Post on 15-Feb-2019
Le discipline economico-aziendali, tra cui il marketing, si evolvono. In particolare il marketing,
prima di essere una disciplina aziendale, è una scienza umanistica, quindi non una scienza
esatta fatta solo di numeri, in cui vi è un‟interazione tra diversi attori:
→ approccio critico: capacità critica costruttiva.
In tale sistema mancano le protagoniste degli ultimi tempi, le quali sono le società di
consulenza, le quali hanno il compito di essere degli osservatori che raccolgono i dati, e tra i
diversi dati raccolti fanno delle osservazioni e stilano delle anali di mercato.
Definizioni di marketing
Marketing =
insieme di processi volti all‟identificazione e alla soddisfazione dei bisogni sociali e
umani;
funzione organizzativa per creare, comunicare e trasmettere valore ai clienti e per
gestire le relazioni con essi, in modo che possa risultare vantaggioso per
l‟organizzazione e per i suoi stakeholder;
obiettivo del marketing è capire, conoscere il cliente così bene in modo tale che il
prodotto, il servizio gli vada a pennello, e quindi in grado di vendersi da solo, il cliente è
già pronto ad acquistare.
Per Kotler marketing vuol dire significare il giusto prodotto.
studiosi
imprese ambiente
studenti
atteggiamento di
adattamento, è
l‟atteggiamento con cui si
dovrebbe porre lo studioso più
che di adattamento dovrebbe
essere quello che punta allo
sviluppo;
prospettiva strategica di
adattamento all‟ambiente;
partecipazione attiva e/o
passiva degli studenti al sistema
→ ricettori.
l‟impresa dovrebbe avere un
atteggiamento anticipatorio, per lo
sviluppo della stessa;
Differenza tra:
marketing strategico: basato sulle 5 forze competitive di
Porter: concorrenti diretti, fornitori, clienti, potenziali
entranti, produttori di beni sostitutivi;
marketing operativo: basato sulle 4 p del marketing mix:
product, place, price e promotion.
In base a tali definizioni il marketing è tutto focalizzato sul cliente (anche quello potenziale)
al fine di captare i bisogni (anche quelli inespressi). Ancora da queste affermazioni si evince
che esso risulti solo a valle del processo decisionale (più che altro nella distribuzione) → ruolo
sottovalutato del marketing.
Storia
Il marketing si sviluppa negli USA dopo la II rivoluzione industriale, subito in seguito alla
grande crisi degli anni ‟30, quando i processi produttivi cominciavano a necessitare dei
processi decisionali. Infatti si operava in un contesto storico particolare. In seguito si parla di
ordine neoliberale: il contesto liberale è un ambiente in cui le istituzioni erano date, con delle
regole le quali vanno rispettate (si tratta di una libertà condizionata). In tale ambiente si sono
sviluppate le discipline economico-aziendali studiate ancora attualmente: occorre considerare
però che allora le imprese operavano in un contesto nazionale. Dagli anni ‟70 in avanti, infatti,
le organizzazioni hanno cominciato a internazionalizzarsi, dando avvio a quella che oggi viene
denominata globalizzazione. In tal modo si sono spezzati gli equilibri della ricchezza Stato-
mercato: l‟impresa ha considerato come suo mercato di riferimento il mondo, sfruttando così
gli svantaggi altrui (ma in tal modo non vi è alcuno sviluppo). Anche la rivoluzione informatica è
stata protagonista assoluta degli ultimi tempi, infatti essa ha ampliato ulteriormente il
concetto di globalizzazione.
Problema: sì a un mercato globale, ma non vi è ancora un governo globale: ciò non è facile, si
pensi al caso della UE, nata con l‟intento di sviluppare un sistema monetario europeo da
contrapporsi a quello americano. Nel contesto attuale si parla di liberismo: si tratta di una
sorta di giungla in cui non vi sono delle regole, proprio per il fatto che non esiste un‟istituzione
o un ordine economico che imposti tali regole. Quindi il marketing viene definito in un
determinato modo, e tale modo è figlio dell‟ottica liberista: in pratica ritrovandosi in fase di
crisi non vi è più un ordine economico in grado di governare. L‟obiettivo è quello di tentare di
ricomporre il sistema per trovare la soluzione e gli strumenti di marketing più adatti (quelli
finora elencati dalle dottrine del marketing sono obsoleti, questo perché sono stati studiati in
un contesto di verso da quello attuale).
Ordine liberale di Smith ↓
Ordine neo-liberale di Roosvelt
Smith fu il padre del pensiero liberale. Per lo studioso, infatti, il mercato era un luogo in cui
si generava valore, e in generale non esistevano problemi, infatti il soggetto economico
operava all‟interno dello Stato che dettava le regole. Dall‟altro lato le imprese private erano
atte a creare ricchezza.
Nel 1929 si è verificata la grande crisi, la quale è stata attribuita a politiche di lasseiz-faire.
Roosvelt invento, invece, la logica neo-liberale dell’impresa pubblica, secondo la quale il
soggetto pubblico, oltre che regolatore divenne anche soggetto economico (durante gli anni
‟50) → l‟impresa privata e pubblica operano all‟interno di regole fissate dallo Stato.
Da qui si sviluppa il marketing: il mercato è un luogo di sviluppo regolato da istituzioni
pubbliche in cui opera l‟impresa. Quindi il compito del marketing è quello di aiutare le imprese
a crescere inserendosi in tale contesto storico (anni ‟50-‟60), sviluppando determinati
strumenti. Il marketing management, negli anni ‟60 era fondato su un approccio transazionale,
in cui la transazione veniva considerata come uno scambio in cui il potere contrattuale tendeva
a essere in mano all‟offerta, la quale era caratterizzata da poca concorrenza visto che
nasceva da una logica più distributiva.
A questo punto viene coniato il marketing mix, secondo cui:
domanda > offerta = tutto viene venduto → problemi in termini di efficienza anche
distributiva, problema di arrivare per primi;
domanda < offerta = il consumatore ha maggiore potere contrattuale (da parte della
domanda) → problemi di differenziazione, ricerca della qualità.
Tali due considerazioni giustificano le due strategie di Porter (anni ‟80): la leadership di costo
e la differenziazione (attualmente le due strategie sono utilizzate in maniera complementare,
mediante lo strumento della catena del valore si possono individuare le attività in cui è
possibile raggiungere dei vantaggi interni di costo) → evoluzione della relazione domanda-
offerta, ciclo di vita del prodotto:
tempo
vendite
introduzione
promotion
sviluppo
distribuzione
maturità prezzo
declino
prodotto
A seconda della fase in cui ci si trova vengono azionate leve del marketing mix diverse.
Il marketing nasce in un‟epoca in cui erano le politiche distributive, quelle che dovevano
essere soddisfatte. Negli anni ‟70 l‟imprenditore agisce in modo da adattarsi ai mutamenti
esterni e il contributo di marketing è un contributo di breve termine (ultimamente ciò accade
per tutte le politiche inerenti le imprese). La logica ai tempi era troppo centrata sulla
produzione di massa e sui prodotti tangibili, inoltre vi era una scarsa integrazione del
marketing rispetto alla strategia aziendale, e si poneva poca attenzione al fattore innovazione
→ così nascono i problemi e le esigenze di sviluppo di nuovi approcci (dagli anni ‟70 in poi).
Contemporaneamente cambia il contesto economico, infatti proprio negli anni ‟70 si cominciano
a porre le basi della globalizzazione, la quale spezza l‟equilibrio impresa-mercato:
ordine liberale ↓
ordine liberista: contesto diverso da quello precedente, sostanzialmente senza regole.
All‟interno dell‟ordine liberista, si è verificata una globalizzazione senza mondializzazione: il
marketing in quest‟ottica è andato un po‟ perduto.
Globalizzazione = allargamento dei mercati.
Mondializzazione = non vi è la presenza di un Governo che regolamenta il mondo, manca un
ordine politico-economico che regola l‟economia globale.
Si può parlare allora di III rivoluzione industriale (epoca attuale), la quale ha modificato
profondamente il contesto economico-sociale. Caratteristica: si dà un grande peso
all‟individuale (l‟approccio è meno sociale), al singolo soggetto → fase individualistica: focus
sul consumatore individuale che finisce per essere posto al centro delle strategie, perdendo il
focus sull‟impresa.
Mass customization = personalizzazione di massa, offrendo un prodotto percepito come unico
dal consumatore che riesce a sfruttare l‟efficienza derivante dalla produzione di massa.
L‟ottica del marketing relazionale, tipico della III rivoluzione industriale (= postmodernità)
(= postmodernità) → piramide rovesciata, in cui viene posto al centro dell‟attenzione il
cliente; essa è così rappresentata:
clienti
personale di contatto
management
intermedio
top
management
Obiettivo del marketing: rimettere al centro l‟impresa, infatti il marketing sta attraversando
una crisi profonda, soprattutto si tratta di una crisi reputazionale. Kotler (considerato il
guru del marketing) sostiene che le politiche di marketing si limitino a influenzare i bisogni, e
che esse non possano creare il bisogno dell‟individuo di sentire la necessità di appartenere a
un determinato status.
Strategie
Le strategie sono le seguenti:
Il marketing si dovrebbe collocare ai vertici per poter avere valenza strategica.
strategia
di
corporate
strategie
competitive, di
business
strategie funzionali
strategie che corrispondono
alla logica del marketing mix
appartengono alle
strategie funzionali, le
strategie di marketing
che stanno a valle e
che dipendono da tutto
il resto.
Declino del marketing
Il declino del marketing può essere così suddiviso:
Nell‟individuazione dei bisogni nel marketing viene utilizzata la scala dei bisogni di Maslow
del 1954, la quale è così rappresentata:
Tale scala è uno strumento utile per definire la strategia di marketing, la quale deve adattarsi
in funzione dei bisogni che il prodotto è chiamato a soddisfare. La domanda è elastica per i
beni primari. Attualmente però sono cambiati i modelli di consumo:
per i bisogni fisiologici → strategie di vantaggio di costo; la leva su cui agire è il
prezzo;
per gli altri bisogni → strategie di differenziazione.
declino del marketing, motivi:
1. si parla di declino del marketing
perché per il ciclo di vita del
prodotto è prevista la fase della
maturità come quella in cui si gioca
sul prezzo e sulla modificazione del
prodotto cosicché si avrà a
disposizione non solo i consumatori,
ma anche il mantenimento del
prodotto;
2. i manager del marketing sono
lontani dai processi decisionali;
3. crisi reputazionale del marketing.
l‟approccio strategico del
marketing può essere visto in una
logica adattativa. L‟impresa
influenza l‟ambiente con la capacità
di innovazione (non sempre
collegata alla creazione/nascita dei
bisogni) e il fenomeno della
globalizzazione.
bisogni di autorealizzazione:
sentirsi appagati di sé stessi
bisogni di riconoscimento e di rendimento;
bisogni di appartenenza e amore:
riconoscimento da parte della società a cui si appartiene;
bisogni di sicurezza;
bisogni primari.
Bisogni del sè
Bisogni
sociali
Bisogni fisiologici
Spesso le imprese, attraverso la pubblicità, cercano di rafforzare il proprio marchio e
utilizzano strategie di differenziazione (come ad es. nel settore agroalimentare). In effetti
anche a livello attuale risulta utile la scala di Maslow, ma essa non deve più essere usata nella
logica degli anni ‟60, deve essere quindi riattualizzata.
Distinzione di beni
E‟ utile distinguere tra beni:
beni banali: beni non durevoli, consumati di frequente e di basso valore unitario →
strategia di costo;
beni problematici: beni durevoli o semidurevoli, di minore frequenza di acquisto, i quali
necessitano di informazioni e caratterizzati da un maggior contenuto di
specializzazione → strategia di differenziazione.
Questa distinzione si basa sulla scala di Maslow mediante l‟applicazione automatica di
soddisfacimento dei bisogni (ad es. il settore sanitario).
Il marketing è diventato per le imprese quasi solo una disciplina per affrontare il mondo
esterno; esso deve comprendere il loro punto di vista e il contesto in cui le stesse operano e
lavorano secondo una logica culturale-strategica, secondo la quale:
analisi di mercato ↓
programmazione dei prodotti ↓
promozione della domanda ↓
esecuzione della vendita.
Si possono utilizzare due distinzioni per individuare il mercato in cui l‟impresa va a operare:
consumatore finale
↓ business to customer, Btc
↓ mercati dei beni di consumo
cliente-impresa ↓
business to business, Btb ↓
mercati dei beni industriali
→ relazione con il consumatore finale → relazione con l’impresa-cliente e il
consumatore finale
Vi è meno asimmetria informativa perché i
prodotti venduti sono caratterizzati da maggiore
specializzazione, quindi generatori di maggior
potere contrattuale.
Tale schema serve per capire il potere che il consumatore ha sul prodotto.
beni tangibili (fisici)
↓ mercato dei beni
servizi (effetto dell‟evoluzione della società) ↓
mercato dei servizi
Si parla, in tal caso, di marketing dei servizi, e
non si tratta di un processo di produzione.
Atteggiamento
adattativo
La produzione è contemporanea al servizio; si
organizza tale sistema produttivo erogando
appunto il servizio, nel momento stesso in cui
viene erogato, quindi il consumatore è legato alla
produzione dello stesso → marketing dei servizi.
Il mercato dei beni industriali, Btb
I prodotti distribuiti su tale mercato sono i seguenti:
output destinato al consumatore finale;
output utilizzato dall‟impresa nei propri processi di trasformazione (il consumatore
interagisce nel processo);
output utilizzato dall‟impresa nei propri processi di trasformazione (il consumatore non
interagisce nel processo).
Output destinato al consumatore finale
L‟interlocutore dell‟impresa industriale è un‟impresa commerciale (ad es. di distribuzione). La
strategia di marketing deve essere formulata dall‟industria considerando:
la relazione con l‟impresa commerciale → logica verticale;
la relazione con le imprese concorrenti → logica orizzontale;
la relazione con il consumatore finale → logica orizzontale.
Specificità dei mercati industriali
I mercati industriali sono caratterizzati da:
1. pochi acquirenti di grandi
dimensioni:
vi è un minor giro di clienti,
anche se ognuno di essi è di
grandi dimensioni, soprattutto
rispetto a quelli del mercato dei
beni di consumo;
2. stretta relazione fornitore-
cliente:
la base della clientela è più
piccola, ma con più elevata
importanza, e quindi di
conseguenza con più elevato
potere dei clienti. I fornitori
devono personalizzare l‟offerta
per adattarle meglio alle
esigenze delle aziende-clienti;
3. procedure di acquisto
professionalizzate:
i responsabili degli acquisti
garantiscono il rispetto di
determinate procedure e
requisiti;
4. più visite da parte dei fornitori: l‟impresa industriale non ha
alcun dato rispetto ai consumi
dei clienti, ma ha solo
disposizione il proprio fatturato.
Tali dati vengono così reperiti
da società apposite che si
occupano di tale aspetto,
acquistando i dati dalle imprese
della grande distribuzione (in
modo da conoscere le quote di
mercato);
5. domanda derivata: la domanda di beni industriali è
derivata dalla domanda dei beni
di consumo, per cui è necessario
monitorare anche i modelli di
acquisto dei consumatori finali;
6. domanda potenzialmente
inelastica:
la domanda di molti beni per le
imprese è inelastica, specie nel
breve periodo, perché i
produttori non hanno tempo di
effettuare rapidi cambiamenti
nelle scelte afferenti la
produzione;
7. domanda fluttuante: la domanda dei prodotti per le
imprese cresce tendenzialmente
in misura maggiore.
Ad es.: la GDO è la grande distribuzione, ossia il luogo in cui acquistano i consumatori finali,
mentre l‟HORECA rappresenta un canale distributivo presso il quale il prodotto viene
acquistato.
L‟impresa industriale è scollata dai beni di consumo perché
non è a contatto con i consumatori finali, e non conosce i dati
su di essi, ma li acquista dalla GDO.
L‟impresa industriale che si relaziona a un‟altra impresa per un bene destinato al consumatore
finale → caso dell‟intermediazione.
Rapporto tra industria e impresa di distribuzione
Industria (= domanda) ↓
distributore-intermediario ↓
cliente (= offerta).
Il rapporto tra domanda e offerta si spezza facendo sì che altri soggetti si inseriscano, come
ad es. un intermediario, un distributore, un‟impresa commerciale, ecc..
Canale distributivo = canale che collega il produttore al consumatore, caratteristiche:
quanti sono gli attori → logica orizzontale del settore: l‟insieme dei produttori che
producono dei prodotti tra di loro sostituibili per il consumatori (= concorrenza);
il numero dei passaggi → logica verticale della filiera produttiva: l‟insieme di imprese
che dalla produzione alla distribuzione producono un output finale che diventa l‟input di
imprese situate a valle della filiera;
la modalità organizzativa del canale.
A seconda del numero di attori si capisce se vi è concentrazione o meno (se la concentrazione
è alta, vi sono pochi operatori di offerta con un elevato potere contrattuale).
Il canale può essere di diversi tipi:
canale diretto: produttore → consumatore;
canale corto: produttore → dettagliante → consumatore;
canale lungo: produttore → grossista → dettagliante → consumatore.
Attualmente vi è la tendenza a tornare alla logica del canale diretto, nell‟ottica della strategia
di differenziazione.
Canale distributivo indipendente = quando tutti i soggetti sono economicamente autonomi.
Canale distributivo amministrato = un soggetto influenza le decisioni degli altri operatori (ad
es. la FIAT ha un influenza sugli altri attori della filiera, tipicamente su quelli della fornitura
di componentistica).
Canale distributivo contrattuale = usato molto dalle imprese di produzione per la
distribuzione dei loro prodotti.
Canale distributivo integrato = vi è la condivisione del soggetto economico che gestisce non
solo la produzione, ma anche la distribuzione (mediante l‟utilizzo di una strategia di
integrazione verticale). Si possono presentare due casi:
1. impresa a monte che si integra con quella a valle;
2. impresa a valle che si integra con quella a monte.
Occorre capire quanto potere contrattuale possiede il distributore, senza che questo sia
troppo orientato verso l‟industria di produzione (come si è sempre disposto nelle discipline
economiche → si sono modificati i rapporti tra i due soggetti, i quali sono maggiormente
dipendenti, a livello di grado di controllo, del distributore sul canale distributivo, e quindi il
produttore avrà costi più elevati). La visione del canale distributivo è cambiata:
insieme di singoli mercati indipendenti ↓
sistema di relazioni da governare
(in logica verticale) ↓
Interrelazione tra gli attori.
Escursus storico
Periodo storico: dal pdv della produzione: dal punto di vista della
distribuzione:
anni ‟60:
fedeltà alla marca,
sponsorizzata attraverso
massicce campagne pubblicitarie
→ brand loyalty;
la produzione è la funzione
dominante, e il produttore
rappresenta il leader che deve
vendere il più possibile,
mediante la massimizzazione
delle vendite;
la distribuzione risulta assai
frammentata;
anni ‟70:
si verifica una prima crisi con
conseguente calo della crescita
dei consumi → aumenta il potere
contrattuale del consumatore
(perché aumenta l‟offerta, ossia:
offerta > domanda), il quale
sviluppa una sua capacità di
valutazione autonoma;
vengono consolidate le strategie
di brand loyalty;
la distribuzione comincia a
organizzarsi, ma è ancora in
fase embrionale → avvio del
processo di crescita del potere
contrattuale della distribuzione;
anni ‟80:
anni di crescita (forzata) a
livello di reddito, di PIL;
processo organizzativo della
distribuzione in logica moderna,
così si spiazza la distribuzione
frammentata → strategie di
marketing adottate ad hoc per il
grosso vantaggio competitivo
posseduto, rispetto agli attori
della produzione. Tale vantaggio
deriva dal fatto di essere a
contatto con i consumatori;
sempre nel corso degli anni ‟80: l‟aumento del potere
contrattuale viene letto in
chiave di trade marketing (=
elaborato dall‟impresa di
produzione, e destinato per il
distributore, oltre che per il
cliente). Il produttore si pone il
problema di come relazionarsi
con il distributore;
il potere contrattuale dei
distributori aumenta, ma
diminuisce il loro numero e di
conseguenza la loro sostituibilità
da parte dei produttori. Oltre a
elaborare strategie di
marketing, quindi, essi
cominciano a imporre anche le
condizioni di acquisto ai
produttori;
anni ‟90: il settore distributivo risulta
maturo, come quello produttivo
→ aumenta così la concorrenza
all‟interno dei distributori,
infatti aumentano le strategie
competitive, le quali diventano
più aggressive tra i medesimi
distributori. La distribuzione si
concentra ulteriormente così da
erodere potere altrui → fase di
maturità distributiva.
Il tutto può essere sintetizzato nel successivo schema:
Con la rivoluzione contrattuale, avvenuta negli anni ‟70 in Italia, vi è un aumento contrattuale
da parte del distributore, il quale si trasforma da un‟organizzazione frammentata a una più
concentrata. Il sistema distributivo italiano si sviluppa più tardi, infatti, rispetto agli altri
paesi, e ciò ha fatto sì che abbia ritardato anche nell‟ottica della globalizzazione → mercato
distributivo italiano fragile: i distributori stranieri hanno maggior potere contrattuale, al
contrario quelli italiani non sono presenti all‟estero.
Le fasi della relazione industria-distribuzione sono le seguenti:
fase di leadership del grossista: alla prima metà del XX secolo, il grossista ha un
grande potere contrattuale, anche perché i dettaglianti sono tanti e frammentati. Egli
è quello che meglio conosce il mercato di vendita, e ha un ruolo d‟intermediazione che è
fondamentale;
fase di leadership dell’impresa industriale: alla seconda metà del XX secolo, sono
necessari degli investimenti produttivi massicci per far fronte al mercato di massa.
Occorre enfatizzare il ruolo della marca (= brand loyalty) all‟interno del mercato
perché gli investimenti produttivi rappresentano dei costi fissi, così è necessario
vendere il più possibile per raggiungere delle economie di scala. Ancora è necessario
potere
contrattuale del
distributore
debole
forte
potere contrattuale
del distributore
forte debole
leadership contesa,
conflittualità elevata,
sviluppo di partnership
contesto attuale
leadership del distributore →
relazione contrattuale
unidirezionale, sviluppo della
strategia a senso unico
anni „80
leadership del produttore
→ relazione contrattuale
unilaterale
anni „60
fase di transizione in cui
non vi è un leader →
relazione negoziale
anni „70
intraprendere strategie di marketing orientate al prodotto (= primo orientamento di
marketing per cui un‟impresa si focalizza sulle caratteristiche del prodotto). Problema:
vendere il prodotto. Il produttore mediante la pubblicità spiazza il grossista perché si
fa conoscere dal cliente (= cliente-distributore). Logica del sell-in = gli obiettivi
vengono fissati rispetto al distributore e non rispetto al consumatore. Il produttore fa
gravare i costi e i rischi del mercato commerciale sul distributore, erigendo delle
barriere all‟entrata sul mercato distributivo: per poter raggiungere livelli di redditività
accettabili, bisogna aumentare la propria dimensione, così da essere in grado di
sostenere elevati costi fissi. In tale fase, quindi, i distributori risultano deboli, ma allo
stesso tempo vengono spinti dai produttori a concentrarsi (così facendo aumentano la
propria dimensione).
Fasi dell‟approccio al marketing:
orientamento al prodotto: facendo marketing l‟impresa di concentra sulle
caratteristiche del prodotto per trovare le soluzioni organizzative migliori → porre
l‟accento sull‟efficienza (beni commodity che vanno a soddisfare un‟esigenza che prima
della loro produzione, non veniva soddisfatta). In tale frangente non si studia il
mercato, ma tutt‟al più la concorrenza;
orientamento al mercato: attenzione alle vendite, l‟impresa non può più permettersi di
pensare solo all‟efficienza, ma comincia a dipendere dal mercato attraverso azioni
push, in cui l‟impresa ha ancora l‟illusione di spingere le scelte dei consumatori
(indicatori di efficienza: output/input; indicatori di efficacia: output
programmato/output effettivamente prodotto-venduto, l‟impresa è efficace quando
raggiunge gli obiettivi);
orientamento al cliente: a volte tale orientamento è considerato uguale
all‟orientamento al mercato, ma in realtà l‟orientamento al cliente deve comprendere i
bisogni del medesimo cliente, producendo prodotti atto a soddisfarlo, mediante azioni
pull per attrarlo;
market-driven management: il mercato viene posto al centro del management, perciò
non si possono definire strategie senza conoscere le caratteristiche del mercato (sono
gli stessi passaggi dell‟approccio alla qualità). Tale approccio ha valorizzato il
marketing?
