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TATEO. MODERNITA DELLUMANESIMO
II. PROIEZIONI
1. Una malattia moderna
FRANCESCO PETRARCA (1304-1374)
Al centro del dialogo che Petrarca attribuisce a Francesco, sua controfigura, e Agostino, suo maestro spirituale,
impegnati in un colloquio che un dramma interiore (De secreto conflictu curarum mearum, II segreto conflitto dei miei
pensieri, generalmente chiamato Secretum), e che vuol essere anche un documento della crisi che occup l'umanista
intorno al quarto decennio del secolo XIV, vi la discussione sull'accidia, uno dei vizi capitali passati in rassegna. La
discussione sull'amore e sulla gloria, anch'essa simbolica della conflittuale condizione umana, riguarder pi da vicino i
dati biografici del poeta, ma nel discutere di questo male dellanima sembra che il poeta colga il punto pi profondo della
sua coscienza, ma anche della coscienza moderna, e quasi un aspetto del subconscio(L'accidia ,che la teologia morale
considerava una forma di scarso vigore, di scarso impegno nella vita religiosa e nellamore di Dio, viene descritta, sul
fondamento delle Tusculanae disputationes cicemniane, come quella malattia dell'anima che potremmo chiamare 'angoscia'
. Come riconosce il poeta che finge in Agostino un analista della sua psiche, il quale tenta di fargli avere consapevolezza
del suo stato e delle sue cause, considerandole una per una, il male oscuro si annida al fondo della coscienza e gli
impedisce talora di agire, e reagire, e lo conduce perfino a disperare della possibilit di riacquistare la salute. La
condizione angosciosa diventa cosi non solo la propria condizione, ma la condizione universale dell'uomo in quanto soggetto
ai colpi della fortuna e incapace, in definitiva, di far altro se non sottostare e prendere atto di questo suo destino. Per il
personaggio di Agostino, nel quale parla l'aspirazione e la consapevolezza morale di Petratra, questa accettazione della
sconfitta un male non perch sia possibile liberarsi in tutto dai condizionamenti della fortuna (che sarebbe come
pretendere di non esser soggetto alle leggi della natura umana), ma perch doveroso e possibile che la mente comprenda
la realt della situazione e aiuti almeno la volont a sottrarsi alla necessit del destino. Il primato della volont, intesa in
questo senso psicologico che tien conto dei condizionamenti della natura umana, e non nel senso volgarmente pragmatico
secondo cui la volont comunque capace con le sue forze di scegliere il bene conoscendolo, ricollega la meditazione
petrarchesca alla crisi dellintellettualismo scolastico. Ma per un'idea efficace, documentata anche dalla situazione
attuale degli studi, della complessiva presenza petrarchesca nei secoli, si rimanda a Petrarca nel tempo.
2. Sentimento del tempo
FRANCESCO PETRARCA
Il primo sonetto, rivolto al pubblico dei lettori e aggiunto in cima alla raccolta delle sue Rime sparse quando il poeta
decise di raccoglierle in un Canzoniere testimone della sua storia, o meglio "non storia" d'amore, trasformando
profondamente le consuete dediche, il documento consapevole di una crisi che ha modificato il senso delle esperienze
passate. Il pubblico dei lettori viene coinvolto non per gustare lesercizio lirico, ma per `comprendere' e perdonare il
poeta che si confessa e si pente per aver tanto sospirato invano, perch solo ora si accorge che quel sospirare non poteva
essere che vano, come qualunque desiderio che pretenda di trovare soddisfazione in terra. Veramente il poeta non
presume nemmeno un soddisfacimento nell'aldil, come avverr sia nelle rime spirituali del petrarchismo, che pur si
ispireranno lungamente al suo modello, sia nei trattati d'amore d'impronta platonica, ma tiene a dare un senso all'alterna
vicenda dei suoi sentimenti, che non raccontano propriamente una storia, perch non hanno propriamente un inizio e una
fine, se non nella coscienza dell'io, capace di accorgersi del tempo passato e di rimpiangerlo, nel senso che ne piange
l'inesorabile spreco. In questo senso tutto moderno, e non nel senso che la storia abbia un compimento come pretendeva
la poetica classica, quella del nostro poeta umanista stata una favola, un'opera aperta e composta di metaforici
frammenti di vita interiore, Rerum vulgarium fragmenta.
quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono>>.
3. Principe si diventa
FRANCESCO PETRARCA
Si pu dire che questa epistola, nella quale Petrarca esprime a Niccol Acciaiuioli, gran siniscalco del Regno e precettore
del figlio di Roberto d'Angi, i modi con i quali educare il giovane al governo, dia inizio alla discussione moderna sulla
educazione del Principe. Tuttaltro che ingenua, o platonica, nella enucleazione della meta ideale dell'educazione l'epistola
nasce dalla consapevolezza che si pu nascere destinati a regnare, ma che per regnare necessaria un'educazione, n
automatico riuscire a portarla a termine nel modo pi utile. La riflessione contiene un forte pessimismo sulla natura
umana, la quale tende a far diventare tiranno chi si trova nella condizione privilegiata del principe, e cos ostacola la
realizzazione stessa di quello che non pu non essere il fine dell'educazione politica, ossia il bene pubblico. Molte volte
pi pericoloso non aver opposizione alcuna, perch induce allo strapotere, che incontrare ostacoli. Anche l'apparente
idealismo con cui Petrarca ritiene che si siano potuti verificare due casi di principi perfetti, Augusto e Roberto d'Angi,
nasconde un profondo atteggiamento critico nei confronti della realt attuale e l'aspirazione ad una diversa soluzione
politica, tendente alla repubblica, dato anche il giudizio talora negativo su Cesare, 'dittatore' e moralmente discutibile, e
il giudizio sempre positivo su Scipione, onesto esponente della repubblica romana (la questione interesser ulteriormente
la cultura umanistica e avr un peso nella formazione della coscienza politica: cfr. D. C'anfora).->Francesco Petrarca,
Epistole Familiari.
4. La guerra e la pace
FRANCESCO PETRARCA
La giustificazione della guerra come un mezzo per instaurare la pace un antico argomento che si sostenuto ai nostri
tempi per scatenare imprudenti conflitti e ingiustificate sopraffazioni. Petrarca non manca di propugnare la difesa della
civilt dalla barbarie mediante l'eroismo delle armi, obbedendo ad un altro motivo ricorrente che torner a farsi sentire
nei momenti di reviviscente patriottismo. Eppure nella lettera inviata al doge Andrea Dandolo, come in una lettera analoga
inviata alla repubblica di Genova, lumanista utilizza le ragioni contrarie che consigliano a non aggravare le tensioni interne
all'Italia pericolose per tutti, e comunque a non pensare che la guerra possa rinforzare la posizione politica essendo di per
se stessa un motivo di debolezza che non estingue l'odio, ma non fa che rinvigorirlo. Il discorso petrarchesco, che pur
cercava di utilizzare argomenti diplomatici di riappacificazione, parso sostanzialmente utopico e perci non atto a
confrontarsi con una politica realistica, espressa anche nella risposta del doge, il quale non rinuncia alla guerra quando
essa pu passare come giusta e inevitabile. In realt parla in Petrarca una ragione pi profonda, tipicamente Umanistica,
che considera la pace necessaria alla civilt e alla cultura, obiettivi primari, e in nome di essa sconfessa i pretesti che
nascondono l'ira, l'inimicizia a l'avidit di dominio, e la cecit di fronte ai pericoli. Su questi ultimi, in pi tarda et, egli
insiste delineando la figura del condottiero come aveva fatto con quella del principe, e riproponendo la questione del
rapporto fra le armi e le lettere che conoscer alterne vicende: Strepitino pure quanto vogliono e si facciano beffe i
nostri condottieri e i nostri re e principi, che hanno dichiarato guerra alla virt e alla cultura e col simulato disprezzo
nascondono la loro tardit d'ingegno (...) E tuttavia non voglio essere inteso nel senso che io dica necessaria ai condottieri
la filosofia o la poesia, ma solo quella letteratura attraverso cui possano apprendere i precetti della milizia e i fatti della
storia>>. Un atteggiamento, quello di Petrarca, che vuol essere un modello di comportamento umano pi che un astratto
principio morale, e analogamente gli fa sdegnare l'alterco dialettico e politico che nasce dalla presunzione di possedere la
verit, e gli fa gradire il dialogo, se non risolutore, almeno chiarificatore delle divergenze.
5. Impegno civile dello storico
LEONARDO BRUNI (1370-1444)
Che interessarsi di storia riguardi non solo lo scrittore e l'erudito, ma principalmente l'uomo impegnato nella vita politica
e nella formazione del cittadino, un'acquisizione fra le pi salde dell' Umanesimo e fra le pi durature nell'et moderna
(si pensi almeno alla storiografia illuministica e liberale). Un merito va attribuito a Leonardo Bruni, cancelliere della
Repubblica fiorentina allepoca in cui essa dovette difendersi dalle tendenze espansionistiche del ducato di Milano e del
Regno di Napoli. Gi nell'Elogio della citt di Firenze la novit essenziale consisteva . Nell'affrontare la storia della citt di Firenze egli motiva la sua scelta
con la grandezza degli avvenimenti, come si conviene ad uno scrittore che cerca una materia alta per un genere alto, per la
necessit di conservare la memoria del presente in modo da uguagliare gli antichi che hanno reso famosi i loro tempi, e con
l'allusione precisa ai "potentissimi principi", ossia agli stati monarchici, con cui la repubblica aveva dovuto confrontarsi.
Non per altro l'epoca repubblicana di Roma segnata dalle sue lotte interne e dalla rivalit con Cartagine che viene
evocata, non quella imperiale. Ma il Bruni, rilanciando la valenza pragmatica della storiografia, in quanto utile a far
acquisire attraverso l'esperienza la prudenza politica, la oppone all'ozio e al silenzio. un modo di ribadire il concetto che
lo scrivere possa equivalere all'agire; motivo prettamente umanistico, questo, che emerger variamente in Vittorio Alfieri
o nel teatro illuministico. In altre situazioni istituzionali lengagement dello storico si manifesta in forme diverse, come la
celebrazione o legittimazione del principe e dello stato, l'attivit diplomatica o la passione cittadina, l'elogio di un
personaggio emblema della citt. Lo studio dell'attivit umanistica ha contribuito a far riscoprire la dimensione
propriamente 'cittadina' della citt papale con le sue tradizioni e con la sua progressiva acquisizione d'identit come
centro culturale ed editoriale. Al di la di questa coscienza civile che proietta la cronaca e la storia verso la riflessione
politica, e nonostante il riflusso municipale che vi si potr scorgere, l'orizzonte cittadino della storiografia locale
continuer a svolgere una funzione aggregatrice ed educativa nelle regioni italiane, anche in aree meno attraversate dall'
Umanesimo storico.
traduzione "parola per parola", che provoc e provoca varie questioni, e l'ammonimento ad affrontare un tale lavoro
quando si conoscano come lingue proprie quella di partenza e quella di arrivo, e soprattutto quest' ultima, sono una pietra
miliare nella problematica moderna della traduzione. Non va per altro trascurata la sensibilit linguistica che dimostra il
discorso di Bruni, corredato con esempi che non potevano riguardare allora se non il rapporto greco-latino, pur essendo
trasferibili al rapporto latino-volgare e a quello fra idiomi diversi, che costituisce ora il nostro problema.
