· OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi,...

56

Transcript of  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi,...

Page 1:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 2:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 3:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 4:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

In 3 edifici di limpida bellezza architettonica, puoi trovare il tuo appartamento

Viabilit� pedonale e verde rendono particolarmente piacevole vivere � La Corte�

Una corte interna, una vera e propria piazza esclusiva per i residenti e protetta dal caos cittadino

Il piacere di abitare La Cortein via Acquario a Rimini

laC E N T R O R E S I D E N Z I A L E

OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO

www.gambarini-muti.com

Gecos Generale Costruzioni S.p.A.Centro Direzionale FlaminioVia Flaminia, 171 Rimini - tel. 0541.392300

0541.392121info

Page 5:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

MARZO-APRILE 2004

EDITORIALE

A R I M I N V M5

SOMMARIO

Hanno collaboratoFranca Brunelli, Adriano Cecchini, Michela Cesarini,

Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi,Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

Silvana Giugli, Aldo Magnani,Arturo Menghi Sartorio, Arnaldo Pedrazzi,

Valentino Pesaresi, Enzo Pirroni,Sandro Piscaglia, Luigi Prioli (foto),

Romano Ricciotti, Maria Antonietta Ricotti Sorrentino,Gaetano Rossi, Franco Ruinetti, Stefano Servadei,

Emiliana Stella, Emilia Maria Urbinati,Guido Zangheri

Direzione e SegreteriaVia Destra del Porto, 61/B - 47900 Rimini

Tel. e Fax 0541 52374 - E-mail: [email protected](Redazione: Park Hotel)

EditoreTipolitografia Garattoni

AmministratoreGiampiero Garattoni

RegistrazioneTribunale di Rimini n. 12 del 16/6/1994

CollaborazioneLa collaborazione ad Ariminum è a titolo gratuito

Bimestrale di storia, arte e cultura della provincia di RiminiFondato dal Rotary Club Rimini

Anno XI - N. 2 (59) Marzo-Aprile 2004DIRETTORE

Manlio MasiniDiffusione

Questo numero di Ariminumè stato stampato in 7.000 copie

e distribuito gratuitamente ai soci del Rotary,della Round Table, del Rotaract, dell’Inner Wheel,del Soroptimist, del Ladies Circle della Romagna

e di San Marino e ad un ampio ventaglio di categorie di professionisti

della provincia di RiminiPer il pubblico

Ariminum è reperibile gratuitamente presso il Museo Comunale di Rimini (Via Tonini)

e la Libreria Luisè (Corso d’Augusto, 76,Antico palazzo Ferrari, ora Carli, Rimini)

PubblicitàPromozione & Comunicazione

Tel. 0541.28234 - Fax 0541.28555Stampa

Tipolitografia Garattoni, Via A. Grandi, 25,Viserba di RiminiTel. 0541.732112 - Fax 0541.732259

FotocomposizioneMagiComp - Tel. 0541.678872 Villa Verucchio

E-mail: [email protected] copertina: Fabio Rispoli

QUEL MITO DI NOME ALBERTO“Faceva cose grandi con indifferenza e in tutte guardava al fine: Dio”. Così, nel

novembre del 1946, il vescovo di Rimini, mons. Luigi Santa, concretizzava l’azione e il pen-siero dell’ingegnere Alberto Marvelli, morto un mese prima, a 28 anni, in un tragico inci-dente stradale.

Nonostante la giovane età, Alberto aveva attraversato da protagonista i grandi even-ti del Novecento che avevano segnato la storia della nostra piccola città: il fascismo, la guer-ra, il 25 luglio, l’armistizio, l’occupazione tedesca, i bombardamenti, lo sfollamento, il bur-rascoso rientro della popolazione e il periodo iniziale della ricostruzione dominato da fortitensioni politiche e sociali. E sempre, in ogni occasione, si era buttato a capofitto al serviziodei bisognosi. Senza mai valutare le convenienze. Mosso unicamente da quel suo nobile sensodel dovere e di giustizia che lo induceva, addirittura, ad annullarsi per gli altri.

Alberto era un pendolare della carità e la sua vita fu una corsa; una frenetica corsain direzione dei poveri e dei sofferenti. Il suo attivismo, sorretto da una profonda fede cri-stiana, era l’espressione testimoniale di un’educazione ricevuta e pienamente assimilataall’Oratorio dei Salesiani di Piazza Tripoli. In questo ambiente, sua seconda casa, vi eraentrato da ragazzino e vi era rimasto in qualità di dirigente fino a quel maledetto 5 ottobredel 1946.

Per la mia generazione, che ha parcheggiato la propria adolescenza dai Salesiani eche ha assaporato l’amorevolezza del loro operoso apostolato tra i giovani, Alberto ha rap-presentato un mito, un modello da imitare, e per anni le sue gesta sono state patrimonio diuna comune riflessione sui più alti valori della vita.

Nel 1982, sollecitato dalle testimonianze di alcuni exallievi dell’Oratorio che aveva-no conosciuto e apprezzato in vita Marvelli, curai la prima mostra storico-iconografica delgiovane Ingegnere di Dio. Eravamo nell’anno Centenario della venuta di Don Bosco aRimini e i Salesiani vollero celebrarne la ricorrenza rievocando quel loro figlio prediletto.Quella rassegna girò, poi, per la città e nel 1996 fu donata alla Diocesi di Rimini; il lavorodi ricerca storica su Alberto, tratteggiato sul suo stile di vita “boschiano”, confluì, invece, inun libretto della collana Novecento Riminese edito da Guaraldi, con il titolo “AlbertoMarvelli: Una vita di corsa al servizio degli altri”.

Queste ultime righe, che mi riguardano da vicino, mi consentono di arrivare allachiusa: a partire da questo numero do inizio su Ariminum alla biografia di Alberto Marvelli,la stessa che compilai nel 1982 a corredo delle immagini della mostra. La ripropongo, natu-ralmente, per onorare questo nostro riminese illustre, oggi finalmente innalzato alla gloriadegli altari; ma anche per ricordare quei vecchi e cari amici dell’Oratorio Salesiano che ave-vano puntato tutto su di lui e che, purtroppo, non essendoci più, non possono gioire della suacertificata santità.

M. M.

IN COPERTINA“Gabbiani”

di Federico CompatangeloPRIMO PIANO

Alberto Marvelli6-9

PAGINE DI STORIAIl Dodecanneso

di Romeo Del Vecchio10-11

TRA CRONACA E STORIARiminesi nella bufera / Orazio Della Bella

Noterelle riminesi dell’Ottocento12-14

DENTRO LA STORIAIl lavatoio del Borgo Sant’Andrea

17MALATESTIANAPalazzo Poggiano

18-19ARTE

Novecento rimineseL’arte di Giancarlo Luciano Palma

Artisti riminesiMeditazioni di Ivo Gigli

Il Poletti per le chiese riminesi21-25

APPUNTIA ruota libera con Norberto Bobbio

26-31OSSERVATORIO“Le pietre di Rimini”

32-33LIBRI

“Anni di fuoco”“La Rimini che non c’è più”

“Non passava mai”34-36

ZIGZAGANDOPensieri di mare

39PERSONAGGI

Ulderico Marangoni40-41

POLVERE DI STELLEVoci e Volti / Ricami e Paillettes

42-43MUSICA

La Banda Musicale Minatori44/45

ROMAGNAIntervista a Stefano Servadei

46TEATRO DIALETTALE

La Belarioesa49

ROTARY NEWSDi tutto un po’

50/52

A R I M I N V M

Corte �

o

TEMPO

Page 6:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

946. Ultimi bagliori diun’estate senza sorrisi. La

guerra è finita da un anno, ilfronte è passato da due:Rimini è ancora una cittàvinta, occupata, moralmente efisicamente distrutta. La rior-ganizzazione della vita civilee sociale procede con moltalentezza.Gli sfollati sono tutti rientrati.Chi ha avuto la casa sinistratao distrutta dalle bombe si èsistemato nei pochi edificiliberi rimasti illesi e il piùdelle volte è costretto allacoabitazione.Si vive tra mille difficoltà edisagi. Incombe il problemaalimentare. L’inflazione hafatto aumentare vertiginosa-mente i prezzi dei generi diprima necessità e alcuni diquesti si trovano solo al mer-cato nero.Il traffico automobilistico èquasi interamente militare.Autocarri e grossi camionalleati scorrazzano liberi perle strade dissestate e spessoostruite ai lati da grossi cumu-li di macerie.Lanciate come frecce e incu-ranti di qualsiasi segnaletica,queste macchine infernali rap-presentano un pericolo conti-nuo. A spingerle a velocitàfolle, sono autisti polacchi,inglesi e prigionieri tedeschi;a vederli guidare si direbbeche si divertano a seminare ilpanico tra la gente; qualcunopoi, sotto l’effetto dell’alcool,trova persino gusto a spaven-tare i passanti con improvvisesterzate. Un “gioco” impieto-so, che non sempre riesce. Edallora qualche “poveraccio” cirimette la pelle e così la cro-naca degli incidenti si corredasettimanalmente di morti e

feriti.Il ripetersi di queste bravatespinge la gente a manifestarela propria indignazione trami-te la stampa. Il 18 settembre1946 il Giornale dell’Emiliadà voce alle giuste lamenteledi alcuni cittadini in seguitoall’ennesimo incidente strada-le tra un camion alleato, lan-ciato a tutta velocità, e unacarrozza: “Chiediamo a nomedi tutta la popolazione, quan-do il competente comandoalleato crederà opportunointervenire con la dovutaenergia per impedire il ripe-tersi troppo sovente di inci-denti stradali che quando nonportano il lutto nelle famiglie,già tanto provate dalla guerraarrecano pur sempre, comenel caso odierno, la distruzio-ne dei mezzi onesti di lavoro dipacifici cittadini”.Gli appelli non vengono ascol-tati e la soldataglia continuaad infierire sui passanti. Il 5ottobre un altro incidente. Arimanere esanime sul cigliodella strada litoranea, urtatoviolentemente da un camion, èun giovane ingegnere di 28anni, Alberto Marvelli. Per lui,trasferito d’urgenza alla casadi cura Villa Assunta, non cisarà nulla da fare: morirà dopoqualche ora senza riprendereconoscenza.Il fatto, questa volta, non passasotto silenzio. Marvelli era unesponente di spicco delle filecattoliche riminesi, il suoimpegno disinteressato peralleviare le sofferenze di tantapovera gente colpita dal dram-ma della guerra era noto atutti. Faceva parte dell’esecuti-vo della Democrazia cristianae sino alla primavera del ‘46 siera prodigato per riordinare la“sua” città assumendo gravosiincarichi amministrativi.Passata l’estate, dopo aver par-tecipato alla campagna elettora-

MARZO-APRILE 2004

PRIMO PIANO

A R I M I N V M

ALBERTO MARVELLI / UNA VITA DI CORSA AL SERVIZIO DEGLI ALTRI (1)

AL DI SOPRA DELLE FAZIONIManlio Masini

6

1

La vicenda terrena

del Beato Alberto Marvelli,

“eroico” Ingegnere di Dio.

Una testimonianza di impegno e di carità

verso i poveri e i sofferenti

Alberto Marvelli.In alto: La chiesa della Colonnella,

emblema della Rimini distruttadai bombardamenti.

Page 7:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

le per l’elezione dei deputatidell’Assemblea costituente, siera dedicato alle “amministrati-ve” e il suo nome era tra i can-didati dello scudo crociato per ilcomune.La politica, per il giovaneingegnere democristiano, eraun dovere di carità; anche isuoi avversari gli riconosceva-no eccezionali doti di giusti-zia. Le persone non credenti lostimavano, gradivano la suaconversazione e accettavano ilsuo sincero attivismo. I comu-nisti non erano nemici, maavversari. “Bisogna odiare ilmale” era solito dire, “non chilo fa” e aggiungeva: “quantopiù uno pecca tanto più dob-biamo amarlo”. Nel famigera-to “rione rosso” del GhettoTurco, solo ad AlbertoMarvelli era concesso parlareper la Democrazia cristiana.Qualche giorno prima delvoto, pare che un comunistaabbia detto in confidenza adun compagno: “Anche seperde il mio partito ... purchérisulti sindaco l’ingegnereMarvelli”.Quel sabato 5 ottobre Albertoaveva un impegno politico aSan Giuliano Mare e vi sistava dirigendo in bicicletta.Erano le 20 e 45. Uscito dicasa percorreva il viale ReginaElena; aveva appena sorpassa-to l’albergo Stella polare,distante poche decine di metridalla sua abitazione, quandoun autocarro alleato lo urtavaviolentemente. Nelle taschedell’abito che indossava aveval’immagine ricordo degli eser-cizi spirituali di Rho el’Ufficio della Madonna: tuttele sere, anche se stanchissimo,prima di andare a riposare erasolito recitare il Rosario. Quelmattino si era comunicato daiSalesiani, nella sua parroc-chia, a pochi passi dal puntodell’incidente.L’8 ottobre i funerali. Il corteoche accompagna la salmadalla chiesa di MariaAusiliatrice al cimitero, èinterminabile. In fila a piange-re il giovane c’è tutta Rimini:

siderazione dei colleghi dellaGiunta municipale e l’estima-zione dei cittadini”. Amato ed ammirato, ricevel’omaggio anche dai suoiavversari. Il comitato di cellu-la dei comunisti di Bellariva,la località nei pressi della casadi Alberto, stampa un comuni-cato: “I comunisti di Bellarivasi inchinano riverenti a saluta-re il figlio, il fratello che hasparso su questa terra tantobene”.A un mese e mezzo dallamorte i riminesi, ancora scon-volti dalla commozione, sento-no il dovere di commemorarlo.Alle 11 del 17 novembre l’ono-revole Raimondo Manzini,direttore de L’Avvenire d’Italia,parla di Alberto Marvelli, “eroi-co operaio di Cristo”, al foltopubblico accorso al teatroItalia. Quel giorno l’organo distampa della democrazia cri-stiana gli dedica l’intera terzapagina. In quel collage ditestimonianze gettate a caldo,direi quasi alla rinfusa, daparte di chi l’ha conosciuto davicino, c’è un primo frettolosotentativo di delinearne la per-sonalità. “Studioso, educato,buono - scrive Nicolò Natale,amico di vecchia data -. Seppeacquistarsi la simpatia di tuttii compagni di scuola, la stimaincondizionata dei professori,sempre fra i primi a soccorre-re i bisognosi, ad aiutare gliafflitti senza distinzione dicasta, di categoria e di pensie-ro politico. La città di Riminiha perduto uno dei migliorisuoi figli, il comune uno deisuoi migliori collaboratoridella rinascita cittadina. Levarie istituzioni di beneficenzadi Rimini hanno perduto, colMarvelli, il migliore uomo nelcui animo albergavano bontà,carità, sentimento di onestàprofonda e inconcussa. Sioccupava sommamente delbenessere altrui. Con la scom-parsa dell’ingegner Marvellil’umanità ha perduto un edu-catore di primo piano sia nelcampo politico che in quello

MARZO-APRILE 2004

PRIMO PIANO

A R I M I N V M7

Uno scorcio del Tempio Malatestiano dopo i bombardamenti del 1943/’44.

La chiesa di Maria Ausiliatrice.

Sotto: I funerali di Alberto Marvelli.

dal primo cittadino, il vecchiosindaco socialista ArturoClari, all’ultimo povero. Ilmanifesto funebre del munici-pio accenna ad alcune caratte-ristiche operative del “giovanee distinto professionista”:“Egli portò nella vita pubblical’integrità della sua vita priva-ta, la sua profonda fede cri-stiana e democratica, la sua

capacità tecnica e l’operosasua probità con alto sentimen-to del dovere e personale pre-stigio. Animo generoso ebuono, collaborò con la civicaAmministrazione nella fasedifficile della riorganizzazionein settore di particolare impor-tanza, dimostrando spiccatedoti di serenità e di equilibrio,che gli valsero la fraterna con-

Page 8:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

spirituale. Degno figlio di unesemplare famiglia, più volteprovata dal dolore, che tuttoha dato senza nulla chiedere”.“Lo strazio che lasci neglianimi è intenso quanto il beneche prodigasti nelle tue irri-

MARZO-APRILE 2004

PRIMO PIANO

A R I M I N V M 8

casa Marvelli no. Lì non bussainvano. Qualcuno c’è sempreche viene ad aprire il portoneprincipale, massiccio impo-nente. Non è la servitù cheviene lenta, sono gli stessidella famiglia, anzi è lo stessoAlberto sorridente, semplice,con il viso leale alzato, chepar che dica: amico parla! Tiascolto! E gli amici veri, ipoveri i diseredati, si fannocoraggio, prendono ardire

21 giugno 1943. Alberto (indicato dalla freccia)

dai Salesiani con i “suoi” Aspiranti.

21 giugno 1943. Alberto (al centro della foto con il segno del lutto al braccioper la morte in Russia del fratello Lello), in licenza a Rimini, al Convegno diocesano degli Aspiranti.A destra: Maggio 1946.Alberto a Gemmano per un comizio insieme con Fernanda Canaletti.

“L’8 ottobre i funerali. Il corteo che accompagna la salma dalla chiesa

di Maria Ausiliatrice al cimitero, è interminabile. In fila a piangere il giovane c’è tutta Rimini:

dal primo cittadino, il vecchio sindaco socialistaArturo Clari, all’ultimo povero”

posate ore”. Così Gino Neri,un altro compagno fraterno nesintetizza il “ricordo”. “Unlume acceso anche nella nottenella casa di Alberto - riferi-sce un vicino di casa - unafinestra a ponente ha le per-siane eternamente aperte. C’èuna luce accesa, la luce diuna lampada forte, la luce del

lavoro, Alberto ha il tavolocapace appoggiato al muro,ingombro di materiale vario,estraneo al suo lavoro di inge-gnere. Buste, istanze, foglietti,lettere: è il lavoro dato concuore aperto alla gran massa,cioè alla gente minuta, poveradiseredata, ignorante, analfa-beta, da molti forse derisa: da

Page 9:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

dalla sua presenza ... chiedo-no, pregano: così al mattino,così alle 14, così alla sera ... ela preghiera è sempre ascolta-ta, e mirabilmente e cristiana-mente esaudita dal portentosoAlberto. Capiva le pene deipoveri tutti, le cose tremende,le povere cose, e diceva lebuone parole, più alte, piùbelle di tutti ...”.Un invalido testimonia l’aiutoricevuto: “Sono andato da luidisperato, perché sono invali-do di guerra e mi hanno sco-perchiato la casa e non honulla per la mia famiglia! Miha detto: non sono qui peraiutarvi? Perché vi disperate?Dapprima mi ha fatto coprireprovvisoriamente la casa coltetto di una sua capanna, poime l’ha fatta coprire gratis,perché invalido! E mi ha fattoavere anche questabicicletta!”. In casa sua, rac-

MARZO-APRILE 2004

PRIMO PIANO

A R I M I N V M9

ALBERTO MARVELLICENNI BIOGRAFICI

1918Il 21 marzo, a Ferrara, nasce Alberto Marvelli. I genitori, lamamma Maria Mayr, figlia di Gertrude marchesa diGranello di Casaleto, e il padre Luigi Alfredo Marvelli, fun-zionario di banca, hanno già un altro figlio nato a Rovigonel 1916: Adolfo. Il 6 aprile Alberto è battezzato a S.Maria in Vado.1919A Rovigo, dove la famiglia Marvelli risiede, il 2 settembreviene alla luce Carlo, terzogenito di casa.1922Il 27 giugno nasce Raffaello Marvelli: i familiari lo chiama-no Lello.1924A Ferrara, il 9 giugno, Alberto riceve la Cresima; in autun-no si iscrive alla prima elementare.1925In settembre i Marvelli da Rovigo si trasferiscono aMantova. In questa città Alberto frequenta la seconda e laterza elementare.1926A Mantova nasce il quinto figlio dei Marvelli: Giorgio.1927A Mantova Alberto riceve la Prima comunione. PapàMarvelli viene trasferito a Macerata; la famiglia si stabilisce

a Rimini nella villa di sua proprietà costruita sul vialeRegina Elena nei pressi del Comasco (Bellariva) dall’inge-gnere Giorgio Mayr, fratello di mamma Maria. In ottobreAlberto si iscrive alla quarta elementare.1928A Rimini, il 30 luglio 1928, davanti al cancello di casaMarvelli, il piccolo Giorgio viene investito a morte daun’automobile. Nello stesso anno della tragedia, il 5 dicem-bre, mamma Maria dà alla luce un altro figlio al qualeviene nuovamente imposto il nome di Giorgio. Con l’iniziodell’anno scolastico la famiglia si trasferisce ad Ancona edè qui che Alberto sostiene la quinta elementare.1929Alberto entra in prima media e frequenta un corso di pia-noforte presso l’Istituto Musicale G. B. Pergolesi di Ancona.1930A partire dall’estate i Marvelli si stabiliscono definitivamen-te a Rimini nella loro villa sulla litoranea.1931Alberto è Aspirante dell’Associazione cattolica del CircoloDon Bosco; il padre, da sempre militante nei movimenti cat-tolici, è presidente della Conferenza di San Vincenzo dellaparrocchia.1932Il 2 agosto nasce Gertrude, la prima femminuccia di casaMarvelli; in famiglia è chiamata Gede. (continua)

conta un anonimo, c’era que-st’ordine: “I poveri fateli pas-sare subito: gli altri possonoanche attendere!”. Il vescovodi Rimini tratteggia la sempli-cità del giovane: “Faceva cosegrandi con indifferenza e intutte guardava al fine: Dio”.Tra i tanti, che sulle colonnede L’Avvenire d’Italia ricorda-no l’ingegnere, ci sono la pro-fessoressa Maria Massani, chelo ebbe studente al liceo classi-co “Giulio Cesare”, il presi-dente dell’Azione cattolicaLuigi Gedda, mons. GiovanniBattista Montini, l’onorevoleAchille Mazza, l’avvocatoMario Bonini. Una “terzapagina” di piccole memorie, didettagli della quotidianità, dinotizie, incontri, impressioni,ma nell’insieme una coraleattestazione della grandenobiltà d’animo e della perso-nalità profondamente umana ecristiana di Alberto Marvelli.

(continua)Alberto

studente di ingegneria.

Page 10:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

arà per l’amore che ho perla Grecia; quando ho

visto per la prima volta ditante altre il film Mediterraneomi sono commosso perché misono profondamente immedesi-mato nelle vicende di quel drap-pello di soldati italiani lasciati apresidiare Castellorizo, pocopiù di uno scoglio fuori da ognirotta di comunicazione, dove laguerra rappresentava un fattolontano, presente solo nellanecessità di vigilare, come in undeserto di tartari acquatici, unnemico che non sarebbe proba-bilmente arrivato mai. E cono-scendo abbastanza bene l’ani-mo greco e la malìa di queiposti, la dolcezza del clima, losplendore del mare, l’incantodi una civiltà semplice epastorale (come ancora è datotrovare nei luoghi meno inqui-nati dal turismo) ho amato edamo profondamente quel film,struggente e poetico. Sarà perquesto che sentir raccontareuna storia pressoché identicada chi l’ha vissuta davvero, miha fatto rivivere quelle sensa-zioni con particolare emozio-ne anche perché Romeo DelVecchio, all’epoca giovanegraduato del 50° ReggimentoArtiglieria della DivisioneRegina, dopo un breve scam-bio di battute si mette a parlargreco, avendo saputo che loparlo anche io:“Milate ellenikà? Etsi k’etsi,kalucika Boroume na milamemasi! Ine callitera na milameItalikà issos! Canenas tha mascatalave!” (la trascrizione èfonetica e la traduzione è più omeno questa: “Parlate greco?Così così, non c’è male.Possiamo parlare insieme.Forse è meglio se parliamoitaliano. Nessuno ci capireb-be!”).Romeo vive da sempre a SanVito. Dice di non aver cultura

ma parla tre lingue ed il suoeloquio è coinvolgente e sere-no anche quando di fronte airicordi più atroci cortesementesi schernisce e passa ad altro.Lo capisco e non lo forzo;tanto, il suo racconto è tal-mente diverso dagli altri chebasterebbero alcuni episodi ariempire lo spazio a disposi-zione. Così dovrò sceglierne, amalincuore, solo alcuni. E nonsto raccontando un film.Lasciamolo parlare quindi.“Mi arruolarono nel 1939.Avevo 19 anni e all’epoca eroalto (come ancora è) e biondo(non più). Se tacevo, potevanoscambiarmi per un tedesco equesto forse mi salvò quandoci silurarono. Ma andiamo perordine. La mia prima destina-zione fu Barletta. Il mio repar-to –io ero caporal maggiore,capo pezzo d’artiglieria, 50°reggimento, Divisione Regina,fu dislocato lì in attesa del-l’imbarco per Rodi, dovegiungemmo nel febbraio del1940, quattro mesi prima chescoppiasse la guerra. Rodi erala maggiore delle nostre isoledel Dodecanneso ed erasplendida. La popolazioneaveva un bellissimo rapportocon noi italiani e dicevanosempre “Mia fatza, mia ratza”(una faccia, una razza: lo dico-no ovunque in Grecia, ancoroggi!). C’era un bellissimoviale lungomare ed il gover-natore italiano (Cesare MariaDe Vecchi) aveva rivitalizzatola capitale e l’isola, che ildominio turco aveva lasciatonella più completa desolazio-

ne. Ma potetti godermela pocoperché dopo quei primi quat-tro mesi nei quali mi arrangiaiper imparare la lingua, desti-narono un piccolo reparto dibatteria costiera nella vicinaisola di Cassos, un’isola pic-colissima e fuori dalle rottemarittime (chi ricorda l’arrivodei nostri soldati a Castellorizo,nel film di Salvatores, avrà l’e-satto quadro dello sbarco di cuiparla il mio interlocutore!).Arrivammo la mattina moltopresto e scaricammo rapida-mente cannoni ed equipaggia-mento. Creta è vicinissima e aquell’epoca i tedeschi non l’a-vevano ancora occupata; cosìtemevamo incursioni inglesi.Tutte le case erano chiuse.Nessuno in giro. Ci dirigemmorapidamente sulle alture perprendere posizione ed a quelpunto comparve la prima trac-cia di vita: una pecora, duepecore, venti pecore. Avevamouna fame… da lupi e prestoalcune di quelle sventuratefinirono alla brace, cotte comeai tempi di Omero (e, cioè, oquasi crude o bruciate). Mipresi subito una punizione epresto gli ufficiali ci vietaronotale tipo di “caccia”, per nonirritare i pastori che si eranonel frattempo fatti vivi. Lepecore furono pagate e l’inci-dente fu risolto, anche se ledenunce ai due carabinieriche erano con noi furonodiverse. Ma, vuoi con la scusache le pecore strappavano icavi telefonici (che venivanonormalmente tesi a terra) vuoiche le sentinelle del turno dinotte fingevano di scambiarleper agenti inglesi sparando aquelle ombre fuggenti, qual-che pecora arrosto ci scappa-va sempre e la mensa ufficialiebbe spesso qualche graditocosciotto. Dopo qualche gior-no di permanenza, visto che

non eravamo poi così cattivi,le case cominciarono adaprirsi ed io ed un amicofacemmo conoscenza diun’anziana signora che avevadue figlie. Inizialmente aveva-no una grande paura (ricordoche uscirono dalla stanza dovele aveva nascoste la madre,strisciando le spalle contro ilmuro) ma poi finirono nonsolo per volerci sempre (e solonoi) a casa loro, ma per direche, dopo aver conosciuto noiitaliani, non avrebbero maipiù sposato un greco! Non cifacevano mancare mai uova,latte e ricotta ed una volta ciinvitarono anche ad una lorofesta, tanto che mi insegnaro-no a ballare la ‘susta’, un loroballo tradizionale. Quandoero di guardia, dalla nostrapostazione sulle alture con-trollavo sempre col binocoloquella casa ed i miei amici miprendevano in giro: dicevanoche controllavo la miaMaritza, che avevano sopran-nominato ‘l’amorosa de pen’(pen sta per pane,ovviamente!), per tutti i viveriche ci dava. Insomma, se havisto quel film che dice, era pro-prio così. Dopo qualche tempoci mandarono a presidiare l’iso-la vicina, Scarpantos, dove siriprodusse lo stesso clima ami-chevole con la popolazione e

MARZO-APRILE 2004

PAGINE DI STORIA

A R I M I N V M

PER NON DIMENTICARE / IL DODECANNESO

“...E I TEDESCHI INIZIARONO A MITRAGLIARCI”ROMEO DEL VECCHIO: COME NEL FILM “MEDITERRANEO” DI SALVATORES

Gaetano Rossi

10

S

Romeo del Vecchio (a destra).

