esso associate ed è connessa con la

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sociologia delle organizzazioni e con la sociologia economica.La sociologia del lavoro è considerata una dimensione importante dellasociologia, perché analizza con metodi quantitativi (attraverso l'impiegodella statistica) e qualitativi (metodo dei work-place studies), il mercatodel lavoro e le relazioni sociali che in esso si generano. Il suo obiettivoprincipale è studiare i fenomeni socialmente rilevanti e trovare soluzionipratiche e possibili per le problematiche relative al lavoro.

L’economia: è la disciplina che si occupa dell'organizzazione dell'utilizzodelle risorse (che sono limitate) ed è attuata al fine di soddisfare al megliobisogni individuali o collettivi. Più specificamente, l’economia è la scienzache studia i processi di produzione, distribuzione e consumo dei beni eservizi che soddisfano i bisogni.

L’ergonomia: è una moderna disciplina scientifica che si occupa dellostudio dell'interazione tra gli individui e le tecnologie. È una disciplinatrasversale, complessa e molto importante, che ha come obbiettivi:

l’analisi degli effetti della tecnologia produttiva sull'uomo a livello disalute, di prestazione lavorativa e di comportamento;la progettazione di situazioni lavorative adeguate alle esigenzedell'attività ed alle capacità potenziali dell'operatore, al fine di evitareil logoramento fisico e mentale ed aumentare il rendimento.

L’ergonomia si pone come una disciplina preventiva, poiché studia comeevitare l'insorgenza di effetti dannosi per l’uomo.

La collaborazione tra professionisti esperti in queste discipline, alle qualisi aggiunge ovviamente la psicologia del lavoro di cui abbiamo illustrato lecaratteristiche, è condizione importante sempre, ma particolarmente per losvolgimento di una corretta valutazione dei rischi in azienda e per porre lepremesse di una efficace prevenzione.

[2] U. Galimberti, Enciclopedia di psicologia (Garzanti, 1999).

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4. La motivazione

Porsi un obiettivo è la più forte forza umana di automotivazione(Paul J. Meyer)

4.1. La motivazione

La motivazione è rappresentata nella psicologia come una sorta di energiainterna al singolo individuo, pronta per essere attivata e resa disponibile –mediante opportune regolazioni esterne – per raggiungere uno scopo, unameta e soddisfare un bisogno.La motivazione è quindi la forza che determina la direzione e l’intensitàdella condotta di un certo individuo in un dato momento. I fattorimotivazionali sono legati alle dimensioni personali e sono abbastanzastabili.È possibile quindi individuare i tipi di bisogni ai quali si cerca di darerisposta attraverso il lavoro e comprendere gli scopi che si voglionoeffettivamente raggiungere.

4.2. La piramide dei bisogni umani

1. bisogni fisiologici (fame, sete, sonno, ecc.)2. bisogni di salvezza (sicurezza, protezione, tranquillità, prevedibilità)3. bisogni sociali (appartenenza, accettazione, affetto)

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4. bisogni di stima, di prestigio, successo (rispetto e riconoscimento)5. bisogni di realizzazione di sé (della propria identità, potenzialità,

creatività, di avere un ruolo sociale adeguato)6. bisogno di trascendenza o amore universale

Tra il 1943 e il 1954 lo psicologo statunitense Abraham Maslow, sulla sciadegli studi sulla motivazione di quegli anni, elabora un modellomotivazionale dello sviluppo umano detto Hierarchy of needs (gerarchiadei bisogni).Nel 1954 pubblica Motivation and personality, in cui elabora il concettodi scala dei bisogni, divisa in cinque differenti livelli, dai più elementari aipiù complessi. Questa scala viene poi applicata alla psicologia del lavoroda Douglas McGregor.

Secondo Maslow, dopo aver soddisfatto un bisogno, l’individuo passasubito, spinto da un moto interiore, a realizzarne un altro superiore, fino adarrivare al bisogno più alto: l’autorealizzazione, che rappresenta una spintaistintiva del soggetto ad esprimersi. Questa spinta, che è allo stesso tempofisica, emotiva, mentale, si sintetizza nella famosa frase:

Ciò che un uomo può essere, deve essere.(Abraham Maslow)

Questo vuol dire che bisogna fare in modo che le potenzialità, lecompetenze e i valori di ciascun individuo siano espressi e utilizzati avantaggio suo e della collettività.

Il sesto bisogno è stato individuato successivamente da Maslow e consistenel bisogno di trascendenza, spiritualità, amore universale, e nel bisogno diaiutare gli altri.

I bisogni fondamentali (o di mantenimento), una volta soddisfatti tendono anon ripresentarsi, i bisogni sociali e relazionali tendono a rinascere consempre nuovi e più ambiziosi obiettivi da raggiungere.

La relazione gerarchica tra loro è tale per cui, se i bisogni primari non sonostati adeguatamente soddisfatti, l’individuo non avverte il bisogno di quelliposti ai livelli più alti. Inoltre, se un bisogno non viene adeguatamentesoddisfatto o non viene riconosciuto rimane attivo nell'individuo, generandotensione e divenendo un elemento negativo sia a livello di dinamicapersonale che nelle interazioni con il mondo esterno.

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Ovviamente, nella teoria di Maslow si opera una semplificazione, poiché lasuccessione dei livelli potrebbe non avere la stessa importanza per ognunodi noi. Oppure possono coesistere diversi bisogni allo stesso tempo, o bisogni di affiliazione, di appartenenza, di potere, di successo, determinatidal contesto in cui viviamo.

In sintesi la scala dei bisogni, così come formulata da Maslow, vainterpretata con flessibilità.

4.3. Motivazione al lavoro

La teoria di Maslow rappresenta una svolta nell’ambito dell’organizzazionedel lavoro, poiché per la prima volta fa comprendere l’importanza oggettivadella motivazione nello svolgimento dell’attività lavorativa.

I lavoratori vogliono lavorare, ma vogliono anche che il lorolavoro abbia un senso(Douglas Mc Gregor)

La motivazione ci indica la direzione reale verso cui ci dirigiamo con forzae passione, e dà senso a ciò che facciamo.

Non è quindi solo la molla economica che ci orienta verso il lavoro e lacarriera professionale, ma è la necessità di soddisfare i nostri bisogni chediviene motivazione, energia e si esprime con forme diverse e individuali,traducendosi in presenza attiva nel lavoro e raggiungimento di obbiettivipersonali e di gruppo.La motivazione riveste un ruolo centrale nella vita dell’essere umano: è il

motore delle azioni di un individuo, la molla che ne spiega lescelte, le aspirazioni e il grado di impegno nello svolgimento diun compito.(Abraham Maslow)

Essere motivati è quindi determinante nella vita privata come nell’eserciziodi un’attività lavorativa.Per questo per i datori di lavoro e gli esperti è importante saper valutare iltipo di bisogni a cui ciascuno cerca di dare risposta attraverso il lavoro el’orientamento che si ha verso una data professione o organizzazione.

Il lavoro è una parte centrale della vita dell’uomo, essenziale per la sua

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sopravvivenza fisica, il suo sviluppo psicologico, ma anche e soprattuttoper la sua personale serenità. Con l’esercizio dell’attività lavorativa,infatti, non solo occupiamo gran parte della nostra vita ma possiamoacquisire autonomia, valorizzare noi stessi ed esprimere le nostrepotenzialità.

Per questo l’esclusione secolare delle donne dal mondo del lavoro ha avutosu di loro un impatto – ancora non adeguatamente indagato – da vari punti divista (fisico, psichico, sociale), con ricadute negative per l’intera società.

