Post on 17-Feb-2019
PROGRAMMA ESAMI DI IDONEITA' ECONOMIA POLITICA
INDICE
I SISTEMI DI APPLICAZIONE DELLE IMPOSTE
LA CURVA DI PHILLIPS
IL MERCATO DEL LAVORO
LA FORMAZIONE DEI PREZZI
I BISOGNI PUBBLICI
L’INVESTIMENTO
I SISTEMI DI APPLICAZIONE DELLE IMPOSTE
POLITICHE COMMERCIELI: PROTEZIONISMO E LIBERALISMO
IL P.I.L.
IL DEBITO PUBBLICO
LA MONETA
IL CICLO ECONOMICO
I SISTEMI DI APPLICAZIONE DELLE IMPOSTE 1- I REQUISITI DELL'APPLICAZIONE DELLE IMPOSTE:
L'equa distribuzione del carico tributario non deve essere intesa solo in
astratto, con riferimento alle forme di prelievo, ma attuata in concreto con
riferimento all'applicazione delle imposte nei confronti dei contribuenti.
Un sistema di tributi può essere in teoria adeguato, ma in pratica ingiusto
per scarsa chiarezza o complessità di gestione, e quindi non assicura il
prelievo in maniera esatta e uguale per tutti.
In concreto devono essere garantiti sia l'interesse del cittadino (con
un'imposizione corretta e non arbitraria) e quello della PA (Pubblica
Amministrazione) a ottenere ciò in modo rapido e poco costoso.
Per soddisfare ciò ci vogliono 2 fondamentali requisiti:
1) la regolamentazione dell'imposta deve essere chiara e facilmente
comprensibile, infatti le norme poco chiare portano a diverse
interpretazioni e quindi ad una disparità di trattamento nell'applicazione
dei tributi, sono fonte di controversie con dispendio di tempo e risorse, e
poi offrono occasioni per eludere l'osservanza egli obblighi fiscali.
2) le modalità del prelievo devono essere semplici e poco costose sia per
gli uffici fiscali che per il contribuente, la complessità porta per la PA un
impegno di mezzi a costi elevati e sproporzionati rispetto al gettito
dell'imposta, e per il contribuente comporta altri adempimenti che
rendono ancora + gravoso l'onere del prelievo e costituisce un incentivo
all'evasione.
2- PROCEDIMENTO APPLICATIVO DELLE IMPOSTE:
Il procedimento per il prelievo dei tributi è regolato da una serie di atti
connessi tra loro, posti in essere sia dal contribuente, nell'adempiere i
doveri, sia dagli uffici fiscali, nell'esercizio dei loro poteri. La gestione
amministrativa avviene in 3 fasi:
1) accertamento: comprende le operazioni mediante le quali il credito
dell'amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti viene
reso certo è liquido.
2) riscossione: operazioni dirette ad ottenere il pagamento dell'imposta
da parte del sogg. passivo o l'esecuzione forzata nel caso di
inadempimento. Con la riscossone si estingue l'obbligazione tributaria
e si conclude il rapporto tra ente e contribuente.
3) versamento: ha luogo quando l'incaricato della riscossione consegna
le somme riscosse all'uff. che gestisce il sevizio di cassa dell'ente
impositore.
In tutte le fasi deve essere osservato il principio di legalità, cioè le
operazioni devono essere svolte nell'osservanza della legge.
3- SISTEMI DI ACCERTAMENTO:
Comprendono le operazioni dirette a verificare l'esistenza e l'entità della
materia imponibile e la misura dell'imposta da pagare. Si distinguono 2
momenti: la determinaz. dell'imponibile e la liquidazione dell'imposta.
A seconda dell'elemento su cui viene fondato, l'accertamento può avere
carattere analitico o intuitivo.
Accertamento analitico: consiste nella rilevazione di tutti gli elementi
che compongono la materia imponibile, questi devono essere certi e
documentati, che vengono determinati secondo specifici criteri di
valutazione stabiliti dalla legge. Questo metodo è aderente alla realtà in
quanto determina l'imponibile nella sua consistenza effettiva, ma è molto
costoso e impone grandi oneri per l'obbligo di documentazione, inoltre
spesso i risultati non sono certi per le difficoltà tecniche nell'individuare e
valutare gli elementi.
Accertamento intuitivo: è fondato su elementi esteriori che, se accertati
con sicurezza, sono considerati attendibili indizi dai quali si desume
l'esistenza e l'entità di una data materia imponibile, che si avvicina a
quella reale con un margine di approssimazione. Questo metodo è poco
costoso e semplice, usato quando, in mancanza di documentazioni non è
possibile accertare analiticamente l'imponibile effettivo. La legge deve
stabilire in quali casi sia possibile ricorrere a questo metodo.
Accertamento d'ufficio: a iniziativa dell'amministrazione finanziaria o in
base dichiarazione presentata dal contribuente e poi controllata. Questa si
basa su indagini svolte dagli organi fiscali che provvedono a individuare
l'esistenza della materia imp. ed effettuano operazioni per misurare o
stimare l'entità. L'imposta dovuta viene liquidata dagli stessi uff. usata nei
paesi non industrializzati ove i redditi hanno manifestazioni semplici e
facilmente individuabili.
Dichiarazione verificata: stati economicamente sviluppati. Il
contribuente è obbligato a presentare con modalità e tempi previsti dalle
legge una dichiarazione scritta dalla quale risultino gli elementi richiesti
dalle norme per individuare l'esistenza ed entità dell'imponibile. La
dichiarazione e sottoposta a verifica da parte degli uff. che e verificano la
veridicità, i caso contrario si procede all'accertamento in rettifica, con
relative sanzioni. Se il contribuente non la presenta, si fa luogo
all'accertamento d'ufficio.
Autotassazione: è lo stesso contribuente ad applicare e pagare l'imposta,
mentre gli uff. intervengono dopo. È un vantaggio per l'amministrazione,
perché + semplice, + rapida e - costosa. Se il contribuente non ha
adempiuto ai sui obblighi gli uff. prevedono l'accertamento e la
liquidazione dell'imposta. In questo caso la procedura da luogo alla
formazione di atti amministrativi che devono essere notificati a
contribuente.
4- SISTEMI DI RISCOSSIONE: 2 metodi snelli e poco costosi:
1) versamento diretto: presupposto Autotassazione, il contribuente
dopo ave quantificato l'importo dovuto, è obbligato a effettuare il
versamento di propria iniziativa senza una formale richiesta di
pagamento da parte dell'ente impositore.
2) ritenuta alla fonte: si applica quando il prelievo riguarda redditi di
lavoro e di capitali. La materia imponibile viene assoggettata
all'imposta prima di entrare nella disponibilità del contribuente, il
quale percepisce il reddito al netto del prelievo. è + sicuro del primo.
Questo si divide a sua volta in: 1) ritenuta diretta: quando il reddito è
erogato dallo stato. L'amministrazione nel pagare il contribuente ne
trattiene una parte a titolo d'imposta. C'è quindi una compensazione.
2)ritenuta con obbligo di rivalsa: quando i redditi sono corrisposti da
enti o società che devono tenere una regolare contabilità. Il versam. è
effettuato da colui che corrisponde il reddito ed è considerato sogg.
passivo dell'obbligazione in qualità di sostituto d'imposta (quando
l'imprenditore si sostituisce allo stato e trattiene dalla busta paga del
dipendente le imposte che questo deve pagare). Essendo l'imposta non
a suo carico, questo si rivale nei confronti del contribuente,
trattenendo al momento del compenso l'importo de versamento.
