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Disegnamo dal primo giorno iniziando dalla mano, ognuno la propria, vista milioni di volte, milioni di volte usata, eppure non così studiata; in un foglio A4 pianta, prospetto e sezione secondo le “proiezioni ortogonali”(invero ancora sconosciute per qualcuno); un altro foglio A4 serve per disegnare una propria in-certa idea di mano, dopo la ratio. Fotocopiata su trasparente e proiettata, diviene condivisa e plurale riflessione in aula; ognuno scopre di avere anche tutte le mani degli altri. “Io ho una teoria infallibile sulle mani degli uomini, in particolare di architetti e artisti; per esempio, sono in grado di riconoscere tutti i miei studenti semplicemente dalle loro mani, perché vi assicuro che non esistono due mani identiche. Ciò che la gente produce dipende in larga misura dalla forma delle mani di chi opera. Le nostre architetture rispecchiano le nostre mani”1. Segue analoga operazione sul croissant (c’era una volta un lavoro significativo di Enric Miralles sul croissant e le proiezioni ortogonali) anche quello in due fogli A4, sezionato stavolta davvero, col coltello, fa un sacco di briciole - e chi ha dentro la crema?
E la geometria del croissant, si studia prima o dopo la cottura? Anche quello discusso e condiviso, fotocopiato su lucido e proiettato in aula: il disegno è lingua nuova per tutti, chi parla male italiano può disegnare facendosi intendere, del resto, per buona sorte, gli studenti stranieri a Firenze sono molti, ed è questa altra grande risorsa di contaminazione - di curiosità praticata ed alimentata, lontana dal pensiero unico - che un grande Ateneo di respiro internazionale come questo fiorentino può offrire.Al Laboratorio facciamo lezioni teoriche ma non troppo: ancora occasioni per disegnare abbastanza, sul diario di bordo, ognun per sé in formato A5, ché il disegno diventerà un piacere ovvero un vizio, del resto meglio disegnare che fumare. Di quaderni A5 a fine anno se ne consuma di solito più d’uno: essere a Firenze a studiare è una grande occasione e la città per l’architetto è come un grande libro aperto. Al proposito, in coda all’accademicoprotocollare Programma del laboratorio che è poi il patto-contratto con gli allievi, stanno sia la bibliografia con una decina di testi scritti (che chiamiamo
“libri necessari”, da Vitruvio ad Alberti a Palladio a Schinkel a Durand a Le Corbusier a Tessenow al ridolfiano Manuale dell’architetto) sia una lista di testi costruiti (da Palazzo Rucellai, allo Spedale degli Innocenti, alla Basilica Palladiana, alla Casa sulla Michaelerplatz, al Padiglione di Barcellona, alla Villa Savoye, al Dispensario antitubercolare, al Teatro del Mondo etc.) a ribadire che casomai il mestiere dell’architetto si impara ancora così, sperimentando con misteriosa lealtà le fertili incongruenze tra teoria e prassi. Allo stesso tempo, ripercorrere il viaggio di formazione del giovane Le Corbusier2, vedere i suoi appunti, come quelli di Schinkel, coetanei in tempi diversi, ventenni impegnati nei rispettivi Tour fa capire che in fondo, architettura si può fare.
Con queste premesse, il primo straordinario testo fiorentino oggetto d’esercitazione è la fabrica vasariana degli Uffizi, in quattro puntate: 1. una bibliografata lezione accademica sul progetto vasariano una lezione che ci costa ogni volta l’ebbra fatica del tradimento della storia, alla
We do drawing from day one, starting with the hand. Each
student draws his or her own, seen and used millions of times
yet never studied to such a degree. On one sheet of A4, plan,
perspective and section according to orthogonal projections
(which, in truth, are new to some of them); another sheet of
A4 serves to draw one’s own un-certain idea of the hand after
the ratio. Photocopied onto a transparency and projected, it is
shared with and commented on by the whole class; everyone
discovers that they also have the hands of the others. ‘ I have an
infallible theory about men’s hands, particularly those of architects
and artists; for example, I can recognize all my students simply from
their hands, because, I can assure you, no two hands are identical.
What people produce depends to a large extent on the shape of the
hands of the person doing the work. Our architecture reflects our
hands.’1 A similar procedure is then adopted with a croissant
(Enric Miralles once produced an important work on the
croissant and orthogonal projections), also on two sheets of A4.
This time the subject really is sectioned, with a knife. It makes
for a lot of crumbs... and who has custard inside? And should
one study the geometry of the croissant before or after it has
been in the oven? The results are once again photocopied onto
a transparency, projected and discussed at class level. Drawing
is a new language for everyone, and students who do not speak
Italian very well can still make themselves understood in their
drawings; as it happens, there are fortunately lots of foreign
students in Florence, which is a further great resource for the
intercultural contamination and dialogue – for fuelling curiosity,
far from any single current of thought – that a university like
Florence, with its international perspective, is in a position to
offer.
In the workshop we do theoretical but not too theoretical
lessons: further opportunities for quite a bit more drawing,
in the travel log, each person with his or her A5 notebook.
Drawing becomes a pleasure, or rather, a vice, but then drawing
is better than smoking. By the end of the year the students
have usually got through more than one sketchbook; after all,
Come un progetto [L ike a Projec t]Giacomo Pirazzoli
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studying in Florence is a great opportunity and the city is a
large open book for the architect. By the way, at the end of
the academic, protocol-like Workshop Programme – which is
the pact cum contract with the students – there is a reading
list with about a dozen written texts (described as “required
reading”, they range from Vitruvius to Alberti, Palladio, Schinkel,
Durand, Le Corbusier, Tessenow and Ridolfi’s ‘The Architect’s
Manual’) and a list of built texts (from Palazzo Rucellai to the
Spedale degli Innocenti, the Basilica Palladiana, the House on the
Michaelerplatz, the Barcelona Pavilion, Villa Savoye, Gardella’s
Anti-Tubercolosis Dispensary in Alessandria, Rossi’s World
Theatre, etc.), a reiteration of the concept that the architect’s
profession can still be learnt in this way, by experiencing with
mysterious loyalty the fruitful incongruities between theory and
practice. At the same time, retracing the formative journey of
the young Le Corbusier,2 seeing his notes, and those of Schinkel,3
contemporaries in different ages, twenty-year-olds busy on their
respective tours, helps to show that, ultimately, self-learning is
possible in architecture.
