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MIGRAZIONI FARE AUTOCRITICA «Quando ho acceso la prima candela di Amnesty avevo in mente un vecchio proverbio cinese: “Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità” Questo è oggi il motto per noi di Amnesty» (Peter Benenson) DIAMO VOCE AI DIRITTI UMANI i fatti e le idee SETTEMBRE 2017 NUMERO 3 - ANNO 3 VOCI

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MIGRAZIONIFARE AUTOCRITICA

«Quando ho acceso la prima candela di Amnesty avevo in mente un vecchio proverbio cinese: “Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità” Questo è oggi il motto per noi di Amnesty» (Peter Benenson)

D I A M O V O C E A I D I R I T T I U M A N Ii f a t t i e l e i d e e

SETTEMBRE 2017 NUMERO 3 - ANNO 3

VOCI

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Cleaning 3di Liliana Maniscalco

Italia: Immigrazione e menzogne 4di Giuseppe Provenza

La mistificazione di massa travolge la verità ed i diritti dei migranti 8di Fulvio Vassallo Paleologo

U.S.A.: La politica dell’immigrazione introdotta da Trump 10di Chiara Casotti e Lorenzo Moro

Italia: Indecente record nell’export di armamenti 13di Giorgio Beretta

SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 - Voci

Rivista del Centro di Documentazione per la Promozione e l’Educazione alla

Tutela dei Diritti Umani “Peter Benenson”

COMITATO DI REDAZIONE

Giuseppe Provenza Responsabile della Redazione

Liliana Maniscalco Responsabile Regionale di Amnesty International

Daniela Conte Responsabile del

Centro di Documentazione per la Promozione e l’Educazione alla

Tutela dei Diritti Umani “Peter Benenson”

Andrea Cuscona Responsabile Relazioni Esterne

e Comunicazione di Amnesty International in Sicilia

Silvia Intravaia Grafica e D.T.P.

COLLABORANO

Aurelio Angelini, Clelia Bartoli, Giorgio Beretta, Daniela Brignone, Paola Caridi, Marianna Castellari, Francesco Castracane, Giovanna

Cernigliaro, Vincenzo Ceruso, Cissé Mouhamed, Coord. America Latina di Amnesty International Sez. Italia,

Marta D’Alia, Aristide Donadio, Vincenzo Fazio, Maurizio Gemelli,

Javier Gonzalez Diez, Michele Iacoviello, Giuseppe Carlo Marino, Maria Grazia Patronaggio, Andrea

Pira, Paolo Pobbiati, Rossella Puccio, Bruno Schivo, Daniela Tomasino,

Fulvio Vassallo Paleologo

VOCI

[email protected]

-Piazzale Aurora n. 790124 Palermo

IN QUESTO NUMERO

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TUTTI I GIORNI

Questa rivista non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornata senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001. Le informazioni contenute in questa rivista, pur fornite in buona fede e ritenute accurate, potrebbero contenere inesattezze o essere viziate da errori tipografici. Gli autori di “Voci“ si riservano pertanto il diritto di modificare, aggiornare o cancellare i contenuti della presente senza preavviso. Alcuni testi o immagini inserite in questo blog sono tratte da internet e, pertanto, considerate di pubblico dominio; qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d’autore, vogliate comunicarlo via email. Saranno immediatamente rimossi.

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Le opinioni espresse negli articoli presenti in questo numero non necessariamente rispecchiano le posizioni di Amnesty International.

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Amnesty In Sicilia

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www.amnestysicilia.it

Cinema: La ragazza senza nome 17di Francesco Castracane

Cover-photo copyright credit: © Amnesty International / Richard Burton “Razoe wire on the Macedonia border near the village of Idomeni, Greece, 23 August 2015”

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EdITORIALE

SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 - Voci3

CLEANING

“Generazioni di italiani hanno vissuto la gravosa esperienza dell’emigrazione, hanno sofferto per la separazione dalle famiglie d’origine e affrontato condizioni di lavoro non facili, alla ricerca di una piena integrazione”. Un motivo di riflessione, dice il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella “verso coloro che oggi cercano anche in Italia opportunità che noi trovammo in altri Paesi, che sollecita attenzione e strategie coerenti da parte dell’Unione Europea”. L’occasione, è l’anniversario delle vittime italiane di Marcinelle.

La bagarre che è seguita sui giornali, ad opera di tanti rappresentanti della politica nostrana in reazione alle dichiarazioni del Capo dello Stato, mostra chiaramente come l’affermazione sia apparsa a molti in distonia con la schifosa campagna denigratoria in atto verso le ONG, volta a giustificare qualsiasi violazione dei diritti umani nei confronti di chi cerca di entrare in Europa attraverso l’Italia e, tragicamente forse in ultimo, a cambiare il clima della nazione verso una accettazione nei confronti degli abusi che si potranno così stendere a macchia d’olio e che potranno riguardare i cittadini, nel nome della sicurezza, della difesa dal terrorismo e, perché no, degli interessi economici.

Le immagini, pochi giorni dopo anche la decisione di rimandare il nostro ambasciatore al Cairo nella necessità di allacciare buoni rapporti col generale Khalifa Haftar, l’uomo forte del Parlamento di Tobruk, con la svendita atroce di Giulio Regeni e della sua famiglia, che ci giungono da Via Curtatone sono una conferma che lascia sgomenti.

Di fronte a isolati atti di violenza, probabilmente dettati dalla disperazione, da parte di alcune persone da giorni costrette a dormire in strada, tra le aiuole, successivamente allo sgombero del 14 agosto, la reazione delle forze di Polizia, nelle modalità ed in ragione dei mezzi utilizzati, è apparsa costituire un uso totalmente sproporzionato della forza, da qualsiasi

punto di vista del diritto internazionale.

Solo una forte reazione mediatica è riuscita a fare presente che le soluzioni che riguardano il destino di persone sgomberate dalle proprie abitazioni devono essere concordate e non subite dai soggetti coinvolti.

Le forze di polizia avrebbero dovuto agire con una strategia che moderasse e limitasse al massimo il ricorso all’uso della forza, di fatto non necessaria di fronte a persone in condizione di grande vulnerabilità e di pieno esercizio dei propri diritti, come in questo caso.

Quanto è successo è un fatto grave con responsabilità condivise a livello locale, dove non sono state approntate adeguate sinergie volte all’accoglienza, e nazionale poiché gli obblighi connessi a temi relativi all’ordine pubblico sono stati ampiamente disattesi.Il tutto si inquadra perfettamente nel percorso propedeutico a questo nuovo clima cui sembrerebbe che la nostra politica voglia tendere.

E così è stato possibile che la tutela e la protezione che le persone avevano ottenuto per tramite del godimento di un diritto riconosciuto alla propria sicurezza sia venuto meno nei giorni scorsi e che il nutrito gruppo di Piazza Indipendenza abbia visto vedersi sciogliere come neve sotto il solleone di Agosto i sostegni assicurati dagli standard internazionali e dal riconoscimento dello status di rifugiati, vivendo un normale paradosso nell’imbastitura di una nuova cultura dove i diritti devono essere spazzati via, con un potente getto di idrante e un’azione di cleaning, in maniera che uomini, donne e bambini diventino invisibili, convenientemente.

di Liliana Maniscalco

Liliana ManiscalcoResponsabile Regionale

di Amnesty International

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SPECIALE MIGRAZIONI

Voci - SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 4

ITALIA: IMMIGRAZIONE E MENZOGNEOvvero: la falsità imperantedi Giuseppe Provenza

Si sa, una strategia molto comoda di propaganda politica adottata da una certa parte politica si basa su due princìpi fondamentali: presentare la realtà in maniera distorta e sollecitare la paura trasformandola in odio nei confronti di un nemico preconfezionato.

È una storia antica. Precedente ben noto è costituito dal nazismo, che arrivò al potere in maniera quasi democratica suscitando l’odio prima nei confronti dei paesi vincitori della guerra e poi nei confronti di Ebrei, Rom e comunisti mediante una propaganda basata sulla falsità.

Non meno noto è il fenomeno del maccartismo degli anni 50 del XX secolo, quando negli Stati Uniti l’anticomunismo esasperato e soprattutto basato sulla falsità e sulla paura, divenne per molti politici una comoda scorciatoia per conquistare voti e potere.

Oggi il nemico nei confronti del quale suscitare paura ed odio è il migrante, che sia economico o richiedente asilo, ed ancora una volta la menzogna è lo strumento principale. È questo uno spettacolo vergognoso a cui si assiste in tutto il così detto Mondo Occidentale.