Leadership dell‟impresa industriale → marketing orientato al prodotto in cui vi è la
valorizzazione della marca; la pubblicità consente di aumentare le vendite in una logica di
economie di scale (agendo sull‟efficienza).
Leadership del distributore → negli anni ‟70 il distributore aumenta il suo potere di mercato
grazie alla spinta competitiva forte. La situazione economica cresce, e cambiano i modelli di
consumo. Cresce l‟importanza del valore edonistico del prodotto interno, in cui viene aggiunto
un contenuto di servizio al prodotto tangibile (ad es. i servizi post vendita abbinati a un
elettrodomestico). A fronte di tali cambiamenti il distributore assume un controllo sul
consumatore e si differenzia sfruttando il vantaggio competitivo, che è quello della vicinanza
al consumatore (conoscendolo meglio).
Partnership
Gli anni ‟90 sono caratterizzati da una maturità distributiva che comincia a svilupparsi da una
competizione tra loro perché si concentrano. I distributori si concentrano e aumenta la
conflittualità tra i distributori-consumatori. Di fronte alla forte conflittualità → strategia di
partnership per sviluppare delle sinergie, così a recuperare redditività → orientamento come
un insieme di operatori che devono agire in modo integrato. Quindi: passaggio:
insieme dei singoli mercati indipendenti → sistema di relazioni da governare.
La fase attuale è la fase della partnership, ma è ancora lontana dalla leadership in senso
assoluto, infatti è ancora alta la conflittualità.
Gli attori della distribuzione moderna sono rappresentati dalla grande distribuzione
organizzata, GDO: essa è composta da imprese rilevanti le quali gestiscono i propri punti
vendita. Anche la distribuzione organizzata, DO rappresenta un soggetto commerciale
composto di tante piccole imprese che si associano per mettere in comune la piena gestione
aziendale (vi sono diverse modalità di associazione) per la realizzazione di obiettivi specifici
comuni, come la centralizzazione degli acquisti. La DO è molto più frammentata rispetto la
GDO. Classificazione dei punti vendita:
ipermercati: più di 12.500 mq;
supermercati: 400-2500 mq;
libero servizio: 100-400 mq.
Vi sono anche i tradizionali, ossia quelle attività di dimensione sotto i 100 mq: essi restano
esclusi dalle indagini di mercato (tanto più vi sono punti vendita tradizionali, e tanto meno
veritiere risulteranno le statistiche sulle vendite).
Per conoscere la quota di mercato di un‟azienda si acquistano i dati primari di vendita
(mediante i codici a barre) i quali verranno rielaborati ad hoc.
Gli attori della distribuzione italiani risultano più deboli, soprattutto per quanto riguarda
l‟internazionalizzazione all‟estero: gli operatori esteri sono venuti a operare in Italia. Notevoli
sono anche le differenze evidenziate tra le aree all‟interno del nostro paese (ad es. tra nord e
sud, al sud è molto più presenta la distribuzione tradizionale).
Esempi della distribuzione moderna, oggetto di studi specifici, sono il discount, il cash &
carry, il self service, gli specialisti drug (come la vendita dei prodotti per la cura della
persona e della casa).
DO
Si tratta di imprese che sono originate da rapporti di collaborazione che operano nello stesso
business, o che operano nella stessa filiera produttiva (in logica verticale) → associazionismo
(nella GDO, invece, si tratta di vere e proprie imprese, e non di mere associazioni). Un esempio
di associazionismo orizzontale è il gruppo di acquisto, per acquisire appunto maggior potere
contrattuale nei confronti dei fornitori. Mentre un esempio di associazione verticale sono le
unioni volontarie. La DO è una tipicità italiana, si tratta di un processo di sviluppo a rete
finalizzato a ottenere quei vantaggi propri delle imprese di grandi dimensioni. Questo perché
la DO deve competere con la GDO, in modo da poter avvalersi dei medesimi vantaggi, i quali:
sostenere costi di acquisto più bassi, attraverso la centralizzazione degli acquisti: la
conseguenza sarà quella di riuscire a vendere a prezzi più bassi;
utilizzare la stessa insegna, così la DO ha la possibilità di presentarsi al consumatore
finale come lo stesso soggetto della GDO.
Gruppo di acquisto (logica orizzontale)
La struttura organizzativa è caratterizzata dalla presenza di una centrale, la quale ha una
funzione di coordinamento, e dalla presenza di uno o più centri di distribuzione. A valle,
invece, vi sono tanti punti vendita,le quali sono rappresentate dalle singole imprese, spesso si
tratta di dettaglianti associati. Il produttore fornisce ai centri di distribuzione, i quali a loro
volta riforniscono i vari punti vendita; tali centri di distribuzione, in realtà, sono nati come
magazzini volti a smistare la merce, attualmente offrono anche servizi aggiuntivi.
Unione volontaria
imprese che partecipano ai dati di
vendita (anche se a volte sono escluse
le imprese di libero servizio).
Struttura che nasce dai grossisti, anch‟essi forniti di una centrale (= centro di distribuzione
di proprietà del grossista). Si tratta di grandi magazzini in cui viene raccolta una grande
quantità di prodotti, i quali saranno poi distribuiti ai vari dettaglianti.
Il punto in comune tra il gruppo di acquisto e l‟unione volontaria è la centrale di acquisto
(tipica realtà italiana) e inoltre sono entrambi caratterizzati:
nati per aumentare il potere contrattuale dell‟acquirente;
man mano diventano sempre più importanti nel sistema distributivo, poiché offrono un
maggior coordinamento delle nuove formule distributive, un rafforzamento delle
marche e un controllo dei prezzi al consumo;
→ intermediari: soggetto che si colloca tra le aziende di produzione e i punti vendita (il 97%
degli acquisti passa attraverso tali centrali).
Supercentrali = si tratta di alleanze tra diverse centrali di acquisto (anche queste sono delle
tipicità italiane); non bastava allearsi con i centri di distribuzione, è stato necessario anche
collaborare con le altre centrali. Infatti, in precedenza, il sistema risultava estremamente
frammentato. La centrale italiana è la supercentrale della COOP.
Gli attori più importanti della GDO e della DO sono la Coop, la Conad, la Selex, l‟Auchan, l‟Esselunga e la Carrefour. Il cambiamento dell‟ambiente competitivo distributivo deriva dall‟aumento del suo potere
contrattuale → strumento principale: offerta di prodotti a marchio proprio ai consumatori
finali (apponendo sui prodotti, prima del produttore, il proprio marchio). Tale pratica è
denominata politica di private label, PL.
I distributori italiani, essendosi sviluppati più tardi di quelli esteri, fanno fatica a
intraprendere strategie di internazionalizzazione. I distributori, attuando le politiche di PL,
sfruttano un vantaggio di costo (rispetto al produttore), di risparmiare in termini di costi
sulla distribuzione, e in termini di pubblicità: tali politiche, infatti non solo consentono di
fissare prezzi inferiori, ma permettono anche di aumentare il volume di vendita (= il
fatturato). La PL usa anche una strategia di differenziazione sul prodotto al fine di
sponsorizzare il marchio del distributore. L‟Italia, anche in questo caso, resta piuttosto
indietro (sebbene anche nel bel paese le PL siano in crescita) rispetto agli altri paesi europei
(e non europei). Tra il marchio industriale, MI e le PI resistono, comunque meglio a un
contesto di crisi le PL (fatto importante considerata la fase di partnership in cui ci si trova
attualmente; la fase attuale è caratterizzata da un‟alta conflittualità, e da un contesto in cui
si aprono più spazi per eventuali collaborazioni). Laddove il nome venga percepito come molto
forte (soprattutto per quanto riguarda il MI viene fortemente percepito in termini
qualitativi), la PL rimane ancora debole (infatti agisce soprattutto sulla leva del prezzo). Al
contrario il MI risulta debole quando risulta troppo frammentato. Il distributore come
intermediario tra produttore e consumatore finale funge anche da garante dei prodotti
venduti.
Evoluzione delle PL
In origine le PL nascevano per offrire un prodotto standardizzato (della stessa qualità del
prodotto similare marchiato con un MI), ma a più basso prezzo → PL di I generazione. In
seguito i distributori hanno cominciato a entrare in determinate aree, offrendo prodotti a
maggior valore aggiunto (ad es. a contenuto tecnologico) → PL di II generazione,ad es. i
fornitori di benzina, di farmaci: la correlazione sta nel fatto di acquistare tali beni nel
momento in cui ci si rivolge al distributore. In alcuni paesi, in particolare, ci si trova di già in
Impresa di
produzione Centri di
distribuzione
Piattaforme
secondarie
distributive:
normal trade
(= commercio
tradizionale);
HORECA;
trade
marketing.
Iper
Super
Superette
Hard
discount
Consumatore
finale
Centri di
distribuzione
Attività
distributiva
fase di maturità, e quindi si cercano nuovi spazi per crescere: esempio è divenire da
distributori a produttori di beni e/o servizi.
In generale i prodotti di PL sono suddivisi in 4 segmenti:
1. marca-insegna: prodotto PL offerto a un prezzo più basso rispetto a quello della
marca-leader (i costi minori derivano dal fatto di non sostenere i costi distributivi). Si
tratta comunque di beni prodotti dal produttore (in veste di terzista) e venduti non al
cliente finale tramite un distributore-intermediario, ma destinati all‟intermediario;
2. I prezzo: prodotti caratterizzati da un prezzo molto basso i quali non vengono
nemmeno associati all‟insegna del distributore, ma venduti con un marchio diverso,
oppure senza nome. Si tratta comunque di un marchio di proprietà del distributore, che
però, non appone la propria denominazione, per il fatto che il prezzo troppo basso
possa essere percepito dal cliente come un prodotto qualitativamente scadente;
3. prodotto premium: prodotto con un prezzo superiore rispetto a quello della marca-
leader, di qualità più elevata (utilizzata, quindi, la leva della differenziazione a cui il
cliente associa un livello di prezzo più elevato);
4. altre: prodotti particolari come la linea verde, i prodotti biologici o eco-solidali ad es..
In Italia la marca-insegna delle PL sono molto in voga: addirittura alcuni prodotti vengono
tipicamente associati alle PL. Ciò vuol dire, che in linea generale, il consumatore finale si fida
molto dell‟insegna del distributore.
Il mercato della pasta in Europa
Il settore pasta è molto particolare poiché il produttore ha un ruolo rilevante, e vi è un‟alta
conflittualità tra industria e distribuzione. I dati riguardano:
la dimensione del mercato, (l‟Italia è il paese che ne consuma di più) in termini di
volume (= quantità) e valore (= fatturato complessivo legato ai prezzi di vendita);
il trend.
La distribuzione del prodotto-pasta avviene secondo due canali:
1. cliente-distributore;
2. cliente HORECA: l‟HORECA trasforma il prodotto per offrire il servizio di
ristorazione.
Nel mercato della pasta, in generale, vi è la tendenza, tra i consumatori, di acquistare il
prodotto più semplice possibile → in tal caso occorre tenere in considerazione la leva del
prezzo. In realtà, però, crescono anche busines particolari, quali quello salutistico e biologico
ad es.. I concorrenti non sono più solo quelli tradizionalmente intesi, ma entrano a far parte di
questa categoria che chi offre prodotti, in termini tecnologici, completamente diversi, come
ad es. chi vende i piatti pronti. Le due tipiche leve di marketing utilizzate in questo settore
sono il prezzo e la promozione (tenendo presente che con l‟aumento delle vendite promozionali
diminuisce il prezzo di vendita) → tentativo dei competitors di mantenere le proprie quote di
mercato, soprattutto in un settore in cui le caratteristiche sono le seguenti:
prodotto standardizzato;
grado d‟innovazione basso;
i prodotti dei diversi concorrenti (proposti dalle svariate marche) sono percepiti come
sostituibili → infedeltà alla singola marca, ecco perché gli attori più importanti fanno
tanta pubblicità.
Il mercato risulta relativamente concentrato (con leader Barilla che possiede il 40% circa
della quota di mercato). Le imprese più piccole adottano le seguenti strategie:
strategie di prezzo: le imprese divengono estremamente efficienti e cercano di
raggiungere delle adeguate economie di scala, le quali permetterebbero di costituire
delle barriere all‟ingresso del mercato;
strategie di internazionalizzazione: le imprese vanno ad aggredire i mercati esteri;
strategie di localizzazione territoriale: le imprese si specializzano nella distribuzione
locale, in segno di differenziazione.
Le PL del settore-pasta sono caratterizzate da dati particolarmente significativi, i quali
crescono dal 2007-2008, ma sono anche segnati da una concentrazione più alta rispetto al
business in generale e in termini di volume, ma la stessa concentrazione diviene più bassa in
Diversificazione correlata tra business, come ad
es.: pasta normale ↔ pasta senza glutine.
termini di prezzo. Infatti la diminuzione del prezzo di vendita risulta più contenuta rispetto
ai prodotti di marca: la GDO ha giocato meno sulla competizione per quanto riguarda la leva
del prezzo. Le PL riducono di meno il prezzo, perché i prodotti della GDO si fondano già su un
minor prezzo rispetto al similare prodotto di marca.
La pasta fresca è un business diverso, ma comunque rappresenta la principale alternativa
rispetto alla pasta secca. Tale business contiene un contenuto di piacere e di servizio, il quale
è inglobato nel prodotto, in pratica consumare un prodotto del genere equivale a consumare un
servizio (infatti nel caso particolare della pasta fresca, il consumatore potrebbe decidere di
prodursela da sé), quindi si potrebbe attribuire a tale prodotto un prezzo più alto.
Nonostante, in linea di massima, il cliente abbia meno risorse da destinare alla pasta fresca, la
sua quota di mercato è rimasta pressoché la medesima. Caratteristiche:
alto grado di innovazione;
differenziazione di prodotto (innovazione per differenziazione);
politica di marca: Giovanni Rana è il leader; egli gioca moltissimo sulla leva della
promozione;
le aziende medio-piccole sono sempre più orientate alla produzione delle marche
commerciali, quindi producono per la GDO (produttori di PL).
Le PL, in particolare, sono più forti per il business-pasta fresca che non in quello della pasta
secca, più in generale le prospettive nel primo mercato sono migliori, infatti nonostante la
presenza di un leader, questo risulta un mercato meno concentrato. La battaglia competitiva
non è giocata solo sul prezzo, infatti vengono adottate strategie di creazione del valore,
mediante la varietà di tipologie di pasta, o la produzione di salse In particolare la produzione
delle salse rappresenta una diversificazione correlata, rispetto alla produzione delle salse.
Economie di scopo =
si utilizzano fattori produttivi
congiunti per raggiungere output
diversi.
Quando un business raggiunge la maturità:
conflittualità: i conflitti sono esacerbati dalla crisi;
trade marketing: marketing che stimola le partnership, le quali diventano possibili
durante la crisi.
L‟antitrust durante la sua inchiesta spiega come è giunta alle sue conclusioni. Ad es.
nell‟inchiesta esaminata sulla pasta fresca, si è giunti alla conclusione che un accordo tra i
produttori sui prezzi di vendita c‟è stato: a fronte di una segnalazione, l‟Autorità Garante ha
avviato un procedimento istruttorio. Ciò è importante da considerare, specie in Italia, la quale
è il paese primo al mondo in produzione ed esportazione di pasta.
Ritornando alla maturità del business, sono 4 gli elementi di criticità da tenere in
considerazione (nel settore-pasta):
eccesso di capacità produttiva (condizione tipica dei mercati maturi): gli investimenti
in costi fissi per un ammontare di output sono superiori rispetto a ciò che si riesce a
vendere (i macchinari spesso si tengono fermi). Alla maturità di un business è normale
avere capacità produttiva in eccesso, perché a un certo punto la domanda smette di
crescere (come invece accadeva durante la fase di sviluppo);
settore composto da attori diversi che adottano differenti strategie;
aumento del costo delle materie prime (dal 2008 tale aumento ha interessato tutto il
settore agroalimentare);
il ruolo delle PL è contraddittorio: infatti esse provocano una distorsione degli equilibri
competitivi perché uno stesso soggetto lavora sia dal lato della domanda che da quello
dell‟offerta (= il distributore, il quale non è più un semplice intermediario).
Dal punto di vista competitivo occorre individuare dei produttori, isolando alcuni business in
base alla categoria merceologica di appartenenza, al prezzo e alle abitudini di consumo.
Inoltre è necessario aggiungere che la dimensione geografica, come all‟interno del mercato
nazionale, le abitudini sono le stesse (comprendendo tutti gli attori).
Dal punto di vista della capacità produttiva si può dire che essa sia stabile dal 2007, ma non
completamente utilizzata, quindi parte degli impianti (= investimenti in costi fissi) viene
inutilizzata → fattore preoccupante per i produttori, i quali possono agire in determinati
modi:
disinvestire svendendo (scelta non conveniente);
andare a cercare nuovi mercati (come quelli esteri), ma ciò potrebbe richiedere altri
costi fissi;
riconvertire i propri impianti.
Dal punto di vista delle quote di mercato si evince che il mercato della pasta è un mercato
concentrato (Barilla 40%, De Cecco 11%, Di Vella 6%, ecc.). Gli indicatori per comprendere il
grado di concentrazione sono:
indice di concentrazione: somma delle quote di mercato delle prime n imprese (ad es. il
5% delle imprese del settore) e vedere se esse rappresentano il mercato globale oltre
una certa percentuale (ad es. il 64% delle quote di mercato);
indice di Herdfindhal-Hirschman: è usato per indicare il grado di concentrazione, ed
è dato dalla somma dei quadrati delle quote di mercato espresse in percentuale
detenute da ciascun attore:
Tale indice può valere al massimo 10.000 in caso di un unico attore. Mentre quando è
compreso tra 1000 e 1800 vuol dire che si tratta di un mercato concentrato.
Gli indici di concentrazione sono utilizzati per valutare i mercati e sono moltissimi: per questo
motivo può accadere che per un indice un mercato sia concentrato, mentre per un altro indice
il medesimo mercato risulti frammentato.
Dal punto di vista del posizionamento competitivo → posizionamento di prezzo = scelta
strategica che fa l‟azienda in termini di prezzo al fine di collocarsi in una determinata fascia
di prezzo. Questo è un concetto di marketing importante perché fa riferimento all‟immagine
che ciascuna impresa dà al consumatore potenziale. Quando in particolare il valore è più basso
rispetto al volume, il posizionamento sarà posto in una fascia bassa di prezzo.
Dal punto di vista dei costi in particolare si evidenziano i costi indiretti, come nel caso dei
costi di pubblicità: i produttori di maggiori dimensioni investono di più in pubblicità e
promozione, ottenendo così anche maggiori margini (i margini sono solitamente più elevati
perché l‟investimento pubblicitario dovrebbe comportare un aumento delle vendite e una
diminuzione dei costi unitari medi).
Dal punto di vista dei fattori esterni all‟ambiente competitivo, un aumento dei costi d‟acquisto
delle materie prime (nel settore-pasta a partire dal 2007 si è verificato un aumento
significativo del prezzo del grano, il quale è stato rovesciato sul prezzo di vendita)
rappresenta un evento negativo verificatosi in tutto il settore agroalimentare.
Dal punto di vista della GDO → terzisti = produttori per conto di terzi, che vendono alla
distribuzione il prodotto-pasta, ma esso viene marchiato col marchio del distributore: i
produttori sono gli stessi attori del settore-pasta.
Conclusione dell‟inchiesta: il comportamento lesivo della concorrenza ha avuto luogo da parte
dei produttori → l‟azienda colpita dall‟antitrust si ritrova ad avere problemi reputazionali
(reputazione: ci vuole molta fatica per costruirla e pochissimo per rovinarla). La pubblicità
rappresenta un investimento nel caso in cui l‟impresa stia lavorando alla costruzione della
propria reputazione, oppure rappresenta una spesa nel caso sia incappata in un danno
d‟immagine (logica di breve periodo). Più che lavorare sull‟immagine sarebbe meglio lavorare
sulla reputazione per conquistare la fiducia del consumatore o anche di altri enti preposti →
l‟informazione circola in maniera molto rapida e l‟impresa subisce dei pesanti contraccolpi
anche in termini borsistici. Oltre a essere cresciuta la consapevolezza, sono disponibili diversi
strumenti per scoprire eventuali comportamenti scorretti intrapresi da parte delle imprese.
HHI = Σi (qi x 100)2
qi = quota di mercato dell‟attore i-esimo.
Trade marketing = strumento attraverso il quale un‟impresa si approccia a un‟altra per
sviluppare un rapporto di partnership.
Contesto competitivo di riferimento per la partnership
Tale contesto competitivo è così caratterizzato:
il consumatore sta cambiando le sue abitudini → da fedele alla marca a fedele
all‟insegna/punto vendita;
le strategie competitive sono sempre più orientate alla differenziazione, come le
barriere all‟entrata dei nuovi attori → accentuazione del gioco competitivo. Anche le
imprese commerciali (oltre a quelle produttive) si basano sulla differenziazione;
aumento del potere contrattuale della distribuzione, a causa di una concentrazione del
settore;
aumento della concorrenza tra i produttori;
le marche commerciali utilizzano strategie di posizionamento;
il distributore non è più tanto attento al rapporto con il proprio fornitore, ma è più
orientato verso le esigenze del cliente.
Strategie di posizionamento = legate all‟immagine. L‟impresa decide con quale immagine si
vuole collocare sul suo mercato-obiettivo. La strategia di posizionamento si colloca all‟interno
dell‟operativo, perché essa viene elaborata dopo l‟individuazione del target (= segmento-target
a cui indirizzarsi). Sulla base delle strategie di posizionamento sono diverse le tipologie di
marketing:
marketing indifferenziato: effettuato dall‟impresa che produce/distribuisce un
prodotto per tutti i consumatori. Il target coincide con tutto il mercato a cui viene
comunicata la campagna pubblicitaria → i consumatori adottano tutti lo stesso
comportamento d‟acquisto e consumo. La domanda è tendenzialmente omogenea, le
imprese concorrenti realizzano prodotti simili, quindi la competizione si gioca su un
volume molto alto per la realizzazione di economie di scala. L‟impresa offre un prodotto
di massa, così adotterà una strategia di marketing per massimizzare le vendite. Esempi
di imprese che si avvalgono del marketing indifferenziato: farmaci da banco, Coca Cola,
Nutella;
marketing differenziato: l‟impresa produce prodotti/servizi differenziati a uno
specifico target, tenendo conto delle diverse esigenze dei consumatori (ad es. TIM
young). In pratica si tratta di adottare strategie di marketing differenziato per
specifiche categorie di prodotto → l‟impresa produce prodotti diversi, pensati su
esigenze differenti. Il mercato-obiettivo è ancora tutta la domanda, ma in tale caso la
domanda viene segmentata, e ogni segmento ha delle esigenze particolari, introducendo
elementi di diversificazione e di differenziazione. Esempi: prodotti di cura della
persona, di cura della casa. Così facendo si posiziona il prodotto in modo diverso in
base al prodotto che si sta trattando;
marketing concentrato: l‟azienda lavora su un unico segmento con un prodotto che ha
un elevato grado di specializzazione, o comincia a lavorare su un unico prodotto (poi
magari si differenzia in futuro). L‟impresa è specializzata offrendo un prodotto con un
alto grado di specializzazione. Esempi: imprese che offrono tecnologie particolari per
gli ospedali, pannelli solari, ecc.;
marketing di nicchia: ci si rivolge a un segmento offrendo un prodotto differenziato
rispetto a quello dei concorrenti. Nello specifico ci si rivolge in particolare a una
nicchia di mercato (= un pezzo di segmento). Esempi: Ferrari, Rolex, prodotti a basso
impatto ambientale, ecc..
Mercato ↓
Mercato segmentato ↓
Nicchia di mercato.
Per differenziarsi dalla concorrenza occorre individuare l‟immagine che la stesa impresa
associa al proprio mercato-obiettivo → associazione dell‟immagine aziendale al proprio
capitale reputazionale.
Società ↓
Visione dell‟impresa (≠ dalla visione di sé) da parte del contesto nel quale la medesima è
inserita ↓
Capitale reputazionale = occorre lavorare sul proprio capitale relazionale ↓
Strategie di marketing: occorre elaborare una strategia di marketing, studiandola sul capitale
reputazionale ↓
Immagine = idea che il cliente ha dell‟impresa; immagine esterna che è strettamente legata
alla reputazione → impresa come creatrice di sviluppo (reputazione, fiducia), impresa come
soggetto positivo che crea ricchezza.