[...] Dico, dunque, che tutta l'efficacia di una traduzione consiste in questo: che ci che stato scritto in una lingua venga
rettamente trasportato in un'altra lingua. Ma rettamente questo nessuno pu farlo senza avere una vasta e grande
pratica dell' una e dell'altra lingua. E ci non basta. Infatti, molti sono capaci a comprendere, ma non sono capaci ad
esporre. Alla stessa maniera che molti giudicano rettamente sulla pittura, ma non sanno dipingere, e molti si intendono di
musica, ma non sanno cantare. Cosa grande e difficile , dunque, la retta traduzione. In prima luogo, infatti, bisogna avere
conoscenza di quella lingua da cui si traduce. Chiunque non abbia letto tutti questi autori, che non li abbia voltati e
rivoltati da ogni parte e non li abbia posseduti, non pu capire la propriet e i significati delle parole: e questo
specialmente perch lo stesso Aristotele e Platone furono, per cosi dire, sommi maestri nelle lettere e hanno usato un
modo di scrivere elegantissimo, ripieno di detti e di sentenze degli antichi poeti, oratori e storici [...]Non sia poi ignaro
del consueto modo di esprimersi e delle figure del parlare di cui si servono i migliori scrittori. E questi li imiti anch'egli
scrivendo, ed eviti i neologismi di parole e di stile, specialmente quelli inadatti e rozzi.(..)Infine, difetti del traduttore
sono: o capire male ci che da tradurre, o renderlo male oppure (..)non elegante e disordinato>>.->Leonardo Bruni, Della
perfetta traduzione
7. Utilit della storia contemporanea
LAPO DA CASTIGLIONCHIO il giovane (+ 1438)
Colp gli Umanisti, dedicatisi inizialmente alla storiografia su imitazione degli antichi, la scelta fatta da Biondo di
affrontare la storia dalla caduta dell'impero fino alla storia contemporanea, ed ha avuto un notevole effetto innovativo
sulla storiografia moderna il suo nuovo interesse corografico che integra geografia e storia. Alla contemporaneit era
riservata preferibilmente la cronaca, cui mancava la distanza critica e la dignit letteraria per avere l'autorevolezza e la
funzione educativa e politica richiesta da un libro di storia. Questa ammirazione per l'impresa dell'autore delle Decadi
espressa per tempo da Lapo da Castiglionchio (1437; cfr. M. Regoliosi, "Res gestae patriae" e "res gestae ex universa
Italia"). Egli, gi con un'esperienza di traduttore da Plutarco, da Giuseppe Flavio, da Senofonte e da Demostene,
nonostante il carattere oratorio della sua epistola, dimostra un'acuta intelligenza della necessit di non trascurare la
storia contemporanea. Si accorge della ripetitivit cui vanno incontro coloro che tornano sulle vicende gi narrate dai
grandi del passato, e addita agli storici moderni la gloria di cimentarsi con il racconto di fatti che possono pi di quelli
antichi entusiasmare e ottenere l'effetto che dalla storia ci si aspetta, l'impulso a difendere la libert della patria e la
sicurezza dei cittadini. Sicch, pur entro i limiti di una concezione 'retorica' della storiografia, egli gi segnala alcuni
motivi fondamentali della trasformazione di un genere antico confinante con la poesia in un genere moderno di
storiografia, reso vivo talora dalla partecipazione personale agli eventi, reso veritiero dal confronto delle testimonianze,
e reso utile dalla testimonianza di ci che potrebbe andare altrimenti perduto.
conseguito la lode da parte di tutti e per l'ingegno(..)E poi come pregevole lo stile, mio Dio!, come sciolto e scorrevole,
come privo di asprezze, come scorre senza durezze>>->Traduzione dall'epistola di Lapo da Castiglionchio a Biondo Flavio.
8. Il viaggio
L'importanza che assunse il viaggio nella mente degli umanisti si pu ricavare per rovescio da alcuni interventi, che
s'inquadrano nel gusto della facezia e sembrano fare la caricatura di questa smania crescente. In un registro faceto
appariva gi in Boccaccio il tema collaterale della 'noia' del viaggio, ripreso nelle satire ariostesche, e pi tardi in
ambiente secentesco, a testimoniare la continuit della dialettica gi tipicamente umanistica fra serio e faceto. Petrarca
invero esprimeva ancora delle perplessit sugli eccessi di un costume che avevano contratto lui stesso e il suo amico
Giovanni Colonna. E mentre sentiva il bisogno di difendersi dicendo che non aveva cercato il guadagno come i mercanti
(, Epistole familiari, III 2), altrove con un
p d'ironia scriveva che, potendo trarre tante informazioni dal libri, era inutile e rischioso per lui affrontare viaggi
lontani (si trattava dell'Irlanda: ). Pi
affine alla facezia era il consiglio dato al Colonna di Starsi un po fermo e di considerare la podragra una grazia di Dio.
Una vera e propria battuta di spirito invece quella intorno all inutilit dei viaggi, riportata da Poggio con paradossale
dissimulazione sembra un pensiero logico. Eppure Poggio aveva documentato la sua opera sulla variet della fortuna col
racconto di un viaggio in Oriente fatto da un mercante fiorentino, Niccol de' Conti, che rappresenta una delle prime
testimonianze del gusto dell'esotico e dell'orientale. Poggio aveva d'altra parte celebrato Enrico il Navigatore come un
eroe dei nuovi tempi, provvisto di un coraggio che non ebbero nemmeno gli antichi, segno di una trasgressione cui
l'umanista era incline, ma anche riflesso di quelle discussioni che a Firenze erano diffuse fra i dotti circa le nuove
prospettive della geografia.
- La smania del viaggio, FRANCESCO PETRARCA, Traduzione da Epistole familiari.
- Il viaggio inutile, POGGIO BRACCIOLINI (1380-1459), Facezie
9. Lingua come libert
LORENZO VALLA (1405/07-1457)
Nella Prefazione all'opera in cui restaura il latino corrotto attraverso i secoli barbari, restituendogli leleganza, cio la
necessaria chiarezza e propriet della lingua, Valla svolge un teorema che rimane una pietra miliare nellinterpretazione
dell'antico e della sua Rinascita, ma anche un principio moderno d'interpretazione del fenomeno culturale e della sua
necessaria universalit. I romani crearono un impero politico, che hanno perso, ma l'egemonia linguistica e culturale che
aiut i popoli a perfezionare il loro idioma, senza soffocarlo, ma permettendo una sorta di incontro e di conversazione
universale, costituisce un patrimonio inestinguibile e molto pi utile allumanit, che va coltivato nella maniera dovuta. In
effetti nella storia dell'Occidente il latino ha agito come motivo unitario, nonostante le divergenze nazionali, e Valla
esprime con molto vigore il pensiero secondo il quale il culto delle lettere, in cui inclusa ogni disciplina in quanto affidata
alla trasmissione scritta, il contrario delle orribili guerre che dividono gli uomini, e la ricostruzione della lingua
superiore alla ricostruzione della citt. famosa soprattutto l'acuta metafora di Camillo vero liberatore di Roma e suo
rifondatore, perch le restitu in pieno la libert: la lingua , in ogni forma culturale, il fondamento prima, perch
garantisce la corretta e significativa comunicazione, senza la quale non vale alcun genere di scrittura (in questo consiste
lelegantia, frutto di conoscenza e di scelta adeguata), come la libert il primo fondamento della convivenza. Ma
linteresse valliano per la lingua latina, oltre a incontrarsi con le vivaci discussioni umanistiche circa la sua origine e
sopravvivenza, riguarda la sua battaglia per il rinnovamento della dialettica; riguarda inoltre la fondazione dei nuovi studi
grammaticali e linguistici in Europa.
LEON BATTISTA ALBERTI (1404 -1472)
La trattazione della materia economica svolta dall'Alberti nel solco dei libri dell'antichit (il pi noto era quello di
Senofonte) con una straordinaria attenzione alle questioni poste dalla borghesia moderna, ma soprattutto superando il
livello empirico della precettistica e della enucleazione di esperienze personali. Si pu dire che la Famiglia e il De iciarchia
aprano la strada al progresso moderno della scienza economica, che ha nel Settecento un momento importante di rilancio.
La Famiglia un libro educativo, pi che scientifico in senso stretto, ma la sua problematicit, che si manifest anche
nella forma dialogica e qualche volta nel contrasto delle opinioni, la colloca gi su un piano scientifico. Soprattutto il libro
III, dedicato allo specifico governo della 'villa', lunit economica che vede il massacro' impegnato a difendere e
accrescere il patrimonio immobiliare, ha una valenza polemica che illumina anche gli altri problemi trattati (leducazione
difficile dei figli, scelta della moglie, la pratica dell'amicizia come sostegno nella vita pubblica), poich eleva l'esperienza
diretta, finanche empirica, a metodo pragmatico, considerato anche superiore ad ogni mediazione letteraria. Cos,
sfiorando la contraddizione (un'opera letterariamente pensata polemizza con la stessa letteratura), la Famiglia diventa
uno dei libri pi diffusi nella borghesia terriera moderna, con effetti anche sul piano linguistico e letterario. In quel libro
si sancisce per la prima volta il 'valore' economico del 'tempo' e si oppone paradossalmente agli insegnamenti teorici degli
antichi, perfino a quelli di Aristotele, la pratica del pi autorevole massaro' della famiglia Alberti, Giannozzo,
apparentemente 'semplice' teorizzatore dei modi prudenti di conduzione del patrimonio familiare. Ma la pi famosa delle
opere albertiane, favorita dal dettato volgare come lo stesso autore auspicava, va visto ormai nel quadro dell'ampia
produzione anche latina dell'Alberti, di cui negli ultimi decenni si affrontata la lettura critica sistematica, importante
non solo per l'interpretazione dell' Umanesimo nel suo complesso e specialmente di una delle sue forme pi tipiche , ma
per il posto rilevante che occupa negli studi attuali sul Rinascimento.