Costante è il richiamo alla sicurezza, minacciata dall’arrivo di terroristi e di delinquenza comune.

Nel contempo, qualora non fosse sufficiente la paura di delinquenza e terrorismo, continui sono i riferimenti ai costi delle immigrazioni e all’occupazione.

Eppure le colpe dell’Europa in tema di migrazioni sono tante, gravi e abbastanza identificabili. Ma poche voci si sentono per denunciarle.

Le cause per cui centinaia di milioni di persone (circa 250 milioni secondo l’ONU) vivono oggi fuori del proprio paese d’origine sono sostanzialmente tre: la povertà, le guerre e le dittature.

Riguardo alla povertà, abbiamo mai riflettuto sui motivi per cui paesi che dispongono di grandi risorse economiche abbiano redditi pro-capite bassissimi? Un’analisi neanche particolarmente approfondita degli stessi mette in evidenza come le più rilevanti risorse economiche di quei paesi siano in mano a multinazionali europee o statunitensi che sfruttano le risorse ed utilizzano la manodopera locale a bassissimo prezzo, dirottando, quindi, la quasi totalità degli utili nei paesi d’origine.

È la versione aggiornata del colonialismo, esercitato non più dagli stati ma dalle aziende, con l’ovvio beneplacito degli stati.

E le dittature? Guarda caso, la maggioranza di quei paesi è governata da dittature, regimi caratterizzati da elevatissimi livelli di corruzione e quindi facilmente manovrabili ai fini di chi sfrutta le ricchezze del paese.

Non diversa la logica delle guerre che si protraggono indefinitamente ancora una volta negli stessi paesi

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SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 - Voci5

Speciale Migrazioni

di origine di gran parte delle migrazioni, ed ancora una volta ciò finisce per essere fonte di guadagno per molti paesi sviluppati produttori di armi che, con il commercio di queste, ottengono il trasferimento di ulteriori ricchezze da paesi poveri, che pur dispongono di ingenti ricchezze, come, ad esempio petrolio e gas. Non va inoltre ignorato che molto spesso il finanziamento dei conflitti sia in parte significativa ottenuto dal traffico di stupefacenti e da somme provenienti da “simpatizzanti” residenti in Europa e nord America. Si assiste così a flussi enormi che vanno da paesi “sviluppati” a paesi “in via di sviluppo”, alimentandone i conflitti, per tornare da questi ai paesi “sviluppati” per l’acquisto di armi spesso con traffici tutt’altro che limpidi.

La prima falsità sta dunque nella omissione. L’omissione delle responsabilità del così detto “mondo occidentale” nell’alimentazione della crisi economica e sociale dei paesi falsamente chiamati “in via di sviluppo” e nella realizzazione di una “globalizzazione” che porta sfruttamento di intere popolazioni, anziché portare “sviluppo”, ossia crescita economica che si traduca in miglioramento del tenore di vita, e crescita sociale e politica.

Ma c’è una falsità forse ancora più grave, che riguarda gli effetti sulle società europee ed americane dell’arrivo dei migranti.

Ci soffermeremo sull’Italia per smentire, con dati di fatto, quanto falsamente sostenuto da certa propaganda politica, che sembra avere un buon successo sull’opinione pubblica nazionale, o che sa ben sfruttare innate diffidenze e paure popolari, visto che, stando ad eurobarometro (il servizio della Commissione europea che misura ed analizza le tendenze dell’opinione pubblica in tutti gli stati membri e nei paesi candidati), nel 2012 il 72% degli italiani aveva un’opinione negativa nei riguardi dell’immigrazione extracomunitaria ed il 54% nei riguardi di quella comunitaria 1.

Le motivazioni principali di tale atteggiamento stanno soprattutto nei costi eccessivi sostenuti, al riguardo, dallo Stato, nella sottrazione di posti di lavoro e nell’aumento della criminalità.

Che l’immigrazione pesi sul bilancio dello stato è abbondantemente smentito dalle analisi compiute in vari anni dalla Caritas: [grafico n.1]

Dati analoghi riporta la medesima fonte in anni più recenti: [grafico n.2]

1 - Fonte: “Immigrati: da emergenza a opportunità” – Centro Studi Confindustria, giugno 2016

grafico n.1

Costi e benefici dell'immigrazione in Italia: stima delle entrate e delle uscite (2008)

Voci di entrata e di uscita Miliardi di euro

Totale entrate 10,8

Contributi previdenziali 7,5

- di cui lavoratori dipendenti 6,5

- di cui lavoratori autonomi 0,7

- di cui lavoratori parasubordinati 0,2

Gettito Irpef 2,2

- di cui lavoratori dipendenti 1,8

- di cui lavoratori autonomi 0,3

- di cui lavoratori parasubordinati 0,1

Gettito Iva 1,0

Tasse per permessi di soggiorno e cittadinanza 0,1

Totale uscite 9,9

Sanità 2,8

- di cui per stranieri residenti 2,4

- di cui per stranieri temporaneamente presenti

-

Spese scolastiche 2,8

Spese sociali dei comuni 0,4

Spese per la casa 0,4

- Edilizia residenziale pubblica 0,2

- Fondosocialeperl’affitto 0,2

Spese Ministero Giustizia (tribunali e carcere) 2,0

Spese Ministero Interno (centri espulsione e accoglienza)

0,5

Spese previdenziali 1,0

- Trattamenti familiari 0,4

- Trattamenti pensionistici 0,6

FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes

grafico n.2

(miliardi di euro) 2011 2012 2013 2014

ENTRATE dA MIGRANTI 13,3 16,5 16,6 17,7

COSTI IMMIGRAZIONE 11,9 12,6 13,5 14,7

dIFFERENZA POSITIVA 1,4 3,9 3,1 3,0

FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes

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Voci - SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 6

Speciale Migrazioni

Particolare attenzione va posta sul dato relativo alla previdenza, ossia al sistema pensionistico, che vide nel 2008 entrate per contributi versati all’INPS per 7,5 miliardi di euro, contro uscite da parte dello stesso ente pari a 1,0 miliardo di euro. Negli anni successivi, dal 2009 al 2014, gli stranieri hanno versato:

Entrate INPS da Immigranti (miliardi di euro)

2009 2010 2011 2012 2013 2014

8,0 8,5 9,3 9,7 10,3 11,0

FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes

Il dato principale che si evince è, quindi, che gli immigrati contribuiscono per miliardi di euro l’anno al pagamento delle pensioni di tutti i pensionati italiani, o, per dirla in altro modo, hanno pagato le pensioni di centinaia di migliaia di italiani.

Altro dato rilevante riguarda la formazione del PIL italiano.

A fine 2015 gli immigrati in Italia erano 5.789.000, pari al 9,5% dei residenti e producevano nel 2015 circa l’8,7% del PIL, secondo dati del Centro Studi Confindustria. Si noti che, sempre secondo il Centro Studi Confindustria, nel 2015 gli immigrati abbiano effettuato rimesse ai paesi d’origine pari al 15% del loro reddito. Quindi l’85% del reddito da loro prodotto è stato speso in Italia, divenendo reddito di altri residenti in Italia per locazioni, generi alimentari, abbigliamento e consumi in genere, incrementandone il volume.

Va inoltre aggiunto che gli immigrati contribuiscono alla formazione del Reddito Nazionale Italiano anche come imprenditori. Oltre 8% delle aziende italiane appartiene infatti ad immigrati. Queste aziende hanno prodotto 85 miliardi di valore aggiunto nel 2012 e 96 miliardi nel 2015.

In altri termini ogni italiano, mediamente, deve una parte non irrilevante del proprio reddito agli immigrati.

Riguardo all’affermazione che gli immigrati sottraggano lavoro ai nativi italiani, argomento che, come ovvio, ha una notevole presa sull’opinione pubblica, numerosi sono gli studi che, su base statistica, smentiscono questa tesi.

Senza voler entrare in analisi complesse, si tratta di capire, in sostanza, se esista concorrenzialità o complementarietà fra il lavoro di italiani nativi ed immigrati.

Un dato abbastanza evidente e sotto gli occhi di tutti riguarda le attività su cui in misura più rilevante si concentra il lavoro degli immigrati: il lavoro domestico per le donne e la raccolta dei prodotti dell’agricoltura

insieme al lavoro nell’edilizia per gli uomini. Si tratta, in questi casi, di attività poco gradite agli italiani nativi e, purtroppo, spesso coperte con lavoro nero sottopagato e con evasione dei contributi sociali.