La mancanza di attività non è riposo: una mente non impegnataè una mente che soffre(William Cooper)

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5. Competenze, strumenti ed ambiti

5.1. Conoscenze e competenze

La nostra formazione scolastica impostata sulla conoscenza teorica deicontenuti, ha rappresentato un grande ostacolo alla presa di coscienza delladifferenza tra conoscenza e competenza, differenza che ancora oggi restadifficile da comprendere.La nostra cultura, troppo spesso ancora teorica e nozionistica, reputa infattiche la conoscenza dei contenuti e delle teorie sia più importantedell’esperienza lavorativa intesa complessivamente; questa è una dellecause della difficoltà che si prova nel passaggio dalla scuola al mondo dellavoro ed è ancora un ostacolo ad un buon inserimento.

La conoscenza è una delle componenti della competenza e riguardal’acquisizione di contenuti, cioè di principi, di teorie, concetti, termini,regole, procedure, metodi e tecniche appresi dagli studi e dall’esperienza.La competenza è il risultato della connessione ed integrazione traconoscenze, capacità e comportamento, quindi del sapere, del saper fare edel saper essere.

Una competenza è l’insieme di tanti e complessi fattori che, a differenzadella semplice conoscenza, può assicurare la realizzazione lavorativa.La conoscenza come acquisizione di fatti o di informazioni, non sempre èlegata alla motivazione personale.Facciamo un esempio: per il ruolo che svolgo nel mio impiego e persvolgere al meglio il mio lavoro devo conoscere alcune normative, maposso non essere motivato ad apprenderle; di conseguenza forse, prenderòtempo, o dirò di non aver tempo per studiare e quindi non mi affretterò enon sarò tempestiva ed efficace.

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La competenza, al contrario, è strettamente collegata alla motivazione chemi spinge ad agire, è legata ai miei valori, alle mie conoscenze, al miocarattere e al mio comportamento, all’immagine che ho di me stessa/o e allemie capacità o abilità personali.In sintesi, potremmo dire che una persona competente è una personamotivata a svolgere proprio quella determinata attività.La svolgerà quindi con minore stress e fatica perché sentirà l’attività inlinea con le sue conoscenze, attitudini, valori e caratteristiche di personalità(anche se a volte la persona può non esserne consapevole di questedinamiche e delle proprie resistenze).

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In una Azienda/Organizzazione la gestione direzionale per competenzeconsente di raggiungere e di realizzare validamente la missione aziendale,utilizzando uno strumento concettuale efficace in grado di soddisfare allostesso tempo sia la prospettiva dell’impresa che quella delle personeimpiegate.Per l’Impresa, le competenze sono i requisiti dei ruoli nei quali l’impresa èstrutturata; per le Risorse Umane, le competenze sono le capacità e icomportamenti professionali che i lavoratori/ci posseggono o che devono epossono sviluppare e valorizzare.

La valutazione delle competenze, a differenza di altre metodologie diselezione, non è pertanto una semplice valutazione nozionistica.Gli obiettivi da raggiungere, quando si sceglie tale metodologia, variano infunzione della motivazione e della ragione per cui l’azienda ha scelto diutilizzare al suo interno proprio la valutazione delle competenze.Per un’azienda può essere interessante utilizzarla per conoscere,riconoscere e valorizzare le risorse esistenti, gestire la loro pianificazione,sostenere il sistema premiante, fornire strumenti di gestione delle risorseper selezionare i livelli alti/dirigenziali del suo personale.

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5.2. La formazione

Il concetto di formazione ha molteplici significati ed è usato in diversediscipline; il significato principale deriva da formare, nel senso di dare unaforma.

Distinzioni importanti da fare in ambito lavorativo sono quelle trainformazione, addestramento e formazione.

L’informazione ha come obiettivo lo sviluppo e la trasmissione delleconoscenze (del sapere), quindi ad esempio l’aggiornamento periodicodelle regole o delle normative. Con l’informazione i lavoratori imparano ariconoscere e di conseguenza a controllare. Per esempio, in ambito dellasicurezza, riconoscono e tengono sotto controllo i rischi presenti in azienda.

L’addestramento ha invece come obiettivo lo sviluppo delle capacità edelle abilità personali di ognuno (del saper fare). In particolare, è ilcomplesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori l’usocorretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche diprotezione individuale e le procedure di lavoro.

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La formazione è un complesso di interventi finalizzati all’acquisizione dicompetenze specifiche, e deve essere costruita in funzione del ruolo che sisvolge o si dovrà svolgere in Azienda.

Per ruolo si intende l’azione (ufficio o funzione) che una persona esercita inun gruppo o in un processo sociale, oppure il comportamento che assumee/o che viene atteso dall’esterno.

L’attività di formazione in azienda rappresenta quindi un punto di contattomolto importante tra la struttura (strategia Aziendale) e la forza lavoro.

Per risultare davvero efficace, la formazione deve comprendere le quattrofasi fondamentali del processo formativo, che sono le seguenti:

analisi dei bisogni formativiprogettazione dell’intervento formativo erogazione della formazionevalutazione dei risultati ottenuti

Il processo di analisi dei bisogni è il punto di partenza di qualsiasiintervento formativo; è un momento fondamentale senza il quale si puòincorrere in errori (per esempio utilizzare la formazione quando altrimetodi potrebbero risultare più efficaci per raggiungere lo stessoobbiettivo).In particolare, tale attività ha lo scopo di individuare i gap di competenzeche esistono tra le competenze possedute e quelle richieste per un’attività,con riferimento ad una specifica figura professionale.

Le metodologie di intervento formativo che oggi si possono mettere incampo sono tra le più varie: a seconda dei contenuti del progetto che sivuole realizzare si potranno utilizzare delle metodologie didattiche diverse,in quanto la tipologia dovrà essere coerente con i risultati che si voglionoottenere:

lezione esercitazionestudio dei casisimulazionerole playingautocaso (testimonianza)

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Nell’ ambito della sicurezza sul lavoro l’obiettivo della formazione èinsegnare ai lavoratori le nozioni e le procedure indispensabili finalizzateall’acquisizione di quelle capacità che permettono agli stessi di lavorarebene nella consapevolezza, riducendo i rischi e tutelando la sicurezzapersonale.In questo ambito la formazione può essere di due tipi: tecnica epsicologica.

Ai sensi dell'art. 37, comma 2 del Dlgs 81/08, la formazione sullasicurezza deve mettere i lavoratori in grado di conoscere nel dettaglio iconcetti di rischio, danno, prevenzione e i relativi comportamenti daadottare al fine di tutelare la propria sicurezza e salute e quella dei propricolleghi. Tale formazione deve quindi essere periodica e continua.L'obiettivo è quello di fornire conoscenze e metodi, ritenuti indispensabili,per conoscere i rischi dello specifico lavoro svolto, di apprenderel’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e il quadro normativoche disciplina la sicurezza e salute sul lavoro.La formazione vuole infatti sviluppare le capacità analitiche(individuazione dei rischi), comportamentali (percezione del rischio),accrescendo la consapevolezza, oltre a fornire conoscenze rispetto allalegislazione specifica e agli organi di vigilanza in materia di sicurezza e

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salute sul lavoro.La formazione è riconosciuta ormai da tutti come uno strumento essenzialeper la crescita del lavoratore e per il cambiamento dell’Organizzazione, maspesso non è supportata dalle competenze dello psicologo. Viene affidata aformatori improvvisati e quindi non raggiunge l’obbiettivo di unaformazione indirizzata al come essere: cioè allo sviluppo dellaconsapevolezza sui pericoli reali e sui comportamenti da evitare o daincoraggiare.

