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PRINCIPIO DI PRECAUZIONE E DIRITTO ALLA SALUTE
TRA RESPONSABILITÀ DEL PRIVATO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.
CAPITOLO PRIMO
PROFILI INTRODUTTIVI
1. Premessa…………………………………………………………………………………. 4
2. Le radici etiche del principio di precauzione………………………………………........ 6
3. Precauzione, rischio, incertezza scientifica………………………………………........... 9
4. Itinerario della ricerca……………………………………………………........................ 11
CAPITOLO SECONDO
LE FONTI DI DIRITTO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO. CENNI SULLE
MAGGIORI ESPERIENZE EUROPEE
1. Il principio di precauzione nel diritto internazionale ……………………………………. 14
2. Il dibattito sulla natura giuridica del principio di precauzione nel diritto
internazionale……………………………………………………………………………….. 20
3. Il principio di precauzione nel diritto comunitario …………………………………….. 24
4. L’ambito di applicazione e l’autonomia del principio di precauzione
nella giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee
e del Tribunale di primo grado ……………………………………………………………. 30
5. Le applicazioni del principio di precauzione nella
politica comunitaria di tutela della salute: la sicurezza alimentare …………….............. 35
6. La protezione dall’inquinamento elettromagnetico nella disciplina comunitaria …….. 42
7. Principio di precauzione e diritto alla salute
nella giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee ………………….. 44
8. Le applicazioni del principio di precauzione nella giurisprudenza
del Tribunale di primo grado ............................................................................................ 55
9. Il principio di precauzione negli ordinamenti europei. L’esperienza francese ……….. 58
CAPITOLO TERZO
PRINCIPIO DI PRECAUZIONE E TUTELA DELLA SALUTE NEL DIRITTO
AMMINISTRATIVO
1. Il recepimento del principio di precauzione nell’ordinamento italiano ………………. 64
2. Principio di precauzione e azione amministrativa alla luce della l. n. 241 del 1990 ….. 70
3. Principio di precauzione e tutela della salute nella giurisprudenza della Corte
Costituzionale …………………………………………………………………………….. 72
3.1 La giurisprudenza costituzionale in tema di inquinamento elettromagnetico ………... 83
3.2 La giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di OGM …………………….... 93
2
4. Il principio di precauzione nella giurisprudenza amministrativa……………………… 98
4.1 Gli orientamenti giurisprudenziali in tema di sicurezza alimentare …………………. 106
5. Principio di precauzione e responsabilità della P.A. Cenni sull’esperienza francese … 109
6. Principio di precauzione, diritto alla salute e responsabilità della P.A.
nell’ordinamento italiano. Il problema del riparto tra giurisdizioni …………………….... 112
CAPITOLO QUARTO
IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE NEL SISTEMA DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE
1. Premessa………………………………………………………………………………… 116
2. L’incidenza del principio di precauzione sulla responsabilità civile.
Il dibattito dottrinale in Francia …………………………………………………………... 118
3. Gli obblighi di informazione, prudenza e vigilanza nella legislazione francese ……… 123
4. Alle origini della responsabilità per défaut de précaution:
l’esimente da “rischio da sviluppo” e l’affaire du sang contaminé ………………………. 125
5. L’evoluzione giurisprudenziale in tema di responsabilità del produttore di farmaci ... 132
5.1 Il caso dell’ormone della crescita e dell’isomeride ………………………………….. 133
5.2 Il distilbene ……………………………………………………………………………. 136
5.3 Il vaccino contro l’epatite B …………………………………………………………… 139
6. La teoria dei troubles anormaux du voisinage nella giurisprudenza
sull’inquinamento elettromagnetico da impianti di telefonia mobile …………………….. 145
7. Gli strumenti di tutela nell’ordinamento italiano. Il problema
dell’ammissibilità del danno da esposizione alle onde elettromagnetiche ……………….. 150
7.1 La sentenza della Corte di Cassazione n. 9893 del 2000 ……………………………… 155
7.2 La giurisprudenza successiva alla legge n. 36 del 2001 ……………………………… 159
7.3 Principio di precauzione e disciplina sulle immissioni ex art. 844 c.c. ………………. 162
8. Principio di precauzione e danni da prodotti difettosi ………………………………… 167
8.1 La responsabilità del produttore di farmaci …………………………………………… 171
8.2 La legislazione in materia di sicurezza dei prodotti farmaceutici ……………………. 179
RILIEVI CONCLUSIVI …………………………………………………………………... 183
BIBLIOGRAFIA ………………………………………………………………………….. 187
4
1. Premessa
Sempre più forte è l’esigenza, nella società attuale, di un punto di
equilibrio tra il progresso, momento essenziale nella vita della comunità, e un
ambiente vivibile, protetto da alterazioni.
Il problema, anche quando sembra riferirsi esclusivamente alla tutela
dell’ambiente – cui la riflessione giuridica moderna è particolarmente sensibile –
riguarda il fondamentale diritto alla salute e interessa una molteplicità di
discipline, scientifiche sociali ed economiche.
Il diritto alla salute, infatti, inteso nell’accezione accolta nel Preambolo
della Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, vale a dire non
soltanto come mera assenza di malattie, bensì come stato di benessere fisio-
psichico della persona, non può essere disgiunto dal diritto ad un ambiente
salubre.
Rispondere al quesito se il diritto debba intervenire in ambiti in cui
all’elevata utilità per l’uomo si accompagna il sospetto di un rischio per la sua
salute, quali il trasporto di energia elettrica, la radiotelefonia, l’immissione sul
mercato di organismi geneticamente modificati, farmaci sperimentali,
nanotecnologie, e così via, significa rispondere preliminarmente al quesito se – e
secondo quali criteri – il diritto debba disciplinare ambiti in cui vi sia
5
l’incertezza scientifica. La medesima Corte Costituzionale ha più volte ribadito
che l’incertezza scientifica non è sufficiente per escludere provvedimenti volti
alla salvaguardia della salute umana ex art. 32 Cost.
Da più parti si invoca la necessità di adottare misure cautelative dinanzi a
rischi di danni gravi e irreversibili all’ambiente e alla salute.
L’incertezza non può giustificare l’immobilismo giuridico dinanzi ai
mutamenti, soprattutto nell’ambito scientifico-tecnologico, dove la scienza
contempla una pluralità di previsioni e asserzioni, in alcuni casi opposte.
Emerge, così, l’ulteriore interrogativo di come il diritto possa disciplinare
situazioni in cui gli effetti, soprattutto se a lungo termine, non siano prevedibili
con sufficiente sicurezza. Ad esso si aggiunge il problema delle modalità con cui
dare attuazione alla norma.
Tali esigenze si traducono nell’elaborazione, nel diritto internazionale,
prima, e in quello comunitario, poi, del principio di precauzione, che impone di
assumere come esistente la situazione più pericolosa per la salute umana e di
adottare misure di cautela anche qualora il rischio che si realizzi un danno grave
o irreversibile all’ambiente sia meramente sospettato.
6
2. Le radici etiche del principio di precauzione.
L’idea di precauzione è tutt’altro che nuova per il diritto: con essa,
generalmente si intende una condotta diretta ad evitare un pericolo imminente o
possibile. Nella medesima etimologia del termine (dal latino praecavere, vale a
dire: prestare attenzione prima) è insita l’idea di anticipazione, sul piano
temporale, di una condotta di tutela, consistente in un facere o in un non facere,
dinanzi a un rischio temuto.
Anticipazione, dunque, come carattere essenziale e possibilità di scegliere
quale condotta tenere, come presupposto: tali elementi si riflettono nel contrasto
tra le figure mitologiche di Prometeo ed Epimeteo, i cui nomi,
nell’interpretazione etimologica di Esiodo, corrispondono rispettivamente alla
qualità del “saper prevedere” e al limite del “rendersi conto dopo”.
Il significato moderno di precauzione affonda le sue radici nella phronesis
aristotelica, tradotta ora con “prudenza” ora con “saggezza”, che Aristotele
definisce come la “capacità di deliberare bene su ciò che è buono e vantaggioso
non da un punto di vista parziale, come per esempio per la salute, o per forza, o
per la ricchezza, ma su ciò che è buono e utile per una vita felice in senso
globale”.
La virtù aristotelica confluisce, poi, nella prudenza cristiana teorizzata da
Tommaso d’Aquino, il quale la rinviene nella capacità di agire bene (recta ratio
7
agibilium), virtù intellettuale grazie a cui la ragione si perfeziona nello scegliere
i mezzi coordinati con il fine1.
Affatto diversa è la concezione moderna di prudenza, allorché è perso il
profondo legame tra etica e politica: nel pensiero di Kant la prudenza è costituita
da principi tecnico-pratici, i quali insegnano quali mezzi si devono adottare per
raggiungere un determinato fine e nulla hanno a vedere con la morale.
Occorre attendere il ventesimo secolo, dinanzi all’intervenuta
consapevolezza della fallibilità della scienza e dei nuovi pericoli che essa
comporta, perché si renda necessario ristabilire il legame tra etica e politica ed
emerga una nuova concezione di precauzione che successivamente sarà accolta
nel diritto.
I mutamenti introdotti dall’incessante sviluppo tecnologico hanno messo
in crisi l’etica tradizionale, che, secondo il pensiero di Hans Jonas2, non è più in
grado di leggere la realtà.
La vulnerabilità della natura dinanzi all’intervento dell’uomo è
conseguenza diretta di tali mutamenti: il progresso scientifico ha fatto sì che
1 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, p. I-II, q. 57, a. 4. Secondo l’A., “la prudenza è una virtù
massimamente necessaria alla vita umana. Vivere bene significa agire bene. Ma perché qualcosa sia fatto bene,
non solo è importante ciò che viene fatto, ma anche il modo in cui lo si fa, ovvero secondo una scelta buona e
ponderata, non solo d’impulso o per l’emozione. Ma poiché la scelta riguarda i mezzi rispetto al fine, la scelta
buona e ponderata richiede due condizioni, ovvero un fine appropriato e dei mezzi che con esso siano ben
accordati. L’uomo si dispone ad un fine appropriato grazie a quella virtù che educa il desiderio, il cui obiettivo è
il bene ed il fine. Ma affinché l’uomo si disponga ad un fine appropriato, occorre che sia orientato dalla virtù
della ragione, poiché lasciarsi consigliare e scegliere (azioni queste collegate al discernimento del fine) sono atti
della ragione. E per questo è necessario che ci sia nella ragione una qualche virtù intellettuale, grazie a cui la
ragione si perfeziona nel discernere i mezzi coordinati con il fine. E questa virtù è la prudenza”. 2 H. JONAS, Das Prinzip Verantwortung: Versuch einer Ethik für die Technologische Zivilisation, Frankfurt a.M.,
1979 (Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, 2009), passim.
8
l’uomo possa incidere sull’intera biosfera, provocando danni irrevocabili e
irreversibili.
Sparisce, altresì, il limite della prossimità (o della contemporaneità) del
danno rispetto alla condotta: i nuovi danni si verificano il più delle volte a lungo
termine, a causa dell’“estensione spaziale e temporale delle nuove serie causali
attivate”.
A tali caratteri si aggiunge la “cumulatività”: gli effetti dei danni si
sommano, in modo tale che la condizione delle azioni e delle scelte successive
non è più uguale a quella in cui decide l’agente iniziale, ma risulta diversa da
essa in modo crescente e sempre di più un risultato di ciò che è già stato fatto3.
L’irreversibilità dei danni provocati dallo sviluppo tecnologico è elevata a
fondamento anche nella teoria di Ulrich Beck, secondo cui lo strumento
scientifico deve contemperarsi con quello sociale, tanto nella individuazione e
quantificazione del rischio quanto nella scelta delle misure dirette ad evitarlo4.
Il nuovo concetto di “precauzione”, che sarà accolto nel diritto, dunque,
discende da un’impostazione etica che respinge la tradizionale teoria della
responsabilità, rivolta all’individuo in un’ottica di riparazione successiva
all’azione, per guardare alla responsabilità collettiva, indirizzata all’autorità
3 ID., op. loc. ult. cit.,p. 11. Secondo l’Autore, “l’autoriproduzione cumulativa del mutamento tecnologico del
mondo supera continuamente le condizioni dei suoi singoli atti, passando attraverso situazioni senza precedenti
per le quali a nulla valgono gli insegnamenti dell’esperienza”. 4 U. BECK, Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne, Frankfurt a.M., 1986, (La società del
rischio. Verso una nuova modernità, Roma, 2000, p. 40). L’A. sostiene che: “le indagini scientifiche sui rischi
dello sviluppo industriale rimangono dipendenti da aspettative sociali e orizzontali di valore come per converso,
i conflitti e le percezioni sociali dei rischi dipendono dalle argomentazioni scientifiche”, per cui si potrebbe dire
che “la razionalità scientifica senza quella sociale rimane vuota, ma che la razionalità sociale senza quella
scientifica rimane cieca”.
9
politica, sulla quale ricadono i doveri di prevedere i rischi derivanti da una
catena causale di comportamenti e di agire ex ante.
3. Precauzione, rischio, incertezza scientifica.
Gli echi del dibattito filosofico influenzano l’elaborazione del principio
giuridico di precauzione. Esso, come si vedrà, nasce in un contesto di diritto
internazionale, con riferimento alla tutela dell’ambiente, allorché tanto il
principio polluer-payer quanto quello di prevenzione si rivelano insufficienti
dinanzi alla portata dei nuovi danni.
Pur essendo entrambi diretti ad evitare il concretizzarsi di un rischio in
danno, principio di precauzione e principio di prevenzione agiscono su piani
distinti e autonomi.
Il discrimen sta nell’incertezza che, nel caso della precauzione, ricade
sulla pericolosità della condotta. Il principio di prevenzione, al contrario,
interviene in presenza di rischi scientificamente accertati e dimostrabili,
ovverosia in presenza di rischi noti, misurabili e controllabili.
10
La precauzione va oltre, anticipando la tutela al rischio potenziale ma non
ancora individuato oppure non del tutto dimostrabile per insufficienza o
inadeguatezza dei dati scientifici.
L’opposizione tra prevenzione e precauzione si riflette, pertanto, in quella
tra rischio accertato e rischio meramente sospettato.
Se è vero che in ogni attività umana è insito un rischio, di modo che non
può esistere il c.d. “rischio zero”, l’applicazione del principio di precauzione fa
sì, tuttavia, che l’assenza di piena certezza scientifica riguardo a un rischio
temuto non costituisca la giustificazione della mancata adozione delle misure
volte ad evitarlo.
L’incertezza scientifica, cui fa riferimento la nozione di precauzione così
delineata, è da intendersi in relazione al momento in cui si decide se adottare o
meno una determinata condotta di cautela. Ne consegue che quest’ultima sarà
caratterizzata dalla provvisorietà, in base all’evoluzione dello stato delle
conoscenze scientifiche.
Realtà sociale e realtà giuridica, infatti, sono due aspetti di una stessa
dimensione: talora è la prima che insegue la seconda, sicché il diritto svolge una
funzione promozionale5. Altre volte, al contrario, è la realtà sociale a mutare
5 Doveroso è il riferimento a N. BOBBIO, Sulla funzione promozionale del diritto, ora in Dalla struttura alla
funzione, Milano, 1977, passim.
11
rapidamente, attraverso il progresso scientifico. Il diritto, allora, può reagire
talvolta con sospetto, talvolta con timore, poche volte con entusiasmo6.
Da tali considerazioni non può prescindere l’indagine che si occupi del
rapporto tra scienza e diritto, nelle sue innumerevoli declinazioni.
4. Itinerario della ricerca.
L’analisi prende le mosse dalle fonti, soffermandosi, in un primo
momento, sulle convenzioni di diritto internazionale e sulla normativa
comunitaria, per passare in rassegna le applicazioni concrete del principio di
precauzione nelle decisioni della Corte di Giustizia delle Comunità europee e
del Tribunale di primo grado.
Di qui, il discorso si sofferma sul recepimento del principio
nell’ordinamento italiano, analizzando la giurisprudenza costituzionale e
amministrativa, in modo da inquadrarlo nel sistema delle fonti interne ed
evidenziare le problematiche ad esso legate.
6 In tal senso, G. AUTORINO, Ricerca scientifica, consenso e tutela della persona, in G. Autorino-S. Sica,
Comparazione e diritto civile. Percorsi, Salerno, 2007, p. 53 ss.
12
La costatazione della natura di clausola generale del principio di
precauzione, per cui esso penetra in tutti i settori dell’ordinamento,
coinvolgendo interessi legittimi e diritti soggettivi e rivolgendosi tanto
all’autorità pubblica che ai privati, porta l’indagine a concentrarsi sulla
questione dell’incidenza del principio di precauzione sul sistema della
responsabilità civile, osservandone i rapporti con le categorie tradizionali.
A tal fine, la ricerca conduce un’analisi trasversale sull’evoluzione del
principio nei diversi formanti giuridici, dedicando particolare attenzione alla
comparazione con l’esperienza francese, nella quale il principio di precauzione è
stato e continua ad essere al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale,
senza tralasciare i riferimenti ad altri ordinamenti giuridici, specialmente di civil
law.
13
CAPITOLO SECONDO
LE FONTI DI DIRITTO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO
CENNI SULLE MAGGIORI ESPERIENZE EUROPEE
14
1. Il principio di precauzione nel diritto internazionale.
Le origini del principio di precauzione si fanno unanimemente risalire
all’ordinamento tedesco degli anni settanta, allorché il Vorsorgeprinzip è
adottato al fine di indurre i soggetti economici a prendere provvedimenti contro
l’inquinamento in assenza di certezze scientifiche riguardanti i rischi per
l’ambiente. Le prime positivizzazioni si hanno con la legge sulla protezione
dalle immissioni (Bundesimmissionsschutzgesetz)7 e altre normative,
disciplinanti ambiti quali l’energia nucleare, le biotecnologie e le sostanze
chimiche8.
Nello stesso decennio, il principio in esame è al centro del dibattito
americano in materia di tutela dell’ambiente9.
Successivamente, il principio di precauzione ha trovato riconoscimento
nel diritto internazionale, soprattutto nel settore della tutela dell’ambiente, fino a
quel momento fondato sul cd. “principio della capacità di assimilazione” in virtù
del quale la quantità permessa di emissioni inquinanti è calcolata in base alla
7 L. 15 marzo 174 in BGBl, 1974, III, pp. 2128 -2129. Il § 1 individua lo scopo della normativa nella protezione
di esseri umani, animali e piante, suolo, acqua, ambiente e beni culturali e materiali contro effetti ambientali
negativi e nella prevenzione di effetti nocivi in grado di ripercuotersi sull’ambiente. 8 Si tratta della legge federale sull’energia nucleare del 15 luglio 1985 (Atomgesetz), della legge federale sulla
produzione e il trattamento di sostanze chimiche (Chemikaliengesetz) e della legge federale sulle biotecnologie
(Umweltverträglichkeitsprufungsgesetz). 9 T. PAGE, A Generic View of Toxic Chemicals and Similar Risks, (7) Ecology Law Quarterly, 1978, p. 207 ss.
15
capacità presunta dell’ambiente di assorbire e neutralizzare gli effetti nocivi
delle emissioni in questione. Le difficoltà rilevate dall’elaborazione scientifica
in riferimento tanto alla determinazione, sufficientemente precisa, della quantità
di agenti inquinanti che un dato ambiente è in grado di assorbire senza danno,
quanto alla relazione causale tra le sostanze immesse e gli effetti della
contaminazione ambientale, hanno posto in luce le carenze del principio
suddetto. In ragione di ciò, hanno cominciato così ad affermarsi principi
preventivi e prudenziali, che a loro volta hanno preparato il terreno alla
formulazione del principio di precauzione accolta nelle dichiarazioni finali delle
conferenze sul Mare del Nord.
Un primo riferimento al principio di precauzione si rinviene, sotto forma
di raccomandazione generale, nella Dichiarazione finale della Conferenza delle
Nazioni Unite sull’Ambiente, tenutasi a Stoccolma nel 1972.
A partire dagli anni ottanta, la precauzione assurge a strumento giuridico
privilegiato nelle convenzioni di diritto internazionale in materia di ambiente, si
pensi alle Conferenze Ministeriali per la protezione del Mare del Nord, tenutesi
in seno all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico
(OCSE) nel 1984 e nel 1987.
In quest’ultima si precisa che: “Una strategia di precauzione si impone al
fine di proteggere il Mare del Nord dai potenziali effetti dannosi delle sostanze
più pericolose. Tale strategia può richiedere l’adozione di misure di controllo
16
delle emissioni di tali sostanze prima che sia stabilito formalmente un legame di
cause e di effetto sul piano scientifico”.
Durante la terza Conferenza sulla protezione del Mare del Nord (1990) è
stata emanata una nuova dichiarazione ministeriale che stabilisce che: “i governi
firmatari devono applicare il principio di precauzione, vale a dire adottare
misure, volte a evitare gli impatti potenzialmente nocivi di sostanze che sono
persistenti, tossiche e suscettibili di accumulazione biologica, anche quando non
vi sono prove scientifiche dell’esistenza di un nesso causale tra l’emissione e gli
effetti”.
Dalla tematica della protezione marina, il principio si è esteso in altri
settori della tutela ambientale10
.
Ma la vera consacrazione del principio in campo internazionale si ha nella
Dichiarazione approvata a conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite
sull’Ambiente e lo Sviluppo (United Nation Conference on Environment and
Development – UNCED), tenutasi a Rio de Janeiro dal 2 al 14 giugno 1992, il
cui art. 15 recita: “al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati applicheranno
largamente, secondo le loro capacità, il metodo precauzionale. In caso di rischio
di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve
servire da pretesto per rinviare l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche
in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale”.
10
Si veda la Convenzione di Vienna per la protezione della fascia di ozono del 1985 e il relativo Protocollo di
Montreal del 1987, in 26 I.L.M., 1987.
17
Il principio di precauzione è, poi, richiamato in altre importanti carte
internazionali, quali la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD)11
e la
Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico (UNFCCC)12
. La prima
introduce il principio di precauzione nel Preambolo, dove si afferma che, in caso
di minacce alla conservazione della diversità biologica, la mancanza di piena
certezza scientifica non può giustificare il rinvio delle misure volte ad evitarle o
ridurle13
.
Dalla tutela dell’ambiente, la sua applicazione si è estesa alla salvaguardia
della salute umana e animale in ambito alimentare: il Protocollo sulla
Biosicurezza14
del 28 gennaio 2000 (Protocollo di Cartagena), riguardante il
trasferimento, la manipolazione e l’utilizzazione sicure degli organismi viventi
modificati derivanti dalla moderna biotecnologia, sancisce all’art. 10.6, che “la
mancanza di certezze scientifiche dovute a insufficienti informazioni e
conoscenze scientifiche riguardanti la portata dei potenziali effetti negativi di un
organismo vivente modificato sulla conservazione e l’utilizzazione sostenibile
della diversità biologica nella Parte di importazione, tenendo conto anche dei
rischi per la salute umana, non dovrà impedire a tale Parte di adottare decisioni
11
La Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) è sottoscritta dalla Comunità Europea il 5 giugno 1992. 12
La Convenzione Quadro sul Cambiamento climatico (UNFCCC) è ratificata in Italia con legge 14 gennaio
1994, n. 65. 13
Il testo inglese enuncia che: “where there is a threat of significant reduction or loss of biological diversity,
lack of full scientific certainty should not be used as a reason for postponing measures to avoid or minimize such
a threat”. 14
L’art. 1 enuncia gli obiettivi del Protocollo: “in accordo con l’approccio precauzionale riaffermato dal
principio n. 15 della dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo, l’obiettivo del presente protocollo è di
contribuire ad assicurare un adeguato livello di protezione nel campo del trasferimento, della manipolazione e
dell’uso sicuri degli organismi viventi modificati ottenuti con la moderna biotecnologia che possono esercitare
effetti negativi sulla conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica, tenuto conto anche dei rischi per
la salute umana, e con particolare attenzione ai movimenti transfrontalieri”.
18
adeguate rispetto all’introduzione degli organismi viventi modificati in
questione, di cui al precedente paragrafo 3, al fine di evitare o limitare tali effetti
potenzialmente negativi”.
Diverso è il caso degli accordi commerciali multilaterali, stipulati in seno
all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), nei quali l’adozione delle
misure precauzionali è considerata una deroga al principio della libertà degli
scambi commerciali.
In tal senso, l’Accordo del 1994 sull’applicazione delle misure sanitarie e
fitosanitarie (Accordo SPS) statuisce all’art. 5, par. 7, che: “nei casi in cui le
pertinenti prove scientifiche non siano sufficienti, un Membro può
temporaneamente adottare misure sanitarie o fitosanitarie sulla base delle
informazioni pertinenti disponibili, comprese quelle provenienti dalle
competenti organizzazioni internazionali, nonché dalle misure sanitarie o
fitosanitarie applicate da altri Membri. In tali casi, i Membri cercano di ottenere
le informazioni supplementari necessarie per una valutazione dei rischi più
obiettiva e procedono quindi ad una revisione della misura sanitaria o
fitosanitaria entro un termine ragionevole”.
Sebbene il principio di precauzione non sia espressamente menzionato, il
riferimento alla mancanza di certezza scientifica autorizza una lettura in chiave
“precauzionale”, autorevolmente avallata dall’Organo di Appello
19
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, nella pronuncia sul caso della
carne agli ormoni15
.
Come si evince dal testo dell’art. 5.7, l’interpretazione del principio di
precauzione differisce da quella comunemente accolta nel diritto internazionale
e in quello comunitario16
.
In primo luogo, è sullo Stato che adotta le misure sanitarie precauzionali,
ponendo dei limiti ai traffici commerciali, che incombe l’onere di dimostrare che
tutti i requisiti siano rispettati fino allo svuotamento del principio medesimo: la
legittimità delle misure sanitarie e fitosanitarie poggia non già sull’incertezza
scientifica riguardo all’esistenza di un rischio, bensì sull’accertata nocività di un
prodotto.
Un’ulteriore differenza è costituita dal carattere provvisorio delle misure
precauzionali contemplate nell’accordo SPS, dal momento che nel diritto
comunitario non sono imposti limiti di temporalità alle misure precauzionali, e
soprattutto la natura provvisoria delle misure di precauzione non è collegata al
mero fattore temporale, bensì all’evoluzione delle conoscenze scientifiche.
Più di recente, la Convenzione quadro per la protezione dell’ambiente
marino del Mar Caspio, adottata l’11 novembre del 2003, assegna un ruolo di
15
Secondo l’Organo di Appello dell’OMC: “The precautionary principle indeed finds reflection in Article 5.7”,
in European Communities - Misures Concerning Meat and Meat Products (“ECs - Hormones”), Appellate Body
Report, 16 gennaio 1988, (WT/DS26/AB/R e WT/DS48/AB/R), p. 46. 16
Emblematica di questa contrapposizione è l’impugnazione, di fronte agli organi dell’OMC, da parte degli Stati
Uniti, della normativa comunitaria sull’etichettatura e la tracciabilità dei prodotti geneticamente modificati, sul
presupposto che tale normativa importi oneri eccessivi a carico dei produttori e degli esportatori statunitensi,
essendo sostanzialmente posta a limitare gli scambi con l’Europa.
20
rilievo al principio di precauzione, ponendolo tra i principi informatori. Secondo
l’art. 5, in virtù del principio citato “qualora vi sia una minaccia di danni gravi o
irreversibili per l’ambiente del Mar Caspio, la mancanza di certezza scientifica
assoluta non deve essere usata come pretesto per rinviare misure efficaci per
prevenire tali danni”17
.
2. Il dibattito sulla natura giuridica del principio di precauzione nel
diritto internazionale.
Sebbene le origini del principio di precauzione non possano dirsi recenti,
il problema della sua natura giuridica rimane tuttora privo di una soluzione
largamente condivisa in dottrina, tanto che secondo alcuni esso continua ad
“avanzare una vera sfida teorica a ogni tentativo di classificazione”18
.
A renderne assai difficile la qualificazione è, in primo luogo, l’assenza di
una formulazione univoca, in ragione della pluralità ed eterogeneità delle fonti,
di rango internazionale, comunitario e interno.
17
Il testo originale recita: “In their actions to achieve the objective of this Convention and to implement its
provisions, the Contracting Parties shall be guided by, inter alia, the following principles:
(a) the precautionary principle, by virtue of which, where there is a threat of serious or irreversible damage to the
Caspian Sea environment, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing cost-
effective measures to prevent such damage (…)”. 18
N. DE SADELEER, Le statut juridique du principe de précaution en droit communautaire: du slogan à la règle,
in Cahiers de droit européen, 2001, p. 94.
21
Il dibattito si è concentrato principalmente sulla costruzione del principio
in parola quale norma di diritto positivo ovvero quale logica (approach),
rilevante sotto il mero profilo politico19
.
Proprio in ragione del pluralismo delle fonti, la questione deve
necessariamente inscriversi in un contesto giuridico determinato, legandosi allo
ius positum, indagando cioè di volta in volta la natura del principio nell’ambito
dell’ordinamento considerato.
Per quanto concerne il diritto internazionale, in dottrina ci si interroga
sulla collocazione e sulla portata normativa del principio di precauzione.
E’ necessario premettere che la molteplicità delle fonti internazionali del
principio, sebbene abbia contribuito ad avvalorare il giudizio di
indeterminatezza e genericità di parte della dottrina, non deve comprometterne il
significato unitario, laddove esso risulta dai requisiti essenziali costantemente
rinvenibili nelle varie formulazioni20
. In primo luogo, il principio di precauzione
(e in questo consiste la portata innovativa nonché la principale differenza con il
principio di prevenzione) si applica esclusivamente nei casi di incertezza
scientifica riguardante la pericolosità di una determinata condotta.
Il requisito dell’incertezza scientifica è rinvenibile in quasi tutte le
enunciazioni del principio di precauzione nel diritto internazionale, si tratti di
19
Si veda G. TOMARCHIO, Il principio di precauzione come norma generale, in L. Marini e L. Palazzani (a cura
di), Il principio di precauzione tra filosofia, biodiritto e biopolitica, Roma, 2008, p. 145 ss. 20
In tal senso S. DI BENEDETTO, La funzione interpretativa del principio di precauzione nel diritto
internazionale, in Dir. comm. int., 2, 2006, p. 321 ss.
22
convenzioni, preamboli, protocolli, dichiarazioni; tale conditio sine qua non lo
differenzia dal principio di prevenzione, ma non è sufficiente a risolvere il
problema del contenuto del principio medesimo.
Su questo punto, la dottrina si divide tra chi avvalora il carattere
obbligante del principio di precauzione, concretizzantesi nella previsione di
obblighi di fare o di non fare in capo agli Stati21
, attribuendogli ora il rango di
principio generale di diritto internazionale, ora quello di consuetudine22
. Dalla
parte opposta, si sostiene la natura di norma pattizia, dal valore programmatico o
proclamatorio, circoscrivendola in un profilo meramente politico23
.
Dall’analisi dei documenti di diritto internazionale emergono interessanti
considerazioni sui caratteri del principio di precauzione. L’art. 15 della
Dichiarazione approvata a conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite
sull’Ambiente e lo Sviluppo, così come la maggior parte delle formulazioni del
principio all’interno delle convenzioni, statuisce che la mancanza di certezze
scientifiche sulla verificabilità di un rischio non deve fungere da pretesto per
rinviare l’adozione di misure volte a salvaguardare l’ambiente. Il principio di
precauzione sembra così sostanziarsi in un obbligo di attivarsi che incombe sugli
Stati in presenza di determinate condizioni.
21
Sul punto, P.M. DUPUY, Le principe de précaution et le droit International de la mer, in Mélanges offerts à L.
Lucchini et J. P. Quéneudec, 2004, p. 205 ss. 22
V.J. CAMERON, The Status of the Precautionary Principle in International Law, in T. O’ Riordan-J. Cameron,
Interpreting the Precautionary Principle, Londra, 1994, passim; A. TROUWBORST, Evolution and Status of the
Precautionary Principle in International Law. 23
In tal senso, D. BODANSKY, New Developments in International Environmental Law, in Proceedings of the
American Society of International Law, 1991, p. 413. Per un’indagine sulla natura politica del principio di
precauzione nel diritto internazionale, comunitario e interno, si veda O. GODARD, Le principe de précaution, un
principe politique d’action, in R.J.E. n. special, 2000, p. 117 ss.
23
Al contrario, se si prende in esame quanto stabilisce l’Accordo sulle
Misure Sanitarie e Fitosanitarie (Accordo SPS) in materia di precauzione, il
discorso sembra spostarsi dal terreno della obbligatorietà. L’art. 5 statuisce che,
in assenza di prove scientifiche sufficienti, gli Stati possono adottare
temporaneamente misure sanitarie o fitosanitarie limitative degli scambi
commerciali, al fine di tutelare la salute e l’ambiente. La disposizione, inoltre,
insiste sul carattere della temporaneità delle misure in questione, che gli Stati
devono rivalutare entro un termine ragionevole.
Sulla scorta di quanto disposto da tale accordo, in dottrina si è discusso
dell’esistenza di due modelli di principio di precauzione, facenti capo a una sua
versione “forte” o “debole”24
.
Tra le due concezioni, si pone quell’orientamento che, pur attribuendo
valore normativo al principio medesimo, ne sostiene la funzione interpretativa
delle altre norme di diritto internazionale, in una prospettiva di superamento
della dicotomia tra hard law e soft law25
.
24
Per un’analisi approfondita della questione si veda L. MARINI, Il principio di precauzione nel diritto
internazionale e comunitario, Padova, 2004, passim. 25
In tal senso, S. DI BENEDETTO, op. loc. ult. cit., p. 324 ss.
24
3. Il principio di precauzione nel diritto comunitario.
Il principio di precauzione è introdotto nel diritto comunitario dal Trattato
di Maastricht, che lo annovera tra i principi fondamentali della politica
ambientale della Comunità.
L’art. 174, par. 2, del Trattato di Amsterdam, nel riprendere il contenuto
dell’art. 130 R del Trattato di Maastricht, sancisce che: “la politica della
Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo
conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è
fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio
della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente,
nonché sul principio ‹‹chi inquina paga››”26
.
Sebbene le prime formulazioni del principio di precauzione siano legate
alla sfera della tutela dell’ambiente, ben presto esso trascende tale campo per
trovare applicazione nei settori limitrofi della salute e della tutela dei
consumatori.
26
La previsione è confluita poi nell’art. III-233, comma 2, del Trattato costituzionale firmato a Roma il 29
ottobre 2004, che ha approvato la c.d. Costituzione europea.
25
In tal senso si pongono diverse pronunce della Corte di Giustizia27
e del
Tribunale di primo grado28
, che hanno più volte ribadito che si tratta di un
principio di applicazione generale.
La medesima considerazione ha trovato conferma nella Comunicazione
della Commissione (COM 2000) 1 del 2 febbraio 2000, secondo la quale: “il
principio di precauzione non è definito dal Trattato che ne parla esplicitamente
soltanto in riferimento alla protezione dell’ambiente. Tutta la sua portata è molto
più ampia ed esso trova applicazione in tutti i casi in cui una preliminare
valutazione scientifica obiettiva indica che vi sono ragionevoli motivi di temere
che i possibili effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli
animali e delle piante possano essere incompatibili con l’elevato livello di
protezione prescelto dalla Comunità”.
Anche la Commissione Europea, pertanto, non fornisce una definizione
del principio in parola; essa, tuttavia, si propone di approfondirne la
connotazione, attribuendogli un campo di applicazione molto vasto e
precisandone portata e destinatari. Questi ultimi sono individuati nei
“responsabili politici” cui spetta prendere decisioni in materia di misure volte a
27
Corte Giust., 5 maggio 1998, C-180/96, Regno Unito/Commissione, in Raccolta, 1998, I, p. 2265; Corte
Giust., 5 ottobre 1999, C-175/98, Lirussi, in Raccolta, 1999, p. 6881; Corte Giust., 21 marzo 2000, C-6/99,
Greenpeace, in Raccolta, 2000, p. 1651. 28
Tribunale di primo grado, 11 settembre 2002, Pfizer Animal Health SA/Consiglio dell’Unione Europea,
http://europa.eu.int. In tale sentenza il Tribunale ha confermato la decisione del Consiglio di vietare l’uso di
alcuni antibiotici come additivi per i mangimi animali, non essendo chiari a livello scientifico gli sviluppi della
resistenza agli antibiotici nell’uomo.