“Fu una carneficina

orrenda.

Sparavano persino

su chi era riuscito

a gettarsi in mare...”

Page 11:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

dove passammo tutto il 1943,fino al settembre.Fino ad allora, di Inglesineanche l’ombra. Sicché iprimi “nemici” ad arrivare,furono i nostri ‘ex’ alleatitedeschi!In un primo tempo giravamoarmati anche noi, poi ci disse-ro che dovevamo consegnarele armi per evitare spargimen-to di sangue. Così facemmo ein tutta tranquillità ci trasferi-rono a Creta nel frattempooccupata dai paracadutisti(Creta fu occupata nel maggio1941 da truppe aviotrasportategermaniche –XI Corpo Aereo-in una delle più imponentioperazioni di quel tipo, dellaII GM). Lì un capitanoaustriaco, un gran brav’uomo,ingegnere incaricato di siste-mare alcune fortificazioniscelse una squadra di sei dinoi (nella vita civile facevo ilmuratore) e così per alcunimesi finimmo al suo seguito.Non ci faceva mancare nulla eci portava persino ai ricevi-menti, anche perché avevamoil compito di riportarlo a casaperché finiva regolarmenteper ubriacarsi. Quando fu tra-sferito, ci salutò e ci disse.’Voi andrete a casa. Io chis-sà!’. Nessuno pensa maiquanto la guerra fosse bruttaanche per tanti tedeschi equante vicende umane similialle nostre potrebbero esserraccontate anche da loro! Ione ho conosciuti molti e credoche bisognerebbe saper distin-guere; anche fra loro c’erabrava gente, come quel nostrocapitano. Sta di fatto che ciimbarcarono dal porto diSuda per Atene. Potevamodecidere se partire con l’una ol’altra nave; i tedeschi non cicostringevano. La nave cheavrei voluto prendere se nonmi fossi ammalato - per alcunigiorni ebbi la febbre alta- fusilurata dagli inglesi e non cifurono superstiti. Presi unanave successiva ma a quelpunto il clima era cambiato. Itedeschi ci costrinsero a salirein numero spropositato. Ci

spinsero nella stiva del cargodove, per quanti eravamo,potevamo solo star seduti sullozaino, gomito a gomito senzapiù poterci muovere, neppureper… capisce? Il tanfo era ter-ribile; eravamo 3.500, stipaticome sardine. Ad un certopunto, non potendone più,afferrai una fune che penzola-va dal ponte e mi arrampicaisino in coperta. Una sentinellami prese di mira e mi sparòcolpendomi ad un gomito; main quello stesso istante dueboati squassarono la nave.Eravamo stati silurati e la naveera perduta. Tutti i prigionieritentarono allora di uscire dalle

stive ed i tedeschi iniziarono amitragliare questa massa didisperati temendo forse diesser sopraffatti. Fu una car-neficina orrenda. Sparavanopersino su chi era riuscito agettarsi in mare. Su questi tira-vano anche bombe a mano:una colonna d’acqua ed ilmare che si arrossava era tuttoquanto restava di qualchepovero sfortunato. Nella calcatremenda riuscii ad evitare diesser ancora colpito ed attesiimmobile, intuendo che lanave, che beccheggiava per ilmare agitato ma che non era

ancora sbandata, avrebbe tar-dato un po’ ad affondare. Nelfrattempo la nave fu abbando-nata dai tedeschi, raccolti dauna nave gemella, e fu lasciataandare alla deriva. Quando fuisicuro di non esser più visto migettai in mare e quando tornaiin superficie trovai vicino a meun trave di legno. Aggrappatoa quel trave non so dirle quan-to tempo passò, ma tanto; fin-ché vidi ad una certa distanzauna sagoma galleggiante: erauna zattera piena di naufraghiitaliani. Non c’era neppure uncentimetro libero e non mi fece-ro salire; allora mi misi acavalcioni del trave e milasciai trasportare dal mare,senza poter fare altro. Versosera vidi una barca in lonta-nanza: erano pescatori. Gridaia più non posso e finalmente mividero. Mi raccolsero e mimisero sdraiato sul fondo delbattello: ero stremato e trema-vo dal freddo ma la testa fun-zionava ancora e potevo capireche ero in salvo. Era l’8 feb-braio del 1944. Mi riportaronoa Suda e fui ricoverato in ospe-dale per la ferita al braccio. Lìconobbi un tal Manduchi, diRimini, con una gamba frattu-rata e che non sapeva spiegar-si di come s’era salvato. Permangiare, ci davano unapagnotta di pane nero ogni seiprigionieri oltre ad una broda-glia calda. La fame era tanta ecosì alcuni di noi tendevano lemani da sotto una certa cancel-lata di ferro che però non con-sentiva di guardare fuori per-ché era di lamiera. A quelpunto era questione di fortuna:se passava un greco ci appog-giava qualche cosa da mangia-re, se passava un tedesco cidava un pestone. Dopo qualchetempo ci reimbarcarono, maquesta volta in gruppi di 24 esu idrovolanti. Sbarcati adAtene, ci misero su alcunicamion con direzione Albaniae poi Croazia: il viaggio erapericoloso per i frequentiattacchi dei partigiani. Ci fer-mammo ad Antunovach, un

MARZO-APRILE 2004

PAGINE DI STORIA

A R I M I N V M11

La cartina del Dodecanneso.Cassos è la piccola isola inbasso e lì vicino c’èScarpantos. In queste due isoleprestò servizio Del Vecchio.

Il “frasario” italo-greco (a cura del Ministero della

Guerra, Ufficio Propaganda) che veniva consegnato

agli ufficiali.

Romeo del Vecchio (il primo da destra) con due commilitoni.

Segue a pag. 25

Page 12:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

felia Della Bella è unadolce ragazza del 1930.

Tutti, in città, la conoscono ele vogliono bene. Ho parlato alungo con lei della storia sua edella sua famiglia. Il babbo,prima di tutto, la cui memorial’Ofelia venera (giustamente,come si vedrà più avanti)come quella di un eroe.Orazio Della Bella (classe1894) era un artigiano con“salone” di barbiere in viaDante. Il lavoro andava bene,e gli consentiva di manteneredignitosamente la sua fami-glia. La moglie, VirginiaLombardini, come dicevano iRomani, domi mansit, lanamfecit, insomma era casalinga,condizione che godeva, inquell’epoca, tanto diversadalla nostra, opulenta e gau-dente, di grande considerazio-ne. I tre figli erano nati: nel1922, Ovidio; nel 1925,Omero; e nel 1930, l’Ofelia.Orazio era quel che si dice unpatriota. Pur menomato (avevaperduto un occhio in serviziodi leva, in Marina) chiese dipartire volontario per la guerrad’Africa. Ma, ovviamente, lasua domanda non venne accol-ta. Scoppiò la seconda Guerramondiale e lui, entusiastacome lo furono milioni di ita-liani, non potendo parteciparviper via dell’invalidità, siiscrisse al Partito nazionalefascista.Ma la guerra segnò ugualmen-te la sua vita. In uno dei primibombardamenti angloameri-cani fu distrutto l’edificiodove si trovava il “salone”. Lafamiglia Della Bella, dopo iprimi bombardamenti sullacittà indifesa, si stabilì aSant’Ermete, con tanti altrisfollati.Intanto il figlio più grandeaveva partecipato al raduno aPadova dei venticinquemilaGiovani fascisti con il quale i

ragazzi avevano forzato lamano al Governo, che, riman-dati a casa i più acerbi fra iminorenni, arruolò gli altri, frai quali Ovidio. Con il suoreparto combatté in Africa epartecipò alla gloriosa batta-glia di Bir el Gobi (come si ènarrato nel n. 1 del 2003 diquesta Rivista). Poi fu prigio-niero in Gran Bretagna.Omero, che aveva quindicianni, fuggì di casa per arruo-larsi a sua volta, ma fu (inglo-riosamente, per lui) ricondottoin famiglia dalla polizia, cheraccomandò alla madre di nonrimproverarlo.Orazio, ormai cinquantenne,non riusciva a rimanere inertedi fronte alla tragedia dell’8Settembre e alla rovina dellaNazione. Un giorno prese ladecisione. Si recò alla coloniasulla sponda del Marecchiadove aveva sede il repartoautonomo della Brigata Nera“Capanni” di Forlì, comanda-to da Paolo Tacchi, dicendo incasa che intendeva chiedereuna licenza per riaprire il“salone” di barbiere. Il prete-sto era trasparente, ma lamoglie non fece obiezioni. E,invece di chiedere la licenza,Orazio si iscrisse al Partitofascista repubblicano e siarruolò (anche senza unocchio) nella Brigata Nera.Lo sospinsero un sentimento:l’amor di Patria che avevariscaldato il suo cuore fin dallagiovinezza; e un ideale: loslancio sociale dellaRepubblica.Ma le preoccupazioni della

signora Virginia non eranofinite. Omero, ormai diciotten-ne, era partito a sua volta perVerona, ove si era arruolatonell’VIII BattaglioneBersaglieri “BenitoMussolini”. Il suo reparto fuimpiegato per la difesa delconfine orientale, in VeneziaGiulia, e quando, dopo aspricombattimenti, dovette arren-dersi, il ragazzo finì nel campodi concentramento iugoslavodi Borovnica, chel’Arcivescovo di Trieste mons.Santin definì “l’inferno deimorti viventi”. Scampò permiracolo alla fucilazione ditutti i feriti (anche lui avevauna ferita a una mano). Lafame e i maltrattamenti lo con-dussero a un passo dalla morteper sfinimento, dalla qualefurono decimati i prigionieri.Un medico tedesco, suo com-pagno di prigionia, lo salvòcurandolo con erbe raccoltesul posto. Sarebbe rientrato acasa il Natale del 1947, dopodue anni di quell’inferno.Morirà per un tumore nel1974.Quando, nel settembre 1944, ilfronte di guerra oltrepassò lalinea del Foglia, la BrigataNera di Rimini partì per ilNord. Con Orazio c’erano lamoglie, inferma, dimessa dal-l’ospedale per poter fare ilviaggio, e l’Ofelia.Il reparto si stabilì ad AppianoGentile, in provincia di Como,dove la mamma si sistemò inuna stanza a pigione. Orazio el’Ofelia presero alloggio inuna scuola requisita, che fun-geva da caserma della Brigata.Dormivano in camerate, rica-vate dalle aule scolastiche;l’Ofelia con le altre donne delreparto, addette all’ammini-strazione, alla cucina e ad altriservizi. Tredicenne, provvede-va alla spesa, recandosi inpaese, dove i militi erano ben-

voluti e lei accolta con simpa-tia.Talvolta l’intera Brigata, cheaveva mansioni di polizia e diordine pubblico e non presemai parte a rastrellamenti, sirecava a presidiare luoghidove i partigiani avevano com-piuto operazioni di guerriglia.L’Ofelia la seguiva, con lealtre donne, anche nei presìdi,per provvedere alle necessitàlogistiche. La mamma, ancoraammalata, restava a casa.Alla fine del febbraio 1945, laBrigata Capanni ebbe l’ordinedi trasferirsi a ConeglianoVeneto, dove rimase fino allafine di aprile 1945, ossia finoalla disfatta.Qualche giorno prima di quel-l’evento, Orazio uscì “di pat-tuglia” con altri camerati.Furono circondati da partigia-ni, catturati e condotti allafamigerata Caserma Gotti diVittorio Veneto, tristementecelebre per le torture inflitte ai

MARZO-APRILE 2004

TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M

RIMINESI NELLA BUFERA / ORAZIO DELLA BELLA

“MORÌ GRIDANDO LA SUA FEDE”Romano Ricciotti

12

O “La figlia

non ha mai trovato

il luogo nel quale

fu sepolto

il corpo

del padre”

Orazio Della Bellae, sotto, il figlio

Omero.

Page 13:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

detenuti e per le numerosissi-me uccisioni.Nell’incarto di un procedi-mento penale del Tribunale diTreviso, avviato nel maggio1956 contro alcuni partigianisenza scrupoli cui furono con-testati omicidi e rapine aidanno dei fascisti “regolar-mente arresisi alle forze dellaresistenza”, si legge che il giu-dice istruttore attribuì agliimputati fatti di “arbitrariauccisione”, un “eccidio chenon trova giustificazione alcu-na in nessuna necessità diordine militare”, con brutalimodalità di esecuzione “alloscopo di impossessarsi degliaveri dei disgraziati prigionie-ri”.In questo mattatoio fu gettatoOrazio. Il 5 maggio, come furiferito all’Ofelia da alcunitestimoni (in un primo temporeticenti, poi più disponibili),fu prelevato con altri commili-toni. A bordo di due autocarrifurono condotti in un luogodove furono costretti a scavar-si le fosse. Alcuni dei prigio-nieri (evidentemente per ritar-dare l’ora della morte) chiese-ro e ottennero di essere uccisinel corso di una impiccagione,

MARZO-APRILE 2004

TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M13

prevista di lì a qualche giorno,e furono portati via.Uno di questi raccontòall’Ofelia di essersi gettatodall’autocarro in corsa.Ripreso, era stato portato nellapiazza di un paese per essereimpiccato con gli altri. Unsacerdote aveva fermato ilmassacro con parole che ave-vano commosso la folla pre-sente, tanto che i partigianiavevano riportato i fascisti nelluogo di detenzione, dovedonne del paese li percuoteva-no ogni sera con i calci deimitra.L’uomo che si era gettato dal-l’autocarro aveva avuto mododi assistere all’assassinio diOrazio e, in una lettera a DonAngelo Scarpellini (cappella-no della Repubblica sociale),riferì che Orazio era morto“gridando in faccia agli aguz-zini la sua fede”. Un altrotestimonio ricorda che, colpitodalla raffica di mitra, Oraziocadde nella fossa e, a coloroche lo seppellivano, gridò:“Vigliacchi, mi lasciate qui névivo né morto”. Testimonianze incerte nei par-ticolari, ma coerenti con quan-to è emerso nelle cronachesuccessive e nel procedimentopenale di Treviso.L’Ofelia non ha mai trovato illuogo nel quale fu sepolto, e inqual modo, il corpo di suopadre.

Ovidio Della Bella al centro tra due Giovani Fascisti.

Sopra: La famiglia Della Bella. Da sx: Ofelia, mammaVirginia, papà Orazio,

la nonna e Omero.

“Orazio,

ormai cinquantenne,

non riusciva

a rimanere inerte

di fronte

alla tragedia

dell’8 Settembre

e alla rovina

della Nazione.

Un giorno

prese la decisione.

Si recò alla colonia...

...sulla sponda

del Marecchia

dove aveva sede

il reparto autonomo

della Brigata Nera

‘Capanni’

di Forlì,

si iscrisse al Partito

fascista repubblicano

e si arruolò

(anche senza un occhio)

nella Brigata Nera”

Page 14:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

imini, primavera 1834. Sultavolo del Capitano

Giacomo Tacchi, speziale conbottega in Strada Maestra (Corsod’Augusto), Sottoispettore delneo costituito Corpo dei VolontariPontifici e comandante dellacompagnia del forese, si accumu-lano rapporti provenienti dalla“Villa del Riccione”, estremapropaggine orientale del comune.In quel borgo la situazionedell’ordine pubblico, comedel resto quella di tutto ilComune, non è delle migliorie soprattutto desta preoccupa-zione la lentezza con la qualeprocede l’arruolamento deicittadini nel Corpo deiVolontari, chiamati spregiati-vamente dal popolinoCenturioni, che potrebbe rap-presentare il termometro dellivello di disaffezione dei ric-cionesi nei confronti delgoverno papale.In particolare le denunceriguardano il comportamentodi Nicola Mazzocchi, delegatopolitico e deputato di sanità, ilquale dissuaderebbe la gio-ventù riccionese dall’arruolar-si nel suddetto corpo, il cuiscopo principale è la difesadel trono e dell’altare. Nonsolo, benché il Mazzocchi siaun pubblico funzionario “apreferenza del nostro benamato Governo ha sempreesaltato il Governo Francese,aggiungendo altresì che neldisimpegno di sue funzioni

non è tanto vigile osservatoredei precetti festivi, in quantoalle Bettole ed Osterie tolle-rando che il Cantiniere delSig. Alberto Mattioli esistentein questa terra rimanga in oreindebite aperto”. Questo iltenore di una denuncia pre-sentata dal Cappellano diRiccione Don GaudenzioBartolini. Anche DonMarcello Bianchini pone l’ac-cento sull’evidente predilezio-ne del Mazzocchi per le oste-rie, specialmente quella delConte Mattioli di Rimini, cosìcome fa anche il Parroco di S.Martino Don Carlo Tonini.Secondo Giuseppe Manzi eAntonio Migani il nostrodeputato di sanità tollera chedi domenica nell’osteria delConte Mattioli si giochi allecarte e alla morra, il che spes-so degenera in risse “solo permerito dei Volontari Pontificifinora sedate senza puntoalterare la pubblica pace etranquillità”.Il clero soffiava sul fuoco eGiacomo Tacchi temeva che si

ingenerasse un conflitto fral’autorità civile e quella reli-giosa, particolarmente potenteessendo quello pontificio unostato confessionale, e per ren-dersi conto di persona delreale stato di cose la domenicain albis, approfittando deltepore del sole di aprile, salitosul calesse si avviò versoRiccione.In quella prima domenicadopo Pasqua cadeva la festadel Beato Alessio, molto senti-ta dai riccionesi e dagli abitan-ti delle campagne circostanti,cosicché quando il nostroCapitano arrivò trovò il paesepieno di gente festante che siaggirava fra bancarelle, gioco-lieri e tutta la fauna che parte-cipa a sagre del genere.Uscito dal pubblico stallaticodove aveva appena ricoveratoil cavallo, si accorse che lungola via principale si avanzavaun drappello misto diCarabinieri e Volontari, alcomando del SergenteMonticelli. I militi entravanonelle osterie e con modi bru-schi facevano uscire gli avven-tori e chiudere le imposte, inconformità agli ordini imparti-ti dal Parroco che aveva richie-sto la chiusura dei luoghi dipubblico intrattenimentoalmeno durante la celebrazio-ne dei divini uffici.

La folla prese male l’interven-to della Forza e cominciò arumoreggiare tanto che “avve-dutosi il Parroco dell’equivo-co le fece riaprire tutte e lachiusura si puol calcolare asoli quattro minuti”. Così ilTacchi nel suo rapporto.Il Mazzocchi inoltrò a suavolta un rapporto-esposto alGovernatore Distrettualeaddossando, tanto per cambia-re, la responsabilità dell’acca-duto al Sergente dei VolontariPonticelli, che subì una durareprimenda nonostante sidifendesse dicendo di averobbedito agli ordini.Ma come tutti i Corpi quandosono attaccati, anche quellodei Volontari Pontifici fecequadrato attorno al suo uomoed iniziò un’indagine che siconcluse malamente per ilMazzocchi.Dall’esame di vari testimonirisultò infatti vera l’avversionedel Deputato di Sanità verso ilcorpo dei Volontari Pontifici,che dipendeva dal non esservistato ascritto “e dove non eralui le cose non avrebbero ter-minato bene”, come deposeroi testi Luigi Ceschi e FeliceAngelini detto Palazzi, suffra-gati dal Cappellano DonGaudenzio Bartolini.Risultò vera anche la neghitto-sità del Mazzocchi nello svol-gimento dei suoi compiti d’uf-ficio. Lo stesso avrebbe dettoal Ceschi “al Papa bacio il c…perché mi fa la spesa, nelrimanente poi non lo servirei”.E questo per lui chiuse la que-stione.

MARZO-APRILE 2004

TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M

NOTERELLE RIMINESI DELL’OTTOCENTO

UN FUNZIONARIO INFEDELEArturo Menghi Sartorio

14

R

Riccione. Via Flaminia verso Rimini(attuale via Fratelli Cervi).

“I militi

entravano nelle osterie

e con modi bruschi

facevano uscire

gli avventori

e chiudere le imposte,

in conformità

agli ordini impartiti...

...dal Parroco

che aveva richiesto

la chiusura

dei luoghi di pubblico

intrattenimento

almeno durante

la celebrazione

dei divini uffici”

“In quella

prima domenica

dopo Pasqua

cadeva la festa

del Beato Alessio,

molto sentita

dai riccionesi...”