Ovviamente la diffusione del lavoro nero in Italia è una delle carenze più gravi nel sistema sociale italiano, dovuta anche ad insufficienti controlli dello Stato. Ciò rende inaccettabili le attività lavorative nelle quali il fenomeno più si concentra. Sarebbe quindi auspicabile che il fenomeno si riducesse sensibilmente, fino, se possibile, a scomparire. Tuttavia oggi ciò costituisce una realtà, inammissibile e vergognosa, che non si può ignorare, che contribuisce in maniera rilevante a caratterizzare il lavoro degli immigrati come complementare e non concorrenziale rispetto a quello degli italiani di nascita, i quali abbandonano lavori considerati da loro troppo “umili” e troppo caratterizzati dalla “irregolarità”, per la ricerca di lavori più qualificati e qualificanti e in cui ritengono di poter trovare maggiori garanzie e protezioni.

È auspicabile che i due sistemi “controllo del mercato del lavoro” e “gestione dell’immigrazione”, che, come si è visto, sono ampiamente contigui, vadano profondamente rivisti, innanzitutto con una concreta e convinta lotta al lavoro irregolare, per la reale protezione di tutti i lavoratori, italiani nativi ed immigrati, rivedendo, in questo contesto, in maniera più razionale il sistema attuale di regolazione dell’immigrazione, basato sul così detto “decreto flussi”, con il quale ogni anno il governo, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, stabilisce il numero di cittadini non comunitari ammessi per il lavoro in Italia. Per il 2017 questo numero, con decreto del 13 febbraio, è stato stabilito in 30.850, contro i circa 181.000 sbarchi del 2016 ed un numero imprecisato di richieste di assunzione di lavoratori non comunitari. Pur tenendo conto che dei 181.000 immigrati sbarcati, molti hanno lasciato l’Italia per altri paesi, certamente quelli rimasti sono in misura molto maggiore di quanti previsti con il “decreto flussi”, lasciando ampio margine al lavoro irregolare.

Anche in questo caso va notato come venga diffusa l’idea che gli immigrati costituiscano un problema per il “sistema Italia”, mentre nella realtà, ed ipocritamente, si alimenti un mercato irregolare del lavoro lasciato fiorire impunemente.

L’ultima paura fomentata nell’opinione pubblica riguarda l’aumento di criminalità. Al riguardo si può rilevare un’attività molto sottile e costante da parte di molti media, pronti a diffondere e sottolineare ogni evento delittuoso commesso da stranieri. L’effetto è che circa due terzi degli italiani, secondo diversi sondaggi, si dichiarino certi che il livello di criminalità sia in aumento a causa dell’arrivo di migranti.

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SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 - Voci7

Speciale Migrazioni

In realtà, tuttavia, come fa notare Francesco Palazzo 2 il 24 ottobre 2016 su “Diritto Penale Contemporaneo” con l’articolo dal titolo “Immigrazione e criminalità – una lettura di dati statistici”, la valutazione dell’incidenza dell’immigrazione sul tasso di criminalità risulta di una certa complessità e va compiuta “sulla base di una più approfondita riflessione razionalmente e scientificamente supportata”. Vero è infatti, fa notare l’autore, che al 30 settembre 2016 “su una popolazione detenuta complessiva di 54.465 presenze (rispetto a una capienza “regolamentare” di 49.796), ben 18.462 erano stranieri, pari cioè al 33,8 % del totale”, tuttavia, prosegue, “l’interpretazione di quelle statistiche – indubbiamente allarmanti nei loro dati grezzi – non può prescindere da una fondamentale distinzione: e cioè quella tra stranieri regolari e stranieri irregolari”. Da questa distinzione si deduce che “il tasso di delittuosità degli stranieri è pressoché coincidente con quello degli italiani quando si tratta di regolari, mentre s’innalza davvero notevolmente quando sono irregolari”.

Questa conclusione non può non far nascere la domanda se sia la condizione di irregolare a far delinquere, o se siano dei delinquenti ad entrare nel paese da irregolari. Risolvere questo quesito non è certamente facile, ma fanno riflettere due considerazioni: non sembra possibile che si affrontino viaggi lunghi e drammatici, mettendo ad altissimo rischio la propria vita, con l’intento premeditato di andare a delinquere nel paese d’arrivo, mentre appare possibile che costituiscano una spinta a delinquere le condizioni disumane in cui spesso si ritrovano coloro che vivono da “irregolari” in un paese straniero dove vengono sfruttati da chi si giova della loro condizione.

Va inoltre considerato un ultimo dato, quello demografico. La popolazione italiana è infatti tendente al calo per due motivi: il tasso di fertilità e l’emigrazione.

2 - Prof. Francesco Palazzo – Ordinario di Diritto Penale presso l’Università degli Studi di Firenze

Il tasso di fertilità, ossia numero di nascite per donna, per il mantenimento stabile della popolazione non dovrebbe essere inferiore a 2,1. In Italia nel 2016 è stato di 1,34 (fonte ISTAT), dato che avrebbe un effetto devastante sull’economia per il progressivo venire a mancare di lavoratori e il contemporaneo invecchiamento della popolazione con sempre più pensionati e sempre meno lavoratori.

Al calo delle nascite si aggiunge l’emigrazione dall’Italia verso l’estero, più che compensata dall’arrivo di migranti, tanto che nel 2016 il saldo, positivo, fra immigrati ed emigrati è stato di 135 mila unità (fonte ISTAT). Nell’insieme, tuttavia, fra fertilità ed emigrazione, l’ISTAT prevede, per il futuro, un calo della popolazione italiana.

Il dato demografico si aggiunge dunque a quanto considerato riguardo al PIL e al bilancio dello Stato, l’Italia, come del resto l’intera Europa, è letteralmente salvata dall’arrivo dei migranti, il paese infatti è riuscito, negli anni di crisi, a non veder crollare il PIL per il lavoro dei migranti e per i loro consumi, il sistema pensionistico riceve un valido sostegno dai contributi dei migranti, ed i nostri centri produttivi non si vedono svuotati di forze di lavoro mediante la sostituzione, con lavoratori stranieri, di chi abbandona un lavoro non gradito, o lascia l’Italia.

In conclusione, appare molto grave che ciò che dovrebbe essere considerato una risorsa venga propagandato, per motivi di bassa politica, come una minaccia ed un pericolo, e soprattutto che questa risorsa sia sottoposta, nell’indifferenza delle istituzioni, a forme di sfruttamento che non raramente si configurano come veri e propri stati di schiavitù che certamente contrastano con la definizione di “stato di diritto” e di “paese civile” dell’Italia.

Giuseppe ProvenzaResponsabile Gruppo Italia 243

di Amnesty International Sezione Italiana

Membro del Coordinamento Europa di Amnesty International Sezione Italiana

SCELGO dI SALVARE VITE

https://www.amnesty.it/appelli/non-lasciamoli-annegare/

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Voci - SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 8

Speciale Migrazioni

LA MISTIFICAZIONE dI MASSA TRAVOLGE LA VERITÀ Ed I dIRITTI dEI MIGRANTIdi Fulvio Vassallo Paleologo

Dopo la violenta macchina del fango schierata contro le ONG, colpevoli di soccorrere troppe persone in mare, a nord delle coste libiche, si è scatenata l’ennesima campagna di disinformazione, confondendo il ruolo delle ONG private con le attività, e spesso con le malefatte, delle cooperative che gestiscono i centri di accoglienza, con il chiaro intento di nascondere le responsabilità istituzionali e degli enti gestori 1, e di scaricare sui migranti le conseguenze dei fallimenti a catena derivanti dalla mancata attuazione dell’Agenda Europea sulle migrazioni, che prevedeva la cd. Relocation verso altri paesi europei, dalla pessima attuazione del Regolamento Dublino III, dai ritardi nell’accesso alle procedure di asilo, dalla cronica incapacità delle Prefetture a controllare la gestione dei centri per stranieri ed a garantire, attraverso i Tavoli regionali di coordinamento, una diffusione omogenea dei richiedenti asilo su tutto il territorio.

Piuttosto che indagare sulle gravi omissioni di chi gestisce i centri di accoglienza negando il riconoscimento dei più elementari diritti degli immigrati ammassati ormai anche in tendopoli prive dei servizi essenziali 2, si sta cercando di costruire

1 - http://video.repubblica.it/dossier/immigrati-2015/cona-la-manager-della-cooperativa-ai-migranti-siete-dei-macachi/264344/264712

2 - https://left.it/2017/01/05/ce-voluto-un-morto-affinche-ci-si-accorgesse-dei-vivi-viaggio-dentro-al-cpa-di-cona/

la figura del nemico interno, sfruttando isolati casi di cronaca e ipotizzando addirittura la presenza di terroristi tra i migranti che protestano in maniera più determinata per il riconoscimento dei propri diritti e della propria dignità.

