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MARIA AMALIA DE LUCA $i , t,; }, t. I I t- A proposito di un fanale con iscrizione araba dedicato a Ferdinando IV di Borbone Estratto da: Rassegna Siciliana di storia e cultura n.2 - Dicembre 1997 IS SPE iI I I

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MARIA AMALIA DE LUCA$i

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A proposito di un fanalecon iscrizione araba dedicatoa Ferdinando IV di Borbone

Estratto da:Rassegna Siciliana di storia e cultura

n.2 - Dicembre 1997

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APROPOSITO DI UN FANALE CON ISCRIZIONEARABADEDICATO A FERDINANDO IV DI BORBONE

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Maria Amalia De Luca

Qualche anno fa, su sollecitazione dell'amico architetto G.F. Anselmi.che all'epoca conduceva, per incarico della Sovrintendenza ai monumenti,alcuni interventi di consolidamento nella settecentesca residenza borbonicadella Piana dei Colli di Palermo comunemente detta "Palazzina Cinese".ebbi I'opportunità di esaminare una lampada che adorna la cosiddetta<<camera turca>> situata nel blocco centrale del secondo piano dell'edificio edannessa agli appartamenti della regina (cfr la figura n' 1).

La denominazione della stanza trae origine dal gusto moresco che necaratlenzz^ la ripanizione architettonica degli spazi e la scelta degli arredi.La camera turca si presenta infatti come un ambiente multiplo scandito in trepafi da archi e colonnine: ad un vano centrale se ne affiancano due laterali a

loro volta tripartiti secondo uno schema usuale nell'architettura religiosa e

profana del mondo islamico.Al centro del soffitto di ciascuno dei sei piccoli vani laterali si possono

ammirare altrettante lampade di alabastro decorato, sospese tramite eleganticatene di perle. Il grande spazio intermedio è, invece, dominato da un unicofanale centrale, pure d'alabastro, ma notevolmente più volumìnoso, la cuiboccia è sorretta, attualmente lr), da un collare di metallo dal quale si ramifi-cano otto bracci segmentati, quattro dei quali sono agganciati al soffitto concatene mentre ai restanti si aggrappano quattro coppette porta olio (cfr. lafigura n' 2).

Le sei lampade dei corridoi laterali sono tutte decorate con lunette e stel-Ìine dorate, ma le due centrali si distinguono per una forma più allungata edun decoro pitì sofisticato: in nessuna comunque appare traccia di iscrizione.La grande coppa del fanale centrale invece presenta un'iscrizione araba concaratteri di stile cufico tracciati in color ocra dorata. L iscrizione, distribuitasu due registri paralleli separati da una fascia con minuti omati geometrici,occupa la parte centrale della boccia ed è delimitata, nella parte superiore edinferiore, da altre due fasce più larghe di quella intermedia e caratterizzate daun identico motivo geometrico a losanghe. La parte inferiore del fanale, nondel tutto integra, mostra ornati meno fitti costituiti da una sequenza di lunette

(l) L'armatura di sostegno, potrebbe non essere più quella originale: di certo le catene di perle,forse andate in frantumi. sono state sostituite da anodine catene di fìrro.

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(da V CAPITANO: c.V Marvuglia, Collana di Studi di Disegno della Facoltà diIngegneria di Palermo, n" 25).

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T. 9 ' Casìna cinese. Sccondo pìano

2. Saletta detia <ercolma'l. Camera da letto della regja.

FIGURA 1

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FIGURA 2

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MSSEGNA SICILIANA

onzzontall sovrapposte a quattro stnsce a zig zag anch,esse di color ocra eoro.

A prima vista, supposi che la lampada provenisse da un paese arabo e chefosse stata donata ai Reali da qualche delegazione straniera o da essi apposi_tamente commissionata per impreziosire, con un ulteriore, raffinato tocco. laesotica casina della Piana dei Colli. Tale ipotesi fu presto smentita dalla let_tura dell'iscri zione, qui di seguito riprodotìa. che atiesta inequivocabilmentela mani fattura indigena dell'oggerto:

Primo rigo

IúíIl+ 3r..ilcll &lrJl a,;r!.ritl rlrAtcrl ArÉrll erlrll{ &r lo.

Secondo rigo

ger$ g; &1 3er fr-fdllrf&Aè{ &ttdt, ,4rll, Jrll, Jt+f l, jll,gdls

Il tenore del testo non presenta, in linea di massima, problemi interyretati-vì, anche se alcune scelte lessicali destano qualche perplessità ed esigonouna spiegazione che sarà fomita al lettore piùr avanti: vt si legge che il fanalein questione è stato realizzato a Palermo tdelra Modina Siqittiyya (2)) nell,an-no 1223 per la gioia di Sua Signoria il Re Ferdinando, la cui menzione è,secondo il rigido ed ampolloso protocollo orientale, preceduta e seguita daadeguati titoli ed epiteti e da una prolissa serie di vocaboli augurali tipicidelle formule dedicatorie che, nel mondo musulmano. venivano úllrzzateper accompagnare la presentazione al committente o, nel caso di un dono, aldestinatario, di un qualsivoglia oggetto di un cefio pregio.