Page 15:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 16:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

★★★★

Page 17:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

entre la Città si spostasempre più velocemente

nell’ anonimato della perife-ria, i Borghi sono rimasti intutti questi anni caparbiamen-te attaccati alle mura del cen-tro abitato conservando iricordi e le caratteristichedella loro comunità. Dopo unlungo periodo che durava daldopo guerra, i borghi si sonosvegliati e prima che gli anni,le abitudini e i nuovi stili divita cancellassero ogni ricor-do, hanno riscoperto le antichememorie e stanno trasferendosulla città tutto quello che dicultura e di tradizione avevanoaccumulato e custodito; unsegno tangibile di ciò sono leFeste annuali con le quali queide Borg bene rinverdiscono illoro nome e la loro identità.Nell’ambito del programma diriqualificazione dei luoghi delcentro storico, la GiuntaComunale ha approvato il pro-getto per riconsegnare alborgo S. Andrea il suo anticolavatoio pubblico, un “segno”urbano ancora presente nellamemoria della gente anchegrazie al permanere topono-mastico della via Lavatoio, lastrada che partendo da piazzaMazzini prosegue col nome divia di Mezzo.Il problema dei lavatoi (1) èstato sempre molto presentenella nostra città. Sorvolandosull’epoca romana, quandoesisteva un ricco impiantoidrico con una rete di acquesotterranee che serviva tutti iquartieri cittadini alimentan-do molte fontane ed anche pic-coli impianti termali privati,dal medioevo fino all’800 l’u-nica fonte pubblica di acquapotabile rimasta in funzioneera l’attuale Fontana dellaPigna, alimentata, tramite unapropria condotta, dalla sorgen-te perenne del “pozzo roma-no” situato in fondo a viaDario Campana. Il problema

che affliggeva la città non eratanto legato all’approvvigio-namento idrico, numerosiinfatti erano i pozzi privati e“condominiali”, quanto piut-tosto ai danni legati al cattivoo inesistente sistema di deflus-so delle acque nere e biancheche era causa di malsane con-dizioni igieniche. L’acqua eccedente che fuoriu-sciva dalla Fontana dellaPiazza formava un fosso chepercorreva la via Rigagnolodella Fontana (ora viaGambalunga) fino al lavatoiopubblico …posto sotto l’arcodi mezzo del già Convento diS. Domenico, e oltre le muraattraversava gli orti di Marinafino al mare. Di quella situa-zione si occupavano già gliStatuti del ‘600 e del ‘700:DePannis et aliis Turpibus nonlavandis ad Fontanam velPuteos Civitatis, neque inRiolo Fontanae…; da unBando del 1655 con le normeper l’uso della fontana e delfontanone:…proibendosi per-

ciò il lavarsi anco dentroPanni, o altro, sotto pena d’unscudo per volta a quelli che vilaveranno cos’alcuna… Illavatoio di S. Domenico, atti-vo fino alla prima metàdell’800, fu oggetto di accesediscussioni per le richiestedella popolazione affinché siponesse fine alla pessima abi-tudine di creare chiuse lungola via del Rigagnolo al fine dilavare i panni e a causa dellelamentele delle lavandaie peril suo non sempre buon fun-zionamento che le costringevaa servirsi del lontano fosso delborgo S. Andrea; d’altra partemotivi sanitari per le cattiveesalazioni e i ristagni consi-gliavano lo spostamento dellavatoio in un …sito piùacconcio. Una inchiesta dellafine dell’800 ci informa dellepessime condizioni igienichedella città anche perché gliabitanti gettavano nelle fosse

immondezze ed escrementi,perché sprovvisti di latrine……quelle lordure si arrestanonel letto della fossa, mandan-do fetide esalazioni ed è perquesto che furono progressiva-mente coperte.In una relazione alla Prefetturadi Forlì del 1865, l’ingegnerUrbani annotava che oltre ailavatoi naturali dei fiumiMarecchia e Ausa e delle fossedel Mavone e Patara, e a quel-lo artificiale di S. Domenico,ne esisteva un altro nel borgoS. Andrea, anch’esso artificia-le, formato da un fosso lungo200 metri e alimentato da unasorgente perenne derivata daiPadulli …qual fosso apposita-mente aperto, munito di cate-ratta è mantenuto espurgato aspese del Comune. Il canale,che deviava lungo la “via dellelavandaie” (via delle Fosse),era collegato con uno scarica-tore alla parallela fossa Patara,continuazione urbana dellafossa dei Mulini che aveva lapresa a Ponte Verucchio e cheseguendo il corso delMarecchia fino a Rimini anda-va a sfociare nel torrente Ausa.Dal giornale “La Riscossa”del 24 luglio 1890:Sappiamoche il Municipio ha deciso difar coprire questa fossa, che èfonte d’infezioni malaricheper una parte del SobborgoMazzini e che costituisce unpermanente pericolo special-mente pei bambini. Tutti ricor-dano ancora con raccapric-

MARZO-APRILE 2004

DENTRO LA STORIA

A R I M I N V M

DEMOLITO NEGLI ANNI SESSANTA

RITORNA L ’ANTICO LAVATOIO PUBBLICO DEL BORGO S. ANDREAArnaldo Pedrazzi

17

M

Il lavatoio negli anni Sessanta

(foto Minghini).

Via Lavatoio. Sotto: il progetto definitivo

del lavatoio.

Segue a pag. 31

Page 18:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

LA TOMBA DI POGGIANOPalazzo Poggiano, fa partedelle emergenze di caratterestorico-architettonico presentisul territorio riminese: si trattadi uno degli ultimi esempi esi-stenti e in buono stato di con-servazione di antiche dimorenobiliari fortificate. Nellazona di Poggio Berni ne esi-stevano altre dello stesso tipo:Palazzo Marcosanti (identifi-cato con la Tomba di PoggioBerni) e resti e memorie dialtre fortificazioni: una nellaparte alta del paese (presso ilristorante “Tre Re”), una nellasottostante piazza S. Rocco, laterza ancora più sotto nelpalazzo Gigliendi, ove “erge-vasi un antico castello, tra-sformato col tempo in solidacasa privata” (P. Franciosi,“Ilcastello di Poggio Berni e iConti Cardini”).Palazzo Poggiano è statooggetto di ricerche storiche daparte degli studiosi locali (C.Curradi, O. Delucca, G.Rimondini) che, attraverso leanalisi delle antiche fontinotarili, sostengono che la suaesistenza è documentata dallaprima metà del XIV sec.,come possesso dei Malatestadi Rimini. In questi documen-ti l ’edificio è denominato

Tomba Poggiano, TumbaPozani o Tomba Pogiani, oancora Tumba de Poxiano.Nei documenti notarili di ini-zio Trecento si trova il termine“Tomba”, intendendo con ciòun complesso edilizio fortifi-

cato eretto in genere su unaprominenza del terreno, o

comunque in luogo idoneoalla difesa. Nel caso di singoloedificio, rappresenta un palaz-zo o una dimora significativa.La sua derivazione etimologi-ca da Tumba o Tumulus laindica come un complessoposto in posizione leggermen-te sopraelevata, circondato tal-volta da acque acquitrinose ocomunque di non facile pene-trazione. Inoltre per Tombanon si intende solo l’emergen-za edilizia, ma anche il territo-rio su cui la fortezza esercitain qualche modo la propriagiurisdizione: nella sostanza sivuole indicare un piccolo“feudo”. Ciò spiega i versa-menti alla Camera Apostolicadel “censo” relativi alleTombe.Questi caratteri si ritrovanonel caso in oggetto. Il palazzopresenta pareti in muraturacompatta dalle ridotte apertu-re, esternamente in parte ascarpa, solai a volta. Bene haannotato il Garampi a questoproposito: Poggiano sta sottoil poggio.Altra fonte di notizie a confer-ma delle ipotesi generali suaccennate è la “DescriptioRomandiole MCCCLXXI”,che il cardinale AnglicGrimoard presenta a papa

MARZO-APRILE 2004

MALATESTIANA

A R I M I N V M

PALAZZO “POGGIANO” DI POGGIO BERNI

COME IL CASTELLO DI DON RODRIGOANTICA DIMORA FORTIFICATA MALATESTIANA

Franca Brunelli

18

el 1970 acquistai un podere a Poggio Berni per portare i figlipiccoli lontano dalla città. Tra le piante e il fitto verde intra-

vidi il rudere di un vecchio castello diroccato, coperto di rovi e disterpaglie. Era nascosto dall’edera, infestato da topi e rifugio diuccelli notturni. Rammentava la descrizione di Parini nella“Notte” del suo capolavoro, o i fantasmi di Ossian evocati nellavecchia Scozia. Con avvoltoi impagliati sul portone d’ingressopoteva essere l’avanzo del castello di Don Rodrigo.Non sapevo che erano i resti di uno dei tanti castelli malatestianidella zona, forse uno dei più antichi. Riguardandolo in seguitoprovai, più che paura, soggezione; facendo indagini mi sonoappassionata a quei muri scrostati e cadenti. Immaginavo imomenti di storia vissuti da quelle pietre e dai suoi abitanti: epi-sodi di caccia nel Medioevo; soggiorno di donne e cavalieri nelRinascimento; adibito a fortezza in tempi di guerra; vita di lavo-

ro nei secoli successivi.Come la città di Paestum che fu ritrovata per caso dopo secolid’oblio, questa costruzione era sconosciuta perfino allaSovrintendenza delle Belle Arti: soltanto ora è stata segnalata eregolarizzata. Dopo trenta anni ho deciso di riportarla alla luce. Iltutto rappresenta un complesso di circa tremila metri cubi consaloni, cantine, la chiesa, la cucina, il forno, il mulino, la piccio-naia e gli abbaini con una vista meravigliosa della vallata sotto-stante. Ho saputo che il palazzo ogni due secoli è stato restaura-to, ricostruito, ampliato: c’è la zona malatestiana, quella barocca,quella del periodo napoleonico. Quest’ultimo mio intervento, ini-ziato nel Duemila, lascia intatti gli stili, le caratteristiche; lo rendesoltanto di nuovo funzionale e lo valorizza. La lunga storia delPalazzo Poggiano, ora di proprietà Brunelli, è documentata dallefonti.

N

Le cantine del Castello Poggiano.

Sopra: lato nord del Castello Poggiano

(ala barocca).

Page 19:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

Urbano V per offrirgli un qua-dro preciso dei possedimentiecclesiastici in modo da accer-tarne il reale contributo sulpiano militare e finanziario.Egli distingue per ogni locali-tà la popolazione in “fuochi” ofocularia. La “Villa dellaTomba di Poggiano” contri-buisce con sette fuochi, erisulta essere il più piccoloinsediamento in Poggio Berni.Poggiano assume nel tempo iconnotati di fattoria fortificataposta al centro di una proprie-tà terriera: presso la residenzapadronale, chiamata palazzo,esistono funzioni tipiche,quali: le abitazioni dei lavora-tori (sul Catasto Gregorianocompare un edificio adiacentevia Collina), ricoveri perattrezzi e bestiame, locali perla raccolta dei prodotti agrico-li e le relative lavorazioni(magazzini, cantine, frantoio),le strutture accessorie (forno,pozzo, cisterna). E’ anchedocumentata l’esistenza di unmulino ad acqua.La rappresentazione del palaz-zo sulle mappe del CatastoGregoriano a Forlì (compilatoa partire dal 1830), permettedi affermare, con un buonmargine di sicurezza, chepalazzo Poggiano (ora di pro-prietà Brunelli) e la TombaPoggiano, cui si riferiscono idocumenti del XIV-XV sec.,coincidono, poiché l’edificiorappresentato sul Catasto è

indicato col toponimo“Poggiano”.L’EDIFICIOPalazzo Poggiano si presentacome una residenza ruralesignorile, formalmente a corpocentrale allungato e ali laterali,edificato su terreno in penden-za e con numero di piani varia-bile. L’edificio denuncia chia-ramente la sua origine di anti-co complesso fortificato conpiccole aperture, muri compat-ti, apparato decorativo moltosobrio e semplificato.In effetti l’assetto architettoni-co dell’edificio è la risultantedi crescite graduali e rimaneg-giamenti succedutisi neltempo. Le fonti storico-docu-mentarie attestano l’esistenzadi un primo nucleo del palazzo(l’antica dimora fortificatamalatestiana) già nella primametà del Trecento, individua-to, attraverso le analisi in sito,nella parte a sud-est, sede delfrantoio e del forno. Si tratta diun corpo a forma rettangolare,delle dimensioni di metri 15x9circa, quasi una torre realizza-ta nel punto altimetricamentestrategico del “poggio”, e perquesto rispondente ai requisitiche la difesa dei luoghi richie-deva. I muri a sacco, di note-vole spessore, hanno confor-mazione mista di mattoni epietrame; il contrafforte ango-lare, interamente il laterizio,èinvece di epoca posteriore.

MARZO-APRILE 2004

MALATESTIANA

A R I M I N V M19

Agli inizi del Trecento l’edificio appartiene ai Malatesta di Rimini:Poggiano era luogo di caccia, essi vi possedevano boschi, terre e unagrande casa di campagna, nella quale le cronache riportate da L.Tonini in “Storia civile e sacra Riminese” (1856) narrano una trucevicenda. Il 28 gennaio 1330 (per altri 1326–1328) Malatestino diFerrantino si trova a caccia a Pozano, e li uccide il cugino Ramberto,figlio di Gianciotto, facendolo poi seppellire in un vicino campo col-tivato.Nel 1386 la Tomba pare contenere varie abitazioni, fra cui unaappartenente a Celvo del fu Sante di Santarcangelo, abitante aCastel dell’Uso.Analogamente nel 1395 si riporta un atto in cui si mette in relazionela costruzione fortificata di Poggiano al nome di Bartolo di Pietro daBagnacavallo.Altri documenti del periodo 1431-34 assegnano il complesso adElisabetta Malatesta, moglie di Opizzone da Polenta.Nel 1434-36 perviene per eredità a Sigismondo Pandolfo Malatesta,insieme alle monache di S. Agostino.Un atto del 1437 redatto su pergamena riporta la vendita dellaTomba, con la metà delle possessioni di sua spettanza, da parte diSigismondo al proprio cancelliere Pietro del fu Paolo da Sassoferrato.Lo stesso atto, riportante la medesima datazione, è stato registratodal notaio Francesco Paponi.Nel 1465 il palazzo torna in possesso dei Malatesta: papa Paolo IIconcede a Violante da Montefeltro, vedova di Malatesta NovelloSignore di Cesena, la “Tomba di Poggio Berni, Trebbio e Poggiano”con tutti i diritti già spettanti al defunto marito.Il giorno 8 maggio 1473 il cardinale Stefano Cardini dona al nipoteCristoforo Cardini da Forlì la “Tomba di Poggio Berni, di Trebbio e diPoggiano” (Tumba Podii Ybernorum, ac Trebi, ac Pogiani) con il ter-ritorio e le sue pertinenze, situate fra le terre di Verucchio eSantarcangelo e tra il Marecchia e l’Uso, con i pieni diritti di domi-nio e vassallaggio sulla Tomba e il suo ambito territoriale. Nell’attoviene ricordato che tali diritti erano già spettati a Margherita d’Este,vedova di Roberto Galeotto Malatesti (il beato Roberto), poi aMalatesta Novello e a sua moglie Violante da Montefeltro, semprecome beni donati, e poi venduti ai nobili veneti Andrea e Luigi Zanne(o Zane o Zani), figli del defunto Paolo.Il cardinale dichiara di aver comprato i suddetti beni dai due fratelliveneti con proprio denaro e di farne donazione “pro anima” al nipo-te Cristoforo de Nardinis de Forolivio in riconoscimento delle virtù,della devozione filiale, dei servigi ricevuti. La tenuta torna in ambitomalatestiano, poiché Cristoforo Cardini aveva sposato nel 1469Contessina Malatesti, figlia naturale di Sigismondo.La ricerca dei passaggi di proprietà successivi risulta complicata dal-l’essere l’edificio in oggetto considerato parte del più vasto territoriodi Poggio Berni, che spesso viene denominato “Baronatum PodiiHibernorum”.Si ritrovano, tra gli altri probabili successori, i Montefeltro, i DellaRovere, i Gonzaga, i Granduchi di Toscana, i Dei Lorena, la CameraApostolica.Altre notizie più precise risalgono al 1889, quando il principe CesareAlbani di Milano vende il Palazzo Albani (ora Marcosanti), l’anticadimora malatestiana di Poggiano, altre case a Camerino, con terre,vigne e boschi intorno a Poggio Berni all’avvocato Paolo Marcosanti.Al Marcosanti subentra poi nella proprietà di Poggiano il dott.Alessandro Tosi, erudito studioso, antropologo, nonché ispettore ono-rario della Soprintendenza ai Monumenti di Ravenna, incaricato nel1921 di assistere alla ricognizione del sepolcro di SigismondoMalatesta nel Tempio Malatestiano.I numerosi passaggi di proprietà che hanno interessato l’edificio e ilsuo intorno si possono spiegare con la motivazione che le vaste tenu-te di Poggio Berni, comprendenti all’incirca l’intero territorio comu-nale, facevano parte dei beni dotali, probabilmente in quanto beniterritorialmente di confine, e quindi più soggetti alle transazioni.E’ peraltro interessante osservare come i possedimenti abbiano man-tenuto una certa unità durante i passaggi di proprietà, probabilmen-te grazie alla localizzazione geografica, compresa tra i limiti fisicidei fiumi Marecchia, Uso, e il territorio di Santarcangelo.

PALAZZO “POGGIANO” DI POGGIO BERNI

LA STORIA

Il forno del Castello

Poggiano.

Lato sud del Castello Poggiano:parte più antica risalente ai Malatesta.

Page 20:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 21:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

ono ormai trascorsi quasiventi anni da quando vidi

l’ultima volta a Rimini un“paesaggio” di NorbertoPazzini (Verucchio 1856-1937). Da allora più nulla. E’probabile che ciò dipenda dauna mia scarsa conoscenza del“patrimonio” locale; ma èanche vero che le possibilitracce da seguire per una even-tuale ricerca sul campo risulta-no essere ben poche.Del resto anche sfogliandol’interessante catalogo dellaMostra tenutasi nell’82 presso“la Sala delle Colonne” a curadi Gabriello Milantoni, si notasubito la sproporzione fra le156 opere provenienti da col-lezioni romane e le quattroprovenienti da una stessa col-lezione riminese.In realtà Norberto visse e lavo-rò prevalentemente a Roma; aRimini non ebbe estimatori (aparte il gruppo di pittori localiche gli si strinse attorno fra il1916 e il 1917 quando, giàsessantenne, era a Verucchio)e tanto meno ebbe clienti,limitandosi ad avere con lacittà un rapporto – per cosìdire – balneare. Dunque assaipoco di lui ci resta.Forse per questo ricordo tantobene quel piccolo olio su com-pensato apparso allora sulmercato riminese. In pochicentimetri era condensato ununiverso poetico, una visioneazzurrina, un sogno avvaloratodi tenui esalazioni nebbiose. Ilprofilo del monte e la distesad’acqua lacustre erano imbe-vuti di una stessa luce, diafanae porosa, e di uno stesso colo-re azzurrino e lattiginoso: danon poterli quasi separare.Eppure, nell’ora vespertinache ti toccava l’anima, scorge-vi poche case, qualche radurae un porticciolo immersi in unsilenzio assoluto e solenne.

anche il cielo fosse dentro

questa nota di silenzio dilatataall’estremo: e dunque comenon fosse più – appunto – soloun vedere ma proprio un “sen-tire” colori umbratili deposi-tarsi, come suoni ovattati, sulmondo. Era come la metafisi-ca rappresentazione di un’orasospesa in cui Pazzini sfodera-va una tecnica d’avanguardiadel tutto estranea alla retoricapascoliana del paesaggio allo-ra così in voga.Qui il processo di sintesi e diriduzione formale apparivanetto e precoce rispetto allescelte che furono poi dei nove-centisti romani.Ma non si può più a lungo“parlare” di un quadro in tuttoe per tutto assente senzarischiare di annoiare il lettore.Quindi, senza abbandonareNorberto, passerò ad altro.Scrive Gabriello Milantoni,fine ed acuto osservatore dellapittura di Norberto, che funomade:“silenzioso ed appar-tato poeta, possedeva comereferente unicamente se stessoe la propria segreta ansia dicercare il modo migliore peresprimersi, perciò, studiandonazareni, preraffaelliti e mac-chiaioli e lasciandosi ancheinfluenzare da questi, di fatto,in profondo, non parteggiò peralcuno” (1). E’ vero. Così comeè vero ciò che scrive P.

Giorgio Pasini, ottimo cono-scitore e storico di tutta la pit-tura emiliano-romagnola:“lasua pittura meditata, calma, allimite dell’idillio sentimenta-le, non poteva che essere difreno al desiderio di novità deigiovani colleghi…” “… Eraun introverso che disdegnòsempre i facili effetti veristi…e il lirico abbandono non gliimpedì mai di mantenerefermo il rigore formale, il dis-prezzo per la narrazione el’austerità, soprattutto nei pae-saggi” (2). Mi sembrano parolepiù che esaurienti. Dovendo però passare dallaparola all’immagine, ho sceltodi riprodurre qui un quadro diubicazione ignota, ma assainoto, che Norberto dipinse aRoma e che anche nellaMostra dell’82 fu presentatoin fotografia. E, come se nonbastasse, in bianco e nero:quasi un destino per un artista“assente”.Si tratta del “Giardino”. Ungiardino dove il verde lussu-reggiante e vaporoso cresceavvolgendo i muri, le finestree i tetti di un angolo di paradi-so, lasciando alla fioritura ilcompito di cantare e racconta-re l’opera della natura allorchéla luce illumina i colori.

I coppi, le grondaie, le fine-stre, il muro hanno una defini-zione chiaroscurale, alla luce,così netta da ricordare certecase di Telemaco Signorini.Gli alberelli dagli esili rami e isottili steli di arbusti e fioririempiono lo spazio, fra noi eil muro, di note delicate evibranti cui fanno da dolcecontrappunto le gemme spruz-zate di luce.Vi sono anche due pavoni, ungatto ed un cestello appesocontro il vano di una finestra:immagini reali e fantastiche,di eleganza e semplicità,armoniosamente composte inun luogo luminoso che divienecifra dell’esistenza.Il pittore porta sempre con séil suo universo, in segreto dia-logo con la natura, direbbeMilantoni.Non importa che ciò avvengafra quattro pareti o all’aperto:si tratta sempre del suo atelier.

1) Gabriello Milantoni – “Tecnica edelegia. L’atelier di N. Pazzini” –Comune di Rimini.2) P.G. Pasini – “Storia di Rimini dal1800 ai nostri giorni”. Ed. BrunoGhigi.

MARZO-APRILE 2004

ARTE

A R I M I N V M

NOVECENTO RIMINESE / NORBERTO PAZZINI

IL PAESAGGIOMarco Gennari

21

S

Norberto Pazzini,Il Giardino

Presso la Libreria Luisè, Corsod'Augusto, 76 (Antico PalazzoFerrari, ora Carli) e il Museodella Città di Rimini (viaTonini) è possibile prenotaregratuitamente i numeri in usci-ta di Ariminum e gli arretratiancora disponibili

ARIMINUMDA LUISE'

E PRESSO IL MUSEO DELLA CITT À

DI RIMINI

Ricordo che mi stupivo come

Page 22:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

elle opere pittoriche diPalma si avverte la volontà

tenace di dare forma e coloreall’intensità del sentimento, difar rivivere tramite la luce leproprie emozioni. La sua ricer-ca spazia nella realtà e nell’e-sperienza, per andare oltre,nelle tregue della solitudine,dove le immagini e gli orizzon-ti diventano lievi.Protagonista principale è lafigura umana, ma nel corsodella produzione possiamoincontrare anche paesaggi.Ogni motivo è riferito con undisegno efficace, che rivela dotiinnate e cultura.Si possono ravvisare dei parti-colari nei quali il segno ha unapronuncia scandita con vigoreper scivolare in movenze fluide,che tendono a perdersi nellelontananze dello spazio e dellamemoria. Ma non è correttosezionare un’opera. Essa ècome uno spartito musicale,fatto di note e dei loro contrari,dei silenzi, che sono le pause.La linea segue la mente ed èlibera, scrive il ritmo, l’equili-brio derivante da una prepara-zione che non conosce tregua.Certi dipinti, si può dire, hannovoce cromatica alta, ma talesonorità si stempera negli echidelle soffusioni. La pennellata èrapida, volante come il segno,

riflette il balenare delle impres-sioni e delle idee.Ecco, di profilo, il volto e latesta di un’adolescente. La raffi-gurazione è essenziale, nessunadescrizione. Il disegno si muovesenza indugi, ma con una preci-sione che rende possibile capireanche i dettagli.Questa figura, grande come unricordo improvviso che occupatutta la mente, campeggia sul

bianco della base (carta o telache sia). A lato si vede un pia-noforte, le cui note percorronola superficie con fluenze segni-che, qua e là cromatiche ediventano lacrime di una canzo-ne d’amore.Nei corpi delle immagini, inquei volti dagli occhi che spessoguardano chi guarda, nei movi-menti dei colori, che sembranoderivare in modo automatico

dall’impeto espressivo, che sisvolgono con cadenza lenta, siavverte quella forza di volontàtesa a rappresentare la bellezzacontendendola alla necessità deltempo, il quale pure è presentein alcuni ritratti colti al volo,scavati dai solchi degli anni.Palma esprime un sentire che sicaratterizza per dolcezza e vigo-re. E’ un alunno della bellezza.E’ un osservatore che vedeanche nelle presenze armoniosel’aleggiare impalpabile dellamalinconia.Da un po’di tempo e sempre piùspesso si afferma sulle tele ilcolore azzurro, che Kandinskijritiene porti l’uomo lontano,verso l’infinito. L’arte, perPalma, ha anche funzione catar-tica. Alcune sue rappresentazio-ni di ordine sacro sono originalie profondamente partecipate.Le deposizioni dalla croceaccendono pietà, mentre scuo-tono, urlano contro la sofferenzaatroce. Quella mano grande checompare in alto, perforata dalchiodo, è un simbolo sospesosulla coscienza.

MARZO-APRILE 2004

ARTE

A R I M I N V M

L’ARTE DI GIANCARLO LUCIANO PALMA

TRA DOLCEZZA E VIGOREDALL ’8 AL 22 MAGGIO ALLA SALA DELLE COLONNE

Franco Ruinetti

22

N

L’ARTE DI GIANCARLO LUCIANO PALMA

COLORI DI SPERANZAGiuliana Gardelli

Un groviglio di sentimenti, di pensieri, di riflessioni afferral’animo quando osservi, anche distrattamente, le opere diGiancarlo Luciano Palma. Squillanti colori, nitidi come uncielo spazzato a primavera, i suoi quadri captano unadenuncia sociale, che non è rinuncia alla vita, anzi è desi-derio sempre di vita, completa, totale nell’immersione inuna natura, ch’è madre benigna, troppo violata dai suoifigli.Eppure sempre c’è un approdo di speranza. Dalle prime“maternità”, dolci come la vita che sboccia, alla carezzasui volti degli anziani che troppo hanno penato, allo slan-cio impennato dei cavalli, alla ballerina che sogna il vololibrato nell’azzurro, ecco l’approdo nella visione più sere-na del paesaggio, che, seppure contaminato dai rifiuti del-l’uomo, riesce ancora a toccare , nella lievità di un colorefluttuante, i tasti della bellezza per raggiungere la purezzadel sentire.E questo approdo è la pienezza dell’arte.

Page 23:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

MARZO-APRILE 2004

ARTE

A R I M I N V M23

MEDITAZIONI di Ivo GigliCARLO CORRÀBarche, 1968

Come icone rupestri di unaciviltà antica narrate in unavisione equorea le barche diCorrà disseminate nel silen-zio di un racconto apparso auna luce spettrale; immaginiche pare sia il sogno adannunciarle, a farle vivere,ma di una vita sommessa,statica, illuminata dalla lon-tananza, quella luce verdeche traspare ovunque comepuò fare solo il ricordo cheemerge come un adagio dolcissimo.

