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Sommario n. 3/2012 luglio-agosto-settembre

La Russia oggidi Gennaro Di Domenico

Rappresentanza militare:uno sguardo rivoltoal futuro.Intervento del Gen. C.A.Domenico Rossi, Presidente delCOCER X Mandato - 20 luglio 2012

L’Islam radicale nel Cornod’Africadi Lucrezia Marchetti

Potenze a confronto (1a parte)

di Antonio Ciabattini Leonardi

La crescita del budgetdi sicurezza interna cinesedi Mara Carroe Antonio Mastino

La «via italiana».Radici di una diversitàdi Giuseppe Cacciaguerra

La Riserva Selezionatadell’Esercitodi Luciano Antoci

MRAP Vehicledi Pasquale Varesano

La trincea come «casa»del soldatodi Stefano Eliseo

Il ruolo bivalentedei carristi italianidi Giacomo Cassone

«L’ultima spallata»di Alessio Gigante

Il Ruolo Marescialli di Mario Maugeri

Riflessioni sulla formazionemilitare degli Ufficialidi Andrea Piovera

L’ingegneria delle corazzedi Daniele Papa

Battlefield Tour «Cassino ’44»di Generoso Mele

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Recensioni

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Rubriche

Un Lagunare armato con il nuovo fucile d’as-salto Beretta ARX-160 con lanciagranate.L’Esercito Italiano, sempre al passo con i tem-pi, è particolarmente attento a quanto offre ilpanorama delle Industrie della Difesa, in ter-mini di efficienza, modernità e sicurezza.

in copertina

4 Rivista Militare

RAPPRESENTANZA MILITARE:

UNO SGUARDO RIVOLTO AL FUTURO

INTERVENTO DEL GEN. C.A. DOMENICO ROSSI*,PRESIDENTE DEL COCER X MANDATO

- 20 LUGLIO 2012 -

Signor Sottosegretario alla Difesa, Autorità, Delegati del X e dell’XI Mandato, è veramente con unacerta emozione che mi accingo oggi a pronunciare il mio ultimo discorso ufficiale, un discorso «a brac-cio» e come tale quasi a titolo personale, cioè non basato su delibere o documenti condivisi, ma che ri-tengo possa ancora una volta corrispondere alle idee quanto meno della maggioranza. Questo COCER si è caratterizzato, a mio avviso, per una componente di assoluto valore, ancorché ilMandato sia passato attraverso sei anni difficili ovvero di contingenza particolare e di situazioni chenon credo di aver visto in passato, nonostante il mio osservatorio privilegiato di Capo del I Repartodello Stato Maggiore dell’Esercito, ancor prima dell’attuale carica di Sottocapo. Questa componentedi assoluto valore è stata sicuramente la compattezza interna. Per comprendere quanto sia importante, in un organismo come il COCER, la compattezza interna,basti pensare alla difficoltà, direi fisiologica, derivante dalla necessità di cercare di far convergere suobiettivi comuni le volontà di 63 persone, le volontà di 5 sezioni, le volontà di più categorie, le volon-tà dei singoli. A tal proposito, non posso dimenticare il dicembre del 2006, allorché ci riunimmo, unadelle prime volte, nella nostra sede a Via Marsala, per esaminare quella che allora chiamavamo «la fi-nanziaria». Redigemmo, su quel provvedimento, un documento con le varie osservazioni di circa

venti pagine approvato all’unani-mità, che ebbi l’onere e l’onore dipoter esporre direttamente in Com-missione Difesa della Camera, oveaccadde un fatto illuminante.Durante le varie domande, successi-ve all’esposizione, un deputato sialzò e fece notare, con enfasi positi-va mista a sorpresa, come in circa15 anni di presenza in Commissio-ne era una delle poche volte, se nonla prima, che il COCER presentavaun documento votato all’unanimitàed esposto da una sola persona. Ap-prendemmo tutti la lezione e con si-curo orgoglio posso affermare che,in tutte le occasioni istituzionali,questo COCER si è presentato come

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minimo con documenti di Sezione, quasi sempre con un documento di Comparto, quando è statopossibile e quando la problematica era comune con un documento di carattere Interforze. Questa èstata la forza, la vera forza del COCER del X Mandato, la forza di riuscire a rimanere uniti dietroobiettivi comuni in un periodo di assoluta difficoltà generale e pertanto di dialettica molto accesa.Fatta questa essenziale premessa, desidero cogliere questa occasione per travasare qualche altra espe-rienza del X Mandato ai nostri successori, quale frutto delle nostre lezioni apprese. Un punto cruciale si è dimostrato essere il rapporto con il Capo di Stato Maggiore della Difesa.Il Capo di Stato Maggiore della Difesa è il Comandante affiancato al COCER interforze. Ricordoche, a norma del regolamento, i COCER di Forza Armata sono delle articolazioni, ma l’unico CO-CER che esiste nella realtà è quello interforze. Il rapporto con il Capo di Stato Maggiore della Di-fesa è assolutamente essenziale ed è, a mio avviso, alla base dei pregi e dei difetti del COCER ov-vero della sua potenzialità. È un rapporto che deve essere concertuale, dialettico e di confronto; deve tendere a esaminare effetti-vamente le problematiche e ad acquisire quanto necessario per poter dare risposte al personale. Sicu-ramente non può essere solo informativo.Eticamente e disciplinarmente non giudico i miei Superiori, però non posso fare a meno di esimermi,in questa occasione, dall’evidenziare che il rapporto con il Capo di Stato Maggiore della Difesa c’è sta-to ed è stato un rapporto istituzionale e anche personale, ma questo rapporto può essere migliorato,implementato, perché condiziona l’efficacia dell’azione del COCER. Il Capo di Stato Maggiore della Difesa deve essere inoltre ben cosciente che nei momenti in cui il Go-verno o il Parlamento affrontano problematiche di interesse del personale su cui non si riesce a darerisposta attraverso la rappresentanza, su cui non vi sono risposte né in chiave politica né governati-va, l’autorevolezza della voce del Vertice diventa fondamentale per il personale. Il conoscere se il Vertice, e come Vertice intendo il Capo di Stato Maggiore della Difesa, sia d’accordoo meno, condivida o non condivida determinate posizioni, auspichi certe soluzioni oppure altre, di-venta fondamentale per il personale nonché per il raggiungimento dell’obiettivo da parte della Rap-presentanza.Dico ciò perché alcune volte, senza cattiva volontà di nessuno o per diversa volontà, questo COCER

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ha pensato invece di avere quale unica soluzione quella di ricercare il contatto diretto con il mondopolitico, senza capire che la vera forza sarebbe stata quella di un contatto con il supporto dell’Istitu-zione. Pensavamo di avere raggiunto un obiettivo di prestigio, eravamo soddisfatti di avere avutocontatti con i vari partiti o di avere colloquiato direttamente con i loro Capigruppo alla Camera o alSenato, invece ci siamo ritrovati sconfitti ovvero abbiamo ricevuto penalizzazioni, direi quasi «schiaf-foni», assolutamente inaspettati, che hanno inciso concretamente e moralmente sul personale.Come X Mandato, possiamo affermare di avere la coscienza a posto perché non solo conosciamobene quanti «schiaffoni» abbiamo preso ma anche quanti ne abbiamo respinti, quanti ne abbiamoevitati al personale. Ciò fermo restando che non possiamo evitare che il personale ci giudichi o ciabbia giudicato solo per quelli che ha ricevuto e non per quelli che gli abbiamo evitato. Ti ringrazio comunque, Comandante, perché come il personale molte volte non è riuscito a vedereche cosa siamo stati in grado di evitare così ovviamente il personale e i delegati del COCER non pos-sono avere avuto la cognizione di tutte le volte in cui io e Te ci siamo sentiti informalmente. Ecco,quel dialogo nostro, che abbiamo potuto avere come compagni di corso, deve diventare con l’XIMandato maggiormente istituzionale e continuo per potere produrre maggiori sinergie e positività.Il secondo aspetto che voglio evidenziare sono le difficoltà nel rapporto con il Governo. Parto da un aneddoto che risale a una delle prime volte in cui come COCER siamo andati al «tavolo

di concertazione», convocati pressoil Ministero della Funzione Pubbli-ca. Mi azzardai a chiedere, di frontea un «tavolo» in cui erano schieratiil Ministro della Funzione Pubblicae i Sottosegretari di tutte le Ammi-nistrazioni interessate, se quel «ta-volo» rappresentava il Governo conpossibilità deliberativa e quindi ditrattativa e accordi nei confrontidelle nostre richieste oppure se erasolo un «tavolo» di persone di buo-ne volontà che ci volevano aiutarema, nella realtà, senza potere esecu-tivo a fronte delle numerose proble-matiche da trattare.Venni immediatamente rimprove-rato dal Ministro, che forse ritennela domanda impertinente, affer-mando che quel «tavolo» rappre-sentava effettivamente il Governo.

Purtroppo quell’affermazione venne quasi subito smentita dai fatti perchè nella realtà «quel tavolo»aveva un solo potere, quello di dividere le risorse finanziarie disponibili per la concertazione tra ilpersonale che ne aveva diritto. Da questo episodio emerge un secondo aspetto fondamentale e limitativo dell’efficacia del COCER.La maggior parte delle problematiche del personale ormai travalica la competenza del Capo di StatoMaggiore della Difesa per essere di competenza dell’Autorità politica e non solo del Ministro dellaDifesa, ma di tutti i Ministri, cui fanno capo le varie componenti del Comparto Difesa e Sicurezza in-teressate e molto spesso il tutto è condizionato solo dalle disponibilità economiche ovvero dal Mini-stro dell’Economia.Sorge allora spontanea una domanda: «con chi si deve confrontare il COCER se vuole portare avantiqueste problematiche specie se la concertazione in tal senso è assolutamente limitativa?».Abbiamo pensato, nel momento in cui siamo stati convocati, come previsto per legge, alla Presidenzadel Consiglio per la informazione/concertazione sulle varie leggi finanziarie, che fosse quella la sededove il COCER poteva esternare le sue problematiche. Nella quasi totalità delle occasioni ci siamo ri-trovati dinanzi a lezioni di macro economia in cui nessuno chiariva, invece, se fossero vere o meno levoci di determinate norme, come ad esempio l’abolizione dei 6 scatti, dell’ARQ e dell’ausiliaria, che

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noi sapevamo «viaggiare» su bozze di provvedimenti in itinere o in fase di elaborazione. Quindi, nemmeno alla Presidenza abbiamo potuto confrontarci sulle reali esigenze e avere una rispo-sta ai nostri quesiti, al punto tale che quei momenti si sono tramutati solo in uno sfogo, per poter direche avevamo tante problematiche irrisolte senza che nessuno ci avesse mai dato una risposta. Da quil’esigenza di trasformare il ruolo negoziale, previsto dalla fondamentale norma che ha sancito laspecificità del Comparto, in un’effettiva possibilità sistematica di confronto con il Governo su tut-te le problematiche di interesse; possibilità oggi, come detto, minimale.Il X Mandato ha raggiunto degli obiettivi? Sicuramente due obiettivi di carattere generale. Il primo l’ho detto: la sostanziale compattezza inter-na specie quando abbiamo dovuto raccordarci in qualsiasi sede esterna, il secondo è stato quello chenelle problematiche di carattere maggiore, il COCER X Mandato è riuscito sinergicamente a far fron-te comune insieme ai Sindacati delle Forze di Polizia a ordinamento civile. Poteva forse essere unfronte ancora più forte, ma è stato a volte diminuito dalla forte dialettica interna e dal fatto che nonsempre gli obiettivi erano congiunti. Comunque mai come con il X Mandato vi è stato un reciprocorispetto e un fronte comune nella ricerca di obiettivi che garantissero la tutela del personale. Per quanto riguarda gli obiettivi specifici, questo COCER, come penso qualsiasi Mandato e quindianche l’XI, ha iniziato la sua attività con la netta volontà di migliorare le condizioni di vita e di benes-sere del personale militare. Ma praticamente fin dall’inizio si è intuito che avremmo dovuto concen-trarci non sulle possibili evoluzioni positive quanto sulla «difesa dei diritti acquisiti». Ciò nonostantel’essere riusciti a far riconoscere per legge una norma sulla specificità del Comparto.Siamo riusciti in questa difesa dei diritti acquisiti? Ci siamo riusciti parzialmente è la risposta, tenuto conto che alcune leggi finanziarie sono entrate al-l’interno della nostra specificità in modo che per alcuni aspetti oserei dire devastante.Basti pensare al blocco intervenuto sul pagamento di quanto derivante dalle promozioni o dal-la maturazione di assegni funzionali per il 2011-2013. Un blocco che siamo riusciti a compensa-re, almeno parzialmente, per effetto di uno specifico fondo, instaurato a seguito delle nostre ri-vendicazioni. Un fondo sufficiente a compensare quasi totalmente le decurtazioni intervenute nel2011 ma che lascia qualsiasi uomo o donna al 42% di quanto dovuto nel 2012 e al 15% del 2013,

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con profonda incidenza sulla parte retributiva e sul morale del personale e su cui chiediamo anco-ra una volta al Governo di intervenire.Un secondo aspetto è quello legato alla parte previdenziale. Sulla parte previdenziale, ritengo asso-lutamente inaccettabile che ancora non sia intervenuta la completa applicazione della Riforma Dini,ovvero che a distanza di più di un decennio dalla norma i nostri giovani siano ancora senza previ-denza complementare. Addirittura a fronte di una richiesta legittima, perché derivante da una leggevigente, l’unica variante intervenuta in materia previdenziale è stata quella penalizzante di variare leprocedure per il computo del trattamento di fine servizio (TFS), cercando di omogeneizzarle al Pub-blico Impiego. Ne è scaturito un ibrido su cui, invano, e qui lo chiedo ancora con forza, abbiamo chie-sto un incontro con il Governo per poter capire quali fossero le voci da prendere a riferimento per ilcomputo della nuova indennità di buonuscita, che rischia addirittura di essere maggiormente pena-lizzante o sperequativa rispetto al Pubblico Impiego e/o ai privati. L’ultimo aspetto previdenziale è il regolamento di armonizzazione sui limiti di età del personale delComparto Difesa e Sicurezza. Un provvedimento su cui abbiamo insistito per mesi con il MinistroFornero per cercare di avere un confronto.In merito abbiamo ricevuto, anzi il COCER interforze ha ricevuto solamente la prima bozza di questoprovvedimento perché la seconda è stata distribuita unicamente ai sindacati delle Forze di Polizia aordinamento civile.La prima bozza, onestamente, potremmo definirla offensiva e, per non giudicarla come tale, pos-siamo unicamente dire che appare un misto tra eccessi di delega e non conoscenza dei compiti edelle funzioni delle Forze Armate. Una non conoscenza di compiti e funzioni che non è una scu-sante ma che appare l’unico motivo di giustificazione, altrimenti quella bozza non sarebbe maidovuta uscire dal Ministero del Lavoro. Non posso che augurarmi che ora il Ministro Fornero se-gua le indicazioni del Parlamento, tenuto conto che ha fornito l’assenso favorevole del Governo auna mozione in cui si impegnava non solo a incontrare gli Organismi di Rappresentanza delComparto ma anche a elaborare un provvedimento che garantisca la nostra specificità. Una mo-zione che chiede di aprire il tavolo sulla previdenza complementare e che riapre il discorso sulriordino dei ruoli. Una mozione sorta a seguito delle fortissime «spinte» del COCER e Sindacati

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nei confronti dei principali partiti dell’arco parlamentare.Per ultimi il disegno di legge di revisione dello Strumento Militare e il provvedimento di Spen-ding Review. Il COCER si è espresso sul disegno di legge di revisione dello Strumento Militare, sia sotto un puntodi vista di carattere generale sia sotto un punto di vista di carattere tecnico. L’ha definito inaccettabilein senso generale in quanto presentato al termine del periodo di penalizzazione che ho illustrato, mavi ha dato il disco verde, convinto che in effetti vi sia un chiaro sbilanciamento nell’impiego delle ri-sorse disponibili e che occorra ripristinare un equilibrio diverso tra personale, esercizio e investimen-to. Abbiamo peraltro chiesto modifiche volte a determinare tutele del personale, modifiche su cuiaspettiamo ancora di conoscere se la Commissione Difesa del Senato le accoglierà e in che termini. Per quanto riguarda lo Spending Review, vorrei ricordare, perché essenziale, che nell’ultimo incontrocon il Ministro della Difesa è stato già fornito l’assenso, a specifica richiesta, a svolgere un ulteriore in-contro con i delegati dell’XI Mandato sia informativo sia in particolare sulla parte applicativa delprovvedimento perché la norma è di carattere generale e la rappresentanza non riesce, basandosi sullasola norma, a rispondere alle richieste del personale. Ho finora tenuto il mio discorso «a braccio», nonostante una traccia scritta, ma adesso nel chiude-re sento la necessità di attenermi aquanto mi ero preparato perché èla parte che mi interessa di più.Al di là del ribadire la necessità di unconfronto continuo e di indicazioniprecise da parte del Capo di StatoMaggiore della Difesa, al di là del ri-badire che i confronti con il SignorMinistro della Difesa e con il Gover-no diventano, a mio avviso, un per-corso necessario, non per impediredeterminate spinte sindacali ma perfare in modo di vedere se attraversoun reale confronto si riesce a raffor-zare il ruolo della RappresentanzaMilitare, sento di dover mandare, anome di tutto il X Mandato, un ulti-mo messaggio al nostro personale.Da questa autorevole sede, in que-sto momento e con la massima forza ribadiamo che ancor più in tempi di contingenza economica,ancor più in momenti in cui il riconoscimento della parte politica e del Paese appare solo retorica,ancor più nel momento in cui si tendono a pubblicizzare alcune situazioni come privilegi e noncome derivanti dalla peculiarità delle funzioni svolte, abbiamo un’unica arma reale: continuare adadempiere al meglio il nostro dovere, dare il massimo affinché la missione sia soddisfatta, impe-dire, tramite la nostra esplicita dimostrazione dello spirito di sacrificio e dello spirito di servizio,che alcuno osi mettere in dubbio la validità dei nostri intenti, la compattezza della nostra schiera,la fedeltà Istituzionale, il rispetto per le regole, per la nostra Bandiera e per il nostro Paese. All’XI Mandato i miei migliori auguri, i nostri migliori auguri, perché, preso atto dei nostri sforzi,dei nostri successi e delle nostre sconfitte, dei nostri limiti e delle nostre possibilità, possa, in comu-nione con la catena di Comando, riuscire a tutelare l’efficienza operativa e funzionale delle Forze Ar-mate di cui una parte imprescindibile come elemento di forza è la qualità della vita del personale, ov-vero la sua motivazione. Grazie a tutti per il supporto che mi avete offerto in ogni momento, che ha rafforzato in asso-luto la credibilità del ruolo che ho svolto con pieno spirito di servizio e, quindi, della Rappre-sentanza Militare.

* attuale Sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito

Ogni momento storico è caratteriz-zato da una particolare realtà geopo-litica. Per cinquant’anni le relazionifra gli Stati Uniti e l’Unione Sovieticasono state l’elemento determinantedelle relazioni internazionali. Nel1941, la guerra contro la Germaniaaveva portato le due Nazioni a unir-si in un’alleanza decisiva per assicu-rarne la capitolazione, ma la vittoriaaveva finito per separarle, portandoa uno stato di antagonismo perma-nente, per quanto con alti e bassi, alquale è stato dato il nome di «GuerraFredda». Stati Uniti e UnioneSovietica non sono giunti a unasituazione di aperto conflitto, sebbe-ne per la maggior parte di questoperiodo si siano armati l’uno control’altro come per una guerra. Perfinola loro breve alleanza contro laGermania è stata caratterizzata dadiffidenze e sospetti. Poiché le rela-zioni tra Stati Uniti e UnioneSovietica erano l’elemento crucialesia dell’alleanza anti-Asse che per lacreazione dell’ordine mondiale neldopoguerra, appare ragionevoleconsiderare entrambi nel medesimocontesto. In breve, lo sconvolgimen-to della Seconda guerra mondiale hadeterminato lo scenario geopoliticodella Guerra Fredda.

Nel dicembre 1991, dopo la riscrittu-ra della mappa politica dell’Europacentrale, la stessa Unione Sovieticafinì per disintegrarsi e con essa laGuerra Fredda. Nello spazio di poco

più di una generazione, il sistemainternazionale degli Stati avevaattraversato due terremoti, i cui epi-centri erano collocati in Europa, nelfulcro del moderno sistema degliStati definito nel XVII secolo con lapace di Westfalia.Negli anni Ottanta sono maturatisignificativi mutamenti nel compor-tamento delle Superpotenze, maancora si discute se questi abbianoportato a un’alterazione fondamen-tale nelle condizioni strutturali dellerelazioni fra esse.Se utilizziamo come punto di riferi-mento non la firma del Trattato INF(Intermediate Nuclear Forces) per lariduzione delle armi a medio raggiodel 1987 ma il crollo del comunismoin Europa orientale e in UnioneSovietica dopo il 1989, allora laGuerra Fredda somiglia ancora menoal cambiamento radicale che all’epo-

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L’EVOLUZIONE DEGLI EQUILIBRIGEOPOLITICI NEL XXI SECOLO

POTENZEA CONFRONTO

Nel mettere a fuoco i continui mutamenti avvenuti negli ultimi decenni,c’è il rischio di generare un senso di disorientamento. È necessario, per-tanto, approfondire con attenzione gli eventi che si sono succeduti dallafine della Guerra Fredda ad oggi. Ciò non solo per una maggiore com-prensione storica ma anche, e soprattutto, per evidenziare gli aspetti geo-politici e geostrategici.

1a Parte

I Presidenti Ronald Reagan e Michail Gorba-ciov, artefici del disgelo nucleare tra i dueblocchi contrapposti della Guerra Fredda.

ca si è ritenuto rappresentasse. Il crol-lo di un sistema dimostra in realtàche essa è stata l’elemento fondantedelle relazioni fra Stati Uniti eUnione Sovietica. Inoltre gli sconvol-gimenti successivi al 1989 hannomesso in luce un’istruttiva ambiguitàdello stesso termine «Guerra Fredda»che aiuta a comprendere meglio tuttoil periodo del dopoguerra.Nella sua accezione più limitata, conriferimento ai primi due decenni suc-cessivi alla Seconda guerra mondiale,sono state stabilite le coordinate prin-cipali delle relazioni fra Superpo-tenze in un clima di aperto antagoni-smo. Alla fine degli anni Sessantaalcuni commentatori hanno iniziato achiedersi cosa fosse rimasto in vitadella Guerra Fredda, concludendoche non era molto. La seconda fase,negli anni Ottanta, sembrava, invece,richiamare alla memoria proprio ilprimo periodo e appariva in disconti-nuità con la deterrenza degli anniSettanta. Quando alla fine degli anniOttanta si parlò di una «fine dellaGuerra Fredda», ci si riferiva alle con-dizioni strutturali delle relazioni traStati Uniti e Unione Sovietica. Si allu-deva senza dubbio a un minore anta-gonismo e a un maggiore clima dicooperazione. Ma ciò che distinguevaquesto periodo dalla deterrenzadegli anni Settanta era il fondamen-tale cambiamento strutturale: l’interoordine geopolitico nato nei primianni del dopoguerra. Se la deterren-za, al contrario, fosse rimasta immu-tata, avrebbe significato ratificare lostatus quo dell’Europa del dopoguer-ra, incluso il reciproco riconoscimen-to de facto da parte delle dueGermanie. Il prezzo della deterrenza,nei primi anni Settanta, fu il formalericonoscimento da entrambe le partidella divisione dell’Europa.

LA SITUAZIONE STRATEGICAMONDIALE PRECEDENTE IL 1989

I rapporti internazionali erano carat-terizzati dall’equilibrio politico-mili-tare tra Superpotenze, condizionato

soprattutto dall’immanenza dell’ar-mamento nucleare, e la profezia deglianni Settanta, secondo la quale ilmondo sarebbe divenuto rapidamen-te multipolare, (USA, URSS, EuropaOccidentale, Cina e Giappone) so-stanzialmente non si avverò.Infatti, i Paesi dell’Europa Occiden-tale, benché si confermassero poten-ze industriali di primo piano (in par-ticolare le quattro grandi: Repubbli-ca Federale di Germania - Francia -Gran Bretagna - Italia) e pur avendoritrovato un proprio dinamismopolitico e sociale, non riuscivano acompletare il processo di unificazio-ne economica e politica e a sostenere,con accento univoco, i propri interes-si vitali. Nei consessi internazionali

non esisteva, quindi, la vocedell’Europa e il Vecchio Continentecontinuava a non esprimere una pro-pria politica estera.La Cina, d’altro canto, possedeva unenorme potenziale umano e uncospicuo patrimonio di materieprime, ma aveva ancora un assettoindustriale e uno strumento militarearretrati che non le consentivano diimporre al corso degli avvenimentimondiali i condizionamenti di unavera Superpotenza.Il Giappone, infine, non sembravadisposto ad assumere un ruolo

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La corazzata «Iowa», simbolo del riarmostatunitense agli inizi degli anni ’80.

politico-militare corrispondente alproprio peso economico-industria-le. Va tuttavia rilevato che nel 1986il Paese, per la prima volta, supera-va la soglia «psicologica» che si eraautoimposta dell’1% del PIL dadedicare al bilancio della difesa eche la struttura industriale giappo-nese era «bivalente» e cioè potevacontinuare a dedicarsi esclusiva-mente alla produzione civile oppu-re passare con estrema facilitàanche a quella bellica.Il quadro sopramenzionato sembra,tuttavia, comprendere già in questafase altri elementi destinati a svilup-parsi in futuro fino a diventare fatto-ri condizionanti del duopolio inter-nazionale. Acquistano, in questocontesto, particolare rilevanza la dif-fusa conflittualità mondiale, nellaquale svolgono un ruolo attivo e diprimo piano Stati di livello interme-dio, la crescente importanza dell’as-se Nord-Sud e i cosiddetti «EntiOrizzontali»: movimenti religiosi,razziali, socio-politici ed economici,privi di territorio e che pertantosfuggono alla logica tradizionaledella conflittualità tra Stati.L’ordine mondiale quindi, perquanto attentamente seguito dalledue Superpotenze, sfugge a un loropiù efficace condizionamento erimane sempre più affidato a uncomplesso sistema di equilibri poli-tici e di altra natura in continua evo-luzione. Le maggiori preoccupazio-ni per la stabilità internazionalesono principalmente dovute ai rischiconnessi con gli squilibri di varianatura e ai conseguenti conflittilocali e regionali.Si deve pertanto ammettere che il«bipolarismo» non riesce più, alme-no nella misura del passato, a svol-gere un’effettiva azione aggreganteal di fuori dei due blocchi. Ciò con-tribuisce a spiegare la crescenteimportanza dell’asse Nord-Sud poi-ché il Terzo Mondo costituisceappunto il terreno di confronto tracapitalismo e socialismo.La debolezza e la conflittualità diquesti Paesi, infatti, generano quel-

le «aree grigie» del globo nellequali, da oltre tre decenni, si svi-luppa la competizione tra le dueSuperpotenze per conservare oacquisire posizioni di importanzastrategica. Quest’ultimo obiettivo,proprio perché pone i Paesi delTerzo Mondo nel ruolo di oggettidella contesa, ne esalta posizioni efunzioni, sicché il rapporto di cor-relazione tra i due grandi assi mon-diali è destinato sempre di più adaumentare.I cosiddetti «Enti Orizzontali» rap-presentano una nuova realtà costitui-ta da elementi che, privi di strutture

tradizionali, si sovrappongono ingenere agli Stati e, in virtù di taluneistanze reali o strumentali, finisconoper incidere sulle loro strategie.Iniziano, in particolare, ad acquisireimportanza le concezioni religioseche, permeando la coscienza degliindividui e delle comunità, assurgo-no al ruolo di vessillo e di ragione divita, sia che si esprimano in terminipacifici o pacifisti sia che assumanoconnotati eversivi o rivoluzionari.Né minore rilevanza è da attribuireai problemi di quelle etnie che,minoritarie o maggioritarie, non siriconoscono nel potere costituitodegli Stati nei quali sono inserite eche considerano non disposti o nonidonei a tenere conto dei loro diritti.Altrettanto importanti risultano le

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Il bombardiere strategico statunitense B1-B«Lancer».

ideologie e aspirazioni di massa(lotta di classe, pacifismo, ecologia,dissenso) che costringono semprepiù spesso i governi a tenere contodi tali istanze e anche a concessionisempre più ampie.Sotto il profilo geografico-militarela compattezza dell’area comuni-sta, la possibilità di manovrare perlinee interne e la presenza, a ridos-so delle Nazioni «in prima schie-ra», dell’enorme spazio costituitodalla Russia asiatica sono fattori diinnegabile vantaggio per il bloccoorientale. La sua estensione percontro costringe l’Unione Sovieticaa disegnare la mappa economica,industriale e militare del Paese inmodo da tener conto della possibi-lità di un conflitto su due fronti.

Non esiste, invece, compattezzageografica nella NATO, separata daoceani, mari e anche da Paesi neu-trali. Essa deve pertanto operare perlinee esterne con collegamenti, spe-cialmente per l’afflusso dei rinforzi,che devono utilizzare rotte maritti-me ed aeree lunghe e vulnerabili(circa 6 000 km contro i 650 km dipercorsi terrestri del Patto diVarsavia).

L’ATTEGGIAMENTOSTATUNITENSEDOPO LA GUERRA FREDDA

La prima Amministrazione Bush ha ilmerito di aver favorito il crolloimprovviso dell’Unione Sovietica e la

rapida democratizzazione dell’Europaorientale, e anche quello di aver con-dotto la guerra del Golfo in modo taleda ottenere una rapida vittoria a costirelativamente bassi, evitando gravispaccature internazionali e impeden-do che gli interessi degli Stati Unitirisultassero danneggiati in altre regio-ni del Medio Oriente. Tuttavia, nono-stante il tanto citato appello di Bushsenior alla costruzione di un «nuovoordine mondiale», la sua Ammini-strazione è stata estremamente cauta.La preoccupazione principale eraquella di evitare un eccessivo coinvol-gimento. E la tendenza a non impe-gnarsi in grandi iniziative di politicaestera è stata rinforzata dalla strategiausata dai responsabili della campagnaelettorale di Clinton: cercare di farpagare un prezzo politico al Presi-dente per aver dato l’impressione disentirsi più a proprio agio all’esteroche non negli Stati Uniti.L’Amministrazione Clinton ha con-tinuato nella tradizione della GuerraFredda a dare un’assoluta prioritàalle relazioni con l’Arabia Saudita econ Israele anche se la natura strate-gica della minaccia era quantomenocambiata.Nessuna potenza regionale potevaallora, né può oggi, in prospettiva,riproporre una minaccia anche sol-tanto assimilabile a quella rappre-sentata dall’Unione Sovietica perchéa differenza di questa avrebbecomunque bisogno di porre sul mer-cato le risorse energetiche del GolfoPersico quand’anche raggiungesseuna posizione di sicura egemoniaregionale. Tuttavia non ci fu davve-ro ragione per l’AmministrazioneClinton di ridefinire gli interessistrategici statunitensi in un momen-to nel quale il prezzo da pagare permantenere lo status quo ereditatodalla Guerra Fredda era basso e l’at-tenzione internazionale era concen-trata sulla lunga crisi balcanica.Quando Clinton assunse il suo inca-rico, la comunità internazionale erapronta a farsi guidare dall’America.Se, in quel momento, i politici statu-nitensi avessero tentato di rinnovare

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le Istituzioni internazionali e si fosse-ro seriamente impegnati per control-lare la proliferazione delle armi didistruzione di massa e promuoverela democrazia, la promessa dell’erasuccessiva alla fine della GuerraFredda avrebbe potuto realizzarsi. Ilriconoscimento della potenza degliStati Uniti e l’entusiasmo per i valoriamericani erano al culmine. Le gran-di rivoluzioni civili dell’Europaorientale, delle Filippine e delSudafrica e l’esempio delle protestedi «Piazza Tienanmen» in Cina edella «Perestrojka» in Russia, aveva-no catturato la fantasia del mondo.La nascente consapevolezza di esse-re avviati verso la globalizzazionestava spingendo cittadini e politiciad ammettere che la capacità degliStati nazionali di promuovere e

difendere il benessere economico esociale dei loro popoli aveva un limi-te. Esercitando il tipo di leadershipforte e lungimirante che le ammini-strazioni Roosevelt e Truman aveva-no saputo usare alla fine dellaSeconda guerra mondiale, la presi-denza Clinton avrebbe potuto darvita agli equivalenti per il XXI secolodelle Istituzioni che erano state crea-te tra il 1945 e il 1948 e, così facendo,avrebbe potuto rafforzare il ruolodegli Stati Uniti nel nuovo ordineistituzionale, come avevano fatto isuoi predecessori con quelle nate ametà degli anni Quaranta.Tuttavia, all’inizio del 1993, ilPresidente era pronto ad assumerela guida del mondo solo su problemicome quelli del libero scambio, cheerano direttamente collegati al suoprogramma di politica interna, o insettori nei quali i rischi della leader-ship erano abbastanza limitati. E ilsuo timore di venire trascinato in

qualche conflitto crebbe dopo che ilcoinvolgimento degli Stati Uniti inSomalia si trasformò in una sconfit-ta. Solo nel 1995, dopo i risultatiottenuti con i negoziati in Bosnia ein Medio Oriente e dopo chel’Amministrazione era riuscita arestaurare il regime del PresidenteAristide ad Haiti, Clinton cominciòa concentrarsi sulla politica estera. Aquel punto egli fece della diffusionedel liberismo e della democrazia ilsuo tema principale. Cominciò aproporre interventi umanitari, scu-sandosi di non aver fatto nulla perfermare il genocidio in Ruanda e poiintervenendo per costringere laSerbia ad abbandonare il Kosovo. Lasua Amministrazione svolse ancheun ruolo importante ma meno pub-blicizzato per convincere Ucraina,Bielorussia e Kazakistan a rinuncia-re agli arsenali nucleari che avevanoereditato dall’ex Unione Sovietica eper mettere sotto maggiore controllo

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Il bombardiere strategico russo TU-95«Bear».

i materiali nucleari russi. Contribuìanche a mediare un accordo politicoin Irlanda del Nord.Ma come Bush senior, Clinton nonriuscì a introdurre cambiamentidefinitivi né nell’architettura concet-tuale della politica estera americanané nelle strutture istituzionali del-l’ordine mondiale. L’appello alladiffusione del libero mercato e dellademocrazia non era una novità eanche l’idea di allargare l’Europaera un progetto e una responsabilitàche potevano essere attribuiti soloagli europei.

LA GUERRA GLOBALEAL TERRORE

La geopolitica degli Stati Uniti èstata influenzata dalla fine dell’insu-larità del loro territorio, protetto dadue oceani fino all’avvento dei mis-sili balistici intercontinentali e delterrorismo internazionale, nonchédai principi propri della tradizionepolitica americana. Essa consideragli Stati Uniti come la Nazione indi-spensabile con un manifest destinyconsistente nella missione di espan-dere negli altri Paesi benessere,moralità, democrazia, rispetto deidiritti umani e libero mercato (ocapitalismo democratico).I mezzi di espansione degli StatiUniti consistono da sempre in unacombinazione di soft e di hard power,di potenza, commercio e ideologia,quest’ultima ereditata dai padri fon-datori e alimentata dalla diffusa reli-giosità del popolo americano.Gli attentati dell’11 settembre 2001non hanno cambiato il mondo.Hanno però mutato la politica ame-ricana, dando al Presidente W. Bushla possibilità di trasformare l’inter-ventismo del Presidente Clinton,giustificato da ragioni umanitarie, inun obiettivo di sicurezza nazionale,prima, e di riorganizzazione delmondo, poi.La globalizzazione ha diminuito ilsignificato strategico delle distanze ereso porose le frontiere. La sicurezza

e la difesa della democrazia negliStati Uniti possono essere conseguitesoltanto democratizzando e aprendoalla modernizzazione e alla globaliz-zazione il resto del mondo.La paura di nuovi attentati e lavolontà di vendetta per quelli subitihanno mobilitato il patriottismodegli Stati Uniti strettamente con-nesso con il loro profondo livello direligiosità - nella storia le due cosesono spesso andate insieme - per eli-minare minacce future.È una geopolitica di tipo egemonicoquella dell’amministrazione repub-blicana. Dalla «grande strategia» delcontainment a quella dell’enlargementdi Clinton e della pre-emptive war diW. Bush. A differenza delle teoriecontinentaliste che situavano ilcuore geopolitico mondiale al centrodella massa continentale euro-asiati-ca, e di quelle marittime, che davanopriorità al dominio degli oceani,Nicholas Spykman sostenne che gliequilibri mondiali fossero determi-nati dalle appendici peninsularieuropea e asiatica orientale, cioè daidue rim. Se essi divenivano troppoforti, si sarebbero mossi all’assaltodell’Eurasia. In tal caso, gli Stati Unitiavrebbero dovuto allearsi con Mosca.Se invece un Impero continentaleavesse minacciato il rim, gli Stati Unitiavrebbero dovuto proteggerlo.La prima fu la politica seguita daWilson e soprattutto da Rooseveltnelle due Guerre mondiali, nonché daBush senior dopo la fine della GuerraFredda. Il nuovo ordine mondiale dalui proposto nel 1990-91 e, con qual-che incertezza e tentennamento,anche dal Sottosegretario di Statodell’Amministrazione Clinton, StrobeTalbott, negli anni Novanta, era cen-trato sulla politica del Russia First.La seconda trovò espressione nel con-tainment della Guerra Fredda. Essoera fondato su un elemento statico: ilcongelamento della superiorità mili-tare dell’Unione Sovietica con la dife-sa avanzata e con la dissuasionenucleare; e su un elemento dinamico:la destabilizzazione dell’Imperointerno ed esterno sovietico, alter-

nando distensione e dissuasione, ebasandosi sulla migliore efficienzaeconomica e sull’attrazione esercitatadal modello occidentale di capitali-smo liberale rispetto a quello delsocialismo reale.Negli anni Novanta, durante le dueAmministrazioni Clinton, gli StatiUniti dimostrarono di non sapereche fare della loro egemonia mon-diale, derivata dalla scomparsadell’Unione Sovietica. Con il prag-matismo che li contraddistingue,divennero, però, progressivamenteconsapevoli del loro ruolo, dappri-

ma in campo economico e, poi,anche in quello politico-strategico.Il cuore geopolitico mondiale, cioèl’heartland, era ormai collocato sal-damente negli Stati Uniti. Essi dove-vano impiegare la loro superioritàper plasmare l’intero mondo, inmodo compatibile con i loro principie interessi, mantenendo, poi, talesuperiorità per impedire che i nuoviassetti mondiali fossero modificati a

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Lancio di prova di un IntercontinentalBallistic Missile statunitense MX «Pea-cekeeper».

loro svantaggio.A differenza dell’Europa, dovel’internazionalismo è ispirato dauna visione federalista, transnazio-nale, con limitazioni alla sovranitàdegli Stati e con un ruolo centraleattribuito alle norme e alle Istitu-zioni sovranazionali, l’internazio-nalismo dell’Amministrazione diW. Bush è stato, invece, saldamen-te nazionale. L’unilateralismoamericano era giustificato per l’in-troversione dell’Europa. È ancheper questo motivo che, almeno nel-le fasi iniziali della guerra al terro-rismo, gli Stati Uniti sembravano

più alleati della Russia e della Cinache dell’Europa.La politica della seconda Ammini-strazione W. Bush muterà notevol-mente, riconoscendo alla NATO eall’Europa il ruolo di alleati tradi-zionali, come si evince dal viaggiodel Presidente del febbraio 2005 nelVecchio Continente.In ossequio alla propria tradizionenazionale, il Presidente ha impegna-to il proprio Paese in una «Global

War on Terror» orientata non solo aneutralizzare l’organizzazione nongovernativa direttamente responsa-bile degli attacchi contro New Yorke Washington, ma anche a sradicarecompletamente ogni minaccia terro-ristica dall’intero sistema internazio-nale arrivando anche a colpire queigoverni disposti anche solo a tollera-re una presenza di organizzazioniterroristiche all’interno del proprioterritorio. Nel nome di quel «eitheryou are with us or against us» nelquale si risolve l’intera dottrinaBush, gli Stati Uniti si lanciarono inuna politica di autodifesa riassumi-

bile nel ricorso a una molto tradizio-nale serie di guerre preventive riba-dendo per essi il diritto d’intrapren-dere tale strada in completa autono-mia ogni qualvolta richiesto dalladifesa di un qualsiasi interessenazionale.La risposta statunitense all’11 settem-bre fu quella di un ritorno a una visio-ne strategica nella quale per gli StatiUniti era indispensabile dimostrare atutti, come a se stessi, di essere ingrado di difendere l’integrità del pro-prio territorio, di proteggere i proprialleati e di diffondere universalmentei propri valori e le proprie Istituzioni,

anche, e soprattutto, promuovendol’affermazione di una libera econo-mia di mercato. L’AmministrazioneW. Bush ha così, a più riprese, tentatodi assicurarsi l’appoggio degli Alleatidi sempre, della Russia, della Cina edei principali regimi arabi, inviandoin operazioni quanto più possibile delproprio dispositivo militare e delleproprie forze speciali, mentre il popo-lo americano e il Congresso neappoggiavano in modo schiacciantel’operato.Le fasi iniziali della guerra inAfghanistan, nella loro particolarecombinazione di forze indigene,operatori speciali e potere aereo,sono con tutta probabilità lo svilup-po strategicamente più rivoluziona-rio degli ultimi undici anni. Ma lasorprendente strategia scelta perl’invasione del Paese è stata prestoabbandonata a favore di un ritorno auna serie di operazioni di contro-guerriglia e di controterrorismo daiconnotati molto più tradizionali.Con il passare del tempo, gli innega-bili progressi raggiunti sul camponon hanno potuto evitare il riaccen-dersi della guerriglia malgrado lapressione militare. Si impone quin-di, all’attuale Amministrazione sta-tunitense, di tener conto della posi-zione strategica delle varie milizieregionali sia per una conclusionepositiva della missione che per unmiglioramento dei rapporti con ilPakistan.

L’EVOLUZIONE DELLADOTTRINA MILITARE RUSSAE LA POLITICA ESTERA

Per costituzione, la Russia deve pos-sedere una Dottrina militare, quindiun documento ufficiale e pubblicoche indirizzi e regoli la struttura, ilfunzionamento e l’impiego delleForze Armate. Nel 1993 e poi nuova-mente nel 2000, lo Stato MaggioreGenerale russo ha elaborato talidocumenti che furono approvati daEltsin e da Putin, in tale ultimo casoquando era ancora Presidente

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L’incrociatore portaeromobili sovietico«Kiev», della omonima classe.

«facente funzioni», per le dimissionidi Eltsin.Si tratta, quindi, di due documentiche rispecchiano la visione strategi-ca degli anni Novanta e il percorsoquantomeno ondivago di BorisEltsin in politica estera.La dottrina del 2000, cioè quella invigore, in sostanza afferma che laRussia non ha nemici dichiarati, madeve potenzialmente fronteggiaremolteplici minacce da ogni direzione.Il Paese deve essere preparato a con-durre operazioni antiterrorismo,conflitti regionali su piccola scala,ma anche emergenze generalizzate eguerre di ampie proporzioni.Deve possedere forze altamenteprofessionali, ma anche poter mobi-litare ingenti masse di soldati perguerre prolungate.La NATO e gli Stati Uniti, così comela Cina, sono dei partners, ma anchepotenziali nemici.Sopravvive nelle Dottrine del 1993e del 2000 la tradizionale visionedella «difesa a tutto orizzonte» pro-pria dell’Unione Sovietica e daintendersi come intero «orizzontedi eventi», non solo come espressio-ne geografica.Con questo genere di incongruenze,o forse «diplomatiche ambiguità», èabbastanza logico che la trasforma-zione delle Forze Armate russe siaandata piuttosto a rilento, fino adarenarsi sostanzialmente di fronte aicosti rappresentati da una professio-nalizzazione totale e dalla indispo-nibilità dei vertici militari ad accet-tare una sostanziale riduzione degliorganici.Né la dottrina è stata materialmentein grado di indirizzare le scelte dipolitica militare, come le decisioniquasi quotidiane che sono state con-cretamente adottate per gestire laconflittualità nel Caucaso.Successivamente ci sono stati dei ten-tativi di completare la Dottrina condocumenti più concisi ma più aggior-nati ed efficaci. L’allora Ministro dellaDifesa Ivanov preparò un LibroBianco, nel 2003, che tuttavia nonrisolveva le molte ambiguità, anche

lessicali, già evidenziate con riferi-mento alla Dottrina del 2000.Ciò che più conta, tale Libro Bianconon fu in effetti approvato da Putin,per cui non può nemmeno essereconsiderato un documento ufficiale.Negli ultimi anni i mutamenti delquadro strategico sono stati molte-plici, e i vertici militari russi nonsono pienamente soddisfatti dellasituazione relativa alla postura mili-tare ufficiale del loro Paese.Come noto, Putin fece ampie apertu-re di credito a favore degli StatiUniti, all’indomani degli attacchidell’11 settembre. Successivamente,però, la posizione russa si è via viairrigidita, fino ad arrivare a unaforte contrapposizione declaratoria,nonché alla effettiva adozione dimisure di politica estera e militarecertamente non distensive versol’Occidente.

Fra gli elementi di più forte attrito,va indubbiamente inserita la que-stione del possibile dispiegamentodi una parte del sistema antibalisti-co statunitense che avrebbe trovatoospitalità in Polonia e nella Repub-blica Ceca. Tecnicamente la propo-sta prevedeva il dispiegamento diun potente radar con capacità di av-vistare e tracciare precocemente imissili balistici, nonché un limitatonumero di missili intercettori in si-los, per procedere alla distruzionedegli ordigni nemici in volo.Mosca, attraverso tutti i rappresen-tanti più o meno ufficiali, avevasostenuto che la collocazione inEuropa orientale di tale sistema rap-presentava una diretta minaccia alla

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Il missile intercettore «Ground Based In-terceptor» durante un test balistico.

sicurezza nazionale. Tali missiliintercettori potevano infatti colpirequelli strategici russi basati nellaregione di Mosca e del Volga, findalla loro fase ascendente.In tal caso, il sistema antibalisticoavrebbe rappresentato un deterrentemolto efficace, perché le testate deimissili russi sarebbero ricadute sullastessa Russia.Secondo gli statunitensi, invece,l’apparato dispiegato in Europasarebbe servito a intercettare nellafase intermedia della traiettoria imissili provenienti dal MedioOriente e diretti verso gli Stati Uniticontinentali. Per numero e tipologia,gli intercettori non avrebbero potutominacciare i sistemi offensivi russi.Il Presidente Obama, poco dopo lasua elezione, abbandonò questasoluzione in favore di un sistemapiù leggero e flessibile ma la posi-zione russa resta tuttora molto scet-tica e sospettosa.Sulla base di questo dissidio, si è

aperta una dura contrapposizionecon i russi, apparentemente inten-zionati a replicare con misure asim-metriche all’eventuale dispiegamen-to dei sistemi statunitensi. Ad esem-pio, a più riprese, è stato velatamen-te minacciato di denunciare il

Trattato INF del 1987 e di dispiegarenuovamente missili a testata nuclea-re idonei a battere i Paesi europei,magari proprio le installazioni anti-balistiche statunitensi.In tale quadro di crescente attrito,un’eventuale nuova edizione dellaDottrina militare russa o un ade-guamento, anche formale, dellapostura militare a una realtànuova, in cui Mosca percepiscemolteplici minacce ai propri inte-ressi, rimane per ora solo un’ipote-si e nulla più. Va aggiunto che qua-lora si concretizzasse, la nuova dot-trina militare includerebbe misurespecifiche per fronteggiare minacceasimmetriche, quali il successo di«rivoluzioni di velluto» nei Paesiricompresi nella sfera di influenza

di Mosca. Per ora comunque vaescluso un ritorno alla contrapposi-zione aperta con l’Occidente.Oggi, la Russia ha intrapreso, elabo-rato o potremmo dire recuperatouna politica estera multidirezionale,che ha recentemente riscoperto una

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Sopra.Un sottomarino strategico lancia missilibalistici ex-sovietico classe «Typhoon».

