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L’eredità della banca mista Sistema creditizio, finanziamento industriale e ruolo strategico di M ediobanca 1946-1956
di Stefano Battilossi
Nell’economia dei “salotti buoni” e dei “capitalisti senza capitali”, Mediobanca occupa un posto di assoluta centralità, tanto come custode delle “casseforti” finanziarie dei più potenti gruppi industriali privati, quanto come regista delle operazioni che hanno segnato in profondità la storia — e gli squilibri — dello sviluppo industriale italiano del secondo dopoguerra, dalla nazionalizzazione elettrica del 1962 alla fusione Montecatini-Edison. Mediobanca rappresenta perciò il simbolo di un’economia governata da complesse architetture finanziarie, priva di trasparenza e di efficaci controlli, dominata da ristrette oligarchie familiari. Il saggio si propone di risalire alle radici di questa singolare istituzione finanziaria — ad un tempo istituto di credito a medio termine, banca d’affari e holding — e di collocarne l’esperienza nella storia del sistema capitalistico italiano. Ricostruendo le circostanze che nel 1945-1946 conducono alla sua ideazione e costituzione da parte delle tre ex banche miste, e analizzandone lo sviluppo nel campo del credito mobiliare e del finanziamento industriale, il saggio si confronta con una serie di cruciali problemi interpretativi: l’eredità della Grande crisi e delle riforme istituzionali degli anni tra le due guerre; il senso dell’offensiva liberista postbellica; il ruolo della Banca d’Italia e la ristrutturazione dei poteri economici nell’Italia repubblicana; i rapporti tra banca e industria negli anni della ricostruzione; l’evoluzione dei rapporti di forza e di simbiosi tra centri di potere pubblici e privati; il ruolo delle alleanze finanziarie internazionali.
In the economy o f the “happy few ” and the “capitalists without capitals”, Mediobanca plays e primary role, both as a guardian o f the financial “strongboxes” o f the outstanding industrial groups and as a director o f the operations that deeply influenced the complex and contradictory development o f the Italian industrial system during the second postwar period, from the nationalization o f the power industry to the Montecatini-Edison merger. Madiobanca represented the symbol o f an economy governed by sophisticated financial architectures, lacking transparency and effective control, dominated by narrow familiar oligarchies.The present essay aims to unearth the roots o f such peculiar financial institution as is Mediobanca, mid-term credit bank, businnes bank and holding agency all in one, and to locate its experience in the story o f the Italian capitalist system. Revisiting the circumstances that in 1945-1946 gave impulse to the creation o f Mediobanca, and examining its role in the field o f financial and industrial credit, the A. confronts a series o f crucial issues: the heritage in the Great Depression and o f the institutional reforms in the interwar period: the sense o f the postwar free- trading drive; the role played by Bankitalia and the reorganization o f economic power in Republican Italy; the relationships between bank and industry in the Reconstruction period; the evolution o f the symbiosis and balance o f power between State institutions and private enterprises; the impact o f the international financial alliances.
Italia contemporanea”, dicembre 1991, n. 185
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Sono per così dire un centauro, metà uomo e metà cavallo. Scegliete voi qual è il pubblico e qual è il privato.