Ma l’operazione più grave che sta passando, con effetti devastanti sull’opinione pubblica, è la sovrapposizione della questione della effettività delle misure di allontanamento forzato ( respingimenti ed espulsioni) e degli accordi di riammissione con i paesi terzi, con la diversa questione del fallimento del sistema di accoglienza basato sui CAS ( centri di accoglienza straordinaria) 3, derivante anche dalla chiusura delle frontiere europee, dal protrarsi delle procedure e dal rifiuto di molti comuni che non accolgono alcuna richiesta di apertura di strutture di accoglienza decentrata. Con mille o duemila posti in più nei CIE, come ha anticipato il ministro dell’interno Minniti, non si risolverà certo il problema della presenza prolungata di 170.000 persone nei Centri di prima accoglienza (CPA) e nei centri di accoglienza straordinaria (CAS) che (anche per legge) non avrebbe dovuto protrarsi oltre qualche giorno. L’aumento dei posti nei CIE non migliorerà certo il tasso di effettività delle misure di rimpatrio ma produrrà soltanto una

3 - http://www.tempostretto.it/news/accoglienza-antonio-mazzeo-megatendopoli-migranti-ex-caserma-gasparri.html

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SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 - Voci9

Speciale Migrazioni

ulteriore lacerazione del corpo sociale e la riduzione alla clandestinità di molti migranti che saranno sfruttati ancora più duramente proprio per effetto della loro condizione di irregolari.

Deve essere chiaro a tutti che aprire un CIE per regione, aumentando di mille o duemila posti la capacità di queste strutture, o tentare di stipulare nuovi accordi bilaterali con i paesi di origine e transito, non risolverà mai né la questione della presenza in Italia di oltre duecentomila migranti in condizione di irregolarità 4, anche per effetto di leggi e di prassi che spingono verso la condizione di irregolarità, né tantomeno potrà decongestionare il sistema di accoglienza, selezionando ed espellendo coloro che non avrebbero titolo ad essere accolti in Italia, quelli che vengono sbrigativamente definiti come i cd. migranti economici, una categoria frutto di arbitrarie determinazioni delle autorità amministrative, che non trova riscontro né nelle leggi nazionali, né tantomeno nella normativa europea.

Se qualcuno vuole ancora propagandare che con le misure repressive, con le espulsioni sommarie e di massa 5, con la moltiplicazione dei posti nei centri di detenzione amministrativa, con il ricorso alla detenzione informale nei centri di accoglienza, si potrà risolvere il problema della sicurezza ed addirittura garantire un contrasto più efficace di fronte alla minaccia terroristica 6, basteranno i dati oggettivi contenuti in rapporti inattaccabili, da ultimo quello della Commissione Diritti Umani del Senato 7, e le condanne subite dall’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, quando i diversi governi che si sono succeduti nel tempo hanno cercato scorciatoie per praticare l’allontanamento forzato ed i rimpatri senza rispettare i diritti fondamentali della persona. Iniziative che alla lunga si sono rivelate inefficaci oltre che illegali, perché di illegalità si può e si deve parlare, quando una Corte internazionale sanziona il trattenimento arbitrario di una persona all’interno di un centro, sia un CIE o un centro di primo soccorso ed accoglienza, camuffato magari da Hotspot 8.

Appare singolare come, mentre ritorna nelle proposte del governo il disegno di aprire nuovi CIE, nessuno

4 - http://www.lasciatecientrare.it/j25/italia/news-italia/248-i-cie-sono-luoghi-di-morte-nessun-cie-in-fvg-ne-altrove

5 - http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2017/01/03/ASfcK4nF-espulsione_irregolari_controlli.shtml

6 - http://www.repubblica.it/cronaca/2017/01/05/news/cona_parla_nordio_non_possiamo_escludere_infiltrazioni_di_tipo_terroristico_tra_i_migranti_-155426379/

7 - http://www.camera.it/leg17/1208?shadow_organo_parlamentare=2528

8 - http://www.lasciatecientrare.it/j25/italia/news-italia/248-i-cie-sono-luoghi-di-morte-nessun-cie-in-fvg-ne-altrove

osi fare un bilancio sull’esperienza fallimentare dell’Approccio Hotspot, imposto dall’ Agenda Europea sulle migrazioni, ma anche troppo a lungo assecondato dal governo Renzi che ne ha fatto il perno della Roadmap proposta a Bruxelles quando ormai era evidente che la relocation verso altri paesi europei, promessa a Grecia ed Italia nel maggio del 2015, non si sarebbe mai attuata.

Intanto è bene che si rifletta sulle condanne subite dall’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, quando qualcuno al Viminale ha deciso che “il fine giustifica i mezzi”, anche a costo di ricercare accordi con uno “stato fallito” come la Libia 9. È successo nel 2008, con gli accordi tra Berlusconi, Maroni e Gheddafi, e potrebbe succedere ancora oggi, dopo gli accordi tra Minniti e Serraj.

Vanno modificate tutte le politiche europee e gli accordi bilaterali, anche di riammissione, che tendono alla esternalizzazione del diritto di asilo ed alla collaborazione con i paesi terzi, per bloccare le partenze, anche da quegli stati caratterizzati da una dittatura militare o in mano a governi criminali, come nel caso del Sudan. È questa la direzione nella quale L’Unione Europea e l’Italia si muovono con crescente determinazione nell’ambito del cd. Processo di Khartoum, al fine dichiarato di combattere le reti di trafficanti, ma in realtà per impedire che i migranti ed i profughi tutti possano attraversare le frontiere in Africa e nel vicino oriente, e quindi avvicinarsi ai confini europei. Si tratta purtroppo di indirizzi politici e di prassi applicate che si vanno realizzando al di fuori di una qualsiasi legittimazione parlamentare, a livello di accordi di polizia, sotto l’occhio attento degli ispettori di FRONTEX e degli agenti di EASO, l’agenzia europea che dovrebbe supportare i paesi dell’Unione maggiormente in difficoltà per l’elevato numero di arrivi e di richieste di protezione internazionale. Rispetto a questi accordi ed alle prassi che ne derivano, sostenuti da una opinione pubblica sempre più refrattaria ai principi di solidarietà e di accoglienza, occorre rispondere con una forte capacità di comunicazione, con la denuncia dei fatti e dei responsabili di abusi, con una aggregazione di un fronte antirazzista e solidale che, seppure frammentato, riesce ancora a rispondere ed a schierarsi accanto ai migranti.

9 - http://www.lastampa.it/2017/01/05/italia/cronache/stop-ai-barconi-di-migranti-litalia-cerca-laccordo-in-libia-s9hqW6c2jEd96rpIPGCyAK/pagina.html

Fulvio Vassallo PaleologoADIF - Associazione Diritti e frontiere

Docente di Diritto d’Asilo e Statuto Costituzionale dello Straniero

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Voci - SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 10

Speciale Migrazioni

A gennaio scorso, appena entrato alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump ha firmanto un ordine esecutivo che vieta l’ingresso alle persone provenienti da alcuni paesi a maggioranza musulmana.

Le proteste sono scattate immediatamente negli aeroporti negli Stati Uniti. I dimostranti e i gruppi di attivisti, tra cui Amnesty International, hanno definito tale divieto incostituzionale.

L’ordine afferma: “si sospende l’ingresso negli Stati Uniti, sia a immigrati che non immigrati, ...”. In particolare, l’ordine si rivolge a persone provenienti da paesi originariamente elencati dall’amministrazione Obama come focolai terroristici: Iraq, Siria, Iran, Sudan, Libia, Somalia e Yemen.

Kevin Johnson, Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di California, ha detto che i termini “immigrati e non immigrati” coprono la maggior parte dei viaggiatori stranieri di quei paesi: “Un immigrato è un residente legale (ovvero un titolare della carta verde); un non immigrato è qualcuno con un semplice visto”.

Ci sono stati diversi rapporti che descrivono come sia i titolari di carta verde sia persone con visti validi siano stati bloccati appena arrivati negli Stati Uniti, o addirittura ancor prima, quando stavano imbarcandosi per il volo intercontinentale. Un uomo iracheno che viaggiava con la sua famiglia, quando ha messo piede al Kennedy International Airport di New York, si è ritrovato in fermo detentivo.

L’ordinanza si applica anche ai rifugiati. Due famiglie cristiane siriane sono state fermate e rimandate a Doha, Qatar, dopo aver raggiunto l’aeroporto internazionale di Philadelphia. Il provvedimento di un giudice ha permesso agli altri richiedenti di rimanere in attesa di un’ulteriore revisione.

