Post on 20-May-2015
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Il Patto Intergenerazionale per lo Sviluppo del TerritorioEmpatia, Trasmissione culturale e Interdisciplinarità
di Angela Zolli – pag. 5
Il Settore Agroalimentare in Friuli Venezia GiuliaL’indagine
Fabbisogni formativi e dinamiche occupazionalidi Angela Zolli, Veronica Pelos, Mario Passon – pag. 17
Interviste a confrontoPunti di forza e debolezza del settore: interventi auspicati
di Angela Zolli – pag. 27
Seggiolai e ImpagliatriciUna lettura dei processi di trasformazione del distretto friulano della sedia
di Angela Zolli - pag. 34
n. 1- QuAderno dI rIcercA -
- A cura di Angela Zolli -
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quaderno di ricerca 1
Lab reA è un laboratorio di ricerca, progettazione e consulenza operante nell’ambito delle
scienze sociali, basato sulla figura della fondatrice Angela Zolli e di un fidelizzato team di pro-
fessionisti e ricercatori specializzati nelle discipline economiche, antropologiche, informatiche
e statistiche. Il laboratorio offre una serie di servizi a favore di imprese, enti e istituzioni.
Lab reA - economic and Anthropological research Laboratory Lab REA is lab dealing with research, planning and consulting in the field of social science.
It is led by its founder Angela Zolli and it exploits the skills and expertise of a trustworthy
team of professionals and specialised researchers in the fields of economics, anthropology,
information science and statistics.
Lab REA cooperates with enterprises and institutions.
AddressVia Chiavris 29 - 33010 Colugna (UD) - ITALIATel. +39 0432 400807 - <http://www.labrea.it/>
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GLI AuTorI
AnGeLA ZoLLI nasce nel 1967. Si laurea
in Economia e Commercio nel 1991 all’U-
niversità di Trieste. Lavora con importanti
aziende in diversi settori e dal 1999 inizia a
lavorare in modo autonomo nel settore della
ricerca socio-economica, della progettazio-
ne e della formazione. Nel 2006 fonda Lab
REA e nel 2007 si laurea in Antropologia,
Etnologia e Etnolinguistica all’Università Ca’
Foscari di Venezia. Attualmente lavora nel
suo Laboratorio e ne coordina il team. Rap-
porti di ricerca e pubblicazioni disponibili su
<http://www.labrea.it/>
VeronIcA PeLoS nasce nel 1988. Si lau-
rea in Statistica e Informatica per la Gestione
delle Imprese all’Università di Udine nel 2010
con una tesi sulle analisi di customer sati-
sfaction nelle amministrazioni pubbliche. Ha
collaborato con la Camera di Commercio di
Udine per l’annuale indagine di customer sa-
tisfaction degli uffici camerali e con Lab REA
per diversi progetti.
MArIo PASSon nasce nel 1955. Si lau-
rea in Scienze Statistiche all’Università di
Padova. È responsabile del Centro Studi e
dell’Ufficio Statistica e Prezzi della Camera
di Commercio di Udine e coordina il Centro
Studi di Unioncamere Friuli Venezia Giulia.
È professore a contratto e insegna statisti-
ca all’Università di Trieste e all’Università di
Udine dal 1996. Lavora per il Sistema Stati-
stico Nazionale e ha una provata esperienza
nella gestione di banche dati statistiche.
AnGeLA ZoLLI was born in 1967. She
graduated in Economics and Commerce in
1991 at the University of Trieste. She worked
with leading companies in different fields and
in 1999 started working on a self-employed
basis in the socio-economic research, plan-
ning and training areas. In 2006 she created
Lab REA and in 2007 graduated in Cultural
Anthropology, Ethnology and Ethnolinguis-
tics at Ca’ Foscari University in Venice. She
currently works for her own Laboratory and
leads Lab’s team. Avalaible reports and pub-
lications: <http://www.labrea.it/>
VeronIcA PeLoS was born in 1988. She
graduated in Statistics and Information Tech-
nology for Business Management in October
2010 at the University of Udine with a thesis
on the customer satisfaction survey in the
Italian public administration. She worked with
the Chamber of Commerce of Udine for its
yearly customer satisfaction survey and with
Lab REA for different projects.
MArIo PASSon was born in 1955. He graduat-
ed in Statistic Science at University of Padua. He
is responsible for Centro Studi and Ufficio Statis-
tica e Prezzi of Chamber of Commerce of Udine
and he coordinates the Centro Studi of Unionca-
mere Friuli Venezia Giulia. He is temporary teacher
(professore a contratto) and has taught statistics
at the University of Trieste and at the University
of Udine from 1996. He works for the Sistema
Statistico Nazionale and he has a good experi-
ence in statistic database management.
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quaderno di ricerca 1
ANGELA ZOLLI IL ProGeTTo “PATTo InTerGenerAZIonALe Per Lo SVILuPPo deL TerrITorIo”Empatia, Trasmissione culturale e Interdisciplinarità
Abstract The intergenerational pact for the development of the territory. Empathy, cultural heritage and interdisciplinary studies (by Angela Zolli)In this article we describe the results of a work that merged historical, an-thropological, information technology, economic and statistic skills in a training project of educational, social and cultural relevance aimed at pro-moting integration between institutions and society. The objective of the project is to foster the transmission of the local cultural heritage and to promote its tourist value supporting active ageing and the solidarity among generations. It is a project devised by Angela Zolli and developed by Lab REA in the last two years working with schools, municipalities and public institutions of Friuli Venezia Giulia. In particular, we deal with the results of the project financed by region Friuli Venezia Giulia and coordinated by the Consorzio dolceNordEst in cooperation with the Istituto Comprensivo (primary and lower secondary schools) and the municipality of Tarcento.
In questo articolo si presentano i risultati derivanti dalla convergenza di diverse competenze
– socio-economiche, storico-antropologiche e informatico-statistiche - in un progetto di-dattico di rilevanza educativa, sociale e culturale finalizzato a favorire l’integrazione tra le istituzioni e la società civile. L’obiettivo del progetto consiste, in particolare, nel favorire la trasmissione del patrimonio culturale locale e nel promuoverne la valorizzazione turistica, incoraggiando l’invecchiamento attivo e la solidarietà tra le generazioni. Si tratta di un progetto ideato dalla scrivente e sviluppato da Lab REA negli ultimi due anni
in collaborazione con le Scuole, i Comuni e gli Enti pubblici localizzati in Friuli Venezia Giulia.
In questo articolo, in particolare, si presentano i risultati del progetto finanziato dalla Regio-
ne Friuli Venezia Giulia, coordinato dal Consorzio dolceNordEst e svolto in collaborazione
con l’Istituto Comprensivo di Tarcento e il Comune di Tarcento durante l’anno scolastico
2012-2013.
Il presente lavoro è costituito da due parti. Nella prima parte è sinteticamente illustrato il qua-
dro teorico di riferimento, mentre nella seconda parte si descrivono gli obiettivi, i contenuti e
la metodologia applicata nello svolgimento del progetto.
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1. Il quadro teorico
Appare utile iniziare con alcune considerazioni riguardanti i concetti di cultura e di trasmissio-
ne culturale visto che, come vedremo nella seconda parte dell’articolo, il progetto del “Patto
Intergenerazionale” attiva molteplici modi di trasmissione culturale. Queste considerazioni si
basano sulle interpretazioni dello storico Fernand Braudel, dell’antropologo Clifford Geertz,
del genetista Luigi Luca Cavalli-Sforza e del figlio Francesco Cavalli-Sforza, docente di gene-
tica e di antropologia.
Secondo Fernand Braudel esisterebbero 161 definizioni di cultura e 20 definizioni di civiltà,
spesso utilizzate in modo intercambiabile. Marx ed Engels nel Manifesto del Partito comunista
(1848) offrono la seguente spiegazione: “La società possiede oggi troppa civiltà (vale a dire)
troppi mezzi di sussistenza, troppo commercio”. Civiltà significherebbe mezzi per agire sulla
natura, in contrasto con la cultura costituita da valori, ideali, principi normativi. La cultura corri-
sponderebbe con il vigore creativo, la civiltà corrisponderebbe invece con la stagione avanza-
ta, la ripetizione, il vuoto meccanismo, la grandezza apparente. Se c’è un’inflazione di civiltà,
questa non può cancellare le diverse culture, la tecnica non è tutto, contano anche l’operaio
e la sua passione. Il trionfo della civiltà al singolare non è la fine dei plurali (Braudel, 1973).
Secondo Clifford Geertz la cultura di un popolo consisterebbe in “un insieme di testi che
l’antropologo si sforza di leggere sopra le spalle di quelli a cui appartengono di diritto”. Que-
sto documento esiste soltanto nelle azioni e nel comportamento effettivo, è quindi un testo
fugace che va colto nel momento in cui è costruito. L’antropologo deve cercare di leggere
questo testo, di mettersi nei panni della gente che vuole studiare cercando di captare, di affer-
rare le loro interpretazioni. La funzione dell’antropologia consisterebbe quindi nell’immergersi
nei dilemmi esistenziali della vita e nel mettere a disposizione risposte che altri hanno dato,
includendole così nell’archivio consultabile di ciò che l’uomo ha detto. Geertz non scinde l’e-
voluzione culturale dall’evoluzione biologica, anzi, colloca la cultura come fondamento della
stessa evoluzione biologica, come condizione di sopravvivenza dell’uomo, delle sue stesse
funzioni biologiche e sociali, in definitiva del suo comportamento. L’uomo, fondamentalmente
incompleto, si completa con la cultura, o meglio con forme di cultura particolari: se si vuole
scoprire in che cosa consiste l’uomo, lo si può trovare soprattutto in ciò che gli uomini sono,
essi sono soprattutto differenti (Geertz, 1987).
Tali considerazioni ci portano a riflettere sui processi di trasmissione culturale ricorrendo al
contributo di Luigi Luca e Francesco Cavalli-Sforza. L’evoluzione culturale e l’evoluzione bio-
logica, strettamente intrecciate, consistono in processi di trasformazione e diversificazione
che implicano un aumento della varietà e si risolvono nello sviluppo di capacità d’interazione
con l’ambiente. Se il fattore evolutivo culturale corrispondente con la mutazione genetica è
rappresentato dalle idee, che subiscono principalmente un processo di selezione culturale, i
cambiamenti genetici si differenziano dai cambiamenti culturali per la diversa velocità di dif-
fusione. È proprio la rapida diffusione dei fenomeni culturali che ha fatto della cultura il più
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quaderno di ricerca 1
potente strumento di adattamento della nostra specie, rispetto al cambiamento biologico che
può richiedere millenni per diffondersi. I cambiamenti culturali superano comunque il tempo di
una o più generazioni, si pensi ad esempio al tempo di emancipazione delle donne, si tratta
di un processo secolare non ancora concluso e geograficamente attualmente non omogeneo
(Cavalli-Sforza, 1993 e 2004).
Fotografia n. 1 – La partigiana Rosina Cantoni “Giulia” (a sinistra) - (Archivio Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione - ANPI)
La Resistenza ha rappresentato un momento significativo nel pro-cesso di emancipazione femminile. Le donne hanno avuto un ruolo fondamentale nella lotta per la liberazione svolgendo funzioni di pri-maria importanza. Ciononostante alla fine della guerra la scelta di libertà vissuta dalle partigiane durante il conflitto non fu sempre capi-ta, soprattutto nelle comunità più tradizionali, e il loro contributo non è stato adeguatamente valorizzato. Anche per questo motivo molte partigiane, una volta rientrate in famiglia, preferirono l’anonimato. I tempi sono radicalmente cambiati, tuttavia la strada verso una reale emancipazione delle donne è ancora difficile.
La velocità di cambiamento culturale (seppur relativa) dipende dal linguaggio, l’architrave della
cultura, e dalla comunicazione, in altre parole dai modi di trasmissione culturale. Diversamente
dalla trasmissione biologica che avviene solo da genitore a figlio, la trasmissione culturale può
avvenire in molti modi, non solo verticalmente da genitore a figlio, ma anche orizzontalmente,
da persona a persona, da uno verso molti, da molti verso uno o da molti verso molti (Internet),
non solo seguendo il flusso delle generazioni, ma anche fra coetanei, e da giovani ad anziani,
persino da morti a vivi grazie alla scrittura (Cavalli-Sforza, 1993 e 2004).
Nel progetto del patto intergenerazionale si adottano diversi linguaggi e si attivano molteplici
modalità di trasmissione culturale, da anziani a giovani, ma anche da giovani ad anziani, da
uno a molti, da molti a molti, da persona a persona, coinvolgendo la comunità e le istituzioni
territoriali locali, contribuendo, per tale via, a favorire i processi di sviluppo locali. Il racconto
costituisce il veicolo principale della formazione dei ragazzi, mentre l’approccio interdisciplina-
re consente di ottenere una visione di insieme adeguata alla complessità dei fenomeni.
Non c’è una scienza o una carriera dominante in questo vasto campo non strut-
turato della conoscenza dell’uomo. Non c’è una storia e ancor meno una con-
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cezione storica che “guidi”, né una sociologia, un’economia, una demografia
che lo sappiano fare. I metodi, i punti di vista, le conoscenze acquisite appar-
tengono a tutti, voglio dire a tutti coloro che si dimostrano capaci di servirsene
(Braudel, 1973).
2. Il progetto “Il Patto intergenerazionale”
Lab REA ha sviluppato cinque distinti progetti “Patto Intergenerazionale” in collaborazione con
quattro Comuni e Istituti Comprensivi. In questo articolo si illustra il progetto coordinato dal
Consorzio dolceNordEst in collaborazione con l’Istituto Comprensivo di Tarcento e il Comune
di Tarcento durante l’anno scolastico 2012-2013.
Cos’è il progetto “Patto intergenerazionale per lo sviluppo del territorio”? Si tratta principal-
mente di uno scambio di saperi tra le generazioni. Il progetto coinvolge, infatti, due categorie
di destinatari, i giovani studenti di 11-13 anni e le persone che hanno superato i 50 anni (d’ora
in poi over 50).
Se gli over 50 raccontano ai giovani esperienze, mestieri o tradizioni comunitarie, i giovani
hanno il compito di ascoltare e di tradurre questi racconti in rappresentazioni di diverso tipo,
testuali, grafiche, fotografiche o altro, e comunque rapportate alle loro capacità espressive.