(Enrico Cuccia alla Commissione finanze del Senato, 1978)
“Una mescolanza di banche”. Mediobanca nelle vicende del capitalismo industriale italiano
Tra le istituzioni economiche del nostro paese, nessuna meglio della Banca di credito finanziario (nota come Mediobanca) — col rigoroso culto della segretezza professato dal suo longevo ‘padrone’ Enrico Cuccia — può incarnare l’emblema di un capitalismo, come quello italiano, appena lambito da riforme a difesa della trasparenza e della certezza delle regole. Salotto buono, “Grande Protettrice”, stampella finanziaria di un capitalismo “familiare” e “senza capitali”, eminenza grigia dell’economia italiana: le im
magini create da una ormai nutrita pubblicistica restituiscono con efficacia la posizione di assoluta centralità assunta da un istituto che ha firmato — in sintonia con i maggiori gruppi di comando dell’economia italiana— la regìa (occulta, è inutile sottolinearlo) di tutte le più importanti operazioni finanziarie degli ultimi trent’anni, a partire dalla ristrutturazione seguita alla nazionalizzazione delle società elettriche del 1962 e culminata nella fusione “acefala” tra Edison e Montecatini1. Mediobanca appare dunque simbolo, strumento ed espressione di un ceto imprenditoriale prima e più finanziario che propriamente industriale, e al tempo stesso— grazie al possesso di quote determinanti
Questo saggio riprende e sviluppa alcuni temi da me affrontati nel corso di una tesi di dottorato su “Strategie del capitale industriale e finanziario nel processo di integrazione dell’economia italiana nel mercato internazionale, 1945-1955” (Dipartimento di Storia, Università di Torino, 1991). Desidero ringraziare per la cortese collaborazione prestatami nella fase di ricognizione archivistica il dr. Pinna e il dr. Valente, della Banca d’Italia, e il dr. Fabio Del Giudice, dell’Archivio storico del Banco di Roma.1 Le indagini giornalistiche di tradizione anglosassone sulle alte sfere dell’economia e della finanza hanno costituito a lungo moneta fuori corso in Italia. All’origine di questa vena pubblicistica — scaturita dalla cultura li- beraldemocratica di Ernesto Rossi e dei convegni degli “amici de ‘Il Mondo’” (i primi ad introdurre nel dibattito politico del nostro paese tematiche riformiste come la legislazione antitrust) — va collocata l’esperienza de “L’Espresso”, da cui nasce il noto volume di Eugenio Scalfari - Giuseppe Turani, Razza padrona. Storia della borghesia di Stato, Milano, Feltrinelli, 1974. Già qui (vedi in particolare le pp. 23-40, 116-150 e 159-162) si trova esemplarmente documentato il ruolo cruciale svolto da Mediobanca e dallo stesso Enrico Cuccia nel guidare le scelte delle élite finanziarie italiane nella fase successiva alla nazionalizzazione dell’industria elettrica, sia nella nascita della Montedison, così come più tardi nella scalata a quest’ultima lanciata dall’Eni di Eugenio Cefis. In anni più recenti, sua è stata la regìa della disgraziata fusione Pirelli-Dunlop, della famigerata operazione La- fico che vide nell’arco di un decennio (1976-1986) il trionfale ingresso e la meno onorevole (ma lautamente remunerata) ritirata dei libici dalla Fiat, della riprivatizzazione di Montedison attraverso l’organizzazione del consorzio Gemina (Agnelli, Pirelli, Orlando), della lotta contro i ‘ribelli’ Schimberni e De Benedetti, del naufragio della joint-venture pubblico-privata Telit (Telettra-Fiat e Italtel-Stet), per non ricordare che le operazioni più eclatanti. Vedi a tale proposito Gianni Manghetti, I soliti noti. Agnelli, Pirelli, De Benedetti e pochi altri: capitalisti con capitale delle banche, Milano, Feltrinelli, 1985, in particolare le pp. 69-79; e Alan Friedman, Tutto in famiglia, Longanesi, Milano, 1988 (noto per aver suscitato le ire di casa Agnelli), pp. 101-136; e il recente Stefano Cingolani, Le grandi famiglie del capitalismo italiano, Bari, Laterza, 1990, pp. 89-108. Su parte delle vicende ricordate, esemplare appare Patteggiamento ‘agnostico’ assunto dall’allora governatore della Banca d’Italia: cfr. Guido Carli, Intervista sul capitalismo italiano, a cura di Eugenio Scalfari, Bari, Laterza, 1977, pp. 77-104.