A destra.Un lancio di prova di un Intercontinen-tal Ballistic Missile russo SS-18 «Satan».

dimensione mediorientale. L’operadi penetrazione in questa regionerichiede, però, che nessun’altrapotenza voglia competere o interfe-rire con essa. Quest’ultimo fattorecrea qualche incomprensione conAnkara, pur in un quadro di marca-ta distensione e avvicinamento.Alla Russia la Turchia è, infatti,legata a doppio filo da importantirapporti economici che si sviluppa-no soprattutto sul piano commer-ciale ed energetico. Indicativo alriguardo sembra essere il fatto cheAnkara, ferma restando la suavolontà di assurgere a hub del-l’energia alle porte dell’Europa, vaapprofondendo l’investimento eco-nomico e diplomatico per lo svi-luppo di una direttrice energeticanord-sud tra la Russia e il MedioOriente, allo stato attuale, però,ancora relativamente aleatoria.Se, da una parte, questi rapporti inti-moriscono sia gli Stati Uniti che iPaesi europei, per via delle ambizio-ni politiche dei due Paesi nello scac-

chiere mediorientale, dall’altra siguarda alla possibilità che il vicinoturco potrebbe agire nel quadranteregionale in maniera tale da include-re Mosca in quanto partner commer-ciale di primario rilievo, e nel con-tempo limitarne le aspirazioni diun’estensione della propria influen-za politica, incanalandone l’operatoin un certo attivismo che si dispieghisul piano economico-commerciale,agevolato, per l’appunto, dalla coo-perazione con la stessa Ankara.In questo contesto, emerge che laRussia sta giocando su più tavoli e stacercando nel contempo di estenderela sua longa manu ovunque le sedu-centi prospettive affaristiche riescanoa far presa: da una parte, versol’Europa comunitaria, dall’altra inAsia centrale e verso il Caucaso, doveessa vuole recuperare la sua influen-za, come anche verso lo scacchieremediorientale. Dunque, l’amiciziaturca è fondamentale per la geostrate-gia russa, perché il Paese anatolicopuò potenzialmente minarne l’in-

fluenza nei Balcani, nel Mar Nero, nelCaucaso e nell’Asia Centrale, e anchein Europa, se si dovesse porre comefulcro energetico alternativo a Mosca.Al contrario, collaborando con laTurchia, Mosca può più facilmenteproiettarsi nel Vicino Oriente. In cam-bio del non contenimento dell’espan-sione geopolitica russa, Ankara, daparte sua, potrà continuare a costrui-re il suo ruolo di distributore di ener-gia all’Europa, anche in collaborazio-ne con la stessa Russia.C’è infine un ritorno di interesse diMosca per il Polo Nord, al fine diimpossessarsi e sfruttare le ingentirisorse ivi contenute. Questo potreb-be, però, determinare attriti con glialtri Paesi che si affacciano sul-l’Artico.

Antonio Ciabattini LeonardiEsperto di Geostrategia

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Un Intercontinental Ballistic Missile mobi-le russo SS-27M «Topol».

Nella sua complessità geopolitica estrategica, il Corno d’Africa giocaun ruolo fondamentale nel sistemadella sicurezza a livello internazio-nale, oltre a presentare una fortissi-ma concentrazione di popolazioni dicredo islamico. L’Etiopia, considerata da sempreculla della cristianità, si presentaoggi sulla scena internazionale comeuna regione particolarmente com-plessa, dove si intrecciano anticheculture tradizionali e spinte politico-religiose di diversa natura. Sembrainfatti che il cristianesimo, che dasempre ha fatto parte della storia diquesto Paese, abbia progressiva-mente perduto la sua valenza socia-le a fronte di un considerevole incre-mento della penetrazione islamica,soprattutto a partire dal XIX secolo,con lo sviluppo di confraterniteAhmadiyya, Hatmiyya e Rasidiyya. Hailé Selassié (letteralmente laPotenza della Trinità), forte dellapacifica convivenza tra musulmanie cristiani, decise negli anniCinquanta di concedere maggiorilibertà alla componente islamica edi attuare una riforma che, pur toc-cando punti fondamentali dellaCostituzione (quali una più ampiaautonomia amministrativa provin-ciale e la concessione di maggioripoteri al Primo Ministro), non per-mise tuttavia lo sviluppo propor-zionato tra le diverse istanze equindi non contribuì a un maggioreequilibrio sociale nella popolazio-ne, e in particolare nelle regioni

rurali più disagiate. L’obiettivo politico di queste nuoverivendicazioni diventò quindi, neglianni Settanta, la deposizione diSelassié e nel 1977, con il colpo diStato del colonnello Menghistu, siscatenò una repressione durissima eindiscriminata contro gli esponentidel vecchio regime e contro coloroche erano sospettati di non accettarespontaneamente la costruzione dellanuova società collettivista. Venneroperseguitati anche i cristiani e le

tribù nere di origine ebraica.Proprio in quegli anni l’Etiopia, e nellospecifico la regione dell’Ogaden, fuinvasa dalle truppe somale di SiadBarre e sull’entusiasmo di questaoccupazione presero le mosse anchei primi miliziani islamici, gli stessiche pochi anni dopo avrebbero datovita ai movimenti radicali, quali al-Ittihad al-Islami (l’Unione Islamica),

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L’ISLAM RADICALE NEL CORNO D’AFRICA

Il Corno d’Africa si presenta come una delle aree del mondo che suscita maggiormente l’attenzione dellacomunità internazionale a causa delle complesse problematiche ad esso legate, quali la povertà, l’instabili-tà politica e l’alta conflittualità; tutti elementi che acquistano maggiore spessore a causa di una posizionestrategicamente rilevante.

Cartina del Corno d’Africa.

Le opinioni espresse nell’articoloriflettono esclusivamente il pen-siero dell’autore.

ancora oggi presente e fortementesospettata di vicinanza ad al-Qaeda. Nel 1991, il regime di Menghistu fudeposto dal Fronte RivoluzionarioDemocratico del Popolo Etiope(FDRPE, composto da guerriglierietiopici e del Tigrè) guidato daMeles Zenawi, personaggio moltovicino all’Amministrazione diWashington. Nel 1998 il Paese divenne il princi-pale destinatario delle risorse delFondo Monetario Internazionale perl’Africa sub-sahariana - a causa dellagrave carestia scoppiata l’annoprima - ma gli aiuti della comunitàinternazionale non riuscirono apacificare le tensioni relative ai con-fini etiopico-eritrei. Il conflitto tra Etiopia ed Eritreaebbe come cardine l’assegnazione,da parte delle Nazioni Unite, del vil-laggio di Badammè all’Eritrea. Questovillaggio, pur non avendo un partico-lare valore strategico, ne conservavacomunque uno spiccatamente politi-

co, essendo stato da sempre ammi-nistrato dall’Etiopia. Per molti analisti, anche in questocaso, la comunità internazionalenon percepì la difficile situazioneche l’Etiopia stava attraversandosotto il regime di Zenawi (appoggioai ribelli sudanesi del sud contro il

governo islamico centrale, riapertu-ra del conflitto con l’Eritrea e spo-stamento forzato di migliaia di per-sone), probabilmente nel convinci-mento che questo regime avrebbegarantito la stabilità dell’interaregione, oggetto di una costanteespansione del fondamentalismoislamico. Nel 2006, l’Etiopia entrò in guerraproprio contro Mogadiscio conl’obiettivo di eliminare ogni influen-za islamica proveniente dall’Unionedelle Corti Islamiche e dalle celluleterroristiche guidate dal gruppofondamentalista al-Shabab (anche senell’anno successivo venne affianca-ta dagli Stati Uniti, l’Etiopia ritirò lesue truppe nel 2008).

Per quanto riguarda l’Eritrea, invece,il Paese si presenta diviso tra fedelimusulmani, che vivono nel nord, efedeli di credo cristiano che popola-no, invece, il sud. Anche qui, come inEtiopia, un ruolo importante per ladiffusione dell’Islamismo lo ebbero leconfraternite.

Nel 1952 l’Eritrea divenne un’unitàautonoma dell’Etiopia (ma ad essafederata) e questo elemento rallen-tò quel processo di diffusione del-l’Islamismo, da poco iniziato. Diecianni più tardi, l’Etiopia proclamòl’annessione dell’Eritrea e contro que-sta «dominazione» sorsero alcuni

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A destra.Una donna di etnia Oromo, un gruppo etni-co etiope stanziato nel nord del Paese.

In basso.Militanti di al-Shabab, gruppo insurrezio-nale islamista attivo in Somalia.

movimenti nazionalisti, tra cui il«Fronte Islamico per la Liberazionedell’Eritrea». Ma dopo la presa delpotere da parte del regime militare adAddis Abeba (1974), la ribellione eri-trea perse molti dei suoi appoggipolitici, compreso il mondo araboprogressista (il capovolgimento diposizioni più spettacolare fu quellodell’URSS, che si allineò al poteremilitare etiopico divenuto suo alleatoe favorì l’invio in Etiopia di un corpodi spedizione cubano per rafforzarel’esercito di Addis Abeba nellarepressione della guerriglia eritrea).Fu, quindi, proprio l’indipendenzaad aprire una nuova fase di diffusio-ne dell’Islamismo, anche se lo svi-luppo del credo religioso non vennepercepito subito come una minaccia.Il «Movimento Eritreo della JihadIslamica» è infatti nato da inizialicomponenti eterogenee e pacifiche,anche se si è comunque impegnato,nel suo sviluppo, nella lotta armata.In definitiva, tale movimento hapreferito dare vita a un’opposizionepolitica piuttosto che attuare attac-chi terroristici, nell’ottica di raffor-zare la componente musulmanaall’interno del Paese, anteponendola

alla guerra santa. L’Eritrea e l’Etiopia, come granparte degli Stati africani, sono popo-late da diversi gruppi etnici e i piùimportanti possono essere conside-rati gli Afar e gli Oromo. Gli Afar, o Dàncali, sono un gruppoetnico nomade che popola il Corno

d’Africa, ma soprattutto il desertodella Dancalia, nella regione di Afar,in Etiopia. Proprio la loro presenzain diverse aree del Corno è stata lacausa di diversi conflitti. L’AfarLand è divenuta oggetto di attenzio-ne da parte della comunità interna-zionale quando nel 2007 sono statirapiti alcuni turisti europei e diversietiopi. Il territorio su cui stanzia latribù degli Afar è un luogo strategi-camente rilevante, visto il passaggiodi traffici commerciali, soprattuttopetroliferi, che uniscono il Cornod’Africa al Medio Oriente. Questatribù professa la religione islamica eproprio la vicinanza al MedioOriente preoccupa l’intelligence occi-dentale, ovvero il timore di una pos-

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Famiglie linguistiche del Corno d’Africa.

A destra.Un uomo di etnia Oromo.

Sotto.Guerriglieri al-Shabab durante uno scon-tro armato.

sibile copertura nella zona africanadi gruppi terroristici legati al fonda-mentalismo islamico. Negli anniSessanta, le terre degli Afar furonosuddivise in diversi governatorati equesta è considerata la causa princi-pale della cronica instabilità che haportato alla nascita di numerosimovimenti di liberazione, accomu-nati dalla richiesta di un’unità triba-le, gestita direttamente dagli stessiAfar. Nel 1988 fu istituita un’amministra-

zione autonoma nella regione diAssab che comprendeva quasi il60% dell’Afar Land, scioltasi peròdopo pochi anni. Riapparve cosìsulla scena politica l’ALF (il Frontedi Liberazione Afar) che si scontròsin dall’inizio con il TPLF (TigrayPeople’s Liberation Front), il movi-mento che aveva come obiettivo pri-mario la trasformazione dell’AfarLand in una provincia tigrina. I tigrini, a loro volta, diedero vita aun’offensiva nei confronti dell’AR-DFUR (Afar Revolutionary Democra-tic Union Front, prima Ugugumo),che parteciperà, accanto al governoetiope, alla guerra contro l’Eritrea,per finire, nel 2003, nella coalizioned’opposizione.Per quanto riguarda invece il ruolodegli Afar in Eritrea, essi furonosempre considerati una minacciaper la lotta all’indipendenza

dell’Etiopia e per questo motivofurono spesso oggetto di repressionie violenze. Nonostante tutto, la tribùriuscì a difendere la propria regionee a unificare la popolazione locale,anche se la mancanza di un appara-to politico, in grado di agglomerarele istanze della popolazione, rendeancora oggi molto controversa laquestione degli Afar. Di fatto, continuano, insieme allerichieste di secessione, gli attacchiterroristici che colpiscono l’area e

che rendono ancora più instabilel’intera regione, alla continua e sof-ferta ricerca di un equilibrio politicoe sociale. Gli Oromo vivono in gran partenell’Etiopia, ma sono segnalate pre-senze anche in Kenya e in Somalia.Pur essendo queste regioni caratte-rizzate da una molteplicità di con-fessioni religiose, gli Oromo si pre-sentano come la popolazione chemaggiormente ha subito l’influenzaislamica e l’etnia rivendica unacostante sottomissione, sia duranteil colonialismo italiano che neglianni più recenti. In effetti, a partiredal regime di Selassié, ma anche conil suo successore Menghistu, gliOromo sono stati la componenteprincipale di un oppressivo sistemadi schiavitù.La nascita dell’OLF (il Fronte diLiberazione degli Oromo), nel 1973,

segnò una data importante nella sto-ria di questa popolazione, anche sel’obiettivo politico dell’organizza-zione rimaneva quello di combattereil dominio abissino. Inoltre, moltianalisti hanno comunque considera-to il movimento una vera e propriacellula terroristica, visto il coinvolgi-mento in diversi attentati sanguino-si (anche se oggi l’OLF non sembracosì legato alle correnti islamichepiù estremiste). La Somalia, invece, è sicuramente lanazione che più di tutte ha influen-zato l’andamento dell’intera regionedel Corno d’Africa. Il Paese è l’unicosub-sahariano composto da un sologruppo etnico, ma suddiviso in ungran numero di clan perennementein contrasto tra loro. Il lungo gover-no del Presidente Siad Barre (perventuno anni dopo l’indipendenza)era riuscito a tenere sotto controllola struttura dei clan con una combi-

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Sopra.Hailé Selassié, Imperatore d’Etiopia.

A sinistra.Un militante di al-Shabab.

nazione di nazionalismo pan-soma-lo e di modello centralizzato di tiposovietico.Quando, nel 1991, cadde il regime diBarre ebbe inizio una drammatica esanguinosa lotta tra i diversi clan e aMogadiscio si verificarono pesanticombattimenti tra le fazioni chesostenevano il Presidente ad interimAli Mahdi Mohamed, da una parte eil Generale Mohamed Farah Aidid,Presidente del Congresso somalo,dall’altra. Il Paese sprofondò nelladisperazione e centinaia di migliaiadi persone furono costrette adabbandonare le loro case (cinquemilioni di esseri umani patirono lafame e un milione di persone cerca-rono rifugio nei Paesi limitrofi).Dopo le deliberazioni del Consigliodi Sicurezza delle Nazioni Unite(UNOSOM I e II, autorizzando l’usodella forza per ristabilire la pace e lasicurezza nel Paese) nel 1995 laSomalia tornerà a essere teatro discontri tra i signori della guerra. Ilprimo tentativo di pace si ebbe solonel 1999, anche se non portò a risul-tati significativi. Nel 2004 si fecero alcuni passi inavanti: fu istituito il Parlamentotransitorio, che elesse Capo delloStato Abdullah Yussuf Ahmad, e furedatta la prima Costituzione. Dueanni dopo, l’Unione delle CortiIslamiche - composte da giovanirivoluzionari chiamati al-Shabab,

dall’ala armata dell’organizzazione,ma anche da religiosi e fondamenta-listi somali - riuscì a mettere in fugale milizie dei signori della guerra e aliberare la capitale. L’organizzazione al-Shabab nascenel 2004, nella cittadina somala diel-Buur, ma il suo consolidamentoavverrà proprio all’interno del-l’Unione delle Corti Islamicheattraverso la figura carismatica diAdan Hashi Ayro. La popolazionesomala, presumibilmente stancadella lunga guerra intestina, accet-tò questi nuovi combattenti, anchese non era stato nascosto l’obiettivodella istituzione della sharia comeunico fondamento della legge sta-tuale. In quegli stessi anni, però, irapporti tra le Corti Islamiche e ilGoverno transitorio peggioraronoa causa del mancato rispetto di unpatto di non aggressione preventi-vamente stipulato. Il Consiglio di Sicurezza delleNazioni Unite, nelle more di unnuovo intervento, si trovò davantil’opposizione del capo delle CortiIslamiche, Hassan Aweys (conside-rato il braccio destro di al-Qaeda in

Somalia), determinato a bloccarel’intervento di truppe straniere sulterritorio somalo. Fu a questo punto che le truppe etio-piche, appoggiate sia dagli StatiUniti che dall’Unione Africana,decisero di invadere la Somalia perportare aiuti al Governo federale ditransizione. Anche se inizialmentela guerra apparve come uno scontroreligioso tra cristiani e musulmani,oggi gli analisti concordano nel rite-nere l’intervento etiopico dettatoesclusivamente dalla necessità diarginare il bellicoso avanzamentodel fondamentalismo islamico. Allafine del 2006, gli etiopi entrarono inSomalia, costringendo man mano imiliziani dell’Unione delle CortiIslamiche a una ritirata. L’anno suc-cessivo, gli Stati Uniti decisero ditornare in Somalia - anche se indiret-tamente e per la prima volta dopo la

disfatta nel 1993 dell’operazione dipace Restore Hope - e le NazioniUnite autorizzarono la formazionedi un contingente di pace compostoda eserciti africani con lo scopo diristabilire pace e sicurezza nellaregione. Dopo la ritirata delle milizie islami-che si riaffacciò sulla scena politica ilgruppo al-Shabab, che mise in attodiverse operazioni contro i contin-genti ONU con l’obiettivo di impe-dire la distribuzione del cibo e degli

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Sopra.Hassan Dahir Aweys, Capo spirituale di al-Shabab.

A destra.Rifugiati a Mogadiscio.

aiuti umanitari. Il gruppo fonda-mentalista è riuscito in poco tempo ariconquistare gran parte del territo-rio, sia per attuare il progetto ideolo-gico della jihad, sia per dar vita adun reale movimento nazionalista.Con il ritiro delle truppe etiopichedalla Somalia, nel 2009, si svolsero leelezioni per la formazione di unnuovo governo, ma in questa torna-ta elettorale il gruppo fondamentali-sta vide un ulteriore tentativo diconquista da parte degli occidentalie prese spunto per scatenare nuovisanguinosi scontri. Anche se il Presidente Sharif Ahmeddecise di accettare la sharia comeunica legge per il Paese, i fondamen-talisti non deposero ugualmente learmi, convinti di poter ottenere unanormativa ancora più intransigente.Gli scontri continuarono e al-Shabab,per la prima volta nel 2010, sferrò il

suo primo attacco terroristico al difuori della Somalia, colpendo e ucci-dendo più di settanta persone aKampala, in Uganda. Per gli analisti si è trattato di unattacco pianificato da al-Qaeda e rea-lizzato da al-Shabab. Anche se rimaneindiscussa la matrice fondamentali-sta del gruppo, la possibilità cheintrattenga rapporti con al-Qaedanon è universalmente riconosciuta.Almeno in una fase iniziale, granparte delle operazioni portate avanti

dal movimento non sono state fatterisalire direttamente a un coinvolgi-mento nell’ideologia della jihad,quanto piuttosto alla volontà di com-battere, ad ampio spettro, le truppestraniere presenti sul territorio. In ogni caso, il movimento al-Shababè considerato uno dei più influentiin Somalia, sia per la forte compo-nente religiosa che per quella popu-lista, ovvero per la capacità di redi-gere e attuare una vera e propriaagenda nazionale.La forza di al-Shabab, come granparte dei gruppi integralisti islamici,si fa risalire non solo ad una efficien-te organizzazione para-militare, maanche al controllo sul territorio e allaforte spinta ideologica che lo con-traddistingue. Il gruppo fondamentalista somalo, inparticolare, sembra essere compostoda quattro organi: il primo, la Shura(o Consiglio legislativo), organizzatocon quaranta/cinquanta membri epresieduto dall’Emiro Sheik Moha-med Abdirahman, conosciuto anchecome Abu Zubeyer; il secondo, chia-mato al-Dàwa (Propaganda), respon-sabile appunto della propaganda delmessaggio musulmano e del recluta-mento di nuovi miliziani; il terzo, al-Hesbah, rappresenta una sorta di poli-zia religiosa che ha il compito di farrispettare i costumi islamici (sul-l’esempio della polizia talebana), einfine al-Usra, che costituisce l’ala ar-mata dell’organizzazione.

Ancora oggi Mogadiscio rimane unterritorio conteso tra il Governo fede-rale di transizione e il gruppo al-Sha-bab (in fase di riorganizzazione lungoil confine con il Kenya) a cui si è ag-giunto il gruppo fondamentalistaHizbul Islam, guidato da Sheikh Has-san Dahir Aweys. Questi due movi-menti si differenziano però su alcunipunti essenziali: Aweys vorrebbe darvita a una grande Somalia, un anticoprogetto rivisitato in chiave islamica,mentre al-Shabab, ispirato a una visio-ne prettamente qaedista, mira alla co-stituzione di un califfato islamicoglobale. All’inizio del 2010 si è comunqueregistrata una diminuzione del con-senso popolare nei confronti delgruppo estremista a causa della pursofferta transizione del Paese versouna nuova e più tranquilla fase poli-tica e sociale. Al tempo stesso, siregistra però una crescita della pre-senza di personalità straniere sulterritorio somalo e secondo gli anali-sti questo elemento dimostra comeal-Shabab, da gruppo islamico pron-to a combattere per la libertà dellaSomalia, abbia assunto, man mano,sempre maggiore importanza nellosviluppo della jihad internazionale.

Lucrezia MarchettiStudiosa di teoria dei conflitti

25n. 3 - 2012

Fedeli in raccoglimento a Mogadiscio.

IDENTITÀ E STRATEGIA,UN PAESE IN BILICO

La Russia, a differenza dell’Europa,si è sviluppata in maniera autono-ma e autoctona senza le fasi di cat-tolicesimo romano, feudalesimo, ri-nascimento, riforma, espansione ecolonizzazione oltremare, illumini-smo e nascita dello Stato nazionale.Le simultanee transizioni da regimecomunista a democrazia, da pianifi-cazione centralizzata a libero mer-cato e da Impero a Stato-Nazionenon sono ancora state ultimate. Co-me sostiene il Prof. Sandro Sideri, labi-continentalità euro-asiatica è alla

base della specificità e diversità diquesto soggetto geopolitico aleato-rio, e il suo rapporto con lo spazio èvitale per la sua identità e la suastessa esistenza. La formazionecompatta per contiguità degli spazi,questo tutto unico, si conserva an-cora oggi e la Russia costituisce il

nucleo dell’Impero e delle periferie.Dato il suo immenso territorio si hal’impressione che tenda ad amalga-mare gli Stati intorno, che in con-fronto appaiono deboli. Gli stessiconflitti tra le comunità intorno aessa aumentano questa capacità diunificazione se non d’integrazione,per il diverso peso specifico dellecomponenti, in una logica diversada quella occidentale.La modernizzazione dell’Imperodello spazio russo più che del popo-lo russo, presupposto per la politicadi potenza mondiale del suo Presi-dente, è iuxta propria principia: non èetnocentricamente intesa come ade-guamento ai canoni di individuali-smo e libertà occidentali, ma nem-meno a quelli di collettivismo e ti-rannia di tradizione asiatica. Sorge

26 Rivista Militare

LA RUSSIA OGGIUN PAESE ANCORA IN BILICO TRA

ORIENTE E OCCIDENTE?

L’articolo si prefigge l’obiettivo d’illustrare la peculiarità della posizionegeopolitica e strategica russa. L’argomento viene affrontato a livello ge-nerale, soffermandosi sulla dimensione interna e sullo scenario interna-zionale - verso Oriente e Occidente - limitando l’analisi ai tempi attuali.

Le opinioni espresse nell’articoloriflettono esclusivamente il pensierodell’autore.

La Cattedrale San Basilio a Mosca.

La definizione di Paese in bilico con-traddistingue l’Aquila bicipite (1),perché possiede una cultura domi-nante e appartiene a un’unica civil-tà, malgrado i suoi leaders politici,sin da Pietro il Grande, la collochinoall’interno di una civiltà diversa. Icambi di civiltà sono dei fallimenti,poiché l’élite politica ed economicadeve adoperarsi con entusiasmo el’opinione pubblica deve prestare ilconsenso al cambiamento, mentregli elementi dominanti della civiltàdi approdo devono essere dispostiad accettare il nuovo adepto perl’omogeneità culturale (2).

allora il conflitto fra identità e stra-tegia: di che Paese si tratta? Euro-peo o eurasiatico? Potenza regiona-le o globale? Quali interessi ha inambito internazionale? Molti pro-blemi come la sicurezza e l’econo-mia nelle relazioni con i Paesi del-l’area ex sovietica e asiatica sonoglobali e vanno affrontati con unapproccio collettivo e questa super-potenza, con legittime aspirazioninon limitate solo al livello regiona-le, manifesta la sua grand strategy.Sul piano interno, l’ideologo delCremlino Vladislav Surkov (3) ha co-niato la formula di democrazia so-vrana, riassumendo la centralità del-lo Stato (con il suo Presidente), cheha il diritto di adottare la forma di or-ganizzazione politica più adatta,escludendo ogni interferenza esterna.L’ideologia non rappresenta l’inac-cettabile Stato trans o sovra-naziona-le, ma quello sovrano westfaliano,quindi forte, centralizzato nel perse-guimento dell’interesse nazionale enel consolidamento del ruolo digrande potenza. Voler preservare au-tonomamente l’integrità dello Stato sispiega con la tradizione millenariadella Russia, che esiste solo come Im-pero e per essere tale deve avere ilcontrollo sull’Ucraina, parte essen-ziale dell’antica Rus’, restando parteintegrante dell’estero vicino russo.Su scala regionale, lo spazio ex so-vietico rappresenta la zona d’in-fluenza di natura principalmentegeo-economica, per accordi di coo-perazione, integrazione e commer-ciali. L’interazione con le repubbli-che post-sovietiche e proprio conquei Governi ostili a Mosca apparte-nenti al Commonwealth degli Stati In-dipendenti (CSI) consente di aprireorizzonti diplomatico-militari in par-te alternativi all’Alleanza Atlantica.Sul piano internazionale, si proponeall’insegna del multipolarismo - co-me polo indipendente, non allineato,in controllo della propria regione -ma lo fa in maniera asimmetrica, inquanto concepisce la differenza tra legrandi potenze e i Paesi medi o pic-coli in base alla concezione gerarchi-

ca e non necessariamente di gover-nance. La visione è di uno spazio geo-politico molto frammentato, in cuiconta cioè quello che si è, non comesi agisce e le regole sono di volta involta dettate da chi ha maggiore po-tere e potenza. La strategia, quindi, èvolta - pur nell’attuale situazione delsistema Paese - a garantirsi libertà dimanovra senza esporsi alla competi-zione e preservare lo spirito se non ivalori della Santa Madre Russia. Intale maniera influenza l’ordine inter-nazionale esistente in opposizione al-

l’Occidente su qualsiasi materia, an-che se la sua politica estera pacifica enon ostile agli Stati Uniti, rappresen-ta esclusivamente gli interessi nazio-nali. Il suo rango nell’attuale ordineinternazionale, di cui non è artefice eche intende cambiare, non è adegua-to, poiché assegnato dai vincitori del-l’ultima grande Guerra Fredda, ma«costituente» del nuovo ordine inter-nazionale. Si ripropone la tradiziona-le differenza con l’Occidente e i suoi

simboli: Stato di diritto, democrazia,diritti umani e trasparenza. Siamo,comunque, ben lontani senza ombradi dubbio dalla tradizionale competi-zione diretta con l’antagonista disempre ai tempi della cosiddetta dot-trina eurasiatica di Evgenij Maksimo-vic Primakov, Ministro degli Esteri ePrimo Ministro negli anni ’90. Questaaddirittura prevedeva un’alleanzacon Cina, Iran e addirittura India peroriginare una megapotenza e sminui-re gli USA. Mirava, in definitiva, auna politica di multilateralismo glo-bale, che costituiva l’incubo geo-stra-tegico del padre della geopolitica,Halford Mackinder nella politicaestera inglese.

IN BILICO...DA DOVE SORGE IL SOLE...

Inversione centro periferia

Medvedev parlava di economiainefficace, sfera pubblica semisovie-tica, democrazia non consolidata,tendenze demografiche negative,Caucaso instabile, attacchi terroristi-ci, banditismo internazionale e im-poverimento in termini di capacitàproduttive e tecnologiche, grandiproblemi persino per uno Stato co-me la Russia (Le aspirazioni e le attesedella Russia, in «Affari Esteri» n. 164del 2009, pp. 703-704). La popolazio-ne sfiora i 141 milioni di abitanti,ogni anno diminuisce di circa 700mila unità a causa di bassa natalità,alta mortalità per alcolismo, fumo,incidenti stradali e altre problemati-che. A livello demografico si stannoabbandonando le regioni orientali esvuotando le monocittà, che si basa-no sull’attività di un’unica grandeimpresa. In tale quadro, si è registra-to a livello statistico un calo dellacomponente etnica russa rispetto aquella caucasica, che si potrebbe ri-percuotere anche sui coscritti nel-l’ambito delle Forze Armate (4). Po-trebbe essere, di conseguenza, inte-ressante approfondire quali even-tuali accorgimenti adotterà lo Stato

27n. 3 - 2012

La Torre Spasskaja, Piazza Rossa a Mosca.

Maggiore Generale russo; se metteràin conto di creare unità militari sullabase della stessa etnia, Nazione o re-ligione.Il baricentro russo si è prepotente-mente spostato verso la Siberia, do-ve si produce oltre la metà del pro-dotto interno lordo. È significativol’autentico processo d’inversione ditendenza tra centro e confine, cometra provincia e periferia, che per le

risorse energetiche sta diventando ilcentro di gravità degli interessi na-zionali. Già ai tempi del trattato diNercinsk, del 1689, i cosacchi pro-teggevano la Russia rivolta a Occi-dente. Nel 1912 lo scrittore di razzamongola Aleksej Kulakovskij ripro-poneva il pericolo giallo come unaprobabile causa di guerra mondiale(5), e di recente persino durante laperestrojka le diverse migliaia di chi-lometri di frontiera non hanno maiconsentito un efficace controllo, ba-sti pensare a quello spazio ritenutoterra di nessuno, per la densità dipopolazione di gran lunga sotto la

media. L’animo operoso e diligentecinese ha avuto un impatto impres-sionante sui russi tanto da riuscire aimporre i propri prodotti con quali-tà differenti, ma economicamentepiù competitivi. Il risultato è statol’arricchimento delle province cinesiconfinanti grazie ai traffici commer-ciali, mentre la Russia non è riuscitaa sfruttare l’occasione per investirein infrastrutture e migliorare in ma-

niera adeguata il livello di vita. Re-bus sic stantibus, le situazioni di pe-riferia a contatto con la Cina, le Re-pubbliche caucasiche (e musulma-ne) di Cecenia, Daghestan e Ingu-scezia, oltre che Ossezia del Nordrisultano degne di attenzione.

Risorse energetiche

L’importanza della Russia, dun-que, cresce ai confini, dove si regi-

stra l’ascesa delle potenze asiati-che, che preoccupano non pocol’Occidente. Il Cremlino ha sempreesercitato una posizione di privile-gio nei confronti dei Paesi centroasiatici nella gestione delle risorseenergetiche, traendo grande profit-to dalla successiva esportazione.Ha stretto legami strategici ed eco-nomici con alcuni Paesi e le infra-strutture esistenti o in costruzione(Nord Stream, South Stream, Na-bucco) costituiscono un vero e pro-prio assetto geopolitico continenta-le (6). Le relazioni energetiche rus-se sono maggiormente rivolte al-l’Europa, interlocutore preferen-ziale e ideale per le maggiori affi-nità culturali e di civiltà. L’Europaimporta dal 20 al 30% di petrolio egas naturale dalla Russia, mentrela stessa dipende per il 90% dellesue esportazioni di energia dallasola Europa (7). Il ruolo di fornito-re la rende un partner imprescindi-bile, ma è frutto di una scelta avve-nuta quando ancora non si contavasulle potenze asiatiche.Cambiare la destinazione delleesportazioni russe non è certamenteun’operazione facile logisticamente,visto che la via asiatica per Cina eIndia è tuttora impraticabile. Al ri-guardo, situato vicino ai giacimentidell’isola di Sakhalin, il Giapponecostituisce un’eccezione e nel bre-ve-medio periodo potrebbe essereun cliente interessante riemerso daldisastro nucleare del marzo 2011.Invertire la direzione dei flussienergetici non via mare è qualcosain cui si sta già investendo e affi-nando alta tecnologia. Ciò nono-stante, il tempo mai come in questocaso è una risorsa se non un vinco-lo, vista la pressione delle sceltestrategiche. Ma, ad quid? Non ci so-no basi per sostenere che l’interesserusso potrà rivolgersi in futuromaggiormente verso Oriente a di-scapito dell’Europa. La Cina ener-givora mira a diversificare le suefonti di approvvigionamento e fa-rebbe di tutto per importare gas epetrolio dall’Asia centrale soprat-

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Ordine della Vittoria e busti in oro raffigu-ranti personalità insignite di tale ordine.

tutto per via terrestre, perciò inve-ste in infrastrutture per strappareconcessioni ai governi della regio-ne. Da queste nuove direttrici ener-getiche sicuramente scaturirà unbeneficio per tutti, indirettamenteper una logica di mercato anche perl’Europa. E se l’esigenza cinese fos-se solo temporanea? L’attuale co-struzione su larga scala di centrali agas, carbone e nucleare sul suolo ci-nese potrebbe all’improvviso farmodificare la domanda di gas, cheviene pagato pure a un prezzo diconsegna inferiore a quello vendutoall’Europa, ed è un elemento di cuitenere conto. Le esigenze geo-eco-nomiche porteranno inevitabilmen-te nel medio termine ogni attore in-ternazionale a relazioni sempre piùintense non solo con la Cina, maanche con altri partners, in quanto,pecunia non olet, ogni problema sipuò risolvere se c’è un interesseeconomico. Mutatis mutandis, pergli stessi impedimenti che ha laRussia nel direzionare differente-mente i suoi gasdotti e oleodotti,anche il sogno europeo di avere ac-cesso alle risorse senza dipenderedalla Russia, il cosiddetto grandegioco in Asia centrale, sembra risul-tare non attuabile. Un’ulteriore mo-tivazione di ciò sono le riserveenergetiche presenti nel Caspio enell’Asia centrale, quantitativamen-te non alternative per soddisfare ilfabbisogno di gas. Il Cremlino,quindi, mantiene una posizione do-minante nell’esportazione di idro-carburi, nonostante iniziative di sfi-da quali l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC), che per l’eterogenei-tà degli attori coinvolti non ha sor-tito l’effetto desiderato.

Compenetrazione economicae strategie di sicurezza

La Russia ha mantenuto l’influenzapragmatica sui Paesi euroasiaticicon la sua presenza, la stabilità allefrontiere e la lotta al narcotraffico.Non si esclude che per fronteggiarela potenziale influenza statunitense,

Mosca abbia contribuito in vari set-tori e modi alla soluzione della que-stione afghana (8).Ragguardevole è la considerazionedel CSI come Stati sovrani per lacondotta delle relazioni internazio-nali nell’ambito dell’Organizzazio-ne del Trattato di sicurezza colletti-vo (CSTO). La cooperazione è nel-l’estrazione e trasporto del gas enell’elaborazione di una comunestrategia energetica in funzione del-le risorse, perciò in primis con il Ka-zakistan. Turkmenistan, Uzbekistane Tagikistan hanno minori energie epotere, il Kirghizistan dipende an-cora dagli aiuti esterni e molto daMosca (9). Le iniziative russe per lasolidità delle relazioni nella regionepossono apparire una reazione allageopolitica multivettoriale di questipartners, che hanno stimolato la con-correnza per svincolarsi dall’orbitadello spazio dell’Impero russo nelmercato energetico. La maggioran-za delle risorse energetiche di questiPaesi è controllata da compagnieche puntano a diversificare le con-dotte. Dal Kazakistan parte il pro-getto Atasu-Alashankou fino allaCina e un collegamento all’oleodot-to BTC, sviluppato per impulso de-gli Stati Uniti, che va dall’Azerbai-jan alla Turchia. La Russia in questomosaico regionale eserciterà un ruo-

lo determinante in base ai rapportidi collaborazione che riuscirà a in-staurare e mantenere.La minaccia dell’Islam, le diverseetnie, la rivendicazione degli ecce-zionalismi culturali associati alla di-minuzione di scuole, la propagandae il soft power fanno percepire i russisempre più come stranieri con inte-ressi propri, malgrado poi «gli Impe-ri non siano necessariamente un male el’indipendenza non è necessariamenteun bene» (10). Viene da domandarsiin proposito se le condizioni di vitarisultavano più accettabili ai tempidell’Unione Sovietica con la sua pia-nificazione centralizzata e protezio-ne dell’Impero oppure ai tempiodierni con l’economia di mercatodove la concorrenza è maggiore.Sempre più strette sono le relazionicon Cina, India, Iran, Organizzazioneper la cooperazione di Shanghai, conBrasile, India, Cina, Africa e Americalatina (11). Tutto è avvalorato dal co-mune bisogno di compenetrazioneeconomica, oltre che di risorse finan-ziarie e tecnologiche.Mosca insieme a Teheran sta patro-cinando l’opzione del Gasdottodella Pace, che attraversa il Paki-stan e dovrebbe giungere in India.

29n. 3 - 2012

Cartina del Caucaso e del centro-Asia.

Pur auspicando che le relazioni traNew Delhi e Islamabad migliorino,anche per fronteggiare a livello re-gionale la minaccia del terrorismo,la Russia vanta ottime relazionicon l’India. Il Ministro degli Esterirusso Lavrov ha commentato posi-tivamente a fine 2010 le relazionibilaterali con questo Paese, per laconvergenza degli interessi e il si-mile approccio ai problemi interna-zionali, spingendosi addirittura amanifestare il consenso a un even-tuale accesso dell’India qualemembro permanente nel Consigliodi Sicurezza delle Nazioni Unite.Le relazioni russe sono altresì otti-me anche con il Pakistan (12). LaRussia ha in proposito avviato unquadrilatero con Pakistan, Afgha-nistan e Tagikistan, segnale delruolo chiave dell’Aquila bicipitenella regione.

...FINO A DOVESTA TRAMONTANDO...

Sfide e scintille con l’Occidente

L’Europa, come anticipato, costitui-sce la destinazione naturale degliidrocarburi russi e per i tempi tecni-ci lo sarà ancora per molto. La poli-tica di Medvedev e Putin è orientatain maniera ferma e costante versol’Occidente, che rappresenta il futu-ro e una dimostrazione dopo ilNorth Stream nell’area baltica, è ilSouth Stream con arrivo in Austria.Il piano infrastrutturale di gasdottiprevede di collegare il Turkmeni-stan ai Balcani con l’appoggio diSerbia e Germania per aggirareUcraina, Bielorussia e Turchia, perottenere un vantaggio anche nellacompetizione con il concorrenteprogetto Nabucco, incentivato dal-l’Unione Europea (UE) con 4 milio-ni di euro e dagli Stati Uniti, che mi-rano a escludere la Russia dal per-corso delle risorse caucasiche (13).Pur tuttavia, la società russa Gaz-prom controlla il 50% della jointventure che gestisce l’hub di Baum-

garten (Austria), dove entrambi iprogetti verosimilmente si allacce-ranno alla rete energetica europea(14): Russia e UE non sono pertantocompetitori.I rapporti preferiti dai russi con ipartners europei sono di natura bila-terale, ulteriormente agevolati dallamancanza di una politica estera si-nergica dell’UE, oltre che dallo spi-rito competitivo dei suoi membri,tra cui spiccano Italia e Germania,ma questa situazione non potrà du-rare ancora a lungo. A parte il Con-siglio NATO-Russia del maggio2002, si sono rivelati un insuccesso itentativi europei d’integrazione (odomologazione) della Russia allastregua di Estonia, Polonia, o Ucrai-na. Come potrebbe la stessa potenzabi-continentale sedersi a un tavolodi trattative con entità statuali cheda sempre sono state suoi satelliti?Non si è tenuto conto dell’effettivorango da rapportare all’intero conti-nente. Nella sessione straordinariadel Consiglio NATO-Russia di Li-sbona del novembre 2010 il comunedenominatore è stato il contrasto aminacce quali terrorismo, criminali-tà legata alla droga, pirateria, proli-ferazione delle armi di distruzionedi massa. Lo scudo antimissile euro-peo può rivelarsi uno strumento dicooperazione di elevato livello; tut-tavia secondo Medvedev e Putin,avrebbe valore se diventasse un si-stema universale e a vantaggio ditutti. Ogni attore dovrebbe, cioè, ri-tagliarsi il proprio settore di respon-sabilità nel progetto e avere la ne-cessaria autonomia per governare lapropria regione, senza subire intro-missioni.Nel complesso i rapporti della Rus-sia con l’Occidente sono stati messialla prova da una serie di eventiquali l’allargamento dell’AlleanzaAtlantica, l’accelerazione nell’acces-so di Georgia e Ucraina nel verticedi Bucarest del 2008, il riconosci-mento da parte occidentale del Ko-sovo, il progetto occidentale di col-locare missili in Polonia e Repubbli-ca Ceca, l’intervento russo in Geor-

gia e il riconoscimento unilateraledi Abkhazia e Ossezia del Sud.Quest’ultimo non è stato un azzar-do, ma è scaturito dalla consapevo-lezza di poter gestire la situazione,sfruttando il fattore sorpresa, poi-ché nessuno avrebbe avuto interes-se ad alimentare un conflitto.Dopo le pressioni per evitare il ri-corso all’uso della forza per la que-stione del Nagorno-Karabakh, Mo-sca ha offerto a Baku di cambiare lasua posizione in merito al corridoiodi Lachin e trattato il prolungamen-to della presenza militare e della ba-se di difesa aerea di Qabala.Le relazioni con i Paesi della regio-ne, il cui stravolgimento geo-strate-gico risulterebbe determinante neirapporti eurasiatici con la NATO,coincidono con l’interesse russo amantenere l’Europa dipendente dal-le risorse energetiche, monopoliz-zando Caucaso e Caspio. Di fatto,sia l’Europa che gli USA hannoun’influenza minima nella regione.Per dirla in maniera military correct,hanno considerato decisive points didifferente ubicazione. Formulandovarie ipotesi: nella migliore gli ac-cordi Strategic Arms Reduction Treaty(START) risolverebbero altre pro-blematiche (National Missile Defense,allargamento della NATO, Conven-tional Forces in Europe e OSCE), nellapiù realistica, il fallimento lascereb-be irrisolte le questioni con l’Occi-dente, aprendo una grande fonte dicontesa (15).

Religione

L’incrinatura tra Occidente eOriente passa attraverso il cuoredella cultura russa, la cui alteritàcostituisce una sfida anche religio-sa. Se la Russia nel fallimento diun cambio di civiltà diventasse eu-ropea, per dirla alla Huntington, laciviltà ortodossa cesserebbe di esi-stere. Non bisogna confondere,tuttavia, il cristianesimo occidenta-le con l’ecumene ortodossa. Sedavvero la base spirituale, cultura-le e di civiltà fosse stata la stessa,

30 Rivista Militare

si sarebbe verificata la prossimità el’integrazione almeno da questoversante. La Chiesa ortodossa, dasempre soggetta a un rigoroso con-trollo statale, fu riorganizzata eposta sotto l’autorità di un Sinodo,i cui membri venivano eletti diret-tamente dallo Zar. Russia è sinoni-mo di tradizione ortodossa, poten-ziale spirituale e culturale, cemen-to delle Russie (16), ovvero dellecomunità russofone sparse nelmondo dalla diaspora del 1917.L’ortodossia è stata utilizzata persuperare le divisioni tra le diversegiurisdizioni ecclesiastiche e perevangelizzare le popolazioni sibe-riane o dell’estremo Oriente russo.Il ruolo guida del Patriarcato diMosca non è diminuito negli annianche dopo il crollo nello spazioex-sovietico, con funzione unifi-cante quale terza Roma storica-mente rivale della seconda (Co-stantinopoli). L’attività di prote-zione delle Chiese ortodosse è pre-sente nei Paesi in cui i fedeli orto-dossi costituiscono una minoranza.Ciò nonostante, costituisce un’ec-cezione la Chiesa ortodossa auto-cefala ucraina. Un elemento a fa-vore in tutto questo, oltre che latradizione e la credibilità acquisita

nel tempo, riguarda la posizionegeografica di mezzo, in cui s’in-contrano diverse confessioni. Sa-per stare al confine è una caratteri-stica e una capacità insita nella suacultura di frontiera, orientata al-l’interscambio in special modo conl’Occidente.

...Passando per il Polo Nord

Definito finora soggetto in bilico allastregua di un Giano bifronte, restanole immense risorse energetiche e mi-nerarie artiche. A differenza degliUSA, la Russia ha ratificato la Con-venzione ONU di Montego Bay suldiritto del mare nel 1997. Ha avanza-to nel 2001 formale rivendicazione(depositata presso un’apposita Com-missione in base alla Convenzionedel 1982) sul possesso della dorsaleLomonosov quale naturale continua-zione della piattaforma siberiana, eva ora verificato in termini oggettivise possa effettivamente sfruttarla ol-tre le 200 miglia nautiche. A tale sco-po, Arthur Nikolaevic Cilingarov, Vi-cepresidente della Duma nel 2007(Anno Polare Internazionale), in una

spedizione per reperire la documen-tazione a supporto, ha fissato la ban-diera russa al titanio sul fondo delMar Glaciale Artico a oltre 2 400 me-tri in corrispondenza del Polo geo-grafico (17). L’evento, al di là dell’ef-fetto mediatico simile alla bandierastatunitense posizionata sulla super-ficie lunare, non può sancire il mododi acquisizione di un territorio o l’ef-fettiva appropriazione di una res nul-lius o communis omnium. Il CircoloPolare non appartiene ad alcuno Sta-to. Amministrato dall’Autorità Inter-nazionale dei Mari, è una zona di no-tevole interesse anche per Stati Uniti,Canada, Norvegia e Danimarca, datoil progressivo scioglimento dei ghiac-ci. La Russia, pur con il rischio del ri-scaldamento globale, non aspetta eper garantirsi il transito delle rotte ar-tiche si è dotata delle imbarcazionirompighiaccio più grandi al mondo.In attesa di accertare se l’area in que-stione costituisca piattaforma conti-nentale (in cui lo Stato costiero, rus-so, eserciterebbe diritti sovrani esclu-sivi di esplorare e sfruttare le risorsenaturali), o alto mare (aperto a tuttigli Stati), si comincia a delineare unordine regionale con alleanze strate-giche. La più rilevante è la coopera-zione russo-norvegese in cui a «pre-valere sono gli elementi centripeti suquelli centrifughi» (18): alle preteserusse di presentarsi superpotenzaenergetica, si sommano anche i capi-tali, la tecnologia e l’esperienza nor-vegese nello sviluppo dei giacimentiin alto mare e nel risparmio energeti-co, situazione da cui entrambi i Paesirisulterebbero vincitori.