Leon Battista Alberti, I libri della famiglia, III
12. Divulgazione del sapere
LEON BATTISTA ALBERTI
Alberti ha bisogno, come a suo tempo Dante, di difendersi dalle critiche di colora che non ritenevano adeguato luso del
volgare per trattare argomenti scientifici e filosofici. Arrivato al terzo libro, quando deve far parlare un uomo non
letterato, e quindi deve ricorrere anche all'uso del linguaggio quotidiano per ottenere efficacia di comunicazione, lo
scrittore introduce questa parte del dialogo con un discorso di valore generale, e di grande valore polemico e propulsivo.
L'uso del volgare appare, come del resto gi in Dante, un alto rivoluzionario che peser sullo sviluppo secolare della lingua
italiana, la quale in questi anni non acquista unimmediata egemonia, ma l'acquister in seguito anche per effetto di questo
libro, utilizzato ampiamente dai compilatori del futuro Vocabolario della Crusca. Altra cosa il livello di elaborazione che
il volgare raggiunge ad opera dell'Alberti, che scrittore bilingue, e come sceglie il latino per trattare le questioni morali
e le questioni artistiche e civili, cos sceglie il volgare quando intende rivolgersi ad un pubblico di "non letterati", senza
tuttavia dimenticare la struttura colta della frase, necessariamente costellata di termini tecnici e latineggianti.
L'inconfondibile stile che ne risulta, anche per effetto della mescolanza con la tipica espressione quotidiana, rappresenta
un momento fortemente dinamico nella formazione della nostra lingua.
Nel contesto dell' Umanesimo si avvia anche il processo di innalzamento sociale delle arti meccaniche, quelle una volta
distinte dalle arti liberali perch guidate dal sapere tecnico piuttosto che dalla scienza. Lungo i tre secoli del
Rinascimento si matura lequiparazione fra le lettere e le arti che nell'et moderna non pi materia di discussione, anche
se si acuisce sul piano del pensiero estetico il problema, molto avvertito nella prospettiva umanistica, del rapporto e della
superiorit fra le arti, nelle quali compresa la retorica, cio la tecnica sottesa alla scrittura e in particolare alla poesia
(di tutta questa problematica, riscoperta nel Novecento, diventa un punto di riferimento il "Journal of Warburg and
Courtauld Institutes" iniziato nel 1936-1937). Nel trasferire l'insegnamento retorico, ossia la scienza dei modi di
rappresentare le idee, all'arte della pittura, Alberti da un contributo notevolissimo a questo processo di modernizzazione,
perch definisce la particolare `difficolt' di un'arte ritenuta manuale, che quanto dire la sua scientificit. Per
rappresentare la figura umana, che argomento della storia tradizionalmente affidata alla scrittura, bisogna conoscere la
fisiologia, la scienza dei movimenti del corpo, e l'analogia fra gli stati d'animo e la loro manifestazione esterna, ossia la
fisiognomica; con un'analoga correlazione nella tradizione retorica la poesia era considerata specchio dell'anima. La
scoperta del movimento come specchio della 'vita' un contributo non solo alla resa estetica, alla bellezza e alla grazia,
dell'opera pittorica, ma alla conoscenza dell'uomo e della natura (l'argomento riguarda, al di la delletica e dell'estetica, la
filosofia naturale). Per questa via la rappresentazione artistica, specialmente nella stampa, si svilupper anche come
illustrazione della scrittura e porta il problema della sua superiorit espressiva rispetto al testo scritto, che non
rappresenta il movimento immediatamente alla vista. Inoltre lo stesso 'movimento', il quale sollevava la pittura almeno al
livello della letteratura, sar motivo di vanto ai giorni nostri per la nuova riflessione estetica che mirer a sostenere
l'autonomia, il primato, del 'cinema', arte per eccellenza del movimento visivo nella rappresentazione del mondo umano.
tutto agevole e piano, ne si rompono se non dove una cruda necessit che ogni cosa pia dura si spezzi: se poi invece
hanno dell'ottuso, allora con lo studio assiduo e costante superano qualsivoglia difficolt. Perci se di primo acchito
qualcuno non arriva a intendere qualche cosa, non deve peccare di orgoglio, chiudendo il libro e gettandolo, n cadere nel
vizio opposto, cio in un pusillanime scoraggiamento, ma deve perseverare con l'intenzione di vincere l'ostacolo
trovato.Vero per, che gl'ingegni, quanto pi son ricchi di acume tanto pi sono poveri di memoria, e mentre agevolmente
capiscono, poco ritengono. Perci a conservare la memoria e fortificarla giova assai il precetto insegnatoci e praticato da
Catone, di ripassare la sera tutto ci che si fatto, veduto e letto nella giornata, facendo l'esame, e rendendoci conto
non solo di quanto abbiamo operato lavorando, ma anche dello svago preso in mezzo alle nostre fatiche. Procuriamo di
farlo anche noi, almeno per le cose pia importanti, al fine di ritenerle a memoria con maggiore tenacia.
Utilit delle dispute. Giova anche parlare spesso degli studi comuni tra compagni; ch la disputa assottiglia l'ingegno,
muove la lingua, fortifica la memoria; non gi perch a discutere si impari molto, ma perch per codesta via meglio si
approfondiscono le cognizioni acquistate, pi acconciamente si esprimono e pi saldamente si ritengono. Anche col fare da
maestri ad altri otteniamo grande vantaggio, purch non ci accada il guaio che solitamente accade ai novizi, i quali,
avendola appena assaggiata, credono di possedere gi la scienza tutta quanta, e come gi fossero dotti pretendono di
tener cattedra e con arroganza fanno sentire i loro pareri.
Il dubbio metodico. II primo passo verso il sapere il poter dubitare; ne vi cosa tanto contraria al sapere quanto il
presumere della propria dottrina, e troppo confidare nel proprio ingegno, poich la presunzione spenge l'amore dello
studio, e la folle fiducia lo diminuisce; di guisa che gli ingegni presuntuosi arrivano a ingannare se stessi, cosa punto
comoda, ma d'altra parte facile a succedere e grandemente dannosa. Avviene cosi che essi, privi di esperienza, nemmeno
sognano gli andirivieni, le circonlocuzioni ed i precipizi che si nascondono nelle scienze, e quindi, o correggono male quello
che non intesero bene, chiamando ignoranti e trascurati gli scrittori, passano sopra ai punti che non capiscono, mentre
invece dovrebbero chiarirli con lo studio e con la pazienza.
Distribuzione razionale del tempo. Tutto questo per si far agevolmente, se in modo opportuno si divider il tempo, se in
certi giorni e in certe ore determinate si far la lettura; badando di non lasciarsi prendere talmente dalle occupazioni
diverse che manchi il tempo di leggere quotidianamente qualcosa.
utile poi che ognuno stimi grande la pi piccola perdita di tempo, e del tempo faccia conto come del vivere e star sano,
n lo sciupi in bazzecole, e quelle ore che altri forse consuma nell'ozio, egli le spenda in studi meno gravi e in piacevoli
letture. Infatti una buona trovata il raccogliere anche quello che altri butta via, Come appunto fanno coloro che, dopo
aver cenato leggiucchiano, o aspettando il sonno, o anche per allontanarlo; i medici dicono che questo fa male agli occhi, e
credo anch'io che sia vero, ma solo quando se ne abusi, e il libro richieda molta attenzione, e il leggere sia troppo
prolungato.
Pier Paolo Vergerio, Del nobili costumi, in Eugenio Garin, Educazione umanistica in Italia,cit., pp. 102-104.
Scolari e maestro
MATTEO PALMIERI (1406-1475)
Par appartenendo al circolo degli umanisti fiorentini restauratori del latino, Matteo Palmieri, politico e letterato, adotta
in versi e in prosa il volgare, e in questa opera riprende dal Decameron la forma dell'insegnamento di vita attraverso
l'incontro e il colloquio. I tre giovani scampati dalla peste del 1430, anch'essi introdotti a dialogare in una casa di
campagna, discutono di educazione e affrontano due principii fondamentali della pedagogia moderna, il rapporto fra
maestro e discepolo e la funzionalit di tutte le discipline alla formazione dell'uomo. Il rapporto fra maestro e discepolo,
al di la della riaffermazione del pensiero pitagorico per cui il discepolo debba osservare il silenzio e imparare, prima di
parlare, che potrebbe essere rilanciata come ma provocatoria risposta all'odierna dilagante improvvisazione e maniera
degli interventi estemporanei, e che saggiamente interpretato come `collaborazione' (si insiste sull'attitudine del
discepolo all'ascolto e alla riflessione), non ribadisce il concetto di autorit, anzi insiste sulla amanita del maestro non
severo, ne troppo rigido, ne di dissoluta piacevolezza),, e fa dipendere da questa la scelta stessa del maestro. Scelta
affidata, allora, all'oculatezza del padre, ma che chiaramente si riferisce alla necessit comunque di non lasciare al caso
leducazione, di scegliere, predisporre e adeguare convenientemente il personale didattico.
ospedaliero, l'assistenza medica gratuita, l'assistenza sociale su un piano non pi di caritas>> (G. Moraglia). N va
trascurata la presenza anche nella letteratura moderna del triste tema messo a fuoco nell'et umanistica.
>
Marsilio Ficino, Consilio contro la pestilenzia.
17. L' inutile smania della Crociata
PIO II, ENEA SILVIO PICCOLOMINI (1405-1464)
Il pi grande papa umanista anche una figura complessa, il cui zelo religioso bilanciato da una grande attenzione elle
opportunit politiche e da un uso abile della parola. Nonostante le sollecitazioni di chi voleva ancora portare la Crociata in
Medio Oriente, mostr cautela politica e un intelligente proposito di spostare su Roma l'attenzione dei fedeli, favorendo
il trasporto delle reliquie di sant'Andrea, fratello di san Pietro, presso la sede del primo pontefice. Eletto papa nel 1458
dopo un periodo giovanile cui appartengono scritti in versi e in prosa di argomento profano, e dopo unimportante attivit
ecclesiastica in curia e nei concilii in terra germanica, Pio II narra la storia dei suoi tempi e quindi anche della sua ascesa
al pontificato con un titolo che ricorda gli appunti e la cronaca della Guerra gallica e della Guerra civile di Cesare. Nudo e
conciso il suo stile, sia in questa sia in altre opere storiche e geografiche, e perfino nelle prove comiche (la plautina
Chrysis) e narrative (la novella De duobus amantibus), che hanno ottenuto in questi ultimi tempi una notevole fortuna. Ma
limpegno di storico di Pio II va ricordato particolarmente, perch i Commentarii (pubblicati postumi nel 1484) conservano
la memoria, in pagine fra le pi spregiudicate della letteratura umanistica, degli intrighi cardinalizi che il Papa riusc a
svelare, e del discorso che egli avrebbe pronunciato per giustificarsi del fatto di non aver realizzato la Crociata che pur
aveva promesso al mondo cattolico. A parte il fatto che Pio II mor ad Ancona nell'estremo e inutile tentativo di mostrare
la sua intenzione di partire finalmente per la conquista di Gerusalemme, sono importanti le sue titubanze, dovute ad
un'intelligente percezione politica e strategica delle difficolt di affrontare i Turchi senza strumenti sufficienti, e
soprattutto ad una segreta speranza di mantenere la pace e forse di venire a patti con gli infedeli nellutopica presunzione
di trovare con loro un punto di accordo anche dottrinale. Del resto Pio II era amico di uno dei maggiori filosofi dell'epoca,
Nicol Cusano, teorizzatore della coincidentia oppositorum, il principio secondo cui gli opposti coincidono, ossia
s'incontrano piuttosto che escludersi come nella dialettica aristotelica. Un rapporto fatto al collegio cardinalizio sul suo
comportamento per quel che riguardava la Crociata un'orazione al popolo per invitarlo a lasciar perdere la guerra,
godersi le reliquie del santo venute dall'Oriente e lasciar l'affare dei Turchi nelle mani di Dio, sono un capolavoro di
abilit retorica e di dissimulazione, fra buon senso e ironia.