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del capitale delle ‘casseforti’ dei più potenti gruppi privati e all’ideazione di ferrei sindacati di blocco — punto di equilibrio che consente alle famiglie di più antico lignaggio capitalistico (gli Agnelli, i Pirelli, gli Orlando, i Marzotto) di mantenere il controllo dei propri imperi con una ridotta esposizione finanziaria e di garantirsi contro i rischi di scalata ostile2.
In quasi mezzo secolo di attività, la fisionomia dell’istituto di via Filodrammatici si è dunque venuta caratterizzando per quella “mescolanza di banche” — contemporaneamente istituto di credito a medio termine, banca d’affari e infine autentica holding — che Raffaele Mattioli non avrebbe mancato di rimproverare aspramente al proprio ‘allievo’ Cuccia. Conservazione dello status quo, deliberata rinuncia all’ampliamento del mercato borsistico, mancanza assoluta di trasparenza: tanto per la sinistra ‘riformista’ impegnata nella battaglia — finora purtroppo assai magra di risultati (si pensi al pieno fallimento dell’esperimento Con- sob) — per l’adeguamento della legislazione italiana in materia finanziaria a standard
anglosassoni3, quanto per i più recenti apologeti (ingenui o interessati) del ‘capitalismo democratico’, dell’azionariato di massa e della public company4, l’operato di Mediobanca ha rappresentato un oggetto polemico ricorrente. È dunque nota la collocazione di via Filodrammatici nella complessa geografia del potere economico italiano. Qui si tratta piuttosto di cogliere il senso storico più profondo della sua esperienza, le radici dalle quali si sviluppano le caratteristiche che ne hanno segnato così profondamente l’attività. Siamo infatti di fronte ad un caso esemplare o ad una bizzarra anomalia?
La crisi finanziaria delle imprese scoppiata con clamore a metà degli anni settanta, la dimensione patologica assunta dall’indebitamento bancario rispetto al capitale di rischio nella struttura finanziaria dei maggiori gruppi industriali italiani5, e contemporaneamente le scorribande finanziarie dei “golpisti della borsa” (come ebbe a battezzare Ugo La Malfa i vari Sindona, Calvi, Bonomi), hanno segnato nel nostro paese l’avvio di un dibattito economico e politico i
2 Su questo aspetto insiste un esperto osservatore di vicende italiane, Joseph La Palombara, Democrazia all’italiana, Milano, Mondadori, 1988 [Democracy Italian Style, Yale University Press, 1987] pp. 260-261.3 Vedi a puro titolo di esempio Guido Rossi, Trasparenza e vergogna, Milano, Il Saggiatore, 1982; Id., La scalata de! mercato. La borsa e i valori mobiliari, Bologna, Il Mulino, 1986; Filippo Cavazzuti, La regola e l ’arbitrio. Finanza pubblica e finanza privata in Italia, Bologna, Il Mulino, 1988.4 Maturati a metà degli anni ottanta nel quadro dell’esperienza Ipsoa-“Italia Oggi” : vedi ad esempio Marco Vitale, La lunga marcia de! capitalismo democratico, Milano, 1987; Alessandro Aleotti, Borsa e industria. 1861- 1989: cento anni di rapporti difficili, Milano, Ed. Comunità, 1990, in particolare p. 203: “Si può affermare che Mediobanca ha interpretato un ruolo di salvaguardia dell’industria privata in un momento politicamente molto critico. Tuttavia Mediobanca si è eretta paladina dei capitalisti, non del capitalismo. Il capitalismo diffuso, fondato sulla partecipazione e sul rispetto dei ruoli nel mercato, è sempre stato lontano dalle concezioni di Mediobanca.” Vedi anche l’intervento di Beniamino Andreatta, Le poche cose da fare, in Franco A. Grassini (a cura di), Le banche e il capitale di rischio: speranze o illusioni?, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 207-218, che accusa Mediobanca di aver operato ad esclusivo supporto dei gruppi di controllo esistenti e di aver costituito perciò una vera e propria “barriera all’entrata” che ha trasformato la sua “aristocratica solitudine” in monopolio.5 Vanno ricordati Francesco Cesarini, Sistema bancario e offerta di capitale di rischio in Italia, in Alexandre Lam- falussy, I mercati finanziari europei, Torino, Einaudi, 1972, pp. 175-208; Guido Carli (a cura di), Sviluppo economico e strutture finanziarie in Italia, Bologna, Il Mulino, 1977; Andrea Calamanti, Il mercato mobiliare italiano. Aspetti strutturali ed evolutivi nel secondo dopoguerra, Milano, Angeli, 1977; G. Carli (a cura di), La struttura del sistema creditizio italiano, Bologna, Il Mulino, 1978; Ministero del Tesoro, Rapporto sul sistema creditizio e finanziario (a cura di Mario Monti, F. Cesarini, Carlo Scognamiglio), Roma, 1982.