FREDERIC BAROGILa Biblioteca per conservare i libri di sabbia, 1991

Su di uno sfondo nero, postocome un tabernacolo o il buiodell’universo si erge l’imma-ginoso edificio, la Bibliotecaove si conservano libri disabbia. Forse i lettori che lafrequentano sono di vento einvolano quei testi di renas’arricchiscono del loroSapere, che forse è il Nulla;questa biblioteca che sembraessere scelta da una delleCittà invisibili di ItaloCalvino.

ALESSANDRO LA MOTTAAngelo: quelli che si voltano

Il colpo possente d’ala diun angelo biblico, o ilvolo interrotto nel suofarsi, il segno forte che LaMotta ha inciso nello spa-zio per sottolineare unavicenda trepida, forseuna catàstasi nel fulgoredei cieli che qui sono cie-chi: qui c’è solo il gestod’ala inquieto come inquieto è lo sguardo che l’angelovive.

La pittura di Cesare Filippi èdi certo una pittura dell’om-bra, nonostante i gialli violen-ti che la riscaldano e i rossivermigli accostati ai bianchisporchi e ai grigi che concen-trano gli sguardi. Nei paesaggisi percepisce fortemente ildesiderio di superare il datoreale, come nella serie cupa-mente suggestiva dei boschidel suo Marano dove l’atmo-sfera si fa drammatica. Neicieli chiusi, negli spazi di ster-paglie, di alberi straniti e creteriarse ove l’ocra e il nerodominano quasi incontrastatil’artista riesce a liberare conefficacia estetica quell’ombrache ciascuno di noi cela dentrocome una rimozione o un desi-derio inconfessato”. (I. G.)

La pittura di Mario Massolonon ha sottofondi esistenziali,problemi da scavare con paro-le complesse e irraggiungibili.Schietta, comunicativa, liberada angosce, può essere dispo-nibile, densa di colloquio, perchi non si è staccato da unaantica visione fatta a misurad’uomo. E pittura costruitacon fedeltà formale, con soli-dità cromatica, con spontaneadedizione agli incontri, sem-pre desiderati, di una naturaamica. (L. B.)

Nelle opere di GiorgioRinaldini c’è la ferma idea chea dominare su tutto debbaessere sempre il pensiero, ilconcetto puro, emblematizza-to nella potenza del colore-luce, quindi, per quanto possi-bile, libero da ogni oggettività,da ovvie inutili forme.Principio che privilegia indub-biamente, sotto il profilo grafi-co, l’astrazione, l’incorporeitàrispetto a fattezze puntigliosa-mente descrittive, inducendole facoltà intellettive della per-sona a fare propri gli assuntidell’opera in maniera tuttaparticolare, conformemente adattitudini e a sensibilità pro-prie. (P. T.)

In quei strani arabeschi, getta-ti apparentemente a caso qua elà sulla tela, Luca Giovagnolicostruisce la sua personale eoriginalissima grafia artistica,un vero e proprio linguaggiopoetico privato, che ha di fattosostituito l’esigenza di raccon-tare e di descrivere, in favored’una libera associazione d’i-dee e di segni; un lirico narra-re svincolato dalla necessità

CESARE FILIPPILà, dietro la collina

(olio su tela, 50X70, 1992)

MARIO MASSOLOMarina

(olio su tavoletta, 27X9 1976)

GIORGIO RINALDINIIl castello dove nessuno spera

(olio su tela, 40X50, 2001)

LUCA GIOVAGNOLIApi e muro

(tecnica mista, 40X30, 1999)

d’una struttura o d’una trama,un felice vagare nei territorinuovamente vergini dell’im-maginazione. (A. R.)

Page 24:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

l 20 e 21 marzo si sonosvolte anche Rimini le gior-

nate di Primavera del FAI,Fondo Ambiente Italiano.Com’è consuetudine, sonostati aperti alcuni monumenticittadini ed effettuate visiteguidate gratuite nel pomerig-gio del sabato e durante l’inte-ra giornata di domenica.Quest’anno la delegazioneriminese ha scelto due impor-tanti monumenti ottocente-schi, uno nel cuore della città el’altro nella frazione diVergiano, ovvero il TeatroGalli, già Vittorio Emanuele eVilla Mattioli. Di proprietàcivica, vanto della borghesiaottocentesca ed ora al centrodi un animoso dibattito per lasua ricostruzione il primo, diproprietà della Cassa diRisparmio di Rimini, ben con-servato e meno conosciuto ilsecondo, gli edifici sono statiprogettati dal medesimo archi-tetto, il modenese LuigiPoletti. Oltre la riconoscibilesintassi neoclassica, che hadato vita ad un unificante lin-guaggio europeo, essi esem-plificano la fisionomia di duepeculiari tipologie architetto-niche, quella del casino di vil-leggiatura di una nobile fami-glia, originariamente iDiotallevi, e quella tipicamen-te ottocentesca del civico emagniloquente teatro, che pre-cedentemente veniva ospitatoall’interno di edifici deputatianche ad altre funzioni, come ipalazzi comunali nello specifi-co caso riminese.Il lungo protrarsi del cantieredel teatro, dal 1843 al 1857, fuforiero al Poletti di altre com-missioni, dovute soprattutto almarchese Audiface Diotallevi,presso cui l’illustre architettosoggiornò ripetutamente inquegli anni, anche se a malin-cuore, come emerge da alcunelettere conservate allaBiblioteca di Storia dell’arte

Luigi Poletti di Modena, stu-diate dal Rimondini1.Personaggio di spicco dellasocietà riminese ottocentesca,socio fondatore della localeCassa di Risparmio, gonfalo-niere pontificio, membro dellacommissione per il teatro edesponente di una famiglia diantico lignaggio, AudifaceDiotallevi chiese nel 1853 alPoletti il disegno per il rifaci-mento della propria dimora diVergiano. E’ la ricordata VillaMattioli, “piccola memoria”per la città di Rimini come ladefinisce lo stesso marchese,“che per eleganza e squisitez-za di lavoro non cederà lapalma alla primogenita” cioèal teatro. La villa fu costruitanello stesso anno dell’inaugu-razione del solenne edificio,nel 1857, come si evince daalcune lettere tra il committen-te e l’architetto e come affer-ma il primo biografo dell’illu-stre modenese, CesareCampori2.

La villa è più propriamente,come ha sottolineato il Pasini,“un «casino di rappresentan-za» per soste brevi in campa-gna e soprattutto per conversa-zioni pomeridiane, ricevimen-ti serali e feste notturne; perun uso ben diverso, cioè tantoda quello del palazzo di città,quanto da quello della villapadronale di campagna, in cuisono previsti locali e servizi diresidenza” 3.Attualmente è conosciuta conil nome della famiglia impa-rentata con i Diotallevi che laebbe successivamente in pro-prietà, i conti Mattioli. Essirisiedevano in città nell’attua-le via Sigismondo, in prossi-mità della chiesa diSant’Agostino. Proprio qui èconservata una bella operalegata alla loro committenza,posta sulla parete destra inprossimità dell’ingresso. E’ ilmonumento funerario comme-morativo di Alberto Mattioli edel figlio Edoardo, che la

vedova Luisa Lettimi fecedisegnare al Poletti, come silegge nell’iscrizione posta inbasso4. Il cenotafio, pressochéignorato dalla critica e daivisitatori5, è stato eseguito aRoma intorno al 1854 da unodei più rinomati scultori italia-ni classicisti dell’Ottocento,Pietro Tenerani6. Il sodalizioTenerani - Poletti per opereriminesi era stato avviato conle decorazioni del teatro, inte-ramente disegnate dal Poletti(dai dipinti alle sculture, daglistucchi alle balaustre in ferroalle luci) ed eseguite da diver-se maestranze, perlopiù fore-stiere, indicate dallo stessoarchitetto7. Fra queste spicca ilnome di Tenerani, che avevarealizzato i modelli per le duestatue raffiguranti le muse,poste nel secondo atrio all’in-gresso della platea, ed esegui-te in marmo dal rimineseLiguorio Frioli. Qui, nellacosiddetta sala delle colonne,esiste tutt’oggi un busto mar-moreo del Poletti firmato dalTenerani e datato 1857. Per il monumento Mattiolil’architetto modenese ha idea-to una struttura ad edicola,

MARZO-APRILE 2004

ARTE

A R I M I N V M

L’IMPORTANTE RUOLO DEL MARCHESE AUDIFACE DIOTALLEVI

L’ATTIVIT À DEL POLETTI PER LE CHIESE RIMINESIMichela Cesarini

24

I

P. Tenerani, Busto di LuigiPoletti, 1857, Rimini, secondo

atrio del Teatro Galli.Sotto: P. Tenerani (su disegno

di L. Poletti), Cenotafio Mattioli,1854 c., marmo, Rimini,

Chiesa di S. Agostino.(Fotografie tratte da Villa

Mattoli. Una villa del Poletti nel riminese, Rimini, Cassa

di Risparmio di Rimini, 1987, p. 54)

Page 25:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

incorniciata da paraste e fregicon alcuni dei più noti decoriclassici, dalle palmette ai gira-li di foglie d’acanto, alle can-delabre. Questi elementi, cosìcome la lunga iscrizione latinanella parte inferiore, soffoca-no il bel bassorilievo, che conle sue superfici lisce, la plasti-cità, le fogge delle vesti deipersonaggi rimanda alla scul-tura antica. Tipicamente otto-centesca è invece l’iconografiae il mesto patetismo che spri-giona dai gesti delle figure. Alcentro della scena, su unasedia dall’inconfondibilesagoma neoclassica,è sedutacon composta disperazioneuna donna dai capelli sciolti.Confortata da tre figure fem-minili alle sue spalle,è dinan-zi ad un angelo che, col capoed una mano rivolti verso dilei, accompagna due uominifuori dalla sua vista.L’episodio è ovviamente ispi-rato alla vicenda della com-mittente, che, come si leggenell’iscrizione sottostante,aveva perso il marito ed il gio-vane figlio diciassettenne. Ilcenotafio riminese si inseriscenella ampia diffusione chenell’Ottocento ha avuto taletipologia scultorea, il cuiarchetipo più alto è il monu-mento funebre di MariaCristina d’Austria di AntonioCanova, eseguito tra il 1798ed il 1805 a Viennanell’Augustinerkirche.

A Rimini il Poletti si occupòanche di altre commissioni,quali l’invenzione degliaddobbi cittadini in occasionedella venuta a Rimini di PioIX nel 1857 e soprattutto quel-le riguardanti il TempioMalatestiano, ovvero laCattedrale dal 1819. Il proget-to più impegnativo e cheavrebbe segnato profonda-

mente il monumento non furealizzato, poiché non esiste-vano indicazioni appropriateatte a completare la facciata esoprattutto a ricostruire lacupola e la parte absidale8. Fucompiuto invece, anche se inparte smantellato nel dopo-guerra, “il rinnovamento(dovevasi dire massacro)”, perdirla duramente con il Ricci9,

della cappella della Madonnadell’Acqua. Progettata nel1845 ed eseguita tra il 1856 edil 1868, l’opera aveva riguar-dato oltre al rifacimento del-l’altare, altri interventi, fra cuisi ricordano la creazione di unedicola con due angeli, operadello scultore romano CarloChelli, la doratura dei marmi,la pittura della volta con stelledorate su fondo oltremarino,l’esecuzione di vetrate poli-crome a cura del ravennateAntonio Moroni e dei puttisulla balaustra da parte delriminese Liguorio Frioli.Anche questa commissione fuottenuta dal Poletti attraversoil marchese AudifaceDiotallevi, che faceva partedella Deputazione sull’ammi-nistrazione delle offerte allaBeata Vergine dell’Acqua.L’architetto modenese ci appa-re dunque un po’ ingrato per lamal celata antipatia verso ilDiotallevi che traspare nellesue lettere. A sua discolpa vadetto tuttavia che giudizi nega-tivi sul marchese si ritrovanoanche negli scritti degli storicie dei cronisti dell’epoca.Basterà ricordare che l’autore-vole Luigi Tonini annotò nelsuo diario il giorno 23 aprile1860 queste parole:“E’mortoil Marchese AudifaceDiotallevi. Vita cavalleresca,preteso diplomatico, banchie-re incapace”\0.

MARZO-APRILE 2004

ARTE

A R I M I N V M25

NOTE1) G. Rimondini,Il casino di Vergiano: la “piccola memoria” lasciata daLuigi Poletti a Rimini, in Villa Mattoli. Una villa del Poletti nel riminese,Rimini, Cassa di Risparmio di Rimini, 1987, p. 18.2) G. Rimondini, 1987, pp. 15-18, 30-34.3) P.G. Pasini,Le decorazioni murali della villa di Vergiano, in Villa Mattioli,cit., 1987, p. 62.4) “L. Poletti archit. inv. e diresse”, P.G. Pasini,Storia di Rimini dal 1800 ainostri giorni. III. L’arte e il patrimonio storico artistico, Rimini, Ghigi, 1978,p. 45.5) L’opera non vanta letteratura, se non brevi citazioni L. Tonini,Guida illu-strata di Rimini, Rimini, 1893, p. 105: P.G. Pasini,Cultura artistica e restau-razione a Rimini, in Villa Mattioli, cit., 1987, p. 56.6) Pietro Tenerani (Torano 1789 – Roma 1869) scultore di numerose opere disoggetto mitologico e religioso, dallo stile romantico, rigoroso ed idealizzante;firmò nel 1842 il manifesto del purismo, insieme ai nazareni. La sua opera piùnota è la Psiche del 1819, oggi presso la Galleria d’Arte Moderna di Firenze.7) Il sipario fu dipinto da Francesco Coghetti, Andrea Besteghi di Bolognadipinse i giochi olimpici nel primo atrio ed il soffitto della sala teatrale (con leore, i segni zodiacali e gli uomini illustri), Giuliano Corsini di Urbino eseguìgli stucchi e le scagliole, i fratelli Pasquale e Giuseppe Fiorentini di Imolafecero le dorature, il riminese Michele Agli dipinse i soffitti dei due atri, dellestanze attigue, dei palchi e delle scene, le parti in ferro battuto furono eseguitedai signori Morlacchi e Lodini di Ancona, l’illuminazione degli atri e della salafu realizzata dal rinomato Augusto La Carriere di Parigi, mentre quella del pal-coscenico e dell’orchestra dai signori anconetani Boni e Fiorini. G. Morandi,Il Teatro di Rimini, Rimini, 1857, p. 30 (ristampa Rimini, Luisè Editore, 2000).8) Su tale progetto del Poletti stilato tra il 1852 ed il 1856 e sugli interventinella cappella della Madonna dell’Acqua si consulti il fondamentale S.Andreucci,Un secolo nel Tempio, in “IBC”, 1987, n° 5-6, pp. 73-79, oltre a G.Rimondini, “A pubblico e proprio decoro”. Interventi e committenza ediliziadella Cassa di Risparmio tra Ottocento e Novecento, Rimini, 1990, pp. 21-28;A. Turchini, Il Tempio Malatestiano, Sigismondo Malatesta e Leon BattistaAlberti, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2000, appendice IV, pp. 900-903, 935-938.9) C. Ricci, Il Tempio Malatestiano, Roma- Milano, 1924, pp. 509, 512.10) G. Rimondini, 1987, p. 19.

paesino croato. Una notte decisi di fuggire. Attesi che tutti si fos-sero addormentati e, silenziosamente, uscii dalla casa dove erava-mo acquartierati. Mi misi a correre a perdifiato nei campi, temen-do di essere inseguito, finché vidi una casa di contadini ed un gran-de pagliaio, sulla cima del quale mi nascosi. La mattina seguentedei bambini vennero a giocare proprio lassù ed appena mi viderosi misero a gridare: Subito salì un uomo, il loro padre. Io temevouna reazione violenta. Invece l’uomo, capita la situazione, mi chie-se se avevo fame e se avessi voluto restare. La sera ero a tavola conl’intera famiglia e l’invito a restare mi fu rinnovato. Io però decisidi non restare. Trovai ospitalità in un’altra casa, occupata da unafamiglia di sfollati. Erano croati, persone molto colte con due figlieuniversitarie ed un fratello, ufficiale dei partigiani. Le ragazzeandavano sempre nel vicino paese e mi convinsero ad accompa-gnarle rinunciando alla mia prudenza. Appena in paese, infatti, fuiindividuato e preso da due poliziotti, e mi spedirono in prigionia.

Dapprima ci mandarono a lavorare: scaricavamo i barconi sulfiume Drava e visto che il lavoro era pesante, si riusciva ad averecibo a sufficienza; poi, a guerra finita, ci mandarono in campo diconcentramento a Belgrado. C’erano Italiani, tedeschi e persinomongoli, che la sera si esibivano nelle loro danze. Si mangiavapoco ma non ricordo di particolari maltrattamenti, almeno doveero io. Gli Slavi ci consegnarono agli Inglesi nell’Agosto del 1945.I nostri vestiti e le nostre divise erano in condizioni pietose. Convestiti di carta datici dagli Inglesi, affrontammo il viaggio di ritor-no a casa. Arrivai a San Vito verso sera e, con un incredibile bat-ticuore mi avvicinai alla porta di casa. Ma non ebbi il coraggio dientrare: chi vi avrei trovato? o meglio: chi avrei potuto non tro-varvi più? Così mi rigirai ed andai a casa di un mio cugino che mitranquillizzò: fortunatamente tutta la mia famiglia era sana esalva. Potevo tornare a cuor leggero: nonostante le traversie e levicissitudini, la guerra ci aveva drammaticamente impoverito, maaveva risparmiato la vita a me ed ai miei cari. Era il massimo chesi potesse sperare, in quei tempi.

da pag. 11“... E I TEDESCHI INIZIARONO A MITRAGLIARCI ”

Page 26:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

Torino, 12 novembre 1975Egregio prof. Faenza,le ho fatto fare una fotocopiadel saggio da lei ricercato egliela mando. “NuoviArgomenti” non mi fece alloragli estratti. Il libro Politica eCultura era già uscito. Il sag-gio è rimasto del tutto scono-sciuto. Non mi è mai accadutodi vederlo citato. Non mi dis-piace di vederlo riesumato,anche a distanza di tanti anni.Mi mandi il suo saggio, che loleggerò volentieri.Cordiali saluti,

Norberto Bobbio

Torino, 30 novembre 1975Caro prof. Faenza,la ringrazio di avermi inviato isuoi due libri sui “riministi” esulla “retata”, che ho letti colpiù vivo diletto, perché levicende di quei singolarissimipersonaggi vi sono raccontatebene, con vivacità, con parte-cipazione personale, ma anchecol giusto distacco dello stori-co che intercala di tanto intanto qualche riflessione gene-rale come chi mantiene inte-gro il giudizio sulle cose nar-rate e non si lascia trascinarené dall’apologia né dalla con-danna, e sa trarre dagli avveni-menti anche minuscoli consi-derazioni che valgono per tuttii tempi.Cordialmente,

Norberto Bobbio

Torino, 18 gennaio 1976Caro Faenza,

la ringrazio di avermi inviato iracconti “esemplari” di GraziaDeledda, Novaro e ForgesDavanzati, anche se la letturafa rabbrividire. Ma sono brivi-di salutari per capire sino aqual punto di grossolanità, distupidità e di ipocrisia eragiunta la stampa fascista.Altro che fabbrica del consen-so! Lei giustamente nota cometutta questa retorica nonlasciasse alcuna impronta nel-l’animo dei giovanetti cheavrebbero dovuto essere pla-smati ecc. ecc. Salutari anchequesti brividi contro ogni ten-

tazione o tentativi di rivaluta-zione del fascismo che oggi sicompie all’ombra di Clio!Cordiali saluti,

Norberto Bobbio

Cervinia, 27 agosto 1976Caro Faenza,anch’io credo che il Psi siadestinato a vivacchiare, se nonproprio a morire, perché nonha più ragioni di vivere e diprosperare. Non so se lei haletto quella parte del mio dis-corso al convegno di“Mondoperaio” del luglio

scorso, pubblicato sull’“Espresso”. Il punto più debo-le, e quindi più criticabile, deldiscorso, era proprio quello incui cercavo di dimostrare cheun partito come il Psi è ancoranecessario, almeno sino aquando il Pci ecc. ecc. MaAsor Rosa mi riprende in unarticolo dell’ “Unità” dei primidel mese, e mi dice:“Concezione laica della vita?E che altro è la concezione delPci se non quella che Bobbiodescrive come concezionelaica?”. Forse la verità stava inuna frase che l’ “Espresso” hatralasciato (intenzionalmente):“Il partito per i socialisti c’ègià. Ed è il partito comunista”.Lo strano, l’ “irrazionale” èche questo fenomeno di vero eproprio scambio di parti èavvenuto (politicamente) sol-tanto in Italia. Per questo con-tinuo a osservarlo con sospet-to, e a temere che sia foriero ditempeste.E allora? Seguire il consigliodel monaco medievale?Volenti o nolenti lo stiamo giàfacendo. Con la speranza o lapresunzione che anche imonaci servano a qualchecosa.Cordialmente,

Norberto Bobbio

PS. Il consiglio del monacomedievale che io ricordavo alprofessore Bobbio ed a cuiBobbio si ricollega nella lette-ra sopra riportata, è un disticoriprodotto dal Lipparini, inuna sua antologia di novelleitaliane del 1932. Eccolo:

MARZO-APRILE 2004

APPUNTI

A R I M I N V M

A RUOTA LIBERA CON NORBERTO BOBBIO

CARO FAENZA,Liliano Faenza

26

Sono andato a ripescare, tra i miei inserti, alcune lettere inviate ame da Norberto Bobbio, il filosofo del dubbio, recentementescomparso. Risalgono a molti anni fa. La prima, del 12 novembre1975, riguarda la fotocopia di un saggio che io desideravo rice-vere da lui. La seconda, del 30 novembre successivo, è relativa amiei due volumetti: Marxisti e Riministi, del 1973 e La Retata,del 1974, editi dalla Guaraldi. La terza, del 18 gennaio 1976, siriferisce all’invio a Bobbio di un mio volumetto dal titolo

Fascismo e Ruralismo (ed. Alfa, Bologna, 1975), che è una anali-si dei libri unici di Stato per le classi III, IV, V elementare duran-te gli anni del regime. La quarta, dell’agosto 1976, inviatami daCervinia, luogo di villeggiatura del professore, concerne i rap-porti di allora tra comunisti e socialisti, con una prognosi infaustasul futuro del Psi; la quinta, sullo stato dei rapporti di allora tra ilPsi e il Pci.

Page 27:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 28:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 29:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 30:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 31:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

Linquo coax ranis, cra corvis,vanaque vanis

Ad loycam pergo, quae mortisnon timet ergo

(Lascio alle rane il gracidare eai corvi il crocitare e le cosevane agli uomini vani. Midedico alla filosofia che nonha timore della morte.

