Post on 24-Mar-2016
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SpecialeSpeciale autocarri Come nasce un safari truckGiorgio Trucco
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l’Af ricASognando
I DUE RE DELLA SAVANAL’Iveco adattato
all’uso africano
e, in primo piano,
uno splendido
esemplare femmina
di leone, animale da
sempre considerato
il simbolo ed il
vero sovrano del
continente africano.
Una supremazia
che “simba”, com'è
chiamato in lingua
swahili, è costretto
a dividere con il rude
veicolo nato per
esigenze militari.
Ecco come partire da un Iveco
militare e trasformarlo in un
veicolo attrezzato di tutto punto
per i viaggi nel Continente Nero
nNon c’è un vero punto di partenza in questa storia, a parte una smisurata passione per i viaggi e l’avventura
che nella vita mi ha portato a vivere negli Sta-ti Uniti, incontrare sulla mia strada Koko, una ragazza con i miei stessi gusti nata a migliaia di km da casa mia, e veder nascere insieme a lei l’idea di allargare i confini dei sogni fino al Continente Nero. Nelle nostre menti si è cre-ata piano non l’idea del turismo da agenzia e catalogo patinato, ma piuttosto qualcosa più vicino ai viaggi-avventura con risvolti fotogra-
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fici, qualcosa che esiste già, ma non come abbiamo in mente noi. Per farlo, ci serviva però un mezzo adatto: e questa è la storia di una trasformazione. Forse più di una.
n Una scelta non casualeIndividuare il veicolo più giusto è apparso subito come un passaggio fondamentale, cul-minato nella scelta di un italianissimo Iveco, preferito ad altri per robustezza e affidabilità. L’idea nasce dagli spunti raccolti in tanti viaggi africani: il turismo dei safari usa sostanzial-mente le fuoristrada classiche, tipo Land Rover, che portano dalle tre alle sei persone, oppure veri e propri bus che arrivano a tra-sportarne anche trenta o quaranta. L’idea era quella di trovare una soluzione intermedia che ci permettesse di portare a spasso per l’Africa dodici passeggeri, che stessero comodi ma senza per questo limitarci nella possibilità di percorrere piste per fuoristrada verso zone del continente nero poco battute. Scartata l’idea di usare mezzi militari americani per le misure e le cilindrate impossibili, abbiamo ripiegato su un veicolo italiano, rintracciando dai fratelli
Bianciotto di Pinerolo, in provincia di Torino, un Iveco ACM80 4x4 degli anni Ottanta, un au-tocarro militare con motore sei litri turbodiesel da 125 kW-170 CV dotato di ridotte e bloc-caggio del differenziale, immatricolato come macchina operatrice. Il costo? 11.000 euro.
n Dal computer alla saldatriceI lavori di allestimento e modifica sono iniziati con una modellizzazione CAD del mezzo. Un passaggio servito per il dimensionamen-to esatto di tutte le strutture, totalmente autocostruite, utilizzate per trasformare il cassone originale in una funzionale zona passeggeri e vano bagagli. Come materiale
DAL COMPUTERALLA SALDATRICEDue immagini
che illustrano i
primi passi della
trasformazione: lo
studio al computer
di volumi e
proporzioni, seguito
dall’applicazione
pratica, con
saldatrice alla mano.
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abbiamo scelto il metallo (ferro, acciaio o alluminio, in base alle esigenze) riservando il legno alle sole finiture non strutturali. Dopo lo “strip-down” delle parti usurate, rimuovendo il vecchio pianale del cassone, abbiamo ini-ziato una bonifica delle zone intaccate dalla ruggine, con revisione e modifica dell’im-pianto elettrico, assemblaggio e verniciatura della nuova struttura. Per avere la meglio sul tempo e sulla ruggine, sul telaio sono serviti diversi flaconi di Ferox e antiruggine, mentre sostituivamo le piastre di legno del piano di carico con piastre di ferro mandorlato da cin-que millimetri, tagliate, pre-forate e zincate a freddo. Dalla cabina abbiamo rimosso i sedili originali e li abbiamo sostituiti con altri da gara della Sparco.Fondamentale è stato però il montaggio di un secondo serbatoio per il carburante da centocinquanta litri, che alza l’autono-mia del mezzo a circa mille chilometri. Un discorso a parte meritano il vano bagagli e la zona passeggeri, visto che una delle
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esigenze primarie è quella di trasportare grandi quantità di bagagli e attrezzature, ma senza sottrarre spazio vitale ai passeggeri. Avevamo pensato di costruire un enorme portapacchi, ma questa soluzione avrebbe obbligato gli ospiti ad arrampicarsi a tre o quattro metri dal suolo ogni volta. La svolta è stata invece invertire la geometria di ca-rico, come nei pullman, realizzando il vano portabagagli in un’intercapedine sul fondo e sistemando la zona passeggeri su un nuovo pavimento rialzato. Il vantaggio è duplice: da una parte i bagagli restano comodamen-te accessibili dalle sponde laterali del truck,
dall’altro si innalza notevolmente il punto di vista dei passeggeri che, sedendo a più di due metri da terra, godono di una visua-le decisamente superiore alle tradizionali fuoristrada e possono fotografare elefanti e giraffe ad altezza occhi.I sedili sono quelli classici da pullman, con braccioli e ribaltabili di quindici gradi, po-sizionati il più avanti possibile per ricavare un piccolo WC chimico e un’ulteriore zona di carico in corrispondenza dell’entrata po-steriore. Per finire, abbiamo dotato le ampie finestre ricavate sulle sponde laterali di teste snodabili per fotocamere della Manfrotto.