5.3. L’Assessment Center

L’Assessment center è una metodologia di indagine utile ad individuare ilpossesso delle capacità necessarie per svolgere un’attività professionale.Ampiamente usata, analizza l’insieme dei comportamenti che permettono diraggiungere i risultati in collaborazione con altre persone, di affrontare temie situazioni molto complessi, di controllare le tensioni interpersonali e diinnovare.Essa è quindi una metodologia di valutazione delle competenze edel potenziale.Tale metodologia è stata utilizzata per la prima volta nelle ricerche condottedagli psicologi tedeschi tra la prima e la seconda guerra mondiale permigliorare i metodi di selezione del personale utilizzati in quegli anni.

Dal 1940 l’Assessment Center incomincia ad essere diffuso anche in ambitoindustriale e viene effettuata la prima vera sperimentazione del metodo,senza però avere dei fini gestionali.

Nel 1956 l’American Telephon&Telegraph analizza in modo approfonditoil contributo fornito dalle singole prove utilizzate con tale metodologia efornisce numerosi dati sulla validità del metodo e delle tecniche utilizzate.

L’Assessment Center si diffonde rapidamente sia in America che nei paesimaggiormente industrializzati, venendo utilizzato con profitto nelle impresepubbliche e private e approdando poi negli anni ‘70 anche in Italia (DelPianto, 2004).

A differenza di altre metodologie di valutazione delle competenze e delpotenziale, tale metodo – al fine di ridurre l’errore insito nel processovalutativo – prevede più tecniche valutative (test, colloqui, prove di gruppoin basket, simulazioni) e impiega più valutatori, opportunamente addestratie qualificati.

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L’Assessment Cente è, inoltre, un processo di valutazione della congruenzatra alcuni elementi essenziali per poter ricoprire un ruolo:

L’obiettivo di un Assessment Center> è osservare i comportamenticoncretamente agiti dal candidato, per valutarne la coerenza rispetto aquelli richiesti dalla posizione specifica, o più in generale, richiestidall’organizzazione/azienda.

Un processo di valutazione, per essere considerato effettivamenteAssessment, deve sempre prevedere più fasi e più indagini.

Gli ambiti di applicazione dell’Assessment Center sono molteplici:

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selezione del personale in ingresso;mappatura delle risorse umane presenti in azienda;valutazione del potenziale;verifica del possesso delle competenze necessarie per ricoprireposizioni diverse (orientamento, sviluppo, piani di carriera, mobilità);verifica del possesso di capacità fondamentali in alcune risorse-chiave, con attuale o futura responsabilità manageriale;audit per esigenze derivanti da ristrutturazioni, fusioni, pensionamenti,esuberi;identificazione di bisogni specifici di formazione gestionale orelazionale.

Le esercitazioni dell’Assessment Center molto spesso sono create ad hocdagli operatori - professionisti per simulare la realtà operativa, in modo dapermettere la raccolta di indicazioni affidabili sul possesso di una vastagamma di capacità personali.Le competenze che in un’Azienda si vanno a valutare, a seconda delmodello di competenze elaborato e richiesto dall’azienda, sono suddivise intre aree.

Visti i costi onerosi dell’utilizzo di tale metodologia, la scelta el’organizzazione di un Assessment dipenderà dagli obiettivi aziendali edall’importanza assegnata al ruolo per il quale è richiesto.

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5.4. Strumenti: test-intervista, colloquiomotivazionale, focus group

Gli strumenti utilizzati in azienda per rilevare il fabbisogno formativo o lagestione e lo sviluppo del personale sono molteplici e la scelta del loroutilizzo varia a seconda degli obiettivi e delle strategie aziendali(formazione al ruolo, mobilità, sviluppo di carriera, ecc).Quando si parla di test occorre innanzitutto fare una distinzione traquestionari e test.

Il questionario: è uno strumento usato per raccogliere informazioni in modostandardizzato e su campioni più o meno grandi, tali per cui è possibile poicostruire una matrice di dati ed effettuare analisi di tipomatematico/statistico sul fenomeno oggetto di studio.

Il test può essere:

aperto: quando le domande poste presuppongono risposte aperte;strutturato: se ogni domanda prevede una serie di risposte (sceltamultipla, verso/falso, ecc.);semistrutturato: le domande previste sono sia domande aperte chedomande chiuse, con delle risposte più libere.

I test sono considerate prove finalizzate a ottenere dei campioni esaustivi ed

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ordinati di specifici aspetti comportamentali, cognitivi e di personalità,all'interno di una situazione standardizzata.Tra i test più utilizzati nel contesto lavorativo possiamo distinguere quellidi livello o di sviluppo, all'interno dei quali si collocano i test cognitivi, tracui quelli di intelligenza.I test d’intelligenza sono utilizzati soprattutto nella prima fase di assunzionedel personale, quando sono previsti un numero elevato di partecipanti eoccorre fare una selezione maggiore (lo screening).

Test di personalità: dove con personalità si intende l'insieme dei modi diessere, di percepire e di comportarsi.

Per la valutazione delle competenze manageriali nelle aziende, dal 2009 siè incominciato ad utilizzare anche il metodo di valutazione dellecompetenze manageriali a 360° (360 degree manager).

Il modello di competenze su cui si fonda il 360 degree manager (9 macro-aree per 40 competenze) può costituire la base di partenza o il punto diriferimento da cui iniziare per attivare un complesso processo divalutazione del manager.

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L’intervista: è uno strumento per indagare le caratteristiche psicologiche diuna persona, le sue motivazioni e analizzare il suo curriculum. Si articola inuna serie di domande poste verbalmente.L’intervista può essere di tre tipi: strutturata, semistrutturata, libera.

L'intervista strutturata, detta anche standardizzata, è composta da unaserie di domande il cui numero e tipo sono predefiniti. L’intervistatore cheutilizzerà tale strumento si dovrà attenere ad un ordine dato.

L'intervista semi-strutturata si articola in una serie di domandeobbligatorie, per tipo e numero, che l'intervistatore può porre senza vincolisequenziali.

L’intervista libera si fonda sulla trattazione di un argomento dato, la cuianalisi avviene in maniera libera. Il numero delle domande da porre e laloro sequenza sono a completa discrezione dell'intervistatore.

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Il colloquio può essere individuale, di gruppo, o motivazionale.

Colloquio individuale: è uno strumento flessibile che dà l’opportunità alselezionatore di utilizzare la dinamica relazionale per conoscere più davicino il candidato.

Colloquio di gruppo: consente l’osservazione diretta di più personecontemporaneamente e permette di rilevare attivamente alcuni aspettirelazionali, difficilmente rilevabili con altri strumenti.

Colloquio motivazionale: questo tipo di colloquio è finalizzato a faremergere la motivazione e le aspirazioni del lavoratore. È uno strumentopotente per valutare e poter valorizzare i collaboratori e si fonda sullaconvinzione che ogni persona presente in azienda possa essere collocata inuna posizione lavorativa davvero in linea con le proprie aspirazioni ecompetenze.Lo scopo di un colloquio motivazionale può essere anche un contributo alraggiungimento del benessere organizzativo all’interno di un’organizzazionee quindi un momento di conoscenza reciproca importante.

Il focus group è un metodo di indagine qualitativo particolarmente efficacenelle ricerche finalizzate a raccogliere informazioni, valutazioni, opinioni,riguardanti un risultato, un processo, un prodotto/servizio.

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Presuppone un ricercatore e un gruppo di persone (da quattro a otto) chediscutono su un tema proposto dal coordinatore (docente) che modera ildibattito. La presenza di un osservatore garantisce la rilevazione dei diversipunti di vista.Con questo strumento è possibile capire, ad esempio, come è stata percepitala formazione in un dato contesto organizzativo.

Lo Sportello di ascolto: alcune organizzazioni/aziende particolarmentesensibili istituiscono gli sportelli rivolti ai propri dipendenti e quadri conl’obiettivo di ascoltare con attenzione le situazioni di disagio e disofferenza nel lavoro cercando di capire se tali ragioni siano riconducibilia problematiche personali o organizzative, in modo da poter intervenire inmodo specifico per trovare soluzioni positive.