Fotografia n. 2 - Cascata di Crosis in comune di Tarcento, Anni Cinquanta (Archivio Foto Turrin)
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quaderno di ricerca 1
A loro volta, tuttavia, i giovani trasmettono un altro tipo di conoscenza, di cui spesso gli over
50 sono carenti, ovvero le conoscenze di tipo informatico. Gli elaborati così sviluppati costi-
tuiscono i contenuti di una brochure di carattere turistico-culturale e di una mostra che, in
questo caso, è stata allestita a Palazzo Frangipane durante la festa di San Pietro e a Scuola.
In questa occasione i giovani, accompagnati dagli over 50, hanno il compito di presentare a
turisti e residenti la mostra e l’esperienza vissuta durante il progetto.
L’obiettivo specifico del progetto consiste nel favorire la trasmissione del patrimonio culturale
locale e la valorizzazione turistico-culturale del territorio promuovendo l’invecchiamento attivo
e la solidarietà tra le generazioni. La condivisione dei saperi tra i giovani e gli over 50 permette
di arricchire i percorsi di apprendimento di entrambi, di sperimentare nuovi ruoli e assunzioni
di responsabilità, individuali e in ambito comunitario, ma anche di contribuire allo sviluppo
socio-economico e culturale del tarcentino.
Il “Patto” trae spunto dalla realtà vissuta dalle famiglie, in particolare dalla constatazione di
come i cambiamenti tecnologici abbiano contribuito ad acuire le differenze intergenerazionali.
L’ultimo trentennio si è contraddistinto per alcuni cambiamenti epocali, quali la crescente
informatizzazione determinata dalle nuove tecnologie, un rapido sviluppo di reti globali, rela-
zioni sociali indipendenti dal fattore territorio, cambiamenti che possono essere riassunti con
il termine di globalizzazione. È pertanto facile riscontrare nelle comunità delle persone relati-
vamente giovani, di 50 anni o poco più, non alfabetizzate informaticamente, che, in quanto
tali, rischiano di rimanere escluse dalla cosiddetta “società dell’informazione”, mentre i giovani
spesso non conoscono la storia dei propri paesi e le tradizioni popolari di cui gli over 50,
invece, sono testimoni privilegiati.
Fotografia n. 3 - Villa Moretti a Tarcento, cartolina di inizio Novecento (Archivio S. Ganzitti)
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A fronte delle anzidette differenze esperienziali e cognitive spesso corrispondono difficoltà
di dialogo e comprensione in ambito familiare e comunitario, con ripercussioni nei compor-
tamenti e rendimenti scolastici, e talvolta senso d’inadeguatezza delle famiglie rispetto ai bi-
sogni dei loro figli-nipoti. La crisi economica e sociale ha acuito anche le difficoltà riscontrate
dai giovani nella realizzazione dei propri progetti di vita; ciò rende più urgente la necessità di
ricercare percorsi cognitivi ed esistenziali rivolti ad una migliore e precoce comprensione della
propria identità individuale e collettiva, per riuscire ad interagire con il contesto e ad inserirsi
efficacemente nella realtà.
D’altra parte l’invecchiamento della popolazione pone le comunità di fronte a nuovi problemi
e alla necessità di ricercare nuove risposte, strumenti di dialogo e di valorizzazione degli ultra
65enni. Alcuni dati, diffusi dal Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del
Consiglio, illustrano con impressionante evidenza le tendenze che ci si aspettano nel prossi-
mo futuro. Se in Italia, infatti, la popolazione degli ultra 65enni (i nonni) supera già adesso di
oltre mezzo milione quella con meno di 20 anni (i nipoti), stime accreditate mostrano come
tra vent’anni il divario potrebbe superare i 6 milioni; nel contempo sembra prospettarsi, poco
prima del 2030, anche il sorpasso numerico della popolazione ultraottantenne (i bisnonni)
su quella con meno di dieci anni (i pronipoti). Si presume che la capacità d’investimento nel
futuro della popolazione anziana possa essere ridotta e priva di quell’entusiasmo che invece
contraddistinse queste generazioni alla fine della seconda guerra mondiale, nel periodo della
ricostruzione. Si comprende quindi l’importanza delle politiche finalizzate al sostegno dell’in-
vecchiamento attivo e a fornire agli anziani strumenti per scoprire nuove opportunità e nuovi
ruoli (Dipartimento politiche famiglia, Presidenza del Consiglio, 2012).
Ecco perché il progetto del patto intergenerazionale può costituire una possibile risposta ai
più recenti problemi sociali, educativi e culturali e un simbolico ponte eretto sulle acque solo
apparentemente agitate della diversità intergenerazionale.
3. La metodologia
Le attività di progettazione e ricerca sono state svolte da Lab REA il cui gruppo di lavoro era
costituito da un ricercatore-progettista esperto nell’ambito delle Scienze Sociali, da un tutor
di progetto specializzato in Statistica e Informatica per la Gestione delle Imprese, e da un
esperto in Information Technology.
L’approccio antropologico basato sull’ascolto ha permesso la costruzione della relazione
con ognuno dei diversi soggetti coinvolti e la comprensione dei bisogni manifestati dalla
comunità. Durante lo svolgimento del progetto sono state importanti sia le attività di proget-
tazione che di comunicazione con la finalità di facilitare l’integrazione tra le diverse istituzioni
e di costruire la rete degli informatori, gli over 50 da coinvolgere nel processo di trasmissione
culturale da attivare.
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quaderno di ricerca 1
Una parte del progetto ha riguardato una ricerca di tipo interdisciplinare riguardante i principali
processi di trasformazione socio-economici e culturali intervenuti nel comune di Tarcento dalla
fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra, con la finalità di individuare le tematiche culturali
significative per le istituzioni coinvolte e, per tale via, fornire agli studenti ulteriori strumenti
conoscitivi rispetto a quelli attualmente disponibili.
Per comprendere la cultura locale e redigere tale documento preparatorio si è fatto ricorso alle
fonti statistiche ufficiali, ai documenti conservati negli archivi, pubblici e privati, alla letteratura
esistente, alle immagini fotografiche e alle fonti orali (gli over 50).
Il viaggio nel tempo effettuato con i ragazzi e gli over 50 del “Patto” inizia a fine Ottocento,
quando Tarcento era una meta di villeggiatura estiva, sede di residenze di campagna, luogo
di passeggiate e di incontro di artisti, studiosi, geografi, si pensi alla famiglia Malignani, ai
Marinelli, ad Ella Adajeswskj e molti altri. Furono costruite numerose ville, tra tutte spicca Villa
Moretti. La costruzione della diga di Crosis, divenuta poi meta turistica, e l’insediamento del
cascamificio a inizio Novecento, la pubblica illuminazione e il tram “bianco” negli anni Trenta,
costituiscono i chiari indicatori di un’ambiziosa ricerca di razionale progresso e auspicato
sviluppo. Qualcosa di particolare stava accadendo in questa piccola città (o grande paese?).
Per questo motivo passeggiare e ripercorrere alcuni antichi sentieri tarcentini significa effet-
tuare un viaggio nel tempo, alla scoperta della propria storia. È possibile partire dalla Via del
Castello, percorrere il sentiero Tai Roncs dal Soreli dominato da Villa Moretti e dal Cjscjelat e
Fotografia n. 4 – Inaugurazione della linea tranviaria Tricesimo-Tarcento (cartolina), 1927 (Archivio S. Ganzitti)
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raggiungere l’ex villaggio operaio di Bulfons e il cascamificio, ancora oggi alimentato dall’e-
nergia idroelettrica del Torre.
Fotografia n. 5 - Il cascamificio ed il villaggio operaio di Bulfons, in comune di Tarcento, inizio Novecento(Archivio Cascami Seta)
Fotografia n. 6 - Operai del cascamificio di Bulfons, in comune di Tarcento, 1930 (Archivio D. Biasizzo)
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quaderno di ricerca 1
Sulla base delle risultanze di tale ricerca è stato possibile attivare un confronto tra la dirigenza
scolastica, i docenti, il consorzio, e gli amministratori locali per l’individuazione delle tematiche
culturali ritenute significative e coerenti sia con il Piano dell’Offerta Formativa della Scuola che
con il Piano di valorizzazione turistico-culturale locale. Sono stati così individuati alcuni temi
prioritari, precisamente il sentiero escursionistico-naturalistico Tai Roncs dal Soreli, il cascami-
ficio e il villaggio operaio di Bulfons1, Arturo Malignani e la diga di Crosis, i giochi di un tempo,
il Carnevale e i Tomâts2. I risultati della ricerca sono stati presentati ai ragazzi utilizzando la
tecnica del racconto per immagini e un breve video realizzato durante il progetto. Le immagini
e il filmato hanno fornito lo spunto per attivare l’interazione con i ragazzi che si sono dimostrati
molto partecipativi. Sincronicamente, i docenti hanno svolto in classe un’intensa attività di
preparazione riguardante le tematiche culturali prescelte e sviluppato con i ragazzi una traccia
di intervista da utilizzare con gli over 503.
La portata innovativa del progetto deriva dall’originalità della trasmissione culturale attivata, in
altre parole dalla relazione di “scambio” che s’instaura tra i due principali destinatari del pro-
getto, i giovani e gli over 50, ma è evidente che tale “scambio di saperi” può essere attuato
solamente alla fine di un’intensa attività di preparazione collettiva. Per questo motivo oltre alle
sopraindicate attività è stato necessario potenziare le competenze informatiche dei ragazzi.
Un esperto in informatica, in collaborazione con un tutor e con i docenti, ha potenziato le com-
petenze informatiche di un gruppo di ragazzi preparandoli ad assumere il ruolo di docenti.
Alla fine di queste attività preparatorie è stato possibile dare avvio allo “scambio di saperi” tra
giovani e over 50. Tale ”scambio” ha coinvolto tre diversi gruppi di ragazzi accompagnati dai
rispettivi docenti. Un gruppo di ragazzi ha assunto il ruolo di docente e alfabetizzato informatica-
mente gli over 50. Un secondo gruppo di ragazzi ha avuto modo di percorrere a piedi il sentiero
Tai Roncs dal Soreli con la finalità di visitare il cascamificio, la centrale idroelettrica, e di intervista-
re gli ex-direttori di stabilimento. Un terzo gruppo di ragazzi ha avuto modo di modellare i calchi
dei Tomâts con gli esperti mascherai tarcentini, e di intervistare gli over 50 che hanno anche
spiegato i giochi del passato ri-costruiti nell’ambito del progetto. Si tratta di testimonianze che ri-
chiedono di essere ascoltate, disegnate, fotografate e trascritte, in poche parole rappresentate,
perché rischiano la dispersione. Nessuno di noi potrà mai ricordare e trasmettere un’esperienza
non vissuta, oppure raccontata in pochi minuti, perché la nostra mente per ricordare ha bisogno
di molteplici, diversi e reiterati stimoli. Durante le attività i ragazzi hanno preso appunti, registra-
to, ripreso i momenti ritenuti maggiormente significativi, mentre, parallelamente, alcuni over 50
hanno raccolto le fotografie provenienti dagli archivi familiari riguardanti i temi culturali selezionati
per catalogarli con i ragazzi.
1 Stabilimento produttivo costruito a inizio Novecento e attualmente ancora operativo, specializzato nella produzione di filati di seta. Si tratta di un interessante esempio di archeologia industriale perché attorno ad esso si svilupparono il villaggio operaio unitamente a numerosi servizi quali l’asilo, l’ufficio postale, la mensa, la chiesa ecc. Per comprendere l’importanza assunta dal cascamificio nella comunità si consideri che negli anni Venti vi lavoravano circa 1800 operai, in gran parte donne e ragazze. 2 Maschere lignee costruite dai mascherai tarcentini in occasione del Carnevale.3 Sono state coinvolte tre classi, complessivamente circa 60 ragazzi di 11-13 anni.
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Fotografia n. 8 - Le maschere lignee del tarcentino – I Tomâts
Titolo: Maschera di legno (Tomât)Autore della maschera: Giovanni Nicoletti da ZomeaisAnno di realizzazione: Anni SettantaAutore della fotografia: Carlo VidoniData della ripresa: 2010Località della ripresa: TarcentoFonte: Associazione I Mascarârs di Tarcint, Tomâts, 2010
Fotografia n. 7 - In maschera “a brutto” in Borgo Londra a Sammardenchia, in comune di Tarcento, Anni Cinquanta (Archivio A. Micco)
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quaderno di ricerca 1
Si è venuto così a creare un rapporto d’interdipendenza tra gli attori del progetto, un vero e
proprio “patto di solidarietà intergenerazionale”. Favorire i processi di comprensione tra i gio-
vani e gli over 50, in alcuni casi anziani, ha significato, prima di tutto, favorire la conoscenza
dei diversi linguaggi utilizzati. Per questo motivo è stato necessario che gli over 50 ascoltino
e imparino il linguaggio, in questo caso informatizzato, dei giovani, e i giovani ascoltino e rap-
presentino, con l’ausilio delle nuove tecnologie, i racconti del passato. Il linguaggio informatico
ha costituito un essenziale strumento d’integrazione tra le generazioni. L’originalità didattica
è garantita anche dalle diverse modalità di trasmissione utilizzate, il laboratorio informatico, il
percorso a piedi fino al cascamificio, la visita di tale stabilimento, il laboratorio delle maschere,
la sperimentazione dei giochi del passato, le interviste. Il racconto degli over 50 è diventato
il veicolo principale di formazione dei ragazzi, mentre la pubblicazione di una brochure e l’al-
lestimento di una mostra diventano i principali mezzi di verifica e di divulgazione. In questo
modo i ragazzi diventano dei veri e propri ricercatori della propria storia, hanno l’opportunità
di sviluppare competenze di tipo comunicazionale e di sperimentare nuovi ruoli, in particolare
durante la docenza agli over 50 e in occasione della presentazione della mostra a turisti e
residenti. Il coinvolgimento degli over 50 nelle attività didattico-formative dei ragazzi contribui-
sce a promuovere l’invecchiamento attivo, la ricerca e l’assunzione di nuovi ruoli, individuali e
comunitari, e la solidarietà tra le generazioni.
Per finire, si consideri che dal computo, seppur grezzo, dell’impatto del progetto sulla comuni-
tà, risulta che sono state direttamente coinvolte circa un centinaio di persone, mentre si stima
che l’impatto totale, diretto e indiretto, riguardi almeno cinquecento persone.