On the basis of these premises, the first extraordinary
Florentine text studied is Giorgio Vasari’s fabrica, the Uffizi, in
four episodes:
1. A traditional academic lesson, complete with reading list, about
Vasari’s project – a lesson that costs us each time the incredible
fatigue of betraying history in the conjectural search for the
inherent issues of construction that are missed by a mere list
of dates and that prompt an endless series of correspondences
between the centuries or between buildings themselves. The
Uffizi was a large-scale piece of urban redevelopment right in the
heart of the historic city centre, and effectively an extension, a
couple of centuries on, of the medieval Palazzo Vecchio. With
a gambit worthy of an extraordinary exponent of the mature
Renaissance, Giorgio Vasari drew neither on the material nor
the rhythm nor the dispositio of Palazzo Vecchio, but built a
sensitive point in the relationship of Florence with its river, a
large substructure, a landscape-size artifice, combined with
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ricerca congetturale di quelle faccende proprie della costruzione che eludono le date e tirano ondivaghe corrispondenze tra i secoli o tra le fabriche stesse. Gli Uffizi, una ristrutturazione urbanistica pesante, in pieno centro storico, nei fatti l’ampliamento, dopo un paio di secoli, del medioevale Palazzo Vecchio, del quale Giorgio Vasari - con mossa da straordinario interprete del Rinascimento maturo - non riprende né il materiale, né il ritmo, né la dispositio, costruendo un punto sensibile nel rapporto di Firenze col suo fiume, una grande sostruzione, artificio a scala di paesaggio, coniugata con la sapienza delle ristrutturazioni interne dei quartieri monumentali, con la maestrìa tecnico costruttiva della volta a botte al piano terra, appoggiata da una parte sul muro, dall’altra sulla teoria pilastro-colonna-colonna-pilastro, quella “campata” appunto che diventa sistema sottomultiplo di misura, capace di inglobare e ri-comprendere le preesistenze della Zecca e perfino della Loggia dei Lanzi;2. una sortita per il disegno dal vero, che consente normalmente agli allievi, nel freddo di novembre, di raggelare qualche pensiero in due fogli A4: insieme a piante-prospetti-sezioni per proiezioni ortogonali le ulteriori riflessioni sulla fabrica, i primi tentativi di studiarne la complessità tra idea e costruzione, il primo
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the skill of the reworking of the interior of the monumental
quarters, with the technical building expertise of the barrel
vault on the ground floor, resting on the wall on one side and
on the pillar-column-column-pillar sequence on the other,
a “span” that became a submultiple system of measurement
capable of incorporating and re-understanding the pre-existing
mint and even the Loggia dei Lanzi.
2. A live drawing sortie which normally enables the students,
in the chill of November, to freeze some thoughts onto a
couple of sheets of A4: besides the plans-perspectives-sections
through orthogonal projection, there is further consideration
of the fabrica, the first attempts to study its conceptual and
constructive complexity, the first live encounter with a real
Architecture of the City that crossed the river via the unequalled
corridor and shaped pre-existing and new forms into a system,
giving us an extraordinarily important instance of urban reform,
a lesson that is still pertinent today.
3. Then, as with The hand and The croissant, there is a classroom
discussion about the drawings, which are displayed on a
screen, and through a magical multiplication of individual and
circumscribed thoughts a number of things emerge: the serliana
that dematerializes the building in the direction of the water ;
sections that seek to chart the effect of the sun reflected from
the river onto the intrados of the vaults; the relationship, in terms
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incontro live con l’Architettura della città che supera il fiume per l’impareggiabile corridore e mette a sistema preesistenze e intervento nuovo, consegnandoci una operazione di riforma urbana di straordinaria portata, una lezione continua sempre buona ed attuale;3. segue come era stato per la mano e per il croissant una discussione in aula sui disegni proiettati al muro, e per la magica moltiplicazione dei singolari circostanziati pensieri appaiono la serliana che smaterializza l’edificio verso l’acqua, qualche sezione che cerca di documentare l’effetto del sole riflesso dal fiume sull’intradosso delle volte, il rapporto planimetrico e di volume col cubo petroso di Palazzo Vecchio, il grande sporto di gronda che cattura il Forte di Belvedere in sommità alla collina prospiciente, la torre preesistente inglobata dal Vasari sul fronte verso l’Arno, la teoria di ponti che in varie declinazioni collegano il corridore con gli edifici contigui, il taglio della navata sinistra di S.Pier Scheraggio, il ritmo delle bocche di luce della volta a botte, l’architrave continuo, l’arco in testata della volta a botte, le mensole che doppiano l’angolo etc.4. l’ultima sessione è in aula, a memoria, per disegnare scegliendo ciò che in testa e nelle mani resta degli Uffizi, dopo tanto argomentare.
Nel frattempo, i termini utili3, le parole dell’architettura4,
il lavoro degli altri5 architetti tipo Palladio, Alberti, Schinkel, Tessenow, Loos, Le Corbusier, Aalto, Mies, Kahn, Wright, Ridolfi, Michelucci, Gardella, Scarpa, Albini, Rossi: un paio di opere per ciascuno, a volte col cimento live (in aula) di disegnarne la pianta mentre viene proiettata la sezione. Induttivamente. A volte la pianta o la sezione diventano ideogrammi. Tra due e tre dimensioni. Avanti tutta.Altre quattro puntate per la Stazione di Santa Maria Novella, stesso lavoro che per gli Uffizi, a Firenze non c’è solo Rinascimento. Sommatoria di frammenti di singolar pensiero, escon fuori - proiettando e discutendo in aula i disegni fatti dal vero - lo spazio monumentale della biglietteria, la difficile sezione ambientale che lega la stazione per orizzontale dilatazione all’abside della chiesa di S.Maria Novella, la stupefacente sezione della galleria di testa col trucco delle travi inginocchiate, il lavorìo michelucciano sui materiali, qualche accenno ai proporzionamenti possibili, fino al design gruppotoscano che pervade gli arredi e gli oggetti della stazione facendoli parte dell’infrastruttura. Intanto quasi in parallelo si riflette sul concetto di luogo, si individua l’area di progetto per due anni piazza Poggi a Firenze, luogo cardine tra la città storica e la città in aggiunta di Giuseppe Poggi,
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of plan and volumes, with the stone cube of Palazzo Vecchio;
the large overhanging eaves that capture Forte di Belvedere on
top of the opposite hill; the pre-existing tower incorporated by
Vasari into the front facing the Arno; the series of bridges that
link in various ways the corridor with the adjoining buildings;
the demolition of the left aisle of S. Pier Scheraggio church; the
rhythm of the light holes in the barrel-vaulting; the continuous
architrave; the arch at the end of the barrel-vaulting; the
brackets that double the angle, etc.