Vi è il rischio di dissociazione tra l‟impresa e la visione della stessa → impresa che arriva a far
di tutto, pur di far parlare di sé. In questo caso occorre rivalorizzare il concetto di capitale
reputazionale.
Quando si vuole parlare di partnership:
Le relazioni non sono solo di tipo orizzontale, ma si tratta anche di relazioni di altro tipo, tipo
quelle lungo la filiera produttiva (logica verticale). A ogni anello della filiera corrisponde un
mercato, ma interrelarsi a livello di supply chain (= catena della fornitura) → vantaggio:
sottolineare le interrelazioni di filiera produttiva (condivisione delle informazioni relazionali a
lungo termine, fedeltà).
Negli anni ‟80 viene definito il trade marketing, in base a come le imprese abbiano cercato di
sviluppare delle relazioni con i propri distributori → efficacia delle relazioni di marketing
attraverso la soddisfazione del cliente. Ma la differenziazione della propria offerta, avviene
nei mercati intermedi (= relazione B2B), ovvero la stessa si occupa di un sistema di relazioni
con altre imprese. Inoltre essa dovrebbe avere due responsabili di marketing:
responsabile del trade marketing;
responsabile del consumer marketing.
Tali due responsabili si dovranno relazionare con chi gestisce la supply chain.
Storicamente le strategie delle imprese produttrici erano focalizzate sul prodotto e sulla
marca commerciale, ossia esse avevamo come punto di riferimento il cliente finale. A un certo
punto, però, l‟intermediario-distributore si ritrova ad avere più potere contrattuale, così per
il produttore diviene essenziale relazionarsi, non più col cliente finale, ma con il cliente-
impresa.
Le fasi del trade marketing sono le seguenti:
analisi del mercato intermedio;
segmentazione del mercato intermedio;
definizione dei clienti-target.
Segmentare = prendere un mercato e individuare al suo interno i clienti che abbiano
caratteristiche omogenee (per la segmentazione si utilizzano le stesse variabili usate per i
clienti finali: variabili demografiche, variabili socio-culturali, variabili psicografiche, variabili
economiche). Il mercato intermedio (che si rivolge a distributori, i quali a loro volta si
relazionano con i clienti finali) si segmenta nel seguente modo:
si prende in considerazione la variabile dimensione: capacità capillare del distributore
(in termini di numero di punti vendita) e in termini di fatturato;
si prende in considerazione la variabile geografica: localizzazione a seconda del
bene/servizio prodotto;
distributore di massa, puntando a un basso costo.
Se l‟impresa si relaziona con un‟altra impresa, la quale a sua volta non si relaziona
direttamente con il cliente finale (ossia quest‟ultimo viene perso di vista) si parla di trade
marketing in senso stretto. In tal caso, i criteri di segmentazione sono:
insieme di
singoli
mercati
indipendenti
sistema di
relazioni/interrelazioni
da governare
variabile dimensione: valutare se ci si rivolge a piccole, medie o grandi imprese-clienti;
più grande è l‟impresa, infatti, e più sarà burocratizzata (più complessa) → livello di
organizzazione delle relazioni diverso;
variabile demografico-descrittiva: cambia in base alle caratteristiche delle imprese;
variabile comportamentale: riguarda la modalità di pagamento, i tempi dello stesso, la
situazione finanziaria, l‟affidabilità, ecc.;
variabile definita in base ai vantaggi perseguiti dall‟impresa-cliente.
La segmentazione descrittiva, in particolare, concerne le seguenti variabili:
la dimensione;
la tipologia industriale;
la nazionalità;
la natura giuridica (pubblica o privata): importante per le gare d‟appalto, per i tempi di
pagamento, ecc..;
il settore industriale;
la localizzazione;
se si tratta di azienda di prodotti finali e/o intermedi;
se si tratta di un‟impresa profit/no profit.
→ Occorre scegliere le variabili che siano le più adatte al proprio segmento di riferimento.
La segmentazione comportamentale, invece, riguarda:
le modalità di trasporto;
i tempi di pagamento;
la fedeltà ai fornitori;
i processi di acquisto (aziende burocratiche, aziende snelle, ecc.).
Durante la segmentazione in termini di individuazione del vantaggio dell‟azienda a cui ci si
riferisce, bisogna ragionare sui fattori critici di successo, studiati per comprendere i propri
clienti. Essi sono un qualche cosa che viene deciso dal cliente, e quindi, in quanto tali, sono
decisivi. Proprio per tale motivo devono essere individuati dall‟azienda, e devono essere
perseguiti dalla medesima, al fine di avere successo: si tratta di fattori da cui dipende la
scelta di acquisto del cliente, per cui l‟impresa adotta una strategia di differenziazione. Essi
sono studiati durante l‟analisi dell‟ambiente esterno e sono diversi dai fattori igienici, i quali
rappresentano le caratteristiche minime che il prodotto deve avere e i quali il cliente si
aspetta che il prodotto abbia (ad es. per un cliente degli anni ‟80, l‟assistenza sugli
elettrodomestici era considerata un fattore critico di successo, mentre per quelli odierni è
considerata un fattore igienico). Anche le imprese-clienti hanno i propri fattori critici di
successo: il produttore (o comunque le imprese che si rivolgono alle medesime) deve
individuarli per elaborare una strategia di trade marketing ad hoc, cogliendo le specifiche
esigenze dell‟impresa-cliente al fine di soddisfarla → segmentazione per benefici (= esigenza
di sicurezza del prodotto, puntualità delle consegne, soluzioni logistiche integrate, ecc.). Su
tali benefici si gioca la differenziazione (ad es. la gestione degli ordini e delle scorte,
l‟approvvigionamento da parte del produttore al distributore; così si accede direttamente alle
info sulle vendite → relazione privilegiata). Spesso, si giunge a delle soluzioni di scambio
delle informazioni tra imprese sull‟andamento dei mercati. Tale condivisione, però, può
arrivare a essere anche più intensa, sino a giungere a una vera e propria elaborazione di
strategie in comune (caso della partnership).
Nel caso del trade marketing è necessario essere capaci di segmentare i mercati intermedi
(non quello dei clienti finali), in cui si affacciano altre imprese (di produzione, di
distribuzione). Tale mercato è composto da attori che adottano comportamenti d‟acquisto
diversi: all‟interno di ogni segmento del mercato intermedio i comportamenti dovrebbero
essere omogenei. Quindi, si può segmentare in base a:
caratteristiche demografiche delle imprese;
comportamenti delle imprese;
vantaggi perseguiti dai clienti.
Strumenti del trade marketing:
1. rapporti tra le imprese di produzione e distribuzione: il marketing è intrapreso da
imprese di produzione per individuare un vantaggio nei confronti delle imprese di
distribuzione (= imprese-cliente). Occorre comprendere quale sia il contesto
competitivo;
2. conoscenza del comportamento del consumatore finale → punto cruciale, infatti in
questa fase entra a far parte il monitoraggio dei consumi finali: quando si tratta di un
prodotto che è destinato ai consumatori finali;
3. possedere un sistema informatico evoluto, il quale serve a produrre informazioni e per
la presa di decisioni → maturare la capacità di prendere le decisioni in base alle
informazioni possedute, in maniera consapevole, selezionando quelle più rilevanti;
4. offrire servizi al cliente intermedio in una logica di partnership (e di marketing
integrato. Partnership unilaterale = quando uno dei soggetti è in posizione di
debolezza contrattuale.
Supply chain
Supply chain = catena della fornitura; strumento utilizzato in ambiente logistico-distributivo.
E‟ utile perché continua a sviluppare la logica delle interrelazioni (partnership) da parte delle
imprese, ognuno delle quali è uguale a un‟attività facente parte della catena distributiva.
Obiettivo: creare valore. L‟ambiente competitivo è sempre più complesso e richiede all‟impresa
la capacità di relazionarsi coi propri fornitori (presuppone la nascita della supply chain). La
supply chain dà un contributo alla creazione di valore → definizione:
rete composta da organizzazioni coinvolte, mediante relazioni a monte e/o a valle, lungo
la filiera, per la creazione del valore;
rete di aziende che acquista le materie prime e le consegna ai consumatori finali,
attraverso il sistema distributivo;
rete di organizzazioni attraverso la quale le informazioni fluiscono grazie alla
produzione e alla distribuzione al cliente finale;
rete di aziende coinvolte nell‟acquisizione, nella trasformazione e nell‟erogazione dei
flussi aziendali al fine di garantire al cliente finale la piena fruibilità di un prodotto
conforme alle proprie aspettative per soddisfarlo.
La supply chain individua le relazioni tra le diverse filiere operative aziendali:
Fattori critici di successo dei consumatori =
fattori che indirizzano/determinano le scelte
dei consumatori finali; esigenze,
caratteristiche distintive che vengono prese in
considerazione per costruire l‟offerta da parte
delle imprese (→ differenziarsi rispetto agli
altri fornitori).
acquisizione produzione distribuzione vendita post vendita
Questa è la logica orizzontale in ottica di filiera, la quale però dà a vedere come la catena del
valore di ciascuna impresa contribuisca alla creazione del valore. La persona che si occupa di
supply chain in azienda, deve conoscere e monitorare tutta l‟organizzazione della propria
filiera produttiva, quindi deve allargare le proprie relazioni dall‟interno verso l‟esterno, ossia
deve anche conoscere i rapporti tra i diversi attori della filiera. I flussi sono molto
importanti, sia che siano flussi materiali, sia che siano immateriali (servizi), sia che si tratti
di dati e informazioni. I dati e le informazioni sono particolarmente rilevanti, infatti le
sinergie vanno colte proprio nella condivisione degli stessi, mediante la collaborazione tra gli
attori della stessa filiera, e non con i concorrenti. L‟informazione resta un elemento di forza
per il vantaggio competitivo, ma non può più essere acquisita nella logica dell‟integrazione
verticale (strategia tipica degli anni ‟60, effettuata per la minimizzazione dei costi di
transazione), ma collaborando con gli attori situati nella medesima filiera. I flussi possono
ancora essere finanziari, o riguardano gli scambi di conoscenze e competenze (know how) →
relazioni di fiducia, al fine di ridurre il grado di incertezza per l‟impresa.
Lo scambio tra le imprese viene concepito in una logica di relazione di fiducia → logica B2B
non orientata al puro scambio di breve termine (un esempio sono gli ex distretti italiani in cui
la fiducia risultava un elemento caratterizzante).
La partnership si può progettare (gestendo e creando delle relazioni) grazie al responsabile
della supply chain, per la creazione sinergica del valore nei confronti del consumatore finale
→ intensità delle informazioni condivise: determina l‟intensità delle relazioni tra i soggetti. Il
livello d‟intensità varia a seconda del tipo di relazione (da uno scambio semplice di
informazioni a una condivisione della strategia in ottica di sviluppo della medesima strategia di
marketing; così si migliora la capacità di informazione sul cambiamento del mercato,
pianificando meglio, e in modo congiunto, l‟interazione tra produttore e consumatore).
Collegamento ai processi distributivi
Riguarda l‟organizzazione dei processi distributivi per cui esistono diverse formule di
partnership:
1. continuos replenishment: il cliente fornisce informazioni sullo stato delle scorte e il
fornitore/produttore dei servizi. L‟impresa gestisce il riapprovvigionamento del
magazzino, fornendo tale servizio al cliente/distributore → formula più debole, ma che
comunque permette all‟impresa di differenziarsi agli occhi del cliente. Vantaggio per il
fornitore: oltre a differenziarsi, l‟impresa può avere in tempo reale le informazioni
sulle scorte di magazzino del proprio cliente. I passaggi sono:la trasmissione dalla
distribuzione alla produzione dei dati di vendita, dalla produzione alla distribuzione di
proposta/rifornimento, con eventuale variazione dell‟ordine da parte del distributore e
consegna dal produttore al distributore. Altri vantaggi: migliore conoscenza del
mercato, capacità di risposta in tempi più brevi → gestione del magazzino efficiente
con conseguente riduzione dei costi. Rispetto a una soluzione tradizionale di gestione
del magazzino, il distributore garantisce un buon livello di servizio al proprio cliente,
migliorando la ricezione/lo stoccaggio delle merci, e considerando anche che per tale
azienda la gestione del magazzino sia un nodo critico, quindi tale collaborazione può
fare la differenza. La condizione tramite la quale il produttore può offrire un servizio
di questo tipo è la capacità di sostenere dei costi aggiuntivi in base alle dimensioni (in
termini di volume di fatturato). Di solito si tratta di aziende caratterizzate da un
brand forte e con un potere contrattuale elevato;
2. vendor managed inventory: o condivisione di informazioni, al fornitore viene data la
delega di decidere quanto e quando gestire le scelte (non vi è più la verifica
dell‟ordine); è il produttore che rifornisce tenendo conto delle esigenze del
distributore-cliente → maggiore autonomia del produttore-fornitore, il quale può
procedere al rifornimento in automatico. Vantaggio: la fornitura è più veloce, ma
ancora una volta il produttore si accolla il maggior costo di gestione (anche se è più
basso rispetto a quello sostenuto dal consumatore), mentre per il distributore
comporta dei minori costi di gestione di magazzino (del proprio) → responsabilità del
fornitore, riduzione dei tempi nella gestione degli ordini, ma il rischio per il
distributore è quello di perdere il controllo delle proprie scorte. Infatti risulta
necessario un rapporto basato sulla fiducia; rappresenta un soggetto vantaggioso
perché si riduce l‟incertezza, ma sempre per quanto riguarda il produttore, occorre
essere capaci di svolgere il servizio → riduzione dei costi di tutta la supply chain,
grazie alla minor incertezza lungo tutta la filiera. Consignment stock = particolare
forma di vendor managed inventory, la quale prevede anche che il prodotto nel
magazzino del cliente, sia in realtà di proprietà del fornitore, finché questo non sia
effettivamente venduto;
3. collaborative planning: pianificazione basata sulla collaborazione. Pianificare è molto
difficile per le imprese e serve al fine di condividere informazioni per sviluppare delle
buone previsioni di vendite in comune, ma le decisioni strategiche vengono poi adottate
in piena autonomia dai singoli attori (ad es. costituzione di scorte del produttore a
fronte di una promozione decisa dal distributore). Pianificare = punto critico per le
imprese che spesso non sono capaci di prevedere i mercati;
4. integrated planning and execution: elaborazione vera e propria di una strategia in
comune lungo tutta la supplì chain. La collaborazione non è semplice (nemmeno
all‟interno di una medesima impresa) tra imprese diverse che devono avere una visione
collaborativa e non di contrapposizione. Elemento in comune per lavorare in modo
congiunto: logistica, magazzino, ecc..
Una delle ragioni che spingono a livello di supply chain a collaborare è il bullwhip effect: in
logica complessiva di filiera si vede chiaramente quanto spreco esista in termini di
amplificazione della variazione degli ordini, infatti essa si amplifica man mano che ci si
allontana dal mercato finale, ossia man mano che si risale, da valle a monte, lungo la filiera
produttiva. Il produttore, invece, vorrebbe allineare la domanda con gli ordini.
Per il produttore tale situazione rappresenta un danno, perché non riesce più a fare previsioni,
e di conseguenza nemmeno promozioni, infatti non ha possibilità di conoscere il mercato.
Per valutare la partnership B2B occorre prima analizzare l‟autonomia decisionale:
decisioni autonome locali: il grado di autonomia decisionale; ad es. si condividono i dati,
ma ognuno decide in piena libertà;
soluzione opposta, pianificazione centralizzata: un‟azienda leader elabora la strategia
per tutta la rete di cui fanno parte le singole imprese. Si forniscono le informazioni dal
centro alla periferia:
→ soluzione intermedia: attori autonomi che prendono decisioni in libertà, ma a livello
centrale vengono fornite delle linee-guida.
Nei settori maturi la strada da intraprendere è quella della collaborazione: è fondamentale
sviluppare delle relazioni con altre imprese perché esse sono necessarie per la sopravvivenza
nel mercato → creare/fornire servizi aggiuntivi nel B2B è praticamente necessario nell‟ambito
del trade marketing.
Pervasività degli strumenti ICT
Strumento fondamentale per la condivisione delle informazioni, e quindi per la collaborazione,
la quale è più forte se basata su un unico sistema informativo in comune tra gli attori della
partnership.
produttore distributore
dettaglio
Le imprese devono tener separate due esigenze: il trade marketing, per i prodotti dedicati ad
altre imprese, e il consumer marketing, per i prodotti destinati a clienti finali.
Gestione del brand
Riguarda la forza del brand dell‟impresa, la quale è influenzata dalla relazioni contrattuali. Il
brand rappresenta la leva fondamentale per una strategia di marketing → brand strategy.
Brand equità = valore del brand come asset dell‟impresa, tra gli asset del patrimonio
immateriale. Dipende dall‟azione di marketing centrata su brand e dedicata ai consumatori →
se non vi sono effetti differenziali, il prodotto viene usato come bene indifferenziato e in
differenziabile → se ogni azione di marketing agisce o meno sul consumatore, ossia se sposta
(o no) il suo comportamento, e di conseguenza la domanda, è grazie al brand. Non è facile dare
un valore al proprio brand: occorre creare cosa si può fare, e farlo bene. I fattori che il
marketing individua per costruire un brand forte sono:
brand awarness: conoscenza del marchio, consapevolezza:
capacità del consumatore di riconoscere il brand (saperlo individuare);
tenerlo in mente: top of mind (= massimo che un operatore di marketing vuole
raggiungere; il prodotto associato al marchio rappresenta il medesimo prodotto e il
cliente soddisfa le proprie esigenze scegliendo quel marchio);
brand loyalty: fedeltà al marchio, ossia se lo stesso sia capace di creare fidelizzazione.
Ciò è sempre più difficile, soprattutto nei business maturi. Mentre nei business ad alto
contenuto tecnologico i brand sono in grado di generare fidelizzazione infatti si opera in
regime di oligopolio, attraverso delle barriere strumentali;
brand identity: la fidelizzazione non è basata sull‟identità, sulla capacità del brand di
assegnare un‟identità del marchio, il quale deve essere distintivo e a cui devono essere
associati alcuni messaggi. Costruire un‟identità di marchio è una strategia utilizzata da
molte grandi imprese, ad es. Apple, Lacoste, Ferrari, Mc Donald, Nike. Essere distintivi
equivale a distinguersi tra i vari concorrenti → top of mind = sovrapporre il prodotto al
marchio;
associazione di riferimento: associazioni mentali che fa il cliente rispetto al brand.
Quanto più associazioni positive fa il cliente, e tanto più alto sarà il valore del marchio, e
quindi tanto più forte sarà il processo decisionale del cliente, rispetto a un prodotto. Il
richiamo di un marchio è un‟idea che il medesimo dà, il messaggio a cui si ispira come ad es.
nel caso del WWF, per quanto riguarda la tutela degli animali (marchi ispirati a un tema).
In pratica si tratta della capacità di associare a un marchio un determinato messaggio
d‟identità (a quel marchio si associa un tipo di messaggio). Associare a un brand un tipo
identitario vuol dire comunicare alcuni valori (identitari), come quelli più emotivi che
rivivono durante l‟acquisto del prodotto (ad es. per Mulino Bianco il messaggio-identità è
rappresentato dalla serenità). E‟ importante, quindi, comprendere le leve psicologiche su
cui agire e su cui è sensibile il cliente, andando a segmentare il target di riferimento →
strategia d’identità = strumento d‟identificazione per i clienti, infatti essi al momento
del consumo si vogliono identificare in una serie di messaggi. Ciò produce maggiore fedeltà
al marchio;
qualità/ soddisfazione in termini qualitativi: quando si è in grado di soddisfare i clienti
in termini di qualità → qualità percepita: dal consumatore, se ne parla molto, ma non è
ancora stata sviluppata bene perché ci si basa sui volumi di vendita. La qualità attesa è
quella che il cliente si aspetta dal consumo, quella percepita è quella che il cliente
percepisce nei confronti di quel prodotto che potrebbe anche essere diversa da quella
prodotta (effettiva). Soddisfazione del cliente = è molto importante per tutte le
imprese, ma per fare ciò è necessario mettersi in contatto con il cliente (ad es. con la sua
partecipazione al processo, anche per quanto riguarda i prodotti tangibili, aumentando il
loro grado di partecipazione): lavorare sugli aspetti qualitativi è importante, ma essi
devono essere comunicati al cliente → la percezione della qualità aumenta e valorizza
l‟aspetto comunicatogli dall‟impresa.
I vantaggi di una brand equity forte, sono i seguenti:
maggiore loyalty/fedeltà, ma è anche vero che il cliente che si sente tradito dal brand,
difficilmente torna a rivolgersi allo stesso;
minore vulnerabilità dal punto di vista competitivo, brand meno attaccabile:
l‟investimento pubblicitario viene fatto da imprese le quali sono dentro al business →
costituzione di barriere all‟entrata;
maggiori margini;
maggiore sensibilità alla riduzione di prezzo e minore sensibilità all‟aumento di prezzo:
il cliente non si preoccupa molto dell‟aumento di prezzo, anzi quasi, quasi si preoccupa
di una sua diminuzione;
maggior efficacia/efficienza nella comunicazione, tipiche di tutto ciò che ruota intorno
al brand: anche i brand molto forti devono monitorare in modo costante le vendite;
opportunità di licensing e di franchising, soprattutto a livello distributivo;
brand extension: estensione del brand per commercializzare dei prodotti di categoria
differente.
Brand extension
L‟impresa che ha un brand molto forte può decidere di utilizzarlo anche per altre categorie di
prodotto → estensione del brand dal business originario a uno diverso. Tale strategia dipende
da come potrebbero reagire i consumatori rispetto all‟estensione, e poi dal contesto
competitivo caratterizzante il nuovo business → diversificazione = si sfrutta il brand come
fattore produttivo congiunto per valutare il successo o meno di una strategia di brand
extension:
1) coerenza tra associazione del brand ed estensione;
2) coerenza percepita dal cliente tra i due business.
Coerenza tra associazione
del brand ed estensione
Coerenza percepita
dal cliente tra i due
business
Brand extension con
effetto sinergico
positivo sia per il nuovo
prodotto che per quello
originario → ottime
probabilità di successo
Brand extension con
effetto sinergico negativo
sul nuovo prodotto, ma
neutrale per il prodotto
originario → basse
probabilità di successo
(diversificazione correlata)
Brand extension con
effetto sinergico
positivo per il nuovo
prodotto e neutro per il
prodotto originario →
buone probabilità di
successo
Brand extension con
effetto sinergico
negativo sia sul nuovo
prodotto, sia su quello
originario → bassissime
probabilità di successo
bassa
alta
alta bassa
Tenere i brand separati non vuol dire fare brand extension (come nel caso di Benetton con
Autogrill), ma per fare brand extension le imprese devono porre attenzione alla coerenza
percepita dal cliente.
Coerenza percepita tra categorie di prodotto = si tratta di una coerenza percepita, quindi la
percezione del cliente deve essere intesa in senso ampio (ad es. il produttore di moto che
vende prodotti di abbigliamento sportivo), non viene quindi percepito il contrasto.
Strategia co-branding = si associano due o più brand diversi di imprese anche differenti.
Tale strategia si distingue in due sottocategorie:
1) elevata omogeneità tra i business: più facile da intraprendere e meno rischiosa → line
extension (ad es. Mc Donalds‟ + Coca Cola);
2) bassa omogeneità tra i business → category extension.
La logica, come nel caso della brand extension, si basa sempre sulla percezione del cliente. Il
co-branding viene effettuato in due modi:
a) co-branding funzionale: per rafforzare le caratteristiche funzionali del prodotto; la
capacità funzionale aiuta a far aumentare la performance del prodotto. Ad es.: Apple + Google, Calgon + Candy;
b) co-branding simbolico: per impattare dal punto di vista emotivo. Ad es.: D&G + locale
D&G.
Nel co-branding funzionale ha rilevanza la correlazione tra le caratteristiche dei due prodotti
→ fattori product related: occorre fare attenzione alla compatibilità e alla coerenza (non
bisogna associare i marchi solo perché sono entrambi forti).