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concLuSIonI
empatia, trasmissione culturale, interdisciplinarità sono le tre parole chiave del presente
progetto. L’interdisciplinarità ha costituito l’architrave del progetto: l’integrazione tra le diverse
discipline ha permesso di descrivere la cultura del tarcentino, mentre il linguaggio informatico
ha rappresentato un potente strumento d’integrazione tra le generazioni facilitando i processi
di trasmissione culturale. L’empatia, “il mettersi nei panni dell’altro”, ha permesso di compren-
dere i bisogni e la cultura della comunità, mentre le tecniche di Project Management hanno
garantito l’efficacia e l’efficienza progettuale.
Il progetto non ha rappresentato solo un’iniziativa didattica originale, ma anche uno strumento
di riflessione comunitario. Il progetto è stato adottato dalla collettività, nonostante la sua inne-
gabile complessità, perché è stato considerato utile, ha fornito strumenti cognitivi aggiuntivi
rispetto a quelli attualmente esistenti, stimolato la riflessione collettiva, favorito il sistema di
relazioni e soddisfatto i bisogni di coesione sociale della comunità.
La sostenibilità futura è garantita dalla disponibilità dei diversi soggetti coinvolti, dall’integra-
zione creatasi tra le istituzioni e tra queste e la società civile.
BIBLIoGrAFIA
Associazione I Mascarârs di Tarcint, 2010,Tomâts, Poligrafiche San Marco, Cormons.
Braudel F., 1973, Scritti sulla storia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano.
Cavalli-Sforza L.L. e F., 1993, Chi siamo. La storia della diversità umana, Arnoldo Mondadori
Editore, Milano.
Cavalli-Sforza L.L., 2004, L’evoluzione della cultura, Codice Edizioni, Torino.
Dipartimento per le politiche per la famiglia, Presidenza del Consiglio, Anno Europeo dell’in-
vecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni 2012, Programma Nazionale di lavoro
per un invecchiamento attivo, vitale e dignitoso in una società solidale, <http://www.invec-
chiamentoattivo.politichefamiglia.it/>
Geertz C., 1987, Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna.
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quaderno di ricerca 1
ANGELA ZOLLI IL SeTTore AGroALIMenTAre In VERONICA PELOS FrIuLI VeneZIA GIuLIAMARIO PASSON L’indagine: Fabbisogni formativi e dinamiche occupazionali
AbstractThe Agri-food Sector in Friuli Venezia Giulia. Survey: Training Requirements and Job Trends (by Angela Zolli, Veronica Pelos and Mario Passon)This article presents an excerpt of the latest Survey on Training Require-ments and Job Trends in the Agri-food Sector in Friuli Venezia Giulia - Oc-tober 2012, carried out in the framework of the Polo Formativo Agroali-mentare Friuli Venezia Giulia (Training Agri-food Cluster Friuli Venezia Giulia) project. This work concentrates on niche productions: agri-food products typical of the regional territory. These are handmade products that are not produced on a large scale to safeguard their high quality. The Polo Formativo Agroalimentare FVG (Training Agri-food Cluster FVG) is a project financed by the region Friuli Venezia Giulia, the European Union through the European Social Fund and the Minister of Labour. It is a tempo-rary association among various partners (<http://www.poloagroalimentare.fvg.it/>) coordinated by CEFAP FVG (Centro di Formazione Agricola Per-manente FVG).
In questo articolo si presenta un estratto del rapporto di ricerca riguardante “La rilevazione dei
fabbisogni formativi e le dinamiche occupazionali nel settore agroalimentare in Friuli Venezia
Giulia” dell’ottobre 2012 nell’ambito del progetto denominato “Polo Formativo Agroalimentare
Friuli Venezia Giulia”. In questo lavoro sono state privilegiate le produzioni di nicchia. A com-
pletamento dell’indagine è apparso significativo intervistare alcuni testimoni privilegiati con la
finalità di individuare i punti di forza e di debolezza del cluster dell’agroalimentare, gli interventi
e le iniziative volti a rimuovere eventuali vincoli ostativi allo sviluppo del polo, le azioni di pro-
mozione e marketing territoriale attuali, programmate e auspicate (cfr. l’articolo successivo:
Interviste a confronto).
Il “Polo Formativo Agrolimentare FVG” è un progetto finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia,
dall’Unione Europea con Fondo Sociale Europeo e dal Ministero del Lavoro. Si tratta di un’Asso-
ciazione Temporanea d’Impresa costituita da diversi partners (<http://www.poloagroalimentare.
fvg.it/>) e coordinata da CEFAP FVG (Centro di Formazione Agricola Permanente FVG).
I risultati dell’indagine
Il campione di imprese indagate riguarda le “produzioni di nicchia”. Con questo termine ci
si riferisce a quei prodotti agroalimentari caratteristici del territorio regionale, di tipo artigianale,
che, per salvaguardare l’alta qualità, non possono essere prodotti su larga scala. Le produzio-
ni di nicchia selezionate (d’ora in poi nicchie) sono state le seguenti: la produzione artigianale
di olio d’oliva, la produzione artigianale di succhi di frutta e sidro, la produzione artigianale di
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birra e la produzione di distillati, la produzione artigianale di miele, la coltivazione di piante
aromatiche e officinali, la coltivazione di asparagi, la produzione artigianale di gubane e ge-
lati, la produzione artigianale di prosciutti, l’allevamento di ovini e caprini, altre produzioni
(coltivazioni e allevamenti biologici, aceto balsamico, funghi sott’olio e creme di funghi, ecc.),
gli agriturismi, ma anche le attività di ristorazione (di eccellenza) per la diffusione della cono-
scenza delle specialità enogastronomiche regionali.
L’AGroALIMenTAre “In cIFre” neL FrIuLI VeneZIA GIuLIA1
Il settore agroalimentare costituisce senza dubbio un fondamentale punto di forza del Made in Italy: le produzioni agricole e le trasformazioni industriali di questi prodotti, soprattutto quelli di qualità rico-nosciuti attraverso le classificazioni Doc, Dop, Igp, Igt, Stg, Pat, le produzioni tipiche, le produzioni biologiche ma anche il ricco e variegato patrimonio enogastronomico, che riceve un crescente ap-prezzamento nel mondo e la dieta mediterranea, quale modello di alimentazione sana ed equilibrata, sono gli aspetti che più qualificano questo importante comparto dell’economia nazionale. Di questa particolare filiera agroalimentare fanno parte il primario (agricoltura, silvicoltura e pesca) e l’industria della trasformazione alimentare.
• Nel 2012 il primario è costituito da circa 17.000 imprese attive, le quali costituiscono il 17,2% del tessuto produttivo regionale. Le unità di lavoro sono circa 21/22.000. Il comparto è presente in modo particolare in provincia di Udine, dove opera il 56,5% delle unità produttive regionali, e in provincia di Pordenone, dove opera il 32,8%. Il 14% delle unità produttive esercita come attività principale la coltivazione della vite, un altro 11% opera nella zootecnia, un significativo 5% si collo-ca nella categoria della produzione di ortaggi, frutticoltura, floricoltura, infine quasi il 3% appartiene al comparto della pesca, il 2% nella silvicoltura, il 56% nella coltivazione dei cereali e il restante 9% sviluppano attività miste o attività di supporto.
• Per quanto riguarda l’interscambio internazionale di prodotti del primario nel 2012 il saldo è nettamente negativo per circa 336 milioni di euro. Tra i prodotti importati, ai fini della filiera vanno segnalate le colture agricole non permanenti (in particolare il caffè) che nel 2012 hanno re-gistrato un valore pari a 169 milioni, ma significativo è anche il contributo dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura i quali hanno registrato un valore dell’import pari a (quasi) 46 milioni di euro. Il Friuli Venezia Giulia eccelle nelle esportazioni di “piante vive” che veicolano un valore di circa 28 milioni di euro e costituiscono la sola voce positiva nel saldo tra importazioni ed esportazioni del primario. Le aree dove i flussi di import sono più significativi sono il Brasile, l’Austria, la Slovenia, la Croazia, l’Ungheria. Per quanto riguarda invece l’export, le principali aree di destinazione sono la Germania, la Romania, la Slovenia, e l’Austria.
• Nel 2012 il settore della trasformazione alimentare e bevande è costituito da 1.110 unità produt-tive con un export pari a 580 milioni di euro. Il comparto occupa circa 8.400 addetti ed è presente principalmente in provincia di Udine, dove opera il 50,3% delle unità produttive regionali, e in provin-cia di Pordenone, dove opera il 22,9%. Per quanto riguarda la specializzazione, il 47,1% delle unità produttive opera nel comparto “prodotti da forno e farinacei”, il 18,3% nel comparto della “carne lavorata e conservata e prodotti a base di carne”, il 10,9% produce “bevande”, il 6,6% è classificato nell’industria lattiero-casearia, il 4,5% fa parte del comparto “molini, lavorazione granaglie, amidi e prodotti amidacei”, l’1,3% lavorazione del “pesce, crostacei e molluschi lavorati e conservati”, il 2,3% lavorazione della “frutta e ortaggi lavorati e conservati”, il 7,3% è classificato tra gli “altri prodotti alimentari” (caffè, tè, cioccolato, caramelle, confetteria, ecc), infine un residuale 1,8% che produce “prodotti per l’alimentazione degli animali” che però non fa parte del polo agroalimentare.
1 Elaborazione su dati Infocamere e Istat.
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quaderno di ricerca 1
• Nel 2012 il saldo commerciale risulta positivo per quasi 300 milioni di euro. Buona parte dell’export è costituito da bevande (quasi 105 milioni euro nel 2012) e da prodotti alimentari come il caffè, la cioccolata e il dolciario (165 milioni di euro sempre nel 2012), da prodotti da forno e farinacei (115 milioni di euro), da carni lavorate (77 milioni di euro), mentre una parte più ridotta ma significativa è costituita dai prodotti della pesca (15 milioni di euro). Tutte le province della regione contribuiscono in modo significativo all’esportazione: il 36,9% da Trieste, il 37,4% da Udine, il 15,1% da Pordenone e il 10,6% da Gorizia. Per i prodotti alimentari i principali paesi di destinazione sono la Germania (share del 14,8%), l’Austria (10,1%), la Francia (8,4%), il Regno Unito (8,3%). Per le bevande, i principali mercati sono gli Stati Uniti (share del 30%), la Germania (19,4%), il Regno Unito (8,1%), l’Austria (6,5%), Canada (5,8%).
• Sul territorio regionale insistono due importanti distretti agroalimentari: il primo è il parco agroali-mentare di San daniele del Friuli e il secondo è il coffee district in provincia di Trieste. Nella provincia di Gorizia, all’interno del parco industriale, operano importanti imprese del settore dolcia-rio. In tutta la regione, tranne che in provincia di Trieste, è presente un comparto vitivinicolo molto robusto. Da ultimo in provincia di Trieste è presente una significativa attività nel campo della pesca.
• Secondo l’indagine Istat 2012 le aziende agrituristiche sono 533 di cui 422 con ristorazione e 281 con servizio ricettivo.
Dal punto di vista metodologico si è fatto ricorso sia al metodo dell’indagine quantitativa,
con questionario, che qualitativa, con l’intervista ad alcuni imprenditori in qualità di testi-moni privilegiati. Nel periodo marzo-settembre 2012 sono state intervistate 82 imprese (cfr. tabelle n.1 e 2).
Tabella n. 1 – Imprese intervistate per classe di fatturato Tabella n. 2 – Imprese intervistate per classe di addetti
Nel 39% dei casi le imprese sono condotte dalla prima generazione di imprenditori, quasi il
20% dalla seconda generazione, mentre un altro 39% dichiara 3 o più generazioni di impren-
ditori: l’importanza di una consolidata tradizione familiare è bilanciata dall’importanza delle
imprese di nuova “generazione”. È evidente che il problema della progettazione del pas-saggio generazionale si pone per almeno il 38% delle imprese i cui titolare o soci hanno
un’età pari o superiore a 50 anni. A questo proposito si propone l’estratto del caso di studio
dell’azienda F.lli Comaro di Comaro Claudio & C.
Fatturato in euro v.a %
Fino a 200.000 48 58,5
da 200.000 a 500.000 13 15,9
da 500.000 a 2.000.000 11 13,4
da 2.000.000 a 10.000.000 7 8,5
oltre 10.000.000 1 1,2
Non risponde 2 2,4
Totale 82 100,0
classe di addetti v.a %
Fino a 4 addetti 52 63,4
da 5 a 9 addetti 15 18,3
da 10 a 49 addetti 14 17,1
50 e oltre addetti 1 1,2
Totale 82 100,0
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L’APIcoLTurAIL cASo F.LLI coMAro dI coMAro cLAudIo & c. - Intervista a claudio comaro
dal 1870 la famiglia comaro è un punto di riferimento importante per l’apicoltura regionale. Si deve all’iniziativa dei fratelli Valentino e Antonio il passaggio da laboratorio artigianale ad azienda vera e propria. Infatti negli anni Trenta modernizzarono gli impianti con arnie razionali e in special modo si avvalsero della pratica del “nomadismo” (maggior sfruttamento della singola fonte nettarifera al fine di ricavare da questa più raccolti). Negli anni Cinquanta l’azienda riceve un ulteriore impulso da parte di Primo Comaro, il figlio di Valentino, il quale amplia notevolmente il parco alveari dell’azienda. Suc-cessivamente, insieme ai figli, riesce ad ottenere nuove varietà di mieli e a integrarle con l’estrazione di pappa reale, polline e propoli (<http://www.comaro.it/>). Claudio Comaro, imprenditore di terza generazione, è oggi alla guida dell’azienda situata a Cassacco (cfr. fotografia n.1).Il passaggio generazionale in ambito familiare continua visto che Claudio Comaro e la moglie Nives Giordano, insieme, costituiscono il punto di riferimento dell’azienda, mentre due dei tre figli (la terza figlia è ancora troppo giovane) hanno da poco iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia. L’inserimento della quarta generazione è effettuato puntando su una tradizionale divisione del lavoro e sulla comple-mentarietà delle competenze a tutela dell’efficiente organizzazione del lavoro. Il figlio Francesco svolge quindi compiti di tipo tecnico, mentre la figlia Gaia svolge compiti di tipo amministrativo e commerciale. Il passaggio generazionale alla quarta generazione di imprenditori è in questo caso il risul-tato di un’attenta progettazione.