4. The final session is in the classroom, choosing and drawing from
memory what has remained of the Uffizi, in head and hands,
after all the discussion.
In the meantime there are the useful terms,4 the architectural
terms,5 the work of others,6 architects like Palladio, Alberti,
Schinkel, Tessenow, Loos, Le Corbusier, Aalto, Mies, Kahn, Wright,
Ridolfi, Michelucci, Gardella, Scarpa, Albini, Rossi: a couple of
works by each architect, sometimes with the live classroom test
of projecting the section of a building on the wall and having
the students draw the plan. Inductively. Sometimes the plan or
the section become ideograms, somewhere between two and
three dimensions. Full speed ahead.
A further four sessions on the railway station of Santa Maria
Novella, adopting the same procedure as that used for
the Uffizi. Florence is not just the Renaissance. Summing
together fragments of individual thought, what emerges
– projecting and discussing the drawings executed from
life – is the monumental space of the ticket office, the
difficult environmental section stretching out horizontally and
linking the station with the apse of the Church of Santa
Maria Novella; the fabulous section of the gallery with
the stratagem of the kneeling beams; Michelucci’s work
on materials; something about possible propor tioning and
the gruppotoscano design that pervades the furnishings and
objects of the station to such an extent that they become
par t of the infrastructure itself.
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per altri due anni il quartiere “difficile” delle Piagge, nell’immediata periferia fiorentina e si comincia il corpo a corpo con questa, se ne studiano la storia e le vicende urbane, se ne costruisce il modello 1:500 colle mani e il cartonlegno (previa spiegazione tecnica tra colleghi, gli allievi dell’anno precedente) servirà a capire le relazioni progetto-contesto o a esplorare il luogo col progetto?Dopo Natale, tra la fine del primo semestre e l’inizio del secondo si lavora alla restituzione tridimensionale di un quadro di Le Corbusier, periodo purista: ipotesi di sviluppo pianta-prospetto-sezione con le proiezioni ortogonali, poi modello a strati, seguendo una congettura teorica di Colin Rowe6: da due a tre dimensioni, tipico problema a soluzione pressochè infinitamente variabile; ognuno è gentilmente invitato a prendere la propria responsabilità, esprimendo nel fare il proprio pensiero7. Quindi dopo lo spolverone, lettura a più mani dell’intorno urbano relativo al progetto, stavolta per incroci diretti di pensieri e di matite la corsa verso il tema finale8.Due passaggi-chiave, due esercitazioni preliminari: la lettura del luogo (IL LUOGO) e l’individuazione e lo studio di un progetto di padiglione d’Autore (I RIFERIMENTI). Ridisegnandolo, qualcuno p.e. si accorge che il Padiglione di Barcellona di Mies ha otto
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pilastri disposti in un certo modo rispetto alla parete, che un muro unisce i due tetti, che un basamento tiene assieme tutto; di nuovo, termini utili. Torna l’ideogramma, per tentare di catturare con una mossa il senso di una pianta o di una sezione, e va bene sia per i Riferimenti che per il Progetto; di ideogrammi, anche nella nostra stanca civiltà occidentale, ce n’è dappertutto, dai teloni dei camion in autostrada ai grandi pannelli luminosi della pubblicità, alle pagine dei settimanali. In fondo “la calligrafia e l’arte della spada si somigliano”9: per entrambe le discipline si ricerca un equilibrio di esattezza, un po’ come per l’architettura.I padiglioni progettati in Piazza Poggi scoprono un rapporto col fiume, ma anche Vasari agli Uffizi l’aveva cercato e con la piazza retrostante, ovvero col quarto edificio sapientemente lasciato nella penna dall’ing.Poggi: emerge un’idea di principio insediativo che fa sì che anche un padiglione sia una architettura della città; mentre i gabinetti, forse persi nell’incanto per l’arte, alcuni allievi provano a dimenticarli… Ancora, dal modello al disegno, e viceversa, avendo stavolta a che fare con la luce - fotografie ai plastici! - con la dimensione delle opere che varia, non è così certa: bisogna collocare anche due installazioni, di Zorio e di Merz,
e un Paolini anche quello a dimensione variabile, un Senza titolo (montagna) di Enzo Cucchi etc.; pare sfuggire a qualcuno, ogni tanto, la contemporaneità, schiacciati dalla importante storia del luogo e di Firenze in generale. Eppure, nel nostro mestiere di architetti, è forse una di quelle cose da imparare gioiosamente ad inseguire.Con diversi accenti alle Piagge, trascinati a volte da prosaica urgenza, o forse tentati di trasfigurarla in poesia del frammento e di lacera contemporaneità, gli allievi con poche mosse cercano di manipolare luoghi difficili di genti e di natura, e fogne a cielo aperto, e cave divenute suolo d’abitazioni temporanee. Ne scaturiscono intenzioni e proposte che, nell’acerba materia del primo anno, con misteriose oscillazioni, sometimes Learning from Las Vegas, altre volte da L’architettura della città, o ancora non sempre del tutto consapevolmente tra Collage cities e Città analoghe10. È per questo lavorìo pervasivo ed energico - intrisi a volte del nostro stesso animo, tentati da noi per trucchi seduttivi ed induttivi, solo a volte rispettati nella loro acerba incoscienza del mestiere, solo a volte messi dinanzi a qualcosa che non è loro, con la sfida di appropriarsene, davanti alla intrigante rivelazione di un ideogramma, o alla alchemica sequenza pianta-sezione - che bravissimi
crescono gli allievi11 (nel Corso come per le Tesi di laurea), sfiorando in qualche occasione temi epocali come questo del presente continuo, una cosa misteriosa sulla quale da qualche tempo sto inevitabilmente io stesso cercando di lavorare12. Vero è che per lungo tempo mi sono coricato presto la sera, a volte sui quei fiorentini frammenti di didattica michelucciana fatta con la matita a rovescio, quella de “in ultima analisi, l’architettura non si insegna, o meglio, io non la saprei insegnare”13 o ancora cullato dalla capacità affabulatoria del Grande Vecchio che parlava degli angeli14. Poi, da un certo momento, ho cominciato a pensare che, senza infingimenti o presunte neutralità, questi siamo, nelle cose che facciamo, e questo entusiasmante rapporto col grande archivio umanistico, la sua continua rielaborazione che ci appartiene fino all’auspicato tradimento, giorno dopo giorno falsifichiamo, nelle occasioni e nelle epifanie che questo stato di cose qui in Italia di perpetrato disinteresse per l’architettura15 che si traduce in quasiagiata sopravvivenza per gli architetti caso per caso permette. Per timore di plagio, per timidezza, per artata pigrizia, mai in questi anni abbiam mostrato agli allievi del Laboratorio qualche nostro lavoro o progetto: c’erano tuttavia, ben nascosti dentro di noi, radicati come tronchi
Meanwhile, almost in parallel, consideration is given to the
concept the site. A project area is chosen – for two years
it was Piazza Poggi in Florence, a key location between the
historic core of the city and the added city of Giuseppe
Poggi, and for another two years it was the “difficult” Piagge
neighbourhood on the outskir ts of Florence – and the
students star t getting to grips with it, studying its history
and urban vicissitudes, and hand-building a 1:500 model in
board (following a technical explanation amongst colleagues,
students from the previous year). Will this help to understand
the project-context relationship or to explore the site through
the project?