In altre aziende, lo sportello fornisce assistenza al personale che per motividi servizio si sia trovato ad affrontare situazioni particolarmente critiche edi pericolo che hanno comportato reazioni emotive intense. In questo casolo sportello interviene offrendo assistenza e un’adeguata competenzapsicologica, limitata a brevi periodi di supporto e di sostegno personale.Gli sportelli di ascolto si stanno diffondendo in aziende/organizzazioniattente al clima interno, tuttavia rimangono nell’ombra e sono buone prassiancora non sufficientemente conosciute e valorizzate.

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6. Lavoro e stress

Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere.(Mahatma Gandhi)

6.1. Le teorie delle emozioni

Per emozione si intende la reazione affettiva intensa e di breve duratadeterminata da uno stimolo ambientale. La sua comparsa provoca unamodificazione a livello somatico, vegetativo e psichico.

I primi grandi contributi alla conoscenza ed alla spiegazione delle emozionisono stati quelli di Charles Darwin, Sigmund Freud e William James.

Charles Darwin è stato il primo ad elaborare uno studio scientifico delleemozioni, spiegando in chiave evoluzionistica lo sviluppo e la funzionalitàdelle emozioni nel suo libro L’espressione delle emozioni nell’uomo enegli animali (1872).Dal punto di vista metodologico la sua ricerca è considerata altamenteinnovativa perché utilizzava metodologie basate sull’osservazione delcomportamento e ancora oggi rappresenta la base di moderne teorie chesostengono il carattere adattivo delle emozioni.

Sigmund Freud invece, ha elaborato un’ interpretazione delle emozioniall’interno del contesto psico-terapeutico, finalizzata alla cura dellenevrosi.

William James è stato invece il primo, nel 1884, a definire l’emozione insenso operativo, cioé come il sentire, il percepire i cambiamentineurovegetativi.Per James, la percezione delle modificazioni fisiologiche che si verificanoa seguito di un evento a forte impatto emotivo, costituisce la basedell’esperienza emotiva. La sua ipotesi, infatti, era che le modificazionicorporee, come l’accelerazione del battito cardiaco o l’aumento dellapressione arteriosa, venissero percepite dal soggetto per prime e chel’emozione fosse causata dal loro riconoscimento.

In epoca più recente, l’affermarsi della prospettiva cognitivista ha portatoalla definizione delle emozioni come risposte adattive dell’organismo alle

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sollecitazioni dell’ambiente (Mecacci 2001), inserite in un sistema dicomunicazione tra individuo e ambiente e identificate come informazioni daelaborare.

Le emozioni, quindi, hanno un ruolo fondamentale e riconosciuto nelprocesso di adattamento dell’uomo, perché ci segnalano tempestivamentenuove priorità all’azione, interrompono strategie ormai inadeguate, epredispongono a reagire nel modo più flessibile e veloce ad ogni eventoche si presenti.

6.2. La gestione delle emozioni

Le emozioni sono state oggetto di grandi dibattiti nella storia della filosofia,della psicologia e delle scienze, e la loro differente interpretazione hadefinito il sorgere di varie teorie psicologiche (comportamentista, gestalt,cognitivismo, ecc.). In alcuni contesti, soprattutto in ambito lavorativo, leemozioni sono state invece spesso ignorate, sottovalutate e ritenute unostacolo e un limite al pensiero operativo.In generale, nella nostra società, l’emozione viene spesso associata ad unafragilità caratteriale e la repressione delle emozioni viene consideratapositivamente e associata alla capacità di sapersi controllare.

Inoltre, si giudica “forte” la persona che nel rapporto con gli altri si mostraemotivamente distaccata e non fa trasparire nel viso e nel corpo le proprieemozioni.

Al contrario di quanto si pensa, però, sul piano dell’ interpretazionepsicologica tali tipologie di persone sono, a volte, da considerare “soggettia rischio”. Le persone che noi giudichiamo molto controllate, infatti, sonospesso individui che hanno preso semplicemente le distanze dalle proprieemozioni per non soffrire troppo e che, quindi, non sono più in grado diriconoscerle. La presa di distanza, se non è accompagnata dallaconsapevolezza, non coincide con il controllo o la gestione di quellaemozione. Al contrario, se la persona riconosce la propria emozione e dadove ha origine, riesce anche a controllarla consapevolmente e a non farsiinvadere o sopraffare dall’emozione stessa.

In breve, se una persona non riconosce la propria emozione, la reprime condecisione; se invece l’accetta e accoglie, allora la può utilizzarepositivamente per sé. L’autoconsapevolezza e l’accettazione delle proprie

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emozioni – quali esse siano – insieme alla capacità di viverle come unarisorsa, sono la base da cui partire per imparare a gestirle bene.In quest’ottica anche gli stati d’animo negativi possono essere utili. Lacollera, la tristezza e la paura, che sono emozioni forti, si possonotrasformare in creatività, energia e coerenza.La collera, ad esempio, può diventare una potente fonte di motivazionequando è legata ad un’esigenza di risolvere un’ingiustizia; mentre latristezza, se è condivisa, può far nascere forti legami interpersonali.Quanto all’impulso generato dall’ansia, sempre che non sia sopraffacente,in un contesto aziendale può fungere da stimolo per la creatività e farscoprire nuove attitudini.

Può risultare culturalmente difficile accettare che la gestione delle emozionisia in realtà un processo che si articola in diversi momenti o fasi. Taleprocesso parte dal riconoscimento e dall’accettazione delle proprieemozioni. La consapevolezza del modo in cui le emozioni influenzano lenostre azioni e il nostro comportamento è la competenza emotivafondamentale di ognuno.

Oggi, grazie anche agli studi sulle neuroscienze ed alla diffusione dellateoria sull’intelligenza emotiva di Daniel Goleman, sappiamo che leemozioni sono essenziali al benessere organizzativo e alla felicitàpersonale. Per essere felici non serve essere solo intelligenti o soloappassionati: occorre una miscela di raziocinio e passione, di capacità dianalisi e attenzione per gli altri che viene chiamata intelligenza emotiva.

6.3. L’intelligenza emotiva e la teoria di DanielGoleman

Il concetto di intelligenza emotiva fu introdotto per la prima voltada Peter Salovey e John D. Mayer (1990) per descrivere le capacità chehanno gli individui di monitorare le sensazioni proprie e quelle degli altri,utilizzare le emozioni per le scelte importanti, gestire le proprie emozioni equelle delle persone attorno a noi, senza farsi sopraffare.

Il termine intelligenza emotiva fu però reso famoso da Daniel Golemanattraverso il suo libro Intelligenza emotiva (1995), che descrivel’intelligenza emotiva come

la capacità di motivare se stessi di persistere nel perseguire un

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obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi erimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animoevitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essereempatici, e di sperare.

Alla base dell’intelligenza emotiva, secondo Daniel Goleman, c’è lacapacità di riconoscere le proprie emozioni nel momento in cui sorgono.Tale abilità aumenta il livello di autoconsapevolezza e l’attitudine acontrollare e monitorare la propria vita.

Per Goleman l’intelligenza emotiva è quindi un insieme di competenze ocaratteristiche che sono fondamentali per affrontare con successo la vita:l’autocontrollo, l’entusiasmo, la perseveranza, la capacità di auto motivarsi.

Il possedere ed esercitare autocontrollo emotivo nelle cose dellanostra vita porta a stimolare lo spirito creativo.

Se ci manca questa abilità siamo soggetti ad essere sviati da emozioni chevanno completamente fuori controllo.Per Goleman, le persone dotate di consapevolezza emotiva

si rendono conto del legame tra i propri sentimenti e ciò chepensano, fanno e dicono e riconoscono il modo in cui isentimenti influiscono sulla loro prestazione.