CONCLUSIONI

Le sole borse delle materie primenon possono stabilire il destinodella Russia. Per il suo Presidenteè opportuno migliorare l’efficienzainterna al sistema mobilitando tut-te le sue risorse: storia, intelligen-za, freddo giudizio, forza, sensodella dignità e intraprendenza. Disicuro incombono problemi interni

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La Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca.

32

ed esterni e l’esito di una delle duedimensioni influenzerà diretta-mente l’altra: la stabilità internacontribuirà a rafforzare la credibi-lità internazionale e il successodelle politiche estere a sostenere leriforme interne. Di fronte alle am-biziose prospettive e alle numeroseemergenze da affrontare si perce-pisce la sensazione di una Russianon in bilico verso Oriente od Oc-cidente, ma addirittura su sé stes-sa, che innanzitutto deve investiresu energia, tecnologia nucleare, in-formatica, cibernetica, medicinasanitaria e farmacologica, e in stra-tegie globali di grande potenza.Quale Paese di confine, con evi-denti problemi demografici in ter-mini sia quantitativi che qualitati-vi, data l’eterogeneità delle razze

al suo interno, è accerchiata da nu-merose realtà e relative insidie, eognuna richiede che si adotti unaspecifica strategia.Ben 5 sono le strategie europee, pergli Stati suddivisi tra «cavalli di Tro-ia, partners strategici, amichevolmen-te pragmatici, freddamente pragma-tici e i nuovi combattenti della Guer-ra Fredda» e almeno 3 sono quelleasiatiche: scintoista confuciana (Ci-na, Giappone e India), centrale mu-

sulmana e il Medio Oriente divisotra Iran sciita, successore dell’Imperopersiano e il mondo arabo in largaparte sunnita (19). Recuperare lospazio ex-sovietico dell’Impero è,più che un obiettivo, una vera e pro-pria impresa ora non concepibile néremunerativa. Rimane, però, l’atteg-giamento pragmatico e incisivo diuna potenza che con tutte le sue for-ze prova a moltiplicare i fattori disuccesso, come l’accesso e la gestionedelle risorse energetiche del Caspio,Caucaso e anche del Polo Nord.Se Mosca un tempo guardava piùa Occidente e all’Europa che al-l’Asia, adesso non può che propen-dere per un’intesa culturale, reli-

giosa e politica con la prima edeconomica con la seconda a causadei mercati in rapida espansione, igrandi investimenti infrastrutturalie la dipendenza energetica. Dopola Guerra Fredda, però, non è nataquell’intesa da cui Russia ed Euro-pa avrebbero potuto trarre vantag-gi, perché sono state privilegiate lespecialità e diversità ed è emersala contestazione della pretesa occi-dentale all’universalità. Hanno,

tuttavia, bisogno una dell’altra esono destinate ad allearsi per rima-nere in corsa nelle grandi sfide. Laprima e decisiva è proprio quelladi un futuro comune. Se l’Aquilabicipite accetterà l’alterità di de-mocrazia (senza ulteriori aggettiviqualificativi caratterizzanti), liberomercato e Stato-Nazione, nongiungendo all’alternatività, potràcondividere lo stesso spazio geo-politico, con rapporti basati su re-gole comuni, condivise e traspa-renti. L’obiettivo comune, sebbenela cooperazione su certe questionicome il futuro della NATO e la cri-si georgiana richiedano tempo, èrappresentato dal mantenimentodella stabilità, della pace, della si-curezza contro proliferazione nu-cleare, radicalismo islamico, desta-bilizzazione dell’Afghanistan, del-l’Asia centrale e del Nordafrica.In conclusione, per rimarcarequanto la Russia sia ancor di piùuno Stato in bilico, anche su séstesso, alle prese con il conflitto in-teriore tra identità e relativa strate-gia, lo stesso Putin ha affermato:«O la Russia fa parte dei Paesi leadersdel mondo o scompare» (20).

Gennaro Di DomenicoMaggiore,

in servizio pressol’Organizzazione per la Sicurezza e la

Cooperazione in Europa (OSCE) in Vienna,quale Military Adviser

del Personal Representativeof the OSCE Chairman in Office

for Art. IV Annex 1BDayton Peace Agreement

NOTE

(1) L’Aquila bicipite rappresenta dopola caduta del comunismo il nuovo sim-bolo di Stato della Russia. Le due testesimboleggiano i due orizzonti verso iquali la Russia guarda, ossia l’Ovest el’Est; le tre corone, l’amicizia che uni-sce da secoli i popoli dell’Ucraina, Bie-lorussia e la Madre Russia; lo scettro,lo Stato sovrano; la palla indica la po-

Rivista Militare

Il fiume Don nella stagione invernale.

tenza e l’unità; San Giorgio nel centrorappresenta Mosca come il cuore dellaRussia; il colore argento è simbolo del-l’eternità.(2) Huntington classifica gli Stati in Statimembri, guida, isolati, divisi e in bilicocon effetto disgregante delle linee di fa-glia tra civiltà diverse al suo interno.(«Lo scontro delle civiltà», Garzanti, Mi-lano, 2006, pagg. 192-205).(3) Nicolazzi Massimo: Il sovrano e l’elet-to, «Limes», n. 6, 2010.(4) CEMISS: «Osservatorio Strategico»,Anno XII, n. 10, ottobre 2010, pag. 19.(5) Šišlo Boris: La Siberia di fronte all’in-vasione gialla, «Limes», n. 3, 2010.(6) CEMISS, «Osservatorio Strategico»,Anno XI - n. 11 dicembre 2009.(7) CEMISS: Progetto di ricerca 2006 -B4/Z, «La “Sicurezza Energetica” nellerelazioni tra Unione Europea (Italia) eFederazione Russa».(8) Mezzetti Fernando: Le relazioni traStati Uniti e Russia, «Affari Esteri», n.164, 2009, pagg. 768-774.(9) Malašenko Aleksej: Quanto è russal’Asia centrale?, «Limes», n. 3, 2010.(10) Furman Dmitrij: Elogio funebre di unImpero che non risorgerà e Ombre russe,«Limes», n. 2, 1996 e n. 3, 2010.(11) Medvedev Dimitri: Le aspirazioni e leattese della Russia, «Affari Esteri», n. 164,2009, pagg. 701-716.(12) Bhadrakumar Melkulangara: «LaRussia oscilla verso il Pakistan»,http://www.eurasia-rivista.org/7214/la-russia-oscilla-verso-il-pakistan.(13) Negri Alberto: Il nodo dei Balcaninella partita South Stream-Nabucco, «Li-mes», n. 6, 2010.(14) CEMISS: Ricerca R32 2009, «Crisigeorgiana e riflessi sui flussi energetici».(15) Krickus Richard J.: «Medvedev’splan: giving Russia a voice but not a vetoin a new European security system»,Strategic Studies Institute, dicembre 2009.(16) Roccucci Adriano: L’ortodossia ce-mento delle Russie, «Limes», n. 3, 2008.(17) De Bonis Mauro: Le mani sul Polo,«Limes», n. 3, 2010.(18) Bini Alessio: Artico: importanza dellerelazioni energetiche russo-norvegesi,http://www.eurasia-rivista.org/.(19) Roccucci Adriano: Stare al Confine,«Limes», n. 3, 2008; Karaganov Sergej:

La Russia sarà il terzo Occidente, «Limes»,n. 3, 2010.(20) Tret’jakov Vitalij: Progetto Russia:che cosa vogliono Putin e Medvedev, «Li-mes», n. 3, 2010.

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Testi

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Altre fonti

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Che esista una «via italiana» alleoperazioni militari è un fatto noto,così come altrettanto noti e ricono-sciuti a livello internazionale sono isuccessi che essa ci ha permesso diraggiungere (1) (anticipando prag-

maticamente ciò che poi altri Paesihanno tradotto o stanno traducendoin teoria e dottrina: basti pensarealla sfera del comprehensive holisticsystemic approach). Prendendo lemosse da questo assunto, scopo

dello scritto è proporre una chiavedi lettura inerente alla condotta deimilitari italiani, ovvero, più specifi-catamente, cercare di evidenziare leragioni che ne sottendono la pecu-liarità comportamentale.Sulle missioni italiane si è già scrittomolto, ma, forse, non sono stateapprofondite le ragioni che rendonol’operato dei soldati italiani unico almondo. Infatti, si è descritto moltodi come essi si comportino e cosafacciano, ma non perché agiscano inmodo peculiare. Il perché, al quale sitenterà di dare risposta, non è con-nesso con gli scopi che il nostroStato si prefigge in ambito interna-zionale (è di relativa importanza chesi stia trattando di War o MilitaryOperations Other Than War), è unperché più profondo legato al nostrocomportamento sociale, alla nostrastoria, alla nostra cultura e allanostra religione. Non ci si limiterà,di conseguenza, alla mistica specu-lazione di Angelo Silesio: «La rosa èsenza perché, fiorisce poiché fiorisce, disé non gliene cale, non chiede d’esservista» (2). Si proverà, in punta dipiedi, ad andare oltre.

LA «VIA ITALIANA»

«Oggi siamo considerati a tutti glieffetti un grande Paese, non piùcome eravamo visti prima: unPaese fragile e disorganizzato, cheaveva un Prodotto Interno Lordoelevato grazie all’operosità deisuoi abitanti» (3). Le parole appena

34 Rivista Militare

LA «VIA ITALIANA»RADICI DI UNA DIVERSITÀ

L’articolo propone una chiave di lettura della «via italiana» alle operazioni militari ricercando le radici che nesottendono la peculiarià (per cui: non cosa facciamo, ma perché lo facciamo). È un’analisi storico-religiosa, chetende a portare lustro al nostro operato, evidenziando le nostre origini e la nostra «originalità» della quale dob-biamo essere fieri in quanto «unica» e che va trattata alla stregua di un moltiplicatore di forza: in sintesi unasorta di benefit congenito del nostro essere italiani.

citate sono di Massimo D’Alema -già Presidente del Consiglio deiMinistri, che riconosce i meriti delcambiamento italiano anche allemissioni di pace condotte dainostri militari. Gli impegni interna-zionali ai quali abbiamo partecipa-to, unitamente alla professionaliz-zazione dell’Esercito, ci hannofatto riacquistare quella stima equel rispetto sociale che eranopatrimonio nazionale fino ai fune-sti eventi della Seconda guerramondiale. È pertanto evidentecome le questioni militari nonabbiano trovato larga eco da noinell’immediato dopoguerra. Diconseguenza, il rinnovato interessee l’ampio appoggio odierno per il

mondo in uniforme sono una verae propria panacea: i nostri soldatisanno di avere il proprio Paese allespalle che li sostiene.Le recenti missioni hanno ancorauna volta evidenziato una tipicitàtutta italiana. Essa era emersaanche nel corso delle campagnemilitari della Seconda guerra mon-diale allorquando il GeneraleRobotti sosteneva che: «Si ammazza

troppo poco» (4) a cui faceva eco ilGenerale Roatta: «Non dente perdente, ma testa per dente» (5).Anziché accomunarci ad altre con-dotte, come sembrerebbe a unaprima e immediata lettura, ce nediscostano. Infatti, proprio l’invi-to-ordine ad «ammazzare di più»sottintende che i nostri militarifacevano il loro dovere entrodeterminati limiti e che quantoordinato dal Generale Robotti odal Generale Roatta era evidente-mente in contrasto con la coscienzapropria delle truppe (perché ordi-nare, altrimenti, siffatte condottese fossero state naturali?). Non vadimenticato, inoltre, che: «Anche ipiù duri ordini dei Comandi pone-vano limitazioni alle rappresaglie,come il rispetto per donne e bam-bini» (6).Italiani brava gente? Sarà pure unluogo comune, un vecchio cliché eprobabilmente alcuni storici nonconcorderanno (7) , ma è plausibilesostenere che i militari italiani sicomportino con grande rispetto,unico nei confronti delle popola-zioni ove vengono inviati. Laprima e più semplice ragione risie-de nel fatto che per poter rispettaregli altri bisogna anzitutto saperrispettare se stessi, oltreché le rego-le e il Diritto in genere. Il rispetto

nel mondo in grigio-verde è, in pri-mis, «disciplina» e i nostri militarisono disciplinati. Prova ne è chenon abbiamo alcun bisogno di isti-tuire figure ad hoc responsabili,principalmente, della cura delladisciplina. Questa caratteristica, diper sé, rappresenta già la base peroperare correttamente e pocoimporta se si è impegnati in unaoperazione Art.5 o Non Art.5.È importante, a questo punto, ini-ziare a delineare le ragioni che sot-tendono questa unicità. Una primae attagliata risposta può trovareriscontro in un dibattito nel corsodella presentazione del libro«Soldati» (8), del Generale FabioMini. I militari italiani sono tra imigliori al mondo per il semplicemotivo che sono uomini e donne di«cultura». Poiché il livello culturale(inteso anche quale riconoscimentoscolastico) degli operatori delleForze Armate italiane è tra i piùelevati al mondo.Di per sé, quindi, la cultura aiuta acapire gli altri e indirizza il nostrocomportamento sia negli atteggia-menti di fermezza sia negli atteggia-menti di comprensione. Il che nonsignifica essere remissivi o ancor peg-gio non saper combattere. La nostracultura è insegnata nelle famiglie enelle scuole, certo, ma soprattutto è

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Angelo Silesio.

acquisita vivendo in Italia, in virtù delsuo immenso patrimonio storico-arti-stico. È proprio la cultura che ci facomprendere come sia impossibilecredere che stiamo vivendo nel famo-so periodo dello «Scontro delle civil-tà» di S. Huntington (9). Basti pensa-re alla missione in Kosovo, dovesiamo intervenuti per aiutare unaminoranza musulmana dalle violen-ze serbe e dove ci siamo distinti, dal1999 in poi, per imparzialità promuo-vendo in ogni occasione il dialogo eoperando nella difesa dei più deboli.La conquista dei cuori e delle menti(il motto delle operazioni psicologi-che statunitensi è «capture their minds,and their hearts and souls will follow»)(10), quale integrazione della «forzabruta», non abbisogna di particolaricorsi o addestramento per noi, la con-sideriamo spontanea, i nostri soldatil’hanno sempre applicata, magarineppure sapendolo, con la normalecondotta proprio perché essa fa giàparte del nostro patrimonio.

LE RADICI DELLA «VIA ITALIANA»

Questa via, se così possiamo definir-la, affonda le sue radici in una tipici-tà maturata nel corso della storia del

nostro Paese, in particolar modonella romanità, la prima radice, enella religione Cristiana, la seconda.La grande forza del mondo romanorisiedeva anzitutto in una sorta dicapacità di autocritica: «Quando iRomani vennero per la prima volta incontatto con i Greci, si accorsero d’esse-re, in paragone, barbari e rozzi. I Grecierano troppo superiori sotto molti puntidi vista.... In una parola, Roma fu cultu-ralmente parassitaria rispetto allaGrecia» (11).

Con queste parole il filosofo B.Russel ci spiega come la grandezzadi Roma fu dovuta alla capacità diacquisire dagli altri, ritenuti «supe-riori», quanto di utile ci fosse, il cheimplica una notevole dose di rispet-to. Rispetto che va unito a quello cheè universalmente riconosciuto comeuno dei più grandi contributi lasciatidai Romani: il Diritto. Il rispetto e ilDiritto, che uniti sono il «rispetto delDiritto», rappresentano una compo-nente fondamentale anche dei mili-tari italiani di oggi. Questo, sia per-

ché abitiamo le terre dei nostri avi,elemento geografico da non sottova-lutare mai (12), sia perché il modelloromano, riconosciuta la sua inferiori-tà, ci ha gradatamente trasformato,quale elemento culturale, permetten-doci di interiorizzare e far nostra lacultura degli antichi in virtù dellapropria condizione di «quasi» parve-nu rispetto ai Greci. Le strabiliantivittorie militari e la conquista di unvasto impero non furono rese possi-bili solo da un apparato bellico effi-

36 Rivista Militare

A sinistra.Un particolare della Colonna Traiana.

Sotto.La Concordia (Altare della Patria).

ciente (hard power), anche se le armiromane erano spesso inferiori a quel-le usate dai nemici (13), ma soprat-tutto dalla capacità di trasformarecon la concordia (eletta a divinità, insintesi: spirito dell’armonia e unitàdei cuori) diversi popoli in cittadinidi un’unica Patria, in virtù delDiritto romano (soft power). Citandoun famoso brano di Sallustio: «Itabrevi multitudo diversa atque vaga con-cordia civitas facta erat» (14), Romaintegrava la diversità e faceva del-l’estraneo, del «barbaro», del nemicoaffrontato sui campi di battaglia, uncittadino della urbs aeterna! Quelpatrimonio non era solo di Romaantica, è giunto fino ai giorni nostri:tra le più belle statue presentisull’Altare della Patria spicca quelladedicata proprio alla Concordia. Laconcordia, l’humanitas e la pietassono state le colonne portanti dellaromanità che hanno contribuito aformarci di pari passo con la secon-da radice: il Cristianesimo.Secondo Marta Sordi, compiantastorica docente di romanità, tra leradici romane e quelle cristiane«non c’è contraddizione: c’è innesto(...) Roma è già cattolica prima didiventare cristiana (...) cattolico vuoldire universale, e l’antica Roma fu pro-prio questo, l’integrazione di ognipopolo entro il diritto universale» (15).Peraltro, un elemento caratterizzan-te il Cristianesimo è il rispetto per lealtre culture e religioni derivantedalle traduzioni dei testi antichi edall’amore per la conoscenza delpassato. I cristiani, basti pensareall’ininterrotta opera dei monaci,hanno tradotto molto, ma hannomantenuto i testi originali per lefuture generazioni, dal momento cheun testo «classico» sarà sempre unaguida. Ciò perché un testo non tra-dotto, quindi, non «mediato», garan-tisce la possibilità di «un rinascimen-to, che è appunto il ritorno periodicodell’Occidente alle sue radici» (16).Si è fatto riferimento a questi aspetticulturali perché, uniti al messaggioproprio del Cristo (un rivoluzionariomessaggio di amore, fiducia e tolle-

ranza) ci hanno permesso, nel corsodei secoli, di acquisire una sensibili-tà, nei confronti del prossimo e dellasua cultura, del tutto unica. I nostrisoldati assolvono i delicati compitidelle missioni internazionali straor-dinariamente bene anche in virtù ditale «vantaggio» (senza nulla toglie-re all’addestramento, alla prepara-zione fisica e alla formazione tecni-co-specialistica).Anche il Maresciallo d’Italia Gio-vanni Messe, sostenne: «Noi siamogenerosi, noi poi in fondo non sappiamoodiare. La nostra anima è fatta così, per-

ciò io ho sempre sostenuto che noi nonsiamo un popolo guerriero, un popologuerriero odia» (17). Al contrario, proprio il profondorispetto del Diritto e la centralitàposta agli aspetti umani, in qualsivo-glia tipo di operazione o situazione,ci consentono di assolvere al megliola missione assegnataci.

CONCLUSIONI

Tirando le somme di questa breveanalisi, i nostri militari hanno pecu-liarità che li rendono particolar-

mente idonei a svolgere le missioniinternazionali. La questione è che lecaratteristiche che facilitano ilnostro operato, permettendoci adesempio un dialogo privilegiatocon gli autoctoni, sono il frutto,come spiegato, di secoli di adatta-menti che non si apprendono concorsi cultural awareness e, di fatto,non possono essere interiorizzati intempi brevi.Il nostro ruolo di «soldati» è semprepiù proiettato in missioni all’estero,quali veri e propri ambasciatori emediatori che ricorrono alle armi solo

quando necessario, come eccezione enon regola e che svolgono il propriodovere anzitutto cercando di capiregli altri tendendo la mano per primi.D’altronde cosa è l’Italia se non unponte naturale tra il Nord e il Sud, masoprattutto tra l’Est e l’Ovest?Per noi Italiani la comprensione vienenaturale.È nei contesti difficili, dove bisognainterpretare la situazione sociale, ilcomportamento delle popolazioni,che la nostra diversità, che rappre-senta una sorta di benefit o di credi-to, andrebbe sempre sfruttata appie-no. Difatti, essa non va mortificata in

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nome di un appiattimento compor-tamentale su parametri che nonappartengono né alla nostra storiané alla nostra cultura né alla nostrareligione.Il nostro essere diversi, in conclusio-ne, va considerato un moltiplicatoredi potenza anziché una debolezza eva assecondato anziché combattuto.Questa tipicità dovrà continuare afarci ritenere fieri delle nostre origi-ni, della nostra cultura, della nostracondotta, insomma: fieri di essereItaliani.

Giuseppe Cacciaguerra Tenente Colonnello,

Tutor pressol’Istituto Superiore

di Stato Maggiore Interforze

NOTE

(1) Un contributo per tutti: «Obama loda inostri soldati...», in: http://www.corrie-re.com/viewstory.phpstoryid= 93418.(2) A. Silesio, «Il Pellegrino Cherubico»,Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1999,p. 289.(3) M. D’Alema, «Kosovo», Mondadori,Milano, 1999, p. 53.(4) Cit. in: G. Oliva, «Si ammazza troppo

poco», Mondadori, Milano, 2006, p. 119.(Per raffrontarsi a chi ha fatto della vio-lenza indiscriminata la regola, fra i moltipubblicati cfr.: R. Rhodes, «Gli Speciali-sti della Morte», Mondadori, Milano,2005 e D. J. Goldhagen, «I VolenterosiCarnefici di Hitler», Mondadori, Milano,1997).(5) Cit. in Ibid.(6) G. Rochat, «Le guerre Italiane 1935-1943. Dall’impero d’Etiopia alla disfatta»,Einaudi, Torino, 2005, p. 370.(7) Cfr. A. Del Boca, «Italiani bravagente?», Neri Pozza, Vicenza, 2005. (8) Cfr. F. Mini, «Soldati», Einaudi, Torino,2008. Presentazione del libro a Gorizia il 2ottobre 2008.(9) Cfr. S. Huntington, «Lo scontro delleciviltà e il nuovo ordine mondiale»,Garzanti, Milano, 2000.(10) Cit. in: http://www.psywarrior.com.(11) B. Russel, «Storia della FilosofiaOccidentale», TEA, Forlì, 2002, p. 279.(12) Cfr. E. Galli della Loggia,«L’Identità italiana», il Mulino, Bologna,2010 e F. Braudel, «Il Mediterraneo»,Bompiani, Milano, 2008.(13) Cfr. E. Luttwak, «La grande Strategiadell’Impero Romano», BUR, Roma, 2009 eY. Le Bohec, «L’Esercito romano»,Carocci, Urbino, 2006.(14) Sallustio, «La Congiura di Catilina»,a cura di L. Storoni Mazzolani, BUR,

Roma, 2009, p. 84. «E così in breve da unamoltitudine disparata ed errante l’unità deicuori fece sorgere una Nazione».(15) M. Sordi, Roma per l’Europa, intervi-sta a cura di M. Blondet, «Avvenire», 30ottobre 2004.(16) M. Sordi, «Roma per l’Europa», op.cit..(17) Cit. in: A. Osti Guerrazzi, «Noi non sap-piamo odiare», Utet, Torino 2010, p. 232.

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38 Rivista Militare

39n. 3 - 2012

LA CRESCITA DEL BUDGETDI SICUREZZA INTERNA CINESE

A cura del Ce.S.I. - Centro Studi InternazionaliAll’apertura dei lavori dell’Assemblea Nazionale del Popolo cinese, lo scorso 5 marzo, il Primo Ministro Wen Jiabao haannunciato che il budget della difesa per il 2012 vedrà una crescita rispetto al 2011 dell’11,2%. La spesa complessiva sarebbequindi di 80 miliardi di euro (670 miliardi di yuan), ma nella lettura del dato occorre considerare due cose: innanzitutto la pre-senza nel budget delle competenze relative agli almeno 700 mila effettivi della Polizia Armata del Popolo (PAP), milizie arma-te che però svolgono ruolo di polizia e, poi, la tradizionale poca trasparenza nei dati di interesse pubblico da parte del gover-no cinese che opacizzano il significato e l’ammontare delle cifre. Oltre alla segretezza delle informazioni considerate sensibi-li, il calcolo del budget totale non considera alcune importanti voci, come ad esempio il procurement da fornitori esteri e i pro-grammi spaziali. Comunque, l’aumento in questione - oltre a essere fisiologico per uno Stato con diverse rivendicazioni ter-ritoriali - è dettato prevalentemente dall’aumento delle competenze al personale militare dell’Esercito di Liberazione delPopolo (circa 2 milioni di effettivi e 5 milioni di riservisti). Tale costo è stimato, secondo alcune fonti, a circa il 55% della spesatotale e gli stipendi sarebbero cresciuti secondo un tasso in linea con quelli degli altri lavoratori in tutte le regioni cinesi (conaumenti che arrivano sino al 35% della regione dell’Henan). Questo budget, il secondo al mondo, potrebbe raddoppiare entroil 2015 e potrebbe superare la spesa militare aggregata dei Paesi dell’area asiatica.Nonostante l’imponenza di queste cifre, il budget della difesa sarebbe inferiore a quello per la sicurezza interna. Quest’ultimo,che secondo le stime degli osservatori occidentali per l’anno 2012 sarebbe di circa 86 miliardi di euro (sebbene si tratti di uncalcolo suscettibile di errori), secondo le stesse stime crescerà fino a circa 180 miliardi nel 2015.La spesa complessiva di sicurezza interna, che nella documentazione rilasciata dal governo non è stata esplicata con precisio-ne nelle sue componenti, consta delle competenze di quattro Ministeri. Oltre ai costi del Ministero per la Pubblica Sicurezzae del Ministero della Giustizia (che sommano 22 miliardi di euro circa), bisogna considerare anche quelli di competenza delMinistero della Difesa (per gestire la già citata PAP) e le spese di intelligence, gestite dal Ministero per la Sicurezza di Stato.Di questo Ministero però non si hanno grosse informazioni (è uno dei pochi Ministeri a non avere nemmeno un sito inter-net), la qual cosa rende difficoltoso non solo ricavare una spesa complessiva, ma anche discernere tra spese di intelligenceinterna ed esterna. Considerata la spesa per il PAP una spesa di sicurezza interna e non di competenza della Difesa, si può sti-mare che la Cina spende per il mantenimento dell’ordine pubblico una volta e mezzo quello che spende per le Forze Armate.Questo perché la sicurezza interna in Cina è minata da tutta una serie di problemi, quali le istanze autonomistiche e secessio-niste delle aree di confine, la diseguaglianza economica e lo sfruttamento delle aree rurali a vantaggio di quelle urbane. Il mal-contento popolare scaturito da quest’insieme di concause ha portato a un’intensificazione dei cosiddetti «incidenti di massa»,rivolte popolari che spesso vengono represse con la forza. Si calcola che queste siano passate da 8 709 nel 1993 (fonte:Accademia delle Scienze Sociali Cinesi) a 127 mila nel 2006, anno in cui il governo cinese ha smesso di comunicarne la quan-tità. Oggi sono stimate per un numero vicino a 180 mila. Per quanto riguarda il primo dei problemi citati, due dei maggioriepicentri delle rivolte sono il Tibet e lo Xinjiang.In Tibet - regione autonoma sotto l’occupazione cinese dal 1949 - dopo gli episodi del 2008, sfociati nell’invio di carri armatinel capoluogo Lhasa, si assiste a un crescente numero di vocazioni nei monasteri e a diversi casi di auto-immolazione. La poli-zia, per impedire che casi isolati possano sfociare nuovamente in proteste di massa, è costretta a mantenere una presenza mas-siccia. Le istanze dei tibetani riguardano la libertà religiosa e il ritorno dall’esilio del Dalai Lama, argomenti invisi alle auto-rità di Pechino, poiché contrari alla loro dottrina di ateismo di Stato come garanzia di unicità di legittimazione.Nello Xinjiang, invece, Pechino deve cercare di contenere l’indipendentismo degli uiguri, un insieme di popolazioni di ceppoturco e turco-mongolo, di religione musulmana, al cui interno vi sono gruppi militanti legati alla galassia di al-Qaeda (comeil Movimento Islamico del Turkestan Orientale e l’Organizzazione di Liberazione del Turkestan Orientale). C’è da sottolinea-re che gli uiguri, non facendo parte della macro-etnia sino-tibetana, hanno sempre avuto una storia di irredentismo e di pocaintegrazione con lo Stato cinese (che li ha sottomessi nel XVIII secolo) e ambiscono, da prima della diffusione del qaedismo,alla creazione della cosiddetta Repubblica del Turkestan Orientale. Sentimenti nazionalistici che si sono estremizzati a causadelle politiche di colonizzazione han (l’etnia dominante nello Stato cinese) da parte del governo di Pechino, interessato a con-trollare l’area in quanto ricca di petrolio e gas.Al di fuori delle questioni riguardanti popolazioni non-han e il Partito Comunista Cinese (PCC), le altre cause citate sono tra-sversali ai vari ceppi di popolazione e sono riconducibili alla conflittualità latente tra campagna e città e a una crescita econo-mica (+7,5% nel 2012) che coinvolge prevalentemente gli ambienti vicini al PCC. Infatti, la vivace crescita dei principali cen-tri urbani e lo sviluppo della classe media cittadina pesa sulle popolazioni delle aree rurali che subiscono l’inquinamento deifiumi e dell’aria, la corruzione dei governatori locali inviati da Pechino, le espropriazioni forzate e - più di ogni altra cosa -l’inflazione sui beni di prima necessità (la stima è + 10,5% nel 2011).L’incidente di massa recente più importante è quello cominciato a settembre nel villaggio di Wukan, nel Guangdong, regionebagnata dal Mar Cinese Meridionale, culminato in dicembre con la deposizione del governatore locale, in quanto accusato diespropriare forzatamente e illegalmente appezzamenti di terra, e conclusosi con l’elezione di un nuovo Comitato di villaggio conal vertice il leader della rivolta. Il governatore del Guangdong, Wang Yan, che in questo caso non ha optato per la repressione, haritenuto che il metodo conciliatorio potesse evitare un meccanismo di «contagio» in zone contigue al villaggio. L’evento però nonva sopravvalutato: la decisione di Wang difficilmente creerà un precedente e, infatti, a oggi non sono registrate soluzioni simili inaltri luoghi. La Cina dunque si prepara ad affrontare i prossimi anni aumentando le spese di sicurezza interna dal momentoche - al netto dei problemi endogeni - gli effetti nocivi della crisi del sistema globale stanno cominciando a preoccupare. Aparte la già citata inflazione dei beni di primo consumo, che abbassano drasticamente la qualità della vita nelle aree più pove-re del Paese, si potrebbe intensificare la contrazione degli investimenti provenienti dall’estero. Infatti, la crescita esponenzia-le dei salari industriali, che ha reso meno conveniente la delocalizzazione in Cina, potrebbe portare, nel medio periodo, a unastagnazione industriale che renderebbe possibile un’agitazione contemporanea in aree urbane e rurali.

di Mara Carroe Antonio Mastino

L'introduzione in servizio di talimezzi è stata dettata dalla necessitàdi condurre una particolare e fon-damentale attività del genio per ilTeatro afghano, la «route clearance»(RC) (1), in aree/itinerari dove il ri-schio della presenza di IEDs è ele-vato e dove si vuole ottenere unbuon livello di garanzia del risulta-to (clearance/bonifica) con un accet-tabile livello di Force Protection (FP)per il personale operante.In particolare, l'assetto del geniocomponente lo «RC Package» (RCP) è

costituito, fondamentalmente, dalpersonale del plotone Advanced Com-bat Reconnaissance Team - ACRT (gua-statori appositamente qualificatiACRT), integrato permanentementeda una o più squadre di guastatori(qualificati minex) e da un Sottufficia-le Infermiere professionale. Ulteriorisupporti specialistici del genio qualigli operatori Explosive Ordnance Di-sposal (EOD), Improvised Explosive De-

vice Disposal (IEDD), Weapon Intelli-gence (WI) e gli assetti cinofili (Explo-sive Detection Dog - EDD e i Mine De-tection Dog - MDD) completano lospettro delle capacità necessarie aiguastatori per fronteggiare la minac-cia IED.L'assetto RC muove normalmentesu mezzi del tipo VTLM «Lince» eMRAP («Buffalo», «Cougar» e«MaxxPro»).Alcuni dei veicoli MRAP recente-mente acquisiti possono altresì esse-re impiegati anche nel contesto del-le attività di ENG RECCE (2), inambienti dove sussiste un’elevataminaccia IED.

L'EVOLUZIONE DEI MRAP

Nel corso delle operazioni condottedalle Forze Armate statunitensi inIraq e Afghanistan (Operation IraqiFreedom - OIF e Operation EnduringFreedom - OEF), allo scopo di miti-gare la minaccia costituita dagliIED, la difesa USA ha approvato unprogetto finalizzato a incrementarela protezione del personale sul ter-reno introducendo una particolaretipologia di veicoli, i Mine ResistantAmbush Protected (MRAP).Questi sono stati progettati nel 2004e l'anno successivo i Marines statu-nitensi hanno introdotto in Iraq iprimi 21 6x6 «Cougar». Nello stessoperiodo, la «Force Protection Indu-stry» ha sviluppato il progetto del«Buffalo», impiegato successiva-mente sempre nello stesso Teatro.In realtà, negli anni '70 il Council forScientific and Industrial Research(CSIR) del South Africa aveva giàrealizzato un primo mezzo in gradodi sopportare violente esplosioni sot-to scocca. Il veicolo, «Casspir», erastato progettato per garantire un'ele-vata protezione dagli scoppi da minaa equipaggi (max 12 persone) dellapolizia di confine frequentementecoinvolti dalle detonazioni. Tale pro-gettazione prevedeva lo sviluppo diuna scocca con un forte profilo a «V»e molto alta rispetto al livello del suo-

40 Rivista Militare

MRAP VEHICLEMINE RESISTANT AMBUSH PROTECTED

VEHICLE

La costante minaccia di trappole esplosive (Improvised Explosive Devices- IEDs), mine e quant’altro la fertile inventiva degli insurgents ha prodot-to in tutti i Teatri Operativi, ha costretto gli Eserciti occidentali ad acqui-sire rapidamente dei veicoli la cui protezione garantisca gli equipaggi daqueste insidiosissime minacce.L’Esercito Italiano, già a partire dal 2008, ha introdotto nel Teatro afgha-no alcuni mezzi speciali del genio per fronteggiare la minaccia costituitada questi ordigni. In particolare, ha acquisito inizialmente due tipologiedi veicoli statunitensi: il «Mine Resistant Ambush Protected» (MRAP)6x6 «Cougar» e il «Mine Protected Clearance Vehicle» (MPCV) «Buffalo6x6 MK2» e, nel corso del 2011, ha acquisito in forma temporanea un ul-teriore veicolo MRAP, denominato «MaxxPro».

Il veicolo sudafricano «Casspir».

lo di calpestio. Siffatta soluzione ga-rantiva la sopravvivenza dell'equi-paggio trasportato fino a esplosionipari a 21 kg di tritolo (TNT) sottoruota e 14 kg sotto scocca.Sono stati questi mezzi a ispirare la«Force Protection Industry» a pro-durre i primi MRAP per i Marines.Quelli attuali sono realizzati su piat-taforma e ricambistica in parte condi-visa (3), in grado di assolvere a sva-riate missioni, garantendo la «mitiga-zione» dei rischi connessi con:• gli IEDs;• le esplosioni di mine sotto-

scafo/ruota;• gli scontri a fuoco (con armi di

piccolo calibro).Sono pertanto capaci d'incremen-tare il livello di FP del personalestesso.Tale capacità è stata ottenuta realiz-zando veicoli blindati con strutturaprotettiva avvolgente («cocoon»), uti-lizzando una conformazione partico-lare dello scafo («V-shaped hull») (4) eaumentando la distanza della scoccadel mezzo dal profilo orizzontalemedio del terreno.I MRAP, benché rappresentino unavalida generazione di veicoli specifi-catamente designati per mitigare i ri-schi sopra detti, necessitano di conti-nue trasformazioni tecniche/struttu-rali per meglio rispondere a quella

minaccia IED che si evolve in manie-ra repentina nei Teatri (aumento deiquantitativi di esplosivi impiegatidalle forze opposte, implementazio-ne di nuove Tactics Techniques andProcedures - TTPs avversarie, ecc.).L'industria statunitense garantisceuna serie relativamente numerosa diveicoli MRAP (5), ciascuno con carat-teristiche specificatamente dedicate. Al riguardo, considerando che laproduzione dei citati veicoli è per-

manentemente in evoluzione, appa-re opportuno cercare di effettuareuna «contestualizzazione» tempora-le di questi mezzi, allo scopo di ag-giornare il lettore sulla materia.

LE CLASSIFICAZIONI

1a Classificazione (2009)

Una prima suddivisione dei MRAPè riconducibile a 3 categorie allequali si doveva aggiungere la cate-goria (in studio) degli All TerrainLight Combat Vehicle (MATLCV) ingrado di coniugare alle caratteristi-che dei MRAP quella di muoverepiù rapidamente sul terreno essen-do, fondamentalmente, più piccoli eleggeri. Ciascuna di esse individuala/le «missioni» per le quali il vei-colo è stato designato a operare. Perciascuna categoria sono stati intro-dotti due differenti modelli che sidifferenziano, generalmente, perpiccoli accorgimenti (elettronica,struttura delle sospensioni, ecc..).Categoria I («Force Protection In-dustries» - FPI). Il veicolo è statoconcepito per condurre le operazio-ni di combattimento urbano.L'equipaggio si identifica con pic-cole unità incaricate di condurre: ilcombattimento nei centri abitati olungo le aree di confine; pattugliemotorizzate; ricognizioni; Coman-do e Controllo; attività in prossimi-

41n. 3 - 2012

Il veicolo 4x4 «Cougar».

Il veicolo 4x4 «MaxxPro».

tà di contesti abitati e/o in vicinan-za della popolazione civile. Può an-che essere impiegato in funzioneEOD. Uno dei mezzi più rappre-sentativi è costituito dal «ForceProtection Industries» («Force Dy-namics») Category 1 4x4 «Cougar»(Base Model A1 or A2).Categoria I (International MilitaryGroup - IMG. «Navistar Defense»).Sempre appartenente alla medesimacategoria, l'International MilitaryGroup («Navistar Defense») ha rea-lizzato il Category 1 4x4 «MaxxPro»assegnandogli la funzione principa-le di mezzo per il Tactical Air ControlPost - TACP. Tale veicolo può anche

essere usato sia per il trasporto diassetti (3/5 pax) che devono muove-re in ambienti inquinati dalla pre-senza di ordigni esplosivi improvvi-sati sia come «ambulanza» (qualoraappositamente equipaggiato).Categoria II. Si tratta di un veicolorealizzato per condurre un ampiospettro di missioni.È particolarmente idoneo per: con-durre operazioni di supporto logi-stico (inteso quale ground convoy) inquanto esprime una notevole capa-cità di protezione del personaleviaggiante con il convoglio; combatengineer; attività sanitaria (opportu-namente predisposto); trasportotruppa e materiali.Uno dei mezzi più rappresentativi è

costituito dal «Force Protection In-dustries» Category 2 6x6 «Cougar»(Base Model A1 or A2). Il mezzo èparticolarmente indicato per svolge-re funzioni EOD (6).Alla famiglia dei MRAP sopra indi-cati, si affianca quella del Mine Pro-tected Clearance Vehicle (MPCV).Questi veicoli, studiati apposita-mente per i guastatori, permettonodi condurre le specifiche attività delgenio impiegato in assetti RC qualil'individuazione, il disarmo e/o ladistruzione degli IEDs, delle mine edei dispositivi esplosivi.

Classificazione attuale

A seguito delle risultanze emerse

dall'impiego dei sopra citati veicoli,il Dipartimento della Difesa statuni-tense ha autorizzato l'ampliamentodella gamma dei MRAP. Ciò haconsentito l'immissione nel Teatroafghano di mezzi differenti per iquali la precedente classificazionenon appare più confacente.Al riguardo, l'attuale «contestualiz-zazione» dei veicoli prende in esa-me sia la destinazione d'uso deglistessi - rivolta essenzialmente a unimpiego in ambienti inquinati daIED - sia il numerico del personaletrasportabile (crew).Questa nuova classificazione preve-de fondamentalmente 4 categorie diveicoli alle quali si affiancano mezziappositamente progettati per gli as-setti del genio e mezzi per il recupe-ro dei pesantissimi MRAP.Veicoli fuori strada (MRAP All-Terrain Vehicle - M-ATV). È la piùpiccola (7) tipologia di mezzo dellafamiglia dei MRAP. Sono idonei altrasporto di 5 soldati, incluso il mi-tragliere. Gli ATV combinanoun'elevata mobilità, anche fuoristrada (8), con un buon livello diprotezione per l'equipaggio.Il compito primario dei M-ATV è

42 Rivista Militare

Sopra.Il veicolo «M-ATV».

A sinistra.Il veicolo 6x6 «Cougar».

quello, appunto, di fornire una buo-na mobilità fuori strada (grazie alsistema di sospensioni indipenden-ti) associata a un buon grado di pro-tezione dell'equipaggio rendendo

quest'ultimo in grado di operare inscenari caratterizzati da minaccequali quelle rappresentate dalle im-boscate e dagli IEDs e in ambientirurali, di montagna e urbani. Lemissioni affidabili a tali mezzi sono:il pattugliamento, le ricognizioni ele scorte ai convogli.La «Oshkosh Defense» ha prodotto

il M-ATV attualmente in uso alleforze USA in Afghanistan. Questa,utilizzando la medesima piattafor-ma MRAP, è in grado di allestiredifferenti configurazioni di veicoloin funzione della specifica missioneda compiere.Categoria I. A questa appartengonoi MRAP che sono in grado di tra-

sportare al massimo 7 persone diequipaggio incluso il conduttore e ilmitragliere.Appartengono alla categoria i 4x4«Cougar» e i «MaxxPro» (9).I MRAP assolvono missioni di rico-gnizione e permettono all'equipag-gio di condurre operazioni in terre-ni urbani e terreni fortemente com-partimentati.Categoria II. I MRAP appartenential tale categoria sono veicoli proget-

tati per trasportare al massimo 11occupanti compreso il Comandantedell'assetto e il mitragliere. Sonomezzi «multimissione» in gradocioè di essere impiegati per il sem-plice trasporto truppa, come veico-lo di testa di convogli, ambulanza(opportunamente preparato) o mez-zo per la Quick Reaction Force (QRF)inteso quale veicolo idoneo al tra-sporto in sicurezza del citato assetto

in grado di muovere rapidamentesu molte tipologie di itinerari.I guastatori impiegano alcuni diquesti mezzi nella composizionedell'assetto Route Clearance (RC) peroperare in aree a elevata presenzadi ordigni esplosivi improvvisati(«MaxxPro» e 6x6 «Cougar»).Inoltre, per assolvere a tale funzione,alcuni MRAP della categoria ATV, Ie II possono essere allestiti con parti-colari attrezzature per la lotta all'IED,i minerollers. Nel Teatro afghano sonopresenti minerollers del tipo «SPARK

II» (10) e «SPARK+».Categoria III. Il «Buffalo» è il veico-lo per eccellenza di questa catego-ria. È stato ideato esclusivamenteper poter operare in ambienti doveè certa la presenza di IED ed è equi-paggiato con attrezzature in gradodi effettuare le attività di «interroga-tion» e «confirm» di un ordignoesplosivo improvvisato (o ritenutotale). Tale attività è condotta per il

tramite dell'utilizzo di un «bracciomeccanico» (FASSI) comandato dal-l'interno del veicolo.L'equipaggio non supera le 6 unità.Il mezzo è permanentemente pre-sente in tutti gli assetti guastatori

dediti alla Route Clearance.In alcune circostanze, dove il terrenonon consente di poter impiegare il«Buffalo», è possibile dotare di unanalogo «braccio meccanico» (FER-RET) un mezzo della categoria I (ge-neralmente «RG31»). Tale opzionenon è possibile nell'ambito della com-posizione dell'assetto RC nazionale.Veicoli ad uso esclusivo del perso-

43n. 3 - 2012

Il veicolo «RG 33».

Il veicolo «RG 31».

Il veicolo «Caiman».

Il veicolo «RG 33L».

Il veicolo «BAE RG 33L PLUS».

Il veicolo«RG 33 PLUS».

nale del genio (Stati Uniti). Oltre al«Buffalo» sopra descritto, gli assettidel genio impiegati per l'attività diRoute/Area Clearance impieganomezzi appositamente progettati, fi-nalizzati anche a permettere il tra-sporto delle attrezzature particolari

necessarie per fronteggiare la mi-naccia IED (Robot, sistemi che per-mettono di radiografare il possibileordigno, ecc.).Veicoli per il recupero. I MRAP so-no mezzi il cui peso varia da un mi-nimo di 13 a un massimo di 35 t.(«Buffalo» a pieno carico completa-mente equipaggiato anche con gab-

bie anti razzo).Pertanto, in caso di avaria/inciden-te è necessario disporre di idoneimezzi di recupero in grado di muo-versi su terreni anche particolar-mente accidentati.Generalmente, ciascun veicolo è do-tato di apposite barre di traino chepermettono il mutuo soccorso tra

mezzi paritetici (intesi quali mezzidello stesso peso).In alternativa, è frequente il ricorsoa mezzi dedicati alla citata attivitàdi recupero e sgombero che devonoessere particolarmente adatti a lavo-rare in condizioni estreme in termi-ni, principalmente, di protezionedalla minaccia esplosiva. Alcuni diquesti mezzi sono stati addiritturarealizzati dall'Industria con struttu-re paritetiche a quelle dei MRAP.

I mezzi impiegati nel Teatro afgha-no sono generalmente di due tipolo-gie, mezzi per il traino e mezzi peril trasporto. Di seguito si elencanoalcune tipologie di essi:• lo Mk 36 Medium Tactical Vehicle

Replacement (MTVR) «Wrecker» èun mezzo che permette di solleva-re e sgomberare un mezzo in ava-ria a traino. Non è un vero e pro-prio MRAP e pertanto non è ido-neo a operare in ambienti forte-mente inquinati da IED;

• recentemente, la «Navistar Defen-se» ha introdotto, nel Teatro af-ghano, una versione MRAP dimezzo idoneo al traino, il MRAPV-HULL «Wrecker» (CC-0418).Tale mezzo è in grado di sollevaree trainare mezzi appartenenti finoalla Categoria II (in pratica fino acirca 23 t);

• sempre caratterizzati dalla possi-bilità di trainare mezzi in avaria,la «Oshkosh Defense» ha fornito il

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Sopra.SPARK II su ATV.

A destra.SPARK + su MaxxPro.

Sotto.Il veicolo 4x4 «Cougar» HEV.

Dipartimento della Difesa statuni-tense di un particolare veicolo,l'M984A2 Heavy Expanded MobilityTactical Truck - HEMTT «Wrec-ker» in grado di trainare i mezzianche della categoria III («Buffa-lo») in ambienti dove è alta la mi-naccia da ordigni esplosivi im-provvisati;

• un'altra tipologia di mezzo da trai-no introdotta nel Teatro afghano ècostituita dal connubio motriceM916 abbinata a un rimorchioM870. Questa combinazione per-mette di trasportare un qualsiasimezzo (compreso il «Buffalo») ed èparticolarmente idonea a operaresu fondi stradali duri anche a stret-to contatto con le unità di manovra.Di solito è impiegata quale mezzoper il trasporto logistico.