Nel co-branding simbolico-emotivo hanno, invece, rilevanza le associazioni attribuite dai
consumatori alle diverse marche, e la compatibilità tra marche non viene valutata su fattori
non-product related (= che non hanno a che fare con il prodotto), ma legati alle associazioni
che il cliente fa rispetto al brand → si dissocia il prodotto dal marchio, il quale ha un suo
valore simbolico-emotivo, con una vita propria, indipendentemente dalle caratteristiche del
prodotto.
La strategia category extension è più rischiosa, come lo è ogni strategia di diversificazione
non correlata.
In generale, nelle strategie di co-branding e di estensione del brand (quindi in cui la
dimensione marketing è rilevante), occorre valutare il rischio di insuccesso, e la reazione del
cliente di fronte alle stesse strategie.
La forza del brand dipende dalle associazioni attivate dallo stesso al cliente (sempre per
quanto riguarda la percezione del consumatore):
Le strategie di co-branding vengono usate moltissimo dalle imprese come strumento di
strategia di risposta nell‟ambito della propria responsabilità sociale: un‟impresa for profit
potrebbe lavorare nel campo della comunicazione sociale, intraprendendo un‟azione di
marketing sociale (progetto per accostare il brand delle imprese a quello di associazioni no
profit con una dimensione sociale, come ad es. l‟Unicef). Il brand equity fa differenza nelle
scelte del consumatore, infatti vi sono state diverse tipologie di valutazioni nel tempo in
merito. Il primo tipo di valutazione è denominato interbrand, e si tratta di una società tipica
degli anni ‟80, la quale definisce determinati strumenti per valutare il valore dei global brand.
Passi:
1) segmentazione (segmentation): per poter stimare il valore del brand è opportuno
dividere la domanda (segmentare). Infatti brand equity equivale a quanto il brand è in
grado di spostare, e in che modo le condiziona, le scelte dei consumatori. Vi sono dei
business in cui si presta di più la valorizzazione del brand (investendo in strategie di
brand equity), soprattutto in quei business in cui l‟elemento funzionale è basso e quello
emotivo è preminente (ad es. nell‟abbigliamento). Quindi segmentare è importante
perché il valore del brand risulta variabile in base alla domanda, infatti essa varia da
segmento a segmento → valutazione del brand complessiva segmento per segmento
(analisi sempre più focalizzata);
Co-branding
funzionale
Co-branding
simbolico
business
vicini
business
lontani business
dei brand
Tipologia
co-branding
Line extension Category extension
Line extension
attributi product related
+
attributi product fit
fa leva sulle caratteristiche
dei prodotti e le performance
sono basate su di essi
attributi non-product
related
+
brand fit
valuta la coerenza delle
associazioni fatte dal
cliente sul brand in
questione
Category extension
2) valutazione finanziaria (financial analysis-EVA): valutazione concentrata sulla
valorizzazione sugli intangibile asset (come il brand) e riguarda il valore aggiunto
prodotto solo dal brand, isolando il contributo che il medesimo ha sul valore
complessivo aziendale. Ciò viene effettuato utilizzando il metodo EVA, e l‟analisi si fa
sul fatturato dei 5 anni successivi. Tale metodo è degli anni ‟80, attualmente, infatti, il
periodo dei 5 anni come riferimento, è troppo lungo. Dati i tempi la stima finanziaria
potrebbe risultare limitata, infatti essa sarebbe rappresentata da proiezioni non
sempre accettabili;
3) analisi della domanda (demand analysis): capacità del brand di spostare la domanda,
impatto sulla medesima individuando i driver di acquisto (= fattori critici di successo,
FCS), che determinano l‟acquisto da parte della domanda e si pesano sulla stessa.
Dopodiché occorre stimare quanto il brand pesi su ciascun fattore/driver e la somma
di tutti questi singoli pesi equivale al cosiddetto branding index (indice del peso del
brand) importante nell‟individuare la domanda. Ad es. i driver di acquisto (che spingono
allo stesso) di capi di abbigliamento giovanili potrebbero riguardare il prezzo, il design,
la qualità, il comfort e l‟immagine. Allora:
quanto il brand fa la
differenza su ciascun FCS
prezzo 40% valore basso
design (gusto) 20% valore alto
qualità 5% valore alto
comfort 10% valore basso
immagine 25% valore alto
(il più alto in assoluto)
peso finale: brand index,
forza del brand in un
determinato business
4) grado di rischio del business (competitive analysis): valutazione del grado di rischio
legato a uno specifico business, che serve a indicare quanto il brand riesce ad
ammortizzare tale rischio, appunto, così da comprendere la forza/stabilità del
medesimo all‟interno del business di riferimento. Anche in questo caso durante gli anni
‟80 ciò è facile da individuare, infatti l‟ottica in quel tempo è quella della crescita. In
base a tali analisi si fa riferimento ad alcuni fattori indicanti dei cambiamenti
ambientali avversi in base a:
caratteristiche del mercato (crescita, grado di concentrazione, ecc.);
trend potenziale (legato all‟attrattività del mercato).
Caratteristiche strutturali
del mercato
I fattori legati al brand, in grado di esprimere la capacità dello stesso di ammortizzare
i cambiamenti nell‟assetto competitivo sono:
grado di diversificazione del brand: negli anni ‟80 più questo è alto, e più si
crede di poter spalmare il rischio su diversi business (= efficienza
moltiplicativa positiva). Attualmente la GI diversificata è andata in crisi perché
male reagisce ai cambiamenti, trattandosi di una struttura molto rigida (=
efficienza moltiplicativa negativa);
leadership del brand: quanto esso viene riconosciuto dai consumatori;
sostenibilità del brand nel futuro mediante messaggi comunicazionali di identità;
stabilità: quanto il consumatore sia fedele al brand e ai suoi prodotti;
protezione: quanto il brand sia protetto dal punto di vista legale.
Nel complesso per valutare il brand ci si basa su un valore di forza, al fine di determinare un
valore di sconto, il quale serve per attualizzare i brand earnings (trovati mediante il metodo
EVA) → brand value: serve per confrontarsi coi marchi dei propri concorrenti. La valenza
strategica, comunque, risulta pressoché minima, soprattutto per quanto riguarda il contesto
attuale, in cui si ragiona a breve termine (valenza più finanziaria che strategica).
Marketing delle imprese di servizi
Servizio = attività destinata a soddisfare le esigenze del beneficiario a favore del quale lo
stesso viene erogato.
Caratteristiche dei servizi:
è necessaria la presenza di persone al fine di svolgere tale attività;
chi acquisisce il servizio non diventa proprietario dei beni materiali che si usano per
l‟erogazione dello stesso;
l‟attività mira a soddisfare specifiche esigenze.
Non si usa il termine “produzione”, ma piuttosto il termine erogazione. I fattori produttivi
vengono impiegati solo al momento dell‟erogazione del servizio, il quale presuppone sempre la
partecipazione delle persone, in particolare quella del fruitore. Le differenze tra prodotti e
servizi:
prodotti: servizi:
beni tangibili; beni intangibili (= immateriali);
si tratta di un oggetto; si tratta di un processo;
sono standardizzabili; sono eterogenei perché il processo è svolto
da persone;
sono immagazzinabili; non sono immagazzinabili: da ciò derivano più
costi per l‟inutilizzazione del servizio. Risulta
altresì più difficile la gestione della qualità
dei servizi per quanto concerne i costi atti a
mantenere in attività un‟azienda di servizi;
contatto produttore-cliente indiretto; contatto produttore-cliente diretto: è un
vantaggio perché è facile comprendere se il
cliente sia o meno soddisfatto, e conoscere le
sue esigenze è più agevole. Essendo lo stesso
partecipante al processo, l‟esito dipende
anche da esso, e questo comporta un
ulteriore elemento di complessità;
il cliente non partecipa alla produzione; il cliente partecipa all‟erogazione: fattore
distintivo dei servizi, che comporta la
coincidenza tra acquisto e consumo. Per
questo motivo il servizio risulta non
immagazzinabile e il cliente rappresenta
l‟attore principale del processo, infatti
questo, con la sua partecipazione, attiva lo
stesso processo di erogazione del servizio,
contribuendo al suo esito. La partecipazione
può essere:
partecipazione attiva: partecipare
oggettivamente alla costruzione del
servizio. Occorre porre attenzione
poiché gestire un cliente attivo risulta
senza dubbio più complesso, infatti,
bisogna assicurarsi di mettere a punto
gli strumenti più idonei al fine di
essere meglio utilizzati dal cliente;
partecipazione passiva: dimensione
passiva della partecipazione; in tal
caso il cliente viene servito da una
persona preposta all‟erogazione del
servizio;
il valore essenziale (= tutti gli elementi che
incidono sulla soddisfazione del cliente) viene
prodotto in fabbrica, quindi rientra
totalmente nel controllo dell‟impresa;
il valore essenziale (= tutti gli elementi che
incidono sulla soddisfazione del cliente) viene
prodotto durante le interazioni tra impresa e
cliente: l‟impresa no ha la certezza della
qualità (del valore creato), fino a quando il
servizio non è stato erogato → capacità di
interagire con il cliente;
vi è il trasferimento di proprietà del bene. non vi è il trasferimento di proprietà, ma in
realtà sussiste il problema generale tipico
degli intangibles: la maggiore distanza tra
valore atteso e valore effettivamente creato
determina un‟elevata conflittualità tra le
parti.
Il marketing dei beni, oltre a lavorare a valle per convincere il cliente all‟acquisto, deve
lavorare anche a monte in termini di analisi delle esigenze dei potenziali clienti; il marketing
dei servizi, invece, entra a far parte dell‟organizzazione del sistema di produzione, infatti
nell‟erogazione rientra anche il cliente (come soggetto protagonista) → descrizione del
sistema di produzione nelle aziende di servizi:
input:
supporto fisico
personale di
contatto: di FO che
entra in contatto
con il cliente
servizio cliente: senza tale
soggetto il servizio non
può essere erogato Compresenza di clienti
nell‟impresa di servizi: elemento di
ulteriore difficoltà
altri clienti: il servizio viene erogato a una
molteplicità di persone
contemporaneamente i clienti hanno tra di loro esigenze diverse, se queste sono in
conflitto tra di loro escono tutti insoddisfatti dall‟impresa
impresa
L‟impresa facendo marketing può
lavorare sul maggior
coinvolgimento del cliente nel
processo, riducendo o eliminando
il personale di contatto
(naturalmente, però, è ancora
necessario il supporto fisico
adeguato).
Il personale di contatto, nel
processo, potrebbe anche
non esserci, ma viene
sostituito dal cliente (ad es.
si veda il bancomat) →
partecipazione attiva del
cliente.
Il cliente è parte integrante del processo di erogazione del servizio, è contemporaneamente
produttore e consumatore (infatti partecipa attivamente al processo): questa rappresenta una
tipicità del marketing dei servizi. Egli definisce le caratteristiche del servizio, per tale motivo
i servizi risultano molto eterogenei tra di loro. Ciò incide fortemente sulla sua soddisfazione:
l‟impresa lavora fino a un certo punto, ma il resto lo deve fare il cliente. Per questo che tutta
una serie di attività sfugge al controllo dell‟impresa: è necessario creare degli strumenti di
interazione con il cliente in modo da riuscire a comprendere i suoi bisogni. A partire dal
marketing dei servizi, è stata introdotta la distinzione tra marketing interno e marketing
esterno. In particolare quello interno è rivolto all‟interno dell‟impresa, in particolare verso il
personale; l‟azienda si preoccupa di vendere il proprio output ai dipendenti per convincerlo
della qualità del servizio erogato. Soprattutto importante risulta la soddisfazione del
personale di contatto, il quale deve divenire portavoce della qualità dell‟offerta rispetto ai
clienti. Infatti il consumatore scarica le sue rimostranze su tale personale: per questo motivo
occorre organizzare la produzione attraverso gli strumenti di marketing, i quali assumono
un‟importanza produttiva. Il ruolo del consumatore-produttore, rivestito dal cliente, consente
di trasferire dei compiti dal personale al consumatore medesimo (aumento di produttività),
con conseguente riduzione dei costi (riduzione del personale → diminuzione dei costi =
convenienza economica per l‟impresa), e aumento della soddisfazione del cliente, riducendo gli
eventuali attriti tra soggetti a confronto durante una relazione → miglioramento.
Dal punto di vista economico in un‟azienda di servizi, molto pesante risulta il costo del
personale: infatti questo rappresenta un costo fisso che incide moltissimo tra i costi totali.
Ancora l‟azienda di servizi ha bisogno di una struttura di offerta per meglio fornire la
prestazione, la quale sia indipendente dal numero dei clienti che richiede il servizio. Bisogna
porre attenzione, però, a non creare una situazione di eccesso di offerta, se no si
contribuisce a far aumentare i costi fissi. Infatti un‟azienda con costi fissi prevalenti rischia
di avvalersi di una struttura rigida, e di essere più rischiosa in termini di gestione: se la
domanda aumentasse probabilmente guadagnerebbe di più a fronte di un‟azienda più flessibile,
ma in caso di diminuzione della domanda si ritroverebbe a perdere rimuneratività in modo più
accentuato rispetto a un‟impresa avente la maggior parte di costi variabili. A fronte di questo
rischio sempre più imprese di servizi esternalizzano, così tra tramutare i costi fissi in costi
variabili (un esempio tipico è il rivolgersi a un agente, piuttosto che a un dipendente, il quale
viene remunerato a provvigione sul corrispettivo del servizio erogato; magari si potrebbe
anche fornire dei premi a tale soggetto in modo da stimolarlo a migliorare le proprie
performance). E‟ necessario però non esagerare in tale strategia, infatti bisogna comprendere
se la prestazione che viene pagata contribuisce ad aumentare o a ridurre il potere
contrattuale esercitato sul cliente.
Un‟altra possibilità è quella di far intervenire di più il cliente nel processo produttivo: in tale
situazione non solo vengono eliminati i costi fissi, ma anche quelli variabili, in quanto l‟attività
viene svolta direttamente dal consumatore che ne beneficia. Stimolare il cliente all‟auto-
produzione e coinvolgere il personale per vedere dove si creano gli spazi per trasferire i
compiti al cliente. Le situazioni possibili, quindi sono:
elevata partecipazione del cliente + elevata partecipazione del personale (TO, brokers,
servizi finanziari specializzati, ecc.);
elevata partecipazione del cliente + bassa partecipazione del personale (e-commerce,
ristorazione self service, ecc.);
bassa partecipazione del cliente + bassa partecipazione del personale (servizio di
pagamento utenze, servizi di PA);
bassa partecipazione del cliente + elevata partecipazione del personale (alberghi di
lusso, ospedali, ecc.).
Partecipazione del cliente
La partecipazione dipende dalla capacità del personale e dal suo approccio nei confronti del
cliente, dalle caratteristiche del servizio e dal consumatore medesimo. Per capire se vi siano
effettivamente gli spazi per aumentare la partecipazione del cliente è possibile comprendere
se sia o meno fattibile mutare l‟approccio del personale (attraverso il marketing interno) e nel
caso il servizio sia di frequente erogato si potrebbe insegnare al cliente come auto-produrlo.
In effetti modificare l‟approccio del personale risulta molto impegnativo per l‟impresa per il
fatto che rientrano le caratteristiche del personale: questo dovrebbe essere in grado di
percepire le esigenze del cliente al fine di soddisfarlo al meglio. Ecco perché risulta utile far
contribuire il cliente durante il processo di erogazione al servizio rivolto a sé stesso;
formandolo e informandolo (possibile solo quando le caratteristiche del servizio lo
consentano) a dovere, ad es. tramite la segnaletica posta all‟interno del supermercato e la
formazione sull‟utilizzo di alcuni strumenti in modo da risparmiare tempo.
Il cliente potrebbe partecipare in modo attivo o passivo e ancora potrebbe dimostrarsi un
cliente dominante o dominato.
Partecipazione attiva = cliente che attivamente partecipa all‟erogazione del servizio.
Partecipazione passiva = cliente che passivamente partecipa all‟erogazione del servizio.
Cliente dominante = colui che decide, imponendosi, il servizio, che ha un maggior potere
contrattuale nella decisione delle caratteristiche della prestazione (definendone i contenuti).
Di solito vuole una prestazione personalizzata (tutte le volte che si offre un servizio
personalizzato si ha a che fare con un cliente dominante). Attenzione!: il cliente di un TO che
offre una vacanza di lusso è dominante, infatti dispone di un servizio personalizzato, ma sarà
altrettanto passivo, infatti è disposto a pagare un prezzo più elevato per usufruire di un
servizio ritagliato sulle sue esigenze.
Cliente dominato = colui che consuma il servizio, esattamente così come gli viene proposto. Il
cliente dominato (e altresì passivo) è tipico di un soggiorno all inclusive, che accetta,
praticamente a scatola chiusa, tutto ciò che gli viene offerto, oppure di un servizio sanitario;
si tratta solitamente di servizi standardizzati come ad es. quelli forniti dalle catene
alberghiere; la standardizzazione riguarda il supporto fisico, e i processi di erogazione del
servizio, considerando che più l‟impresa riesce a standardizzare e più raggiunge l‟obiettivo di
economizzare i costi → maggior controllo sul cliente.
Fondamentale, per il personale di contatto, comprendere che tipo di cliente si ha di fronte, e
definire che tipo di cliente si vuole servire per costruire la relazione impresa-cliente in modo
opportuno.
Quindi la partecipazione del cliente è diversa dalla capacità dello stesso di influenzare il
processo decisionale, infatti il fatto di essere clienti passivi non comporta necessariamente
essere anche poco esigenti:
cliente
attivo
cliente
dominante
cliente
passivo cliente
dominato
La gestione della partecipazione è alla base di tutte le strategie dei servizi, ed è anche alla
base della soddisfazione. Vi sono vari modi per gestirla:
lavorare sulla relazione col cliente (quindi sul personale di contatto);
riconoscere il ruolo del cliente e valorizzarlo;
fornire informazioni al cliente per consentirgli di partecipare all‟erogazione del
servizio → informare il cliente = formare il cliente per partecipare al processo.
Si può valorizzare la partecipazione del cliente in fase di:
1. specificazione del servizio: quando vengono definite le caratteristiche del servizio;
occorre riuscire a far esplicitare le esigenze per comprendere in che modo il servizio
deve essere costruito (per quanto riguarda i servizi con un certo grado di
personalizzazione, come i servizi erogati da imprese per altri imprese, servizi logistici,
trasporti, servizi finanziari, servizi assicurativi). La fase della specificazione è quella
nella quale il cliente partecipa esplicitando i propri bisogni in via preventiva (prima che
il servizio venga erogato) → contatto diretto tra cliente e impresa;
2. erogazione del servizio: si favorisce la partecipazione del cliente in fase di
erogazione, soprattutto in tutte quelle procedure che gli si possono affidare, prima
prestate dal personale di contatto (per diminuire il CDL). Il cliente che partecipa
attivamente, di solito è anche più soddisfatto, per questo motivo si tende a offrire un
contenuto immateriale anche nell‟ambito dei beni tangibili;
3. controllo del servizio: è compito del cliente controllare come sia stato erogato il
servizio, infatti questi è l‟unico che sappia esprimer un giudizio effettivo sul servizio
ricevuto. Ciò aiuta l‟impresa nel correggere e/o migliorare la prestazione, riducendo
così le inefficienze.
Quindi il cliente partecipa alla riorganizzazione dei processi produttivi → dimensione
produttiva del marketing: si rilevano delle informazioni per la riorganizzazione del sistema di
partecipazione
passiva
cliente
dominato
cliente
dominante
partecipazione
attiva
ad es.
albergo di
lusso
ad es.
visita
autoguidata
ai musei
ad es.
ospedale
zona
conflittuale
ad es.
ikea
produzione da parte del cliente, infatti il personale non può contribuire più di tanto, poiché ha
una visione limitata.
Pacchetto di servizi = l‟impresa di servizi non eroga un solo servizio, ma un pacchetto
composto da:
servizio di base: componente principale del pacchetto;
servizi accessori/periferici: completano il servizio di base.
Tale scomposizione serve per capire su quali elementi l‟impresa può lavorare per
differenziarsi, o quale eliminare per ridurre il prezzo (ovviamente i servizi possono essere
ridotti solo fino a un certo punto).
Attenzione!: vi sono servizi accessori obbligatori (come la sicurezza in un‟impresa di trasporti
o l‟igiene in un ospedale) → il cliente, spesso, si concentra di più (è più sensibile) al servizio
periferico, piuttosto che su quello di base (considerato scontato). Comunque nell‟ambito dei
servizi è più difficile valutare in maniera oggettiva la qualità.
I limiti del pacchetto di servizi sono:
il pacchetto è legato alle caratteristiche tecniche del servizio, legato a una logica di
prodotto, senza però che sia valorizzata la relazione che il cliente ha con l‟impresa, e
più nello specifico, con il suo personale di contatto (grado di soddisfazione del cliente
legato a tale relazione) → componente relazionale = caratteristica del servizio che
distingue il medesimo dal prodotto.
Servizio di base = motivazione per la quale il cliente si rivolge all‟impresa. Il servizio di base,
però, risulta diverso dal minimo che il consumatore si aspetta per il fatto di essersi rivolto a
una determinata azienda.
L‟azienda non offre solo il servizio di base, ma anche i servizi accessori/periferici i quali
vengono erogati (ad es. nell‟ambito di una strategia di differenziazione) per completare quello
di base. Essi possono essere o meno obbligatori e possono svolgere un ruolo fondamentale
(attribuendo un valore aggiunto al servizio di base, valore in termini di soddisfazione),
soprattutto al fine di differenziarsi dalla concorrenza, stimolando la scelta del cliente.
Infatti il servizio di base si dà per scontato (non sempre!). Problema: essendo il servizio
intangibile, risulta difficile da valutare per il cliente (soprattutto in un momento precedente a
quello della fruizione), quindi vi sono dei servizi in cui molto peso è attribuito anche ai suoi
aspetti tangibili (in quanto tali sono più facilmente valutabili), beni che sono strumentali
all‟erogazione del servizio. Nel caso di servizi in cui non siano preminenti tali elementi
tangibili, il cliente possiede pochi elementi al fine di farsi un‟idea di come viene servito.
Comprendere ciò che incide sul grado di soddisfazione, è fondamentale per dirigere le
proprie politiche gestionali: occorre porre attenzione alla soddisfazione, che rappresenta un
elemento ulteriore rispetto alle mera produzione dei beni → efficacia = capacità dell‟impresa
di raggiungere gli obiettivi prefissati; essa viene valutata in termini di risultato, di fatturato,
quindi tramite il seguente rapporto:
Tale rapporto esprime la capacità dell‟impresa di raggiungere gli obiettivi prefissati → di
programmare bene la propria attività. La misurazione dell‟efficacia sottintende il fatto che il
cliente, acquistando, sia soddisfatto. Per i servizi occorre misurare l‟efficacia in termini di
soddisfazione nel M/LP: nel concetto di efficacia in economia aziendale, la soddisfazione del
cliente non entra nel merito, ma essa viene presa in considerazione nella logica del servizio.
Quindi nell‟ambito dei servizi l‟elemento periferico è spesso quello per cui il cliente sceglie
un‟azienda piuttosto che un‟altra. Spesso, infatti, il servizio di base risulta molto difficile da
valutare (ad es. la scelta dell‟università) → elemento centrale del servizio: partecipazione del
cliente, fattore che viene sottovalutato rispetto alle componenti tangibili.
E‟ necessaria così la valorizzazione dell’interazione del cliente con l’impresa:
output programmato
efficacia = -------------------
output prodotto
servizio di base
servizi periferici obbligatori servizi periferici ausiliari
accessibilità
al servizio
interazione
con l‟azienda
partecipazione del cliente
Accessibilità al servizio = quanto il servizio è facilmente accessibile (problema che l‟azienda
di beni non si pone):
accessibilità del luogo: creare degli spazi di accesso per un facile accedere al luogo
(ad es. segnaletica);
facilità d’uso delle risorse fisiche: occorre porre attenzione nello scaricare al cliente
le operazioni che prima svolgeva il personale di contatto;
contributo del personale: quanto il personale è a disposizione del cliente, e le modalità
attraverso le quali interagisce con lo stesso.