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cui termini di riferimento hanno finito per provocare la messa in discussione dei capisaldi stessi della legge bancaria del 1936: il principio della specializzazione funzionale dell’attività creditizia, e quello della separazione tra banca e industria6. La strutturale debolezza del mercato mobiliare e della borsa valori come strumento di finanziamento delle imprese e il limitato sviluppo di nuovi intermediari finanziari non bancari (investment trust, fondi di investimento) sono stati interpretati in questo quadro come il costo pagato ad un modello di finanziamento dell’accumulazione basato sulla centralità del titolo a reddito fisso e del credito speciale, espressione e causa al tempo stesso di un’imprenditoria ‘insana’ e irresponsabile, prigioniera di un sistema di incentivazione finanziaria che dagli anni cinquanta in poi ha aumentato la propria specializzazione parallelamente alla dipendenza dal potere politico, e attraverso il quale è passata la “conquista democristiana” del sistema creditizio7. Parallelamente, sul versante storiografico, quella particolare congiuntura economica — col riemergere di taluni elementi di instabilità finanziaria caratteristici degli
anni tra le due guerre (ripetuti fallimenti bancari, forte tensione sui meccanismi di finanziamento dell’accumulazione) — ha contribuito a focalizzare l’attenzione degli studiosi sui nodi della banca mista e del rapporto tra sistema bancario e accumulazione industriale nella storia dello sviluppo capitalistico italiano.
In questo contesto, la legge bancaria del 1936 è venuta assumendo il valore di cesura epocale sulla strada di una sana e corretta gestione del credito, grazie anche al definitivo consolidamento da parte della Banca d’Italia del proprio ruolo di “banca delle banche”8.
Va detto subito che si tratta di una impostazione corretta e imprescindibile, e tuttavia non pienamente convincente per un duplice ordine di considerazioni. Da un lato, e sul versante storiografico più generale, una valutazione puramente tecnocratica delle vicende attraversate dal sistema bancario e finanziario, rinuncia a confrontarsi col ruolo svolto dalle élites finanziarie e industriali come componente basilare del blocco di potere fascista prima, democristiano poi, e a porre il problema storiografico della loro trasfor-
6 Cfr. Michele Bagella, Gli istituti di credito speciale e il mercato finanziario (1947-1962), Milano, Angeli, 1986, pp. 13-16.7 La dottrina giuridica è stata la prima ad approfondire il tema dell’evoluzione degli strumenti di ausilio finanziario pubblico ai privati dal regime fascista al regime repubblicano: vedi Donatello Serrani, Lo Stato finanziatore, Milano, Angeli, 1971, che insiste sul passaggio degli strumenti di intervento e di direzione pubblica in economia da moduli autoritativi a moduli privatistici. Vedi anche Marcello De Cecco, Banca d ’Italia e “conquista politica’’ del sistema del credito. Tecnocrazia e politica nel governo