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Prof. Loredana LucarelliSTP CdS Triennale in Psicologia

Psicologia DinamicaAnno Accademico 2019-2020

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Anno Accademico 2019/2020

FASI DEL PROCESSO PSICODIAGNOSTICONELL’ETA’ EVOLUTIVA

PROBLEMATICITÀ DELLA DEFINIZIONE DEI DISTURBI PSICHICI NELL’INFANZIA:

� Impossibilità del bambino piccolo di esprimere verbalmente e in modo più completo il proprio disagio per l’immaturità dei processi di sviluppo

� Disturbo del bambino o disturbo della relazione?

� Difficile inquadramento delle manifestazioni psicopatologiche in un’età caratterizzata da profondi cambiamenti nel funzionamento individuale e relazionale

� Relazione fra manifestazioni psicopatologiche e progressiva organizzazione della personalità del soggetto in età evolutiva

QUESITI E MODELLI NELLA PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO

Il Contributo della Developmental Psychopathology

� La Developmental Psychopathology (Cicchetti, Cohen, 2006), offre una cornice concettuale per studiare la psicopatologia in relazione con i processi e i cambiamenti evolutivi e in riferimento alle tappe dello sviluppo biologico, cognitivo, socio-emozionale.

� La stretta interrelazione tra funzionamento normale e psicopatologico (Sigmund Freud, Anna Freud, John Bowlby), le linee evolutive e le trasformazioni cognitive e socioemozionali (Anna Freud, Jean Piaget) e il ruolo delle relazioni familiari a rischio nell’insorgere della psicopatologia (John Bowlby) offrono un importante framework concettuale per studiare la psicopatologia nell’età evolutiva

� Nello sviluppo cognitivo e socio-emozionale del bambino, le

relazioni genitore-figlio svolgono funzioni regolatrici

fondamentali e assumono un ruolo centrale nell’esperienza

affettiva del bambino.

� Le esperienze passate dei genitori con le proprie figure di

accudimento possono condizionare i modelli di regolazione

affettiva nella relazione attuale con il proprio figlio (Studi

clinici e di ricerca sperimentale: Adult Attachment

Interview e Strange Situation Procedure)

� Nella sua ricostruzione dello sviluppo infantile, Sigmund Freudaveva descritto almeno nelle primissime fasi, un bambinomonadico in uno stato di narcisismo primario; questa visionedel bambino perdura anche nella prospettiva dello sviluppo afasi di Margaret Mahler, che ipotizza una normale faseautistica di iniziale indifferenziazione psichica;

� il principio dell ’ inseparabilità tra il bambino e il suoambiente messo in luce dagli sviluppi della teoriapsicoanalitica delle relazioni oggettuali e della psicologia delSé (Fairbairn; Kohut, 1977; Jacobson, 1974; Winnicott,1971) ha spostato l’angolatura dell’osservazione dall’individuoalla relazione, sia il bambino sia il genitore agiscono l’unosull’altro con stimolazioni e modellamenti reciproci.

Ø In queste formulazioni si intravedono gli sviluppidella ricerca di Mary Ainsworth che metterà apunto la Procedura di osservazione della StrangeSituation per confermare le ipotesi formulate dallateoria dell’attaccamento (Ainsworth et al., 1978).

� Le ipotesi su cui si fonda la Strange Situation sono:esiste un equilibrio tra comportamenti diattaccamento e di esplorazione; questo equilibrio èsostenuto dalla capacità della madre di funzionarecome «base sicura»

� Questa nuova prospettiva viene messa in risalto dallateoria dell’attaccamento di John Bowlby che propone unavisione del bambino sin dall’inizio attivo e biologicamentepreadattato alla ricerca di scambi sociali, che organizza la suaesperienze in rappresentazioni di Sé e degli altri, ModelliOperativi Interni, e che necessita per il suo positivo sviluppodi risposte adeguate al bisogno di legami affettivi e disicurezza.

