"Novecento" di Alessandro Baricco

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Transcript of "Novecento" di Alessandro Baricco

Ladies and G

entlemen,

meine Damen und Herren,

Signore e Signori,

e nei piedi il ritmo

jazz

baaaand!!!

Ladies and G

entlemen,

meine Damen und Herren,

Signore e Signori,

Mesdames e Messieurs...

Quel che non vi succederà più,

è di stare lì seduti col culo su

dieci centimetri di poltrona

e centinaia di metri d’acqua,

nel cuore dell’Oceano,

e nelle orecchie la meraviglia,

e nei piedi il ritmo

e nel cuore il sound dell’unica, inimitabile, infinita...

atlantic jazz

Al clarinetto,

Sam Sleepy Washington!

Alla tromba,

Tim Tooney!

Al trombone,

Jim Jim Breath Gallup!

Alla chitarra,

Samuel Hockins!

E infine, al piano...

Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento!

Il più grande. Non esisteva quella roba, prima che la suonasse lui, okay?

Noi suonavamo musica,

lui era qualcosa di diverso.

A trovarlo era stato un marinaio che si chiamava Danny Boodmann, lo trovò in una scatola di cartone.

Trovò solo una scritta, stampata con inchiostro blu: T.D. Limoni.

Pigliò il bambino in braccio e gli disse

Avrà avuto dieci giorni.

L’avevano lasciato nella sala da ballo della prima classe.

Per tutta la vita continuò a sostenere che quel T.D. significava evidentemente

Thanks Danny. Grazie Danny.

“hello lemon!”

A quel bambino incominciò a dare il suo nome: Danny Boodmann. Poi ci aggiunse T.D. Lemon, proprio uguale alla scritta che c’era sulla scatola.

“L’ho trovato nel primo anno di questo nuovo,

fottutissimo secolo, no? lo chiamerò Novecento.

adesso è un nome.”

A trovarlo era stato un marinaio che si chiamava Danny Boodmann, lo trovò in una scatola di cartone.

Sul pianoforte.

“hello lemon!”

A quel bambino incominciò a dare il suo nome: Danny Boodmann. Poi ci aggiunse T.D. Lemon, proprio uguale alla scritta che c’era sulla scatola.

“L’ho trovato nel primo anno di questo nuovo,

fottutissimo secolo, no? lo chiamerò Novecento.

adesso è un nome.”

Danny Boodmann fece ancora il marinaio per

anni, mesi e giorni.

Così,

d’improvviso, Novecento divenne orfano per la seconda volta.

E quanto alla terra, be’, non ci aveva mai messo piede, L’ c e a n o e r a c a s a s u a .non aveva patria, non aveva data di nascita, non aveva famiglia.

Alla fine del viaggio in cui Danny morì, il capitano chiamò le autorità portuali e lo cercarono per tutta la nave, per 2 giorni.

8 211

Danny Boodmann fece ancora il marinaio per

anni, mesi e giorni.

Così,

d’improvviso, Novecento divenne orfano per la seconda volta.

Era sparito.

La seconda notte di viaggio, Barry, il nostromo, entrò come un pazzo nella cabina del comandante, svegliandolo e dicendogli che doveva assolutamente venire a vedere.

Aveva anni ma ufficialmente non era mai nato.

8

non to

ccavano nemmeno per terra

.

S

uonava non so che diavolo di m

usica,

m a p i c c o l a e . . . b e l l a .

Novecento, tutto

questo è

assolutamente contra

rio

al regolamento In

culo il

regolamen

to

Il comandante attr

aversò a passi

decisi il s

alone: Si fe

rmò so

lo quando arrivò al p

ianoforte. Salone da ballo

della prim

a classe.

Novecento.

Stava se

duto sul se

ggiolino del p

ianoforte,

c

on le gambe che penzolavano giù,

Novecento, tutto

questo è

assolutamente contra

rio

al regolamento In

culo il

regolamen

to

Il comandante attr

aversò a passi

decisi il s

alone: Si fe

rmò so

lo quando arrivò al p

ianoforte.

In piena notte.

Primo viaggio, prima burrasca.

alla fine mi persi.

Me ne andai fuori dalla cabina

e

Vieni.

