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I Narratori / Feltrinelli

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Feltrinelli

ALESSANDRO BARICCOMr GWYN

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© Giangiacomo Feltrinelli Editore MilanoPrima edizione ne “I Narratori” novembre 2011

Stampa Nuovo Istituto Italiano d’Arti Grafiche - BG

ISBN 978-88-07-01862-6

www.feltrinellieditore.itLibri in uscita, interviste, reading,commenti e percorsi di lettura.Aggiornamenti quotidiani razzismobruttastoria.net

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Tout commence par une interruption.

PAUL VALÉRY

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1.

Mentre camminava per Regent’s Park – lungo un viale chesempre sceglieva, tra i tanti – Jasper Gwyn ebbe d’un trattola limpida sensazione che quanto faceva ogni giorno per gua-dagnarsi da vivere non era più adatto a lui. Già altre volte loaveva sfiorato quel pensiero, ma mai con simile pulizia e tan-to garbo.

Così, tornato a casa, si mise a scrivere un articolo che poistampò, infilò in una busta, e portò personalmente, attraver-sando la città, alla redazione del “Guardian”. Lo conosceva-no. Saltuariamente collaborava con loro. Lui chiese se era pos-sibile aspettare una settimana prima di pubblicarlo.

L’articolo consisteva in una lista di cinquantadue cose cheJasper Gwyn si riprometteva di non fare mai più. La primaera scrivere articoli per il “Guardian”. La tredicesima era in-contrare scolaresche fingendosi sicuro di sé. La trentunesi-ma, farsi fotografare con la mano sul mento, pensoso. La qua-rantasettesima, sforzarsi di essere cordiale con colleghi che inverità lo disprezzavano. L’ultima era: scrivere libri. In certomodo chiudeva il vago spiraglio che poteva aver lasciato lapenultima: pubblicare libri.

Va detto che in quel momento Jasper Gwyn era uno scrit-

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tore piuttosto di moda in Inghilterra e discretamente conosciu-to all’estero. Aveva debuttato dodici anni prima con un thrillerambientato nella campagna gallese ai tempi del thatcherismo:un caso di misteriose sparizioni. Tre anni dopo aveva pubbli-cato un romanzo breve che raccontava di due sorelle inten-zionate a non vedersi mai più: per un centinaio di pagine cer-cavano di realizzare il loro modesto desiderio, tuttavia la cosarisultava impossibile. Il libro terminava con una magistrale sce-na su un molo, d’inverno. A parte un saggetto su Chestertone due racconti pubblicati in differenti raccolte collettive, l’o-pera di Jasper Gwyn si chiudeva con un terzo romanzo, lun-go cinquecento pagine. Era la pacata confessione di un vec-chio olimpionico di scherma, ex capitano di marina, ex pre-sentatore di varietà radiofonici. Era scritto in prima persona esi intitolava A fari spenti. Iniziava con questa frase: “Spesso horiflettuto sul seminare e sul raccogliere”.

Come era stato notato da molti, i tre romanzi erano cosìdiversi tra loro da rendere arduo riconoscerli come frutti del-la stessa mano. Il fenomeno era piuttosto curioso, ma non ave-va impedito a Jasper Gwyn di diventare in breve tempo unoscrittore riconosciuto dal pubblico e rispettato da gran partedella critica. Il suo talento nel raccontare era d’altronde in-dubbio, e in particolare sconcertava la facilità con cui sapevacalarsi nella testa delle persone e ricostruire i loro sentimen-ti. Sembrava conoscere le parole che ognuno avrebbe detto,e pensare in anticipo i pensieri di ciascuno. Non c’è da stu-pirsi se a molti, in quegli anni, era sembrato ragionevole pro-nosticargli una brillante carriera.

All’età di quarantatré anni, tuttavia, Jasper Gwyn scrisseper il “Guardian” un articolo in cui elencava cinquantaduecose che da quel giorno non avrebbe fatto mai più. E l’ulti-ma era: scrivere libri.

La sua brillante carriera era già finita.

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2.

La mattina in cui uscì l’articolo sul “Guardian” – con gran-de evidenza, nell’inserto domenicale – Jasper Gwyn era inSpagna, a Granada: gli era parso opportuno, nella circostan-za, mettere tra sé e il mondo una certa distanza. Aveva sceltoun alberghetto tanto modesto da non prevedere il telefono incamera, così quella mattina dovettero salire ad avvertirlo chec’era una chiamata per lui, sotto, all’ingresso. Lui scese in pi-giama e si avvicinò malvolentieri a un vecchio telefono lacca-to in giallo, posato su un tavolino di vimini. Appoggiò al-l’orecchio la cornetta e quella che sentì era la voce di TomBruce Shepperd, il suo agente.

– Cos’è questa storia, Jasper?– Quale storia?– Le cinquantadue cose. Le ho lette stamattina, mi ha pas-

sato il giornale Lottie, ero ancora a letto. A momenti mi ve-niva un colpo.

– Forse avrei dovuto avvertirti.– Non mi dirai che è una cosa seria. È una provocazione,

una denuncia, cosa diavolo è?– Niente, un articolo. Ma è tutto vero.– In che senso?– Voglio dire, l’ho scritto seriamente, è esattamente quel-

lo che ho deciso.– Stai dicendomi che smetti di scrivere?– Sì.– Ma sei pazzo?– Adesso devo proprio andare, sai?– Aspetta un attimo, Jasper, dobbiamo parlarne, se non

ne parli con me che sono il tuo agente...– Non c’è niente da aggiungere, smetto di scrivere e basta.– La sai una cosa, Jasper, mi stai ascoltando?, la sai una

cosa?

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– Sì, ti sto ascoltando.– Allora ascoltami, io quella frase l’ho già sentita decine

di volte, io me la son sentita dire da un numero di scrittoriche tu neanche ti immagini, l’ho sentita pronunciare ancheda Martin Amis, mi credi?, sarà stato una decina d’anni fa,Martin Amis mi disse quelle esatte parole, smetto di scrivere,ed è solo un esempio, ma potrei fartene una ventina, vuoi cheti faccia la lista?

– Non credo sia necessario.– E sai una cosa? Non uno che abbia smesso davvero, non

esiste di smettere.– D’accordo, ma adesso devo proprio andare, Tom.– Non uno.– D’accordo.– Bell’articolo, comunque.– Grazie.– Un vero sasso nello stagno.– Non dire quella frase, ti prego.– Cosa?– Niente. Adesso vado.– Ti aspetto a Londra, quando vieni?, Lottie sarebbe stra-

felice di vederti.– Sto per staccare, Tom.– Jasper, fratellone, non fare scherzi.– Ho staccato, Tom.Quest’ultima frase però la disse dopo aver staccato quin-

di Tom Bruce Shepperd non la sentì.

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