Contributo della Psicopatologia dello Sviluppo

Ø La disciplina della Developmental Psychopathology (Psicopatologia dello Sviluppo):

ü comprende differenti quadri teorici e sperimentali come lapsicoanalisi dello sviluppo, la teoria dell’attaccamento e la biologiaevoluzionista (adattamento individuo/ambiente);

ü porta in primo piano una prospettiva evolutiva ed ecologica attornoalla complessa interrelazione tra caratteristiche del rischio,dell’individuo o della famiglia coinvolti e del contesto ambientale incui si svolge lo sviluppo del bambino;

ü offre una cornice per concettualizzare il rapporto tra svilupponormale, rischio e psicopatologia, tra continuità e discontinuità dellosviluppo;

ü tiene conto della bilancia fra “fattori protettivi” e “fattori di rischio”presenti nell’ecologia.

Fattori di Vulnerabilità e di Rischio

Ø “Fattori di Vulnerabilità e Fattori di Rischio”:

� sono tutte quelle condizioni che incrementano la probabilità che la persona sviluppi difficoltà nei sistemi evolutivi biologico, cognitivo affettivo e sociale; i Fattori di Rischio e di Vulnerabilità sono sia di natura endogena - il corredo genetico, i processi neurobiologici o le caratteristiche temperamentali - sia di natura ambientale:

� Nascita pretermine da una madre tossicodipendente che ha abbandonato la scuola e la famiglia di origine: combinazione di vulnerabilità e rischio biologico e sociale; questa “costellazione di rischi e vulnerabilità” è spesso associata con disturbi evolutivi a lungo termine (Luthar, 2003).

Fattori di Vulnerabilità e di Rischio

“Rischio cumulativo”ü quando i Fattori di Rischio sono elevati e pervasivi possono

avere effetti cumulativi durante i periodi dello sviluppo, ovvero nelle fasi di transizione e di cambiamento in cui il bambino o l’adolescente sono inseriti in una relazione dinamica reciproca con l’ambiente e si confrontano con nuovi compiti evolutivi e adattivi

ü Una misura di alcuni studi longitudinali sulla prevalenza dei Fattori di Rischio e sugli esiti nello sviluppo evidenzia che i tassi di disturbo nella psicopatologia evolutiva variano dal 2% (zero o un fattore di rischio) al 20% (quattro o più fattori di rischio) (Sameroff et al., 2003)

Resilienza

ØDalla ricerca sulle popolazioni “a rischio” nel ciclovitale, è emerso inizialmente un decorso dello sviluppodeterministico, che risultava inevitabilmente in esitidisadattivi o patologici; in tempi più recenti le indagininell’area della Resilienza e dei Fattori Protettivi hannostimolato una riformulazione sui modelli del deficitambientale, che porta a considerare gli effetti dibuffering (tampone) individuali e ambientali chepossono mitigare gli effetti di condizioni avverse(Rutter, 1985, Luthar et al., 2000)

Ø American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (1995, 1997, 2005)

Ø Obiettivi della valutazione in età evolutiva:

� Identificare le ragioni ed i fattori che hanno portato il bambino alla valutazione;

� Ottenere un quadro del funzionamento evolutivo del bambino (difficoltà/risorse)

� Comprendere i fattori individuali, familiari e ambientali che possono modulare le difficoltà del bambino;

� Stabilire se è presente una atipia di sviluppo;

� Valutare la necessità di un trattamento e sviluppare le linee guida di un percorso terapeutico.

PROCESSO DIAGNOSTICO

ØPer raggiungere i suoi obiettivi, il processo di valutazione diagnostica si articola in situazioni di approfondimento tra loro interconnese:

� monitorare lo sviluppo del bambino negli aspetti maturativi e nel livello di funzionamento adattivo

� esaminare la specificità dei problemi individuali e relazionali

� esaminare il contesto di vita, tenendo conto contemporaneamente del bambino, del caregiver, della relazione tra loro

� valutare se la relazione e il contesto di vita promuovono lo sviluppo del bambinoriconoscendo i suoi bisogni, intenzioni, aspettative e desideri

� cogliere l’interdipendenza tra disturbo individuale, fattori interattivi e sistemi di regolazione che impegnano la coppia genitoriale, la diade bambino-caregiver e la triade madre-bambino-padre in compiti evolutivi e adattivi