Interazione cliente-azienda = comunicazione tra impresa e cliente:
comunicazione del personale con il cliente: interazione diretta personale-cliente
veicolata appunto dal personale, oppure interazione indiretta azienda-cliente come
nel caso di utilizzo di internet, brochure e in generale con tutti gli elementi tangibili a
disposizione;
interazione risorse fisiche/clienti: possibilità di utilizzare degli ausili tecnici, come
potrebbero essere i vari strumenti di pagamento;
interazione con altri clienti: i clienti possono ostacolare il servizio rivolto ad altri
clienti, oppure possono aiutarsi tra di loro → passaparola = strumento di marketing
molto potente che è in mano ai clienti; infatti essi raccontano l‟impresa sulla base delle
proprie esperienze, agendo così sulla leva reputazionale. E‟ utile considerare che, con la
diffusione delle reti informatiche, il fenomeno del passaparola si è ampliato
ulteriormente: esso risulta particolarmente importante per i servizi, infatti essi
poggiano su un contenuto esperienziale.
Nelle aziende di servizi il problema della soddisfazione del cliente può entrare in conflitto con
le logiche di produttività. Per questo risulta fondamentale migliorare l‟efficienza,la quale
rappresenta la capacità dell‟impresa di utilizzare nel modo più razionale possibile le risorse
(evitando gli sprechi). Vi sono due possibilità:
aumentare l‟output a parità di input;
diminuire l‟input a parità di output.
L‟efficienza, comunque, risulta così rappresentata:
Si verificano due situazioni:
aumenta l‟output a parità di input;
diminuisce l‟input a parità di output.
Quando si può lavorare in termini di efficienza? Dipende dalla composizione degli input e dalla struttura di costi che ha l‟azienda, la quale può
vedere il prevalere di:
output
efficienza =------------
input
costi fissi;
costi variabili.
Nel caso delle imprese di servizi con un‟alta incidenza dei costi fissi, aumentando l‟output,
l‟input rimane invariato → si sfruttano le economie di scala. Ma nel caso prevalgano i costi
variabili, è inutile ragionare in termini di efficienza, infatti aumentando l‟output
aumenterebbero pure gli input → struttura dei costi dell’impresa di servizi = i costi fissi
sono prevalenti perché il personale deve essere a disposizione della variabilità della domanda
(infatti il costo del lavoro è in prevalenza fisso, e tale costo prevale in un‟impresa di servizi).
Quindi si potrebbe migliorare l‟output al fine di migliorare l‟efficienza: occorre porre
attenzione però alla trappola strategica dei servizi, secondo la quale aumentare l‟output
vorrebbe dire un aumento di lavoro da parte del personale (prendendo coscienza del fatto che
non si ha a che fare con un impianto ma con una persona) → rischio di diminuzione della qualità
nell‟erogazione del servizio.
La qualità del prodotto può essere recuperata spingendo sul contenimento dei costi: ciò
riguarda l‟impresa dei beni. Mentre per le imprese di servizi il rischio è maggiore perché i
costi fissi concernono quelli del personale. Quindi produrre di più vuol equivale a un maggior
lavoro e un maggior impegno da parte dei lavoratori: occorre fare attenzione a non metterli
troppo sotto pressione, se no si rischi di incorrere nella trappola strategica dei servizi, ossia
in quella situazione di rischio che porta a una riduzione del margine (dovuta all‟eventuale
correzione del peggioramento). La situazione che si potrebbe presentare è la seguente:
Efficienza interna = efficienza legata al modo in cui l‟azienda opera, legata alla produzione
(per questo è interna).
Occorre altresì fare attenzione a valorizzare l‟efficienza esterna, quella legata al modo in cui
i clienti percepiscono le aziende di produzione. Anche per i servizi, però, si considera tale
efficienza, infatti in queste aziende il cliente entra addirittura a far parte del processo
produttivo → esigenza di inserire il cliente (esterno all‟impresa) all‟interno dei processi
produttivi: è necessario tenere a mente la situazione appena espressa. Quindi: all‟esigenza di
perseguire delle economie di scala, risulta utile affiancare quella di raggiungere delle
economie di mercato,secondo le quali i vantaggi derivano dal fatto di tenere in
considerazione le esigenze del cliente (→ soddisfazione del cliente). Per questo occorre agire
in maniera diversa da come di solito si agirebbe in un‟impresa industriale, ossia occorre
intraprendere un orientamento ai servizi. Tale orientamento è così illustrato:
situazione
di rischio
(applicando le medesime
regole delle imprese
industriali) azioni rivolte a
migliorare l‟efficienza
interna, lavorando sui costi
la qualità del servizio si deteriora (si
fa lavorare di più il personale, senza
soffermarsi sul fatto che il
medesimo sia il protagonista della
relazione con il cliente
insoddisfazione
del cliente
deterioramento
del clima interno
la qualità del servizio si
deteriora ulteriormente
azioni di marketing (push)
per mantenere a un certo
livello le vendite
insoddisfazione del cliente
ulteriore, dovuta a delle
azioni di marketing
aggressive
l‟immagine dell‟azienda si
deteriora
circolo
vizioso
Vantaggio: valorizzare la specificità delle imprese di servizi.
Deterioramento del cliente interno = tema non particolarmente evidente nell‟impresa di
beni, ma più che non evidente risulta piuttosto trascurato.
Clima interno = riguarda ad es. il caso di eccesso di carico di lavoro, il quale può incidere
negativamente sul clima interno. Il clima aziendale va quindi monitorato in tutte le imprese, ma
con particolare riguardo in quelle di servizi (infatti nelle imprese di beni, a un peggioramento
del clima interno, potrebbe derivare la facoltà di correggere il processo produttivo, prima che
il cliente resti definitivamente insoddisfatto, mentre nel settore dei servizi un cliente
insoddisfatto equivale a un cliente perduto).
Marketing interno = marketing legato alla volontà di valorizzare il clima interno al fine di
motivare il personale, il quale è considerato come una sorta di cliente interno → coinvolgere il
personale esattamente come si farebbe con il cliente: se i lavoratori per primi non
approvassero l‟azienda in cui sono impiegati, non potrebbe di certo veicolare un‟immagine
positiva della stessa. Il concetto di marketing interno è nuovo, e si sviluppa proprio nell‟ambito
dei servizi: se applicato a dovere, migliora il rapporto tra impresa e personale, il quale non
sarebbe più vissuto secondo un‟ottica troppo gerarchica → logica del marketing interno: si
tratta di una via di mezzo tra un‟ottica gerarchica e una di relazione di mercato (nella quale i
rapporti vengono costantemente rinegoziati). Il personale, si ritroverebbe così ad aderire ai
principi dell‟impresa per spontanea convinzione, con un margine più elevato di autonomia nei
processi decisionali, e non lo farebbe solo per dovere (come accade in una logica del tutto
gerarchica). In tale contesto anche la relazione con il cliente ne gioverebbe, divenendo
anch‟essa più autonoma: il cliente, dal canto suo, dovrebbe sentirsi emotivamente più coinvolto
da parte dell‟azienda.
situazione
di rischio
migliorare l‟attenzione verso
il cliente (comunque tenendo
sotto controllo i costi) →
interazione impresa-cliente:
occorre migliorarla
miglioramento della qualità percepita
maggiore
soddisfazione del
cliente
miglioramento del
clima interno
la qualità del servizio migliora
l‟immagine aziendale migliora
aumento delle vendite ↓
miglioramento dell‟efficienza
interna ↓
(viene utilizzata la stessa
leva che solitamente si
utilizza nelle imprese di
produzione
circolo
virtuoso
L‟autonomia nelle decisioni del personale di contatto, deriva dal fatto di sentirsi esso stesso
un cliente, il quale entra successivamente in contatto con un altro cliente esterno: il
lavoratore deve essere in grado di definire la situazione, gestendo anche gli eventuali
imprevisti che si possono verificare nella maniera il più adeguata possibile, utilizzando i modi e
il linguaggio più consoni. Quindi concepire il personale come un cliente esterno equivale a
creare un‟opportuna cultura del servizio: all‟interno delle imprese è necessario infondere
quella consapevolezza nel personale per quanto riguarda le specificità del servizio; il personale
dal canto suo, deve saper gestire il cliente → equilibrio:
offerta al cliente ↔ esigenze del cliente.
Rischio di burn-out = rischio di “esplodere”, di incorrere in un esaurimento nervoso da parte
del personale di contatto sovraccaricato nelle sue mansioni. Le attività in cui tipicamente è più
facili incorrere in tale rischio sono le attività turistiche e quelle ospedaliere.
Gli strumenti attraverso i quali sviluppare il marketing interno sono:
la formazione: alla gestione del cliente, occorre insegnare a mantenere un corretto
equilibrio tra esigente del cliente ed esigenze dell‟azienda;
la delega: l‟impresa di servizi è tipicamente decentrata, così risulta necessario un
notevole grado di autonomia del personale di contatto; tale delega deve risultare
chiara alle RU, se no si rischia lo scollamento tra il vertice aziendale e il personale della
linea (come quello di contatto, appunto). Attenzione!: però, alla massima autonomia.
Occorre sempre tenere presente l‟equilibrio tra cliente e impresa (la tipica risposta
errata da dare ai clienti è: “non sono io che decido…” → non esiste modo migliore per
fare allontanare un cliente definitivamente dall‟azienda). Ecco perché risulta utile
tenere degli spazi di intervento per eventuali deleghe, il caso più tipico è quello di un
cliente importante ma passivo: più spazio in termini di personalizzazione equivale a più
spazio del personale di contatto nell‟esercitare la delega;
la comunicazione interna: riguarda la maggiore circolazione delle informazioni, sia
dall‟alto verso il basso, sia dal basso verso l‟alto, ma anche in orizzontale. Le
informazioni sono necessarie per una presa di decisione condivisa e comune → gestione
democratica;
supporti formativi.
In contesto di crisi, questi fattori sono i primi protagonisti in termini di minori investimenti:
ciò, però, purtroppo porta a un rischio elevato di insoddisfazione della clientela, e alla caduta
all‟interno della trappola strategica dei servizi.
Il servizio è eterogeneo perché è il risultato di un‟operazione tra due persone.
Vantaggio del decentramento: i punti lontani dal vertice hanno un certo grado di autonomia:
rispetto al cliente, il servizio è più rapido;
recupero in efficienza in termini di disservizio in modo rapido;
la maggior soddisfazione dei dipendenti (in realtà dipende dal servizio);
migliore orientamento al cliente da parte delle imprese → pianificazione del sistema di
offerta;
se ben gestiti i clienti sono anche fonti di idee (mediante il loro coinvolgimento).
In pratica la maggior soddisfazione del cliente è conseguente alla maggior soddisfazione del
personale di contatto.
La delega, nella relazione impresa-cliente si può collocare:
Il decentramento è molto difficile da gestire perché vi è il rischio che si verifichi uno
scollamento (= incoerenza) tra gli obiettivi dell‟impresa e gli interessi del cliente. Occorre non
perdere l‟obiettivo aziendale immedesimandosi troppo nel cliente, magari rendendo la
transazione meno vantaggiosa per l‟impresa, o comunque troppo difficoltosa da erogare.
L‟incapacità dell‟impresa di far fronte alle esigenze del cliente (che sono state promosse dal
personale di contatto) provoca nel cliente una insoddisfazione. Altro rischio: il know how del
dipendente potrebbe uscire definitivamente dall‟impresa per essere acquisito da un‟altra
impresa concorrente (magari creata dallo stesso) → i clienti potrebbero andargli dietro per
essere serviti da lui. Per questi motivi il dipendente può essere fonte di problemi per
l‟azienda, soprattutto per quanto riguarda la dicotomia:
autonomia ↔ responsabilità.
La comunicazione in un‟impresa di servizi
La comunicazione è una specificità del marketing operativo. Per l‟impresa di servizi, tutti gli
elementi tangibili rappresentano elementi di comunicazione, soprattutto per il fatto che il
servizio sia intangibile (tutto parla) → necessità di comunicare un qualcosa che non si vede,
per fare ciò occorre poggiarsi su elementi tangibili, i quali sono diversi dal servizio.
partecipazione del
cliente elevata
partecipazione del
cliente bassa
coinvolgimento del
personale elevato
coinvolgimento del
personale basso
delega
più forte
Comunicazione interna = è diversa dal marketing interno. Essa agisce all‟interno dell‟impresa,
ma è rivolta al cliente → arma destinata al cliente (non al dipendente in quanto cliente
interno). Tale tipo di comunicazione è denominata interna perché il cliente entra all‟interno
dell‟impresa → problema che non si pone in uno stabilimento produttivo.
Comunicazione esterna = quella declinata secondo le logiche della pubblicità, e utilizzata
anche dalle imprese manifatturiere.
Comunicazione interpersonale = relazione tra cliente e personale di contatto (che
rappresenta l‟impresa) e tra cliente e cliente → passaparola: le informazioni che vengono
trasferite tra consumatori; è sempre esistito, ma oggi è più potente, e anche più forviante a
causa di social network, internet e altri strumenti telematici. Una volta si parlava di
passaparola tradizionale, secondo il quale più persone che si conoscono si scambiavano pareri
su un dato servizio; ciò comportava una maggior capacità di giudizio da parte dei clienti, per il
fatto di essere tra di loro legati da un rapporto di fiducia reciproco. Attualmente sopravvive
questo tipo di passaparola, ma a esso si è affiancato il passaparola virtuale, il quale risulta
completamente spersonalizzato, infatti le persone si scambiano giudizi, ma non si conoscono
tra di loro, quindi è meno affidabile di quello personale, tipico di una comunicazione
interpersonale.
Strumenti principali di una comunicazione
Gli strumenti principali di una comunicazione sono:
il supporto fisico del personale → comunicazione interna;
i media → la comunicazione esterna viene utilizzata moltissimo anche nell‟ambito dei
servizi, anche se è arrivata in seguito, come risposta alla comunicazione massmediatica
in riguardo ai beni.
La comunicazione interna è fondamentale, e quindi, va curata secondo il marketing dei servizi.
Soprattutto il passaparola non può essere controllato dall‟impresa: per questo motivo deve
essere salvaguardato, infatti questo è uno strumento totalmente nelle mani del cliente.
I principi di strategia e di comunicazione perseguiti sono i seguenti:
esistenza: elemento legato all‟intangibilità del servizio; la strategia deve esistere,
deve essere nota, chiara e accettata da chi si fa veicolo della stessa (= personale di
contatto, infatti la comunicazione è soprattutto interna e interpersonale → tipicità
dell‟azienda di servizi);
continuità: in prospettiva di LP (almeno in termini teorici, attualmente infatti l‟impresa
è più orientata al BP);
differenziazione: scelta strategica a livello qualitativo → orientamento alla
differenziazione nei confronti della concorrenza;
chiarezza;
realismo: il fine è di non creare aspettative che poi vengono quasi sempre deluse.
Nell‟ambito dei servizi, essendo intangibili, il rischio di creare aspettative non reali è
maggiore. Attenzione!: non promettere ciò che non è;
declinazione: adattamento a diverse situazioni, tipico delle aziende di servizi.
E‟utilizzabile in modo coerente nelle varie forme di comunicazione (interna ed esterna).
Può sorgere un problema: nelle pubblicità dei beni tangibili vengono di sovente utilizzati
dei testimonial; cosa non diffusa nel settore dei servizi, ma piuttosto utilizzati loghi,
luoghi, slogan. Tutti elementi i quali, invece, risultano facilmente ritrovabili e
individuabili nell‟impresa, facendo leva sulla fiducia (ad es. banche, assicurazioni, GDO,
logistica);
coerenza: si ricollega al realismo e riguarda la coerenza tra i vari strumenti di
comunicazione;
accettabilità interna: logica del marketing interno. In molte imprese manifatturiere,
la strategia di comunicazione (considerando una logica di marketing operativo) può
essere affidata a terzi. Nelle imprese di servizi ciò non è consigliabile, l‟ottimale
sarebbe di effettuare una campagna comunicazionale dallo stesso personale di
contatto: di qui la necessità di assimilare e accettare, mediante interventi formativi, la
comunicazione da parte dello stesso.
Obiettivo: comunicazione nell‟azienda di servizi:
conquistare nuovi clienti equivale a convincere i potenziali clienti della qualità del
servizio attraverso azioni di notorietà e differenziazione;
fidelizzare i clienti attuali;
agevolare la loro partecipazione tramite delle azioni tipiche dei servizi, ma le quali
ultimamente vengono utilizzate anche da aziende di beni.
Notorietà = per aumentare la conoscenza nei clienti attuali. Inoltre è utile riuscire a entrare
nella testa del cliente al fine di soddisfare le sue esigenze, così da fargli associare il marchio
a un certo tipo di prodotto (colori, design, ecc.).
Differenziazione = scelta di differenziare; in questo caso la comunicazione serve al fine di
evidenziare tale strategia, come supporto alla decisione di distinguersi dai concorrenti.
Le aziende concorrenti sono interrelate e non alternative, così: infatti più il prodotto è
standard, e più si mira alla notorietà.
Fidelizzare la clientela vuol dire consolidare la relazione con il cliente (fedeltà del cliente,
posto sempre che la stessa si relativa) → è importante la formazione/motivazione del
personale di contatto. Quasi tutte le pubblicità sono campagne di notorietà (ciò, però, non
avviene in campo automobilistico). Di conseguenza è utile definire la pubblicità istituzionale,
come quella che mira a pubblicizzare tutta l‟azienda, e non solo il singolo prodotto.
In generale si punta alla soddisfazione del cliente.
Comunicazione = strumento con cui si facilita la partecipazione del cliente, sia in logica
economica, sia in quella di marketing (conviene valorizzare la partecipazione). La
comunicazione, e più in particolare la partecipazione dà un contributo riguardo alla
specificazione del servizio, che è quello di trovare il modo di aiutare il cliente a specificare
lo stesso, stimolandolo/sollecitandolo a esplicitare le esigenze, magari anche sollecitando i
reclami, mediante un canale di comunicazione on line ex post. Mentre, ex ante, è il personale
di contatto che permette al cliente di esprimersi anche mediante la personalizzazione del
servizio. Per fare ciò il lavoratore, deve essere molto bravo e abile nell‟esprimersi.
Azioni di servizio = azioni mirate alla formazione e alla fornitura di informazioni al cliente,
mettendo a disposizione dello stesso degli strumenti che possano favorirlo nell‟assunzione dei
compiti durante l‟erogazione di servizio (tradizionalmente svolta dal personale di contatto) →
addestramento del cliente, tramite un‟opportuna segnaletica, delle segnalazioni e in generale
mettendo il cliente in condizioni di poterlo fare. Ciò viene denominato trasferimento di
competenze verso il cliente,e viene effettuato mediante un passaggio dal personale di
contatto.
Controllo del servizio = controllo ex post, al fine di fare emergere il problema del cliente
insoddisfatto. Il ruolo è limitato al personale di contatto, che si pone il compito di raccogliere
i reclami (ed eventuali opinioni). Tale contatto deve avere seguito in un vero e proprio
meccanismo di correzione del processo. Se tale meccanismo non funzionasse bene, il cliente
comincia a non prenderlo con serietà, e resta doppiamente insoddisfatto, cosicché può
ritrovarsi a scegliere di fruire un altro servizio, presso un‟altra azienda, e divenire in linea
definitiva un cliente perso. Quindi sono fondamentali delle determinate operazioni al fine di
lavorare sul cliente, e spingerlo a esplicitare il motivo della sua soddisfazione. Inoltre è utile
lavorare per migliorarla ulteriormente (attivando un circuito virtuoso di correzione): in tal
modo si evita di sprecare risorse (la raccolta del reclamo costa), infatti il controllo del
servizio è considerato un elemento centrale.
La comunicazione può essere così classificata:
campagna unidirezionale: dall‟impresa al cliente per quanto riguarda le imprese di beni;
campagna bidirezionale: dall‟impresa al cliente, e dal cliente all‟impresa per quanto
riguarda le imprese di servizi. Infatti:
il personale deve essere capace di far esplicitare i problemi;
il cliente deve aver voglia di raccontarli.
In caso il reclamo venisse raccolto, ma poi non avvenisse nulla per cambiare la situazione alla
base dell‟insoddisfazione del cliente, questi si sentirebbe doppiamente insoddisfatto →
creazione di relazioni tra persone, al fine di correggere gli eventuali problemi.
Destinatari della comunicazione
Il marketing viene così classificato:
Attuare una buona strategia di marketing sui clienti potenziali può avere un ritorno in termini
di investimenti. Nelle aziende di servizi per attrarre i non-clienti relativi, occorre attivare
degli strumenti mass-mediatici al di fuori dell‟impresa, infatti tali clienti sono quelli che non
consumano quel determinato servizio, ma che lo consumerebbero se venissero raggiunti dal
medesimo. Gli strumenti per raggiungere i non-clienti relativi sono:
contratti indiretti mass-mediatici virtuali;
Clienti attuali:
aziende di beni: occorre puntare sulla
fidelizzazione e agire sulla notorietà del
marchio associato a un prodotto;
aziende di servizi: è già presente una
relazione, il vantaggio è quello di utilizzare
degli strumenti attinenti la tangibilità del
servizio.
Clienti dei concorrenti:
aziende di beni: convincere che il prodotto
dell‟azienda sia migliore della concorrenza e
agire sulla differenziazione;
aziende di servizi: i clienti dei concorrenti non
sono in relazione con l‟impresa in questione,
quindi occorre attrarli mediante una
comunicazione tradizionale dei beni tangibili.
Non-clienti relativi:
persone che consumerebbero, ma che non
lo fanno perché non vengono messe nella
condizione di farlo, oppure non si
accorgono di sentire una determinata
esigenza (non consumano, ma
consumerebbero → clienti che vanno
convinti).
Non-clienti assoluti:
clienti che non possono proprio, ma
soprattutto non vogliono rivolgersi all‟impresa
(cliente che non consuma e che non
consumerebbe: occorre un‟accurata riflessione
al fine di comprendere se conviene attrarlo
per convertirlo in un non-cliente relativo).
marketing verticale: viene coinvolto nel marketing il cliente (ad es. proposta di uno
sconto a quel cliente che porta qualcuno in azienda; pratica diversa dal passaparola, nel
quale non vi è nessun interesse nel promuovere un‟azienda, e che quindi viene
classificato come un‟azione completamente disinteressata. Ma:
pubblicità per andare a “prendere” il cliente, tramite volantinaggio, facendo in modo di
andare a raggiungere l‟offerta (ad es. aprire un‟attività all‟interno di un centro
commerciale);
individuare il cliente-tipo per studiare dove e cosa frequenta, eventualmente
collaborando con il punto di offerta, in cui è presente lo stesso che sia appartenente a
un determinato segmento preso di mira dall‟azienda → strategia di comunicazione
mirata (anziani, giovani), tramite specifici canali di comunicazione.
Problema: soddisfazione del cliente, associata alla qualità; tema tipico che si sviluppa nel
marketing dei servizi → misurazione della qualità del prodotto/servizio.
La qualità è un tema centrale, soprattutto durante gli anni ‟90: l‟impresa comincia a
differenziarsi anche in termini di qualità. La misurazione della medesima avviene tramite
l‟utilizzo di 3 punti di vista:
1. punto di vista del cliente: la soddisfazione rispetto alla qualità è soggettiva e basata
su elementi esterni, come il contatto sociale → percezione soggettiva della qualità;
2. punto di vista del concorrente: la qualità è relativa, infatti è opportuno distinguersi in
base alle scelte qualitative dei concorrenti;
3. punto di vista dell’impresa: l‟impresa deve sempre cercare di garantire la coerenza nel
rispetto delle esigenze dei clienti e dei comportamenti dei concorrenti.
Riferimento esterno = la qualità è una dimensione soggettiva e relativa, nel senso che
dipende dalla comparazione con qualcos‟altro.
Punto di vista dell‟impresa ≠ punto di vista del cliente:
l‟impresa, nella valutazione della qualità deve mettersi nei panni del cliente; il cliente ha una
percezione della qualità soggettiva, quindi imprevedibile.
Di conseguenza vi sono diverse definizione di qualità, le quali dipendono dal punto di vista
analizzato:
1. qualità prevista (dal punto di vista del cliente): previsione di aspettative esplicite e
implicite del cliente rispetto al servizio. Valutare le aspettative implicite risulta molto
difficile, per coglierle è necessario intuirle al momento dell‟esplicitazione delle attese
(magari facendo leva sulle stesse), come ad es. nel caso di acquisto di un
rischio di boicottaggio delle imprese = non
comprare più il prodotto/servizio dell‟impresa per
svariati motivi (ad es. a causa di azioni poco etiche
come lo sfruttamento sui minori, la sperimentazione
sugli animali, ecc.) → operazione organizzata da
tanti piccoli consumatori per ostacolare l‟operato
dell‟impresa grazie agli strumenti informatici;
riferimento
esterno
riferimento
interno
prodotto/servizio al fine di soddisfare un bisogno di appartenenza a uno status → leva
psicologica/emotiva;
2. qualità progettata (dal punto di vista dell’impresa): occorre organizzarsi per
raggiungere un determinato livello di qualità. La progettazione della stessa risulta più
difficile in un‟impresa di servizi a causa dell‟intangibilità dominante → la certezza
dell‟esito dell‟interazione (derivata dall‟erogazione del servizio) non si può conoscere;
3. qualità promessa (dal punto di vista dell’impresa): si agisce sulla qualità prevista.