Torino, 29 settembre 1976Caro Faenza,grazie degli articoli di MackSmith che non conoscevo edella lettera sul futuro (o man-canza di futuro) del Psi. Inquesto mese, fra dibattiti,interviste, articoli, telefonatevarie, sono stato letteralmentetravolto. Non me l’aspettavo enon ci sono abituato. Devodifendermi, altrimenti mi dis-sanguo. Purtroppo debbo fareuna certa economia anchenella corrispondenza.Il tema della riunificazione colPci è stato, come ho letto,ripreso anche da ultimo. Manello stato in cui è il partitosocialista non di riunificazionesi tratterebbe ma di assorbi-mento come è avvenuto per ilPsiup. Io non so che pensare:ho ricevuto parecchi inviti dagruppi del Psi a dibattere ilproblema del partito. Ma sonoriuscito sinora a tenermi lonta-no. Un po’ perché ho sempreuna certa ritrosia a esibirmi inpubblico, un po’ perché non

ho idee chiare. Quanto al Pciavrà visto che adesso è esplo-so, come prevedevo, il dibatti-to sul pluralismo. Ora un par-

tito che è nato dalla rivoluzio-ne sovietica e dal leninismo,un partito che si è sempre con-siderato il Partito, può parlare

di pluralismo soltanto se faseriamente i conti con il pro-prio passato. Altrimenti non ècredibile. Credo che abbiamoil dovere d’incalzarlo su que-sto punto. Anch’io credo alprammatismo dei comunisti.Per questo continuo nonostan-te tutto a mantenere vivo ildialogo. Mi prendono sul serio(o almeno fanno finta) perchésanno che io li prendo sulserio. Sono stato invitato alFestival di Napoli per undibattito sul pluralismo, comeforse avrà visto dai giornali.No, non è possibile, dopo quelche ho visto, non prenderli sulserio.Quanto alle correnti sareimeno condiscendente. Le cor-renti sono lo specchio di unpartito frantumato, che non hamai avuto una sola politica mane ha avute tante. Come oradel resto. Certo un partito incui convivono coloro chevogliono l’alternativa, i riuni-ficatori e i socialdemocratici(all’italiana), non può nonessere scisso in correnti. Già,ma non è questa mancanza diuna linea politica una delleragioni della debolezza attualedel partito?Coi più cordiali saluti,

Norberto Bobbio

MARZO-APRILE 2004

APPUNTI

A R I M I N V M31

NORBERTO BOBBIO

L’ULTIMA LEZIONEStefano Servadei

L’ultima lezione Norberto Bobbio ce l’ha fornita con lesocratiche disposizioni ai figlioli in prossimità della morte,rese pubbliche in questi giorni.Annuncio della sua fine con poche e semplici parole, fune-rali privati, collocamento della sua salma accanto al padreed alla madre nel luogo ad essi caro, nessuna scritta sullasua lapide se non il nome e cognome con la precisazioneche si tratta del figliolo di Luigi Bobbio e di Rosa Caviglia.E l’annotazione, implicita ed esplicita, del ruolo della fami-glia, della sua continuità non soltanto fisica, ma nella tradi-zione e nei valori.E la lezione è stata arricchita da una notizia postuma for-nitaci dalla stampa. Del suo ripetuto desiderio, respintodalle norme vigenti e dalle ragioni di inopportunità rappre-sentategli dai vertici della Repubblica, di dimettersi dall’in-carico di Senatore a vita, nel momento nel quale non si sentìpiù in grado, per ragioni di età e di salute, di presenziarealle sedute di Palazzo Madama.In ogni caso, la irrevocabile decisione, da allora, di versa-re la relativa “indennità di carica” di senatore ad una pub-blica Fondazione di assistenza agli anziani. L’unico modoaccettabile dalla sua coscienza per restare nominalmentetitolare di un beneficio economico che riteneva moralmenteindebito.Grazie prof. Bobbio! E che anche questa sua ultima altissi-ma lezione, oltreché recepita degli annali della nostra sto-ria repubblicana, faccia breccia nel cuore e nel comporta-mento di noi, suoi connazionali!

cio, che pochi anni or sono vi perì un amore di bambina… …eche anzi il Consiglio deliberò pure di costruire una tettoia perriparare le povere lavandaie dal sole e dalle bufere. Solamentenel 1901 venne approvato il progetto per la copertura del lava-toio, scelta in muratura in considerazione …della minor spesae maggior durata, optando per una lunga pilastrata reggente untetto a due falde che partiva dalla odierna via delle Fosse. Questolavatoio continuò a funzionare sino ai primi anni ’60 del dopo-guerra, quando ne fu decisa la demolizione secondo la filosofia,o la follia, di quegli anni.Vediamo brevemente la descrizione dei lavori di recupero, già inesecuzione, desunte dal progetto che molto gentilmente mi hamesso a disposizione il suo autore, l’ arch. Renzo Sancisi, che inquesta sede ringrazio.Durante i primi scavi, a 140 cm di profondità sono state messe inevidenza le piane di pietra del vecchio lavatoio, rimaste interrate

dopo la demolizione dei pilastri dei quali sono ancora presenti lebasi in calcestruzzo rivestite da mattoni. Il progetto tende a inte-grare quanto si è recuperato con le parti mancanti che verrannoricostruite: il tratto rimesso in luce, un settore del manufatto ori-ginario lungo 50 metri e largo otto, prevede un rifacimento dellavatoio lungo circa 20 metri con pilastri e capriate in legno chereggeranno un tetto a due falde coperto in laterizio, e una serie dipilastri in doppia fila, di altezza digradante e senza protezione,che vuole alludere all’originario lungo edificio unitamente a uneffetto “rovine”. La nuova opera sarà visibile agevolmente affac-ciandosi a una balaustra posta su un marciapiede realizzato conconci in vera selce del Marecchia, mentre il rimanente terrenosarà destinato a verde; l’antico reperto recuperato sarà godibileanche di sera grazie all’installazione di appositi faretti, mentreuna segnaletica didascalica spiegherà sinteticamente la storia delmanufatto.

(1) Pier Giorgio Pasini: “Le fontane di Rimini”.

da pag. 17IL LAVATOIO DEL BORGO SANT’ANDREA

Page 32:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

L’avvocato VenieroAccreman ha inteso cele-

brare le ottanta primavere scri-vendo una memoria della vita.Un revival che accende i farisulla prima stagione: dall’infan-zia all’ingresso nell’età maggio-renne. Premetto che faccio dellibro una lettura personale dalmomento che la vicenda mi hasorpreso e coinvolto per la qua-lità esistenziale non comune.Aggiungendo che le “Pietre diRimini” sono un attestato diaffezione immune da contami-nazioni lobbistiche o celebrati-ve.L’incipit rimanda alla struttura-zione narrativa di A. J. Cronindove “La fine del principio”apre il romanzo “Le chiavi delregno”. Una furbizia di stilegiornalistico per la quale primasi dà la notizia, di seguito vienedipanata la trama dei fatti.A seguito dei micidiali bombar-damenti su Rimini e del fronteche cominciava brontolare dallaLinea Gotica, la famigliaAccreman ha sfollato nel comu-ne di Borghi, a metà strada fraSogliano e Santarcangelo.Sebbene non maggiorenne,Veniero decide di arruolarsi“Volontario” nel fronte partigia-no. Al suo gruppo viene asse-gnata la guerriglia contro leretrovie tedesche.Con il regredire progressivodella prima linea, capita chequattro soldati alemanni si stac-cano dalla colonna in ritirata. Ilmanipolo combattente spia imilitari in sosta in un’aia di con-tadini intenti a prendere fiato edissetarsi. Scrutano, incombonoe partono all’azione. L’ordine aVeniero del caposquadra èperentorio, “adesso dai”. Ma ilragazzo non riesce premere ilgrilletto. C’è come una volontàsuperiore che lo inibisce. Difatto non servirà sparare perché

il quartetto si lascia catturare.“Adesso c’era solo da conse-gnarli alle prime pattuglie allea-te che avessimo raggiunto”. Laconsegna della preda guerrescaè attuata nei pressi di SanMarino. Dalla Repubblica delTitano Accreman scende aRimini a bordo di una jeepinglese. L’automezzodell’Ottava Armata lo sbarca inPiazza Cavour. Ricorda l’avvo-cato: “Volai verso la circonval-lazione, la mia strada, la miacasa. Eccola la mia casa!” Essì,la casa stava in piedi però era unguscio vuoto. Lo investe l’ondalunga dei ricordi familiari.Ma non c’era modo e tempo diconcedersi agli stati emotivi.Urgeva agire e reagire. “Siriprendeva il cammino”.Il padre di Veniero, dirigentedelle Ferrovie dello Stato, eracresciuto di estrazione anarchi-ca, quindi coltivava avversionee rancore al Duce e al suoFascismo urlato. Si trattava,comunque, di un anarchicobuono, di quelli che non ucci-dono nemmeno un insetto. Lasua energia dimorava nell’idea-lismo civile e libertario. Se lepareti domestiche ospitavanouna famiglia concorde e bene-stante, fuori la politica ostavagli Accreman. Di preciso inquell’antitesi ideologica, chesarà lo zoccolo duro delVentennio, Veniero ramificaval’albero della pianta filosofica,politica e sociale.L’altro valore fondante del gio-vane rampollo gli veniva trasfu-so dalla religione cattolica.Luogo sacro e integrativo dellapreghiera e dei sacramenti la

chiesa di Santa Maria in Corte,cioè dei Servi. Così pio e zelan-te, il fanciullo Accreman, dasvolgere il servizio di chieri-chetto in pianta stabile. “La miafede era limpida e innocente,incorniciava d’oro tutte le coseche la religione m’insegnava”.Poi, a quattordici anni, la svoltairreversibile. Più realistico dire“l’abiura” del credo apostolicosancita nell’assolata sacrestiadei Servi al termine della fun-zione serale. Svelò “tout court”al canonico che la fede gli erafuggita dalla mente e dal cuore.Che aveva fatto più letture etutte lo conducevano fuori dallaconvinzione religiosa. Il chieri-chetto di ieri conclude schietto econcettuale: “Non sono piùriuscito a credere nella divinità”.Un po’ leopardianamente si erapascolato, nei mesi di unadepressione nervosa, del pensie-ro greco, anzitutto di quel “gran-de mentitore” di nome Platone.Di seguito, a smontare il castel-lo platonico intervieneDemocrito, “il filosofo cheride”, con la sua dialettica dipura materialità. Succedono glianni spavaldi del liceo, che perVeniero restano “il miele piùsquisito della vita”. Ed è suiregistri dell’antichità greco-romana che il pensatore adole-scente si consuma a sondare“l’io” più intimo e, conseguen-temente, la sovranità dell’io sututte le cose. Categoriche lededuzioni: “Il divino che era inme non avrei dovuto smarrirlo”.Il primo percorso nel corpo fem-minile -l’iniziazione, come siusa dire- non successe tra coeta-nei, inverosimilmente con unagiovane madre, consorte di unoperatore commerciale.Trattandosi di Rimini, viene latentazione di parafrasare;“Galeotto fu il mare e il suotempo solare”. L’adulterio viene

consumato nella casa dellasignora e, per giunta, nel talamoconiugale alle undici di sera.Commenta incredulo e stordito:“La grande notte in cui il ragaz-zo diventa uomo”. Il passaggiodalle stelle alle stalle, cioè nellapratica del meretricio postribo-lare, rimane inciso nella memo-ria. Rievoca l’avvocato:“L’esperienza del bordello fusconvolgente. La nudità delladonna, fisica e psicologica, miturbò nel profondo. Il linguag-gio osceno che vi scorreva, labestemmia sulla bocca delladonna… produssero in me unacaduta d’immagine femminile”.La topografia dei ricettacoli ditolleranza indicava il quartiereClodio. Già, il suburbio Clodio!Quell’area urbana la conosco ela ricostruisco visivamente.Sono rimasto parroco delSuffragio 26 anni (1965-90). Hovisitato le famiglie ogni anno aPasqua. Memorizzo edifici, per-sone e cose. Ben poco è rimastodel Clodio pre-postbellico.Comunque le notizie diAccreman sono autentiche eferiscono la mente e il cuore.Meglio di altre sono nella con-dizione di condividere il reso-conto distruttivo: “La memoriadi quei luoghi è legata a sensa-zioni forti… L’aria caldissima efetida riporta parole e frasi atro-ci che colpiscono il petto comemazzate”. Lo studenteAccreman, articolato sulle pre-gnanze del pensiero, non potevaanestetizzare lo spirito di quellalurida e spietata materialità.

MARZO-APRILE 2004

OSSERVATORIO

A R I M I N V M

“LE PIETRE DI RIMINI” DI VENIERO ACCREMAN: IMPRESSIONI E RAGIONAMENTI

“DOPO SIAMO DIVENTATI PIÙ SAGGI”“ABBIAMO IMPARATO CHE ANCHE LE PIÙ NOBILI UTOPIE POSSONO DEGENERAREIN INGIUSTIZIE E DISASTRI”

Aldo Magnani

32

Veniero Accreman

“Il tormento

di un intellettuale

che vive sulla pelle

il ciclone della guerra”

L’

Page 33:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

Seppe emergere con il dettatodel libero arbitrio: “Poi un sus-sulto e non ci andai più”.Gli anni della guerra fascista perVeniero Accreman segnano ilsodalizio col Partito comunistaitaliano. Borghese benestante,scavalca le barriere di classe pertrasferirsi nel proletariato.Costruito filosoficamente conuna cultura “che parlava un lin-guaggio diverso dal nostro”, laborghesia appunto, Accremantrasloca anche fisicamente làdove abitavano il pensiero e lospirito. I riferimenti ideologicierano Marx e Darvin. Così che imaestri del materialismo storicoe della evoluzione selettivasostituivano la filosofia classicadell’Occidente. Le argomenta-zioni speculative venivanoriversate e attualizzate nel parti-to. Il quale “incarnava una enti-tà superiore, una organizzazionenella quale si entrava per sem-pre”.L’ostilità operavita alla guerraborghese-capitalista si materia-lizzava nel “Comitato di libera-zione nazionale”.Posteriormente all’otto settem-bre ’43, Veniero si aggrega algruppo armato del Comitato diliberazione. Gli era possibiletrasferirsi nelle località di attac-co con un documento fasullodelle Ferrovie dello Stato. AGalatea, sull’Appennino tosco-romagnolo, lo stato nascentedell’idillio con la sorella di unpartigiano. “E’certo che lì per laprima volta parlai di amore”.Nell’altalena di scaramucce eimboscate militari, di soste efughe per cime e valli, a Riminifrattanto veniva eseguita l’im-piccagione di tre partigiani.Ragazzi volontari al pari di lui ecoetanei, morivano strangolati il16 agosto 1944 nella PiazzaGiulio Cesare. Da lì a un mese ilrullo compressore del frontecon tutto quel fracasso indiavo-lato che precedeva la liberazio-ne della città.“Le pietre di Rimini” è l’auto-biografia dell’infanzia e l’inci-piente giovinezza di VenieroAccreman, una testimonianzascritta con l’occhio esperto del-

l’età matura e della senescenza.Ed è negli accadimenti rivisitatiposteriormente che va rintrac-ciato il messaggio etico dellibro. L’impasto colto e umanodel racconto mi ha fatto sostarenella riflessione, direi quasiindotto all’analisi e al commen-to.Del rapporto triangolare -donna, filosofia, religione- con-viene ascoltare le singole vocidell’io narrante. La donna, anzi-tutto. Abbiamo lasciato Angelae Veniero a Galatea nell’idilliosuggestivo del paesaggioappenninico. Scorrono gli anninel fiume della vita. Dalla scin-tilla affettiva crepiterà la fiam-

ma dell’amore e, da lì a tre anni,il matrimonio. Ormai celebre edatato negli anni, l’avvocato siconcede al miele dei ricordi:“Trent’anni insieme. Poi ungiorno qualcosa si affacciòimprovvisamente”. Era il nemi-co sotterraneo e distruttivo.Medicina e chirurgia dichiara-vano forfait nella battaglia colmaligno. “Non t’importava dimorire ma avevi paura di trovar-ti laggiù, sotto la terra nera, per-ché lì doveva fare molto freddoe io mi domandavo perché icieli non si squarciavano difronte a tanta pena”. Da ultimo,l’inno della sposa all’amoreprima di scendere all’Ade: “Tivoglio sempre bene”. Con unlinguaggio epico e liricoAccreman ci ragguaglia che ilviaggio nel corpo e nell’animadella donna era compiuto. Manell’ordine positivo per il fatto

che “il mistero carnale delladonna” l’aveva introdotto nel-l’eterno femminino, colei checostruisce e distrugge, che uni-sce e disgrega, che nobilita edegrada, considerate le multi-formi potenzialità del suo esserenella natura dell’uomo.Più complessa e diuturna l’evo-luzione dialettica nel materiali-smo storico e filosofico. PerAccreman la Resistenza scom-metteva tutto sulla conquistadella libertà volta alla costruzio-ne “di una società nuova, ugua-litaria, monda da ingiustiziesociali”. Da lì a quarant’anni laresa dei conti. Proprio perchépunta di diamante nella nomen-

clatura della sinistra riminese, ilmaestro del fòro non si sottraedal considerare le macerie del-l’impero sovietico. Prima emeglio di altri è in grado di con-cettualizzare: “Se poi abbiamocreduto troppo a lungo in uninveramento storico che nonveniva… non passa giorno chela lavagna di quei conti si pre-senti alla memoria”. E non èfinita la confessione di un com-battente passionale ma benmotivato interiormente: “Doposiamo diventati più saggi.Abbiamo imparato che anche lepiù nobili utopie… possonodegenerare in ingiustizie e dis-astri”.Chi scrive ha vissuto le medesi-me battaglie, ma sull’altro fron-te dello schieramento politico-religioso. Anagraficamentedistanziamo di appena ventigiorni, quindi assimilabili per-

ché figli del tempo e contestoambientale. Posso garantire chetutti, proprio tutti abbiamodeviato nell’urlare le nostreragioni contro l’avversario. Diquegli anni grandiosi e terribiliho depositato la mia testimo-nianza nel manoscritto“Memorie Lontane”. Lo spediiall’Editrice Mondadori chelesse e rispose. Pur riconoscen-do l’elaborato stilisticamentecompiuto, i consulenti editorialirinunciavano alla pubblicazionein quanto non disponeva “di unmercato di vendita” da coprirele spese. Cortesemente l’Editoresuggeriva di proporre il testoalla stampa cattolica. La quale,pur felicitandosi della forma edei contenuti, non riteneva ido-nea la pubblicazione del testoconfigurando il polveroneecclesiastico-clericale cheavrebbe sollevato. Tutto ciò perricordare la tromba d’aria nellaquale, cattolici integralisti esocialismo reale, ci eravamorisucchiati.Veniero Accreman si congedavadal parroco dei Servi nella con-vinzione che “l’insegnamentocristiano disprezzava la societàterrena”, con una visione delmondo “monca e slegata” daicardini temporali. Eppure nonsta qui il nodo della questione.Accreman, indottrinato nellafilosofia materialista antica emoderna, aveva perso di vista lecategorie dello spirito. Da ciòl’handicap di considerare almeglio, la Rivelazione giudai-co-cristiana. Massimamente lapersona di Gesù Cristo nellaquale la divinità usava la perce-zione naturale nella formaumana. Riflettendo con l’onestàdel pensiero spoglia di pregiudi-zi, nutro rispetto e considerazio-ne verso quel credo e quei valo-ri che si contrappongono almessaggio cristiano. Se non èpresunzione mi permetto unsuggerimento, questo: di legge-re il libro 7-8 delle“Confessiones” di AurelioAgostino. Vi troverà la ricercaesasperata di un uomo che nelManicheismo aveva smarrita la

MARZO-APRILE 2004

OSSERVATORIO

A R I M I N V M33

Segue a pag. 45

Page 34:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

anto, tantissimo è statoscritto su Rimini, su tutto

ciò che ha contribuito a creare,nel bene e nel male, questacittà. Si può dire che ogni suapiù insignificante componentestorica, socio/culturale oquant’altro sia stata analizza-ta, sviscerata, “rivoltava comeun calzino” da storici insigni,studiosi conclamati o soloanche da appassionati ma aquesta abbondante storiografiariminese mancava ancoraqualcosa. Un qualcosa, omeglio, la storia di un qualco-sa a cui oggi non si prestasempre la dovuta attenzioneperché è lì, ancora in fondoalla strada, dietro la rocca, e sec’è bisogno basta chiamare i115: Sono i Vigili del Fuoco diRimini.Manlio Masini, giornalista,studioso di storia locale, masoprattutto riminese sino almidollo, con la sua ultima fati-ca “Anni di Fuoco”, edito daPanozzo, ha voluto colmarequesta lacuna storiografica. Lastoria dei pompieri rimineseha le sue radici all’albadell’Unità d’Italia quandoRimini, pur contando circatrentamila abitanti, era un pae-sone con velleità turisticheestive unica, o quasi, risorsaper uscire da un’economiarurale stentata dovuta ad unimmobilismo ancora tuttopapalino.Ecco Masini parte da quel lon-tano 17 marzo 1861 e conrigore storico, nonché grandepazienza nell’annotare ognipossibile informazione, rico-struisce, passo a passo, il cam-mino di quel corpo dei pom-pieri così utile alla città macosì poco capito dall’ammini-strazione comunale sempre inlotta con tantissime spese epoche entrate.Ne nasce uno spaccato di vita

cittadina che getta luce soprat-tutto sulla mentalità riminesee, di conseguenza, sulle diffi-coltà quotidiane della Riminidi fine Ottocento, primiNovecento. Allora ecco le buone intenzio-ni della giunta comunale che

portano al primo regolamentodei pompieri con tanto di ser-gente, caporali, trombettieriecc. … Tutte, appunto, buoneintenzioni ma che poco servo-no a spegnere quegli incendiche troppo frequentementeprovocavano ingenti dannidistruggendo l’economia diintere famiglie. E ci vorrà unforestiero, come sempre, unmaestro di ginnastica(Pompeo Zaghi di Urbania)per organizzare il primo corpodei pompieri municipali.Masini non lesina particolari.Riporta nomi, fatti, discussio-ni, speranze, delusioni e tuttele difficoltà che, da sempre,hanno accompagnato lo svi-luppo dei pompieri. Non c’e-rano né carri né cavalli,

pochissimo materiale ma man-cavano anche i secchi e soven-te anche l’acqua. Quello cheabbondava erano le critichedella opposizione semprepronta a sfruttare politicamen-te le difficoltà di un servizioche avrebbe dovuto invece tro-vare tutti concordi e disponibi-li. Così il corpo dei pompieririminese, alloggiato in unastanza sotto i portici del palaz-zo comunale, si affacciava

MARZO-APRILE 2004

LIBRI

A R I M I N V M

“ANNI DI FUOCO”DI MANLIO MASINI

I POMPIERI NELLA STORIA DELLA CITTÀ DI RIMINISilvana Giugli

34

T

“ANNI DI FUOCO” DI MANLIO MASINI

FATTI DI QUOTIDIANO EROISMOGerardo Filiberto Dasi

Nel 1861 la città di Rimini non possiede ipompieri e “…nemmeno gli arnesi per spe-gnere il fuoco. In caso d’incendio ci si affidaalla solidarietà della gente e si spera nellabuona sorte”. Ce lo ricorda lo storico ManlioMasini nel suo bel volume “Anni di fuoco”, ipompieri di Rimini dall’Unità d’Italia allalegge del 1941 (Panozzo Editore), un sag-gio per tenere desta la memoria su uncorpo, quello dei vigili del fuoco, che tanticontributi ha dato alla nostra città.Singolare scelta tematica, la narrazionedella storia dei pompieri riverbera le scelte egli accadimenti della comunità riminese, isuoi passaggi civili e sociali, i fatti quotidia-ni e, naturalmente, gli incendi. Come quellodel luglio del 1920 che devasta il GrandHotel evidenziando l’inefficienza di un servi-zio pompieristico che assume una sua digni-tà professionale solo a partire dal 1930.E’ una storia a tratti commovente, segnata

da atti di genuino volontarismo e generososenso civico, da tecnologie che fino alloscoppio della Seconda guerra mondiale sipossono definire del tutto artigianali.Nell’aprile 1912, ricorda l’autore, vieneacquistato un carro a trazione animale conpompa incorporata che consente anche iltrasporto di sei uomini. Per farlo funzionareè necessario requisire i cavalli… Si puòimmaginare quale rapidità di servizio possaesserci stata! Ma tant’è, i mezzi dell’epocaerano questi, e l’opera dei pompieri restacomunque preziosa quando arrivano le allu-vioni del 1910 o quando, come nel 1937,una pioggia torrenziale fa straripare ilMarecchia e l’Ausa allagando decine di abi-tazioni e industrie.Storia eroica di uomini, come Adrio Sartini,medaglia d’oro al valor civile, o dell’omoni-mo Silvio Sartini che riceve un encomio peraver salvato un operaio colpito da asfissia in

“Uno spaccato

di vita cittadina

che getta luce

sulla mentalità riminese

e, di conseguenza, sulle

difficoltà quotidiane

della Rimini di fine

Ottocento,

primi Novecento”

Page 35:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

all’alba del XX secolo, stima-to dal popolino ma guardatocon sufficienza, se non deriso,da carabinieri, militari esoprattutto da quella cittadi-nanza benestante che conta.Le pagine dedicate alle guar-die-pompieri e le successivesono tutte da leggere per com-prendere quale fosse veramen-te la realtà di quella decantata“Ostenda italiana” del primoventennio del secolo. E ancoraun forestiero, questa volta unmeridionale (Elia Testa diFormia), sarà colui che daràprestigio e professionalità alcorpo pompieri che trovavaanche sistemazione più deco-rosa nell’ex convento degliAgostiniani.Masini, da professionista qualè, rilegge tutte le cronache deltempo, riporta stralci di artico-li e non si lascia ingannare dafacili commenti soggettivi macontinua a scoprire, attraversole vicende dei pompieri, que-sta città dove neanche la

Grande Guerra e il terremotoplacavano le polemiche. Cosìancora ritardi, incompetenze,incomprensioni e negligenzeda tutte le parti sfociarono nelrogo del Grand Hotel del1920. Significativo è il brano,fedelmente riportato dalnostro autore, tratto dal fami-gerato “Germinal” che delineain modo cristallino “il forte

stato di turbamento etico esociopolitico” della Riminipre-fascista e che esortava unacerta opinione pubblica adapplaudire le fiamme che bru-ciavano un simbolo della bor-ghesia cittadina, appunto ilGrand Hotel. Poi i tempi cam-biarono e al comune arrivaro-no, per poco, i “rossi”, i socia-listi e tutto cambiò. E anche i

civici pompieri, come miticaFenice risorsero dalle ceneri diincendi mal domati e diventa-rono un vero corpo con mezziadeguati ed organico operativoaddestrato ad arte anche se adirigerli fu sempre, guardacaso, lo stesso “forestiero”Elia Testa. E quando quell’exmilitare laziale, tanto esecratoquanto osannato da tutte lecomponenti politiche cittadi-ne, diede le dimissioni dopo15 anni di onorato servizio,nessuno, proprio nessuno sipreoccupò di dirgli un solograzie. Ecco la Rimini fascista ecco ilracconto di Masini avvicinarsial termine con gli anni delRegime che azzittirono tutte lepolemiche consegnando ipompieri alla direzione del-l’ingegnere del Comune ArioValentini aiutato nel comandoda Giovanni Balestri: questavolta entrambi riminesi. Nel1939 i pompieri diventaronoCorpo Nazionale dei Vigili delFuoco con una nuova sede inVia Condotti (oggi via D.Campana) fatta apposta perloro e tutto, la storia dei pom-pieri e quella della loro città,tra incendi e nubifragi, scivolòvelocemente via verso laguerra che tutto travolge estravolge.Il libro di Masini è dunque unlungo racconto che, narrandola storia dei pompieri, fa lucesu un aspetto del nostro passa-to da pochi conosciuto. E’indubbiamente un tesselloimportante della storiografiadi Rimini che mancava e cheMasini ha voluto regalare allasua città per ricordare il lavorocostante di tutti coloro checontribuirono, anche senzachiasso e tra mille polemiche,a far vivere questo indispensa-bile Corpo dei Vigili delFuoco. Bello e doveroso, dopola cronologia, è l’elenco, connote biografiche, di tutti ipompieri che prestarono laloro opera a Rimini e questo fadel libro “Anni di Fuoco” diMasini non solo una monogra-fia unica ma anche preziosa.