CONCLUSIONI

In conclusione, tutto quanto sopradescritto, rappresenta ad oggi ilmassimo livello di protezione esi-stente che gli Eserciti possono ga-rantire al proprio personale sulterreno. Questo non significa chebisogna fare affidamento sulla so-la protezione passiva delle blinda-ture degli stessi mezzi, ma attivitàfondamentali da sempre peculiaridelle operazioni militari quali:raccolta informativa, pianificazio-ne, addestramento del personale esoprattutto conoscenza dell'am-

biente operativo, sono alla base diuna possibile mitigazione degli ef-fetti derivanti dalla presenza diIEDs. Del resto non è possibile im-maginare che i tempi di reazioneamica (ricerca, sperimentazione,sviluppo, acquisizione di nuovimateriali/mezzi /equipaggiamen-ti), possano avere la stessa veloci-tà delle azioni nemiche (rapidaevoluzione e adozione di nuovetecniche e tattiche).

Pasquale VaresanoColonnello,

Capo Ufficio Lezioni Appresepresso il Comando delle Forze Terrestri

NOTE

(1) Bonifica di itinerario e area (Route andArea Clearance): nelle operazioni terrestri,il rilevamento e, in caso di scoperta,l'identificazione, la marcatura e la neutra-lizzazione, la distruzione o la rimozionedi mine o di altro munizionamento esplo-sivo, di dispositivi esplosivi improvvisatie delle trappole esplosive che minaccianoun determinato itinerario, al fine di con-sentire la prosecuzione di un’operazionemilitare con un rischio ridotto.(2) Ricognizioni del genio finalizzate al-la raccolta di informazioni tecniche utiliallo sviluppo della manovra.(3) La condivisione si identifica nellapossibilità di scambiare parte dei pezzidella ricambistica indipendentementedalla ditta che realizza i mezzi.(4) Già introdotto dalla Fiat IVECO perla realizzazione del VTLM «Lince».(5) I MRAP non sono realizzati tutti dauna medesima casa costruttrice. Nel set-

tore si evidenziano la «Force ProtectionIndustry» («Cougar» e «Buffalo»), la«Navistar Defense» («MaxxPro»),«Oshkosh Defense» («M-ATV»), la «Ge-neral Dynamic Land System» («RG 31»). (6) La funzione EOD (USA) deve inten-dersi equivalente alla funzione nazionaleIEDD che, di fatto, include quella EOD.(7) Intesa quale categoria meno pesantedelle altre.(8) Uno dei maggiori limiti all'impiegodei MRAP è la «non propensione» alfuori strada. In particolare, tra le nume-rose revisioni alle quali sono stati sotto-posti, molte riguardano il sistema dellesospensioni.(9) I «MaxxPro» sono distinti in 3 diver-si gruppi. I «MaxxPro basic» (4x4), i«MaxxPro+» (4x4 con le ruote posteriorigemellate) e i «MaxxPro Dash» (che so-no simili ai + ma dispongono di un bari-centro più basso in quanto il mezzo èstrutturalmente più basso delle prece-denti 2 versioni.(10) SPARKS: Self Protection AdaptiveRoller Kit System.

RIFERIMENTI

AAP-6 «NATO glossary of terms anddefinitions», ed. 2008;USAFCENT MRAP Vehicle Program3/24/2009;Pub. 6785 «Manuale d'impiego dell'as-setto del genio dedicato alla route clea-rance in itinerari a elevato rischio diIEDs con capacità di bonifica speditiva»,Comando dei Supporti delle Forze Ope-rative Terrestri - Polo genio, ed. 2010;Handbook 11-13 MRA, del Center forArmy Lessons Learned (CALL), Jan. 2011.

45n. 3 - 2012

Il veicolo «Buffalo» con braccio meccanicoFASSI.

Il MRAP V-HULL Wrecker.

Il veicolo M984A2 Heavy ExpandedMobility Tactical Truck (HEMTT)Wrecker.

L’evoluzione dei veicoli militari,siano essi da combattimento, da tra-sporto truppe o logistici, è andata dipari passo con il miglioramento del-le capacità di difesa e di protezionedel personale a bordo. La protezio-ne, infatti, è uno dei tre tasselli, as-sieme alla mobilità e alla potenza difuoco, che definiscono la cosiddetta«formula tattica», ossia l’insiemedelle caratteristiche che descrivonounivocamente un veicolo o un siste-ma d’arma. Le protezioni attuali sono ben diver-

se da quelle che equipaggiavano iprimi veicoli militari e sono il risulta-to di un progresso che è stato con-temporaneo all’evoluzione delle mi-nacce. Da sempre, infatti, il migliora-mento delle capacità difensive ha de-terminato un contrapposto perfezio-namento delle potenzialità di offesa,alimentando un circolo vizioso fraattacco e difesa che, probabilmente,non vedrà mai una conclusione.La ricerca nel campo delle protezio-ni balistiche, alimentata dall’evolu-zione delle minacce e dalla nuova

sensibilità delle Forze Armate ditutto il mondo nei confronti dellatematica della sicurezza del perso-nale, ha portato alla nascita di solu-zioni alternative alle protezioni pas-sive. Tali soluzioni alternative, sia-no esse protezioni attive o reattive,non consentono tuttavia l’abbando-no delle corazze che, grazie alla lorolunga tradizione, mantengono co-munque livelli di maturità e di affi-dabilità a oggi ineguagliabili.Le protezioni passive attuali sonocostituite da soluzioni multi-mate-riale e multi-strato (a sandwich) chevedono la contemporanea presenzadi materiali metallici (acciai, leghedi alluminio, leghe di titanio), mate-riali ceramici (es. allumina) e mate-riali compositi fibro-rinforzati.Ognuno di questi materiali e ognu-no degli strati componenti il san-dwich ha un compito ben preciso econcorre, insieme agli altri, al rag-giungimento dell’obiettivo comunerappresentato dall’arresto della mi-naccia. Il miglioramento della pre-stazione della corazza è pertanto le-

46 Rivista Militare

LA PROGETTAZIONE DELLE PROTEZIONI BALISTICHE PASSIVE PER I VEICOLI MILITARI

L’INGEGNERIA DELLE CORAZZE

Se è vero che la guerra è nata con l’uomo, allora sin dai primi tempi egli ha avuto la necessità di proteggersidagli attacchi dei suoi nemici. La storia delle protezioni passive, più comunemente conosciute come corazze(armour), è antica quanto quella dell’umanità: cuoio, osso, bronzo e poi ferro e acciaio durante il Medioevo, so-no stati i primi materiali a essere utilizzati a difesa dei combattenti. In epoca moderna, all’esigenza di prote-zione individuale si è affiancata, con la nascita dei primi carri armati, la necessità di proteggere i veicoli. Le co-razze moderne per veicoli militari sono il risultato di un progresso che ha attraversato l'ultimo secolo e ha vi-sto l’impiego di materiali sempre più tecnologicamente evoluti. La progettazione di una protezione balistica èoggi un’attività all’avanguardia che si avvale delle più avanzate risorse dell’informatica per raggiungere risul-tati sempre più efficaci e contrastare adeguatamente le minacce degli attuali Teatri Operativi.

Blindo «Centauro» B1.

gato all’avanzamento tecnologicosia dell’intero sandwich sia dei sin-goli materiali che lo compongono.Si può quindi comprendere la com-plessità dello sviluppo di una prote-zione balistica passiva, un processoarticolato che può essere descritto

suddividendolo in più fasi o step,ciascuna delle quali deve essere ul-timata prima di poter procedere ol-tre, anche se è prevista la possibilitàdi ritornare alla fase precedente perrivederne e aggiornarne gli outputalla luce dei risultati successivi.

LA DEFINIZIONE DEL VEICOLODI RIFERIMENTO

Una corazza impiegata su un carroarmato da combattimento è diffe-rente da una protezione balisticastudiata per un autoveicolo da rico-gnizione o un veicolo logistico. Ilpunto di partenza nello sviluppo diuna nuova corazza è, quindi, l’indi-viduazione del veicolo da protegge-re e la definizione delle sue caratte-ristiche peculiari. Ogni tipologia diveicolo, infatti, in funzione dell’im-piego e delle sue caratteristiche pre-stazionali e dimensionali, prevederequisiti particolari che devono es-sere soddisfatti nel corso dello svi-luppo delle sue protezioni. A titolo di esempio, si può conside-rare il diverso approccio che è ne-cessario seguire nel progetto di unaprotezione balistica da mine per unveicolo cingolato da trasporto trup-pe e per un autocarro logistico. Ov-viamente, in entrambi i casi, l’ogget-to dello studio sarà una corazza dainstallare nella parte inferiore deiveicoli, sotto-scafo o sotto-cabina.Nel primo caso però, considerata la

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Sopra.Studio di protezioni add-on per VCC«Dardo».

Sotto.Studio di protezioni per cabina di veicolologistico.

ridotta altezza da terra del veicolocingolato (solitamente intorno ai 50cm), per preservare la mobilità delveicolo si cercherà di ricorrere aduna corazza di ridotto spessore, tra-scurando le problematiche di peso.Nel secondo caso, invece, vista lamaggiore altezza da terra dell’auto-carro e le finalità del veicolo (il tra-sporto di materiale), si cercherà diprivilegiare l’adozione di una coraz-za più leggera che consenta di pre-servare le capacità di carico (paylo-ad) a scapito di un maggiore ingom-bro sotto-cabina. Definire il veicolo da proteggere,quindi, significa soprattutto definirei limiti ingegneristici di compromes-so, in particolare riguardanti pesi eingombri, che sono alla base dellosviluppo della soluzione di corazza.

LA DEFINIZIONE DELLA MINACCIA

Il legame esistente fra protezione eminaccia è un rapporto indissolubi-le che rende la definizione dell’offe-sa da cui proteggere il veicolo unpasso fondamentale nello sviluppodi una corazza. La tipologia di mi-naccia è estremamente varia e spa-zia da proiettili a energia cinetica di

diversi calibri a munizionamentiperforanti, da cariche cave a proiet-tili esplosivi e ancora mine a effettoblast, ordigni a frammentazione finoad arrivare ai temutissimi EFP (Ex-plosively Formed Projectiles). Mal’aspetto più importante è che nonesiste una protezione in grado di di-fendere da qualsiasi tipo di attacco.Per questo motivo una determinatacorazza è sviluppata per fronteggia-re un’altrettanto precisa minaccia eda ciò deriva il livello di protezionedel veicolo sul quale la corazza stes-sa è installata.Il livello di protezione viene defini-to a partire dalla normativa di rife-rimento, in particolare lo STANAG4569 («Protection Levels for Occu-

pants of Logistic and Light ArmoredVehicles»). Questo StandardizationAgreement stabilisce i livelli di pro-tezione dei veicoli corazzati conuna suddivisione proprio a secondadi quattro tipologie di minaccia:munizionamento a energia cinetica(KE), granate e mine a effetto blast,IED (Improvised Explosive Device)oppure munizionamento a energiachimica (CE).Seconda fase dello sviluppo di unaprotezione passiva è dunque la de-finizione della minaccia. Definirela minaccia significa identificareprecisamente le sue potenzialità dioffesa e, in primo luogo, la sua ca-pacità distruttiva e di penetrazio-ne. La capacità di penetrazione, inparticolare, viene determinata me-diante prove di qualifica in poligo-no che permettono di stabilire lospessore di acciaio RHA (RolledHomogeneous Armour) necessario acontenere l’offesa. L’acciaio RHA,largamente utilizzato fino alla Se-conda guerra mondiale per la pro-tezione dei veicoli militari, è statocol tempo sostituito dalle modernecorazze composite caratterizzateda sandwich di differenti materiali,ma ha mantenuto un ruolo fonda-

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A sinistra.Le tipologie di minacce identificate dalloSTANAG 4569.

Sotto.Mobilità difficoltosa di un veicolo MRAP inTeatro Operativo.

mentale proprio nelle attività distudio mediante la definizione del-l’RHAe (Rolled Homogeneous Ar-mour equivalency), un indice cheviene correntemente utilizzato pervalutare la capacità di penetrazio-ne di una minaccia nei confronti diuna corazza e che corrisponde allospessore di una piastra di acciaioRHA in grado di arrestarla. A seguito di queste prove di qualifi-ca, a ciascuna tipologia di offesaviene quindi associato un RHAe, inmillimetri, che ne esprime le poten-zialità di penetrazione, caratteriz-zando così la minaccia da cui sivuole proteggere il veicolo.

LO STUDIO DELLE SOLUZIONIDI CORAZZA

A questo punto, definito «chi» pro-teggere e «da cosa» si vuole proteg-gerlo, l’attenzione si focalizza sullanuova corazza da realizzare. Natu-ralmente, così come accade in tuttele attività di sviluppo, come puntodi partenza vengono prese in consi-derazione le soluzioni esistenti, leprecedenti attività di studio e speri-

mentazione e le novità tecnologichedisponibili, soprattutto per quantoriguarda il campo dei materiali im-piegabili. L’obiettivo diventa quindil’ideazione di alcune soluzioni lacui efficacia andrà poi valutata e te-stata sperimentalmente. Si devonopertanto selezionare i materiali dautilizzare e stabilire con quali spes-sori e in che successione disporli al-l’interno del sandwich: dalle diffe-renti risposte a queste variabili siidentificheranno differenti configu-razioni prototipali.Lo studio delle nuove soluzioni de-ve essere un procedimento sistema-tico che si ponga degli obiettivi benprecisi per raggiungere il risultatodesiderato in termini di prestazioni.Per questo motivo vengono presi inconsiderazione degli indici di perfor-mance che caratterizzano ogni solu-

zione di corazza e che permettonoun confronto ingegneristicamentevalido fra le varie configurazioni,consentendo così di stabilire, fratutte le soluzioni studiate, la miglio-re o, più correttamente, la meglio ri-spondente ai requisiti prestabiliti. Ogni soluzione di corazza è caratte-rizzata da un’efficienza balistica cheviene determinata in relazione a di-versi parametri rappresentativi deipiù importanti aspetti operativiconnessi all’impiego del veicolo sulquale è installata la corazza stessa. Èproprio l’analisi di questi parametriche porta all’elaborazione di quegliindici di performance in base ai qualile varie soluzioni vengono fra loroconfrontate.Bisogna tenere presente che negliattuali Teatri Operativi, le vie di co-municazione sono raramente asfal-tate e, molto spesso, sono caratteriz-zate da terreno poco consistente.Veicoli eccessivamente pesanti so-no, quindi, difficilmente impiegabilidal momento che, al loro passaggio,determinerebbero il cedimento delsuolo. Si può quindi intuire che an-che le corazze debbano necessaria-mente possedere uno stringente re-quisito di leggerezza. Inoltre, la natura impervia dei terri-tori obbliga l’impiego di veicoli conuna altezza da terra tale da permet-ter loro il superamento di ostacoli easperità. Di conseguenza, special-mente se il veicolo già di per sé è

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Sopra.Un VTLM «Lince» alle prese con il supera-mento di un ostacolo.

Sotto.Modellizzazione virtuale di una mina aeffetto EFP.

caratterizzato da una limitata altez-za da terra, le corazze sotto-scafo osotto-cabina devono avere spessorilimitati per non pregiudicare unagià critica mobilità sui terreni acci-dentati. Per questi motivi, l’efficienza bali-stica viene valutata in relazione siaal peso sia allo spessore delle prote-zioni. Nell’ottica di prendere in con-siderazione entrambi gli aspetti du-rante lo studio e il confronto di so-luzioni innovative di corazza, ven-gono analizzati due indici di perfor-mance, l’indice di efficienza di mas-sa e l’indice di efficienza di volume: Em (efficienza di massa); Ev (effi-cienza di volume).Si può notare che, nell’elaborazionedi questi due indici, così come erastato fatto nella fase di qualifica del-la minaccia, viene preso a riferimen-to l’acciaio RHA. In questo caso, perdeterminare Em e Ev, rispettiva-mente la massa e lo spessore di cia-scuna soluzione di corazza sonorapportati alla massa e allo spessoredi una piastra di acciaio RHA ingrado di garantire lo stesso livellodi protezione. Questi due indici di performance so-no riferiti a uno specifico livello diprotezione e, di conseguenza, aduna altrettanto specifica tipologia diminaccia. Naturalmente, più alto è

il valore di questi indici, migliore èl’efficienza della soluzione di coraz-za alternativa che consente un ri-sparmio di peso e di ingombro ri-spetto alla piastra di RHA di riferi-mento. Sfortunatamente, però, la ricerca diun elevato valore di Em solitamenteconduce a una riduzione dell’indiceEv, e viceversa. Infatti, l’utilizzo dimateriali leggeri fatalmente portaall’adozione di spessori più elevati;per contro, il contenere le dimensio-ni della corazza determina l’impie-go di materiali ad alta densità, con ilconseguente aumento del peso com-plessivo della corazza. Per questi motivi, in fase di studio,risulta necessario stabilire qualeaspetto privilegiare e fissare dei va-

lori di compromesso al di sotto deiquali gli indici di performance nondevono scendere, per non pregiudi-care eccessivamente la mobilità delveicolo da proteggere.Per avere una maggiore sensibilitànei confronti dell’impatto che l’ado-zione di una corazza determina sul-le capacità di mobilità di un veicolo,sovente può risultare utile teneresotto controllo, oltre agli indici di

50 Rivista Militare

Sopra.Fase iniziale della simulazione di esplosionedi una mina a effetto EFP contro una prote-zione passiva.

Sotto.Simulazioni virtuali di impatti di proiettilisu piastre.

efficienza di massa e di volume,l’incremento percentuale di peso ela riduzione percentuale dell’altez-za da terra del veicolo stesso.Può essere altrettanto conveniente,infine, analizzare l’impatto delle so-luzioni sul rapporto peso/potenzadel mezzo. Questo rapporto è indi-cativo della capacità di evasione, diaccelerazione e di «sbalzo» del mez-zo, e deve essere pertanto preserva-to: per un carro da combattimento,a esempio, tale indice non dovrebbeessere inferiore ai 25 cv/t.Al termine di questa fase di studiodegli indici di performance, rappre-sentativi dell’efficienza balistica del-le varie soluzioni, vengono quindidefinite le configurazioni da sotto-porre alla successiva fase sperimen-tale che dovrà verificarne l’efficacia.Il livello di protezione da assicurareper il veicolo di riferimento è infattiraggiunto quando la protezione èefficace, ossia quando la minacciaviene arrestata e non sono presentieffetti retro-corazza (Behind ArmourEffects) quali deformazioni eccessivedella stessa o, conseguenza ancorapiù pericolosa per gli occupanti delveicolo, proiezione di schegge.

LA SIMULAZIONE VIRTUALE

Nel campo della ricerca sulle prote-zioni balistiche, l’esecuzione diprove sperimentali è una fase deci-siva poiché è l’unico modo per ve-rificare l’effettiva efficacia delle so-luzioni studiate. Tuttavia, l’esecu-zione di una serie di test sperimen-tali è necessariamente un’attivitàmolto onerosa, sia in termini ditempo che di costo, considerata so-prattutto la natura prevalentemen-te distruttiva delle prove da con-durre. Per questo motivo negli ulti-mi anni, a causa anche delle notedifficoltà economiche, si è iniziato afar ricorso sempre più diffusamen-te a software di simulazione avanza-ta. La simulazione dei fenomeni didetonazione, del comportamentodei materiali a elevate velocità di

deformazione, dei fenomeni balisti-ci e dell’interazione dei prodotti didetonazione con le strutture ha re-centemente dimostrato di aver fattopassi da gigante. L’evoluzione del-la modellizzazione software di que-sti fenomeni, unita ai progressi nelmondo dell’informatica anche dalpunto di vista hardware, ha così per-messo all’ingegneria computazio-nale di essere sfruttata efficacemen-te come strumento di studio e disupporto ai test sperimentali tradi-zionali, che rimangono tuttavia in-dispensabili. L’attività di simulazione prevede larealizzazione dei modelli virtuali di

minaccia e di corazza all’interno delsoftware. L’interazione fra questidue modelli viene quindi simulata ei risultati del test virtuale vengonoanalizzati criticamente. In particola-re si procede inizialmente all’attivi-tà di perfezionamento e validazionedel modello (tuning). Le prime si-mulazioni riproducono il comporta-mento di soluzioni già studiate spe-rimentalmente e, mediante il con-fronto fra i risultati ottenuti e i pre-cedenti risultati dei test, si verifica larispondenza del modello virtualecon il comportamento reale dellaminaccia e della corazza. Quando ilmodello virtuale riesce a riprodurrein maniera fedele il comportamentoreale, il modello è considerato «vali-dato» e può essere utilizzato per lostudio di nuove soluzioni di coraz-za. Le soluzioni che presentano unamigliore performance, fra quelle stu-diate al calcolatore, vengono quindiselezionate per i test in poligono. Inquesto modo è facile intuire che

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A sinistra.Simulatore virtuale per la verifica di sollecita-zioni da esplosione di mina su un passeggero.

Sotto.Pannello di corazza di prova per test di scop-pio (si noti la riproduzione dei fissaggi reali alveicolo).

tempi e costi di studio vengono sen-sibilmente ridotti poiché la valuta-zione preliminare mediante softwareconsente di sottoporre alle impe-gnative prove sperimentali delle so-luzioni che abbiano un’elevata pro-babilità di successo, evidenziatadall’analisi virtuale.

STUDIO DELLE MODALITÀ D’INSTALLAZIONE

L’esecuzione di questa serie di fasi«concettuali» non deve far dimenti-care le problematiche più concretelegate all’impiego della corazza,prima fra tutte la modalità di instal-lazione della corazza stessa sul vei-colo. È importante che lo studio deisistemi di fissaggio delle corazze alveicolo venga preso in considera-zione in anticipo rispetto ai test inpoligono poiché spesso, proprio af-frontando tale aspetto, emerge lanecessità di effettuare modifiche emigliorie alla composizione dellacorazza. È opportuno, inoltre, che nel corsodelle prove sperimentali venganotestate le soluzioni di corazza uni-tamente alle modalità di fissaggiopoiché esse influiscono in modo si-

gnificativo sul comportamentocomplessivo della protezione. Adesempio, per fronteggiare l’effettodell’onda d’urto, può essere utileinserire dei fissaggi in grado di as-sorbire lo shock, ossia componentideformabili che si comportano allostesso modo dei crash box presentinei paraurti dei comuni autoveico-li: corazza e fissaggi lavorano quin-di in simbiosi per arrestare la mi-naccia.Per avere quindi un risultato atten-dibile e veritiero dai test sperimen-tali è quindi necessario sottoporrealle prove non solo la soluzione dicorazza, ma anche una riproduzio-ne fedele dei sistemi di fissaggio alveicolo.

TEST SPERIMENTALI

I test in poligono vengono condottiin conformità alla normativa di rife-rimento e in particolare alle AEP-55(«Procedures for evaluating the protec-tion level of armoured vehicles»), ri-chiamate dallo STANAG 4569, giàcitato in quanto normativa di riferi-mento per la definizione dei livellidi protezione. Le AEP-55 constano di quattro vo-lumi, ciascuno dei quali riferito aduna delle quattro tipologie di mi-naccia (munizionamento a energiacinetica, granate e mine a effetto

blast, IED e munizionamento a ener-gia chimica). Le Allied EngineeringPublications (AEPs) della serie 55 de-finiscono nel dettaglio le procedureda seguire per la valutazione dei li-velli di protezione di un veicolo co-razzato: in esse sono specificate lecondizioni e le metodologie di pro-va, le attrezzature di test e i parame-tri sperimentali da rilevare.I test in poligono eseguiti su solu-zioni innovative di corazza si artico-lano comunemente in due fasi,l’una propedeutica all’altra. La prima fase sperimentale preve-de test di integrità strutturale(structural integrity) e l’oggetto del-le prove sono modelli ingegneristi-ci di bersaglio (engineered targets)in grado di garantire la rappresen-tatività dei test. Queste prove per-mettono di diminuire i rischi di in-successo in fase di test più onerosiin quanto vengono eseguite su pia-stre, componenti o porzioni di vei-colo protetto e non sul mezzo veroe proprio. Tale tipologia di bersa-glio, detto ingegneristico, è rappre-sentativo (nel senso statistico deltermine) dell’intero veicolo poichériesce a riprodurre esattamente, inscala, il suo comportamento reale.A tale proposito, molto frequentisono, oltre alle prove su piastre,test su cabine o vani equipaggio(crew cells) opportunamente moni-torati con sensori.

52 Rivista Militare

Test sperimentale in poligono su un IFV(Infantry Fighting Vehicle).

Al termine dei test di integritàstrutturale si procede quindi con itest detti di sopravvivenza del per-sonale a bordo (occupant survivabili-ty). Oggetto-bersaglio delle provesono, in questo caso, i veicoli prov-visti delle corazze e completamenteequipaggiati. Sul veicolo vengonoinstallati sensori per il monitorag-gio di parametri quali pressioni eaccelerazioni e gli occupanti ven-gono simulati da manichini stru-mentati analoghi a quelli utilizzatidalle case automobilistiche per icrash test. Sono solitamente previ-ste, inoltre, telecamere ultrarapidee apparecchiature a raggi X per laregistrazione delle fasi di evoluzio-ne della prova.Solo in occasione di questi ultimitest si verifica che il veicolo, con lenuove corazze, soddisfi i requisitilegati al livello di protezione richie-sto, appurando così l’efficacia e labontà del lavoro di studio svoltonelle fasi precedenti. Individuata la soluzione di corazzadefinitiva si dovranno poi effettuareulteriori prove, quali ad esempiotest ambientali volti ad esaminare laresistenza della corazza agli agentiatmosferici, alle vibrazioni indottedal mezzo e altro ancora, per poiprocedere all’industrializzazionedei processi di realizzazione, dalmomento che spesso la fase prototi-pale è associata a lavorazioni di tipoartigianale.A questo punto, superate anchequeste ultime fasi di studio e tuttele prove necessarie per l’entrata inservizio, la nuova protezione èpronta per equipaggiare il veicoloche deve difendere. Essa può costi-tuire la corazza di base del veicolostesso oppure può incrementarne illivello di protezione se installatacome corazza aggiuntiva (add-on).In entrambi i casi, lo strumentoadottato è il risultato di una com-plessa attività di studio e di proget-to che quanto detto finora non ha

assolutamente la pretesa di descri-vere in modo completamente esau-riente ed esaustivo. Con questabreve esposizione si è voluto piut-tosto far comprendere quanto que-st’attività sia articolata, impegnati-va, necessariamente onerosa, sia intermini di tempo che di costi, e diquanto sia sfavorito il ruolo del di-fensore rispetto a quello dell’attac-cante. Spesso, infatti, è molto piùsemplice e immediato accrescere lepotenzialità della minaccia, aumen-tando a esempio il quantitativo diesplosivo in un IED, piuttosto che

assicurare l’incolumità di chi è at-taccato. Non ci si deve però dimen-ticare che la sfida da vincere èquella che in palio ha la sicurezza ela vita di chi opera sul campo dibattaglia, un fine che giustifica sen-za alcun dubbio la complessità deimezzi.

Daniele PapaTenente, in servizio presso

l’Ufficio Tecnico Territorialedella Direzione

Armamenti TerrestriTorino - Sezione Collaudi

53n. 3 - 2012

Le fasi di un test di scoppio su un veicolo ruotato.

LA FORMAZIONE QUALE BENEIRRINUNCIABILE

Quanto segue è volutamente lapalis-siano, ma è opportuno per comple-tezza e per mantenere il contatto conlo scritto dal quale si sta prendendospunto.In tempi di crisi di risorse è necessa-rio valutare bene le priorità e con-centrare il disponibile sulle funzioni

vitali: lo fa il corpo umano per garan-tirsi la sopravvivenza in condizionicritiche, lo deve fare anche la ForzaArmata. Parto dal presupposto chela formazione interna o, come credosia meglio chiamarla, l’educazionemilitare, sia una di queste funzionivitali. Nelle attuali ristrettezze nonposso fare a meno di pensare, bensapendo di semplificare il paragone,alla Germania di Weimar e alla

Reichswehr: in un contesto di profon-da crisi sociale, economica e politica,ciò che restava delle Forze Armate, edell’Esercito in particolare, guardòall’educazione interna come all’uni-ca possibile via per continuare agarantire allo Stato il proprio appor-to, curando la capacità di comandodel personale mediante una conti-nua e attenta selezione ed educazio-ne. I risultati, al di là dell’uso distor-

54 Rivista Militare

RIFLESSIONI SULLA FORMAZIONE MILITARE

DEGLI UFFICIALI Nel numero 2 /2011 della «Rivista Militare» è apparso un articolo appassionante sia per propositività e sistematici-tà d’approccio, sia per l’importanza del tema: la formazione militare degli Ufficiali, dall’Accademia fino al corso diStato Maggiore.L’intento dell’autore è assolutamente lodevole e l’argomento della formazione di base, che si potrebbe addiritturachiamare educazione, è fondamentale; su di essa si fonda il futuro della Forza Armata così come il futuro di unPaese si fonda sull’istruzione della propria gioventù: lo hanno capito gli afghani, dobbiamo non dimenticarcenenoi. Proprio per questo credo che l’intelligente spunto di riflessione apparso sul numero 2/2011 non debba restareisolato ma dare avvio a un vivace scambio d’idee sulle pagine di questa «Rivista Militare» perché è del futuro dellanostra Istituzione che si parla e ogni apporto di pensiero non può che essere utile. Si riportano, quindi, alcuneriflessioni che seguono, a grandi linee, lo schema dell’articolo, volendolo sfruttare quale spunto e guida per com-menti, lasciando al lettore l’agio di fare confronti a favore di ulteriori contributi all’auspicato dibattito.

to che un’ideologia terribile ne fecein seguito, almeno dal punto di vista«tecnico», furono eccellenti.Può dunque apparire scontato finoalla più trita banalità dare alla for-mazione dei Quadri, fra i vari pro-blemi oggi sul tavolo, il ruolo dipriorità vitale e foriera dei migliorieffetti positivi a lungo termine, maaffermare l’ovvio è spesso indispen-sabile premessa per creare senzaequivoci una base di partenza peraffrontare l’intero discorso. In talequadro, così come fa l’autore del-l’articolo, definire la formazione conl’aggettivazione «irrinunciabile»,centra perfettamente il tema.

DEL BIPOLARISMO

Le argomentazioni critiche espressesul bipolarismo e la ricaduta sullaformazione dei Quadri non sononuove; sono, anzi, piuttosto diffusenella generazione di Ufficiali chenon hanno vissuto l’epoca del bipo-larismo. Sempre per il principio chel’affermazione dell’ovvio è spessopasso irrinunciabile e un po’ dibonaria ironia non può che solletica-re meglio le papille del lettore, conbipolarismo non s’intende un distur-bo della personalità bensì, sempresemplificando, il fenomeno geopoli-

tico e strategico che vide il contrap-porsi, su scala globale, il blocco diPaesi che facevano riferimentoall’Unione Sovietica a quello deiPaesi che facevano riferimento agliStati Uniti d’America. In altre parole,si parla della «Guerra Fredda».Sfaterei la diffusa credenza che ilbipolarismo portò a una semplifica-zione dello studio delle problemati-che e quindi d’apprendimento dellaprofessione delle armi. Se ciò accad-

de, qua e là, fu per ristrettezza d’in-telletti e non per lo scenario geostra-tegico contingente. La ragione cidice, infatti, che le non apicali quali-tà mentali e culturali non sono frut-to della contrapposizione tra i bloc-chi bensì insite nelle capacità indivi-duali e, guarda caso, frutto del siste-ma educativo o, per meglio dire,della sua componente umana, glieducatori, non potendo ovviamenteessere l’ignoranza l’obiettivo di unvero sistema educativo.Il pensiero militare nel periodo dellaGuerra Fredda non ha ristagnato,anzi. Si è evoluto di pari passo conl’evolversi dei rapporti tra i blocchicontrapposti e con lo sviluppo tecni-co, questo veramente rivoluzionario,degli armamenti. I problemi da risol-vere non erano affatto semplici e,soprattutto a livello strategico, nontrovavano nel passato precedenti.Con ampi riferimenti al passatoappare invece il quadro internazio-nale attuale, caratterizzato da attorimultipli, statuali e non, interessi ches’incrociano, si sovrappongono, siscontrano o si sostengono, esatta-mente come, fatto salvo lo scorsosecolo per noi Occidentali, negli ulti-mi 3 millenni almeno. Ma al di là dei

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ragionamenti particolari, ciò che pareessere sfuggito all’articolista - e non èuna colpa, si badi bene - è che sel’educazione degli Ufficiali è impo-stata correttamente, dunque focaliz-zata sui principi immutabili delmestiere delle armi e non sulla«moda del momento», il risultatoottenuto sarà comunque quello diavere una categoria di Quadri benpreparata e capace. Un’analisi delladottrina del periodo «bipolare» nonpuò che evidenziare una costantericerca d’applicazione al contingente

degli immutabili principi dell’artedella guerra, quelli di Sun Tzu,Vegezio, Musashi, Montecuccoli,Von Clausewitz, Mahan, LiddellHart ecc.. Certamente ciascuno diquesti pensatori ha declinato il pro-prio pensiero in forme e linguaggidiversi che rispecchiano le diversefilosofie e culture di riferimento e idiversi momenti storici, ma la conflit-tualità intraspecifica, mi si passi iltermine da etologo, è, al nostro statoevolutivo, un fenomeno tipico dellanostra specie, e colloquia usando un

alfabeto universale. Tale alfabetodeve essere l’oggetto dell’educazionedei Quadri, Ufficiali in testa. Sel’Ufficiale, visto quale prodotto finaledell’organizzazione formativa, cono-sce il funzionamento «meccanico»dello strumento (dottrina, regola-menti, normativa amministrativa),ha la cultura per conoscere e ricono-scere i principi che governano talimeccanismi e ha l’intelligenza e ilcuore per riuscire ad applicarli a qua-lunque contingenza per adeguarvi lostrumento che ha nelle mani, allora sisarà prodotto il Professionista.Chiaro ora l’obiettivo, e consideratoche anche il «nemico», PartitoArancione o Insurgent o qualsiasialtro nome gli si dia, segue gli stessiprincipi per raggiungere i propriscopi, impiegare come strumento

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didattico lo scontro di masse coraz-zate in Europa Centrale, le campagnedi Scipione, le scorrerie vichinghe, laGuerra dei Cent’anni o le guerrecoloniali in India, poco cambia. Remtene, verba sequentur dicevano i nostriantenati. Non bisogna compiere l’er-rore di far dipendere l’educazione daquesto o quello scenario o dalla dot-trina «di moda», ma puntare sempreai principi generali e al modo di farnesaggio uso in ogni situazione. Sarà ladidattica poi a scegliere se dal parti-colare - lo scenario e la dottrina - risa-lire al generale - il principio - o vice-versa e per quali strade. E sarà ladidattica a far individuare i necessariprogrammi educativi da far metterein pratica da un Corpo Insegnantiselezionato, capace, credibile e ingrado di raggiungere tale obiettivo.

LA PRIMA TAPPA: L’ACCADEMIA

A premessa, per non uscire troppodal solco dell’articolo di riferimento,prendo per buona l’Accademia comeprima tappa, anche se le ScuoleMilitari potrebbero essere analizzatenell’ambito specifico della formazio-ne delle qualità morali, di carattere efisiche dei giovani interessati alla pro-fessione militare. Uscendo dalla pre-messa, iniziamo come sempre enun-ciando l’ovvio: gli Ufficiali devonoessere educati a essere Comandanti. Ilmanager o il funzionario non è ciò cheserve. In Italia, inoltre, nell’ambitodelle Amministrazioni Pubbliche, ilmanager e il funzionario sono associa-ti, nell’immaginario collettivo, all’ac-cezione più negativa di «burocrate»,se non peggio. Non che sia semprevero, ci mancherebbe, ma quella delburocrate sarebbe il riferimento chepiù probabilmente si veicolerebbequalora si scegliesse di «vendere» ilprodotto «formazione manageriale»invece della più attagliata «formazio-ne di Comandanti» a quella fascia digiovani diplomati cui si rivolgono ibandi di concorso, con evidenti disa-strosi risultati.La prima tappa della formazione ècerto la più delicata. La spugna, che

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rappresenta l’Allievo, deve poterimpregnarsi da subito del meglio intermini di valori morali fondanti.L’Accademia deve metterlo in gradodi riconoscere e fare propri i princi-pi deontologici della professionedelle armi. Giusta allora l’afferma-zione dell’articolista: la formazionemorale e del carattere in questa faseè prevalente e la preparazione fisica(educazione fisica, direi piuttosto)ne è una pietra d’angolo. Ma talesforzo educativo richiede nei discen-ti qualità adatte, una predisposizio-ne per dare poi risultati d’eccellen-za. Tutti possono prendere a calci unpallone, pochi possono fare di quelgioco una professione, pochissimivincono il pallone d’oro. È la sele-zione, curata e condotta con consa-pevolezza, che screma dalla prima,

vastissima, categoria chi potrà farparte delle altre due. La selezioneper l’accesso agli Istituti diFormazione diventa allora il primoaspetto cruciale. Questa fase, infatti,è critica sia per la Forza Armata, chedeve scegliere il potenziale umanosul quale costruire il proprio futuroa lungo termine (si parla di investi-menti a 40 anni), sia per i singoliAspiranti Allievi, che, quando scelti,che abbiano o non le doti necessarie,vedranno la propria vita prendere

un indirizzo che, per quanto possaanche essere ricercato e atteso, saràcomunque sorprendente nel bene enel male. Chi supera questa prima barrieradeve già possedere un bagaglio cul-turale assolutamente adeguato sia intermini nozionistici sia, soprattutto,in termini di predisposizione all’ap-prendimento, con un’apertura men-tale e con potenzialità di caratteretali da consentirgli di affrontare consuccesso i complessi fenomeni con-nessi all’esercizio dell’arte delComando.Da valutare con attenzione, in questafase, è l’importanza da dare al lavorodi gruppo. Il nostro articolo di riferi-mento vorrebbe, per questo aspetto,la prevalenza del gruppo sull’indivi-duo rispetto alla formazione del sin-

golo quale Comandante, che, perdefinizione, è solo con le propriecapacità decisionali di fronte allaresponsabilità. Il lavoro di gruppo ètipico dello staff. La formazionedell’Ufficiale di staff non è compitodell’Accademia perchè è uno «stadioevolutivo» successivo che presuppo-ne maggiore maturità ed esperienza,ma non credo fosse questo il sensoche l’articolista voleva dare. Ciò cheva fatto comprendere da subitoall’Allievo è che appartiene a un

gruppo per via dei valori condivisiche tale gruppo caratterizzano. In talequadro, anche la genialità che un sin-golo dovesse manifestare trova guidae fondamento per essere proficua-mente coltivata e sviluppata, trasfor-mandola in una risorsa del gruppo enon in un vantaggio che il singolopuò sentirsi autorizzato a sfruttarepro domo sua. L’Ufficiale deve nascere comeComandante e deve, dunque, esserecresciuto, fin dai primi passi, peraffrontare da solo le responsabilità ele scelte che il suo ruolo principerichiede, consolidando in lui la fidu-cia in se stesso e nei valori che con-traddistinguono quella specie parti-colare di uomini e donne. Dunqueun obiettivo duplice: individui edu-cati all’assunzione della responsabi-lità e alla presa di decisioni indivi-dualmente ma che lavorano per ununico scopo comune perchè si rico-noscono in un codice di valori con-divisi. Ecco così spiegato il mottodell’Accademia: «Una Acies».Dunque, gruppo come consapevole

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condivisione di principi e valori maal contempo individualità (non indi-vidualismo) nei confronti della scel-ta delle soluzioni.La responsabilità per il raggiungi-mento di questi obiettivi è degli«educatori», cioè il personale d’in-quadramento e gli insegnanti; e que-sto è il secondo aspetto critico delproblema che però non trova quispazio per un ulteriore sviluppovolendo rimanere focalizzati suidiscenti.Sul discorso del conseguimentodella Laurea al termine del quin-quennio formativo, non ci sonodubbi che il titolo scolastico siaopportuno. L’Ufficiale che nonabbia una cultura generale ampia euna specialistica profonda nonrisponde al profilo finora delineato.Forse, però, tornare a dare un mag-gior peso all’approccio scientificopotrebbe essere più consono alla for-mazione degli Ufficiali: la scienzaabitua alla razionalità e logica nelsolco galileano e cartesiano mentregli studi a maggior componente

umanistica, benché forse allo scri-vente più consoni (ricordo ancora letribolazioni nell’affrontare Analisi Ie II, Fisica o Meccanica Razionale),danno un’impostazione meno rigo-rosa. Forse sono materie con mag-giori agganci immediati alla realtàquotidiana ma, ritengo, meno inlinea con i risultati che l’educazionemilitare si pone. Lascio l’argomento

volutamente accennato, a stimolo diulteriori fasi dibattimentali.

LA SECONDA TAPPA: IL REPARTO

Il nostro articolista arriva sul traguar-do della seconda tappa dell’iter for-mativo contemporaneamente al prov-vedimento auspicato: dal 2010 iTenenti in promozione frequentanoun corso d’aggiornamento professio-nale per prepararli a svolgere almeglio l’incarico di Comandante dicompagnia. Un tempo questa funzio-ne era svolta sul campo dai «vecchi»del battaglione e dai Comandanti, maun tempo gli Ufficiali alla promozio-ne a Capitano comandavano la com-pagnia da anni e le ossa se le eranodovute fare sulla propria pelle e suquella degli scaglioni di leva sui qualiavevano costruito la propria esperien-za. Oggi, con i Volontari, non è piùpossibile che l’Ufficiale sviluppi ematuri le proprie capacità in corporevili; gli errori commessi con iVolontari hanno effetti ben più nefastie se l’errore è di quelli gravi, la figuradell’Ufficiale e la sua credibilità comeComandante ne escono malridotte.Inoltre, la carenza di Quadri anzianidi riferimento in ambito compagnia eCorpo e il crescente fardello rappre-sentato dalla strabordante pletora diatti amministrativi richiesti e che l’in-formatizzazione, per assurdo, compli-

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ca vieppiù rende ai giovani Coman-danti sempre più difficile il maturaresul lavoro le qualità necessarie el’Organizzazione se ne fa dunquecarico. Per esperienza diretta, moltidegli insegnamenti impartitimi alCorso di Stato Maggiore, specie incampo logistico e in quello del perso-nale, mi sarebbero stati ben più utilida Comandante di compagnia, dan-domi una miglior comprensione dicome l’organizzazione della ForzaArmata è strutturata e quali sono lenormative e le procedure che ne rego-lano il funzionamento quotidiano.Non ho potuto constatare pienamentegli effetti di questo nuovo passaggiodidattico per i Tenenti in promozione,ma l’intento è buono e dopo i norma-li problemi «di dentizione» mi auguroche questa fase formativa riesca a col-mare quelle lacune che il Corso diStato Maggiore riempiva in ritardo.

LA TERZA TAPPA: IL CORSODI STATO MAGGIORE

Per non perdere l’abitudine a inizia-re affermando l’ovvio, è fuori didubbio che il Corso di StatoMaggiore sia un momento formativoimportantissimo che, al contempo,abbia ampi margini di miglioramen-to. I Capitani frequentatori, ormaiquasi tutti con esperienze operative,

spesso rappresentano perplessitàsull’effettiva utilità di diverse tema-tiche trattate al corso. Sicuramentealcune di queste critiche sono dettatedal senso di diffidenza verso la teo-ria dovuta all’esperienza maturatasul campo. Ciò però conforta il fattoche il Corso di Stato Maggiore sia unpassaggio formativo fondamentale edunque da rendere quanto più effi-cace possibile e proprio in nome di

tale efficacia vi sono alcuni commen-ti da fare.Il primo è sulla durata di esso: in po-co più di 3 mesi si pensa di formareun Ufficiale al lavoro in un Coman-do facendo inoltre affidamento suuna fase «a domicilio» che, svoltapresso i reggimenti, non si sviluppanelle migliori condizioni per massi-mizzare il profitto. È una riduzioneprobabilmente eccessiva. Si è passatida 10 mesi di corso per formare unUfficiale abilitato alle funzioni diStato Maggiore (non più di 15 annifa) agli odierni 3 mesi per un’abilita-zione a operare in Comandi del livel-lo tattico. Sarà che il livello d’istru-zione di partenza è più alto di untempo, ma forse la «cura dimagran-te» che ha colpito uno dei momentiformativi fondanti nella carriera diun Ufficiale è veramente eccessiva.Ritengo però che l’articolo focalizzila propria attenzione critica ancorauna volta su elementi di dettagliofacendosi sfuggire gli aspetti gene-rali del problema. Infatti, il celebre«Partito Arancione» e l’altrettantofamoso attacco alla «soglia diGorizia», tanto criticati nell’articolo,

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non devono essere visti come un’in-capacità a evolversi e a uscire davecchi schemi operativi e scenaricollaudati, pur avendo la certezzache vi sia ancora chi non riesce adistaccarsi dagli schemi assimilatinell’infanzia professionale. Infatti,c’è solo una cosa più difficile che farentrare nella testa di un militareun’idea nuova: scacciarne quellavecchia. Aforismi a parte, sarebbe,invece, un errore di portata strategi-ca che qualcuno non sufficientemen-te propenso all’aggiornamentopossa trovare impiego presso gliIstituti di Formazione. Nella sceltacerto non può prevalere il parame-tro della convenienza economica diun trasferimento in meno sulleragioni dell’educazione militare. Se la Forza Armata è in grado diaffrontare uno scontro convenzionalead alta intensità ovunque in difesadegli interessi nazionali allora qua-lunque altro tipo di missione, fattasalva la necessaria fase di addestra-mento specifico, è affrontabile. Si riba-disce, dunque che se l’Ufficiale fre-quentatore sa riconoscere e sa fare usoaccorto dei principi che soggiaccionoagli scenari propostigli, che questiultimi siano riferiti a un quadro stori-co o a un altro, poco importa. I princi-pi che sono alla base della scelta delsettore di sfondamento di un’Armatad’urto di quello che fu il «Patto diVarsavia» o che indirizzano la sceltadi un obiettivo piuttosto di un altro daparte di un gruppo di combattentiirregolari in una zona montuosadell’Asia centrale o in una foresta afri-cana o che, ancora, hanno portatoNapoleone ad abbandonare i pianid’invasione delle isole britanniche percolpire la Coalizione in Germania,sono gli stessi; e vale anche per glierrori storicamente commessi nelcompiere tali scelte. A questo puntodell’iter formativo, le modalità tecni-co-tattiche sono un aspetto di sfondo,già acquisito e che interessa i livelli«esecutivi» non il livello di unUfficiale di staff (che però non devescordarle), quale quello che dovrebbeprodurre il Corso di Stato Maggiore.