Questo è un punto cruciale perché essa potrebbe incidere sull‟eventuale
insoddisfazione del cliente. Attenzione! alle strategie di comunicazione intraprese,
infatti si potrebbe incorrere nel rischio di non mantenere le promesse; per questo
motivo nelle imprese di servizi non conviene esternalizzare (come avviene spesso di
frequente nelle aziende di beni), anche perché delegare ad altri la compagna
pubblicitaria potrebbe voler dire deludere il cliente;
4. qualità prodotta (dal punto di vista dell’impresa): riguarda l‟effettivo livello
qualitativo prodotto; l‟impresa deve prevenire eventuali errori nella definizione degli
standard qualitativi predefiniti;
5. qualità percepita (dal punto di vista del cliente): viene valutata ex post → grado di
soddisfazione del cliente rispetto alla qualità del prodotto/servizio offerto. Ciò deve
essere compreso sia a livello globale, sia a livello analitico, così da correggere in
maniera precisa il motivo che sta alla base dell‟insoddisfazione. Problema: non sempre il
cliente è in grado di esplicitare tale motivo, infatti il servizio viene percepito in
maniera globale, così non sempre è facile anche per l‟interessato isolare le componenti
problematiche che hanno contribuito ad abbassare il livello qualitativo del servizio;
6. qualità relativa (dal punto di vista del concorrente): l‟impresa deve comprendere
quale livello qualitativo offre, e paragonarlo con quello dei concorrenti. Per fare ciò
deve intraprendere una strategia di differenziazione basata sulla qualità: utilizzare la
leva della qualità al fine di differenziarsi rispetto a un prodotto non standardizzato
(premettendo che ormai si differenziano anche i prodotti standardizzati). Occorre
ribadire che gli spazi per differenziarsi sulla qualità sono piuttosto limitati; esempi di
ambiti qualitativi nei servizi sono la comunicazione e la definizione della medesima
qualità. Per fare ciò si deve lavorare sugli elementi tangibili, sul personale di contatto,
sui servizi accessori, per i quali i consumatori risultano molto sensibili.
Le dimensioni della qualità sono le seguenti:
cliente
impresa
concorrente
qualità
prevista/attesa qualità percepita
qualità
programmata
qualità
comunicata qualità prodotta
qualità relativa
coerenza
coerenza coerenza
coerenza
Tali dimensioni si incrociano: assumono un valore diverso, in base alle relazioni esistenti con gli
altri tipi di qualità. La qualità percepita è diversa alla qualità prodotta, infatti sono valutate
entrambe in base a parametri che derivano da due punti di vista profondamente diversi (quello
dell‟impresa e quello del cliente), ad es. quando il consumatore non è in grado di valutare
l‟intangibilità del servizio (le qualità tecniche dello stesso). In realtà ciò può accadere anche
nel caso del prodotto, anche se è meno evidente; infatti il caso tipico è quel servizio ad alto
contenuto di specializzazione come ad es. prestazioni mediche, commercialistiche → l‟impresa
non riesce a comunicare la qualità perché non si mette nei panni del cliente, il quale non è in
grado di comprendere tale qualità.
Soddisfazione del cliente = la soddisfazione del cliente e la sua misurazione richiedono la
chiarezza rispetto alla definizione di qualità, che è difficile da valutare: i punti di riferimento
in base al quale si valuta e si misura la qualità:
il punto di vista del cliente;
il punto di vista dell‟impresa;
il punto di vista del concorrente.
La dimensione della qualità più interessante è quella del punto di vista del cliente, quindi:
la qualità prevista/attesa;
la qualità percepita.
L‟impresa può agire sì sulla percezione del cliente grazie all‟azione diretta tra qualità prodotta
e qualità percepita (nel caso di un prodotto tangibile, ma nel caso dei servizi tale relazione è
meno forte → dissociazione tra qualità prodotta e percepita:in caso di servizio. Tale
dissociazione aumenta all‟aumentare dei fattori intangibili costituenti il servizio in base al
grado di intangibilità dell’output,il quale può essere:
alto: nel caso di consulenze → servizio ad alto contenuto di personalizzazione;
basso: nel caso del turismo.
L‟impresa può inoltre agire sulle aspettative del cliente (sulla qualità percepita), attraverso la
qualità comunicata (con la comunicazione). Attenzione!: l‟impresa non può creare aspettative
troppo elevate; il cliente rimarrebbe insoddisfatto se il confronto tra qualità percepita e
qualità prodotta fosse negativo. L‟impresa deve intervenire ex ante.
Strumenti per la gestione della soddisfazione del cliente
Obiettivo: incidere sulle dimensioni della qualità dal punto di vista dell‟impresa al fine di
soddisfare il cliente in termini di confronto tra qualità prevista e qualità percepita (circolo
virtuoso). Gli strumenti per l‟aumento della soddisfazione del cliente sono i seguenti:
gestione dei reclami: strumento più semplice;
elaborazione di questionari: strumento più complesso.
Gestione dei reclami = raccogliere i reclami (in fase ex post) posti dai clienti insoddisfatti
→ il cliente dà un‟opportunità all‟impresa dandole la possibilità di rimediare. Si registra già
l‟insoddisfazione del cliente e le sue motivazioni.
Questionari = misurano la qualità percepita dal cliente.
Procedimento di miglioramento continuo = riguarda il servizio e viene attuato ascoltando il
cliente. La gestione del reclamo serve per isolare il cliente insoddisfatto al fine di tentare il
recupero del rapporto. E‟ un compito del personale di contatto, il quale deve fare in modo di
continuare il normale rapporto con altri clienti. Il reclamo, in particolare rappresenta
l‟emersione di un problema, aspetto che per il cliente ha valore e che magari l‟impresa ha
sottovalutato. A volte (dal punto di vista dell‟impresa), quando il cliente non dice nulla, si pensa
automaticamente che sia soddisfatto: non è così! Il personale di contatto deve essere
confronto tra aspettative
e percezioni del cliente
si affiancano e si
completano
formato al fine di stimolare i reclami → logica costruttiva del reclamo. Il reclamo
rappresenta il campanello d‟allarme: l‟azienda per la sua gestione deve sostenere una strategia
→ approccio non burocratico, anzi meglio perseguire un approccio gestionale, nel quale a sua
volta può essere insito un approccio personalistico. Quest‟ultimo può nascondere una cattiva
gestione, raccogliendo sì l‟opinione del cliente, ma senza tenerne in considerazione, quindi
senza un effettivo intervento.
Il punto di raccolta dei reclami, solitamente, se esiste, non è ben visibile, sempre a causa di
una logica di gestione paternalistica. Il reclamo dovrebbe servire per un‟effettiva
riorganizzazione, e il cliente deve percepirla. Tutto il personale di contatto deve essere
adeguatamente formato, in tal senso, e non solo il personale atto a raccogliere il reclamo.
Procedure per la gestione del reclamo
Il personale di contatto deve avere una certa autonomia nell‟applicazione delle procedure
(cosa dire e a chi indirizzare il reclamo): la standardizzazione va bene, ma non deve essere
eccessiva, infatti occorre trovare un equilibrio tra:
procedure di standardizzazione ↔ personalizzazione
Raccolta informazioni = vengono raccolte al fine di valorizzare la personalizzazione. Tale
informazione deve dar luogo ad azioni correttive nel sistema di gestione. Il cliente deve
percepire tali correzioni, infatti nei servizi si presenta tale situazione:
consumatore = produttore → prosumer.
Le azioni correttive devono essere intraprese tempestivamente in modo che il cliente
percepisca che il suo reclamo abbia avuto successo: il tempo che il cliente dà all‟impresa di
intervenire è piuttosto limitato. Dopodiché i reclami devono essere sottoposti a monitoraggio:
l‟impresa può dare rilievo al fatto che al suo interno sia previsto un sistema di raccolta dei
reclami: ovviamente ciò non basta, occorre comunicare al cliente che prende pure visione,
intraprendendo eventuali azioni correttive, secondo un principio di trasparenza → strategia
comunicazionale con il fine di rassicurare il cliente.
La gestione del reclamo non è soddisfacente nelle imprese, è più tipico delle PA (anche se in
realtà anche nelle PA non serve a molto). Il cliente ci mette anche del suo nel non
funzionamento di tale pratica, infatti considera il reclamo come una mera perdita di tempo →
logica prettamente paternalistica, derivante da un problema culturale che impedisce di
innescare processi di miglioramento continuo.
Per quanto riguarda il monitoraggio statistico viene utilizzata la legge di Pareto così da
individuare le ragioni dei reclami più frequenti. Secondo il diagramma di Pareto, pochi
individui detengono la ricchezza. Wran, studioso di management della qualità, sostiene che
l‟80% degli effetti, sia determinato da un numero ristretto di cause (20%) → legge 80/20: la
per intervenire sui
grandi numeri
il cliente deve uscire soddisfatto
dall‟operazione di raccolta del suo
reclamo
maggior parte dei problemi è indotta da pochi fattori. Quindi è possibile gestire ogni reclamo
non come unico, ma cercarlo di classificarlo all‟interno delle principali cause di
insoddisfazione dei clienti. In tal modo i reclami possono essere gestiti facilmente.
Curva di Lorenz = incidenza cumulata di un dato fenomeno ordinata in modo decrescente →
grafico che serve a individuare i principali fattori determinanti l‟insoddisfazione del cliente, i
quali attengono ai reclami più spesso presentati.
Il diagramma di Pareto rappresenta i reclami più ricorrenti individuandone le cause principali,
al fine di poter intervenire su di esse. Si tratta di uno strumento quantitativo (quante volte
viene presentato un reclamo), senza dare alcuna indicazione qualitativa, quindi senza
un‟opportuna classificazione. Da un certo punto di vista ciò è una cosa positiva: l‟impresa non
può permettersi di sottovalutare un determinato reclamo perché lo considera poco
importante. Infatti quello che pare poco importante per l‟impresa, magari risulta molto
importante per il cliente. Quindi il diagramma di Pareto è utile perché si mette nei panni del
cliente e permette di individuare quanto pesa un certo elemento d‟insoddisfazione. Ma quanto
vale un elemento di insoddisfazione? Di solito quanto il costo per correggere una certa
situazione, considerando quanto costerebbe non intervenire affatto. Quindi occorre
confrontare:
costo della
correzione
=
si può facilmente
calcolare
costo della non correzione
=
Occorre effettuare una stima in
base all‟effetto della non
correzione e in base alla gravita
dell‟elemento di insoddisfazione
del cliente
Valutazione dei consumatori attraverso dei questionari
I questionari sono strumenti diversi dagli indicatori di qualità, ma sono utili a valutare, più
che altro, la qualità prodotta, più che la qualità percepita. Gli esempi possono riguardare:
il numero di reclami (che dipende dalla loro gestione) → qualità percepita;
il numero di certificazioni del prodotto o dell‟impresa → qualità prodotta (la rincorsa
alle certificazioni, comunque, non è sempre positiva);
il numero di resi per difetti e/o invenduti;
il numero di nuovi clienti e il numero di clienti fedeli;
le analisi di benchmarketing: confronto con i concorrenti migliori, anche se in tal caso
risulta difficoltoso trovare i dati.
Gli indicatori rappresentano un sistema di controllo interno dell‟impresa: è utile anche
comunicarne qualcuno ai propri clienti come campagna di marketing.
I questionari sono strumenti utili per la valutazione della soddisfazione, ma per porli
l‟organizzazione deve prevedere un‟impostazione culturale orientata al cambiamento. Il
questionario è composto da domande atte a misurare la soddisfazione (o l‟insoddisfazione),
motivandone anche le cause. Inoltre il questionario è anche uno strumento per comunicare con
il cliente → canale di comunicazione con il cliente. Le figure principali per tale operazione di
rilevazione:
il cliente, che equivale all‟intervistato;
l‟intervistatore;
il decisore (di solito un manager);
il ricercatore.
I questionari vengono somministrati dagli intervistatori e rappresentano un supporto tecnico
al fine di raccogliere informazioni dai clienti. Può accadere anche che l‟intervistatore non sia
presente all‟operazione → questionario auto compilato dall’intervistato. L‟intervistatore può
esistere in un‟azienda di servizi quando vi è il contatto diretto con il cliente, ma ciò comporta
dei costi (l‟intervistatore comporta dei costi). E‟ meglio sostenere tali costi, al fine di
reclutare un intervistatore, nel caso che l‟azienda abbia necessità di maggiori informazioni
che non si possano standardizzare (ma che siano personalizzate). E‟ pur vero che a tal punto
subentra un ulteriore problema: come scegliere l‟intervistatore? La risposta a tale quesito è
sceglierlo ad es. tra il personale interno: in tal caso la conoscenza pregressa dell‟azienda può
influenzare l‟interpretazione della risposta del cliente, il quale, inoltre potrebbe sentirsi non a
suo agio nel rispondere con franchezza a un dipendente/collaboratore aziendale.
Il questionario serve per risolvere un problema gestionale; nel caso che il cliente sia
rappresentato da un‟impresa, si può evitare di utilizzare la figura professionale
dell‟intervistatore, la quale potrebbe provocare diffidenza, ma piuttosto si può fare ricorso al
questionario. In tal caso poteva risultare difficile conoscere la soddisfazione del cliente
finale (che è il cliente del cliente-impresa), anche perché risultava molto costoso.
Attualmente, grazie a internet, però, è più facile raggiungere tali consumatori mediante
strumenti semplici ed estremamente personalizzabili, riuscendo a scavalcare il cliente-impresa
intermediario. Problema culturale reciproco:
il cliente deve avere la percezione di essere ascoltato, e che ciò influenzi
l‟organizzazione dell‟impresa;
l‟impresa deve reputare attendibile l‟opinione del cliente e deve tenerne conto,
intervenendo sull‟organizzazione.
La caratteristica dei questionari è quella di essere standardizzati → conseguenza: anche le
risposte saranno standardizzate (visto che la maggior parte delle domande saranno domande
chiuse, completate da alcune aperte). Quindi occorre una mediazione tra:
standardizzazione (la maggior parte) ↔ personalizzazione (alcuni spazi liberi)
I punti salienti per elaborare un buon questionario sono:
stabilire le informazioni necessarie: come impostare le domande, le quali non devono
essere troppe, ma occorre la sicurezza di riuscire a ottenere le informazioni
necessarie a fare emergere/risolvere il problema;
determinare la tipologia dei quesiti: interviste dirette, indirette, ecc.;
determinare il tipo di domande: aperte, chiuse;
sperimentare il questionario su un campione (prima di avviare l‟indagine);
scegliere se far redigere il questionario in modo anonimo, in modo da poter lasciare al
cliente l‟opportunità di dire quello che crede senza essere riconosciuto (soprattutto
nel caso di intervista diretta);
scegliere il momento di somministrazione del questionario, se durante il servizio,
immediatamente dopo, un po‟ di tempo dopo. Occorre considerare che durante il
servizio il cliente non può avere una visione globale, ma solo di alcuni aspetti specifici,
mentre alla fine è più obiettivo sulla globalità → il giudizio può cambiare a seconda che
il questionario venga somministrato poco tempo dopo o in un momento successivo: la
valutazione più lontana è dall‟erogazione del servizio, e più attenuata è per quanto
riguarda gli aspetti di dettaglio. Tuttavia, in alcuni casi, subito dopo la fruizione, il
cliente non è in grado di fornire una valutazione in modo adeguato, ossia molti servizi
richiedono più tempo per essere valutati: è il caso dei servizi finanziari, dei servizi
formativi, dei servizi sanitari con un elevato contenuto intangibile (VA) e per il quale è
necessario del tempo al fine di valutarne gli effetti → le risposte attendibili dipendono
anche dal tempo di somministrazione del questionario.
Esistono due tecniche per costruire un quesito in grado di valutare la soddisfazione del
cliente:
1. tecnica del gap: divario tra ciò che il cliente considera importante e ciò che il cliente
percepisce (in termini di soddisfazione nei confronti di un determinato fattore) →
livello d‟importanza che quell‟aspetto ha per il cliente, e se tale esigenza venga
soddisfatta o meno;
2. tecnica di regressione statistica: usata in merito alla soddisfazione complessiva del
servizio globale e contemporaneamente su specifici aspetti → mira a valutare la
soddisfazione la soddisfazione complessiva, cercando poi le specifiche cause di
commenti elaborati secondo
un‟ottica personalizzata
Funzione del questionario = ricercare spazi di miglioramento all‟interno dell‟azienda, la
soddisfazione del cliente deve essere conseguita di conseguenza. Quindi, l‟obiettivo è quello di
individuare gli elementi critici (ossia quelli che non funzionano) e correggerli: per fare ciò è
opportuno utilizzare la tecnica della regressione (per comprendere il grado di soddisfazione
generale, più nei particolari capire quali attributi creino insoddisfazione).
Confronto: aspettative generali rispetto a quell‟attributo, in pratica quanto il cliente viene
soddisfatto nell‟ambito di un determinato attributo offerto dall‟impresa → il cliente, tramite
le sue risposte, fornisce un‟idea di impresa eccellente.
Modello Servqual
Modello Servqual = modello di rilevazione fatto tramite questionari al fine di valutare la
qualità dei servizi. Si compone di due parti:
1. l‟importanza che il cliente dà a certi aspetti (22 domande);
2. la rilevazione della percezione del cliente nei confronti dell‟impresa (22 domande).
Tale modello risponde alla logica della tecnica del gap. Le aspettative e le percezioni vengono
valutate rispetto a 5 dimensioni (le aspettative/percezioni servono a valutare il grado di
soddisfazione del cliente/la qualità dell‟azienda di servizi): 4 dimensioni su 5 si occupano delle
capacità del personale di contatto al fine di soddisfare il cliente. Tali capacità sono:
1. affidabilità;
2. capacità di risposta;
3. capacità di rassicurazione;
4. empatia.
A questi fattori occorre aggiungere anche gli aspetti tangibili, i quali vengono valutati
facilmente dal cliente.
La misurazione viene fatta attraverso una scala che va da 1 a 7 → occorre capire il gap tra
ciò che si aspettava il cliente, rispetto a cosa egli ha effettivamente ricevuto. Maggiore è la
differenza tra le due dimensioni, e peggiore sarà la soddisfazione del cliente.
Aspetti tangibili: le domande da porre sono semplici da formulare e devono far risaltare la
valutazione rispetto a quella che sarebbe un‟impresa eccellente per il cliente (idea che il
cliente ha sulla stessa → punto di vista del cliente).
Si pongono delle domande sugli aspetti tangibili che siano molto semplici, al fine di cogliere la
funzionalità e la piacevolezza di tali aspetti, prima per quanto riguarda l‟idea di impresa
eccellente, e poi per l‟impresa in questione.
Tutte queste tecniche che mettono al centro le aspettative del
cliente sono utili, ma può anche capitare che il medesimo
consumatore abbia delle attese irrealistiche/irrealizzabili, a
causa del fatto di non conoscere i processi di
costruzione/produzione/erogazione del servizio.
Capacità di risposta: le domande per misurare le capacità del personale di contatto, di
risposta a tutte le esigenze dei clienti (prima sull‟impresa eccellente e poi sull‟impresa che si
sta analizzando) hanno lo scopo di individuare gli aspetti legati alle relazioni tra il personale di
contatto e il cliente durante la fase di erogazione del servizio.
Empatia: tema caro al marketing dei servizi; l‟impresa deve saper creare una relazione con il
cliente che dovrebbe perdurare nel tempo. Quindi le domande vogliono verificare se il
personale di contatto sia in grado di creare una relazione personalizzata cogliendo le esigenze
specifiche del cliente. Tali domande sono importanti quando le competenze risultano elevate e
gli asset tangibili siano poco importanti (ossia quando la componente intangibile risulti molto
elevata).
Nonostante tutto il modello Servqual risulta molto superficiale perché punta scarsamente alla
soddisfazione, e perché non si occupa molto della relazione tra personale di contatto e
cliente, e quindi senza verificare che il primo sia effettivamente in grado di soddisfare le
esigenze del secondo (pag. 279-280 “Marketing dei Servizi”).
Ma l‟aspetto relazionale cambia a seconda che il cliente sia abituale o meno, o anche in base
alla segmentazione della clientela (clientela d‟affari o clientela leisure). Di solito viene rilevato
solo il contatto (e non la relazione) perché anche da parte dell‟impresa viene dato un peso
eccessivo agli aspetti tangibili (i quali sono valutati facilmente dal cliente).
Notorietà del marchio = quanto pesa sulla valutazione, rispetto agli elementi relazionali, (=
quanto è importante nella relazione impresa-impresa e impresa-cliente la notorietà del
marchio; magari si potrebbe dare più importanza alla reputazione (≠ immagine: se vi una buona
reputazione, vi è anche una buona immagine, ma non è vero il contrario!).
Marketing relazionale = a seguito della crisi del marketing tradizionale nasce il marketing
relazionale. La crisi è derivata da:
1. come si è evoluto il concetto di marketing nel corso del tempo. Anni ‟80: il marketing
era un processo di pianificazione e di realizzazione delle attività di concepimento,
attribuzione del prezzo, promozione e distribuzione di idee, beni e servizi destinati a
creare scambio, allo scopo di soddisfare gli obiettivi degli individui e delle
organizzazioni (1985) → 4 p del marketing mix.
Scambio = nel marketing relazionale questo rappresenta un concetto riduttivo, in cui si
sottolinea la relazione tra gli attori protagonisti dello stesso (scambio che è stato
rifiutato da alcuni autori come fulcro del marketing);
2. come concetto di valore, la definizione di marketing rappresenta la creazione di valore
basata sulla relazione: in tale situazione si nominano gli stakeholder (2004). Creare
valore e gestire la relazione è finalizzato al cliente, ma si guarda anche agli altri
stakeholder (= portatori di interesse) → il marketing non ha più come riferimento il
cliente, ma tutti gli stakeholder al fine di creare valore nei confronti di tali soggetti
(estendendo il proprio ambito di applicazione). In questo caso occorre stabilire come il
marketing relazionale abbia influenzato quello tradizionale.
La logica delle 4 p non era appropriata perché con essa si considerava il mercato come un dato
stabile (valutandolo solo dal lato dell‟offerta), senza considerare i mutamenti delle scelte del
cliente. Di fronte alla crisi si sviluppano due approcci:
a. ridefinizione della vecchia logica del marketing tradizionale, del marketing mix. Si
tratta di un‟innovazione, ma comunque si replica la vecchia logica;
b. sviluppo di nuovi approcci → marketing relazionale.
Un esempio di ridefinizione di marketing è il megamarketing di Kotler, per riportare sotto il
controllo del marketing tutti i comportamenti del cliente → ogni azione con la quale l‟azienda
cerca di soddisfare i bisogni, è sotto pertinenza del marketing. Altri autori hanno aggiunto
delle p alle 4 p (ad es. p di personale, o p di partecipazione del cliente), mentre altri hanno
stabilito altri acronimi. Tutto ciò al fine di valorizzare la domanda: un esempio sono le 4 c di
Kotler: 1) customer value (= product);
2) customer costs (= price);
3) customer convenience (= distribuzione);
4) customer comunication (= promotion).
Marketing relazionale: definizioni: punto di equilibrio tra domanda e offerta, riconoscendo
che il mercato è instabile. Così:
approccio dell‟impresa nei confronti del mercato basato sulle relazioni sviluppato negli
anni ‟90 (anni in cui è avvenuta la globalizzazione), valorizzando l‟aspetto relazionale;
nel 2004 si inserisce nella definizione di marketing in generale il concetto di relazione
con gli stakeholder (in realtà il concetto di relazione a lungo termine con gruppi di
interesse esisteva già nel 1979);
nella logica internazionale si parla di network di relazioni di lungo termine;
il marketing relazionale incompatibile con la logica di marketing mix (secondo alcuni
autori).
tutte le vecchie 4 leve del marketing
mix, ma viste dal punto di vista del
cliente/della domanda (la vecchia
logica prendeva in considerazione
solo l‟offerta).