After Christmas, between the end of the first semester and
the beginning of the second, a painting by Le Corbusier,
executed in his purist period, is re-composed in three
dimensions: a possible plan-perspective-section development
through orthogonal projection and then a layered model
according to a theoretical conjecture advanced by Colin
Rowe,7 namely from two to three dimensions, a typical problem
with a solution that is almost infinitely variable. Everyone is
kindly invited to take responsibility for their work, and to
express their thinking by doing.8
Then – after a sort of stratigraphic panel, a group drawing of the
urban surrounds of the project, this time by means of direct
intersection of thought and pencil – there is the rush towards
the final project.9
Two key steps, two preliminary exercises: reading the site
(THE SITE) and finding and studying an architect’s pavilion
project (THE REFERENCES). While redrawing Mies’ Barcelona
Pavilion, someone, for instance, notices that it has eight pillars
arranged in a certain way in relation to the interior wall, that
a wall unites the two roofs, that a basement holds everything
together. More useful terms.
Then it is back to the ideogram, in an effort to capture with
a stroke the sense of a plan or section, which is fine both
for the References and for the Project; even in our jaded
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d’albero nella neve; ora, a Laboratorio finito, per altrettanto artata impudicizia, ovvero riconosciuta necessità di chiarezza, ne diamo qui qualche immagine. Lasciamo ai pazienti lettori la libertà di qualche scoperta, per queste incursioni nel mondo dell’arte contemporanea - che caratterizzano da un po’ la mia attività di ricerca e di lavoro, e da qualche tempo per una sorta di strana prova del destino, alcuni fatti della mia vita16 - come dei territori della marginalità, che ho avuto la buona sorte di affrontare in termini di migrazione.17 A consistente base di tutto, è per me il lavoro di ricerca ed elaborazione maturato in questi anni nel gruppo diretto da Paolo Zermani, con la parola-chiave Identità dell’architettura18, che
per mio difficile ribellismo tendo ormai ad interpretare sempre in modo più spurio, come se l’identità acquistasse forza dal senso nomadico di questo nostro tempo global/no global19 che magari non ha dimenticato le precedenti globalizzazioni, tipo quella dell’impero romano etc.Per chiudere, dirò che l’imperativo Hey! Teachers! Leave them kids alone!20 è stato, per noi, più che un obiettivo: la didattica incrociata, le iniziative à coté, l’indicazione costante di percorsi alternativi hanno contribuito a costruire un modo dialettico di convogliare attenzione per questa che rimane disciplina caratterizzante l’intero Corso di Laurea; gli allievi hanno lavorato sodo, forse in omaggio
Western civilization, there are ideograms everywhere – on
the tarps of trucks on the motorway, on large illuminated
advertising billboards and in the pages of weekly magazines.
Ultimately, ‘calligraphy and the art of the sword resemble each
other’:10 in both disciplines there is a quest for an equilibrium
of exactness, a bit like in architecture.
The Piazza Poggi pavilions reveal a relationship with the river –
which Vasari also looked for with the Uffizi – and with the piazza
to the rear, in other words with the fourth building, shrewdly
left in ink by Poggi. There emerges the concept of the principle
of settlement, which ensures that even a pavilion is architecture
of the city, while some students, perhaps bowled over by the art,
seem to forget about the toilets... Once again from the model
to the drawing and vice versa, focusing this time on the light –
photographs to models! – which, with the varying dimensions of
the works, is not all that certain. There are also two installations
to position, one by Zorio and one by Mertz, plus a work by
Paolini that is also of variable dimensions, and an extraordinary
Untitled (mountain) by Enzo Cucchi, etc. Every now and then
someone seems to forget contemporaneity, weighed down as
they are by the important history of the place and of Florence
in general. Yet in the architectural profession, this is perhaps
one of things that one needs to learn to pursue joyfully.