Riscossione per ruoli: ha una funzione residuale e riguarda quei casi in
cui l'imposta è stata oggetto di accertamento in rettifica o d'ufficio. Il
ruolo è un atto plurimo, cioè esplica i suoi effetti nei confronti di una
pluralità di contribuenti. Contiene l'elenco dei sogg., dello stesso comune,
che sono obbligati al pagamento dell'imposta. Il ruolo ha valore di titolo
esecutivo ai fini dell'esecuzione forzata nei confronti del contribuente
Riscossione per bolli: viene attuata per le imposte e tasse il cui
presupposto risulta da documenti scritti (atti notarili, registri),
l'obbligazione tributaria viene adempiuta mediante carta o moduli già
bollati (bollo ordinario) o con l'uso di marche da bollo o bollo a punzone
(b. straordinario) o senza materiale apposizione del bollo (b. virtuale).
LA CURVA DI PHILLIPS La curva di Phillips è una (a seconda dei punti di vista, ipotetica)
relazione inversa tra inflazione e disoccupazione.
L'economista neozelandese Alban Phillips, nel suo storico contributo del
1958 («La relazione tra disoccupazione e il tasso di variazione dei salari
monetari nel Regno Unito 1861-1957»), osservò una relazione inversa tra
variazioni dei salari monetari e livello di disoccupazione nell'economia
britannica, nel periodo preso in esame. Analoghe relazioni vennero presto
osservate in altri paesi e a partire dal lavoro di Phillips, proposero una
esplicita relazione tra inflazione e disoccupazione: allorché l'inflazione
era elevata, la disoccupazione era modesta, e viceversa.
Negli anni immediatamente successivi al contributo del 1958 di Phillips,
diversi economisti nei paesi maggiormente industrializzati furono
convinti del fatto che i risultati di Phillips indicassero una relazione
stabile, permanente, tra inflazione e disoccupazione. Un'implicazione di
questa conclusione per la politica economica sarebbe che i governi
potrebbero controllare inflazione e disoccupazione, tramite una politica
Keynesiana, risolvendo così in generale un problema di trade-off tra i due
obiettivi della politica economica scegliendo un punto sulla curva di
Phillips.
Stagflazione
Tuttavia nel 1970, molti Paesi sperimentarono elevati livelli di inflazione
e disoccupazione; fenomeni noti con il termine di stagflazione. Le teorie
basate sulla curva di Phillips non erano quindi in grado di giustificare tale
osservazione, e la curva di Phillips divenne oggetto di attacchi da parte di
un gruppo di economisti, secondo i quali l'evidente fallimento delle
politiche basate sulla curva richiedesse il ritorno a politiche economiche
non interventiste, di libero mercato. E per questo l'idea che sussistesse
una relazione semplice, prevedibile e persistente tra inflazione e
disoccupazione fu abbandonata da gran parte dei macroeconomisti.
Alcuni studiosi credono che la ragione principale che ha causato il
fallimento della curva di Phillips e la sua origine statistica basata su dati
solo britannici e tedeschi. Altri, invece, dimostrano come il fallimento
della curva di Phillips valga sempre e comunque, proprio secondo
l'indagine empirica e generale base della scienza economica.
La curva di Phillips oggi
Gli economisti più pragmatici continuano ad utilizzare la Curva di
Phillips. Tuttavia, al contrario della curva di Phillips statica che fu
popolare negli anni 60, la nuova curva può sopportare alcuni
cambiamenti, così che seguire una certa politica può avere differenti
risultati in differenti periodi temporali; il "trade-off" può peggiorare
(come negli anni 70) o migliorare (come negli anni 90)
Questioni teoriche
La curva di Phillips iniziò come osservazione empirica in cerca di una
spiegazione teorica. Ci sono molte spiegazioni importanti (major) per
questa regolarità nel breve periodo della curva di Phillips.
Per Milton Friedman c'è una correlazione di breve termine tra shock
inflattivi e occupazione. Quando una sorpresa inflazionistica si verifica, i
lavoratori sono spinti ad accettare comunque una paga più bassa perché
non si rendono conto immediatamente della perdita di potere d'acquisto
dei salari (quindi della caduta del salario reale). Le aziende li assumono
perché vedono che l'inflazione permetta maggiori profitti a parità di
salario nominale. Abbiamo così un movimento lungo la curva di Phillips
come nel cambiamento "A".
A un certo punto, i lavoratori si accorgono che i salari reali sono scesi,
per cui spingono per salari più alti. Questo causa uno spostamento della
curva di Phillips verso l'alto e verso destra, come nel cambiamento "B".
Alcuni economisti rifiutano questa teoria perché implica che i lavoratori
soffrono di illusione monetaria. Comunque, una delle caratteristiche della
moderna economia industriale è che i lavoratori non incontrano i datori di
lavoro in un mercato perfetto di concorrenza perfetta, ma operano in una
complessa combinazione di mercati imperfetti, monopoli, monopsoni,
con presenza di sindacati, e altre istituzioni.
In molti casi, possono mancare di forza di negoziazione per "agire" in
base alle loro aspettative, indipendentemente da quanto sono razionali,
dalle loro percezioni, da quanto sono liberi da illusioni monetarie.
Non è l'alto livello di inflazione che causa la bassa disoccupazione (come
nella teoria di Milton Friedman) né vice-versa. Il basso livello di
disoccupazione incrementa il potere negoziale dei lavoratori,
permettendogli di spingere per maggiori salari nominali. Per proteggere i
profitti, i datori di lavoro alzano i prezzi, per cui la bassa disoccupazione
causa inflazione.
In modo simile, la built-in inflation non è semplicemente una questione di
"aspettative inflazionistiche" soggettive ma riflette anche il fatto che l'alta
inflazione può raccogliere slancio e continuare oltre il momento in cui si
è avviata a causa dell'oggettiva spirale salari/prezzi.
IL MERCATO DEL LAVORO
Il mercato del lavoro è uno degli elementi fondamentali per constatare la
salute di un'economia. Ad una richiesta di lavoro di solito corrispondono:
necessità di aumento della produzione e nuovi salari, quindi maggiori
possibilità di accesso ai consumi.
In un'economia in salute, i salari sono la maggior fonte di domanda.
Quindi il mantenimento di un alto tasso di occupazione e una buona
tenuta dei salari permetterà alle persone di incentivare i consumi. Se i
salari sono la principale fonte della domanda, la produttività lo è per
l'offerta. Se la domanda stimolata dal buon andamento dei salari è forte,
di conseguenza, la produttività deve essere aumentata. Ma nel mercato
attuale questa logica è ben lontana dall'essere seguita. In questi ultimi
anni abbiamo visto che al forte aumento della produttività è corrisposto
un repentino abbassamento dei salari reali, sostituito dalla creazione di
una "domanda artificiale". Questa operazione ha portato ad una forte
disparità economica ed ad una forte concentrazione del valore della
ricchezza, due cose che, come analizzato precedentemente, un sistema
economico deve assolutamente evitare, pena l'avvento di situazioni
recessive o ancor peggio depressive.
L'aumento del potere d'acquisto.
Secondo il Prout, l'ampliamento ed il mantenimento dei cicli di crescita
economica si possono ottenere applicando "la legge dell'aumento del
potere d'acquisto di ogni individuo". L'aumento del potere d'acquisto
costituisce il fattore di controllo in un'economia proutista. Questo fattore
determinante non è mai stato tenuto in debita considerazione dalle teorie
economiche fino ad oggi conosciute con il risultato che intere economie,
nel passato e tuttora, rischiano il tracollo.