Quella notte mi guardò, sorrise, e mi disse:

Arrivammo nella sala da ballo, vicino al pianoforte.

Non c’era nessuno in giro. Novecento mi indicò il pianoforte.

La nave ballava che era un piacere,

facevi fatica astare in piedi, era una cosa senza senso.

Togli i fermi.

Se ti fidi di me, toglili.

E adesso vieni a sederti qua e

non avre paura

La verità dei fatti è che quel pianoforte inco-

minciò a scivolare sul legno della sala da ballo,

e noi dietro a lui, con Novecento che suonava,

e il piano seguiva le onde e andava e tornava,

e si girava su se stesso, sembrava che il m

are

lo cullasse, e cullasse noi, e Novecento suona-

va, non smetteva un attim

o.

E m

entre volteggiavamo tra i tavoli, sfioran-

do lampadari e poltrone, io capii che in quel

mom

ento, quel che stavamo facendo, era dan-

zare con l’Oceano, noi e lui, ballerini pazzi, e

perfetti, stretti in un torbido valzer, sul dorato

parquet della notte. Oh yes.

Quella notte N

ovecento e io

diventamm

o amici.

Una

vol

ta c

hies

i a N

ovec

ento

a

cosa

dia

volo

pen

sava

, men

-tr

e su

onav

a,

e in

som

ma

dove

fini

va, c

on la

te

sta,

men

tre

le m

ani

gli

an-

dava

no a

vant

i e

indi

etro

sui

ta

sti.

Ogg

i so

n fi

nit

o in

un

pa

ese

belli

ssim

o,

le

don

ne

avev

ano

i ca

pelli

pr

ofu

mat

i,

c’er

a lu

ce d

appe

rtu

tto

ed e

ra p

ien

o di

tig

ri

Via

ggia

va, l

ui. E

ogn

i vo

lta

fi-ni

va i

n un

pos

to d

iver

so:

nel

cent

ro d

i Lon

dra,

su

un t

reno

in

mez

zo a

lla c

ampa

gna,

su u

na m

onta

gna

così

alt

a ch

e la

nev

e ti

arr

ivav

a al

la p

anci

a,

nella

chi

esa

più

gran

de d

el

mon

do.

Era

dif

ficile

cap

ire

cosa

mai

po

tess

e sa

pern

e lu

i di c

hies

e,

e di

nev

e, e

di t

igri

... n

on c

’era

m

ai s

ceso

, da

quel

la n

ave.

Il

mon

do

non

l’ave

va

vist

o m

ai.

Una

vol

ta c

hies

i a N

ovec

ento

a

cosa

dia

volo

pen

sava

, men

-tr

e su

onav

a,

e in

som

ma

dove

fini

va, c

on la

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sta,

men

tre

le m

ani

gli

an-

dava

no a

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i e

indi

etro

sui

ta

sti.

Ogg

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nit

o in

un

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i ca

pelli

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c’er

a lu

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tto

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Via

ggia

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ui. E

ogn

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fi-ni

va i

n un

pos

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iver

so:

nel

cent

ro d

i Lon

dra,

su

un t

reno

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mez

zo a

lla c

ampa

gna,

su u

na m

onta

gna

così

alt

a ch

e la

nev

e ti

arr

ivav

a al

la p

anci

a,

nella

chi

esa

più

gran

de d

el

mon

do.

Era

dif

ficile

cap

ire

cosa

mai

po

tess

e sa

pern

e lu

i di c

hies

e,

e di

nev

e, e

di t

igri

... n

on c

’era

m

ai s

ceso

, da

quel

la n

ave.

Il

mon

do

non

l’ave

va

vist

o m

ai.

Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella

nav

e

ed erano ventisette anni che lui, lo spiava.E gli rubava l’a

nima

Novecento, perché cristo non scendi, una volta,

anche solo una volta, perché non lo vai a vedere,

il mondo,

con gli occhi tuoi, proprio i tuoi. tu potresti fare quello che vuoi,

suoni il pianoforte da dio,

impazzirebbero per te,

ti faresti un sacco di soldi,

e potresti sceglierti la casa più bella che c’è,

ma te la metteresti dove vuoi,

in mezzo alle tigri, o in Bertham Street...

tu sei grande, il mondo è lì.

c’è solo quella fottuta scaletta da scendere,

qualche stupido gradino, cristo, c’è tutto alla fine di quei gradini,

tutto.