La data riportata nel testo è indicata sulla base del calendario musulmanoe corrisponde grosso modo al periodo compreso tra il febbraio18O8 (dellanostra era) e il febbraio dell'anno successivo. Tale indicazione cronolosica ciriporta esattamente all'epoca in cui venivano ultimate le opere di abbeìli-menlo delìa reggia borbonica alla cui acquisizione e ristrutiurazione si era

ir)Con questa denominazione (lett.: La Città deÌla Sicilia) viene spesso menzionata la citîà diPalermo (Balana) neJle tbnti storjche, lemerarìc e nelle monete del periodo afabo.

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Maria Amaliq De Luca

dato il via già da circa dieci anni, al tempo della prima visita dei reali a

Palerrno.Ricordo infatti che il 24 dicembre del 1798 il vascello Vanguard, che inal-

berava le leggendarie insegne dell'ammiraglio Nelson, aveva trasferìto a

Palerrno Ferdinando IV di Borbone costretto, insieme alla sua famiglia, a

riparare in Sicilia (una tera di cui fino a quel momento non sembrava essersr

curato gran che) per sfuggire all'avanzata dell'esercito napoleonico cheaveva ormai minacciosamente valicato i confini del reame di Napoli.

Era quella, in ben quarant'anni di regno, la prima volta in cui il sovrano sidegnava, e non certo per libera scelta, di soggiornare nell'isola e ciò la dicelunga sul grado di interesse e di attrazione che gli affari di tale, pur rimarche-vole, porzione del regno, riuscivano a suscitare in Sua Maestà in verità benpiù impegnata a cimentarsi nell'agone venatorio che in quello amministratri-vo(3).

L arrivo del re tuttavia, seppur tardivo e - come ho detto - non proprio

spontaneo, suscitò I'entusiasmo dei sudditi siciliani che accolseroFerdinando con tutti gli onori. Questì, di contro, non sembrò pafiicolarmentesensibile a tanta calda accoglienza dal momento che non diede mostra' né

durante quel soggiorno né in seguito, di essere realmente intenzionato a

prendersi maggior cura dei destini della Sicilia. Ferdinando infatti, nonostan-

te tutte le dichiarazioni uffìcìali, gli impegni assunti e le promesse rilasciate,continuò a guardare a questa tel:ra generosa solo come ad un domicilio coattoin attesa di poter spiccare nuovamente il volo verso i fasti della <sua- capita-le.

Decideva così di lenire I'impazienza del rientro dedicandosi al suo spol"t

preferito: Ia caccia. Il primo provvedimento che mise in atto fu volto a rimetlere in vigore le leggi lorestali. a creare nuo\e riserve venatorie e. conse-guentemente, a valonzzare le residenze reali periferiche esistenti o a metter-ne in cantiere di nuove, dove poter soggiornare e dedicarsi, a tempo pieno,

con la scorta dell'amico Troiano Marulli e di più di mìlle battitori, allo ster-

minio di quasi cento capi di selvaggina al giorno, abbandonando le sorti del

regno in mano all'intrigante consorte Maria Carolina e ai suoi favoriti.Nel 1802, dopo quattro anni di permanenza in Sicilia, la coppia reale poté

fare rientro a Napoli lasciandosi alle spalle I'isola e ì suoi "provinciali" pas-

satempi nonché tutte le illusorie speranze suscitate nel popolo siciliano.Nel 1806 tuttavia, la ripresa delle ostilità con la Francia costrinse nuova-

mente la corte a rilìgiarsi a Palermo. In previsione di un soggìorno piùr

lungo, si dispose di procedere al restauro delle residenze reali, tra cui figura-

(r) Cfr. D. Mack Smith . Storia della Sicilia tuedieva[e e modenn, Bari, 1971, p. 43 7 e segg..

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RASSEGNA SICILIANA

va una curiosa casina di legno in stile cinese acquistata dai Borboni duranteIa precedente visita.

Lesotica dimora sorgeva nell'amena Piana dei Colli, la zona di villeggia-tura aÌl'epoca più in voga - la più ln si direbbe oggi - presso la spocchiosanobiltà locale che, tm il diciassettesimo ed il diciottesimo secolo. vr avevainnalzato sontuose ville circondate da parchi e giardini. La capricciosacostruzione ispirata alle pagode orientali appafeneva originariamente a donBenedetto Lombardo che, nel 1798, l'aveva lasciata al fratello GiuseoneMnria barone delle Scale e delli Manchi di Belice. euando, nell,anno li9l9,si procedette all'acquisizione da pafie della corona dell'edificio e del terrenocrrcostanteJ si provvide, in parallelo, all'ampliamento dei suoi confini, giudi-cati esigui per una tenuta reale, tramite Ì'espropriazione ai possidenti limitro-fi (Vannucci, Airoldi, Malvagna, Niscemi etc.) di alcuni appezzamenti che,sommati all'area in precedenza introitata, portarono la riserva reale ad unasuperficie di ben quatÍocento ettari (a).

La nuova residenza prese il nome di "Favorita" e, in effetti, rappresentò ilrifugio preferito dal sovrano che tra i giardini dei Colli e i boschi dell'altraamata reggia alla Ficuzza scelse di trascorrere la maggior parte del suo dora-to esiìio palermitano.