26
eliminare o a ridurre a livelli minimi accettabili il rischio di danni all’ambiente o
alla salute dell’uomo.
L’incessante avanzata delle conoscenze scientifiche e il conseguente
sviluppo tecnologico determinano il prospettarsi di rischi che superano il breve e
il medio termine per riguardare il lungo periodo e il benessere delle generazioni
future.
Perseguire l’obiettivo di un elevato livello di tutela della salute e
dell’ambiente necessariamente poggia su di una strategia precauzionale: non è
possibile, pertanto, limitarsi ad agire soltanto in presenza di rischi accertati
scientificamente.
L’applicazione del principio di precauzione, mediante una scelta di agire o
non agire, non può tuttavia inficiare i diritti e le libertà di “persone, industrie e
organizzazioni”: essa deve avvenire in presenza di determinate condizioni,
individuate dalla Commissione mediante un’approfondita analisi dei caratteri del
principio in questione.
A questo riguardo, la Comunicazione enuncia le tre regole su cui fondare
l’applicazione del principio di precauzione. In primo luogo, è necessaria una
valutazione scientifica quanto più possibile completa, condotta da un’autorità
indipendente al fine di determinare il grado di incertezza scientifica.
“Una valutazione scientifica degli effetti potenzialmente negativi
dovrebbe essere adottata sulla base dei dati disponibili nel momento in cui si
27
considera se siano necessarie misure volte a proteggere l’ambiente e la salute
umana, animale o vegetale. Una valutazione del rischio dovrebbe essere
realizzata laddove sia possibile al momento di decidere se invocare o no il
principio di precauzione. Ciò richiede dati scientifici affidabili e un
ragionamento rigorosamente logico che porti ad una conclusione la quale
esprima la possibilità del verificarsi e l’eventuale gravità del pericolo
sull’ambiente o sulla salute di una popolazione data, compresa la portata dei
possibili danni, la persistenza, la reversibilità e gli effetti ritardati. Non è tuttavia
possibile portare a compimento in tutti i casi una valutazione completa dei
rischi, ma dovrebbero essere compiuti tutti gli sforzi possibili per valutare le
informazioni scientifiche disponibili.
Laddove possibile, dovrebbe essere redatta una relazione comprendente
una valutazione delle conoscenze esistenti e delle informazioni disponibili, oltre
ai pareri degli scienziati sull’affidabilità della valutazione ed un’indicazione
sulle persistenti incertezze. Se necessario, la relazione dovrebbe anche contenere
l’identificazione delle linee di sviluppo delle ricerche scientifiche successive”.
La seconda regola per l’applicazione del principio di precauzione è
individuata nella valutazione del rischio e delle conseguenze in mancanza di
un’azione europea. Essa comprende quattro componenti: l’identificazione del
pericolo, la caratterizzazione del pericolo, la valutazione dell’esposizione e la
caratterizzazione del rischio. I limiti della conoscenza scientifica possono
28
influenzare ciascuna di queste componenti, e quindi anche il livello generale
d’incertezza e le basi delle future azioni protettive o preventive.
La Commissione richiede, altresì, la partecipazione, nella massima
trasparenza, di tutte le parti interessate allo studio delle azioni eventuali.
I presupposti del principio di precauzione sono rinvenuti
nell’identificazione di effetti potenzialmente negativi derivanti da un fenomeno,
da un prodotto o da un procedimento e in una valutazione scientifica del rischio
che, per l’insufficienza dei dati, il loro carattere non concludente o la loro
imprecisione, non consente di determinare con sufficiente certezza il rischio in
questione.
La Comunicazione enuncia, infine, i principi cui non è consentito
derogare nell’attuazione del principio di precauzione. In primo luogo, quello di
proporzionalità29
, in virtù del quale le misure protettive o preventive dovrebbero
essere proporzionate rispetto al livello prescelto di protezione: “misure di
riduzione del rischio possono comportare alternative meno restrittive per gli
scambi che consentono di raggiungere un livello di protezione equivalente
come, ad esempio, un trattamento adeguato, una riduzione dell’esposizione, un
potenziamento dei controlli, la decisione di introdurre limiti provvisori,
29
Secondo costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, il principio di proporzionalità “esige che gli atti delle
istituzioni comunitarie non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi
legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra
più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono
essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti”. Si vedano, ad es., le sentenze 12 luglio 2001, causa
C-189/01, Jippes e a., punto 81; 7 luglio 2009, causa C-558/07, S.P.C.M. e a., punto 41, nonché 9 marzo 2010,
cause riunite C-379/08 e C-380/08, ERG e a., punto 86, http://eur-lex.europa.eu.
29
raccomandazioni rivolte alle popolazioni a rischio, ecc. Occorre inoltre tenere
conto delle possibilità di sostituzione dei prodotti o dei procedimenti in
questione con altri prodotti o procedimenti che presentano rischi minori”.
Le misure adottate dovrebbero, altresì, rispettare il principio di non
discriminazione, in virtù del quale situazioni comparabili non devono essere
trattate in modo diverso e situazioni diverse non devono essere trattate in modo
uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato.
E’ richiesto, infine, che le misure in questione siano coerenti, vale a dire
di portata e natura comparabili a quelle già adottate in aree equivalenti, nelle
quali tutti i dati scientifici siano disponibili; basate su di un esame dei potenziali
vantaggi ed oneri, atteso che devono nascere dal confronto fra i costi generali
per la collettività dell’azione o della mancanza di azione e della loro accettabilità
da parte del pubblico, sebbene, in ogni caso, la protezione della salute debba
avere la precedenza sulle considerazioni economiche; soggette a revisione, in
quanto devono essere mantenute finché le informazioni scientifiche sono
incomplete e devono essere riviste alla luce di nuovi dati.
30
4. L’ambito di applicazione e l’autonomia del principio di
precauzione nella giurisprudenza della Corte di Giustizia delle
Comunità europee e del Tribunale di primo grado.
L’art. 174, par. 2, TCE pone il principio di precauzione tra i pilastri della
politica comunitaria in materia ambientale.
Le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità europee e del
Tribunale di primo grado hanno contribuito alla definizione del principio
medesimo e hanno ampliato il suo ambito di intervento a tutti i casi i cui la
salute umana e animale è posta in pericolo.
Il Tribunale di primo grado, in un’importante pronuncia sulla revoca
dell’autorizzazione all’immissione in commercio di farmaci contro l’obesità30
,
dichiara che: “il principio di precauzione è espressamente sancito, in materia
ambientale, dall’art. 174, n. 2, CE, il quale attribuisce a tale principio una forza
vincolante. Peraltro, l’art. 174 iscrive, al n. 1, la protezione della salute umana
fra gli obiettivi della politica della Comunità in questa materia. Nonostante sia
menzionato nel Trattato solamente in relazione alla politica ambientale, il
principio di precauzione ha quindi un ambito di applicazione più ampio. Esso è
destinato ad applicarsi, al fine di assicurare un livello elevato di protezione della
salute, della sicurezza dei consumatori e dell’ambiente, in tutti gli ambiti di
azione della Comunità. In particolare, l’art. 3, lett. p), CE prevede tra le politiche
30
Tribunale di primo grado - seconda sezione ampliata, 26 novembre 2002 - nelle cause riunite T-74/00, T-
76/00, da T-83/00 a T-85/00, T-132/00, T-137/00 e T-141/00 (Artedogan e altri/ Commissione), http://eur-
lex.europa.eu.
31
e le azioni della Comunità, «un contributo al conseguimento di un elevato livello
di protezione della salute». Del pari, l’art. 153 CE mira a un elevato livello di
protezione dei consumatori e l’art. 174, n. 2, CE attribuisce lo scopo di garantire
un elevato livello di protezione alla politica della Comunità in materia
ambientale. Inoltre, le esigenze di tale elevato livello di protezione dell’ambiente
e della salute umana sono esplicitamente integrate nella definizione e
nell’attuazione di tutte le politiche e azioni della Comunità, in forza,
rispettivamente, degli artt. 6 CE e 152, n. 1, CE”.
Sulla stessa scia, sussistono svariate sentenze della Corte di Giustizia nelle
quali il principio di precauzione è esteso alla tutela della salute umana e
animale31
.
Gli orientamenti della Corte di Giustizia e del Tribunale di primo grado
divergono, tuttavia, in merito alla questione se il principio di precauzione sia
presente nell’ordinamento giuridico comunitario come principio generale,
indipendentemente dalla norma dell’art. 174, par. 2, TCE, che ne rappresenta
una mera formulazione oppure se il metodo precauzionale della politica europea
si sia riversato nel principio di precauzione attraverso quella norma stessa32
.
31
Si veda, ad esempio, Corte Giust., 5 maggio 1998, C-180/96, Regno Unito/Commissione, in Raccolta, 1998, I,
p. 2265; Corte Giust., 5 ottobre 1999, C-175/98, Lirussi, in Raccolta, 1999, p. 6881; Corte Giust., 21 marzo
2000, C-6/99, Greenpeace, in Raccolta, 2000, p. 1651. 32
Sul tema, M. SOLLINI, Il principio di precauzione nella disciplina comunitaria della sicurezza alimentare,
Milano, 2006, p. 37 ss. L’A. conduce una lucida analisi della giurisprudenza comunitaria, mettendo in luce la
“divaricazione interpretativa” in merito all’autonomia del principio di precauzione nella giurisprudenza della
Corte di Giustizia CE e del Tribunale di primo grado.
32
La prima posizione è assunta dalla Corte di Giustizia, la quale sembra
riconoscere al principio di precauzione il valore di principio materiale, capace di
imporsi di per se stesso, indipendentemente dal richiamo all’art. 174 TCE.
Nella sentenza relativa alle misure di emergenza contro l’encefalopatia
spongiforme bovina (BSE)33
, la Corte attribuisce al principio in esame
autonomia concettuale, dichiarando che: “quando sussistono incertezze riguardo
all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, le istituzioni
possono adottare misure protettive senza dover attendere che siano
esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi. Questa
considerazione è corroborata dall’art. 130 R, n. 1, del Trattato CE, secondo il
quale la protezione della salute umana rientra tra gli obiettivi della politica della
Comunità in materia ambientale. Il n. 2 del medesimo articolo dispone che
questa politica, che mira ad un elevato livello di tutela, è fondata segnatamente
sui principi della precauzione e dell’azione preventiva e che le esigenze
connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e
nell’attuazione delle altre politiche comunitarie”. Come si evince dal testo
riportato, la Corte utilizza il riferimento alla norma ex art. 130 R, rinumerato in
seguito al Trattato di Amsterdam art. 174, par. 2, per rafforzare l’applicazione di
un principio già insito nel sistema.
33
Corte Giust., 5 maggio 1998, C-180/96, Regno Unito/Commissione, cit.
33
Tale orientamento è confermato dalla giurisprudenza più recente della
Corte di Giustizia, ove l’applicazione del principio di precauzione non è più
accompagnata dal riferimento alla norma in parola.
Il Tribunale di primo grado ha, al contrario, fondato l’intera ricostruzione
teorica del principio di precauzione sulla norma di cui all’art. 174, par. 2, TCE.
In una pronuncia sulla revoca dell’autorizzazione all’uso di un additivo
nell’alimentazione degli animali34
, sostiene infatti che: “in conformità con l’art.
130 R, n. 2, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 174, n. 2, CE),
il principio di precauzione costituisce uno dei principi sui quali si fonda la
politica della Comunità in materia ambientale. Tale principio si applica
ugualmente quando le istituzioni comunitarie adottano, nel quadro della politica
agricola comune, misure di tutela della salute umana. Si evince, infatti, dall’art.
130 R, nn. 1 e 2, del Trattato CE che la protezione della salute umana rientra tra
gli obiettivi della politica della Comunità in materia ambientale, che tale
politica, la quale mira ad un elevato livello di tutela, è fondata, fra l’altro, sul
principio di precauzione e che le esigenze di tale politica devono essere integrate
nella definizione e nell’attuazione delle altre politiche comunitarie. Inoltre,
come previsto all’art. 129, n. 1, terzo comma, del Trattato CE (divenuto, in
seguito a modifica, art. 152 CE) e conformemente ad una giurisprudenza
costante, le esigenze di protezione della salute costituiscono una componente
delle altre politiche della Comunità e devono pertanto essere prese in 34
Trib. di primo grado, 11 settembre 2002, Pfizer Animal Health SA/Consiglio dell’Unione Europea, cit.
34
considerazione dalle istituzioni comunitarie nell’attuazione della politica
agricola comune”.
Il ragionamento seguito dal Tribunale di primo grado si fonda sul
presupposto dell’art. 174 TCE, per cui l’applicazione e l’estensione operativa
del principio di precauzione non possono prescindere dalla formalizzazione
operata da tale norma.
In una recente pronuncia in materia di autorizzazione all’immissione nel
commercio di farmaci35
, il Tribunale di primo grado sostiene, infatti, che: “il
principio di precauzione costituisce un principio generale del diritto comunitario
che fa obbligo alle autorità interessate di adottare, nell’ambito preciso
dell’esercizio delle competenze che sono loro attribuite dalla regolamentazione
pertinente, provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali
per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, facendo prevalere le
esigenze connesse alla protezione di tali interessi sugli interessi economici.
Essendo le istituzioni comunitarie responsabili, in tutti i loro ambiti d’azione,
della tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente, il principio di
precauzione può essere considerato come un principio autonomo che discende
dalle disposizioni del Trattato, in particolare dai suoi artt. 3, lett. p), 6, 152, n. 1,
153, nn. 1 e 2, e 174, nn. 1 e 2”.
35
Trib. di primo grado, 21 ottobre 2003, T-392/02, Solvay Pharmaceuticals/Consiglio, http://eur-lex.europa.eu.
35
5. Le applicazioni del principio di precauzione nella politica
comunitaria di tutela della salute: la sicurezza alimentare.
Una delle prime e più rilevanti applicazioni in diritto comunitario del
principio di precauzione in tema di salute è quella relativa al caso
dell’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), anche conosciuta come malattia
della “mucca pazza”, trasmissibile all’uomo, provocata dall’uso di farine
animali nell’alimentazione nei bovini.
La Comunità Europea adotta una politica molto rigorosa per contrastare
tale emergenza, vietando le esportazioni dal Regno Unito di bovini e prodotti
derivati e imponendo l’abbattimento sistematico delle mandrie nelle quali erano
stati diagnosticati casi di BSE.
La decisione della Commissione 96/239/CE del 27 marzo 199636
, recante
misure di emergenza in materia di protezione contro l’encefalopatia
spongiforme bovina, è impugnata dal Regno Unito che ne chiede l’annullamento
dinanzi alla Corte di Giustizia.
Nel rigettare la richiesta di annullamento la Corte richiama espressamente
il principio di precauzione37
, specificando inoltre che “all’epoca della decisione
impugnata esisteva una grande incertezza in merito ai rischi rappresentati dagli
animali vivi, dalla carni bovine o dai prodotti derivati”.
36
Decisione della Commissione, relativa alle misure di emergenza in materia di protezione contro
l’encefalopatia spongiforme bovina, in G.U.C.E. L. 78 del 28 marzo 1996, p. 47. 37
Corte Giust., 5 maggio 1998, C-180/96, Regno Unito c. Commissione, cit.
36
La Corte sottolinea, altresì, che la decisione impugnata non viola i principi
di proporzionalità, non discriminazione e di certezza del diritto, considerata
l’elevata portata del rischio e l’incertezza scientifica.
Ne deriva che qualora ci si trovi in presenza di un rischio grave, difficile
da gestire, per la mancanza di un chiaro nesso di causalità, le autorità pubbliche
possono ricorrere anche a misure assai incisive, purché siano rispettati i principi
di proporzionalità e non discriminazione e soltanto dopo aver condotto
un’attenta analisi dei costi e dei benefici.
Del resto, nel Libro Verde sulla sicurezza alimentare, COM (1997) 176
def.38
, la Commissione stabilisce che: “il Trattato impone alla Comunità di
contribuire al mantenimento di un elevato livello di tutela della salute pubblica,
dell’ambiente e del consumatore. Le misure intese a garantire un elevato livello
di tutela e di coerenza dovrebbero essere basate sulla valutazione dei rischi,
tenendo conto di tutti i fattori rilevanti, compresi gli aspetti tecnologici, i
migliori dati scientifici disponibili e i metodi disponibili di ispezione,
campionamento e prova. Qualora non sia possibile una completa valutazione dei
rischi, le misure dovrebbero essere basate sul principio precauzionale”.
Il Parlamento Europeo, nella Risoluzione sul Libro Verde39
rileva che la
legislazione comunitaria in materia alimentare si fonda sul principio della
protezione dei consumatori e della tutela preventiva della salute, e, nel
38
Per un commento di sintesi al Libro Verde si veda R. O’ ROURKE, Food Safety, in N.L.J., 1998, p.1332. 39
Pubblicata in G.U.C.E., C 104 del 6 aprile 1998, p. 60.
37
sottolineare ulteriormente l’importanza del principio di precauzione, invita la
Commissione a “ mettere a punto la forma e il contenuto della politica non solo
sulla base delle attuali conoscenze scientifiche e del principio precauzionale, ma
tenendo conto anche delle preoccupazioni dei consumatori”.
Il principio di precauzione occupa un ruolo centrale anche nel successivo
Libro Bianco del 199940
, che delinea i presupposti della politica comunitaria in
materia di sicurezza alimentare, proponendosi di stabilire un elevato livello di
protezione della salute dei consumatori e di attribuire in modo chiaro la
responsabilità primaria di una produzione alimentare sicura alle industrie, ai
produttori e ai fornitori.
Ma è il Regolamento n. 2002/178/CE, che disciplina i principi e i requisiti
generali della legislazione alimentare e istituisce l’Autorità Europea per la
Sicurezza Alimentare (EFSA), che eleva il principio di precauzione a cardine
della legislazione comunitaria in tema di sicurezza alimentare41
, fornendone una
formulazione generale all’art. 742
.
La norma sancisce, al paragrafo 1: “Qualora in circostanze specifiche a
seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la
possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione di
incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di
40
COM (1999) 719 def; in merito si veda la Risoluzione del Parlamento Europeo sul Libro bianco della
Commissione sulla sicurezza alimentare (COM (1999) 719), in G.U.C.E., C 197 del 12 luglio 2001, p. 203 ss. 41
Sul tema, si veda G. Galasso, Il principio di precauzione nella disciplina degli OGM, Torino, 2006, passim. 42
Il principio di precauzione è altresì invocato dall’art. 1 della Direttiva n. 2001/18/CE, in materia di
disseminazione volontaria di organismi geneticamente modificati nell’ambiente, pubblicata in G.U.C.E. n. L 106
del 17 aprile 2001).
38
gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della
salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche
per una valutazione più esauriente del rischio”.
Una prima questione riguarda i destinatari della norma, vale a dire le
autorità pubbliche cui compete il potere di adottare le misure di gestione del
rischio. Al riguardo, la dottrina si divide tra la visione che individua tali soggetti
nella Commissione Europea e nei singoli Stati membri43
e quella per cui
l’esercizio del potere precauzionale di regola spetta alla Commissione44
.
La disposizione pone in rilievo, poi, i presupposti materiali che
giustificano il ricorso a misure precauzionali. A ben vedere, la locuzione “in
circostanze specifiche”, che indica le condizioni di fatto poste a fondamento del
principio di precauzione, può risultare vaga e di non agevole interpretazione. Da
una lettura sistematica della norma di cui all’art. 7 citato, discende che le
circostanze di fatto, cui il legislatore comunitario si riferisce, non sono semplici
condizioni di rischio derivanti da uno stato di pericolo presunto bensì tutti quegli
accadimenti che determinano il sospetto circa la sussistenza di un nesso causale
tra una situazione di pericolo e il consumo di una determinata sostanza.45
43
Si veda, per tutti, L. GRADONI, La sicurezza alimentare nell’Unione Europea - Reg. CE 178/02 del
Parlamento europeo e del Consiglio, (art. 7), in Le nuove leggi civili commentate, 2003, p. 204. 44
In tal senso L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, Padova, 2007, p. 97. 45
Ciò risulta da una lettura dell’art. 7, par. 1, Reg. 2002/178/CE in combinato disposto con il Considerando n.
21, che fa riferimento ai “casi specifici in cui vi è un rischio per la vita o per la salute, ma permane una
situazione di incertezza scientifica”, e con l’art. 3, n. 9, in base al quale “il rischio è la funzione della probabilità
e della gravità di un effetto nocivo per la salute, conseguente alla presenza di un pericolo”.
39
Il secondo passaggio consiste nella valutazione delle “informazioni
disponibili”, intendendo con queste i dati univoci, accolti e comunicati, in virtù
di “una verosimiglianza che sia conseguenza della valutazione incrociata di
segnalazioni oggettivamente convergenti, provenienti da fonti diversificate ed
autorevoli”46
.
In altre parole, le misure precauzionali saranno adottate in virtù di una
valutazione scientifica del rischio, suscitata da quelle specifiche circostanze di
fatto che hanno determinato il timore della sussistenza di un pericolo per la
salute dell’uomo.
Tali provvedimenti sono sottoposti ai limiti precisati dal par. 2 della
norma in esame, che dispone, in linea con i dettami della Comunicazione della
Commissione: “le misure adottate sulla base del paragrafo 1 sono proporzionate
e prevedono le sole restrizioni al commercio che siano necessarie per
raggiungere il livello elevato di tutela della salute perseguito nella Comunità,
tenendo conto della realizzabilità tecnica ed economica e di altri aspetti, se
pertinenti. Tali misure sono riesaminate entro un periodo di tempo ragionevole a
seconda della natura del rischio per la vita o per la salute individuato e del tipo
di informazioni scientifiche necessarie per risolvere la situazione di incertezza
scientifica e per realizzare una valutazione del rischio più esauriente”.
46
E’ quanto sostiene M. SOLLINI, Op. loc. ult. cit., p. 59. Secondo l’Autore: “l’espressione ‹‹tutte le informazioni
disponibili›› va interpretata nel senso di imporre alle autorità agenti di vagliare ogni dato, al fine di non correre il
rischio che circostanze apparentemente ininfluenti, ma tuttavia rilevanti non siano prese in esame, ed, altresì, nel
senso di evitare che possano essere assunte acriticamente tutte le informazioni tecnicamente e teoricamente
attinenti”.
40
Il par. 2 dell’art. cit. si allinea, pertanto, a quanto la Commissione ha
enunciato nella Comunicazione sul principio di precauzione: “le misure debbono
essere mantenute finché i dati scientifici rimangono insufficienti, imprecisi o
non concludenti e finché il rischio sia ritenuto sufficientemente elevato per non
accettare di farlo sostenere alla società. Come conseguenza dei nuovi dati
scientifici, è possibile che le misure debbano essere modificate o eliminate
prima di un termine preciso. Tutto ciò non è tuttavia collegato ad un mero
fattore temporale, ma all’evoluzione delle conoscenze scientifiche. D’altro
canto, devono essere proseguite le analisi scientifiche per procedere ad una
valutazione scientifica più avanzata o più completa. In questo contesto è
importante anche che le misure siano sottoposte ad un controllo (monitoring)
scientifico regolare, che consenta di valutare ulteriormente tali misure alla luce
delle nuove informazioni scientifiche”.
A questo riguardo, la Corte di Giustizia delle Comunità europee, in una
sentenza antecedente all’emanazione del regolamento in esame47
, ha dichiarato
che: “il rispetto del principio di precauzione si traduce, da una parte,
nell’obbligo, imposto al notificante dall’art. 11, n. 6, della direttiva 90/220, di
comunicare immediatamente all’autorità competente ogni nuova informazione
in merito ai rischi che il prodotto comporta per la salute o l’ambiente, nonché
nell’obbligo, imposto all’autorità competente dall’art. 12, n. 4, d’informarne
47
Corte Giust., sentenza 21 marzo 2000 nella causa C-6/99, Association Greenpeace France più altri c.
Ministère de l’Agriculture et de la Pêche più altri, http://eur-lex.europa.eu.
41
immediatamente la Commissione e gli altri Stati membri e, d’altra parte, nella
facoltà, attribuita ad ogni Stato membro dall’art. 16 della direttiva, di limitare o
vietare provvisoriamente l’uso e/o la vendita sul proprio territorio del prodotto
per il quale – benché sia stato oggetto di un consenso – vi sono valide ragioni di
ritenere che presenti un rischio per la salute o l’ambiente”.
La sentenza citata è degna di rilievo in quanto tocca profili significativi
dell’applicazione del principio di precauzione, soffermandosi sull’operatività del
principio medesimo. I giudici sono stati chiamati a pronunciarsi
sull’interpretazione di alcune norme dell’abrogata direttiva 90/220/CE,
riguardanti i poteri discrezionali degli Stati di limitare o vietare la circolazione
di organismi geneticamente modificati sul proprio territorio.
Secondo la Corte, “il procedimento di autorizzazione all’immissione in
commercio di un prodotto contenente organismi geneticamente modificati ha
luogo soltanto dopo la chiusura di un procedimento nel corso del quale le
autorità nazionali hanno adottato parere favorevole sulla scorta dell’esame
previsto dall’art. 12, n. 1, della stessa direttiva, ed hanno quindi avuto
l’occasione di esercitare pienamente il proprio potere discrezionale nel valutare i
rischi che l’emissione di prodotti contenenti OGM comporta per la salute e per
l’ambiente”.
42
6. La protezione dall’inquinamento elettromagnetico nella disciplina
comunitaria.
Il problema della pericolosità per la salute umana dell’esposizione alle
radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti è uno dei più significativi settori di
applicazione del principio di precauzione.
I primi sospetti sulla nocività del cd. inquinamento elettromagnetico sono
emersi alla fine degli anni settanta, a seguito della pubblicazione di uno studio
sull’American Journal of Epidemiology48
, in cui si ipotizzava la sussistenza di
un nesso eziologico tra alcune patologie tumorali pediatriche e l’esposizione
continuativa a campi elettromagnetici a frequenza industriale, dovuti alla
presenza di linee ad alta tensione.
Ad esso hanno fatto seguito numerosi studi medici sulla pericolosità delle
onde elettromagnetiche, senza tuttavia che si raggiungesse concordia di opinioni
nella comunità scientifica.
48
N. WERTHEIMER-E. LEEPER, Electricatl wiring configurations and childhood cancer, in Am. J. Epidemiol.,
1979, 109, p. 273 ss.
43
Il diritto comunitario si è occupato in diverse occasioni del problema
dell’inquinamento elettromagnetico, soprattutto in materia di sicurezza sul
lavoro e di compatibilità magnetica49
.
Nella Raccomandazione 1999/519/CE, concernente la limitazione
dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, il Consiglio
Europeo sottolinea che: “le misure riguardanti i campi elettromagnetici
dovrebbero offrire a tutti i cittadini della Comunità un elevato livello di
protezione” e individua l’obiettivo della raccomandazione nella “protezione
della salute della popolazione”.
Secondo il Considerando n. 17: “allo scopo di migliorare la conoscenza
dei rischi e delle misure di protezione dai campi elettromagnetici, gli Stati
membri dovrebbero promuovere la diffusione dell’informazione e le norme di
buona prassi in questo campo, in particolare per quanto riguarda la
progettazione, l’installazione e l’uso di attrezzature, in modo da far sì che i
livelli di esposizione non superino i limiti raccomandati”. Inoltre gli Stati
membri dovrebbero “considerare i progressi delle conoscenze scientifiche e
della tecnologia in relazione ai sistemi di protezione dalle radiazioni non
ionizzanti con un atteggiamento di precauzione e dovrebbero prevedere la
49
Si veda la Direttiva 89/336/CEE, in tema di ravvicinamento delle legislazioni in materia di compatibilità
elettromagnetica, in G.U.C.E.,L 139 del 23 maggio 1989; la Direttiva 90/270/CEE relativa alle prescrizioni
minime in materia di sicurezza e salute per le attività svolte su attrezzature munite di videoterminali, in G.U.C.E,
L 156 del 21 giugno 1990; la Direttiva 92/85/CEE relativa all’attuazione di misure volte a promuovere il
miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di
allattamento, in G.U.C.E, L 348 del 28 novembre 1992, fino alla Direttiva 2004/40/CE, concernente le
prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dai campi
elettromagnetici, http://eur-lex.europa.eu.
44
rassegna e la revisione su base sistematica con le corrispondenti valutazioni
tenendo presenti gli indirizzi elaborati dalle organizzazioni internazionali
competenti, quali la Commissione internazionale per la protezione dalle
radiazioni non ionizzanti”.
7. Principio di precauzione e diritto alla salute nella giurisprudenza
della Corte di Giustizia delle Comunità europee.
La Corte di Giustizia, chiamata più volte a pronunciarsi in materia di
precauzione, ha svolto un importante ruolo nell’interpretazione del principio
medesimo, soprattutto per quanto riguarda la precisazione dei caratteri e delle
modalità di attuazione, con particolare riferimento al problema del
bilanciamento tra la libertà degli scambi commerciali e la tutela di beni primari
quali la salute dell’uomo e l’ambiente.
Al riguardo, degna di considerazione è la sentenza del 9 settembre 2003
sulla questione di pronuncia pregiudiziale (art. 234 CE) nella causa Monsanto
Agricoltura Italia Spa, che verte sulla questione dell’opportunità di un Paese
membro di porre limitazioni al commercio di prodotti alimentari derivati da
granturco geneticamente modificato, per la cui immissione sul mercato l’art. 5
del Regolamento 258/97/CE richiede una procedura semplificata, consistente in
45
una mera notifica alla Commissione, al posto della procedura “formale”, nella
quale l’immissione sul mercato viene autorizzata dalla Commissione, a
condizione che un organismo nazionale preposto alla valutazione dei prodotti
alimentari abbia certificato la sostanziale equivalenza del nuovo prodotto
alimentare a prodotti o ingredienti esistenti50
.
La Corte è chiamata a pronunciarsi, in primo luogo, sulla validità e
sull’interpretazione degli art. 3, par. 4 e dell’art. 5 del Regolamento citato e
dell’art. 12 dello stesso, che prevede una clausola di salvaguardia cui lo Stato
membro può ricorrere per bloccare la commercializzazione del prodotto ritenuto
pericoloso, successivamente al rilascio dell’autorizzazione, attivando una
procedura cui partecipano la Commissione CE, le autorità nazionali, il
produttore e le altre parti interessate, al termine della quale la Commissione
dovrà decidere sulla fondatezza delle misure di protezione adottate51
.
Nel caso specifico, la questione investe la validità del c.d. decreto
Amato52
, con cui lo Stato italiano ha imposto un divieto temporaneo di
50
E’ la c.d. procedura semplificata per l’immissione sul mercato di prodotti alimentari derivanti da OGM ma che
non li contengono di cui all’art. 5 del Regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 27 gennaio
1997, n. 258, che sancisce: “nel caso dei prodotti o ingredienti alimentari di cui all’art. 3, par. 4, il richiedente
notifica l’immissione sul mercato alla Commissione. Tale notifica è corredata dalle informazioni pertinenti di cui
all’art. 3, par. 4. La Commissione trasmette agli Stati membri copia di detta notifica entro un termine di sessanta
giorni, nonché, a richiesta di uno Stato membro, copia di tali informazioni. Ogni anno la Commissione pubblica
un riassunto di tali notifiche nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, serie C”. 51
L’art. 12 del Regolamento 1997/258/CE prevede che: “qualora a seguito di nuove informazioni o di una nuova
valutazione di informazioni già esistenti, uno Stato membro abbia motivi fondati per ritenere che l’utilizzazione
di un prodotto o ingrediente alimentare conforme al presente regolamento presenti rischi per la salute umana o
per l’ambiente, tale Stato membro può limitare temporaneamente o sospendere la commercializzazione e
l’utilizzazione sul proprio territorio del prodotto o ingrediente alimentare in questione”. 52
D.P.C.M. 4 agosto 2000, in GU 8 agosto 2000, n. 184.
46
commercializzazione e di utilizzazione dei prodotti derivati dalle linee di
granturco geneticamente modificate.
La Corte, al riguardo, ha dichiarato che: “possono essere adottate misure
di tutela in conformità all’art. 12 del regolamento n. 258/97, interpretato alla
luce del principio di precauzione, ancorché la realizzazione di una valutazione
scientifica dei rischi quanto più possibile completa, tenuto conto delle
circostanze specifiche del caso di specie, si riveli impossibile a causa
dell’insufficienza dei dati scientifici disponibili”.
Riguardo all’onere della prova, il giudice comunitario precisa che: “tale
disposizione richiede che lo Stato abbia ‹‹motivi fondati›› per ritenere che l’uso
di un nuovo prodotto alimentare presenti rischi per la salute umana o per
l’ambiente”. Ne consegue che se da un lato i motivi posti a fondamento della
misura restrittiva non possono avere carattere generico, dall’altro “con
riferimento alla limitatezza della valutazione iniziale dell’innocuità dei nuovi
prodotti alimentari nell’ambito della procedura semplificata e alla natura
essenzialmente provvisoria delle misure basate sulla clausola di salvaguardia, si
deve ritenere che lo Stato membro adempia l’onere della prova ad esso
incombente se si basa su indizi tali da rivelare l’esistenza di un rischio specifico
che potrebbe essere generato da tali nuovi prodotti alimentari”.
In conclusione, lo Stato membro può adottare misure di limitazione o
sospensione provvisoria della circolazione di un prodotto derivante da OGM
47
sulla base di “fondati motivi” dai quali discende che la particolare condizione di
tale prodotto – nel caso di specie, la presenza di residui di proteine
transgeniche–, determini un rischio per la salute umana, sulla base di una precisa
e corretta valutazione dei rischi.
In una sentenza assai recente della Corte di Giustizia53
in materia di
misure di restrizione imposte dalla Francia inerenti l’immissione sul mercato
nazionale di sostanze alimentari additive (AF) provenienti dagli altri stati
membri, trova conferma la consolidata giurisprudenza riguardante il principio di
precauzione: non è sufficiente che i provvedimenti precauzionali siano oggettivi
e rispettosi dei principii di proporzionalità e di non discriminazione, ma è,
altresì, necessario che essi siano fondati sulla sussistenza di un rischio per la
salute avallato da dati scientifici chiari e non da considerazioni meramente
ipotetiche.
Innanzitutto, la Corte sottolinea che: “un’applicazione corretta del
principio di precauzione presuppone, in primo luogo, l’individuazione delle
conseguenze potenzialmente negative per la salute derivanti dall’impiego di AF
che viene proposto e, in secondo luogo, una valutazione complessiva del rischio
per la salute basata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più
recenti della ricerca internazionale”54
.
53
Si veda Corte Giust., 28 gennaio 2010, C-333/08, Commissione c. Repubblica francese, in G.U.C.E. C 63/7
del 13 marzo 2010. 54
V., in tal senso, le sentenze 5 maggio 1998, causa C-157/96, National Farmers’ Union e a., punto 63, nonché
Commissione/Paesi Bassi, cit., punti 51 e 52, http://eur-lex.europa.eu.
48
Secondo il ragionamento della Corte, è necessario considerare il grado di
incertezza scientifica e pratica relativo alla valutazione effettuata dallo Stato
membro: esso può infatti compromettere l’equilibrio tra il principio di
precauzione e il principio di proporzionalità, almeno fino a quando non siano
emersi dati scientifici più attendibili. In ragione di ciò, la Corte ammette che “in
tali circostanze uno Stato membro, fondandosi sul principio di precauzione,
possa adottare misure restrittive senza dover attendere che siano dimostrate la
realtà e la gravità di tali rischi”, avvertendo, tuttavia, che la valutazione del
rischio non può fondarsi su considerazioni meramente ipotetiche55
.
Ne discende che il principio di precauzione è applicato correttamente in
presenza di due presupposti: l’individuazione delle conseguenze negative sulla
salute derivanti dall’impiego delle sostanze considerate, da un lato, e una
valutazione complessiva del rischio per la salute fondata sui dati scientifici
disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale,
dall’altro.
Qualora la natura inconcludente, insufficiente o imprecisa dei dati
disponibili non consenta di determinare con certezza l’esistenza o la portata del
rischio paventato, ma “persista la probabilità di un danno reale per la salute
nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse”, il principio di precauzione giustifica
55
Si rimanda alle sentenze 9 settembre 2003, causa C-236/01, Monsanto Agricoltura Italia e a., punto 106;
Commissione c. Danimarca, cit., punto 49, nonché Commissione c. Paesi Bassi, cit., punto 52, http://eur-
lex.europa.eu.