Va creato un equilibrio o Prama tra la produttività ed i consumi e
l'elemento che lo stabilisce è l'aumento del potere d'acquisto. Quindi la
produttività, se vuole mantenere il ritmo con la domanda dei consumi,
deve camminare di pari passo con l'aumento del potere d'acquisto delle
persone. Per essere più precisi: se stabiliamo un livello di aumento della
produttività su base annua uguale a 100, il livello di aumento del potere
d'acquisto o del reddito, sempre su base annua, sarà di 100, il quale sarà
sufficiente a sostenere la domanda. La tendenza della pianificazione
economica verso il mantenimento di questo Prama porterà
automaticamente alla massimizzazione della produttività.
La crescita costante del potere d'acquisto delle persone, il mantenimento
dello stato di piena occupazione, se concertato con una sufficiente
competitività delle aziende nel contesto del mercato interno (o nazionale),
impedirà qualunque accenno di inflazione.
I salari e più in generale i redditi delle persone devono essere incentivati
dall'aumento della produttività. Questo non solo permetterà il
mantenimento di un ciclo virtuoso dell'economia ma garantirà una
maggior distribuzione della ricchezza, elemento determinante per
stabilire la Democrazia Economica
LA FORMAZIONE DEI PREZZI
1 DEFINIZIONE
2 DECISIONI, OBIETTIVI E FATTORI CONDIZIONANTI
3 MANOVRE MODIFICATIVE DEL PREZZO
4 PROFILO DI ALCUNE TIPICHE TIPOLOGIE DECISIONALI
1 DEFINIZIONE
IL PREZZO E’ L’ESPRESSIONE MONETARIA DEL VALORE DI UN
BENE / SERVIZIO.
PER IL COMPRATORE IL VALORE E’ DATO DALL’INSIEME DI
BENEFICI ATTESI DALL’USO DEL PRODOTTO, BENEFICI CHE
TRADOTTI IN TERMINI MONETARI COSTITUISCONO IL LIMITE AL
DI SOPRA DEL QUALE L’ACQUISTO NON E’ CONVENIENTE.
Quando si vuole definire il prezzo non si dovrà tener conto solo del
prodotto ma dell’insieme di offerta allargata.
2 DECISIONI, OBIETTIVI E FATTORI CONDIZIONANTI
IL PROBLEMA DELLA DETERMINAZIONE DEL PREZZO E’
AFFRONTATO A 2 LIVELLI DIVERSI:
1. LIVELLO STRATEGICO
2. LIVELLO TATTICO
Nel primo caso la scelta è legata al posizionamento, in cui il prezzo
assume un ruolo fondamentale perché permette al consumatore di
individuare un preciso spazio nella sua mente in cui inserire il prodotto e
differenziarlo dalla concorrenza.
Questa scelta riguarda il lungo periodo e sarà presa ad ex in occasione
della prima introduzione del prodotto, o magari quando sono riformulate
le leve del mktg mix, o, ancora, quando sono apportate delle modifiche al
portafoglio prodotti.
Nel secondo caso la scelta è legata al breve periodo. Si può decidere di
modificare il prezzo per difendersi o attaccare le concorrenti, per smaltire
le scorte di magazzino, ecc…
Essenzialmente le decisioni tattiche avvengono o mediante modifica del
prezzo (in + o in -), o, mediante politiche di sconti.
I fattori sui quali deve basarsi la decisione possono essere dati dai:
• fattori endogeni (mktg mix e struttura interna dei costi)
• fattori esogeni (concorrenza, domanda e intermediari).
•
NATURALMENTE IL PREZZO DEVE TENER CONTO DEGLI
OBIETTIVI DI PREZZO DISTINTI IN PROFITTO O VOLUMI.
L’obiettivo di PROFITTO può essere espresso dal ROS (RETURN ON
SALE = RO/RV) o dal ROI (RETURN ON INVESTMENT = RO / CI).
Questo è quello più diffuso nelle grandi aziende.
L’obiettivo di VOLUME può essere definito dalla dimensione assoluta
delle vendite o meglio dalla quota di mercato %.
LA STRUTTURA DEI COSTI
Data dal rapporto tra CF/CV. Le imprese che hanno una tale struttura
basata prevalentemente sui CF hanno un grado di leverage operativo alto
per cui in fasi di espansione della domanda riescono a vendere maggiori
volumi e ad avere un profitto + che proporzionale. Generalmente queste
imprese puntano su una strategia di volumi anche perché spesso godono
di economie di scala (riduzione del Cmu minimo) per diverse ragioni (ex
economia di scala tecniche, effetto esperienza), ma per avere successo
devono puntare su prezzi bassi.
.
1. IL MARKETING MIX
La fissazione del prezzo deve essere coerente con le altre leve e il
bilanciamento che ne viene fatto. Bisognerà considerare ad ex, i ruoli
svolti dal prodotto, le tipologie dei canali commerciali, le politiche
pubblicitarie e di comunicazione, nonché, i servizi aggiuntivi offerti. Non
dimentichiamo tra l’altro la coerenza dei prezzi dei prodotti appartenenti
alla stessa linea.
2. LA CONCORRENZA
La fissazione del prezzo terrà in considerazione anche le politiche
adottate dalle concorrenti. Quando si opera in un mercato oligopolistico
con poche imprese di grandi dimensioni, esisterà l’impresa leader che
fisserà per prima il prezzo mentre le altre imprese tenderanno a adeguarsi
(imprese leader e follower).
Nei settori in cui la concorrenza è più frammentata, un fattore
condizionanante è rappresentato dalle strategie perseguite dalle imprese
che vi operano: se esse puntano alla leadership di costo il livello dei
prezzi sarà basso potendo addirittura arrivare a una “guerra dei prezzi”,
viceversa, se esse puntano alla differenziazione ci sarà la c.d. non price
competition e il livello dei prezzi sarà più elevato.
3. LA DOMANDA
Il comportamento dei consumatori si riflette nella fissazione del prezzo.
L’analisi della domanda si riflette prima di tutto sullo studio delle
relazioni tra i livelli di prezzo e il volume della domanda, considerando
per prodotto il sistema d’offerta allargata.
Questa relazione è detta elasticità della domanda al prezzo e un settore
può avere un’∈ alta o bassa (così come una specifica azienda). Quando
l’∈ è alta spesso i livelli di prezzo sono bassi e viceversa (nel primo caso
la ↓ dei ricavi unitari è compensata dall’↑ dei volumi e dalla ↓ dei costi
per effetti scala).
Per quanto riguarda la singola domanda dell’impresa il livello dei prezzi
sarà fissato anche in base alle politiche di differenziazione ma è
fondamentale che le variabili sulle quali è esercitata (fattori hard o soft)
siano apprezzati dalla clientela.
4. GLI INTERMEDIARI
I prezzo pagato dal consumatore finale è spesso il frutto di una serie di
ricarichi % scelti dai diversi intermediari commerciali;più è lunga la
catena distributiva, più è difficile per l’impresa produttrice controllare il
prezzo di vendita finale. In tal senso può operare attraverso 2 scelte:
A) stabilire un prezzo imposto che è scritto sulla confezione
B) stabilire un certo prezzo per i dettaglianti e sulla base
dell’esperienza ipotizzare quali saranno i ricarichi degli altri
interm.
Tra queste 2 scelte ce ne sono altre intermedie.
Un’altra considerazione riguarda il potere contrattuale degli stessi in
quanto ad ex ci sono due livelli di prezzi diversi a seconda che l’acquisto
sia effettuato da una grande catena di dettaglio, o da un gruppo di
acquisto collettivo, e da un piccolo dettagliante.