All'asterno della palazzina fu realizzato uno splendido parco: padiglioni,coJfee-houses, e gazebi fecero da incantevole corredo alla costruzione cen-trale mentre boschetti, agrumeti, vigneti ed orti anicchiti da piante esotiche ecolture sperimentali, si alternarono, con virtuoso contrappunto, a vialetti,piazzluole, aiuole, fontane e statue appagando con esiti di grande godibilità eÀcercàfezza,la passione di re Ferdinando per l'agricoltura e per la botanica.

La riserva reale dei Colli, impiantata nell'area paludosa della contradaMondello, rimpinguava, a sua volta, dì anatre, becaccini ed oche selvatiche icarnieri del re assecondandone I'aÌtra innata Dassione uer la caccia.

All'atto dell'acquisto, come si è detto, ìa casina altro non era che uneccentico padiglione rivestito di legno in stile cinese(s): un tantino troppoeccentrico a giudicare dal disappunto manifestato dal marchese diVillabianca (che, d'altronde, non si distinse mai per atteggiamenti e gusti

rr)Cfr. R. Giuffrida M.G|ùffré, La pdlazaifia cinese e il Museo pitré nel parco della Favoritaa Palermo, Palermo, 1987, pp.11-55 e F. Mondini, (La Fd\)otítú,, il lungo esilio tleiBorboni di Napolí, rn RiNìsta ardLlice,l (gennaio 1976), Rona. p. 25.

15'Per la complessa problematica riguardante la patenità del progeìto di questo originarìo edi_ficio, ed il contributo in esso cventualmente proîuso da G. V Marvuglii si veda R. Giuffri<1a

M. Giuftié., op. cit., p. 60 e segg. con annessa bibliografia; G. piîrone, palemo e il suorefde, ln Quademo n'5 6 7 edíto a curu dell'lstùuto di Elementi Lli ArchiteÍuru e Rilietodei MonLtmenîi, Palermo, 1965, pp-28, 29 e segg.

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innovativi) (6). Ferdinando, evidentemente di tutt'altro avviso. stabilì diristrutturarla rielaborandone 1a primitiva stesura architettonica, ma salva-guardandone il carattere esotico.

La reaTrzzazione del nuovo progetto architettonico fu affidata all'architet-to palemitano G. Venanzio Marvuglia (1129-181,4), reduce dalla pr.oficuacollaborazione con il famoso Dufoumy nella realizzazione del Gymnasiumall'Orto Botanico palermitano. 11 Marvuglia avrebbe lavorato al progettodella Palazzina dal 1799 al 1802, accentuandone il caratteristico gusto cine-se, che tanto era piaciuto a sua maestà, attraverso una rilettura ben più intel-lettuale e raffinata in chiave neoclassica. che tenesse conto delle nuove ten-denze d'oltralpe secondo la lezione del Dufoumy. E così fu che.<kt bizzurriadiventò fantasia, 17)e il panorama architettonico della Piana dei Colli potéarricchirsi di un altro gioiello il cui sapore " esotíco -rurale " , provocatoria-mente in contrasto con le grandiose scenografie barocche delle ville palermi-tane, e il cui anticonformista assetto degli intemi, "sembra preludere allospirito dí certa produzione di E. Basile"rs). La direzione dei lavori fu affida-ta al figlio di Marvuglia, Alessandro Emmanuele, al quale si dovrebbe anchetutta una serie di non trascurabili innovazioni e modifiche rispetto al disegnooriginario, apportàta nel corso dello svolgimento dei lavori(e).

Nel 1806, al rientro dei sovrani da Napoli, il rifacimento strutturale erastato onnai ultimato e si stava alacremente procedendo alla complessa operadi sistemazione, decoro ed arredo degli intemi e di lifinitura degli esterni.

Negli anni seguenti, sulle pareti deìla casina, ad opera di abilissimi deco-ratori, sbocciano paesaggi incantati che, quasi per magia, ne annullano i dia-frammi perimetrali aprendo anche all'intemo illusori squalci verso la campa-gna circostante e le sue bellezze. Altre stanze si ammantano di sete pregiate

(ó)Ualtezzoso Marchese appare alquanto sconce ato dalla inspiegabile attrazione da partc dciReali pcr una <<fubbrica stravagante tli nulla durata e scevra a.líàtto (1i magnifìcenza (...)

fattLt tutta d'ossLltltra di legrut, í balconi Lli tevoloni attaccati dLIi gattotli di legno coilcorda, fattd rotonda etl alla.foggia e gutta cíneseo. ffr. F.M. Emmanuele e GaetaniMarchese di Villabianca, Diario Palemitano, manoscritto custodito presso la BibliotecaComunalc di Palermo, sotto la segnatura QqDl1.1, t 95/59.

(']' Cfi. U. Di Cristina, Palenno lelle pagode, in FMR, 20 (1984), p. 100.rs)Clr. G. Pjr.one. P..rlenno e il suo yerde, rn Quarleno n" 5, 6; 7 dell'lstitLtto di Elenenîi .li

Archúeftura e Rilievo .lei Monltme ti, Palermo, 1965, p. 38 .Ìq)Per un ridimensionamento dell'apporto di Venanzjo ed una maggiorc colsider-azione del-

I'impronta del figlio, Alessandro. si pronuncia V Capitano, G. V Mln,uglía, architetto, inge-gnere, docente rn Colldnd rii Studi di Disegno della Facoltà di ingegneria li Palenno, n"25.Palerìno, 1985, p.32 e sesg. in contrasto con G. Di Stefano. SSuardo su tre seco[i di architettura palermitana tn A i det VII Congresso Naaionale di Storia dell'Architettura,Palermo. 1956.