49
l’adozione di misure restrittive, purché esse siano obiettive e non
discriminatorie.
Per quanto riguarda il caso in decisione, la Corte non ritiene sufficienti le
ragioni poste a fondamento del regime di autorizzazione preventiva introdotto
dalla normativa francese, individuate nei rischi potenziali per la salute presentati
da certe categorie di sostanze additive: anche in presenza di rischi concernenti
alcune categorie di AF, la normativa nazionale deve essere specifica e
chiaramente giustificata in rapporto a tali categorie e non può limitarsi a
escludere genericamente l’impiego di tutte le sostanze additive o degli alimenti
in cui siano impiegate, non rientranti nelle categorie sospette.
Le misure restrittive in questione non sono suffragate dalla dimostrazione
delle condizioni richieste per l’applicazione del principio di precauzione:
“infatti, anche supponendo che, come pretende la Repubblica francese, ad essa
incomba, conformemente al principio di precauzione, soltanto dimostrare il
rischio che l’impiego di AF può presentare, nondimeno la presunzione
generalizzata di un rischio per la salute invocata dallo Stato membro in
questione non è supportata, nel caso di specie, da elementi di prova atti a
spiegare perché la commercializzazione di tutti i prodotti alimentari per la cui
preparazione sono stati impiegati AF, legalmente fabbricati e/o commercializzati
in altri Stati membri, debba dipendere dall’iscrizione dell’AF interessato in un
elenco positivo determinato dalla normativa francese, iscrizione la quale, a sua
50
volta, dipende dalla conformità dell’alimento in questione a criteri di purezza, a
prescrizioni relative ai livelli massimi di residui autorizzati o a condizioni
d’impiego degli AF stabilite da tale normativa”.
Inoltre, la disposizione che vieta, salvo autorizzazione preventiva, la
commercializzazione degli AF e dei prodotti alimentari preparati mediante
additivi importati da altri stati viola il principio di proporzionalità, che si
considera rispettato quando i mezzi scelti dagli Stati membri si limitano a quanto
effettivamente necessario per garantire la tutela della salute: “con il suo carattere
sistematico, il decreto del 1912 non consente di rispettare il diritto comunitario
per quanto concerne l’identificazione a priori degli effetti nocivi degli AF e la
valutazione del rischio reale per la salute che essi presentano, i quali richiedono
una valutazione approfondita, caso per caso, degli effetti che l’impiego degli AF
in questione potrebbe comportare”.
Le prescrizioni imposte dal decreto francese, altresì, ostacolano la
commercializzazione dei prodotti alimentari per la cui preparazione siano state
utilizzate sostanze additive qualora il modo d’impiego di questi ultimi non sia
conforme a quello stabilito dalla normativa francese, perfino in mancanza di
residui rintracciabili di dette sostanze nei prodotti alimentari finali.
In virtù di tali considerazioni, il sistema delineato dalla normativa in
questione viola l’art. 28 del Trattato Ce e gli art. 6 e 7 del regolamento n.
51
2002/178/CE, relativi all’analisi del rischio e all’applicazione del principio di
precauzione.
Sulla medesima scia si pone la sentenza del luglio 201056
, riguardante la
domanda di pronuncia pregiudiziale sulla validità dell’art. 1, n. 8, della direttiva
2009/30/CE che modifica la direttiva 98/70/CE introducente un sistema di
controlli e limitazioni dell’impiego nei carburanti di additivi metallici, in
particolare del metilciclopentadienil-tricarbonil-manganese (MMT), in ragione
della sussistenza di un rischio per la salute umana, presentata dall’Afton
Chemical Limited, società inglese produttrice ed esportatrice degli additivi in
questione, ai fini dell’autorizzazione a proporre ricorso per controllo di
legittimità per quanto riguarda “l’intezione e/o l’obbligo del Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda del Nord di recepire la direttiva 2009/30/CE”57
.
L’Afton lamenta che le limitazioni all’uso dell’MMT sono state adottate in
violazione del principio di proporzionalità e che non esiste alcun elemento di
prova che giustifichi l’adozione del provvedimento sulla base del principio di
precauzione, dal momento che non è stato effettuata alcun esame degli effetti
56
Corte Giust., 8 luglio 2010, causa C-343/09, Afton Chemical Limited c. Secretary of State for Transport,
http://eur-lex.europa.eu. 57
Al trentacinquesimo considerando la direttiva 2009/30/CE prevede che: “l’utilizzo di taluni additivi metallici,
in particolare il metilciclopentadienil-tricarbonil-manganese (in prosieguo: l’“MMT”), potrebbe aumentare i
rischi per la salute umana nonché danneggiare i motori dei veicoli e i sistemi di controllo delle emissioni. Molti
costruttori automobilistici sconsigliano l’impiego di carburanti contenenti additivi metallici, che potrebbero
persino far decadere la garanzia dei veicoli. È pertanto opportuno monitorare costantemente le conseguenze
dell’utilizzo del MMT nei carburanti, consultando tutte le parti interessate. In attesa di ulteriori studi, è
necessario adottare misure volte a contenere l’entità degli eventuali danni. È quindi opportuno fissare un limite
massimo per il tenore di MMT nei carburanti sulla base dei dati scientifici attualmente disponibili. Tale limite
dovrebbe essere incrementato soltanto se viene dimostrata l’innocuità di dosaggi più elevati. Per evitare che i
consumatori invalidino senza volerlo la garanzia dei loro veicoli, è altresì necessario imporre l’etichettatura di
tutti i carburanti contenenti additivi metallici”.
52
negativi dell’MMT sulla salute né alcuna valutazione del rischio riguardante
l’impatto negativo di tale sostanza sulle tecnologie per la riduzione
dell’inquinamento e sull’ambiente.
Per quanto concerne il rispetto del principio di precauzione, la Corte
evidenzia, sulla scorta di quanto pronunciato nella sentenza
Commissione/Francia, che anche in questo caso l’applicazione del principio
medesimo deve poggiarsi su una corretta valutazione del rischio in presenza dei
più affidabili dati scientifici tra quelli disponibili.
E’ opportuno sottolineare che, al momento dell’adozione della direttiva
citata, l’impatto dell’MMT sulla salute non era stato oggetto di valutazione
scientifica da parte di un organismo pubblico o di un’entità indipendente.
Considerato che le conclusioni degli studi elaborati dai professionisti del settore
al riguardo sono risultate assai divergenti, il legislatore comunitario ha dovuto
fronteggiare seri dubbi, in assenza di dati scientifici affidabili e sufficienti che
provassero l’inoffensività dell’MMT nei confronti della salute umana.
Richiamando le considerazioni poste a fondamento della consolidata
giurisprudenza in tema di principio di precauzione, la Corte afferma che il
legislatore dell’Unione ha facoltà di adottare misure restrittive in base al
principio di precauzione, nelle circostanze in cui non sussistano studi
concludenti e precisi, purché persista la probabilità di un danno per la salute nel
53
caso in cui il rischio asserito si avverasse e purché tali misure siano non
discriminatorie, oggettive e rispettose del principio di proporzionalità.
La normativa in esame non contrasta con quest’ultimo principio, dal
momento che “la fissazione di un limite alla presenza di MMT nei carburanti,
che permetta di ridurre in tale misura le quantità di detta sostanza che possono
potenzialmente causare danni alla salute, non è manifestamente inidonea per
conseguire gli obiettivi di protezione della salute e dell’ambiente perseguiti dal
legislatore dell’Unione”.
Tale misura ha, inoltre, carattere temporaneo, modificabile secondo i
risultati dell’evoluzione scientifica, dal momento che l’art. 8 bis, n. 1, della
direttiva 98/70 prevede l’elaborazione di metodi di prova e la presentazione di
conclusioni dinanzi al Parlamento e al Consiglio entro il 31 dicembre 2012.
La Corte sottolinea, altresì, che la disposizione controversa deve essere
presa in considerazione nel più ampio contesto della direttiva 2009/30, che ha lo
scopo di definire specificazioni minime relative ai carburanti ai fini della
protezione della salute e dell’ambiente, nel contesto della riduzione delle
emissioni di gas ad effetto serra. In ragione di ciò, considerati i rischi per la
salute nonché la difficoltà di elaborare mezzi di prova, la prevista limitazione
dell’MMT nei carburanti non va oltre quanto necessario per raggiungere gli
obiettivi stabiliti nella direttiva medesima.
54
Tali misure non violano il principio di non discriminazione, poiché
trovano applicazione in tutta l’Unione e a tutti i produttori e gli importatori di
MMT.
Infine, la Corte non ritiene l’imposizione di detto limite manifestamente
sproporzionata nei confronti degli interessi economici dei produttori di MMT, al
fine di assicurare un elevato livello di protezione della salute e dell’ambiente,
dal momento che il legislatore comunitario ha previsto una limitazione
decrescente della presenza di tale additivo nei carburanti, prevedendo, inoltre, la
possibilità, all’art. 8 bis, n. 3, della direttiva 98/70, di rivedere tale limitazione in
base ai risultati delle nuove valutazioni condotte in virtù dell’evoluzione
scientifica.
Il tema dell’attuazione del principio di precauzione è invece soltanto
sfiorato dalla sentenza del 26 maggio 200558
, riguardante l’interpretazione della
normativa in materia di etichettatura degli alimenti.
La domanda di pronuncia pregiudiziale ha, infatti, ad oggetto
l’interpretazione dell’art. 2, n. 2, lett. b), del regolamento (CE) del Consiglio 26
maggio 1998, n. 1139, concernente l’obbligo di indicare nell’etichettatura di
alcuni prodotti alimentari derivati da organismi geneticamente modificati
caratteristiche diverse da quelle di cui alla direttiva 79/112/CEE59
.
58
Corte Giust., 26 maggio 2005, causa C-132/03, Ministero della Salute c. Codacons e altri, http://eur-
lex.europa.eu. 59
Tanto il regolamento n. 1139/98, quanto l’art. 8, n. 1, lett. d), del regolamento n. 258/97 sono stati abrogati
mediante il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 22 settembre 2003, n. 1829, relativo agli
alimenti e ai mangimi geneticamente modificati. Gli artt. 12-14 di quest’ultimo regolamento, divenuto
55
Al riguardo, la Corte dichiara che l’interpretazione della norma citata, in
base alla quale l’esenzione che essa prevede dagli obblighi particolari in materia
di etichettatura, contenuti nel detto regolamento, si applica parimenti ai prodotti
alimentari destinati all’alimentazione particolare dei lattanti e dei bambini nella
prima infanzia, cui si riferisce la direttiva 89/398, non può essere messa in
discussione in base al principio di precauzione60
.
Quest’ultimo, infatti, entra in gioco nella fase antecedente, vale a dire nel
procedimento decisionale di immissione in commercio o meno dei prodotti
geneticamente modificati, mediante autorizzazione a seguito di una valutazione
dei rischi diretta a escludere pericoli per la salute dei consumatori.
8. Le applicazioni del principio di precauzione nella giurisprudenza
del Tribunale di primo grado.
La giurisprudenza del Tribunale di primo grado accoglie gli orientamenti
della Corte di Giustizia in tema di caratteri e modalità di attuazione del principio
di precauzione.
applicabile a partire dal 18 aprile 2004, prevedono obblighi specifici in materia di etichettatura applicabili ai
prodotti alimentari che contengono OGM o che derivano da OGM, nonché un’esenzione da tali obblighi in caso
di contaminazione fortuita o accidentale mediante OGM che non superino un livello de minimis pari allo 0,9%. 60
Del resto, scopo della normativa in questione è quello di garantire una piena tutela del consumatore rendendo
disponibili le informazioni sulla composizione del prodotto considerato.
56
Tale considerazione è avvalorata dall’analisi di tre importanti pronunce
del Tribunale: la sentenza dell’11 settembre 2002, causa T-13/99, nella quale ha
confermato la decisione del Consiglio di vietare l’impiego di alcuni antibiotici
nell’alimentazione animale; la sentenza dell’11 settembre 2002, causa T-70/99,
e la pronuncia del 21 ottobre 2003, causa T-392/02, anch’esse in tema di uso di
antibiotici come additivi nei mangimi per animali61
.
In tutte e tre le ipotesi considerate, la causa verte su un ricorso di
annullamento esercitato dalla società produttrice nei confronti del regolamento
revocante l’autorizzazione all’impiego di additivi chimici nell’alimentazione
animale.
Il ragionamento seguito è il medesimo: innanzitutto, il Tribunale si
sofferma sulla nozione di rischio, rinvenuta nella “potenziale sopravvenienza di
effetti nocivi per la salute umana” legati all’impiego della sostanza considerata.
In particolare, si tratta della virginiamicina, un additivo impiegato
nell’alimentazione animale e il rischio è identificato nel trasferimento della
resistenza antimicrobica dagli animali all’uomo e, di conseguenza, nella
riduzione dell’efficacia di determinate terapie in medicina umana.
In virtù del principio di precauzione possono essere adottate misure di
protezione senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà
61
Trib. primo grado, 11 settembre 2002, causa T-13/99, Animal Pfizer Healt SA c. Consiglio dell’Unione
europea; Trib. primo grado, 11 settembre 2002, causa T-70/99, Alpharma c. Consiglio dell’Unione europea;
Trib. primo grado, 21 ottobre 2003, causa T-392/02, Solvay Pharmaceuticals BV c. Consiglio dell’Unione
europea, http://eur-lex.europa.eu.
57
e la gravità dei rischi per la salute umana62
. Ne consegue che le istituzioni
comunitarie “potevano adottare una misura preventiva relativa all’impiego della
virginiamicina come additivo nell’alimentazione degli animali anche se, a causa
del permanere di una situazione di incertezza scientifica, la realtà e la gravità dei
rischi per la salute umana connessi a tale utilizzo non erano ancora pienamente
dimostrate”.
Dalla considerazione che il cd. “rischio zero” non esiste, soprattutto in
tema di produzione di farmaci o in generale di sostanze in grado di interferire
con i sistemi biologici, discende che il principio di precauzione non può
applicarsi nei casi in cui il rischio, in particolare per la salute umana, è fondato
su mere ipotesi non provate scientificamente.
Di conseguenza, secondo il ragionamento del Tribunale di primo grado,
che non si discosta in tal senso dalle ricostruzioni della Corte di Giustizia, “dal
principio di precauzione deriva che una misura preventiva può essere adottata
esclusivamente qualora il rischio, senza che la sua esistenza e la sua portata
siano state dimostrate «pienamente» da dati scientifici concludenti, appaia
nondimeno sufficientemente documentato sulla base dei dati scientifici
disponibili al momento dell’adozione di tale misura”.
62
In proposito, esiste una consolidata giurisprudenza comunitaria: si vedano le sentenze della Corte 5 maggio
1998, causa C-180/96, Regno Unito c. Commissione, punto 99, e causa C-157/96, National Farmers’ Union e a.,
punto 63 e la sentenza del Tribunale 16 luglio 1998, causa T-199/96, Bergaderm e Goupil c. Commissione, punto
66, http://eur-lex.europa.eu.
58
9. Il principio di precauzione negli ordinamenti europei. L’esperienza
francese.
Attraverso il filtro del diritto comunitario, il principio di precauzione
penetra negli ordinamenti europei, che lo recepiscono nel diritto interno ora
esplicitamente, con un riconoscimento legislativo o addirittura costituzionale,
ora implicitamente, nell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.
In Germania, dove è stato positivizzato per la prima volta, ha trovato
spazio in testi di legge, in materia di gestione delle acque o di utilizzazione di
sostanze chimiche63
.
Anche in ordinamenti quali la Svezia, la Spagna e l’Olanda, esso ha
trovato mere applicazioni nella disciplina di settore, come nella legislazione
sugli OGM64
. Tuttavia, la Costituzione spagnola contiene, all’art. 45, un
espresso riferimento alla tutela dell’ambiente a garanzia di un adeguato sviluppo
della persona, da perseguire soprattutto mediante il principio di prevenzione.
63
Riguardo all’applicazione giurisprudenziale del principio di precauzione in Germania, si vedano N. DE
SADELEER, The enforcement of the precautionary principle by German, French and Belgian Courts, in RECIEL,
2000, 9, p. 144; S. BOHEMER-CHRISTIANSEN, The Precautionary Principle in Germany , in T. O’ Riordan-J.
Cameron, Interpreting the Precautionary Principle, Londra, 1994, p. 31; D. HANSCHEL, Progress and the
Precautionary Principle in Administrative Law - Country Report on Germany, in M. Paques (a cura di), Le
principe de précaution en droit administratif. Rapport International et rapports nationaux, Bruxelles, 2007, p.
101 ss. 64
Per quanto concerne l’ordinamento spagnolo, si incontrano diversi riferimenti al principio di precauzione nella
legislazione sulla tutela dell’ambiente, in quella sull’inquinamento elettromagnetico, sulla sicurezza alimentare e
sulla sicurezza dei prodotti in generale. Si vedano, ad esempio, la Ley 10/2001, sul piano idrogeologico
nazionale; la Ley 16/2002, in materia di prevenzione e controllo della contaminazione; il Real Decreto
1066/2001 sulle emissioni elettromagnetiche; la Ley 11/2001 sulla sicurezza alimentare e il Real Decreto
1801/2003, in tema di sicurezza del prodotto.
59
In Svizzera, nel 2007, è stata presentata una proposta per l’introduzione
del principio di precauzione nella Costituzione federale, iniziativa che tuttavia
non ha avuto seguito. Un riferimento diretto al principio in parola è contenuto,
invece, nella legge sull’ingegneria genetica del 21 marzo 200365
.
Nell’ordinamento belga il principio di precauzione ha ispirato normative
concernenti l’adozione di misure o procedure di sicurezza e controllo66
.
Esso è poi espressamente menzionato nel decreto della Regione
fiamminga del 5 aprile 1999 in materia di protezione dell’ambiente e, a livello
federale, nella legge del 20 gennaio 1999 sulla protezione dell’ambiente marino
negli spazi marini sottoposti alla giurisdizione belga.
Sotto il profilo giurisprudenziale, sia civile che amministrativo, il
principio in parola non ha ancora conquistato una sua autonomia applicativa67
.
Particolare attenzione merita l’interessante esperienza francese, dove il
principio di precauzione fa il suo ingresso con la loi Barnier del 2 febbraio 1995
n. 95, in materia di protezione dell’ambiente.
Successivamente, esso è inserito nel Codice dell’ambiente (art. L. 110–1),
dove assurge a principio fondamentale per la tutela delle risorse naturali, del
paesaggio, delle specie animali e vegetali68
.
65
B. FASEL-D. SPRUMONT, La démarche et le principe de précaution en droit administratif suisse, in M. Paques
(a cura di), Le principe de précaution en droit administratif. Rapport International et rapports nationaux, cit., p.
75 ss. 66
B. JADOT-F. TULKENS, Le principe de précaution en droit publique belge, ibidem, p. 31 ss. 67
Per un’analisi del principio di precauzione nel diritto belga, si veda G. SCHAMPS, Le principe de précaution
dans un contexte de droit communautaire et de droit administratif: vers un noveau fondement de la
responsabilité civile?, in Melanges offerts à Marcel Fontaine, Bruxells, 2003, p. 211 ss.
60
Nel marzo 2005 il principio di precauzione è elevato a norma
costituzionale, con l’inserimento nel preambolo della Costituzione del richiamo
alla Charte de l’environnement, il cui art. 5 sancisce che: “qualora il verificarsi
di un danno, benché incerto allo stato delle conoscenze scientifiche, sia
suscettibile di colpire in modo grave e irreversibile l’ambiente, le autorità
pubbliche vegliano, in applicazione del principio di precauzione e nelle loro
sfere di competenza, alla messa in opera di procedure di valutazione del rischio
e all’adozione di misure provvisorie e proporzionate al fine di far fronte alla
realizzazione del danno”.
La costituzionalizzazione del principio di precauzione, salutata dalla
dottrina francese69
come tappa decisiva della sua evoluzione – soprattutto a
seguito della riforma del 2008 che introduce l’eccezione di incostituzionalità70
–,
se da un lato ne consacra il carattere direttamente invocabile71
e ne traccia con
68
In virtù dell’art. L. 110-1 del Code de l’Environnement: “Les espaces, ressources et milieux naturels, les sites
et paysages, la qualité de l’air, les espèces animales et végétales, la diversité et les équilibres biologiques
auxquels ils participent font partie du patri moine commun de la nation. II. - Leur protection, leur mise en
valeur, leur restauration, leur remise en état et leur gestion sont d’intérêt général et concourent à l’objectif de
développement durable qui vise à satisfaire les besoins de développement et la santé des générations présentes
sans compromettre la capacité des générations futures à répondre aux leurs. Elles s’inspirent, dans le cadre des
lois qui en définissent la portée, des principes suivants :
1° Le principe de précaution, selon lequel l’absence de certitudes, compte tenu des connaissances scientifiques
et techniques du moment, ne doit pas retarder l’adoption de mesures effectives et proportionnées visant à
prévenir un risque de dommages graves et irréversibles à l’environnement à un coût économiquement
acceptable”. 69
V., tra gli altri, M. PRIEUR, L’environnement est entré dans la Constitution in Rev. Jur. Envir., 2005, p. 25 ss.,
e B. MATHIEU, La Charte et le Conseil constitutionnel: point de vue, in La Charte constitutionnelle de
l’environnement en vigueur, ibidem, p. 107 ss. 70
Il nuovo art. 61-1 della Costituzione francese, introdotto dalla legge di riforma costituzionale n. 724 del 2008,
sancisce che: “lorsque, à l’occasion d’une instance en cours devant une juridiction, il est soutenu qu’une
disposition législative porte atteinte aux droits et libertés que la Constitution garantit, le Conseil Constitutionnel
peut être saisi de cette question sur renvoi du Conseil d’Etat ou de la Cour de Cassation qui se prononce dans un
délai déterminé. Une loi organique détermine les conditions d’application du présent article”. 71
C. THIBIERGE, Introduction, in M. Boutunnet, Le principe de précaution en droit de la responsabilità civile,
Parigi, 2005, p. 14.
61
maggiore chiarezza il profilo, dall’altro pone un doppio limite al principio
medesimo, in quanto ne restringe l’operatività al campo della tutela ambientale e
individua i suoi destinatari nelle autorità pubbliche.
La norma, in effetti, prende in considerazione esclusivamente i danni
gravi e irreversibili all’ambiente, non facendo cenno alcuno alla tutela della
salute. D’altra parte, il medesimo legislatore ordinario sceglie di non menzionare
il principio di precauzione nella legge del 2002 sulle politiche sanitarie e in
quella del 2004 sulla salute pubblica (l. 9.8.2004 n. 806). Tuttavia, in dottrina si
è già individuata la norma sulla quale fondare un’estensione dell’area di azione
del principio, e cioè l’art. 1 della medesima Charte de l’environnement, in virtù
del quale “ciascuno ha il diritto di vivere in un ambiente equilibrato e rispettoso
della salute”, che riconosce il legame indissolubile tra salute dell’uomo e
ambiente in cui vive72
.
Ad ogni modo, il principio di precauzione mostra, ancora una volta,
insofferenza alle delimitazioni, che cedono di fronte alla sua natura di clausola
generale: esso non può ridursi alla definizione costituzionale, ma la trascende,
filtrando lentamente in ogni parte dell’ordinamento attraverso la giurisprudenza,
il cui apporto, benché ancora prudente e spesso chiuso alla portata innovativa
72
A. LAUDE-B. MATHIEU-D. TABUTEAU, Le respect du principe de précaution, in Droit de la santé, Parigi, 2007,
passim.
62
del principio di precauzione, è destinato ad avere un peso sempre maggiore nella
sua costruzione, sia nel diritto amministrativo che in quello civile73
.
73
Per un’analisi delle divergenze tra giurisprudenza civile e costituzionale, si veda N. MOLFESSIS, Le Conseil
Constitutionnel et le droit privé, Parigi, 1997, p. 409.
64
1. Il recepimento del principio di precauzione nell’ordinamento
italiano.
Nell’ordinamento italiano, a differenza di quello francese, non si rinviene
una norma generale che ponga la definizione del principio di precauzione. Ciò
nonostante, esso è accolto nel diritto interno attraverso il filtro del diritto
comunitario e riveste un ruolo sempre più importante nel campo della tutela del
diritto alla salute, soprattutto a seguito dell’elaborazione giurisprudenziale degli
ultimi anni.
Un primo richiamo al principio in parola è contenuto nel Decreto del
Ministero della Sanità 22 novembre 2000, che si è avvalso del meccanismo
precauzionale, dichiarando inidonei alla donazione di sangue coloro i quali
avevano soggiornato nel Regno Unito nel periodo tra il 1980 e il 1996 per più di
sei mesi.
Sulla scorta delle misure adottate per far fronte all’emergenza della BSE
sono stati emanati ulteriori decreti, tra cui il Decreto del Ministero della Sanità
del 6 agosto 2001, che ha fondato sul principio di precauzione l’abbassamento
dell’età a partire dalla quale compiere le relative analisi sui capi macellati.
Successivamente, l’art. 1 del D. Lgs. 24 aprile 2001, n. 212 prevede che
l’attuazione delle Direttive 98/95/CE e 98/96/CE, in materia di
65
“commercializzazione dei prodotti sementieri, catalogo comune delle varietà
delle specie di piante agricole e relativi controlli”, deve avvenire nel rispetto del
principio di precauzione ex art. 174, par. 2, del Trattato di Amsterdam74
.
Il principio di precauzione è, inoltre, espressamente richiamato dalla legge
quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici (l. 22 febbraio 2001, n. 36)75
, che ha ricondotto ad unità le
precedenti normative (di natura regolamentare) e ha introdotto una disciplina
positiva di respiro più ampio e attuale.
La legge-quadro in materia di inquinamento elettromagnetico elenca,
all’art. 1, tra le proprie finalità, la tutela della salute, dell’ambiente e del
paesaggio, nonché la promozione della ricerca scientifica per la valutazione
degli effetti a lungo termine e l’attivazione di misure di cautela da adottare in
applicazione del principio di precauzione di cui all’art. 174, par. 2, del Trattato
U.E.76
.
Essa, accogliendo una nozione unitaria di emissione elettromagnetica,
armonizza il precedente assetto normativo fondato su ripartizioni in base al tipo 74
La norma citata dispone testualmente: “Il presente decreto dà attuazione alle disposizioni dell’Unione europea,
concernenti la libera circolazione delle sementi nell’ambito dell’Unione stessa, di cui alle Direttive 98/95/CE e
98/96/CE. Al fine di assicurare la tutela della salute umana e dell’ambiente, detta attuazione avviene nel rispetto
del principio di precauzione di cui all’art. 174.2 del Trattato di Amsterdam”. 75
S. CASSESE, La nuova disciplina sulla protezione dalle esposizioni ai campi elettromagnetici, in Giorn. dir.
amm., 2001, p. 330 ss.; F. MERUSI, Dal fatto incerto alla precauzione: la legge sull’elettrosmog, in Foro amm.,
2001, p. 221 ss. 76
L’art. 1 dispone che: “la presente legge ha lo scopo di dettare i principi fondamentali diretti a: a) assicurare la
tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell’esposizione a determinati
livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione;
b) promuovere la ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo termine e attivare misure di cautela da
adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del trattato istitutivo
dell’Unione Europea; c) assicurare la tutela dell’ambiente e del paesaggio e promuovere l’innovazione
tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l’intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici secondo le migliori tecnologie disponibili”.
66
di emissione e prevede la fissazione di tre livelli di protezione, individuati nei
limiti di esposizione, nei valori di attenzione e negli obiettivi di qualità
(fissazione compiuta poi dai decreti attuativi emanati nel 200377
).
Un ulteriore riferimento normativo è costituito dal D. Lgs. 8 luglio 2003,
n. 22478
, il cui art. 1 si propone l’obiettivo di stabilire “nel rispetto del principio
di precauzione, le misure volte a proteggere la salute umana, animale e
l’ambiente relativamente alle attività di rilascio di organismi geneticamente
modificati, in seguito denominati OGM, nei confronti della: a) emissione
deliberata per scopi diversi dall’immissione sul mercato; b) immissione sul
mercato di OGM come tali o contenuti in prodotti”.
L’art. 5, comma 3, del decreto citato sancisce che l’autorità nazionale
competente provvederà ad assicurare che siano adottate, nel rispetto del
principio di precauzione, tutte le misure atte ad evitare effetti negativi sulla
salute umana, animale e sull’ambiente che potrebbero derivare dall’emissione
deliberata di organismi geneticamente modificati.
Il principio di precauzione è richiamato, altresì, dall’art. 1, comma 8, lett.
f), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (“Delega al Governo per il riordino, il
coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure
77
La fissazione dei limiti previsti dalla l. 36 del 2001 è avvenuta con i due d.p.c.m. 8 luglio 2003, in G.U. 29
agosto 2003 n. 200 e in G.U., 28 agosto 2003, n. 199. 78
Il decreto in esame ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 2001/18/CE in materia di emissione deliberata
nell’ambiente di organismi geneticamente modificati.
67
di diretta applicazione”), che lo pone tra i principi e i criteri guida della
riorganizzazione della normativa ambientale.
Anche il Codice del consumo opera un richiamo al principio in parola in
materia di controllo della sicurezza dei prodotti immessi sul mercato. L’art. 107,
comma 4, prevede, infatti, che le amministrazioni competenti su tale controllo
“quando adottano misure (…), tenendo conto del principio di precauzione,
agiscono nel rispetto del Trattato istitutivo della Comunità europea, in
particolare degli artt. 28 e 30, per attuarle in modo proporzionato alla gravità del
rischio”.
Il comma successivo stabilisce che: “le amministrazioni competenti,
nell’ambito delle misure adottate sulla base del principio di precauzione e, senza
maggiori oneri per la finanza pubblica, incoraggiano e favoriscono l’azione
volontaria dei produttori e dei distributori di adeguamento agli obblighi imposti
dal presente titolo, anche mediante l’eventuale elaborazione di codici di buona
condotta ed accordi con le categorie di settore”.
Infine, il Codice dell’ambiente (D. Lgs. n. 152 del 2006) contiene nella
parte sesta (“Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente”)
numerosi riferimenti al principio di precauzione.
L’art. 301 del Codice dell’ambiente, sebbene dettato in un contesto di
applicazione generale alla tutela dell’ambiente, non definisce il principio, ma si
limita a prevederne l’applicazione ogniqualvolta si presenti un pericolo per
68
l’ambiente o la salute dell’uomo, al fine di assicurare un alto livello di
protezione79
.
La norma in analisi sembra porre innanzitutto la responsabilità della
corretta applicazione del principio in capo alla persona interessata, sia essa fisica
o giuridica, privata o pubblica, che esercita o controlla un’attività professionale
avente rilevanza ambientale, cui incombe l’obbligo di adottare, entro
ventiquattro ore e a sue spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in
sicurezza, dopo aver trasmesso apposita comunicazione a tutte le pubbliche
amministrazioni locali – comune provincia regione o provincia autonoma –
cointeressate nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo nonché al prefetto, che
deve informare tempestivamente – entro le ventiquattro ore successive – il
Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio cui è riconosciuta la facoltà di
adottare, in qualunque momento, le misure precauzionali.
79
L’art. 301 del D. Lgs. n. 152 del 2006, rubricato “Attuazione del principio di precauzione”, dispone che:
“1. In applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE, in caso di
pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di
protezione.
2. L’applicazione del principio di cui al comma 1 concerne il rischio che comunque possa essere individuato a
seguito di una preliminare valutazione scientifica obiettiva.
3. L’operatore interessato, quando emerga il rischio suddetto, deve informarne senza indugio, indicando tutti gli
aspetti pertinenti alla situazione, il comune, la provincia, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio si
prospetta l’evento lesivo, nonché il Prefetto della provincia che, nelle ventiquattro ore successive, informa il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
4. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in applicazione del principio di precauzione,
ha facoltà di adottare in qualsiasi momento misure di prevenzione, ai sensi dell’articolo 304, che risultino:
a) proporzionali rispetto al livello di protezione che s’intende raggiungere;
b) non discriminatorie nella loro applicazione e coerenti con misure analoghe già adottate;
c) basate sull’esame dei potenziali vantaggi ed oneri;
d) aggiornabili alla luce di nuovi dati scientifici.
5. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare promuove l’informazione del pubblico quanto
agli effetti negativi di un prodotto o di un processo e, tenuto conto delle risorse finanziarie previste a legislazione
vigente, può finanziare programmi di ricerca, disporre il ricorso a sistemi di certificazione ambientale ed
assumere ogni altra iniziativa volta a ridurre i rischi di danno ambientale.
69
La mancata osservanza di questa disposizione determina l’irrogazione di
una sanzione amministrativa da parte dell’autorità preposta al controllo o
comunque del Ministero suddetto che può adottare le misure di prevenzione
necessarie. Significativa dunque è la scelta del legislatore di improntare il
sistema di protezione dell’ambiente ai principii di precauzione e di azione
preventiva, da concretizzarsi nell’adozione di misure volte ad evitare, o
comunque, a ridurre il rischio di un potenziale danno ambientale, così come
definito dall’art. 300 del Codice dell’Ambiente80
.
Dall’analisi delle normative legate all’attuazione del principio di
precauzione non può non avvedersi di come il legislatore si sia limitato a un
mero richiamo nelle diverse discipline, senza fornire una precisa definizione del
principio medesimo o una specificazione delle sue modalità di attuazione:
specificazione che, del resto, sarebbe poco compatibile con la sua natura di
principio generale81
.
Da tale natura discende il problema della discrezionalità nell’attuazione
del principio medesimo nel diritto amministrativo, ove sembra destinato ad
evolversi sempre più, soprattutto nelle ipotesi in cui entrano in gioco interessi di
grande rilevanza quali la tutela della salute dell’uomo e la protezione
80
Ex art. 300 D. Lgs. 152/2006, è danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o
indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima. 81
V. G. MANFREDI, Note sull’attuazione del principio di precauzione in diritto pubblico, in Diritto pubb., 2004,
p. 1077 e ss.
70
dell’ambiente, giungendo ad “orientare sensibilmente i futuri contenuti
dell’azione amministrativa”82
.
2. Principio di precauzione e azione amministrativa alla luce della l. n.
241 del 1990.
La dottrina è concorde nel ritenere che il principio di precauzione esplichi
la sua azione nel diritto amministrativo in virtù del richiamo ai principii
dell’ordinamento comunitario ex art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241,
disciplinante il procedimento amministrativo, così come modificata dalla legge
11 febbraio 2005, n. 1583
.
La norma citata sancisce, com’è noto, che: “l’attività amministrativa
persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di
efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità
82
Così, F. DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, Milano, 2005, p. 57. 83
V., tra gli altri, F. TRIMARCHI, Principio di precauzione e “qualità” dell’azione amministrativa, in Riv. it. dir.
pubbl. comunit., 2005, 6, p. 1673 ss.; M. ANTONIOLI, Precauzionalità, gestione del rischio e azione
amministrativa, ibidem, 2007, 1, p. 51 ss.; F. FONDERICO, Tutela dall’inquinamento elettromagnetico e
amministrazione precauzionale, ibidem, 2004, 3-4, p. 907 ss.; R. CARANTA, The Precautionary Principle in
Italian Law, in M. PAQUES (a cura di), Le principe de précaution en droit administratif. Rapport International et
rapports nationaux, cit., p. 199 ss.
71
previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli
procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”.
Ne deriva che il principio di precauzione è posto alla base, insieme agli
altri principii di matrice comunitaria, dell’esercizio delle funzioni autoritative
della P.A.
Se è vero che in virtù del principio di buon andamento
dell’amministrazione ex art. 97 Cost., l’assunzione di decisioni da parte della
P.A. o l’avvio di attività e iniziative deve essere fondata su una preliminare
valutazione dei dati scientifici di conoscenza e dei presupposti normativi –
valutazione che di regola avviene nella fase preparatoria del procedimento – la
portata innovativa del principio di precauzione si riflette essenzialmente sulla
valutazione degli effetti di una decisione di agire o non agire in presenza di un
rischio meramente sospettato, e sulla provvisorietà di tale valutazione in ragione
del mutare delle conoscenze scientifiche.