Modello Transazionale dello Sviluppo (Sameroff & Emde, 1989)

E1 E2 E3 E4

C1 C2 C3 C4

Fattori in gioco nella genitorialità

Storia evolutiva Personalità Genitorialità

Rete sociale

Caratteristiche del bambino

Caratteristiche dello sviluppo del bambino

Relazioni coniugali

Belsky J., Crnic K., Gable S., 1995

Fasi del processo diagnostico

A. Segnalazione;

B. Colloqui clinici con i genitori (comprensivi dell’anamnesi)

C. Esame psicodiagnostico del bambino (osservazione del bambino, delle dinamiche interattive genitori-bambino, colloquio clinico, somministrazione dei test psicologici)

D. Analisi della valutazione ed elaborazione della diagnosi

E. Stesura del report psicologico-clinico e restituzione ai genitori

Ø Il processo di conoscenza che porta a costruire una diagnosi in psicopatologia dello sviluppo comporta alcuni passaggi necessari:

� classificare un disturbo all’interno di una precisa tassonomia dei disturbi (DSM-IV; ICD-10; CD: 0-3);

� valutare l’organizzazione mentale ed affettiva del bambino in relazione alla sua specifica fase di sviluppo;

� considerare il bambino un soggetto attivo di fronte al suo disturbo;

� considerare il ruolo delle fantasie che sono di sfondo e insite nel disturbo;

� considerare il vissuto della famiglia sia rispetto al bambino, sia rispetto al disturbo;

� considerare la prognosi e i rischi evolutivi.

� La Diagnosi Nosografica pone prevalentemente problemi di diagnosi differenziale tra Disturbi Globali e Disturbi Settoriali (ad es., ritardo mentale, dislessia) e una valutazione della eventuale comorbilità con Disturbi Psicopatologici (ad es.,disturbo d’ansia, disturbo depressivo).

� La Diagnosi di Sviluppo (profilo di sviluppo neuropsicologico) confronta il livello di maturazione raggiunto nelle diverse linee di sviluppo delle funzioni: sviluppo motorio, sviluppo percettivo, sviluppo del linguaggio, sviluppo comunicativo, sviluppo simbolico, sviluppo cognitivo. “Il profilo è uno strumento che permette di individuare deficit settoriali e fornisce un criterio di osservazione dinamica in cui ogni competenza viene valutata in un’ottica di sviluppo non di per sé ma in rapporto alle altre”

� La Diagnosi Psicopatologica descrive, in una prospettiva evolutiva, la progressiva trasformazione/riorganizzazione della personalità come esito dell’adattamento dinamico e continuo con l’ambiente affettivo.

� All’interno del processo di valutazione

psicodiagnostica in età evolutiva, la diagnosi

nosografica consente di classificare il disturbo

del bambino, il profilo di sviluppo descrive

l’organizzazione delle diverse linee di

sviluppo delle competenze del bambino e la

diagnosi psicopatologica descrive la sua

personalità in rapporto alle ansie, alle paure,

alle angosce ed alle difese.

Ø La valutazione psicologica dello sviluppo nella prima infanzia è orientata verso una valutazione multidimensionale che prevede un attento esame:

� delle differenze individuali nello sviluppo del bambino;

� dei profili di personalità dei genitori;

� dell’esperienza interpersonale tra il bambino e i suoigenitori.

“Ogni disturbo si trasforma e cambia in relazione ai

passaggi di fase o ai passaggi di età, questa

trasformazione in rapporto alla crescita è quello che

rende molto difficile l’osservazione e la diagnosi in

età evolutiva”

Quando un “bambino” può essere considerato un “caso clinico”?