Più in generale, Trump ha messo in stand-by da oltre tre mesi tutti i processi per le richieste di asilo e ha sospeso il controllo dei rifugiati siriani a tempo indeterminato, “fino a quando non ho stabilito che siano state apportate adeguate modifiche al programma di ammissione dei rifugiati americani per assicurare che l’ammissione di profughi siriani sia coerente con l’interesse nazionale”.

L’ordinanza vuole sospendere l’ingresso delle persone provenienti principalmente da quelle sette nazioni e allo stesso tempo concede anche ai funzionari amministrativi una certa discrezionalità nell’applicazione: “I segretari di Stato e di sicurezza interna possono, caso per caso e quando lo richiedano interessi nazionali, rilasciare visti o altri diritti d’immigrazione a cittadini di paesi per i quali i visti e le prestazioni sono altrimenti bloccati”, ha detto l’ordinanza.

Il provvedimento Trump ha gettato fin da subito nell’incertezza le amministrazioni federali sulle modalità di applicazione pratica. Un giudice federale del distretto di New York ha bloccato immediatamente l’amministrazione di Trump nel respingimento delle

U.S.A.: LA POLITICA dELL’IMMIGRAZIONE INTROdOTTA dA TRUMPdi Chiara Casotti e Lorenzo Moro

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SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 - Voci11

Speciale Migrazioni

persone all’estero. I giudici federali di Boston hanno impiegato una settimana prima di arrestare o deportare chiunque avesse un visto valido o una carta verde.

Bill Hing, professore di diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza di San Francisco, ha affermato che il modo in cui l’ordinanza è stata eseguita è in violazione della legge sull’immigrazione e la nazionalità. “Secondo la legge sull’immigrazione e la nazionalità, se la persona interessata ad entrare negli USA è già stata sottoposta a controllo e presenta un visto valido, dovrebbe essere in grado di entrare nel Paese”, ha detto Hing. “E se c’è un problema si ha il diritto a ricorrere davanti a un giudice dell’immigrazione”.Questa legge protegge le persone che hanno già passato il processo di verifica e hanno ricevuto un visto o una carta verde. Questo iter è lungo e include la verifica dell’identità di una persona, i motivi per venire negli Stati Uniti e l’assenza di una storia criminale.

Le persone con visti e carte verdi costituiscono l’oggetto di una parte dell’ordine esecutivo. La questione dei rifugiati è un’altra. Per loro, l’ordine di Trump riduce a metà il numero totale che gli Stati Uniti hanno concordato di accettare per l’anno 2017.

Per i profughi provenienti dalla Siria, che hanno presentato domanda per l’ammissione con richiesta di asilo, questo processo è ora in attesa a tempo indefinito.

Secondo molti attivisti l’ordinanza penalizza i musulmani per il solo motivo religioso.

Attualmente il numero dei paesi presi di mira è limitato a sette, ma l’ordinanza lascia spazio alla possibilità di far crescere il numero dei paesi coinvolti. E l’ordinanza fa riferimento agli attacchi dell’11 settembre e blocca l’ingresso per coloro che sono coinvolti in “omicidi d’onore”: questo linguaggio lega il provvedimento Trump ai fondamentalisti islamici.

Trump ha rilasciato una dichiarazione negando che ciò rappresenti un divieto per i musulmani: “Non si tratta della religione - è sul terrore e per mantenere il nostro paese sicuro”, ha detto.

La battaglia legislativa si è spostata nei Tribunali Federali dove i giudici hanno, a singhiozzo, bloccato o permesso l’attuazione dell’ordinanza Trump in un susseguirsi di sentenze mese dopo mese, fino all’ultima che ha dato spazio parziale all’applicazione del provvedimento.

Naureen Shah, senior director delle campagne di Amnesty International USA, ha rilasciato la seguente dichiarazione:

PUNTI CRITICI dell’ordinanza:Ci sono sei aspetti in cui la procedura statunitense non è conforme agli standard legali internazionali*:

1. One-Year Bar - Lo sbarramento di un anno: con eccezioni limitate, i possibili richiedenti asilo non possono fare richiesta se vivono negli Stati Uniti da più di un anno. Il ban ha un impatto sproporzionatamente duro su alcuni rifugiati, incluse le donne e gli attori LGBTI.

2. Expansion of Expedited Removal - Espansione della rimozione accelerata: questi procedimenti consentono la rimozione di alcuni gruppi di non cittadini dagli Stati Uniti senza udienza davanti a un giudice dell’immigrazione.

3. Detaining Asylum Seekers - Detenzione di richiedenti asilo: la detenzione viene utilizzata illegalmente come misura punitiva e arbitraria; le condizioni e la posizione della detenzione impediscono l’accesso a un consulente legale. Le carenze gravi nelle condizioni di detenzione includono l’accesso inadeguato alle cure mediche e il prolungato confinamento nelle celle di detenzione che porta con sè gravi conseguenze psicologiche. Le nuove politiche aumentano notevolmente l’uso della detenzione nei confronti degli ‘immigrati e aggravano questi problemi.

4.  Operation Streamline and Prosecution of Asylum Seekers - Operazione per razionalizzare e perseguire i richiedenti asilo: Contrariamente a quanto previsto dal diritto internazionale, i richiedenti asilo si troveranno ad affrontare il rischio di essere perseguiti per ingresso in modo illegale negli Stati Uniti.

5. Consistent Recognition of Gender-Based Asylum Claims - Coerente riconoscimento delle domande di asilo basate sul genere: Esiste un problema negativo nel riconoscere le pretese di persecuzione basata sul genere.

6. Inconsistent Adjudication - Sentenze incongruenti: le percentuali di accettazione delle domande di asilo simili variano drasticamente tra le varie regioni. Alcune aree degli Stati Uniti hanno tassi di accettazione molto bassi e sono definite effettivamente “zone libere di asilo”.

*Fonte: Amnesty International, Sez.Canada

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Voci - SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 12

Speciale Migrazioni

“I piani dell’amministrazione Trump per attuare il divieto di accesso ai musulmani sono crudeli per intere famiglie e mettono a rischio migliaia di vite umane. Con questo divieto, gli Stati Uniti stanno girando le spalle alle persone più vulnerabili al mondo tra cui le persone che fuggono dalla guerra, dalla violenza e dalla tortura. Permette inoltre di sostenere una politica basata sul fanatismo e sulla discriminazione. Nessuna parte di questo provvedimento è ragionevole e perciò deve essere interrotto. Il Congresso è l’organo competente per chiudere adesso questa faccenda discriminatoria una volta per tutte”.

L’intento di queste politiche è chiaro: proibire l’accesso al paese alle persone a seconda di chi sono, non per quello che hanno fatto. È discriminatorio e pericoloso.

Amnesty International ha documentato l’impatto di tale divieto in tutto il mondo e ha mobilitato migliaia di persone per far rispondere i membri del Congresso e chiedere loro di interrompere questo divieto.

Ciò che possiamo fare dall’Italia è firmare l’appello No Ban, No Wall: https://www.amnesty.it/appelli/presidente-trump-stai-danneggiando-rifugiati-piu-deboli-al-mondo/

Il 12 luglio, dopo il ricollocamento di 50.000 rifugiati quest’anno, gli Usa hanno raggiunto il tetto di ammissione di rifugiati stabilito dall’ordine esecutivo del presidente Trump il 6 marzo. É il più basso numero di ammissione di rifugiati mai fissato dal ramo esecutivo. Naureen Shah, direttrice delle campagne di Amnesty International USA, ha rilasciato la seguente dichiarazione:

“Come risultato del programma crudele dell’amministrazione Trump che vieta ai rifugiati l’ingresso nel paese, migliaia di persone vulnerabili che fuggono dalla guerra e dalla violenza provenienti da tutto il mondo sono sempre più in pericolo. Molti dei 26.000 rifugiati che sono già stati sottoposti a esame delle credenziali e autorizzati a venire a vivere negli Usa potrebbero essere abbandonati a causa di un’interpretazione restrittiva da parte dell’amministrazione della recente decisione della Corte Suprema sul bando. Gli Stati Uniti stanno voltando le spalle alle persone che fuggono da alcune delle situazioni più disperate del mondo.“Gli Usa hanno storicamente aiutato le persone a ricostruirsi una vita e, in cambio, queste hanno contribuito a rivitalizzare le città, gli affari e l’economia. Il bando dell’amministrazione Trump ha portato a nuove barriere insensate, che abbandonano nonne, cugini, zie, zii e persino bambini orfani di guerra in sicuro pericolo. Il Congresso non deve permettere che questa politica intollerante resti in vigore. Deve annullare il bando a musulmani e rifugiati una volta per tutte”.