L’intervento della P.A. può riguardare tanto materie per le quali il
legislatore ha stabilito standard e criteri essenziali quanto fattispecie ancora non
disciplinate.
Tuttavia, la regolamentazione amministrativa spesso comporta una
cristallizzazione in parametri e criteri, che, al contrario, dovrebbero mutare con
l’evoluzione delle conoscenze scientifiche e adeguarsi al divenire sempre più
rapido e complesso della realtà.
72
Occorre, a questo punto, che l’indagine si soffermi sulla giurisprudenza
costituzionale e amministrativa, in modo da osservare le applicazioni concrete
del principio di precauzione e, in particolare, l’assetto degli interessi in gioco
che risulta dagli orientamenti giurisprudenziali.
3. Principio di precauzione e tutela della salute nella giurisprudenza
della Corte Costituzionale.
La Corte Costituzionale si è occupata soltanto indirettamente del principio
di precauzione, pur essendo numerose le sentenze concernenti questioni
strettamente connesse con la tematica della precauzione, toccando ambiti quali
la tutela della salute, umana e animale, dell’ambiente e dell’ecosistema.
Tuttavia, non si può non rilevare come la sua giurisprudenza, anche se
non espressamente, sia sovente improntata ad esso, soprattutto quando entrano
in gioco la tutela della salute e dell’ambiente, non tanto perché la precauzione
costituisce un principio cardine del diritto comunitario in tema di politica
ambientale, quanto piuttosto per il coinvolgimento di valori costituzionali, la cui
protezione può risultare vana se non si interviene in via preventiva o
precauzionale.
73
Ad esse si aggiungono, il più delle volte in una posizione di conflitto,
ulteriori situazioni soggettive di rango costituzionale, suscettibili di essere
compresse dall’applicazione del principio di precauzione – su tutte, la libertà di
iniziativa economica privata ex art. 41 Cost. –, determinando la necessità di un
bilanciamento tra valori costituzionali in gioco.
Paradigmatica, al riguardo, è la materia della tutela preventiva contro
l’emissione di sostanze pericolose e inquinanti. La Corte Costituzionale,
chiamata a interpretare le norme disciplinanti limiti alle emissioni medesime,
prescrizioni di tecnologie e criteri di localizzazione degli impianti, ha fondato le
sue ricostruzioni sulla stretta connessione tra tutela dell’ambiente e tutela della
salute, quali diritti costituzionalmente garantiti, e ha riconosciuto al diritto di
opporsi ad emissioni ritenute intollerabili il carattere di diritto fondamentale,
primario ed assoluto, immediatamente azionabile, sia nei confronti dei privati
che della Pubblica Amministrazione.
Il problema ruota intorno al concetto di “soglia di tollerabilità” delle
emissioni inquinanti, stabilita di volta in volta dal legislatore: la tutela del diritto
alla salute giustifica un intervento limitativo della libertà di iniziativa economica
privata o dell’erogazione di un servizio nonostante il rispetto dei limiti di
emissione stabiliti per legge? In tali ipotesi, può realizzarsi una violazione del
diritto alla salute, pur rimanendo al di sotto dei limiti stabiliti?
74
Una importante sentenza della Consulta, la n. 127 del 199084
, sembra dare
una risposta positiva al quesito sopra delineato: il punto di maggior interesse
della pronuncia in esame è costituito dall’interpretazione fornita dalla Corte del
limite di tollerabilità delle emissioni quale presunzione valida fino a prova
contraria, consistente in studi scientifici che dimostrino la pericolosità per la
salute.
La questione verte su una norma che, sebbene espressamente volta alla
tutela della salute, subordina il contenimento o la riduzione delle emissioni
inquinanti da parte degli stabilimenti industriali alla condizione che
l’applicazione delle misure non comporti “costi eccessivi”, facendo in sostanza
dipendere dalle possibilità economiche dell’impresa il pericolo per la salute dei
cittadini e per il loro ambiente di vita85
.
In tal modo, secondo quanto rilevato dal ricorrente, si determinerebbe non
soltanto un contrasto con il diritto soggettivo assoluto alla salubrità ambientale e
alla salute del cittadino, che non può essere sottoposta a limitazioni (art. 32
cost.), ma anche una violazione dell’art. 41 Cost., che sancisce che l’iniziativa
economica privata non può svolgersi in contrasto con la sicurezza, la dignità e la
libertà dell’uomo ed è finalizzata all’utilità sociale.
Al riguardo, la Corte Costituzionale, pronunciandosi con una sentenza
interpretativa di rigetto, ha dichiarato che: “il dato testuale dell’articolo
84
Corte Cost. 16 marzo 2003 n. 127, in Foro it., 1991, I, p. 36. 85
Si tratta dell’art. 2 del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203.
75
impugnato sembrerebbe confermare i dubbi espressi dall’ordinanza di
rimessione, se non fosse che, prima ancora della sua clamorosa incompatibilità
costituzionale, l’interpretazione letterale determinerebbe una manifesta aporia
già sul piano della legislazione ordinaria”.
Secondo la Corte: “Fino a prova contraria si deve presumere che i limiti
massimi insuperabili che Governo e Regioni stabiliscono, e ulteriormente
andranno a fissare, per i vari elementi nocivi che compongono le emissioni
inquinanti, siano tali da contenere le emissioni ‹‹a livelli accettabili per la
protezione della salute e dell’ambiente››: e ciò in aderenza allo scopo e alla ratio
di tutto il complesso normativo che disciplina la materia (…)”.
Per i giudici costituzionali non sembra possibile, pertanto, che, “con una
sorprendente contradictio in adiecto, il legislatore, da una parte ponga limiti
massimi insuperabili per contenere l’inquinamento a livelli accettabili per la
detta fondamentale protezione e, dall’altra, consenta all’imprenditore di non
adottare il sistema tecnologico, attraverso il quale soltanto quella protezione si
rende possibile, quando il costo risulti eccessivo”.
Secondo la Consulta, pertanto, il criterio del “costo non eccessivo” non
interviene al momento dell’individuazione delle tecnologie necessarie al
raggiungimento degli standard di tollerabilità, bensì all’atto di decidere sulle
tecnologie che permettono il “raggiungimento di livelli inferiori a quelli
compatibili con la tutela della salute umana”. In altre parole, l’autorità non può
76
imporre l’adozione di nuove tecnologie disponibili, in grado di ridurre
ulteriormente il livello di emissioni inquinanti, ove queste risultino
eccessivamente costose per la categoria cui l’impresa appartiene.
Infine, la Corte dichiara che: “il condizionamento al costo non eccessivo
dell’uso della migliore tecnologia disponibile va riferito al raggiungimento di
livelli inferiori a quelli compatibili con la tutela della salute umana (…)”. Ciò
nonostante essa conclude sottolineando che: “s’intende che il giudice presume,
in linea generale, che i limiti massimi di emissione fissati dall’autorità siano
rispettosi della tollerabilità per la salute dell’uomo e per l’ambiente. In ipotesi,
però, che seri dubbi sorgano, particolarmente in relazione al verificarsi nella
zona di manifestazioni morbose attribuibili all’inquinamento atmosferico, egli
ben può disporre indagini scientifiche atte a stabilire la compatibilità del limite
massimo delle emissioni con la loro tollerabilità, traendone le conseguenze
giuridiche del caso”.
E’ questo il passaggio più importante della sentenza in esame: anche nelle
ipotesi in cui le emissioni inquinanti sono mantenute al di sotto della soglia di
tollerabilità, fissata dal legislatore o dalla Pubblica Amministrazione, qualora
sopraggiungano sospetti in merito alla pericolosità per la salute dell’uomo, il
giudice può individuare la sussistenza di una violazione del diritto alla salute,
sulla base di studi scientifici che provino il danno da inquinamento.
77
Se non può parlarsi di un’applicazione del principio di precauzione, che in
quegli anni sta emergendo sulla scena del diritto comunitario ma ancora non si è
affermato, a parte qualche eccezione86
, nei diritti interni, non può negarsi che la
Corte si sia ispirata ad un criterio precauzionale in base al quale è sufficiente la
sussistenza di un rischio sospettato perché, all’esito di un’accurata valutazione
scientifica, possano essere adottate misure di protezione della salute umana. E
ciò anche in deroga a disposizioni di legge che prevedono misure meno rigorose,
secondo un’ottica fondata sul necessario adeguamento delle medesime al mutare
delle conoscenze scientifiche.
Assai rilevante è la sentenza 19 giugno 2002, n. 28287
, con la quale la
Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione
Marche 13 novembre 2001, n. 26 (“Sospensione della terapia
elettroconvulsivante, della lobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili
interventi di psicochirurgia”), che prescrive la sospensione – cioè il divieto, sia
pure temporaneo – di determinate pratiche terapeutiche in tutto il territorio
regionale.
Secondo il ricorrente tale disciplina, attinente alla qualità e
“appropriatezza” delle cure, e non all’organizzazione e gestione del servizio
sanitario, invaderebbe l’area della legislazione statale “esclusiva” definita
86
E’ il caso dell’ordinamento tedesco, in cui un primo nucleo del principio di precauzione è teorizzato e adottato
in leggi organiche che disciplinano materie quali l’energia nucleare, le biotecnologie, le sostanze chimiche e le
emissioni elettromagnetiche (V., ad es., la legge federale sull’energia nucleare del 15 luglio 1985, Atomgesetz, la
legge federale sulla produzione e il trattamento di sostanze chimiche, Chemikaliengesetz e la legge federale sulle
biotecnologie, Umweltverträglichkeitsprufungsgesetz). 87
Corte Cost. 19 giugno 2002, n. 282 , in Giust. civ., 2003, I, p. 294.
78
dall’art. 117, comma 2, lett. l (ordinamento civile e penale) e lett. m
(determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale), incidendo
sui diritti fondamentali della persona “paziente” (artt. 2 e 32 Cost.) e sulle
responsabilità, anche civilistiche, degli esercenti le professioni sanitarie (oltre
che sulla ricerca medica, al cui proposito si cita l’art. 33, comma 1, Cost.). La
decisione circa l’ammissione o il divieto di singole terapie si collocherebbe in un
momento “logicamente preliminare” anche rispetto alla determinazione, di
competenza statale, dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza sanitaria.
Secondo la difesa della Regione, è sul principio di precauzione che si
fonda la disciplina in materia di sospensione dei trattamenti terapeutici ritenuti
pericolosi, dal momento che si tratta di una “misura cautelare indispensabile,
stante l’accertata pericolosità degli interventi terapeutici”.
Altresì, “l’applicazione del principio di precauzione non inciderebbe nel
quadro delle responsabilità contrattuali ed extracontrattuali, che anzi verrebbero
prevenute ed evitate”.
La Corte Costituzionale accoglie la questione di illegittimità, avvalendosi
di argomentazioni di grande rilievo. Secondo i giudici, “la pratica terapeutica si
pone all’incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata: quello ad
essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica; e
quello ad essere rispettato come persona, e in particolare nella propria integrità
79
fisica e psichica, diritto questo che l’art. 32, comma 2, secondo periodo, Cost.
pone come limite invalicabile anche ai trattamenti sanitari che possono essere
imposti per legge come obbligatori a tutela della salute pubblica. Questi diritti, e
il confine fra i medesimi, devono sempre essere rispettati, e a presidiarne
l’osservanza in concreto valgono gli ordinari rimedi apprestati dall’ordinamento,
nonché i poteri di vigilanza sull’osservanza delle regole di deontologia
professionale, attribuiti agli organi della professione”.
Pertanto, “salvo che entrino in gioco altri diritti o doveri costituzionali,
non é, di norma, il legislatore a poter stabilire direttamente e specificamente
quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali
condizioni. Poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni
scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione, la regola di fondo
in questa materia é costituita dalla autonomia e dalla responsabilità del medico
che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi
sullo stato delle conoscenze a disposizione”.
La Corte sottolinea che: “autonomia del medico nelle sue scelte
professionali e obbligo di tener conto dello stato delle evidenze scientifiche e
sperimentali, sotto la propria responsabilità, configurano dunque un altro punto
di incrocio dei principii di questa materia” e a tale riguardo compie un
significativo richiamo ai principii contenuti nel Codice di deontologia medica88
.
88
La Corte riporta il testo dell’art. 12 del Codice di deontologia medica, che recita: “al medico é riconosciuta
piena autonomia nella programmazione, nella scelta e nella applicazione di ogni presidio diagnostico e
80
Infine, la Consulta precisa che le considerazioni svolte non impongono
un’acritica preclusione al legislatore, il quale, in presenza di trattamenti sanitari
“a rischio” potrà – e in alcuni casi dovrà –, intervenire soltanto a seguito di una
“verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali
acquisite, tramite istituzioni e organismi - di norma nazionali o sovranazionali –
a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi
tecnico-scientifici”.
L’argomento dell’attuazione di esigenze precauzionali è adoperato dalla
difesa regionale anche nella sentenza 24 ottobre 2005, n. 40689
, nella quale il
Governo solleva questione di incostituzionalità nei confronti delle norme della
legge regionale che contemplavano la sospensione della campagna di profilassi
contro la febbre catarrale degli ovini (la cd. blue tongue) e, in deroga ad ogni
altra disposizione di legge, il consenso, per le aziende regionali, alla
commercializzazione e macellazione dei capi non vaccinati.
Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 117, comma 2, lett. q e della
Direttiva 200/75/CE del 20 novembre 2000; dalla parte opposta la difesa
regionale invoca il principio di precauzione a sostegno della normativa
terapeutico (…), fatta salva la libertà del paziente di rifiutarle e di assumersi la responsabilità del rifiuto stesso”
ma “le prescrizioni e i trattamenti devono essere ispirati ad aggiornate e sperimentate acquisizioni scientifiche
(…), sempre perseguendo il beneficio del paziente”; e “il medico é tenuto ad una adeguata conoscenza (…) delle
caratteristiche di impiego dei mezzi terapeutici e deve adeguare, nell’interesse del paziente, le sue decisioni ai
dati scientifici accreditati e alle evidenze metodologicamente fondate”, mentre “sono vietate l’adozione e la
diffusione di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente o non supportati da adeguata
sperimentazione e documentazione clinico-scientifica, nonché di terapie segrete”. 89
Corte Cost. 24 ottobre 2005 n. 406, in Foro it., 2006, I, p. 660.
81
impugnata, “in considerazione dei pericoli che avrebbe comportato una
campagna vaccinale iniziata con eccessivo ritardo”.
La Corte Costituzionale ha respinto tali argomentazioni, sottolineando
che: “la direttiva n. 2000/75/CE prevede una molteplicità di misure
precauzionali in presenza di sospetti relativamente alla presenza del virus
catarrale degli ovini ed, in particolare, ove si abbiano documentate conferme di
animali affetti dal virus, disciplina – tra l’altro – la delimitazione di zone di
protezione e zone di sorveglianza, il censimento degli animali morti, infetti o
suscettibili di essere infetti, il divieto di movimento di questi animali, la
possibilità di abbattimenti di capi, la distruzione dei loro cadaveri, la possibilità
di vaccinazioni obbligatorie (…)”.
Secondo la Consulta, non vi sono dubbi sul fatto che “la sospensione della
campagna di profilassi obbligatoria contro la febbre catarrale degli ovini, ai
sensi dell’art. 1 della legge della Regione Abruzzo n. 14 del 2004, e la
possibilità che nello stesso periodo i capi non vaccinati possano essere
movimentati, commercializzati e macellati, ai sensi dell’art. 2 della medesima
legge, si pongano in palese contrasto con alcune delle prescrizioni fondamentali
della normativa europea di cui alla direttiva n. 2000/75/CE del 20 novembre
2000, così ponendo anche a rischio la complessiva opera di profilassi a livello
europeo”.
82
Infine, i giudici respingono la tesi dell’applicazione del principio di
precauzione, rilevando che: “non può essere condiviso il tentativo della difesa
regionale di utilizzare il principio comunitario di precauzione di cui all’art. 174
del Trattato istitutivo della Comunità europea per giustificare la disciplina
legislativa impugnata: questo principio, infatti, rappresenta un criterio direttivo
che deve ispirare l’elaborazione, la definizione e l’attuazione delle politiche
ambientali della Comunità europea sulla base di dati scientifici sufficienti e
attendibili valutazioni scientifiche circa gli effetti che possono essere prodotti da
una determinata attività, ma non può certo essere addotto dai destinatari di una
normativa comunitaria ad esso ispirata per negarle attuazione”.
La considerazione conclusiva della Corte è lucida e incontrovertibile: non
è ammissibile invocare a sostegno di una riduzione del livello di tutela della
salute umana un principio, quale quello di precauzione, che è dettato allo scopo
di salvaguardare quel livello o, addirittura, di innalzarlo90
.
90
In tal senso M. SOLLINI, Il principio di precauzione nella disciplina comunitaria della sicurezza alimentare,
cit., p.148.
83
3.1. La giurisprudenza costituzionale in tema di inquinamento
elettromagnetico.
La Corte Costituzionale è stata chiamata più volte a intervenire
sull’attuazione della legge quadro in materia di inquinamento elettromagnetico
(l. n. 36 del 2001), particolarmente complesso soprattutto per ciò che concerne il
riparto delle competenze tra Stato e Regioni.
Significative, al riguardo, sono le sentenze in materia di emissioni
elettromagnetiche n. 307 e n. 331 del 200391
: anche in esse si è posta la
questione della modificabilità, mediante legge regionale, dei valori massimi di
emissione fissati dallo Stato.
La disciplina stabilita dalla legge quadro che si applica a tutti gli impianti
che possono comportare l’esposizione a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz, e in particolare sia
agli elettrodotti, sia agli impianti radioelettrici (art. 2, comma 1), stabilisce
distintamente le funzioni spettanti allo Stato (artt. 4 e 5) e le competenze delle
Regioni e degli enti locali (art. 8), e disciplina specificamente i piani di
risanamento (art. 9), i controlli (art. 14) e le sanzioni (art. 15).
91
Corte Cost. 7 ottobre 2003, n. 307, in Foro it., 2004, I, p. 1365 e Corte Cost. 7 novembre 2003, n. 331, ibidem,
p.1364.
84
La legge fissa standard di protezione dall’inquinamento
elettromagnetico92
, i quali si distinguono (art. 3) in “limiti di esposizione”,
definiti come valori di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico che non
devono essere superati in alcuna condizione di esposizione della popolazione e
dei lavoratori per assicurare la tutela della salute; “valori di attenzione”, intesi
come valori di campo da non superare, a titolo di cautela rispetto ai possibili
effetti a lungo termine, negli ambienti abitativi e scolastici e nei luoghi adibiti a
permanenze prolungate; e “obiettivi di qualità”.
Questi ultimi sono distinti in due categorie, di cui una consiste ancora in
valori di campo definiti “ai fini della progressiva minimizzazione
dell’esposizione” (art. 3, comma 1, lettera d, n. 2), l’altra invece – del tutto
eterogenea – consiste nei “criteri localizzativi, (...) standard urbanistici, (...)
prescrizioni e (...) incentivazioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie
disponibili”(art. 3, comma 1, lettera d, n. 1).
92
L’art. 4 sancisce che: “Lo Stato esercita le funzioni relative: a) alla determinazione dei limiti di esposizione,
dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in quanto valori di campo come definiti dall’articolo 3,
comma 1, lettera d), numero 2), in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri
unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all’articolo 1 (…)”. Tali nozioni sono specificate
nell’art. 3, in cui si legge “b) limite di esposizione: è il valore di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico,
considerato come valore di immissione, definito ai fini della tutela della salute da effetti acuti, che non deve
essere superato in alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei lavoratori per le finalità di cui
all’articolo 1, comma 1, lettera a); c) valore di attenzione: è il valore di campo elettrico, magnetico ed
elettromagnetico, considerato come valore di immissione, che non deve essere, superato negli ambienti abitativi,
scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate per le finalità di cui all’articolo 1, comma 1, lettere b) e
c). Esso costituisce misura di cautela ai fini della protezione da possibili effetti a lungo termine e deve essere
raggiunto nei tempi e nei modi previsti dalla legge; d) obiettivi di qualità sono: 1) i criteri localizzativi, gli
standard urbanistici, le prescrizioni e le incentivazioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, indicati
dalle leggi regionali secondo le competenze definite dall’articolo 8; 2) i valori di campo elettrico, magnetico ed
elettromagnetico, definiti dallo Stato secondo le previsioni di cui all’articolo 4, comma 1, lettera a), ai fini della
progressiva minimizzazione dell’esposizione ai campi medesimi”.
85
Le norme regionali impugnate prevedono misure e interventi assai
incisivi, quali, ad esempio, la sottoposizione a procedure di valutazione di
impatto ambientale dell’installazione di impianti fissi di radiocomunicazione;
valori limite di campo elettrico per la progettazione, la realizzazione e la
modifica degli impianti in questione; la fissazione di un valore di distanza
minima, da determinate aree ed edifici, nell’installazione di detti impianti e così
via.
Tanto la disciplina contenuta nella legge quadro del 2001 quanto le norme
regionali impugnate sono finalizzate espressamente alla tutela della salute.
Tuttavia la Corte Costituzionale, allontanandosi dal ragionamento seguito
per la sentenza n. 127 del 1990, fonda le sue considerazioni sulla necessità di un
bilanciamento tra il diritto fondamentale alla salute ex art. 32 Cost., garantito
attraverso le misure di limitazione delle emissioni ritenute nocive, e la
soddisfazione di rilevanti interessi nazionali, tra cui quello allo sviluppo
energetico e delle telecomunicazioni mediante la realizzazione degli impianti e
delle reti.
La Corte afferma che “l’esame di alcune delle censure proposte nei ricorsi
presuppone che si risponda all’interrogativo se i valori-soglia (limiti di
esposizione, valori di attenzione, obiettivi di qualità definiti come valori di
campo), la cui fissazione è rimessa allo Stato, possano essere modificati dalla
86
Regione, fissando valori-soglia più bassi, o regole più rigorose o tempi più
ravvicinati per la loro adozione.
La risposta richiede che si chiarisca la ratio di tale fissazione. Se essa
consistesse esclusivamente nella tutela della salute dai rischi dell’inquinamento
elettromagnetico, potrebbe invero essere lecito considerare ammissibile un
intervento delle Regioni che stabilisse limiti più rigorosi rispetto a quelli fissati
dallo Stato, in coerenza con il principio, proprio anche del diritto comunitario,
che ammette deroghe alla disciplina comune, in specifici territori, con effetti di
maggiore protezione dei valori tutelati”93
.
La Consulta prosegue, dichiarando che: “la fissazione di valori-soglia
risponde ad una ratio più complessa e articolata. Da un lato, infatti, si tratta
effettivamente di proteggere la salute della popolazione dagli effetti negativi
delle emissioni elettromagnetiche e da questo punto di vista la determinazione
delle soglie deve risultare fondata sulle conoscenze scientifiche ed essere tale da
non pregiudicare il valore protetto; dall’altro, si tratta di consentire, anche
attraverso la fissazione di soglie diverse in relazione ai tipi di esposizione, ma
uniformi sul territorio nazionale, e la graduazione nel tempo degli obiettivi di
qualità espressi come valori di campo, la realizzazione degli impianti e delle reti
rispondenti a rilevanti interessi nazionali, sottesi alle competenze concorrenti di
cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, come quelli che fanno capo
alla distribuzione dell’energia e allo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione. 93
Si vedano le sentenze n. 382 del 1999 e n. 407 del 2002 www.cortecostituzionale.it.
87
Tali interessi, ancorché non resi espliciti nel dettato della legge quadro in esame,
sono indubbiamente sottesi alla considerazione del “preminente interesse
nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee” che,
secondo l’art. 4, comma 1, lettera a, della legge quadro, fonda l’attribuzione allo
Stato della funzione di determinare detti valori-soglia. In sostanza, la fissazione
a livello nazionale dei valori-soglia, non derogabili dalle Regioni nemmeno in
senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze
contrapposte di evitare al massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche,
e di realizzare impianti necessari al paese, nella logica per cui la competenza
delle Regioni in materia di trasporto dell’energia e di ordinamento della
comunicazione è di tipo concorrente, vincolata ai principi fondamentali stabiliti
dalle leggi dello Stato”.
Strettamente connesse a quanto trattato nella pronuncia sin qui esaminata,
le sentenze n. 324 e n. 331 del 2003 confermano l’orientamento adottato dalla
Corte Costituzionale in merito alla necessità di un contemperamento tra la tutela
della salubrità dell’ambiente e l’interesse nazionale allo sviluppo energetico, da
un lato e, dall’altro, in tema di riparto di competenze tra Stato e Regioni sulla
fissazione di limiti alle emissioni elettromagnetiche in virtù di quanto disposto
dalla legge quadro n. 36 del 2001.
Nella prima sentenza, concernente l’impugnativa avverso la disposizione
della legge regionale della Campania 1 luglio 2002 n. 9 (Norme in materia di
88
comunicazione e di emittenza radiotelevisiva ed istituzione del Comitato
Regionale per le comunicazioni) che attribuisce alla Giunta regionale, in
mancanza di un atto legislativo del Consiglio regionale e fino alla approvazione
di una legge organica sul sistema integrato della comunicazione in Campania, la
Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale della norma impugnata, rilevando
che: “già nella legislazione precedente la riforma del Titolo V della seconda
parte della Costituzione, risultava espressamente riconosciuto un ruolo, per
quanto limitato, delle Regioni in tema di localizzazione dei siti degli impianti di
comunicazione”. Tale ruolo è oggi ancor più innegabile sulla base dell’art. 117
della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che
prevede fra le materie di legislazione concorrente, non soltanto il “governo del
territorio” e la “tutela della salute”, ma anche l’“ordinamento della
comunicazione”. Conseguentemente, non può escludersi una competenza della
legge regionale in materia, che si rivolga alla disciplina di quegli aspetti della
localizzazione e dell’attribuzione dei siti di trasmissione che esulino da ciò che
risponde propriamente a quelle esigenze unitarie alla cui tutela sono preordinate
le competenze legislative dello Stato nonché le funzioni affidate all’Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni.
Non può peraltro sfuggire che la disposizione impugnata, attribuisce
l’esercizio di questa competenza, “se il Consiglio non provvede con proprio atto
legislativo”, ad un regolamento regionale adottato dalla Giunta regionale,
89
“sentita la Commissione consiliare competente”, regolamento che resterà in
vigore “fino a quando il Consiglio regionale non approva una legge organica sul
sistema integrato della comunicazione in Campania”.
Una previsione del genere contrasta anzitutto con la mancanza di
una nuova disciplina statutaria relativa al potere regolamentare delle Regioni, in
particolare in quanto esso è attribuito alla Giunta regionale, secondo quanto
questa Corte ha già affermato (sentenza n. 313 del 2003).
Inoltre, nella disposizione impugnata, l’esercizio del potere
regolamentare, in funzione “suppletiva” del mancato esercizio del potere
legislativo, viene meramente autorizzato dalla legge regionale, che peraltro non
delimita o indirizza in alcun modo il suddetto potere regolamentare. E ciò
malgrado che l’ambito oggettivo in cui tale potere regolamentare sarebbe
chiamato ad incidere, in termini di assoluta fungibilità rispetto alla fonte
legislativa regionale, risulti caratterizzato da riserve di legge che la Costituzione
stabilisce per l’allocazione e la distribuzione delle funzioni amministrative tra i
diversi livelli territoriali di governo (art. 118, secondo comma, della
Costituzione), nonché per discipline che incidano su alcune rilevanti situazioni
soggettive (diritto all’informazione, attività di impresa).
La questione del riparto di competenze è riproposta nella sentenza n. 331
del 2003, di grande interesse per l’analisi approfondita degli ambiti della tutela
della salute e dell’ambiente.
90
Secondo quanto rilevato nel ricorso, la legge regionale impugnata si
porrebbe in contrasto con la legge n. 36 del 2001in ragione del fatto che
introduce un parametro, quale la distanza tra impianti ed edifici, diverso da
quelli “di attenzione” contemplati dalla citata legge quadro statale, in funzione
della protezione ambientale dall’esposizione a emissioni elettromagnetiche94
.
Inoltre, sempre secondo il ricorrente, la disciplina “di preminente interesse
nazionale per la sua natura di servizio”, rientrerebbe nella materia, di
competenza esclusiva statale, della tutela dell’ambiente, non sembrando
possibile ricondurla a quella della tutela della salute, di competenza concorrente.
La Regione argomenta l’infondatezza dell’impugnazione, facendo
riferimento alla giurisprudenza costituzionale, che nega la possibilità di isolare
l’ambiente da altre materie, all’ambiente stesso inestricabilmente collegate,
affidate alle competenze regionali e sostenendo che: “sarebbe dunque da
escludere che contrasti con i principi fondamentali una legislazione regionale
che, come appunto quella in esame, incrementa il livello di tutela, senza
sostituirsi al legislatore statale ma solo ponendo una garanzia ulteriore, a
salvaguardia degli interessi della popolazione lombarda”.
Per la Regione, altresì, la legge quadro n. 36 del 2001 lascia aperto uno
spazio alla legislazione regionale, giacché affida allo Stato solo la
94
La disposizione impugnata (art. 3, comma 12, lett. a, della Legge della Regione Lombardia 6 marzo 2002, n.4)
prevede “un generale divieto di installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione entro
il limite inderogabile di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici, nonché strutture
di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parchi gioco, case di cura, residenze per anziani,
orfanotrofi e strutture similari, e relative pertinenze”.
91
determinazione dei “limiti di esposizione” e dei “valori di attenzione”, senza
dire alcunché sull’aspetto della “corrispondenza” spaziale tra le installazioni
radioelettriche e taluni, particolarissimi, insediamenti abitativi, quali quelli
elencati nella disposizione impugnata. Anzi, la stessa legge fa salvi, nel suo art.
3, comma 1, lettera d), i “criteri localizzativi (…) indicati dalle leggi regionali”,
che costituiscono anch’essi “obiettivi di qualità” perseguiti dalla legge statale.
La Corte Costituzionale muove il suo ragionamento dall’analisi di quanto
disposto dalla legge quadro sull’elettromagnetismo: essa “affronta
specificamente il problema della protezione speciale degli ambienti abitativi,
degli ambienti scolastici e dei luoghi adibiti a permanenze prolungate, in vista
delle finalità di cui all’art. 1, lettere b) e c), della legge medesima, prevedendo
speciali valori di attenzione – più rigorosi dei generali limiti di esposizione posti
a salvaguardia della salute della popolazione in generale. Tali valori di
attenzione sono i valori di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico,
considerati come valori di immissione, che non devono essere superati nei
luoghi suddetti”.
Secondo la Corte, “la normativa in questione, tuttavia, indiscutibilmente
incide anche sulla funzione di governo del territorio la cui disciplina legislativa,
in base al terzo comma dell’art. 117 della Costituzione, spetta alle Regioni.
Conseguentemente, il numero 1) della lettera d) dell’art. 3, prevedendo (dopo i
limiti di esposizione e i valori di attenzione) gli obiettivi di qualità cui deve
92
tendere il dispiegamento sul territorio della rete di impianti di
telecomunicazioni, tra questi comprendendo i criteri localizzativi, ne affida la
determinazione alle leggi regionali, secondo quanto previsto dall’art. 8 della
legge n. 36 stessa”.
I giudici accolgono la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 3,
comma 12, lettera a), della legge della Regione Lombardia 6 marzo 2002, n. 4
(Norme per l’attuazione della programmazione regionale e per la modifica e
l’integrazione di disposizioni legislative), argomentando che: “per far fronte alle
esigenze di protezione ambientale e sanitaria dall’esposizione a campi
elettromagnetici, il legislatore statale, con le anzidette norme fondamentali di
principio, ha prescelto un criterio basato esclusivamente su limiti di immissione
delle irradiazioni nei luoghi particolarmente protetti, un criterio che è
essenzialmente diverso da quello stabilito (sia pure non in alternativa, ma in
aggiunta) dalla legge regionale, basato sulla distanza tra luoghi di emissione e
luoghi di immissione.
Né, a giustificare il tipo di intervento della legge lombarda, è sufficiente il
richiamo alla competenza regionale in materia di governo del territorio, che la
legge quadro, al numero 1) della lettera d) dell’art. 3, riconosce quanto a
determinazione dei ‹‹criteri localizzativi››. A tale concetto non possono infatti
ricondursi divieti come quello in esame, un divieto che, in particolari condizioni
di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe
93
addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di
infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformandosi così da ‹‹criteri di
localizzazione›› in ‹‹limitazioni alla localizzazione››, dunque in prescrizioni
aventi natura diversa da quella consentita dalla citata norma della legge n. 36.
Questa interpretazione, d’altra parte, non è senza una ragione di ordine generale,
corrispondendo a impegni di origine europea e all’evidente nesso di
strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione,
attivi e passivi”.
3.2 La giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di OGM.
Il problema dei rapporti tra Stato e Regioni, in relazione alla tutela della
salute umana, emerge anche nella giurisprudenza costituzionale in tematiche
attinenti all’agricoltura e all’ambiente, e in particolar modo alla coltivazione di
organismi geneticamente modificati.
Con la sentenza n. 150 del 200595
, la Corte ha dichiarato inammissibile la
questione di legittimità costituzionale proposta dallo Stato, relativamente alle
95
Corte Costituzionale 4 aprile 2005, n. 150 in Foro it., 2005, I, c. 1645.
94
disposizioni della legge della Regione Puglia 4 dicembre 2003, n. 26 e della
legge della Regione Marche 3 marzo 2004, n. 5.
Il ricorrente sottopone alla Consulta la questione dell’ammissibilità delle
norme impugnate, afferenti entrambe alla disciplina degli organismi
geneticamente modificati, le quali prevedendo un divieto generalizzato di
coltivazione di piante e di allevamento di animali geneticamente modificati96
,
contrastano con quanto disposto dall’art. 22 della Direttiva 2001/18/CE, che
stabilisce il principio della libera circolazione e vieta agli Stati membri di
limitare o impedire in alcun modo l’immissione in commercio di OGM, come
tali o contenuti in prodotti, conformi ai requisiti della direttiva stessa.
La Corte Costituzionale, dopo aver escluso in via preliminare la lesione
della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente ex art. 117,
comma 2, lett. s, Cost., ha dichiarato inammissibili entrambe le questioni di
illegittimità sollevate, in ragione del fatto che esse sono fondate su un manifesto
errore di diritto, ovverossia l’erronea indicazione delle norme interposte che
avrebbero dovuto dimostrare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni
impugnate per violazione dell’art. 117, commi 1 e 2, Cost.
96
L’art. 2 L. R. Puglia n. 26/2003 dispone che: “1. E’ fatto divieto, sull’intero territorio regionale, della
coltivazione di piante e dell’allevamento di animali geneticamente modificati o di altro tipo di OGM anche a fini
sperimentali. 2. Fanno eccezione al comma 1 i terreni in uso a enti e organismi pubblici di ricerca scientifica ,
opportunamente e adeguatamente attrezzati e isolati dai campi di coltivazione normale, previa autorizzazione
dell’Assessorato regionale all’agricoltura”. Analogamente, la disposizione dell’art. 2 L. R. Marche prevede che:
“1. Al fine di tutelare i prodotti agricoli e zootecnici, in particolare quelli di qualità regolamentata, non è
consentita la produzione e la coltivazione di specie che contengono OGM sull’intero territorio della regione. 2.
La Giunta regionale disciplina le modalità per la distruzione di eventuali colture impiantate difformemente da
quanto previsto dal comma 1, nonché le modalità dei controlli relativi alla presenza di OGM nelle sementi”.
95
Al riguardo, i giudici hanno rilevato innanzitutto che: “la Direttiva
2001/18/CE (…) riguarda sia l’emissione deliberata nell’ambiente degli
organismi geneticamente modificati che la loro immissione in commercio”.
Le disposizioni delle leggi regionali impugnate, invece, si riferiscono
meramente alla coltivazione di prodotti agricoli o all’allevamento di animali
geneticamente modificati.
Altresì, le norme interposte, che nella ricostruzione del ricorrente
sarebbero state specificamente violate dalle disposizioni impugnate, si
riferiscono esclusivamente al commercio degli alimenti contenenti organismi
geneticamente modificati.