MARZO-APRILE 2004

LIBRI

A R I M I N V M35

seguito alla caduta in un grande serbatoiodi benzina. Oppure di Virginio Stramiglioli,considerato un comandante intelligente ecoraggioso, e ricordato per la sua abilità inoccasione del soccorso alle località diBellaria e Igea Marina, colpite dal ciclonedel 1937.Attraverso il ricordo della gesta a tratti eroi-che dei pompieri, Masini ricostruisce unaltro pezzo di storia riminese, con un’ango-lazione inedita e per molti versi curiosa. Ipompieri, che solo nel 1938 assumeranno ladenominazione di “vigili del fuoco”, sono itestimoni di una città che cambia: dal suoessere poco più che un villaggio, alla gran-de espansione urbana degli anni del dopo-guerra. Incendi e nubifragi sono l’occasioneper misurare la tempra di un pugno di abilie a tratti eroici pompieri, ma anche lo svi-luppo di una città e delle sue periferie, sem-pre più insediate da industrie e attività eco-nomiche e commerciali di ogni tipo.La benemerita attività dei pompieri, dunque,può essere presa a paradigma della storiacittadina, laddove attraverso il contributo diun corpo di soccorso s’intravede il passag-

gio storico dalla dimensione rurale a quellaindustriale. Contributi storici come questo,inoltre, aiutano a ricostruire un sentimento diattaccamento alle origini di cui si sente sem-pre più il bisogno, dal momento che il turi-smo, con i suoi riti e contaminazioni interna-zionali, ha impresso un’accelerazione alcambiamento di cui conosciamo tutti i risvol-ti, positivi ma anche negativi.All’origine c’è una città semplice di gentesemplice, che poi conosce a partire daglianni Trenta una tumultuosa crescita, fino adiventare quella straordinaria e contraddit-toria città che conosciamo oggi, dove i vigi-li del fuoco rappresentano un presidio indi-spensabile per la sicurezza di centinaia dimigliaia di persone e ospiti stranieri. Il volume di Manlio Masini, dunque, va adarricchire la ricca pubblicistica che Rimini,con il contributo degli enti pubblici, si è volu-ta dare negli ultimi tempi. Si tratta di volumistorici importanti, e mai c’era stata in altreepoche tanta concentrata e ricca produzionelibraria sulla città. Un segno che va colto intutta la sua positività, come sentimento diriappropriazione della memoria e d’identità.

Page 36:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

hissà oggi come sarebbeRimini se non avesse

subito quei 95 disastrosi bom-bardamenti aerei con tutte lerelative tragiche conseguenze?Chissà come sarebbero i rimi-nesi?Forse un po’ meno“paganelli”, forse un po’ piùamanti e rispettosi della lorocittà… Oggi, forse, si potreb-be passeggiare per le vie delcentro e vedere tra moderninegozi e caffè alla moda lefacciate di storici palazzi echiese antiche e, senza dubbio,sarebbe molto più saldo edaffidabile quella sottile “linearossa” che unisce ieri all’oggie guida verso il domani.Ecco dunque sedici storie persedici monumenti che Riminiha perduto con la guerra.Sedici storie, documentate da73 foto, e relativi particolaristorici, per non dimenticareche Rimini non è sempre stata

solo boutique, discoteche, pubo stabilimenti balneari chericoprono, con un manto poli-cromo di cemento, la sua bel-lissima spiaggia, ma c’era benaltro…Il dottor Arnaldo Pedrazzi,collezionista, amante dell’artee della storia, era un bambinonegli anni Quaranta, ma c’erae certe immagini, certe scenele ricorda e, da buon riminesedi vecchia stirpe, ha volutocon “La Rimini che non c’èpiù”, edito da Panozzo e conprefazione di Manlio Masini,fissare in poche pagine densedi storia quella Rimini irrime-diabilmente perduta per sem-pre.Ecco così prendere vita lesedici storie dei monumentiperduti quasi “finestre aperte”su una Rimini oggi impensabi-le. Il dottor Pedrazzi, con stile

pacato e professionale, non silascia coinvolgere emotiva-mente ma tuttavia non indugianel rispolverare antichi “fat-tacci” che vanno bel oltre glieventi bellici ed allora eccoriaffiorare la storia di quelleantiche chiese o palazzi rispar-miati, almeno nella facciata,sia dalle bombe “poco intelli-genti” dei liberatori sia dallabarbarie degli oppressori mache non sfuggirono, ironiadella sorte, alla demagogiapost-bellica dell’uomo e chefurono sacrificati per favorireil nuovo piano regolatore o,peggio ancora, per ubbidire aicriteri di una “follia demolitri-ce” di matrice politica.Nel libro di Pedrazzi tornano avivere, nel breve spazio dialcune pagine, tra le altre, lachiesa di Sant’Agnese, ilPalazzo del Cimiero, ilPalazzo Lettimi, il famoso e

tanto contestato e quanto rim-pianto Kursaal e, ultima dellalunga lista, anche quella PortaMontanara che con tutta laforza delle sue millenarie pie-tre è riuscita a sopravviverealle offese degli uomini rigua-dagnandosi l’antico spazio.Il libro di Pedrazzi è dedicatoa tutta la città, a tutti i rimine-si di ogni epoca ed origine. E’un libro che non vuol esseresolo informativo ma vuoleproporre una riflessione per-ciò, come disse quel celebreshowman: “meditate gente,meditate…”.

MARZO-APRILE 2004

LIBRI

A R I M I N V M

“LA RIMINI CHE NON C’E’ PIÙ”DI ARNALDO PEDRAZZI

STORIE PERDUTE CON LA GUERRASilvana Giugli

36

C

scito nel dicembre del 2001 da “La Riccionese”, il librodi Maurizio Casadei racconta la tragedia del passag-

gio del fronte, a San Clemente, nell’ultimo scorcio d’estatedel 1944. Un’ottima ricostruzione dei fatti, uno studioattento arricchito delle testimonianze di numerose personeche vissero quel momento. Il testo è corredato da molte fotografie e da cartine topo-grafiche sulle quali si possono seguire tutti gli spostamentidelle truppe tedesche ed anglo-americane al di qua e al dilà della linea gotica.Dalle date corrispondenti alle battaglie, si può notare il tirae molla dei due eserciti che si contendevano il territoriopalmo a palmo cercando, gli uni, di tenere salde le posi-zioni per coprire la ritirata dei commilitoni verso il confinedelle Alpi e, gli altri, di sfondarle per dilagare velocemen-te nella pianura del Po.Le perdite furono rilevanti da ambedue le parti e nonrisparmiarono neppure i civili affamati e fuggiaschi,

“NON PASSAVA MAI” DI MAURIZIO CASADEI

IL FRONTE A SAN CLEMENTEEmiliana Stella

U

costretti a nascondersi nellebuche scavate nel terrenoquando era preclusa ogni pos-sibilità di fuga. Dagli ultimigiorni d’agosto fino alla fine disettembre, il comprensorio del-l’odierna Provincia di Rimini,non fu sgombro dalle duearmate.L’argomento interessante dalpunto di vista storico-geografi-co, riapre vecchie ferite forsemai del tutto cicatrizzate. Si ripeteva, come troppe altrevolte in Italia, la devastazione di un paese battuto metro permetro. Non ha senso parlare di invasori e liberatori: eranosolo “tutti” stranieri che cercavano di annientarsi a vicendaper raggiungere, come avrebbe detto Guicciardini, “cia-scuno il proprio particulare” e gl’Italiani, disorientati, sicombattevano divisi in opposte fazioni...”

“I fratelli hanno ucciso i fratelli: questa orrenda novella vi do”.

L’eco lontana della battaglia di Maclodio si rinnovava anco-ra in una dolorosa realtà.

Page 37:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 38:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 39:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

entre sulla nostra amatacosta, in vista della pros-

sima stagione estiva, si è aper-to tra le categorie economichee la classe politica l’ennesimodibattito sul rinnovo delmodello turistico “Riviera”vien facile pensare all’enormeimportanza dell’elementomare nel nostro territorio. Unafortuna perlopiù basata pro-prio sull’acqua salata. Di certo i tempi recenti cihanno insegnato che non sitratta più “dell’Adriatico sel-vaggio, mare verde come ipascoli dei monti” cantato daGabriele D’Annunzio ne “Ipastori”. Sul portato simbolicodi questa grande massa d’ac-qua che ci fronteggia sonostati spesi fiumi di inchiostro.Riferimenti all’Ignoto, mate-ria in perenne movimento, daimutamenti repentini e dai fon-dali bui e misteriosi. Da questipresupposti al concetto dipaura del mare visto come ele-mento minaccioso e imponen-te, spesso portatore di pericolie morte il passo è davverobreve. Dal mare arrivavano, omeglio sbarcano i pericoli, daipirati in antichità ai bombar-

transito, il viaggio, con ilnuovo, il diverso. Che il maresia nella nostra epoca ormaistrettamente connesso allaidea di tempo libero, di vacan-za spensierata e all’aria aperta,la nostra terra lo sa bene. Ilsole, il divertimento e gliaspetti igienici del prenderebagni di sole e acqua salatasono stati e sono la fortunadella nascita del nostro turi-smo. Fenomeno questo che sipuò azzardare a rappresentarecome un viaggio circolare,costituito da una partenza, untransito e un ritorno finale. Lapartenza è qui vissuta comeatto volontario. Esiste peròanche una tipologia di viaggioforzato, i cui protagonisti sonoclandestini, schiavi, esuli, per-sone che attraverso un esododecidono di tentare la sorte diun destino avverso. Transiti disofferenza e penitenza, di par-tenze rocambolesche e spessosenza ritorno. Vite umane spa-rite nei flutti. Disperati chehanno messo il loro destino inmano a moderni e spietatimercanti di schiavi. Viaggi disperanza divenuti viaggi dimorte.

MARZO-APRILE 2004

ZIGZAGANDO

A R I M I N V M

VIAGGI DI VACANZA E DI… SPERANZA

PENSIERI DI MAREGerardo Filiberto Dasi

39

M

BLOK-NOTES di Sandro PiscagliaLA NUVOLETTA

Una nuvoletta bianca, sbaffiata di rosa dalla luce del tra-monto che stava per arrivare, vagava nel cielo, sopraVerucchio, tutta confusa che s’era perduta. Si era distrattaperché alitava su di lei un venticello tiepido del sud, che,visto che lei faceva la ritrosa, l’aveva piantata per diriger-si verso alcune nuvolette bianche, dense e rotonde che sipavoneggiavano pochi gradi più in là, di là del Marecchia,sopra Torriana.La luce era nitida perché un vento teso e fresco aveva puli-to il cielo da ogni velo, impurità o insetto; il frescolino face-va rabbrividire la scorza degli alberi che forzavano tutta laloro linfa verso le gemme già gonfie. Dall’alto della collinala terra sembrava grandissima colorata di verdi intensi chenon sembrava primavera e sul fondo faceva da cornice,sotto il cielo blu, la lunga banda di azzurro intenso delmare Adriatico.

Gerardo Filiberto Dasi, Pensieridi mare, 1954, tempera su

carta, cm. 35X49

dieri della seconda guerramondiale. Infatti le popolazio-ni stabilmente sistemate suuna costa già “bonificata” arri-vano in tempi più recenti epacifici. Da sempre però, maresignifica anche apertura, pos-

sibilità di commerci e ricchez-za, spazioso orizzonte mentalee fisico da colmare con il

“Da sempre però,

mare significa

anche apertura,

possibilità di commerci

e ricchezza,

spazioso orizzonte

mentale e fisico

da colmare

con il transito,

il viaggio,

con il nuovo,

il diverso”

“Transiti di sofferenza

e penitenza,

di partenze

rocambolesche

e spesso senza ritorno.

Vite umane sparite

nei flutti.

Disperati che hanno

messo il loro destino

in mano a moderni

e spietati mercanti

di schiavi”

Page 40:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

icordare oggi, UldericoMarangoni, è puro eserci-

zio simbolico, tanto la di luifigura ha perduto, col tempol’originale nitidezza che, invita, caratterizzava il perso-naggio. La sua memoria, tra leinevitabili paramnesie e gliinnumeri paralogismi, sicostella, sempre più, di un’in-finità di determinazioni laten-ti, di contaminazioni apocrifeed i ricordi delle infiniteavventure, che lo avevanoavuto protagonista, sono oggi,purtroppo, non altro che geli-de epilepsie prodotte dai rac-conti di improvvisati infilzato-ri d’acutezze insipidi e dozzi-nali. Marangoni, per i più,resta il “supertifoso”, quelloche vestendosi da pagliaccio,in completo biancorosso, colcappello a cilindro sul capo, insella ad una povera cavalcatu-ra, procedeva, incurante deldileggio, lungo l’anello di ten-nisolite che circondava il pratodel vecchio stadio “RomeoNeri”. Ma il senso comune, sisa, è falso oltre che profonda-mente immorale. UldericoMarangoni, da parte sua,apparteneva esclusivamente alfantastico ed il fantastico è,sempre violazione della rego-larità, rottura dell’ordine rico-nosciuto.Nato da una nobile, anticafamiglia che possedeva pode-ri, cascinali, nella vallata delfiume Conca, mostrò, fin dagiovane scarso interesse per lecure e i negozi che naturaliter,gli sarebbero dovuti esserepropri. La giustificazione ere-tica all’esistenza non fu un’e-sclusiva invenzione diNietzsche. Più che dai proble-mi agrari, più che dagli studiseveri e continuati, più chedalle compagnie di giovanottiben nati, il nostro Ulderico, fuattratto dalla bramosia dell’in-

cognito, per cui, contro lavolontà dei genitori che loavrebbero voluto veterinario ofarmacista si invescò con itiratardi, con i giocatori dibiliardo, con tutta la ciurma-glia di pokeristi, giuntatorii,cerretani, mangiaguadagniche, nell’immediato dopoguerra, bivaccavano, senzaconsolazione né gioia, neipoveri caffè delle città semidi-strutte. La guerra, avevamostrato la vanità delle cose,la labilità delle imprese delmondo, e per un giovane usci-to da una così triste, dramma-tica esperienza, il desiderio divita, di gioia, di felicità, dove-va essere, necessariamenteforte ed irrefrenabile. Avevascritto Josef Capek: “nonvoglio mortificare il mio corpoe amo troppo il mondo!” In talmodo, tra i tavoli verdi, lefumose bische, i nights, le pia-cevoli compagnie femminili(non doveva essere gran faticafarsi amare per uno che passa-va il metro e novanta, che pos-sedeva fascino, soldi ed erageneroso) il nobile Ulderico,andava, sempre più, dal nullaal nulla, illudendosi di sentirela vita, non come sconfitta, macome “un grande e inattesoregalo”. Nella vicina repubbli-ca di San Marino, nei primianni cinquanta, funzionava uncasinò. C’era stato anche chi,nel torrido luglio del 1950,quando miriadi di madonnepellegrine percorrevano il loroanacronistico tour, pensò di

scoraggiare i giocatori,cospargendo di chiodi, l’asfal-to della vecchia strada cheportava in cima al Titano.Forse, fu quello l’unico luogoin cui Ulderico Marangoni,riuscì ad essere compiutamen-te felice. Lì, dove i manichiniin abito scuro, come formichesfaccendavano ciecamenteattratti dal piroettare incessan-te della pallina nell’insulsocatino della roulette, potélasciarsi andare alla turbinosadanza del rischio facendositravolgere dalla frana dei tra-sognamenti, riuscendo a sod-disfare il mai, in lui sopito,anelito di avventura, attrattocom’era dalle lontananze delrischio, desideroso di fuggirel’impaccio della negra vita.Purtroppo, la magia del fortui-to, per quell’inevitabile demo-nia che da sempre è connessaalle inintelligibili algarabie delgioco, gli fu avversa. La mala-sorte lo scagliò, di colpo, nel“profondo Caucaso” delladisperazione. Vedovo deldenaro, spariti gli amici che,come gli allocchi delle fiabe,gli preconizzavano “cacarelled’oro e dissenterie di maren-ghi”, Ulderico Marangoni,dovette sperimentare quantofosse cocente la sofferenza diun reietto esposto al ludibriodi lestofanti, gabbamondo,scrocconi, ruffiani, arcadori,perché quelli e soprattuttoquelli, erano i compagni coiquali amava mischiarsi, com-pagni che si dimostraronovelocissimi a dileguarsi comeil corvo dell’arca di Noé.Per un barbassoro della stirpedegli avventurieri, com’era ilnostro uomo, era impensabileconsumarsi negli affanni diuna saturnale malinconia. Perlui, l’estrema possibilità disalvezza si concretizzò in unafuga che era pur sempre un

tuffo nel fuoco del mistero,un’ulteriore sfida all’ignoto efurono le porte della casermadella Legione Straniera di Sidibel–Abbès che lo accolsero inun abbraccio gravido dirischio e di avventura. Gliassegnarono un numero dimatricola, gli fu consegnato ilpaquetage ed ebbe inizio ilduro periodo d’addestramentofatto di marce forzate, lezioni,pulizie, esercitazioni al poli-gono, tra le imprecazioni deisottufficiali, avendo per com-pagni la più incredibile ed ete-rogenea fauna del creato:nobili, apaches parigini, delin-quenti, criminali mentre legravi note de Le Boudin scan-divano i tempi di quella, perlui nuova, incongrua, trava-gliosa avventura esistenziale.La destinazione definitiva peril 3ème Régiment Etrangerd’Infanterie fu il forte di LangSon, nell’estremo nord vietna-mita. Per lungo tempol’Indocina era stata considera-ta, dai legionari un’assegna-zione privilegiata; una sorta diricompense per servizi ecce-zionali prestati in altri luoghi.L’ammontare de le solde pergli uomini destinati alle zoned’oltreoceano era consistente,la regione lussureggiante.C’erano servitori che lucida-vano gli stivali ai soldati esoprattutto c’erano donne.Donne dalla pelle ambrata,donne silenziose, sorridenti esoprattutto molto, molto dis-ponibili. Per contro, favoritidalla gretta amministrazionedei francesi, in virtù dellaquale i diritti umani eranocostantemente violati e le atro-cità commesse contro i vietna-miti di una efferatezza inenar-rabile, molti legionari si eranoinframmischiati alle coschemafiose locali e le turpitudini,i delitti, gli abusi da loro com-messi, sollecitarono una fortereazione. Inoltre i legionarivenivano chiamati regolar-mente a far parte dei plotoni diesecuzione per provvedere allefucilazioni sommarie di lea-

MARZO-APRILE 2004

PERSONAGGI

A R I M I N V M

ULDERICO MARANGONI

DALL’INFERNO DI DIEN BIEN PHUAL PARADISO DELL’EMBASSY

Enzo Pirroni

40

R “Nato da una nobile,antica famiglia

che possedeva poderi,cascinali, nella vallata

del fiume Conca,mostrò, fin da giovanescarso interesse per...”

Page 41:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

ders della resistenza. Una vio-lenta campagna, condotta gra-zie a documentatissimi pam-pleth, lanciata dai rivoluziona-ri, accusava la Legione diessere “un esercito senza frenie fuori da ogni controllo. Uncoacervo di canaglie che stu-prano, rubano e uccidono(…..) uomini e giovani vengo-no arrestati e uccisi a sanguefreddo e senza processo daquesta banda di pirati che èstata lasciata libera di scate-narsi per tutto il Paese”.Spesso, nei magmatici, agglu-tinati racconti che avevano peroggetto questo preciso perio-do, Ulderico Marangoni, ram-memorava situazioni cupe edaggrondate come un dies irae:la lunga teoria di cadaveri,l’indicibile seminario di scel-leratezze, di indegnità, disoprusi, di prevaricazioni aidanni di popolazioni tremule espaventate si alternavano agliirruenti conflitti che deflagra-vano fra i legionari, per acca-parrarsi una fanciulla impube-re o meglio ancora un’oca, chea suo dire, era un animaleoltremodo lascivo e sensuale.Lo spavento, procurato dal-l’andare in perlustrazionenelle insidie del marécage,sotto un cielo privo di stelleche spegneva ogni ardore edogni immaginazione, si fram-mischiava alle raffiche lontanedelle mitrailleuses.Dien Bien Phu, località sper-duta e senza storia, si trovava145 chilometri ad ovest diHanoi. Tutt’intorno la giungla.La battaglia, che avrebbe fattoentrare quel toponimo nel wal-halla degli eventi guerreschi,ebbe inizio il 13 marzo 1954.Le posizioni dei soldati fran-cesi, ridotte ad immondi pan-tani dalle piogge monsoniche,vennero battute incessante-mente da un violento fuocoprodotto dall’artiglieria delgenerale Giap. Le trincee ed iripari saltarono in aria. Molti,che avevano avuto la venturadi non lasciarci la pelle duran-te il bombardamento, fecerola fine del topo, restando

sepolti vivi nella mota dismos-sa. Dopo otto ore di quel mar-tellamento, i pochi sopravvis-suti che si erano stretti attornoal brigadiere generaleChristian de Castries, cercaro-no, compiendo una ritirata tral’acqua, il fango, la foresta, letrappole tese dai viet, con ibengala e le cascate di fuocoche rischiaravano i sordidicortinaggi del cielo, di rientra-re nelle linee francesi.Ulderico Marangoni fu traquesti. La magia della baraka,anche per quella volta, avevafunzionato. Già, la baraka.Spesso, allorché Ulderico, piùper compiacere gli ascoltatoriche per altro, dava la stura aisuoi racconti, nei quali l’o-stentata grulleria riversava suibenpensanti strali di sarcasmodemolitore, si vantava di que-sto privilegio che gli avevaconcesso di uscire indenne daldiavolio della guerra e che glipermetteva di sopravviveregiorno dopo giorno, senzalasciarsi travolgere dalla cor-rente, salvando la propria irri-ducibile sostanza biologica.Questo privilegio era la bara-ka. Si tratta di una vecchiadefinizione, una parola araba,

che veniva applicata a queilegionari che avevano il rarodono di schivare le pallottoledurante le battaglie. La magiadella baraka, dovette proteg-gerlo senz’altro anche quando,terminata la ferma (o avevadisertato?), si trovò aMarsiglia. Cosa abbia vera-mente fatto nella caotica cittàportuale, non è dato a sapere.Di sicuro le bettole, le sordidebische dell’angiporto lo ebbe-ro frequentatore assiduo. Disicuro stazioni obbligate dicodesto soggiorno in CostaAzzurra, furono quelle auten-tiche boutiques à merveillesche per lui erano i casinò.Fece ritorno a Rimini conestrema noncuranza. Rimini,in fondo, non permette a nes-suno di andarsene. Rimini,aggrottescata di essudati stra-vaganti, propizia agli incontrifortuiti, alle raffiche di clow-neria, Rimini che ti afferra conle sue violente estati, con lesue male arti, col suo paraliz-zante miele, accolse come,avrebbe potuto farlo una tene-brosa, scaltra, lusinghevole

puttana, il nobile, avventurosoUlderico il quale, sorniona-mente, seppe insinuarsi nell’a-nimo della vecchia città. I fra-telli Semprini, si erano,i m p o s s e s s a n d o s idell’Embassy, elevati ad asso-luti margravi della vita nottur-na riminese e lì, nella sinforo-sa, elegante atmosfera, ilnostro uomo, fissò il proprioterritorio di caccia facendosi,di volta in volta ministriere,tombeur de femmes, prestan-dosi volontariamente, congrande amabilità e facetudine,ai lazzi, il più delle volte doz-zinali, che pavoni vestiti dipenne così pompose come laloro ignoranza, andavano con-tinuamente lanciandogli con-tro, forti delle loro ricchezze edel loro tristo prestigio.Danzò, senza, per altro, udirela musica (la sordità era ungrazioso cadeau chel’Indocina gli aveva fatto), conle più belle donne del tempo,strizzando, in verità, un occhioall’incomparabile Elio, un bar-man di classe superiore cheseppe ammollirgli e rallegrar-gli l’amaritudine paraletica diun’esistenza costantementecondotta sul canapo delrischio e della precarietà,offrendogli colazioni superbee cene sontuose. C’è scrittonel Corano: “Lasciate gli altiprincipi per le grandi cose,nelle piccole basta la miseri-cordia”. Poi veniva il calcio.Della materia calcistica, pro-prio per l’inconsistenza ogget-tuale che le è propria, tuttipossono liberamente disquisi-re. Marangoni di calcio ne par-lava indifferentemente nei tonihilares et severos ma, era equesto non bisogna dimenti-carlo, un vero e proprio tecni-co, addentrato fin nei più pro-fondi segreti di quel mondodisumanato e da sempreimmerso in flagiziosi affari.All’appressarsi di ogni stagio-ne agonistica nella quale laRimini Calcio era impegnata,il nostro ex legionario, provve-deva a far stampare una sorta

MARZO-APRILE 2004

PERSONAGGI

A R I M I N V M41

Ulderico Marangoni nelle vesti del

“Supertifoso Biancorosso”