Fotografia n. 1 – La famiglia di Primo Comaro. Nella fotografia: Claudio Comaro, l’attuale imprenditore, è vicino al padre – Anni Sessanta (Archivio Fam. Comaro)
21
quaderno di ricerca 1
Con la finalità di indagare le caratteristiche della domanda di lavoro, alle imprese è stato
richiesto di indicare le figure professionali e le competenze particolarmente richie-ste nel settore, la previsione di assumere personale nel breve periodo, gli strumenti che
potrebbero favorire nuovi inserimenti, le modalità di inserimento e le competenze richieste.
Dall’indagine sono emerse 33 diverse figure professionali, in particolare di tipo tecnico, quali
l’agronomo, il cuoco, l’apicoltore, il mastro birraio, il potatore, il macellaio, ma anche di fi-
gure meno tradizionali per aziende di queste dimensioni come il responsabile di marketing.
Compare anche la figura dell’addetto alle attività agrituristiche, una figura con competenze
trasversali, capace di occuparsi di attività abbastanza diverse tra loro, come ad esempio le
attività di produzione agricola, la ristorazione, il pernottamento, l’accoglienza. Si confronti a
questo proposito, a pag. 22 un estratto del caso di studio riguardante l’azienda agrituristica
Bosco Romagno della famiglia Paolini.
Tra le motivazioni che ricorrono più spesso come causa della scarsa reperibilità di alcune
figure professionali ci sono “la non adeguata formazione” per più di un terzo dei risponden-
ti, e “pochi vogliono intraprendere questa professione” per un quarto dei rispondenti. Non
sempre le aspettative professionali sono realistiche rispetto alle reali possibilità offerte dal
tessuto economico produttivo. Si consideri l’alto tasso disoccupazione giovanile che in Italia
a giugno 2013 era pari al 39,1%2, e la necessità di un efficace orientamento professionale
che dovrebbe essere effettuato alla fine della scuola dell’obbligo. Queste risposte potrebbe-
ro anche significare che si tratta di un gap formativo delle preposte istituzioni formative che
dovrebbero optare per un’offerta formativa mirata, articolata in percorsi di alternanza scuola-
lavoro, e per un miglior collegamento con il tessuto economico produttivo locale.
Il 67% delle imprese ha confermato la necessità di competenze settoriali di tipo prevalentemente tecnico ed estremamente diversificate in funzione della tipologia di attività svolta dalle imprese. Le competenze indicate corrispondono spesso con la
figura professionale o con la disciplina settoriale di riferimento. Si registra il fabbisogno di
competenze di tipo tecnico come per esempio la potatura o le competenze richieste dai
produttori di birra artigianale in relazione alle fasi di produzione e alla conoscenza della ma-
teria prima. Si ricercano anche competenze meno tradizionali come il marketing e la comu-
nicazione ed è rilevante anche il fabbisogno di competenze linguistiche. Appare maggior-
mente scontato il fabbisogno di competenze vitivinicole ed enotecniche, visto la vocazione
vitivinicola regionale, mentre si registra il fabbisogno di competenze di tipo culinario e una
varietà di competenze altamente specialistiche, come quelle relative all’analisi delle proprie-
tà organolettiche dell’olio d’oliva, all’apicoltura, all’agricoltura biologica e all’erboristeria op-
pure trasversali come nel caso dell’agriturismo. Per comprendere la varietà di competenze
richieste si confronti a pag. 23 l’estratto del caso di studio dell’Azienda Agricola Pecol di
Uberto Pecol.
2 Istat, Tasso di disoccupazione giovanile, Giugno 2013
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L’AGrITurISMoIL cASo BoSco roMAGno – Intervista a Paolo Paolini
L’agriturismo Bosco Romagno della famiglia Paolini è situato a Cividale del Friuli, nel cuore dei col-li orientali (<http://www.boscoromagno.it/>). L’azienda vanta inizialmente una vocazione vitivinicola, successivamente si dedica all’allevamento di bovini, suini e animali di bassa corte. L’attività dell’agri-turismo comincia gradualmente quando tutta la famiglia Paolini, i genitori e i due figli, Paolo e Anna, gestiscono una piccola attività produttiva costituita da una frasca per lo spaccio del vino (cfr. fotografia n. 2). Sulla base dell’esperienza acquisita nell’attività di gestione dell’azienda agricola, la famiglia Paolini intuisce le potenzialità offerte dalla propria azienda, unitamente ai mutamenti intercorsi nello stile di vita delle persone in relazione all’uso del tempo libero, e nel 1987 trasforma l’attività in un agriturismo. oltre alla ristorazione e all’alloggio, Bosco Romagno garantisce la visita con guida turistica della città ducale, la realizzazione di percorsi tematici volti alla scoperta del territorio regionale e, visto la buona collaborazione con le aziende limitrofe, la visita, con degustazione enogastronomica, di rinomate cantine della zona.Per quanto riguarda le figure professionali particolarmente richieste nel settore, Paolo Paolini segnala l’addetto alle attività agrituristiche, ovvero un addetto le cui conoscenze, competenze e abilità sono estremamente diversificate: conoscenze relative alla coltivazioni praticate nell’azienda, alla risto-razione, all’accoglienza turistica e alla comunicazione, ma anche alla consapevolezza del significa-to dell’agriturismo quale soggetto promotore delle tradizioni e della cultura enogastronomica locale. Massima importanza assumono la capacità di lavorare in gruppo, in autonomia, di problem solving, le competenze linguistiche e informatiche.
Fotografia n. 2 – La vendemmia, Anni Settanta (Archivio Fam. Paolini) La vendemmia veniva fatta a mano, lo spirito della vendemmia era giocoso e costituiva uno dei momenti più attesi dell’anno anche per i bambini. Nella fotografia: sul trattore Paolo Paolini (bambino) con il padre (in piedi); sullo sfondo si può vedere la vecchia stalla con il fienile e il capannone per il ricovero degli attrezzi. Il capannone è poi diventato l’agriturismo Bosco Romagno.
23
quaderno di ricerca 1
I FruTTI dI BoSco e Le PIAnTe oFFIcInALIIL cASo deLL’AZIendA AGrIcoLA PecoL – Intervista a uberto Pecol
Uberto Pecol è il fondatore dell’Azienda Agricola Pecol, con sede a Raveo, specializzata nella filiera dei frutti di bosco e delle piante officinali. U. Pecol coltiva piante officinali e frutti di bosco su piccoli e frammentati terreni di montagna (cfr. fotografia n. 3). Nel proprio laboratorio trasforma i fiori, i frutti e le erbe in sciroppi, confetture, tisane e savors e, infine, provvede alla commercializzazione dei pro-dotti presso rivenditori specializzati, negozi, spacci e bar, localizzati in ambito regionale. Per realizzare queste produzioni non si utilizzano né concimi chimici o diserbanti di sintesi, né coloranti, conservanti o antiossidanti.U. Pecol subito dopo la laurea costituisce il proprio apiario per la produzione di miele millefiori di mon-tagna, coltiva un lamponeto e le piante officinali spontanee o maggiormente richieste dal mercato. Successivamente fonda il proprio laboratorio di trasformazione per la realizzazione di prodotti di alta qualità artigianalmente trasformati, quali erbe per tisane e ad uso alimentare, sciroppi e confetture. Attento studioso della cultura locale l’imprenditore recupera una tradizione che ha caratterizzato il secondo dopoguerra, cioè la raccolta dell’olivello spinoso che spontaneamente cresceva lungo il Ta-gliamento e inizia a coltivarlo sulle rive del fiume in comune di Enemonzo per trasformarlo in sciroppo. L’imprenditore si dedica anche alla coltivazione del sambuco, utilizzato in passato per le sue proprietà curative e dissetanti. u. Pecol presidia l’intera filiera delle piante officinali, dei frutti di bosco, in particolare del sambuco e dell’olivello spinoso, esprimendo elevata competenza in diversi ambiti: la coltivazione, trasformazione e commercializzazione dei propri prodotti. L’esigenza di aggiornamento è alta e tutte le modalità formative sono ritenute efficaci dall’impresa.
Fotografia n. 3 – Contadini di montagna al lavoro, Chialina di Ovaro (Carnia), Anni Trenta (fotografia di U. Antonelli – Archivio Gruppo “Gli Ultimi”)
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Solo l’11% delle imprese intervistate prevede di effettuare nuovi inserimenti nel bre-ve periodo. Tuttavia si ricorda che le imprese indagate sono delle microimprese operanti
in settori di nicchia dalla forte caratterizzazione familiare, le cui posizioni di tipo tecnico-spe-
cialistico sono solitamente ricoperte dagli imprenditori e dai suoi familiari. Tra i motivi di non
assunzione di personale stabile potrebbe prevalere il fatto che l’attuale organico è ritenuto
sufficiente a causa del ricorso al personale stagionale/saltuario, per le attività manuali, e ai
consulenti esterni, per le prestazioni specialistiche, oppure in alcuni casi potrebbe anche trat-
tarsi di una diminuita propensione all’assunzione determinata dalle peggiorate aspettative
degli imprenditori rispetto al passato.
L’83% delle imprese ha dichiarato di avere svolto attività di formazione negli ultimi due anni nonostante i vincoli imposti dall’attività produttiva che rappresentano il reale osta-
colo alla frequentazione di corsi di formazione, dalla stagionalità dell’attività e dalla piccola
dimensione delle imprese. In aziende di piccole dimensioni, come quelle oggetto di indagine,
si fa sempre un maggior ricorso ai corsi esterni piuttosto che a quelli interni all’azienda. La
finalità principale dell’attività di formazione riguarda perlopiù l’aggiornamento del personale già
presente in azienda su mansioni già svolte. Oltre ai corsi esterni altri canali di aggiornamento
sono costituiti dalle associazioni di categoria e dalla partecipazione a convegni e congressi.
Secondo le aziende intervistate l’esigenza di aggiornamento è più elevata in corrispondenza di
figure quali gli imprenditori e i dirigenti, figure strategiche per le imprese, rispetto agli operativi
e al personale commerciale e amministrativo.
Le modalità di formazione ritenute più efficaci dalle imprese sono il confronto con altri
professionisti e/o colleghi, la formazione interna e l’autoapprendimento. Molto probabilmente
sono necessarie nuove modalità formative e una diversa progettazione realizzata tramite in-
contri in azienda e con gli imprenditori, con la finalità di supportare le imprese, di minimizzare
il tempo impiegato dall’imprenditore nelle co-progettazione e di elevare il livello qualitativo dei
corsi. Gli ostacoli alla formazione professionale sarebbero costituiti proprio dalla disponibilità
di tempo, dai vincoli imposti dall’attività produttiva che impedisce di allontanarsi, e dalla bu-
rocrazia. Le imprese sono costrette ad effettuare delle analisi costi-benefici piuttosto severe,
e a confrontare i benefici attesi dalla formazione con i vincoli di tempo imposti dall’attività
produttiva.
Tra i temi di aggiornamento di “alto interesse” per le imprese, le tematiche che hanno
registrato le frequenze più elevate sono “marketing, gestione vendite e rete commerciale”
(58,8%), l’area normativa “sicurezza, ambiente e qualità” (56,8%), e l’area delle norme finan-
ziarie “fiscalità, finanziamenti e incentivi alle PMI” (46,9%).
Rispetto alle precedenti rilevazioni, le imprese intervistate rivelano un maggior interesse per
la formazione e l’aggiornamento in ambiti non cogenti o strettamente finanziari, come la ge-
stione d’impresa e le tecnologie per la comunicazione e l’informazione. Si registra un elevato
interesse nelle tematiche relative al marketing, all’accoglienza turistica, alla comunicazione
integrata d’impresa e integrata con il sistema territorio, all’utilizzo delle tecnologie web 2.0 e
25
quaderno di ricerca 1
a Internet per l’e-business, allo sviluppo di reti d’impresa e di altre forme di collaborazione,
alla conoscenza delle lingue e alle tecnologie per l’innovazione dei processi di lavoro. L’e-
levata specializzazione registrata in corrispondenza delle produzioni di nicchia si riflette an-
che nell’ampia varietà delle tematiche formative ritenute interessanti dalle imprese in ambito
tecnico-produttivo in relazione alla specificità del prodotto-servizio offerto. Si propone un
estratto del caso di studio dell’azienda Ronc dai Ulivars di Achille Stefanelli.
L’oLIVIcoLTurAIL cASo dI ronc dAI uLIVArS – Intervista a Achille Stefanelli
L’azienda agricola Ronc dai Ulivars è situata a Campeglio, in comune di Faedis (cfr. fotografia n. 4), su una piccola collina circondata da vigneti di pinot grigio, sulla cui sommità si può ammirare uno splendido uliveto. Achille Stefanelli, agronomo forestale ed ex dipendente regionale attualmente in pensione, è il titolare dell’azienda.Prima di intraprendere questa attività A. Stefanelli si è recato nella tenuta del fratello, in Toscana, per per-fezionare le competenze in olivicoltura. Una volta acquisite le abilità necessarie, nel 1986 ha impiantato gli ulivi nel podere di Campeglio, di proprietà del fratello, in cui già si praticava la viticoltura. Negli anni successivi ha acquisito il podere e fondato l’azienda agricola dedita all’olivicoltura. Attualmente l’oliveto è costituito da 524 ulivi, curati, potati e trattati dall’imprenditore e dalle due figlie a cui il padre ha trasmesso questa passione. Anche le fasi della raccolta e soprattutto della frangitura sono seguite da A. Stefanelli, sempre coadiuvato dalle figlie. Alto è l’interesse dell’imprenditore per percorsi formativi riguardanti un approccio evoluto al mercato, quindi marketing, comunicazione integrata con il sistema territorio, web 2.0, tecno-logie per la comunicazione, l’informazione, ma anche all’innovazione dei processi di lavoro. L’imprenditore richiama l’attenzione sul cambiamento delle abitudini di acquisto (e di consumo) indotto dalla crisi internazionale, mentre manca un’informazione-formazione finalizzata a creare consapevolezza sulle differenze esistenti tra l’olio artigianale e quello di tipo industriale. È evidente che c’è spazio per una valorizzazione delle proprietà salutistiche e organolettiche dell’olio d’oliva di produzione artigianale, come dimostra anche l’interesse manifestato da paesi geograficamente e culturalmente molto lontani dall’Italia.
Fotografia n. 4 – Panorama di Faedis dalla chiesetta di San Rocco, Anni Cinquanta (Archivio Fotografico Pro Loco Faedis). Gli ulivi si inseriscono in un ambiente incantevole, tra dolci colline, vigneti, chiesette e castelli e possono costituire un elemento di pregio anche in chiave di valorizzazione del patrimonio paesaggistico a fini turistici, oltre a costituire una coltivazione utile per il recupero di terreni marginali o abbandonati.