Secondo la Corte, pertanto, “l’asserita violazione del primo comma
dell’art. 117 Cost. da parte di disposizioni delle leggi regionali impugnate, che
riguardano soltanto tipiche forma di emissioni di OGM nei settori
dell’agricoltura e della zootecnia, non può dunque conseguire alla violazione di
disposizioni che, invece, regolano specificamente il diverso profilo
dell’immissione in commercio di OGM”.
La sentenza in esame contiene un riferimento alla tematica della
precauzione, quale argomento difensivo adoperato dalla Regione Marche, che
invoca a fondamento della legge regionale in materia di OGM esigenze di
“maggiore protezione” dell’ambiente e della salute dettate da logiche
precauzionali legate alle caratteristiche peculiari del territorio marchigiano;
96
l’argomento non è stato preso in considerazione dalla Corte per l’assorbimento
nel motivo dell’erronea indicazione delle norme che si pretendevano violate97
.
Analoga situazione si presenta, a parti invertite, nella sentenza del 17
marzo 2006 n. 11698
, ove è la Regione che solleva questione di legittimità
riguardo alle disposizioni del decreto-legge n. 279 del 200499
, adottato in
attuazione della Raccomandazione della Commissione 2003/566/CE.
Esse sono state ritenute, tra gli altri motivi sollevati, contrastanti con l’art.
117, primo comma, Cost. perché fondate sull’erroneo presupposto di fatto
secondo cui gli organismi geneticamente modificati non comporterebbero
irreversibili danni all’ambiente, all’agricoltura, e alla salute e verrebbero a
impedire alla legge regionale la “tutela della salute umana, animale e vegetale”
secondo “i principi della prevenzione e della precauzione, tramite, in particolare,
l’individuazione di “criteri di esclusione delle colture transgeniche, in
considerazione della particolari condizioni del territorio regionale”.
Dopo aver ricostruito il quadro normativo comunitario e nazionale sulla
disciplina degli organismi geneticamente modificati, in base al quale è ormai
fuor di dubbio la possibilità di coltivazione di OGM “autorizzati”, la Corte
giunge all’esame nel merito delle questioni sollevate, che si conclude con la
97
Secondo M. SOLLINI, op. e loc. ult. cit., p. 147, il richiamo alle esigenze precauzionali, operato dalla difesa
regionale, pecca di genericità e pretestuosità: “il divieto normativo di coltivazione di OGM ha il carattere di un
immotivato rifiuto a priori delle biotecnologie, piuttosto che di una scelta consapevolmente prudente, dettata da
uno stato di incertezza scientifica, cui si ricolleghi il sospetto di gravi pregiudizi per la salute umana”. 98
Corte cost. 17 marzo 2006 n. 116, in Giur. it., 2006, p. 2407. 99
Si tratta degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, commi 3 e 4, 6, 7 e 8 del d.l. 279 del 2004 (Disposizioni urgenti per assicurare
la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica), nel testo convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5, in G.U. n. 22 del 28 gennaio 2005.
97
dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 5, commi 3 e 4; 6,
commi 1 e 2; 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279.
Di rilievo è il passaggio dedicato al principio di coesistenza, in virtù del
quale la messa a coltura di prodotti contenenti OGM non deve pregiudicare le
altre coltivazioni: “per la parte che si riferisce al principio di coesistenza (…) il
legislatore statale, con l’adozione del decreto-legge n. 279 del 2004, ha
esercitato la competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di tutela
dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lett. s, della Costituzione), nonché
quella concorrente in tema di tutela della salute (art. 117, terzo comma,
Costituzione), con ciò anche determinando l’abrogazione per incompatibilità dei
divieti e delle limitazioni in tema di coltivazione di OGM che erano contenuti in
alcune legislazioni regionali. Infatti, la formulazione e specificazione del
principio di coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali,
rappresenta il punto di sintesi fra i divergenti interessi, di rilievo costituzionale,
costituiti da un lato dalla libertà di iniziativa economica dell’imprenditore
agricolo e dall’altro lato dall’ esigenza che tale libertà non sia esercitata in
contrasto con l’utilità sociale, ed in particolare recando danni sproporzionati
all’ambiente e alla salute”.
La Consulta prosegue, dichiarando che: “l’imposizione di limiti
all’esercizio della libertà di iniziativa economica, sulla base dei principi di
prevenzione e precauzione nell’interesse dell’ambiente e della salute umana, può
98
essere giustificata costituzionalmente solo sulla base di «indirizzi fondati sulla
verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali
acquisite, tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sovranazionali, a
ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi
tecnico scientifici» (sentenza n. 282 del 2002)”.
Altresì, “l’elaborazione di tali indirizzi non può che spettare alla legge
dello Stato, chiamata ad individuare il «punto di equilibrio fra esigenze
contrapposte» (sentenza n. 307 del 2003), che si imponga, in termini non
derogabili da parte della legislazione regionale, uniformemente sull’intero
territorio nazionale (sentenza n. 338 del 2003)”
4. Il principio di precauzione nella giurisprudenza amministrativa.
La giurisprudenza amministrativa in tema di precauzione è assai
consistente, soprattutto in ambiti quali l’inquinamento elettromagnetico e la
sicurezza alimentare, e le impugnazioni riguardano indistintamente
provvedimenti statali, regionali e comunali.
99
Quest’ultima ipotesi si è presentata nella sentenza del Consiglio di Stato 3
giugno 2002, n. 3098100
in materia di tutela dall’esposizione a campi
elettromagnetici: la decisione in esame concerne l’annullamento di un
regolamento comunale per l’installazione di antenne di telefonia cellulare,
ritenuto in contrasto con le norme che disciplinano la competenza urbanistica
dei Comuni e con quanto stabilito dalla legge-quadro n. 36 del 2001 in materia
di elettromagnetismo.
Il Consiglio di Stato respinge il ricorso del Comune, concordando con
quanto statuito dal Tar sul fatto che, sia prima dell’entrata in vigore della legge
n. 36/2001 sia successivamente, la fissazione di limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici diversi da quelli previsti dallo Stato non rientri tra le
competenze attribuite ai Comuni.
La pronuncia sottolinea come non sia ammissibile che i Comuni esercitino
competenze che non gli spettano o, come nel caso in questione, spettano allo
Stato, quali quelle in materia di tutela della salute.
Inoltre, il Consiglio precisa che: “il formale utilizzo degli strumenti di
natura edilizia-urbanistica e il dichiarato intento di esercitare le proprie
competenze in materia di governo del territorio non possono giustificare
l’adozione di misure che nella sostanza costituiscono indirettamente una deroga
ai predetti limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali ad esempio il
generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio base per la telefonia 100
Cons. Stato, 3 giugno 2002 n 3098, in Riv. giur. edilizia, 2003, 1, p. 168 ss.
100
cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale, che ha
lo stesso effetto di sovrapporre una determinazione cautelativa ispirata al
principio di precauzione alla normativa statale che ha fissato i limiti di
radiofrequenza, di fatto eludendo tale normativa”.
Infine, i giudici ribadiscono che l’introduzione di misure di governo del
territorio (fissazione di distanze, limitazioni, ecc.) trova giustificazione solo se
conforme al principio di ragionevolezza ed alla natura delle competenze
urbanistico-edilizie esercitate e sorretta da una sufficiente motivazione sulla
base di risultanze, acquisite attraverso una istruttoria idonea a dimostrare la
ragionevolezza della misura e la sua idoneità al fine perseguito.
Altro discorso è quello della possibilità per le amministrazioni locali di
adottare misure di tutela della salute dall’esposizione a campi elettromagnetici
mediante la fissazione di limiti alle emissioni più rigorosi rispetto a quanto
stabilito dai regolamenti vigenti, soprattutto prima dell’entrata in vigore della
legge n. 36 del 2001 e dei relativi decreti di attuazione.
Al riguardo, la giurisprudenza amministrativa è per la gran parte orientata
per l’applicazione rigorosa dei parametri stabiliti dalla normativa speciale,
rigettando ogni istanza di tutela sanitaria101
.
101
T.A.R. Lombardia-Milano, sez. II, 14 maggio 1994, n. 302, Rass. giur. Enel, 1994, p. 243; T.A.R. Lazio, ord.
17 aprile 1997, n. 933, ibidem, 1997, p. 178; T.A.R. Basilicata, 24 giugno 1996, n. 147, ibidem, 1996, p. 1006;
T.A.R. Basilicata, ord. 26 gennaio 1995, n. 63, ibidem, 1995, p. 52; T.A.R. Campania-Napoli, se. V, 21 dicembre
1994, n. 485. Ibidem, 1995, p. 508.
101
Un’eccezione è rappresentata dall’ordinanza del T.A.R. Veneto del 1999
che ha accolto la sospensione dei provvedimenti del comune di Milano, che
hanno stabilito il trasferimento di una scuola elementare nei pressi di un
elettrodotto102
. Il ricorso è stato presentato dai genitori, che lamentavano
l’omessa valutazione della pericolosità per la salute dei propri figli.
Il Tribunale veneto, fondandosi su quanto rilevato nel rapporto ISTISAN
98/31 dell’Istituto Superiore di Sanità103
, ha dichiarato che: “il fatto che non
ricorre nella fattispecie alcuna lesione del D.P.C.M. 23/4/1992 non è sufficiente
ad escludere la pericolosità dell’esposizione ai campi elettromagnetici di coloro
che soggiornano nella scuola elementare (…) che i valori di induzione
magnetica indotti dall’elettrodotto de quo superano ancora quello di 0,2
microtesla fissato dalla legge regionale 1 settembre 1993 n. 43”.
Tale ragionamento è stato poi confermato nel merito in una successiva
pronuncia del collegio veneto104
, di particolare interesse perché espressamente
improntata al principio di precauzione.
Il T.A.R. veneto rileva che: “in merito al profilo della violazione delle
norme che tutelano le persone dall’esposizione ai campi elettromagnetici (nella
specie di bassa frequenza), la Sezione osserva che (…) lo stato di incompiuta
102
T.A.R. Veneto, sez. II, ord. 29 luglio 1999, n. 927, Guida al diritto, 1999, 38, p. 17. La pronuncia in parola è
stata confermata dal Consiglio di Stato, con ordinanza 28 settembre 1999, n. 1737, www.giust.it. 103
Il passaggio citato dal collegio veneto, rileva che: “lo stato di conoscenze scientifiche porta alla necessità,
quanto al problema della pericolosità dell’esposizione a campi magnetici relativamente all’insorgere di tumori,
di dare il massimo grado di priorità a tutti gli interventi di prevenzione indirizzati agli spazi destinati all’infanzia,
quali scuole, asili nidi e parchi gioco”. 104
T.A.R. Veneto, sez. II, 13 febbraio 2001, n. 236, Foro amm., 2001, p. 1259.
102
attuazione delle norme di protezione dai campi a bassa frequenza sembra
giustificare la premessa dai cui muove la difesa dell’amministrazione
comunale”.
Il ragionamento condotto dal tribunale si fonda sulle argomentazioni che,
se è vero che le norme del D.P.C.M. del 1992 siano state concepite
esclusivamente per la protezione dagli effetti acuti, derivanti dall’interazione
con il campo elettromagnetico a bassa frequenza, d’altra parte i limiti stabiliti
risultano assai elevati perché riferiti all’esposizione istantanea. Pertanto, “si
tratta di limiti che non garantiscono alcuna sicurezza nel caso di esposizioni
prolungate e dagli effetti a lungo termine”.
Il Collegio sottolinea che: “per quanto non sussistano ancora certezze
scientifiche in ordine alla soglia di rischio, gli organismi competenti in materia
sanitaria suggeriscono (…) di collocare prudenzialmente in 0,5 microtesla il
massimo livello di esposizione da consentire nelle aree destinate all’infanzia,
alle strutture sanitarie e nelle aree residenziali a seguito della costruzione di
nuovi elettrodotti e in 0,2 microtesla l’obiettivo di sicurezza da raggiungere con
riferimento alle nuove linee elettriche e alla costruzione di nuovi edifici rispetto
a linee elettriche già presenti sul territorio. Questo indirizzo, ispirato al principio
di precauzione, coincide e precorre quello recepito dal Governo negli schemi di
decreto che sono stati approntati in attesa dell’approvazione della legge quadro
(…). Nella relazione che accompagna la bozza di decreto relativo alla disciplina
103
dei campi elettromagnetici a bassa frequenza si legge che il rapporto congiunto
ISS-ISPEL del 29 gennaio 1998 , in merito all’esposizione prolungata ai campi
elettromagnetici a bassa frequenza ha rilevato: che ‹‹i livelli per i quali è stato
rinvenuto un rischio relativo (per leucemia infantile) maggiore dell’unità sono
identificati nella maggior parte degli studi epidemiologici semplicemente nei
termini di >0,2 microtesla››; che i risultati delle ultime ricerche epidemiologiche
(…) mettono in evidenza che l’insieme delle esposizioni categorizzate in passato
per motivi pratici ‹‹superiori a 0,2 microtesla comprende una fascia tra 0,2-0,5
microtesla nella quale il rischio di leucemia infantile è invariato rispetto alla
fascia inferiore a 0,2, microtesla ed una fascia superiore a 0,5 microtesla nella
quale il rischio è all’incirca raddoppiato››”.
Infine, il T.A.R. veneto conclude: “il valore di 0,5 microtesla come media
rappresenta il valore di attenzione che non può essere superato in alcun caso di
esposizione continua in edifici adibiti a permanenza non inferiore a quattro ore
giornaliere; che il valore di 0,2 microtesla, da intendersi come valore medio
annuale di esposizione, non potrà essere superato in tutti i nuovi insediamenti
che presentano caratteristiche corrispondenti a quelle sopra delineate, tra cui le
scuole”.
L’accoglimento del ricorso si fonda esplicitamente sul principio di
precauzione: “la sezione ritiene che, trattandosi di trasferire una scuola
elementare (ossia una popolazione di soggetti particolarmente esposti al tipo di
104
patologia maggiormente temuta e scientificamente correlata al rischio di
emissioni elettromagnetiche) creando di fatto un nuovo insediamento, il
principio di precauzione correttamente inteso avrebbe imposto di considerare
l’opzione del trasferimento da sede a sede solo avendo presente il limite di
sicurezza più rigoroso, vale a dire quello di 0,2 microtesla, previsto per i nuovi
insediamenti e in particolare per gli edifici e gli spazi dedicati all’infanzia, quali
scuole, asili nido e parchi gioco”.
Il principio di precauzione è dunque chiamato a legittimare il
rafforzamento della tutela della salute umana, dinanzi all’incertezza che investe
il nesso causale tra danno alla salute ed esposizione alle radiazioni
elettromagnetiche: in virtù di esso, infatti, si assume come esistente la situazione
più pericolosa per la salute dell’uomo.
L’applicazione del principio di precauzione, pertanto, consente in tale
ipotesi di derogare alle previsioni legislative in materia di soglie-limite di
emissione, perché ritenute inadeguate rispetto al fine della salvaguardia del
diritto alla salute ex art. 32 Cost.105
.
105
In una pronuncia del 2001, il Consiglio di Stato, nel rigettare il ricorso del CODACONS contro la delibera
concernente la “licitazione per il rilascio di licenze individuali per l’installazione e l’esercizio di sistemi di
comunicazioni mobili di terza generazione”, ha precisato che: “alle insistite considerazioni svolte all’appellante
circa la necessità di una tutela preventiva dei beni giuridici di che trattasi ed in ordine alla necessità, confortata
dalla normativa comunitaria e dalla legislazione interna, di optare per la tesi della tutela anticipata e strumentale
degli interessi collettivi fatti valere come propri dagli enti esponenziali, si deve ribattere che l’anticipazione
temporale della tutela collettiva della salute e dell’ambiente, anche in omaggio al principio comunitario della
precauzione, non può essere spinto fino al punto di prescindere dalla dimostrazione o dalla plausibile allegazione
di un pregiudizio ragionevolmente derivante per effetto delle determinazioni impugnate.
L’anticipazione di tutela, strumentale ad un’aspettativa di vantaggio ovvero al fine di evitare un danno
di futura produzione, non può cioè prescindere dalla capacità del provvedimento di dare concretamente la stura
ad una situazione di fatto lesiva per i beni giuridici tutelati dall’ente esponenziale; ovvero di esporre questi, se
non ad un danno immediato, ad un rischio, di attuale percezione e dimostrazione, di pregiudizio suscettibile di
105
Sulla stessa scia si pone la sentenza del Consiglio di Stato del maggio
2009106
, quando rileva che: “vale in proposito quanto già affermato dalla
giurisprudenza amministrativa nel senso che non è illegittima una previsione di
distanza da strutture sanitarie e scolastiche, da ritenersi quali siti particolarmente
sensibili, perché ciò risponde a un principio di precauzione con riferimento a un
criterio di localizzazione che non è generico e indeterminato né disomogeneo,
ma tiene conto della realtà secondo dati di comune esperienza, che consigliano e
giustificano una particolare disciplina relativamente a quei siti, senza che questo
impedisca una ragionevole dislocazione degli impianti nel territorio comunale in
modo da assicurare la fruizione del servizio pubblico delle telecomunicazioni”.
concretizzazione in epoca futura(…).Ne deriva che, se non è revocabile in dubbio la legittimazione preventiva
alla tutela inibitoria della salute e dell’integrità ambientale suscettibili di incisioni per effetto di statuizioni
amministrative la cui esecuzione è suscettibile di riverberarsi in una futura plausibile lesione di detti beni
giuridici (come nel caso affrontato da Cass., sezione III, 20 luglio 2000, n. 1636, relativo alla messa in esercizio
di un elettrodotto già realizzato), a diverse conclusioni deve addivenirsi laddove non si alleghi alcun elemento a
sostegno della capacità della determinazione amministrativa, ex se considerata, di riverberare effetti lesivi nei
confronti degli interessi impersonificati dall’ente esponenziale.
Nel caso di specie, per converso, diversamente da quanto dedotto dall’appellante, non risulta prospettato alcun
elemento dal quale poter inferire la concreta attitudine degli atti impugnati - diretti, ripetesi, alla scelta dei
soggetti a cui favore rilasciare le licenze individuali - a sortire un concreto e certo (o anche solo probabile) esito
vulnerativo dell’integrità della salute e del bene-ambiente”. (Cons. Stato, 13 novembre 2001, n. 1371,
www.giustizia-amministrativa.it). 106
Cons. Stato, 29 maggio 2009, n. 7023, www.giustizia-amministrativa.it.
106
4.1. Gli orientamenti giurisprudenziali in tema di sicurezza
alimentare.
Un ulteriore terreno di prova del principio di precauzione è l’ambito della
sicurezza alimentare, ove è avvertita massimamente l’esigenza di una
informazione quanto più corretta possibile, ossia basata su valutazioni
scientifiche fondate, volta alla tutela del consumatore, ma anche degli stessi
produttori e allevatori.
Significativa, al riguardo, è l’ordinanza del Consiglio di Stato del
novembre 2003107
, con cui il Consiglio ha sospeso il decreto attuativo della
Direttiva 2002/2/CE108
, che prescrive l’obbligo per i produttori di mangimi
composti di riportare l’elenco delle materie prime nell’etichetta, operando il
rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia CE.
Nella seconda questione pregiudiziale il Supremo Consesso afferma: “se
la direttiva 2002/2/CE nella parte in cui impone l’obbligo dell’indicazione esatta
delle materie prime contenute nei mangimi composti, ritenuto applicabile anche
ai mangimi su base vegetale, sia giustificata in base al principio di precauzione,
in assenza di un’analisi dei rischi basata su studi scientifici che imponga detta
107
Cons. Stato, Sez. VI, ord. 11 novembre 2003, n. 7992, www.giustizia-amministrativa.it. 108
Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 25 giugno 2003, in GURI n. 181 del 6 agosto
2003.
107
misura precauzionale in virtù di un possibile correlazione fra la quantità delle
materie prime utilizzate ed il rischio delle patologie da prevenire, e sia
comunque giustificata alla luce del principio di proporzionalità, in quanto non
ritiene sufficienti al perseguimento degli obiettivi di salute pubblica assunti
come scopo della misura, gli obblighi di informazione delle industrie
mangimistiche nei confronti delle autorità pubbliche, tenute al segreto, e
competenti per i controlli a tutela della salute, imponendo invece una
generalizzata disciplina relativa all’obbligo di indicazione, nelle etichette dei
mangimi a base vegetale, delle percentuali quantitative delle materie prime
utilizzate”.
Le società ricorrenti censurano la violazione del principio di precauzione
e proporzionalità da parte delle disposizioni del decreto impugnato, che
costituirebbero una grave “forma di discriminazione in danno alle industrie e a
favore degli allevatori”.
Inoltre, secondo i ricorrenti, le misure precauzionali in parola non
sarebbero giustificate da uno stato di incertezza scientifica, generato
dall’assenza o dalla contraddittorietà dei dati disponibili.
La Corte di Giustizia pronunciandosi sulla questione109
, ha dichiarato la
conformità ai principi comunitari della Direttiva 2002/2/CE, in ragione del fatto
che “solo la manifesta inidoneità di una misura, in relazione allo scopo che le
109
Corte Giust., 6 dicembre 2005, in cause riunite C-453/03, C-11/04, C-12/04, C-194/04, ABNA Ltd. e altri,
www.eur-lex.europa.eu.
108
istituzioni intendono perseguire, può inficiare la legittimità di tale misura”,
sottolineando come “l’obbligo di indicare le percentuali di componenti di un
alimento costituisce una misura idonea a contribuire all’obiettivo di protezione
della salute animale ed umana”.
Di particolare interesse è la sentenza del T.A.R. Emilia-Romagna110
, che
ha rigettato il ricorso proposto avverso un’ordinanza del Presidente della Giunta
Regionale, con cui si era vietato l’utilizzo di proteine animali nei mangimi, in
coerenza con le misure precauzionali adottate dalla Comunità europea a seguito
del diffondersi della BSE.
Nella motivazione il Tribunale sottolinea la ragionevolezza della misura
adottata dalla Regione, in applicazione del principio di precauzione.
Si spinge ancora più oltre il T.A.R. Veneto nella pronuncia in cui avvalora
la conformità ai principi di proporzionalità e precauzione delle misure di
abbattimento selettivo del bestiame per contrastare la diffusione della BSE,
disposte da ordinanze sindacali nei confronti di un’azienda agricola.
Alla ricorrente che lamentava la sproporzione della misura
dell’abbattimento rispetto all’entità del rischio epidemiologico riscontrato, il
T.A.R. ha risposto che tale censura è ingiustificata, dal momento che il principio
di precauzione impone di non sovrastimare, così come di non sottostimare
l’entità del rischio da contrastare. Pertanto, se è vero che un abbattimento totale
e indiscriminato viola il principio di proporzionalità, una esclusione 110
T.A.R. Emilia-Romagna-Bologna, sez. II, 28 febbraio 2001, www.giustizia-amministrativa.it.
109
costituirebbe un non intervento, con la conseguente accettazione di un rischio
manifestamente intollerabile.
Il giudice amministrativo afferma in motivazione che: “in applicazione
dell’altrettanto noto principio di prevenzione e precauzione non è consentito
all’interprete spingere la limitazione dell’abbattimento fino all’esclusione
assoluta dello stesso, posto che comunque un accertamento positivo e indice di
pericolosità risulta esistente”.
Pertanto, in ipotesi come quella considerata, sarebbe l’omissione di
misure precauzionali a dare luogo ad una violazione dei principi di
proporzionalità e adeguatezza.
5. Principio di precauzione e responsabilità della P.A. Cenni
sull’esperienza francese.
Nell’esperienza francese, rilevante per la costituzionalizzazione del
principio di precauzione, esso sembra esercitare una diversa influenza a seconda
dell’ambito in cui è invocato.
Se, infatti, sotto il profilo della protezione dell’ambiente, gli si accorda un
ruolo di rilievo nel controllo amministrativo di legalità, nell’ambito della tutela
110
della salute i giudici si limitano a riconoscere la legittimità delle misure di
precauzione che tale tutela esige, imponendo un “comportamento di
precauzione” all’autorità sanitaria111
.
Tuttavia, non pochi sono gli ostacoli a un’effettiva operatività del
principio medesimo finanche se si rimane in tema di tutela dell’ambiente.
Emblematico è il caso del sistema delle autorizzazioni urbanistiche: al riguardo,
una consolidata giurisprudenza del Conseil d’Etat112
ha stabilito la vigenza del
principio dell’indipendenza delle legislazioni, in base al quale ha rifiutato di
applicare il principio di precauzione alle autorizzazioni individuali all’utilizzo
del suolo assoggettate alla legislazione urbanistica.
Con una sentenza dell’aprile 2005113
, il Conseil d’Etat ha censurato la
decisione con cui la Corte d’appello annullava, sulla base del disconoscimento
del principio di precauzione, la decisione dell’autorità amministrativa locale di
non opporsi alla costruzione di un pilone e di un’antenna di radiotelefonia
mobile. Il Conseil ha applicato il principio dell’indipendenza delle legislazioni,
dichiarando che soltanto le disposizioni urbanistiche sono atte a impedire
l’autorizzazione dell’opera e che l’autorità amministrativa non può fondare la
propria decisione sull’applicazione di un’altra legislazione. In altri termini, il
rifiuto del permesso di costruire non può trovare il suo fondamento giuridico
111
M. DEGUERGUE, Les avancées du principe de précaution en droit administratif français, in Rev. int. dr.
comp., 2006, 2, p. 621 ss. 112
Si veda, per tutte, Conseil d’Etat, 6 giugno 1973, Verne et Beaugier, www.dalloz.fr. 113
Conseil d’Etat, 20 aprile 2005, Sté Bouygues Telecom, www.dalloz.fr.
111
nella violazione del principio di precauzione, ma soltanto nella violazione della
normativa urbanistica.
Ne deriva che, al di fuori della materia ambientale, il principio di
precauzione sembra essere posto sostanzialmente in secondo piano rispetto alla
regolamentazione speciale, nonostante il suo inserimento nel preambolo della
Costituzione.
Sotto il profilo della tutela della salute, non sembra addirittura essere
riconosciuta la valenza del principio, ma soltanto di un “comportamento di
precauzione” che si sostanzia nell’adozione di misure volte a gestire i rischi114
.
Tanto nel caso tristemente noto del “sangue contaminato”115
che in quello
relativo ai danni da amianto116
, i giudici amministrativi si sono rifiutati di far
valere retroattivamente il principio di precauzione per fondare la responsabilità
dello Stato da “rischio da sviluppo”, optando per una responsabilità per colpa
nel trattamento dei rischi a partire dal momento della conoscenza degli effetti
sulla salute delle persone.
Entrambe le pronunce, pertanto, risultano poco significative dal punto di
vista dell’applicazione del principio in parola; in fin dei conti, legare la
responsabilità dello Stato alla data in cui sono venuti a conoscenza gli effetti
dannosi della sostanza o del trattamento in considerazione significa eludere
114
Si veda l’interessante sentenza del Conseil d’Etat in materia di responsabilità dello Stato per danni da prodotti
difettosi, 4 ottobre 2010, in Rec. Dall., 2011, n. 3, p. 213 ss. 115
Conseil d’Etat, 9 aprile 1993, Rec. Leb., p. 110. 116
Conseil d’Etat, 3 marzo 2004, n. 241150 e 241151, www.dalloz.fr.
112
sostanzialmente il principio di precauzione per privilegiare un approccio
preventivo, fondato sulla presenza di rischi noti e scientificamente accertati117
.
La questione è particolarmente complessa, in ragione del fatto che la
ricostruzione cronologica del caso concreto interviene necessariamente ex post,
e cioè successivamente al verificarsi del danno118
. Tuttavia, il problema centrale
non verte tanto sull’individuazione del momento in cui matura un obbligo di
vigilanza in capo allo Stato, basata su un’indagine cronologica delle conoscenze
scientifiche sulla materia, quanto sull’individuazione della “fase di conoscenza a
partire dalla quale lo Stato doveva intervenire”119
.
6. Principio di precauzione, diritto alla salute e responsabilità della
P.A. nell’ordinamento italiano. Il problema del riparto tra
giurisdizioni.
Nell’ordinamento italiano, la profonda trasformazione dell’attività
amministrativa, operata dalla legge n. 241 del 1990, ha comportato rilevanti
117
In tal senso A. ROUYÈRE, Principe de précaution et responsabilité civile de personnes publiques, in Rec.
Dall., 2007, n. 22, p. 1537 ss. 118
Si vedano B. FAURAN, Précaution, prévention et gestion des risques dans le domain edu médicament: la
nécessité d’une application rationalisée, in Rev. dr. san. et soc., 2010, 6, p. 1113 ss. e V. J.S. Borghetti, La
responsabilité du fait des produits défectueux s’invite au Conseil d’Etat, in Rec. Dall., 2011, n. 3., p. 215 ss. 119
Conseil d’Etat, 3 marzo 2004, n. 241150 e 241151, www.dalloz.fr.
113
conseguenze per quanto concerne l’ambito della responsabilità della P.A., intesa
come “esigenza di riparazione delle posizioni giuridiche soggettive lese dalla
sua attività”120
.
Particolari aspetti assume in tale ottica il problema della tutela del diritto
alla salute, tanto nel caso di lesione che di minaccia di lesione a causa
dell’attività della P.A., quale diritto assoluto che dalla stessa non può essere né
degradato né compresso121
.
Emblematica, in questo senso, è la questione del riparto tra giurisdizioni
in riferimento alla materia dell’inquinamento elettromagnetico, che si è imposta
di frequente all’attenzione della giurisprudenza nell’ultimo decennio.
Al riguardo, un ruolo assai rilevante è stato svolto dalla sentenza n. 9893
del 2000 della Corte di Cassazione, riguardante il ricorso del proprietario di un
immobile che si era visto rifiutare dai giudici di merito la sua pretesa nei
confronti della società Enel, autorizzata da decreto ministeriale ad avviare
l’installazione di un elettrodotto inamovibile con tensione superiore a 220 Kv
nelle vicinanze della sua abitazione, per ottenere l’accertamento del danno che
gli sarebbe potuto derivare dall’esposizione alle radiazioni elettromagnetiche
prodotte dalla costruzione e lo smantellamento dello stesso ex art. 1171 cod. civ.
120
S. CACACE, Responsabilità civile e P.A.,in G. Ponzanelli (a cura di), Responsabilità civile. Tredici variazioni
sul tema, Padova, 2002, p. 231. 121
V. Corte cost., 23 luglio 1974, n. 247, in Giust. civ., 1974, III, p. 430; Cass. civ., Sez. Un., 28 ottobre 1998, n.
10737, in Giust. civ. Mass., 1998, p. 2199; Cass. civ., Sez. Un., 12 giugno 1997, n. 5297, in Foro it., 1997, I, p.
2075; Cass. civ., Sez. Un., 17 gennaio 1991, n. 400, in Rass. giur. Enel, 1992, p. 443.
114
La Suprema Corte ha precisato le motivazioni in base alle quali i giudici
di merito hanno ritenuto che la controversia rientrasse nella giurisdizione del
giudice ordinario.
Secondo la Cassazione, a fondamento di tale asserzione si deve porre il
carattere di diritto fondamentale, direttamente tutelato dalla Costituzione, del
diritto alla salute122
. Di conseguenza, la Pubblica Amministrazione può essere
limitata nell’esercizio dei suoi poteri, se da questo deriva la lesione o la
compressione di tale diritto.
Nella materia in considerazione, vale a dire quella dell’esposizione a onde
elettromagnetiche, così come in molteplici altre situazioni determinate
dall’incessante progresso tecnologico, il diritto alla salute è sottoposto ad una
minaccia che non è fondata sulla certezza scientifica.
Una tutela piena del diritto alla salute, che, cioè, intervenga prima che si
realizzi un danno di grande entità ed irreversibile, può essere attuata in virtù del
principio di precauzione, la cui azione deve pertanto essere analizzata nel
sistema della responsabilità civile, superando le ripartizioni tra diritto pubblico e
diritto privato123
, per individuarne l’effettiva incidenza e le possibilità di
evoluzione124
.
122
V. Corte cost. 26 luglio 1979 n. 88; Corte cost., 14 luglio 1986 n. 184; Corte cost.,18 dicembre 1987 n. 559;
Corte cost., 27 ottobre 1988 n. 992; Corte cost., 22 giugno 1990 n. 307 e Corte cost.,18 aprile 1996 n. 118,
www.cortecostituzionale.it. 123
In questa prospettiva, P. STANZIONE-A. SATURNO (a cura di), Il diritto privato della Pubblica
Amministrazione, Padova, 2006, passim. 124
Grande rilievo assumono le dieci sentenze del 2008 con cui la Cassazione ha riconosciuto la responsabilità
del Ministero della Salute per danni da emotrasfusione. V., per tutte, C. Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581,
in Foro it., 2008, I, c. 455.
116
1. Premessa.
Se le nozioni di rischio, prevenzione e precauzione, intesa in senso lato,
non sono nuove al sistema della responsabilità civile – che di continuo si trova a
far fronte ai problemi derivanti dalla dimostrazione della sussistenza dei suoi
elementi essenziali, primo fra tutti il nesso di causalità125
–, non si può non
avvertire, dall’emersione del principio di precauzione in poi, una tensione
sempre più tangibile verso il rafforzamento della funzione preventiva della
responsabilità, soprattutto quando entrano in gioco situazioni soggettive che
coinvolgono diritti fondamentali quali il diritto alla salute ex art. 32 Cost.
Tale è il portato della società odierna, ove la sempre maggiore
complessità dei fenomeni si combina con la comparsa di nuovi tipi di danno, ad
impatto e diffusione assai elevati e suscettibili di realizzarsi anche a distanza di
anni dalla causa scatenante: si pensi, a titolo esemplificativo, ai danni da
esposizione all’amianto o da assunzione di prodotti farmaceutici la cui tossicità
125
Si vedano, inter alios, S. RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964, passim; P.
TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, passim; P.G. MONATERI, La responsabilità civile,
in G. Iudica-P. Zatti (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 1998, passim; ID., La responsabilità civile, in
R. Sacco (diretto da), Trattato di diritto civile, Torino, 1998, passim; G. PONZANELLI, La responsabilità civile.
Profili di diritto comparato, Bologna, 1992, passim. Sotto il particolare profilo della responsabilità del
professionista, v. P. STANZIONE-S.SICA (diretto da), Professioni e responsabilità civile, Bologna, 2006, passim.
117
non sia conosciuta al momento dell’immissione in commercio e resti tale anche
per lunghi periodi126
.
Il che comporta la comparsa di ostacoli in apparenza insormontabili, a
utilizzare le tradizionali categorie: prime fra tutte l’esigenza del verificarsi del
danno, e la dimostrazione di un legame causale tra danno e condotta considerata.
L’elemento nuovo introdotto dal principio di precauzione – che ne è al
contempo il carattere distintivo –, si rinviene nell’incertezza che ricade sulla
pericolosità della condotta (commissiva od omissiva).
A tale riguardo è necessario innanzitutto richiamare la differenza tra
principio di precauzione e principio di prevenzione, al fine di evitare la
sovrapposizione di due nozioni giuridicamente autonome e distinte: nel primo
caso infatti si discorre della probabilità che l’ipotesi sia esatta; nel caso della
prevenzione, al contrario, la pericolosità è assodata, ciò che è incerto è
l’accadimento del danno127
.
Pertanto, mentre la nozione di prevenzione è legata alla possibilità di una
valutazione oggettiva dei rischi, la precauzione necessita di un contesto di
incertezza scientifica.
126
Emblematici sono è i casi del distilbene, dell’isomeride, dell’ormone della crescita e così via, che saranno
analizzati nel prosieguo della trattazione. 127
G. VINEY-PH. KOURILSKY, Le principe de précaution. Rapport au Premier ministre, Parigi, 2000, p. 211.
118
Ne deriva che, se la prevenzione si fonda sull’elemento del danno, dal
momento che è finalizzata ad impedirne la realizzazione, la precauzione sposta
l’attenzione sul nesso che unisce danno e fatto generatore128
.
Fatta questa premessa, il capitolo è volto ad analizzare l’incidenza del
principio di precauzione sul sistema della responsabilità civile: se una tale
incidenza sussista in concreto e se sia in grado di perturbare l’assetto
tradizionale dell’istituto.
A tal fine, l’indagine si concentrerà sui meccanismi adoperati per
realizzare l’elevato livello di tutela della salute che il principio in parola esige,
osservandone l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale, nelle esperienze
francese e italiana.