I BISOGNI PUBBLICI I bisogni che lo Stato soddisfa sono chiamati pubblici; essi sono in gran
parte frutto di una scelta operata da chi è al Governo, in base a ciò che
ritiene essere il bene della collettività.
Quando cambia il Governo di un Paese, possono cambiare anche le
politiche da esso adottate, quindi anche le scelte che vengono fatte per
soddisfare i bisogni pubblici.
Nei Paesi in cui c'è una forma di Stato sociale, solitamente lo Stato non
solo garantisce ai più poveri il soddisfacimento dei bisogni primari (cioè
quelli che si devono soddisfare per garantire la sopravvivenza stessa
dell'individuo), ma spesso si occupa anche dei bisogni che servono a
migliorare il tenore di vita di tutti i cittadini (bisogni secondari)
I bisogni pubblici sono esigenze e necessità collettive sentite da tutti i
cittadini, che possono essere:
• mutabili nel tempo e nello spazio,
• innumerevoli perché sentite da un intera collettività.
È per questo motivo che lo Stato fornisce servizi pubblici indistintamente
a tutti, che loro lo richiedano o no.
I bisogni sono individuati dallo Stato in modo astratto, impersonale e
senza una specifica richiesta da parte di gruppi più o meno vasti della
popolazione.
LO STATO COME SOGGETTO ECONOMICO
Possiamo classificare i bisogni pubblici in tre categorie principali:
1) bisogni che corrispondono alle funzioni essenziali dello Stato tipo il
bisogno di difesa dei cittadini nei confronti di aggressioni esterne, il
bisogno di giustizia, ecc.;
2) c'è un insieme di necessità sociali collettive (possono essere soddisfatte
meglio dallo Stato che non dai privati) quali la viabilità;
3) esistono dei bisogni collettivi (dei servizi accessibili a tutti) come i
trasporti, l'istruzione e il servizio sanitario. I servizi pubblici non possono
essere usufruiti talvolta dai singoli individualmente, ma soltanto in
quanto membri della comunità.
Le Forza Armate italiane non difendono personalmente ciascuno di noi,
ma tutti i cittadini nel loro complesso.
I servizi pubblici che presentano questa caratteristica vengono denominati
“servizi generali”.
Vi sono invece altri servizi pubblici usufruiti dai singoli cittadini
individualmente; è il caso dell'istruzione della giustizia.
Questi servizi vengono denominati “servizi speciali”.
Non mancano tuttavia situazioni in cui i due sono uniti nel medesimo
servizio (i trasporti pubblici).
LA TEORIA DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA
Nel linguaggio economico si indica con la domanda e l'offerta il
meccanismo che regolerebbe la formazione dei prezzi in un libero
mercato.
La domanda è la quantità di merce che un individuo è disposto a
comprare a un determinato prezzo. L'offerta e’ la quantità di beni o
servizi posta sul mercato per essere venduta a un determinato prezzo.
La teoria della domanda e offerta è centrale poiché costituisce il
presupposto per la rappresentazione del mercato ideale utilizzato
nell'analisi economica.
Eppure, come si vedrà più avanti, essa comincia a vacillare sotto i colpi
della critica e dei sostenitori dell'economia postcapitalista. In particolare,
alcune osservazioni dell'economista giapponese Oomae Ken'ichi hanno
recentemente ridimensionato questa teoria ormai inadeguata al contesto
internazionale e alla globalizzazione.
La teoria della domanda e dell'offerta ebbe il suo momento d'oro con il
successo della scuola economica dei marginalisti negli anni '70 del XIX
secolo.
I marginalisti contestavano la teoria del valore lavoro che era stata la base
dell'analisi economica. Essi sostenevano che il lavoro speso nella
produzione di una merce è cosa passata che non può avere alcuna
influenza sul valore della merce.
Perciò ignorarono il costo di produzione espresso in ore di lavoro,
considerando esclusivamente il valore d'uso. Dunque l'utilità di un bene
divenne la determinante specifica del valore stesso, ossia il suo costo.
Si aggiungeva a ciò l'interpretazione soggettiva del valore che diede
appunto il nome alla teoria soggettiva del valore. Ricapitolando, i
marginalisti affermano che i prezzi dei beni si formano in un mercato
dove i singoli individui ne richiedono una quantità sulla spinta
dell'esigenza soggettiva.
Questa impostazione psicologista pone come centrali le preferenze del
consumatore e il suo comportamento sul mercato, e fa emergere la
domanda e l'offerta come fondamentale criterio di autoregolazione
dell'economia.
In teoria, il meccanismo dell'equilibrio fra domanda e offerta funziona in
questo modo: quando c'è un eccesso di offerta il prezzo diminuisce finché
la quantità domandata si adegua a quella offerta, se c'è un eccesso di
domanda il prezzo sale finché la quantità domandata si riduce a quella
offerta. Il valore soggettivo è considerato in funzione della quantità
disponibile del bene e misurato alla soddisfazione resa possibile
dall'ultima dose del bene stesso. A questa soddisfazione minima gli
economisti marginalisti danno il nome di utilità marginale.
Ma la teoria soggettiva del valore conteneva i presupposti per la completa
eliminazione di qualsiasi teoria del valore dalla scienza economica. Infatti
questa impostazione rende inutile ogni considerazione dei fattori
psicologici. Gustav Cassel esprime bene questa posizione.
La teoria economica è essenzialmente una teoria dei prezzi. Il suo
compito principale consiste nella spiegazione dell'intero processo
attraverso il quale i prezzi si fissano ai loro effettivi livelli. E' perciò
naturale che, fin dal suo stesso inizio, la teoria debba essere basata sul
concetto di prezzo. Non è necessario, come i vecchi economisti usavano
fare, sviluppare dapprima una speciale teoria del valore e rimandare a una
fase successiva l'introduzione del concetto di prezzo.
Si comprende come la teoria della domanda e dell'offerta, eliminata la
teoria del valore, sia oggi divenuta centrale nella scienza economica
assumendo il ruolo precedentemente svolto da altri concetti.
Eppure, come stiamo scoprendo, la domanda e l'offerta erano soltanto
meccanismi dell'economia che svolgevano un ruolo secondario e
subordinato prima della svolta teorica della scuola marginalista.
In definitiva, il costo di produzione - non già, come spesso si è affermato,
il rapporto tra offerta e domanda - regola necessariamente il prezzo delle
merci. Per un certo tratto di tempo il rapporto che intercede tra offerta e
domanda può certo influire sul valore di mercato di una data merce, fin
che più o meno abbondante non ne divenga l'offerta a seconda che la
domanda sia aumentata o diminuita: effetto questo, per altro, solo di
breve durata.
L'idea che i prezzi delle merci dipendano esclusivamente dal rapporto che
intercede tra offerta e domanda e tra domanda e offerta, divenuta quasi un
assioma dell'economia politica, è stata fonte di parecchi errori nell'ambito
di tale scienza. [...] "Il valore d'ogni merce aumenta sempre in ragione
diretta della domanda e in ragione inversa dell'offerta" [secondo Jean-
Baptiste Say, ndr]. [...] Affermazioni queste, esatte per quanto attiene alle
merci monopolizzate ed anche per quel che concerne il prezzo di mercato
d'ogni altra merce per un periodo di tempo limitato. Se si raddoppia la
domanda di cappelli, ne aumenta immediatamente il prezzo: l'aumento è
però puramente temporaneo se non aumenta il costo di produzione dei
cappelli, cioè il loro prezzo naturale. Se un'importante scoperta scientifica
nell'ambito dell'agricoltura adduce a una diminuzione del 50 per cento del
prezzo del pane, non per ciò si determina un ingente aumento di
domanda, nessuno desiderandone una quantità maggiore di quel che
occorra per soddisfare i propri bisogni; non aumentando la domanda non
aumenta neppure l'offerta: una merce viene infatti offerta, non per il
semplice fatto che è possibile produrla, ma perché viene richiesta.