#NoBanNoWall #TrumpWatch

Chiara Casotti e Lorenzo MoroCoord. Nord America e Isole Caraibiche

di Amnesty International Sez. Italia

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SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 - Voci13

Speciale Migrazioni

È la miglior performance dell’Italia dal dopoguerra. Un record storico. Di cui però non sentiamo parlare nei talk show che dalle prime ore del mattino fino a tarda notte inondano le televisioni. Al massimo un trafiletto su qualche quotidiano. Per il resto silenzio assoluto anche da parte dei politici più ciarlieri sempre pronti a dire la loro su ogni argomento. Di cosa stiamo parlando? Delle autorizzazioni all’esportazione di armi e sistemi militari rilasciate dall’Italia nel 2016. Ammontano a 14,6 miliardi di euro: anzi per la precisione a 14.637.777.758,49 euro. Dal 1990 l’Italia non ha mai esportato tanti armamenti nel mondo. L’esecutivo Renzi ha infatti portato le licenze per esportazioni di sistemi militari da poco più di 2,1 miliardi del 2014 ad oltre 14,6 miliardi di euro: l’incremento è del 581% che significa, in parole semplici, che l’ammontare è più che sestuplicato. Una vera manna per l’industria militare nazionale, capeggiata dai colossi a controllo statale Finmeccanica-Leonardo e Fincantieri. È tutto da verificare, invece, se le autorizzazioni rilasciate siano conformi ai dettami della legge n. 185 del

1990 e, soprattutto, se davvero servano alla sicurezza internazionale e del nostro paese.

Parola d’ordine: semplificare

Un risultato è stato ottenuto soprattutto grazie allo “sforzo di semplificazione” messo in atto dal Ministero degli Esteri. “Nel 2016 – si legge nella Relazione – è stato compiuto un particolare sforzo di semplificazione delle diverse procedure, con l’obiettivo di migliorare il servizio e le sue tempistiche”. L’obiettivo è infatti “quello di coniugare una crescente efficienza sia del servizio pubblico che delle società, a tutto vantaggio della competitività degli operatori sui mercati internazionali, nonché dell’immagine dello stesso operatore e del sistema Paese”. Utile ripeterlo: “a tutto vantaggio della competitività degli operatori”. Di come, invece, venga effettuata una valutazione riguardo alle tensioni e ai conflitti armati nelle zone di destinazione degli armamenti, sulla situazione interna e ai rapporti del paese destinatario col

ITALIA: INdECENTE RECORd NELL’EXPORT dI ARMAMENTIdi Giorgio Beretta

Italia - Export di armamenti: Autorizzazioni e consegne - Anni 1990-2016

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016

2

0

4

6

8

10

12

14

16

Autorizzazioni (Esteri+Difesa) Consegne Autorizzazioni+Intergovernativi

1,72,2 2,3

0,7

1,61,8

1,4

1,3

1,9

2,72,8

3,42,9

2,4

1,82,8

3,3 3,1

2,9

4,1

5,75,5

8,7

12,0

14,6

4,5

5,5

4,9

6,4

7,4

0,6

1,4

(in miliardi di euro costanti)

Elaborazione di G. Beretta sui dati della Relazione della Presidenza del Consiglio

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Voci - SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 14

Speciale Migrazioni

terrorismo internazionale, circa il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, o sulla compatibilità delle esportazioni dei sistemi militari con la capacità economica del paese destinatario nella relazione del Ministero non c’è traccia.

Sempre più armi ai regimi autoritari

Anche un altro, e per diversi aspetti ancor più inquietante, primato è passato inosservato. Riguarda le esportazioni di sistemi militari autorizzate ai paesi con cui l’Italia non ha particolari alleanze politiche o militari. Nel 2016 hanno infatti superato i 9,2 miliardi di euro le autorizzazioni a paesi non appartenenti all’Ue o alla Nato: rappresentano il 63,1% del totale. Nessun commento da parte della Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi che ha inviato alle Camere la Relazione. Eppure la legge n. 185 del 1990 che regolamenta la materia stabilisce che l’esportazione e i trasferimenti di materiale di armamento “devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia”. Autorizzare l’esportazione di sistemi militari a paesi al di fuori delle principali alleanze politiche e militari dell’Italia meriterebbe perciò qualche spiegazione.

Ma c’è di più. Nella relazione di sua competenza, la Sottosegretaria Boschi ha stravolto i dati scrivendo

che i principali Paesi autorizzati sarebbero quelli UE/NATO “con l’81,6% del valore totale”. L’affermazione non trova riscontro nella relazione del Ministero degli Esteri che precisamente riporta: “Nel 2016 il valore dei trasferimenti intracomunitari/esportazioni nei Paesi UE/NATO è stato pari al 36,9% del totale, il rimanente 63,1% nei Paesi extra UE/NATO”. Il valore delle autorizzazioni all’esportazione verso i Paesi extra UE/NATO è appunto di 9.240.403.172 euro.

Medioriente primo cliente

“Sul valore delle esportazioni e sulla posizione del Kuwait come primo partner – segnala la Presidenza del Consiglio – incide una licenza di 7,3 miliardi di euro per la fornitura di 28 aerei da difesa multiruolo di nuova generazione Eurofighter Typhoon, realizzati in Italia”. Anche a proposito di questa autorizzazione ci si sarebbe aspettati qualche spiegazione considerato che il Kuwait è parte, ed attivamente impegnato con 15 caccia, nella coalizione a guida saudita che nel marzo del 2015 è intervenuta militarmente in Yemen senza alcun mandato internazionale. E la legge n. 185/1990 vieta espressamente l’esportazione di sistemi militari “verso Paesi in conflitto armato e la cui politica contrasti con i princìpi dell’articolo 11 della Costituzione”.

Esportazioni di armanenti italiani 2016 - Autorizzazioni per zone geopolitiche

Europa e membri Nato dell’UE34,3%

Nord America 2,6% Asia 2,1%

America Latina 1,0%Oceania

0,2%

Medioriente e Nordafrica58,8%

Altri Europei e Osce0,3%

Africa Subsahariana0,7%

Zone Geopolitiche Valori (in euro) %Medioriente e Nordafrica 8.609.280.340 58,8Europa e membri Nato dell’UE 5.015.820.147 34,3Nord America 381.554.438 2,6

1,2 072.129.503 aisAAmerica Latina 147.984.582 1,0Africa Subsahariana 97.497.276 0,7Altri Europei e Osce 43.373.418 0,3

2,0 682.643.63 ainaecO

0,001 857.777.736.41 ELATOT

Elaborazione di G. Beretta sui dati della Relazione della Presidenza del Consiglio

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SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 - Voci15

Speciale Migrazioni

E c’è un altro record. Nel 2016 le forniture militari ai paesi dell’Africa Settentrionale e del Medio Oriente ammontano ad oltre 8,6 miliardi di euro e ricoprono da sole più del 58,8% delle esportazioni di materiali militari autorizzate.

Sono le zone di maggior tensione del mondo e la gran parte dei paesi dell’area è governata da dittatori, regimi autoritari, monarchie assolute islamiche e sostenitori diretti o indiretti dello jihadismo. Fornire armi e sistemi militari a questi regimi, oltre a contribuire ad alimentare le tensioni internazionali, rappresenta un tacito ma esplicito consenso alle loro politiche repressive. E, come conseguenza, provoca le ondate di migranti che fuggono non solo dalle guerre, ma dalle dittature, dalle violenze, dalla mancanza di libertà.

Ventimila bombe da sganciare in Yemen. Conflitto in Yemen: il Parlamento si esprima

Nell’ambito mediorientale, spiccano le autorizzazioni per esportazioni di sistemi militari italiani all’Arabia Saudita per un valore complessivo di oltre 427 milioni di euro tra cui figurano “bombe, razzi, esplosivi e apparecchi per la direzione del tiro” e altro materiale bellico. Sebbene la relazione non indichi il paese destinatario delle autorizzazioni rilasciate alle aziende, l’incrocio dei dati forniti nelle varie tabelle ministeriali, permette di affermare che una licenza da 411 milioni di euro alla RWM Italia è destinata proprio all’Arabia Saudita: si tratta, nello specifico, dell’autorizzazione all’esportazione di 19.675 bombe Mk 82, Mk 83 e Mk 84. Una conferma in questo senso è contenuta nella Relazione Finanziaria della Rheinmetall (l’azienda tedesca di cui fa parte RWM Italia) che per l’anno 2016 segnala un ordine “molto significativo” di “munizioni” per 411 milioni di euro da un “cliente della regione MENA” (Medio-Oriente

e Nord Africa). Si tratta del tipo di bombe utilizzate dalla Royal Saudi Air Force per bombardare lo Yemen e ritrovate dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite dopo i bombardamenti nella città di Sana’a.