Likewise, though with different forms of emphasis, at the
Piagge. Propelled at times by a prosaic urgency, or perhaps
tempted to transform it into poetry of the fragment and of
ragged contemporaneity, the students try, with a few moves, to
reshape difficult sites that have a mix of peoples, a problematic
natural environment, open-air sewers and quarries turned into
temporary homes. These yield intentions and proposals from
the green first-years that oscillate mysteriously, some times
between Learning from Las Vegas and The Architecture of the
City, or, in a not yet entirely conscious fashion, between The
Analogous City and Collage City.11
It is through this pervasive, energetic work that the students
ad un riconosciuto principio di responsabilità che viene evocato fin dal primo giorno di lezione: è finita la scuola dell’obbligo, questa Facoltà è una scelta vostra! verso un vigile autodidattismo che è più ancora una sorta di autonomia, e che resta forse la migliore carta di una Facoltà di Architettura che sta in un luogo straordinario come la città di Firenze, primo libro aperto dinanzi ad occhi che stanno imparando a vedere. Alcuni dei risultati visibili sono illustrati nelle pagine a seguire; la parte più interessante credo resti comunque sparsa tra gli allievi, risorse umane del futuro, che hanno cominciato ad approcciare un lavoro formidabile, fatto di complessità vera, e ricco di prospettive tutte da interpretare.Note
1. Fernando Távora, “La mia opera”, in a. esposiTo, G. Leoni, Fernando Távora
opera completa, Milano 2005, p.12.
2. Vd. G. pirazzoLi, Le Corbusier studente autodidatta e l’arte di vedere, in
“Firenze Architettura” n.1&2 2003, p.116-121; privo delle immagini è anche in
Belardi, Bianconi, Bonci, Verducci, Un disegno in eredità: in memoria di Adriana
Soletti, Libria, Melfi 2004, p.17-24.
3. In particolare le definizioni concettuali in a. Ch. QuaTremére de QuinCy,
Dizionario storico di architettura - Le voci teoriche, a cura di v. FarinaTi e
G.TeyssoT, Marsilio, Padova 1985; L.semerani (a cura di), Dizionario critico
illustrato dei termini utili all’architetto moderno, Faenza, Celi, 1993; F. CoLLoTTi,
Appunti per una teoria dell’architettura, Lucerna, Quart ed., 2001.
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mature (in the course and during the final dissertation).12
Sometimes imbued with our own spirit, prodded with
seductive and inductive tricks, their inexperience is only at
times respected and only at times are they placed in front
of something that does not belong to them and challenged
to appropriate it, in the face of the intriguing revelation of
an ideogram or the alchemic sequence of plan and section.
On some occasions they touch on epochal themes like that
of the present continuous, a mysterious thing on which I have
myself inevitably been trying to work.13 It has long been my
habit to retire to bed early at night, sometimes taking with me
Michelucci’s fragmentary Florentine teachings executed with
the flat end of a pencil, comments like ‘in the final analysis,
architecture can’t be taught, or rather, I wouldn’t know how to
teach it’,14 lulled by the narrative skills of the venerable sage as
he talked about angels.15 Then, at a certain point, I began to
think that, without simulation or presumed neutrality, we are
what we are, in the things that we do, and that day after day
we forge this fabulous relationship with the great humanistic
archive (and its constant re-elaboration, which remains part
of us until, hopefully, it is betrayed) on the occasions and in
the epiphanies that this state of affairs – here in Italy, with its
perpetual disinterest for architecture,16 which translates into
almost comfortable survival for architects – permits on a case
by case basis. Either from fear of plagiarism, timidity or artful
laziness, over the years we have never shown our work and
projects to the students in the workshop. They were there
though, concealed within us, rooted like tree trunks in the snow,
and now that the workshop is over, either for an equally
artful immodesty or an acknowledged need for clarity, we are
showing a few pictures here.
We leave readers with the patience to leaf through these
pages the freedom to discover some things for themselves, to
make incursions into the world of contemporary ar t – which
have been something of a constant in my work and research
for some time now, and, by a strange twist of fate, in my
4. In particolare la terminologia tecnico-scientifica dai dizionari di architettura tipo
pevsner, FLeminG, honour, Dizionario di architettura, Torino, Einaudi 1981.
5. Esiste un sapere trasversale alle epoche che contiene specificità disciplinari:
l’architettura non è pura creatività ma anche studio del lavoro di coloro che ci hanno
preceduto; analogamente alla musica (vd. p. vaLéry, Eupalino o dell’architettura,
trad. di R. Contu, con uno scritto di G. Ungaretti, Ed.Biblioteca dell’immagine,
Pordenone, 1988), o alla letteratura (vd. i. CaLvino, Lezioni americane, Garzanti,
Milano 1988). Quel che è nella storia ovvero il grande archivio umanistico, per
dirla col mio amico Michele Dantini, non è un peso ma una risorsa; è bello poter
esercitare un lavoro che ha almeno quattromila anni di esperienze: in questo
senso, anche dentro la scuola particolarmente per questo Laboratorio di primo
anno coltivo una sorta di disattenzione rispetto alle riviste specializzate o alla
comunicazione in generale, trovo che diversamente sarebbe come accontentarsi
degli ultimi dieci minuti o magari di qualche strato superficiale. Credo che il lavoro
sugli ideogrammi - che servono un po’ a catturare gli archetipi, i fatti primari ed
elementari - abbia qualche icastica ambizione di profondità.
6. C. rowe, r. sLuTzki, “Transparenz”, in Le Corbusier Studien 1, Birkhäuser
Verlag, Basel/Stuttgart 1968.
7. Vd. qui, il capitolo dedicato a questa sezione di didattica sperimentale.
8. Come sopra ricordato, si è trattato per due anni del progetto di un padiglione
espositivo per cinque opere di arte contemporanea dalla collezione del Centro Pecci
di Prato (www.centropecci.it) al riguardo si veda, qui, lo scritto di Samuel Fuyumi
Namioka, curatore della Collezione Permanente del Centro, che ha lavorato con
noi alla riuscita di questa esperienza localizzato a Firenze in Piazza Poggi, e per altri
due anni di un centro sociale alle Piagge, nell’hinterland fiorentino.
9. Dal film Hero, di Zhang Yimou, Hong Kong/Cina, 2002.
10. Per più di una ragione, credo sia tuttora importante non dimenticare né le
ricerche degli anni ’60 di Robert Venturi (Learning from Las Vegas, 1965) e Aldo
Rossi (L’architettura della città, 1966, e con diverso mezzo Città analoga, 1972)
come pure Collage city (1978) di Colin Rowe e Fred Koetter. Credo che almeno
questi lavori siano da tenere in conto per articolare ragionamento sensato tra le radici
della vecchia Europa e quelle del Nuovo mondo (e tutto quel che ne consegue);
aggiungo che tra gli architetti contemporanei uno dei pochi che a mio modo di
vedere dimostra contezza concettuale della questione - forse anche in virtù della
straordinaria esperienza di vita tra States e Spagna e dell’eccezionalità della carriera
dentro l’istituzione accademica continuamente resa viva dal fare del suo lavoro di
architetto - è Rafael Moneo, del quale vale qui almeno citare sia La solitudine dei
monumenti e altri scritti, Torino, Allemandi, 2002, sia Theoretical anxiety and design
strategies, The MIT Press, Cambridge, Massachussets, 2004.