Con una semplicità disarmante si dimostra che la teoria della domanda e
dell'offerta è soltanto un'ipotesi che trova scarse conferme nella pratica.
L'incertezza della teoria della domanda e dell'offerta viene addirittura
scavalcata dall'economista giapponese di orientamento liberista Oomae
Ken'ichi che propone d'abbandonarla in favore di un'analisi empirica
della nuova economia fondata sul lavoro intellettuale, la rete virtuale di
Internet, la cibernetica e la globalizzazione. Oomae afferma che il prezzo
non è fissato dalla legge della domanda e dell'offerta.
Nella New Economy [il mondo virtuale in cui agisce l'economia
contemporanea] il valore è quasi completamente indipendente dal costo.
Il valore di Microsoft Windows, come quello di una Lexus o di Final
Fantasy (un videogioco di successo), dipende dalla sensazione che il
software produce nell'utente. Se costa poco, è affidabile e compatibile
con altri programmi e computer, il suo valore cresce. Queste
caratteristiche non sono tutte collegate al costo dello sviluppo del
software. E il prezzo di 98 dollari non è fissato dalla legge della domanda
e dell'offerta. A ben vedere, il prezzo di Windows deriva dal suo rango di
piattaforma, e dalle sue possibilità di conservare questo status. A 400
dollari, il prezzo sarebbe stato abbastanza elevato da attrarre altri
concorrenti sul mercato e minacciare la piattaforma. A 20 dollari, il
prezzo sarebbe risultato abbastanza basso da convincere i concorrenti di
poter produrre un'alternativa in grado di offrire un margine più elevato, e
quindi ancora una volta, di minacciare la piattaforma. Bill Gates ha scelto
98 dollari perché è un prezzo abbastanza basso per scoraggiare i
concorrenti nel produrre prodotti alternativi più economici, e abbastanza
alto per generare margini e da convincere gli utenti che vale la pena di
comprarlo. D'ora in avanti i prezzi di beni e servizi dipenderanno dalla
capacità di sfruttare la concorrenza. Chi continua a fissare il prezzo dei
propri beni con un metro di giudizio da vecchio mondo, basato sul costo,
prenderà decisioni sbagliate.
Oomae Ken'ichi reintroduce il concetto di valore e di costo di produzione
riconoscendo implicitamente che la teoria del valore lavoro era in linea di
massima corretta nel vecchio mondo. Ma aggiunge che essa non possa
tenere in considerazione i cambiamenti avvenuti nel sistema economico
contemporaneo. Egli sostiene che la formazione del prezzo non possa
avvenire secondo le propensioni soggettive degli individui, piuttosto sia
fissato dalle organizzazioni economiche più forti (aziende,
multinazionali, istituti finanziari, etc.).
Si passa dunque da una teoria soggettiva del valore a una teoria globale
del valore. Il prezzo viene stabilito dalla concorrenza fra le aziende e
dalla loro capacità di gestire fette sempre più ampie di mercato. Questa
considerazione sposta l'attenzione da un contesto formale che ritiene
liberi gli individui posti nel mercato a un contesto storico che pone in
primo piano il potere delle organizzazioni aziendali e le loro
ramificazioni nel tessuto sociale.
Anche se Oomae Ken'ichi è un sostenitore estremo del liberismo
economico, le sue analisi forniscono ottimi argomenti per comprendere
storicamente lo sviluppo economico. Invece di opporre le differenti
teorie, possiamo convenire che la teoria del valore lavoro è adatta alla
descrizione di una società industriale, la teoria soggettiva del valore è in
parte adeguata a spiegare la società dei consumi di massa, e la teoria
globale del valore è indispensabile per comprendere la società dei servizi
e dell'informazione.
La teoria globale del valore, secondo la quale il valore è indipendente dal
costo ed è fissato dalle organizzazioni aziendali, contraddice e rende
superflua la teoria della domanda e dell'offerta.
Eppure se ci fermassimo qui non avremmo nemmeno sfiorato la
questione principale sollevata da queste osservazioni. Un sistema
economico dove il lavoro non ha più un valore, il prezzo e il profitto non
sono collegati alla produzione, e il mercato non è regolato dalla legge
della domanda e offerta, non può dirsi capitalista.
Infatti sono le definizioni stesse del capitalismo che inequivocabilmente
contraddicono ogni tentativo di riportare questa realtà al vecchio schema
industriale basato sul capitale (possesso dei beni e dei mezzi di
produzione). La gestione della produzione con la tecnica informatica ha
introdotto un elemento virtuale e la smaterializzazione del lavoro.
L'elettronica e la cibernetica hanno svuotato di senso il lavoro materiale.
Il lavoro materiale era prima misurato in ore, l'attuale lavoro intellettuale
viene considerato come una prestazione misurata sull'obiettivo.
Viene pagato il servizio offerto o l'informazione, ciò indipendentemente
dai costi. Però la tecnica informatica rompe la dicotomia fra lavoratore e
mezzi di produzione. Con l'informatica il lavoratore può essere anche il
proprietario dei mezzi di produzione (computer e periferiche). La stessa
rete informatica non ha proprietari ed è condivisa dagli utilizzatori che ne
garantiscono l'esistenza attraverso il loro hardware.
L'economia postcapitalista permette alle grandi aziende una maggiore
penetrazione e pervasività nel mercato attraverso la globalizzazione,
eppure quest'ultima costringe a una estensione della partecipazione che
nessuna multinazionale può controllare. Cade l'opposizione fra chi
produce e chi consuma, in conclusione, fra offerta e domanda.
L’INVESTIMENTO Introduzione
Investimento In economia, impiego di una parte della ricchezza per
sviluppare la produzione (attraverso l’acquisto di macchinari,
attrezzature, materie prime ecc.) oppure per ottenere altri benefici futuri
(interessi, plusvalenze ecc.) attraverso l’acquisto di azioni, obbligazioni,
titoli di credito (detto anche investimento finanziario).
Investimenti, trasferimenti, consumo
Tuttavia, l’investimento finanziario e l’acquisto di beni durevoli (ad
esempio automobili o elettrodomestici), se può rappresentare un
investimento per un singolo individuo o una famiglia, non è tale per
l'economia nel suo insieme. Acquisti e vendite di attività finanziarie
rappresentano meri trasferimenti di ricchezza. Analogamente, l'acquisto
di beni di seconda mano non costituisce alcun incremento netto del
reddito nazionale e, quindi, non è considerato investimento per
l'economia nel suo insieme poiché rappresenta solo un cambiamento nel
possesso di beni esistenti.
Secondo le convenzioni di contabilità nazionale adottate da quasi tutti i
paesi, gli acquisti da parte di singoli individui di beni di consumo
durevoli non sono mai considerati come investimento, ma come 'consumo
privato', poiché si suppone che i servizi che le famiglie ricavano da questi
beni durevoli non si aggiungano al prodotto nazionale o al reddito
nazionale. Analogamente, un'automobile acquistata dalla pubblica
amministrazione non rientra nelle stime degli investimenti.