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RASSEGNA SICILIANA

che suggeriscono convenzionali sprazzi d'Oriente. Tavolini, sedie, suppelle!tili, quadri e lampadari vengono appositamente ideati secondo un design orasontuosamente aulico, ora cappricciosamente frivolo, in accordo con il gustoe I'atmosfera imperante nell'ambiente destinato ad accoglierli. Ovunque ser-peggia una manierata leggiadria, una addomesticata sensualità esoLrca, unkitch aggraziato e sognante che sembra preannunciare certi languori dell'artnouveau.

Di questo febbrile travaglio aÍistico a noi rimane un dettagliatissimo epuntuaÌe resoconto nei libri mastri degli amministratori cui spettò il compito,in quel periodo, di registrare gli introiti e soprattutto gli esiti, spesso spropo-sitati, che la dispendiosa gestione deì "Real siti dí campagna" comportava.

Quei registri, oggi conservati presso l'Archivio di Stato di Palermo (r0), ciconsentono dunque di controllare, una per una, tutte le spese fatte in queglianni: dalle paghe delle guardie e degli impiegati, ai costi delle semenze e deiconcimi, dalle prebende del cappellano e del medico di corte ai costi per lamanutenzione delle stalle e l'acquisto delle tazzine da tè. Una voce a pafie è

costituita dall'elenco degìi importi erogati per i lavori di fabbrica, restauro e

arredo dei locali, sfogliando le cui pagine davanti ai nostri occhi sfila tuttauna generazione di artigiani palermitani che all'abbellimento della Palazzinacontribuirono con la loro maestria e il loro estro: muratori, marmorari, f-ena-ri, pittori, ebanisti, intagliatori, indoratori, tappezzieri e via di seguito, cia-scuno indicato per nome) cognome, qualifica e con la meticolosa annotazio-ne del lavoro svolto e del relativo compenso. E dunque in quelìe pagine che,come primo passo della mia indagine, sono andata a cercare delucidazionisulla manifattura del fanale che qui sto illustrando.

I primi accenni agli anedi deìla camera turca risalgono all'anno 1807 nelcorso del quale figurano diverse voci, relative ai mesi dì aprile e maggio, chefanno riferimento alle lampade d'alabastro e dalle quali risultano erogatealcune somme a: Emmanuele Sturgal (19 e 27 apile) "in conto degli omatiin oro sopra i fanali di alabasîro nella camera îurca" t\i)' a Salvatore Gallo(20 aprile e 28 maggio) cristallaro, per "guamímenti e fattiche dei fanalí dialabastro della camera turcd" rr2); a Giuseppe Greco (3 e 24 maggio), gioiel-

(r0) Si trovano sotto la segnatùra RSC (Redl Siti di Campagna 155) e comprendono 52 raccogli-to.i che illushano gli anni dal 1799 al 1812. Gli introiti e gli esiti di ciascun anno sonocompendiatì in \t\ Rendicotrto Finale e rrpanitt in vari registri suddivisi per lo piii permesi. Di ogni erogazione si trova poi la ricevutaÍ^le Cautele di Cassa, anch'esse suddivi-se per mese.

(rr)Cfr RSC raccoglitori 33 (vol.4) e 35 (vol.2).r':r Cfr irid, raccoglitori 33 (vol. 4), 35 (vol. 2.t e 33 (vo1.5),35 (vol. 3).

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Maria Amalia De Luca

liere per il rame, l'oro, e la manodopera di :una"cafena deramifcata a magli-ne dorate" per "li lampadari turchi' tt3).

Il 17 giugno seguente ricorre ancora il nome di S. Gallo, retribuito per"l'accomodo delli fanali dí alabastro". Ma questa volta non parrebbe trattar-si dei nostri fanali ma di altri, destinati "alla Camera cinese" tla).

Dobbiamo attendere il luglio 1808 perché si ritomi a parlare delle lampa-de moresche: agli eredi del povero Sturgal, nel frattempo passato a migliorvita, viene liquidato un compenso a saldo delle "opere da lui eseguite soprasei vasi di alabastro da senire da lampadari nella camera turca (...) qualiopere Jurono dal suddetto defunto (...) eseguite per tutîo lLrglio 1807 per loríattamento della real carina" (t5t. Nello stesso rnese il gioieÌliere Grecoviene retribuito "per sei coppetîe con esiti (...) per lampadari di alabastroper la camera turca" n6).

Cinque mesi più tardi è la volta di tal Benedetto Di Chiara cur vrene cor-risposta una somma "per renti dozzine di perle di Francia grosse e piccole(...) lavorate e servite per adorno dí lacci di lampadari delLa stanzaturcA"ttl).