In caso di evento critico a forte impatto emotivo, (terremoto, incendi, stuproecc.) la reazione emotiva individuale, qualunque essa sia, va accolta comenormale, non può essere giudicata o valutata negativamente dal contesto oda chi si relaziona.In tali circostanze estreme, qualsiasi reazione emotiva non è “esagerata”,ma è l’evento stesso nel quale si è coinvolti che è da considerarsi anomaloper come si presenta. Secondo la psicologia dell’emergenza, la relazione diaiuto alla persona si basa essenzialmente sulla “ normalizzazione delleemozioni”.

Utilizzare al meglio l’intelligenza emotiva si rivela essenziale anche inambito lavorativo, in modo particolare se utilizzata dalle personeall’interno delle aziende.Tale forma d’intelligenza permette infatti di

presentare una critica in forma costruttiva, di creare

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un’atmosfera sensibile alle diversità, di avere la capacità dilavorare con profitto, come gli elementi di una rete diconnessioni reciproche.

Nel suo successivo libro Lavorare con intelligenza emotiva, Golemanafferma inoltre che una competenza emotiva è una capacità appresa, basatasull’intelligenza emotiva, che risulta valida per rendere una prestazioneeccellente.

Negli ultimi trent’anni il mondo del lavoro è notevolmente cambiato, siamoin un’ epoca che non offre garanzie di lavoro sicuro e il concetto stesso di“lavoro” viene rapidamente sostituito con quello di “capacità esportabili”da un contesto all’altro, abilità che ci rendono e ci mantengono impiegabilisul mercato.Tale situazione inevitabilmente ha mutato anche i criteri di giudizio e disuccesso di un lavoratore.

Oggi nel mondo del lavoro siamo giudicati non solo in base a quanto siamointelligenti, preparati o esperti, ma anche in considerazione del nostro mododi comportarci verso noi stessi e nella relazione costante con gli altri.Con il modificarsi della realtà aziendale, cambiano contemporaneamenteanche le caratteristiche necessarie per eccellere nel lavoro. In contesti diristrutturazione e ridimensionamento, ad esempio, ciò che conta sonocompetenze come la capacità di controllare le proprie emozioni, il sapergestire un incontro oppure un confronto, l’essere in grado di lavorare inteam o l’avere doti di leadership appropriata.Queste capacità, denominate in passato come il “carattere” o la “personalità” di un individuo, sono riconducibili al concetto di “intelligenzaemotiva”.

Ogni emozione, potenzialmente in grado di bloccare o sabotare il nostrolavoro, può essere trasformata in una spinta positiva e in uno strumento perriuscire. Queste capacità/modalità sono in parte innate e in parte possonoessere apprese.

6.4. Prevenzione e gestione dello stress

Oggi la vita ci espone ad una overdose di stimoli, la cui elaborazionespesso ci stanca e ci stressa. Lo stress è un grande ostacolo per raggiungereil nostro benessere e la nostra vitalità, ma contemporaneamente, può essere

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una fonte di energia che ci spinge ad agire per raggiungere i nostriobiettivi.

Nel 1936, il fisiologo austriaco Hans Selye definì lo stress come una

reazione aspecifica dell'organismo ad ogni richiesta effettuata sudi esso.

Da allora il concetto di stress si è sviluppato, interessando maggiormente larelazione tra l'uomo e l'ambiente.

Lo stress è una reazione tipica di adattamento del corpo ad un genericocambiamento fisico o psichico, una reazione naturale che, se mantenuta incerti limiti, è da considerare positiva in quanto indice di coinvolgimento –cosa che tutti noi sperimentiamo nella vita di ogni giorno, quandososteniamo una prova o completiamo un lavoro impegnativo.

La conferma del valore positivo dello stress sta nel fatto che si parla diprevenzione e di gestione dello stress ma non di eliminazione completa,proprio perché esso è una caratteristica della nostra vita. Lo stress, tuttavia,diventa negativo quando dura a lungo e ci accompagna nel tempo, al puntoda divenire una presenza prolungata (viene allora definito cronico).Solitamente, quando nel linguaggio comune si parla di stress, si attribuiscead esso una valenza esclusivamente negativa, come sintomo esterno di unmalessere. Al contrario, in una certa misura, lo stress può dipendere per lopiù dal nostro comportamento.

Il nostro comportamento e le nostre emozioni, come detto precedentemente,non sono determinate dagli eventi esterni, ma da come noi individualmenteli percepiamo e li interpretiamo; la valutazione degli eventi è sempresoggettiva e i pensieri e le emozioni hanno un ruolo importante nel viverebene, come nel potenziare e mantenere lo stress a dei livelli adeguati pernoi.Naturalmente la portata stressogena di un evento è determinata, oltre chedalla valutazione cognitiva dello stimolo compiuta dall’individuo, anchedalle caratteristiche oggettive dello stimolo, ovvero dalla qualitàdell’evento, come l’impatto emozionale che produce nel soggetto e dallasua quantità (come, per esempio, la durata e la “vicinanza” con altri eventiche costituiscono una potenziale minaccia per l’equilibrio psico-fisicodell’individuo).

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Lo stress è quindi un percorso o meglio, un processo, e il primo passo dafare per gestirlo è imparare a riconoscerne le cause e pensare alle possibiliconseguenze.

Le domande da porsi sono:

So cosa mi stressa?Quali sono i miei personali segnali corporei e come si manifestanonelle situazioni di forte sollecitazione, siano esse positive o negative? Li so riconoscere o li confondo?Si sono evidenziati già altre volte?

La conoscenza e la consapevolezza di ciò che ci stressa e dei nostri segnalipsico-corporei rappresentano la condizione basilare per la gestione dellostress, mentre la fase successiva è l’apprendimento, l’esecuzione e lamisurazione consapevole dei benefici di tecniche efficaci di gestione ditale stato di stress.

Le tecniche di rilassamento sono una forma di “allenamento mentale” che,influenzando il Sistema Nervoso Vegetativo (la respirazione, lacircolazione sanguigna, il sistema metabolico e muscolare) sono in grado diprodurre un effetto positivo efficace sia nel corpo che nella mente. Unavolta apprese e ben eseguite, queste tecniche possono essere utilizzatedall’individuo quotidianamente, adattandole alle proprie esigenze.Oltre alla respirazione, che è alla base di qualsiasi tecnica di rilassamento,la scelta della modalità (Traning autogeno, meditazione, mindfullness,Yoga, musicoterapia, rebirthing, massoterapia, riflessologia) piùfunzionale alle proprie esigenze è strettamente soggettiva.

In psicologia clinica si utilizza il termine generico stress per significare ladinamica di pressione ambientale/adattamento dell'organismo.

Lo stress può essere poi di due tipi: distress o stress "negativo" edisadattativo, che genera malessere e può condurre anche a reazionipatologiche ed eustress o stress "positivo" che deriva dall'attivazione dicanali di energia che gli impegni derivanti dalle forti pressioni ambientalistimolano nel soggetto: è lo stress di tipo acuto, che si evidenzia quandol’organismo si mette in condizione di reagire positivamente ad eventiesterni che devono essere affrontati e risolti.

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6.5. Stress lavoro-correlato

In un passato anche recente si riteneva che lo stress fosse solo un problemaindividuale – o comunque legato a specifiche e particolari situazionipersonali – che richiedeva soprattutto interventi di sostegno diretti sullapersona.Tuttavia, ricerche in ambito di psicologia del lavoro ed evidenzescientifiche hanno dimostrato che spesso l’organizzazione del lavoro puòessere all’origine della determinazione e del peggioramento dello stato distress.