Esportazioni che l’allora ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, giustificava affermando, in risposta ad una interrogazione parlamentare 1, che “l’Arabia Saudita non è oggetto di alcuna forma di embargo, sanzione o restrizione internazionale nel settore delle vendite di armamenti”. Tacendo però sulla Risoluzione del Parlamento europeo 2, votata ad ampia maggioranza già nel febbraio del 2016, che ha invitato l’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza/Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, ad “avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita”, alla luce delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate dall’Arabia Saudita nello Yemen. Questa risoluzione, finora, è rimasta inattuata anche per la mancanza di sostegno da parte del Governo italiano.

A due anni dal conflitto la situazione umanitaria in Yemen è catastrofica: oltre 10mila persone uccise di cui 1.500 bambini, 17 milioni che necessitavano di assistenza alimentare. Il sistema sanitario è sull’orlo del collasso. I bombardamenti sauditi, sono stati ripetutamente condannati dal Segretario generale delle Nazioni Unite. E sono stati oggetto di una specifica indagine di un gruppo di esperti che lo scorso 27 gennaio ha inviato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu un dettagliato rapporto 3 che documenta, tra l’altro, l’impiego di bombe prodotte dalla R.W.M. Italia S.p.A. da parte dell’aeronautica militare saudita

1 - https://www.youtube.com/watch?v=tz3gfE3R9kY

2 - http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&reference=P8-TA-2016-0066&language=IT&ring=B8-2016-0160

3 - http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2017/81

© Amnesty International (AI Yemen mission July 2015, Press images (ID:218947)

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Voci - SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 16

Speciale Migrazioni

per bombardare città e aree abitate da civili in Yemen. Bombardamenti che sono espressamente vietati dalle convenzioni internazionali e pertanto – come evidenzia il rapporto – “possono costituire crimini di guerra”, che è la massima espressione di condanna da parte di un gruppo di esperti che non è un tribunale.

“L’Italia non può contribuire a questo scempio con ordigni fabbricati sul proprio territorio e inviati in particolare all’Arabia Saudita” – scrivono in un comunicato stampa congiunto 4 Amnesty International Italia, Fondazione Finanza Etica, Movimento dei Focolari, Oxfam Italia, Rete della Pace e Rete Italiana per il Disarmo. Il comunicato è stato emesso lo scorso luglio durante la discussione alla Camera dei Deputati sulla situazione dello Yemen. Dopo l’estate, alla ripresa dei lavori, le Camere saranno infatti chiamate ad esprimersi con un voto: diverse mozioni, promosse a seguito degli appelli delle associazioni, chiedono al governo di interrompere l’esportazione di sistemi militari ai Paesi implicati nel conflitto yemenita. “Nessuna alleanza in materia di contrasto al terrorismo internazionale, né la mancanza di formali embarghi internazionali e nemmeno l’impegno sul fronte diplomatico può giustificare il protrarsi di queste forniture di morte e distruzione” – evidenziano le associazioni nel loro appello.

4 - https://www.amnesty.it/bombe-italiane-allarabia-saudita-compiere-crimini-guerra-yemen-parlamento-non-resti-indifferente-voti-responsabilita/

Lo scorso 15 giugno il Parlamento europeo ha approvato una nuova risoluzione 5 sulla “Situazione umanitaria nello Yemen”. La nuova risoluzione Ue è particolarmente rilevante perché ribadisce l’invito della precedente risoluzione alla vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, “ad avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’Ue di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita”. Vedremo nei prossimi giorni cosa deciderà il Parlamento. Una cosa è certa: è merito delle associazioni della società civile, tra cui in particolare Amnesty International e Rete Disarmo, aver portato all’attenzione del parlamento la questione del conflitto in Yemen. è il conflitto colpevolmente dimenticato da gran parte dei nostri organi di informazione. Che sono poco propensi a sollevare l’attenzione pubblica quando ci sono forniture militari da parte dell’Italia. E poi i profughi yemeniti non possono raggiungere le nostre coste. E quindi, per i nostri media, non fanno notizia.

5 - https://www.osservatoriodiritti.it/2017/06/21/armi-arabia-saudita-guerra-yemen-risoluzione-parlamento-ue/

Giorgio BerettaSociologo, membro della

Rete Italiana per il Disarmo

STOP ALLA VENdITA dI ARMI ITALIANE IN YEMEN

https://www.amnesty.it/appelli/stop-alla-vendita-armi-italiane-distruggono-vite-yemen/

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SETTEMBRE 2017 N. 3 / A.3 - Voci17

Speciale Migrazioni

La ragazza senza nome (La fille inconnue)Belgio/Francia 2016 – 113 minuti di Jean-Pierre e Luc Dardenne – Drammatico

Una sera, dopo l’orario di chiusura del suo studio, Jenny, giovane medico generalista, sente suonare alla porta ma non va ad aprire. Il giorno dopo, viene informata dalla polizia del ritrovamento nelle vicinanze di una giovane ragazza, non ancora identificata.

L’ultimo film dei fratelli Dardenne, attraverso la struttura di un poliziesco, in realtà racconta la metafora di un Europa indifferente alle questioni migranti. Il loro ultimo lavoro, stilisticamente vicino al cinema di Dogma 95, è una riflessione sull’assunzione di responsabilità e sulla necessità di entrare in contatto con un mondo che ci appare estraneo.

Non casualmente il lavoro si apre con una visita medica: lo stetoscopio del medico come strumento di comprensione di come stanno le persone dentro, superando la visione oculare.

Ma una sera, un’ora dopo la chiusura del suo ambulatorio, la giovane dottoressa Jenny, medico in un sobborgo di Liegi, decide di non aprire la porta a una giovane donna nera che suona al suo citofono per entrare. Il giorno dopo, la Polizia la contatta per chiederle i filmati della sua camera di sorveglianza. La donna è morta.

Le immagini della camera ci mostrano una donna che fugge, citofona, e poi, a causa della mancata risposta,

fugge ancora. Di quella persona sono rimasti quei pochi secondi ripresi da una camera di sorveglianza, il cui scopo non è conoscere i nomi delle persone, ma identificarle in caso fossero responsabili di reato. E qui si apre la prima riflessione: gli immigrati non hanno nome, sono tutti indistinguibili nella massa. Fuggono, e l’importante è che non si fermino da te.

A questo punto la dottoressa, rosa dal complesso di colpa, si fissa sulla necessità di dare un nome a questa persona, e in questo senso il film diventa anche il racconto di una ossessione. è caratteristica della cultura occidentale quella di dover dare un nome alle cose e alle persone. Robinson Crusoe naufraga su un’isola e decide di denominare tutti gli oggetti e si stupisce che Venerdì, l’indigeno che ha trovato in loco, non ne senta la necessità. In questo senso, il romanzo di Defoe, scritto nel 1709, fu considerato espressione della mentalità colonialista dell’occidente. L’inglese, naufragato sull’isola, costruisce una nuova geografia mentale del luogo in cui sta, e il rapporto con l’indigeno è anche esso una metafora: il “selvaggio”, acquisisce coscienza di essere un “selvaggio” grazie alla riorganizzazione concettuale che Robinson Crusoe riesce a fare interiorizzare a Venerdì.

Qui invece i Dardenne svolgono un salto di senso: passare dall’identificazione, necessaria ai fini del riordino e del controllo, alla denominazione. Gli immigrati sono una massa informe e le telecamere di sicurezza trasformano tutti in un insieme indefinito, pericoloso, senza identità. Si diviene unicamente dei

CINEMA: LA RAGAZZA SENZA NOMEdi Francesco Castracane

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frammenti digitali che passano per alcuni secondi davanti allo schermo.

L’altro può essere riumanizzato solamente se si riesce a passare dalla fase del controllo a quella della definizione. Nel caso specifico, solo dando un nome alla persona, si riconnette la vita alla morte. Si permette ai vivi di riconoscersi come tali e di conoscere, lentamente, la storia della persona.