Come si evince dalle precedenti registrazioni, nel corso degli anni 1807-1808 venne portata a termine la lavorazione e la sistemazione dei sei piccolifanaÌi anepigrafi delle camere laterali corredati dalle loro coppette e dallepreziose collane di suppoÍo. Ma è solo nell'anno 1809 che appare la men-zione specifica del grande lume centrale. Nel mese di luglio infatti tra i cre-ditori della Real Casa figurano lo scalpellino Giosué Durante per "diyersifnimenti di alabastro che sono dí ornaîi dl fanale grande gli si devono situa-re in giro del metlesimo unitamenîe al focco di perle simile a tutti gli altri daservire la camera turca" (1E) e l'argentiere Salvatore Grimaldi per "le opereda lui .fatte o da Jare per alcuni ornati i,? oro (e tra questi ci dovrebbe esserela nostra iscrizione) in un fanale grande di stíle turco da senire per la casí-na de' Colli" (re). Alla fine dell'estate la boccia di alabastro doveva essere giabella e pronta poiché, a settembre, venivano pàgafi "dícíotto paia di pendentidí perle di vari colori per la camera turca't (20) e, a dicembre, il signorVncenzo Pirone riceveva un acconto sulf importo dovutogli per "l'armaggio

tr)CfÍ ibi.t., raccoglitori 33 (vol. 5) e 35 (vol. 3).rt)Ctu. ibid., raccoglitod 33 (vol. 6) e 36 (vol. 1).15)Cfr. ibid.. raccoglitorì 37 (vol. 9) e,l0 (vol. 3).nqCîr., ibíd., raccoglito.j 37 (vol. 9) e 40 (vol. 3).rì7)Cfr. ióid, raccoglitori 38 (vol. l2) e,10 (vol. 8).(r3)Cfr ióid, raccoglitori 41 (vol. 7) e 44 (voll. 4-5).re) Cfr. ibù1., raccoglitori 4l (vol. 7) e 4:l (voll. 4-5) .(10) Cfr. íbid., raccoglitori 41 (voì. 9) e 45 (vol. 2).

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R4SSEGNA SICILIANA

dí rame da lui fatto per il fttnale grande aLla turca (... )" t2r). Per il saldo finaleil povero Pirone dovrà però attendere un altro anno poiché il suo creditoverrà estinto solo nel dicembre del I 810 rr2). Da quest'ultima data in poi nonsi ritrova piìr alcun cenno alle lampade della camera turca.

"A conti fatti" (è proprio il caso di dirlo !), nei registri di cassa troviamodettagliata confema della confezione, ad opera del cristallaro S. G:rllo, nel1807, di almeno sei delle sette lampade della camera turca. D'altra parte,debbo supporre che entro la fine dello stesso anno anche la settima lampada,quella che più mi intriga, venisse fabbricata dal momento che così attesta uninventario (23) degli arredi della Favorita, redatto in data 2 settembre 1807 incui vengono menzionate "n" T,lampade di alabasto dorate sostenute dacaÍene e guarnizioni di perle". E probabile tuttavia che alì'epoca dell'inven-tario la settima lampada non fosse stata ancora istoriata dal momento che I'iscrizione porta la data del 1808 e, per la sua esecuzione, verrà retribuito - esoltanto nel 1809 - I'argentiere Grimaldi (probabilmente subentrato alìoSturgal dopo il decesso di quest'ultimo).

Comunque siano andate le cose, è certo che nel libro mastro non si famenzione né della leggenda in arabo né del suo autore- La cosa non deve stu-pire più di tanto poiché gli arligiani citati non poterono essere altro che gliesecutori materiali dell'epigrafe il cui testo dovette essere stato precedente-mente ideato e composto da persona di raftìnata cultura e che di arabo se neintendeva e non poco.

A questo punto, dal momento che le fonti archivistiche mi avevano con-dotta ad un vicolo cieco, la mia indagine doveva necessariamente seguireun'altra pista. Prima di procedere, devo però confessare al lettore che giàdalla prima lettura dell'iscrizione, mi ero fonnata un'idea sul possibile auto-re del testo. In effetti sulla base della data, mi ero chiesta immediatamentecht tn quegli anni a Palermo fosse in grado di ideare una iscrizione in araboche ostentasse pomposamente formule dotte tipiche del repertodo epigraficoe di realizzarne poi la stesura in eleganti grafemi di stile cufico. La rispostaera quasi scontata perché all'epoca 1'unico valente arabista attivo nellanostra città era Salvatore Morso.

Questo volenteroso prelato era nato a Palermo il 6 febbraio del 1766.Scorendo le vicende della sua infanzia invano cercheremmo quegli stupefa-centi e precoci segni premonitori deì genio futuro che di solito costellano le

ttt)Cîr. ibí11., raccoglitori 4l (vol. l2) e zl5 (vol. 5).(rrr Cii. iúid ,raccoglirori 46 (vol. l2) e 49 (vol. 5).t23)lm,entario generale del Real Casino deLla ReaL \illa dei CoLli denominata La Fa|oùta,

conservato presso l'Archivio di Stato di Napoìi, Archjvio Borbone, Î. 304 1932" -2227 \' e

riportato in R. GiLrffrida - M.Giuftié . ry. .rt.. pp. 32-51 (camere alla turcd, P.47).