26
concLuSIonI
Le imprese intervistate sono contraddistinte da un sistema di valori condiviso, quali le tra-
dizioni rurali, la cultura “del fare” e del lavoro quale fondamento dell’identità della persona.
Le produzioni di nicchia incorporano quindi degli attributi intangibili di tipo sociale, storico e culturale. All’elevata qualità di tali produzioni corrisponde l’elevata specializzazione
degli imprenditori che detengono il know how dell’impresa con i propri familiari o i più stretti
collaboratori. L’elevata varietà e qualità delle nicchie indagate si riflette nell’ampia varietà delle
figure professionali e competenze settoriali particolarmente richieste, e delle tematiche forma-
tive ritenute interessanti. Le imprese intervistate rivelano un alto interesse per la formazione
nei tradizionali ambiti della “sicurezza, ambiente, qualità”, e delle norme finanziarie, ma si
segnala l’elevato interesse nelle tematiche relative al marketing, all’accoglienza turistica, alla
comunicazione integrata d’impresa e integrata con il sistema territorio, all’utilizzo delle tecno-
logie web 2.0 e a Internet per l’e-business, allo sviluppo di reti d’impresa e di altre forme di
collaborazione, alla conoscenza delle lingue e alle tecnologie per l’innovazione dei processi
di lavoro. Di rilevante importanza la “comunicazione integrata d’impresa con il sistema terri-
torio”, visto la centralità delle produzioni indagate ai fini della valorizzazione turistico-culturale
della regione Friuli Venezia Giulia. La valorizzazione istituzionale di queste nicchie costituisce
un’operazione culturale, sociale ed economica, realizzabile attraverso la formazione mirata,
ma anche con una strategica integrazione-sinergia fra l’agricoltura, l’artigianato, il turismo, il
commercio e la costruzione-diffusione di percorsi conoscitivi di quella cultura rurale evocatrice
della nostra storia.
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quaderno di ricerca 1
ANGELA ZOLLI IL SeTTore AGroALIMenTAre In FrIuLI VeneZIA GIuLIA Interviste a confronto: Punti di forza e debolezza, interventi auspicati
AbstractThe agri-food sector in Friuli Venezia Giulia. Interviews compared: strengths and weaknesses, desired actions (by Angela Zolli)In order to complete the analysis of training needs and job trends in Friuli Venezia Giulia we thought it would be useful to interview some privileged witnesses to identify the strengths and the weaknesses of the agri-food sector, interventions and initiatives aimed at eliminating obstacles and re-strictions to the development of the cluster, the promotion and marketing campaigns that are underway, those planned and those desired. The Polo Formativo Agroalimentare FVG (Training Agri-food Cluster FVG) is a project financed by the region Friuli Venezia Giulia, the European Union through the European Social Fund and the Minister of Labour. It is a tempo-rary association among various partners (<http://www.poloagroalimentare.fvg.it/>) coordinated by CEFAP FVG (Centro di Formazione Agricola Per-manente FVG).
A completamento dell’indagine riguardante i fabbisogni formativi e le dinamiche occupazionali
del settore agroalimentare in Friuli Venezia Giulia è apparso significativo intervistare alcuni te-
stimoni privilegiati con la finalità di individuare i punti di forza e debolezza del cluster dell’agro-
alimentare, gli interventi e le iniziative volti a rimuovere eventuali vincoli ostativi allo sviluppo del
polo, le azioni di promozione e marketing territoriale attuali, programmate e auspicate.
Sono stati intervistati Cristian Vida, Presidente del Raggruppamento alimentari e bevande di
Confindustria FVG, Giampiero Campajola, Responsabile di Information Technology, Accoglien-
za e Logistica di Turismo FVG, Walter Filiputti, Presidente del Consorzio Friuli Venezia Giulia Via
dei Sapori. Di seguito si propone la traccia di intervista sottoposta ai testimoni intervistati e, in
ordine cronologico di intervista, la rielaborazione delle risposte da loro fornite.
Il “Polo Formativo Agrolimentare FVG” è un progetto finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia,
dall’Unione Europea con Fondo Sociale Europeo e dal Ministero del Lavoro. Si tratta di un’Asso-
ciazione Temporanea d’Impresa costituita da diversi partners (<http://www.poloagroalimentare.
fvg.it/>) e coordinata da CEFAP FVG (Centro di Formazione Agricola Permanente FVG).
doMAndA n. 1 (rispondono Vida, Campajola, Filiputti)
Quali sono i punti di forza e i punti di debolezza che caratterizzano il settore agroalimentare?
risposta Vida: I punti di forza del settore consistono nella storia delle aziende, si tratta di
imprese caratterizzate dalla continuità generazionale in ambito familiare, nel sistema di valori
condiviso e negli elevati livelli di specializzazione che si riflettono in una grande varietà di
prodotti di qualità medio alta. I punti di debolezza consistono nello scarso orientamento alla
28
vendita e al marketing, nel sistema di relazioni tra produttori ancora di tipo competitivo, men-
tre le strategie relazionali di tipo collaborativo, necessarie soprattutto per favorire i processi di
apertura internazionale, sono ancora poco sviluppate.
risposta campajola: I punti di forza del settore consistono nelle potenzialità delle produzioni
agroalimentari, in termini di varietà e specificità, e nella possibilità di abbinare all’elevata qualità
la cultura, la tradizione e la salubrità delle produzioni. I punti di debolezza riscontrati consi-
stono nella scarsa qualità registrata in corrispondenza della ricettività, nell’insufficiente cultura
dell’accoglienza, nella scarsa capacità comunicativa dell’offerta, nell’ancora scarso sviluppo
delle infrastrutture, intendo sia dal punto di vista della viabilità che delle reti telematiche, nello
scarso utilizzo delle reti telematiche e nell’insufficiente sviluppo di reti relazionali di tipo coope-
rativo. È sicuramente necessario far crescere la cultura dell’accoglienza.
risposta Filiputti: I punti di forza attengono all’elevata qualità che contraddistingue le produ-
zioni agroalimentari e enogastronomiche, unitamente alla ricerca del miglioramento continuo
e alla varietà delle produzioni, al sistema di valori, mi riferisco soprattutto all’aspetto etico,
alla serietà e alla regola del buon padre di famiglia, valori che in questo settore si ritrovano
immutati seppur reinterpretati nel contesto attuale. Se il vino, le grappe ed i distillati (Nonino),
il prosciutto e il formaggio costituiscono le quattro produzioni caratterizzanti il territorio, con
il vino che ne costituisce il settore più avanzato tanto che dovrebbe essere considerato un
esempio da emulare anche per gli altri comparti, vorrei attirare l’attenzione sulle potenzialità
derivanti dalla grande varietà delle produzioni.
Per quanto riguarda i punti di debolezza ravviso principalmente la scarsa comunicazione, lo
scarso sviluppo dei canali distributivi e la frammentazione dimensionale. A questo proposito
si considerino, ad esempio, le latterie che, oltre a presidiare l’intera filiera produttiva, con lo
sviluppo del canale distributivo della vendita diretta stanno conseguendo buoni risultati. No-
nostante le buone performance realizzate, le latterie stanno abbandonando la produzione del
prodotto stagionato a causa dei problemi di liquidità derivanti dall’immobilizzo del capitale. In
questo caso l’aggregazione tra produttori potrebbe essere una soluzione, tuttavia lo scarso
sviluppo di relazioni collaborative osta alla realizzazione di progetti di questo tipo. Esiste poi il
problema dell’eccessiva burocratizzazione degli adempimenti e dello scarso utilizzo delle reti
informatiche per la comunicazione.
* * *
doMAndA n. 2 (rispondono Vida, Campajola, Filiputti)
Quali sono gli strumenti e gli interventi volti a rimuovere/ridurre i punti di debolezza individuati
ovvero i vincoli ostativi allo sviluppo del polo?
29
quaderno di ricerca 1
risposta Vida: Ritengo che alcuni strumenti possano essere individuati nel supporto consu-
lenziale alle aziende che dovranno affrontare il problema del passaggio generazionale. Anche
se le nuove generazioni di imprenditori hanno avuto modo di confrontarsi a livello internazio-
nale, grazie agli elevati livelli di scolarizzazione e alle esperienze professionali, nel momento
in cui si verifica l’ingresso in azienda l’orizzonte culturale diventa fondamentalmente di tipo
familiare. Ne deriva la necessità di affrontare il passaggio generazionale con l’ausilio di profes-
sionisti esterni specializzati nelle problematiche di governance aziendale. Ritengo che saranno
proprio le nuove generazioni ad imprimere una svolta innovativa nel sistema di relazioni tra
produttori, sviluppando delle forme innovative di collaborazione tra produttori e uscendo dalla
spirale involutiva di tipo individualista-competitivo.
risposta campajola: Ritengo prioritario intervenire con due strumenti che devono operare
sinergicamente, ovvero la creazione di pacchetti turistici intersettoriali e completi, e la comu-
nicazione. Per quanto riguarda i pacchetti, credo che si tratti di migliorare l’organizzazione
dei tour e la cultura dell’accoglienza: la struttura ricettiva è, infatti, l’anello di una lunga catena
(del valore) composta da enogastronomia, artigianato, musei, mostre, ambiente, commercio,
servizi ecc. Per quanto riguarda la comunicazione, si tratta di acquisire la capacità di comuni-
care con le nuove tecnologie. La formazione mirata ad elevare la cultura dell’accoglienza e a
sviluppare l’utilizzo delle tecniche web 2.0 e 3.0 appare quindi essenziale.
risposta Filiputti: Appare prioritario sensibilizzare i produttori relativamente alle opportunità
offerte dalle reti di impresa, sviluppare quindi reti distributive innovative senza trascurare la va-
lorizzazione, la promozione e la comunicazione istituzionale di alcune produzioni ancora poco
note, ma dalle alte potenzialità e che, in quanto tali, necessitano di un investimento rilevante
per aumentarne la notorietà. Ritengo importante privilegiare la formazione degli imprenditori
nell’area del marketing e promuovere una maggiore proattività commerciale delle imprese.
È importante anche sburocratizzare gli adempimenti e visto la sensibilità riscontrata a questo
proposito tra gli imprenditori e le istituzioni – Camera di Commercio di Udine in particolare – si
potrebbe proporre, ad esempio, un libro bianco scritto dai funzionari degli enti: visto che le
Camere di Commercio sono a stretto contatto con le imprese - ed hanno validissimi colla-
boratori che conoscono molto bene le tante problematiche che fanno ammattire anche loro
– potrebbero fungere da collettore delle problematiche delle imprese e promuovere questa
iniziativa alle altre istituzioni.
* * *
doMAndA n. 3 (Vida e Filiputti rispondono al punto b); Campajola risponde ai punti a) e b)
a) Quali sono le azioni di promozione e marketing territoriale attuali e programmate?
b) Quali sono le azioni di promozione e marketing territoriale auspicate?
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risposta Vida: Per rispondere a questa domanda dobbiamo operare una distinzione. Il set-
tore dell’agroalimentare è caratterizzato da un’ampia varietà di prodotti, ritengo che le azioni di
promozione e marketing territoriale debbano operare in modo sistemico anche se con alcuni
distinguo. Credo che tutti i nostri prodotti, agroalimentari e non, dovrebbero essere maggior-
mente diffusi tra i consumatori regionali, nella ristorazione e in tutti gli eventi e manifestazioni
culturali, in ciò sostenuti da un’adeguata campagna di formazione-informazione, rivolta ai
turisti, ai cittadini adulti e ai ragazzi, finalizzata a trasmettere un messaggio di elevata qualità,
salubrità, storia e cultura. È evidente che si tratta di acquisire, collettivamente, una maggiore
consapevolezza della nostra identità individuale e collettiva e, istituzionalmente, di saperla
trasmettere. Mi riferisco anche alla diffusione di una cultura del prodotto biologico che non
può essere scissa dalla cultura ambientale e dall’educazione alimentare. A questo proposito,
sulla base di una prima esperienza progettuale consolidata da Confindustria in ambito scola-
stico, si auspica l’inserimento in orario scolastico di una lezione di un’ora riguardante proprio
l’educazione alimentare. È evidente che le produzioni di nicchia e i prodotti tipici, ovvero quelle
eccellenze territoriali caratterizzate dai piccoli numeri, sono più adatte ad essere utilizzate per
veicolare la storia, la cultura e le tradizioni della nostra regione.
risposta campajola: Le azioni di promozione e marketing territoriale attuali consistono
nell’individuazione dei diversi tipi di turismi e turisti (sportivo, culturale, enogastronomico ecc.)
e nello sviluppo di un piano di comunicazione e promozionale mirato in funzione dei diversi tar-
get individuati. Dal punto di vista istituzionale si tratta di promuovere il brand del Friuli Venezia
Giulia e di trasmettere il concept di una regione invitante ed eterogenea, valorizzando le offerte
tipiche, neve e mare. Per quanto riguarda la modalità comunicativa, è in rilevante sviluppo la
comunicazione sui social network e on line, rispetto alla comunicazione tradizionale; abbiamo
anche riscontrato buoni risultati, in termini di economicità e velocità, con la comunicazione via
radio, rispetto a quella televisiva ad esempio. Questa programmazione è attuata in collabora-
zione con i consorzi turistici locali che, tuttavia, non coprono la maggioranza dell’offerta turi-
stica regionale. Strategicamente la linea seguita consiste nel riuscire a mantenere la posizione
acquisita con la clientela tradizionale, italiana, tedesca e austriaca, puntando a migliorare l’of-
ferta turistica con l’organizzazione di pacchetti completi e a comunicare in maniera più diretta
e mirata tali offerte, e, parallelamente, nell’attirare la clientela proveniente dai paesi dell’Europa
dell’Est e dal Sud-est asiatico. Gli strumenti utilizzati consistono nella comunicazione on line,
ma anche nelle pubblicazioni, nella partecipazione a fiere, anche se, soprattutto con i paesi
del Sud-est asiatico, la comunicazione on line rimane fondamentale.
risposta Filiputti: Credo che dal punto di vista della comunicazione e della promozione si
stia lavorando in modo soddisfacente. I risultati conseguiti, ad esempio, grazie alla partnership
tra il Consorzio Via dei Sapori e la CCIAA di Udine ne costituiscono una conferma. Ritengo
tuttavia, e insisto ancora su questo punto, che l’efficacia della promozione non possa pre-
31
quaderno di ricerca 1
scindere dall’efficienza delle reti distributive, pertanto l’assenza o lo scarso sviluppo delle reti
distributive rischia di vanificare gli sforzi compiuti con la comunicazione. Ritengo quindi oppor-
tuno sensibilizzare le imprese nello sviluppo delle reti di impresa finalizzate alla distribuzione,
ma procedere anche, a livello istituzionale, con la sburocratizzazione delle procedure.