2. L’incidenza del principio di precauzione sulla responsabilità civile.
Il dibattito dottrinale in Francia.
L’ordinamento francese si distingue per un assai intenso dibattito
dottrinale sul principio di precauzione, che in un primo tempo si è soffermato sul
128
D. TAPINOS, Prévention, précaution et responsabilité civile, Parigi, 2008, p. 41 ss.
119
problema del suo valore normativo, a prescindere dai richiami operati dai testi di
legge.
La questione rinviene le sue origini nell’art. L. 110-1 del Code de
l’environnement, adottato in seguito alla Loi Barnier del 2 febbraio 1995, dal
momento che esso enuncia che la tutela ambientale “s’ispira, nel quadro delle
leggi che ne definiscono la portata” al principio di precauzione. Il tenore della
norma citata, contenente un rinvio alle leggi di volta in volta integranti il
principio di precauzione, ha suscitato da più parti dubbi sulla sua effettiva
portata giuridica129
.
La dottrina si schiera su opposti fronti: v’è chi considera il principio di
precauzione alla stregua di un “principio politico”130
, chi vi rinviene una
“obbligazione giuridica autonoma”131
, chi discorre di “standard giuridico”132
, di
“regola generale di diritto”133
o di “principio generale di diritto”134
.
La disputa si è sopita con il richiamo della Charte de l’environnement nel
Preambolo della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale del 1° marzo
2005, grazie al quale il principio di precauzione è assurto al rango di norma
costituzionale.
129
V. Y. JEGOUZO, Le principes généraux du droit de l’environnement, in R.F.D.A., marzo-aprile 1996, n. 2, p.
215 ss. 130
Così, O. GODARD, Le principe de précaution, un principe politique d’action, cit., p. 127. 131
J.M. FAVRET, Le principe de précaution ou la prise en compte par le droit de l’incertitude scientifique et du
risque virtuel, in Rec. Dall., 2001, p.3464. 132
P. LASCOUMES, La précaution, un nouveau standard de jugement, in Esprit, 1997, 11, p.129. 133
C. CANS, Le principe de précaution, nouvel élément du contrôle de légalité, in R.F.D.A., 1999, p. 750. 134
L. BAGHESTANI-PERREY, La constitutionnalisation du principe de précaution dans la Charte de
l’environnement ou la consécration d’un principe à effet direct”, in P.A., 30 luglio 2004 n. 152, p. 4.
120
Riconoscimento quest’ultimo che non ha comportato, nei fatti, una
limitazione dell’operatività in concreto del principio in parola, tanto sotto il
profilo dell’ambito di applicazione, quanto sotto il profilo dei destinatari,
nonostante la norma ex art. 5 della Charte de l’environnement faccia esclusivo
riferimento alle “autorità pubbliche” e ai danni suscettibili di colpire in modo
grave e irreversibile l’ambiente.
La natura di clausola generale del principio di precauzione, derivante da
molteplici fattori, tra i quali la peculiarità delle sue fonti e l’attitudine a
conformarsi alle diverse situazioni, nelle quali si profila di volta in volta
un’esigenza di tutela, ne ha favorito l’emersione al di fuori del settore
ambientale e l’estensione dei destinatari ai singoli, in vista delle tutela delle
situazioni giuridiche soggettive coinvolte.
In tale prospettiva, gli studiosi e, in maniera assai più lenta e graduale, i
giudici civili hanno operato un’interpretazione “larga” della norma che sancisce
il principio di precauzione.
Grande fortuna ha avuto nella dottrina francese la discussione sulla
tematica dell’impatto del principio di precauzione sull’istituto della
responsabilità civile.
Al riguardo, si distinguono due opposti orientamenti: una prima visione
non ammette alcuna influenza del principio di precauzione sull’istituto della
121
responsabilità civile, avvalorando la teoria in base alla quale il principio si
rivolge esclusivamente alla Pubblica Amministrazione135
.
Secondo tale opinione, il principio di precauzione regolerebbe l’azione
amministrativa e politica, ma non riguarderebbe i decisori privati, che si tratti di
individui o di imprese.
All’estremo opposto, grande rilievo ha assunto nel dibattito giuridico
l’orientamento che guarda al principio di precauzione come strumento in grado
di scardinare l’assetto tradizionale della responsabilità civile, trasformandola
radicalmente136
, quale unica modalità di ingresso del principio medesimo nel
sistema della responsabilità.
La convinzione posta alla base della teoria, in effetti, è quella della
inconciliabilità tra la precauzione e l’istituto delineato dall’art. 1382 cod. civ.,
fondato sull’esigenza del verificarsi di un danno; inconciliabilità che non
riguarda il profilo funzionale delle fattispecie, bensì quello teleologico. In
effetti, se, da un lato, la finalità preventiva del principio di precauzione mal si
accorda con quella riparatrice della responsabilità, dall’altro, un punto di
convergenza si rinviene nella funzione preventiva della responsabilità civile137
.
135
V., per tutti, F. EWALD, L’Etat de précaution, Rapport public du Conseil d’Etat pour l’année 2005, Parigi,
2006, p. 359 e A. ROUYÈRE, L’exigence de précaution saisie par le juge. Réflexions inspirées par quelques
arrêts du Conseil d’Etat, in Rev. fran. dr. adm, 2000, p. 266 ss. 136
Si veda C. THIBIERGE, Libres propos sur l’évolution du droit de la responsabilité. Vers un élargissement de la
fonction de la responsabilité civile?, Parigi, 1999, p. 561. 137
G. VINEY-P. JOURDAIN, La responsabilité: conditions, Parigi, 2006, passim; P. LE TOURNEAU, Droit de la
responsabilité et de contrats, Parigi, 2008, passim.
122
In tale prospettiva, l’unico modo in cui il principio medesimo può entrare
a far parte del meccanismo della responsabilità civile è la previsione della
nascita di una nuova azione di “responsabilità preventiva”, che intervenga prima
della realizzazione del danno138
.
Nella zona intermedia si colloca, invece, la visione maggioritaria che
accoglie la portata innovativa del principio di precauzione, ma ne limita gli
effetti a un adeguamento dell’istituto della responsabilità civile alle nuove
esigenze da esso avanzate, senza che ne derivi lo svuotamento dei suoi elementi
essenziali139
. La sua azione consisterebbe non soltanto nel rafforzamento e
nell’estensione degli obblighi precauzionali previsti dalle discipline specifiche,
ma soprattutto nel rimodellare la nozione di faute, estendendola a tutte le ipotesi
in cui non si è tenuto conto di un rischio che all’epoca della condotta non era
ancora accertato, ma soltanto considerato plausibile da una parte della comunità
scientifica. Nonché in un’attenuazione della prova del nesso di causalità, fino al
passaggio da una causalità “certa” a una causalità “probabile”, attraverso l’uso
delle presunzioni, definite dall’art. 1349 cod. civ., come le “conséquences que la
loi ou le magistrat tire d’un fait connu à un fait inconnu”, che devono risultare
“graves, précises et concordantes”.
138
In tal senso, M. BOUTONNET, op. loc. ult. cit., p. 316 e ss.; ID., Bilan et avenir du principe de précaution en
droit de la responabilité civile, in Rec. Dall., 2010, n. 40, p. 2662 ss. 139
Si vedano G. VINEY-M P. KOURILSKY, op. loc. ult. cit., passim; P. JOURDAIN, Principe de précaution et
responsabilité civile, Parigi, 2000, passim; G. SCHAMPS, Le principe de précaution dans un contexte de droit
communautaire et de droit administratif. Vers un noveau fondement de la responsabilité civile?, Parigi, 2003,
passim; A. GUEGAN, L’apport du principe de précaution au droit de la responsabilité civile, in Rev. jur. envir.,
2000, p. 147 ss.; C. NOIVILLE, Du bon gouvernement des risques, Parigi, 2003, p. 191 ss.
123
3. Gli obblighi di informazione, prudenza e vigilanza nella legislazione
francese.
Il Code de la consommation prevede all’art. L. 111-1 un obbligo generale
di informazione, in virtù del quale “tutti i venditori professionisti devono, prima
della conclusione del contratto, mettere il consumatore in condizione di
conoscere le caratteristiche essenziali del bene”.
Altresì, la norma ex art. L. 113-3 dispone che tutti i venditori di prodotti e
tutti i fornitori di servizi devono, per mezzo della marcatura, dell’etichettatura o
attraverso ogni altra procedura appropriata, informare il consumatore sul prezzo,
sulle eventuali limitazioni della responsabilità contrattuale e sulle condizioni
particolari della vendita, secondo le modalità di volta in volta previste per
decreto.
Le regolamentazioni specifiche, sulla scorta del diritto comunitario, hanno
previsto procedure di controllo sempre più rigorose: in materia di sicurezza
alimentare, ad esempio, vige la disciplina comunitaria posta dal Regolamento n.
1830 del 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla tracciabilità e
l’etichettatura degli organismi geneticamente modificati e la tracciabilità dei
prodotti destinati all’alimentazione umana o animale prodotti a partire da
organismi geneticamente modificati, che ha fatto seguito alla Direttiva
124
2001/18/CE, il cui art. 4, comma 6, impone agli Stati membri di adottare “le
misure necessarie per garantire la tracciabilità in tutte le fasi dell’immissione sul
mercato degli OGM autorizzati”.
Il regolamento citato definisce la tracciabilità come “la capacità di seguire
gli OGM e i prodotti elaborati a partire dagli OGM in tutte le fasi della loro
immissione sul mercato, lungo la catena di produzione e di distribuzione” e
prescrive, all’art. 4, lett. b, un obbligo di etichettatura per tutti i prodotti che
contengano OGM.
In precedenza, misure precauzionali assai rigorose erano state poste in
essere allo scopo di arginare l’emergenza della diffusione dell’encefalopatia
spongiforme bovina140
, oltre ai rigorosi obblighi di controllo in materia di
tracciabilità dei prodotti alimentari, previsti dal Code rural.
Per quanto concerne l’ambito dei prodotti farmaceutici, l’art. R. 5121-149
del Code de la santé publique sancisce che nelle avvertenze del medicinale
devono essere sempre descritti controindicazioni ed effetti indesiderati che
possano derivare dall’uso normale dello stesso.
Tale prescrizione va ormai estesa anche agli effetti indesiderabili
potenziali, soprattutto a seguito di un irrigidimento delle procedure di controllo
da parte dell’Agenzia di sicurezza sanitaria.
140
La disciplina della tracciabilità della carne bovina è stata introdotta con il decreto 99/260 del 2 aprile 1999.
125
4. Alle origini della responsabilità per défaut de précaution: l’esimente
da “rischio da sviluppo” e l’affaire du sang contaminé.
La comparsa della locuzione “rischio da sviluppo” in Francia è legata
all’introduzione della disciplina della responsabilità per danno da prodotti
difettosi141
nel Code civil (artt. da 1386-1 a 1386-18), avvenuta con la loi n.
98/389 del 19 maggio 1998, che ha recepito la direttiva 85/374/CEE.
Le ragioni del ritardo più che decennale nell’attuazione della direttiva
citata vanno rinvenute nelle difficoltà incontrate dal legislatore francese nel
riordinare la materia considerata.
In effetti, a differenza di altri ordinamenti, tra cui quello italiano, in cui –
come si vedrà nel prosieguo del lavoro – la ricezione della direttiva 85/374/CEE
non ha comportato grossi problemi dal momento che esisteva un vero e proprio
vuoto normativo in tema di responsabilità del produttore, in Francia si è profilata
la difficoltà della coordinazione non soltanto con le norme del Code civil in
materia di responsabilità extracontrattuale (art. 1382 e ss.) e di compravendita
(artt. 1645 e 1646), ma anche con la legislazione speciale in materia di tutela del
141
Sul tema v., per tutti, M. CANNARSA, La responsabilité du fait des produits defectueux. Etude comparative,
Milano, 2005, passim; P. JOURDAIN, Responsabilité civile, in Rev. trim. droit. civ., 1992, p. 115 ss.
126
consumatore142
, cui si era giunti grazie all’intenso lavoro operato da dottrina e
giurisprudenza fin dagli anni settanta.
La normativa in questione era, tuttavia, essenzialmente programmatica,
tanto che lo stesso legislatore francese aveva dichiarato che una disciplina della
responsabilità del produttore sarebbe stata adottata solo successivamente143
.
La problematica dei danni da prodotti difettosi poggiava, in precedenza,
sugli artt. 1641 e ss. cod. civ., integranti il regime ordinario della responsabilità
per vizi della cosa venduta; un regime di natura contrattuale, pertanto riservato
soltanto al danneggiato-acquirente, al quale, tra l’altro, non si assicurava una
piena tutela, sia perché era protetto solo nei confronti del dante causa, sia perché
non gli si garantiva una riparazione integrale del danno, dal momento che
l’azione per vizi della cosa è incentrata sul bene.
Per ovviare a tale carenza di tutela, la giurisprudenza ha sancito
l’esistenza di una obligation de sécurité, in virtù della quale il venditore è tenuto
a vendere prodotti esenti da vizi e difetti tali da costituire un pericolo per le
persone ed i beni144
.
Altresì, l’elaborazione giurisprudenziale ha fatto leva sull’art. 1135 cod.
civ., secondo cui il contratto obbliga agli effetti derivanti dalla legge, dagli usi e
dall’equità, al fine di delineare uno strumento di tutela autonomo e distinto
142
Il riferimento è alla legge 78/23 del 10 gennaio 1978, concernente la responsabilità del produttore e la
sicurezza dei prodotti e alla legge 83/660 del 21 luglio 1983, sulla prevenzione degli incidenti domestici. 143
Con il Code de la Consommation, adottato con legge n. 93/949 del 27 luglio 1993. 144
Cass. civ., I, 20 marzo 1989, in Rec. Dall., 1989, p. 381 ss.; Cass. civ., I, 11 giugno 1991, in Bull. Civ., 1991,
I, n. 201; Cass. civ., I, 22 giugno 1991, in Rev. trim. droit. civ., 1991, p. 539.
127
dall’azione ex art. 1641 cod. civ., in grado di potersi estendere anche al soggetto
non acquirente e di superare il confine tra responsabilité contractuelle e
extracontractuelle145
, attraverso il complesso meccanismo della cd. “chaîne de
contrats”146
.
La novellazione del 1998 ha, dunque, dovuto superare molti ostacoli, ma
la disputa più accesa si è avuta intorno alla questione dell’esimente da “rischio
da sviluppo”. La Direttiva 85/374/CEE, al riguardo, conferisce agli Stati membri
la libertà di scegliere se adottare o meno tale causa di esonero.
Sulla materia si è, altresì, espressa la Corte di Giustizia CE con la
sentenza C-300/95147
, nella quale sostiene che “per potersi liberare della propria
responsabilità, ai sensi dell’art. 7, lett. e, della direttiva, il produttore di un
prodotto difettoso deve dimostrare che lo stato oggettivo delle conoscenze
tecniche e scientifiche, ivi compreso il loro livello più avanzato, al momento
della immissione in commercio del prodotto considerato, non consentiva di
scoprire il difetto di quest’ultimo”. La Corte aggiunge che “la disposizione di
esonero non prende in considerazione lo stato delle conoscenze di cui il
produttore considerato era o poteva essere concretamente o soggettivamente
informato, ma allo stato oggettivo delle conoscenze scientifiche e tecniche di cui
145
V., ex multis, Cass. civ., I, 20 marzo 1989, cit. e Cass. civ., I, 11 giugno 1991, cit. 146
In virtù di tale teoria, l’ultimo contraente di una serie di contratti è legittimato ad agire contro il contraente di
origine. Sul tema, v. J. NERET, Le sous-contrat, Parigi, 1979, passim. 147
C. Giust. CE, 29 maggio 1997 C-300/95, in Foro italiano, 1997, IV, p. 387.
128
il produttore si presume informato”, ferma restando l’accessibilità di tali
conoscenze al momento dell’immissione sul mercato del prodotto considerato148
.
A seguito di numerose discussioni, è approvato il testo dell’art. 1386-11,
che sancisce la responsabilità del produttore a meno che questi non provi che:
“lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il prodotto
è stato messo in circolazione, non ha permesso di scoprire l’esistenza del
difetto”149
.
Nel successivo art. 1386-12 cod. civ. è stata introdotta una eccezione, in
virtù della quale l’esimente da rischio da sviluppo non si applica qualora il
danno sia stato causato da un “élément du corps humain” o dai “produits issus
de celui-ci”.
La norma in parola non ha mancato di suscitare critiche, fondate sulla
considerazione del profilarsi di una disparità di trattamento tra produttore di
derivati del sangue, da un lato, e produttori di farmaci o di alimenti o
responsabili delle contaminazioni da amianto, dall’altro150
.
148
V. J.S. BORGHETTI, La responsabilité du fait des produits défectueux s’invite au Conseil d’Etat, cit., p. 215
ss. 149
L’art. 1386-11 cod. civ. dispone che: “Le producteur est responsable de plein droit à moins qu'il ne prouve :
1. Qu'il n'avait pas mis le produit en circulation ;
2. Que, compte tenu des circonstances, il y a lieu d'estimer que le défaut ayant causé le dommage n'existait pas
au moment où le produit a été mis en circulation par lui ou que ce défaut est né postérieurement ;
3. Que le produit n'a pas été destiné à la vente ou à toute autre forme de distribution ;
4. Que l'état des connaissances scientifiques et techniques, au moment où il a mis le produit en circulation, n'a
pas permis de déceler l'existence du défaut ;
5. Ou que le défaut est dû à la conformité du produit avec des règles impératives d'ordre législatif ou
réglementaire.
Le producteur de la partie composante n'est pas non plus responsable s'il établit que le défaut est imputable à la
conception du produit dans lequel cette partie a été incorporée ou aux instructions données par le producteur de
ce produit”. 150
V., per tutti, P. JOURDAIN, Commentaire de la loi n° 98-389 du 19 mai 1998 sur la responsabilité du fait des
produits défectueux”, in J.C.P.,1998, p. 1204.
129
In realtà, tale compromesso è stato raggiunto in ragione della drammatica
vicenda del contagio collettivo da AIDS151
, causato dalle trasfusioni di sangue
avvenute nell’arco di tempo tra il 1980 e il 1985-86, sia prima che dopo la
scoperta del virus dell’HIV152
, sviluppando un enorme contenzioso in sede civile
e amministrativa, allo scopo di non incidere sulla giurisprudenza che aveva
deciso in base al riconoscimento di una obligation de sécurité153
in capo ai centri
di trasfusioni sanguigne154
.
La vicenda dei contagi collettivi da sangue infetto è significativa dal
momento che si rinvengono ipotesi in cui il rischio era del tutto ignorato, casi in
cui il rischio era sospetto, ma non si era ancora in presenza di dati scientifici
sufficientemente sicuri, e casi in cui il rischio era accertato, sulla base di dati
scientifici esaurienti.
Al riguardo, devono distinguersi le azioni concernenti contaminazioni
avvenute successivamente al 1983, vale a dire in un’epoca in cui il rischio della
trasmissione del virus non solo non è più ignorato ma è già sospettato, da quelle
fondate sui contagi avvenuti prima del 1982, ossia nel periodo in cui il rischio
151
V. U. IZZO, La precauzione nella responsabilità civile. Analisi di un concetto sul tema del danno da contagio,
Padova, 2004, p. 380 ss. 152
Nell’aprile del 1984, Robert Gallo del National Healt Institute di Bethesda annuncia di aver raggiunto la
prova scientifica che l’agente eziologico della “sindrome da immunodeficienza acquisita” era un retrovirus
trasmissibile per via ematica, denominato HIV. 153
L’orientamento giurisprudenziale è fondato sull’art. 1147 cod. civ., in materia di responsabilità contrattuale. 154
V., per tutte, Tribunal de Grande Instance Toulouse, 16 luglio 1992, in J.C.P., 1992, 2, 21965; TGI Nice, 27
luglio 1992, Rec. Dall., 1993, p. 38; TGI Aix-en-Provence, 12 luglio 1993, ibidem, 1994, p. 13. L’orientamento
della giurisprudenza di merito è stato poi confermato dalle sentenze della Cassazione. V., per tutte, Cass. civ., I,
12 aprile 1995, Bull. civ., I, n. 179 e Cass. civ., 9 luglio 1996, Bull. civ., I, n. 303 e 304.
130
era completamente ignorato. Soltanto in queste ultime ipotesi, pertanto,
sussistono i presupposti per applicare l’esimente da rischio da sviluppo.
Ne è esempio la sentenza della Cour de cassation del 12 aprile 1995155
,
riguardante il caso di una donna che aveva ricevuto tre trasfusioni ematiche, nel
dicembre 1982, nel febbraio 1983 e nel marzo del 1984. Successivamente, nel
1989, aveva scoperto la sieropositività ed era deceduta di AIDS l’anno seguente.
Accogliendo il ricorso degli eredi, la Cassazione ha respinto le argomentazioni
della Corte d’Appello di Tolosa, che aveva individuato in capo al centro di
trasfusione una mera obbligazione di mezzi, affermando al contrario che su tali
centri grava l’obbligo di fornire un prodotto “esente da vizi” e sottolineando
l’impossibilità di liberarsi, a meno che non sia dimostrata la sopravvenienza di
una “causa esterna” ad essi non imputabile.
La pronuncia è significativa, anche perché la prima trasfusione era
avvenuta nel 1982, vale a dire durante il periodo di “ignoranza” del rischio di
contaminazione, integrando, di conseguenza, un’ipotesi di rischio da sviluppo.
Al contrario, la questione considerata nella pronuncia della Cassazione del
9 luglio 1996156
riguardava un caso di contagio determinato da una trasfusione
avvenuta nell’aprile del 1984, successivamente alla scoperta del virus
dell’AIDS. La Haute Juridiction judiciaire aveva confermato la condanna, sulla
base della violazione dell’obligation de sécurité ex art. 1147 cod. civ., del centro
155
Cass. civ., I, 12 aprile 1995, cit. 156
Cass. civ., 9 luglio 1996, cit.
131
trasfusionale, rigettando il ricorso di quest’ultimo, che lamentava che il giudice
di merito non aveva tenuto nella giusta considerazione la direttiva comunitaria
in materia di responsabilità del produttore, nella parte in cui prevede l’esimente
per i rischi di sviluppo.
La Cour de cassation non è entrata nel merito della questione, ma ha
respinto l’argomento, rilevando che: “il giudice nazionale, investito di una
controversia in una materia rientrante nella sfera di applicazione di una direttiva,
è tenuto ad interpretare il diritto interno alla luce del testo e delle finalità della
direttiva medesima, ma ciò a condizione che essa sia vincolante per lo Stato
membro e che non lasci allo Stato la facoltà di scelta sull’adeguamento o meno
del diritto nazionale a quello comunitario”.
L’art. 15, primo comma, lett. b, della Direttiva 85/374/CE attribuisce,
infatti, agli Stati membri la facoltà di introdurre o meno nel diritto interno
l’esimente da rischio da sviluppo.
In realtà, in tale ipotesi, l’invocazione della disciplina comunitaria era
infondata, in ragione del fatto che la contaminazione ematica si è verificata nel
periodo di “certezza” sul rischio, per cui vengono meno i presupposti per
l’inquadramento nella fattispecie di rischio da sviluppo.
132
5. L’evoluzione giurisprudenziale in tema di responsabilità del
produttore di farmaci.
A differenza della vicenda del sangue infetto, che aveva dato luogo, anche
grazie alla spinta dell’indignazione dell’opinione pubblica, a una politica
tendente a favorire il più possibile l’indennizzo delle vittime, da un lato, e ad un
intenso lavoro giurisprudenziale volto a garantire un’effettiva tutela risarcitoria,
dall’altro, la questione dei danni da prodotti farmaceutici ha dovuto attendere
fino al 1998 perché la Cassation estendesse anche a tali ipotesi l’applicabilità
dell’obbligo di sicurezza, fondato sull’art. 1147 cod. civ.
Fino a quel momento, la giurisprudenza aveva applicato rigorosamente il
regime di responsabilità extracontrattuale, come testimonia la sentenza
del’aprile 1986, nella quale la Haute Juridiction stabiliva che: “la legge non
impone al laboratorio l’obbligo di prevedere tutti i casi di rischio presentati da
un farmaco, che possono essere legati alla sensibilità del malato”157
.
Tuttavia, è proprio il settore della responsabilità del produttore di farmaci
quello in cui, nel corso dell’ultimo decennio, si rinvengono i più significativi
progressi in tema di precauzione.
157
Cass. civ., I, 8 aprile 1986, in J.C.P., 1986, II, p. 20721. La decisione trova conferma in Cass. civ., I, 2
gennaio 1991, in Rec. Dall., 1991, p. 56, nella quale la Cassazione afferma che: “l’obbligo di sicurezza del
fabbricante e del venditore di certi prodotti d’uso comune, in special modo quelli destinati al corpo umano (…),
non comporta una garanzia di pieno diritto
133
Sebbene, infatti, in un primo momento la giurisprudenza si sia attestata su
una linea di chiusura, gradualmente l’elaborazione giurisprudenziale ha portato
ad un’attenuazione del rigore nella prova del nesso di causalità mediante
l’utilizzo di presunzioni “gravi precise e concordanti”, anche in presenza di
rischi meramente sospettati.
Paradigmatici di questa evoluzione sono i casi concernenti farmaci
difettosi quali l’ormone della crescita, l’isomeride, il distilbene e il vaccino
contro l’epatite B158
.
5.1. Il caso dell’ormone della crescita e dell’isomeride.
L’ormone della crescita, utilizzato in Francia a partire dagli anni settanta
per il trattamento di alcune patologie tra cui il nanismo ipofisario, in origine era
estratto dalle ipofisi umane prelevate dai cadaveri. Successivamente – l’anno in
cui si hanno i primi riscontri scientifici è il 1985159
– si scopre che tale farmaco
può provocare lo sviluppo del morbo di Creutzfeld-Jacob.
158
J.L. FAGNART, La conception des produits pharmaceutiques. Prècaution et responsabilité, in AA. VV.,
Mélanges offerts à Marcel Fontaine, cit., p. 749 ss. 159
E’ l’anno in cui sono segnalati i primi decessi negli Stati Uniti. V. C. TAMBURINI-BONNEFOY E TH. BILLETTE
DE VILLEMEUR, Hormone de croissance et maladie de Creutzfeldt-Jacob: éthique de l’information”, in Journ.
inter. bioéth., dic. 1997, vol. 8., p.77 ss.
134
Mentre in paesi quali gli Stati Uniti e l’Inghilterra il medicinale viene
ritirato dal commercio, in Francia si procede alla purificazione e alla messa in
circolazione di un ormone della crescita di tipo sintetico: tra il 1985 e il 1988
esso viene prescritto a migliaia di bambini. A partire dal 1991 si segnalano in
Francia i primi casi di decessi in conseguenza dell’assunzione dell’ormone e le
vittime iniziano a invocare la tutela dinanzi alle giurisdizioni civili.
La vicenda è assai complicata per la difficoltà di ricostruire il quadro
cronologico delle conoscenze scientifiche, al fine di individuare il momento a
partire dal quale si profila il rischio di trasmissione del morbo di Creutzfeld-
Jacob.
La Cour de cassation si è espressa sulla materia con una sentenza del
2006160
, con la quale ha respinto il ricorso del laboratorio di estrazione avverso
la sentenza della Corte d’appello di Montpellier, che lo condannava al
risarcimento del danno sulla base dell’applicazione della direttiva comunitaria in
materia di prodotti difettosi.
Al riguardo, i giudici della Haute Juridiction, pur non avendo confermato
la ricostruzione dei giudici d’appello nella parte in cui invocavano
l’applicazione della responsabilità per danno da prodotto difettoso, rinvenendo,
invece, il fondamento della condanna negli artt. 1147 e 1382 cod. civ., hanno
dichiarato che: “essi hanno ritenuto a buon diritto che tutti i produttori sono
responsabili dei danni causati dai loro prodotti, tanto nei confronti di coloro che 160
Cass. civ., I, 24 gennaio 2006, n. 130, in Rec. Dall., I.R., p. 470.
135
hanno subito direttamente un pregiudizio, quanto nei confronti di chi lo subisce
indirettamente, a prescindere dalla loro qualifica di parti contraenti o di terzi”.
Con una sentenza emessa nello stesso giorno161
, la Cassazione ha
confermato la responsabilità a carico dei laboratori produttori dell’isomeride, un
farmaco a base di una sostanza anoressizzante (dexfenfluramina) utilizzato nel
trattamento dell’obesità, riguardo al quale era stata individuata una relazione
causa-effetto con una grave e rara patologia polmonare (HTAPP) contratta dalla
vittima, in assenza di ogni altro motivo valido a causarla.
La Cour ha, infatti, respinto le argomentazioni del ricorso della casa
farmaceutica, ribadendo quanto era stato rilevato dai giudici d’appello: “la Corte
d’appello ha rilevato, con motivazioni precise ed appropriate, che risulta dagli
studi epidemiologici e di farmaco-vigilanza evocati dagli esperti e l’allarme
medesimo di questi ultimi sul fatto che la dexfenfluramina costituisce un fattore
in grado di favorire l’HTTAP (…) e che nel caso della sig.ra Y. che aveva uno
stato di salute soddisfacente prima del 1993, gli esperti avevano escluso le altre
possibili cause della malattia e avevano appurato che l’isomeride costituiva una
causa diretta e parziale nella misura in cui esisteva una predisposizione della
paziente, come per tutti i malati che presentano patologie assai rare, e di una
causa adeguata, in assenza di ogni altro motivo valido a spiegarla”, deducendone
che esistono presunzioni gravi, precise e concordanti che permettono, nel caso
161
Cass. civ., I, 24 gennaio, n. 1, in Resp. civ. et ass., marzo 2006, p. 90.
136
considerato, di imputare la comparsa della patologia all’assunzione
dell’isomeride.
5.2. Il distilbene.
Il distilbene era un medicinale prescritto alle donne incinte a partire dagli
anni quaranta per evitare gli aborti prematuri. Fin dagli anni cinquanta, tuttavia,
cominciarono a manifestarsi dei sospetti sul collegamento tra il farmaco e
determinati tipi di tumore contratti dalle figlie dei soggetti trattati; sospetti che
trovarono conferma solo vent’anni più tardi e che portarono al ritiro del
distilbene dal mercato statunitense nel 1971 e da quello francese nel 1977.
Al riguardo, significativi sono i casi di due giovani donne, una nata nel
1968 e l’altra nel 1974, che avevano contratto il cancro all’utero a causa
dell’esposizione al farmaco nella loro vita prenatale.
I giudici di appello, dopo un’attenta ricostruzione dell’evoluzione delle
conoscenze scientifiche sulla materia, avevano condannato i produttori del
farmaco sulla base della responsabilità per colpa, nel caso della donna nata nel
1974, ossia successivamente al ritiro dal mercato statunitense del distilbene, in
137
ragione della violazione dell’obbligo di vigilanza e per non aver ritirato il
prodotto a seguito dell’allarme diffuso nella letteratura medica162
.
Per quanto riguarda la donna nata nel 1968, vale a dire quando il rischio
non era ancora accertato, i giudici hanno rilevato che sebbene non sia stata
commessa alcuna negligenza, “la società è venuta meno al proprio obbligo di
vigilanza e ha commesso una serie di colpe, non vigilando sull’efficacia del
prodotto e ciò, nonostante gli avvertimenti della letteratura medico-scientifica,
soprattutto degli anni 1939 e 1962-63”.
Le case farmaceutiche hanno fondato i ricorsi in Cassazione sul rilievo
che: “all’epoca dell’esecuzione del contratto, il fabbricante non era tenuto né a
una gestione preventiva dei rischi oggetto di un’argomentazione scientifica
insufficiente, né ad agire per anticipare e premunirsi contro i rischi presunti o
potenziali di un prodotto, in applicazione del principio di precauzione, di modo
che la Corte d’appello avrebbe violato gli artt. 1165, 1382 e 1383 cod. civ.”.
La Cour de Cassation, con due pronunce del marzo 2006163
, ha rigettato i
ricorsi, confermando le condanne sulla base della violazione dell’obbligo di
vigilanza; in particolare, per quanto concerne il caso della donna nata nel 1974,
la Corte ha fondato il suo ragionamento sull’esistenza di “rischi conosciuti e
accertati sul piano scientifico”, mentre, nell’altra ipotesi, si è limitata a
162
Cour d’appel Versailles, 30 aprile 2004, Resp. civ. et. ass., oct. 2004, p. 11. 163
Cass. civ., I, 7 marzo 2006, S.A.UCB Pharma c./ I. Criou, in Bull. civ., I, n. 142 e Cass. civ., I, 7 marzo 2006,
S.A.UCB Pharma c./ N. Bobet, in Bull. civ., I, n. 143.
138
discorrere di un “rischio conosciuto”, sulla base dei richiami contenuti nella
letteratura scientifica.
Quest’ultima decisione è assai rilevante, dal momento che la Cassazione
ha rinvenuto la responsabilità per colpa in presenza di un rischio meramente
“conosciuto”, ma non accertato. Sia che la si voglia interpretare come un passo
in avanti verso un’apertura al principio di precauzione nella responsabilità
civile, sia che la si voglia considerare un caso isolato dettato tutt’al più
dall’esigenza di non determinare una disparità di trattamento, in quanto le due
donne avevano contratto la stessa malattia per la stessa causa, ciò che qui
interessa è l’estensione della nozione di faute, che deriva dall’innovativa
condanna del fabbricante di un prodotto farmaceutico difettoso per violazione di
un “obbligo di vigilanza”.
In due recenti sentenze del settembre 2009, la Cassation si è occupata
nuovamente degli effetti del distilbene sulle figlie delle donne cui era stato
somministrato.
Nella prima pronuncia, la Corte rigetta il ricorso della vittima, dal
momento che quest’ultima non aveva prodotto una prova sufficiente a fondare il
nesso di causalità tra l’esposizione al medicinale in utero e la comparsa del
cancro164
.
164
Cass. civ., I, 24 settembre 2009, arrêt n. 808, in www.courdecassation.fr.
139
Nella seconda165
, al contrario, i giudici della Haute Juridiction, nel
motivare l’accoglimento del ricorso della vittima, hanno costatato che il
distilbene costituiva la causa diretta dello sviluppo del carcinoma, facendone
discendere l’inversione dell’onere della prova per cui, in applicazione degli artt.
1382 e 1315 cod. civ., spetta al produttore del farmaco provare che il prodotto
non ha determinato l’originarsi del danno.
5.3 Il vaccino contro l’epatite B.
Occorre, infine, soffermarsi sull’elaborazione giurisprudenziale relativa ai
casi di sviluppo della sclerosi a placche nei soggetti cui era stato somministrato
il vaccino contro l’epatite B, particolarmente rilevanti dal momento che la
possibilità di un’associazione causale tra medicinale e patologia non è ancora
confermata, ma neppure esclusa, dagli studi scientifici fino ad oggi condotti.
In un primo momento, la Cassazione si è attestata su posizioni assai
rigide, fondate su un’interpretazione rigorosa delle norme in materia di
responsabilità per danno da prodotti difettosi, in base alla quale ha censurato le
165
Cass. civ., I, 24 settembre 2009, arrêt n. 880, ibidem.
140
decisioni dei juges du fond che avevano riconosciuto la responsabilità del
produttore.
Emblematico è il caso delle due pronunce rese dalla Corte d’appello di
Versailles nel 2001166
, che avevano confermato la ricostruzione del Tribunal de
grande instance di Nanterre, rilevando che la prova del difetto e del nesso di
causalità risultava dalla coincidenza temporale tra vaccinazione e comparsa dei
primi sintomi della malattia e dall’assenza di altri fattori scatenanti, considerato
lo stato di buona salute dei soggetti prima dell’assunzione del farmaco.
La Cour de cassation167
cassa per intero le sentenze in esame, accogliendo
i rilievi formulati dal laboratorio farmaceutico, secondo cui la costatazione
dell’assenza della prova scientifica concernente l’associazione tra il vaccino e la
patologia impediva di accertare nella specie la sussistenza del nesso di causalità
e della prova del difetto, al fine di applicare le norme in materia di responsabilità
del produttore per danni da prodotto difettoso, interpretate conformemente al
diritto comunitario.