Per l'economia nel suo complesso l'investimento lordo – o 'formazione di
capitale lordo' nella terminologia della contabilità nazionale – è un
incremento del suo capitale reale, specialmente del suo capitale
produttivo (impianti, macchinari, strumenti, mezzi di trasporto, scorte
ecc.) e del suo capitale umano (compresa la formazione e la ricerca).
Tutti questi investimenti, se si escludono quelli in scorte di materie prime,
rientrano nel concetto di formazione di capitale fisso lordo. Se si
sottraggono gli ammortamenti per il consumo dei beni capitali si ottiene
l'investimento netto o 'formazione di capitale netto'. Quindi, a differenza
di un'automobile acquistata da un privato cittadino, un mezzo di trasporto
acquistato da un'impresa viene considerato investimento, poiché
incrementa il capitale produttivo dell’impresa e del paese.
Determinazione degli investimenti
Per quanto concerne la determinazione del livello dell'investimento
esistono vari approcci. Secondo il 'modello dell'acceleratore'
l'investimento annuo dipende dalla variazione nello stock di capitale
occorrente per determinare una certa variazione nella produzione annua.
Questa idea, se collegata ad altri assunti, riveste un ruolo importante in
alcune teorie dei cicli economici.
La 'teoria neoclassica dell'investimento' considera invece la
determinazione del livello di equilibrio del capitale desiderato in funzione
di variabili come il livello di attività, il prezzo della produzione, il costo
dei beni capitali e il 'costo opportunità' del capitale (il tasso di interesse
che potrebbe venire percepito investendo in attività finanziarie).
L'investimento è quindi determinato dal desiderio di eliminare ogni
divergenza tra lo stock di capitale attuale e lo stock di capitale desiderato
per ogni dato valore delle variabili che determinano quest'ultimo. Si è
cercato più volte di valutare questi rapporti e la 'funzione di produzione'
sottostante ma si tratta di operazioni dense di difficoltà di carattere
econometrico.
Altri approcci enfatizzano l'elasticità delle aspettative dell'impresa, il
ruolo giocato dall'incertezza nel determinare l'investimento, la situazione
di liquidità delle imprese o vari altri fattori. Queste differenti teorie non si
escludono necessariamente a vicenda. Infatti le imprese possono variare i
tempi o il volume dei propri investimenti, la cui determinazione viene
quindi a dipendere in buona parte dal periodo in questione e dalle
circostanze contingenti in cui esse si trovano a operare.
POLITICHE COMMERCIALI: LIBERISMO E PROTEZIONISMO
Gli stessi effetti di una diminuzione del cambio sono ottenibili mediante
sussidi e dazi generalizzati.
I sussidi si traducono in una integrazione dei profitti che nel caso di
incentivazione all’esportazione si applica a chi venda ai mercati esteri: il
profitto unitario netto risulta incrementato per una parte dell’importo del
sussidio, tendendo a indirizzare l’uso delle risorse verso la produzione per
i mercati esteri. I dazi hanno natura e finalità molteplici, sono vere e
proprie imposte dirette che fanno aumentare il prezzo delle merci estere
(entrate fiscali); di norma hanno finalità protettive dei beni e servizi di
produzione nazionale rispetto a quelli di provenienza estera (protezione
tariffaria). Si sono diffusi numerosi strumenti di protezione non tariffaria
rappresentati da:
1. procedure e regolamentazioni spesso in apparenza dirette ad altre
finalità ma che si risolvono in aggravi di costi;
2. contingenti (quote) che consistono nella fissazione di limiti di
quantità fisiche o valutari alle importazioni;
3. limitazioni varie imposte da un paese all’acquisto di merci estere;
4. limitazioni in materia di appalti, concessioni, forniture pubbliche;
5. sussidiazione e altre forme di incentivazione alle esportazioni come
la svalutazione.
Gli effetti del dazio sono:
1. effetti consumo: il dazio provoca un aumento del prezzo che riduce il
consumo interno;
2. effetto produzione: il dazio provoca un aumento del prezzo che fa
aumentare l’offerta interna;
3. effetto importazione: come conseguenza degli effetti precedenti, le
importazioni si riducono;
4. effetto entrate fiscali: le imposte aumentano in misura pari
all’aliquota del dazio moltiplicata per la quantità importata;
5. effetto redistribuzione: i consumatori pagano un maggior prezzo ai
produttori nazionali e il dazio allo Stato.
Il contingentamento delle importazioni viene imposto attraverso la
concessione di licenze ad operatori (imprese o consumatori). Questa
misura di controllo ha effetti simili a quelli dei dazi e dei sussidi
all’esportazione, ma con il contingentamento tendente a ridurre le
importazioni il governo non riceve introiti fiscali ma nemmeno ha spese.
Il contingentamento comporta una redistribuzione di reddito a danno dei
consumatori e a favore degli importatori che godono di rendite di
contingentamento.
Un’altra forma di protezionismo è costituita dalle limitazioni volontarie
alle esportazioni che sono contingentamenti introdotti dal paese
esportatore; simili alle limitazioni volontarie sono gli accordi per mercati
ordinati che sono restrizioni volontarie alle esportazioni che coinvolgono
simultaneamente più paesi. Il requisito di contenuto nazionale minimo
della produzione è una limitazione che accresce la quota di valore
aggiunto locale dei beni importati: anziché importare parti componenti
destinate soltanto ad essere assemblate nel paese, essi tendevano a
stimolare la produzione locale di qualche componente.
Altre forme di protezione della produzione nazionale dalla concorrenza
estera sono crediti agevolati all’esportazione, assicurazione dei crediti
all’esportazione, preferenze agli operatori nazionali nelle commesse
pubbliche, limitazioni amministrative a fini di igiene e sanitari etc…
Il fondamento scientifico del liberismo sta nei vantaggi della
specializzazione a livello internazionale con il principio dei costi
comparati (David Ricardo): se due paesi hanno diversa abilità relativa nel
produrre due beni (si riflette nei costi comparati di produzione) potrà
convenire loro di specializzarsi, ognuno producendo soltanto il bene il cui
costo è comparativamente minore e scambiare l’eccedenza della
produzione di quel bene rispetto alla domanda interna per procurarsi la
quantità desiderata dell’altro bene, prodotto dall’altro paese. Questo
principio presenta delle limitazioni dovute alla natura statica dell’analisi,
alla mancata considerazione delle condizioni di offerta e all’ipotesi di
piena occupazione.
Giustificazioni del protezionismo
1. la difesa delle industrie nascenti: il paese che protegga un’industria
nascente può con il tempo acquisire la capacità ed esperienza e porsi in
condizioni di competere con vantaggio con il paese che abbia iniziato
prima la produzione o finanche pervenire a una posizione di superiorità.
È il caso nel quale esistano economie di scala dinamiche derivanti da
processi di apprendimento, sono legate alla produzione cumulativamente
effettuata nel tempo. La loro esistenza dà luogo alla curva di
apprendimento. Il vantaggio della protezione sta nel fatto che mentre si
riduce la possibilità per la produzione estera di espandersi ulteriormente
sul mercato nazionale, la parte del mercato servita dalle imprese nazionali
si allarga e la quantità totale da esse prodotta può crescere. Con la
protezione possono essere pure presenti effetti esterni positivi (spillover)
sul sistema produttivo del paese.