Da qui si è partiti per una sensibilizzazione del mondo del lavoro (datori dilavoro, sindacati ed esperti) sulla necessità di una normativa in grado ditutelare i lavoratori. In materia di sicurezza del lavoro, il D.Lgs. 81/08 (attualmente in vigore con successive integrazioni) ha rappresentato unasvolta importante, perché ha inserito tra i rischi lavorativi anche quellipsicosociali, ed espressamente i rischi collegabili allo stress lavoro-correlato.

Rischi psicosociali: sono causati da quegli aspetti della progettazione del lavoroe della organizzazione e gestione del lavoro e dai loro contesti ambientali esociali, che potenzialmente possono dar luogo a danni di natura psicologica,sociale o fisica.

Per definire lo stress lavoro correlato faremo riferimento a quantostabilito dall'Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sulLavoro (European Agency for Safety and Health at Work) secondo laquale:

lo stress lavoro correlato viene esperito nel momento in cui lerichieste provenienti dall’ambiente lavorativo eccedono lecapacità dell’individuo nel fronteggiare tali richieste.

L'articolo 3 dell'Accordo Europeo sullo stress nei luoghi di lavoro dell'8ottobre 2004 – così come recepito dall'Accordo Interconfederale del 9giugno 2008 – definisce inoltre lo stress lavoro correlato come una

condizione che può essere accompagnata da disturbi odisfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale, ed è

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conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono ingrado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte inloro.(art. 3, comma 1)

Lo stress lavoro correlato, quindi, è quello causato dal lavoro, cioè da varifattori che sono propri del contesto e del contenuto del lavoro. Questi fattorivanno individuati, analizzati, valutati e quindi rimossi, come condizioneindispensabile per ripristinare una buona salute organizzativa e deilavoratori impiegati.Per questo motivo la valutazione del rischio stress lavoro correlato va fattain tutte le aziende, secondo i termini e le modalità previste dalla normativavigente.

6.6. Resilienza e coping

Ogni individuo è unico, differente dagli altri e assolutamente irripetibilenelle sue specificità. Le persone quindi, reagiscono agli eventi stressanti intanti modi differenti.

Non tutti infatti, sono in grado di affrontare le difficoltà della vita in modopositivo. Alcune persone vivono i momenti complessi della vita senzariuscire a rispondere ad essi in modo adeguato. Queste persone vengonosopraffatte dalle situazioni che sfuggono al loro controllo a causa del lorobasso livello di resilienza.

La resilienza è una capacità, acquisita dall’uomo nel corso dell’evoluzione, cherende una persona in grado di gestire lo stress senza farsi travolgere. Èl’attitudine a saper reagire, a resistere psicologicamente alle difficoltà, a non farsidistogliere dai propri obbiettivi.

Alla resistenza passiva, la resilienza aggiunge una dimensione dinamica,oltre che positiva: è la capacità di fronteggiare e di ricostruire.

Un buon marinaio impara a leggere le condizioni atmosferiche.Se è possibile, evita la tempesta ma se non è possibile e ci sitrova in mezzo, sa quando è il momento di ammainare le vele,serrare i portelli, gettare l’ancora e aspettare che la burrasca siacquieti, tenendo sotto controllo ciò che è controllabile e

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lasciando andare tutto il resto.

Naturalmente, esistono tanti stili differenti per affrontare le difficoltà:esistono persone più vulnerabili e più o meno in grado di rispondereadattivamente, ma poi ognuno di noi reagisce alle avversità che incontraseguendo la propria strategia personale o coping.Tale strategia si costruisce a poco a poco, non sempre in modoconsapevole, nel corso della vita di ognuno, attraverso sperimentazioni,modifiche e aggiustamenti. Su di essa non va emesso un giudizio di valorema occorre solo la comprensione e la conoscenza dei meccanismi che laregolano.

Il coping è quindi il nostro modo di fronteggiare una situazione stressanteseguendo il nostro stile personale, e comprende una serie di azioniintenzionali sia cognitive che comportamentali, finalizzate a controllarel’impatto negativo dell’evento stressante. Tuttavia esse non garantiscono ilsuccesso di tale sforzo.Il coping, se è funzionale alla situazione, può mitigare e ridurre la portatastressogena dell’evento, ma se è disfunzionale ad essa può ancheamplificarla. Si ha un buon adattamento allo stress e una forte resilienzanella vita quando si è flessibili e si ha la capacità di non irrigidirsi suun’unica strategia, ma si riesce a cambiarla e ed eventualmente trovarneun’altra, qualora questa si dimostri inefficace e disadattiva.

In merito al coping risultano interessanti gli studi americani sull’influenzadell’atteggiamento ottimista o pessimista sullo sviluppo dello stress. Nellaricerca psicologica, del resto, da diversi anni si studia la validitàdell’ottimismo nella gestione dello stress. In particolare molteplici studisulle strategie di coping hanno evidenziato come l’ottimismo (il bicchierecosiddetto mezzo pieno) svolga un ruolo importante e fondamentale nellagestione dello stress.

I primi ricercatori impegnati in questo campo sono stati MichaelScheier e Charles S. Carver che, durante una ricerca condotta nel 1985,hanno osservato l’influenza delle aspettative (senso di fiducia o di dubbio)sulle azioni che un individuo intraprende e porta a termine. Dagli studiemerge come un atteggiamento ottimistico, attenuando le sensazioni dipassività, può evitare che la persona si senta in balia delle proprie reazioniemotive.

In particolare, l’ottimismo favorirebbe gli atteggiamenti focalizzati sul

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problema e sulla sua risoluzione e gli atteggiamenti focalizzati sulleemozioni,

riducendo altresì le forme di fuga e di evitamento, allontanandocosì, le persone da stati di rassegnazione e passività.(Anolli, 2005)

In questo senso, l’ottimismo assume un ruolo fondamentale nella capacitàdelle persone di affrontare una situazione impegnativa. Gli ottimistipotrebbero avere dei vantaggi attraverso le proprie strategie di coping,persino in situazioni che non possono essere sostanzialmente modificate.

Alcuni fattori individuali come il genere, l’età, la personalità, la situazionefamiliare, la provenienza, lo stile di vita, la formazione culturale, possonoavere un impatto importante sull’insorgenza e sulla modulazione dellostress, mentre in ambito lavorativo contano soprattutto il senso diappartenenza e l’integrazione del soggetto all’interno dell’organizzazione edel suo gruppo lavoro.In particolare, è dimostrato scientificamente che le donne reagisconodiversamente dagli uomini agli stressor fisici, chimici e psichici, e rispettoad alcune patologie dove il sistema dello stress gioca un ruolo importante,le donne risultano essere svantaggiate.

Gli stressor o agenti stressanti, sono gli stimoli, di diversa natura, che possonoportare l'organismo e la psiche di una persona fino allo stress cronico. Possonoessere stimoli fisici, fisico-biologici o psicosociali.

Tuttavia, assistiamo ad un processo dinamico interessante, perché se è veroche le donne si ammalano più spesso e facilmente, le stesse posseggonosistemi biologici più plastici, che consentono loro di reagire alla malattia edi recuperare la salute.Inoltre, osserviamo che recuperano prima la salute anche perché sioccupano più attivamente degli uomini della prevenzione e della cura,attivano una rete di relazioni protettive di sé e della prole intorno ecomunicano meglio all’esterno i sentimenti, compreso l’eventuale disagiopersonale.

Il D.Lgs. 81/08 prevede in modo innovativo, che nella valutazione deirischi psicosociali vengano considerati e osservati con rigore anche i rischiconnessi alle differenze di genere e all’età dei lavoratori impiegati in

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un’azienda.

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7. Le nuove frontiere

7.1. La Psicologia del benessere: definizioni

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come “uno stato dicompleto benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza dimalattia e di infermità”.

In tal senso, l’OMS chiede ai governi di adoperarsi responsabilmenteattraverso un programma di educazione alla salute e per la promozione diuno stile di vita che consenta lo sviluppo di condizioni pratiche cherealizzino un alto livello di benessere.