Novecento... Perché non scendi?

È meglio che non ci pensi, se no ci esci m

atto.

Quando ti svegli, un mattino, e non la am

i più.

Quando apri il giornale e leggi è scoppiata la guerra.

Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui.

Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio.

Quando, in mezzo all’Oceano, Novecento alzò lo sguardo e m

i disse:

A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave

Devo vedere una cosa, laggiù

Quale cosa?

Il mare

Sono trentadue anni che lo vedi, il mare, Novecento Da qui. Io lo voglio vedere da là. Non è la stessa cosa

Va be’, aspetta di essere in porto, ti sporgi e lo guardi per bene. È la stessa cosa Non è la stessa cosa.Posso rimanere anche anni, qua sopra, ma il mare non mi dirà mai nulla. Io adesso scendo, vivo sulla terra per anni, divento uno normale, poi un giorno parto, arrivo su una costa qualsiasi, alzo gli occhi e guardo il mare: e lì, io l’ascoltero gridare

Devo vedere una cosa, laggiù

Quale cosa?

Il mare

Sono trentadue anni che lo vedi, il mare, Novecento Da qui. Io lo voglio vedere da là. Non è la stessa cosa

Va be’, aspetta di essere in porto, ti sporgi e lo guardi per bene. È la stessa cosa Non è la stessa cosa.Posso rimanere anche anni, qua sopra, ma il mare non mi dirà mai nulla. Io adesso scendo, vivo sulla terra per anni, divento uno normale, poi un giorno parto, arrivo su una costa qualsiasi, alzo gli occhi e guardo il mare: e lì, io l’ascoltero gridare

E intanto

lui, f

ermo, c

on un piede sul s

econdo gradino e uno su

l terzo

. Se ne ri

mase

così per u

n tempo etern

o. Guard

ava davanti a sé

, sembra

va che cercass

e qualcosa.

Quando rialza

mmo gli

occhi verso

la sc

aletta, v

edemmo Novecento

, che ri

saliv

a

quei due gra

dini, con le

spalle

al mondo.

Cercai il Virginian.

Salii sulla nave,

la girai da cima a fondo,

scesi alla sala macchine,

mi sedetti su una cassa che aveva l’aria di essere piena di dinamite,

e rimasi lì,

in silenzio,

senza sapere cosa dire.

Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento

Mica era sceso,

sarebbe saltato insieme a tutto il resto,

in mezzo al mare.

Gran finale,

con tutti a guardare,

dal molo, e da riva,

il grande fuoco d’artificio,

adieu,

giù il sipario,

fumo e fiamme,

un’onda grande,

alla fine.

Cercai il Virginian.

Salii sulla nave,

la girai da cima a fondo,

scesi alla sala macchine,

mi sedetti su una cassa che aveva l’aria di essere piena di dinamite,

e rimasi lì,

in silenzio,

senza sapere cosa dire.

Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento

Mica era sceso,

sarebbe saltato insieme a tutto il resto,

in mezzo al mare.

Gran finale,

con tutti a guardare,

dal molo, e da riva,

il grande fuoco d’artificio,

adieu,

giù il sipario,

fumo e fiamme,

un’onda grande,

alla fine.

Tutt

a qu

ella

cit

tà...

non

se

ne

vede

va la

fin

e...

La

fine,

si

pot

rebb

e ve

dere

la fi

ne?

Pri

mo

grad

ino,

se

con

do g

radi

no,

te

rzo

grad

ino.

Non

è q

uel

che

vid

i ch

e m

i fe

rmò.

È q

uel

che

non

vid

i...

lo c

erca

i m

a n

on c

’era

, in

tu

tta

quel

la

ster

min

ata

citt

à c

’era

tu

tto

ma

non

c’e

ra u

na

fine.

O

ra t

u p

ensa

: u

n p

ian

ofor

te.

I ta

sti

iniz

ian

o.

88.

Non

son

o in

finit

i, lo

ro.