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SOGNO (QUASI) AMERICANONella pagina a fianco
Giorgio Trucco e,
più in basso, la sua
fidanzata americana
Koko, al lavoro sul
truck Iveco. Qui
sopra il montaggio
dei sedili destinati
agli ospiti.
n Una meccanica a norme NatoSi tratta di un mezzo straordinario in quanto ad affidabilità e semplicità: non ha controlli elettronici, non ha pezzi in plastica e tutto è sovradimensionato e costruito per resistere alle condizioni più severe. Inoltre possiamo contare sull’amicizia dei responsabili delle spedizioni Overland, che ci hanno assicu-rato supporto tecnico e ricambi originali in caso di necessità. Sul motore non abbiamo cambiato praticamente nulla, a parte lavare il circuito di raffreddamento, sostituire il termostato e lo scambiatore di calore che accusava una piccola perdita. Abbiamo pulito gli iniettori e verificato la taratura della pompa di distribuzione. Un discorso a parte, invece, lo merita l’impianto dei
freni, che ha richiesto un intervento ben più radicale: siamo partiti dal compressore e abbiamo proceduto fino ai tamburi, smon-tando e pulendo ogni singolo pezzo. Questi mezzi infatti non sono molto usati (il nostro truck aveva ventitremila chilometri) però sono stati fermi per molto tempo e questo danneggia le parti in gomma, che tendono a seccarsi e a creparsi. I servofreni, attuatori pneumoidraulici della Wabco Westinghouse, erano in condizioni critiche. I filtri di aspira-zione avevano perso la tenuta e le camere si erano riempite di acqua e terra, rendendo il ritorno della membrana in gomma difficolto-so e irregolare. Sono stati smontati integral-mente, puliti e lucidati, sostituendo tutte le guarnizioni.
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Si scrive safari, significa viaggioLa parola “safari” significa viaggio in lingua swahili, e l’uomo viaggia da sempre, per sete di conoscenza, per amore o per necessità. Basta fare un giro in Africa per vedere che sotto la voce safari è già stato proposto di tutto, ma AdventurAfrica vuol essere qualcosa di diverso: viaggi, avventure, spedizioni e workshop di fotografia a stretto contatto con la natura e la fauna dei grandi parchi africani. Ai posti di comando Giorgio Trucco, fotografo naturalista e la sua fidanzata Koko Kosila: due giovani che preferiscono parlare di compagni di viaggio con cui dividere esperienze in posti lontani, fra persone che accettano di lasciarsi alle spalle paure, pregiudizi, barriere mentali e aspettative. Si dorme in campi tendati, acquistando il cibo nei mercati locali e cucinando all’aperto, sotto i cieli infiniti dell’Africa. Per saperne di più: www.adventurafrica.com.
n Conti alla manoL’allestimento del truck di AdventurAfrica ha richiesto quasi cinquecento chili di metallo aggiuntivo, tra piastre mandorlate, tubi, scatolati e ferri a “elle”. Una decina di metri quadrati di legno costituiscono il bellissimo pavimento in colore mogano, due sedili da gara Sparco e sei coppie di sedili da pullman completano l’elenco del materiale per l’allestimento base, il cui costo finale ha superato di poco i duemila euro. In aggiunta, il truck è dotato di un’attrezzatissima cucina da campo, due serbatoi indipendenti per l’acqua da settanta litri ognuno, generatore di corrente, WC chimico, radio Vhf, Gps, telefono satellitare Iridium, tende e materassini da cam-peggio. Il tutto per offrire un servizio curato in ogni dettaglio a chi sceglierà un modo diverso e più autentico di affrontare l’Africa.
DA TORINO AL CONTINENTE NEROIl duro lavoro di
trasformazione
ha avuto come
scenario la collina
di Torino, dove i
due vivono quando
sono in Italia.
Attualmente, il
truck è appena
giunto in Africa
via nave, in tempo
utile per il viaggio
inaugurale.