La psicologia del benessere impiega tecniche e metodi volti adincrementare il benessere dell’individuo, attraverso la promozione dellacrescita personale e l’acquisizione di un miglior equilibrio nella gestionedella vita quotidiana; la psicologia del benessere è pertanto una nuovadisciplina rivolta al miglioramento delle condizioni psicofisiche dellapersona, che non risenta di particolari difficoltà.Si distingue quindi dalla psicologia clinica perché non si occupaspecificatamente della patologia e del sostegno psicologico e perché nonriguarda interventi da attuare in periodi di importante crisi personale.

Simile alla psicologia del benessere è la psicologia della salute, disciplinapiù centrata sugli aspetti dei rischi.La psicologia della salute costituisce, infatti, un ambito disciplinare diricerca e di applicazioni professionali che riguardano i fattori cognitivi,affettivo-emotivi, psicosociali, comportamentali, sociali e culturali chesono all’origine dello stato di salute delle persone (salutogenesi) e lapromozione e il mantenimento della salute, secondo una prospettivabiopsicosociale.

Questa disciplina opera sulla persona, liberando le energieprecedentemente impiegate in maniera disfunzionale (es. sintomipsicosomatici), utilizzandole al servizio delle potenzialità inespresse e delmiglioramento della relazione con gli altri, per il raggiungimento di unacomunicazione assertiva.Tecniche di rilassamento, training autogeno, gestione dello stress, interventi

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sui disturbi psicosomatici, su autostima e assertività, sono solo alcuni deglispazi psicologici possibili e percorribili in una materia decisamente inespansione.

Per assertività si intende la capacità di farsi valere con il ragionamento e lapersuasione e di esprimere, in modo chiaro ed efficace le proprie emozioni edopinioni, senza offendere e senza aggredire.

Teniamo presente che uno stato di elevato benessere psicofisico presupponesempre l’equilibrio positivo tra vita lavorativa e privata: equilibrio chenella società e nelle organizzazioni si promuove attraverso la realizzazionedi interventi che attivino un buon flusso comunicativo tra organizzazione,lavoratori e comunità; condizione che favorisce in tal modo, la maturazionedi un buon grado di crescita e di consapevolezza personale.Un cambiamento personale, di vita e di situazione inoltre, è visto dallapsicologia del benessere non come occasione di stress ma come portatoredi nuove opportunità: un’occasione per realizzare le proprie potenzialitàinespresse e per questo va sempre sostenuto e valorizzato.

In Europa e in Italia sta finalmente sorgendo una nuova forma di attenzioneda parte delle Organizzazioni al benessere dei lavoratori nei luoghi diLavoro: il Welfare aziendale. In tale ambito culturale è nato da alcuni anniil Workplace Health Promotion. Si tratta di un progetto, o meglio di unastrategia complessa di programmi di miglioramento organizzativo, dellasalute e del benessere psicofisico dei lavoratori, che coinvolge diversiambiti disciplinari: medico, psicologico, organizzativo, economico, socialee di ricerca.

Una banca dati documentaria dei modelli di buone pratiche attuate consuccesso, presenta i casi di Aziende/Organizzazioni virtuose quali esempinoti, concreti e utili per la diffusione e il sostegno a datori di lavoro,dirigenti, sindacati che vogliano spendersi per migliorare le condizioni dellavoro e le prestazioni organizzative e per raggiungere così, anche ilsuccesso produttivo.In un’organizzazione o in un’azienda infatti, l’instaurarsi di un rapporto difiducia reciproco è un obiettivo primario al fine di consolidare il senso diappartenenza, l’impegno, il coinvolgimento e la soddisfazione lavorativa eaccrescere la reputazione della stessa, attraverso l’integrazione tra questa, ilavoratori e la comunità di riferimento.

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7.2. Promozione della salute mentale

Il benessere mentale è essenziale per la salute e la qualità della vita econsente alle persone di realizzare il proprio potenziale, lavorare in modosoddisfacente e produttivo e svolgere un ruolo positivo nella propriacomunità.All’interno di un’azienda si possono adottare misure specifiche come laflessibilità oraria, la creazione di asili nido, momenti di formazione sullasalute psicofisica, mentale, consulenza e assistenza psicologica, momenti direlax, incentivi economici a pratiche salutari, dedicate sia ai dipendenti cheai dirigenti.In generale, a iniziative come la promozione dell’inclusione di categoriedeboli (immigrati, precari, disoccupati, donne, ultra cinquantenni) sipossono accompagnare reti di sevizi, palestre, aree dedicate alla pausa dellavoro e per la salute psicofisica, eventi formativi educativi, canaliinformativi interni ed esterni, giornali locali, reti sociali nel web e così via.

Occorre comprendere e rendere prassi sociale il concetto che la centralitàdella persona è una risorsa innegabile per qualsiasi organizzazione oazienda moderna.

La valorizzazione di comportamenti sicuri (dicendo no a fumo, insonnia,alcool, droghe, cattiva alimentazione) della vita di relazione, di attivitàfisica e relax, porta al buon governo della propria salute e quindi ad unaelevata consapevolezza di sé, alla fiducia nelle proprie capacità e bisogni equindi all’assertività.L’obbiettivo del processo di miglioramento, sarà pertanto sintetizzato inquesta frase famosa:

persone sane in organizzazioni sane!

La psicologia del benessere e della salute include quindi tutti gliinterventi, individuali o nei gruppi, condotti dallo psicologo per lapromozione e la tutela della salute individuale e collettiva; la figura dellopsicologo assume in questo modo, un ruolo di consulenza e prassi,esercitato da un operatore con competenze, flessibile e innovativo, perchéinterviene in varie fasi e con compiti delicati sia sullaorganizzazione/azienda, che sulle persone e sui gruppi che vi lavorano evivono.

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7.3. Psicologia del lavoro: prospettive

La figura dello psicologo del lavoro ha attualmente buone prospettiveoccupazionali in quanto è opinione diffusa che nei prossimi anni, per losvolgimento di attività connesse soprattutto alla selezione e valutazione delpotenziale, le imprese private e le strutture pubbliche si avvarranno sempredi più di questi specialisti.Un fattore positivo per questo profilo è pertanto il fatto che sia le agenzieper il lavoro, che i datori di lavoro, sono obbligati dalla normativa arivolgersi allo psicologo del lavoro per l’elaborazione e lasomministrazione dei colloqui, test e delle prove psico-attitudinali.In particolare, nei prossimi anni si potrebbe verificare un aumento delleopportunità di lavoro soprattutto per gli psicologi del lavoro che sioccupano di “diagnosi psicologica” in fase di assunzione e di selezione delpersonale.Si potrebbe aprire inoltre, un proficuo fronte di cooperazione professionalecon i medici competenti e del lavoro, proprio sul terreno delle tematicheconnesse al benessere - malessere organizzativo nelle sue variearticolazioni: dalla salute, alla valutazione dei rischi, alle indagini di clima,per arrivare al Welfare aziendale.

L’attuale difficile situazione di crisi del lavoro e di crisi dei lavoratori nellavoro, si deve senz’altro affrontare con l’apporto integrato di contributispecialistici trasversali.In questa situazione economica e sociale complicata le persone, i lavoratorie gli imprenditori, sono alle volte entrati in crisi, manifestando reazioni ecomportamenti diversificati, anche di una certa rilevanza e addiritturaestremi.

