Tropicalizzazione Del Mediterraneo

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La tropicalizzazione del Mar Mediterraneo Il Mar Mediterraneo è stato fin dai tempi più antichi interessato da molteplici cambiamenti climatici ed ambientali che hanno avuto come conseguenza la migrazione di intere specie animali e vegetali dalle zone più calde e temperate a zone fredde e ghiacciate. Tali organismi acquatici hanno poi lasciato testimonianza del loro passaggio attraverso resti e ritrovamenti fossili, che hanno permesso a geologi e peleontologi di ricostruire il più dettagliatamente possibile la storia evolutiva del bacino Mediterraneo. Un esempio sono specie endemiche antiche (sopravvissute al Messiniano); specie endemiche di origine più recente (circa un milione di anni fa); specie subtropicali atlantiche (che sono residui della fauna atlantica entrati durante i periodi caldi) e specie boreali (entrate viceversa durante i periodi freddi). Questo miscuglio di specie ha determinato oggi, nel Mar Mediterraneo, una biodiversità incredibile di organismi, portandolo ai primi posti nelle classifiche mondiali. Da ciò si evince che il Mar Mediterraneo, nel corso dei millenni, è stato sempre recettivo nei confronti delle nuove specie provenienti soprattutto dalle aree atlantiche. Da circa 30 anni in Mediterraneo sono stati registrati cambiamenti climatici significativi che hanno portato anche alla comparsa di organismi estranei agli attuali ambienti marini e per la maggior parte provenienti dalle vicine acque tropicali del Mar Rosso e dalle acque atlantiche attraverso lo stretto di Gibilterra. Questo fenomeno è ormai noto da tempo con il nome di tropicalizzazione del Mediterraneo, e si continua ancora oggi a parlare circa le conseguenze che tale fenomeno può comportare; ma in cosa consiste effettivamente questo fenomeno e a quali cambiamenti sostanziali avverranno, col passare degli anni, nelle nostre acque? Per tropicalizzazione si intende il processo di insediamento in Mediterraneo di specie provenienti da aree tropicali o sub-tropicali, spesso dominanti ed in grado di soppiantare le specie autoctone preesistenti nell'area.

Provenienza delle specie tropicali nei nostri mari

Secondo gli studi condotti dall’Icram, l’Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare, la prima specie di pesce immigrata da Mar Rosso è stata trovata ad Haifa nel 1902, trentatre anni dopo l'apertura del Canale di Suez, da quel momento in poi si è assistito a una costante immigrazione di specie straniere, tanto che il fenomeno ha preso il nome di "migrazione lessepsiana” dal nome dell’architetto, Lesseps, che ha progettato il canale di Suez. Negli ultimi anni il numero di specie lessepsiane è aumentato rapidamente: attualmente se ne contano circa 55, e alcune di esse si sono ambientate e riprodotte benissimo, tanto che vengono comunemente pescate e commercializzate. Una prima spiegazione riguardante il facile adattamento di specie tipiche di climi tropicali nelle nostre acque può essere imputata alla maggiore competizione a cui sono state sottoposte, essendosi evolute in condizioni di rapidi cambiamenti naturali, in quanto il Mar Rosso costituisce un ambiente molto selettivo, dove convivono circa 1500 specie diverse (contro le circa 550 del Mediterraneo), per cui, specie invasive e più aggressive abituate alla forte competizione sono state facilitate dal continuo stress cui sono sottoposti i pesci mediterranei. Questi organismi, indeboliti dalla pesca eccessiva e dall'inquinamento, lasciano gradualmente nicchie ecologiche vuote facilmente colonizzabili da organismi estranei, inoltre l'inquinamento, causato da metalli pesanti e pesticidi sta modificando la sensibilità e la fisiologia dei nostri pesci. Il ruolo delle attività umane nella cosiddetta “tropicalizzazione” del Mediterraneo è stato quindi fondamentale. Il dato ancora più preoccupante è che le prime specie immigranti dal Mar Rosso sono sopravvissute a due diversi sbalzi di salinità: il primo nel passaggio dai grandi laghi amari, di acque molto salate, e il secondo all’arrivo in un’area del Mediterraneo, caratterizzata da una bassa salinità, a causa del riversamento delle acque del Nilo. Mentre ai nostri giorni la Diga di Assuan, riducendo la portata del Nilo, ha abbattuto la soglia di bassa salinità che costituiva una barriera all’invasione di nuove specie meno resistenti, favorendo la penetrazione delle specie indopacifiche in Mediterraneo.

Sotto il profilo delle temperature possiamo dire, dai dati osservati negli ultimi 50 anni, che il Mediterraneo è aumentato di qualche percentuale di grado. Ma si tratta di un cambiamento che non ha forti influenze sulla presenza di nuove specie. La tropicalizzazione quindi è più relativa all’utilizzo che noi facciamo della risorsa marina che non al cambiamento delle temperature.