2. protezione come strumento per migliorare la ragione di scambio: il
dazio è un imposta indiretta e da luogo a traslazione. Il fenomeno è
improbabile quanto maggiore è l’elasticità della domanda; l’elasticità
dell’offerta può essere bassa e questo fattore tende a ridurre la traslazione
del dazio sul prezzo. Una rigidità dell’offerta significa che l’impresa è
disposta a vendere la stessa quantità a un prezzo minore. Ciò è dovuto
all’importanza per l’esportatore estero del mercato del paese che
introduce il dazio, e al fatto che il bene viene prodotto in condizioni di
accentuate economie di scala. Se si mantiene il prezzo dopo
l’introduzione del dazio, la ragione di scambio (RS=px e/pm) migliora
per il paese considerato. Perché il prezzo è al lordo del dazio, togliendolo
la RS diminuisce; quindi il dazio migliora la ragione di scambio anche
nel caso in cui esso venga traslato sul prezzo.
3. la difesa del lavoro straniero a buon mercato: riguardo al problema
della protezione generale dell’industria minacciati dal basso costo del
lavoro esistente all’estero che rende non competitive le attività nazionali
che non siano protette. La tesi è sostenuta in relazione al problema del
dumping sociale, la concorrenza sleale esercitata in molti paesi, in virtù
del fatto che il costo del lavoro in essi sarebbe basso per effetto della
scarsa protezione sociale dei lavoratori.
4. come ausilio ad una politica per l’occupazione: in una situazione di
disoccupazione, il protezionismo può essere uno strumento capace di
riportare il sistema stesso alla piena occupazione. Si può vedere che il
moltiplicatore aumenta se la propensione a importare si abbassa, ciò che
può ottenersi attraverso politiche protezionistiche. Ne consegue che un
dato livello di spesa autonoma porterà a un accresciuto livello della
domanda globale e dell’occupazione. Il protezionismo e la riduzione della
propensione a importare abbassano però il livello delle importazioni del
paese, se l’aumento del reddito che ne consegue è proporzionalmente
minore della riduzione della propensione ad importare. Ma le
importazioni del paese sono le esportazioni del Resto del mondo e quindi
si avrebbe una caduta della spesa autonoma e del reddito del Resto del
mondo; si tratterebbe di una politica che scarica il vicino le difficoltà
interne ovvero che impoverisce il vicino, in quanto l’occupazione del
paese si accrescerebbe a danno di quella degli altri; il protezionismo usato
congiuntamente a politiche monetarie o fiscali espansive, avrebbe
realizzato simultaneamente l’equilibrio interno ed esterno (stessa
importazione aumentando domanda interna e abbassando la propensione).
IL P.I.L.
Il prodotto interno lordo o PIL rappresenta il valore complessivo, al
lordo degli ammortamenti, dei beni e dei servizi che vengono prodotti in
un paese in un certo periodo di tempo (di solito, un anno),
indipendentemente dalla nazionalità dei produttori. Nella maggior parte
dei paesi sviluppati il prodotto interno lordo viene oggi considerato
l'indicatore più appropriato dell'attività economica; fino ai primi anni
Novanta, Germania, Giappone e Stati Uniti utilizzavano un altro
indicatore: il prodotto nazionale lordo (PNL).
Calcolo del PIL
Il PIL è uguale al consumo privato più gli investimenti, più la spesa
pubblica, più la differenza tra esportazioni e importazioni. I diversi settori
economici (agricoltura, industria e servizi), contribuiscono alla
determinazione del PIL in misura differente. Nella maggior parte dei
paesi industrializzati, al PIL contribuiscono per il 60-70% i servizi, per il
25-40% il settore industriale e per meno del 5% quello agricolo.
Il PIL viene solitamente calcolato in base ai prezzi di mercato. Sottraendo
le imposte indirette e aggiungendo i sussidi pubblici alle imprese, il
valore del PIL viene invece espresso in relazione al costo dei fattori; in
quest'ultimo caso si ottiene un'indicazione più precisa circa il reddito
attribuibile ai fattori di produzione. Il PIL può inoltre essere espresso in
base a prezzi costanti oppure correnti (che includono la componente
dell'inflazione).
Il PIL può essere ottenuto in tre modi: sommando il valore di tutti i beni e
i servizi prodotti; sommando la spesa in beni e servizi; sommando le
remunerazioni dei fattori produttivi. In realtà, è impossibile quantificare il
PIL in misura precisa: esiste, infatti, in tutti i paesi, un'economia
sommersa che, non essendo stimabile, non può essere presa in
considerazione nel calcolo del PIL.
Tuttavia il PIL di un paese non corrisponde al livello di benessere dei
suoi abitanti, che viene invece misurato dal prodotto pro capite.
Un indicatore del tenore di vita di un paese è appunto il PIL pro capite,
che viene calcolato dividendo il PIL per il numero di abitanti. Per fare dei
confronti tra i diversi paesi, questo valore viene spesso convertito in
dollari statunitensi. Se il PIL cresce a un tasso superiore a quello della
popolazione, il tenore di vita del paese registra un miglioramento, e
viceversa.
Poiché il PIL pro capite non tiene conto delle differenze del costo della
vita nei vari paesi, alcuni ritengono più rappresentativa una valutazione
del tenore di vita sulla base del PIL espresso in termini di parità dei poteri
d'acquisto (PPA).
Un altro importante indicatore è l'Indice di sviluppo umano (ISU), che è
stato proposto per la prima volta nel 1990 dal Programma delle nazioni
Unite per lo sviluppo programmato (UNDP) e che considera il PIL pro
capite, l'alfabetizzazione della popolazione adulta e la durata media della
vita.
IL DEBITO PUBBLICO
IL Debito pubblico corrisponde all’Ammontare totale di moneta dovuto
da uno stato alla sua popolazione, ad altri stati o a istituzioni
internazionali, quali la Banca internazionale per la ricostruzione e lo
sviluppo. In Italia, il debito pubblico viene contratto a livello nazionale
dal governo centrale e a livello locale dagli organi amministrativi
regionali, provinciali e comunali.
Il debito pubblico nazionale viene creato principalmente mediante
l'emissione di prestiti fruttiferi (con pagamento di interessi) rappresentati
da titoli, in particolare obbligazioni. Storicamente, tali prestiti venivano
contratti dagli stati soprattutto per raccogliere fondi destinati a condurre
guerre o a finanziare opere pubbliche, cioè sostanzialmente per coprire
spese straordinarie o investimenti pubblici.
In epoche più recenti i governi sono ricorsi sempre più frequentemente al
prestito anche per finanziare le spese ordinarie dello stato, o per cercare
di migliorare le condizioni economiche combattendo la disoccupazione e
la depressione; tali spese sono sempre più frequentemente in disavanzo
(ossia non sono coperte da entrate), e vengono finanziate emettendo
nuovi titoli, che accrescono ovviamente l'ammontare del debito.
Non tutti concordano sull'opportunità di mantenere un debito pubblico
elevato, che può risultare inflazionistico. Tuttavia, nel giudicare la
situazione del debito, più che il suo ammontare assoluto, occorre
considerare la capacità di una nazione di provvedere al rimborso e al
servizio del debito (cioè al pagamento degli interessi); infatti i fondi
occorrenti per il servizio e il rimborso devono venire prelevati da ciò che
una nazione produce annualmente (cioè dal suo prodotto interno lordo o
PIL) ed è quindi essenziale che si mantenga una certa proporzione fra il
debito pubblico e il PIL.
Non esistono però criteri fissi per stabilire tale proporzione; in effetti,
oggi il debito pubblico raggiunge in tutti i paesi percentuali elevate del
PIL, fino a oltre il 100%, e tale situazione si può sostenere in quanto i
titoli del debito pubblico hanno scadenze molto lunghe o possono venire
rimborsati alla scadenza emettendo nuovi titoli, cioè contraendo nuovi
debiti che sostituiscono quelli estinti; è ovvio che un simile meccanismo
consente anche di trasferire di fatto l'onere del debito alle generazioni
future.