Segue a pag. 43

Page 42:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

icordava ancora la gioia ele sensazioni provate nel

creare i suoi abiti più belli.Erano ancora tutti lì, sparsisulle sedie intorno a lei, comefossero in attesa di essere ter-minati o di essere ritirati. Livedeva con l’immaginazione,con la memoria, percorrendotutto il disegno, tutte le linee,tutto l’intreccio di fili di setacolorati.Sul raso lucido color celestepallido, sfumante nel grigioperla, si delineava il tracciatodei rami leggeri, con piccolifiori rosati e foglioline e deli-cati boccioli, in un progressivoespandersi che andava via viaricoprendo tutto il corpinodella veste: una ricca fioriturarosa che donava all’abito lapreziosità di una trina e quellagrazia leggiadra che solo leisapeva creare.Ago e filo erano il suo pennel-lo di artista. Sulla spallieradella poltroncina lì accanto,una cascata di stelle scintillan-ti su velluto nero, in un giocodi perle, di paillettes e di strasscreavano suggestivi effettiluminosi di rara bellezza. Datanto tempo Adriana esercita-va la sua arte: ricamatriceimpareggiabile, era stata ricer-cata dai migliori sarti e avevacreato veri capolavori, indos-sati nelle sfilate di alta moda epoi acquistati da signore chenon temevano di pagare unprezzo elevato per portarsi viaun sogno di bellezza.Eppure Adriana era povera.Forse il suo destino era quellodegli artisti, che inventano eforgiano opere di valore manon sanno ricavarne alcunutile concreto, perché il lorogenio si esplica in piena liber-tà creativa, lontana da ognicalcolo pratico e venale.Quando ricamava inseguivaqualche visione di armonianota solo a lei, che sollecitava

i suoi sensi e l’appagava inmodo misterioso. E questo eralo scopo vero del suo lavoro:ogni altro aspetto le sfuggiva.La storia di Adriana era cono-sciuta a Rimini, negli anni del“boom” economico dopo laguerra, quando le signoredella borghesia cittadina sicontendevano i suoi preziosiricami e gareggiavano nellosfoggiare abiti che uscivanodalle sue mani.Tutto era cominciato moltotempo prima: Adriana era gio-vane e bella, allora. Alta eslanciata, aveva modi socievo-li e raffinati. Era partita daRimini per frequentare aRavenna la Scuola di BelleArti dove otteneva ottimirisultati. Attirava gli uominicome una calamita ed eraattorniata da corteggiatori,incantati sì dalla sua bellezzama anche, o soprattutto, daquell’aria delicata, gentile etrasognata che la contraddi-stingueva. Un giovane ufficia-le di carriera riuscì a conqui-starne il cuore, così Adriana sifidanzò e avviarono progetti dimatrimonio. Ma qualcosa nonfunzionò.Le spose degli ufficiali desti-nati a un brillante avveniredovevano presentarsi allenozze con una dote adeguata,ma Adriana non aveva dote. Isuoi genitori erano morti datempo, il fratello e la sorellaabitavano nella vecchia casa dicampagna alle spalle diRimini: persone colte e di otti-ma educazione, ma ormaisprovviste di mezzi economi-ci. Così volle provvedere ilfidanzato che, mese per mese,le affidava una cifra da accan-tonare per il matrimonio.Adriana era artista, era dolce,era sognatrice, ma era del tuttopriva di senso pratico. Nonaveva una precisa cognizionedel denaro e viveva alla gior-

nata inseguendo i suoi estri,lasciandosi attirare da cose,situazioni e persone che viavia risvegliavano il suo inte-resse, senza riflettere troppo.Fu così che, prossima allenozze, dovette confessare alfidanzato di non ritrovarsialcun risparmio. Dov’eranofinite le somme mensili cheaveva ricevuto? Adriana nonlo sapeva. E tutto naufragò:amore, matrimonio e sogni diun brillante futuro.Tornata a casa, si rifugiò dallasorella Maria che cercò diconsolarla e la stimolò a sfrut-tare gli studi intrapresi, anchese non erano stati conclusi.Adriana era insicura, piena diprogetti ma incerta sul mododi realizzarli e troppo assortanelle sue fantasticherie.Dipingeva, sognava, leggevae…ricamava. Sì, perché ilricamo era l’unica attività pra-tica che aveva appreso in fami-glia. Ogni altro lavoro casalin-go le riusciva ingrato, ma ilricamo no: il ricamo le stimo-lava la fantasia e assecondavail suo bisogno di bellezzaquasi più della pittura, perchécon ago e fili colorati, perlinee paillettes, le sembrava dicreare direttamente con le suemani oggetti, impressioni esuggestioni più che col pen-nello.Poi un bel giorno partì, inse-guendo chissà quale chimera.Le vicende di Adriana si per-dono nella nebbia delle leg-gende cittadine, lei stessa nonraccontò mai con precisione lesue vicissitudini perché il suocarattere riservato non amava ipettegolezzi ma anche perchési rendeva conto che la suavita era stata un succedersi difallimenti, di fortuna avversa,di comportamenti un po’ trop-po avventurosi. La sua vita, infondo, riguardava solo lei. Etutti i suoi amori, tutte le espe-

rienze, tutti i sogni inseguiti epoi frantumati, formavano unastoria che era la storia di un’a-nima inquieta, di un tempera-mento ansioso di libertà eassetato di bellezza, che igno-rava le regole più elementaridi vita quotidiana e di comunesaggezza. Dopo ogni disav-ventura, che fosse un amoreinfelice o un lavoro naufraga-to, correva a rifugiarsi dallasorella Maria che l’accoglievacon affetto ma con la sofferen-za di non poter placare le sueansie o consolare le sue malin-conie. Maria conosceva, forse,le debolezze e i mutevoliimpulsi della sorella, per que-sto non la incoraggiava adadagiarsi nel “nido”, per poidiventare facile preda dei suoistessi sogni, ma la esortava acostruirsi un avvenire concre-to, anche se modesto. La casanatia, proprio in cima al colleaccanto alla chiesa parrocchia-le, era per Adriana un luogotranquillo e sicuro. Da lì pote-va vedere gli ampi orizzontidelle colline, del mare, i profi-li dell’Appennino, poteva con-templare l’armonia dei colorinel giardino fiorito, le sfuma-ture dell’autunno o dei tra-monti estivi; e poteva fantasti-care senza fine inseguendocon lo sguardo il viaggioperenne delle nuvole in cielo.L’atmosfera quieta della vec-chia casa la rasserenava, fin-ché non veniva ripresa dallasua smania di correre lontano,in cerca di nuove esperienze edi una nuova vita.Fu così che un giorno partì perParigi. Forse lo fece per conti-nuare gli studi e perfezionarela sua abilità artistica, forseper tentare un lavoro interes-sante che le era stato offerto,forse per inseguire una nuovaillusione d’amore…Ma proprio a Parigi lei riuscì aveder chiaro nella sua voca-zione e a metterla a frutto nelmodo appropriato: cominciò aricamare davvero, prima soloper mantenersi, poi per segui-re una strada che sembrava

MARZO-APRILE 2004

POLVERE DI STELLE

A R I M I N V M

VOCI E VOLTI

RICAMI E PAILLETTESMaria Antonietta Ricotti Sorrentino

42

R

Page 43:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

ormai tracciata per lei.All’inizio lavorò in privato,come poteva. Ma ben presto labellezza, la delicatezza, l’ec-cezionale buon gusto delle suecreazioni le procurarono unafama che approdò negli atelierdei grandi sarti parigini. Fucosì che cominciò per lei unanuova fase della vita, in cuipoté mostrare tutta la sua abi-lità artistica e ricavare favolosiguadagni dal suo lavoro.A casa giungevano notizie deisuoi successi e i famigliarierano contenti: forse la loro“pazzerella” aveva trovato unasistemazione, nonostantetutto. Frequentava personeimportanti, confezionava isuoi capolavori per gli stilistipiù illustri, vedeva indossaregli abiti con i suoi ricami dasignore del bel mondo parigi-no. Alcune di queste volleroconoscerla e lei si trovò in unambiente brillante, internazio-nale, che l’abbagliava e le pro-spettava possibilità di vita chesuperavano i suoi stessi sogni.Forse visse anche un amore,ma su questo cadeva il sipariodella sua discrezione, il suogeloso silenzio.Poi per lungo tempo non siebbero notizie.Nessuno seppe con precisionecosa le fosse capitato. Forseinadempienze nel lavoro, forse

incomprensioni gravi con igrandi sarti per cui ricamava,oppure spese sconsiderate edebiti… chissà. O fu un amoredisperato che le fece commet-tere qualche sciocchezza?Adriana tornò a casa più pove-ra di prima. E di nuovo cercòrifugio nella casa di campagnache altre volte aveva consolatola sua infelicità e custodito lasua inquietudine.Più tardi ci furono altre vicen-de, e poi ancora solitudine: lavita le forniva occasioni e poisubito gliele strappava. O forselei era incapace di costruirsi unavvenire, facile alle illusioni,pronta a lasciarsi dominaredalle emozioni del momentoper poi dimenticare e cercarenuovi incontri, nuove espe-rienze. Non rifletteva sul pas-sato, su quello che si lasciavaalle spalle, come una farfallache vola senza meta, attiratasolo dai colori e dai profumi,senza mai posarsi a lungo su diun fiore per assaporarne tuttala dolcezza e il nutrimento.Trovò di nuovo un’opportunitàpresso un famoso sarto diRimini, che aveva aperto unelegante atelier. E finalmenteseguirono anni sereni di inten-so lavoro che la fecero cono-scere nella sua città per quel-l’artista che era. Le sue operenon erano quadri o sculture,

forse erano qualcosa di piùeffimero ed erano destinate adessere presto dimenticate, maregalavano bellezza, rendendofelice chi acquistava i suoiricami e lei stessa, che se livedeva fiorire tra le mani,donandole emozioni intense.Le signore portavano gli abitielegantissimi, la biancheriaraffinata, ed era come se fosselei ad avere indosso le suecreazioni e partecipasse a quel-la vita brillante che già avevaconosciuto da vicino negli annifavolosi di Parigi, e che oracontinuava ad immaginareattribuendovi ogni sorta di feli-cità.Il tempo era trascorso in frettama Adriana ricordava uno peruno tutti i suoi ricami. Quandoa volte si assopiva sulla poltro-na, nel leggero dormiveglia,intravedeva ancora il primovestito da sera su cui avevalavorato: era lì, sull’attacca-panni appeso al gancio dell’ar-madio dove lei abitualmentesistemava gli abiti finiti, inattesa di essere ritirati. Era dipizzo rosa, con la vita bassa euna fascia di raso raccolta daun fermaglio di strass. Su quelpizzo lei aveva riportato cri-stalli sottili, tono su tono, ridi-segnando gli arabeschi dellastoffa con linee cangianti diluce, scintillanti anche nella

penombra della stanza. Ormaile mani irrigidite dall’artritenon le consentivano più diriprodurre le tante meraviglieche negli anni trascorsi avevacreato, ma c’era ancora vicinoa lei l’ultimo frutto delle suefatiche che l’aspettava: pianopiano, con immenso sforzo,aveva ricamato quell’abito.Sapeva che non ne avrebbericamati più, ma questo volevafinirlo: sentiva che per lei eratroppo importante per lasciarloincompiuto.Sull’organza bianca risaltava-no, in rilievo, fiori bianchi ditulle bordati di perline e colcuore di paillettes. Era ungioco di trasparenze, con vena-ture d’argento e riflessi lumi-nosi che trasformavano laveste in un gioiello. Adrianapensava che forse questo era ilsuo capolavoro. Era felice chefosse per un “debutto”. Loavrebbe indossato una belladiciottenne al suo primo balloufficiale: questo abito sarebbestato per lei il simbolo di tutti isuoi sogni, l’inizio del suoavvenire. Ed era come ringio-vanire insieme a lei, nel rim-pianto senza dolore di un’esi-stenza un po’ folle, vissutasulle ali della fantasia, nellacostante, evanescente ricercadella bellezza.

MARZO-APRILE 2004

POLVERE DI STELLE

A R I M I N V M43

di calendarietto sul quale erano proposti tutti gli incontri che lanostra compagine avrebbe dovuto sostenere. Il calendarietto eraimbottito di pubblicità, per ottener la quale Marangoni, ricorrevaad ogni forma di imbonimento, tanto che, alla fine, nessun com-merciante o esercente o piccolo industriale era capace di opporgliun rifiuto. Per tutti gli anni sessanta, Ulderico Marangoni, fu il“super–tifoso”. Fu l’Omero, il Carducci di un epos calcistico, cer-tamente ingenuo, ma ricco di un’intensità mai più, in seguito, toc-cata. Gli esametri attraverso i quali produceva la sua poesia(memorabile a questo proposito una sua cronaca della partitaCagliari–Rimini, effettuata per mezzo del telefono) erano, talvol-ta, rozzi e claudicanti, ma possedevano una formidabile forzacomunicativa. Il racconto della partita avvinceva la folla degliascoltatori (alcune centinaia) radunata, per l’occasione, in piazzaCavour, trascinandola in entusiasmi che rasentavano il delirio.L’enfasi sfiorava il ridicolo, ma nessuno ci faceva caso. Nei suoiservizi l’arbitro era sempre e comunque un venduto e figlio di unamadre che usava concedersi per “picciol prezzo”. Oscure mac-

chinerie, congiure sotterranee, bieche cospirazioni, inguaribilifistole del sospetto, fosforeggiavano nel tenebroso ordito dei suoiracconti. In caso di vittoria, le figure dei nostri giovanotti inmutande, si ammantavano di epici paramenti. In caso di sconfitta,il nostro cadeva (o fingeva di cadere) in veri e propri attacchi iste-rici diretti contro i giocatori, la società, l’allenatore, le istituzioni.Viveva anche in questo modo, Ulderico Marangoni. Nessuno, tut-tavia, si adontò per un conto non pagato, per un piccolo prestitonon restituito. Le innumere fantasticherie affabulatorie, le trovatetrasmentali, la signorilità e l’innata simpatia del personaggio,compensavano la di lui scarsa affidabilità. Verso la fine, proprioquando le cose avevano preso una giusta via: si era sposato, gli eranato un figlio e la vita gli si prefigurava con pronostici grondantidi fascinazione, la magia della baraka, l’abbandonò. Un maleimmondo, di quelli che non perdonano, lo accompagnò nell’e-strema catabasi. Ora, che tanti, di coloro che mi furono amici, sene sono andati ed attorno a me dilaga la pagliacceria di compri-mari lerci e sozzissimi politicanti, non posso che rimpiangere,insieme alla giovinezza perduta quei poveri, geniali compagniche, a pari di Uldrico, seppero, attraverso limosine d’istanti, atte-nuarmi le durezze e le difficoltà del vivere.

da pag. 41

ULDERICO MARANGONI

Page 44:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

a lontano per chi provienedalla Marecchiese in dire-

zione occidente, i profili delmonte Pincio e del monteAquilone tra loro accostati, sistagliano all’orizzonte plastici,modellati, morbidi e richiamanole sembianze di un vescovosupino con la mitra in capo. Nelgioco prospettico infatti la sago-ma del Pincio dai contornirotondeggianti si sovrappone esi intreccia a quelladell’Aquilone che compare nelsuo aspetto più peculiare deci-samente arcigno, impervio eroccioso solo in prossimità delpaese. E’ la stupenda immaginedell’antica e pittorescaPerticara, il medievale castellodella Pertica, balcone delMontefeltro ai confini tra la pro-vincia di Pesaro-Urbino e laRomagna meridionale. “Caseallineate lungo strade o abbarbi-cate a sassi, un popolo lavorato-re e socialmente aperto, unaminiera non più attiva, ma i cuicunicoli occultano ancora ine-sauribili ricchezze”: cosìPerticara viene presentata daAntonio Bartolini, nel bel volu-me dedicato alla sua terra nati-va.A Perticara l’uomo ha estrattolo zolfo per molti secoli edurante la tenace rincorsa sot-terranea del minerale fino oltre700 metri di profondità hacostruito quasi 100 chilometridi gallerie. Testimonianzearcheologiche accreditano l’i-potesi che i primi ad estrarre lapietra solfifera nel bacino mine-rario di Perticara siano stati iRomani. Forte impulso all’in-cremento dell’attività estrattivaè sopraggiunto con la scopertadella polvere da sparo e dopoalterne vicende nel 1700 leminiere di Perticara acquistanofisionomia protoindustriale.Nella sua massima espansionel’industria mineraria diPerticara ha impiegato 1600

operai producendo 50.000 ton-nellate all’anno di zolfo greg-gio. Nel 1964 a causa delleinclementi leggi di mercato,l’avventura dell’uomo nellaprofondità della miniera diPerticara diventa un atto com-piuto da consegnare alla storiacontemporanea.Ho ritenuto doveroso partire daquesta premessa per inquadrareconvenientemente il “fenomenomusicale” di Perticara, un pic-colo centro di 800 abitanti dovela musica è di casa, dove laBanda è considerata l’istituzio-ne cittadina più prestigiosa. Dauna parte vanno considerate letradizioni storiche legate a cele-bri musicisti come GioacchinoRossini ricordato come sociodella Società sulfurea, AmintoreGalli secondo alcune fonti nati-vo di Perticara, Henghel Gualdi,i cui antenati avrebbero lavoratonelle miniere di Perticara.D’altro canto va rimarcata l’in-nata predisposizione, il piacere

di studiare e di fare musica, l’e-levato grado di preparazionemusicale, l’altissimo numero didiplomati e soprattutto il coin-volgimento della gente, le fortimotivazioni ideali che recente-mente hanno consegnato alpaese il primo CD della Bandamusicale Minatori. Per donPietro Cappella parroco “stori-co” di Perticara, il motivo ditanto amore per la musica tra iminatori del suo paese vieneattribuito ad una rivalsa, ad unareazione, ad un mezzo per nonsoccombere alla brutalità di unlavoro durissimo e oltremodorischioso. La storia musicale diPerticara è dunque strettamentelegata a quella della sua banda.La Banda musicale Minatorinacque per volontà del signorCamillo Masini che nei primianni dell’800 costituì la“Filarmonica di Perticara”,riunendo venti elementi dellafrazione di Miniera. Qualchedecennio più tardi, segnatamen-te nel 1860 si costituì unaseconda banda a Perticaraanch’essa con una ventina dimusicisti. La Società

Filarmonica si trovò a gestiredunque due complessi musicalitalvolta in concorrenza fra lorocon musicanti animati in ognicaso di sana passione e pronti aversare quote mensili senzaricevere alcun compenso per iservizi prestati. Finalmente nel1929 con grande soddisfazionedella cittadinanza si pervennealla fusione dei due complessiin un’unica Banda di oltre 80elementi, gestita dal CRALMontecatini e diretta dal m°Filidauro Tessitori. In brevetempo il complesso riuscì adaffermarsi pienamente in unambito territoriale sempre piùallargato fino a meritare nel1957 sotto la direzione del m°Rodolfo Trinchera il primo pre-mio al concorso regionale perbande marchigiane.Purtroppo con la chiusura della“buga” avvenuta come ricordatonel 1964 la Banda entrò in crisie dovette sospendere l’attività.Un ricco patrimonio di culturamusicale e di sana aggregazionesociale rischiava dunque diandare disperso. La Pro locotuttavia ebbe uno scatto d’orgo-glio e sulla base del nucleo deipochi strumentisti rimasti allependici del monte Aquilonericostituì il complesso mante-nendone la denominazioneBanda Musicale Minatori eincaricando il m° GiovanniEvangelisti di dirigerlo. LaBanda intanto riprese rapida-mente quota: non solo, mavenne nel frattempo istituito ilcorso di orientamento musicaleattraverso il quale il complessosi vide assicurato assieme allapreparazione delle giovani leve,il necessario fisiologico ricam-bio dei musicisti. Così nel 1967la nostra Banda partecipandoalla rassegna delle bande regio-nali, “La tromba d’oro”, ebbel’onore di ricevere in premio uncongruo contributo per l’acqui-sto di nuove regolari divise.Successivamente la direzionedella Banda passò al m° DanteBarbieri e al m° Matteo Amadeiche riuscì a condurla alla ribaltadel “Maggio musicale fiorenti-

MARZO-APRILE 2004

MUSICA

A R I M I N V M

LA BANDA MINATORI

IL FENOMENO MUSICALE DI PERTICARAGuido Zangheri

44

“Perticara,un piccolo centro

di 800 abitanti dove la musica

è di casa,dove la Banda è considerata

l’istituzione cittadinapiù prestigiosa”

D

La Banda Musicale Minatori di Perticara.

Al centro, in prima fila il sindaco di Novafeltria

Gabriele Berardi e alla sua destra

il maestro Ermes Santolini.Nella pagina accanto:

il maestroe la sua orchestra.

Page 45:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

no” in rappresentanza dellebande della Regione Marche.Dal 1995 è il m° ErmesSantolini a guidare le sortimusicali del suo paese.Perticarese doc, l’attuale mae-stro “porta nelle sue vene il san-gue del papà minatore” secondouna felice espressione di donPietro Cappella, e con la suasolida preparazione –diploma ditromba al Conservatorio “G.Rossini” di Pesaro, studi dicomposizione, perfezionamentoin Illinois con Jimmy Owens ein Italia con Giulio Capiozzo-oltre ad essere custode fedeledelle tradizioni ha saputo inne-stare una ventata di novità neirepertori e nelle strumentazioni,attirando alla Banda i più giova-ni ed aprendo ad un ampio ven-taglio di generi e di proposte. Inpiù Ermes Santolini dimostraun’attitudine particolare sulpiano umano: con la sua affabi-lità e la sua bonomia riesce amettere tutti a proprio agio e nelrispetto dei ruoli è capace diispirare quel fermento di entu-siasmo che sta alla base di ognisuccesso. Ora la Banda forte deisuoi 35 elementi conveniente-mente rappresentati da tutte lefasce di età –dai 12 anni dellamascotte Veronica Valli ai 68 diSirio Toni capobanda, memoriastorica e supporto morale delgruppo- sta vivendo una fase di

forte rilancio. Con il consolida-mento dei Corsi di orientamen-to -una sezione a Perticara nellasede della scuola elementare,una a Novafeltria, complessiva-mente tre insegnanti seguiti dauna quarantina di allievi-, ègarantita la continuità neltempo. Al presente la Banda inun raggio d’azione che tendesempre maggiormente ad esten-dersi, è attiva con una trentina di

concerti all’anno di musica sin-fonica, tradizionale e moderna.L’esibizione per il Santo Padre,Papa Giovanni Paolo II, durantela speciale udienza nell’AulaPaolo VI in Vaticano, la parteci-pazione alla trasmissione“Cominciamo bene” su RAI 3nazionale, il recentissimo invitoal DISMA alla Fiera degliStrumenti musicali di Rimini arappresentare la “banda tipo” ita-

liana, e soprattutto l’incisione delCD ne testimoniano l’ottimolivello raggiunto. In particolare ilCompact Disc si rivela al riguar-do un documento fondamentale:realizzato grazie al contributodell’Amministrazione comunaledi Novafeltria, dalla Pro locoPerticara, dalla ComunitàMontana Alta Valmarecchia,comprende brani di AmintoreGalli, don Teodoro Onori eAngelo Berardi, tre autori cheebbero in epoche diverse strettilegami con Perticara, con laminiera e con i minatori e furo-no così vicini al mondo dellavoro da comporre il noto“Inno dei lavoratori” (A. Galli)e l’ “Inno del Minatore” (donOnofri). Quanto al Berardi,compositore del ‘600 originariodi Sant’Agata Feltria è statainserita una sua stupenda paginastrumentale “Canzone terza” inomaggio ad uno dei capostipitidei musicisti dell’AltaValmarecchia. Ci sono poiaccanto a brani della tradizionelirica e sinfonica, e ad alcunipezzi decisamente moderni,presentati con una appropriatastrumentazione e con una gra-devole linea stilistica, tre inte-ressanti lavori firmati dallo stes-so Santolini, che dimostra cosìanche la sua vena creativa fluidae versatile.

MARZO-APRILE 2004

MUSICA

A R I M I N V M45

natura spirituale dell’essenza divina. E come, analizzando l’io piùintimo dell’anima, riesce andare oltre la mente e risalire la luceincontaminata che abita la divinità. Al termine del viaggio il gridoliberatorio: “Sono il cibo dei forti; mangiami e crescerai”. A metàstrada ha sostato la ricerca di Norberto Bobbio che riscontriamo nelmemoriale “De Senectute”: In me trovo più convincenti le ragionidel dubbio che non quelle della certezza. Dal che l’aforisma lapida-rio: “Io credo di non credere”.“Le pietre di Rimini” sono un dono prezioso alla comunità cittadina.Molti dovrebbero leggerlo. Dalle pagine del testo stilla il tormento diun intellettuale che vive sulla pelle il ciclone della guerra. Una vicis-situdine autonoma tesa a spendere la giovinezza per qualcosa e qual-cuno che sta prima e oltre la nostra persona. I vissuto narrativo sistempera nella resa dei conti, con la storia. Esattamente l’ora infau-sta che il protagonista guarda sbriciolarsi gl’ideali che avevano per-meato le battaglie della militanza civile. E’ come se il mondo glirovinasse addosso e la terra si aprisse sotto i piedi. Eppure è lì che

splende il merito e l’umiltà di chi sa perdere. Conclude nella nuditàdel combattente disarmato: “Dopo siamo diventati più saggi”.Esattamente così, Avvocato. La saggezza è arrivata per tutti dallasocietà moderna. Di concerto che le masse contadine e operaie olia-vano gli ingranaggi dell’esodo biblico dalle campagne, dai villaggi edai comuni montani per inserirsi nell’industria e nella edilizia, paral-lelamente acquisivano autonomia economica, libertà soggettiva esenso critico delle persone e dei fatti. Si deve al boom economico latrasformazione della società italiana e continentale. Niente altro chequesto processo rapido e mirabolante di espansione culturale edemocratica ha vanificato la scomunica cattolica del Comunismo eha fatto crollare il Muro di Berlino.Ho seguito passo passo la palingenesi dei miei “cafoni zappaterra”(Ignazio Silone) e ho imparato discernere e vivere altrimenti da comemi avevano educato. Sono stato fra gli ultimi a lasciare la frazione(Gesso di Sassofeltrio), una parrocchia considerata infima, quasi “inpartibus infidelium”. Fra loro e per loro sono diventato più saggio: Epiù giusto. In forza di ciò ho potuto comprendere e condividere,Avvocato, la sua passione intellettiva, politica e umana. Dove lamorale del libro è la medesima per tutti: ciascuno nella nostra parteabbiamo costruito la casa comune.

da pag. 33

“DOPO SIAMO DIVENTATI PIÙ SAGGI”

Page 46:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

norevole Servadei, perchéla Regione Romagna?