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Maria Anulía De Ltrca

bìografie degli uomini illustri. Anzi nel caso del nostro soggetto il bìo-grafo(24) devette trovarsi in sede difficoltà se finiva per ammettere candida-menle. "mediocre fra'suoi condiscepoli, giunse alla pubertà senza che in luíLe scuole anmirato ovessero alcun lampo cli ingegno"tzs).

L'inizio dunque non era stato dei migliori. Ma il ragazzo seppe ben prestofiscattare un esordio così deludente liberandosi dalle grinfie cfi tn <<semi-bar-àrro> istruttore e dedicandosi da autodidatta agli studi filosofici.

Il 29 marzo del 1784 conseguì la laurea; sei anni piii tardi abbracciò 1o

stato religioso. Nel frattempo non solo aveva proseguito gli studr ma avevaaltresì scoperto in sé una spiccata presdisposizione per il settore filologico edin particolare per la letteratura greca "per la quale sperírnentaya yiolenîaîe denza e in gran.fama particolarmenîe elevossi per la perizia che givadella greca paleograJìa acquistando" t)6).

Rosalio Gregorio (1753-1809), che 1o ebbe allievo nelle discipline teolo-giche, volle presentarlo ad Aì1'onso Airoldt (I779-1817),lo sfbrtunato .rp(.)t?-

sor delle imprese del Vella, che "dmmirotine i talenti, occordogli il suopatrocinío e I'amicizia e a ruohi prcfcui lavorí lo spronò e dire<rg" tztl

Non a caso ho fatto il nome del Vella: dalle ceneri dell"'arabica impostu-ra" e deÌla vergognosà débàcle che ne era derivata infatti era inaspettatamen-te germogliato in Sicilia il seme della nuova scienza arabistica, non più ali-mentato dall'inganno e dalla dabbenaggine, bensì da un puntiglioso ed one-sto studio delle testimonianze arabe nell'isola.

Aìla luce dei fatti e misfatti del Vella, il Gregorio, che mai si era bevuto lemillanterie del maltese, incitò il diligente Morso a studiare la lingua araba"persuoso bensì della necessità di coltívarsi tale sîudio nell'lsola nostra,regione daglí Arabí per ben due secoli signoreggiata e di arabiche carte,iscrizíoní, fabbriche e medaglie pregevolmente arricchíta; e dove i nomidelle (:ittà, delLe tene dei montí, delle acque, de'funi. delLe spiagge rant-mentan gli Arabi da per tutto e la loro dominazione" t23).

Il Morso docilmente intraprese la strada indicatagli e non ebbe a pentirse-ne. Poco tempo dopo, infatti, gli veniva assegnato I'insegnamento di arabo

':rtsi hatta di V Motillaro, eminente frgura di <tuttologo" ed arabista, (per il quale si veda ilmio saggio U Mortillaro, marchese tli Vllarena, Quadenti del Liceo G.G.Adria di Ma:arad(l Utllo, iù Mazafa, 1980), che scrisse un Èlogio dell'Ahate S. Morso professore di arabo,Palermo, I828 (poi conlluìto in Opere,II. Palermo. 1844) da cuì sono hatte tutte le citazjo-ni in corsivo. relative alla vita del Morso. che qui di seguito ripofterò.

ì5) Ibid., p. 5.th) Ibíd., p. 6.tl1tlbid., p.6.t\t lhìd.. p '7

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RASSEGNA SICILIANA

presso la cattedra universitaria di Lingua araba, istituita alcuni anni prima abeneficio del Vella, cattedra della quale, il 26 apriìe del 1797, divenne uffi-cialmente titolare facendo "per primo sentire nella {Jniversità nostra tluellaLingua nella sua purezza"(.2e). In realtà io non credo che il Morso sapesse piùarabo del Vella (che peraltro di arabo sapeva molto più di quanto comune-mente non si ammetta) però quel poco che aveva imparato lo mise onesta-mente a servizio della valonzzaztone del patrimonio culturale ereditato dagliArabi.

A lui si devono diverse opere: una striminzita grammatichetta di arabo inquattro tavole sinottiche (30) che, abbinata ad aÌcuni testi arabi e ad un piccolodizionario arabico-latino, gli servì come libro di testo all'Università; la lettu-ra e la traduzione di svariate epigrafi arabe dnvenute a Palermo, tra cui lafamosa trilingue dell'orologio della reggia normanna(3r)e le due lapidi fune-rarie della Chiesa di S.Michele Arcangelo(32), per non parlare poi di un curio-so Sistema di tachigrafa italiana per tl quale si può apprendere senza mae-stro ed in pochi giorni I'arte di scrívere, così presto che si parla; opera uti-lissima [\) a quasí îuîte le classí della socieîàt33).

La pubblicazione tuttavia che gli diede maggior fama e nella quale com-pendiò tutti i suoi studi fÙ Descrízione dí Palermo antico: "è questa - perdirla con i toni magniloquenti del suo estasiato biografo - l'opera classica e

magistrale, iL tesoro di patia erudizione, che fa tant'alto suonare il nomedel suo autore, e che al rango lo colloca de'yeri dotti dell'età sua"t3a).