Credo anche che sarebbe necessario creare degli esempi che possano costituire dei modelli.
Su questa strada, ad esempio, si è incamminata la Camera di Commercio di Udine (con le
aziende del vino). I friulani sono, come dire, particolarmente diffidenti: tanti San Tommaso che
prima debbono vedere, toccare con mano e poi, forse... Il metodo è quello di convincere un
ristretto gruppo di aziende che poi facciano da traino al resto del gruppo. Ecco perché ritengo
che le CCIAA siano le istituzioni più preparate e sensibili a queste innovazioni che sono – in
primis – innovazioni mentali. Le Camere di Commercio, quindi, dovrebbero supportare lo svi-
luppo delle reti di impresa anche dal punto di vista operativo, ovvero accompagnare (almeno
inizialmente) le imprese totalmente in questo percorso, in modo che i casi di successo diven-
tino poi delle buone prassi da emulare.
* * *
doMAndA n. 4 (Campajola risponde ai punti a) e b); Filiputti risponde al punto b).
Dallo studio di alcuni casi riguardanti le produzioni di nicchia è emersa la rilevanza storico-
culturale delle attività corrispondentemente svolte. È ipotizzabile avviare dei percorsi di ricerca
finalizzati a recuperare il patrimonio culturale rurale per favorire la valorizzazione e la promozio-
ne del territorio basata sulla storia locale? Quali sono le azioni/strumenti:
a) attuali e programmati;
b) auspicati.
risposta campajola: Ritengo che la promozione debba dapprima riguardare un elevato nu-
mero di potenziali turisti per poi raggiungere le nicchie di alta qualità. Da questo punto di vista
c’è bisogno che anche il territorio comunichi le proprie eccellenze, anche direttamente a Turi-
smo FVG, alcuni se ne sono resi conto e utilizzano i nostri servizi molto meglio di altri. Attual-
mente stiamo lavorando intensamente sulla formazione degli operatori turistici, negli ultimi 2 anni
abbiamo realizzato più di 20 incontri formativi (di due giorni) riguardanti l’accoglienza e le tecni-
che web 2.0 e 3.0 per comunicare l’offerta turistica. Appare essenziale in futuro elevare il livello
di consapevolezza relativamente alle potenzialità derivanti dallo sviluppo delle reti informatiche.
risposta Filiputti: Credo che per quanto riguarda la comunicazione sia necessario utilizzare
un diverso linguaggio, ovvero costruire dei messaggi che suscitino nel destinatario emozioni che
lo coinvolgano nel profondo e non solo dal punto di vista cognitivo. Credo che, ad esempio,
in prima battuta sia importante emozionare e coinvolgere le persone con immagini e racconti
esplicativi delle nostre invitanti diversità, quindi l’acqua del mare e dei fiumi, i pesci, le erbe della
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montagna, la raccolta, il miele e così via, solo dopo avere “conquistato” gli interlocutori reputo
possibile spiegare dal punto di vista cognitivo obiettivi e contenuti delle nostre proposte.
* * *
doMAndA n. 5 (rispondono Vida, Campajola, Filiputti)
Alcune produzioni agroalimentari, soprattutto quelle non rappresentate da consorzi, sono
poco supportate nella ricerca o non usufruiscono di sufficienti servizi (ad esempio agevolati)
anche a supporto dell’internazionalizzazione.
doMAndA n. 5.1 Quali sono le azioni auspicate a supporto della ricerca&innovazione (in
senso ampio, di prodotto, di processo, organizzativo, commerciale ecc.)?
risposta Vida: Credo che sarebbe utile mettere in rete le aziende del settore con l’Area
Science Park e l’Università di Udine per favorire lo sviluppo di progetti di ricerca derivanti dai
reali bisogni delle imprese. Si possono ipotizzare incontri-confronto, ma anche il finanziamen-
to di uno sportello finalizzato a favorire l’incontro della domanda (delle imprese) e dell’offerta
(istituti di ricerca) di ricerca&innovazione. In tal modo, ad esempio, si potrebbe favorire la
rilevazione di bisogni comuni alle diverse imprese e favorire l’erogazione di servizi di ricerca a
gruppi omogenei di imprese.
risposta campajola: Credo sia necessario intervenire sul fronte dell’innovazione tecnologi-
ca con la finalità di migliorare la comunicazione a tutti i livelli, ritengo che in questa azione le
aziende dovrebbero essere maggiormente supportate. Un’altra azione dovrebbe riguardare lo
sviluppo dell’utilizzo delle energie rinnovabili, sempre con l’ausilio delle alte tecnologie, con la
finalità di ridurre i costi energetici delle imprese e di ridurre l’inquinamento ambientale. A que-
sto proposito mi riferisco anche alla necessità di mettere in rete le eccellenze regionali, quindi
le imprese dei diversi settori, quali, ad esempio, le imprese operanti nel distretto industriale
della componentistica del pordenonese, detentrici del know how in diversi di questi ambiti,
con le imprese del settore agroalimentare.
risposta Filiputti: Credo sia importante favorire gli incontri e il confronto tra le imprese e le
istituzioni preposte alla ricerca e all’innovazione, per fare capire le potenzialità rappresentate
dall’innovazione di prodotto.
doMAndA n. 5.2 Quali sono gli strumenti consulenziali (agevolati) auspicati?
risposta Vida: Alcuni progetti, ad esempio quelli riguardanti le reti di impresa, richiedono
un elevato numero di adempimenti di tipo burocratico. Si auspica la sburocratizzazione di tali
33
quaderno di ricerca 1
procedimenti oppure un maggior supporto delle imprese anche nella stesura della domanda.
Gli strumenti consulenziali auspicati attengono allo sviluppo competitivo dell’impresa soprat-
tutto nell’ambito dell’innovazione. È evidente che le imprese devono investire una quota del
loro fatturato nella ricerca e nell’innovazione, ma è anche vero che per quanto riguarda la
ricerca pura, implicante elevati rischi, è necessaria la collaborazione con gli istituti di ricerca e
lo sviluppo di una progettualità finanziata. La redditività delle imprese è aggravata dagli ultimi
anni di crisi, sono pertanto auspicabili la defiscalizzazione e il supporto delle aziende in crisi a
sostegno degli investimenti.
risposta campajola: Credo che attualmente sia necessario attuare la sburocratizzazione
di molteplici adempimenti, esternalizzare l’erogazione di alcuni servizi ad alto valore aggiunto,
oppure individuare le strutture pubbliche in cui attuare un empowerment del personale fina-
lizzato alla fornitura di tali servizi consulenziali, ipotesi questa che non reputo attuabile visto la
politica di spending review in atto. Un’altra via percorribile, anche se con non poche difficoltà
ed incertezze, potrebbe essere rappresentata dalla progettazione europea finalizzata a finan-
ziare queste attività.
risposta Filiputti: Credo sarebbe necessario supportare le imprese nella conoscenza della
tendenza e dell’evoluzione del gusto, quindi si tratta di conoscere la cultura di un popolo e di
un Paese dove si intende vendere i propri prodotti e, sulla base di queste informazioni, svilup-
pare dei piani di marketing coerenti.
doMAndA n. 5.3 Quali sono le azioni auspicate a supporto dell’internazionalizzazione?
risposta Vida: Esiste il problema delle barriere protezionistiche elevate da certi paesi nei
confronti delle nostre produzioni, servirebbe indubbiamente un maggior supporto a livello go-
vernativo per risolvere questo tipo di problematiche. Visto la rilevanza assunta dalle normative,
anche sanitarie, servirebbero anche degli sportelli specializzati per settore, istituiti presso le
Camere di Commercio o la Regione, per lo svolgimento di quegli adempimenti di tipo opera-
tivo relativi all’esportazione verso determinati paesi.
risposta campajola: Ritengo che la comunicazione on line sia essenziale per favorire l’in-
contro della domanda e dell’offerta non solo turistica, ritengo che le imprese necessitino,
anche in questo caso, della sburocratizzazione degli adempimenti necessari per favorire l’e-
sportazione verso determinati paesi.
risposta Filiputti: Credo che gli strumenti a supporto delle reti di impresa per sviluppare le
reti distributive possano aiutare le imprese ad uscire dal localismo, visto che l’orizzonte distri-
butivo di molte imprese è ancora esclusivamente regionale.
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ANGELA ZOLLI SeGGIoLAI e IMPAGLIATrIcI Una lettura dei processi di trasformazione del distretto friu-lano della sedia
AbstractChair-makers and chair-menders. An interpretation of the transformation processes taking place in the chair-making cluster of Friuli (by Angela Zolli)This article presents only a part of the results of a larger research. The aim of the study was to understand the processes of transformation in the chair-mak ing cluster of Friuli and to tell the story of men, women and children who first turned their families and their economy then based on agriculture into companies, the processes of internationalisation, and the altered international context: in short, globalization. To achieve these objec-tives two different studies were conducted: the first based on records and the second based on direct contact with local people through interviews and observation. In this article the main transformation processes and the role of family businesses in the development of the area are explained.
In questo articolo si presentano alcuni risultati derivanti da una più ampia indagine riguardante
i processi di formazione-trasformazione del distretto della sedia. L’obiettivo della ricerca con-
sisteva nel comprendere le origini della comunità produttiva indagata e nel raccontare la storia
di questo distretto di uomini, donne e ragazzi che originariamente hanno fatto della loro fami-
glia un’impresa in un’economia basata sull’agricoltura, le trasformazioni intervenute, i processi
di internazionalizzazione, l’esordio dei paesi emergenti, in sintesi la globalizzazione. Nello
svolgimento del lavoro si è fatto ricorso ad una ricerca su base documentaria e a una ricerca
a diretto contatto con le persone tramite l’intervista e l’osservazione. In questo articolo si analizzano i principali processi di trasformazione intervenuti da fine ottocento ad oggi e il ruolo assunto dalla famiglia-impresa nel processo di sviluppo locale.
IL dISTreTTo deLLA SedIA “In cIFre”3
Il “distretto della sedia” viene anche chiamato “triangolo della sedia” o “triangolo” con riferimento alla comunità produttiva originariamente stanziata nei tre comuni di Corno di Rosazzo, Manzano e San Giovanni al Natisone, nucleo oggi esteso ai comuni limitrofi così come disciplinato dalle delibere di giunta regionale che includono nel distretto le imprese insediate in undici comuni e operanti nel settore della lavorazione del legno e della produzione di mobili. L’indagine è stata effettuata includendo le im-prese operanti in tale settore e insediate nei tre Comuni del “triangolo”.
3 Elaborazione su dati Istat e Infocamere 2012.
dISTreTTo “norMATIVo”
numero di comuni: 11Kmq: 223Popolazione residente: 37.556numero imprese distretto: 660
coMunITà IndAGATA
numero di comuni: 3Kmq: 67 Popolazione residente: 15.967numero imprese comunità: 455
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quaderno di ricerca 1
1. Il metodo: l’unità di rilevazione
L’unità di rilevazione alla base della ricerca sul campo è costituita dalla famiglia-impresa, un
aggregato in cui si riscontra la compenetrazione della famiglia con la proprietà e la gestione
dell’impresa, un tutto integrato funzionale al soddisfacimento dei bisogni della famiglia e al
raggiungimento degli obiettivi di impresa. Tale aggregato è stato valutato come significati-
vo dell’interpenetrazione tra l’attività produttiva e la comunità di riferimento nel processo di
industrializzazione dell’area. Per quanto riguarda la cultura materiale, l’unità di rilevazione è
costituita dalla sedia di legno impagliata che, storicamente, rappresenta una delle prime
produzioni dell’area e in quanto tale conserva una notevole efficacia documentaria.
In passato l’organizzazione del lavoro era basata sulla divisione sessuale del lavoro: la lavo-
razione del legno finalizzata alla costruzione della sedia o di sue singole parti era un’attività
svolta dagli uomini, mentre alle donne competeva il ruolo di impagliare le sedie. Durante lo
svolgimento della ricerca è così emersa una realtà femminile storicamente legata all’attività
dell’impagliatura manuale delle sedie, densa di significati sociali, economici e culturali. Risulta-
va difficile comprendere la cultura di mestiere del seggiolaio e dell’impagliatrice senza inoltrarsi
in profondità nella cultura della sedia impagliata, contestualizzata nella famiglia-impresa.
LA FAMIGLIA-IMPreSA
Al fine dell’individuazione della famiglia impresa si fa riferimento al nucleo familiare formato dai coniugi con o senza figli, ai rapporti di convivenza, con o senza figli, alle relazioni di parentela determinate da consanguineità e affinità. Particolare attenzione hanno ricevuto anche relazioni derivanti da parentela spirituale, da rapporti duraturi e fiduciari, di amicizia, provvedendo in tal caso a specificarne la diffe-renza. I rapporti tra i componenti della famiglia e l’impresa sono classificati considerando la partecipazione dei familiari alla gestione dell’impresa e agli assetti proprietari. I rapporti possono essere collaborativi, in questo caso il familiare lavora-partecipa alla gestione di impresa, oppure il familiare partecipa alla gestione e detiene anche gli assetti proprietari dell’impresa.Rielaborando la definizione di aggregato domestico di Laslett, l’aggregato famiglia-impresa rispon-de a due imperativi: 1. i familiari lavorano sotto uno stesso “tetto di impresa”; 2. il familiare è socio dell’impresa (matrimonio = socio dell’impresa). Gli individui cooperano con gli altri familiari, svolgono delle attività ripartite secondo criteri funzionali, condividono una relazione di protezione e dipendenza (Laslett, 1977). La declinazione del modello di classificazione degli aggregati domestici di Laslett sulla base della detenzione degli assetti proprietari (qualità di socio) e del lavoro in impresa origina diversi tipi di aggregati di famiglia-impresa.
Esempio n. 1 - Aggregato semplice: marito e moglie
Descrizione: il marito lavora e detiene gli assetti proprietari dell’impresa, la moglie lavora nell’impresa.