Tu,

sei

infin

ito,

e de

ntr

o qu

ei t

asti

, in

finit

a è

la m

usi

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he p

uoi

far

e.

Ma

se i

o sa

lgo

su

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la s

cale

tta

dava

nti

a m

e si

sro

tola

u

na

tast

iera

di

mil

ion

i di

tas

ti,

mil

iard

i,ch

e n

on fi

nis

con

o m

ai

quel

la t

asti

era

è in

finit

a,

su q

uel

la t

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non

c’è

mu

sica

che

puoi

su

onar

e.

Ti

sei

sedu

to s

u u

n s

eggi

olin

o sb

agli

ato:

quel

lo è

il p

ian

ofor

tesu

cu

i su

ona

Dio

.

Tutt

a qu

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tà...

non

se

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vede

va la

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La

fine,

si

pot

rebb

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Pri

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do g

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Non

è q

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O

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I ta

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Non

son

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Tu,

sei

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ca c

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e.

Ma

se i

o sa

lgo

su

quel

la s

cale

tta

dava

nti

a m

e si

sro

tola

u

na

tast

iera

di

mil

ion

i di

tas

ti,

mil

iard

i,ch

e n

on fi

nis

con

o m

ai

quel

la t

asti

era

è in

finit

a,

su q

uel

la t

asti

era

non

c’è

mu

sica

che

puoi

su

onar

e.

Ti

sei

sedu

to s

u u

n s

eggi

olin

o sb

agli

ato:

quel

lo è

il p

ian

ofor

tesu

cu

i su

ona

Dio

.

Cristo, ma le vedevi le strade? Anche solo le strade, ce n’era a migliaia,

come fate voi laggiù a sceglierne una.

A scegliere una donna. Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla...

Io sono nato su questa nave. La terra è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una musica che non so suonare.

Perdonatemi. Ma io non scenderò. La paura di farlo. Diventi matto, qualcosa devi farlo. E io l’ho fatto. Prima. L’ho immaginato, ogni giorno per anni.

Dodici anni.

Io, che non ero stato capace

di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita.

Gradino dopo gradino. ogni gradino era un desiderio.

Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio.

I desideri stavano strappandomi l’anima. Potevo viverli, ma non ci son riuscito.

Allora li ho incantati.

E a uno a uno li ho lasciati dietro di me.

Tutte le donne

del mondo le ho incantate suonando

una notte intera per una donna, una, le mani senza un gioiello, le gambe sottili, on-

deggiava la testa al suono della mia musica, senza un sorriso,

senza piegare lo sguardo, quando si alzò non fu

lei che uscì dalla mia vita, furono tutte

le donne del mondo.

Il padre che non sarò mai l’ho incantato guardando un bambino morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo bellissimo, volevo essere l’ultima cosa che guardava al mondo, quando se ne andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto.

La terra che era la

mia terra, da qualche parte nel

mondo, l’ho incantata sentendo cantare

un uomo che veniva dal nord, e tu lo ascol-

tavi e vedevi, vedevi la valle, i monti intorno,

il fiume che adagio scendeva, la neve d’inverno, i

lupi la notte, quando quell’uomo finì di cantare finì

la mia terra, per sempre, ovunque essa sia. Ho det-

to addio alla rabbia quando ho visto riempire questa

nave di dinamite, ho detto addio alla musica, alla mia

musica, il giorno che sono riuscito a suonarla tutta in

una sola nota di un istante, e ho detto addio alla gioia,

incantandola, quando ti ho visto entrare qui.

Ho sfilato via la m

ia vita dai m

iei desi

deri.

Se tu potes

si ris

alire il

mio cammino, li

trovere

sti uno dopo l’a

ltro,

incantati,

immobili.

È dinamite quella che hai sotto

il culo.

Alzati da lì e

vattene. È finita.

Questa volta è finita davvero.

Ho sfilato via la m

ia vita dai m

iei desi

deri.

Se tu potes

si ris

alire il

mio cammino, li

trovere

sti uno dopo l’a

ltro,

incantati,

immobili.

È dinamite quella che hai sotto

il culo.

Alzati da lì e

vattene. È finita.

Questa volta è finita davvero.