CONCLUSIONI

Pur arrivandovi per argomentazionia volte diverse, non si può che con-cordare con le conclusioni esposte inchiusura dell’articolo oggetto di que-sti commenti. Ciò che conta perl’Ufficiale è conoscere i principi chegovernano l’arte della guerra e averele conoscenze professionali in terminidi dottrina e di dinamiche di funzio-namento che consentano il raggiungi-mento degli obiettivi. Si torna dun-que a quanto scritto in apertura e allachiusura dell’articolo di riferimento:cultura, capacità individuali conattenzione a quelle più prettamentemarziali, valori condivisi, conoscenzadei principi di base e del funziona-mento dello strumento sono la basedell’Ufficiale. Ultimo momento didissonanza con quanto espresso nel-l’articolo è la critica sulla volatilitàdella dottrina. Una dottrina poggiatasu solide basi logiche non scade senon dopo un cambiamento d’indiriz-zo e/o di situazione strategico mentrele modalità tecnico-tattiche, quelle sì,hanno vita breve ed evoluzione conti-nua. Gli aspetti su cui lavorare sono: • il reclutamento del personale, non

sottovalutando l’analisi degli even-tuali vantaggi che l’educazione deigiovani quindicenni presso leScuole e i Collegi Militari può por-

tare nella selezione di coloro chesaranno ammessi all’Accademia inquanto futuri Quadri dirigenti edirettivi della Forza Armata (visio-ne con profondità di 50 anni);

• la selezione e preparazione del per-sonale preposto all’insegnamento,specie quello militare ma non solo,negli Istituti di Formazione, con-temperando due esigenze antiteti-che: la necessità di disporre di per-sonale esperto nell’attività didatticae il bisogno di offrire ai discentiinsegnanti che possano stimolarnela naturale curiosità e intelligenza etrasmettere esperienze maturatedirettamente sia presso i reparti ope-rativi sia nei Teatri d’Operazione o,per gli insegnanti non militari, pres-so atenei e/o centri di ricerca;

• la selezione e preparazione del per-sonale d’inquadramento, prepostoa formare e sviluppare negli Allievie negli Ufficiali frequentatori i valo-ri deontologici della professionedelle armi, dovendo quindi essereUfficiali, ma anche Sottufficiali, ingrado di trasmettere efficacementeil complesso di valori di riferimentodell’Istituzione.

Andrea PioveraColonnello,

Vice Comandante della Brigata Alpina «Julia»

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L’Esercito Italiano sta perseguendol’obiettivo di disporre di un bacinodi personale in possesso di spiccatee peculiari professionalità, in gradodi essere richiamato in servizio eimpiegato in contesti operativi«oltremare» e sul territorio naziona-le. Si tratta della «Riserva Selezionatadell’Esercito Italiano», Istituto ormai

consolidato che fa parte delle Forzedi Completamento Volontarie (1).Proprio questo Istituto, che ha per-messo di superare il concetto della«Mobilitazione» (2), consente oggi ilcompletamento dei Comandi e delleUnità delle Forze Armate, medianteil richiamo in servizio di Ufficiali,Sottufficiali, Graduati e Volontari su

base volontaria e a tempo determi-nato, in funzione delle specificheesigenze.

GENERALITÀ

A volerne dare una definizione esplica-tiva, la Riserva Selezionata può essereconsiderata come uno strumento chepermette il completamento «qualitati-vo» e «capacitivo» delle professionalitàdell’Esercito Italiano. Difatti è un veroe proprio «serbatoio di capacità», costi-tuito da personale in possesso di ampiae consolidata esperienza, competenzae maturità professionale, ritenute diinteresse per la Forza Armata e noncompiutamente disponibili al suointerno. Il bacino è alimentato da pro-fessionisti che provengono sia dagliUfficiali in congedo, che hanno presta-to servizio in Forza Armata (serviziopermanente, prima nomina, fermabiennale e ferme prefissate), sia dallavita civile. Questi ultimi conseguono lanomina a Ufficiale in attuazione deldisposto dell’art. 674 del Decreto legi-

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LA RISERVASELEZIONATA

DELL’ESERCITOCambiano le esigenze operative e cambia l’Esercito Italiano. Così, inpiena fase evolutiva, la Forza Armata punta a soddisfare in maniera sem-pre più adeguata le nuove esigenze. In particolare, i continui cambiamen-ti geopolitici da gestire in ambito Nazioni Unite, NATO, Unione Europearichiedono di dotarsi di strumenti appropriati per operare nei vari conte-sti, al fine di massimizzare i risultati e razionalizzare le risorse.

slativo 15 marzo 2010, n. 66 «Codicedell’Ordinamento Militare» (ex «LeggeMarconi», dal nome dello scienziatoitaliano, che ne fu il primo beneficia-rio). Attualmente la Riserva Selezio-nata consta di 601 professionisti, di cui395 uomini e 206 donne (figura 1), ingrado di esprimere un ampio spettrodi capacità (figura 2).Tra le professionalità più rappresen-tate vi sono quelle che trovanoimpiego da anni, praticamente senzasoluzione di continuità, nei TeatriOperativi: architetti, ingegneri civili,medici, agronomi, interpreti di linguaaraba e giornalisti. Grande importan-za, tuttavia, rivestono anche quelleprofessionalità per le quali menomassiccio è l’impiego ma che, in casodi necessità, forniscono un supportospecialistico altrimenti difficilmentecolmabile: archeologi, storici, psico-logi, avvocati, esperti d’area, consu-lenti economici e geologi.Il richiamo del personale apparte-nente alla Riserva Selezionata avvie-ne su base volontaria, con dichiaratadisponibilità all’impiego e, soprat-tutto, con la consapevolezza di rende-re un servizio utile al Paese attraversoun impegno concreto nell’ambito diun rapporto d’impiego a tempodeterminato. L’Ufficiale richiamato èsoggetto a tutte le norme relative allaposizione di «stato giuridico» deipari grado in servizio permanente.Nella Forza Armata prevale, infatti,

la specificità della condizione milita-re intesa quale insieme dei diritti e,soprattutto, dei doveri e delleresponsabilità, che accomunano tutticoloro che decidono di far partedella «collettività militare».La Riserva Selezionata costituiscedunque una risorsa utilizzabile inogni ambito nel quale esiste un’esi-genza specifica. Si tratta di un impie-go a tutto campo, che va dalle situa-

zioni di emergenza o crisi al comple-tamento qualitativo in tempo di pacedei Comandi e Unità che operano interritorio nazionale e «oltremare». Iltutto nei limiti delle risorse finanzia-rie annualmente previste dallaLegge di Bilancio.

L’ITER DI NOMINA

L’ingresso nella Riserva Selezionataprevede un attento percorso selettivoche prende avvio dalla valutazionetecnica del curriculum studiorum etvitae per la verifica del possesso deirequisiti di legge e che tiene contodelle esigenze d’impiego ritenute diprioritario interesse nonché della con-sistenza del bacino di personaledisponibile. Proprio sulla base dellemolteplici esperienze, questo iter ècostantemente rivisitato a seguitodelle «lessons learned» maturate nelcorso degli anni e delle prevedibiliesigenze della Forza Armata. I profes-sionisti provenienti dalla vita civile,quando considerati d’interesse, sonosuccessivamente invitati presso una

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Fig. 2

Fig. 1

struttura sanitaria militare per verifi-care l’idoneità fisio-psicologica al ser-vizio militare in qualità di Ufficiale.Superata questa fase, gli idonei svol-gono uno «stage capacitivo» di duegiorni presso l’Ufficio Orientamentoe Sviluppo Professionale dello StatoMaggiore dell’Esercito. Tale stageconsente di valutare gli aspetti moti-vazionali e le capacità ritenute neces-sarie per ricoprire efficacemente un«ruolo organizzativo» nell’ambitodella Forza Armata. Il complessodelle risultanze delle diverse prove èquindi valutato da un CollegioDecisionale costituito nell’ambitodello Stato Maggiore dell’Esercito.A seguito dell’approvazione dell’Au-torità di Vertice di Forza Armata, gli attiprodotti vengono inviati alla DirezioneGenerale per il Personale Militare delMinistero della Difesa che, una voltaesperito il controllo di merito, li sotto-porrà all’esame della CommissioneOrdinaria di Avanzamento. Gli esitidella valutazione della Commissionesono quindi sottoposti al vaglio delMinistro della Difesa e, quindi, dopol’approvazione da parte del Capo delloStato, trasformati in D.P.R. di nomina.L’attribuzione del grado e l’assegna-zione all’Arma o Corpo sono stabilitiin funzione dell’età anagrafica e de-gli anni di esercizio della professio-ne, sulla base di quanto sancito dal

Decreto Ministeriale (Difesa) 15 no-vembre 2004 e dal Decreto Ministe-riale (Difesa) 21 dicembre 1998.

LA FORMAZIONE

Una volta nominato, l’Ufficialedella Riserva Selezionata frequentaun Corso di formazione di basepresso la Scuola di Applicazionedell’Esercito a Torino. Questo siconclude con il Giuramento di fe-deltà alla Repubblica Italiana. Do-po ciò, l’Ufficiale è considerato«pronto» per essere impiegato in

qualità di «Specialista Funzionale»ossia di professionista con una pecu-liare expertise in particolari settori ocampi d’interesse della Forza Arma-ta, fatte salve specifiche attività diapprontamento per l’impiego nei di-versi Teatri Operativi.L’iter di formazione e aggiorna-mento degli Ufficiali della RiservaSelezionata è continuo. In tale otti-ca, essi sono invitati alla frequenzadi specifici corsi di specializzazio-ne e qualificazione. In particolare,soprattutto in funzione delle esi-genze nei Teatri Operativi fuoriarea, gli Ufficiali della RiservaSelezionata sono chiamati a frequen-tare i corsi di Cooperazione CivileMilitare (CIMIC), supporto sanitarioe Comunicazioni Operative. L’attivitàformativa per la CooperazioneCivile Militare è svolta presso ilMultinational CIMIC Group diMotta di Livenza (Treviso); il corsocompleta la formazione militaredegli Ufficiali e fornisce sia le cono-scenze teoriche relativamente aicompiti, alle funzioni e all’organiz-zazione CIMIC nella NATO sia glistrumenti ritenuti essenziali perpoter essere utilmente impiegatonegli «assetti CIMIC» nell’ambitodelle Crisis Response Operations.Il Corso di formazione specialisticadi Comunicazioni Operative si svol-ge presso il 28° reggimento «Pavia»

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di Pesaro ed è rivolto a professionistigià in possesso di un peculiare ecompiuto background professionale.Il percorso didattico consente dicomprendere come le «comunicazio-ni operative» possono svolgere unruolo di primaria importanza per ilraggiungimento degli obiettivi mili-tari nelle operazioni e fornisce lecapacità per operare in team sia inPatria sia all’estero.Il Corso di Traumatologia in AreaCritica è rivolto agli Ufficiali medicie si prefigge lo scopo di fornire lorogli strumenti tecnico-professionali,comunicativi, dottrinali, proceduralie metodologici, in linea con principietico-militari, per un corretto impie-go negli assetti sanitari impiegati neivari Teatri Operativi e in territorio

nazionale.Per gli Ufficiali della RiservaSelezionata è altresì previsto unospecifico aggiornamento periodico.Con cadenza biennale, è organizzatauna «Sessione Informativa», che haappunto lo scopo di tenere continua-mente aggiornato il personale suitemi di maggiore interesse nell’am-bito della Forza Armata. Questiappuntamenti costituiscono anchel’occasione d’incontro e confronto

tra Riserva Selezionata e i Verticidella Forza Armata.Infine, come già accennato, gliUfficiali della Riserva Selezionata apremessa dell’impiego in TeatroOperativo svolgono - presso ilReparto con il quale opereranno -una fase di approntamento al fine disvolgere l’attività di amalgama e diaddestramento specifico per il conte-sto operativo di previsto impiego.Ciò permette di acquisire un’ade-

guata preparazione e di creare lecondizioni per affrontare nel miglio-re dei modi la missione assegnata.

L’IMPIEGO

Il personale della Riserva Selezionatapuò essere impiegato - in qualità diSpecialista Funzionale nell’ambito delsettore tecnico attinente alla professio-nalità posseduta - per un periodovariabile in funzione delle esigenzeoperative della Forza Armata, di mas-sima, non superiore a 180 giorniannui. Per gli impegni «oltremare», leesigenze sono definite dal ComandoOperativo di Vertice Interforze aseguito del vaglio del DipartimentoImpiego del Personale dell’Esercito.In linea generale, gli Ufficiali dellaRiserva Selezionata nei TeatriOperativi trovano impiego neiseguenti settori: assetti CIMIC (archi-tetti/ingegneri e agronomi), sanitari(medici), tecnico-operativi (esperti incomunicazioni operative) e nell’ambi-to dello Special Staff del Comandantedi contingente (consulenti giuridici,esperti d’area, interpreti).Particolarmente significativo è risul-tato, in tale ambito, il ruolo svoltodagli Ufficiali della Riserva Selezio-nata nei settori infrastrutture, econo-

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mia, agricoltura, ambiente, sviluppoeconomico ed energetico e tutela deimonumenti storici presso il CIMICCenter che ha operato a Nassiriya inIraq, quello operante attualmentepresso il Provincial ReconstructionTeam di Herat in Afghanistan non-ché gli assetti schierati presso laMultinational Task Force West inKosovo e la Joint Task Force Lebanon.Anche gli assetti responsabili delle«comunicazioni operative» - impie-gati nei Teatri Operativi libanese eafghano - necessitano della presenzadi esperti in etnologia, antropologia,psicologia, sociologia, marketing, stati-stica, comunicazioni di massa e storiaprovenienti dalla Riserva Selezionata.Quali elementi significativi, per com-prendere l’importanza delle Forze diCompletamento nel nuovo EsercitoItaliano, può essere citata la realizza-zione di un Ufficio Postale presso il«Villaggio Italia» di Belo Polje che hafornito per circa sei anni tutti imoderni servizi postali e bancari afavore del contingente nazionaleimpiegato in Kosovo.Non di secondaria importanza è l’im-piego degli Ufficiali della RiservaSelezionata in Patria. Il contributofornito risulta considerevole nelcampo delle infrastrutture militari(progettazione, direzione lavori eredazione del Documento di Valuta-

zione dei Rischi), in materia di consu-lenza giuridica, nell’ambito del sup-porto sanitario in Patria, nell’organiz-zazione di eventi mediatici (parteci-pazioni a trasmissioni televisive eradiofoniche), nei contatti con i media(quotidiani e periodici), nella collabo-razione a progetti in campo logistico eoperativo, nella selezione e nel reclu-tamento del personale, nella forma-zione e anche nella realizzazione dimonografie a carattere storico-cultu-rale, di materiale pubblicistico non-chè promozionale.I dati relativi d’impiego del 2011- 12,sostanzialmente in linea con l’anda-

mento dei tre anni precedenti nono-stante la riduzione delle esigenzeregistrate nel corso dell’anno nei variTeatri Operativi, sono eloquenti edimostrano l’importanza che laForza Armata attribuisce a questostrumento. Complessivamente, nelcorso del biennio 2011-2012 sonostati richiamati in servizio circa 300Ufficiali di cui 180 per esigenze sulterritorio nazionale e 120 all’estero inparticolare in Afghanistan, Libano eKosovo. Nelle figure 3 e 4 sonoriportati i più significativi dati sul-l’impiego del personale della RiservaSelezionata che evidenziano l’anda-mento e la gravitazione dei richiaminel periodo 2008-2012.Nella considerazione dei lusinghieririsultati finora raggiunti in termini diapporto qualitativo specialistico non-ché di professionisti richiamati, laRiserva Selezionata può considerarsiuna componente ormai integrata apieno titolo nella Forza Armata. GliUfficiali che vi fanno parte si sonodimostrati dunque una risorsa prezio-sa nella realizzazione di efficaci e riso-lutivi collegamenti con le Istituzioni econ le più importanti Organizzazioni eSocietà nazionali ed estere.

I PUNTI DI FORZA

La Riserva Selezionata ha dimostrato

66 Rivista Militare

Fig. 4

Fig. 3

di possedere caratteristiche solide edi saper sviluppare alcune fonda-mentali peculiarità.La prima caratteristica della RiservaSelezionata è la totale flessibilità diimpiego, cioè un rapporto di impie-go a «tempo determinato» e di dura-ta variabile a seconda delle reali esi-genze della Forza Armata. Ma a ciòsi aggiunge anche l’elevata economi-cità dovuta al fatto che si avvale diprofessionisti già specializzati e lacui formazione e preparazione tecni-ca sono state completate all’esternodel contesto militare (3).Importante risulta anche la capacitàdi osmosi tra «mondo militare» e«società civile». L’impiego di «tecni-ci» provenienti dalle più svariaterealtà professionali consente un con-tinuo scambio di «conoscenza edesperienze» che si è tradotto in unsignificativo arricchimento profes-sionale sia per i Quadri in serviziopermanente sia per i riservisti.Sotto il profilo dell’impatto esterno,la Riserva Selezionata ha permessoall’Esercito Italiano di accrescere egarantire un ampio consenso daparte della società civile e di raffor-zare l’immagine caratterizzata daelementi di efficienza, modernità,efficacia e utilità, in linea con lecaratteristiche e i compiti deimoderni Eserciti. Ciò ha portato al

consolidamento della consapevo-lezza che «l’Esercito Italiano è unarisorsa del Paese e per il Paese».

LE MOTIVAZIONIALL’ADESIONE AL PROGETTO«RISERVA SELEZIONATA»

Condizione necessaria allo status dimilitare è uno spiccato senso delloStato e delle sue Istituzioni. Ancheper la Riserva Selezionata, dunque,sono questi i motivi alla base della

scelta in ambito di Forza Armataunitamente all’incondizionata stimadell’Istituzione intesa quale garantedi professionalità, correttezza, valorietici e morali nonchè di capacitàorganizzative. L’analisi delle ulterio-ri motivazioni che spingono i profes-sionisti a intraprendere questa sceltariguarda essenzialmente due sfere:privata e sociale.Nella sfera privata, in particolare,rientrano le motivazioni di naturaprofessionale e personale, quali l’op-portunità di vivere esperienze unichee arricchenti sia in territorio naziona-le sia «oltremare», la necessità di dif-ferenziarsi in un mondo del lavoroche tende sempre più a «omogeneiz-zare», l’ambizione, le aspirazioni, la

possibilità di relazioni per l’arricchi-mento umano e la crescita professio-nale, ma anche il sottoporsi a uno sti-molante banco di prova.Le motivazioni riguardanti la sferasociale, oltre al già citato e fonda-mentale senso dello Stato e delleIstituzioni, riguardano invece lapossibilità di mettere al serviziodella collettività la propria profes-sionalità e competenza sia incampo nazionale sia in quellointernazionale; i contingenti milita-ri «oltremare», nel contesto inter-

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nazionale in cui operano, rappre-sentano l’Italia.

CONCLUSIONIE CONSIDERAZIONI

A voler riassumere ciò che rappre-senta oggi la Riserva Selezionata nel-l’ambito della Forza Armata, si puòcertamente parlare di un progettocaratterizzato da un approccio crea-tivo, innovativo, ma allo stessotempo pragmatico che costituisce, invirtù dei suoi punti di forza, un fat-tore positivo e di successo. Grazie aquesto progetto, infatti, l’EsercitoItaliano può disporre oggi di una«risorsa aggiuntiva» costituita daprofessionisti specializzati in svaria-te discipline, in grado di contribuireal raggiungimento degli obiettiviassegnati alla Forza Armata.Si tratta quindi di una risposta con-creta dell’Esercito Italiano - in questomomento storico di difficile con-giuntura economica internazionale -alle necessità di cambiamento impo-ste dall’eterogeneità degli attuali sce-nari operativi, dall’indeterminatezzadi quelli futuri e dall’esigenza diadottare un approccio globale nellarisoluzione delle crisi.

I bagagli di esperienze messe incampo dai professionisti risultano«moltiplicatori di capacità» e hannogià dato concreta risposta, sia neiTeatri d’Operazione sia in territorionazionale, ad alcune problematichedello strumento militare terrestreche, altrimenti, non avrebbero trova-

to facile ed economica soluzione.I dati sull’impiego e l’efficacia deirisultati conseguiti testimoniano cheil bacino degli Ufficiali della RiservaSelezionata può essere considerato apieno titolo una «risorsa strategica» adisposizione della Forza Armata non-ché un modo nuovo di «fare sistema»con il mondo civile, in un’ottica direciproco scambio e arricchimentoculturale e professionale.Sia pur nella loro importanza, gliobiettivi già conseguiti non possonocertamente essere considerati come ilpunto di arrivo. Il «segreto del succes-so» sta nell’individuare o suggerireogni utile correttivo e perfezionamen-to volto a ottimizzare sempre più ilprogetto «Riserva Selezionata», in ter-mini di adeguamenti normativi, alfine di accrescere le «capacità operati-ve» delle Forze Armate.Va infine sottolineato che, al di là delsoddisfacimento delle esigenze ope-rative, con la Riserva Selezionata sicontribuisce al raggiungimento diun altro importante obiettivo strate-gico: «portare sempre più il Paesenelle Forze Armate e le ForzeArmate nel Paese».

68 Rivista Militare

I professionisti della RiservaSelezionata con il giuramento (4)prendono - in maniera solenne -l’impegno morale di mantenersifedeli a tutti i doveri inerenti allostatus di militare, ossia al complessodei doveri e dei diritti inerenti ilpeculiare rapporto d’impiego delmilitare con lo Stato. Detto rapportopermette di distinguersi per l’incon-dizionata disponibilità personale,per l’atemporaneità e l’aspazialità inmateria d’impiego mettendo inrisalto il più autentico spirito di ser-vizio e la solidarietà nei confrontidella collettività. Con la pronunciadella formula del giuramento:«Giuro d’essere fedele alla RepubblicaItaliana, di osservarne la Costituzione e

le leggi e di adempiere con disciplina edonore a tutti i doveri del mio stato per ladifesa della Patria e la salvaguardia dellelibere istituzioni», l’azione promessaesce dalla sfera della volontà indivi-duale per collocarsi in quella delleesigenze della collettività nazionale.

Luciano AntociTenente Colonnello,

Capo della 4a Sezione dell’UfficioOrganizzazione delle Forze del Reparto

Pianificazione Generale e Finanziariadello Stato Maggiore dell’Esercito

NOTE

(1) Risorse impiegabili, oltre che

all’emergenza o in caso di guerra/crisiinternazionale, anche in tempo di pace amente degli art. 987 del D.Lgs. 15 marzo2010, n. 66, «Codice dell’OrdinamentoMilitare».(2) Ossia quel complesso di predispo-sizioni e di operazioni pianificate sindal tempo di pace per il passaggio,generale o parziale, delle ForzeArmate dallo stato di pace a quello dicrisi/guerra.(3) L’Amministrazione Difesa fornisceun bagaglio addestrativo basico e incaso di impiego operativo una prepara-zione orientata alla missione da assol-vere e al contesto operativo.(4) Il giuramento costituisce il vincolo diuna promessa attraverso la pronuncia diuna formula di rito.

69n. 3 - 2012

A circa 11 anni dall’entrata in vigo-re della normativa che ha avviato laprofessionalizzazione delle ForzeArmate, appare possibile fare unbilancio dei cambiamenti che sonointervenuti per misurare non sol-tanto il gap esistente tra la situazio-ne in atto e gli obiettivi fissati al 1°gennaio 2021 (indicati nella tabella«A» allegata al decreto legislativo215/2001, successivamente riasset-tati nell’art. 799 del Codice dell’or-dinamento militare), ma anche peranalizzare la strada sinora percorsain un contesto generale, caratteriz-zato da una difficile e lunga crisieconomico-finanziaria. Si parte,dunque, dalla prospettiva dei risul-tati raggiunti per verificare a chepunto è l’ambizioso progetto di tra-sformazione del «Modello Profes-sionale» e comprendere se gli obiet-

tivi posti a suo tempo possano rite-nersi ancora validi e attuali.

IL QUADRO NORMATIVO

Il «Modello Professionale» segna uncambiamento epocale per le ForzeArmate del Paese in un momentostorico in cui la spinta verso l’ade-guamento agli standards europei el’aspirazione a sempre più elevatilivelli di efficienza ha reso possibilela sospensione della leva e lo stan-ziamento di risorse aggiuntive per latrasformazione dello strumentomilitare.Il d.lgs. 215/2001 disegna, quindi,un’architettura delle Forze Armatesensibilmente diversa rispetto al pas-sato, con una base molto più larga(Sergenti e Volontari) e gli organici dei

Marescialli significativamente ridotti,progettando un cambiamento fonda-mentale nella filosofia di impiego deiruoli non direttivi.Ma, a fronte di questo nuovo stru-mento di Difesa disegnato su basi teo-riche dalle norme primarie, qualierano le consistenze effettive del per-sonale appartenente ai ruoli deiSottufficiali? Quanto il modelloimmaginato dal legislatore si presen-tava realisticamente raggiungibile?Per dare risposta ai quesiti occorrefare un rapidissimo balzo all’indie-tro di qualche anno.Fin dall’entrata in vigore del d.lgs.196/1995 le presenze dei Marescialli (1)erano superiori rispetto al volumeorganico a regime (circa 27 000 unitàin più considerato che a fronte di unvolume organico di 48 725 unitàerano in servizio circa 75 800 unità),talché lo stesso legislatore consideròun periodo transitorio di 20 anni perconseguire i nuovi volumi organici dilegge (1995-2015). Nel periodo 1996-2001, le consistenzedei Marescialli rimanevano sostan-zialmente stabili sui medesimi valoriper tutte le Forze Armate, anche pereffetto di una politica dei reclutamen-ti attuata tra la fine degli anni ’70 e iprimi anni ’90 (prima della fine dellaGuerra Fredda) che aveva prodottoimportanti ripercussioni negli annisuccessivi (figura 1). Nel 2001, il Modello Professionale,con riferimento alla categoria deiSottufficiali, non mutava sostanzial-mente le modalità di reclutamento né,

70 Rivista Militare

IL RUOLO MARESCIALLI

Il core del presente articolo è l’analisi dell’evoluzione del ruolo Marescialli che, nel processo di trasformazioneavviato con il «Modello Professionale», rappresenta, senza dubbio, un elemento portante in quanto strettamen-te connesso alla crescita dei due ruoli in espansione (Sergenti e Volontari).

IL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE VERSO IL «MODELLO PROFESSIONALE»

tantomeno, le dinamiche di alimenta-zione e di avanzamento dei ruoli,disciplinate dal provvedimento diriordino attuato nel 1995. Nonostantel’impianto base del previgente assettonormativo fosse rimasto pressochéinalterato, il d. lgs. 215/2001, introdu-ceva radicali cambiamenti per i ruolidei Sergenti e dei Marescialli. Lastruttura delle nuove Forze Armate sipresentava più onerosa a causa dellasostituzione della leva con militariprofessionisti, quindi il «ModelloProfessionale» ha rivisto l’organicodei Marescialli, la cui entità dovevanecessariamente essere contenutaentro determinati tetti massimi al finedi rispettare la copertura finanziariadisposta. Il volume organico «a regi-me» del ruolo Marescialli, pertanto, èstato ridotto di 23 310 unità comples-sive passando da 48 725 a 25 415.La situazione normativa era abba-stanza complessa: alla disciplina tran-sitoria del d. lgs. 196/1995 (che copri-va l’arco temporale 1995-2015) si èsovrapposta la disciplina transitoriadel d. lgs. 215/2001 (arco temporale:2001-2020) con obiettivi che sonoapparsi, da subito, molto ambiziosi. In sostanza, la norma prevedeva lariduzione del ruolo Marescialli dicirca 43 500 unità in 19 anni (2) e, perraggiungere tale scopo, la Difesaavrebbe potuto percorrere unica-mente due strade:

• pianificare reclutamenti ridotti ecalibrati in relazione alle strettis-sime esigenze delle Forze Armate(le quali, peraltro, avrebbero nelcontempo definito le funzioni daattribuire progressivamente aiSergenti);

• utilizzare a pieno gli strumenti di«esodo agevolato» previsti dallanorma e, in particolare, il colloca-mento anticipato in ausiliaria e iltransito nelle altre Amministra-zioni Pubbliche (testo originariodell’art. 6 del d. lgs. 215/2001).

Su tali presupposti, la relazione tec-nica allegata al d.lgs. 215/2001, par-

tendo dalle consistenze effettiveesistenti al momento, ha ipotizzatouna diminuzione media annua dicirca 2 300 Marescialli, consideran-do le fuoriuscite per età, a doman-da, il transito nei ruoli speciali degliUfficiali e i passaggi ad altre Am-ministrazioni Pubbliche.Tuttavia, la fuoriuscite effettivesono risultate inferiori rispetto allestime e alle aspettative, soprattuttoa causa della mancata attivazione deltransito presso le altre PubblicheAmministrazioni per complessiproblemi di ordine applicativo. Perquesta ragione, la legge n.226/2004, il cosiddetto «professio-nale 3», emanata con il precipuoobiettivo di anticipare la sospen-sione della leva al 2005, ha riconsi-derato lo sviluppo di tutte le cate-gorie del personale militare, e inparticolar modo quella dei PrimiMarescialli e dei Marescialli, le cuiconsistenze sono state riviste inaumento. Questa correzione, tutta-via, è stata di lieve entità e hariguardato soltanto i primi anni inquanto, per raggiungere l’obiettivoorganico al 1° gennaio 2021 (25 415unità), la relazione tecnica allegataal «professionale 3» ha dovuto ipo-tizzare un elevato livello di esoditra il 2007 e il 2020 (fino a 2 780 ces-sazioni all’anno di Marescialli).

71n. 3 - 2012

Fig. 1

L’ESODO AGEVOLATO

Come accennato, complesse ragionitecniche non hanno consentito ilricorso concreto agli strumenti di con-gedo agevolato, tant’è che, nel 2005,la Difesa si è vista costretta ad avvia-re apposita modifica normativa perincentivare il congedo del personale:la legge 168/2005 ha sostituito il giàcitato articolo 6 del d. lgs. 215/2001(assorbendone i relativi oneri) con unmeccanismo più semplice e concreta-mente praticabile: il collocamentoanticipato in ausiliaria a domanda delpersonale (Marescialli e Ufficiali) chesi trova a non più di 5 anni dal limitedi età, nel limite di un contingenteannuo massimo fissato dalla legge. Le potenzialità della norma sono statesfruttate appieno, considerato che ildecreto ministeriale annuale che fissail numero massimo di personale chepuò accedere all’istituto ha sempreriportato il numero massimo consen-tito dalla norma e tale numero è statosempre colmato grazie all’ingentequantità di domande pervenute, digran lunga superiore rispetto alnumero massimo stabilito. Non a caso, la Difesa, considerato ilforte interesse dimostrato dal perso-nale verso lo strumento dell’esodoagevolato, ha più volte proposto diaumentare i contingenti previsti dallanorma, ma non ha mai trovato il favo-re politico, sia perché la proposta

determina cospicui oneri finanziari(la fuoriuscita di personale in ausilia-ria comporta una immediata uscita dicassa e una minore entrata contributi-va) sia perché probabilmente percepi-ta in controtendenza rispetto alla poli-cy nazionale (si pensi ai recenti prov-vedimenti normativi in materia pen-sionistica tendenti a incrementare ilrequisito contributivo richiesto).

L’ECCEDENZA

Occorre preliminarmente evidenziareche, per i Marescialli, il termine «ecce-denza» non è appropriato e corretto.Tale locuzione non vuole significare«non utile impiego» ma, diversamen-

te, intende porre in rilievo che il per-sonale militare è distribuito, nell’am-bito delle varie categorie (Ufficiali,Marescialli, Sergenti e Volontari), inmaniera differente rispetto a quantoprevisto sia dalla relazione tecnicadella legge 226/2004, per il periodotransitorio, sia dalla tabella «A» del d.lgs. 215/2001, per la situazione a regi-me.Nel 2011 «l’eccedenza» dell’interoruolo si è attestata su circa 6 900 unità(la relazione tecnica prevede, nellostesso anno, 50 434 unità mentre leconsistenze effettive «medie» am-montano a 57 342 unità) e inevitabil-mente continuerà a crescere fino araggiungere, presumibilmente, nel2021 le 22 000 unità, considerato chele fuoriuscite effettive saranno verosi-milmente più basse rispetto a quelleteorizzate nella relazione tecnica.Questa «eccedenza» è possibile ed ènormativamente consentita in quantole leggi che disciplinano il «ModelloProfessionale» permettono fino al2021 una sorta di compensazionefinanziaria tra ruoli: in concreto ilmaggior numero di Marescialli vienepagato da un minor numero diVolontari e Sergenti, in modo tale darealizzare una sorta di equivalenzafinanziaria, da verificare ogni annocon apposito decreto ministeriale (3),concertato con la Funzione Pubblica econ il Ministero dell’Economia e delleFinanze.

72 Rivista Militare

LA SORTE DEL «MODELLOPROFESSIONALE»

Purtroppo, questo «esubero» imbri-glia l’intero processo di trasforma-zione e limiterà l’espansione deiruoli base (Volontari in ServizioPermanente e in Ferma Prefissata eSergenti) che cresceranno molto len-tamente con tassi di alimentazionepiù bassi rispetto ai moduli teorici.Ciò condurrà certamente al 2021 adun modello più contratto che nonpotrà raggiungere le 190 000 unitàper il vincolo finanziario delle risor-se stanziate per il professionale.La situazione è resa drammatica-mente più complicata dalle manovrefinanziarie intervenute negli ultimianni che hanno tagliato le risorse delmodello e che renderanno necessa-rio un ulteriore intervento legislati-vo per riconfigurare le dotazioniorganiche dei ruoli. Questi pochi dati sono sufficientiper trarre le seguenti conclusioni:• il «Modello Professionale», come

elaborato nel 2001, è stato certamen-te condizionato, nel suo sviluppo,dalle risorse finanziarie disponibiliche hanno indotto a ipotizzare undécalage di Marescialli molto più«ripido» rispetto a quello che, neifatti, si è verificato. Ciò sicuramenteanche a causa della impossibilità diattivare i meccanismi di gestionedelle eccedenze, previsti dalla pre-vigente normativa, basati sullo «sci-volo» e sul transito di personalepresso altre amministrazioni;

• tale modello non sarà certamenterealizzato al 1° gennaio 2021 (comedetto, termine finale del periodotransitorio) per cui occorrerà un’ap-posita proroga che realisticamentedovrà spingersi almeno al 2028 (4);

• gli ulteriori tagli finanziari alla«professionalizzazione», adottatidal 2007, hanno carattere struttura-le e quindi ridimensionano il«Modello» a regime che dovrà esse-re necessariamente ridefinito anchesotto il profilo numerico (le dota-zioni organiche della tabella «A»del d. lgs. 215/2001 devono essere

modificate per essere coerenti conle risorse che saranno disponibili).Peraltro questi tagli avranno neiprossimi anni ricadute anche sottoil profilo dell’impiego in quantonon consentiranno un’adeguata ali-mentazione di Sergenti che rappre-senteranno nel progetto del Profes-sionale, sotto il profilo funzionale,gli eredi dei Marescialli. Questi pro-blemi si acutizzeranno a partire dal2019 quando le cessazioni deiMarescialli inizieranno a diventaremolto cospicue ma verranno amancare i Sergenti (le cui alimenta-

zioni, come detto, sono state sinoramolto compresse a causa del limita-to budget) cui devolvere le relativefunzioni. È quindi verosimile chenel periodo 2020-2028 potremoassistere a fenomeni di perdita dicapacità e di professionalità dellostrumento militare con conseguentigravi carenze in termini di efficien-za operativa.

In questa cornice, la Difesa, comedetto, ha continuato a incentivare gliesodi (nei limiti consentiti dalla legge)e ha reclutato in misura ridotta rispet-to ai moduli teorici ottimali. A tal

fine, lo Stato Maggiore della Difesa,nel 2008, ha emanato un’appositadirettiva (la «SMD RESTAV 001») perdelineare precise linee guida, per lapianificazione dei reclutamenti inmodo da orientare le Forze Armateverso gli obiettivi del Modello Profes-sionale.Tuttavia, la sottoalimentazione nelruolo Marescialli se da un lato con-sente di realizzare importanti obietti-vi (come, ad esempio, l’ampliamentodelle categorie in espansione; la pro-gressione del processo di realizzazio-ne del «Modello Professionale»; la

valorizzazione della figura del Mare-sciallo (5), ecc.) dall’altro potrebbegenerare anche effetti controprodu-centi quali:• rischio di squilibri funzionali. La

formazione di pochi Maresciallinelle scuole significa che, in pro-spettiva, ad esempio, ci potrà essereun numero di Comandanti di plo-tone inferiore alle esigenze, tale danon assicurare un’adeguata effi-cienza operativa, e pochi Marescial-li in grado di assumere incarichi diresponsabilità e di svolgere le fun-zioni tecniche stabilite per il ruolo;

73n. 3 - 2012

• possibili disfunzioni in termini didinamiche di progressione di car-riera in quanto la differente ali-mentazione effettuata negli annipotrebbe portare ad accelerazionee rallentamenti in avanzamento;

• problemi di reclutamento futuroche è condizionato dall’entità dicessazioni dal servizio.

Questi effetti negativi potranno esse-re attenuati ma sarà necessariogestirli con attenzione attraverso unapolitica dei reclutamenti che privile-gi, per quanto possibile, la continuitàdelle immissioni ed eviti alimenta-zioni troppo altalenanti, soprattuttoalla luce dell’ondata di esodi diMarescialli che per ragioni anagrafi-che si realizzerà dopo il 2020.

CONCLUSIONI

La realizzazione del progetto diprofessionalizzazione è ancora lon-tanissima ma la strada percorsa inquasi 11 anni dall’entrata in vigoredel d. lgs. 215/2001 pone in rilievocome il cambiamento delle Forze

Armate sia profondo e irreversibile.La fisionomia delle Forze Armate ègià completamente cambiata: èstata sospesa la Leva, sono stateintrodotte le figure dei Volontari inFerma Prefissata, sono state incre-mentate le immissioni di Volontariin Servizio Permanente e dei

Sergenti (oggi le consistenze sonorispettivamente al 59% e al 38% delruolo), sono state ridotte le alimen-tazioni dei Marescialli che sonopassate complessivamente in 10anni da 960 unità a 348 unità (dal2001 a oggi le consistenze comples-sive del ruolo Marescialli sonoscese da 68 985 a 57 342).In definitiva, il quadro di situazioneè molto complesso: da un lato esisteun modello di Forze Armate non piùattuale perché reso «monco» daiprovvedimenti di natura finanziariaintervenuti in questi anni, dall’altrosi ricercano delle soluzioni pratica-bili che agevolino le fuoriuscite dipersonale.In questo contesto, si potrebbeinserire alla perfezione il disegnodi legge delega presentato, propriolo scorso aprile, in Senato (A.S.3271) con cui si intende revisionarel’intero strumento militare sia sottoil profilo numerico (riduzione da190 000 a 150 000 unità) sia sotto ilprofilo ordinativo e funzionale.Tale strumento normativo potràessere certamente utile allorquan-do, in sede di predisposizione deirelativi decreti delegati, verrà rivi-sto l’intero «Modello Professio-nale» e con esso le dotazioni delruolo Marescialli che, grazie anche

74 Rivista Militare

a una serie di misure (transito neiruoli civili della Difesa e delle altreAmministrazioni Pubbliche, incre-mento degli attuali contingenti dacollocare anticipatamente in ausi-liaria, estensione dell’aspettativaper riduzione Quadri anche al per-sonale non dirigente) potrannoessere «ricalibrate» in modo davalorizzare nel migliore dei modi ilruolo stesso.Ma ad oggi, a «legislazione vigente»,ci si trova ancora in una fase del pro-cesso molto lontana dagli obiettiviprefissati e segnata da crescenti pre-occupazioni legate al rischio di bloccototale dei reclutamenti nel medioperiodo, in mancanza di concreti cor-rettivi. Il progetto strategico elaboratonel 2001 è già superato e sarà necessa-rio definire, magari proprio in occa-sione del citato d.d.l., il NuovoModello di Difesa verso il quale leForze Armate si dovranno orientare,tenuto conto che l’obiettivo sarà vero-similmente condizionato, e continua-mente corretto, da preminenti ragionidi ordine finanziario, talvolta nonconvergenti con le esigenze di difesae di sicurezza del Paese.

Mario MaugeriCapitano,

in servizio pressol’Ufficio Generale del Centro

di Responsabilità Amministrativa «Esercito Italiano»

NOTE

(1) Il ruolo Sergenti in Servizio Perma-nente è stato istituito proprio con ildecreto legislativo 196/1995.(2) Nel 2001 la consistenza media com-plessiva del ruolo Marescialli era di 68 985unità a fronte di un volume organico aregime di 25 415 unità. (3) A tutela e garanzia di tutto il sistemaè stato adottato il cosiddetto «principiodell’invarianza della spesa», secondocui, attraverso un articolato sistema divasi comunicanti e autocompensanti, èstato possibile bilanciare la sovrabbon-danza di Marescialli con una consistentecarenza di Sergenti e Volontari inServizio Permanente (il «costo finanzia-

rio» del Maresciallo è notevolmentesuperiore rispetto a quello dei Sergenti eVolontari). Il Modello, quindi, consenti-va la crescita dei ruoli in espansione neilimiti delle risorse finanziarie liberatedalle fuoriuscite del personale apparte-nente agli altri ruoli.(4) Così, analizzando il ruolo oggi, è pos-sibile notare come circa il 76% deiMarescialli in Servizio ha un’età relativa-mente giovane e quindi un periodo diservizio ancora molto lungo (da 12 a 27

anni a seconda dell’anno di nascita). Lepresenze nelle classi di nascita che vannodal 1957 al 1973 (seppur con talune diffe-renze per ciascuna Forza Armata) sono,in ciascun anno, ben superiori ai moduliteorici di alimentazione.(5) Da qualche anno gli Allievi Maresciallifrequentatori delle Scuole Sottufficialidelle Forze Armate sono iscritti a specificicorsi di laurea di 1° livello, in forza diapposite Convenzioni stipulate con alcu-ne Università.

75n. 3 - 2012

«...L’«Ariete», in futuro, sarà chiamataa «disancorarsi» dal suo storico, tradi-zionale ruolo specialistico di unità«d’urto decisivo» ... è tempo di cambia-re. Sì alle nostre gloriose tradizioni, masì altrettanto allo sguardo che deve an-dare oltre l’orizzonte, al futuro che anoi appartiene, ai nuovi ruoli che civengono richiesti dai moderni Teatrid’impiego. L’alternativa non esiste: se

non cambieremo non saremo parte delfuturo, forse la stessa «Ariete» non so-pravvivrà. Dobbiamo, e lo faremo, assu-mere una visione moderna, un ruolo bi-valente...» (1).Con queste parole, il Generale diCorpo d’Armata Giuseppe Valotto,Decano dei Carristi in servizio, già47° Comandante dell’«Ariete», alloraCapo di Stato Maggiore dell’Esercito,

ha descritto in maniera lungimirantegli orizzonti, peraltro incerti, di unaspecialità che ha rappresentato a lun-go quanto di più moderno e dinami-co la Forza Armata potesse esprime-re operativamente.Quale potrebbe essere la linead’azione più indicata, allo scopo dimantenere quanto più possibile ele-vata la valenza operativa della spe-cialità, adeguandola, nella manierameno onerosa, al Current Operatio-nal Environment (COE)?Cambiamento e trasformazione so-no due termini che costituisconooramai il leitmotiv dell’organizzazio-ne militare, per fare fronte a un con-testo operativo contraddistinto da: • una minaccia evolutasi da un con-

fronto bipolare simmetrico ad altaintensità a un confronto asimme-trico a forte connotazione contro-insurrezionale;

• situazione finanziaria caratteriz-zata da trend riduttivo del volumedei fondi assegnati ai capitoli affe-renti all’addestramento e al man-tenimento dell’operatività;

• tendenza a snellire il dispositivomilitare terrestre, con l’incremen-to dell’importanza delle forze me-die e leggere a discapito di quellepesanti.

Si rende, pertanto, indispensabileadattare ai nuovi scenari il profilod’impiego della specialità, allo sco-po di mantenerne elevata la valenzaoperativa, senza tuttavia sminuirnela peculiarità. Sarebbe, infatti, dele-terio rischiare di perdere delle pro-fessionalità consolidate che, in se-guito, risulterebbe costoso, in termi-ni economici, materiali e umani, ri-costituire.La necessità di cambiamento è stataulteriormente rappresentata dall’al-lora Capo di SME, che ha ravvisatola necessità di fare acquisire alla spe-cialità la capacità di operare in mo-dalità duale, anche in virtù delle for-ti contrazioni di bilancio che nonconsentono con la consueta frequen-za l’impiego continuativo dei mezzie lo schieramento delle unità pressoil poligono maggiormente rispon-

76 Rivista Militare

IL RUOLOBIVALENTEDEI CARRISTIITALIANIUN CONTRIBUTO DI PENSIERO

L’articolo propone l’adattamento del profilo d’impiego della specialitàcarrista ai nuovi scenari del Current Operational Environment (COE), alloscopo di mantenerne elevata la valenza operativa, senza tuttavia sminuir-ne la peculiarità, con il conferimento di una capacità dual role che non silimiti alla semplice conversione in fanteria leggera delle unità carri, nellequali equipaggio e veicolo da combattimento operano in maniera sinergi-ca come sistema d’arma unitario, ma ne mantenga elevata la capacità dicondurre prevalentemente attività tattiche spiccatamente dinamiche.La proposta consiste nel far transitare l’equipaggio carri su Veicolo Tatti-co Leggero Multiruolo (VTLM) «Lince» dotato di sistema d’arma a con-trollo remoto HITROLE Light® (quantitativamente commisurati adequipaggiare, nel breve termine, una compagnia di tutti i reggimenti car-ri), mantenendo così i vincoli organici, l’amalgama e gli automatismi ca-ratteristici del modulo elementare carrista, con vantaggi, in termini di ef-ficienza operativa, maggiori di quelli derivanti dalla sua trasformazionein team fucilieri. Ciò rappresenterebbe un significativo incremento dellaflessibilità e delle capacità delle unità carri, rendendole idonee a operareFuori Area, in attività PSO/CRO, pur mantenendo, contestualmente, lapropria consolidata attitudine alla condotta di attività operative caratte-rizzate da spiccata connotazione dinamica.Quanto sopra a tutto vantaggio del mantenimento delle capacità operati-ve della specialità, senza rischiare di snaturare completamente una com-ponente che sarebbe difficile recuperare nella propria funzione elettivanel momento in cui dovesse tornare a esserci necessità di affrontare con-testi operativi ad alta intensità.

dente alle specifiche esigenze adde-strative, quello di Capo Teulada.Pur nell’intenzione di rivitalizzarela specialità con l’incremento dellacapacità operativa e la rigenerazio-ne dello spirito di Corpo, attraversol’organizzazione di specifiche attivi-tà a fuoco ai vari livelli ordinativi,tese alla riqualificazione degli equi-paggi e delle minori unità nell’ese-cuzione degli atti tattici elementari,viene pertanto sancita contestual-mente la necessità del conferimentodella capacità dual role.Per dare attuazione a quanto sopradisposto, l’«Ariete» ha avviato unaserie di attività addestrative volte alconseguimento di tale capacità; inparticolare, le dipendenti unità carrihanno già organizzato e condotto leprime esercitazioni a fuoco volte aqualificarle alla condotta di attacchidi squadra secondo i procedimentid’impiego peculiari alla fanterialeggera. Quanto precede, allo scopodi rendere disponibili all’impiego e,pertanto, spendibili in operazioniCRO/PSO, anche i reggimenti carridella Brigata, attualmente difficil-mente schierabili nei Teatri Operati-vi Fuori Area, in virtù della percepi-ta minore idoneità del carro armatoa tale tipologia di operazioni.È tuttavia mia convinzione che lasemplice conversione in fanterialeggera delle unità carri sia piutto-sto da affinare in termini di «alleg-gerimento» più che di mera «fante-rizzazione» della specialità, inquanto:• la configurazione organica dei

moduli elementari e operativi (2)della specialità è significativa-mente differente da quella delleomologhe unità di fanteria, con lerelative conseguenze sul manteni-mento dei vincoli organici e dellarelativa coesione;

• la necessità di riqualificare il per-sonale degli equipaggi carri con-vertendoli in fucilieri, oltre a ri-chiedere una preparazione benpiù approfondita rispetto a quan-to necessario alla pur fondamen-tale formazione di base del com-

battente, per non trovarsi in diffi-coltà qualora appiedate o con ilmezzo inefficiente, se soggetti adazione di fuoco da elementi ostili,potrebbe comportare il concretorischio di degradare, se non com-promettere, la capacità di condur-re attività operative a spiccataconnotazione dinamica, peculiaree distintiva caratteristica dellaspecialità carrista.