Il limite, per esempio, del documentario di Rosi “Fuocoammare”, è il suo etnocentrismo, ovvero l’incapacità dell’autore di staccarsi dalle vite degli abitanti di Lampedusa e provare a raccontare le storie degli immigrati, che mai vengono mostrati nelle proprie individualità. Il regista ne disumanizza anche la morte, mostrandoli impietosamente, e anche un po’ cinicamente, incastrati sul fondo di un barcone. Egli non sente mai la necessità di scoprire come si chiamavano, chi fossero, se avessero una vita prima.

L’importanza che la giovane medico ripone nella possibilità di denominare la persona morta, ha invece a che fare, e molto, con la vita. Serve a fare uscire dall’anonimato quella faccia, quel corpo, quella fuga.

La scelta di fondo del film è chiara: favorire la presa di coscienza individuale, perché i Dardenne credono che è solo a partire da lì che si possano affrontare quelli collettivi, che solo da lì sia possibile ripartire, nella speranza che lo spettatore metta in discussione le proprie convinzioni, non sentendosi dalla parte del giusto e degli innocenti, delle vittime, ma vedendosi piuttosto come complice e come colpevole.

L’altro tema è appunto quello della colpa. Jenny si sente responsabile di quella morte, anche se potrebbe avere mille motivi per sentirsene esentata. In fondo aveva finito di lavorare e il suo ambulatorio era chiuso da un’ora. Jenny, più che per indifferenza, si sente colpevole per inadempienza o trascuratezza. Anche

così si contribuisce, indirettamente, alla morte di altri. I due autori spingono lo spettatore a prendere atto delle responsabilità individuali, che poi sono la somma delle responsabilità collettive.

Un altro tema che viene sviluppato nel film è la sempre maggiore difficoltà nel rappresentare la realtà. Nessuno ha visto veramente la ragazza senza nome da vicino, ma ne vediamo solamente l’immagine riprodotta. Anche un testimone l’ha vista solamente attraverso un vetro. I registi vogliono forse sostenere che nell’era della rappresentazione digitale, diviene sempre più difficile conoscere l’ontologia delle persone che incontriamo? Sta per uscire, per fortuna stroncato duramente dalla critica, un film sugli emoticon “Emoji”. Cosa sono le “faccine” che sempre più si usano nelle conversazioni? Una rappresentazione dell’emozione, non la vera emozione. La rappresentazione dell’emozione, permette alle persone di prenderne le distanze, e di non sentire più le proprie emozioni e quelle dell’altro.

Ma i Dardenne non si tirano indietro neanche nel raccontare l’immigrazione, la raccontano per quello che è, non nascondendone i rapporti con la criminalità.

Il viaggio alla ricerca del nome della donna sconosciuta, diventa anche un viaggio della giovane dottoressa nel proprio mondo interiore, e nella scoperta della propria empatia.

Ma uno degli aspetti importanti dei film dei Dardenne è anche la descrizione del contesto sociale nel quale i personaggi si muovono. La Polizia è rappresentata senza troppi fronzoli: persone normali che cercano di svolgere il proprio dovere senza eroismi, vestiti con abiti anonimi. E nonostante la struttura sia un poliziesco, non ci sono sparatorie, inseguimenti ed eroi, ma la banalità di un’indagine piena di false piste, di strade che devono essere abbandonate, di

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salti all’indietro.

Anche il lavoro della dottoressa, impegnata in un ambulatorio di periferia, lungo una tangenziale dove si sentono continuamente passare le macchine, è rappresentato senza alcuna retorica e eroismo. Un mondo dolente di pazienti frequentato da anziani, diabetici, alcolisti, depressi, malati di tumore, che nell’ambulatorio trovano una piccola ancora di salvezza, e che nonostante la freddezza e il distacco della dottoressa, le vogliono bene.

È una rappresentazione assolutamente lontana da quella svolta dai medical drama statunitensi, dove oltre alla spettacolarizzazione della malattia, c’è la moltiplicazione dei subplot costruiti sulle storie di amore. In pratica degli Harmony bianchi, dove gli ospedali sono tutti puliti, ben illuminati e medici e infermieri sono vestiti all’ultima moda. Evidentemente gli sceneggiatori non hanno mai avuto la fortuna di stare in un Pronto Soccorso alle 4 di mattina.

Si citava all’inizio il rapporto di questo film con i criteri definiti da Lars Von Trier nel suo Dogma 95 1. In

1 - Cosa è Dogma 95:

Dogma 95 (Dogme 95) è un movimento cinematografico creato dai registi danesi Lars von Trier e Thomas Vinterberg, fondato su un decalogo di precise regole espresse in un manifesto programmatico pubblicato nel 1995 (da cui il nome). La corrente, dunque, non è nata né si è evoluta in modo spontaneo, come invece è avvenuto nella maggior parte dei casi nella storia del cinema. Il decalogo, al quale aderirono subito anche Søren Kragh-Jacobsen e Kristian Levring, è spesso definito

effetti, uno degli elementi che caratterizza il film è la completa mancanza di colonna sonora. L’unica volta in cui si sente della musica è perché uno dei pazienti dedica una canzone alla dottoressa. Per il resto del tempo il film è attraversato dai rumori della realtà, in particolare dal brontolare dei motori che si sentono passare in lontananza. I titoli di coda in effetti si chiudono sul rumore delle macchine che passano.

Inoltre, e questa è una caratteristica dei film dei Fratelli Dardenne, i protagonisti vengono spesso seguiti da vicino con la macchina, contribuendo a quella sensazione di impossibilità di fuga che coinvolge lo spettatore. I registi prediligono piani sequenza utilizzando un montaggio estremamente discreto. La naturalezza della recitazione viene ottenuta dai Dardenne facendo recitare gli attori senza troupe. Possono provare e riprovare senza nessuno attorno e senza essere distratti e cominciare a recitare quando si sentono pronti.

anche con il significativo nome di Voto di castità, che lascia intendere lo spirito del movimento, ed è stato stilato e firmato ufficialmente a Copenaghen, lunedì 13 marzo 1995. L’obiettivo, molto ambizioso, era quello di “purificare” il cinema dalla “cancrena” degli effetti speciali e dagli investimenti miliardari. Niente luci, nessuna scenografia, assenza di colonna sonora, rifiuto di ogni espediente al di fuori di quello della camera a mano. Le regole da seguire per raggiungere questo obiettivo sono state espresse in un manifesto scritto. Le regole furono violate già dal primo film e ogni regista, chi più chi meno, ha fatto ricorso nei propri film ad espedienti (musica, luci, scenografie) vietati dal manifesto. Come riportato nel sito ufficiale, in realtà ogni regista può interpretare il decalogo a suo modo. Il 20 marzo 2005, a Copenaghen, i registi hanno firmato il documento che ha sancito la fine del patto a dieci anni di distanza. I dieci anni di esperienza del Dogma 95 hanno portato alla produzione di 35 film. Spesso a questi ci si riferisce solamente con un numero (Dogma 1, Dogma 2, etc.) anziché con il titolo vero e proprio.

Le dieci regole di Dogma 95:

1. Le riprese vanno girate sulle location. Non devono essere portate scenografie ed oggetti di scena (Se esistono delle necessità specifiche per la storia, va scelta una location adeguata alle esigenze).

2. Il suono non deve mai essere prodotto a parte dalle immagini e viceversa. (La musica non deve essere usata a meno che non sia presente quando il film venga girato).

3. La macchina da presa deve essere portata a mano. Ogni movimento o immobilità ottenibile con le riprese a mano è permesso. (Il film non deve svolgersi davanti alla macchina da presa; le riprese devono essere girate dove il film si svolge).

4. Il film deve essere a colori. Luci speciali non sono permesse. (Se c’è troppa poca luce per l’esposizione della scena, la scena va tagliata o si può fissare una sola luce alla macchina da presa stessa).

5. Lavori ottici e filtri non sono permessi.6. Il film non deve contenere azione superficiale. (Omicidi, armi, etc. non devono

accadere).7. L’alienazione temporale e geografica non è permessa. (Questo per dire che il

film ha luogo qui ed ora).8. Non sono accettabili film di genere.9. L’opera finale va trasferita su pellicola Academy 35mm, con il formato 4:3,

non widescreen. (Originariamente si richiedeva di girare direttamente in Academy 35mm, ma la regola è stata cambiata per facilitare le produzioni a basso costo).

10. Il regista non deve essere accreditato.

Francesco CastracaneEducatore professionale nell’ambito

delle dipendenze patologiche

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«Io ho un sogno, che un giorno questa nazione si leverà in piedi

e vivrà fino in fondo il senso delle sue condizioni: noi riteniamo

ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.»

(Martin Luter King – Washington – 28 agosto 1963)