della moneta tra gli anni ’50 e ’70, in II governo democratico dell’economia, Bari, De Donato, 1976, pp. 25-39, che attribuisce la sostituzione del capitale di rischio con debiti a lungo termine e a basso saggio di interesse da parte dei grandi gruppi industriali italiani alla massiccia fuga di capitali verso l’estero verificatasi all’inizio degli anni sessanta.8 Gli studi hanno preso avvio dagli ormai classici studi di Franco Bonelli, La crisi de! 1907. Una tappa dello sviluppo industriale in Italia, Torino, Fondazione Einaudi, 1971; e Antonio Confalonieri, Banca e industria in Italia (1894-1906), Bologna, Il Mulino, 1975. Sulle crisi del 1931-1934 e lo smobilizzo delle banche miste, vedi Gianni Tomolo (a cura di), Industria e banca nella Grande Crisi 1929-1934, Milano, Etas Libri, 1978, in particolare i saggi di Pasquale Saraceno, Nuovi assetti introdotti nel nostro sistema economico dalle misure richieste dalla Grande Crisi 1929-1935, pp. 5-17; e di G. Toniolo, Crisi economica e smobilizzo delle banche miste (1930-1934). Importanti anche i tre volumi di ricerche promosse dal Banco di Roma, Banca e industria tra le due guerre, Bologna, Il Mulino, 1981, in particolare l’intervento di Pasquale Saraceno, Salvataggi bancari e riforme negli anni 1922-1936, e i saggi di Mauro Marconi, La politica monetaria fra stabilizzazione della lira e grande depressione, e di Franco Belli, Le leggi bancarie del 1926 e del 1936-38.
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mazione — generazionale e sociologica — nel corso di un ventennio che vede lo “stato banchiere e imprenditore” nascere nel quadro istituzionale del regime fascista e trapassare nelle istituzioni del nuovo regime parlamentare-pluralista. D’altro canto, questa chiave di lettura sopravvaluta l’efficacia normativa di un provvedimento legislativo assai elastico — che, è stato opportunamente ricordato da Sabino Cassese, rinunciava a codificare tanto la banca “pura” quanto la separazione funzionale del credito — rispetto al complesso dei provvedimenti (si pensi alle convenzioni del 1934 per il salvataggio delle tre ex banche miste, e agli statuti degli istituti bancari e finanziari) che strutturano la reale “costituzione” del credito9. E in ogni caso, essa non porta alcun contributo alla individuazione del senso storicamente più pregnante della contraddizione di fondo che segna sin dall’inizio la vicenda dell’istituto di via Filodrammatici: quella di un ente pubblico (in quanto filiazione delle tre banche di interesse nazionale controllate dall’Iri) non solo operante in base a criteri di natura rigidamente privatisti
ca, ma soprattutto garante negli ultimi tren- t ’anni degli equilibri di potere tra i gruppi della grande industria e finanza privata (nonché della convivenza di questi ultimi con la parte pubblica). Dunque, è lungo il crinale che separa — e unisce — pubblico e privato che corre la possibilità di collocare in una prospettiva storica la nascita, lo sviluppo e le funzioni di Mediobanca.