Più significativo, dal punto di vista economico, è osservare la relazione
fra il disavanzo (o deficit) di bilancio e il PIL. Il disavanzo costituisce
l'eccedenza delle uscite sulle entrate del bilancio di uno stato in un
determinato anno, e va ovviamente tenuto distinto dal debito pubblico,
che è dato dalla somma accumulata di tutti i disavanzi di bilancio che si
sono verificati in passato; ovviamente esiste una relazione fra il debito
pubblico e il bilancio, soprattutto in quanto gli interessi sul debito
pubblico vengono a pesare sul bilancio dei singoli esercizi, per i quali
rappresentano uscite, e contribuiscono quindi a creare disavanzi. Un
disavanzo di bilancio pari al massimo al 3% del PIL è uno dei criteri
fondamentali posti dal trattato di Maastricht per l'ammissione di un paese
all'Unione monetaria europea.
TIPI DI DEBITI
La principale classificazione del debito pubblico nel sistema delle finanze
pubbliche italiane è quella fra debito fluttuante e debito consolidato. Il
primo è una forma di finanziamento con scadenze brevi (da 3 a 12 mesi),
destinato a far fronte a esigenze momentanee di cassa dello stato e creato
mediante l'emissione di buoni del tesoro ordinari o il ricorso a prestiti
della Banca d'Italia o di altre istituzioni creditizie; è amministrato dal
Tesoro. Il debito consolidato in origine era garantito da un fondo, detto
consolidato, che raggruppava varie entrate; oggi il debito consolidato è
venuto praticamente a coincidere con il debito a lunga scadenza e può
essere di due tipi: redimibile e irredimibile. Nel primo caso lo stato si
impegna, oltre a pagare gli interessi, anche a rimborsare il capitale alla
scadenza; il titolo che rappresenta questo tipo di debito è detto
obbligazione; nel caso del debito irredimibile lo stato è obbligato a pagare
gli interessi ma non a rimborsare il capitale e il titolo che lo rappresenta è
detto rendita.
Il debito pubblico si estingue col rimborso dei titoli, alla data di scadenza
o anteriormente, mediante sorteggio; per estinguere quote di debito
pubblico lo stato può anche acquistare i titoli in borsa o esercitare
l'opzione di rimborso anticipato, se le clausole di emissione del titolo lo
prevedono.
Sebbene in genere i prestiti governativi non siano coperti da effettive
garanzie reali, vengono considerati dalla legge come contratti, con
l'obbligo di pagamento da parte del debitore. Talora però gli stati, in
situazioni di forti pressioni causate da gravi crisi economiche o
turbolenze politiche, sono ricorsi all'estremo rimedio di disconoscere il
proprio debito pubblico per intero o in parte.
LA MONETA
Come scrive il premio Nobel Samuelson:
« la moneta, in quanto moneta e non in quanto merce, è voluta non per
il suo valore intrinseco ma per le cose che consente di acquistare. »
(Samuelson, Economia, Zanichelli, 1983, pag. 255)
Per moneta si intende dunque ogni oggetto materiale o entità astratta che
svolga le funzioni di:
• misura del valore (moneta come unità di conto);
• mezzo di scambio nella compravendita di beni e servizi (moneta
come strumento di pagamento);
• fondo di valore (moneta come riserva di valore);
• riferimento per pagamenti dilazionati (funzione implicita nelle tre
precedenti).
La funzione "centrale" della moneta è comunque quella di strumento di
pagamento, visto che tutte le altre funzioni sono o conseguenza di tale
funzione o condizione favorevole per lo svolgimento di questa funzione
stessa.
Mentre nell'antichità esistevano soltanto le monete metalliche, consistenti
solitamente in dischi di varie dimensioni e composizione, usati come
strumenti di pagamento o tesaurizzati, nelle economie moderne alla
moneta metallica si è affiancata o sostituita la moneta cartacea, più facile
da produrre e utilizzare, nonché diverse altre tipologie di "monete"
immateriali, a cominciare dal deposito bancario (in quest'ultimo casi si
parla di "moneta" intesa in senso lato, come strumento di pagamento
complementare rispetto alla moneta in senso stretto).
necessario fare un'importante distinzione tra il concetto di denaro e quello
di moneta.
Il denaro è il circolante accettato del mercato, ossia da tutti, in un distinto
periodo storico. I gettoni telefonici, i miniassegni degli anni '70, le
caramelle date di resto al bar, le hours di Ithaca (N.Y.) sono un esempio
di denaro. In antichità, prima della nascita della moneta in senso stretto, il
denaro era costituito da svariate tipologie di oggetti e non solo: semi di
cacao, conchiglie, barrette di ferro, spiedi, sale (da cui "salario") e così
via.
La moneta (in senso stretto) è il circolante emesso dallo stato in un
distinto periodo storico. La moneta quindi fa parte della categoria del
denaro fino a quando viene accettata dal mercato. Le monete fuori corso e
le monete svalutate non sono più denaro in quanto nessuno le accetta
IL CICLO ECONOMICO
l ciclo economico è l'alternanza di fasi caratterizzate da una diversa
intensità dell'attività economica di un Paese o di un gruppo di Paesi
economicamente collegati.
Fino ai primi decenni del XX secolo, il principale indicatore del ciclo era
il livello dei prezzi, che subiva forti oscillazioni. Successivamente è
iniziata una fase, che ancora dura, in cui il livello dei prezzi mostra un
andamento continuamente crescente; l'attenzione si è quindi spostata sui
livelli della produzione e dell'occupazione e, una volta definiti dopo la
seconda guerra mondiale standard internazionali di contabilità nazionale,
si usa la variazione del PIL come principale indicatore.
Nei cicli economici vengono individuate le seguenti fasi:
• fase di prosperità, o boom, nella quale il PIL cresce rapidamente;
• fase di recessione, individuata da una diminuzione del PIL in
almeno due trimestri consecutivi;
• fase di depressione, in cui la produzione ristagna e la
disoccupazione si mantiene a livelli elevati;
• fase di ripresa, in cui il PIL inizia nuovamente a crescere.
Quanto alla durata delle fasi, si sono individuati tre modelli principali:
• ciclo breve di Kitchin, basato sulle variazioni delle scorte e avente
durate breve, da 3 a 5 anni;
• ciclo medio di Juglar, basato sulle variazioni del credito e delle
riserve bancarie, di 7-11 anni;
• ciclo lungo di Kondratiev, di durata nettamente maggiore; secondo
Simon Kuznets, si sono avuti i seguenti cicli di Kondratiev:
o rivoluzione industriale, dal 1787 al 1842, con un boom nel
1787, una recessione nell'epoca delle guerre napoleoniche,
una depressione durata dal 1814 al 1827, poi una lenta
ripresa;
o ciclo "borghese", dal 1843 al 1897], con un boom nel 1842
favorito dalla diffusione delle ferrovie, una recessione fino al
1857, una depressione fino al 1870 ed una successiva fase di
ripresa;
o ciclo "neo-mercantilista", dal 1898 al 1950 (circa), iniziato
con la diffusione dell'energia elettrica e dell'automobile, con
una fase di recessione a partire dal 1911 ed una di
depressione dal 1925 al 1935.
Più incerta l'individuazione di cicli successivi, per la scomparsa delle
ampie fluttuazioni dei prezzi che avevano caratterizzato i cicli precedenti
e per la diffusione di politiche anticicliche di tipo keynesiano.