Descrizione di Palermo antico, silloge di vari saggi dedicati alla ricostru-zione topografica della Palermo araba e all'illustrazione di alcune testimo-nianze di epoca medievale, fu dapprima pubblicata a puntate, dal 1824 al1826, nel Giomale di Scíenze, Letîere ed Arti. Uopera, oggi quasi del tuttoinutilizzabìle poiché ampliamente superata sia nel metodo che nelle conclu-sioni (del resto in buona parte smentite dalla scoperta di nuove fonti storicheed archeologiche e dai progressi del l'arabistica), suscitò all'epoca tale inte-resse e tali consensi(35)che il masistrato municioale ne ordinò una seconda

\1') Ibid.,p.8.tla) lacmaní sapíentis fabulae arabicae cum íntetpretatione latina et notis..., Palermo, l'196.(rrrlnserita per la prima volta in G. Piazz| Sull'ot'ctktgio ítaliano etl europeo, Palermo, 1798,

p.73 e segg..rr'z)Che furono pubblicate, a spese dell'Airoldi, in Spiegazione cli due lapidí esistenti nello

chiesa di S. Michele Arcangelo fatta dal sac. S. Morso Prolessore dí Lingua ataba nellaReale Uniwrsità di Palermo, Palermo, l8l3-

G3rPalenno, 1813.(a) Elogío ciî., p.14.(rs) Se ne veda la recensione apparsa in Brrlioteca ltalídna, CXXXI, p. 280.

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Maria Annlia De Luca

lussuosa edizione 0ó) ed il suo schivo autore si garantì, da morto, un severobusto marmoreo presso la Biblioteca Comunale.

Da vivo, del resto, era già stato gratificato da molti onorevoli incarichi tracui, nel 1813, quello di Membro e Cancelliere del Consiglio Civico; nel1814, quello di Deputato al Parlamento nella Camera dei Comuni, e infine,nel Ì826, due anni prima della morte, avvenuta il 14 settembre 1828, quellodi Rettore dell'Università di Palerrlo.

Non c'è dunque da stupirsi se il progettista della camera turca, volendoabbellire il fanale centrale con una <<verace>> iscrizione araba, abbia pensatodi rivolgersi a chi di arabo si intendesse davvero, a qualche lesta d'uovo del-I'ambiente universitario, insomma, imbattendosi così nel nostro valente ara-bista che avrà, con ogni probabilità accettato ben volentieri l'inusuale incari-co di compone, anzicché leggere, un'epigrafe araba.

A convincermi dell'esattezza della mia supposizione stava il fatto che itermini adoperati nella iscrizione della lampada, alcuni tra i quali - come hoprecedentemente detto - suonano alquanto inusuali per non dire erronei,riconono identici nella discutibile lettura e traduzione, mutuata dal Tychsenattraverso il Gregorio, che il Morso inserì, proprio in Palermo anttco Q1) a.

conferma della sua interpretazione di un rosone del tetto della CappellaPalatina e che qui di seguito ripolto per gli esperti di arabo, indicando, traparentesi quadre, la esatta lettura del brano t38) affinché l'arabista possa con-statare che nell'iscrizione del fanale ricorrono esattamente gli stessi abbaglipresi dal Tychsen e registrati dal Morso.

/Jf+ffr t-r.Ju ;Jr*Jll !i-Ik Zt&fit:.j-ltÉ4cllfi:rFLt atrrlt+ & tcc

/ r-rlltt JtL{t. rrb-dt, /Jl#t!t, Jr{3Í, JBrftr/JrLlt, JLÉ[, r+.Í,/f. Jfrt tL+ Jl+lII. /étdfl +J., Jf.fla / tjL,)t L].:labtt aol+e Jl"+Ita&r1,.rll. / t-r-Jl;l lú-ell9 furc-lle tu-i-Jll Ldl, / lrtrJl, J.IL Jrzq tl

i';lo.lrér ù;1 r&!, /, .Jbl i|r.r i+LiÉ a .,tr+a /lr;llÉll3 rl.rlll

t16)Descri<ione di Paletmo antico, ricarata sugli autori síncroni e i nonùnenti de'tempi da S. Morsor" Prclessore di liilgud arabica. Ed. seconda, riteduta etl atnpliata, Palermo, 1827 .

111\Nella Memoria .sul palaso reale, pp.22-25.rrr'Sccondo Reinaud in Joumal Asiatìlue,IV serie, tomo VII. aprile lSitó, pp.38l-383 con relativa

traduzione in ftancese: "Fabriqué dans le magaÎin ro\al, séiout dt! bonheur, tle I.illustation, de Iagloirc, de la peíectioi1, de la durée, tle Ia bienfaisance, du bon accueil. de Ia fílicité, ,:le kt Libém-Iité, de \'éclat, de lo Éputation, tle la beauté, rle la réalisation des clésirs et des espeftúces, duplaisit'des joLrrs et des nuit.t, sans cessation et sans rnutatiotl. a.,ec le sentiment de I'honnew: tludéwuemeúL de [a conservation, de Ia sympathie, du bonhev tle h santé, du secoùrs eî de la s(tìsfaction, dans Ia viLle de SiciLe.l'an 528>. Leggcrmente diversa quella proposta da J. Johns, in 1

titoli arcbi dei sovani normanni di Sicilia, in Bollettino (li Nu,nk,ntltica, 6 7 ( 1986), pp. 10-41.