>.
Pio II, Commentarii, VII 16, VIII
18. Confronto fra nemici
MATTE0 MARIA BOIARDO (1440/41-1494)
Lo sviluppo dell'epica cavalleresca alla corte di Ferrara corrisponde anche all'affermazione della narrativa come svago
intellettuale, posto che occupa nell'et moderna il romanzo; col Boiardo si ha l'esempio evidente della. tendenza a
sollevare l'intrattenimento popolare ai livelli della riflessione etica mediante la penetrazione simbolica dei personaggi e
degli episodi. Svanita la motivazione simbolica e nazionale delle gesta dei Paladini, divenuti eroi di un mondo fantastico,
ancorch nella cornice delle Crociate, la narrazione pu ospitare perfino un momento eccezionale, importante proprio
perch eccezionale, di celebrazione della pace, propriamente di una sorta di amnistizio fra nemici nel segno di un'intesa
culturale. L'episodio in cui Orlando, campione dei Cristiani, e Agricane, campione dei Musulmani, interrompono lo scontro
per l'avvento della notte, e come avviene nei conviti, a sera, discutono quasi amichevolmente e pur con opinioni dissimili,
sui fondamenti della nobilt, significativo per le teorie cui si fa riferimento e che continueranno ad interessare la
letteratura dialogica, se sia pi valida la cultura filosofica o quella delle armi, ma soprattutto significativo perch
rappresenta esso stesso una manifestazione di cultura che supera lo scontro armato. Alla fine non ci sar la conversione
dell'infedele che Orlando si riproponeva di ottenere, anzi ci sar una riaffermazione della diversit, ma lo scontro - per
una sorta di tregua paradossale (l'amore, che furia, rinnover lo scontro) - viene sollevato al livello della parola
correttamente adoperata come strumento intellettuale. Non va trascurato il fatto che l'opera fu scritta proprio negli
anni in cui lostilit verso i Turchi attraversava un momento drammatico e sanguinoso nella guerra di Otranto (1180-82).
Matteo Maria Boiardo, L'innamoramento di Orlando, I xviii
19. Originalit dello scrittore
ANGELO POLIZIANO (1454 -1494)
Al centro del dibattito umanistico sul 'mestiere' dello scrittore stata giustamente individuata la polemica fra Angelo
Poliziano e Paolo Cortesi, un letterato dell'Accademia romana di Pomponio Leto, autore di una storia dell'evoluzione
recente del Ciceronianismo (De hominibus doctis) e poi di un trattato sul comportamento e sul ruolo culturale del prelato
(De cardinalatu), sulla linea del De oratore di Cicerone e del futuro Libro del Cortegiano di Baldassar Castiglione. Al
Cortese il Poliziano rimproverava la scelta del grande scrittore latino come modello ottimo e quindi adottato praticamente
come massimo punto di riferimento nella prosa mediante il metodo dell'imitazione. Ma il discorso sull'imitazione a
proposito della prosa, e l'accusa di formare in tal modo delle scimmie di Cicerone, assumeva una valenza ben pi ampia
contro una delle pratiche letterarie fondamentali nella pedagogia umanistica e in difesa della originalit dello scrittore,
che non dovrebbe essere soggetto ad un solo modello, ma libero di seguire modelli diversi e molteplici come lape che
succhia da pi fiori per dare un miele frutto della sua individuale operazione. Sul piano della poesia ne derivavano per
Poliziano la celebrazione di Omero come primo e vero poeta perch non preceduto da modelli, e la difesa della sua stessa
poesia, esempio straordinario di raffinatissima 'riscrittura', nel senso modernissima - si direbbe leopardiano - di una
copiosa tradizione letteraria. Di qui non solo la reazione, che vedremo, di Cortesi e di tutto il filone umanistico che
riabilita l'imitazione (Pietro Bembo riprender il discorso polemizzando con Gianfrancesco Pico che con altre ragioni,
anche religiose, riabilita invece l'individualit della persona e dello stile nella scrittura, ma anche la questione moderna
della supremazia fra Omero e Virgilio, luno campione della creativit assoluta e laltro della imitazione creativa. Una
questione che emerge nell'affermazione del primato omerico sostenuto da Giambattista Vico e dai Romantici ostili
all'imitazione come in generate al metodo pi rigido del classicismo.
(...) C' una cosa, a proposito dello stile, in cui io dissento da te. A quel che mi sembra, tu non approvi se non chi riproduca
Cicerone. A me sembra pi rispettabile l'aspetto del toro o del leone che non quello della scimmia, anche se la scimmia
rassomiglia di pi all'uomo. Come ha detto Seneca, non sono simili tra loro quelli che si crede siano stati i massimi
esponenti dell'eloquenza. Quintiliano deride coloro che credevano di essere i fratelli germani di Cicerone per il fatto che
finivano i loro periodi con le sue stesse parole. Orazio condanna coloro che sono imitatori e nient'altro che imitatori.
Quelli che compongono solamente imitando ml sembrano simili ai pappagalli che dicono cose che non intendono. Quanti
scrivono in tal modo mancano di forza e di vita; mancano di energia, di affetto, di indole; sono sdraiati, dormono, russano.
Non dicono niente di vero, niente di solido, niente di efficace. Tu non ti esprimi come Cicerone, dice qualcuno. Ebbene? lo
non sono Cicerone; io esprimo me stesso.(..) non ti lasciassi avvincere da codesta superstizione che ti impedisse di
compiacerti di qualcosa che sia completamente tuo, che non ti pennette di staccare mai gli occhi da Cicerone() vorrei che
tu rischiassi mettendo in giuoco tutte le tue capacit.() E ricordati infine che solo un ingegno infelice imita sempre,
senza trarre mai nulla da s. Addio.>>
Angelo Poliziano, Epistola a Paolo Cortese, in Prosatori latini del Quattrocento
20. Continuit e innovazione
PAOLO CORTESE (1465-1510)
L'autore del De hominibus doctis (cfr. il cap. precedente) componeva in realt, esaminando gli scrittori contemporanei in
relazione alla loro maggiore o minore osservanza dello stile ciceroniano, una storia della letteratura contemporanea con un
disegno unitario, proprio quello che presieder alle pi moderne storie letterarie guidate da un'ideologia retorica, o
estetica, a politica, a sociale.. Un primato del genere va riconosciuto anche a Gianfrancesco Pico (cfr. il cap. precedente)
che nel De studio divinae et humanae philosophiae passa in rassegna gli scrittori moderni per definirne lo stile, preludendo
a vere e proprie storie della letteratura contemporanea che fioriscono gi nel Cinquecento. Questo interesse a tessere
una storia, superando la raccolta dei singoli uomini illustri, nasce proprio dal tipo di risposta che Cortese da a Poliziano,
difendendo l'imitazione come rapporto fra figlio e padre, le cui fattezze. pur mutate, sono riscontrabili nei discendenti,
costituendo una continuit non priva di innovazione. La considerazione storica della diversit nella continuit un principio
guida della storicismo moderno, ma anche il riflesso di alcuni processi reali della cultura, quando sia orientata da un
umanesimo di base, come avviene in Italia perfino nella stagione secentesca ,che segna la crisi dell'umanesimo
rinascimentale. D'altro canto il concetto di imitazione, caduto in disuso con la battaglia romantica, rivalutato proprio
secondo la direttiva umanistica, sul piano pedagogico e in occasione della polemica fra classicisti e romantici. da
Alessandro Manzoni, allorch considerava che > (Lettera sul Romanticismo).
>
Paolo Cortese, Epistola al Poliziano,cit., pp. 905-911.
21. Egemonia e lingua
LORENZO DE MEDICI (1449-1492)
Il concetto espresso da Lorenzo Valla sulla durata della lingua latina, diffusa per effetto dell'Impero, ma sopravvissuta
allImpero, riemerge in prospettiva nelle pagine in cui Lorenzo de' Medici, un politico impegnato nel perseguimento
dell'egemonia politica fiorentina, si difende per aver scelto la lingua della tradizione fiorentina in sonetti che continuano
e innovano quella tradizione poetica. La lingua fiorentina ha dei pregi intrinseci che le provengono dalla sua storia
letteraria, avendo acquisito soprattutto attraverso Dante, Petrarca e Boccaccio l'abilit a trattare di tutti gli argomenti,
scientifici compresi (ed egli insister su temi naturalisticamente psicologici), a raggiungere ogni livello espressivo e ad
ottenere l'armonia, per cui merita di diventar comune al di l del limiti territoriali; ma se la fortuna aiuter Firenze,
l'>.
Lorenzo de' Medici, Proemio al Comento de' suoi sonetti.