▲ = ●
36
Esempio n. 2 - Aggregato multiplo
Descrizione: all’aggregato semplice si sono aggiunti il figlio e il fratello. L’aggregato è multiplo. Quan-do i soci sono due fratelli l’aggregato multiplo è detto frérèche.
LEGENDA
Forme utilizzate
: uomo; : donna= matrimonio, in assenza la coppia è di fatto;≠ separazione;≠≠ divorzio.
colori delle formeNero: familiari che lavorano in impresa e sono soci;Grigio: familiari che lavorano in impresa;Bianco: nessun tipo di collaborazione nella famiglia-impresa;Grigio tratteggiato: familiari che lavorano nel settore del legno-mobile.
date: di nascita e di morte; / indica l’avvenuta morte della persona.
2. Il contesto: le origini del distretto della sedia
Lo studio dell’utilizzo del suolo, dello stato della proprietà agraria e forestale e dei rapporti di
produzione nell’Ottocento evidenzia nel distretto un’economia fondata sull’agricoltura. Dalla
metà del Settecento fino quasi alla metà del 1800 la popolazione del Friuli si era fermata intor-
no ai 350.000 abitanti con una densità fra le più basse di tutte le province venete. La staticità
dei sistemi agrari si ripercuote nel rallentamento della crescita demografica. Già nel Settecen-
to donne e uomini delle campagne friulane finivano a fare i servi nelle case patrizie di Venezia
o diventavano manovali e muratori, falegnami e scaricatori di porto a Trieste. Intorno al 1840
l’emigrazione stagionale è ormai generalizzata in tutta la montagna, dal 1870 in poi arriva a
includere nelle sue statistiche anche la pianura e soprattutto la collina assumendo in pochi
▲ =
▲ = ● ▲
▲
37
quaderno di ricerca 1
anni valori incredibili per una regione veneta fondamentalmente sottopopolata. Con la gelsiba-
chicoltura si erano sviluppati in Friuli l’opificio, la manifattura e l’industria tessile, risulta quindi
difficile distinguere in questa fase tra lavoro domestico e lavoro industriale, in quanto i rapporti
tra queste due forme erano molto stretti e compenetranti. Si riscontra un legame evolutivo fra
produzione agricola e sviluppo industriale, gli opifici nacquero in risposta ad un reale sviluppo
produttivo dell’agricoltura friulana, usufruendo della enorme disponibilità di manodopera ma-
schile e femminile a poco prezzo che si rendeva libera dal lavoro dei campi. A fine Ottocento
in tutta la provincia di Udine gli addetti all’industria sono 21.793 (1889), di questi ben 11.307
lavorano nell’industria tessile, esistevano però 2.000 telai domestici. Lavoro femminile, bassi
salari, manodopera rurale, queste sono le caratteristiche dell’industria friulana dell’Ottocento
riconducibili quasi esclusivamente al settore tessile (Gaspari, 1976).
è in questo contesto che vanno ricercate le origini del distretto della sedia.Le origini del “triangolo della sedia” risalirebbero al 1879 in corrispondenza della migrazio-
ne dei seggiolai marianesi (provincia di Gorizia) nel triangolo della sedia (provincia di Udine).
Nell’Ottocento a Mariano del Friuli si era infatti sviluppata la manifattura delle sedie, realizzate
in laboratori artigiani e a domicilio con il contributo di uomini, donne e bambini. La fissazio-
ne del nuovo confine tra l’Italia e l’Austria nel 1866 aveva separato i seggiolai marianesi dai
mercati di sbocco: la crisi che contraddistingue il settore culmina con l’introduzione dei dazi
doganali nel 1878 e la conseguente migrazione dei seggiolai marianesi nel triangolo.
3. una lettura dei processi di trasformazione
La ricerca sul campo registra una serie di cicli, un epos della comunità (Tullio-Altan, 1995), una
fase fondativa a fine Ottocento corrispondente con la migrazione dei marianesi nel triangolo,
gli anni Sessanta del Novecento, cioè l’età “di quando diventammo grandi”, la crisi degli anni
Ottanta, la discontinuità, mentre la “grande trasformazione” attuale è caratterizzata da un
senso di incertezza condiviso. Analizziamoli brevemente.
La fondazione delle prime “fabbriche” risale al ventennio 1910-1930. L’origine della dualità
tra imprese “forti” e “deboli” nel distretto risale a questo periodo, con la nascita delle prime
fabbriche rispetto ai laboratori artigiani e al lavoro a domicilio.
Nell’area si producevano sedie “comuni”, sedie impagliate di diverso tipo, la sedia da birreria
o da giardino, la sedia a tavoletta e altri modelli. Si trattava di sedie comuni realizzate preva-
lentemente su base artigianale. La sedia di legno impagliata era diffusa nelle case contadine
(cfr. fotografia n. 1), nelle osterie, negli alberghi, l’archetipo della sedia popolare, rispetto alle
sedie “viennesi”, curvate, la paradigmatica sedia “Thonet” (la n.14 e la n.18), la sedia curvata
a vapore, incannettata con la paglia di Vienna. La sedia dei caffè di città frequentati dai “bor-
ghesi”, un moderno modello realizzato su base industriale che riesce a combinare in modo
intelligente eleganza, leggerezza, solidità e economicità.
38
Gli anni cinquanta corrispondono con l’avvio del processo di sviluppo dell’area della sedia,
trainato da una forte espansione della domanda, con un conseguente incremento della natalità
imprenditoriale. Dalla ricerca sul campo si riscontra come spesso si tratta di ex dipendenti che
dopo un periodo di apprendimento nelle imprese maggiori creano la propria impresa per imi-
tazione e in essa riproducono il modello della famiglia-impresa. Lo sviluppo industriale avviene
grazie a una classe imprenditoriale emergente, il “contadino-operaio-imprenditore”, la sintesi di
un’identità in trasformazione. L’autosfruttamento dell’imprenditore e della sua famiglia permet-
tono alle famiglia-impresa di sfruttare una congiuntura favorevole e di fondare la propria unità
produttiva secondo un processo imitativo, in un contesto caratterizzato dalla disponibilità di
manodopera a basso prezzo e dal lavoro femminile a domicilio. Lo sviluppo è reso possibile
dall’integrazione del reddito agricolo e industriale ma anche da una scarsa regolamentazione
del lavoro, dal lavoro femminile, difficili condizioni di lavoro accettate per non dover ricorrere
all’emigrazione, contrariamente a quanto accadeva in altre aree collinari e montane del Friuli.
Nelle realtà artigianali e a domicilio, nelle famiglie, in passato la cultura della sedia era un patri-
monio culturale diffuso. La divisione sessuale del lavoro tra l’uomo e la donna corrispondeva
con i mestieri del seggiolaio e dell’impagliatrice: gli uomini lavoravano il legno e fabbricavano
le sedie, mentre le donne impagliavano e svolgevano compiti di finitura. I bambini preparavano
la palude, giocavano e giocando imparavano il mestiere. Il mestiere dell’impagliatrice, un me-
stiere perduto, risale all’epoca pre-industriale, convive con il processo di industrializzazione e
lo supporta in modo determinante. Nell’area si registra un sincretismo tra il lavoro a domicilio,
l’artigianato, l’artigianato di tipo manifatturiero “legato” ai cicli industriali e l’industria.
Fotografia n. 1 – Cucina friulana in casa del sig. Durlì a Clauzetto (PN), 1926 (Fotografia di U. Pellis, Archivio Società Filologica Friulana)
39
quaderno di ricerca 1
un ProceSSo dI APPAeSAMenTo
È ragionevole pensare che i contadini nel loro processo di trasformazione identitaria procedano per appaesamento (De Martino, 1977) inserendo l’ignoto nel noto. Si applica un modello organizzativo noto, la famiglia, all’organizzazione dell’attività di impresa, ignoto. Lo sviluppo di una famiglia-impresa diventerebbe così il modello organizzativo dominante dell’attività del seggiolaio, indipendentemente dalla necessità di dover integrare lavoro agricolo e artigianale, applicato per imitazione. Una cellula essenziale della produzione economica e dei rapporti sociali, a fondamento della “relazione totale” individuata tra la comunità, l’attività produttiva e l’oggetto “sedia”, un’organizzazione aperta alla forza lavoro esterna, un “locus” in cui si produce e riproduce la forza lavoro.
Dalla ricerca sul campo si registra che la comunità attribuisce al lavoro un valore positivo,
come misura delle qualità positive della persona, e non assume il significato di sola fatica.
Il gruppo sociale possiede una sua cultura: in passato i bambini incominciavano con i loro
giochi a sperimentare veri e propri comportamenti in imitazione degli adulti, attraverso l’osser-
vazione, prima che si instaurassero forme di comportamento consapevole. L’apprendimento
per impregnazione (Angioni, 1984) in passato era spesso sostitutivo, raramente si affiancava
alla scolarizzazione, a differenza di quanto accade in corrispondenza delle ultime generazioni.
Per quanto riguarda la famiglia-impresa, l’attribuzione della proprietà, della gestione e del
controllo dell’impresa privilegiava la discendenza maschile. Nel processo di trasmissione si è
riscontrata una gerarchizzazione uomo-donna e, lungo la discendenza maschile, per classi di
età (primogeniti e cadetti). Non è sempre facile ricostruire il ruolo effettivamente svolto dalle
donne visto che il loro lavoro nella famiglia-impresa consisteva principalmente nell’impaglia-
tura delle sedie, in operazioni di supporto e di finitura, a cui si aggiungeva il lavoro familiare,
quindi di cura dei figli, di gestione della casa, la coltivazione degli orti o di piccoli appezzamen-
ti. Nonostante la doppia presenza della donna il lavoro femminile non acquisiva la stessa con-
siderazione del lavoro maschile, caratterizzato invece da una maggiore visibilità, per cui il ruolo
delle donne nella gestione dell’aggregato famiglia-impresa risulta intuitivamente sottostimato.
La comunità definisce gli anni Sessanta gli anni della produzione, la domanda di sedie è
elevata, il problema per i produttori consiste nel soddisfare la domanda, nel dedicarsi alla
produzione, anche a discapito dello sviluppo di reti distributive e di strategie di mercato. Con
gli anni Cinquanta, il “ritardo” storicamente accumulato dal Friuli Venezia Giulia nel processo
di sviluppo industriale si riduce progressivamente fino a annullarsi in corrispondenza degli anni
Settanta. Lo sviluppo provoca una completa ricomposizione settoriale della struttura manifat-
turiera attraverso una continua e fortissima contrazione del settore tessile, l’espansione del
settore meccanico e del legno e del mobilio che vanno a costituire la nuova struttura portante
dell’industria friulana: nel 1971 rappresentano rispettivamente il 36,5% e il 22,8% dell’occu-
pazione nella manifattura (Grandinetti P., Grandinetti R., 1979).
Gli anni Sessanta rappresentano un’importante tappa del processo di trasformazione del di-
stretto: l’apertura internazionale, le migliorate condizioni di vita, una diffusione della forma giu-
ridica societaria, gli ampliamenti dei fabbricati e l’abbandono degli originari laboratori artigiani,
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ma anche la perdita di un patrimonio culturale, di mestiere, degli stessi archivi di impresa.
In questi anni sono fondati diversi consorzi tra produttori quali il Consorzio per lo Sviluppo
della Produzione Sediaria Friulana Srl, il Gessef (il Gruppo Esportatori Sedie Friuli) per promuo-
vere e vendere il prodotto all’estero e il Conseg. Tali iniziative sono state importanti nel favorire
l’esportazione dei prodotti distrettuali, anche se il successivo fallimento delle medesime è
oggi rievocato dagli operatori economici per spiegare la personalità del seggiolaio, individua-
lista, e la difficoltà di raggiungere un equilibrio tra particolarismo e cooperazione. Negli stessi
anni è costituito il Catas (1969), come azienda speciale della Camera di Commercio di Udine,
con il compito di effettuare i controlli di qualità sui prodotti del distretto e del settore dell’arre-
damento in legno.
Nonostante l’elevata domanda di mercato e il contenimento del costo del lavoro, i grossisti
riuscivano a spuntare prezzi ridotti sfruttando la rivalità tra gli imprenditori, con la conseguenza
di inasprire ulteriormente la concorrenza tra i produttori. Ne consegue una contrazione del
margine di profitto unitario, non dei profitti complessivi, che rimanevano elevati, alimentati da
una domanda quantitativamente elevata.
Gli imprenditori con tenacia, determinazione, orgoglio e processi di autosfruttamento, sfrut-
tano il momento favorevole: produttività e benessere, questo momento assume dei contorni
quasi mitici, l’età di “come diventammo grandi”. Successo e ricchezza sviluppano anche dei
comportamenti negativi come la scarsa importanza attribuita al confronto come opportunità
di miglioramento.
Fino agli anni Ottanta il “triangolo” era ancora un distretto di subfornitura, la sedia era so-
stanzialmente un complemento di arredo distribuito dai mobilieri, e le reti distributive non
erano sviluppate. La contrazione della domanda registrata negli anni Ottanta ha determinato
la chiusura di molte imprese, ma contrariamente alle crisi precedenti si è riscontrata anche
la chiusura di imprese di medie dimensioni. Gli anni ottanta sono identificati dalla comunità
come un momento di crisi e di discontinuità che interrompe gli anni di grande sviluppo. Le im-
prese sono scarsamente orientate al mercato, mentre a livello organizzativo gli aggregati della
famiglia-impresa sono un modello di difficile gestione. La crisi generalizzata insieme (spesso)
alle difficoltà registrate dal modello di famiglia-impresa provocano la cessazione dell’attività di
diverse imprese. Le crisi interne richiedono una strategia in grado di supportare l’impresa nel
processo di cambiamento, di decomplessificare la sovrapposizione della famiglia, della pro-
prietà e della gestione nelle sue componenti sociali, psicologiche, giuridiche e gestionali. Dalla
ricerca emerge la realizzazione di una decomplessificazione degli aggregati. Il modello della
famiglia-impresa che in passato ha costituito un modello importante per lo sviluppo locale, nel
mutato contesto socio-economico costituisce anche un freno all’apertura dell’impresa verso
l’esterno, con il mancato apporto di competenze relazionali e manageriali. Dalla crisi degli
anni Ottanta nasce la consapevolezza che la cultura del “fare” intesa come “orientamento alla
produzione” non è un modello (storicamente) riproponibile.