Appare di fatto poco credibile — la notazione è di Franco Bonelli e risale ormai a più di quindici anni fa — una interpretazione della storia finanziaria italiana nel secondo dopoguerra che spieghi l’assenza di innovazioni nel settore del credito a lungo termine e mobiliare con la camicia di forza istituzionale imposta al sistema della legge bancaria: la vera chiave interpretativa di fondo sta nell’evoluzione dei rapporti di forza — e, sottolinea Bonelli, di simbiosi — tra centri di potere pubblici e privati, tenendo presente che “la proprietà e la gestione pubbliche del capitale e quelle private sono le due facce della stessa medaglia, e non già facciate contrapposte di edifici costruiti l’uno separata- mente dall’altro”10. Più in generale, nume-
9 Vedi a tale proposito le notazioni di Sabino Cassese, È ancora attuale la legge bancaria del 1936?, “Bancaria”, 1985, n. 3, pp. 7-10, ora in Id., Stato, banche e imprese pubbliche dagli anni ’30 agli anni ’80, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1987, pp. 33-35.10 Vedi Franco Bonelli, L ’entroterra storico di alcuni problemi attuali del sistema bancario, in Paolo Vitale (a cura di), L ’ordinamento del credito tra due crisi, Bologna, Il Mulino, 1977, pp. 94-95, che notava come si insistesse — nel dibattito sempre più critico nei confronti della legge bancaria — sulla necessità della diffusione del titolo azionario, sorvolando però su temi imprescindibili quali la riforma della Borsa e delle società per azioni. Una conferma del particolare intreccio pubblico-privato realizzatosi ancora nel dopoguerra intorno alle banche irizzate e della continuità di rapporti con i più forti centri di potere industriale e finanziario privati è fornita dai numerosi intrecci di cariche: Piero Ferrerio (Edison), Vittorio Valletta (Fiat), più tardi Carlo Faina (Montecatini), e il presidente della Confindustria, Angelo Costa, siedono tutti nel consiglio del Credit; Antonio Rossi, amministratore delegato (con Raffaele Mattioli) della Comit e consigliere di Mediobanca, è anche vicepresidente della Coniel (Compagnia nazionale imprese elettriche), della Sade e di altre società elettriche legate al gruppo veneto; Mino Brughera, vicepresidente del Credit e anch’egli consigliere di Mediobanca, siede nel consiglio della Cieli (Compagnia imprese elettriche liguri), holding del gruppo Edison. Camillo Giussani associa alla carica di presidente della Banca commerciale italiana (Comit) quella di vicepresidente delle Assicurazioni generali, mentre Carlo Orsi siede contemporaneamente sulle poltrone di vicepresidente di Credit e Ras (Riunione adriatica di sicurtà). Su questo aspetto si era già puntata, per il periodo successivo allo smobilizzo, l’attenzione di Pietro Grifone, Il capitale f i nanziario in Italia. La politica economica del fascismo, Torino, Einaudi, 1971 (1945), p. 173. Le notizie sulla composizione dei consigli di amministrazione nel secondo dopoguerra sono tratte da Assonime, Notizie statistiche sulle società italiane per azioni, Roma, 1949 e 1953. Un quadro esauriente degli intrecci delle cariche, riferito alla
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rosi indicatori statistici stanno a testimoniare lo stretto rapporto esistente a livello funzionale tra le due banche di interesse nazionale (Bin) settentrionali (e il sistema bancario nel suo complesso) e gruppi industriali, finanziari e assicurativi privati sul terreno del finanziamento all’industria11. È alla luce di questi elementi, sia pure approssimativamente enunciati, che può valutarsi appieno il senso politico di quel modello del “banchiere pubblico” prevalso nelle banche di interesse nazionale, e in quelle settentrionali in misura largamente superiore al Banco di Roma: piena indipendenza dal ‘principe’, carriera rigorosamente interna della più alta dirigenza, norme statutarie che ne indirizzano espressamente l’attività verso il sostegno e lo sviluppo dell’industria12. Si può dunque individuare nel rapporto tra l’azionista Iri e le Bin — e di conseguenza con il loro strumento Mediobanca — una spiccata contiguità con l’esperienza degli enti di Beneduce, e con la radice nittiana di intervento pubblico in economia attuato secondo moduli privatistici: in questo senso, Mediobanca va considerata un ulteriore tassello nella costituzione di un sistema finanziario non dipendente dal Tesoro, e come parte integrante del “doppio circuito” della finanza pubblica (da un lato, quello statale, dall’altro quello extrastatale)13. Ma
questa fedeltà ad un codice genetico non può costituire in se stessa un dato inequivocabile di continuità. Questa va piuttosto misurata sia sul metro della specificità degli istituti fondanti — in questo caso le tre ex banche miste — sia soprattutto alla luce della profonda ristrutturazione che le istituzioni del capitalismo italiano conoscono tra la metà degli anni trenta e l’immediato dopoguerra.