Al riguardo, appare opportuno evi-denziare come il mantenimento del-le capacità carristi sia una prioritàanche per Paesi alleati o amici. Dueesempi, su tutti, sono emblematici:il Canada e Israele.I primi, messo «in naftalina» il par-co carri a favore di un sistema ruo-tato omologo alla nostra «Centau-ro», hanno rapidamente riconside-rato tale scelta alla luce del proprioimpiego in Afghanistan (3), dovehanno dapprima inviato una ali-quota di carri «Leopard» C 1 ricon-dizionati e, successivamente, di

«Leopard» 2A6M di nuova acquisi-zione, apprezzati, oltre che dal con-tingente canadese (4), dagli stessiAmericani (allora privi di supportocorazzato nello specifico Teatro) eivi utilizzati anche dai Danesi (5)nella versione A5DK.Gli israeliani, dal canto loro, per va-lutare il motivo delle scarse presta-zioni evidenziate in combattimentodal Corpo corazzato di Tsahal (leIsraeli Defence Forces - IDF) duranteil secondo conflitto Israelo-Libane-se, nel 2006, hanno istituito unaCommissione d’inchiesta ai massi-mi livelli (la Commissione Wino-grad), che ha riscontrato come gliequipaggi carri abbiano dimostratosignificative carenze nelle capacitàoperative di base, a causa dell’ina-deguato addestramento di speciali-tà, derivante dal continuo e reitera-to impiego delle stesse, secondo lemodalità delle truppe appiedate,per la condotta di attività di control-lo del territorio nel West Bank, al fi-ne di contrastare l’Intifada.Di conseguenza, lo Stato Maggioredelle IDF ha istituito una competi-

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Il carro da combattimento «Ariete».

zione annuale tra gli equipaggi carridelle proprie Brigate corazzate, chesi tiene sulle Alture del Golan ogniprimavera e che prevede, oltre aiclassici del mestiere (quali l’impiegodell’armamento di bordo, la naviga-zione e il taglio del cingolo), anchel’impiego dei sistemi digitalizzati diComando e Controllo.L’addestramento, sviluppato a coro-namento di un master gunner coursesulla falsariga di quello adottatopresso le unità carri dell’US Army,simula l’ingaggio di minacce con-trocarro a breve, medio e lungo rag-gio, fino a 5 km, ovvero fino allamassima gittata del sistema AT-15,utilizzato dalla Siria, da Hezbollahin Libano e Hamas a Gaza (6).

CARATTERISTICHEE LINEAMENTI D’IMPIEGODELLE UNITÀ CARRI

Partendo dalla definizione delle ca-

ratteristiche e dei lineamenti d’im-piego delle unità carri, dottrinal-mente, risulta che esse hanno carat-terizzazione marcatamente dinami-ca e trovano impiego prioritario nel-le operazioni a elevata intensità(guerra, conflitto regionale ed even-tualmente imposizione della pace).Presentano, per contro, delle limita-zioni nell’intervento contro posizio-ni saldamente organizzate a difesa enel sostenere impegni operativi pro-lungati nel tempo.Nel contesto di operazioni di soste-

gno della pace, qualora impiegate,le unità carri assolvono un essenzia-le ruolo deterrente grazie all’elevatoimpatto psicologico a esse peculiaree, ove il quadro di situazione dege-neri, sviluppano interventi locali,potenti e risolutivi.Inoltre il reggimento carri è unadelle unità fondamentali di mano-vra per lo svolgimento della fun-zione combat. È in grado, quindi, dicondurre o partecipare al combat-timento mediante l’impiego coor-dinato del fuoco diretto delle armiin dotazione o in rinforzo. Inqua-dra gli organi preposti allo svolgi-mento della funzione di Comandoe Controllo e dei Servizi in sede efuori sede. In relazione alla situa-zione contingente, può assumerela configurazione di gruppo tattico(a livello reggimento) con l’inseri-mento di «moduli operativi» ocompagnie pluriarma.Il reggimento carri è dotato pertan-to di buona versatilità d’impiego edè idoneo a:• agire negli ambienti naturali e

nelle situazioni in cui le caratteri-stiche intrinseche del carro vengo-no esaltate (elevata potenza difuoco, mobilità e protezione);

• effettuare azioni dinamiche suampi spazi, sfruttando soprattutto

78 Rivista Militare

Il VTLM «Lince» armato con Browning cal.12,7 mm su sistema a controllo remoto HI-TROLE Light®.

Una Browning cal. 12,7 mm su sistema acontrollo remoto HITROLE Light®.

la mobilità in terreno vario.Il suo impiego è di norma previstoin sinergia con le unità meccanizza-te - nella condotta di operazioni adelevata intensità (guerra, conflittoregionale, imposizione della pace) -ma può avvenire anche autonoma-mente, specie in operazioni di sup-porto alla pace.In particolare, il reggimento carripuò svolgere:• Operazioni Ritardatrici, in consi-

derazione della sua attitudine adassicurare un’alternanza di azionistatiche con quelle mobili e grazie,anche, alla naturale capacità c/c;

• Operazioni Difensive, su terreniche consentano di sfruttare le suedoti di mobilità e di protezione,nonché la sua attitudine a operareanche in ambienti contaminati daagenti NBC. Può inoltre concorre-re a reazioni dinamiche condottedalle unità blindo/corazzate, ov-vero contribuendo direttamentealla manovra stessa;

• Operazioni Offensive, nel quadrodi azioni di ricerca e presa di con-tatto, fissaggio, infiltrazione e at-tacco vero e proprio.

Inoltre può essere impiegato concompiti di sicurezza e protezione alleforze, che possono essere assolti at-tuando dispositivi di «osservazione eallarme», «fiancheggianti/avanguar-dia» e «copertura».Da ciò, emerge come la vocazionedelle unità carri sia espressamenteorientata alla condotta di attivitàoperative a spiccata connotazionedinamica, essenzialmente in sim-biotica sinergia con il veicolo dacombattimento ad alta tecnologiache le caratterizza. Lo scopo delpresente scritto è individuare unalinea d’azione idonea a fare in mo-do di coniugare le caratteristicheelettive e le necessità di adatta-mento della specialità al COE, sen-za snaturare le peculiarità intrinse-che della specialità e richiedereuna drastica riconfigurazione sulpiano capacitivo, con la necessariariqualificazione di tutto il persona-le con incarichi operativi.

CONSIDERAZIONI E PROPOSTE

La soluzione migliore può essereidentificata prendendo spunto dal-l’esame del modus operandi del carri-sta, a partire dai minori livelli.Il modulo elementare, ovvero l’enti-tà minima nell’impiego delle unitàcarri è rappresentato dall’equipag-gio, composto da quattro compo-nenti: capocarro, cannoniere, pilotae servente, che operano a bordo diun veicolo da combattimento svi-luppando automatismi e che l’adde-stramento e la reciproca conoscenzaportano a funzionare come entità

singola; equipaggio e mezzo opera-no in maniera sinergica come siste-ma d’arma unitario.Riqualificare il personale degli equi-paggi carri convertendoli in fucilierisignifica non solo riconfigurare ilmodulo elementare della specialità,ma anche la completa modifica delloro modus operandi. Ciò comporta,conseguentemente:• la rottura dei consueti vincoli or-

ganici e della relativa coesione;• la rimodulazione dell’addestra-

mento, per acquisire e assimilarea livello appropriato i necessari

automatismi caratteristici di unasquadra di fucilieri;

• il rischio di perdere sia l’attitudi-ne alla condotta di attività opera-tive a spiccata connotazione dina-mica sia l’amalgama sviluppatonell’ambito dell’equipaggio.

Allo scopo di limitare l’impatto diquanto sopra evidenziato, potrebbeessere opportuno valutare l’even-tualità di prevedere l’impiego degliequipaggi carri in operazioni tipoPSO/CRO, a bassa o media intensi-tà, per la condotta di attività spicca-tamente dinamiche, quali:• sicurezza di itinerari (pattuglia-

mento motorizzato, posti di con-trollo mobili...);

• scorta convogli (Logistici, CIMIC,assetti per bonifica di itinerari,VIP...);

• cinturazione di abitati;• Quick Reaction Force;• controllo di zone estese (posti di

osservazione temporanei, scher-mo...);

• base di fuoco per il fissaggio ofuoco di accompagnamento;

• deterrenza o azioni dimostrativesul territorio.

Per semplificare l’adattamento deiprocedimenti d’impiego, senza per-dere la peculiarità acquisita dal-l’equipaggio con l’addestramento dispecialità, possiamo prefigurarel’impiego efficace della pedina sem-plicemente facendolo transitare su

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Un VTLM «Lince» armato con Browningcal. 12,7 mm su sistema a controllo remotoHITROLE Light® e un defender armatocon Browning cal. 12,7 mm a controllo ma-nuale.

una tipologia di mezzo che, sebbenedifferente da quello di elezione, ilcarro da battaglia, possa tuttaviapresentare delle analogie seppurecon alcune evidenti limitazioni: ilVeicolo Tattico Leggero Multiruolo(VTLM) «Lince».A bordo di tali veicoli da combatti-mento, sebbene con i limiti derivantidal differente rapporto tra i canonicifattori della formula tattica (mobilità,protezione, potenza di fuoco), sareb-be possibile mantenere sostanzial-mente inalterati i vincoli organici,l’amalgama e gli automatismi caratte-ristici del modulo elementare carrista.Ciò in quanto capocarro, cannoniere,pilota e servente dovrebbero adattarecon poco sforzo le proprie attribuzio-ni specifiche al VTLM (rispettivamen-

te come capo veicolo, mitragliere,conducente e radiofonista). Quantoprecede comporterebbe evidenti van-taggi in termini di efficienza operati-va, maggiori di quelli derivanti dallasua trasformazione in team fucilieri.La recente immissione in servizio delsistema d’arma a controllo remotoHITROLE Light® (7) per il VTLM in-dividuerebbe nel carrista, già adde-strato quale cannoniere all’impiegodi ottiche e sistemi di brandeggio,l’operatore ottimale per il suo utiliz-zo; inoltre, rappresenterebbe la solu-zione ideale per riequipaggiare, nel

breve termine, una delle compagniedei reggimenti carri.Tale sistema d’arma, idoneo all’in-stallazione e impiego da posizioneprotetta di una mitragliatrice di ca-libro variabile dal 5,56 al 7,62 o 12,7mm, ovvero, in alternativa, di unlanciagranate automatico da 40mm,renderebbe possibile mantenere unaelevata e flessibile capacità di sup-porto di fuoco diretto, in particolarese equipaggiato con mitragliatrici

pesanti o lanciagranate automatici,rispetto alla minaccia rappresentatada gruppi di irregolari armati allaleggera, risultando un significativovantaggio in termini di volume difuoco e portata d’ingaggio.L’eventuale aggiunta di un sistemamissilistico c/c «Spike», impiegabi-le in alternativa da bordo del mezzoo appiedando capocarro e servente,consentirebbe di mantenere comun-que una capacità controveicolo.Questo aggiungerebbe una secon-daria ma significativa capacità diimpegnare alle consuete (per un

carrista) distanze di tiro, con la pre-cisione richiesta dall’esigenza, limi-tando al minimo i danni collaterali,installazioni fisse/speditive qualiedifici o sangar (8).Un’ulteriore importante dotazione at-ta a incrementare le già ben dimostra-te capacità di sopravvivenza del vei-colo in ambiente ostile, soprattuttonei casi di contatto diretto, è rappre-sentata dall’installazione di dispositi-

vi lancia artifizi nebbiogeni, già adot-tati da altri utilizzatori del mezzo,quali Regno Unito e Norvegia.Questi sistemi di autoprotezione do-vrebbero essere estesi a tutti i VTLMschierati in operazioni, indipendente-mente dalla versione; in questo caso,almeno come soluzione temporanea,i costi potrebbero essere contenuti re-cuperandoli dai veicoli dismessi dalservizio, quali VCC, carri «Leopard»,semoventi M109, ecc..Quanto ai procedimenti d’impiego,in contesto CRO/PSO, rimarrebbe-ro, nel complesso, inalterati, a menodell’addestramento necessario a fa-miliarizzare con le differenti caratte-ristiche di mobilità del veicolo, men-tre formazioni e settori di osserva-zione resterebbero gli stessi utilizza-ti nel movimento a bordo dei carri.

CONCLUSIONI

I reparti carri sono, quindi, chiamatia cambiare per adeguarsi ai nuoviruoli richiesti dai moderni scenarioperativi e ad assumere una capacitàbivalente, per continuare a essereprotagonisti del futuro della Forza

80 Rivista Militare

Sotto.Un Tiratore e un Servente britannici im-piegano il sistema d’arma missilistico c/c«Spike»

A destra.L’istallazione del sistema d’arma missili-stico c/c «Spike» su un VTLM «Lince».

Armata; con essa, in particolare, laspecialità carrista è chiamata alla tra-sformazione, distaccandosi in partedal proprio ruolo e dal proprio tradi-zionale mezzo da combattimento.Lo strumento più idoneo a realizzarequesta trasformazione in otticaPSO/CRO, mantenendo contestual-mente la consolidata attitudine allacondotta di attività operative caratte-rizzate da spiccata connotazione di-namica, può pertanto essere identifi-cato nel binomio rappresentato dalVTLM con sistema HITROLE Light®.I «Lince»/HITROLE Light®, attual-mente in acquisizione, risultanoquantitativamente commisurati aequipaggiare, nel breve termine,una compagnia di tutti i reggimenticarri delle due Brigate pesanti dellaForza Armata nonché ad essere im-piegati in numero consistente inTeatro Operativo.Ciò rappresenterebbe un significati-vo incremento della flessibilità edelle capacità delle unità carri, ren-dendole idonee a operare FuoriArea, a tutto vantaggio del manteni-mento delle capacità operative dellaspecialità, senza rischiare di snatu-rare completamente una componen-te che sarebbe difficile recuperarenella propria funzione elettiva nelmomento in cui dovesse tornare aesserci necessità di affrontare conte-sti operativi ad alta intensità.

Giacomo CassoneTenente Colonnello,

Comandante del Reparto Comando eSupporti Tattici «Mantova»

NOTE

(1) Discorso pronunciato in occasionedell’83° anniversario della Costituzionedella specialità carrista, Pordenone 1°ottobre 2010.(2) Per «modulo elementare» e «modulooperativo» si intendono, rispettivamente:• l’entità minima di personale - con un

elemento leader, equipaggiamenti edotazioni - organizzata e addestrataper rendere operativo un sistema

d’arma o un mezzo da combattimen-to, in grado di operare secondo proce-dimenti tecnico-tattici nell’ambito del«modulo operativo»;

• l’aggregazione di due o più «modulielementari» per l’assolvimento di uncompito, mediante un’azione tatticalimitata nel tempo e nello spazio, svi-luppata secondo procedimenti di im-piego standardizzati. Ai fini ordinati-vi, può assumere la configurazioneorganica di plotone o sezione.

(3) http://www.defenseindustrydaily.com/tanks-for-the-lesson-leopards-too-for-canada-03208/.

(4) http://www.army.forces.gc.ca/caj/documents/vol_10/iss_4/CAJ_vol10.4_03_e.pdf.(5) http://www.casr.ca/ft-leopard-2a5-denmark-2.htm.(6) Israeli armor shows its mettle, «Defen-se Technology International», May 2011.(7) http://www.otomelara.it/EN/Common/files/OtoMelara/pdf/bu-s i n e s s / n a v a l / s m a l l C a l i b r e s /12_7mmLight.pdf.(8) Termine coniato dal British Indian Ar-my di epoca coloniale per descrivere unapiccola postazione fortificata speditivarappresentata da un parapetto in pietre,caratteristico della Frontiera nord-occi-dentale e in Afghanistan. La parola è statamutuata dalla lingua Hindi e dal Pashto ederiva originariamente, probabilmente,dalla parola Persiana «sang», «pietra».

81n. 3 - 2012

Sopra.Due possibili istallazioni di lancia-nebbiogenisul VTLM «Lince».

La rivisitazione di avvenimenti sto-rici, avendo a disposizione tutte leinformazioni necessarie e utili acomprenderne il reale significato,permette di cogliere e assimilare in-segnamenti del passato che possonotrovare applicazione anche nel pre-sente. In quest’ottica si inserisconoalcune iniziative a connotazione

prettamente militare quali:• il Battlefield Tour;• lo Staff Ride.Il concetto di Battlefield Tour è statomutuato dal mondo anglosassone esi configura come una visita a unoo più luoghi di una campagna/ope-razione militare occorsa nel passa-to. Esso non presuppone uno stu-

dio preliminare degli avvenimenti epuò essere molto limitato e pocodettagliato. Quando è condotto daun esperto, può stimolare il pensie-ro e incoraggiare la discussione frai partecipanti, anche se entro i limitidi una preparazione preliminarecarente in termini di livello di ap-profondimento degli eventi. In sin-tesi, il Battlefield Tour utilizza unterreno e una situazione storica manon prevede una fase preparatoriadi studio.Lo Staff Ride, al contrario, si basa su:• lo studio sistematico di una parti-

colare campagna/operazione mi-litare;

• accurate visite sui siti associati allacampagna/operazione prescelta;

• l’opportunità di assimilare e inte-grare gli insegnamenti/ammae-stramenti da esso derivanti.

In sintesi, collega un evento storico,un metodico studio preliminare e ilreale terreno, allo scopo di analizza-re una battaglia in maniera tridi-mensionale.Normalmente si articola in tre di-stinte fasi:• studio preliminare;• approfondimenti sul terreno;• integrazione dei risultati/insegna-

menti.Pertanto, lo Staff Ride rappresentaun’opportunità metodologica unicaper far convergere gli insegnamentidel passato verso l’attuale leadershipper applicazioni in attuali e/o futu-re operazioni.In questo contesto si inserisce l’atti-vità condotta dalla Divisione «Ac-qui», denominata Operazione «Cas-sino», svoltasi dal 21 al 23 novem-bre 2011 in alcune significative loca-lità della battaglia (quota 593, ColleAbate, Monte Cifalco), cui hannopartecipato i key elements dello staffdivisionale. Tuttavia, tale iniziativa,pur essendo stata associata a unBattlefield Tour, nella realtà si collocaa metà strada fra esso e uno Staff Ri-de poiché, pur cogliendo e svilup-

82 Rivista Militare

LE DECISIONI STRATEGICHE DEGLI ALLEATIE DEI TEDESCHI DURANTE LA BATTAGLIA

GENNAIO - MAGGIO 1944

L’Operazione «Cassino», svoltasi dal 21 al 23 novembre 2011 e condottadalla Divisione «Acqui», è stata una rivisitazione della famosa campagna,in chiave prettamente militare, per trarne insegnamenti utili anche per ilpresente, su un modello a metà strada tra il Battlefield Tour e lo Staff Ri-de. Si è voluto infatti approfondire quegli eventi anche giovandosi di stu-di e testimonianze oltre che con la conduzione di specifiche visite tenden-ti ad analizzare i combattimenti, le relazioni Comando e Controllo, la lea-dership, la logistica e la realtà della guerra. È emerso chiaramente comequesta campagna sia un importante esempio in cui la superiorità dellatecnologia militare può a volte essere vanificata per lungo tempo dagliimpedimenti opposti dal terreno e dalla tenacia della difesa.

BATTLEFIELDTOUR

«CASSINO ’44»

L’Abbazia di Montecassino oggi.

pando aspetti dell’uno e dell’altro,non sfocia apertamente in una delledue tipologie. Infatti, pur non es-sendo stata preceduta da un appro-fondito studio preliminare, ha certa-mente giovato dell’apporto di stori-ci, studiosi, appassionati e testimonidurante le visite ad alcuni luoghidella campagna/operazione, perterminare con l’individuazione diinsegnamenti e considerazioni ap-plicabili alle moderne operazioni eraccolte organicamente nel presentedocumento finale. Perciò, coniandoun nuovo termine, questa esperien-za può essere definita come BattleRide oppure Staff Tour.Gli obiettivi dell’operazione eranoquelli di studiare e analizzare:• le relazioni di Comando e Con-

trollo e Comunicazioni utilizzatedagli Alleati e dall’Asse;

• leadership e processo decisionale;• combattimenti particolari (forza-

mento di un corso d’acqua e com-battimenti negli abitati);

• combattimenti particolari (com-battimenti in montagna);

• operazioni aeree e joint;• la componente multinazionale e la

realtà della guerra;• il sostegno logistico;• la protezione dei beni culturali e

della popolazione civile; • media/influence operations; al fine di trarne insegnamenti dapoter considerare/applicare agli at-tuali scenari operativi.Il Comando Divisione «Acqui» hanominato un Nucleo Organizzativoper assicurare la corretta pianifica-zione e condotta dell’operazione.

I PRESUPPOSTI POLITICO-MILI-TARI DELLA BATTAGLIA

Nello studio di questa materia spes-so ci si accorge che le teorie di vonClausewitz (1) della connessione traguerra e attività politica trovanoun’ampia applicazione nelle batta-glie del secondo conflitto. La batta-glia di Cassino, oltre a possedere ta-le specifica, rappresenta un episodio

importante dove la superiorità dellatecnologia militare ha dovuto cedereil passo agli impedimenti del terre-no e al valore, sommato alla tenaciacombattiva, delle unità a difesa.La battaglia di Cassino si inquadraall’interno degli episodi bellici pre-cedenti ai suoi fatti d’arme.L’invasione del Nord Africa causòall’Asse la distruzione delle Armateitalo/tedesche, privando l’Italia delsuo Impero coloniale e assicurandouna base alle forze alleate per lesuccessive operazioni in territorioitaliano. L’invasione della Sicilia accelerò ilcollasso del regime fascista; la vitto-ria alleata, infatti, fu una sorpresaper gli italiani che, grazie alla pro-paganda, erano convinti che gli in-vasori sarebbero stati respinti. Lo sbarco a Salerno (2) nel settembredel ’43 e il ritardo impostogli dai te-

deschi diedero al Generalfeldmar-schall Albert Kesselring (3) il tempodi organizzare il fronte di Cassinoche con la liberazione di Mussolinigettò le basi per un governo re-pubblicano nell’Italia centro set-tentrionale. Tale scontro ebbel’apice della sua drammaticità nel-le tre fasi della sanguinosa batta-glia di Cassino.Quest’ultima, legata a implicazionidi natura politico-strategica, rappre-senta tatticamente la sola battagliadifensiva della Seconda GuerraMondiale con caratteristiche dellebattaglie difensive della Prima; ciòsia per l’addensarsi di forze notevo-li in un ristretto spazio, sia perl’esteso sistema difensivo.L’origine della battaglia trova collo-cazione nel sistema difensivo tede-sco meglio noto come «Linea Inver-nale». La «Linea “B”» («Bernhardli-

83n. 3 - 2012

LA BATTAGLIA DI CASSINO E DEL GARIGLIANOLe origini della Battaglia

ne» o «Reinhardt») o «Linea Inverna-le» per gli Alleati correva dal-l’Adriatico al Tirreno, seguendo i ri-lievi sulla riva sinistra del fiumeSangro fino a Casoli, per poi diri-gersi verso le pendici della Maiella.Successivamente assumeva un an-damento quasi meridiano lungol’allineamento Maiella-M. Arasecca(Castel di Sangro)-Castel S. Vincen-zo. Da qui formava un primo salien-

te che seguiva le alture a destra delfiume Volturno fino a sfiorare i din-torni ovest di Venafro; formava,quindi, un secondo saliente che ab-bracciava i monti Sammucro, Cesi-ma e Camino e, infine, dopo aver at-traversato il Garigliano all’altezzadelle colline a sud di S. Andrea se-guiva le alture sulla riva destra ditale fiume fino al mare (spiaggia diScauri).Questa Linea presentava anche al-

cune posizioni antistanti di sicurez-za e di mascheramento in corri-spondenza della media valle delSangro e del basso Garigliano. Perdarle profondità, inoltre, era statopredisposto, a tergo, un sistema dilinee poste a cavallo del fascio ope-rativo tirrenico (ritenuto più perico-loso), tale da costituire, insieme alla«Linea Invernale», una triplice bar-riera per qualsiasi direttrice di pe-netrazione Alleata. Tale sistema eracostituito:• dalla Linea «G» o «Gustav» (Castel

di Sangro-Alfedena-pendici delmonte La Meta-pendici delle Mai-narde-riva destra del fiume Rapi-do-San Ambrogio-San Andrea;

• dalla Linea «D» o «Dora» (Atina-M. Cairo-Piedimonte-San Germa-no-Aquino-Pontecorvo-MonteD’Oro-Monte Petrella-Formia);

• dalla Linea «H» o «Hitler» (o«Senger Line» dal nome del suocostruttore) coincidente con la Li-nea «D» da Atina a Pontecorvo eproseguente, dopo tale località,secondo l’andamento Pico-Fondi-Terracina. Tale Linea, corrispon-dente alla dislocazione delle riser-ve, come già accennato, aveva loscopo di tamponare eventuali pe-netrazioni di formazioni corazzatealleate.

Questa sistemazione era coerentecon l’organizzazione difensiva tede-sca, già attuata su altri fronti, che eraimpostata su sistemi difensivi, di-stanziati tra loro circa 80 km, ciascu-no dei quali comprendeva «una zo-na di sicurezza», «una posizione diresistenza» e una «zona delle riser-ve» avente complessivamente unaprofondità variabile da 6 a 20 km cir-ca secondo la natura del terreno.La massima profondità, ovviamen-te, veniva raggiunta nei terreni pia-neggianti, dove la «zona di sicurez-za» era profonda 6-7 km, e la mini-ma in terreni montani, ove le zonedelle riserve avevano una profondi-tà di 3-5 km e distavano fra loro fi-no a 3 km.L’organizzazione della zona delleriserve era simile a quella della po-

84 Rivista Militare

L’Abbazia di Montecassino dopo il bombar-damento.

Sopra e sotto.L’Abbazia di Montecassino durante e dopo ilbombardamento del 1944.

sizione di resistenza; vi potevanoessere costruite trincee e cammina-menti e non dovevano mai mancareostacoli anticarro.Nell’organizzazione della «LineaInvernale» questi criteri erano statiapplicati quasi integralmente:• la «posizione di resistenza» era

costituita dalla Linea «Bernhardt»,la quale aveva alcune posizioniantistanti costituenti, nel comples-so, le «zone di sicurezza». La posi-zione di resistenza aveva un rad-doppio sia in corrispondenza deltratto più sensibile del fronte, daCastel di Sangro a S. Andrea (Li-nea «Gustav»), che in corrispon-denza del tratto da S. Andrea almare (Linea «D» o «Dora»);

• la «zona delle riserve» era costitui-ta dalla Linea «H» (o «Senger Line»)per l’intero tratto Atina-Pontecor-vo-Fondi-Terracina.

La «Linea Invernale», dovendo as-solvere soltanto la funzione di im-porre un tempo di arresto, era com-posta da una catena di caposaldinon collegati fra loro, il cui nucleoera costituito quasi sempre dallesommità dei monti o dai paesiniche, come castelli, troneggiavanosulle cuspidi delle montagne. Que-sta seconda soluzione consentiva,oltretutto, una buona protezione delpersonale dai rigori dell’inverno.La Linea «Gustav», invece, era den-samente presidiata, specialmentenel tratto a cavallo della Stretta diMignano.I criteri ai quali si ispiravano gli ap-prestamenti difensivi delle singoleposizioni erano i seguenti:• che consentissero in ogni caso un

sicuro ripiegamento dei difensori;• che godessero di ottime condizio-

ni di osservazione del propriocampo di tiro;

• che fossero in grado di attirare ilnemico in zone più idonee allacondotta di contrattacchi affidatiai piccoli reparti tenuti, fino almomento dell’azione, in sicuri ri-fugi blindati o in caverne per agi-re alle brevissime distanze.

Oltre a ciò, grande importanza veni-

va attribuita all’ostacolo naturale in-tegrato da ostacoli artificiali.Le demolizioni realizzate, in effetti,furono così numerose che spesso,da sole, erano sufficienti ad arresta-re per qualche giorno l’avanzata.Tali linee erano integrate da una se-rie di allagamenti, attuati lungo lazona costiera, che limitavano iltransito alla sola ferrovia e rotabiliprincipali creando anche una com-partimentazione del terreno utileper isolare eventuali formazionisbarcate dal mare e condizionarneil movimento.

La costruzione delle fortificazionidella Linea «Gustav», diretta dal Ge-nerale del genio Bessel, fu eseguitada unità pionieri, reparti ausiliariitaliani e battaglioni orientali; quelladella Linea «Bernhardt», invece, dal-le stesse truppe combattenti.L’orientamento della concezione di-fensiva tedesca a condurre una dife-sa efficace in corrispondenza della«Linea Invernale», richiedendo unammassamento di forze a ridosso diessa, creava una vasta zona di vul-

nerabilità sul tergo, dove un even-tuale sbarco alleato avrebbe potutoseriamente minacciare la via dellaritirata del grosso delle forze. Ciotuttavia costituiva un «rischio calco-lato» per i tedeschi. Essi, infatti,proprio in previsione di una possi-bile interruzione delle vie Appia eCasilina, avevano predisposto unpiano di ritirata così articolato:• le unità che si trovavano nel setto-

re nord del versante tirrenico sisarebbero ritirate seguendo l’iti-nerario Atina-Opi-Pescina-Cela-no-L’Aquila;

• le unità ubicate nel settore centra-le (valle del Liri) si sarebbero rac-colte in aree da dove avrebberoiniziato la ritirata lungo l’itinera-rio Sora-Avezzano-Rieti;

• le unità del settore sud si sarebbe-ro concentrate a Fondi, da doveavrebbero iniziato la ritirata se-guendo l’itinerario Vallecorsa-Ceccano-Frosinone-Subiaco-Car-soli-Rieti;

• infine, i nuclei di vigilanza costie-ra, trattenuti fino all’ultimo a Ter-racina, si sarebbero raccolti nellazona di Priverno e si sarebbero ri-tirati seguendo l’itinerario Carpi-neto-Colleferro-Valmontone-Pale-

85n. 3 - 2012

Particolare dell’Abbazia dopo il bombarda-mento.

strina-Tivoli-Passo Corese (sullaSalaria). Qui avrebbero organizza-to una resistenza per dare tempoalla massa in ritirata sulle viemontane di sboccare nella Concadi Terni.

È interessante constatare come laconcezione difensiva tedesca si siadovuta basare su ipotesi non suffra-gate da sufficienti dati informativi.Tale situazione limitava la libertàd’azione dei difensori facendo,quindi, prevedere la necessità di in-terventi da decidere sul momentoladdove si fosse presentata la mi-

naccia. Inoltre la soluzione del pro-blema operativo era complicata:• dalla insicurezza delle predisposi-

zioni difensive costiere per man-canza di adeguati mezzi navali eaerei atti a impedire uno sbarco;

• dalla scarsità di ricognizione ae-rea atta a individuare per tempo imovimenti del nemico;

• dalla difficoltà di assicurare i ri-fornimenti alle proprie forze acausa del dominio aereo da partedegli Alleati, della insufficienza

della rete stradale e ferroviaria edelle limitazioni imposte dalla na-tura montuosa del territorio.

Tutti questi motivi davano valorealla scelta della Linea «Gustav» perarrestare l’avanzata del nemico. Es-sa infatti presentava sostanzialmen-te soltanto due alternative per l’at-taccante: o tentare di sfondare incorrispondenza della Stretta di Mi-gnano con l’impiego di ingenti for-ze corazzate o attaccare nei settorimontani.Scartata la seconda ipotesi, in quan-to ritenuta più onerosa e lenta non-

chè improbabile, stante la mancanzadi truppe da montagna nel campoavversario, non rimaneva che la pri-ma. Questa risultava oltremodo ri-schiosa per i tedeschi qualora fossestato attuato dagli Alleati un aggira-mento dal mare; ma, da calcoli fatti,il Generalfeldmarschall Albert Kessel-ring riteneva che in tal caso vi sa-rebbe stata la possibilità (poi verifi-catasi) di tenere il fronte principalefintantochè l’avversario non avessecostituito una minaccia seria per levie di ritirata predisposte, come ab-biamo visto, nella zona internamontana. A questo si deve aggiun-gere l’efficienza combattiva dei re-parti tedeschi, la loro abilità nellosfruttare il terreno e la rapidità con

la quale i Comandi germanici sep-pero fronteggiare ogni situazioneimprevista.Non si può dire altrettanto dellaMarina e dell’Aeronautica che, dal-l’inizio del 1943, non furono in gra-do di sostenere adeguatamente leoperazioni terrestri.

LA PRIMA FASEDELLA BATTAGLIA(NOVEMBRE 1943-GENNAIO 1944)

La prima fase della lotta riguardaval’offensiva alleata contro la «LineaInvernale» e l’apertura di una brec-cia in corrispondenza del bacino delfiume Rapido.La pianificazione operativa del XVGruppo d’Armate prevedeva un’azio-ne offensiva convergente su Roma daparte di due Armate con un’operazio-ne anfibia sulle coste del Tirreno.L’operazione era stata prevista in tretempi successivi:• primo tempo (20 novembre): at-

tacco dell’8a Armata britannicacon obiettivo la fronte Collarme-le/Popoli/Pescara al fine di mi-nacciare da Avezzano il tergo del-le truppe tedesche schierate nellavalle del Liri;

• secondo tempo (1° dicembre): at-tacco della 5a Armata lungo lavalle del Liri/Sacco, a cavallo del-la via Casilina, con obiettivo Fro-sinone;

• terzo tempo (20 dicembre): sbarcoa tergo dell’ala destra tedesca inmodo da favorire l’avanzata della5a Armata su Roma.

Rotta la «Linea Invernale», si ritene-va che l’avanzata potesse procederecelermente sino a raggiungere Fro-sinone. Attuato tutto ciò, avrebbe potutoaver luogo l’operazione di conver-genza delle Armate su Roma, obiet-tivo della battaglia.L’8a Armata, a causa del cattivotempo, dovette rimandare l’attaccodal 20 al 28 novembre. Nonostanteciò l’Armata ebbe un inizio moltopromettente tanto che i reparti del

86 Rivista Militare

L’allora Comandante della Divisione «Acqui»,Generale di Brigata Rosario Castellano, e ilSindaco di Cassino, Avvocato Petrarconi, fir-mano il Protocollo d’Intesa presso il Comunedi Cassino.

V Corpo d’Armata, appoggiati dal-l’aviazione, conquistarono Lancianoe S. Vito Chietino (4 dicembre). Tut-tavia, la resistenza dei tedeschi an-dò accrescendosi su tutta la frontedel V Corpo ove furono sviluppativiolenti contrattacchi.Sulla fronte del XIII Corpo d’Armatala tenace resistenza della 1a DivisioneFallschirmjäger tedeschi (4) rese im-possibile ogni tentativo inglese dispingersi avanti. A causa di ciò, l’8a

Armata fece una breve sosta al fine diridisegnare il dispositivo per ripren-dere le operazioni il 10 dicembre. I tedeschi rinforzarono il loro siste-ma difensivo con l’afflusso della334a Divisione di fanteria e della 26a

Divisione corazzata, protraendo lalotta di logoramento sino a Natale.La 5a Armata, il 1° dicembre, iniziòla preparazione aerea e il giornosuccessivo quella d’artiglieria conti-nuando sino al 4 dicembre. L’attac-co delle fanterie ebbe inizio il 1° di-cembre nella zona di Calabritto;successivamente l’attacco fu spintoa fondo verso la regione di Valleno-va/Monte Maggiore. SolamenteMonte Maggiore venne occupato;sul resto della fronte investita, attac-chi e contrattacchi continuarono si-no alla sera dell’8 dicembre e si con-clusero con la conquista di MonteLa Remetane e di Rocca d’Evandro(raggiungendo la zona di confluen-za Peccia/Garigliano). Un fiancodella stretta era caduto e gli Alleatisi erano attestati lungo tutto il bassocorso del Garigliano. L’8 dicembre, il 1° RaggruppamentoMotorizzato Italiano e la 3a Divisio-ne attaccarono la fronte Monte Lun-go/S. Pietro Infine/Monte Sammu-cro. Tuttavia, l’attacco non ebbesuccesso e alla sera gli elementiavanzati furono fatti ripiegare sullabase di partenza.Il 15 dicembre riprese l’attacco sullafronte tra Monte Maggiore e MonteSammucro; l’attacco contro MonteLungo fu protetto lungo il suo fian-co sinistro dal possesso di MonteMaggiore e dalla bassa val Peccia.La lotta durò sino al 17 quando i te-

deschi cedettero ripiegando verso lafine del mese sulla pre organizzataLinea «Gustav».Con il ripiegamento tedesco sullaLinea «Gustav» ebbe fine la primafase della battaglia e il piano alleatodi raggiungere rapidamente Romadoveva considerarsi fallito.

SECONDA FASE.LOTTA DI LOGORAMENTOINTORNO A CASSINOE SBARCO AD ANZIO(GENNAIO-MARZO 1944)

La nuova pianificazione degli Al-leati nacque il 25 dicembre alla con-ferenza di Tunisi, dove Churchill

sollecitò l’occupazione di Roma. Altermine, non ritenendo probabileun aumento, a favore dei tedeschi,delle forze contrapposte sul Gari-gliano (dato il predominio aereo al-leato) si decise di persistere nell’of-fensiva, concentrando però gli sfor-zi nel solo settore Rapido/Gariglia-no, con la solita operazione anfibiasu Anzio.

La 5a Armata avrebbe agito a caval-lo della via Casilina e dal basso Ga-rigliano completandosi con lo sbar-co ad Anzio, mentre l’8a Armataavrebbe effettuato azioni dimostra-tive lungo il litorale adriatico.Intendimenti e compiti particolaridei tedeschi furono sintetizzati dal-l’ordine del giorno di Hitler in cui siprecisò che la Linea «Gustav» dove-va essere tenuta a ogni costo.L’offensiva, iniziata il 12 gennaio, fuintensificata il 21 tanto che la 26a

Divisione riuscì ad affermarsi salda-mente sulla destra del Rapido occu-pando Cairo (26 gennaio) e concen-trando la lotta verso Cassino. Con-temporaneamente il C.E.F. (CorpsExpeditionnaire Français) non ottenne

risultati apprezzabili. Sul Gariglia-no, il X Corpo d’Armata, nonostan-te validi tentativi di aggiramento,non concluse nulla a causa dei con-trattacchi tedeschi. Ai primi di feb-braio, gli Alleati constatarono il fal-limento dell’attacco della 5a Arma-ta; le forze tedesche, impiegate abil-mente, erano riuscite a impedirel’avanzata verso valle del Liri difen-dendo i pilastri di Montecassino edi Monte Maio e impedendo la con-giunzione della 5a Armata con leunità sbarcate ad Anzio.Imputato il fallimento a una man-

87n. 3 - 2012

L’incontro del Comandante della Divisione«Acqui» con l'Abate di Cassino (SuaEccellenza Mons. Vittorelli).

cata gravitazione, fu deciso che glisforzi sarebbero stati concentrati incorrispondenza di Cassino (II Cor-po d’Armata) che sbarrava l’acces-so alla valle del Liri. La 4a Divisio-ne, muovendo da Monte Castello-ne/Colle Maiola, doveva puntaretra Colle S. Comeo e Colle d’Ono-frio per raggiungere la fronte quo-ta 593/altura dell’Abbazia. La 2a

Divisione avrebbe agito a sud del-l’abitato di Cassino per forzare ilpassaggio del Rapido. Le due Divi-sioni, poi, avrebbero continuatol’avanzata a cavallo della via Casi-lina. Per agevolare l’attacco, il Co-mando alleato autorizzò, su richie-sta del Generale Freyberg (5), (Co-mandante del V Corpo) il bombar-damento della celebre Abbazia diMontecassino (6) (distrutta il 15febbraio). L’attacco, però, fu stron-cato dall’inizio e il 16 iniziò la con-troffensiva tedesca contro le unitàsbarcate ad Anzio che, dopo inizia-li successi, si esaurì per la resisten-za opposta dagli Alleati appoggiatidall’aria e dal mare.Il Comando alleato riprese l’offensi-va con un obiettivo ancora più limi-

tato del precedente, l’altura di Mon-tecassino. L’attacco iniziò il 18 mar-zo con la preparazione dell’aviazio-ne e d’artiglieria. Dopo aver com-pletamente distrutto l’abitato diCassino e il rilievo del Castello, lalotta si protrasse sino al 23 marzoallorquando il Comando alleato so-spese l’azione, rafforzandosi sulleposizioni raggiunte (Colle S. Co-meo/Altura del Castello nord-est diCassino/stazione ferroviaria). Falli-to il terzo attacco, era conclusa la se-conda fase della battaglia.

LA TERZA FASE.LA ROTTURA E IL TENTATIVODI AGGIRAMENTO(11 MAGGIO-4 GIUGNO 1944)

Il XV Gruppo di Armate non modi-ficò quanto pianificato per la se-conda fase della battaglia, stabilen-do lo sforzo principale (8a Armata),lungo la valle del Liri/Sacco, a ca-vallo della via Casilina, con obietti-vo Roma; la 5a Armata doveva faci-litarne la manovra agendo sul fian-co sinistro. La libertà d’azione la-sciata ai Comandanti delle Armatemodificò la condotta del Coman-dante del XV Gruppo di Armate(invece di un’azione frontale sulGarigliano e poi aggirante con lo

sbarco di Anzio, la 5a Armata effet-tuò lo sforzo principale occupandoRoma).I tedeschi, che possedevano un’or-ganizzazione difensiva notevole(specialmente a nord della via Casi-lina), avevano delle forze di presi-dio di modesta entità con scarso ap-poggio d’aviazione. Accuratissima,come sempre, l’organizzazione delfuoco e del contrattacco.L’11 maggio iniziò una preparazionedi artiglieria che si estese subito sututta la fronte del Garigliano/Rapi-do. Gli Alleati non ottennero dei ri-sultati decisivi sino al 14, allorquan-do la situazione si sviluppò favore-volmente conquistando Monte Maioe arrivando nella valle dell’Ausentesino a S. Apollinare e S. Giorgio. Il 15maggio avvenne la rottura della posi-zione avanzata dell’organizzazionedifensiva tedesca con la conquista diSpigno Saturnio sino ad arrivare allaconca di Ausonia. Il 16 vide l’avanza-re della fanteria marocchina, mentreil 17 la resistenza dei tedeschi a For-mia ne determinò una sosta.Il giorno 18 e 19 si ebbero dei fortiscontri nei dintorni di Formia peruna serie di contrattacchi tedeschi,mentre il 20 avvenne la rottura defi-nitiva dell’intera organizzazione di-fensiva tedesca. Le avanguardie delII Corpo d’Armata statunitense rag-giunsero Fondi il 22, mentre ilC.E.F. (7) occupò Campodimele e laconca di Pico sino a Pontecorvo.Nello stesso periodo si sviluppava-no i seguenti avvenimenti sullafronte dell’8a Armata da parte del IICorpo d’Armata polacco. Dopo al-cuni tentativi, il 17 il Corpo d’Ar-mata polacco occupò quota 593; il18 quota 479 e Messeria Albaneta eanche l’Abbazia; la 5a Divisione, in-vece, occupò Colle S. Angelo. Incomplesso il 20 maggio veniva rag-giunta la Linea: Gaeta/Itri/Fondi(II Corpo d’Armata); Campodime-le/Pico/Monte Marrone (C.E.F.);Pontecorvo/San Germano (XIIICorpo d’Armata britannico e II Cor-po d’Armata polacco).Il 24, il II Corpo d’Armata america-

88 Rivista Militare

Il Comandante della Divisione «Acqui» conil Sindaco di Mignano Montelungo e ilDirettore del Sacrario.

no raggiungeva l’Amaseno/Valle diRoccasecca dei Volsci; il C.E.F. lafronte Amareno/Pasterna/S.Gio-vanni Incarico; il XIII Corpo il Fiu-me Melfa.Intanto, era stato deciso di attaccareanche dalla testa di sbarco di Anzioin direzione nord-est, per Cisterna eCori-Valmontone. L’attacco ebbeinizio il 23 e dopo quattro giorni dicombattimento gli Alleati raggiun-sero i dintorni di Lanuvio, Velletri,Valmontone e Artena.Il 29, con l’85a Divisione, fu ripresal’avanzata su Velletri mentre il 30

maggio si raggiunse Velletri. L’8a

Armata, superate le difese di Mel-fa, occupava il 28 maggio Arce e il30 Frosinone (9 Divisioni su di unafonte di 8 km).Da Frosinone il XIII Corpo d’Arma-ta puntò su Arsoli mentre il I Corpod’Armata su Ferentino e Anagni. La5a Armata puntava vittoriosa su Ro-ma non solo per la via Appia ma an-che per la via Casilina, preventivata,nei piani, per l’avanzata dell’8a Ar-mata. Il 4 giugno i primi reparti del-la 5a Armata raggiunsero Roma. Labattaglia di Cassino era conclusa.

CONSIDERAZIONIPOLITICO-MILITARI

Il Generale Marshall ebbe a dire nel-la sua relazione che gli Alleati vole-vano eliminare l’Italia, ma volevanoanche evitare di creare, «un baratroin cui finissero con l’essere assorbite lerisorse destinate all’azione di attraver-samento della Manica». Ciò spieghe-rebbe l’assegnazione di unità etero-genee e non fra le migliori disponi-bili. Tuttavia, non si spiega il proce-dimento operativo, non certo bril-lante, seguito nella condotta dellabattaglia, in considerazione delleforze superiori a disposizione e diuno strumento logistico di enormepotenziale all’interno di un ambien-te favorevole. Lo sviluppo della bat-

taglia, poi, non soddisfò neppure glistessi vincitori, tanto che il Coman-dante della 5a Armata dovette ri-spondere a una commissione d’in-chiesta della sua azione di coman-do. Egli fu prosciolto perché la con-dotta era legata alla scelta (non ade-guata alla realtà del terreno) di con-durre le operazioni solo a cavallodelle grandi vie di comunicazione,con grosse colonne motorizzate,precedute da avanguardie di carriarmati e appoggiate da aerei, cer-cando di limitare al massimo l’im-piego diretto della fanteria.