11. Vd. m. LodoLi, I professori e altri professori, Torino, Einaudi, 2003.
12. G. pirazzoLi, Paesaggio, Archeologia, progetto contemporaneo, a cura di
L.ariani e C.Bini, All’Insegna del Giglio per CNR, Firenze 2003. Connesso al
concetto di presente continuo, attraverso l’intrepretazione di un territorio per
filamenti sottili, viene individuato un percorso che punta alla dissoluzione del
progetto d’architettura nella sua attuale accezione metrocubica, verso una certa
pervasiva idea di paesaggio; con qualche pazienza si troverà forse traccia anche
di questa istanza nei lavori che seguono.
13. G. Michelucci, cit. in F.rossi prodi, Carattere dell’architettura toscana, Roma
2003, p.13; rimando a questo fondamentale lavoro al quale illo tempore l’Autore mi
invitò a collaborare - cosa che feci solo per l’aurorale parte Cofin, forse perché ogni
tanto mi salva la curiosità di leggere le cose scritte da altri - anche per il ragionamento
scientificamente articolato sulla didattica dell’architettura nella Facoltà fiorentina.
14. G. miCheLuCCi, L’ultima lezione, a cura di a. aLeardi e G. pirazzoLi, Biblioteca
del Cenide, Cannitello 2001.
15. “In Italia l’architettura non interessa quasi nessuno; non interessa chi governa
e neppure chi amministra“; mi si perdoni l’autocitazione, che è comunque datata
(in Paolo Zermani architetture, catalogo della mostra al Trevi Flash Art Museum,
a cura di G.Pirazzoli, Milano, Politi ed.,1995, p.7) e serve qui a documentare
il permanere della medesima situazione, al di là della mediatica onnipresenza
glamour di alcuni architetti-star utili in funzione di testimonial per pubblicizzare
orologi o auto di lusso.
16. Dal 2002 al 2006 ho presieduto l’Accademia di Belle Arti di Firenze, con una
riflessione dalla parte del fare tra conservazione e contemporaneità.
17. Penso al Progetto Albania di UNIFI, coordinato da Stefania Fuscagni, al
quale ho potuto lavorare dal 2002 al 2004, sperimentando in diretta la medesima
modalità induttiva che caratterizza anche il mio lavoro con gli studenti. I materiali
del Laboratorio Scutari sono principalmente pubblicati nella rivista “Portolano
Adriatico”, n.1-2004 e n.2-2005; il recupero del Dipartimento di Italianistica
dell’Università di Scutari è in Identità dell’Architettura Italiana 1-2003.
18. p. zermani, Identità dell’architettura, 2 voll., Roma, Officina ed., 2002.
19. Cfr. Identità e nomadismo, Siena, Palazzo delle Papesse, Silvana Ed., Milano
2005; No Logo di n. kLein è l’unico testo marcatamente extradisciplinare che
dal 2001 è stato nella bibliografia del Laboratorio da me tenuto.
20. The Pink Floyd (Roger Waters), Another Brick in the Wall Part 2 - 3:56; in
The Wall, 1979, prodotto da D. Gilmour, B. Ezrin e R. Waters.
N.B.: sparse tracce del presente testo sono in G. pirazzoLi,
Pensare/Classificare/Comporre, in “Firenze Architettura” n.3/2003, pp.78-79
16
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life as well17 – and into spheres of marginality, which I have
had the good fortune to tackle in terms of migration.18 The
solid foundation for all this is the research and development
of ideas carried out in these years in the group directed
by Paolo Zermani, the key phrase of which was Identity of
Architecture,19 which, given my evolution as an architect, I
now tend to interpret in an increasingly spurious fashion, as
if identity had acquired strength from the nomadic sense of
our global/no global age,20 which maybe has not forgotten the
previous instances of globalization, for example that of the
Roman Empire. In conclusion, I would say that the imperative
Hey! Teachers! Leave them kids alone!21 has been more than
just an objective: the coordinated teaching programme, the
à cotè initiatives, the constant pointing out of alternative
paths have contributed to the establishment of a dialectic
way of directing attention towards what remains a key
discipline of the entire degree course. The students worked
hard, perhaps acknowledging and responding to the principle
of responsibility invoked from the very first lesson (You’re not
at school anymore, you chose this faculty!), in the direction
of an aler t form of self-education which above all else is a
kind of independence. This, perhaps, is the trump card of a
Faculty of Architecture situated in an extraordinary place
like Florence, which is the first open book for students
learning to see. Some of the apparent results are illustrated
in the following pages;22 the most interesting results though,
I think, remain with the students, the human resources of
the future, who are embarking on a formidable task with
genuine complexities and a wealth of perspectives to be
interpreted.
Notes
1. Fernando Távora, ‘La mia opera’, in A. Esposito, G. Leoni (eds.), Fernando Távora.
Opera completa, Milan 2005, p.12.
2. G. Pirazzoli, Le Corbusier studente autodidatta e l’arte di vedere’ in “Firenze
Architettura”, 1&2, 2003, pp.116-121; a non-illustrated version of this text can also
be found in Belardi, Bianconi, Bonci, Verducci, Un disegno in eredità – in memoria di
Adriana Soletti, Libria, Melfi 2004, p.17-24.
3. Karl Friedrich Schinkel, Il viaggio in Sicilia, M. Cometa and G. Riemann (eds.),
Sicania, Messina, 1990. A thoughtful reflection on the significance of travelling for
K. F. Schinkel can be found in F. Collotti, Il progetto come viaggio e trasposizione – Karl
Friedrich Schinkel, architetture e paesaggi, in “Firenze Architettura” 1, 2004, pp.64-71.