Negli Stati Uniti d’America la situazione è diversa. Qui lo psicologo dellavoro ha ormai una visibilità professionale definita e riconosciutadall’azienda e dai lavoratori. In ambito aziendale le sue mansioni copronouna varietà di funzioni più allargata e complessa rispetto al panoramaitaliano. Infatti, oltre all'attività di selezione e valutazione delle risorseumane, gli psicologi si occupano anche di monitorare o di intervenire sullivello di soddisfazione dei clienti e dei dipendenti di un'azienda, diosservare e di garantire uguali opportunità di carriera fra i lavoratori, didiagnosticare e segnalare eventuali malfunzionamenti organizzativi,suggerendo percorsi di miglioramento concreti.Lo psicologo del lavoro appare la figura di riferimento per tutto ciò che

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riguarda la relazione fra il dipendente e l’azienda: è in questa forma quindi,che viene soprattutto riconosciuta la sua competenza professionale.

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8. Conclusioni

Il contributo che la psicologia del lavoro può portare (in forma sinergica)all’interno di una organizzazione per affrontare situazioni complesse puòessere, da una parte, il rafforzamento di tutte le forme di resilienza e dipadronanza di sé delle persone e, dall’altra, il fatto di fungere da stimoloper ricercare e favorire modalità e percorsi di salute e di benessereorganizzativo nei contesti di lavoro.

In futuro, una maggiore sensibilizzazione verso i contenuti della normativavigente su stress- lavoro correlato potrà portare ad un cambiamentoculturale complessivo, che riconosca l’importanza di questa disciplina el’effetto concreto sul clima interno per favorire il benessere personale edelle organizzazioni.

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D.Lgs. 81/08, art. 37 | Formazione dei lavoratori e dei lororappresentanti

1. Il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazionesufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alleconoscenze linguistiche, con particolare riferimento a: a) concetti dirischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzioneaziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza,controllo, assistenza; b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni ealle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezionecaratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda.

2. La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione di cui alcomma 1 sono definiti mediante Accordo in sede di Conferenza permanenteper i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e diBolzano adottato, previa consultazione delle parti sociali, entro il terminedi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decretolegislativo.

3. Il datore di lavoro assicura, altresì, che ciascun lavoratore riceva unaformazione sufficiente ed adeguata in merito ai rischi specifici di cui aititoli del presente decreto successivi al I. Ferme restando le disposizionigià in vigore in materia, la formazione di cui al periodo che precede èdefinita mediante l’Accordo di cui al comma 2.

4. La formazione e, ove previsto, l’addestramento specifico devonoavvenire in occasione: a) della costituzione del rapporto di lavoro odell’inizio dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro;b) del trasferimento o cambiamento di mansioni; c) della introduzione dinuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze epreparati pericolosi.

5. L’addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo dilavoro.

6. La formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti deve essereperiodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi oall’insorgenza di nuovi rischi.

7. I dirigenti e i preposti ricevono a cura del datore di lavoro, un’adeguata especifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri

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compiti in materia di salute e sicurezza del lavoro. I contenuti dellaformazione di cui al presente comma comprendono:a) principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi;b) definizione e individuazione dei fattori di rischio;c) valutazione dei rischi;d) individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali diprevenzione e protezione.

7-bis. La formazione di cui al comma 7 può essere effettuata anche pressogli organismi paritetici di cui all’articolo 51 o le scuole edili, ove esistenti,o presso le associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori.

8. I soggetti di cui all’articolo 21, comma 1, possono avvalersi dei percorsiformativi appositamente definiti, tramite l’Accordo di cui al comma 2, insede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e leProvince autonome di Trento e di Bolzano.

9. I lavoratori incaricati dell’attività di prevenzione incendi e lottaantincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo graveed immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestionedell’emergenza devono ricevere un’adeguata e specifica formazione e unaggiornamento periodico; in attesa dell’emanazione delle disposizioni dicui al comma 3 dell’articolo 46, continuano a trovare applicazione ledisposizioni di cui al decreto del Ministro dell’interno in data 10 marzo1998, pubblicato nel S.O. alla G.U. n. 81 del 7 aprile 1998, attuativodell’articolo 13 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626.

10. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto ad unaformazione particolare in materia di salute e sicurezza concernente i rischispecifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, taleda assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo eprevenzione dei rischi stessi.

11. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione delrappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono stabiliti in sede dicontrattazione collettiva nazionale, nel rispetto dei seguenti contenutiminimi:a) principi giuridici comunitari e nazionali;b) legislazione generale e speciale in materia di salute e sicurezza sullavoro;c) principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi;

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d) definizione e individuazione dei fattori di rischio;e) valutazione dei rischi;f) individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali diprevenzione e protezione;g) aspetti normativi dell’attività di rappresentanza dei lavoratori;h) nozioni di tecnica della comunicazione. La durata minima dei corsi è di32 ore iniziali, di cui 12 sui rischi specifici presenti in azienda e leconseguenti misure di prevenzione e protezione adottate, con verifica diapprendimento. La contrattazione collettiva nazionale disciplina le modalitàdell’obbligo di aggiornamento periodico, la cui durata non può essereinferiore a 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratorie a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori.

12. La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deveavvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nelsettore e nel territorio in cui si svolge l’attività del datore di lavoro, durantel’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico deilavoratori.

13. Il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile peri lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenzenecessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ove la formazioneriguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica dellacomprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorsoformativo.

14. Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività diformazione di cui al presente decreto sono registrate nel libretto formativodel cittadino di cui all’articolo 2, comma 1, lettera i), del decretolegislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, seconcretamente disponibile in quanto attivato nel rispetto delle vigentidisposizioni. Il contenuto del libretto formativo è considerato dal datore dilavoro ai fini della programmazione della formazione e di esso gli organi divigilanza tengono conto ai fini della verifica degli obblighi di cui alpresente decreto.

14-bis. In tutti i casi di formazione ed aggiornamento, previsti dal presentedecreto legislativo per dirigenti, preposti, lavoratori e rappresentanti deilavoratori per la sicurezza in cui i contenuti dei percorsi formativi sisovrappongano, in tutto o in parte, è riconosciuto il credito formativo per ladurata e per i contenuti della formazione e dell’aggiornamento

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corrispondenti erogati. Le modalità di riconoscimento del credito formativoe i modelli per mezzo dei quali è documentata l’avvenuta formazione sonoindividuati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, leregioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentita laCommissione consultiva permanente di cui all’articolo 6. Gli istituti diistruzione e universitari provvedono a rilasciare agli allievi equiparati ailavoratori, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a), e dell’articolo 37,comma 1, lettere a) e b), del presente decreto, gli attestati di avvenutaformazione sulla salute e sicurezza sul lavoro.

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Indice

Introduzione 41. Nascita e sviluppo della psicologia del lavoro 6

1.1 Definizione 61.2 Storia e sviluppo della psicologia del lavoro 7

2. La psicologia del lavoro in Italia 92.1. Origini della psicologia del lavoro 92.2. Problematiche di una nuova disciplina 122.3. Lo psicologo del lavoro 14

3. Le differenze tra discipline correlate 153.1. Definizioni 15

4. La motivazione 184.1. La motivazione 184.2. La piramide dei bisogni umani 184.3. Motivazione al lavoro 20

5. Competenze, strumenti ed ambiti 225.1. Conoscenze e competenze 225.2. La formazione 255.3. L’Assessment Center 285.4. Strumenti: test-intervista, colloquio motivazionale, focus group 31

6. Lavoro e stress 366.1. Le teorie delle emozioni 366.2. La gestione delle emozioni 376.3. L’intelligenza emotiva e la teoria di Daniel Goleman 386.4. Prevenzione e gestione dello stress 406.5. Stress lavoro-correlato 436.6. Resilienza e coping 44

7. Le nuove frontiere 487.1. La Psicologia del benessere: definizioni 487.2. Promozione della salute mentale 507.3. Psicologia del lavoro: prospettive 51

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8. Conclusioni 53Bibliografia 54

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