In particolare, la Corte ha ravvisato la violazione degli artt. 1147 e 1382
cod. civ., sulla base della impossibilità di fondare il legame eziologico tra
vaccino e malattia sul fatto che quest’ultima si era manifestata a seguito della
vaccinazione e che la paziente era in buona salute nel periodo antecedente, in un
166
Cour d’appel Versailles, 2 maggio 2001, SA Smithkline Beecham c./ Mme. Jeanpert, arrêt n. 284, in Rec.
Dall., 2001, IR. p. 1592 e Cour d’appel Versailles, 2 maggio 2001, SA Smithkline Beecham c./Mme. Leroy, arrêt
n. 283, ibidem. 167
Cas. civ., II, 23 settembre 2003, in Bull. civ., II, n. 188.
141
contesto scientifico in cui né gli esperti né gli studi condotti concludevano per
l’esistenza di una relazione causale.
Non può non rilevarsi l’influenza del ragionamento condotto dalla
Cassation sulla sentenza della Corte d’appello di Parigi del 2006168
, che, in un
caso del tutto simile, ha escluso la responsabilità del laboratorio farmaceutico,
argomentando che: “non esiste consenso scientifico che riconosca il legame di
causalità tra il vaccino contro l’epatite B e la sclerosi a placche e neppure
un’associazione statistica significativa tale da imputare di maniera altamente
probabile o almeno plausibile tale patologia al vaccino.
Pertanto, in ragione di questa incertezza scientifica, a differenza delle
patologie per le quali è stato riconosciuto scientificamente che possano risultare
dalla somministrazione di un prodotto ematico viziato o da un farmaco
iatrogeno, e dal momento che l’assenza di prova dell’innocuità del vaccino non
è sufficiente per poterne dedurre la nocività, non è possibile considerare i soli
dati della storia personale del paziente (coincidenza dei tempi tra la comparsa
della malattia e la vaccinazione, assenza di fattori di rischio, assenza di altre
spiegazioni) valide presunzioni gravi, precise e concordanti in favore
dell’imputabilità della patologia sviluppata al vaccino somministrato”.
168
Cour d’appel Paris, 2 giugno 2006, in RCA, 2006, chron. 906.
142
Se la Cassazione ha confermato tale orientamento con una pronuncia del
febbraio 2007169
, essa sembra poi tornare sui propri passi con i due arrêts del
maggio 2008170
.
Con tali sentenze, i giudici della Haute Juridiction hanno cassato le
pronunce che avevano respinto l’azione di responsabilità intentata da persone
che avevano contratto la sclerosi a placche a seguito della somministrazione del
vaccino contro l’epatite, censurando il procedimento seguito dai giudici di
appello che avrebbero omesso di “appurare se gli elementi di prova, prodotti
dalla parte attrice, costituissero, o meno, delle presunzioni gravi, precise e
concordanti riguardo al carattere difettoso del vaccino oggetto della
controversia, come del nesso di causalità tra un eventuale difetto e il danno
subito”.
Tuttavia, una successiva sentenza del gennaio 2009171
respinge il ricorso
di una donna che aveva contratto la sclerosi a seguito della vaccinazione contro
l’epatite B, sulla base del riconoscimento dell’insindacabilità del giudice nella
valutazione degli elementi di prova, al fine di stabilire se possano essere ritenuti
valide presunzioni ai sensi dell’art. 1353 cod. civ.
169
Cass. civ., I, 27 febbraio 2007, F-D, B. c./ Société Sanofi Pasteur MSD, in Resp. civ. et ass., maggio 2007,
comm. n. 165. 170
Cass. civ., I, 22 maggio 2008, in Bull. Civ., I, n.148 e Cass. civ., I, 22 maggio 2008, in Bull. civ., I, n. 149. 171
Cass. civ., I, 29 gennaio 2009, in Bull. Civ.,I, n. 11.
143
Nei motivi del ricorso era stato, altresì, invocato il principio di
precauzione, in virtù del quale, secondo la ricorrente, “l’assenza di certezze
scientifiche sull’innocuità di un vaccino determina una presunzione di difetto”.
In proposito, la Corte ha dichiarato legittima la decisione dei giudici di
appello, dal momento che questi ultimi, dopo aver “sovranamente valutato
l’idoneità e la portata degli elementi di prova che erano stati loro sottoposti,
grazie ai quali risulta che molteplici fattori avrebbero potuto dare origine alla
malattia” e dopo aver rilevato che “i rapporti dei periti avevano concluso per
l’assenza di una relazione tra vaccinazione e comparsa del male”, hanno escluso
la sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti conformi alla norma ex
art. 1353 cod. civ., in base alle quali dedurre l’esistenza di un nesso causale tra
vaccino e patologia.
Nella sentenza 9 luglio 2009, al contrario, la Cour de cassation sembra
ammettere la configurabilità di una responsabilità per défaut de précaution, dal
momento che per la prima volta condanna un laboratorio farmaceutico a
risarcire una persona che aveva contratto la sclerosi a placche a seguito della
vaccinazione contro l’epatite B, sulla base della sola possibilità della sussistenza
del nesso di causalità.
Nella specie, la questione riguardava una donna che aveva ricevuto due
iniezioni del vaccino anti-epatite B, nel luglio e nell’agosto 1997 e che,
nell’ottobre dello stesso anno, aveva riscontrato problemi neurologici fino alla
144
diagnosi di sclerosi a placche, occorsa nel 2001. La Corte d’appello di Lione
aveva dichiarato la casa di produzione del vaccino responsabile della comparsa
della malattia e l’aveva condannata al risarcimento del danno nei confronti della
vittima.
I giudici della Haute juridiction hanno respinto il ricorso del laboratorio
farmaceutico, confermando quanto rilevato dai giudici dell’appello, in ragione
del carattere difettoso del vaccino, che veniva dedotto dalla mancata inclusione
della sclerosi a placche tra gli effetti indesiderabili del farmaco stesso, in
violazione di un obbligo di informazione.
Secondo una tale ricostruzione, un prodotto è considerato difettoso
quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tenuto
conto in particolar modo di quanto affermato nelle avvertenze informative,
dell’uso che si può ragionevolmente prevedere e del momento dell’immissione
sul mercato dello stesso.
Pertanto, la Corte d’appello, costatando il fatto che, mentre la possibilità
della comparsa della patologia era segnalata nel dizionario medico “Vidal”, così
come accadeva per l’avvertenza “attuale”, una tale informazione non figurava
nella nota informativa del vaccino oggetto della controversia, ha derivato il
carattere difettoso del medicinale in parola.
Il secondo motivo del rigetto della argomentazioni del laboratorio poggia
sulla considerazione che i juges du fond hanno potuto dedurre, nonostante il
145
contesto di incertezza scientifica, l’esistenza di un nesso di causalità tra vaccino
e malattia, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, in base alle
considerazioni che la vittima aveva riscontrato i primi sintomi soltanto due mesi
dopo l’ultima iniezione, che non erano presenti casi di sclerosi a placche nella
sua storia familiare e, infine, che non sussistevano altre cause dirette a spiegare
la comparsa della suddetta patologia.
6. La teoria dei troubles anormaux du voisinage nella giurisprudenza
sull’inquinamento elettromagnetico da impianti di telefonia mobile.
E’ proprio dei principi di diritto servirsi degli strumenti che l’ordinamento
giuridico mette a disposizione, orientandoli verso sempre nuove prospettive.
Tale ruolo riveste il principio di precauzione, allorché, come si è visto, penetra
nel sistema della responsabilità civile attraverso il formante dottrinale e quello
giurisprudenziale, incidendo – a prescindere da come e in che misura – sui suoi
requisiti essenziali.
Ulteriore dimostrazione di questa sua attitudine si rinviene
nell’orientamento giurisprudenziale in tema di esposizione alle radiazioni
elettromagnetiche che ha fondato la tutela preventiva del diritto alla salute,
146
intesa, nell’accezione data dall’OMS, come benessere fisio-psichico della
persona, sulla teoria dei troubles anormaux du voisinage, progressivamente
elaborata dalla giurisprudenza a partire dal XIX secolo nell’ambito dell’abuso
del diritto di proprietà.
Le condizioni su cui poggia tale regola si rinvengono nel fatto che il
voisin subisca un danno, un patimento, derivante da un’attività lecita172
e che
esso sia anormal o excessif. Se quest’ultimo requisito non è fondato su criteri
certi, ma dipende dalla valutazione che il giudice compie nel caso concreto,
l’elaborazione giurisprudenziale ha da tempo precisato che il “danno” debba
essere certo e attuale.
Tuttavia, la teoria in parola è stata di recente invocata a tutela della salute
anche in presenza di un mero rischio di danno173
, appigliandosi alle
manifestazioni attuali di stress e angoscia, dapprima in presenza di un rischio
accertato e, successivamente, anche in casi in cui quest’ultimo era meramente
sospetto, in virtù dell’applicazione del principio di precauzione174
.
E’ il caso della decisione del Tribunal de grande instance di Grasse del 17
giugno 2003175
, relativa alla richiesta dello smantellamento di un’antenna di
172
Il legislatore è intervenuto al fine di limitare la proliferazioni delle azioni fondate sulla teoria dei troubles
anormaux du voisinage con la legge del 31 dicembre 1976, che ha introdotto nel Code de l’urbanisme una norma
che impedisce al vicino di ottenere il risarcimento dei danneggiamenti causati da un’attività lecita stabilita
anteriormente al proprio insediamento sul fondo. 173
V., tra le altre, Cass. civ., II, 10 giugno 2004, in Rev. dr. imm., 2004, p. 348 e Cass. civ., II, 24 febbraio 2005,
in Bull. civ., II, n. 50. 174
V. E. BOUCHET-LE MAPPIAN, Le principe de précaution dans un litige entre voisins, in Rec. Dall., 2010, n.
36, p. 2419 ss. 175
Tribunal de Grande Instance di Grasse, 17 giugno 2003, Commune de La Roquette-sur-Siagne c./ Société
SFR, in Resp. civ. et ass., nov. 2003, chron. n. 29.
147
radiotelefonia mobile installata in prossimità di una scuola da parte di un
comune.
Quest’ultimo rilevava che le emissioni elettromagnetiche eccedevano i
limiti sanciti dal decreto n. 2002/75 del 3 maggio 2002, comportando un
significativo rischio per allievi e insegnanti e che l’installazione del dispositivo
costituiva un trouble anormal du voisinage, sulla base del principio di
precauzione, sottolineando al riguardo come, allo stato delle conoscenze
scientifiche, nessuno studio poteva confermare o escludere l’innocuità di
un’esposizione permanente alle radiofrequenze.
Il Tribunal, dopo aver chiarito che la costatazione del mancato rispetto dei
limiti fissati dalla legge non può giustificare di per sé sola un’azione fondata
sulla teoria dei troubles du voisinage in assenza della prova di un danno, ha
superato tale ostacolo attraverso l’applicazione del principio di precauzione,
interpretato conformemente al diritto comunitario.
Pertanto, in virtù del principio di precauzione176
, i giudici hanno ordinato
lo smantellamento dell’antenna emittente, fondando l’intollerabilità dei troubles
sulla particolare giovane età dei soggetti interessati, “assai più esposti e fragili”
delle persone adulte.
176
I giudici invocano il “principe de précaution renforcé”, spiegando l’uso dell’aggettivo con l’accoglimento
dell’interpretazione che lo ritiene un “principio di prudenza” volto ad abbassare la soglia di probabilità del
rischio oltre la quale è necessario adottare misure di tutela.
148
La sentenza è stata confermata dalla Cour d’appel di Aix-en-Provence,
sulla base dell’art. 544 cod. civ. e senza alcun riferimento alle argomentazioni
dei giudici di primo grado fondate sul principio di precauzione177
.
Successivamente, la ricostruzione del Tribunal di Grasse è fatta propria da
una decisione del Tribunal de grande instance di Toulon del marzo 2006178
, che
ha condannato la società telefonica a trasferire una stazione emittente. I giudici
hanno ritenuto che l’esposizione a un rischio, anche se ipotetico, costituisca un
trouble, in applicazione del principio di precauzione.
Assai rilevante, altresì, è la sentenza della Cour d’appel di Versailles del
febbraio 2009179
, che impone alla società Bouygues Telecom lo smantellamento
di un’antenna di radiotelefonia mobile, installata in prossimità dell’abitazione di
due famiglie, nonostante il rispetto dei limiti di emissione stabiliti dalla legge,
sulla base dell’angoscia provocata dall’incertezza sul verificarsi di un possibile
danno alla salute.
La Corte, dopo aver costatato l’incertezza scientifica sugli effetti
dell’esposizione alle onde elettromagnetiche sulla salute, ha fondato la tutela
inibitoria-risarcitoria sull’esistenza di un turbamento psichico, un’angoscia
determinata dall’esposizione alle radiazioni.
Al riguardo, in dottrina, v’è stato chi ha ravvisato nella scelta di dar
rilievo a un mero turbamento psicologico, l’allontanamento dalla struttura
177
Cour d’appel Aix-en-Provence, 8 giugno 2004, in Rec. Dall., 2005, p. 2678. 178
Tribunal de grande instance Toulon, 20 marzo 2006, in Dr. env., 2006, II, p. 164. 179
Cour d’appel Versailles, 4 febbraio 2009, ibidem, 2009, I, p.18.
149
originaria della théorie du troubles du voisinage, fino a giungere a un
capovolgimento del suo equilibrio giuridico180
.
Ciò che si paventa è, inoltre, un eccesso di potere discrezionale del
giudice nel concedere la tutela, dal momento che questi si trova a operare di
volta in volta un bilanciamento tra gli interessi in gioco, sulla base di criteri del
tutto vaghi e soggettivi181
.
Resta il fatto che la sentenza in esame è la prima pronuncia di una Corte
d’appello che concede il risarcimento in base alla costatazione di un’angoscia,
causata dall’esposizione continua alle onde elettromagnetiche: se da un lato
occorre essere prudenti quanto alla sua portata, considerato che la Cassazione
non si è ancora espressa sulla questione182
, dall’altro non si può negare il ruolo
che il principio di precauzione ha giocato e continua a giocare nella fattispecie.
180
In tal senso, P. STOFFEL-MUNCK, La théorie du troubles du voisinage à l’èpreuve du principe de précaution:
observations sur le cas des antennes relais, in Rec. Dall., 2009, n. 42, p. 2820. 181
ID., op. e loc. ult. cit., p. 2821. 182
Nel caso in esame, la Società Bouygues Telecom ha rinunciato a presentare ricorso in Cassazione.
150
7. Gli strumenti di tutela nell’ordinamento italiano. Il problema
dell’ammissibilità del danno da esposizione alle onde
elettromagnetiche.
Sebbene, nell’ordinamento italiano, manchi una norma di rango
costituzionale che richiami espressamente il principio di precauzione, cosa che
in Francia ha costituito a un tempo l’esito e il rinnovamento di una lunga
elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, esso è assurto a punto di riferimento
nel dibattito in tema di tutela ambientale e della salute sotto il profilo della
responsabilità civile183
.
I caratteri dei nuovi danni generati dal progresso tecnologico della società
odierna, di assai vaste proporzioni e suscettibili di verificarsi nel lungo periodo,
uniti all’incertezza scientifica che impedisce di imputarli ad un’unica causa
scatenante, hanno fatto prendere consapevolezza dell’insufficienza delle
categorie giuridiche tradizionali.
Pertanto, mentre in parte della dottrina ci si interroga ancora sulla sua
effettiva portata giuridica184
, il principio di precauzione emerge, quasi
spontaneamente, in più settori dell’ordinamento, sulla scorta di un’esigenza
183
V. G. COMANDÉ (a cura di), Gli strumenti della precauzione: nuovi rischi, assicurazione e responsabilità,
Milano, 2006, passim e F. ALCARO-C. FENGA-E. MOSCATI-F. PERNICE-R. TOMMASINI (a cura di), Valori della
persona e modelli di tutela contro i rischi ambientali e genotossici. Esperienze a confronto, Firenze, 2008,
passim; U. IZZO, op. loc. ult. cit., passim; C. M. NANNA, op. loc. ult. cit., passim. 184
V. G. TOMARCHIO, Il principio di precauzione come norma generale, op. loc. ult. cit., passim.
151
sempre più avvertita di tutela preventiva della salute in presenza del rischio di
danni ad alto impatto, quali, ad esempio, lo sviluppo di patologie tumorali
derivante da un’esposizione prolungata a determinate sostanze.
Paradigmatica è la materia del c.d. inquinamento elettromagnetico –
suscettibile di provocare, nel lungo periodo, danni alla salute di rilevanti
proporzioni –, dal momento che in essa si dispiega una pluralità di strumenti di
tutela lungo due fasi: una prima, segnata dall’assenza di una disciplina
generale185
, che fornisse coordinate in grado di orientare le decisioni del giudice
e una seconda fase che prende il via dall’entrata in vigore della legge-quadro n.
36 del 2001, con la quale il legislatore ha tentato di dare una sistemazione
unitaria alla disorganica normativa previgente.
Le forti esigenze di tutela della salute, emerse a seguito del moltiplicarsi
degli studi scientifici riguardanti la dimostrazione del rapporto di causalità tra
esposizione a radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti e alcune patologie
come la leucemia infantile186
, hanno trovato espressione tanto nel contenzioso
amministrativo quanto in quello civile187
.
185
I primi interventi di regolamentazione della problematica dell’elettromagnetismo si rinvengono nella legge 28
giugno 1986, n. 339 e nel d.m. 21 marzo 1988, n. 449, riguardanti la progettazione degli elettrodotti. Un’ulteriore
disciplina è contenuta nella legge 9 gennaio 1991, n. 9 che prescrive la valutazione di impatto ambientale per
l’installazione di elettrodotti ad alta tensione nominale. Riguardo alla tutela dei lavoratori esposti alle radiazioni
elettromagnetiche, sono da segnalare il d.p.r. 428 del 1975, il d. lgs. 626 del 1994 e la l. 493 del 1996. Un
importante intervento legislativo è rappresentato, poi, dal decreto del Ministro dell’Ambiente 10 settembre 1998
n. 381, che prevede limiti di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici causati dall’esercizio dei
sistemi fissi di telecomunicazione e radiotelevisivi, operanti nell’intervallo di frequenza compreso tra 100 KHz e
300 GHz. Il decreto in parola prevede l’adozione di misure precauzionali, quali la fissazione di valori massimi di
emissione a seconda della frequenza dell’impianto. 186
N. WERTHEIMER-E. LEEPER, Electrical wiring configurations and childhood cancer, op. loc. ult. cit., p. 273
ss.; J. P. FULTON-S. COOB-L. PREBLE-L. LEONE-E. FORMAN, Electrical wiring configurations and childhood
leukemia in Rhode Island, ibidem, 1980, 111, p. 291 ss.; T.S. TENFORDE, Epidemiological studies on healt effects
152
Le problematiche che ne sono derivate, sulle quali dottrina e
giurisprudenza s’interrogano a tutt’oggi, riguardano da un lato l’intrecciarsi dei
profili di diritto pubblico e di diritto privato, su tutti la possibilità per il giudice
di valutare i parametri imposti dal legislatore e, dall’altro, l’ammissibilità delle
categorie tradizionali della responsabilità civile.
Sotto il profilo della tutela civilistica, fin dagli anni ottanta, allorché si
assiste al moltiplicarsi degli impianti elettrici dinanzi all’accresciuto fabbisogno
energetico nazionale, lo strumento più adoperato si ravvisa nelle domande
cautelari ex art. 700 c.p.c., dirette alla sospensione della costruzione o al
distanziamento dell’elettrodotto, in virtù del riconoscimento della pericolosità
delle linee elettriche ad alta tensione, fatto salvo il diritto al risarcimento dei
danni già verificatisi.
L’orientamento giurisprudenziale più diffuso188
, tuttavia, giustificava il
rigetto delle domande sulla base della mancanza dei requisiti richiesti dall’art.
700 c.p.c., il fumus boni iuris e il periculum in mora, davanti all’impossibilità di
accertare l’esistenza di un rapporto eziologico tra esposizione alle radiazioni e
danno alla salute, suscettibile di avverarsi nel lungo periodo.
of electromagnetic fields, in F. Bersani (a cura di), Electricity and magnetism in biology and medecine, New
York, 1999, p. 9 ss. 187
Come si è visto, nella questione si rinvengono rilevanti profili di diritto amministrativo, in ragione
dell’interesse pubblico legato alla distribuzione energetica e del regime autorizzatorio vigente, che hanno
comportato un rilevante aumento del contenzioso dinanzi al G.A. 188
V., ex multis, Trib. Pisa, ord. 5 marzo 1990, in Rass. giur. en. el., 1990, p. 786 e Pret. Treviso, ord. 8 giugno
1990, ibidem, p. 787.
153
Un primo cambiamento di rotta è segnato dalla pronuncia della Pretura di
Pietrasanta, del novembre 1986189
, che ha ordinato la sospensione dei lavori di
attivazione di un elettrodotto posto nelle vicinanze dell’abitazione del ricorrente,
sulla base di un’azione inibitoria “di merito”, volta alla tutela del diritto alla
salute come tale. In proposito, il giudice ha rilevato che nonostante tale azione
non sia prevista né disciplinata dal legislatore come fattispecie tipica, essa è
generalmente ammessa dalla dottrina e dalla giurisprudenza190
.
Benché l’ordinanza in parola sia stata, poi, revocata dal Tribunale di
Lucca, con la motivazione della mancanza di sicuri elementi di giudizio per
insufficienza dei dati scientifici relativi191
, le sue argomentazioni sono state
riprese da alcune decisioni che hanno approfondito nel merito la possibilità del
verificarsi di un danno alla salute.
Il primo provvedimento che si è pronunciato in tal senso è costituito
dall’ordinanza del novembre 1998192
, con cui il Tribunale di Padova ha imposto
alla società Enel di non superare un determinato livello di emissioni, anch’esso
successivamente annullato193
.
189
Pret. Pietrasanta, ord. 8 novembre 1986, in Foro it., 1987, I, c. 3372. 190
Sull’ammissibilità di un’inibitoria atipica, in virtù della diretta applicazione dell’art. 32 Cost., v. C.M.
NANNA, op. loc. ult. cit., p. 257 ss. L’A. accoglie la ricostruzione teorica fondata sul collegamento tra inibitoria
provvisoria ex art. 700 c.p.c. - fondata sui presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, e
caratterizzata dalla provvisorietà e strumentalità - e la fattispecie, di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale,
dell’inibitoria atipica, volta a una tutela piena ed efficace del diritto alla salute. 191
Trib. Lucca, 5 marzo 1990, in Rass. giur. en. el., 1990, 523 ss. 192
Trib. Padova, ord. 17 novembre 1998, in Guida al diritto, 1999, 38, p. 14. 193
Trib. Padova, 7 febbraio 2002, n. 257, in Riv. giur. amb., 2002, 6,p. 981.
154
La medesima sorte ha avuto la decisione del Tribunale di Milano194
, che,
ha ordinato lo smantellamento nel più breve tempo possibile di due elettrodotti
collocati nelle immediate vicinanze delle abitazioni dei ricorrenti. A seguito di
un’approfondita analisi della letteratura scientifica in materia di emissioni
elettromagnetiche, il giudice milanese è giunto alla conclusione che non è
possibile escludere la dannosità dell’esposizione di lungo periodo a campi
elettromagnetici per la salute umana, invocando anzi la “quasi certezza” del
collegamento con la leucemia infantile, sulla base delle conoscenze scientifiche
del tempo.
Ulteriori ordinanze hanno accolto le domande di inibitoria195
, gettando le
basi di una orientamento “precauzionale” fondato sulla necessità di garantire
una effettiva tutela del diritto alla salute, senza che sia necessario attendere il
verificarsi del danno temuto.
Con l’introduzione di limiti di esposizione ad opera di norme secondarie,
in giurisprudenza ci si è chiesto quale funzione attribuire a tale normativa e, in
particolare, se dalla presunzione di pericolosità derivante dal superamento dei
limiti, discenda specularmente una presunzione di innocuità qualora
l’esposizione rimanga nei limiti medesimi.
194
Trib. Milano, ord. 7 ottobre 1999, in Ambiente, 1999, n. 22 p. 35. 195
V. Trib. Roma, ord. 5 novembre 1999; Trib. Napoli, ord. 15 ottobre 1999 e Pret. Bologna, ord. 12 aprile 1999,
in Foro it., 1999, I, c. 3414
155
Di qui, si profila un ulteriore quesito: se si ammette la sindacabilità della
pericolosità o nocività delle emissioni ancorché rientranti nei limiti normativi, su
quali criteri deve fondarsi la prova della sussistenza del nesso di causalità?
Come si è visto, la giurisprudenza non ha risposto in modo univoco a tali
interrogativi, anche a causa della mancanza di criteri generali, introdotti soltanto
nel 2001, per cui si presentava concretamente il pericolo di trattare in modo
differente casi del tutto simili.
7.1 La sentenza della Corte di Cassazione n. 9893 del 2000.
La Corte di Cassazione ha tentato di mettere ordine nella materia con la
sentenza n. 9893 del 2000196
, che ha segnato un passo in avanti verso il
riconoscimento di una responsabilità civile derivante dall’esposizione alle onde
elettromagnetiche
Nell’ipotesi in parola, la società Enel era stata autorizzata a costruire un
elettrodotto a distanza di circa trenta metri da un’abitazione, il cui proprietario
aveva richiesto l’accertamento della pericolosità dell’opera e del danno alla
196
Cass. sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893, in Danno e resp., 2001, 37. Le argomentazioni della Suprema Corte
sono state più volte riprese dalla giurisprudenza di merito, si vedano, ad esempio, Trib. Foggia, 27 febbraio
2007, in Foro it., I, c. 2124 e Trib. Venezia, 14 aprile 2003, in Sanità pubblica e privata, 2003, 900.
156
salute per l’esposizione ai campi elettromagnetici, l’inibitoria alla messa in
esercizio dell’elettrodotto e il risarcimento del danno a causa della diminuzione
dell’abitabilità dell’immobile.
La pretesa era stata respinta dalla Corte d’Appello, in ragione del fatto che
i provvedimenti ablatori di dichiarazione di pubblica utilità e di imposizione di
servitù di passaggio risultavano legittimi e non impugnati e che era impossibile
accertare la situazione di pericolo dal momento che l’elettrodotto non era ancora
entrato in funzione.
Secondo i giudici di merito, altresì, il rispetto delle soglie-limite previste
dal d.p.c.m. del 1992, sulla base della potenza dell’elettrodotto da costruirsi,
rendeva possibile presumere l’innocuità delle radiazioni per la salute.
La sentenza in esame rileva per aver dettato criteri che hanno orientato la
giurisprudenza successiva, riguardanti diversi nodi problematici. Innanzitutto, la
Cassazione si occupa della questione del riparto di giurisdizioni, analizzato nel
capitolo precedente, stabilendo che la fattispecie rientra nella giurisdizione
ordinaria, in virtù del carattere di diritto fondamentale, direttamente tutelato
dalla Costituzione, del diritto alla salute.
La tutela di tale diritto, pertanto, giustifica la richiesta, nei confronti della
P.A., di limitare o far cessare la condotta da cui possa derivare una lesione. La
questione è strettamente connessa al problema della sindacabilità da parte del
giudice dei limiti previsti dalla normativa di settore. Secondo la Corte, tali
157
discipline hanno il valore di impedire che possa essere tenuta una condotta che
vi contrasti, non quello di rendere lecita la condotta che vi si uniformi. Esse
rinvengono il fondamento della propria legittimità nel fatto di essere adeguate
allo stato delle conoscenze scientifiche circa i possibili effetti negativi delle
fattispecie prese in considerazione, tanto più che la stessa legge primaria
prevede la necessità di una revisione periodica. E’, anzi, la loro stessa presenza a
confermare la necessità di una tutela del diritto alla salute non soltanto nei
rapporti orizzontali tra gli individui, ma anche e soprattutto nei confronti della
Pubblica Amministrazione, dal momento che anch’essa può tenere condotte in
grado di ledere tale diritto.
Pertanto, rientra nei poteri del giudice ordinario “accertare se, sulla base
delle conoscenze scientifiche acquisite nel momento in cui si tratta di decidere
sulla domanda, avuto riguardo anche alla situazione del caso concreto, vi sia
pericolo per la conservazione dello stato di salute nella esposizione al fattore
inquinante di cui si tratta, ancorché tale esposizione si determini nel rispetto dei
limiti massimi stabiliti dalla disciplina di rango secondario vigente al momento
della decisione”.
Il secondo nodo problematico riguarda le motivazioni in base alle quali il
giudice di merito si è rifiutato di svolgere l’accertamento della pericolosità
dell’installazione.
158
La Cassazione ha, al riguardo, sancito che il diritto alla salute ex art. 32
Cost. deve consentire la giustiziabilità anche dei pericoli potenziali: in altre
parole, al fine di una tutela effettiva, non deve attendersi che il danno si sia
verificato, ma è sufficiente un rischio che si accompagni alla presenza di
determinati requisiti.
La tutela del diritto alla salute, infatti, può essere preventiva e sostanziarsi
in un’inibitoria ex art. 700 c.p.c., pertanto “il giudice di merito non avrebbe
potuto rifiutarsi di accertare se il diritto alla salute di quanti si fossero trovati ad
abitare sul fondo dell’attore sarebbe risultato esposto al pericolo di rimanere
compromesso dall’esposizione ai campi elettromagnetici generati
dall’elettrodotto, una volta che fosse entrato in funzione e per come ne era
preventivato l’esercizio”.
Nell’accogliere la pretesa del proprietario dell’immobile, la Suprema
Corte ha ammesso in linea generale le domande cautelari in materia di
protezione da radiazioni elettromagnetiche, sottolineandone la provvisorietà e
individuando nell’art. 2050 c.c. il vero referente normativo della materia,
riconducendola nel campo della responsabilità oggettiva derivante da attività
pericolosa197
.
Restano, tuttavia, gli ostacoli apparentemente insormontabili del
verificarsi del danno alla salute, della prova del nesso di causalità tra
197
In tal senso, v. F. PLEBANI, Il danno da onde elettromagnetiche, in G. Ponzanelli (a cura di), La
responsabilità civile. Tredici variazioni su tema, cit., p. 137.
159
esposizione alle radiazioni elettromagnetiche e danno medesimo, in ragione
della perdurante incertezza scientifica.
Al riguardo, occorre chiedersi quale posizione occupi il principio di
precauzione nella valutazione del giudice e se la sua applicazione gli consenta di
adottare provvedimenti di tutela anche in presenza del rispetto dei limiti di
emissione, che sono stati fissati dal legislatore e che hanno, pertanto, già
superato una valutazione scientifica.
7.2 La giurisprudenza successiva alla legge n. 36 del 2001.
La citata sentenza della Corte di Cassazione ha avuto il merito di
anticipare molte delle istanze che sarebbero emerse a seguito dell’intervento
legislativo del 2001 in materia di protezione dalle emissioni elettromagnetiche.
Com’è noto, la legge in parola ha previsto limiti di esposizione assoluti,
valori di attenzione e obiettivi di qualità. I primi consistono in valori di campo
che non devono essere superati in alcuna condizione di esposizione della
popolazione ai fini della tutela della salute da effetti acuti, instaurando, in caso
contrario, una presunzione assoluta di pericolosità. I secondi, in cui si
160
concretizza il richiamo del principio di precauzione contenuto nella legge,
costituiscono parametri di cautela non superabili in condizioni di esposizione
particolarmente prolungata e, quindi, relativi agli ambienti abitativi, scolastici e
così via, al fine di proteggere dai possibili, ma non certi, effetti a lungo termine.
Infine, gli obiettivi di qualità si sostanziano in ulteriori riduzioni
dell’esposizione da raggiungere progressivamente, in tempi e modalità definite
mediante legge regionale.
L’entrata in vigore della legge-quadro, assumendo espressamente il
principio di precauzione a punto di riferimento della materia, ha reso assai più
agevole ottenere la tutela inibitoria del diritto alla salute, anche in presenza del
rispetto dei limiti previsti dai decreti di attuazione.
Un’ordinanza del Tribunale di Bologna del 31 luglio 2006198
segna un
decisivo progresso verso il riconoscimento di un danno da esposizione ad
emissioni elettromagnetiche, informato sul principio di precauzione.
La questione è originata dal ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. della
proprietaria di un immobile che lamenta la prossimità di una linea elettrica ad
alta tensione, appartenente alle ferrovie dello Stato, ritenendola causa delle gravi
patologie tumorali che hanno colpito nel tempo, oltre a chi agisce, anche i
familiari vissuti in quell’immobile. La ricorrente conclude chiedendo un
provvedimento d’urgenza che costringa l’ente gestore a far cessare le emissioni
198
Trib. Bologna, ord. 31 luglio 2006, in Danno e resp., 2007, n. 12, p. 1249 ss.
161
elettriche o magnetiche oltre il limite di 0,2 microtesla199
(vale a dire il limite
protettivo per la salute dell’uomo, in base alla migliore letteratura scientifica) e,
nel merito, lo spostamento o l’interramento della linea elettrica oltre al
risarcimento dei gravi danni prodotti.
Dopo aver respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione avanzata nel
controricorso, il Tribunale di Bologna esamina il merito della questione,
inquadrandola con grande precisione nel contesto legislativo e giurisprudenziale
degli ultimi anni, caratterizzati dalla mancanza di uniformità fino all’entrata in
vigore della legge-quadro n. 36 del 2001 e dei successivi decreti di attuazione.
Si profila, in primo luogo, un quesito essenziale, al quale il giudice dà
risposta positiva, vale a dire se sia possibile garantire la tutela inibitoria anche
nelle ipotesi in cui i limiti regolamentari siano rispettati.
È proprio l’applicazione del principio di precauzione a consentire,
mediante una rigorosa valutazione del rischio, di emettere un giudizio di non
conformità della condotta della società emittente, che aveva eccepito nel merito
la non sussistenza del fumus boni iuris, a causa dell’incertezza scientifica in
ordine al danno o al pericolo futuro per la salute, in ragione del pieno rispetto
dei limiti stabiliti dal d.p.c.m. del 2003.
L’ostacolo più rilevante è, tuttavia, costituito dall’accertamento del nesso
di causalità tra esposizione e lesione o pericolo di lesione della salute, in ragione
199
Nel ricorso viene espressamente invocato il principio di precauzione, in virtù del quale i limiti di esposizione
fissati dal d.p.c.m. del 2003 sono ritenuti inadeguati, in quanto nettamente superiori ai limiti di protezione
individuati dalla letteratura scientifica.
162
dell’incertezza scientifica e del fatto che gli effetti dannosi sono suscettibili di
verificarsi a distanza di anni dal momento iniziale.
Secondo il giudice, l’indeterminatezza del fatto lesivo non deve tradursi
in un deficit di tutela, che deve essere fondata sulla prevenzione del rischio con
conseguente cessazione dell’esposizione di fronte ad una situazione qualificabile
come potenzialmente dannosa secondo standards rigorosi di sicurezza, e deve
condurre ad un accertamento del nesso causale che tenga conto dei confini più
sfumati di determinazione dell’illecito.
Il riconoscimento della centralità del principio di precauzione nell’ambito
della tutela giudiziale deve, pertanto, consentire di adottare tutte le misure
necessarie ad evitare il protrarsi di una situazione di pericolo per la salute.
7.3 Principio di precauzione e disciplina sulle immissioni ex art. 844
c.c.
Occorre, a questo punto, soffermarsi su un orientamento giurisprudenziale
che ha fatto perno sull’art. 844 c.c. in materia di immissioni200
, ai sensi del
quale, com’è noto: “il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni
200
Per un’ampia rassegna della giurisprudenza sulla questione, si veda M.A. MAZZOLA, Immissioni e
risarcimento del danno, Milano, 2009, passim.
163
di fumo, di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni
derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto
anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma,
l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con quelle
della proprietà. Può tener conto della priorità di un uso”.
Prima di analizzare il requisito del superamento del limite di “normale
tollerabilità”, è necessario chiedersi se le radiazioni elettromagnetiche possano
essere ricomprese nelle “propagazioni” di cui discorre la norma citata, in ragione
della loro impercettibilità.
È ormai consolidata l’interpretazione, avvalorata anche dalla Corte di
Cassazione201
, secondo la quale la materialità delle immissioni ex art. 844 c.c.
non implica necessariamente la percezione attraverso i sensi: è sufficiente che ne
siano concretamente riscontrabili gli effetti.
