Riflessione sul Vangelo del giorno

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Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai

suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi.

Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti,

rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho

detto queste cose perché la mia gioia sia in voi

e la vostra gioia sia piena.Questo è il mio comandamento: che vi

RIFLESSIONE SUL VANGELO DEL GIORNO

LUNEDI’ 14 MAGGIO

SAN MATTIA AP.

amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di

questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più

servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato

amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 

Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro

frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo

conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

L’amore del Padre per il Figlio e del Figlio per i suoi è espresso con un

verbo (agapào) al tempo aoristo: un atto supremo, concreto, storico,

manifestato con l’inviare il Figlio al mondo e col dare la vita per il mondo.

Anche l’imperativo «rimanete» è all’aoristo, con un accento che esprime

un comando perentorio: l’amore non esclude la legge, ma la vivifica. E

questa la gioia, derivante dall’amore e dall’obbedienza di cui Gesù ha parlato,

come la gioia di Gesù scaturisce dall’unione col Padre espressa nell’amore e nell’obbedienza.

Siamo nel tempo della chiesa, dalla Pasqua alla parusia. Benché la storia

sembri sempre la stessa e i tempi per i credenti sempre più difficili, il Risorto

ha vinto il potere del male ed è presente nella vita dei credenti, che

rimangono nel suo amore, loro in lui e lui in loro e nel Padre. Ecco i limiti

dell’amore autentico: nessuno. L’amore reciproco nasce dall’amore fontale di Dio, si impronta di esso, lo prende a

modello: amarsi gli uni gli altri come lui ci ha amato fino a dare la vita. Anche

qui il verbo è all’aoristo: si riferisce a un evento concreto avvenuto nella storia,

non a una disponibilità generica, e

questo evento è l’atto supremo dai contorni precisi, reali, della morte di croce; un atto compiuto non per il

concetto evanescente di una umanità ideale, ma per persone concrete, i suoi

amici. Rivelazione sconvolgente: nell’Antico Testamento molti sono i servi del Signore, un solo uomo è

chiamato «l’amico di Dio», il nostro padre Abramo. Adesso Gesù chiama

amici tutti coloro ai quali fa conoscere la rivelazione del Padre. Tale amicizia non è una scelta umana, ma il frutto

dell’iniziativa divina: è lui che ci fa suoi amici portandoci dentro l’amore divino. L’atto di amore del Cristo è costitutivo della comunità di coloro che lui ama: non un gruppo esoterico, ma tutti i

credenti come lievito dell’intera umanità, perché portino frutto con-

ducendo a Cristo nuovi amici. Il comando che fa da inclusione a questo

brano aprendolo e chiudendolo (w. 12.17), di amarsi reciprocamente come lui ci ha amati, è il segno e il modo di

rimanere nell’amore di Dio continuando l’azione di Gesù. E amore chiamato a

farsi solidarietà, condivisione, comunione, nella fedeltà, al di là della logica del possesso e di tutti i condi-

zionamenti e i cedimenti che ne conseguono.