Bidirezionalità delle relazioni = si tratta di relazioni di reciproca influenza tra domanda e
offerta. Si fa in modo che l‟offerta comprenda le esigenze della domanda → relazione con un
certo contributo sociale: l‟essere umano ha il bisogno di relazionarsi. Il marketing relazionale
ha un approccio di medio/lungo termine (con convenienza economica di medio/lungo termine
derivante da forti investimenti). La logica del breve termine (spesso troppo utilizzata per
rispondere a esigenze del mercato finanziario) non è soddisfacente per creare una buona
relazione col cliente, ma è necessario tempo (per il ritorno degli investimenti).
Mass marketing = marketing di massa al fine di intraprendere una strategia di marketing
adeguata a tutta la clientela. Caratteristiche:
i consumatori sono tra di loro sostituibili;
i consumatori non hanno esigenze differenziali;
i consumatori hanno basso potere contrattuale.
Attualmente la logica, naturalmente, non è più concepita secondo il mass marketing, per il
quale ogni consumatore è uguale all‟altro, viene offerto un prodotto di massa in tutti i paesi
(anche a livello internazionale). Il mass marketing, ultimamente è stato sostituito dalla mass
customization (= personalizzazione di massa). Quest‟ultima, però, è considerata un ossimoro
poiché è inconcepibile. Ma i sostenitori di tale filosofia vedono conciliabili i volumi di vendita
con la personalizzazione di massa, in cui prevalgono due obiettivi:
i volumi;
la personalizzazione del prodotto/servizio.
Il valore per il cliente si basa su relazioni di lungo periodo basate sulla fiducia, favorendo al
massimo la partecipazione del cliente, anche in fase di progettazione dell‟output. La fedeltà
del cliente è conseguenza dei fatti elencati in precedenza → la scelta non deriva dalla massa,
ma da una decisione consapevole. Allora: per rendere stabile un mondo instabile, è necessario
identificare le differenze tra le fedeltà del cliente rispetto a tale approccio, e quelle riferite
al marketing tradizionale: in quest‟ultimo il prodotto e il brand si sostituiscono → il cliente va
a cercare il brand e non più il prodotto (strategia di top of mind), considerando in tal caso
che, spesso, il cliente è infedele. Mentre nella logica del marketing relazionale si punta alla
fidelizzazione, cercando un rapporto relazionale con il cliente → la fedeltà del cliente è più
stabile.
Le ragioni della crisi del marketing tradizionale → instabilità del contesto, in cui opera
l‟impresa: per tale soggetto cadono tutte le certezze, ed essa deve operare adottando logiche
diverse. Vi è un‟altra ragione: la segmentazione della cliente è sempre più difficile (i segmenti
sono omogenei dal punto di vista dei consumi: è opportuno segmentare sulla base di alcune
variabili considerate dall‟impresa rilevanti al fine di determinare i comportamenti d‟acquisto)
→ comportamenti differenziati anche all‟interno di uno stesso segmento.
Attualmente il problema è la gestione della relazione con il cliente e con tutti gli
stakeholder → occorre creare delle relazioni che creino in sé e per sé valore per il cliente,
indipendentemente dal valore del prodotto/servizio che consuma.
Bene relazionale = parte di valore data a un bene/servizio che dipende dalla relazione (=
contenuto relazionale). Lo stesso bene che viene consumato nell‟ambito di una relazione ha un
valore più alto per il cliente rispetto al medesimo prodotto a basso contenuto relazionale,
nonostante il raggiungimento dell‟obiettivo aziendale (la stabilità).
Mass customization = disciplina inserita spesso all‟interno del marketing relazionale, anche se
ciò non è preciso, perché in realtà le due materie hanno dei termini di contatto sì, ma sono
comunque diverse. La mass customization rappresenta la personalizzazione di massa che si
sviluppa a fronte del declino di marketing. Caratteristiche:
cliente più esigente;
concorrenza più aggressiva.
La standardizzazione del prodotto non è più una strategia vincente (lo era quando la
concorrenza si giocava sulla leva del prezzo). La mass customization, quindi, nasce per far
fronte a due esigenze:
1. mantenere alti i fatturati → mercati di massa;
2. personalizzare i beni/servizi: più che di personalizzare si tratta di adattare il
prodotto/servizio a esigenze sempre più specifiche del cliente.
Occorre considerare che:
personalizzazione ≠ differenziazione.
Bisogna mantenere alti i fatturati per lavorare sui costi e ottenere così economie di scala.
Marketing one-to-one = valorizza il peso del cliente dal punto di vista dell‟impresa. L‟impresa
studia bene i suoi clienti e valorizza la relazione con questi vendendo loro di più → stabilità =
meglio pochi clienti a cui l‟impresa vende di più. Sono necessarie due operazioni per fare ciò:
up selling: vendere quantità maggiori di prodotti/servizi al medesimo cliente → azioni
di marketing operativo che supportano le strategie di costo (= economie di esperienza,
intraprese grazie alla conoscenza del cliente);
cross selling: vendere altre tipologie di prodotti al medesimo cliente → azioni di
marketing operativo che supportano una strategia di diversificazione correlata
lavorando in diversi business e realizzando diversi prodotti (= economie di scopo +
economie di esperienza, si sfrutta il vantaggio del brand).
Non si ragiona in termini di numero di clienti, ma al massimo in termini di clienti fedeli
(quando l‟impresa genera fatturati stabili nel tempo).
Il marketing one-to-one è una tecnica di marketing operativo che rientra nella mass
customization. Le modalità di personalizzazione sono:
1) personalizzazione del prodotto: in origine, al momento della sua progettazione. Il
cliente sta partecipando alla progettazione e allo sviluppo del prodotto che abbia un
il prodotto standardizzato non
risulta più adeguato.
dal punto di vista del cliente: domanda
prodotti/servizi rispondenti alle sue
esigenze più specifiche del cliente
dal punto di vista dell‟impresa:
l‟impresa si differenzia rispetto
agli altri concorrenti
grado di variabilità nella fase di progettazione e sviluppo (ad es. nel caso dell‟abito da
sposa);
2) personalizzazione di consumo: al momento dell‟incontro col cliente. Si tratta del
mondo dei servizi, soprattutto nell‟ambito della distribuzione riguardante un mero
scambio di beni tangibili (ad es. nel caso degli occhiali da vista);
3) produzione modulare: il prodotto è costituito da vari moduli, il cliente finale decide il
prodotto finale componendo i vari moduli a suo piacimento. L‟impresa deve essere brava
a costruire tutti i moduli in modo che siano componibili l‟uno con l‟altro (ad es. nel caso
della vendita di automobili e degli arredi);
4) abbreviazione dei tempi di risposta: lavorando sulla catena del valore. Si
standardizza tutto ciò che riguarda il processo produttivo, e poi si personalizza alla
richiesta del distributore → è un tipo di personalizzazione che il cliente percepisce
meno (è più una logica organizzativa).
Mass marketing: Mass customization:
logica produttiva di massa; logica produttiva della
produzione flessibile, con
competenze legate alla
flessibilità;
stabilimenti/impianti di grandi
dimensioni;
imprese di piccole dimensioni;
consumatore passivo e
massificato (un cliente è uguale
all‟altro);
cliente più attivo che
interagisce con l‟impresa;
→ volumi che consentono di
realizzare economie di scala
avvalendosi di imprese di grandi
dimensioni.
→ risposta a un‟evoluzione delle
dinamiche di produzione e delle
esigenze del cliente ↓
marketing interattivo = non si
parla di relazione, ma di
interazione: può anche
sussistere una relazione, ma non
è detto che ci sia.
La mass customization sostituisce il mass marketing rispondendo a un mercato massificato, e
contemporaneamente sempre più caratterizzato da esigenze specifiche dei clienti. Si sviluppa
grazie alle opportunità dell‟informatica, la quale consente di raccogliere dati immensi sui
clienti → raccolta dati sui clienti (ad es. grazie il codice a barre): le imprese di distribuzione
sono fonti di dati enormi riguardanti il cliente. Tale aspetto permette di ribaltare il potere
contrattuale tra distributore (appunto detentori di innumerevoli informazioni preziose sui
clienti finali) e produttore. Al fine di relazionare la mass customization con il marketing
relazionale, occorre fare una premessa: entrambi si sono sviluppati come reazione al declino
del mass marketing, ma le differenze tra i due sono sintetizzate nella seguente tabella:
mass customization:
si tratta di una logica di lungo termine del mass
marketing. In pratica si aumentano i volumi di
vendita, ma senza che sia necessaria una vera e
propria relazione con il consumatore: basta una
semplice interazione con il medesimo. Lo
strumento mediante il quale la mass customization
si sviluppa è l‟informatica → strategia di
marketing operativo che consente al cliente di
interagire con l‟impresa al fine di ottenere un
prodotto/servizio standardizzato. Quando la
logica è di massa diventa difficile parlare di
relazione, infatti si tratta semplicemente di
un‟evoluzione del mass marketing.
marketing relazionale:
implica una vera e propria relazione. Logica:
creare una relazione di lungo termine con il
cliente che porta a dei determinati vantaggi
(come ad es. nel caso dei servizi finanziari). I
volumi di vendita (la stabilità della domanda)
giungono in conseguenza della fidelizzazione del
cliente (implementando un certo tipo di relazione).
Marketing one-to-one = per intraprenderlo
l‟impresa deve avere le informazioni necessarie
sui clienti, scegliendo quelle migliori. Anche in tal
caso si ragiona sempre su una logica legata ai
volumi, quindi si rientra nella mass customization.
Ruolo dell‟IT
L‟evoluzione del comparto informatico e tecnologico ha comportato una vera e propria
rivoluzione economica.
Social media = comunità virtuali, strumenti di interazione con il cliente per acquisire in modo
semplice e rapido delle preziose informazioni → comunicazioni sociali/pubbliche condivise nel
web.
Le logiche di segmentazione del consumatore, a fronte dell‟evoluzione in corso, vanno
integrate e segmentate anche per età. E‟ vero che i modelli di consumo cambiano, quindi è
necessario individuare modalità di segmentazione che tengano conto di tali cambiamenti. Così
il marketing si ritrova a dover abbandonare l‟idea che il consumatore non agisca come soggetto
razionale, e quindi, avvalendosi di razionalità economica, effettua un calcolo (economico),
considerando che il cliente decida secondo una logica di bisogno, di acquisto e di beneficio.
Infatti, ragionare secondo una logica razionale significa tradurre il bisogno in un
comportamento di acquisto e consumo che produce un beneficio, il quale viene calcolato
scrupolosamente in maniera razionale, secondo un semplice calcolo economico. In realtà, però,
il consumatore non decide solo razionalmente, infatti lo stesso imprenditore sceglie di farsi
approvvigionare da terzi, anche solo per il fatto di instaurare delle relazioni di fiducia con
delle persone, prima di effettuare un calcolo per evidenziare la convenienza economia nel
rivolgersi a uno, o piuttosto a un altro soggetto.
In economia si abbandona l‟idea che il consumatore si comporti sempre come un soggetto
razionale, ma semmai si prende in considerazione che si comporti anche in maniera razionale.
Ciò significa che non sempre il consumatore prenda le sue decisioni sulla base di calcoli di
razionalità economica (la quale si esplica in calcoli economici per vedere cosa gli convenga di
più), ma le sue valutazioni sfociano anche in comportamenti irrazionali, senza che si tratti di
follia o casualità. Il consumatore non decide solo sulla base di mera razionalità economica, così
come l‟imprenditore non sceglie se produrre all‟interno o di acquistare all‟esterno solo sulla
base dei costi di transazione. Considerare che il soggetto decida solo alla base di meri calcoli
di razionalità economica è riduttivo per molti economisti: anche il marketing comincia a tenere
in considerazione ciò, infatti il cliente non è considerato un soggetto economico, ma un attore
sociale che agisce in un contesto sociale. Per un certo periodo la componente economica e
quella sociale erano considerate completamente diverse, e addirittura risultavano tra loro in
conflitto. Mentre, attualmente, si pensa possibile comunque mantenere distinti i due
comportamenti, sia se intrapresi da un soggetto, sia se intrapresi dall‟impresa. Il
comportamento del soggetto sociale è tenuto separato, quindi, dal suo comportamento come
soggetto economico. Importante!: ogni atto economico rappresenta un atto nel quale i soggetti
si scambiano valore, esprimendolo nella relazione tra gli stessi; se questo non creasse valore, il
comportamento economico non avrebbe ragione di esistere. La dimensione sociale si limita ad
aggiungersi, arricchendo così la dimensione economica. In questa nuova concezione del
consumatore come soggetto sociale, e non solo come mero soggetto che pone in atto relazioni
di tipo economico, sta la concezione atomistica del cliente al riconoscimento dello stesso, per
cui il medesimo mercato è il luogo in cui interagiscono più soggetti, i quali esprimono esigenze
autonome e differenziate tra loro. Quindi, il concepire il cliente, non solo come soggetto
economico, ma anche come un soggetto sociale, significa riconoscere che la persona, in quanto
tale, durante tutte le sue attività si relaziona con altri soggetti, facendolo sempre in modo
originale e non standardizzato. Invece, in ambito di mercato concepito in modo atomistico, i
clienti sono considerati come sostituibili tra loro, e quindi uguali, e hanno un limitato potere
contrattuale. Con essi l‟impresa sviluppa rapporti di brevissimo termine e le relazioni cliente-
impresa di lungo termine sono considerate eccezionali → marketing di massa: si produce un
prodotto standardizzato su un mercato globale, quindi di massa, in cui piazzare lo stesso.
Caratteristiche del nuovo approccio (concezione atomistica del cliente):
il consumatore non considerato un soggetto economico, ma un attore sociale;
presenza di una molteplicità di soggetti che esprimono una pluralità di visioni e di
esigenze in modo autonomo e differenziato;
vi è un fenomeno denominato cross fertilization, ossia l‟integrazione con altre
discipline quali la psicologia e la sociologia, per cui il consumo rappresenta un momento
della vita quotidiana, influenzato da fattori psicologici e sociali, quindi come già
menzionato, non solo come un mero atto economico.
Prima il marketing doveva occuparsi solo dell‟ambito economico, mentre adesso deve occuparsi
anche di quello sociale. In precedenza, infatti venivano separati in due gli ambiti, basandosi
esclusivamente su leggi matematiche; attualmente si considerano i due settori come
relazionati, ma la relazione è unidirezionale. Infatti l‟ambito economico è quella parte di
mondo per cui si svolgono dei determinati atti al fine di creare valore, mentre l‟ambito sociale
è quello riguardante la relazione tra soggetti economici, e contiene l‟aspetto economico. Ne
deriva che quando viene utilizzato l‟aggettivo “socio-economico” si intende proprio questo.
Il marketing si avvale di psicologi per comprendere il comportamento di acquisto e di consumo
del consumatore. La psicologia fornisce un contributo importante in relazione alle motivazioni
che guidano nella scelta tra più alternative. Ancora si tenta di spiegare cosa fa scegliere un
prodotto piuttosto che un altro e l‟eventuale motivazione atta a individuare una relazione
causa-effetto di un‟azione di marketing, la quale dovrebbe essere il più appropriata possibile:
si fa riferimento agli aspetti psicologici, non si considera l‟uomo come animale sociale, ma come
una persona con una sua psiche, cercando di convincerla nello scegliere il proprio prodotto,
piuttosto a quello dei concorrenti. In tal caso si considera che non intervenga molto la
razionalità economica, per questo motivo è utile chiedere aiuto alla psicologia. Infatti, visto
che è saltata la concezione secondo cui tutti i clienti sono uguali, si prende in considerazione
l‟idea di studiare il comportamento del consumatore dal punto di vista psicologico. Rischio: non
essere più in grado di segmentare in maniera opportuna, addirittura facendo riferimento in
modo rigido alla disciplina psicologica, si rischia di non concepire nemmeno più il mercato di
massa, cosicché una sua segmentazione diviene molto difficile, e si mette, così, pure a rischio
la possibilità di standardizzare. L‟ottica da preferire, dal punto di vista del marketing, è quella
secondo cui è utile accettare il contributo derivante dalla psicologia, ma non in modo troppo
rigido, quindi tentare una segmentazione adottando variabili diverse da quelle più tipiche e
tradizionali. Tali variabili psicologiche utili da tener presente durante la segmentazione del
mercato sono:
la motivazione: motivazione specifica del cliente nel consumare un certo tipo di
prodotto e la sua soddisfazione nel farlo;
la percezione: come il cliente percepisce il consumo del bene/servizio;
la memoria: tutto ciò che il cliente ricorda, rammentando che dal punto di vista
psicologico, i consumatori ricordano più facilmente gli eventi negativi, e la memoria
agisce, in generale, contro l‟impresa;
l‟attitudine: valutazione duratura e generale che il soggetto esprime rispetto a una
certa esperienza di consumo, ma anche valutazione generale in merito alla propria
soddisfazione;
l‟apprendimento: cambiamento permanente di un comportamento dovuto a
un‟esperienza vissuta;
la personalità: aspetto più complesso da valutare in termini di causa-effetto e di
standardizzazione; la personalità è unica! Tutti gli investimenti che l‟impresa fa in
termini di comprensione della stessa si traducono in estrema difficoltà nell‟individuare
cause-effetto, e quindi sorgono evidenti problemi nel segmentare. In generale si cerca
una standardizzazione non del prodotto, ma dei comportamenti a cui, nel seguito, si
assoceranno determinati prodotti.
In pratica si cerca di individuare dei gruppi di clienti omogenei dal punto di vista del
comportamento di consumo, ma non risulta facile individuarli ex ante. A tal riferimento si
possono usare delle variabili demografiche, economiche, ecc., per determinare dei segmenti
senza più utilizzare le vecchie variabili (considerando, però, che anche quelle più innovative
basate sulla disciplina psicologica, sono comunque labili). Ad es. si può segmentare in base alla
variabile attitudinale riferendosi a clienti abituati a seguire la moda, o al contrario, a persone
le quali non voglio appartenere, per nessuna ragione, ad alcun gruppo. In tutti i casi, comunque,
l‟impresa deve tenere conto degli stili di vita dei consumatori a cui essa si propone, al fine di
lanciare ai medesimi, gli opportuni messaggi comunicazionali, riguardanti ad es. il contesto
sociale, l‟ambiente, il design del prodotto, la novità, la moda del momento, il cambiamento
imminente, ecc..
Ricerche di marketing = vengono effettuate perche sono fonte di vantaggio competitivo
rispetto alla concorrenza. Per fare tali ricerche è indispensabile essere forniti di un sistema
informativo che permette di reperire dati e trasformarli in informazioni preziose.
Symphony IRI
E‟ un‟azienda di servizi informativi che reperisce informazioni:
quantitative;
continuative: l‟acquisizione dei dati è settimanale e il rilascio del database è mensile.
Retail tracking = è il principale prodotto di Symphony che ha rivoluzionato il sistema di
informazioni → codice a barre: ogni singolo prodotto ha un proprio codice a barre. Vi sono
dei prodotti con codici variabili, dipendenti dal peso; non si tratta di un codice unificato per
tutte le aziende, per tutti i prodotti, ecc. (come ad es. per i prodotti serviti nei banchi, e nelle
vaschette take away).
Servizio random weight = per attribuire al codice sconosciuto il tipo di prodotto e la relativa
marca al fine di evidenziare il potere di marca in riguardo alle categorie merceologiche di
appartenenza.
Sono 4 le dimensioni di cui occuparsi:
1. il prodotto;
2. il periodo (breve: la settimana; medio: il mese; lungo: l‟anno);
3. la geografia, ad es. segmentando il largo consumo in ipermercati, supermercati, liberi,
servizi piccoli, discount, tradizionali, specializzati;
4. le misure;
→ gerarchia delle banche dati: alla stessa categoria merceologica appartengono più
prodotti, quindi ogni prodotto dà luogo a banche dati differenti.
L‟indicatore principe resta comunque la quota di mercato; molto importanti risultano anche gli
indicatori di distribuzione (di frequenza) = distribuzione numerica. Ancora da prendere in
considerazione è la distribuzione ponderata.
Le vendite dipendono dai seguenti fattori:
posizionamento di prezzo;
azioni sul prezzo (magari temporanee): promozioni, tattiche sul prezzo;
assortimento sullo scaffale;
spazio sullo scaffale;
azioni di comunicazione;
azioni di fidelizzazione della clientela.
La crescita delle vendite deriva da:
vendite di base: forza del prodotto nella sua componente di base;
vendite incrementali: frutto delle attività di marketing di breve periodo.
Attualmente a causa della crisi la situazione è quella di avere delle vendite delle componenti di
base non brillanti, ma che vengono ampiamente compensate con ingenti vendite incrementali.
I dati che non possono essere forniti sono quelli per insegna: i distributori non devono
apparire nei database. Ma in alcuni casi ciò può essere previsto tramite accordi per politiche
di comunicazione del distributore: in Italia, però, tale situazione è rara purtroppo, il
distributore custodisce di solito alla segretezza delle proprie vendite.
Consumi fuori casa = categoria merceologica in cui un grossista vende ai propri clienti
tramite degli intermediari:
produttori nel F&B → intermediari (GDO) → canali → consumatori.
Symphony IRI si occupa pure di stampare dei volantini (= rappresentano i principali media dei
supermercati per espandere la pubblicità al di fuori del punto vendita).
Symphony IRI, inoltre, si occupa di raccogliere i dati direttamente all‟interno del punto
vendita, in pratica si occupa di elaborare le informazioni necessarie, tirandole fuori dai numeri
mediante un‟analisi accurata e un‟opportuna interpretazione dei dati, al fine di suggerire
eventuali modifiche dei business. In particolare è necessaria un particolare tipo di analisi
denominata analisi dello shopper: si tratta di analizzare il cliente durante l‟acquisto,
mediante interviste in loco (= intervista in store). Occorre tenere presente che la decisione
di acquisto viene presa:
al 50% non sul punto vendita (lista della spesa);
al 50% direttamente sul punto vendita.
Il consumatore sta mediamente 50 secondi davanti a uno scaffale per scegliere il prodotto →
logiche di marketing per scegliere il posizionamento del prodotto, ossia decidere come lo
stesso deve essere collocato nello scaffale → costruzione del planogramma da parte del
produttore, legato sulle performance del prodotto nel mercato (e non di quelle nel punto
vendita). Grazie al planogramma il produttore propone la sua idea di scaffalatura al
distributore.
Analisi what if = analisi che comprende cosa accade se…, effettuata in base al mutamento
del piano di comunicazione (e delle sue leve).
Cross fertilization = il marketing deve essere integrato con altre discipline (come la
psicologia e la sociologia).
La variabile psicologica ha la funzione di valorizzare alcune componenti della personalità nella
logica della domanda.
Il contributo della sociologia è molto importante perché parte dal presupposto che l‟uomo vive
in relazione con gli altri, quindi attraverso tali relazioni, si gratifica.
Gruppo di riferimento = per sottolineare l‟influenza esterna esercitata dal gruppo di
riferimento a cui l‟individuo vorrebbe appartenere (l‟uomo per sua natura vuole appartenere a
dei gruppi → l‟uomo è un animale sociale), per riconoscersi nel medesimo. Dalla socialità
dell‟uomo dipende il rapporto che l‟impresa ha con i suoi clienti e se vuole fidelizzarli o meno
(→ bisogno di relazionalità). La relazionalità/socialità crea valore → un bene vale di più, se
consumato nell‟ambito di una relazione, ma allora per valutare tale valore (e per aumentare il
fatturato):
se allo stesso cliente si vende di più;
se allo stesso cliente si fa pagare un prezzo più alto (non sempre il cliente è disposto a
pagare un prezzo maggiore).
In caso, invece, il fatturato non aumenti:
il fatturato si è stabilizzato → stabilità dei propri clienti;
è opportuno valutare altri aspetti come la soddisfazione del cliente.