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RASSEGNA SICILIANA

Nìente di più ovvio dunque che costui, dovendo compore una dedica perFerdinando, sia andato a trarre ispirazione da quella, a lui ben nota, dedicataqualche secolo prima ad un altro sovrano.

A questo punto, benché ben supportata, la mia attribuzione rimaneva pursempre ipotetica.

Non mi restava che un'ultima, "disperata" cal.ta da giocare. Animata daun filo di speranza, a dire il vero, sottilissimo, decìsi di andare a spulciaretutti gli appunti manoscritti del Morso, custoditi attualmente presso laBiblioteca Comunale di Palermo, nel caso che il puntiglioso canonico viavesse seminato qualche accenno alla lampada e quale fu la mia sorpresa nelritrovare su un foglio (3e) (cfr. la figura n'3) la bozza di, non una, ma ben treepigrafi destinate rispettivamente al "lampadario (li mezzo". al "lampadariode' lati" e all' "altro lampadario de' lati".

Evidentemente al Morso erano state odginadamente commissionate tredediche, poi ridotte ad una forse per la comprensibilissima dìfficoltà, incon-ffata dagli inesperti esecutori, a riprodurre i grafemi arabi nei fanali più pic-coli.

I1 testo della iscrizione più lunga, concepito per la boccia centrale e com-prendente, salvo un'unica eccezione 140), quello poi effettivamente sintetizza-to sull'oggetto, è il seguente:

lriJf{ 31cfoil l.L.ll Q,r.Ll,r!l fssLdl fcÉLÍ f éJl SrldLr J." 1..

J1+ll, &lci.tlr lsic 4ì

| Jt+3llr Jlàlflr Jrlillr Jr./-tl, /t?l ,+rll, Jl+ll,Liu-lll\lcelll/lri.ll, fdkrll, J.tl, Jlqll, .ÀIl1[ aggiundendo in alto ]

rt:tr.;lj; ga & I j|É fJ.r fdÚÉ fJ:rror f;úÉllr Sottr.Ilt J..rtl,

Nel foglio manoscritto al brano in arabo segue la traduzione, cosi comedoveva essere secondo le intenzioni dell'autore. Io la riporto testualmente,indicando in neretto ìe palli corrispondenti alla leggenda del lampadario:

" Delle cose che sono state faîte per delizia delkt maestìt reale augustaFerdinandea sublíme/ e illustre per la benignitìt, dígnítìt, fama, pefezione,durazione, beneficien1a, affabilità,/ clemenza, umanitìt, magnificenza, deco-

(r'y)Sotro la segnatura Qq E172, XXVI, f.544.r{r Il termine. Éll che il Morso intendeva usare nell lampadario lalerale. attribuendogli

il senso di, ".luraaione " .

Ér)Credo per parziale correzione di una prec"dente stesu.a con: J}|lll

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María Amalia De Luca

ro, potenza, roti, conseryazíone, tutela, benefcenza, vitîoria, salute e abbon-dania. Nella metropoli dí Sicilia I'ctnno".

Si chiarisce cosi I'origine, non proprio esotica, della fascinosa lampadamoresca destinata probabilmente (mi sia perdonata in questo serioso contestola bassa, ma non gratuita, insinuazione!) ad illuminare i non sempre lecitiamplessi di una attempata ma ancor vogliosa regina e ciò sicuramente adispetto, non tanto di un ormai indiff'erente consorte, quanto di quell'ignaroed ingenuo prelato che, con zelo e devozione, ne aveva composto la pompo-sa dedica.

E invero un uomo ingenuo, buono e semplice fu, stando alle fonti (42), S.Morso oltre che uno studioso serio al quale dobbiamo, se non esaltanti sco-perte e geniali interpretazioni del nostro passato arabo, certamente la salva-guardia di molte testimonianze altrimenti perdute, la valorizzazione di unpatrimonio artistico e storico fino al suo tempo trascurato e soprattutto l'av-vio di un dibattito culturale che, attraverso una lunga serie di nomi di arabi-sti, tocca il suo apice nella gigantesca figura di M. Amari.

L'Amari, a prima vista, non fu generoso con questo provinciale prelatoche, ai suoi occhi, annaspava miseramente nel campo minato dell'epigralìaaraba. Ne riassunse lapidariamente i limiti dicendo di lur "ingegno minoredel Gregorío, il Morso avea studíata piìr addentro la lingua. Su per giù ei

fece come il predecessore: imberciò le formole e sbagliò le sentenze insolíte1...)"(aì. Giudizio alquanto sbrigativo, la cui tagliente durezza si stemperaperò nel rileggere queste altre parole, spese a proposito del Gregorio, ma. amio modesto avviso, calzanti anche per il Morso: "lo ho detto soltanto perriconlare che il mondo cammína, e che s'è propiredito anco di moho in que-sîo viottolino che può chiamarsi I'epigrafa arabica" tq).

irrrCfr. V MoÍillaro, Elogío cit., pp.23-24.(rrrM. Amari, Le epigrafi arabiche di Sicilía,

Palemlo, 1971, p. 11.,t1) Ibid.

a rura dr F.Cabrieli. EJ. Naz. Op M.^..

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....t.,..l

FIGURA 3