22. Il disagio della citt
LORENZO DE' MEDICI
Prima di costituire un acuto problema di ordine antropologico, economico e sociale, come divenuto nel secolo scorso,
quello della contrapposizione fra citt e campagna stato un motivo poetico di lunga durata, anch'esso variamente e
ciclicamente sollecitato da ragioni politiche e sociali, da situazioni e atteggiamenti spirituali, da opinioni sulla qualit della
vita. Il tema della sofferenza per il trambusto della vita cittadina risale alla poesia antica ed in relazione con lo sviluppo
dell'inurbamento e la crisi del mondo agricolo-pastorale, simbolo della stessa poesia per il fatto di rappresentare il tempo
ed il luogo d'incontro fra creature divine ed umane, oggetto di nostalgica rievocazione. Nell Umanesimo quel tema
riprende vigore ed spesso collegato con la reale trasformazione del mondo cittadino in un centro di affari, di sviluppo
economico, ma anche di affanni e disagi. NellAltercazione di Lorenzo il Magnifico il contrasto fra citt e campagna viene
assunto in funzione di una riflessione etica circa l'incontentabilit umana giacch chi vive in citt sogna la campagna e
chi vive in campagna sogna la citt - e la necessit di spingere il desiderio al di la dei limiti che offre la vita terrena. Ora,
la prospettiva un po' obbligata del platonismo e il carattere retorico dell'esagerata contrapposizione ne fanno un testo
molto datato, ma lelaborazione metaforica e l'assunzione del tema nella cornice filosofica non eliminano, e anzi
ribadiscono, limportanza che lumanesimo attribuiva a quel tema largamente evocato e dibattuto nella letteratura del
pieno e del tardo Rinascimento e riscoperto nel Settecento, nell'Ottocento e nel Novecento. Un'opera risalente agli
stessi anni del poemetto laurenziano e particolarmente fortunata, lArcadia. di Iacopo Sannazaro, nasce anch'essa, senza
pretese filosofiche, come rifiuto della sofferenza cittadina e si svolge ambiguamente come dolorosa e gaudiosa
esperienza dell'esilio in campagna in una lingua volgare che arieggia ad ogni passo il latino: ii ritorno al latino s'incontrer
con il ritorno alla bucolica perfino nel poema religioso (vedi n. 32). Regressione, si direbbe in termini moderni, non
generosi, utilizzati per pascoliano particolarmente vicino alloperazione umanistica. ->Lorenzo de' Medici, De summo bono
(Altercazione), I.
23. Superstizione
GIOVANNI PONTANO (1429-1503)
Lo svergognato costume dei potenti e la connivenza del volgo, l'arrivismo venale, l'incultura presuntuosa sono l'obiettivo
polemico di buona parte dei Dialoghi faceti (Charon, Antonius) di Pontano. Questi sceglie la figura popolaresca di Caronte,
introdotta in un colloquio accanto a quella di Mercurio, il dio che rappresenta la sapienza occulta e rivelata (il nome del dio
era collegato con quello del mitico Ermete Trismegisto, autore di trattati filosofico-religiosi della tarda et ellenistica),
per sbeffeggiare le stoltezze e le malvagit ataviche del mondo. Il nocchiero infernale, cui s'intitolava un dialogo del
greco Luciano, ironizzatore delle tradizioni religiose e delle stupidaggini umane, riprende il carattere burbero e il buon
senso comune che gli attribuiva la tradizione, per dimostrare in forma comica linfondatezza della superstizione, la
cavillosit e l'ignoranza dei filosofi, l'ipocrisia della gente per bene, le inutili illusioni degli uomini fondate sulla favola
della loro superiore natura, e frattanto rivelare con i suoi giudizi - sia pure con una sfumatura scherzosa - quanto sia
importante l'educazione culturale acquisita attraverso la consuetudine con i dotti dai quali per s'imparano talora anche
sciocchezze. Il ricorso a figure mitiche e alla forma dell'apologo sar ancora un vezzo della letteratura, specialmente
sulla scia di Luciano, per alleggerire la satira. Uno di questi obiettivi satirici, quello contro i medici, aveva trovato posto
nella polemica petrarchesca con profonde ragioni che discutevano il naturalismo scolastico, ma diventer topico in senso
serio e faceto. Allo stesso nodo la contraffazione dell'insegnamento grammaticale e lessicale, ispirato agli scherzi
linguistici del teatro plautino con lo sguardo rivolto agli spropositi del sillogismo, ricalca la presunta - quando presunta
elementarit del metodo pedagogico, valida anche ai nostri giorni. Pontano non abbandona quasi mai un tono umoristico e
scanzonato, non privo di stranezze, sia quando mette in evidenza le assurdit, ossia la follia vera degli uomini, per esempio
di coloro che fondano il sapere sui valori nominali, sia quando guarda con una sottile ironia, confrontata con l'apparente
rozzezza di Caronte, il sussiego sapienziale dei giudici infernali, sia quando metter a confronto, alla fine del dialogo, il
sapiente ridanciano e il sapiente pensoso, complementari ed entrambi funzionali a una equilibrata considerazione della
vita.-> Giovanni Pontano, Caronte
24. Un'ipotesi di critica stilistica
GIOVANNI PONTANO
La critica retorica degli umanisti, quando viene condotta come in questa pagina dell' Antonius di Pontano dedicata alla
difesa di Virgilio quale esempio di poesia originale e carica di emozione, ricorda la sensibilit formate della critica
stilistica dei nostri tempi. Il dialogo coinvolge altri accademici come Elisio Calenzio e Andrea Contrario, ai quali Pontano
affida il ricordo di Antonio Panormita lettore attento dei testi, riconoscendo la loro competenza in materia. Il passo che
riportiamo va in effetti ben oltre lanalisi formale, poich mostra come le scelte lessicali di Virgilio, distinguendosi da
quelle di Pindaro rivolte ad altro effetto mediante altra serie di metafore, rispondono ad una sorta di poetica della
meraviglia e con liperbole suscitino l'immaginazione esuberante e l'emotivit, sicch perfino quel che pu sembrare un
abbozzo va interpretato come scelta raffinata, quasi un "non finito", per un effetto straniante. La finezza di lettore
dell'Umanista conduce insomma perfino a rivalutare per la sua completezza espressiva anche quello che un grammatico
poteva considerare, e semmai scusare, come un abbozzo, un lavoro incompiuto. L'exuperantia e ladmiratio sono i
presupposti di una poetica tratta dal seno della retorica e divenuta feconda nel manierismo e nel barocco secentesco,
oltre a toccare un frequente tasto delle poetiche attente all'emozione e all'orrore. La novit pontaniana risiede tuttavia
anche nella qualit del metodo critico, rivolto cogliere il proprio di un poeta, ad entrare nel suo laboratorio, e a spostare il
discorso dalla considerazione del rapporto imitativo fra scrittori, come nel manierismo, al rapporto fra lo scrittore e la
realt di cui abbia diretta esperienza, che il mito estetico sia del barocco, convinto che il poeta penetri nei fenomeni
della natura con le sue metafore, sia del realismo moderno non insensibile allo straniamento metaforico. Nell'Actius poi,
da cui tratto il secondo brano, l'esame degli effetti della variet, fra considerazioni che riguardano legamenti e
contrazioni, iati e pause della metrica e accostamenti vocalici, prelude all'analisi cui Bembo sottoporr i versi volgari di
Petrarca, e all'artificio poetico del tardo Rinascimento. Tutto ci testimonia gi la fortuna che nella nuova retorica
assume l'insegnamento di Ermogene di Tarso, retore del II secolo, autore di un trattato Sulle idee, particolarmente
attento ad un complesso di accorgimenti linguistici al fine di ottenere le varie qualit dello stile, e destinato a divenire fra
Cinque e Seicento un'auctoritas nel campo della critica letteraria e ben al di la dell'et umanistica una guida del gusto
formale. La nuova critica formale, pur nella trasformazione del gusto, trovava una base sicura nei parametri virgiliani (cos
in un notevole, quantunque oscuro, critico napoletano che continua la tradizione pontaniana).
. -
>Traduzione da Giovanni Pontano, Antonius,
.->Traduzione da Giovanni Pontano, Actius, in Dialoghi
25. Fortuna e follia: il rovescio della virt
GIOVANNI PONTANO
La fortuna, protagonista esplicita o implicita di molta letteratura narrativa, assorbe anche molta parte della riflessione
medievale e umanistica, nonostante che la divinizzazione pagana della figura si scontrasse con la concezione cristiana della
provvidenza e dell'ordine della natura. Intesa ora come casualit estrema, ma pi spesso come il complesso delle cause
sconosciute, necessariamente o provvidenziali o solo previste da Dio, degli eventi esterni all'anima e sottratti alla volont
umana, essa poteva rientrare nel quadro dell'etica ed essere considerata ora in conflitto ora in alternativa con la virt,
ora perfino ad essa estranea o soggiacente. Negli ultimi anni di vita (1501), al culmine della bufera politica che investe
l'Italia, dopo aver trattato di astrologia, di virt e fra queste di prudenza, allo stesso tempo in cui meditava sul
capovolgimento dell'ordine morale rappresentato non dal vizio ma dalla disumanit (De immanitate), Pontano scrive tre
libri De fortuna scandalizzando i religiosi e rilanciando il mito laico della fortuna come 'caso' assoluto, indicandola quale
causa irrazionale degli eventi, impeto della natura esterna ed interna all'uomo, sottratta ad ogni ragione di ordine morale
e divino. Nonostante le molte professioni di fede nella mano di Dio comunque presente ai pi alti livelli del mondo celeste,
e nell'eccezionale intervento della volont, anche questa per equiparata talora ad un impulso naturale, il senso dell'opera
decisamente proiettato, pur con tutto il suo linguaggio aristotelico, verso un nuovo concetto di natura, varia, mutevole e
imprevedibile, che richiede un approccio diverso, e dove tuttavia la cautela ricavata da schemi acquisiti pu non avere
alcun effetto pratico. L'identificazione della fortuna con il gioco dei dadi, ossia con il caso assoluto, ha un riscontro nello
studio moderno delle probabilit e nella teoria del caos. A parte l'applicazione politica di questa spregiudicata
concezione, che avr in Guicciardini la sua moderna soluzione storiografica, pagine centrali del trattato pontaniano, dove
si delinea la sconcertante figura dell'uomo fortunato senza alcuna ragione n umana n divina, sono importanti per una
prima rappresentazione del folle come ingegno eccezionale e come poeta, il cui furore riceve la denominazione di divino'
solo perch non si riesce a scoprire la causa.
di divinare, infatti, potrebbe esserci in un uomo ignorante, spesso in un uomo di campagna, o anche in una donnetta quasi
rozza e mezza sciocca? Eppure indovinano e presagiscono ii futuro di moltissimi secoli. Che poi gli indovini e le Sibille siano
mossi soltanto da quell'impulso naturale, indipendentemente da ogni ponderazione (...) Omero e Virgilio, due luminari della
poesia in due lingue diverse, entrambi per un simile impulso innato hanno conseguito che,se gli dei stessi volessero cantare
in greco o in latino in versi eroici, non canterebbero con altra voce, n con altro canto, n con altro metro, n con altra
dolcezza, dignit e grandezza se non con quella usata da loro per cantare. Questo spirito naturale, o impulso che dir si
voglia, poich sembra contenere qualcosa di divino, e certamente pi che umano, stato detto sacro. Quell'impulso
dunque, sia che provenga dal cielo, sia dalla natura o da entrambi,Adunque, poich la fortuna natura, e natura priva di
ragione, per il fatto che senza ragione e consiste in un impulso, che non altro se non un moto irrazionale, sembra che la
fortuna debba ricondursi a Dio come alla causa principale di tutte le cose. Ma bisogna stare attenti a che, facendo questo,
noi diamo a Dio la colpa dell'ingiustizia e di una poco retta distribuzione di beni>>
Traduzione da I. I. Pontani De fortuna,in Opera omnia soluta oratione composita, Manuzio, Venezia 1518.