Altresì, le immissioni devono essere indirette, ovverosia causate da
un’attività (lecita) svolta su un fondo vicino, e devono presentare il carattere
della continuità. L’elaborazione giurisprudenziale ha aggiunto, poi, il requisito
dell’attualità.
Il Tribunale di Como, in un’ordinanza del novembre 2001202
, dichiara che:
“va affermato, in linea generale (e salvo, ovviamente, le verifiche che qui in
motivazione seguiranno in ordine alla sussistenza di tutti gli altri necessari
201
C. Cass., 6 marzo 1969, n. 570, in Foro it., 1969, I, c. 1480. 202
Trib. Como, ord. 30 novembre 2001, in Foro it., 2003, I, c. 1608.
164
presupposti) che può trovare tutela nell’ambito dell’art. 844 c.c. anche la
fattispecie, come quella in esame, in cui si verte non tanto di lesione già in atto
all’attualità, quanto di rischio – purché esistente e oltre una certa soglia–, che
determinati fattori siano produttivi, già oggi, di concreto pericolo che, domani, si
verifichi, o meglio, si estrinsechi perfezionandosi, una lesione”. Pertanto, il
soggetto protetto dall’art. 844 c.c. ha diritto di essere tutelato non solo nei
confronti di propagazioni la cui dannosità è immediatamente percepibile, ma
anche da propagazioni “rischiose”.
Il ragionamento condotto dal giudice di Como è ripreso in una importante
pronuncia del Tribunale di Modena203
, che ha rilevato che: “l’evoluzione delle
conoscenze scientifiche consente il continuo aggiornamento dell'ambito di
operatività dell'art. 844 c.c., che, pertanto, oggi non va riferito esclusivamente
alle immissioni immediatamente avvertibili su un piano ‹‹organolettico››, con i
cinque sensi dell’essere umano, ma comprende anche quelle immissioni che,
seppur non percepibili come sopra indicato, ma scientificamente note e
strumentalmente rilevabili, sono idonee comunque, anche solo in prospettiva
(purché reale, e non solo putativa), in termini di semplice rischio e non già di
vulnus, ad influire in modo lesivo sull'organismo umano”.
203
Trib. Modena, ord. 6 settembre 2004, in Resp. civ. prev., 2004, p. 1087 ss.
165
Sotto il profilo della tollerabilità, la cui valutazione va condotta attraverso
criteri oggettivi204
, si è posto il quesito se sia sufficiente il rispetto dei limiti di
emissione previsti dai regolamenti.
La soluzione accolta da una parte della giurisprudenza, sulla scia della
sentenza della Cassazione del 2000, si fonda sulla considerazione che l’atto
normativo non può precludere la valutazione di intollerabilità, che deve essere
svolta in concreto, ad opera del giudice, in relazione a un determinato fatto
immissivo.
Particolarmente interessante è, da ultimo, la sentenza del Tribunale di
Venezia del febbraio 2008205
, che ha accolto la richiesta di un gruppo di persone
residenti in prossimità di una linea elettrica ad alta tensione, ordinando alla
società responsabile della gestione della rete di distribuzione dell’energia, la
cessazione delle immissioni ritenute eccedere la normale tollerabilità,
nonostante il rispetto dei limiti legislativi206
.
Anche il Tribunale di Venezia sottolinea la non sovrapponibilità dei
parametri normativi con i criteri di valutazione dell’intollerabilità delle
immissioni: “quanto ai rapporti tra limiti normativi e tollerabilità delle
immissioni, la giurisprudenza maggioritaria ha ritenuto che tra gli stessi non vi
204
C. Cass., 6 gennaio 1978, n. 38, in Foro it., I, 1978, c. 1132. 205
Trib. Venezia, 19 febbraio 2008, n. 441, in www.giust.it. 206
In senso contrario, tuttavia, Trib. Monza, ord. 12 febbraio 2008 e Trib. Firenze, 14 gennaio 2009 n. 59,
www.foroitaliano.it.
166
sia coincidenza, nella convinzione che la soglia di tollerabilità ai sensi dell’art.
844 c.c. possa essere anche più bassa”.
Infine, il giudice risolve il problema del giudizio di contemperamento,
previsto dal secondo comma della norma citata, argomentando che: “tale
contemperamento se evidentemente non impone che debbano considerarsi lecite
e tollerabili le immissioni anche se ci si trovi in zone a vocazione industriale,
tanto più in zone residenziali come quella in oggetto richiederà che le ragioni
dell’industria (quale la trasmissione dell’energia elettrica) cedano in qualche
modo il passo di fronte alla tutela del bene primario della salute”.
In dottrina si è avvalorata la teoria dell’inidoneità strutturale e funzionale
della norma ex art. 844 c.c. alla tutela della persona umana207
, secondo cui la
ratio della norma si rinviene nella tutela individualistica della proprietà208
. Sul
fronte opposto si pone l’orientamento che accoglie un’interpretazione
costituzionalmente orientata della norma, quale ulteriore strumento di tutela
della salute ex art. 32 Cost209
.
Al di là delle considerazioni dottrinali, resta il fatto che non si può non
vedere come le esigenze emerse con il principio di precauzione orientino
l’applicazione dell’art. 844 c.c., e ne informino i presupposti, quali il limite di
207
Così, P. PERLINGIERI, Il diritto alla salute quale diritto della personalità, in Rass. dir. civ., 1982, 2, p. 1020
ss. 208
Si veda A. IANNELLI, Sulla tutela dalle immissioni industriali e sulla non operatività dell’art. 844 c.c., in
Rass. dir. civ., 1980, p. 380 ss. 209
In tal senso V. SCALISI, Immissioni di rumore e tutela della salute, in Riv. dir. civ., 1982, I, p. 159 ss.; G.
D’ANGELO, L’art. 844 codice civile e il diritto alla salute, in F.D. Busnelli-U. Breccia (a cura di), Tutela della
salute e diritto privato, Milano, 1978, p. 431 ss.; S. PATTI, La tutela civile dell’ambiente, Padova, 1979, p. 56 ss.
167
normale tollerabilità, trasformandolo sostanzialmente in uno strumento di tutela
preventiva della salute.
8. Principio di precauzione e danni da prodotti difettosi.
La normativa di attuazione della direttiva n. 85/374/CEE210
ha costruito la
responsabilità per danno da prodotto difettoso211
in termini di responsabilità
aquiliana oggettiva, a coronamento dell’evoluzione giurisprudenziale e
dottrinale che l’aveva sradicata dall’ambito della responsabilità contrattuale e da
quello della responsabilità ex art. 2043 c.c.
L’art. 1 del d.p.r. n. 224 del 1988 (ripreso testualmente dall’art. 114 del
Codice del Consumo) sancisce, infatti, che: “il produttore è responsabile del
danno cagionato da difetti del suo prodotto”. La fattispecie in parola ruota
210
La Direttiva n. 85/374/CEE è stata tradotta in diritto nazionale con il d.p.r. n. 224/1998, successivamente
abrogato dal d. lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo). 211
In tema di responsabilità da prodotto difettoso si vedano, ex multis, G. ALPA-M. BIN-P. CENDON (a cura di),
La responsabilità del produttore, in F. Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale, XIII, Padova, 1990,
passim; R. PARDOLESI-G. PONZANELLI, La responsabilità per danno da prodotti difettosi (d.p.r. 24 maggio 1988,
n. 224), in Nuove leggi civ. comm., 1989, p. 497 ss.; C. CASTRONOVO, voce Danno da prodotti, Dir. it. e
straniero, in Enc. giur., 1995, p. 47 ss.; A. SATURNO-G.MARENGHI, Artt. 114-127, in P. Stanzione-
G.Sciancalepore (a cura di), Commentario al codice del consumo, Milano, 2006, p. 841 ss. Anteriori alla
direttiva comunitaria n. 85/374 sono le opere di U. CARNEVALI, responsabilità del produttore, in Enc. dir. Agg.,
II, Milano 1998, p. 936 ss.; G. ALPA-M. BESSONE, La responsabilità del produttore, Milano, 1976, passim; G.
ALPA, Responsabilità dell’impresa e tutela del consumatore, Milano, 1975, passim.
168
essenzialmente intorno alla nozione di prodotto difettoso212
, che, ai sensi
dell’art. 117 Cod. cons., è tale quando non offre quel livello di sicurezza “che ci
si può legittimamente attendere”, tenuto conto delle modalità di immissione sul
mercato, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le
avvertenze fornite; dell’uso al quale il prodotto medesimo può essere
ragionevolmente destinato e del tempo in cui è stato messo in circolazione.
Un’interpretazione della norma alla luce del principio di precauzione dovrebbe
porre in capo al produttore un obbligo più rigoroso e di valutazione e di
informazione in riferimento non ai rischi del tutto imprevedibili, dal momento
che non è raggiungibile un livello di sicurezza assoluto, bensì a quei rischi
intrinseci che presentano una determinata probabilità di concretizzarsi in danni,
sebbene non vi sia uniformità di vedute nella comunità scientifica. Emblematico,
al riguardo, è il caso della segnalazione delle controindicazioni dei prodotti
farmaceutici.
Ai sensi dell’art. 120 Cod. cons., sul danneggiato incombe l’onere di
provare esclusivamente il difetto del prodotto, il danno subito e il nesso di
causalità tra difetto e danno213
, vale a dire i soli elementi oggettivi della
212
G. PONZANELLI, Stacco del tacco e difetto del prodotto (nota a Trib. La Spezia, 27 ottobre 2005), in Danno e
resp., 2, 2006, p. 173 ss.; ID., Danni da sostanze tossiche e responsabilità del produttore, in F. ALCARO-C.
FENGA-E. MOSCATI-F. PERNICE-R. TOMMASINI (a cura di), Valori della persona e modelli di tutela contro i
rischi ambientali e genotossici. Esperienze a confronto cit., p. 268. 213
In S. SICA-V. D’ANTONIO, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, in P. Stanzione-A. Musio (a cura
di), La tutela del consumatore, Torino, 2009, p. 611, si evidenzia che “la lettera dell’art. 120 Cod. cons. è
assolutamente limpida nell’imporre al danneggiato di provare tre presupposti distinti: il difetto, il danno e la
connessione tra difetto e danno. Considerare la dimostrazione del difetto implicita - rectius, assorbita - nella
prova del nesso causale tra pregiudizio patito e prodotto significa cancellare del tutto un elemento della
fattispecie pure normativamente esplicitato”.
169
fattispecie di cui all’art. 2043 c.c., mentre il produttore non potrà esonerarsi
dall’obbligazione risarcitoria neppure qualora riesca a dimostrare la propria
diligenza o assenza di colpa.
Se è soprattutto in tale norma che si coglie il favor nei confronti del
danneggiato, sotteso a tutta la disciplina in tema di prodotti difettosi214
, la
previsione dell’art. 118 Cod. cons., che elenca le cause di esclusione della
responsabilità del produttore, può essere interpretata come segno della volontà
del legislatore di non creare un eccessivo squilibrio in tal senso.
Tra le esimenti previste dall’art. 118 Cod. cons., occorre soffermarsi su
quella da rischio da sviluppo215
, poiché è soprattutto in relazione ad essa che
emergono gli interrogativi riguardo alla conciliabilità del principio di
precauzione con la disciplina della responsabilità del produttore.
Analogamente all’esperienza francese, ma con minore ritardo nel
recepimento, la traduzione nel diritto interno della direttiva comunitaria n.
85/374 è stata accompagnata da un appassionato dibattito che si è imperniato
soprattutto sull’inclusione dell’esonero da rischio da sviluppo216
.
214
S. BASTIANON, Responsabilità del produttore per prodotti difettosi: quale tutela per il consumatore? (nota a
C. Giust. CE, sez. V, 25 aprile 2002, causa C-52/00, Commiss. CE c. Rep. Francia; C. Giust. CE, 25 aprile 2002,
causa C-154/00, Commis. CE c. Rep. Grecia; C. Giust. CE, sez. V, 25 aprile 2002, C-183/00, Gonzales Sanchez
c. Medicina Asturiana SA), in Resp. civ. prev., 2002, I, p. 997 ss. 215
V., per tutti, G. VISENTINI, L’esimente del rischio di sviluppo come criterio della responsabilità del
produttore. L’esperienza italiana e tedesca e la direttiva comunitaria, in Resp. civ. prev., 2004, I, p. 1267 ss. e
D. CERINI, Responsabilità del produttore e rischio di sviluppo: oltre la lettera della direttiva 85/374/CEE, in
Diritto ed ec. ass.,1996. p. 33 ss. 216
Come si è visto, la direttiva comunitaria lasciava agli Stati membri la scelta se includere o meno l’esimente da
rischio da sviluppo tra le cause di esclusione di responsabilità. Per una rassegna dei termini del dibattito italiano,
si veda F. CAFAGGI, La responsabilità dell’impresa per prodotti difettosi, in N. Lipari (a cura di), Diritto privato
europeo, II, Padova, 1997, p. 1009 ss.
170
In virtù di quest’ultima, il produttore non risponde dei danni subiti dal
consumatore, qualora lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al
momento della messa in circolazione del prodotto, non consentiva ancora di
considerarlo come difettoso. Si discorre, dunque, di un prodotto che contiene già
in sé un difetto, che non poteva essere scoperto utilizzando i dati e gli strumenti
scientifici e tecnici del tempo.
È necessario soffermarsi sul significato di “stato delle conoscenze e
tecniche”, poiché costituisce il punto centrale del problema dell’operatività del
principio di precauzione nella materia. Se non vi sono dubbi sul fatto che non è
sufficiente una valutazione fondata sulle conoscenze soggettive del
produttore217
, occorre chiedersi se l’opinione divisa della comunità scientifica,
rectius l’incertezza scientifica, su un potenziale rischio derivante dall’uso del
prodotto possa escludere l’applicabilità dell’esimente da rischio da sviluppo ex
art. 118 Cod. cons.
La nozione di stato delle conoscenze scientifiche delimita, pertanto,
l’area di neglicence del produttore, che non può liberarsi se non ha saputo
adoperare i dati scientifici disponibili per l’individuazione del difetto e non ha
posto in essere le misure precauzionali necessarie per evitare o limitare i danni.
217
S. SICA-V. D’ANTONIO, op. loc. ult. cit., p. 620.
171
Il quesito assume particolare rilievo se riferito alla materia dei farmaci
difettosi218
, terreno teoricamente privilegiato per l’applicazione dell’esonero da
rischio da sviluppo, dal momento che, nella gran parte dei casi, per siffatti
prodotti si deve contemperare l’alta pericolosità dei possibili effetti collaterali
con la necessità di una cura efficace.
8.1 La responsabilità del produttore di farmaci.
In dottrina e giurisprudenza non v’è concordia sull’inquadramento della
responsabilità del produttore di farmaci nell’ambito della responsabilità del
produttore ex artt. 114-120 Cod. cons., oppure in quello della responsabilità per
esercizio di attività pericolose, così come delineata dall’art. 2050 c.c.219
.
Quest’ultimo sancisce, com’è noto, che “chiunque cagiona danno ad altri
nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei
218
G. TASSONI, Responsabilità del produttore di farmaci per “rischio da sviluppo”e art. 2050 c.c., in Resp. civ.
prev, 1988, p. 421 ss. e U. CARNEVALI, Nuove frontiere della responsabilità del produttore: farmaci difettosi e
prevenzione del rischio, ibidem, 1989, p. 234 ss.; A. GENOVESE, Il mercato dei dispositivi medici. Precauzione,
sicurezza, responsabilità, in Contr. e impr. Eur., 2010, p. 319 ss.; I. LINCESSO, Nanotecnologie e principio di
precauzione, in Danno e resp., 2010, 12, p. 1093 ss.; E. AL MUREDEN, Principio di precauzione, tutela della
salute e responsabilità civile, Bologna, 2008, passim. 219
L. CORSARO, voce Responsabilità da attività pericolose, in Digesto delle discipline privatistiche. Sezione
civile, XVII, p. 82 ss.
172
mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento se non prova di avere adottato tutte le
misure idonee ad evitare il danno”.
Innanzitutto, occorre analizzare la portata della nozione di “attività
pericolosa”, in modo da rispondere all’interrogativo se è possibile
ricomprendervi la produzione di farmaci. Generalmente, con tale nozione si fa
riferimento alle attività la cui pericolosità è stabilita dalla legge220
, tuttavia
l’elaborazione giurisprudenziale ha esteso notevolmente la sua sfera di
incidenza, avvalorando il carattere aperto ed elastico della fattispecie221
.
La Corte di Cassazione222
ha sancito che, ai fini della responsabilità ex art.
2050 c.c., devono essere ritenute pericolose anche quelle attività che, pur non
essendo menzionate dal legislatore, presentano una pericolosità intrinseca o in
ogni caso dipendente dalle modalità di esercizio o dai mezzi di lavoro impiegati.
Altresì, è opinione consolidata che anche le fattispecie in cui la pericolosità
ricade sui mezzi adoperati rientrano nella fattispecie di cui all’art. 2050. In tali
ipotesi, la pericolosità si individua nella concreta possibilità che a seguito
dell’attività medesima si verifichi un danno, che può derivare da un’azione
specifica oppure discendere dall’omissione delle misure precauzionali che
avrebbero dovuto essere adottate in virtù delle norme di comune diligenza e
prudenza.
220
Ad esempio, le attività previste dagli artt. 46 ss. del T.U. delle attività di pubblica sicurezza (r.d. 18 giugno
1931, n. 773) e le attività disciplinate dalla legislazione in materia di prevenzione degli infortuni e tutela
dell’incolumità pubblica. 221
V. M. FRANZONI, Il danno da attività pericolose nella giurisprudenza, in Contr. e impr., 1985, p. 171 ss. 222
Cass. civ., sez. III, 20 luglio 1993, n. 8069, in Giust. civ., 1994, I, p. 1037 con nota di A. BARENGHI, Brevi
note in tema di responsabilità per danni da emoderivati difettosi tra "obiter dicta" e regole giurisprudenziali.
173
L’operatività del principio di precauzione potrebbe esplicarsi fin dalla
valutazione del giudice sull’applicabilità del regime di responsabilità per attività
pericolose; in tal senso una valutazione improntata al principio di precauzione
terrà conto anche di quei rischi di danni gravi di cui si sospetta il verificarsi sulla
base di un serio riscontro scientifico, nonostante la mancanza di uniformità nelle
opinioni degli studiosi.
La giurisprudenza maggioritaria223
è orientata per l’inquadramento nello
schema ex art. 2050 c.c., come testimonia la sentenza della Cassazione224
che ha
respinto l’obiezione sollevata dalla casa farmaceutica secondo cui l’attività di
produzione di farmaci non sarebbe in sé pericolosa, stabilendo che quest’ultima
“non si esaurisce nella mera produzione farmaceutica (per esempio in sede di
ricerca scientifica) ma nella produzione finalizzata al commercio, e nella stessa
conseguente commercializzazione di un medicamento destinato all’uomo, (…)
essendo persino ovvio che quell’attività sostanzialmente diffonde nel pubblico
un rilevante pericolo di malattia, derivato dalla natura del mezzo adoperato”.
Paradigmatico è il caso del Trilergan, un farmaco a base di
gammaglobuline umane, risultato essere contaminato dal virus dell’epatite B,
che ha generato numerose richieste di risarcimento225
.
223
Ex multis, Trib. Messina, 17 marzo 2005; Trib. Roma 20 aprile 2002 in Danno e resp., 2002, p. 984 ss.; T.
Milano, 19 novembre1987, in Foro it., 1988, I, p. 126. Tra le poche eccezioni, Trib. Napoli, 9 ottobre 1986, in
Resp. civ. prev., 1987, p. 403 ss. 224
Cass. Civ., 15 luglio 1987, n. 6241 in Foro It., 1998, I, p. 144 ss. 225
Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 1997, n. 814 in Mass. Giur. It., 1997; Cass. civ., sez. III, 1 febbraio 1995, n.
1138 in Resp. civ. prev., 1996, p. 144 ss.; Cass. Civ., sez. III, 20 luglio 1993, n. 8069 in Foro It., 1994, I, p. 455
ss.; Cass. civ., sez. III, 27 luglio 1991 n. 8395 in Giur. It., 1992, I,1, p. 1332; Cass. civ., sez. III, 15 luglio 1987,
n. 6241 in Foro It., 1988, I, p. 153 ss.
174
In particolare, i giudici di legittimità hanno ritenuto che: “ai fini della
responsabilità sancita dall'art. 2050 c.c., debbono essere ritenute pericolose, oltre
alle attività prese in considerazione per la prevenzione degli infortuni o la tutela
dell'incolumità pubblica, anche tutte quelle altre che, pur non essendo specificate
o disciplinate, abbiano tuttavia una pericolosità intrinseca o comunque
dipendente dalle modalità di esercizio o dai mezzi di lavoro impiegati. Pertanto
la produzione e l'immissione in commercio di farmaci, contenenti
gammaglobuline umane e destinati all'inoculazione nell'organismo umano,
costituisce attività dotata di potenziale nocività intrinseca, stante il rischio di
contagio del virus della epatite di tipo B, non espressamente previsto dalla
normativa riguardante gli emoderivati, ma tuttavia compreso nell'ampia
prevenzione stabilita dalle citate disposizioni”226
.
Di grande interesse è, altresì, una recente sentenza del Tribunale di
Roma227
, riguardante il danno alla salute riportato da una donna cui era stato
prescritto un farmaco anti-colesterolo. Il ragionamento del Tribunale prende
avvio dalla considerazione che il complesso sistema normativo di obblighi di
informazione e controllo previsto dalla legge in materia di commercializzazione
di prodotti farmaceutici è segno di una valutazione ex ante della potenziale
pericolosità di tale attività.
226
Cass. civ., sez. III, 20 luglio 1993, n. 8069, in Foro It., 1994, I, p. 455 ss. 227
Trib. Roma, 20 aprile 2002, in Danno e resp., 2002, p. 984 ss.
175
Inoltre, secondo il giudice di merito, al di là dell’intervento del legislatore,
essa è e deve considerarsi pericolosa anche perché ad essa è connaturale una
apprezzabile potenzialità lesiva, in quanto “sostanzialmente diffonde nel
pubblico un rilevante pericolo di malattia, derivato dalla natura del mezzo
adoperato”.
La riconduzione della produzione e commercializzazione dei farmaci nel
novero delle attività pericolose implica un regime assai rigoroso per il
danneggiante. Questi, infatti, al fine di vincere la presunzione di colpevolezza ex
art. 2050 c.c., non può limitarsi a dimostrare il rispetto delle norme di legge o di
comune prudenza, bensì deve provare di aver posto in essere tutte le misure
cautelari, di prudenza e di perizia, legate alla specifica attività228
.
D’altra parte, la posizione del danneggiato è complicata dalla
dimostrazione del nesso di causalità tra l’esercizio dell’attività pericolosa e
l’evento dannoso.
Al riguardo, è utile richiamare la sentenza del Tribunale di Roma del
giugno 2002229
, che ha riconosciuto la sussistenza della responsabilità per
esercizio di attività pericolosa ai danni della società distributrice di un farmaco
contro l’obesità.
228
Si veda, per tutte, Cass. Civ., Sez. III, 11 marzo 1991, n. 4710, in Foro It., 1991, I, c. 2802. 229
Trib. Roma, 20 giugno 2002, in Foro it., 2002, I, c. 3225.
176
Nel caso di specie, una donna conveniva in giudizio la società
farmaceutica imputando all’assunzione dell’Isomeride, da quella distribuito, la
comparsa di una grave disfunzione cardiaca.
Il Tribunale, dopo aver inquadrato la questione nell’ambito di
applicazione dell’art. 2050 c.c.230
, passa a verificare la sussistenza della colpa
della società distributrice e della prova del nesso di causalità tra
somministrazione e danno patito.
I giudici osservano come la società distributrice non possa superare la
presunzione di colpevolezza avanzando la non conoscenza degli effetti e della
composizione del farmaco, “sia perché la conoscenza di essi è preciso dovere
del distributore, sia perché essi non potevano essere ignoti alla Servier, che è
una società controllata (indirettamente) dal produttore Les Laboratoires Servier
(…)”.
Successivamente, il Tribunale esamina la sussistenza dei presupposti del
nesso eziologico, individuati nella valutazione organica dei seguenti fattori:
a) il fatto che l’Isomeride è un farmaco a base di dexfenfluramina;
b) la considerazione che la statistica clinica ha rilevato una
connessione tra l’uso di dexfenfluramina e anomalie delle valvole
230
Il giudice di merito, richiama la dottrina prevalente, secondo cui la pericolosità di una certa attività va valutata
tenendo conto della probabilità statistica di eventi dannosi, dell’entità dei danni ragionevolmente prevedibili e
della natura intrinseca dei mezzi impiegati per lo svolgimento dell’attività medesima. Di conseguenza, dopo aver
rilevato che devono ricomprendersi tra le “attività pericolose” le attività espressamente qualificate come tali
dalla legge; quelle la cui potenzialità lesiva costituisce uno dei suoi naturali attributi e le attività esercitate con
mezzi potenzialmente lesivi, il Tribunale sottolinea che l’attività di produzione di farmaci deve ritenersi
pericolosa dal momento che soddisfa i primi due requisiti elencati.
177
cardiache, come riconosciuto dal ministero della sanità nel
preambolo del d.m. 17 settembre 1997, con il quale è stata sospesa
l’autorizzazione alla vendita dell’Isomeride;
c) il fatto che sin dal 19 marzo 1987 il consiglio superiore di sanità
aveva osservato che “l’uso a scopo dimagrante di preparazioni
magistrali di associazioni di farmaci anoressizzanti con altri farmaci
è criticabile in quanto incongruo e pericoloso”, come si legge nel
preambolo del d.m. 26 maggio 1987, che per primo vietò i suddetti
preparati;
d) il fatto che la patologia lamentata dall’attrice consiste in
un’anomalia delle valvole cardiache;
e) dalle cartelle cliniche dell’attrice, ed in particolare dall’anamnesi
emerge che la stessa fino al 1995 era clinicamente sana.
La sentenza si conclude con l’accoglimento della pretesa della ricorrente,
sulla base della verifica della sussistenza della colpevolezza della casa
farmaceutica e del nesso di causalità tra attività e danno, dal momento che la
paziente “sana sino al 1995, improvvisamente ha visto l’insorgere di una
patologia cardiaca, e proprio di quel tipo di patologia per evitare la quale il
ministero della sanità ha vietato la vendita dell’Isomeride”.
178
Nell’ipotesi esaminata, l’esistenza del difetto era conosciuta e accertata
sulla base di una seria valutazione scientifica, pertanto si è nell’ambito di
operatività del principio di prevenzione.
Altro discorso interessa il difetto che non era conosciuto al momento della
immissione sul mercato. Se è vero che la riconduzione dell’attività di
produzione e commercializzazione di farmaci, comporta l’impossibilità per il
produttore del farmaco rivelatosi difettoso di invocare l’esimente da rischio da
sviluppo ai sensi dell’art. 118 Cod. cons., d’altra parte anche la tutela offerta
sulla base dell’art. 2050 c.c. lascia scoperte tali ipotesi.
In tema di esonero da rischio da sviluppo la Corte di Giustizia delle
Comunità europee231
ha sancito la necessità di considerare lo stato oggettivo
delle conoscenze tecniche e scientifiche, ivi compreso il loro livello più
avanzato, al momento della immissione in commercio del prodotto considerato,
di cui il produttore si presume informato e non “lo stato delle conoscenze di cui
il produttore considerato era o poteva essere concretamente o soggettivamente
informato”, ferma restando l’accessibilità di tali conoscenze al momento
dell’immissione sul mercato del prodotto considerato.
Di conseguenza, se da un lato non si può pretendere dal produttore l’onere
di dimostrare l’assoluta innocuità del suo prodotto – un eccesso di cautela che
comporterebbe, portato all’estremo, una paralisi del mercato e del progresso
tecnologico –, dall’altro lato, l’esimente da rischio da sviluppo non può tradursi 231
C. Giust. CE, 29 maggio 1997 C-300/95, cit., p. 387.
179
in una deresponsabilizzazione del produttore. In tal senso egli è tenuto, una volta
venuto a conoscenza del difetto, ad attivarsi per evitare che si realizzino
pregiudizi ai consumatori, mediante i c.d. postmarket controls, il monitoraggio
continuo sulla sicurezza del prodotto, l’adeguata informazione dei consumatori
in tutte le fasi della messa in circolazione, anche successive alla vendita.
8.2 La legislazione in materia di sicurezza dei prodotti farmaceutici.
L’esigenze di tutela preventiva veicolate dal principio di precauzione
informano la disciplina in materia di obblighi di controllo e di informazione e ne
influenzano lo stretto collegamento con il sistema della responsabilità.
Il principio di precauzione è espressamente richiamato dall’art. 107 Cod.
cons., che disciplina i controlli a tutela della sicurezza dei prodotti ad opera delle
amministrazioni, sotto la supervisione del Ministero delle attività produttive.
La disposizione prevede, alla lett. c del secondo comma, che le
amministrazioni incaricate dello svolgimento delle procedure di controllo
devono adottare determinate misure precauzionali nei confronti di tutti i prodotti
che “possono presentare rischi per determinati soggetti”, quali la tempestiva e
180
adeguata informazione su tali rischi, anche mediante la pubblicazione di avvisi
specifici; il divieto di commercializzazione del prodotto per il tempo necessario
alla procedura di controllo.
Altresì, è prevista una serie di misure da assumere nei confronti dei
prodotti pericolosi, sia prima che dopo l’immissione sul mercato.
Nel quarto comma della disposizione, il principio di precauzione è
richiamato congiuntamente al principio di proporzionalità: “le amministrazioni
competenti quando adottano misure (…), tenendo conto del principio di
precauzione, agiscono nel rispetto del Trattato istitutivo della Comunità europea,
in particolare degli art. 28 e 30, per attuarle in modo proporzionato alla gravità
del rischio”.
Accanto alla disciplina generale sulla sicurezza dei prodotti, contemplata
dagli artt. 102-113 Cod. cons., si pone la legislazione specifica, come quella in
materia di prodotti farmaceutici, cosmetici e alimentari.
Il d. lgs. n. 219 del 2006 prevede uno specifico regime autorizzatorio per
la commercializzazione dei prodotti farmaceutici. L’autorizzazione
all’immissione in commercio nazionale (AIC), rilasciata dall’Agenzia italiana
del Farmaco (AIFA), può essere ottenuta soltanto a condizione di aver osservato
una rigorosa procedura e adempiuto a molteplici obblighi (quali le
sperimentazioni cliniche, le prove e test farmaceutici), al fine di garantire elevati
livelli di tutela per la salute.
181
Sul produttore di farmaci grava un rigoroso obbligo di documentazione,
che si sostanzia nella predisposizione e nell’aggiornamento di un sistema di
documentazione, basato su specifiche, formule di produzione, istruzioni di
lavorazione e imballaggio, procedure e registrazioni per ogni operazione
produttiva eseguita.
Altresì, l’art. 34 del decreto citato pone a carico del titolare
dell’autorizzazione AIC l’obbligo di tener conto dei progressi scientifici e
tecnici dei metodi di produzione e di informare l’AIFA di ogni nuovo dato
riscontrato al fine di garantire la massima sicurezza del prodotto.
Chiaramente ispirata ad una logica precauzionale è, infine, la disciplina,
prevista dal d. lgs. n. 219/2006, in materia di pubblicità (artt. 113-128), di doveri
di informazione relativi al foglio illustrativo (art. 81, comma 2) e di etichettatura
(artt. 73-86).
183
1. Rilievi conclusivi.
Dall’analisi dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale francese e
italiana, qui condotta, emerge una prima riflessione generale, di orientamento
contrario e rispetto all’opinione che ravvisa nel principio di precauzione uno
strumento finalizzato esclusivamente all’adozione di decisioni “politiche” e
rispetto alla teoria che individua i suoi destinatari nei meri soggetti di diritto
pubblico. In entrambe le esperienze giuridiche, il peso che l’azione del principio
acquisisce nei confronti dei decisori privati, in particolare le imprese, è
dimostrato dal sempre più frequente richiamo alla precauzione negli ambiti di
tutela ove si aprono nuove prospettive di rischio: si va dalla materia della
protezione da radiazioni elettromagnetiche a quella dei prodotti farmaceutici,
alimentari e in generale dei prodotti pericolosi, dell’esposizione a sostanze
tossiche e persino alle tematiche connesse all’esercizio del diritto di cronaca.
Ne consegue che la riflessione sull’incidenza del principio di precauzione
sul sistema della responsabilità civile si connota per la concretezza e l’attualità
dell’esigenza di un’effettiva tutela della salute, che non può più accontentarsi
delle tradizionali categorie giuridiche qualora queste ultime agiscano in
un’ottica meramente “curativa”.
184
Lo dimostra la giurisprudenza francese, con un incessante lavorio di
erosione delle categorie tradizionali, operando sui presupposti della faute e del
nesso di causalità al fine di ammettere una responsabilità per défaut de
précaution, come è avvenuto nelle note sentenze sul vaccino contro l’epatite B o
sugli effetti del distilbene e dell’isomeride.
Ne dà prova la dottrina, allorché elabora la teoria di un’azione di
responsabilità preventiva fondata sul principio di precauzione o avvalora la
necessità di un assouplissement degli strumenti giuridici attraverso l’uso delle
presunzioni.
Se in Francia, il dibattito dottrinale e giurisprudenziale suscitato dal
principio di precauzione ha determinato istanze di rinnovamento, tradottesi in
diritto positivo con l’inclusione nella Charte de l’environnement; nell’esperienza
italiana, il diritto comunitario, prima, e gli echi di quel dibattito, poi, hanno
svolto, quale primo effetto riscontrabile, un’azione maieutica che si è espressa
nel riportare alla luce principi ed esigenze sottesi all’ordinamento giuridico.
Così, la giurisprudenza accorda la tutela preventiva in materia di danni da
radiazioni elettromagnetiche sulla base dell’art. 700 c.p.c. o dell’art. 844 c.c.,
interpretati alla luce dell’art. 32 Cost., in presenza della mera possibilità del
verificarsi di un danno e nonostante il rispetto dei limiti di emissione stabiliti
dalla legge.
185
Quello che sembra discenderne è un assottigliamento delle differenze tra
le due esperienze a confronto, nelle ipotesi in cui gli strumenti giuridici
divergono ma sussiste la medesima ratio di tutela.
E’ il caso della norma ex art. 1386-12 cod.civ. che sancisce
l’inapplicabilità dell’esimente da rischio da sviluppo ai medicinali derivati dal
sangue o dai tessuti umani. In virtù di tale disposizione è stato possibile
condannare i laboratori farmaceutici produttori. Nell’ordinamento italiano, dove
manca una norma simile, la giurisprudenza maggioritaria tende a ricondurre
l’intera materia della responsabilità da farmaci difettosi alla fattispecie di cui
all’art. 2050 c.c., impedendo l’applicabilità dell’esimente da rischio da sviluppo
prevista nell’ambito della responsabilità del produttore, ai sensi dell’art. 118
Cod. cons., com’è avvenuto nel caso dei farmaci a base di gammaglobuline
contaminati dal virus dell’epatite.
Vero è che il sistema della responsabilité è saldamente ancorato
all’elemento della faute, il che si traduce nel fatto che il principio di precauzione
agisce su di esso, rafforzando il dovere di diligenza, attraverso l’introduzione di
regole specifiche fondate su un’ottica precauzionale, e ampliando il dovere di
informazione ai rischi ritenuti probabili in base a una seria valutazione
scientifica.
186
Dall’altra parte, l’incidenza del principio di precauzione sul nesso di
causalità si concretizza in un’attenuazione della prova, che può essere raggiunta
con l’apporto delle presunzioni, purché siano gravi, precise e concordanti.
Nell’esperienza italiana, sebbene una tale mutazione non sia ancora in
atto, ne sono rilevabili i primi segnali in base a due considerazioni: in primo
luogo, sono ormai molti gli ambiti in cui il principio di precauzione svolge una
funzione di orientamento nella scelta tra le varie forme di tutela (si pensi alla
scelta tra la responsabilità del produttore e la responsabilità per attività
pericolose). Altresì, non può non tenersi in conto il rafforzamento del sistema di
tutela, in una prospettiva precauzionale, in ragione dell’aumento delle specifiche
previsioni degli obblighi di informazione, di monitoraggio e controllo costante
del prodotto, in tutte le fasi della messa in circolazione, anche successive alla
vendita.
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