Modelli metodologici che potessero essere di aiuto a:

§ discriminare i bambini sani dai bambini con una sofferenza psichica;

§ individuare un determinato disturbo e poterlo così definire nelle sue caratteristiche specifiche (ad es., ritardo mentale, ritardo del linguaggio, disturbo pervasivo dello sviluppo, etc.);

§ distinguere un disturbo dall’altro per poter mirare il tipo di intervento: medico, riabilitativo, psicoterapeutico, educativo;

§ divenire capaci di ricostruire la storia naturale di ogni specifico disturbo;

§ capire come il disturbo nel corso della crescita e maturazione del bambino possa trasformarsi: il bambino di oggi quale adolescente o quale adulto diventerà?

La diagnosi deve fare riferimento alla classificazione

nosografica, alla struttura di personalità del bambino,

alla fase di sviluppo che sta attraversando e a quella

che si appresta ad affrontare.

Il significato del sintomo� Uno stesso sintomo può fare parte di quadri clinici

diversi (ad es., un ritardo del linguaggio è presente nel ritardo mentale, nel disturbo specifico del linguaggio, nel disturbo generalizzato dello sviluppo).

� Un sintomo in età evolutiva ha caratteristiche ambigue: una balbuzie a due anni è fisiologica ed indica una normale riorganizzazione delle competenze comunicative/affettive, ma può anche essere il segnale di un insorgente disturbo di linguaggio, a otto anni la balbuzie acquisisce un altro significato ancora.

� Un sintomo muta di significato, a seconda del contesto ambientale (casa o scuola) assume o meno un significato patologico, come ad esempio il mutismo elettivo che viene segnalato dagli insegnanti ma non dai genitori, perché il silenzio del bambino equivale per i genitori ad avere un figlio buono ed educato.

� Un sintomo si trasforma nel tempo e nel corso della crescita un’ansia di separazione può evolvere in fobia sociale, un disturbo specifico di linguaggio può evolvere in un ritardo lieve, o in un disturbo di apprendimento.

� É necessario capire se i sintomi, segnale del malessere del bambino, sono una variante dalla norma, sono transitori, oppure sono stabili nel tempo.

Capire l’organizzazione mentale del bambino� descrivere le competenze mature;

� stabilire quale competenza è più deficitaria (ad es., il linguaggio);

� considerare le strategie di compenso a quel disturbo (se il bambino non parla, quali strategie usa per chiedere le cose, come gioca...);

� fare un bilancio tra aspetti che funzionano bene e quelli che funzionano male;

� descrivere i rischi rispetto alle competenze emergenti (ad es., le funzioni narrative o l’apprendimento della scrittura);

� descrivere le componenti psicopatologiche (è un bambino aggressivo o un bambino inibito).

Focus del percorso di valutazione

� il problema di base;

� l’interazione tra il problema di base e le funzioni sane;

� come pesi il rapporto tra capacità cognitive e difficoltà settoriali del bambino sulla riorganizzazione neuro-cognitiva complessiva (ad es., in presenza di un disturbo del linguaggio nel bambino);

� la qualità del vissuto emotivo-relazionale del bambino;

� come è organizzata la rappresentazione del mondo esterno e del mondo interno.

Quale diagnosi?� una Diagnosi Nosografica che inserisce il “sintomo”

all’interno di un quadro riconoscibile e confrontabile tra clinici;

� una Diagnosi Funzionale o Profilo di Sviluppo che costituisce il profilo dell’organizzazione delle diverse linee di sviluppo delle competenze e che descrive la tipologia del disturbo attraverso l’analisi dei rallentamenti e delle atipie, nonché dei compensi attivati;

� una Diagnosi Psicopatologica che descrive i vissuti soggettivi tramite il Profilo Affettivo.

� Storia del bambino

� Dati socio-anagrafici: nome, età, posizione nella fratria, grado di scolarizzazione.

� Motivo della segnalazione: chi ha inviato i genitori e il bambino e perché; descrizione del “comportamento problematico” del bambino.

� Anamnesi fisiologica: informazioni sulle prime fasi dello sviluppo: gravidanza ed eventuali eventi morbosi in epoca pre- peri- o post-natale, condizioni del parto, stato neonatale, tappe di sviluppo motorio, linguistico, comunicativo, ritmi psicobiologici ed abitudini nel sonno e nell’alimentazione, controllo sfinterico, sviluppo psico-affettivo (legame di attaccamento e separazione, crisi di collera, paure, uso dell’oggetto transizionale, etc.).