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quaderno di ricerca 1
La fine degli anni ottanta e gli anni novanta sono contraddistinti da cambiamenti epocali
quali la caduta del muro di Berlino nel 1989, la crescente informatizzazione determinata dal-
le nuove tecnologie e il conseguente rapido sviluppo di reti di produzione transnazionali, la
crescita del commercio internazionale, la crescente integrazione internazionale registrata sui
mercati finanziari ovvero una rete globale in tempo reale su scala mondiale, una “grande tra-
sformazione” corrispondente con una nuova epoca. In linea con quanto accaduto in Italia, il
Friuli Venezia Giulia è diventato una regione di immigrazione e nel distretto si riscontra l’arrivo
degli immigrati attirati dalle opportunità lavorative.
Dal punto di vista distrettuale i moderni mezzi di comunicazione e le nuove tecnologie si ri-
flettono nel crescente ricorso alla fornitura-subfornitura estera rispetto alle forniture locali, in
alcuni casi nella delocalizzazione del processo produttivo e nella creazione di filiali estere per
il presidio dei mercati di sbocco.
Le strategie di impresa e le modalità di reazione a questi profondi cambiamenti sono diverse
e non possono essere riassunte in una lettura del distretto come sistema, tuttavia gli indicatori
registrano una costante contrazione del numero delle unità locali nel periodo 2001-20124. I
processi di decentramento, più o meno selettivo, fuori dal distretto cambiano radicalmente la
divisione del lavoro: il sistema produttivo locale si riproduce in un sistema di relazioni globale.
Alcuni autori parlano di impresa globale per descrivere le mutate strategie d’impresa a fronte
del mutato scenario internazionale. Se in passato la gerarchizzazione del distretto in imprese
“forti” e “deboli” corrispondeva con la dualità industria-artigianato, oggi si può ragionevolmen-
te affermare che il concetto di “forza” è ascrivibile ad un’impresa in grado di agire i processi
di globalizzazione.
Un’altra rilevante trasformazione ha riguardato il portafoglio prodotti, una grande trasforma-
zione esprimibile con la locuzione “non solo sedia” o meglio “non solo sedia di legno”. Il por-
tafoglio prodotti si compone di sedie di legno, metallo e altri materiali, tavoli, complementi di
arredo, destinati a diversi segmenti di mercato, residenziale, ufficio e contract. Alcune imprese
hanno riposizionato il prodotto verso l’alto, investendo nella ricerca di nuovi materiali e valo-
rizzando il design.
Tornando al manufatto filo conduttore della ricerca, la sedia impagliata, si tratta di un prodotto
che continua a essere commercializzato dai produttori locali, tuttavia il modello comune è di
modico valore, pertanto la quota di mercato (in valore) non sarebbe elevata5. Il contenimento
del costo è reso possibile anche dal decentramento produttivo, gli elementi di legno del fusto
non sono prodotti esclusivamente nel distretto ma anche nei paesi dell’Europa Orientale. La
forma del fusto è cambiata rispetto ai modelli originari per permettere l’inserimento del sedile
di erba palustre proveniente dalla Cina, impagliato dalle donne delle campagne cinesi, oppure
i sedili impagliati meccanicamente.
4 Elaborazione su dati Infocamere.5 Non si sono riscontrate stime in proposito.
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I pareri sul futuro dei distretti sono divisi: alcuni postulano si sia trattato di un modello di
sviluppo oramai superato dall’informatizzazione-globalizzazione, altri ritengono che il decen-
tramento attuato su scala mondiale porti a un graduale “svuotamento” dei distretti, altri ne
prospettano la concentrazione in poche grandi imprese. L’informatizzazione, la crescente
internazionalizzazione commerciale-produttiva e l’integrazione dei mercati finanziari, hanno
spostato il baricentro dell’economia mondiale e cambiato il sistema delle interdipendenze
europee e internazionali.
4. Il ruolo della famiglia-impresa: due casi a confronto6
Dalla ricerca effettuata appare interessante porre a confronto i cicli di vita di due famiglia-
impresa: i Billiani e i Calligaris. La comparazione riguarda due imprese accomunate dallo stesso modello di famiglia-impresa iniziale, ma caratterizzate da due diversi per-corsi evolutivi le cui cause sono da ricercare, a giudizio della scrivente, anche nella diversa composizione dei nuclei familiari.
Il caso della famiglia-impresa Billiani7
Luigi Billiani fonda l’impresa nel 1911 a Manzano con il contributo della moglie Lina Colautti.
Adottando il modello di classificazione degli aggregati sopradescritto, i Billiani costituiscono
inizialmente un aggregato semplice. Luigi Billiani proviene da Cesclans, un piccolo paese di
montagna vicino a Tolmezzo: la provenienza dall’esterno costituisce per il “migrante” un mo-
mento di rottura con la famiglia e la comunità di provenienza. Dall’analisi del ciclo si sviluppo
della famiglia-impresa risulta il passaggio da un iniziale aggregato semplice a un aggregato
6 Le figure rappresentano lo sviluppo familiare dei soli nuclei funzionali alla diffusione dei risultati della ricerca.7 Rielaborazione dell’intervista a Luigi Billiani (nipote del fondatore dell’impresa), 2006.
Fotografia n. 2 – Impagliatura manuale, Corno di Rosazzo, 2006 (Fotografia di A. Zolli)
Fotografia n. 3 – L’impagliatrice meccanica, Corno di Rosazzo, 2006 (Fotografia di A. Zolli)
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quaderno di ricerca 1
complesso (cfr. figure n. 1-2). L’innovazione originaria, frutto dell’emigrazione e quindi anche
di rottura con la propria famiglia, località di provenienza e sistema di relazioni sociali, viene me-
diata dalla tradizione familiare. L’aggregato famiglia-impresa rappresenterebbe un’imitazione
del modello locale, un microcosmo di tradizione che permette all’individuo di sviluppare un
processo di trasformazione identitaria.
Figura n. 1 – La famiglia-impresa Billiani nel momento fondativo (1911)
Luigi Billiani e Lina Colautti hanno quattro figli maschi e una figlia femmina. È negli anni Cin-
quanta che si verifica il primo passaggio generazionale nella ditta di Luigi Billiani: nel 1953
l’attività dell’impresa si trasmette in linea maschile ai quattro figli maschi che successivamente
faranno subentrare i rispettivi figli (cugini) tra cui Luigi Billiani, il nipote del fondatore.
Figura n. 2 - La famiglia-impresa Billiani negli anni Cinquanta
All’inizio degli anni Ottanta l’impresa cessa l’attività. Secondo Luigi Billiani (il nipote intervista-
to) le cause della cessazione sono da imputare sia alla crisi caratterizzante il settore che alla
complessità organizzativa del modello della famiglia-impresa. Luigi Billiani, dopo una breve
esperienza in un’azienda del settore, rifonda l’impresa con il fratello. Successivamente alla
scissione d’impresa, Luigi Billiani continua a svolgere l’attività con l’impresa Billiani Srl condi-
videndo la proprietà con Veronik Romanutti, sua socia nonché compagna nella vita (cfr. figura
n. 3). Si riscontra un ritorno alla struttura originaria (cfr. figure n. 1 e 3) e una decisa decom-
plessicazione del modello della famiglia-impresa.
Figura n. 3 – La famiglia-impresa Billiani (2006)
▲ = ●Ditta Billiani Luigi
Luigi Billiani1888
Lina Colautti1888
= Luigi Billiani1888-1953
Lina Colautti1888
▲Orlando
1911Passaggio
generazionale
▲Ottone1912
●Ines1924
▲Lino1922
▲Bruno1933
=
=
▲
Luigi Billiani
Lino Billiani
LuigiBilliani1956
VeronikRomanutti
1974
Lina Colautti
Argentina Beltramini
▲ ●
Billiani Srl
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Il caso della famiglia-impresa calligaris8
Nel 1923 Antonio Calligaris fonda l’impresa a Manzano. Il fondatore si sposa con Elisa Misa-
no: dalla loro unione nascono un figlio maschio e quattro figlie femmine. Anche in questo caso
l’impresa si trasmette in linea maschile all’unico figlio maschio, Romeo Calligaris, che si sposa
con Maria Micheloni: dalla loro unione nascono due figli, Walter e Alessandro (cfr. figura n.
4). Maria Micheloni si occupa della famiglia e lavora in azienda, svolge soprattutto l’attività di
impagliatura e di imballaggio delle sedie.
Adottando il modello di classificazione degli aggregati sopradescritto, l’aggregato famiglia-
impresa si presenta inizialmente semplice, successivamente l’impresa si trasmette in linea
maschile da Antonio Calligaris al figlio Romeo, mentre il modello è probabilmente multiplo
(padre e figlio) in corrispondenza del passaggio generazionale. Negli anni Sessanta si riscon-
tra il secondo passaggio generazionale, da Romeo Calligaris ai due figli Walter e Alessandro,
l’aggregato in questo caso è una frérèche (cfr. figura n. 4).
Nel 2001 la frérèche si scinde in modo consensuale: Walter Calligaris continua a gestire le
attività immobiliari e l’azienda agricola in cui si producono vino e prodotti cerealicoli, mentre
Alessandro Calligaris continua a gestire l’azienda di produzione e commercializzazione di se-
die e mobili (cfr. figura n. 5). Il modello è nuovamente semplice. La figlia di Alessandro Calli-
garis è laureata in medicina e l’impresa di famiglia non rientra tra i suoi obiettivi. Seguendo il
ciclo di sviluppo dell’impresa si riscontra un aggregato di famiglia-impresa decomplessificato
dalle sue componenti familiari. L’impresa è managerializzata e rinnovata nel suo modello or-
ganizzativo.
Figura n. 4 - Il ciclo di sviluppo della famiglia-impresa Calligaris prima della scissione della frérèche Walter & Alessandro
8 Rielaborazione dell’intervista a Alessandro Calligaris, 2006.
▲ = Ditta Calligaris Antonio
Primo passaggio generazionale
Secondopassaggio
generazionale
Antonio Calligaris1887
Elisa Misano1891
▲ ▲
Calligaris Fabbrica Sediedi Calligaris Walter e Alessandro Snc
Walter1937
Alessandro1945
▲ = ●Ditta A. Calligaris & Figlio di Romeo Calligaris
Romeo1912
Maria Micheloni1916
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quaderno di ricerca 1
Figura n. 5 – La famiglia-impresa Calligaris (2006)
Si tratta di due esempi che, anche se non rappresentativi del distretto nella sua totalità, sono
estremamente significativi visto che l’impresa Calligaris è attualmente la più importante impresa
locale (conta 390 addetti), mentre l’impresa Billiani è una piccola impresa innovativa e dinamica
(conta 11 addetti).
I punti di contatto sono numerosi: il modello di famiglia-impresa originario è il medesimo (ma-
rito e moglie=aggregato semplice), in entrambi gli aggregati è stato applicato il principio della
trasmissione lungo la linea maschile, e, infine, la decomplessificazione (attuale) della famiglia-
impresa dalle sue componenti familiari.
La differenza fondamentale è costituita invece dalla diversa composizione dei nuclei familiari al
momento del primo passaggio generazionale. Entrambi i fondatori hanno infatti cinque figli, ma
con delle differenze di genere sostanziali: i Billiani hanno quattro figli maschi, mentre i Calligaris
hanno un solo figlio maschio.
Nel caso della famiglia-impresa Billiani è evidente che il modello di passaggio generazionale ap-
plicato, il primo passaggio ai quattro figli maschi e il successivo passaggio ai rispettivi figli (cugi-
ni), si è rivelato complesso e ulteriormente complicato dalla congiuntura negativa caratterizzante
gli anni Ottanta: la sovrapposizione delle due crisi, interna ed esterna, ha quindi determinato la
cessazione dell’impresa.
Nel caso della famiglia-impresa Calligaris i passaggi generazionali hanno seguito la linea ma-
schile, tuttavia il primo passaggio generazionale ha riguardato l’unico figlio maschio, mentre il
secondo passaggio ha riguardato i due figli maschi che, successivamente, hanno optato per la
scissione della frérèche in due rami distinti.
Calligaris SpA
=
=
▲= =
▲ =
RomeoCalligaris
Walter
Michele Voncini1962
Laura1974
RenataBernardis
Alessandro1945
Pia Olivo1946
MariaMicheloni
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concLuSIonI
Lo sviluppo della manifattura della sedia nel “triangolo” risalirebbe al 1879 in corrispondenza
della migrazione dei seggiolai marianesi (provincia di Gorizia) nel “triangolo della sedia” (pro-
vincia di Udine). La fissazione del nuovo confine tra l’Italia e l’Austria nel 1866 aveva separato
i seggiolai marianesi dai mercati di sbocco: la crisi che contraddistingue il settore culmina con
l’introduzione dei dazi doganali nel 1878 e la conseguente migrazione dei seggiolai marianesi
nel “triangolo”. Il grande sviluppo risale agli anni Cinquanta e Sessanta con un andamento che
appare inarrestabile fino alla crisi degli anni Ottanta, mentre dagli anni Novanta si registra una
contrazione delle imprese. La famiglia-impresa è un aggregato che, in passato, è stato signi-
ficativo dell’interpenetrazione tra l’attività produttiva e la comunità di riferimento nel processo
di industrializzazione dell’area. Dall’indagine effettuata, l’aggregato della famiglia-impresa si è
rivelato un modello di difficile gestione, soprattutto a causa della sopravvenuta emancipazione
dai modelli familiari tradizionali, dell’attenuazione della cultura patriarcale e della minore rilevanza
assunta dalla gerarchizzazione per sesso e per età, fattori che contribuivano a (ri)determinare gli
equilibri all’interno dell’aggregato.
La grande trasformazione indotta dalla globalizzazione nell’ultimo trentennio ha reso necessario
competenze non sempre disponibili all’interno della famiglia-impresa e l’apertura dell’impresa a
professionalità esterne. Nei due casi analizzati la decomplessificazione degli aggregati, con la
scissione e la cessazione d’impresa, ha costituito la via d’uscita dalle difficoltà riscontrate, sia
dal punto di vista economico che a tutela dei buoni rapporti familiari. L’analisi dei cicli di sviluppo
della famiglia-impresa registra la varietà-variabilità della struttura nel tempo: fondazione, cresci-
ta, cessazione, eventuale rifondazione ecc. La continuità espressa dalla rappresentazione dei
cicli di sviluppo della famiglia-impresa implicitamente incorpora la discontinuità.
BIBLIoGrAFIA
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Finito di stampare nel mese di settembre 2013presso la LithoStampa Pasian di Prato - Udine