26. Affabilit della conversazione
GIOVANNI PONTANO
Fra le novit introdotte dall'Umanesimo nella civilt moderna, specialmente attraverso l'incremento della consapevolezza
retorica, vi quel modo garbato di discutere le opinioni che evita la durezza e rigidit della logica e l'odiosa scortesia del
diverbio e della rissa. Non che venisse meno l'uso dell'invettiva sin nella polemica politica e culturale, sia nella satira e
nell'epigramma, ma si venne creando uno spazio sempre maggiore per l'incontro verbale improntato a civilt e cortesia. I
dialoghi platonici e in particolare il Convito, le parti introduttive e le pause dei dialoghi morali di Cicerone, le discussioni
riferite da Aulo Gellio nelle Noctes Atticae e da Macrobio nei Saturnales, offrivano modelli di distensione intellettuale. Il
dialogo era anche un modo di dibattere con leggerezza argomenti scientifici. Ma l'Umanesimo svilupp nella forma del
dialogo soprattutto, e nella forma di quel dialogo a distanza che l'epistola, il gusto di quella che modernamente
diventata la 'conversazione', particolarmente coltivata nella corte e nelle accademie cinquecentesche e settecentesche,
fino alla moda pi recente del salotto. Al di la delle molteplici forme sociali di questa fenomeno, vale la pena di tener
presente un momento fondamentale di presa di coscienza di questa necessit civile di adoperare la lingua per l'incontro
cortese e per la ricreazione umana: Pontano dedica un trattato, largamente utilizzato almeno fino a tutto il secolo
successivo (De sermone, 1499) per illustrare, anche can esempi, l'uso della conversazione in quei momenti in cui
particolarmente necessario lo 'spirito' al fine di allentare la tensione con l'umorismo della facezia, e dimostrare
affabilit con il sorriso vari i livelli, mai eccessivi, del comico. I nuovi termini, introdotti proprio da Pontano, sono
soprattutto facetitas (l'arte della facezia) e comitas (l'affabile cortesia), e i loro concetti costituiscono una guida
essenziale del linguaggio medio e brillante.
dell'uomo affabilmente cortese rinunciare alla severit, conservare la mitezza, compiacere piuttosto che
contrastare..Questa di cui ora abbiamo parlato e quella accortezza che consiste net rendere onore con le parole per
attirarsi una maggiore simpatia da parte dei soldati: cercare questo compito proprio di questa virt. Non dobbiamo
trascurare neppure quello che Livio dice di Quinto Fabio: iniziata la battaglia con i Sanniti, egli chiam a se il figlio
Massimo e i tribuni Marco e Valerio e, chiamandoli per nome tutti e due li colm, con pari affabilit, di lodi e di
promesseOh disse che non potevano tuttavia passare inosservati gli atti di valore che venivano compiuti
nell'accampamento romano.. per guadagnarsi il favore, per ottenere la benevolenza ricordando he imprese eroiche. E dopo
aver detto "sia gloria al tuo valore"non senza evitare comunque di incorrere talvolta in offese rivolte alle orecchie o al
cuore, tuttavia con riserbo e molta moderazione, pur di giovare, pur di distogliere.
Giovanni Pontano, De sermone, trad. a cura di F. Tateo.
27. Fra dialogo e teatro
GIOVANNI PONTANO
Il rilancio del teatro comico avviene nel Rinascimento con le commedie in volgare di Ludovico Ariosto, che riprendono modi
e temi plautini adattandoli alla societ attuale; ma il recupero, anche linguistico, di Plauto e di Terenzio ( quest'ultimo era
pi frequentato nel Medioevo) era avvenuto nell'umanesimo latino sia ad opera di Poggio, che vi cercava spunti per le sue
facezie e per la ricerca di un linguaggio pia vivo, sia ad opera di Pontano che ricorse ai comici per le facezie incluse nel De
sermone e prima ancora per i suoi dialoghi faceti. Uno di questi dialoghi, composto intorno al 1486 ma pubblicato postumo,
l'Asinus, ha una impostazione scenica che ne fa una vera e propria commedia moderna anteriore all'irrigidimento
classicistico della divisione in atti e della riduzione delle scene e dei personaggi. La mescolanza di personaggi popolari e di
personaggi nobili, il mutamento delle scene, dalla piazza alla villa di Pontano con una parte al di qua e una all'interno del
giardino, perfino l'uso dei lazzi, ripetono la libert della tarda sacra rappresentazione, ma l'argomento autobiografico,
con l'autore che finge di essere impazzito per un asino, di far discorsi ultraseriosi sull'agricoltura e sugli influssi stellari,
e sconci con il contadino, rappresentano una novit assoluta nella tradizione dialogica e comica. Soprattutto l'autoironia,
che Pontano anche teorizzava nel trattare della facezia, e la ricerca di mimesi, in latino, del linguaggio quotidiano con
sospensioni e didascalie, ne fanno un esercizio sperimentale di gusto modernissimo.
Giovanni Pontano, Asinus, a cura di F. Tateo, in Lorenzo Poliziano Sannazaro, Poggio e Pontano, Cit., pp. 687-692,701-702.
28. La spettacolarit
GIOVANNI PONTANO
Le rovine romane, da cui muove la riflessione egli umanisti sulla degenerazione dei tempi e sulla necessit di una
restaurazione della grandezza antica, rimarranno nel gusto pittorico e scenico dell'et moderna come un modo simbolico
per rappresentare la nobilt e la bellezza quale sfondo della vita signorile in contrasto col paesaggio rustico. Pontano fa
rientrare il gusto per la grandezza della realizzazione artistica nella virt della magnificenza, ossia della spesa opportuna
e dignitosa di un uomo di alto rango o provvisto di un ruolo pubblico nel far costruire edifici e allestire feste e spettacoli.
In questi passi del trattato l'umanista ricorda la meraviglia provata a Roma insieme all'amico Gabriele Altilio, in occasione
di una missione diplomatica (1493), nel riconoscere dalle rovine la grandezza, come una delle qualit della bellezza cui
s'ispirava l'architettura romana perfino nella costruzione degli acquedotti e della cloaca. Ma importante il riferimento
ai teatri e agli spettacoli pubblici che andranno sempre rispondendo alla domanda del pubblico moderno. A questo modello
si ispir a Napoli Francesco Laurana nell'ideazione del marmoreo prospetto d'ingresso del Maschio Angioino (1455/58) e
ad esso si conform l'allestimento del Trionfo che Alfonso celebra al suo ingresso a Napoli, narrato in tutti i suoi
particolari scenici da Antonio Panormita (cfr. G. Distaso, Scenografia epica: ii trionfo di Alfonso, epigoni
tassiani,Adriatica, Bari 1999). E tuttavia lo stesso Pontano, come nella poesia conosce il sublime della scienza astrologica
e l'elegia degli affetti familiari, cos nel trattare delle virt, non solo esalta la magnificenza a la magnanimit che
riguardano la vita pubblica dell'uomo di rango, ma rivolge anche l'attenzione alle virt private che implicano la parsimonia,
con un gusto che stato riscoperto in et moderna.
incremento, e conservarono una loro identit fino al Novecento, confluendo anche in forme liriche diverse quali ad es. il
sonetto e la canzone.
>.
Traduzione da Giovanni Pontano, Actius, in Dialoghi.
30. Lo strumento dell' esperienza
LEONARDO DA VINCI (1452-1519)
Il trattato della Pittura, in cui Leonardo confronta con larte figurativa quella letteraria e attribuisce alla prima una
superiore capacit di conoscenza e di espressione, il segno del suo ingegno moderno, non tanto perch contribuisce, dopo
il grande apporto dato da Leon Battista Alberti all'emancipazione delle arti meccaniche, ad avviare con riflessioni
teoriche l'arte pittorica verso quella sorta di egemonia che essa conquister fra le arti nella civilt del Rinascimento, ma
perch in maniera esplicita assegna allo strumento della figurazione, l'occhio, il primato nella conoscenza del reale. Non
la prima volta che l'organo della vista viene anteposto alle altre forme di conoscenza: gi la contemplazione', considerata
superiore alla pratica del fare e della scrivere, era considerata nell'estetica medievale atto della vista, vista metaforica
oppure onirica, ma certamente collegata con il senso visivo, esaltato per la sua immaterialit al di sopra degli altri sensi.
Ma Leonardo, collegando l'occhio alla pittura concretamente intesa come disegno e colore, come strumento di
rappresentazione delle cose nella loro effettiva consistenza corporea, raccoglie intorno all'analisi delle capacit
conoscitive dell'occhio tutta la scienza del mondo naturale. Il paragone con le lettere, favorevole alla pittura anche
quand'egli riconosce alla pittura gli stessi pregi espressivi delle lettere, ricalca la sua provocatoria e metaforica
autodefinizione di uomo senza lettere, che significa non formato alla maniera tipica dell'umanista, e mira soprattutto a
privilegiare la conoscenza intuitiva rispetto a quella che richiede il tempo della descrizione e della penetrazione filosofica.
I segni e i colori rappresentano, se visti con occhio acuto, l'oggetto naturale pi di qualunque descrizione e ragionamento.
Si avvia in tal modo sia l'uso della figurazione nel campo della meccanica, sia l'uso dell' illustrazione come compagna della
scrittura, non al fine semplicemente esornativo, ma di approfondimento e arricchimento interpretativo, come in molte
esperienze pittoriche e tipografiche degli ultimi secoli.
scienza che rappresenta le opere di natura, che quella che rappresenta le opere dell'operatore, cio le opere degli uomini,
che sono le parole, come la poesia, e simili, che passano per la umana lingua.
5. Come la pittura abbraccia tutte le superficie de' corpi, ed in quelli si estende. Chi biasima la pittura, biasima la natura,
perch le opere del pittore rappresentano le opere di essa natura, e per questo il detto biasimatore ha carestia di
sentimento. Si prova la pittura esser filosofia perch essa tratta del moto de' corpi nella prontitudine delle loro azioni, e
la filosofia ancora lei si estende nel moto. Tutte le scienze che finiscono in parole hanno si presto morte come vita,
eccetto la sua parte manuale, che lo scrivere, ch'e parte meccanica.
9. Come il pittore e signore d'ogni sorta di genie e di tutte le cose. Il pittore padrone di tutte le cose che possono
cadere in pensiero all'uomo, perciocch s'egli ha desiderio di vedere bellezze che lo innamorino, egli signore di
generarle, e se vuol vedere cose mostruose che spaventino,ei n signore e creatore. E se vuol generare siti deserti,
luoghi ombrosi o freschi ne' tempi caldi, esso li figura, e cos luoghi caldi ne' tempi freddi. Se vuol valli.. gli alti monti, o
dagli alti monti le basse valli e spiaggie. Ed in effetto ci che nell'universo per essenza, presenza o immaginazione, esso
lo ha prima nella mente, e poi nelle mani, e quelle sono di tanta eccellenza, che in pari tempo generano una proporzionata
armonia in un solo sguardo qual fanno le cose.