ANAMNESI

� Anamnesi patologica: malattie dell’infanzia, malattie con ospedalizzazioni o eventuali interventi chirurgici, ritardi di maturazione nelle linee di sviluppo (sviluppo psicomotorio, linguaggio e comunicazione, etc.), reazioni di tipo regressivo rispetto al livello di sviluppo precedentemente raggiunto, eventuali disturbi pregressi.

� Scolarità del bambino: età di inserimento del bambino nella scuola ed eventuali difficoltà nell’apprendimento, nel comportamento individuale e nelle relazioni interpersonali con gli insegnanti e con i compagni.

� Tempo libero: attività del tempo libero preferite dal bambino quando è solo o inserito in gruppi ricreativi, sportivi etc.

Ø Anamnesi familiare

� Dati socio-anagrafici: età, condizioni socio-culturali e socio-economiche della madre e del padre. Condizioni fisiche e psichiche attuali e riferite alla propria infanzia ed adolescenza. Adattamento e inserimento della famiglia nella rete di relazioni sociali e nella vita di quartiere, condizioni di vita materiale attuali, eventuali cambiamenti di residenza, etc.

� Storia familiare: informazioni sulla storia delle famiglie di origine dei genitori e del nucleo familiare attuale relativamente a eventi stressanti e dolorosi (aborti, separazioni, divorzi, vedovanze, malattie gravi, lutti, etc.).

� Relazione dei genitori con il bambino: percezioni, distorsioni, atteggiamenti, aspettative del genitore sul bambino e sul suo sviluppo; stili educativi dei genitori e accordo e/o disaccordo esistente nella coppia sul metodo educativo.

� Relazione del bambino con i fratelli: età, salute, scolarità dei fratelli, eventuali rivalità, conflitti, disaccordi.

� Osservazione “non strutturata”: in essa è minimo il grado di informazione e di restrizione posti dallo psicologo al setting di osservazione, alle risposte dei soggetti osservati (bambino e/o bambino-genitori) e alla tecnica di raccolta dei dati. Può riguardare, ad esempio, l’osservazione del gioco libero e spontaneo del bambino, o del bambino e dei suoi genitori;

� Osservazione “strutturata”: fa invece riferimento ad un’osservazione guidata del bambino, in cui lo psicologo varia il comportamento nei riguardi del bambino proponendogli compiti differenziati a seconda dell’età e dello scopo dell’osservazione; i test standardizzati di sviluppo, come ad esempio le Scale Bayles, Brunet-Lézine, Užgiris-Hunt, costituiscono delle situazioni di osservazione “strutturata”, come situazioni predisposte.

Colloquio clinico con il bambino� La prima consultazione in età evolutiva richiede

risposte tempestive e plastiche da parte del clinico per adattarsi sia alle specifiche fasi di vita del bambino, sia alla intensità della sua sofferenza psichica (Alvarez, 1992; Lis, 1993).

� Affinché la diagnosi non risulti una casella rigida e statica, sarebbe utile considerarla come un percorso conoscitivo che attraversa i sintomi, la storia e l’incontro tra noi ed il bambino. L’incontro che il bambino avrà con noi sarà la base di partenza nel tragitto in cui lo introduciamo.

� Per accogliere il bambino, sarà fondamentale costruire uno spazio di “fiducia e sicurezza”, una dimensione che Winnicott definisce spazio mentale potenziale(Vallino, 1998; Winnicott, 1971a). Lo spazio istituzionale dovrebbe funzionare come “madre-ambiente” nell’accoglienza dei bambini: la presa in carico individuale nasce già quando l’operatore, che parla con il bambino, matura “una progettualità mentalizzata” (Fava Vizziello, 2003), in base alla quale costruisce un programma di aiuto.

� In questa cornice di ascolto si colloca il colloquio (cum-loqueri: parlare insieme) nel primo incontro con il bambino. Tuttavia, le differenze psichiche che esistono tra adulto e bambino rendono la costruzione del clima relazionale estremamente complessa.