La mentalità delle grandi possibilitàdi manovra, nonostante l’ambientegeofisico, sfruttato da un avversariocapace e tenace, fu lenta a morire; nonci si rese conto che, in terreni monta-ni, anche con rilievi modesti ma im-pervi, dove le comunicazioni sono li-mitate e facilmente interrompibili, ba-stano poche forze, decise a difendersi,per rendere eccezionalmente forteuna posizione difensiva a un attaccoeseguito a base di macchine. Gli inutili sforzi sulla «Linea Inver-nale», gli attacchi in gennaio sul bas-so Rapido, i tentativi contro Cassinodelle Divisioni motorizzate america-ne e ancora le azioni di febbraio e dimarzo fecero tornare in primo pianola normale fanteria, adeguatamenteequipaggiata per muovere e com-battere su ogni tipo di terreno. Il me-rito, infatti, del vittorioso epilogodella battaglia va attribuito alle Di-visioni di fanteria marocchine, che,con il loro equipaggiamento damontagna, poterono raggiungereper l’alto i centri vitali logistici del-l’avversario, la cui conquista deter-minò di fatto la caduta dell’organiz-zazione difensiva tedesca.La manovra di aggiramento delleunità tedesche sul Garigliano, oltrea quanto detto, fallì perché gli Al-leati consideravano erroneamenteRoma il fulcro logistico delle unitàtedesche ritenendo che, intercettan-do le comunicazioni con la Capitale,lo schieramento sul Garigliano nonpotesse reggere.La manovra alleata prevedeva chele unità sbarcate ad Anzio si sareb-bero dirette verso i Colli Albani, ta-gliando la via Appia e poi la via Ca-silina (dove quest’ultima più si av-vicinava alla testa di sbarco). Tutta-via, con un’azione più decisa suValmontone si sarebbe sfruttata lasorpresa tattica subita dal Comandotedesco, che attendeva lo sbarconella zona di Civitavecchia.La condotta, infine, della battagliadel Garigliano da parte alleata pre-senta delle serie deficienze.Le varie fasi della battaglia furonopianificate, organizzate e condotte

89n. 3 - 2012

Il Project Officer del Battlefield Tour«Cassino 2011» e suoi collaboratori con ilComandante della Divisione «Acqui» pressoColle Abate, quota 592.

sulla stessa falsariga. Ogni pianifica-zione, infatti, non deve essere similealla precedente perché si rinuncia al-l’elemento sorpresa (interamente e/oparzialmente); un’azione attesa dalnemico, in una direzione prevista egià sfruttata, ha ben poche probabili-tà di riuscita.Altro elemento è la tardiva valuta-zione delle limitazioni operativedell’ambiente montano (se organiz-zato a difesa) al movimento e al-l’azione di masse motorizzate noncoadiuvate da unità di fanteria non-chè l’eccessiva importanza attribui-ta allo sbarco di Anzio nel quadrogenerale della battaglia (peraltronon pienamente sfruttato).La «Gustav» trae la sua origine dallascelta politica di Hitler di attuare ilpiano di Kesselring nel bloccare gliAlleati nell’Italia centrale. Gli osta-coli incontrati nella battaglia delGarigliano hanno generato idee po-co esatte sulla sistemazione difensi-va tedesca. Per contrastare la minac-cia di uno sbarco alleato sul medioTirreno, il Comando tedesco predi-spose un ripiegamento delle unitàverso direzioni previste. Tale mec-canismo permise di continuare la

resistenza sul Garigliano alimentan-do con regolarità la battaglia con leunità al sicuro da ogni minaccia.La reciproca fiducia tra Comandi eunità è stata una delle ragioni del-l’accanita resistenza durante la pri-ma e la seconda fase della battaglia,nonché dell’ordinato ripiegamentoalla fine della terza fase. Tuttavia, leoperazioni tedesche in Italia, e la lo-ro libertà d’azione, furono influen-zate da considerazioni politiche e,pertanto, le decisioni non furonoconseguenza solamente di valuta-zione della situazione militare.Dopo la seconda fase della battagliadivenne evidente che non sarebbestato possibile resistere ulterior-mente alla potente pressione alleata,tanto da destare sorpresa che il Co-mando tedesco abbia ugualmentedifeso strenuamente le posizioni te-nute invece di mirare a conservarele proprie forze rifiutando la batta-glia e logorando l’avversario conuna manovra di ripiegamento. For-se su tale decisione avranno influi-to, oltre le ragioni politiche (inter-venti di Hitler, effetti propagandi-stici della conquista di Roma, ipote-si di Hitler di poter rapire il Papa)anche la buona disposizione tatticadelle posizioni occupate e lo statoavanzato dei lavori di fortificazione.Tuttavia, un ripiegamento avrebbe

vanificato la preparazione offensivadegli Alleati che sarebbero stati co-stretti a fermarsi e logorarsi sulleposizioni delle riserve procedendolentamente a causa delle predisposi-zioni difensive avversarie.In caso di ripiegamento, infatti, l’of-fensiva alleata per la presa di Romasarebbe stata rimandata per attuarela preparazione di un nuovo attaccoin forze. Tutto ciò deriva dal fattoche gli Alleati ebbero gravi preoccu-pazioni durante i primi giorni del-l’offensiva appunto perché credeva-no che i tedeschi volessero sottrarsialla battaglia facendo cadere il loroattacco nel vuoto. Il 4 giugno, la 5ªArmata entrò a Roma, ma l’attenzio-ne alleata era già da un’altra parte.Partiva l’Operazione «Overlord» (8),in Francia, che assorbì tutte le risor-se umane e materiali degli Alleati, eil fronte italiano venne ad assumereun’importanza secondaria. La cam-pagna in Italia, per questo motivo,durò ancora un anno e terminò conla resa delle unità tedesche poco pri-ma del suicidio di Hitler nel «bun-ker» della Cancelleria di Berlino.

DECISIONI STRATEGICHE

La conquista della Sicilia assicuròun importante vantaggio strategicoagli Alleati; aprì loro il Teatro delMediterraneo e offrì una solida basedalla quale condurre successive ope-razioni contro l’Europa meridionale.Questa invasione accelerò il proces-so di distacco dell’Italia dall’Asse e,con essa, gli Alleati stavano adem-piendo al compito assegnato al Ge-nerale Eisenhower: sfruttare la con-quista dell’isola con operazioni di-rette ad agganciare il maggior nu-mero di Divisioni tedesche. D’altraparte, la difesa della Sicilia ha svoltoun’importante funzione di logora-mento delle forze avversarie, impe-gnando il massimo delle Forze an-glosassoni disponibili nel Mediterra-neo. Ha così impedito che esse po-tessero gravitare verso altri settori,di maggiore importanza per gli an-

90 Rivista Militare

Deposizione di una corona presso il SacrarioMilitare di Mignano Montelungo.

glo-americani, agli effetti di una piùsollecita definizione della guerra.Allorché nel gennaio 1943, alla Con-ferenza di Casablanca (9), si comin-ciò a parlare di un’azione in Sicilia,nel disegno strategico alleato, losbarco sulla Penisola italiana nonera operazione che dovesse necessa-riamente seguire l’occupazione del-l’isola. Solo nella riunione tenuta al-la fine di maggio, presso la sede delComando del Generale Eisenhowera Tunisi, si caldeggiò, da parte diChurchill, una rapida conquista del-l’Italia meridionale con l’impiegodel massimo delle forze disponibiliin Mediterraneo; invece gli america-ni ritenevano di dare a queste opera-zioni uno sviluppo più strettamentesubordinato alle future necessitàdell’Operazione «Overlord».Questa strategia venne accettata nelcorso delle conversazioni strategi-che di Quebec (agosto 1943), e si de-finirono di conseguenza, comeobiettivi della campagna d’Italia, ilporto di Napoli e i campi d’aviazio-ne di Foggia, da dove era possibilesvolgere azioni direttamente conco-mitanti con il Grande Attacco oltreManica.Il piano alleato prevedeva l’invasio-ne dell’Italia da parte del XV Grup-po d’Armate alleate, posto sotto ilComando del Generale Alexander ecostituito dalla 5a Armata statuni-tense del Generale Clark e l’8a Ar-mata britannica del Generale Mon-tgomery, in tre settori diversi: ri-spettivamente Salerno, Reggio Cala-bria e Taranto.Successivamente, in altri due conve-gni Alleati, quello militare di Tunisi(settembre 1943) e la conferenza delCairo (novembre 1943), emerserocontrasti fra i propositi del Coman-dante Supremo alleato nel Mediter-raneo e gli effettivi sviluppi delleoperazioni in Italia.Dal canto suo, il Comando germa-nico, con quella energia e tempe-stività che costituivano una suanetta caratteristica, aveva fissato,fin dall’indomani del 25 luglio, gliscopi da perseguire con la sua

azione in Italia, ossia:• mantenere a ogni costo e in ogni

contingenza il possesso della pia-nura padana, dove aveva effettua-to un grosso concentramento diforze, appoggiando la difesa al ro-busto crinale dell’Appennino to-sco–emiliano, fra le Apuane e SanMarino, per sfruttare le ricche ri-sorse agricole, industriali e demo-grafiche delle province settentrio-nali italiane;

• mantenere in suo possesso lamaggior parte continentale del-l’Italia appoggiando la difesa auna Linea già imbastita tra il San-gro e l’Origliano, senza che le for-ze tedesche corressero il rischio diessere tagliate fuori;

• rimettere, comunque, al potere, suquella parte d’Italia che si fossepotuta tenere in possesso, un go-verno italiano di nome, che conti-nuasse ad assecondare la Germa-nia nella sua azione politica e nelsuo sforzo bellico.

Così, dopo il 25 luglio 1943, Hitlerordinò di radunare le truppe sulleAlpi e predisporre un loro possibile

ingresso in Italia, Operazione deno-minata «Piano Alarico» (10). L’Ope-razione cominciò quasi subito, inmodo parzialmente dissimulato perevitare che gli italiani, con l’aiuto ditruppe alleate, potessero bloccare ipassi alpini. Venne anche inviata la2a Divisione Fallschirmjäger a Ostia:la presenza di questa unità sventò ilpiano alleato di lanciare su Romauna Divisione aviotrasportata peraiutare gli italiani a difendere la Ca-

pitale. In campo tedesco si ebberocontrasti tra Rommel e Hitler, dauna parte, e Kesselring, su comerealizzare questa strategia. Il Gene-ralfeldmarschall Rommel aveva di-mostrato a Hitler e Mussolini (Con-ferenza di Verona del 18 luglio1943) che la penisola italiana costi-tuiva una facile preda per gli Allea-ti, padroni del mare e dell’aria. Ave-va quindi proposto di evacuarel’Italia fino alla valle del Po, doveuna serie di potenti linee fortificateavrebbe consentito un’efficace dife-sa delle zone industriali del Nord.Kesselring, invece, pur non sottova-lutando l’idea di Hitler e di Rom-mel, giudicava inopportuno l’ab-bandono della Puglia che poteva co-stituire, con i suoi porti e aeroporti,un trampolino di lancio per opera-

91n. 3 - 2012

L’ingresso di una caverna, nascondiglio deitedeschi, su Monte Cifalco.

zioni nei Balcani, (regione impor-tante per l’economia di guerra: pro-duceva il 50% del greggio per l’As-se) e sulla costa dalmata.Per gli americani era evidente chequesta operazione non offriva unadirettrice favorevole da cui attacca-re in modo decisivo il territorio te-desco; questo si sarebbe potuto faresoltanto attraverso la Manica, laFrancia e i Paesi Bassi. Le operazio-ni dovevano limitarsi a tenere i te-deschi lontano dalla regione delgrande assalto, logorare continua-mente le loro risorse, mantenere Ro-ma e i centri industriali italiani delNord sotto una costante minaccia,sempre seguendo criteri di econo-mia e di prudenza, allo scopo dievitare diversioni di unità e di rifor-nimenti suscettibili di impiego nellosbarco in Normandia. Churchill, in-vece, secondo me a ragione, avevaintuito l’importanza di intensificarele operazioni nel Mediterraneo (ali-mentando gli attacchi in Italia, inva-dendo la Jugoslavia, occupandoCreta e la Grecia): ma i capi ameri-cani non vollero approvare nulla

che tendesse a indebolire l’attaccooltre Manica.Altra causa fondamentale dei guai acui gli Alleati andarono incontro varicercata nella scelta di Salerno edella punta estrema della Sicilia co-me località dove effettuare gli sbar-chi: gli Alleati pagarono così, conun pesante handicap strategico, il lo-ro desiderio di sicurezza tattica perquanto riguardava gli attacchi aerei.Se le forze impiegate a Salerno fos-sero state sbarcate a Civitavecchia,ciò avrebbe provocato la caduta diRoma e i risultati sarebbero stati as-sai più decisivi. Senza tener contodelle ripercussioni politiche di unasimile vittoria. La conquista di Ro-ma avrebbe significato per gli an-glo–americani interrompere i rifor-nimenti delle Divisioni tedesche chesi stavano ritirando dalla Calabria etutta l’Italia a sud dell’allineamentoRoma-Pescara sarebbe caduta inmano alleata.Altrettanto impossibile sarebbe sta-to per Kesselring spostare rapida-mente le sue forze dalla costa occi-dentale a quella sud-orientale, qua-lora lo sbarco principale avesse avu-to luogo a Taranto, anziché a Saler-no. In sostanza, gli Alleati non sep-pero approfittare né inizialmente nésuccessivamente del loro più gran-

de punto di vantaggio - la potenzaanfibia - e proprio da questo errorescaturì il loro più grande handicap.La soluzione prospettata da Rom-mel, cioè l’abbandono dell’Italia pe-ninsulare, permetteva di recuperaretutte le forze ivi dislocate per impie-garle, come riserva strategica, nel-l’Italia Settentrionale. Ciò avrebbefavorito, moralmente, i movimentipartigiani nel Nord e nei Balcani,ma da un punto di vista militare ladisponibilità di una consistente ri-serva avrebbe migliorato le possibi-lità di controllare la situazione e disvolgere azioni di controguerriglia.La concezione strategica del General-feldmarschall Kesselring, invece, con-siderava anche l’eventualità che, se laGermania non difendeva Italia, Tur-chia e Spagna, queste, sotto la pres-sione degli Alleati, potessero passaredalla parte degli anglo–americani,con gravi ripercussioni in campostrategico-militare.

I PIANI OPERATIVI

L’invasione dell’Italia, da parte delXV Gruppo di Armate alleato, av-venne nei tre settori previsti: Saler-no, Reggio Calabria e Taranto. Conla direttiva del 21 settembre il Gene-rale Alexander aveva precisato gliscopi che si ripromettevano le Ar-mate alleate e gli obiettivi da rag-giungere in quattro fasi successive:• consolidamento della Linea Saler-

no-Bari;• conquista del porto di Napoli e

dei campi di aviazione di Foggia;• conquista di Roma, dei suoi campi

di aviazione e dell’importante no-do stradale e ferroviario di Terni;

• occupazione del porto di Livornoe dei centri di comunicazione diFirenze e di Arezzo.

Ma le difficoltà di progressione in-contrate a causa dell’ambiente natu-rale e della forte resistenza oppostadal nemico fecero capire agli Alleatiche i tedeschi intendevano arrestareil loro ripiegamento a sud di Roma,attestandosi sulla «Linea Invernale».

92 Rivista Militare

Un veterano della battaglia di Cassino illu-stra momenti vissuti dalle truppe sui montiintorno all’Abbazia di Cassino.

Ai primi di novembre fu quindiemanato un nuovo progetto opera-tivo nel quale la sollecita conquistadi Roma veniva ancora indicata co-me punto chiave della campagna.Questo piano, da svilupparsi in tretempi, prevedeva:• primo tempo: attacco dell’8a Ar-

mata britannica con obiettivo lazona di Collarmele-Popoli-Pescaraper minacciare, verso Avezzano, lecomunicazioni delle forze tedescheoperanti nella valle del Liri;

• secondo tempo: attacco della 5°Armata lungo la valle del Liri-Sacco;

• terzo tempo (quando la 5° Armataavesse raggiunto l’allineamentoPriverno-Ferentino): sbarco a ter-go dell’ala destra dello schiera-mento tedesco per favorire losbocco su Roma.

Approvata dal Comando Supremola proposta di Kesselring di arresta-re il ripiegamento e resistere a suddi Roma, per i lusinghieri successiottenuti dalle forze tedesche controgli Alleati, il Comando delle ForzeSud intensificò i lavori di rafforza-mento della «Linea Invernale» ediede pratica attuazione a quantocontemplato dal piano «Achse».Le direttive, emanate in data 4 otto-bre 1943, prevedevano:• di continuare la difesa «elastica»

fino alla Linea Gaeta-Ortona, cheandava invece tenuta;

• di impiegare la 5a Divisione in pri-ma schiera sulla linea Gaeta-Orto-na e dislocare in riserva una Divi-sione per ogni ala;

• di raggruppare le altre Divisioniper la sicurezza delle zone costierepiù a nord e dell’area di Roma, congravitazione sulla costa tirrenica;

• nel caso che il nemico continuasseil suo attacco verso nord con forzelimitate, per operare con l’aliquotamaggiore verso i Balcani, Kessel-ring doveva sviluppare un pianoper un attacco contro la Puglia;

• compiti della Marina, appoggiarecon tutti i mezzi l’azione delle for-ze terrestri e svolgere azioni dicontrollo costiero per evitare sbar-

chi a tergo del proprio fronte;• compito dell’Aeronautica combat-

tere la Marina avversaria, special-mente in caso di operazioni disbarco a tergo della 10a Armata esulla costa adriatica.

Il piano degli Alleati, per l’avvicinar-si della stagione invernale e per il ti-po di ambiente naturale, era un po’troppo ambizioso.La ragione va attribuita a un’erratavalutazione delle ulteriori possibilità

combattive dei tedeschi e alla scarsaconoscenza dell’ambiente geografi-co in cui gli Alleati avrebbero dovu-to agire. In particolare, la manovradell’8a Armata verso la valle del Liridoveva dare concorso all’azione del-la 5a Armata, che effettuava lo sfor-zo principale, per convergere quindiinsieme su Roma, che costituival’obiettivo della battaglia, e lo sbarcoad Anzio aveva lo scopo, soprattut-to, di annientare il nemico, in mododa ottenere la massima sicurezzanella zona di Napoli-Foggia e darepieno sviluppo al porto e ai campi

di aviazione.L’ammaestramento che se ne puòtrarre è che gli Alleati non hanno te-nuto conto, nel perseguire il loro di-segno operativo, che lo scopo del-l’attacco, nella guerra in terrenomontano, deve essere quello di in-canalare la ritirata al nemico più cheminacciarlo sul fianco. In definitivai risultati della manovra concepitadagli anglo-americani per avvilup-pare le truppe tedesche sul Gariglia-

no, mediante lo sbarco ad Anzio,confermano ancora una volta che gliavvolgimenti a largo raggio fannoperdere tempo e permettono a unavversario deciso di sottrarsi a talemanovra.Infine, dall’esame del piano anglo-americano, si deduce che gli Alleatisentirono sempre la necessità di con-solidare ogni avanzata e di stabilireuna solida base prima di procedereoltre. Essi furono così portati a im-piegare metodi e mezzi convenzio-nali: ciò permise all’avversario diprevedere la successiva mossa stra-tegica o tattica, e di prendere le op-portune contromisure.Per quanto riguarda i tedeschi, sipuò rilevare l’impostazione delladifesa su posizioni idonee e gra-dualmente organizzate in profondi-

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Quota 592. Reduci della Battaglia diCassino illustrano, all’allora Capo di StatoMaggiore della Divisione «Acqui», Generaledi Brigata Federico D’Apuzzo, i luoghi e imomenti salienti della battaglia.

tà (una Linea difensiva principale edue sussidiarie).

Generoso MeleMaggiore,

Capo Sezione Analisi e Situazionedell’Ufficio Informazioni

del Comando Divisione «Acqui»

NOTE

(1) Carl Philip Gottlieb von Clausewitz,(Burg bei Magdeburg, 1º giugno 1780 -Breslavia, 16 novembre 1831) è stato unGenerale, scrittore e teorico militareprussiano. Maggior Generale nell’Eser-cito prussiano, combattente durante leguerre napoleoniche, è famoso per averscritto il trattato di strategia militare«Della Guerra» («Vom Kriege»), pubbli-cato per la prima volta nel 1832, ma maicompletato, a causa della morte precocedell’autore.(2) La cosiddetta Operazione «Avalan-che» fu una delle tre operazioni di inva-sione alleate in Italia nel settembre 1943,guidata dal Generale Harold Alexandere dal suo XV Gruppo di Armate (com-prendente la 5ª Armata del GeneraleMark Clark e l’8ª Armata britannica delGenerale Bernard Montgomery) duran-te la Seconda Guerra Mondiale. L’Ope-razione «Avalanche» ebbe luogo attornoa Salerno, mentre le altre due Operazio-ni di supporto ebbero luogo in Calabria(Operazione «Baytown») e a Taranto(Operazione «Slapstick»). L’Operazioneseguiva l’invasione alleata della Sicilia(Operazione «Husky») durante la cam-pagna d’Italia.(3) Albert Kesselring (Bayreuth, 30 no-vembre 1885 - Bad Nauheim, 16 luglio1960) è stato un Generale tedesco. Conil grado di Generalfeldmarschall Coman-dò le forze aeree della Luftwaffe (Aero-nautica Militare tedesca) nel corso del-l’invasione della Polonia, nella batta-glia di Francia, nella battaglia d’Inghil-terra e nel corso dell’Operazione «Bar-barossa». Come Comandante in Capodello Scacchiere sud ebbe il totale co-mando delle operazioni nel Mediterra-neo, che includevano anche le opera-zioni in Nordafrica. Più tardi condusse

una efficace guerra difensiva contro gliAlleati durante la campagna d’Italia.Verso la fine della guerra comandò leforze germaniche sul fronte occidenta-le. Dopo la guerra fu accusato dagliAlleati di crimini di guerra e condan-nato a morte, sentenza che fu commu-tata in ergastolo per intervento del go-verno britannico. Fu in seguito rila-sciato nel 1952 senza aver mai rinnega-to la sua lealtà ad Adolf Hitler.(4) La Fallschirmjäger Division fu un’unitàd’élite della Luftwaffe costituita da truppeparacadutiste aviotrasportate, che venneimpegnata in diversi fronti durante la Se-conda Guerra Mondiale. Venne costituitatra il dicembre 1942 e il gennaio 1943. (5) Bernard Freyberg, Barone Freyberg(Richmond upon Thames, 21 marzo1889 - Windsor, 4 luglio 1963), fu un Ge-nerale neozelandese durante la SecondaGuerra Mondiale. Comandò il Corpo diSpedizione Neozelandese nella battagliadi Creta, nella Campagna del NordAfrica e nella battaglia di Montecassino.É da sempre considerato colui che, piùdi tutti, ha fortemente voluto il bombar-damento dell’Abbazia di Montecassino,ponendo ciò come l’unica condizioneaffinché il contingente di forze neoze-landesi non abbandonasse la battaglia.(6) È necessario evidenziare l’enormeerrore tattico della distruzione dell’Ab-bazia. Essa non era presidiata dai tede-schi che, dopo la sua distruzione, la oc-cuparono realizzando il loro caposaldomigliore. Tale caposaldo non fu poi ul-teriormente bombardato (altro fatale er-rore) permettendo ai tedeschi di difen-derlo a prezzo di enormi perdite da par-te alleata.(7) «Corps Expeditionnaire Français»(C.E.F.) agli ordini del Generale Al-phonse Juin. Le forze del C.E.F. com-prendevano 99 000 uomini per la mag-gior parte marocchini e algerini prove-nienti dalle colonie francesi. Completa-va l’organico una piccola aliquota disenegalesi. La caratteristica di questetruppe coloniali era l’eccellente adde-stramento nei combattimenti montani.(8) Lo sbarco in Normandia, nome in co-dice Operazione «Overlord», fu la piùgrande invasione anfibia della storia,messa in atto dalle forze alleate per apri-

re un secondo fronte in Europa e inva-dere così la Germania nazista. Lo sbarcoavvenne sulle spiagge della Normandia,nel nord della Francia, all’alba di marte-dì 6 giugno 1944, data nota come «D-Day». Nelle settimane seguenti le opera-zioni continuarono con la campagna ter-restre (Battaglia di Normandia), che eb-be lo scopo di rafforzare ed espandere latesta di ponte nella Francia occupata, fi-no alla liberazione di Parigi (25 agosto) ela ritirata dei tedeschi oltre il fiume Sen-na (completata il 30 agosto). (9) La Conferenza di Casablanca (nomein codice «Symbol») fu tenuta all’HotelAnfa a Casablanca, Marocco, dal 14 al24 gennaio 1943, per pianificare la stra-tegia europea degli Alleati durante laSeconda Guerra Mondiale. Furono pre-senti Franklin D. Roosevelt, WinstonChurchill e Charles de Gaulle. Durantequesto incontro venne deciso che, dopoaver chiuso con il fronte africano, si sa-rebbe attaccata l’Italia, considerata unobiettivo facile, sia per la vicinanza allaTunisia, sia per il suo stato di crisi in-terna. Inoltre, si concordò il bombarda-mento sistematico della Germania, inpreparazione anche di un futuro sbarcooltre il Vallo Atlantico, previsto per il1944. Si accordarono anche sul princi-pio di resa incondizionata da imporreagli avversari: la guerra sarebbe conti-nuata fino alla vittoria totale, senzapatteggiamenti con la Germania e conl’Italia.(10) L’Operazione «Alarico» era un pia-no tedesco mirante a prendere il control-lo dell’Italia durante la Seconda GuerraMondiale, in caso di uscita dell’Italiadall’Asse; questa in realtà era articolatain «Achse» («Asse»), che doveva permet-tere la cattura della flotta italiana,«Schwartz», volta a disarmare il RegioEsercito Italiano, «Eiche», per la libera-zione di Mussolini e «Student» che dove-va prendere il controllo di tutto il terri-torio italiano ancora non invaso dagliAlleati, instaurando un nuovo governofascista (che non prevedeva una presen-za monarchica). L’ordine relativo allapreparazione dell’Operazione fu impar-tito personalmente da Adolf Hitler alGeneralfeldmarschall Erwin Rommel il 18maggio 1943.

94 Rivista Militare

In tutta l’Europa i combattenti, mi-lioni di giovani, vennero sottopostialla crudele scuola di vita della trin-cea, senza distinzione di Esercito.Il soldato, infatti, viveva sprofonda-to in questo scavo lungo e strettoche era la trincea, dalle pareti cosìalte da consentirgli solo la vista diuno spicchio di cielo, anche perchéalzare la testa oltre il ciglio dello sca-vo voleva spesso dire rischiare di es-sere ferito o, peggio ancora, morire.Solo la feritoia consentiva un rapidosguardo a quella terra di nessunocompresa tra le due linee e lo spet-tacolo, il più delle volte, era un ter-reno tetro, brullo, rotto solo dai tirid’artiglieria e cosparso degli oggettipiù vari. Dalla vicenda della feritoia14 del racconto del Capitano EmilioLussu (1): «...La vista era consentitasolo per pochi attimi, infatti, non appe-na il cecchino avversario si accorgevache qualcuno utilizzava la feritoia par-tiva un preciso colpo di fucile contro ilcoraggioso che stava osservando il cam-po di battaglia...». Padre AgostinoGemelli (2), Cappellano militare epsicologo, così descrive la vita ditrincea: «...il cannone ha distrutto ognigerme di vegetazione; tra la propriatrincea e quella nemica non vi è che untratto di terreno sconvolto, più o menoampio, di là e di qua i reticolati, paletticontorti, qualche straccio che il ventoagita goffamente. È un deserto. Non unmovimento. Gli osservatori, le vedette,conoscono il terreno punto a punto, inogni minuzia. Un ramo d’albero smos-so, una palata di terra fresca, un sassocambiato di posto sono avvertiti comenovità...» (3).L’indifferenza e la depressione furo-no le reazioni più comuni alla situa-zione contingente.Per tutta la lunghezza e la profondi-tà della linea, in qualsivoglia mo-mento del giorno e della notte, lapresenza costante della morte erauna sensazione viva e palpabile che

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LA TRINCEACOME «CASA»DEL SOLDATO

ASPETTI DI VITA QUOTIDIANA

PRIMA GUERRA MONDIALE

La Prima guerra mondiale fu una guerra tecnologica e di posizione chevide impegnato un numero elevatissimo di persone costrette a una pro-miscua, stretta convivenza e alla forzata condivisione di una terribileesperienza di vita all’interno dell’angusto spazio delle trincee.La vita di trincea fu elemento comune a tutti gli Eserciti impegnati e se-gnò profondamente i combattenti e i territori in essa coinvolti, lasciandoin tutti ricordi indelebili.Una moderna legislazione, nella quale l’Italia è all’avanguardia, intendeora tutelare e conservare questi luoghi della memoria, ritenuti patrimo-nio comune a tutti i popoli europei.

Una trincea del basso Piave con un fante divedetta mentre i suoi commilitoni chiacchie-rano seduti sulla banchina tiratori, appoggiatiallo spalto rinforzato con sacchetti a terra.

si manifestava improvvisamentecon la perdita di un compagno opiù semplicemente osservando ilcampo di battaglia, costantementecosparso di caduti insepolti, rimastilà dove la morte li aveva colti, che siputrefacevano lentamente.Nemmeno la notte, il riposo recavaristoro, seppur transitorio, al com-battente poiché era questo il mo-mento in cui aumentava la possibi-lità di un attacco di sorpresa equindi la possibilità di non trovarescampo. Pertanto anche di nottel’attività del soldato continuava in-cessante così come la costante sor-veglianza del terreno e l’attenzionea qualsiasi rumore.Quasi sempre di notte i reparti di-staccavano pattuglie che avevano ilcompito di riconoscere l’andamentodelle linee nemiche, studiarne losviluppo, le postazioni delle armiautomatiche, gli effetti del tiro suireticolati e quant’altro.Durante il giorno, invece, venivanoeseguiti i lavori di rafforzamentodelle linee che dovevano servire alladifesa della postazione.Scriveva il Generale Capello che«...da noi nelle prime linee il soldato do-veva fare tutti i mestieri, il combatten-te, il terrazziere, il portatore, ecc. Il no-stro fante in trincea non aveva requiené di giorno né di notte e nella moltepli-ce e pesante attività che senza treguagli veniva imposta si esauriva e rendevapoco...» (4).Una condizione così pesante porta-va il soldato a uno stato di depres-sione che si manifestava prima ditutto con la scarsa cura della pro-pria persona, l’indifferenza e il bloc-co dell’attività intellettuale.Questa situazione tendeva a colletti-vizzarsi. Si arrivò al punto che i fan-ti accettarono passivamente di vive-re promiscuamente in mezzo ai ca-daveri dei compagni deceduti. Latrincea, dunque, era recepita comeun «...involucro di indifferenza...» (5) evissuta da molti Comandanti comepiù importante rispetto alle vicendeumane che si creavano all’interno diquello scavo fortificato.

Le ispezioni che le gerarchie effet-tuavano alle trincee erano finalizza-te soprattutto a verificarne la solidi-tà, la funzionalità e l’efficienza com-plessiva del sistema difesa mentrein scarso conto venivano tenute lecondizioni psico-fisiche di coloroche avevano la responsabilità di di-fenderle.Poiché il giudizio emesso durante leispezioni dai Comandanti sovraor-dinati era quasi sempre negativo,esso aveva ripercussioni sui Co-mandanti subordinati sino ai minorilivelli ordinativi. In questo modo leattività di rafforzamento della linea

divennero permanenti anche a cau-sa delle continue indispensabiliopere di riattamento della lineaquasi quotidianamente danneggiatadal tiro nemico.Ogni decisione riguardante man-sioni, postazioni, turni di servizio eperfino quantità e qualità del ran-cio erano prese da altri per il com-battente. Come in qualunque comunità, e amaggior ragione in caso di guerra,la vita della truppa era regolata dauna rigida gerarchia. Ciò non impe-diva l’insorgere di malcontento difronte a limitazioni talora conside-rate eccessive. Non era del restopossibile per i militari in trinceasviare la propria attenzione su coseche esulassero dalla situazione con-tingente. La stretta convivenza crea-va peraltro un forte senso di came-

ratismo legato anche alla condivi-sione di confidenze riguardanti lapropria vita privata come famiglia,figli e lavoro.Vi era una continua condivisione diesperienze e opinioni che cementa-va i rapporti tra commilitoni per-mettendo, inoltre, a tutti i soldati diampliare la propria visione riguar-do ai propri diritti e doveri. Di soli-to i soldati ricercavano contatti conquanti parlavano il proprio dialettoper ottenerne informazioni circa lavita e la situazione del paese d’ori-gine. Queste brevi pause permette-vano al soldato, lontano dagli affet-

ti, di ricreare un legame con le cosecare, la casa e la famiglia anche seper un breve momento.Ogni più piccolo insignificante ar-gomento veniva sviscerato a trecen-tosessanta gradi: la quotidianità, ipiù significativi avvenimenti acca-duti in qualsivoglia imprecisatopunto della linea, le voci su «possi-bili» futuri sviluppi della guerra, lesperanze di pace un giorno più vici-ne e il giorno dopo più lontane, lenovità portate al fronte dai giovanicomplementi o da qualche soldatorientrato dalla convalescenza, il sen-so di qualche articolo pubblicato su

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Il Tenente Generale Luigi Cadorna, Capo diStato Maggiore dell’Esercito Italiano, ispe-ziona con un gruppo di alti Ufficiali i lavoriper la costruzione di un tratto di reticolatodi una linea difensiva secondaria.

qualche quotidiano letto di nasco-sto, in retrovia, su qualche foglio«clandestino» (6). Era usanza tra icommilitoni condividere viveri epacchi dono ricevuti da casa. Neltempo libero si usava raccogliere re-siduati bellici che venivano trasfor-mati in manufatti da portare a casao da utilizzare nella stessa trincea.Era in uso recuperare materiale me-tallico e schegge ferrose necessariall’industria bellica che li adoperavaquale materia prima per la costru-zione di nuove armi.Tutto quanto poteva essere oppor-tunamente adoperato era oggetto di

recupero e tale attività era incenti-vata dalla corresponsione collettivadi denaro (7).Gli avvenimenti che rompevano leattività di routine erano costituiti daidue eventi più temuti dai combat-tenti: il tiro dell’artiglieria nemica el’assalto. Per solito l’azione di fuocodell’artiglieria era usata allo scopodi neutralizzare i sistemi difensiviavversari e veniva prima dell’attac-co. All’azione così detta di neutra-lizzazione eseguita da una delle dueparti veniva contrapposta da parteavversa l’azione di artiglieria a git-tata maggiore (il cosiddetto fuoco di«contro batteria») che doveva con-trastare e possibilmente distruggerele fonti del fuoco nemico.Tale azione di fuoco era in generemolto violenta e aveva anche la fi-

nalità di neutralizzare gli ostacolipassivi e di demolire la linea ogget-to dell’assalto.Durante i tiri di demolizione cheprecedevano l’assalto delle fanterienemiche, tutto il personale in lineaveniva fatto retrocedere su posizio-ni di seconda linea per sottrarlo da-gli effetti del tiro. Quando poi l’arti-glieria allungava il tiro sugli obietti-vi di secondo piano e le fanterieuscivano dalle loro postazioni permuovere all’assalto, i difensori dellatrincea tornavano sulla trincea diprima linea mettendo in postazionele armi automatiche con le qualitentare di arrestare l’avanzata.L’obiettivo finale di difensori e at-taccanti era quindi la trincea avver-saria di prima linea.Per solito si cercava di sfruttare l’ef-fetto sorpresa in modo da costringerei combattenti in linea a schiacciarsi(appiattirsi) sul fondo della trincea.Ciò comportava però il rischio diperdite umane di proporzioni enor-mi nel caso fossero centrati un trattodi trincea o di camminamento. Inogni caso, se il tiro dell’artiglieria ne-mica non veniva reso inefficace dalfuoco di controbatteria bisognava ne-cessariamente aspettarsi, alla fine delbombardamento, un assalto dallefanterie nemiche.Il tiro dell’artiglieria era temuto so-prattutto per la tipologia di lesioniche provocava a causa delle schegge.Vi era un indubbio impatto psicolo-gico dei bombardamenti che faceva-no sentire i fanti impotenti perché siriducevano le protezioni.Scrive il Marpicati: «...se le facoltà in-dividuali intorpidiscono nella monoto-na trincea e il campo della conoscenzasi riduce a un cerchio minimo, duranteil bombardamento il fenomeno più ge-nerale nella massa è addirittura d’arre-sto nel lavorio mentale: si sta lì, si ac-compagna con tutto il nostro essere ilsibilo e lo schianto dei proiettili, ma nonsi pensa a nulla.... Quando la furia delleartiglierie culmina nel parossismo deltamburellamento (fuoco tambureg-giante N.d.A.) non c’è più nulla cheinteressa: né gli affetti lontani, né gli

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Una sezione mitragliatrici del reggimento«Cavalleggeri di Roma» (20°) sul Carsonel 1915.

amici vicini, né la vita né la morte.Morti ci si sente anzi di già.... Il sensodella fatalità ha influito e regna su tuttigli organi. Occorre qualche tempo per-ché, cessato il bombardamento, i nerviscossi tornino a posto e le facoltà ri-prendano i loro esercizi normali...» (8).L’assalto! «...Gli occhi dei soldati, spa-lancati, cercavano i nostri occhi. Il Ca-pitano era sempre chino sull’orologio e isoldati trovarono solo i miei occhi. ...Misforzai di sorridere e dissi qualche paro-la a fior di labbra; ma quegli occhi, pienid’angoscia e di interrogazione, mi sgo-mentarono - pronti per l’assalto! - ripe-té ancora il Capitano. Di tutti i mo-menti della guerra, quello precedentel’assalto era il più terribile. L’assalto!Dove si andava? Si abbandonavano i ri-pari e si usciva. Dove? Le mitragliatri-ci, tutte, sdraiate sul ventre imbottito dicartucce, ci aspettavano. Chi non ha co-nosciuto quegli istanti, non ha cono-sciuto la guerra...» (9).«...Nei reparti Arditi, formati cioè dasoldati in possesso di particolari dotipsico-fisiche, educati al culto per latradizione del reparto, il momento del-l’assalto era percepito da questi soldaticome il momento della verità, quasiuna festa...» (10).

I fanti erano per lo più giovani diorigine contadina che, in qualchemodo, modificarono la loro perso-nalità a causa della guerra.Per la maggior parte di essi, privi dimotivazioni eroico-culturali, l’assaltoera la parte della vita di trincea piùterribile e a nulla valeva il pensierodi poter vendicare l’amico o il fratel-lo caduto in un precedente combatti-mento. Il giorno fissato per un nuo-vo assalto era considerato un giornoinfausto. «Generalmente la fanteria ita-liana riscosse giudizi lusinghieri da par-te dell’avversario soprattutto durante icombattimenti più duri, contro posizionigiudicate imprendibili e durante i quali ireggimenti perdevano la metà degli effet-tivi e per avanzare era necessario cam-minare fra i caduti e i feriti delle prece-denti ondate e, spesso, molto spesso, sicorreva verso la trincea nemica con gli

occhi velati di pianto...» (11).I fanti andavano all’assalto perchégli avevano detto che era il loro do-vere, perché l’Ufficiale, in testa alreparto, andava all’assalto e perchétutti gli uomini del reparto andava-no all’assalto. Si ritenevano più for-tunati i soldati destinati alla primaondata d’assalto che, comunque,erano rassegnati all’inevitabile e lanotte riuscivano a riposare (12).La classe contadina portò nell’Eser-cito i sentimenti propri delle classirurali quali ad esempio la solidarietànei confronti dei commilitoni, senti-mento in parte legato alla tradizionedi buon vicinato che vigeva nelle co-munità rurali e che si trasformava inun legame profondo verso chi vive-va e operava nella squadra, nel plo-tone o nella compagnia.Il coraggio o la vigliaccheria di unosi diffondeva tra i vicini diventan-do, in positivo o in negativo, patri-monio comune di tutti, come pure iproblemi familiari di uno diveniva-no problema di tutto il reparto.La vita del fante in trincea «...era giàdi per sé stessa, pur nell’osservanza del-l’episodio cruento, una mutazione distati d’animo violenti, tanto più inten-sivi quanto sulla coscienza del singolosi rifletteva l’irrequietezza dei millesuoi vicini, dei mille suoi lontani i qualivivevano nell’ansia della prova, nell’in-cubo del momento terribile...» (13).La provenienza dalla realtà contadi-na della maggioranza dei fanti e, co-munque, l’appartenenza della gran

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Consumazione del rancio in prima linea.

Una trincea di collegamento sul Carso. Ilmateriale di riporto è stato utilizzato perla costruzione del parapetto.

parte di questi alle classi proletariefacilitavano i rapporti interpersona-li, favoriti anche dalle medesimecondizioni di vita. Tutto ciò facevain modo che la guerra e la vita ditrincea fossero similmente percepitee vissute e lo stesso accadeva con igiudizi circa le vicende vissute cheerano similmente espressi.Sui rapporti interpersonali e gerar-chici, va detto che la classe contadi-na, predominante nella Grande

Guerra, tendeva a cementarsi facil-mente con i commilitoni del proprioreparto grazie anche a una naturalepredisposizione a mantenere buonii rapporti con coloro che, come lorostessi, subivano gli stessi disagi e lestesse vicende, proprio come, in pa-ce, avrebbero fatto con il vicino dipodere.Il conflitto non aveva fatto altro chetrasformare questo rapporto di«buon vicinato» in una vera e pro-pria solidarietà, quasi una fraternitàspirituale.Fu questo particolare tipo di rap-porto di stretta condivisione di

esperienze di guerra e vicende per-sonali che cementò i rapporti tracommilitoni portando a considerarlinon più come soggetti a sé stanti,ma come elementi indispensabili al-la condotta della guerra.Da questa considerazione deriveràquel particolare affiatamento tra isoldati dello stesso reparto che pre-se il nome di cameratismo.Era diffuso il sentimento di necessa-ria cooperazione e la consapevolez-

za che dalla reciproca disponibilitàdipendesse il destino dell’interogruppo. Ne è un esempio il serviziodi pattuglia notturna effettuato nel-la terra di nessuno dove pure simuovevano le pattuglie nemiche.Questo non poteva essere considera-to solo come fine a sé stesso ma era,nel contempo, una protezione, ancor-ché indiretta, che il fante eseguiva neiconfronti dei commilitoni per evitareche fossero colti di sorpresa dalle pat-tuglie nemiche.Più in generale, possiamo dire chenel momento del bisogno ognunoaiutava il vicino e da questi riceve-va aiuto, prescindendo dai rischiche ciò avrebbe comportato. Que-sto cameratismo era elemento indi-spensabile alla coesione dei repar-ti, alla loro saldezza in trincea e

serviva a formare quell’unità d’in-tenti anche tra Ufficiali e gregari,necessaria per ottenere l’indispen-sabile amalgama nell’ambito del-l’unità (14).La condivisione o meglio la com-prensione dei motivi della guerrapotevano anche mancare al fanteche, anzi, poteva non condividerli,ma, nonostante tutto, non facevanovenir meno il rafforzarsi e l’esten-dersi dei vincoli di fratellanza e soli-darietà tra i combattenti.Il fante contadino, storicamente in-dividualista «...comincia allora a sen-tirsi un raggio dell’immane ruota che logira.... Stabilisce, per bisogno naturale,vincoli di amicizia e di fratellanza, con-frontandosi alla vista di molti compagnipartecipi della sua stessa sorte. Le suefacoltà più acute si smussano, la sua ri-flessione restringe il campo ... la massalo ha già così, insensibilmente, domato,trasformato e fatto suo.... La perditadella personalità, gli istanti di imitazio-ne e d’amor proprio, il senso della soli-darietà, agiscono ben più fortementesulla massa e favoriscono l’opera dei ca-pi coscienti e illuminati...» (15).Tra i combattenti si instaurò unasorta di processo di identificazioneche portò tra i vari gradi dell’Eserci-to una forte coesione malgrado vifossero enormi diversità di funzionie distanze sociali a quei tempi forte-mente sentite. Si creò una empatiatra i componenti della truppa cheportò i commilitoni a una sollecitu-dine nell’accorrere sulle trincee diprima linea al momento dell’attacco.Ha scritto Mario Puccini: «...anche imiei fanti raccontano. Chi ha un figlio echi ne ha di più: e tutti questi bimbi, ilmio e il loro, pare che ormai si conosca-no, che giochino insieme. Così, alla che-tichella, dietro le schiene dei papà, ra-dunati quassù in armi per fare la guer-ra all’Austria...» (16).Prova del cameratismo creatosi du-rante il conflitto fu il fiorire tra gliex commilitoni di sezioni di ex com-battenti che continuarono nel cultodei caduti a rinnovare quei senti-menti di solidarietà e di comunioneideale che erano nati in trincea.

100 Rivista Militare

Fanti italiani osservano la linea avversariaattraverso feritoie predisposte lungo il pa-rapetto della trincea.

ESTRAZIONE SOCIALEDELLA FORZA COMBATTENTE

Vale la pena ricordare che con l’au-mentare delle possibilità di un no-stro ingresso nel conflitto, il Coman-do Supremo Italiano iniziò a studia-re più approfonditamente la guerraeuropea che si andava combattendosia a Oriente che a Occidente.Le risultanze portarono a richiama-re una quantità di coscritti superio-re a quanto, in realtà, prevedevanole disposizioni per la mobilitazione,calibrate su una possibile guerraconvenzionale rispettosa di rigidicriteri di economia.Mancando però tempo e possibilitàper addestrare più compiutamenteil personale, gli incarichi venneroattribuiti seguendo il criterio del«precedente di mestiere».Fu necessario, pertanto, fronteggia-re un duplice ordine di necessità:se infatti da un canto era indispen-sabile mantenere un elevato livelloproduttivo dell’industria naziona-le, ancora agli albori, era altresì in-dispensabile portare al fronte unadeguato contingente di manodo-pera specializzata che fosse in gra-do di eseguire tutte le attività logi-stiche di rifornimento e riparazioniche si sarebbero verificate durantelo svolgimento della guerra. In pa-tria, pertanto, la manodopera spe-cializzata venne sostituita da unaforza lavoro non specializzata e co-stituita da donne, minori e contadi-ni che entrarono così a far partedell’industria.Si è già detto che la Prima guerramondiale fu una guerra tecnologicache vide l’utilizzo di un complessomateriale di armamento e di delica-te attrezzature.Fu quindi logico impiegare nell’ar-ma del genio e nella motorizzazionepersonale addestrato allo svolgi-mento di mansioni analoghe nel-l’ambito dell’industria nazionale.È anche vero che questa classe opera-ia cominciava allora a formarsi e adassumere una propria coscienza chela portò a riunirsi in organizzazioni

sindacali: iniziava allora la conduzio-ne di una aspra lotta di classe con larivendicazione di diritti a tutela deilavoratori (17). Malgrado ciò gli ope-rai portati in trincea si dedicaronocompletamente all’addestramentomilitare e vennero assorbiti e integra-ti nell’ingranaggio militare.I mobilitati privi di esperienze pro-fessionali, ma che potevano rive-larsi utili alle attività militari, ven-nero generalmente incorporati inarmi, specialità, servizi e attivitàlogistiche allo scopo di integrarel’organico dei reparti. Inoltre, essiconcorsero anche a integrare i re-parti di fanteria. Tra gli impiegatie gli studenti, di solito di estrazio-ne borghese, era elevato il numerodi volontari.Le unità di fanteria, utilizzate perfronteggiare il combattimento clas-sico, vennero create per lo più im-piegando soggetti scelti tra la popo-lazione rurale.Le attività agricole furono così de-mandate agli agricoltori non richia-mati, anziani, molto giovani e ma-nodopera femminile, tradizional-mente impegnati come manovalan-za nella società contadina.Le classi rurali fornirono alla fante-ria 2 milioni e 600 mila uomini.