L‟individuo ha bisogno di appartenere a un gruppo, e all‟interno può assumere un diverso ruolo:
il gruppo si aspetta da esso un certo comportamento che sia coerente con le aspettative del
gruppo (il quale a sua volta influenza l‟individuo e il suo modo di acquistare). Tale studio è
complesso perché l‟individuo assume diversi ruoli in base al contesto in cui si muove. Il
marketing:
individua i gruppi;
cerca di comprendere le norme all‟interno dei gruppi perché esse giustificano il
comportamento di acquisto:
Le differenze rispetto le vecchie/tradizionali variabili di segmentazione sono:
le tradizionali variabili sono oggettive;
le variabili sociologiche vengono individuate mediante delle indagini condotte
direttamente, domandandole alle stesse persone. Questo avviene grazie
all‟informatizzazione: essa consente di fare ciò a costi accettabili, ma presuppone la
disponibilità a usare il mezzo da parte del soggetto → variabili soggettive: il punto
forte di queste ricerche è di andare a chiedere le opinioni direttamente ai potenziali
clienti; il punto debole è che le soggettività che si esprimono non sempre sono un
campione così rappresentativo.
individuazione di nuove modalità di
segmentazione demografica = capire il processo
decisionale che guida il comportamento di
acquisto dei consumatori.
Le variabili utilizzate dalla sociologia analizzano dei particolari aspetti riguardo a:
gruppo di appartenenza;
gruppo di riferimento.
Gruppo di appartenenza = gruppo a cui effettivamente si appartiene.
Gruppo di riferimento = gruppo a cui si aspira.
I due concetti possono anche coincidere.
Gli altri aspetti per definire le variabili sociologiche sono:
opinioni dei leader;
classe sociale di appartenenza (occorre segmentare in base a tale parametro, anche se
ciò risulta difficile perché la differenziazione delle classi non è così netta);
formazione culturale del consumatore: occorre essere più cauti nel determinare un
netto determinismo dei parametri, ricordando che la formazione culturale è diversa dal
livello di istruzione.
Si analizzano due atteggiamenti (opposti tra di loro) i quali rappresentano un problema per il
marketing, e che si sono sviluppati nel corso del tempo:
consumo critico: vi sono 3 aspetti comuni:
1) maggior consapevolezza degli effetti del consumo;
2) ruolo più attivo dei consumatori;
3) maggior attenzione/sensibilità rispetto alle varie tematiche.
Il consumo critico ha contribuito a dar vita al gruppo di riferimento dei consumatori
critici (come i consumatori di prodotti biologici, non inquinanti). Non è detto che tale
tipo di consumatore spenda poco, anzi;
iperconsumismo: dovuto al boom del credito al consumo; soggetto che viene travolto
dalle offerte delle imprese, senza riuscire a resistervi; così facendo spesso va anche
oltre la propria possibilità economica → sindrome lavora e spendi.
Sono state individuate 3 categorie di persone mediante una ricerca dettagliata, le quali:
i. follower: soggetti che hanno tendenzialmente paura della crisi, quindi attendono
ragionando in termini di risparmio (= riduzione dei costi);
ii. mainstreamer: hanno un atteggiamento verso la crisi diverso dai follower, utilizzano
anche degli strumenti digitali, oltre che quelli tradizionali;
iii. innovator: è la fascia più evoluta, le loro abitudini di acquisto sono già completamente
digitalizzate.
I follower vengono attratti dalle imprese, dal punto di vista del marketing, utilizzando la leva
del prezzo. Mentre i mainstreamer sono attratti dalle imprese, dal punto di vista del
marketing, usando la leva del prezzo (ma essa non rappresenta la leva principale), ma anche
utilizzando un approccio di marketing relazionale, considerando però che tale soggetto non è
molto attivo. L‟innovator è quello che più partecipa alla relazione, infatti anche per tale
soggetto si usa un approccio di marketing relazionale.
Tale classificazione è stata fatta su base psicologica e sociologica; le variabili non sono state
individuate per determinare i segmenti, anche se indirettamente ci si fa riferimento, quindi
risulta una classificazione meno rigida → il comportamento dei consumatori:
innovazione incrementale: si sviluppa per piccoli miglioramenti;
innovazione radicale: un grosso blocco di innovazioni su cui si sviluppano tutte le
innovazioni incrementali (ad es. una fonte alternativa al petrolio).
Il consumatore si aspetta delle innovazioni radicali nella tecnologia e nell‟abbigliamento (per
l‟abbigliamento: per innovazione radicale si intende in termini di comunicazione); tale
situazione è così rappresentata:
Sono 3 le strategie di marketing, per quanto riguarda la comunicazione, da intraprendere:
1) make: fare, coinvolgere il consumatore nella comunicazione;
2) place: il valore dei luoghi è importante;
3) interactive: tramite l‟interazione.
rilevanza
disponibilità
degli individui a
far entrare i
consumi nella
propria vita
innovazione
commodity
l‟ambito agroalimentare è il
terreno di conquista delle PL
standard
capacità del brand di
trasferire maggiormente le
innovazioni
pop
differenze
CLASSIC
ever-green, marchio che si
difende rispetto alla ciclicità dei
mercati (marchio stabile)
innovator
brand che diffondono l‟innovazione
(ad es. l‟high tech); il mercato è un
oligopolio
pioneer
pionieri, mercato caratterizzato
da un‟azienda monopolista
Per quanto riguarda la gestione delle relazioni con il cliente viene utilizzato il customer
relationship management, ossia quella serie di tecniche volte all‟implementazione di una vera
e propria strategia, la quale ha il fine di selezionare e gestire le medesime relazioni con il
cliente (di maggior valore), mediante un approccio integrato che coinvolge persone, procedure
e tecnologie attraverso la cosiddetta cultura cliente-centrica. Per fare ciò è necessaria una
raccolta di dati al fine di consolidare i rapporti con la clientela.
Il CRM entra a far parte del marketing relazionale e offre l‟opportunità di realizzare
l‟approccio relazionale: si fa ricorso a tecnologie e a sistemi informativi, i quali servono per
studiare e gestire i clienti. Il CRM si compone di due parti: il CRM operativo, e il CRM
strategico. Il CRM è bidirezionale e consente altresì una comunicazione bidirezionale con il
cliente. Valorizzare il cliente equivale ad accrescere la profittabilità, la quale può essere
intesa a breve termine, legata alla stabilità della relazione con il cliente. Quest‟ultima è
l‟obiettivo ultimo degli approcci di marketing innovativi, i quali si contrappongono alla logica del
mass marketing in cui la domanda è instabile e infedele (la domanda va stabilizzata e
fidelizzata per ottenere dei buoni risultati a M/LT). Ma quando aumenta il fatturato a breve
termine, e quando, di conseguenza si verifica una situazione di stabilità della relazione di
vendita con il cliente, allora si può dire che il CRM è una sorta di management e non di
marketing. Questo perché occorre ampliare l‟ambito di applicazione del CRM, al fine di
sottolineare che lo stesso dovrebbe rappresentare una vera e propria cultura gestionale
cliente-centrica e dovrebbe pervadere tutta l‟azienda, non soltanto riguardando chi è a
contatto con il cliente. In tal caso l‟investimento più grande non è tanto il contatto con il
cliente, ma la gestione di tutte le informazioni a lui riguardanti. Il momento della vendita può
essere meno considerato importante nella logica del CRM, soprattutto se l‟impresa ha
costruito a monte un buon framework: le vendite dovrebbero essere considerate solo delle
operazioni a valle. L‟errore che spesso si fa è di demandare a chi si occupa di vendite, tutto
l‟intero processo di management, e cioè la gestione complessiva dell‟azienda in funzione del
cliente. L‟applicazione del CRM comporta, e deve comportare, dei cambiamenti sia
nell‟organizzazione, sia nei processi, e trova nella tecnologia un supporto fondamentale. E‟ una
filosofia aziendale che integra una molteplicità di aree funzionali, quali il marketing, la
progettazione, la produzione, ecc. E‟ quindi fondamentale un approccio integrato che dovrebbe
supportare la gestione dell‟intera azienda, e mettere in contatto tutte le parti della filiera
produttiva della singola azienda. Per quanto concerne quella visione e/o quello strumento tanto
caro alla scienza economica che è la catena del valore, essa ha una visione opposta rispetto a
quella innovativa del CRM. Infatti, Porter, frammenta l‟attività intera in “pezzi”, quindi pone
anche il rischio non come globale, ma suddiviso per ogni attività della catena del valore. Di
conseguenza, anche ogni anello è posto come a sé stante, e quindi, indipendente e autonomo.
Nella logica innovativa del CRM, tutte le attività a monte che portano alla vendita, sono
integrate tra loro, e quindi vanno gestite come tali. Il momento della vendita come
un‟autonoma attività a valle, ma deve essere integrata con tutte le altre decisioni prese a
monte. Sempre nel CRM vi è una sorta di ribaltamento, rispetto alla logica del mass marketing
e delle 4 leve del marketing mix (in cui al responsabile di marketing si chiedeva di scegliere il
mix adeguato tra le 4 variabili che consentiva di vendere di più nel mercato): le funzioni
aziendali sono tutte integrate tra loro e tutte fondate sul cliente. Ciò perché il CRM, un po‟
come tutti gli altri approcci della fine del XX secolo del resto, è un approccio cliente-centrico:
potrebbe essere pericoloso, però, dare troppa importanza al cliente, infatti ciò può voler dire
dare troppa importanza a fattori che sono meno pregnanti, rispetto alla qualità del prodotto
→ la richiesta del cliente potrebbe andare a minare la sicurezza del prodotto. L‟impresa, così
dovrebbe farsi carico di veicolare le proprie azioni: il buono, l‟innovativo contenuto nel CRM è
di porre al centro il cliente (e la relazione con lo stesso), considerando che questa centralità
debba essere gestita con una buona dose di buon senso e in maniera intelligente, mediante una
logica di fiducia che soddisfi le esigenze del cliente. Per evidenziare la centralità del cliente,
il CRM ha costruito la piramide seguente (piramide rovesciata):
La piramide è di solito studiata per dimostrare la struttura gerarchica dell‟impresa (chi sta al
vertice lo staff, la base composta dagli operatori, ecc.) utilizzando uno stile top down in cui il
vertice stabilisce gli obiettivi che devono essere raggiunti. Grazie al CRM l‟azienda viene vista
in ottica diversa: in alto vi stanno i clienti che vengono inseriti all‟interno dell‟azienda. Questa
è una logica nuova, in quanto i clienti sono considerati così importanti da fare parte
dell‟azienda. Solo di seguito si inseriscono tutti i componenti dell‟azienda, partendo da chi sta
più vicino al cliente, fino ad arrivare al topo management. La misura/distanza tra il top
management e i clienti serve per valorizzare il front line. Tale personale si contrappone con il
personale di back office, il quale evidenzia la distanza tra il vertice dell‟azienda, che elabora
le strategie di LT, e i clienti. Da un certo punto di vista, tale è il ribaltamento della logica
aziendale. Ciò serve a sottolineare l‟importanza del cliente nei processi decisionali
dell‟impresa, i quali devono essere sviluppati in una logica cliente-centrica: infatti, la posizione
del cliente (al vertice della piramide), deve permeare tutta l‟azienda, e non soltanto il front
line (= chi è deputato alla relazione), quindi non solo l‟atto di vendita. Il top management,
comunque, rimane sempre al vertice dell‟azienda, infatti deve prendere le decisioni in ogni
caso, considerando il fatto che, se l‟impresa perdesse il suo nucleo decisionale, allora
perderebbe tutto. In prospettiva del cliente la distanza tra il cliente e il top management non
deve essere male interpretata poiché le decisioni aziendali prese dal top management sono
cliente
personale di contatto
front line
management
intermedio
top
management
comunque fondamentali, visto che determinano decisioni tra front line e clienti. Fino a un
certo limite si può supportare la relazione tra front line e cliente, ma questa non deve
arrivare a essere una sorta di anarchia. Spesso il top management è molto distante dal front
line, quindi si potrebbe verificare il rischio di scollamento tra i due: il momento della relazione
con il cliente potrebbe anche essere molto distante dal top management (si tratterebbe di
una distanza pure dal punto di vista culturale). Gli elementi che hanno favorito lo sviluppo del
CRM sono:
l‟instabilità dell‟ambiente esterno e il fatto che i clienti siano subissati di informazioni:
essi, infatti, tendono a essere soggetti i quali vogliono sperimentare tutte le proposte
accettabili, anche grazie alla tecnologia. I clienti tendenzialmente sono infedeli;
l‟efficacia decrescente della segmentazione: per le imprese diventa sempre più
difficile riuscire a capire il mercato e a segmentarlo. Per la sua segmentazione bisogna
capire le variabili rilevanti, e occorre individuare gruppi omogenei dal punto di vista del
consumo: per determinare le variabili, è necessario comprendere quali siano le
dinamiche che spostano la domanda, e quindi quelle che spingono il cliente a comprare o
meno. Le tradizionali variabili sono più difficili da applicare, e i segmenti, in base a
queste, diventano sempre più sottili e meno ampi, di conseguenza anche meno utili per
misurare le caratteristiche della domanda.
Attualmente l‟impresa non sa più come individuare il segmenti con delle tendenze di
consumo chiare, poiché il cliente risulta più infedele: è più difficile del resto capire i suoi
bisogni. Molto più facile, invece, risulta replicare i prodotti/servizi in base al
comportamento di un business, basta studiare cosa incide sulla strategia di innovazione; il
business esistente, successivamente, viene copiato. Questo perché risulta difficile
implementare un‟innovazione da 0, molto più efficace e rapido, invece, è copiare. La
strategia di innovazione è quindi molto semplice da imitare, rispetto a una qualunque altra.
Imitando, risulta più agevole ottenere le informazioni le quali consentono di riprodurre le
caratteristiche dei prodotti/servizi. Tutto il processo, in tal modo, è accelerato, e la
durata dell‟intero business è altresì velocizzata. L‟innovatore introduce un‟innovazione
incrementale, ossia un‟innovazione scientifica, tecnologica la quale rappresenta un piccolo
aggiustamento rispetto alla versione precedete del prodotto. Mentre l‟innovazione
radicale è quella sconvolgente che implementa i processi di rottura. Dal punto di vista
strategico un‟innovazione incrementale è più facilmente imitabile, specie se si basa solo su
aspetti di design o di comunicazione. Il terreno per l‟impresa è sempre più spietato, dal
lato dell‟offerta per quanto riguarda i concorrenti, dal lato della domanda poiché essa è
più instabili, quindi è necessario avvalersi di tecniche che cerchino di arpionare l‟impresa a
qualcosa di più solido. Tutti questi approcci hanno un contenuto di marketing e nascono
spontaneamente, anche in caso l‟impresa non li adottasse. In effetti già possedere un CRM
equivale a implementare politiche di marketing: non si tratta di sviluppare una nuova
tecnica, ma semplicemente di inserire uno strumento gestionale che agisca dal punto di
vista del cliente (di per sé si tratta di uno strumento operativo di marketing appartenente
alla leva promozionale).
Il CRM si costituisce di due componenti:
1) CRM analitico:riguarda l‟analisi di dati, quindi già di per sé è operativo; infatti
anche la componente di analisi è molto operativa e parte dall‟idea sviluppata dall‟IT,
la quale nasce a sua volta dalla formazione di database, che in seguito vengono
analizzati. La parte più creativa è quella di analisi dei dati relativi al cliente: si
tratta di analisi di enormi database contenenti dati e informazioni di tutti i generi
sui consumatori. Per questo è di fondamentale importanza comprendere cosa
estrarre da questi database (prima di tutto occorre averli a disposizione e
alimentarli, solo in seguito bisogna estrarre le informazioni più interessanti):
attività di reporting: fornisce le informazioni sul parco-clienti. Si stanno
analizzando dei dati per descrivere il parco-clienti, per poi supportare la
decisione → parte più interessante che richiede la conoscenza del
programma e la capacità di lettura dei dati;
attività di analisi dei dati;
attività di previsioni ed eventuali simulazioni: è una modalità con la quale
si cerca di capire se si verifica una certa ipotesi, e se verificata, cosa possa
accadere anche in caso l‟impresa abbia a riferimento un determinato gruppo
di clienti (l‟impresa naturalmente, analizza anche il suo trend storico);
2) CRM operativo: per prima cosa occorre possedere i dati e saperli estrarli in
maniera intelligente considerando che un conto è avere un database, e un conto è
saper estrarre le informazioni in maniera opportuna. Stabilito ciò, occorre
prevedere come aggregare i dati: ad es. si potrebbe raggrupparli per prodotto, per
area geografica, per variabile temporale, magari descrivendo le vendite di un dato
prodotto nel tempo, per il territorio, per tipo di prodotto. Le vendite si esprimono
in termini di quantità (unità vendute e peso) e di valore (fatturato).
Nella logica del CRM si studiano le vendite in funzione dei clienti, infatti tutte le descrizioni e
le analisi devono essere fatte in base al consumatore: ma la prima grande classificazione si
effettua sul cliente finale o sul cliente-impresa? E come si possono studiare le vendite in base
ai clienti? Le informazioni servono per alimentare il processo produttivo e per migliorare la
relazione con il cliente, al fine di renderlo nel LT, più stabile e più profittevole. Ora occorre
procedere a valutare il cliente in termini di percentuale di fatturato per comprendere cosa
può essere fatto: quanto si vende a ciascun cliente. E‟ necessario vedere se si hanno dei clienti
particolarmente importanti, i quali pesano tanto nel portafoglio dell‟impresa. Questo serve al
fine di concentrare tutta l‟analisi sui primi 4-6 clienti che ricoprono più o meno il 70% delle
vendite: si fa considerando la Legge di Pareto, secondo la quale il 20% dei clienti rivestono
l‟80% delle vendite. E‟ meglio per il CRM riferirsi a una clientela raggruppata, piuttosto che a
una dispersa perché è più facile gestirla, visto che il rapporto è basato su delle relazioni.
L‟attività del CRM serve per creare relazioni, ma senza che avvenga alcun contatto, la
relazione può derivare da diversi approcci interattivi: l‟impresa non entra in reale contatto con
il consumatore, e quindi non si pone l‟interazione vera e propria (= relazione) → prospettiva
impresa-centrica. In tale analisi occorre capire quanto il cliente è importante per l‟impresa, e
quanto pesa l‟impresa per il cliente, individuando così il portafoglio-fornitori. La durata della
relazione col cliente non è solo un problema di tempo, ma occorre anche analizzare quanto
stabilmente acquisti presso l‟azienda, in modo tale da capire anche solo indirettamente, il
portafoglio-fornitori ideale. Ciò serve per conoscere l‟importanza dell‟impresa in quanto
fornitrice, e tale comprensione può avvenire sia in modo indiretto, sia attraverso una
relazione, al fine di capire se vale la pena di sviluppare un approccio relazionale, magari
cercando anche di scremare i clienti, per rivolgersi solo a quelli di maggior valore, cosicché
procedere, in un momento successivo, alla costruzione di una strategia di CRM. Questo risulta
più fattibile nel B2B, mentre nel contesto del B2C si può valutare se si tratta di un consumo di
massa (riferito a un prodotto/servizio a largo consumo). Ancora occorre prevedere i casi in
cui si conoscono i clienti, e se si hanno i dati relativi agli stessi in modo da poter ricostruire lo
storico, individuando le tipologie dei clienti, e a limite anche se non si individuano, si possono
comunque individuare le caratteristiche del cliente-tipo e attuare così un promozione
particolare. Questo è il caso tipico del settore della distribuzione, in cui molto utilizzate
risultano le carte fedeltà. In altri servizi, come ad es. quelli turistici, l‟informazione è
addirittura nominativa: spesso, in tal caso, i consumatori/usufruitori i consumatori sono
rappresentati da aziende. Comunque nel caso le informazioni vi siano, le imprese si organizzano
appositamente al fine di raccoglierle. Infatti, ad es. la GDO, fornisce i dati delle carte
fedeltà, affidandoli a società di analisi degli stessi, le quali li elaborano per effettuare
un‟analisi più accurata per cliente (o per tipologia di cliente), individuando le caratteristiche
comuni al fine di poter implementare politiche di marketing e/o comunicazionali ad hoc. Così è
possibile vedere come le varie categorie di clienti rispondano alle politiche promozionali
proposte. In fin dei conti si tratta di analisi sulle vendite classificate per cliente, infatti
l‟intento è capire le caratteristiche dei clienti e comprendere quali siano le loro reazioni a
fronte delle strategie intraprese → fotografia del pacchetto-cliente. Si elaborano delle
strategie e si effettuano analisi sui dati posseduti per capire se le stesse strategie hanno
funzionato o meno, cosicché verificare l‟efficienza e l‟efficacia degli investimenti in termini di
innovazione tecnologica. Ora occorre valutare quanto ciò ha modificato le vendite: quanto una
logica di tipo relazionale ha impattato sulle stesse → logiche di marketing one to one, di cui
fanno parte le logiche gestionali cliente-centriche e tutte quelle che vogliono rafforzare le
relazioni impresa-clienti. La logica del CRM è una logica che ben si adatta, per la sua
componente analitica, a tutti gli approcci appena menzionati, i quali valorizzino il cliente e la
relazione con il medesimo, considerando anche i rapporti di BP utili a classificare i
consumatori più profittevoli a cui si può vendere di più. Una volta individuato il cliente e
attuata la strategia, è necessario anche rilevare se la stessa sia stata efficace o meno. Tali
analisi possono essere applicate anche al fine di entrare in mercati nuovi, nei quali non si ha
una clientela storica, ma si vuole crearne una nuova. In tale caso l‟esperienza aziendale
permette di intraprendere azioni di cross-selling, al fine di individuare il cliente, così
cercando di vendergli più prodotti e di diverse categorie merceologiche.
CRM = customer relationship management:
analisi analitica: costruzione del sistema che permette le estrazioni delle informazioni;
analisi dei dati: estrazione di una grande quantità di informazioni necessarie alle
imprese.
Obiettivo: svolgere attività di simulazione e previsione. Si tratta di una parte di azienda che
si occupa di fare delle previsioni e delle analisi in termini di efficacia. Come trasformare le
informazioni derivanti dalle analisi dei dati in futuri contatti con i clienti? Mediante l‟IT →
occorre costruire un software (mediante le opportunità tecnologiche) capace di:
moltiplicare i canali di vendita;
creare contatti con il cliente.
Opportunità/rischi del CRM:
approccio che dà come valore aggiunto l‟input all‟impresa di avvalersi di strumenti per la
gestione dei clienti (collegati con l‟impresa mediante un sistema gestionale), i quali
mettono a disposizione delle informazioni per gestire le persone;
se il collegamento tra il CRM e il sistema gestionale non funziona, allora si rischia di
cadere nell‟antieconomia (vi sono troppe informazioni, il controllo sulle stesse dà esito
negativo) → effetti negativi:
vantaggi limitati, se le informazioni sono usate solo per la rete di vendita;
potrebbe sussistere la tecnologia, ma senza una logica di CRM, quindi
potrebbero non essere sfruttati i vantaggi derivanti dal medesimo;
i danni derivanti dall‟implementazione di una strategia di CRM si possono
verificare sia nelle imprese di servizi, sia in quelle industriali, ma i danni
maggiori si sviluppano nell‟ambito di un‟impresa di servizi;
la tecnologia sussiste e funziona: si crea valore per il cliente, soprattutto per quanto
riguarda la distribuzione → effetto sinergico.
Per comprendere se una strategia di CRM stia effettivamente funzionando o meno, si
utilizzano degli indicatori, come il lifetime value (LTV): valore del cliente legato al rapporto
di continuità con il medesimo (= durata della relazione) → stima del valore che il cliente può
creare in futuro in base ai rapporti del passato.
Il LTV consente di monitorare l‟efficacia delle strategie di marketing. Se il cliente è stabile
vuol dire che considera l‟impresa importante. Si tratta di un concetto legato al tempo che
analizza:
quanto tempo è rimasto il cliente;
quanto profitto ha creato.
LTV sommatoria del valore attuale dei profitti
futuri derivante dal cliente in un certo
periodo di tempo.
Monitorando il LTV, si mira a modificare, eventualmente, le strategie di marketing (strategie
di LTV comprese nei costi da decurtare dal fatturato per calcolare il profitto) → attenzione!:
ai costi legati a tale specifica strategia di marketing occorre aggiungere:
retention rate: percentuale di clienti abituali che continuano ad acquistare nell‟anno
successivo rispetto a quelli dell‟anno precedente. In tale indice non vengono considerati
i clienti nuovi:
Tale indicatore indica quanto clienti l‟impresa ha perso nel corso dell‟anno;
acquisto medio cliente:
Quindi è fondamentale dividere tale valore per il numero delle visite.
indicatore anno n + 1
indicatore anno n
vendite totali
numero clienti
in un anno.