Per autogestirci, come ènostro diritto naturale, storicoe costituzionale. Per comanda-re in casa nostra mettendo aprofitto le nostre molte poten-zialità ancora inespresse, perevitare che si continui a “fareil pizzo”, a favore delle “zoneforti emiliane”, su ogni nostraspettanza. Per avere rapportidiretti ed organici, che oggimancano totalmente, colgoverno di Roma e con quellodi Bruxelles. Per dare unanuova dimensione visuale e dipresenza alla nostra classedirigente. Oggi chiusa in unasorta di asfittica realtà “borga-tara”.Che tipo di Regione vuole?Quella con una struttura leg-gera, un attrezzato “cervello”impegnato essenzialmentenell’attività legislativa, pro-grammatoria, di sviluppo.Fortemente telematica secon-do le più moderne tecnichegestionali. Ed altrettanto forte-mente decentrata. Addiritturacon gli Assessorati ripartiti, aseconda delle vocazioni deisingoli territori, fra le “settesorelle romagnole” (Imola,Faenza, Lugo, Ravenna, Forlì,Cesena e Rimini).Con quali mezzi finanziari?Siamo il 25 per cento dellapopolazione emiliano-roma-gnola, e sono 34 anni che dis-poniamo nel nostro territoriodi personale, strutture, attrez-zature, ecc. riferite alla gestio-ne bolognese. Nulla, quindi, diaggiuntivo. Semplicemente lostralcio dall’esistente in rap-porto alla nostra consistenzanumerica. Le attuali entrateregionali sono ancora preva-lentemente costituite da “con-tributi statali” e da “supercon-tribuzioni” di natura locale. Edè dalle medesime che dovre-mo ricevere il nostro 25 percento, senza appesantimenti di

sorta per il contribuente localee nazionale. Si tratta di cifreche riteniamo adeguate per l’i-nizio di una proficua attività.Quali i primi impegnativicompiti della nuova Regione?Rivendicare tutte le nostreprerogative e competenze anorma di legge e di consuetu-dine. Ottenere dallo Stato edall’Europa tutto quanto ledue istituzioni devolvono, sulpiano funzionale e della rap-presentanza, alle Regioni.Esemplificando: l’Universitàstatale autonoma romagnola, laCorte d’Appello, il Tribunaleregionale amministrativo, ilTribunale per i minorenni, lasezione regionale della Cortedei Conti, la sede regionale

della Rai-Tv, quanto ci è statosottratto da Hera, e da altri, infatto di gestione dei servizipubblici, del turismo, foresta-zione, ambiente… . Anche qui:gestioni economiche e nessundoppione. In Emilia-Romagna,soprattutto per i “servizi giudi-ziari” di fronte all’attuale“nulla romagnolo” esistonostesse strutture sia a Bolognache a Parma. Il problema è,dunque, risolvibile non in ter-mini aggiuntivi, ma attraversotrasferimenti materiali. Perl’attuale Università di Bolognanel territorio romagnolo, lasoluzione è possibile col trasfe-rimento a noi di quanto ci inte-ressa. Naturalmente, con uncambio radicale di dirigenza.

Quali le “priorità” da affron-tare?L’attenzione va prioritaria-mente rivolta a tutte le infra-strutture del nostro territorio.Con le presenti strade, ferro-vie, aeroporti, con lo stessoPorto di Ravenna così collega-to, il nostro territorio è scarsa-mente competitivo in ogni set-tore. Ed inutile è parlare di“corridoio adriatico”. Anchese il compito non è strettamen-te regionale, vanno prodottiprogetti innovativi su vastascala, sulla cui base sviluppareuna motivata azione rivendica-tiva ad ogni livello, anche conla nostra compatibile parteci-pazione finanziaria.Altra priorità assoluta: lanostra Riviera ha gravi proble-mi di tenuta in ordine ai nonnuovi fenomeni bradisisticiincrementati dal dissennatouso del sottosuolo (forti pre-lievi di metano ed acqua). Ilproblema va subito affidatoalle maggiori competenzemondiali nella materia e lemisure protettive non possonotardare. Il C.N.R. ha da qual-che tempo sentenziato che,nelle attuali condizioni, lanostra Riviera corre il rischio,neppure in tempi lunghi, discomparire.Come dovrà collocarsi laRegione Romagna di fronte alsuo territorio?Aiutando tutte le “eccellenze”(e sono molte) ad esprimersi,ed assicurando, nel contempo,un serio riequilibrio soprattut-to sul piano dei servizi. Non èconcepibile che la grande edistante periferia debba restaretributaria ai maggiori centrianche di servizi elementari edurgenti.Come dovranno essere i rap-porti con la vicina RegioneEmilia?I migliori possibili e di collabo-razione “alla pari” su tutte lequestioni di comune interesse.Carlo Cattaneo, che di questecose si intendeva, ci ha inse-gnato che “ciascuno a casa pro-pria, si va meglio d’accordo”.

MARZO-APRILE 2004

ROMAGNA

A R I M I N V M

SETTE DOMANDE ALL’ONOREVOLE STEFANO SERVADEI DEL M.A.R.

PERCHÉ LA REGIONE ROMAGNA?

46

O

Ivo GigliIL LARE

S’aggira spaurita tremebondafuori tempo per le stanze

l’androne il corridoiola larva del Lare,

un mio lontanissimo antenato,invisibile o appena percettibile

è più spaventato di me il poverinoperché sa che è passato Cristo

e poi l’Illuminismoe ora i filosofi analitici

e si vergogna mugola nella nottee implora: - Per me son tempi critici,

mi scusate almeno?Se son qui non so perché

credete non lo faccio appostaso solo che ci sono, è stata

una dimenticanza della Storia pare,ma tu che sei parente

lasciami in questi angoliin questi bui pesti

sotto la grigia malta delle scale,anche se non son più ausilio per te

ricordati di me che sono il Lare.

Page 47:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 48:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 49:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

el libretto dell’ispettorescolastico Alfredo Sancisi,

“Il dialetto nella scuola” FaraEditore 1995, si leggono, fra l’al-tro, una constatazione ed un que-sito del poeta Nino Pedretti(1923-1981) che recitanorispettivamente: “Il dialettosta per morire, è ormai aglisgoccioli, chiuso nei paesi del-l’interno e travolto dalla lin-gua dei mass-media”; poi,provocatoriamente: “In que-st’area risicata e terrosa, que-sta lingua umiliata, questorelitto, come può ancora espri-mere, liberare, farsi arte?”.Segue un’affermazione delfilosofo e pedagogistaLombardo Radice: “Il popoloha una cultura; il popolo anzi èmaestro prima di andare ascuola… Il popolo ha la sualetteratura poetica, mirabile difreschezza; basta sentire leninne nanne, le nenie popolari…”.Il bellariese Mario Bassi sem-bra abbia concretizzato questeasserzioni. Infatti, dopo averscritto episodi, frutto di testi-monianze di vita marinara,instaura una collaborazionecon “L’uva grisa” (L’uva acer-ba), un gruppo folkloristicoche gli mette a disposizione itesti e le musiche tratti da unaricerca sulla cultura e sui cantipopolari in Romagna. Nel1982, da questo sodalizionasce lo spettacolo dialettalemusicale “Ballate, baruffe emariner”. Successivamente aquesta esperienza, il Bassicostituisce la compagnia dia-lettale “La Belarioesa”, dellaquale diventa attore, autore eregista. Fra i tanti dilettantiche si sono succeduti in questogruppo teatrale ricordiamo:Marisa Amadori, GloriaBarberini, Giovanna Bassi,Daniela Toni, Anna MariaViolante, Cristiano Rubinetti,Pierluigi Morri, Massimo

Massarutto, Leonardo Righi,Delio Galassi, EugenioBarberini, Mario Orsini, LuigiRossi. Nell’arco degli anni“La Belarioesa” porta allaribalta diverse commedie:L’aluvion (1983). La cativerial’an trionfa mai (1984), Corni,cambieli e corni (1985) E stra-zer (1986), Saragoena (1987)Lasema e post mal doni(1988), Filomena (1989),Ognun ma chesa su (1990),Ogni chesa la su crosa (1991),Pension Miramare (1992),Una fameja sganghereda(1994), Sota chi toca di B.Marescalchi (1995), La brecaad Bigeca (1996), Una fiolapar tri ba (1997), Per mutoevad saluta (1999), Curnud ecuntent di P. Gabrielli (2000),Un pret un po rufien (2004).Si racconta che durante unareplica di “La cativeria l’antrionfa mai”, un attore sia

uscito di scena anzi tempo,tralasciando ben sedici paginedi copione. Il suo interlocutoremolto abile improvvisa l’esi-genza di una telefonata, lasciain scena per qualche istante unaltro personaggio appenaentrato, stimola e recuperal’attore in panne.Secondo il cast la tradizionedel dialetto è meno sentita eradicata lungo la costa roma-gnola, perché d’estate convivecon il turismo. Tuttavia ritieneimportante combattere i pre-giudizi antidialettali, che con-ducono a credere come l’idio-ma usato in piazza, al mercato,nelle osterie o nei bar danneg-gi la dignità ed il decoro dellapersona. Si deve insistere, sicontinua a riferire, sui valoridelle frasi dialettali e sui pregidei vocaboli che aiutano aconoscere meglio gli usi, icostumi, le tradizioni, l’am-

biente in cui sono vissuti inostri avi. Il vernacolo, perchénon perda la magia del suo lin-guaggio colorito, potrebbeessere considerato come sussi-dio ed integrazione di unaconoscenza più ampia dellalingua italiana.Nelle rappresentazioni dialet-tali il pubblico più adulto ridee sorride, perché sulla scenavede scorrere possibili situa-zioni vissute; quello giovane,non conoscendole, deve inter-pretarle, facendo spesso levasull’intuizione o sui modi didire più noti.“La Belarioesa” sostiene l’im-portanza di continuare a scri-vere in dialetto, perché è unpatrimonio che non si può per-dere. L’équipe esegue le provepresso il Teatro Smeraldodella parrocchia, ma trova pro-blemi con i mezzi del traspor-to scenico presi a volte in pre-stito e spesso noleggiati. Inquesto caso la beneficenza,fine nobile dell’attività, divie-ne meno solida. E’ opportunoche i dilettanti entrando a farparte di una compagnia sap-piano che operano per sé e peril cast, non per il regista ol’autore: dunque il sacrificioed il richiamo vanno tolleratiper poter dare il meglio di sestessi. In ogni caso, tutti icomponenti del gruppo dalleattività più varie: commercian-te, tabaccaio, bagnino, macel-laio, maestra, casalinga, stu-dente, commessa, impiegato,parrucchiera, durante la sta-gione invernale, il sabato sera,alle ore 21 lasciano il loroabito da lavoro, per indossarefelicemente i panni del perso-naggio che porteranno allaribalta nelle varie repliche.

MARZO-APRILE 2004

TEATRO DIALETTALE

A R I M I N V M

COMPAGNIE E PERSONAGGI DELLA RIBALTA RIMINESE

LA BELARIOESAAdriano Cecchini

49

N

“Curnud e cuntent”.Sopra: Mario Bassi, Marisa Amadori e Gloria Barberini.Sotto: Massimo Massarutto, Luis Carlos Bassi e Mario Bassi.

Page 50:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

residente, in questi anni si è parlato molto di Fondazionibancarie, sono state una delle novità degli anni ’90…

In effetti, proprio nel 1990 la legge Amato scorporò l’attività ban-caria dalle vecchie Casse di Risparmio, dando vita alleFondazioni da un lato e alle società bancarie dall’altro, con obbli-go per le Fondazioni di detenere il controllo delle banche confe-ritarie. La Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini è stata for-malmente costituita nel luglio 1992. Da allora ad oggi è passatoun decennio nel quale si sono susseguiti ben tre processi di rifor-ma del settore.A cosa miravano?A disciplinare le Fondazioni bancarie soprattutto in funzione didue obiettivi: farle uscire dalcapitale sociale delle bancheconferitarie attraverso il proces-so di dismissione delle parteci-pazioni di maggioranza, e sot-toporle a forme di controllomolto pressante così da attirarlein qualche modo nella sferapubblica.Processo riuscito? Solo parzialmente. La maggiorparte delle Fondazioni -soprat-tutto quelle grandi e medie- haeffettivamente perso il controllodelle rispettive banche a favoredella creazione di alcuni grandigruppi creditizi nel cui capitalesociale, tuttavia, le Fondazioni stesse sono rimaste, sia pur conquote ridotte. Una legge dell’agosto 2003, inoltre, ha esonerato lepiccole Fondazioni, come quella di Rimini, dall’obbligo di cede-re la partecipazione di maggioranza. Ciò significa che in questicasi, sono una quindicina in tutt’Italia, il legame tra Fondazionee banca è ancora stretto e saldo.E per quanto riguarda la collocazione delle Fondazioni?Su questo punto, dopo lunghe battaglie, cui anche noi abbiamomolto contribuito, si è registrata recentemente, con le sentenzeemesse nel settembre scorso dalla Corte Costituzionale, unaimportante acquisizione: il pieno riconoscimento della naturagiuridica privata delle Fondazioni bancarie, della loro autonomiastatutaria e gestionale, e della loro appartenenza all’ambito delle‘libertà sociali’. Ora attendiamo che la legislazione vigente vengaaggiornata alla luce di tali essenziali contenuti.Una sorta di inversione di tendenza dopo un periodo piuttostodifficile…I diversi processi di riforma hanno comportato un continuo cam-biamento delle regole del gioco e ciò ha reso estremamente pro-blematico operare per il conseguimento dei nostri scopi sociali. Èstato davvero arduo tentare di fare programmi di attività e realiz-zare progetti in una simile situazione di precarietà. D’altro canto,

la forte mobilitazione delle Fondazioni, di parte del mondo asso-ciativo nazionale e di alcune forze politiche ha consentito di sen-sibilizzare anche gli ambienti istituzionali su temi non corporati-vi ma riguardanti la fondamentale questione della libertà e dellaorganizzazione democratica della vita civile.Tra gli esiti conseguiti figura quindi anche il mantenimento delcontrollo di Carim Spa.Siamo sempre stati convinti della necessità di mantenere stretto illegame tra Fondazione e banca per almeno tre ordini di motivi.Primo, per tutelare il patrimonio della Fondazione, nella consa-pevolezza che la redditività offerta da una banca ha caratteristi-che di volume, di stabilità e di sicurezza che altre forme di inve-

stimento difficilmente possonooffrire, e questo oggi è di parti-colare evidenza. Secondo, persalvaguardare il radicamentoterritoriale di Carim Spa e favo-rirne uno sviluppo armonico eprogressivo, che un azionistastabile e senza esigenze di breveperiodo come la Fondazionepuò probabilmente assicuraremeglio di altri. Terzo, per confi-gurare una sinergia -da un latocon lo strumento bancario, dal-l’altro con l’investimento socia-le- di interesse strategico per lacrescita del territorio riminesesotto il profilo culturale, sociale

ed economico.È però vero che le Fondazioni che hanno ceduto le quote dellerispettive banche hanno realizzato notevoli vantaggi finanziari. La nostra scelta non ha obbedito ad una logica meramente finan-ziaria. Abbiamo invece privilegiato un obiettivo più complessoche si potrebbe definire di “attenzione al bene comune”, attraver-so la difesa del localismo della banca e il conseguente importan-te contributo al perseguimento di politiche di sviluppo per il ter-ritorio. Crediamo in tal modo di aver assunto una posizionecoerente con la natura, il ruolo e la missione che ci caratterizza-no.E la banca?Faccio un esempio: avendo alle spalle un azionista di maggioran-za come la Fondazione, Carim Spa ha potuto procedere un annofa all’acquisizione di 27 sportelli nel centro Italia incrementandodi un terzo la propria dimensione ed aprendosi a nuove opportu-nità di mercato; e questo mi sembra un esempio significativodella positività e delle potenzialità di sviluppo assicurati dal lega-me tra Fondazione e banca. D’altro canto, da questo legameanche la Fondazione ha potuto trarre profitto sotto l’aspettofinanziario; lo strumento bancario presenta una redditività ed una

MARZO-APRILE 2004

NEWS ROTARY NEWS

A R I M I N V M

ROTARY CLUB RIMINI / INCONTRO CON LUCIANO CHICCHI PRESIDENTE DELLA FONDAZIONECASSA DI RISPARMIO DI RIMINI

PROGETTI DI PROMOZIONE SOCIALE E DI SVILUPPO LOCALETRA GLI INTERVENTI DELLA FONDAZIONE ANCHE LA REALIZZAZIONE DELL’AUDITORIUM,DEL TEATRO GALLI E DEL FOSSATO ESTERNO DI CASTEL SISMONDO

Valentino Pesaresi

50

P

Page 51:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

capacità di effettiva tutela del nostro patrimonio sicuramentemolto competitive.Abbiamo parlato di battaglie e di risultati ottenuti. Ma laFondazione in questi anni non si è occupata solo di questo.Mentre lottavamo a Roma per veder riconoscere le nostre giusteprerogative, abbiamo portato avanti un livello di progettualitànell’area riminese che ritengo abbia contribuito in modo positivoa processi di crescita culturale e sociale.Quali sono stati i connotati di questa progettualità?La Fondazione ha seguito quattro principali direttrici di lavoro. Inprimo luogo, l’investimento nel ‘sapere’, riassunto soprattuttonell’impegno rilevante e significativo per la nascita, il consolida-mento e il potenziamento della sede riminese dell’Università diBologna. Poi, certamente, l’investimento nel recupero dell’iden-tità locale, attraverso la riscoperta delle radici storiche e cultura-li della comunità riminese.Qualche esempio? I grandi restauri del Tempio Malatestiano e di Castel Sismondo,il recupero di siti archeologici e di edifici storici, tra cui mi piacericordare Villa Mussolini a Riccione, Casa Panzini a Bellaria, ilMonte di Pietà a Santarcangelo, le acquisizioni di opere d’arte, lemostre, le pubblicazioni, hanno tutti inteso contribuire a questafinalità. E le altre due direttrici di lavoro?Voglio citare la funzione di supporto al lavoro delle diverseespressioni della comunità locale, che rappresenta una risorsaimportante e spesso primaria per l’efficace affronto dei moltepli-ci bisogni manifestati dal territorio. E, ancora, l’intervento nelcampo dell’assistenza alle categorie sociali deboli, attraverso unaprogettualità diretta -come nel caso dei programmi avviati a favo-re della popolazione anziana- oppure attraverso il sostegno almondo associazionistico e del volontariato, particolarmente pre-sente e attivo nell’area riminese.Cosa ha prodotto questo lavoro?Credo che la Fondazione abbia potuto dare efficacia alla propriaattività e superare una logica di tipo puramente assistenziale, o dimera risposta ad impulsi esterni, per affermare invece un criteriodi promozione sociale e di reale supporto allo sviluppo locale. Eritengo che la comunità provinciale ne abbia tratto significativobeneficio.Parliamo un po’ di futuro. Cosa c’è nei programmi della

Fondazione?Oggi possiamo proseguire il nostro impegno con maggiori cer-tezze. E non nascondo che abbiamo molte idee per qualificare ilnostro intervento nei prossimi anni e mettere in moto percorsiimportanti per l’area riminese. Citava prima interventi per la popolazione anziana…È vero. Abbiamo dato vita ad un progetto di assistenza domici-liare, volto ad aiutare le famiglie che vogliono tenere in casaparenti anziani non autosufficienti. E intendiamo realizzare intempi brevi una struttura residenziale per anziani non autosuffi-cienti.Da tempo nelle cronache locali si parla di un interesse dellaFondazione per un’auditorium per la musica. Cosa c’è di vero?Abbiamo in mente tre importanti interventi in grado di configu-rare un grande progetto per Rimini. Parlo della realizzazione diun auditorium per la musica, possibilmente ristrutturando l’at-tuale salone del palacongressi di via della Fiera; della ricostru-zione del Teatro Galli nell’alveo del sedime originario; dellariapertura di parte del fossato esterno e della corte a mare diCastel Sismondo. Abbiamo iniziato a parlarne conl’Amministrazione Comunale, stiamo da entrambe le parti appro-fondendo la situazione, per verificare la fattibilità di questo pac-chetto di proposte.Tre interventi ambiziosi e impegnativi…Non ci nascondiamo le notevoli difficoltà e il grande sforzofinanziario che una simile operazione, peraltro di lungo periodo,comporta, ma siamo fortemente convinti che essa potrebbe con-tribuire in modo determinante a significativi cambiamenti nelvolto e nell’immagine della città. Consentirebbe di attrezzarecompiutamente Rimini sul piano della dotazione di strutture perle diverse attività musicali e culturali e, nel contempo, di darenuovo volto e notevole valorizzazione alla parte di centro storicocompresa tra piazza Cavour e la vecchia circonvallazione.In conclusione?Le ultime evoluzioni normative ci restituiscono uno scenario nelquale la Fondazione può proseguire con rinnovato entusiasmo emeno vincoli il proprio cammino, da un lato mantenendo il con-trollo di Carim Spa e salvaguardando quindi la ‘riminesità’ delsuo assetto proprietario, dall’altro operando con nuovi, importan-ti progetti per la crescita culturale, sociale ed economica dellaprovincia di Rimini.

MARZO-APRILE 2004

NEWS ROTARY NEWS

A R I M I N V M51

Italo CucciPremio Rotary

“Livio Minguzzi” 2004

Page 52:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

MARZO-APRILE 2004

NEWS ROTARY NEWS

A R I M I N V M 52

AGENDAFEBBRAIO

05/02 Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15 n. 2488.Consegna del Premio Rotary Livio Minguzzia Italo Cucci

12/02 Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15 n. 2489.Enzo Pruccoli presenta “La Rimini che nonc’è più” di Arnaldo Pedrazzi.

19/02 Conviviale con signorePoggio Berni, “I tre re”, h. 20,30 n. 2490.Cena della caccia.

27/02 Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15 n. 2491.Massimo Valerio Manfredi presenta “Il tiranno”.

Rotary Club Rimini(Fondato il 29 gennaio 1953)Anno Rotariano 2002/2003

Consiglio Direttivo

Presidente: Bruno VernocchiVicepresidente: Enzo PruccoliPast President: Paolo Pasini

Segretario: Paolo SalvettiTesoriere: Duccio Morri

Consiglieri: Renzo Ticchi, Nevio Monaco,Gilberto Sarti e Gianluca Spigolon

Ufficio di Segreteria:Paolo Salvetti: Via Tripoli, 194

47900 RIMINI - Tel. 0541.389168

Ariminum: Via Destra del Porto, 61/B - 47900 RiminiTel. 0541.52374

ROTARY INTERNATIONALDistretto 2070

TOSCANA - EMILIA ROMAGNA - R.S.M.Governatore: Sante Canducci

MARZO04/03 Conviviale con signore.

Grand Hotel, h. 20,15 n. 2492.Giorgio Lisi intervistato da Dario Carella “Irisultati del semestre di presidenza italianadel Consiglio dell’Unione Europea”.

11/03 CaminettoGrand Hotel, h. 21,15 n. 2493.Pier Paolo Canè: “Il ginocchio nella chirur-gia ortopedica”.

18/03 Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15 n. 2494.Interclub con Rotary Club Rimini Riviera,Riccione Cattolicxa e Inner Wheel.Willy Pasini presenta “Autostima” e“Gelosia”.

25/03 Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15 n. 2495.Pierfrancesco Casula “Giustizia e famiglia”.

(foto

di Lui

gi Pri

oli)

Gli ospiti del presidente

del Rotary ClubRimini,

Bruno Vernocchi

Rosita Cupioli

Italo Cucci

Willy Pasini

Luciano Chicchi

Giorgio Lisi

Page 53:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 54:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,

A Rimini il grandes h o w r o o m“ G i o v a g n o l iCollezioni” è unpunto di riferimentoda vent’anni nel set-tore dei tessili daarredamento. La for-tuna del negozio èdovuta all’assorti-mento di tessuti ita-liani ed esteri, ricer-cati con estremaattenzione per offrireai clienti la migliorequalità e la più vastagamma, prerogativeche rendono unicoGiovagnoli su tutto ilterritorio nazionale.Importante è anchel’offerta di imbottitirealizzati in varimodelli nei tessutipiù pregiati.

GIOVAGNOLI COLLEZIONII tessuti più pregiati nel cuore di Rimini

Giovagnoli Collezioni Tessili e Complementi d’Arredo - Via Stepponi, 13/15 - Rimini - Tel 0541.384049 - Fax 0541.394274

Page 55:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,
Page 56:  · OPERE FIRMATE, COME SEGNI DEL TEMPO ... Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Liliano Faenza, Giuliana Gardelli, Marco Gennari, Ivo Gigli,