10. Del poeta e del pittore. La pittura serve a pi degno senso che la poesia, e fa con pi verit le figure delle opere di
natura che il poeta, e sono molto pi degne le opere di natura che le parole, che sono opere del l'uomo; la natura va da Dio.
pi degna cosa imitare la natura che imitare i fatti e le parole degli uomini. Il poeta superato con potenza dal pittore..
ma se vuoi vestirti delle altrui scienze separate da essa poesia, elle non sono tue,.. ti trasmuti, e non sei pi quello di che
qui si parla..Si muovono i popoli con infervorati voti a ricercare i simulacri degl'iddii; e non a vedere le opere de' poeti,
che con parole figurino i medesimi iddii. Con questa s'ingannano gli animali.
18. Differenza infra poesia e pittura. La pittura immediate ti si rappresenta con quella dimostrazione per la quale il
suo fattore l'ha generata, e da quel piacere al senso massimo, qual dare possa alcuna cosa creata dalla natura. Ed in
questo caso il poeta, che manda le medesime cose comun senso per la via dell'udito, minor senso, non da all'occhio altro
piacere che se uno sentisse raccontare una cosa. Or vedi che differenza e dall'udir raccontare. una cosa che dia piacere
all'occhio con lunghezza di tempo, o vederla con quella prestezza che si vedono le cose natural!Per le opere lette e
ascoltate bisogna fare commenti, ma l'opera del pittore immediate compresa da' suoi risguardatori.
19. Della differenza ed ancora similitudine che ha la pittura con la poesia. La pittura ti rappresenta in un subito la
sua essenza nella virt visiva, e per il proprio mezzo, d'onde la impressiva riceve gli obietti naturali, ed ancora nel
medesimo tempo, nel quale si compone l'armonica proporzionalit delle parti che compongono il tutto, che contenta il
senso; e la poesia riferisce il medesimo, ma con mezzo meno degno dell'occhio..pi confusamente.
20. Dell'occhio. L'occhio, dal quale la bellezza dell'universo specchiata dai contemplanti, e di tanta eccellenza, che chi
consente alla sua perdita, si priva della rappresentazione di tutte le opere della natura, per la veduta delle quali l'anima
sta contenta nelle umane carceri. mediante gli occhi, per i quali essa anima si rappresenta tutte le vane case di natura. Ma
chi li perde fascia essa anima in una oscura prigione..non c nessuno che non volesse piuttosto perdere l'udito e l'odorato
che l'occhio..perderela bellezza del mondo.
Leonardo. Trattato della Pittura.
31. Felicit dei primitivi
ANTONIO DE FERRARO GALATE0 (1446/48-1517)
L'approccio 'morale' degli Umanisti a questioni di ordine schiettamente fisico e antropologico pu essere letto
tradizionalmente come limite della scientificit della loro riflessione, mentre pu essere un antidoto moderno
all'atteggiamento meramente positivistico o tecnologico imperanti, e un richiamo alla considerazione 'civile' della societ,
pi volte richiamata attraverso i secoli. L'epistola inviata a Jacopo Sannazaro poco dopo la scoperta del Nuovo Mondo da
Antonio Galateo, umanista e naturalista salentino che aveva studiato a Padova e soggiornato nell'ambiente aragonese di
Napoli, il documento eccezionale di una discussione avvenuta a corte, la corte aragonese di Napoli, sul problema
geologico della formazione e trasformazione delle terre e dei mari (il moderno interesse scientifico del Galateo, che lo
conduce a far confluire insieme ricerca geologica, antropologica). Gi in questa questione, pur discussa con gli strumenti
conoscitivi e metodologici di allora, si delineano due tesi che si fronteggeranno sino ai giorni nostri fra sostenitori del
catastrofismo' e sostenitori della lenta trasformazione della crosta terrestre, con importanti accenni al principio del
"nulla si crea e nulla si distrugge" e critiche alla presunzione di conoscere al di la dell'esperienza e della documentazione.
Quel che colpisce di pi, invece, proprio la risoluta risposta, apparentemente conservatrice, all'invasione europea delle
nuove terre, che rifiuta l'interpretazione celebrativa superficiale del Mito di Ulisse, e guarda alla conquista del Nuovo
Mondo con occhio disincantato, rilanciando con esuberanza retorica in satira ben nota contro i costumi, ma prefigurando
sostanzialmente la critica illuministica fondata sul mito del "buon selvaggio," che Leopardi sintetizzer liricamente
concludendo linno ai Patriarchi o dei principii genere umano. L'umore polemico del Galatea rappresenta una sorta di
coscienza critica dell'Umanesimo, quando pensiamo al suo rifiuto esplicito e vivace del ciceronianismo ad oltranza, e quindi
alla propensione a rompere lequilibro fra res e verba in favore delle 'cose' , a utilizzare cio il famoso principio etico
agostiniano, che sia meglio peccare nelle parole che nella vita morale, verbis quam moribus, nel senso di dover trascurare
l'eleganza per il discorso chiaro, priva di fronzoli e scientificamente proprio, cui corrisponde la critica, ugualmente vivace
e quasi solitaria, rivolta all'operazione di uniformare i dialetti alla unit e bellezza di una lingua egemonica come il toscano.
La polemica contra la degenerazione dei costumi, inoltre, raggiunge toni di particolare gravit nei confronti delle autorit
ecclesiastiche, da essere paragonati a quelli, insoliti fra gli umanisti italiani, dei campioni della Riforma protestante.
[...1 Se vero quello the raccontano, quante popolazioni, quante citta bisogna pensare che siano state distrutte da una
sola rovina, da un solo diluvio? Ma mi sia concesso, caro Azio, di parlare con te senza che altre persone ci ascoltino... Che
cosa facciamo qui? Che vita trasciniamo fra tanti disastri?.. Evviva il valore di questi uomini, non solo assai degni di essere
ricordati, ma meritevoli della gratitudine nostra e dei posteri, perch hanno osato affidarsi all'ignoto ed infinito mare,
perch hanno osato penetrare in quel non so che sconfinato e vuoto regno della naturale. Ci hanno insegnato che non c'
luogo dove manchino uomini, tanta cura ha avuto la madre natura di tutti noi. . Ma non so se sia andata bene alle
popolazioni che avete scoperte. Popolazioni veramente fortunate, e, come dice Orazio, isole beate, contente di quel che
avevano, esistettero nell'et dell'oro. Temo che, mentre vi illudete di conclude ad una vita pi civile, mentre vi
preoccupate di portare loro leggi e altre cose senza le quali la vita sarebbe pi felice, introduciate anche i nostri vizi, le
tirannidi, gli onori, le cariche pubbliche, le ambizioni..la magia, le pozioni, veleni.. E non mancher in un popolo cosi
numeroso qualcuno, cui la natura ha infuso un lume d'ingegno (poich uomini sono), che si accorga come da fuori non
provenga tanto la civilt quanto la depravazione, e che compiangendo la gente dica: Antonio De Ferrariis Galateo, Epistole.
32. Regressione bucolica e pacifismo
IACOPO SANNAZARO (1455/56-1530)
Ancor oggi per rappresentare la pace si ricorre a immagini simboliche della vita quotidiana raccolta, non scossa da eventi
improvvisi e grandi, ma allietata dalla festa e dal gioco, e della vita campestre. In particolare la ripresa, all'alba del
Novecento, di una poesia ispirata alla semplicit e genuinit della fanciullezza e della memoria infantile, ha fatto parlare
di regressione' La simbologia del mondo bucolico come mondo pacifico anteriore alla turbolenza cittadina un motivo
ricorrente della letteratura umanistica, dove esso a ragion valuta rappresenta la nascita stessa della poesia. Il
Quattrocento vede infatti la rinascita del genere bucolico nella doppia figura dell'hortus conclusus e della spazioso
paesaggio naturale. Ma il genere bucolico si collegava anche alla favola mitologica: significativo, per gli stessi sviluppi
posteriori del genere, la presenza notevole del mondo bucolico nel teatro. Il Sannazaro si dedica allArcadia, libro non
privo di scenografia teatrale e di figurativit mitologica, ma dove il richiamo quotidiano della vita semplice, persino
infantile, dei pastori, le opere e I giorni, talora interrotto dalla festa e dal gioco, e l'inconsapevole felicit del gregge
rappresentano simbolicamente un'oasi di tranquillit e un aspetto della poesia autentica, vissuta fra i dolori
dell'esistenza. Ma l' Umanesimo ereditava dall'antichit l'idea della pace augustea e dalla tradizione cristiana la saldatura
fra la pace augustea e quella della Redenzione che si compie originariamente in una scena pastorale. Sannazaro, che
sperimenta nell'et giovanile, come tutta la generazione, i rivolgimenti bellici che inducono le speranze escatologiche di
fine secolo, e nella maturit le attese ireniche della Renovatio cristiana, colleg strettamente l'uno e l'altro mito nelle
sue esperienze letterarie apparentemente diverse, passando dal romanzo bucolico in volgare al poema epico-religioso in
latino sul Parto della Vergine. Infatti, nel narrare la storia cristiana, canta (II 116-234) il mito della pace ricordando
l'evento storico pagano del censimento di Augusto, che i Vangeli collegano al viaggio di Giuseppe e Maria e che diventa il
simbolo della confluenza nell'Impero di tutti i popoli della terra, diversi ma accomunati da un identico spirito di
convivenza come auspicio di pace (si riporta qui un brano iniziale nella traduzione in versi italiani di Giovanni Bartolomeo
Casaregi, che testimonia oltre tutto, in ambiente arcadico, la persistenza del bilinguismo umanistico). Nel nome della pace
Redenzione e Rinascita s'incontrano in una prospettiva globale che fa pensare ai modi non limitatamente rituali con cui
Manzoni canter, dando al motivo cristiano un senso universale, la Pentecoste che unisce in un solo ideale di pace fedeli e
infedeli. Questa convergenza di fondo che alimenta il pi consapevole pacifismo attuale, in nome di un valore comune come
la pace, e in nome di una solidariet e religiosit nuove, non confessionali, agendo al di l del pi vistoso conflitto fra
religioni diverse e fra religione e laicismo, ha la sua genesi proprio in quell'atteggiamento umanistico, riflesso nel mito
classico, punto di riferimento ideologico della tolleranza' , che sopravviver sia allo spirito confessionale e
controriformistico, sia a quello anticlericale. Il risvolto filosofico di questo atteggiamento fu la docta religio di Marsilio
Ficino (De doctrina christiana), una sorta di religione della cultura che accomuna tutte le fedi.