4. See, in particular, the conceptual definitions in A. Ch. Quatremére de Quincy,
Dizionario storico di architettura - Le voci teoriche, V. Farinati and G. Teyssot (eds.),
Marsilio, Padua 1985; L. Semerani (ed.), Dizionario critico illustrato dei termini
utili all’architetto moderno, Celi, Faenza, 1993; F. Collotti, Appunti per una teoria
dell’architettura, Quart, Lucerne, 2001.
5. In particular, the technical and scientific terminology in dictionaries of
architecture, for instance N. Pevsner, J. Fleming, H. Honour, The Penguin Dictionary
of Architecture, Penguin, London, 1966.
6. There is a form of knowledge that spans the ages and contains disciplinary
specificities: architecture is not pure creativity but also the study of the work of
those who have preceded us; the same is also true of music (see P. Valéry, Eupalinos
ou l’architecte, Paris 1923, Italian edition Eupalino o dell’architettura, translated by
R. Contu, with a text by G. Ungaretti, Biblioteca dell’immagine, Pordenone, 1988), or
literature (see I. Calvino, Six Memos for the Next Millennium, Harvard University Press,
Cambridge, Mass. 1988). What there is in history, or in the great humanistic archive,
as my friend Michele Dantini says, is not a burden but a resource; it is wonderful to
be able to work in a profession that has at least four thousand years of experience
behind it. In the light of this, also at university and particularly with regard to this
first-year workshop, I cultivate a kind of studied disregard for specialist architecture
magazines or those dealing with communication in general. I find that otherwise
it would be like contenting oneself with the last ten minutes or perhaps just a few
surface layers. I believe that the work on ideograms, which serve somehow to
grasp the archetypes, the essential elements, have a certain figurative aspiration
to profundity.
7. C. Rowe, R. Slutzki, ‘Transparenz’, in Le Corbusier Studien 1, Birkhäuser Verlag,
Basel/Stuttgart 1968.
8. See the chapter devoted specifically to this part of the experimental teaching
programme.
9. As mentioned above, for two years the final project was to design an exhibition
pavilion for Piazza Poggi in Florence. This was to hold five works of contemporary
art from the collection of the Centro Pecci in Prato (www.centropecci.it); see
also the essay by Samuel Fuyumi Namioka, at the time curator of the centre’s
permanent collection, who contributed to the success of this project. For another
two years the project was to design a social centre in the Piagge, in the hinterland
of Florence.
10. From the film Hero by Zhang Yimou, Hong Kong/China, 2002.
11. For a number of reasons I believe it is still important to remember the work
of Robert Venturi (Learning from Las Vegas, 1965) and Aldo Rossi (L’architettura
della città, 1966 - translated into English as The Architecture of the City, 1982,
MIT Press - and, in a different way, ‘La Città analoga’, ‘The Analogous City’,
1972) in the 1960s, and likewise Collage City (1978) by Colin Rowe and Fred
Koetter. I think that at least these works should be taken into account when
attempting to articulate a preliminary but well-grounded reflection on the
links between the roots of old Europe and those of the New World (and
everything that ensues from this). I would also like to add that one of the few
contemporary architects that, in my view, demonstrates a conceptual grasp
of the issue, perhaps also as a result of the extraordinary way he divides his
time between the United States and Spain and his exceptional career in the
academic world, which is constantly stimulated by his work as an architect,
is Rafael Moneo. At least two of his works deserve mentioning here: La
solitudine dei monumenti e altri scritti, Allemandi, Turin, 2002, and Theoretical
Anxiety and Design Strategies, The MIT Press, Cambridge, Mass., 2004.
12. See Marco Lodoli, I professori e altri professori, Einaudi, Turin, 2003.
13. G. Pirazzoli, Paesaggio, Archeologia, progetto contemporaneo, L. Ariani and C.
Bini (eds.), All’Insegna del Giglio per CNR, Florence 2003. In relation to the
concept of the present continuous, and through interpretation of an area in
terms of thin filaments, a path is identified, the aim of which is to dissolve the
architectural project in its current, rather jaded, metro-cubic meaning and to
work towards a pervasive idea of landscape. With a little patience, some traces
of this can also be found in the works that follow.
14. G. Michelucci, quoted in F. Rossi Prodi, Carattere dell’architettura toscana,
Rome 2003, p.13; I also refer to this fundamental work – which, illo tempore,
the author invited me to collaborate on, which I did only for the initial
cofinanced section, perhaps because every now and then I am saved by the
curiosity to read what other people write – for the scientific argumentation
regarding the teaching of architecture at the University of Florence.
15. G. Michelucci, L’ultima lezione, A. Aleardi and G. Pirazzoli (eds.), Biblioteca
17
Recupero del Monastero di S.Salvatore a Camaldoli, piazza Tasso, FirenzePaolo Zermani (capogruppo), Laura Landi, Paolo Osti, Fabrizio Rossi Prodi, Fabio Capanni, Giacomo Pirazzoli
1998 – 2003
Completa il recupero degli spazi interni e la demolizione delle superfetazioni il volume nuovo in pietra che ospita scala e ascensore, trasformando l’edificio che sorge sul bastione di Cosimo in machine à voire le paysage, per voluta analogia rispetto al lavoro di Giuseppe Poggi sulla torre di San Niccolò. Finalmente un’architettura nella Firenze storica che non è solo facciata – risolta con un taglio memore chissà dei concetti spaziali di Lucio Fontana – ma che serve a rilanciare lo sguardo, dall’interno, attraverso la grande finestra che modernamente scava il sodo d’angolo della miglior tradizione fiorentina, verso il giardino Torrigiani da un lato e verso la prospiciente collina dall’altro; dal taglio verticale si scorge la chiesa del Cestello, e s’articola e definisce ancora l’artificio del salto di scala.
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del Cenide, Cannitello 2001 (with English text).
16. ‘ In Italy hardly anyone is interested in architecture. It does not interest those in
government, at a national or local level, it does not even interest those who invest
their own money.’ I apologize for the self-quotation, which apart from anything
else is rather dated (as it appeared in Paolo Zermani – architetture, catalogue
for an exhibition at the Trevi Flash Art Museum, G.Pirazzoli (ed.), Politi, Milan,
1995, p.7; republished in Paolo Zermani – Architetture 1983-2003, F. Rossi Prodi
and F. Collotti (eds.), Ed. Diabasis, Reggio Emilia 2003, p.294) but it serves
to demonstrate that the same situation still prevails today, if one discounts
the glamorous omnipresence in the media of a few star architects useful as
testimonials for publicizing watches and cars.