� Lo psicologo clinico non deve, quindi, essere eccessivamente attivo, né direttivo, ma assecondare il bambino in tutte le sue modalità comunicative, espresse sia con il comportamento sia tramite le parole in quanto, a differenza dell’adulto che spontaneamente racconta la propria storia, il bambino fornisce soprattutto atti simbolici che racchiudono la storia della sua esistenza (Winnicott, 1971b).

� La sensibilità del clinico è rivolta ad aiutare il bambino a percepire il colloquio con lo psicologo come uno spazio protetto, in cui potrà depositare angosce, paure, sentimenti e pensieri su di sé o su eventuali altre persone, contenuti mentali che saranno rispettati e considerati con la dovuta riservatezza.

Uso clinico dei Test in età evolutiva

Ø I test sono di ausilio in clinica perché aiutano a:

� orientare la diagnosi;

� verificare l’ipotesi diagnostica e confermare la diagnosi (ad es., rispetto all’ipotesi diagnostica di ritardo mentale, o inibizione intellettiva);

� discriminare un disturbo da un altro disturbo (ad es., la diagnosi differenziale tra ritardo cognitivo, disturbo specifico di linguaggio, disturbo specifico di apprendimento);

� offrire un limite normativo, quindi un gradiente di gravità del disturbo (ad es., la fascia di gravità del ritardo mentale)

� I test di intelligenza per bambini in età scolare non sono validi per bambini al di sotto di tre anni, poiché in questa fascia di età cambia la padronanza del linguaggio; inoltre l’intelligenza non è una capacita globale e immobile nel tempo. Al di sotto dei 3 anni si applicano le Scale di Sviluppo (Scale Bayley, Unzgiris-Hunt, Brunet-Lézine)

� Attraverso la valutazione cognitiva, si studia come il bambino acquisisca la capacità di pensare, parlare, ragionare, ricordare, ma soprattutto si cerca di individuare a quali cambiamenti il bambino vada incontro nel corso del tempo. Lo sviluppo cognitivo, come viene teorizzato da Piaget e dai post-piagetiani, ha nel corso della crescita un’organizzazione qualitativamente diversa a seconda del momento evolutivo del bambino (Karmiloff-Smith, 1992; Vicari, Caselli 2002).

� il modo in cui il bambino conosce e si rappresenta la realtà subisce continue trasformazioni.

� Le tecniche proiettive sono strumenti utili a fare emergere modalità individuali di risposta che danno indicazioni sul funzionamento mentale, sulla struttura di personalità e sull’esperienza soggettiva del bambino.

� Il metodo proiettivo si basa sulla presentazione di materiale poco strutturato/ambiguo che il soggetto deve ‘interpretare’e le risposte danno indicazioni sui suoi conflitti, bisogni, etc.

� Lo scopo dei test proiettivi è di descrivere il funzionamentopsichico del bambino in una prospettiva dinamica; tuttavia ilriferimento ‘all’inconscio’, a cui si fa ricorso per interpretarele risposte, rende problematica l’oggettività delle descrizionipsicologiche che scaturiscono dai test proiettivi e mette inevidenza la necessità di una particolare preparazionepsicodinamica del clinico che orienta i significati soggettividel materiale (Sommantico, 2006).

� Infatti, elemento di criticità dei test proiettivi è che spessonon forniscono un vero e proprio sistema di codifica conpunteggi, lasciando un grande libertà interpretativa al clinico.

� La complessità della valutazione psicologica è quindi legata all’immaturità/trasformazione della mente del bambino in relazione agli stadi che ne scandiscono lo sviluppo.

� Le richieste “disegna una famiglia”, “racconta una storia”, che vengono effettuate con i test proiettivi, presuppongono il controllo e la maturazione delle abilità visuo-percettive, linguistiche e delle funzioni simbolico-rappresentative: pertanto la risposta va valutata considerando sia la maturità della funzione (tappe di acquisizione del disegno rappresentativo e/o del linguaggio), sia il modo soggettivo e personale di eseguire il compito.