Era gia per lo tramontAre del sole tutto i'occidente sparso di mile varieth di nuvoli, quali violati, quali cerulei, alcuni
sanguigni, altri tra giallo e nero, e tali si rilucenti per la ripercussione de' raggi, che di forbito e finissimo oro pareano.
Per the essendosi le pasto-relle di pan i consentimento levate da sedere intorno a la chiara fontana, i duo amanti pusero
fine a le loro canzoni. Le quail sl come con maraviglioso silenzio erano state da tutti udite, cosi con grandissima
ammirazione furono da ciascuno eguabnente comendate, e massi-mamente da Selvaggio. il quale non sapendo discernere
quale fusse stato pi prossimo a la vittoria, arnboduo giudico degni di somma lode; al cui giudicio tutti consentemmo di
commune parere. E senza poterli pi 6 comendare the comendati ne gli avessemo, parendo a ciascuno tempo di dovere omai
ritornare verso la nostra villa, con passo lentissimo, molto degli avuti.piaceri ragionando, in camino ne mettemmo.
Jacopo Sannazaro, Arcadia e Iacopo Sannazaro, De partu virginis.
33. Incertezze della politica
NICCOL MACHIAVELLI (1469-1427)
indubbio che fra tutti gli umanisti quello considerato generalmente come il pi attuale l'autore del Principe per lo
spregiudicato realismo che ispira la sua riflessione politica, segno di un definitivo distacco dalla tradizione della
trattatistica politica fondata su principii morali e sul rispetto sacrale delle istituzioni. Ma in sostanza anche
l'antimachiavellismo ha dovuto fare i conti, nei secoli, con l'offensiva machiavelliana contro le immagini ideali di governo e
con il richiamo alla realt effettuale, ossia ai modelli storici dai quali trarre le regole del successo politico. L'esperienza
di regimi che hanno messo in pratica senza infingimenti e con sistematica consapevolezza, ma anche senza moderazione, il
principio della slealt e della violenza come metodo per costruire e mantenere lo stato, e il sopravvivere del materialismo
storico diretto a fondare la lotta politica su meri rapporti di forze, sia pure con obiettivi sociali, hanno rilanciato
modernamente la dottrina di Machiavelli e favorito lo studio critico e approfondito del suo messaggio con esiti diversi.
Fra le molte, preziose indagini rivolte a definire l'originalit dell'autore del Principe di fronte alle dottrine politiche del
passato e soprattutto del recente passato umanistico (cfr. D. Canfora), a segnalarvi le eventuali anticipazioni, ma
specialmente a penetrare nella formazione e nelle ragioni della dottrina machiavelliana, a valutare la fortuna e sfortuna di
quest'ultima, va tenuta soprattutto presente in questa sede l'eredit problematica lasciata do quell'opera straordinaria.
Il fatto pi umanisticamente significativo non sono tanto, infatti, la concezione naturalistica dell'uomo, il pragmatismo e
l'orizzonte esclusivamente politico e civile, il ricorso all'esempio storico, l'intuizione della necessit di uno stato grande,
forte e coeso, quanta la difficolt di sostenere fino in fondo con tanta risoluta certezza l'idea della virt del Principe in
un contesto condizionato dall'inspiegabile fortuna. Perci vanno raffrontati due passi che si riferiscono alla celebrazione
di un principe quasi perfetto perch calcolatore, se un suo errore ed un evento inatteso non avessero vanificato il suo
successo (Cesare Borgia), e al ricordo indispettito, e quasi imbarazzato, di un principe impetuoso (Giulio II), pervenuto al
successo nonostante la sua imprudenza, solo perch i tempi avevano per caso corrisposto alla sua indole. Ma la conclusione
sulla convergenza fra l'esito felice e l'agire impetuoso ed irrazionale richiama ii trattato pontaniano sulla fortuna (vedi
qui n.25) e la sua impostazione che identifica il caso con la natura irrazionale.
Niccol Machiavelli, Il principe, VII, XXV.
34. Critica della Provvidenza
FRANCESCO GUICCIARDINI (1483-1540)
Il motivo ricorrente della 'provvidenza' Si affievolisce nell'et umanistica e scompare se non come rara e metaforica
alternativa alla 'fortuna' nei secoli successivi, e lo stesso motivo ricorrente della fortuna' diventa sempre pi sinonimo di
complesso inestricabile di influssi stellari, di "situazione politica" determinata da tali e tanti fattori da impedire la
previsione e perfino la spiegazione. Con la 'Storia dItalia Francesco Guicciardini certamente contribuisce a questa
trasformazione, ma nel racconto della morte di papa Alessandro VI (1503) la sua concezione immanente degli eventi umani
espressa in termini talmente vigorosi da non lasciar dubbi sullo scetticismo del narratore, nonostante certe residue
considerazioni sulla imperscrutabilit del volere divino, che servono piuttosto a confondere quei presuntuosi i quali
credono di giustificare i mali occorsi all'uomo come segno della volont divina. Anzi lo storico rasenta l'empiet quando
constata il successo sempre ottenuto da chi avrebbe dovuto essere ostacolato da Dio, e non accenna minimamente ad una
giustizia punitrice, ma tiene ad attribuire la morte del Papa, pur cos gradita e giusta, ad un mero accidente. Cos la
fortuna gi s'identifica con la moderna considerazione della complessit delle cause, di fronte alle quali il politico, non
potendo dominare gli eventi n condizionarli, non pu far altro che adattarsi alle circostanze per evitare il peggio o trarre
un minimo vantaggio adoperando la `discrezione'. Questo atteggiamento ha fatto definire in un altro modo l'eredita
moderna dell'umanesimo di Guicciardini, gi assunto quale esempio di fiacchezza morale (Francesco De Sanctis), di
vocazione all'accomodamento politico, esempio di mancanza di volont attiva, di virt. Ma in effetti Guicciardini addita
con il suo atteggiamento essenzialmente critico un realismo diverso da quello paradossalmente caratterizzato da risvolti
utopici, di Machiavelli, sicch possono considerarsi entrambi alternativamente o dialetticamente proiettati nella teoria e
nella prassi politica moderna.
Valentino avvelena Adriano cardinale di Corneto (papa Alessandro VI?), fingendo di bere lui stesso e salvandosi forse la
vita con un potente antidoto->Francesco Guicciardini, Storia d'Italia.
35. La casta
ERASMO DA ROTTERDAM (1466/69-1536)
Al giorni nostri, che hanno visto non solo l'applicazione diffusa, ma perfino la teorizzazione del riso, del capovolgimento,
della maschera quali forme alternative di espressione, un libro come l'Elogio della pazzia (Encomium Morias, 1511), in cui
Erasmo rappresenta, in un modo che fu a quei tempi sconcertante, i mali del mondo ma non sempre rivelando con chiarezza
se la follia fosse in quei mali o nella loro rivelazione, rimane un classico della libert di parola sospesa fra la finzione, la
satira e la denuncia. Il libro ha alimentato per secoli l'atteggiamento critico nei confronti di ogni tipo di controriforma e
di conformismo, di intolleranza e di oppressione della libert di coscienza. In una parte riservata alla frequente disonest
pubblica e immoralit privata dell' uomo di governo, sembra di vedere quella che stata definita come la casta dei politici,
inconsapevoli degli obblighi che competono loro, ma capaci di assumere in maschera che li rende popolari. Particolarmente
sottile e in raffigurazione del principe come un attore inchiodato alla sua maschera, che tutto fa fuorch quello che
dovrebbe fare, raggiungendo tuttavia il successo: pazzia sua, pazzia del popolo che l segue, pazzia di chi riesce a
scoprirne il volto. E il culmine di una secolare denuncia condotta con un tono bizzarro e brillante, ma divenuta fondamento
di umori antichiesastici e libertari anche recenti
occupa, Si scosta appena dalla retta via, subito la corruzione si diffonde contaminando moltissimi uomini.. Se, dico, il
principe riflettesse a queste cose e a moltissime altre del genere - e ci rifletterebbe se avesse senno - non dormirebbe,
credo, sonni tranquilli, ne riuscirebbe a gustare il cibo>>.->Erasmo da Rotterdam, Elogio alla follia.
36. Come imporre le tasse
ERASMO DA ROTTERDAM
Certamente una delle prove pi difficili di un governo, nel mondo moderno, quello di reggere le spese pubbliche
attraverso il contributo del cittadini, ma riuscendo a conservarne il consenso. Prelevare danaro dalle tasche dei
contribuenti diventata anche una volgare espressione per definire ii cattivo governo degli avversari, come appellarsi alla
solidariet costituisce un'utile forma propagandistica per ricorrere alla tassazione evitando ii suo aspetto pi odioso.
Erasmo riconosce gi, in questo capitolo del trattato sull'educazione dell'ottimo principe, identificato con quello che
applica le norme cristiane dell'equit e della beneficenza, tulle le precauzioni necessarie ad evitare la ribellione popolare
oltre che la punizione divina. La materia viene giustamente trattata come un'antica questione, ma viene attentamente
svolta con lo sguardo rivolto anche alla giustificazione dell' utile privato o statale, nel quadro pero di un'etica cristiana,
intesa come generalmente 'umana', del principe. La risposta a quesiti come quello se sia meglio che il politico sia amato o
temuto, se debba preoccuparsi del prossimo o solo delle sue mire, la gloria o il vantaggio economico, se debba privilegiare
lo staff che lo sostiene a il pi vasto pubblico, quesiti di sempre, data con quella buona dose di prudenza che fa
coincidere l'utilit con l'onest, e che compare alle origini stesse della teoria intesa ad arginare la provocazione
machiavelliana. Eppure la posizione umanistica di Erasmo lungimirante, perch egli consapevole della contraddizione
che nell'et moderna si riacuisce fra la necessit dell'utile e la volont dell'onesto.
>. -> Erasmo da Rotterdam, Institutio principi christiani.
37. II piacere della parola
PIETRO BEMBO (1470-1547)
Edonismo = dottrina che pone il piacere, comunque inteso, a nome e fine della vita.
L'edonismo nel costume e nell'arte fra le conquiste moderne del laicismo scaturito dalla polemica umanistica contro il
moralismo monastico. Il gusto mondano si riflette nella critica letteraria, che si fa autonoma rispetto alle norme religiose
mediante quella che si potrebbe considerare una nuova religione, l'osservanza della grazia e della `vaghezza' fin nell'uso
della parola. Retorica e poetica, mirando a far penetrare nell'animo i concetti attraverso la persuasione, prediligono la
scelta di un eloquio dolce e cattivante, e richiedono una nuova norma, non rigida come il precetto scolastico, ma passibile
di perfezionamento, e soprattutto assunta attraverso l'esperienza della scrittura e di sensi qu