17. Since 2002 I have had the honour to be the President of the Academy of
Fine Arts in Florence, which, adopting a practical, hands-on perspective that lies
somewhere between conservation and contemporaneity, seems, with its new
statute, to be organizing its future in terms of a Polytechnic of the Arts.
18. I am thinking here of the University of Florence’s Albania Project, coordinated
by Stefania Fuscagni, on which I worked from 2002 to 2004, trying out the
same inductive methods that I use with my students. The materials arising from
the Scutari Workshop are mainly published in Portolano Adriatico, 1, 2004 and 2,
2005; an account of the renovation of the Department of Italian Studies at
the University of Scutari is published in Identità dell’Architettura Italiana 1, 2003,
Ed. Diabasis, Reggio Emilia 2003, pp. 62-63, the organization of the History
and Archaeology Museum of Scutari is also in Identità dell’Architettura Italiana 2,
2004, Ed. Diabasis, Reggio Emilia 2004, pp. 68-69.
19. P. Zermani, Identità dell’architettura, 2 vols., Officina ed., Rome, 2002.
20. See Identità e nomadismo, exhibition catalogue, Palazzo delle Papesse, Siena,
Silvana Ed., Milan 2005; No Logo by N. Klein is the only markedly extra-disciplinary
text featuring, from 2001, in the reading list of the workshop I held.
21. Pink Floyd (Roger Waters), Another Brick in the Wall Part 2 - 3:56; in The Wall,
1979, produced by D. Gilmour, B. Ezrin and R. Waters.
22. With special thanks to my assistants Andrea Volpe – responsible from
2000-01 to 2002-03 for the teaching module Analysis of Urban Morphology
and Building Typologies – Caterina Bini – who had the same responsibility from
2003-04 to 2004-05 – and Cristiano Balestri, who has always been unstinting
in the invaluable assistance he has given to the students.
N.B.: A few traces of this text can be found in G. Pirazzoli, Pensare/Classificare/
Comporre, in “Firenze Architettura” 3, 2003, p. 78-79.
Restauro e recupero a fini museali del For te Belvedere a Lavarone (TN)Francesco Collotti e Giacomo Pirazzoli con Valentina Fantin
1998 – 2002
Le rovine delle guerre recenti vengono talvolta interpretate con ammirazione tecnocratica della macchina da guerra “subito prima” (della Prima Guerra); qui piuttosto fissata per sempre fu l’immagine del “subito dopo”: la corazzata sotterranea affondata dalle cannonate e il recupero del ferro destinato ad un’altra guerra, la Seconda. Il progetto per il Forte doveva lasciar leggere in una stratigrafia le tracce delle diverse storie che nel corso del Novecento ne hanno segnato la vicenda. L’immaginazione, vero materiale da costruzione del sito museale, aiuta a completare la collezione ed il risarcimento è oggi la sola operazione possibile; così abbiamo riportato il ferro al Forte e, per questa via, elaborato e ricomposto la memoria ferita di questa incredibile architettura. Ferro di forte spessore, lamieroni e scatole della memoria acidate e trattate a rievocare quel mondo di acciaio tipico delle corazzature militari, delle cupole Skoda con gli obici, delle mitragliatrici Schwarzlose che spuntavano dagli scudi per battere l’intorno della fortezza. Distanti dai toni di scontro nazionalistico, abbiamo cercato di dar corpo e forma ad un museo volto più al recupero della memoria del manufatto e alla storia delle genti di quest’Altopiano in guerra come nella successiva faticosa pace. Forse perchè oggi, a distanza di tanti anni dal conflitto, ci possiamo permettere uno sguardo più sereno.
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Allestimento del Museo storico in Scutari (Albania)Giacomo Pirazzoli con Lisa Ariani, collaboratore: Arben Mithi; coordinamento generale: Michele Pirazzoli
2002
Nell’ambito del Progetto Albania di UNIFI e MAE diretto da Stefania Fuscagni, concepito quale esito concreto del Corso di formazione “Beni culturali e sviluppo sostenibile”, questo allestimento museale propone il superamento dell’intervento effimero e punta, con poche mosse di stretta economia, a valorizzare la spazialità e le caratteristiche del luogo. Ripercorrendo come riferimento il concetto vitruviano della colonna fasciata, misteriosamente contaminata con un’idea atemporale di allestimento in continuità con l’architettura – quasi una protesi rispetto a qualcosa che già esisteva, i pilastri in pietra – è qui centrale la riflessione sul carattere primario ed asciutto di un lavoro pensato per una condizione “estrema”; qui non esiste “decorazione”, ci sono i reperti, soli, e poi vetro, ferro, poco legno, e un po’ di luce (Targetti Sankey, generosamente). Il contesto è un frammento di mondo terzo che – ad un’ora d’aereo da Bologna – sta cercando di riscoprire, anche attraverso i beni culturali, le radici della propria molteplice identita’.
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20
Ristrutturazione e nuovo padiglione mensa dell’Istituto Ortopedico Gaetano Pini, MilanoFrancesco Collotti, Giacomo Pirazzoli, Fabrizio Rossi Prodi, Alfonso Stocchetti per U.T. Gaetano Pini
1999
Stretto tra l’incombente volume dell’ospedale esistente e le straordinarie presenze della Casa della meridiana di Giuseppe De Finetti e del condominio di via Marchiondi di Ignazio Gardella, il nuovo padiglione mensa ricerca la propria condizione di esistenza anche in rapporto ai lacerti di giardino rimasti nello spazio interno; è un corpo di fabbrica semplice, semplicemente distribuito a partire dalla traccia dal muro di confine tergale, piegato a divenire presa di luce ed elemento caratterizzante la sezione. Cornice d’una unica scatola cava, il prospetto si articola variabilmente tra vetri in profondità ed infissi scorrevoli in superficie. Insieme al corpo di fabbrica degli ambulatori, posto invece su piazza Cardinal Ferrari, ha subito pesanti alterazioni in fase di cantiere.
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