Ciononostante, secondo i ricercatori israeliani, è stata la temperatura dell’acqua a giocare il ruolo fondamentale nello sviluppo delle specie tropicali in Mediterraneo. Il cambiamento globale però non si manifesta solamente attraverso l'aumento della temperatura, ma anche nel cambio delle stagioni e nell'aumento dell'anidride carbonica che incidono sull’ ecologia e la biologia delle specie marine. Nel Mediterraneo, oltre all’immigrazione delle specie aliene tropicali, stiamo assistendo ad un vero e proprio fenomeno riguardante il cambiamento nella distribuzione della fauna ittica, riconducibile, probabilmente, alle mutazioni climatiche. È quello che va sotto il nome di meridionalizzazione dei mari settentrionali, e per questo nei mari italiani si sta verificando una forte espansione di quei pesci che vivevano essenzialmente nei mari caldi del Mediterraneo, come i Carangidi, il pesce balestra (Balistes carolinensis), che mostra oggi un espansione verso nord del proprio areale distributivo e il pesce pappagallo (Sparisoma cretense), che alcuni anni fa viveva solamente a Lampedusa e che oggi è presente lungo tutte le coste della Sicilia.

Pesce Balestra

Le specie immigranti provenienti dal Mar Rosso sono 55: di queste una quarantina sono aumentate in termini di biomassa (quantità di pesci per ogni singola specie) e 10 sono diventate di interesse commerciale. Dal Mar Rosso sono arrivate due nuove specie di triglie (Upeneus moluccensis) che si sono stabilizzate nel Mar Libico, una specie di cernia, un tonnetto e il barracuda del Mar Rosso (Sphyraena chrysotaenia e Sphyraena flavicauda), più grande di quello mediterraneo (Sphyraena viridensis). Inoltre negli ultimi anni, si è verificata attraverso lo stretto di Gibilterra anche una massiccia immigrazione di specie tropicali circa 30 provenienti dalle coste africane dell’Oceano Atlantico. Fra questi riconosciamo il pesce palla (Sphoeroides cutaneus), tre tipi di ricciole, tra cui la fasciata (Seriola fasciata), la Seriola rivoliana e la Seriola carpenteridella, nelle acque intorno la Sicilia ne sono state pescate circa un migliaio e un piccolo scorfano (Scorpaena maderensis). Queste nuove specie non costituiscono pericolo per l'uomo, a esclusione del pesce scorpione (Pteroides miles), che ha aculei velenosi ma è presente solamente lungo le coste palestinesi e israeliane. Il pesce palla ha invece carni velenose (solamente se ingerite crude) a causa di una tossina, la tedradontina, ma appare veramente remota la possibilità che questo

pesce possa essere commercializzato nei nostri mercati. la, poco distinguibili da quelle mediterranee sono altrettanto buone e stanno conquistando i nostri mercati. Comunque il fenomeno dell’innalzamento delle temperature e l’apertura di canali comunicativi fra ambienti marini differenti, non hanno rappresentato l’unico mezzo per il passaggio di nuove specie, se si pensa all’importazione di specie esotiche per gli acquari e allo sviluppo dell’acquacoltura. Il pesce siluro, che sta dilagando nel Po e in altri fiumi italiani, è stato, probabilmente, importato da acquariofili, mentre la vongola nostrana ( Tapes decussata), è stata, nel tempo, completamente soppiantata in Adriatico dalla vongola filippina (Tapes philippinarum), importata dai coltivatori di molluschi. Un altro canale d’ingresso è rappresentato dalle acque di zavorra delle navi cisterna, in cui lo scarico incontrollato di queste acque, prelevate in mari tropicali e non trattate in modo adeguato, ha costituito un importante veicolo di specie non indigene, che hanno modificato rapidamente la biodiversità in prossimità dei maggiori porti italiani. A questo proposito il Ministero dell'Ambiente ha già promosso ricerche sul cambiamento della biodiversità dei porti campione di Napoli, Genova e Palermo. Il fenomeno della importazione di specie alloctone non riguarda solo i pesci ma anche le alghe e stelle marine: l’Asterina gibbosa, piccola stella di mare lungo le coste medio-orientali è stata completamente sostituita dal 1970, da una specie affine la Asteria vega, mentre tre alghe delle coste giapponesi (Laminaria japonica, Undaria pinnatifida e Sargassum muticum) sono state segnalate già dalla fine degli anni '60, più recentemente è stata segnalata la presenza di un'alga tropicale, la Caulerpa taxifolia che attualmente minaccia soprattutto un ampio tratto della costa francese tra Tolone e Mentone, moltiplicandosi ad una velocità impressionante, ostacolando i cicli vitali degli altri organismi con alterazione degli equilibri ecologici. Merita infine di essere menzionato l'avvistamento del nudibranco Melibe fimbriata, una specie poco comune che sarebbe entrata nel Mediterraneo attraverso lo stretto di Suez.