«...del contadino combattente non sipuò fare, in generale, che il più alto elo-gio. Esso fu docile, ubbidiente strumen-to nelle mani degli Ufficiali che sepperocomandarlo e guidarlo» (18).Fu proprio questa classe rurale, av-vezza a un tipo di lavoro estenuantee dotata di forti doti morali, che favo-rì il cementarsi delle relazioni tra icombattenti a vantaggio della com-pattezza dei reparti e in virtù dellemodeste aspirazioni e della tradizio-ne di coltivare le relazioni di buon vi-cinato e delle scarse esigenze di vita.Si è già detto come non furono solole armi a mietere un elevato numerodi vittime durate la Prima guerramondiale, ma anche l’insorgenza divere e proprie epidemie, che costi-tuì una autentica emergenza per lasanità militare di tutti i Paesi impe-gnati nel conflitto. Le condizioni disovraffollamento, la scarsità di igie-ne personale e la stessa carenza diacqua, spesso contaminata dallestesse deiezioni dei combattenti co-stretti a soddisfare in trincea ognibisogno fisiologico, crearono il ter-reno adatto al diffondersi di infezio-ni e contagi. La prima, in ordine ditempo, tra le epidemie verificatesinei campi di battaglia fu il colera,già nel luglio del 1915, insorto tra letrincee carsiche del Monte Sei Busi.L’epidemia si diffuse in breve tem-po a tutti i reggimenti carsici inte-

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Fanti italiani in trincea.

ressando in meno di un mese l’inte-ra linea della Terza Armata e partedella Seconda (sino al Monte Saboti-no). L’epidemia ebbe un andamentobifasico e, nel suo picco di virulen-za, la mortalità toccò i sessanta indi-vidui al giorno, attorno alla metà diagosto. Si ebbe poi una sua recrude-scenza dalla fine del mese di ottobrefino alla metà di novembre.Furono soprattutto i fanti a essernecolpiti, in parte a causa delle duris-sime condizioni di vita cui eranosottoposti, ma anche per la scarsitàdi cure disponibili.La patologia era giustamente rite-nuta altamente mortale e quinditemuta fortemente dai soldati, mavi furono anche militari che nonebbero, nei confronti del colera,più paura di altre cause di morte.Scrive, a questo proposito, EmilioLussu: «La vita di trincea, anche sedura, è un’inezia di fronte a un assal-to. Il dramma della guerra è l’assalto.La morte è un avvenimento normale esi muore senza spavento. Ma la co-scienza della morte, la certezza dellamorte inevitabile, rende tragiche le oreche la precedono.... Lo stesso colerache cosa è? Niente. Lo avemmo fra la1a e la 2a Armata, con molti morti e isoldati ridevano del colera. Che cosa èil colera di fronte al fuoco di infilata diuna mitragliatrice?» (19).

TRINCEE DA TUTELARE

Come si è detto, la Grande Guerrafu una guerra di trincea. Fu unevento di portata epocale intima-mente connesso con la fisicità delterreno. Centinaia di chilometri difronte, dallo Stelvio all’Adriatico,integrati da reticolati, mitragliatricie cannoni avevano costretto gliEserciti a sprofondarsi nel fango, frale rocce. La Grande Guerra ha la-sciato resti imponenti quanto diffu-si: trincee, caverne, strade, ponti,edifici di ogni tipo e sentieri vertigi-nosi, che hanno segnato il cuore e ilvolto di tante valli alpine e tantepianure friulane. Eventi, paesaggio,

memorie locali, storia d’Italia e sto-ria d’Europa si fusero in un’unicapiega nel terreno.Già un Regio Decreto del 1922 vollecelebrare gli «immortali fatti di glo-ria» della guerra appena conclusa,proclamando «musei nazionali» lequattro montagne più segnate daicombattimenti: il Pasubio, il Grap-pa, il Sabotino e il San Michele.Poi il resto del fronte rimase per lopiù abbandonato al lavoro dei «re-cuperanti», alla lenta opera livella-trice della natura e, talvolta, a qual-

che atto di più o meno consapevolevandalismo.Malgrado fossero oggetto di curiosi-tà in un’ininterrotta produzione distudi, le trincee furono per un po’ ditempo considerate immeritevoli diconservazione. Solo negli anni ’80 e’90 vennero eseguiti i primi saltuariinterventi di restauro e conservazio-ne a opera di associazioni di volon-tariato, italiane e straniere, e conl’aiuto determinante dei militari.Attualmente l’interesse per la Gran-de Guerra e le sue vestigia si è am-plificato e si sono moltiplicate le ini-ziative volte al loro recupero e allaloro valorizzazione. Tali opere sonoindubbiamente state favorite da unafitta rete di collaborazione sorta tracentri studi, comunità locali, asso-ciazioni storiche e Università e talo-ra di singoli nei vari Paesi. Sulla scia

di tale interesse è intervenuta l’azio-ne legislativa. A partire dal 1997, laRegione Veneto ha approvato unalegge che impone il censimento, ilrecupero e la valorizzazione dei be-ni storici, architettonici e culturalidella Grande Guerra.Poi è stato il turno della RegioneFriuli Venezia Giulia e della Provin-cia autonoma di Trento. Nel 2001 ilParlamento italiano, primo in Euro-pa, ha varato la Legge n. 78 di cuiriporto alcuni stralci (20) «(Art. 1Principi generali):

• la Repubblica riconosce il valorestorico e culturale delle vestigiadella Prima guerra mondiale;

• lo Stato e le Regioni, nell’ambitodelle rispettive competenze, pro-muovono la ricognizione, la cata-logazione, la manutenzione, il re-stauro, la gestione e la valorizza-zione delle vestigia relative a en-trambe le parti del conflitto e inparticolare di:•• forti, fortificazioni permanenti e

altri edifici e manufatti militari;•• fortificazioni campali, trincee,

gallerie, camminamenti, stradee sentieri militari;

•• cippi, monumenti, stemmi,graffiti, lapidi, iscrizioni e ta-

102 Rivista Militare

Un ferito viene allontanato dalla prima li-nea dopo essere stato soccorso e medicato.

bernacoli;•• reperti mobili e cimeli;•• archivi documentali e fotogra-

fici pubblici e privati;•• ogni altro residuato avente di-

retta relazione con le operazio-ni belliche;

• per le finalità di cui al comma 2 loStato e le Regioni possono avva-lersi di associazioni di volontaria-to, combattentistiche o d’arma;

• la Repubblica promuove, partico-larmente nella ricorrenza del 4 no-vembre, la riflessione storica sullaPrima guerra mondiale e sul suosignificato per il raggiungimentodell’unità nazionale;

• gli interventi di alterazione dellecaratteristiche materiali e storichedelle cose di cui al comma 2 sonovietati;

• alle cose di cui al comma 2, letterac), si applica l’articolo 51 del TestoUnico delle disposizioni legislati-ve in materia di beni culturali eambientali, approvato con Decre-to legislativo 29 ottobre 1999, n.490, di seguito denominato ”TestoUnico“...».

Tale Legge disciplina in manieramirata e organica le opere di tutelae valorizzazione del patrimonio sto-rico della Grande Guerra.La legge ha sancito che queste vesti-gia siano - nel loro complesso - unbene culturale, seppur di genereparticolare, e per questo siano meri-tevoli di tutela e valorizzazione. Si-curamente non si può considerareuna trincea alla stessa stregua diun’opera d’arte, né di un reperto ar-cheologico; dunque la Legge ha im-posto una tutela «leggera», non co-ercitiva, affidata in primo luogo - se-condo il principio di sussidiarietà -alle iniziative del volontariato, delleassociazioni e delle comunità locali.

CONCLUSIONI

In risposta al rinnovato interesse neiconfronti delle vestigia della Primaguerra mondiale, è fiorita da pocopiù di un decennio una legislazione

mirata, culminante nella già nomina-ta Legge n. 78 del 2001. Il principioguida che ha ispirato tale promulga-zione è quello del riconoscimentodelle trincee quali «vestigia» e «docu-menti storici» di un’epoca.In esse sono racchiuse testimonian-ze di una storia non esclusivamentedi natura militare ma anche sociale,economica, scientifica e delle tecni-che dall’ingegneria all’alpinismo fi-no alla medicina, alla cartografia eallo sviluppo industriale.Questa memoria storica è patrimo-nio non solo delle comunità localima anche delle Regioni e degli Statidi tutta Europa.È per questo che, come cita il legisla-tore nella Legge n. 78 del 2001, quellevestigia vengono oggi ritenute meri-tevoli di opere di conservazione esalvaguardia oggettiva che prescin-dano da ricostruzioni di parte o daeventuali strumentalizzazioni spessodettate da interessi economici.Fortunatamente l’Italia, nel ricono-scere il valore storico di tali vestigia,ha fatto da «battipista» per questanuova tendenza alla conservazionee valorizzazione di un patrimoniodella memoria che va giustamentecondiviso a livello europeo special-mente da quando sempre più mar-cata è divenuta l’influenza delle di-rettive comunitarie nella gestioneinterna dei singoli Stati appartenen-ti all’Unione Europea, quasi in ri-sposta a uno degli indirizzi costitu-tivi che ne hanno ispirato la fonda-zione, e cioè quello che assicura la«libera circolazione di beni, popoli eanche idee tra gli Stati membri».In questo l’Italia appare all’avan-guardia e ritengo che di ciò si possaessere giustamente orgogliosi.

Stefano EliseoMaggiore,

Capo Sezione PI - PRdel CME Friuli Venezia Giulia

NOTE

(1) Lussu E.: «Un anno sull’Altipiano»,

Einaudi, Torino, 1999, pp. 91-92.(2) Gemelli Agostino (Milano 1878 -Milano 1959), Frate francescano psico-logo. Creò all’Università Cattolica diMilano, di cui fu fondatore e rettoredal 1919 sino alla sua morte, un Istitu-to di psicologia sperimentale. Ha scrit-to «Introduzione alla psicologia» uni-tamente a G. Zunini.(3) Gemelli A.: «Il Nostro Soldato Oggi.Saggi di psicologia militare», Treves,Milano, 1917, p. 49.(4) Capello L.: «Note di guerra», Treves,Milano, 1920, vol. 1, pp. 206-207.(5) Marpicati A.: Saggi di psicologia dellemasse combattenti, «La proletaria», Bem-porad, Firenze, p. 16.(6) Focella - Monticone: «Plotoned’esecuzione», Laterza, Bari, 1968, Pre-fazione p. IV.(7) M. G.: «I rifornimenti dell’Esercitomobil i tato durante la guerra al lafronte italiana», IPS, Roma, 1924, pp.213, 214.(8) Marpicati A.: Saggi di psicologia dellemasse combattenti, «La proletaria», cit. p. 23.(9) Lussu E.: «Un anno sull’Altipiano»,Einaudi, Torino, 1999, pp. 104-105.(10) Mussolini B.: «Il mio diario di guer-ra», La Fenice, Opera Omnia, Vol. 24,1961, p. 28.(11) Gatti A.: «Caporetto», Il Mulino,Bologna, 1964, pp. 60-61.(12) Monelli P.: «Le scarpe al sole», Gar-zanti, Milano, 1944, p. 131.(13) Migliore B.: «Le convulsioni dell’ar-ditismo», Treves, Milano, 1921, p. 38.(14) De Bono E.: «La guerra come e do-ve l’ho vista e combattuta io», Monda-dori, Milano, 1935, p. 121.(15) Marpicati A.: «La proletaria», cit.pp. 13-14.(16) Puccini M.: «Davanti a Trieste»,Sonzogno, Milano, s.d., p. 36.(17) Rochat G.: «L’Italia nella Primaguerra mondiale», Feltrinelli, 1976,pp. 60-61.(18) Serpieri A.: «La guerra e le clas-s i rural i i ta l iane» , Laterza , Bar i ,1930, p. 55.(19) Lussu E.: «Un anno sull’Altipiano»,Einaudi, Torino, 1999, pp. 111-112.(20) Ravenna - Severini: «Il patrimoniostorico della Grande Guerra», Gaspari,Udine, 2001, pp. 171-184.

103n. 3 - 2012

L’offensiva in profondità è una ma-novra che si attaglia a unità di cam-pagna in grado di operare veloce-mente su ampi spazi, mantenere ilcollegamento e sostenere il combat-timento dinamico: di contro essenon sono di norma idonee alla pro-lungata difesa di posizioni statiche.All’offensiva in profondità, portatada reparti con queste caratteristiche,si affida generalmente un Esercito lecui forze già abbiano sopraffatto inbattaglia le principali difese dell’av-versario: il fine è conseguire un ri-

sultato di carattere strategico, qualeil collasso di un ampio settore difronte o il suo crollo. Alla fine del-l’ottobre 1918, pochi giorni dopol’inizio della battaglia di VittorioVeneto, il Generale Armando Diaz,

Capo di Stato Maggiore del RegioEsercito Italiano, in seguito agli svi-luppi favorevoli della battaglia, de-cise di utilizzare il Corpo di cavalle-ria per tagliare in profondità la riti-rata al nemico e non consentirgli diriorganizzarsi. Le unità di cavalle-ria, all’epoca, erano senza dubbio lepiù idonee a svolgere questo tipo dimanovra offensiva e assolsero conpieno successo il compito loro affi-dato. L’offensiva del Corpo di ca-valleria (Divisioni 2a, 3a, 4a) trassealimento e motivazione dal ricordodei ripetuti scontri dell’anno prece-dente, quando, in conseguenza del-la ritirata di Caporetto, la 1a e la 2a

Divisione di cavalleria si erano bat-tute per rallentare l’avanzata au-striaca e consentire a un numeroconsistente di truppe della 2a e 3a

Armata italiana di passare i pontisul Tagliamento.Questa trattazione è focalizzata sul-l’importante contributo fornito dalCorpo di cavalleria nella battagliadi Vittorio Veneto, nel corso dellaquale la capacità di manovra e lavelocità di progressione delle sueunità risultarono determinanti. Nelmomento in cui il fronte nemicos’infranse sotto l’urto offensivo del-le fanterie, il Comando SupremoItaliano, lanciando in pronfondità ireggimenti di cavalleria, seppe co-struire un successo strategico. Que-ste unità, riorganizzate su cinque

104 Rivista Militare

«L’ULTIMASPALLATA»

VITTORIO VENETO 1918

LA MANOVRA IN PROFONDITÀDEL CORPO DI CAVALLERIA

Questo articolo tratta della fase dinamica della battaglia di Vittorio Ve-neto, evidenziando il ruolo svolto dal Corpo di cavalleria, le cui Divisio-ni, grazie a velocità di progressione e capacità di manovra, riuscirono asopravanzare le colonne nemiche in ritirata, occupando posizioni fonda-mentali. Cavalleggeri, Dragoni e Lancieri tornarono vittoriosamente inquei territori veneti e friulani dove pochi mesi prima si erano battuti peraiutare le nostre fanterie a raggiungere il Piave. A distanza di un anno ilconflitto volse a favore dell’Italia: scardinato il fronte austro-ungarico, laguerra di posizione si trasformò in guerra di movimento e ciò consentì alRegio Esercito Italiano di sviluppare le operazioni in profondità. Questaparticolare fase esaltò le caratteristiche dinamiche del Corpo di cavalle-ria, ponendo altresì in risalto il contributo alla vittoria dei reparti celeri«di formazione» e delle piccole unità dotate di autoblindo.

Nel Bollettino della Vittoria del 4novembre 1918 il Generale Diaz, tral’altro, proclamò: «...l’irresistibileslancio ... delle Divisioni di cavalle-ria ricaccia sempre più indietro il ne-mico fuggente...».

Una pattuglia di cavalleria.

squadroni montati e uno mitraglieriper reggimento, grazie alla veloceprogressione sul terreno e al loro ar-dimento, precedettero infatti le co-lonne austriache ai ponti sull’Isonzoe li difesero, chiudendo la stradaverso l’Austria. Nel corso dell’offen-siva di Vittorio Veneto, la cavalleriaitaliana assolse egregiamente gli or-dini ricevuti, manovrando e com-battendo con determinazione sinoall’ultimo istante di guerra e offren-do con generosità il suo contributoalla vittoria finale. Per meglio com-prendere il significato di quella bat-taglia, riportiamoci a quel tempo,riepilogando le ultime fasi dellaGrande Guerra.

IL CONTESTO STORICO

Sebbene le Armate tedesche e au-stro-ungariche al momento del tra-collo ancora occupassero ampieporzioni di suolo straniero, la resi-stenza militare, l’embargo economi-co e l’ingresso nel conflitto degliStati Uniti (contro la Germania nel-l’aprile e l’Austria-Ungheria nel di-cembre 1917), causarono agli ImperiCentrali crescenti difficoltà: negliultimi due anni di guerra, in parti-colare, la superiorità marittima del-la Triplice Intesa aveva inciso inmaniera determinante sui riforni-menti di generi alimentari e materieprime, obbligando austriaci e tede-schi a cercare di conseguire il suc-cesso sferrando poderose offensive,alimentate, già prima della vittoriasu di una Russia in piena crisi (ar-

mistizio del dicembre 1917, Trattatodi Brest-Litovsk del 3 marzo 1918),dalla disponibilità delle forze prece-dentemente impegnate su quell’am-pio fronte. Nell’ottobre 1917 questastrategia portò gli Imperi Centrali,una volta contenute le offensiveestive sferrate ad Occidente daglianglo-francesi (battaglia di Pas-schendae o Terza di Ypres, 29 lu-glio-6 novembre 1917) e sul frontemeridionale dagli italiani (undicesi-ma battaglia dell’Isonzo o dellaBainsizza, 18 agosto-12 settembre1918), a concentrare preponderantiforze proprio contro l’Italia, nellaconvinzione di poterne determinarel’uscita dal conflitto. Il nostro fronte - anche in conseguen-za di errate valutazioni tattiche e

operative - fu scardinato a Caporetto(24 ottobre-2 novembre 1917) e ciòobbligò l’Alto Comando a un affan-noso arretramento delle difese lungol’allineamento Monte Grappa-corsodel Piave. I risultati conseguiti intrenta mesi di guerra, al prezzo diundici sanguinosissime offensive sul-l’Isonzo, furono vanificati. Le perditein uomini e mezzi risultarono enor-mi, ma il nemico, grazie anche all’ar-rivo, entro l’8 dicembre 1917, di 6 Di-visioni inglesi e 5 francesi, fu conte-nuto sulla nuova linea d’irrigidimen-to. Queste unità, assegnate alla riser-va, permisero al Regio Esercito di di-

stogliere le proprie truppe da questocompito e arrestare gli austro-ungari-ci con le proprie unità. Anche inFrancia le ultime offensive tedeschein direzione della Marna furono con-tenute tra la fine di luglio e i primid’agosto, mentre sul nostro suolo labattaglia del Solstizio, a metà giu-gno, rese vano l’ultimo grande sfor-zo austriaco per irrompere nellapianura Padana. Le forze dell’Inte-sa, con un intenso sforzo diplomati-co, avevano a questo punto isolatol’Austria, la Germania e i loro alleatianche in campo internazionale, fa-cendo sì che un numero crescente diNazioni (dalla Cina al Brasile, dal

Siam alla Grecia, e ancora il Giap-pone, gli Stati Uniti, il Nicaragua,Haiti,...) dichiarasse guerra, tra il1917 e il 1918, ad almeno uno degliImperi Centrali. Nell’autunno del1918 gli austro-ungarici e i tedeschipersero invece i loro più fidi alleati.Sotto l’incalzare dell’offensiva degliAlleati dalla Macedonia, la Bulgariae la Turchia, esauste, firmarono in-fatti l’armistizio: la prima il 29 set-tembre e la seconda il 30 ottobre1918. Sul fronte occidentale, divenu-to sempre più il punto focale delconflitto, esauritasi l’ultima grandeoffensiva tedesca (Seconda battaglia

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Nel corso della Prima guerra mondia-le le teorie offensive degli Eserciti al-leati non prevedevano la possibilitàche le Divisioni di fanteria potesserooperare velocemente e in profondità.Il Generale francese Édouard de Ca-stelnau (1851-1944), per esempio, so-steneva che: «Il massimo sforzo che sipuò esigere dalle Divisioni di primalinea è di conquistare la prima posi-zione nemica in tutta la sua profondi-tà, l’attacco della seconda linea non sipuò fare che con unità fresche e dopouna preparazione d’artiglieria».

Elementi di cavalleria in sosta.

della Marna, 15 luglio-6 agosto1918), le forze anglo-francesi e sta-tunitensi assunsero l’iniziativa, lan-ciando reiterate offensive. Fu inquesto contesto che, dal 23 ottobre al3 novembre 1918, si sviluppò sul no-stro fronte quella poderosa offensivache portò alla riconquista del Grappa(31 ottobre 1918) e al superamentodel Piave, sulla cui riva sinistra il 23ottobre gli italiani costituirono le pri-me tre teste di ponte. Il 28 ottobrel’Esercito imperiale, in piena crisi, or-dinò la ritirata generale e chiese l’ar-mistizio inviando una commissione aVilla Giusti. I delegati austriaci chie-sero però che le condizioni fosseroapprovate dalle loro autorità. Solol’ultimatum del Generale Diaz, che il3 novembre minacciò di annullare letrattative per l’armistizio, sbloccò lasituazione. La fine delle ostilità fu fis-sata alle 15.00 del 4 novembre e pochigiorni dopo, l’11, anche la Germaniauscì, sconfitta, dal conflitto.

LA BATTAGLIA DIVITTORIO VENETO

Una volta arrestata la progressioneaustriaca sul Piave e contenute lesuccessive offensive grazie anche alcontributo delle unità di cavalleria(meritano menzione le azioni deireggimenti «Lancieri di Milano»(7º), «Lancieri di Firenze» (9º), «Lan-cieri Vittorio Emanuele II» (10º), edel reggimento «Cavalleggeri di Ca-serta» (17º), tutte nel trevigiano) il23 ottobre 1918, un anno dopo Ca-poretto, aveva inizio la battaglia diVittorio Veneto i cui esiti determi-narono, nel volgere di pochi giorni,il crollo dell’Esercito austriaco. Loschieramento iniziale vedeva spie-gate 55 Divisioni italiane, 2 francesi,1 britannica e 1 cecoslovacca, contro60 austro-ungariche, non affiancateda nessuna delle 7 Divisioni tede-sche che avevano partecipato all’of-fensiva l’anno precedente, ritirateper rafforzare altri fronti. L’offensi-va fu condotta da 41 Divisioni ita-liane, una francese (la 24a) e 1 bri-

tannica (la 48a), sostenute da 600bombarde e 4 100 cannoni. La 4a Ar-mata (del Grappa) del GeneraleGaetano Giardino, duramente con-trastata dai 3 Corpi d’Armata del«Gruppo Belluno» (11 Divisioni dicui 3 ungheresi), attaccò per primasul Grappa, dove lo Stato Maggioreasburgico ritenne si concentrassel’offensiva italiana. L’8a Armata (delMontello) del Generale Enrico Cavi-glia (5 Corpi d’Armata compren-denti 19 Divisioni - 2 di cavalleria,1a e 4a su 4 Brigate - affiancati dalla12a Armata mista italo-francese edalla 10a Armata mista italo-britan-nica, per un totale di 27 Divisioni)agì invece sul Piave e una volta for-zato il corso del fiume, il 27 ottobre,grazie anche al miglioramento dellecondizioni atmosferiche, investì lazona critica dell’avversario (20 kmtra il Montello e le Grave di Papa-dopoli) difesa da 15 Divisioni, sup-portate da un minor numero di pez-zi d’artiglieria. Il giorno seguentel’offensiva investì il punto di giun-tura tra la 5a e la 6a Armata avversa-

106 Rivista Militare

Cavalleria italiana avanza in Friuli.

ria, imponendo l’arretramento a unnemico in crescente difficoltà, anchea causa del progressivo ammutinar-si delle unità croate e ungheresi, fe-nomeno che sugli Altipiani intaccòprofondamente la capacità di resi-stenza, per esempio, del XIII Corpod’Armata. Dal 2 novembre, l’attaccoitaliano costrinse poi al ripiegamen-to verso la Val Pusteria anche le for-ze austro-ungariche del Trentino,palesando il cedimento dell’interofronte asburgico.La battaglia di Vittorio Veneto fuuna battaglia di movimento, consfondamento al centro e penetrazio-ne in profondità anche sulle ali, dac-chè il 3 novembre fu occupata Trentoe lo stesso giorno, via mare, alcunireparti italiani sbarcarono a Trieste.

IL RUOLO DELLA CAVALLERIANELLA BATTAGLIA DIVITTORIO VENETO

Di fondamentale importanza, nellefasi dinamiche che caratterizzaronoquei giorni, fu l’azione della caval-leria, che, una volta forzato il corsodel Piave, fu spinta in profondità alfine di occupare i ponti sui fiumiTagliamento e Isonzo, con il compi-to di tagliare la ritirata al nemico inripiegamento e assicurare in pro-fondità l’attività di esplorazione. Sinoti poi che durante la battaglia diVittorio Veneto, l’Aeronautica, so-praffatti al secondo-terzo giorno gliaviatori nemici, operò anche con il«servizio degli aeroplani da caval-leria» incaricati di esplorare a largoraggio il terreno d’avanzata per in-formare la cavalleria, impiegata amassa, circa ostacoli o forze nemi-che che si opponessero al suo movi-mento. È poi doveroso rammentaretanto il contributo dei reparti di ca-valleria alla guerra di posizione al-lorchè fu necessario contenere ilmassimo dello sforzo esercitato dal-

l’avversario, quanto il ruolo d’ap-poggio svolto dalle batterie a caval-lo. I gruppi che inquadravano que-ste batterie, dopo avere fornito il lo-ro contributo alla difesa del Mon-tello e sull’Altipiano, furono nuo-vamente assegnati alle Divisioni dicavalleria prima dell’offensiva fina-le: le varie colonne chiamate ad in-calzare il nemico comprendevanoinfatti anche le batterie a cavallo,che si distinsero in più occasioni: ri-cordiamo qui gli scontri di Flagno-na, Pasian di Prato, Torre di Zuino,Tauriano e ponte Fiaschetti. Ram-mentiamo poi che le Brigate inglesiXXII, XXIV, CII, CIII disponevanodi una batteria a cavallo ciascuna.Tra il 29 e il 30 ottobre i reggimentidel Corpo di cavalleria, comandatoda Vittorio Emanuele di Savoia Ao-sta e facenti parte della riserva delComando Supremo, furono lanciati

all’inseguimento del nemico. Vi fu-rono anche delle unità di cavalleriache, pur non essendo inquadratenelle Divisioni agli ordini di Vitto-rio Emanuele di Savoia Aosta, par-teciparono all’offensiva. Alle 06.30del 30 ottobre, ad esempio, il IIgruppo del reggimento «Lancieri diFirenze» (9°) (due squadroni di ca-valleria e uno di bersaglieri ciclisti)entrò da sud, per primo, a VittorioVeneto, mentre un gruppo misto al-le dipendenze del XXIV Corpodell’8a Armata, comprendentesquadroni provenienti dai reggi-menti «Lancieri di Firenze» (9º),«Cavalleggeri di Caserta» (17º) e«Cavalleggeri di Piacenza» (18º)(più i bersaglieri ciclisti), la mattinadel 30 ottobre entrò a Pieve di Soli-go e Ceneda, raggiungendo alle09.30 Vittorio Veneto da ovest. La1a Divisione di cavalleria - I Briga-

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Guardia allo Stendardo, custodito nel fodero,del reggimento «Cavalleggeri di Roma» (20°).

ta, reggimenti «Cavalleggeri delMonferrato» (13º) e «Cavalleggeridi Roma» (20º) - agì inizialmentenel triangolo Conegliano-Vittorio-Sacile, intasato da colonne nemichein ritirata verso il Cadore e l’udine-se. Non meno affollate erano peròle linee utilizzate dagli italiani peravanzare. Al ponte di Fiaschetti,sulla Livenza, la 2a Brigata di caval-leria - reggimenti «Dragoni di Ge-nova» (4º) e «Lancieri di Novara»(5º) - prima di muovere in direzio-ne di Cervignano, Vittorio e Lestasdovette attendere che transitasse la3a Divisione di cavalleria, che pro-cedeva nella stessa direzione.Il 31 ottobre le unità nemiche tra ilLivenza e il Tagliamento erano or-mai in rotta. Il 31 ottobre 1918, ilCapo di Stato Maggiore dell’Eserci-to, Generale Armando Diaz, impartìla direttiva (n. 14 619 G.M.) per l’in-seguimento del nemico, che fu in-viata alla 1a, 3a, 4a, 6a, 7a, 8a, 10a e12a Armata e per conoscenza alla 9a

Armata, al Comando del Corpo dicavalleria e all’Intendenza Generale:

«... Il Corpo di cavalleria (Divisioni 2a,3a, 4a) lasciati convenienti distaccamen-ti a guardia dei ponti del Tagliamento,inseguirà il nemico nella pianura friula-na cercando di precederlo ai ponti del-l’Isonzo», precisando che «Allorché la10a e la 3a Armata avranno raggiunto ilTagliamento, i distaccamenti di cavalle-ria ai ponti del fiume stesso si riuniran-no alle rispettive Divisioni.... Ai riforni-menti del Corpo di cavalleria provvede-rà l’intendenza della 3a Armata». Alle 18.30 del 2 novembre il Gene-rale Diaz impartì un nuovo ordine(n. 1 417) nel quale, data per certal’affrettata ritirata del nemico oltreil Tagliamento, si chiedeva al Corpodi cavalleria di spingere le proprieDivisioni in profondità con la mag-giore risolutezza possibile, specifi-cando inoltre come in tale situazio-ne ogni ardimento fosse non soloconsigliabile, ma doveroso. Il passo

successivo del Comando Supremofu di ordinare a tutte le Armate, dal-lo Stelvio al mare, d’inseguire il ne-mico e disporre che la 3a e la 10a Ar-mata avanzassero fino al Taglia-mento: il Corpo di cavalleria (sup-portato dall’Intendenza dell’8a Ar-mata), con la 1a Divisione di caval-leria «Friuli» (riserva d’Armata, I eII Brigata, 2 batterie del I gruppodel reggimento artiglieria a cavallo)doveva interrompere le comunica-zioni del nemico facenti capo allavalle del Ferro e con le altre 3, dopoaver lasciato convenienti distacca-menti a guardia dei ponti del Ta-gliamento, era chiamato a inseguireil nemico nella pianura friulana,

cercando di precederlo ai ponti del-l’Isonzo. Dalla Stazione per la Car-nia doveva inoltre spingere i propridistaccamenti verso il nodo stradaledi Tarvisio. La 2a Divisione di ca-valleria «Veneto» (III e IV Brigata, 2batterie del II gruppo del reggimen-to artiglieria a cavallo) dalla frontePonti della Delizia - Latisana dove-va effettuare l’inseguimento sulladirettrice Palmanova-Gradisca-Monfalcone, occupando i ponti sul-l’Isonzo, da Peteano al mare. La 3a

Divisione di cavalleria «Lombardia»(V e VI Brigata, 2 batterie del IIIgruppo del reggimento artiglieria acavallo), dalla fronte Pinzano-Bon-zicco, doveva invece inseguire il ne-mico puntando su Udine-Cividaleper intercettare le strade che da SanQuirino (Monte Purgessimo) risali-vano le vallate del Natisone e deisuoi confluenti, inviando esplorato-

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Sopra.Motta di Livenza: la cavalleria italiana at-traversa il fiume.

A destra.Un reparto di cavalleria oltrepassa il fiumeTagliamento.

ri lungo l’Isonzo e fra Tolmino ePlezzo. La 4a Divisione di cavalleria«Piemonte» (VII e VIII Brigata, 2batterie del IV gruppo del reggi-mento artiglieria a cavallo), dallafronte Bonzicco-ponti della Delizia,doveva effettuare l’inseguimento,puntando su Pozzuolo-Percotto-Cormons-Gorizia, e occupare i pon-ti sull’Isonzo da Salcano (incluso) fi-no a Peteano (incluso), spingendol’esplorazione su Schonpass e Dor-nberg, nella valle del Vipacco. I di-staccamenti di cavalleria lasciati aiponti del Tagliamento ricevetterol’ordine di raggiungere le rispettiveDivisioni una volta raggiunti dalla3a e dalla 10a Armata. Il Comandan-te del Corpo di cavalleria pose infi-ne in riserva la sua 3a Brigata e asse-gnò all’Intendenza della 3a Armatail compito di provvedere ai riforni-menti della 2a, 3a e 4a Divisione. La manovra in profondità prevede-va che si dovessero impegnare com-battimenti con le retroguardie nemi-che solo se assolutamente necessa-rio per proseguire l’avanzata, inquanto lo scopo principale, oltre aquello di raggiungere prima del ne-mico i ponti sull’Isonzo, consistevanell’impedire la ritirata delle colon-ne nemiche composte da truppe, ar-tiglierie e carriaggi, piombando sulloro fianco e sulle teste delle colon-ne. In caso di resistenza, le Divisioniavrebbero dovuto aprirsi il varco at-traverso le resistenze nemiche uti-lizzando le numerose bocche dafuoco di cui disponevano e, conazioni rapide e intense, aprirsi lastrada. Un aspetto importante del-l’inseguimento consisteva nel man-tenimento elastico dei collegamentitra la 2a, 3a e 4a Divisione, in quantobisognava evitare d’irrigidirel’avanzata delle singole Divisioni ri-spetto alle laterali. Le unità di caval-leria svolsero egregiamente i compi-ti assegnati, grazie anche alla lorocapacità di progredire esternamenteai principali assi stradali, intasati

dalle truppe asburgiche in ritirata.Nel ricordare che al momento de-l’offensiva di Vittorio Veneto alcuneunità di cavalleria si trovavano fuo-ri dal territorio nazionale (in Alba-nia) citeremo ora alcuni reparti che,talora frazionati in colonne compo-ste da più unità, parteciparono al-l’offensiva di Vittorio Veneto. Nellapianura veneta e friulana operarono

4 Divisioni di cavalleria e, come giàvisto, aliquote di unità montate condifferente dipendenza. La 2a Divi-sione del Tenente Generale LittaModignani inquadrava la III e la IVBrigata: della prima facevano parteil reggimento «Lancieri di VittorioEmanuele II» (10º), che inseguì il ne-mico verso Palmanova e Cervigna-no, e il reggimento «Lancieri di Mi-

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Un lanciere a Udine liberata.

lano» (7º), che diresse verso Palma-nova e Gradisca d’Isonzo, sopraffa-cendo a Morsano una tenace difesa.Erano inquadrati nell’altra Brigataparte del reggimento «Lancierid’Aosta» (6º), che dopo una serie discontri minori raggiunse Morsano,Latisana e l’Isonzo e il reggimento«Lancieri di Mantova» (25°), chepuntò su Castiglione Strada, doveebbe luogo un combattimento. Il Te-nente Generale Paolo Guicciardi diCervarolo comandava la 3a Divisio-ne, composta dalle Brigate V e VI: laV aveva in forza il reggimento «Ca-

valleggeri di Saluzzo» (12º), che, di-retto verso Spilimbergo, combattè aTauriano, e il reggimento «Caval-leggeri di Vicenza» (24º), che affron-tò più volte il combattimento, por-tandosi verso Cividale del Friuli. LaVI Brigata della 3a Divisione di ca-valleria aveva in forza il reggimento«Lancieri di Savoia» (3º), che, passa-ta la Livenza a Polcenigo, mosseverso San Martino, Sedrano e Udi-ne, e il reggimento «Lancieri diMontebello» (8º), che guadò il Ta-gliamento a Bonzicco e proseguìl’inseguimento verso Tauriano eGradisca, dove ricevette la resa del-

la guarnigione austriaca. Si noti poicome, con la 3a Divisione di cavalle-ria, operasse anche una squadrigliadi autoblindo, che, unitamente aun’avanguardia dei «Lancieri diMontebello», combattè a Nogaredo,giungendo il 3 novembre a Udine.Nella battaglia di Vittorio Veneto leblindo vennero infatti impiegate,con buoni risultati, per sfruttare inprofondità i successi della fanteria.Delle due Brigate che componevanola 4a Divisione, la VII era formatadal reggimento «Nizza cavalleria»(1º), che, passato il Piave il 29 otto-

bre, mosse verso Fontanelle, Porde-none e Risano, e dal reggimento«Lancieri di Vercelli» (26º), che vin-se le resistenze nemiche a San Odo-rico e Lumignacco. L’VIII Brigatainquadrava invece il reggimento«Cavalleggeri di Treviso» (28º), cheraggiunse il Tagliamento dirigendoverso Ponte della Priula e Pordeno-ne, e il reggimento «CavalleggeriGuide» (19º), che si aprì la strada si-no a Sacile. Operarono poi in Vald’Adige il reggimento «Cavallegge-ri di Alessandria» (14º), che si scon-trò con il nemico a Volano e fu tra iprimi reparti italiani a entrare aTrento, i «Cavalleggeri di Padova»,che oltrepassata Trento raggiunseroOra, e il reggimento «Cavalleggeri

di Udine» (29º), che puntò su Bolza-no e Mezzolombardo.Alle ore 15.00 del 4 novembre cessa-rono le ostilità (ma ancora alle ore18.30 del 3 novembre il GeneraleDiaz chiedeva venisse intensificatal’avanzata); le truppe italiane rice-vevano l’ordine di arrestarsi sulla li-nea raggiunta, ma in conseguenzadelle previsioni dell’armistizio quel-le austriache dovettero ulteriormen-te ripiegare di tre chilometri rispettoa tale linea.

LEZIONI APPRESE

Se nelle operazioni difensive assu-me particolare valore la tenacia e ladeterminazione, in quelle offensiveil morale e lo spirito offensivo delletruppe risulta sempre determinan-te; per risultare vincente, l’applica-zione di piani d’attacco validamen-te pianificati e in grado di essereben condotti sul terreno dai Co-mandanti presuppone che i soldatisiano motivati e in possesso di unelevato spirito combattivo. Nel1918 il Generale Armando Diaz, su-bentrato come Capo di Stato Mag-giore Generale al freddo e determi-nato Generale Luigi Cadorna dopola disfatta di Caporetto, aveva sa-puto infondere negli italiani alle ar-mi la consapevolezza di vivere elottare per un destino comune eaveva fornito loro una nuova chia-ve di lettura del conflitto, supporta-to da una Nazione finalmente mo-bilitata a fondo, in ogni suo settore,per il conseguimento della vittoria.L’immissione di nuove classi di le-va, ed è giusto sottolineare quantol’Italia debba a quella del 1899, ave-va fornito nuova linfa e giovanileslancio ai reparti combattenti. L’uo-mo-soldato tornava a combattereper obiettivi chiari e condivisi: la li-berazione delle città e dei villaggi edelle fertili campagne d’Italia occu-pati dal nemico, non più l’intermi-nabile sanguinosissima conquistadelle pietraie del Carso.Dalla sconfitta dell’anno preceden-

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Cavalleria italiana guada il fiume Meduna.

te (Caporetto) i militari maturaro-no maggior consapevolezza delproprio ruolo al servizio della Na-zione e una crescente volontà di ri-valsa. Un fronte meno esteso (circa380 km prima di Caporetto, menodella metà prima di Vittorio Vene-to) e con linee di rifornimento piùcorte di quelle austro-ungaricheconsentì di raccogliere le forze,riorganizzarle, motivarle, e al mo-mento propizio, dopo un’attenta emeticolosa preparazione, atterrarelo storico avversario con un’unica,risolutiva, spallata. Dallo studio della bibliografia e deidocumenti originali custoditi pres-so l’Archivio Storico dello StatoMaggiore dell’Esercito, dei qualisolo una parte è stata qui menzio-nata, è apparso decisivo, ai fini del-lo sfruttamento del successo, il fat-tore della rapidità nella conduzionedella manovra offensiva. In un’epo-ca in cui il carro armato era da pocoapparso sui campi di battaglia e lesue potenzialità di manovra ancoranon erano state studiate in ambitodottrinale, furono i reparti di caval-leria a inseguire il nemico e a cerca-re di sopravanzarlo per precluder-gli le vie di fuga. La cavalleria, ma-novrando in velocità su ampi spazi,cercò di superare le colonne sban-date dell’arretrante avversario,puntando a penetrare in profonditàil territorio e ad assicurasi il posses-so di ponti, guadi, e in genere deipunti di obbligato passaggio, al finedi cercare di tagliare la ritirata alnemico e avvolgerne il dispositivo.Ciò non fu sempre possibile: acca-nite sacche di resistenza (si pensi aSerravalle, a nord-est di VittorioVeneto) dimostrarono che vi eranounità austriache che ancora si di-fendevano con valore, ma resero al-tresì evidente lo spirito combattivodelle unità di cavalleria. Se durantele undici sanguinose battaglie del-l’Isonzo e nel corso della battagliadel Solstizio il ruolo della cavalleriarisultò meno evidente, fu nelle fasidinamiche della lotta - la manovrain ritirata del 1917 e l’offensiva in

profondità del 1918 - che essaespresse pienamente il suo nobilecontributo alla vittoria finale.

Alessio GiganteCapitano,

in servizio pressoil 4° reggimento artiglieria controaerei

BIBLIOGRAFIA

Archivio Ufficio Storico dello StatoMaggiore dell’Esercito (AUSSME). Re-gio Esercito Italiano - Comando Supre-mo - Ufficio Operazioni. Documenti n.14 619 G.M. del 31 ottobre 1918 e n. 14717 G.M. del 2 novembre 1918.Archivio Ufficio Storico dello Stato Mag-

giore dell’Esercito (AUSSME). Comandodel Corpo di cavalleria. Documento n. 3472 di prot. Op. del 2 novembre 1918.«L’Esercito Italiano nella Grande guerra(1915-1918)», Le operazioni nel 1918, Vol.V - Tomo 2° bis - La conclusione del con-flitto, Ed. Stato Maggiore dell’Esercito -Ufficio Storico, Roma, 1988.In http://www.museobattaglia.it/docu-menti/battaglia.pdf (consultato il 10 febbra-io 2011), Mario A. Moroselli: La Battaglia diVittorio Veneto.Mario Isnenghi, Giorgio Rochat: «LaGrande guerra: 1914-1918», Il Mulino,Bologna, 2008.

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Lo Stendardo del reggimento «Cavalleggeridi Alessandria» (14°) a Trento liberata.

ecensioniREraldo Baldini, Norino Cani, PietroCompagni: «Pasqua di sangue - La Bat-taglia di Ravenna, 11 aprile 1512», Lon-go Editore, Ravenna, 2012, pp. 168, 24tavole a colori, euro 24,00.

L’importanza delle armi da fuoco, in-trodotte in ambito bellico nel tardoMedio Evo, non fu inizialmente com-presa appieno, anche a causa della loroefficacia, che fu per lungo tempo tra-scurabile mentre le armi bianche conti-nuavano a essere le indiscusse prota-goniste. Negli assedi, le grandi boccheda fuoco erano capaci di provocaredanni duraturi sulle mura di castelli ecittà, ma i loro effetti erano modesti separagonati al loro costo spropositato,ai soventi inconvenienti tecnici e algrande dispendio di personale e di ani-mali necessari al loro servizio. In batta-

glia, poi, i cannoni erano sostanzial-mente immobili e incapaci di provoca-re seri danni a nemici che manovrasse-ro con sufficiente celerità per sottrarsialla zona battuta col fuoco. Non diver-sa era la reputazione delle armi da fuo-co portatili, tutte a miccia. Armi ma-neggiate da anonimi fanti, indegne digentiluomini, caratterizzate da una ce-lerità di tiro assai inferiore all’arco e al-la balestra, anche se di pari efficacia.Ma nel giro di trent’anni le cose cam-biarono drasticamente. Tra la battagliadi Fornovo (1494) e quella di Pavia(1525) queste armi passarono da unruolo puramente ausiliario a uno deci-sivo. Si evidenzia la progressiva perdi-ta di importanza della cavalleria feu-dale e il progressivo affermarsi dellafanteria armata inizialmente di picche(svizzeri, lanzi, spagnoli) e poi irrobu-stita da numeri sempre crescenti di ar-chibugieri e moschettieri. Ravenna fuuna delle battaglie per il predominio in

Italia e fu combattuta l’11 aprile 1512(giorno di Pasqua) tra i francesi di Ga-stone di Foix e le truppe della LegaSanta, guidate da Raimondo de Cardo-na. Lo scontro avvenne in un luogo po-chi chilometri a sud della città, lungola riva del fiume Ronco, dopo che lacittà era stata cinta d’assedio e sottopo-sta a cannoneggiamento dalle truppefrancesi e ferraresi che, con la loro arti-glieria, sotto le direttive del duca Al-fonso I d’Este, erano tra le più efficien-ti d’Europa. La battaglia si aprì con unviolento fuoco d’artiglieria da entram-be le parti che inflisse, inizialmente,perdite superiori alle forze di Gastonedi Foix che erano battute dagli spagno-li, da posizioni più favorevoli. Dall’al-tro lato i cannoni francesi ed estensinon ottennero lo stesso effetto sul-l’Esercito della Lega schierato dietroun terrapieno approntato. La decisionedi Alfonso I di rischierare alcuni pezzisul fianco sinistro permise di prendered’infilata le truppe della Lega, cosicchèil terrapieno divenne una trappola sen-za scampo. L’artiglieria a Ravenna ini-ziò a essere arma risolutiva. Le perdite,mai esattamente accertate, furono sti-mate tra i 10 000 e i 20 000 caduti, a se-conda delle fonti. La battaglia fu vintadall’Armata di Luigi XII che, nei giornisuccessivi, si diede al saccheggio siste-matico di Ravenna. Nonostante la vit-toria, i francesi, a causa delle gravi per-dite subite, tra cui lo stesso Gastone diFoix, dovettero ritirarsi senza potersfruttare il successo. L’eco della batta-glia si propagò rapidamente in tuttaEuropa, non solo per la imprevista riti-rata dei vincitori, ma anche per la par-tecipazione di truppe provenienti datutto il continente. Ravenna fu vera-mente una battaglia delle Nazioni (te-deschi, dalmati, inglesi, greci, spagno-li, francesi, scozzesi, svizzeri e italianidi vari stati) e un esempio, in entrambii campi, di quelle che oggi si chiamano«coalition of the willing». Fu quindi an-che in questo una battaglia «moderna».Alla minuziosa ricostruzione della bat-taglia a opera di Norino Cani, si ag-giungono, per la prima volta insieme inuna grande galleria, i profili di quasi500 protagonisti, fra i quali molti dei ca-valieri italiani che avevano vinto alla di-sfida di Barletta, e 24 splendide tavoledi costume di Pietro Compagni, già col-laboratore di «Rivista Militare».Eraldo Baldini propone, inoltre, un at-tento studio sulle leggende popolari dif-fusesi in conseguenza della battaglia edel terribile saccheggio.In appendice sono riproposti i capitolirelativi alla battaglia e al saccheggio,tratti dalla «Historiarum Ravennatum» diGerolamo Rossi, pubblicata in latino al-la fine del XVI secolo, nella recente tra-duzione di M. Pierpaoli (Longo Editore,Ravenna, 1996).

Luigi Paolo Scollo

Francesca Perna: «Angeli di frontiera»,Sassoscritto Editore, Firenze, 2008, pp.160, euro 10.00.

Cosa rimane di una persona cara quan-do il destino avverso ce la porta via? Ol-tre il ricordo, soprattutto, l’insegnamen-to che si trae dalle sue scelte. Questo li-bro ripercorre sul binario delle riflessio-ni e delle immagini un percorso di vita,di scelte appunto e soprattutto di fedel-tà a quel giuramento che un Ufficialedell’Esercito Italiano onora nell’assolve-re il proprio dovere.Il destino del Capitano Giuseppe Perna,affettuosamente conosciuto come il«Capitano delle merendine» - gesto ge-neroso con il quale divideva la colazio-ne con i bambini che vivevano alla base- suscita rabbia nel cuore della sorella ein tutti quelli che hanno avuto la fortu-na di accostarsi a lui.Anche le foto colgono nel viso apertoe sincero l’animo di un ragazzo cheda sempre ha concepito il suo desti-no come una missione nel senso piùprofondo del termine: «portatore dipace».

Sì, una vita spezzata, perché GiuseppePerna poteva e avrebbe fatto ancora dipiù, non solo per i suoi cari ma per tuttiquelli che avrebbe incontrato; ma rima-ne sempre simulacro di quei valori oggitroppo spesso dimenticati.Questo libro è un tributo che una sorel-la ha voluto dare alla vita di un essereumano morto all’improvviso per supe-rarne la fragilità.Un percorso di vita che coglie nellasemplicità delle parole e degli sguardiciò che è veramente importante, al di làdel destino che ci fa essere uomini, dimeritare il diritto a esistere per il nostrovalore.

Marcello Ciriminna

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VOLONTARI IN FERMA PREFISSATA DI UN ANNO

PIÙ FORTI OGGIPIÙ SICURI DOMANI

e s e r c i t o . d i f e s a . i t