Altre specie presenti nei nostri mari

Sono, al contrario, in diminuzione squali e mante, pesci cartilaginei, i quali sono animali fragili, dal sistema riproduttivo basso, che subiscono l'inquinamento e l'aumento dello sforzo di pesca. Alcune specie ittiche sembrano comunque aver tratto beneficio da questa nuova condizione climatica, il barracuda del Mar Rosso negli ultimi anni è cresciuto sia di taglia che in numero, questo predatore però ha portato scompiglio soprattutto negli ambienti in cui si trova a convivere con la Spigola (Dicentrarchus labrax) che,

predatore solitario, non può competere con i branchi di Barracuda per la caccia alle prede. Un altro predatore venuto alla ribalta è il Pesce serra (Pomatomus saltatrix) questo vorace predatore pare che non smetta di attaccare le prede neanche quando è sazio, abita principalmente le foci dei fiumi e le sue vicinanze dove si contende spesso le prede con uno dei carangidi più belli e potenti come la Leccia amia (Lichia amia), che nel Mediterraneo è sempre stata presente ma non numerosa come oggi, fa parte quindi di quei pochi pesci “autoctoni” che hanno beneficiato del surriscaldamento del mare, come anche la Lampuga (Coryphaena hippurus). Per il futuro e' dunque difficile fare previsioni: come spiega Luigi Cavaleri del Cnr ''ci vogliono 500 anni perché un intero ecosistema possa essere stravolto completamente, ma è evidente che stiamo andando verso un innalzamento della temperatura e questo produrrà i suoi effetti nel lungo periodo''. Effetti che però già da oggi sono sotto gli occhi di tutti. Il cambiamento climatico globale ha, probabilmente, un ruolo importante sul fenomeno della tropicalizzazione del Mediterraneo, tuttavia, non si deve pensare solamente a un innalzamento generale della temperatura dei nostri mari, per il quale non vi sono dati scientifici certi. I rilevamenti disponibili della temperatura del bacino del Mediterraneo, nel suo insieme, sono quelli da satellite, le cui serie storiche non sono sufficientemente confrontabili per poter mettere in evidenza l’aumento delle temperature medie annuali. Bisogna comunque tener presente che gli attuali cambiamenti climatici sono imputabili anche all’aumento dell'anidride carbonica nell’atmosfera, ovvero al fenomeno conosciuto come ‘effetto serra’, e, quindi, fortemente correlati alle attività umane più che a reali cambiamenti globali. Ovviamente, di qualunque tipo essi siano, i cambiamenti incidono in modo evidente sull’ecologia e la biologia delle specie animali e vegetali sia marine che terrestri.

E’ certo che nel futuro prossimo ci troveremo di fronte a scenari nuovi, che non saranno necessariamente peggiori ma risulteranno certamente diversi. E’ importante mettere in pratica le iniziative previste nell'ambito del protocollo di Kyoto, ma necessita anche intervenire su scala mediterranea e nazionale, operando nei confronti dello sfruttamento irrazionale delle risorse, sull'importazione di specie tropicali e soprattutto sull'inquinamento del bacino mediterraneo. Un ruolo importante nella conservazione della biodiversità del Mediterraneo è affidato alle aree marine protette, nelle quali la sostenibilità e l’ecocompatibilità delle attività produttive in mare, e il controllo delle fonti di inquinamento consentono di limitare l’alterazione della biodiversità.

Il notevole impegno del Ministero dell’Ambiente nella realizzazione delle aree marine protette rende l’Italia all’avanguardia nelle politiche di conservazione dell’ambiente e di tutela della biodiversità in Mediterraneo. Secondo l'Icram, la creazione di aree protette marine potrebbe costituire un importante "laboratorio" per studiare la biodiversità e i suoi mutamenti per valutare l'impatto delle specie immigranti in espansione sugli ecosistemi coinvolti. Questo può servire a realizzare una banca dati tra istituti di ricerca del Mediterraneo, per seguire l’evoluzione di tale fenomeno nel tempo e nello spazio. Tra gli obbiettivi dello studio vi è inoltre quello di verificare il rischio di ibridazione tra le specie immigranti e quelle mediterranee, valutare il flusso di immigrazione di specie aliene e identificare le specie autoctone, sottoposte a particolare stress competitivo o a rischio genetico. Infine ci si propone di valutare il ruolo dell'inquinamento ambientale e del sovrasruttamento delle risorse sul successo delle specie ittiche immigranti. NOTE BIBLIOGRAFICHE CERRANO C., PONTI M., SILVESTRI S., 1999 - Guida alla biologia

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