Un primo passaggio cruciale — riprendendo una notazione avanzata a suo tempo da Pietro Grifone — va individuato nel fatto che, con lo smobilizzo delle banche miste, la base di attività dei gruppi di comando del capitale finanziario — sostenuto da vecchi e nuovi istituti di credito speciale (Imi, Istituto mobiliare italiano, Icipu, Istituto di credito per le imprese di pubblica utilità, Csvi, Consorzio per le sovvenzioni sui valori industriali) — si sposta all’interno dei grandi complessi oligopolistici organizzati verticalmente e orizzontalmente e raccolti sotto il controllo di potenti holding, con un processo che interessa tanto i gruppi irizzati che quelli rimasti in mano ai privati. Dal punto di vista del controllo, ciò provoca una netta polarizzazione: da un lato, le società di cui Tiri è netto azionista di maggioranza; dall’altro, quelle private — con in testa i maggiori gruppi elettrici — i cui
prima metà degli anni cinquanta, è fornito da II Chi è? della finanza italiana. Repertorio dei presidenti, degli amministratori, dei consiglieri e dei sindaci delle società per azioni e degli istituti di credito in Italia, Milano, Il Mercurio Editore, 1956.11 A tale proposito vedi le notazioni di Simonetta Botarelli, Credito e assicurazioni private a sostegno dell’accumulazione dei capitale-, e Antonio Scialoja, Il sistema delle assicurazioni private nell’indagine della Commissione economica per la Costituente, entrambi in Andrea Orsi Battaglini (a cura di), Amministrazione pubblica e istituzioni finanziarie tra Assemblea Costituente e politica della ricostruzione, Bologna, Il Mulino, 1980, rispettivamente pp. 205-222 e 422-445.12 Cfr. Gianni Manghetti, Le mani sulle banche, Milano, Feltrinelli, 1983, pp. 81-92, che identifica un secondo modello di banchiere pubblico, prevalso all’interno degli istituti di diritto pubblico (Banca nazionale del lavoro, Banco di Napoli, Banco di Sicilia) e nelle casse di risparmio, legato a doppio filo al potere politico. Vedi anche a tale proposito Lorenzo Frediani, Le Banche di interesse nazionale, Milano, Angeli, 1981.13 Utili spunti di riflessione in S. Cassese, Gli “statuti” degli enti di Beneduce, “Storia contemporanea”, 1984, n. 5, pp. 945-946; e Franco Bonelli, Alberto Beneduce, in Alberto Mortara (a cura di), Protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, Angeli, Milano, 1984, pp. 335-344.
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gruppi di comando si stringono intorno al sindacato di controllo della più potente società finanziaria privata, le Strade ferrate meridionali (ex Bastogi), al tempo stesso garante degli equilibri proprietari privati, e ponte verso alcuni settori formalmente iriz- zati (si pensi alle società elettriche Sip e Me- ridelettrica) ma di fatto operanti in stretto contatto con i gruppi dirigenti privati14. Appare emblematico il fatto che il passaggio deiriri ad ente permanente e i provvedimenti del 1938 per la immobilizzazione obbligatoria del risparmio in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, come strumento per convogliare forzosamente quote crescenti di risparmio verso il debito pubblico a sostegno del riarmo, venga ampiamente compensata per le grandi società da una serie di provvedimenti tributari mirati ad agevolare al grande capitale mobiliare una ulteriore spinta alla concentrazione e alla verticalizzazione degli assetti societari. Ne emerge un modello di circuito dei capitali che da una parte privilegia i titoli di Stato o garantiti dallo Stato e scava perciò un canale preferenziale di finanziamento per i gruppi “autarchici” entrati nell’orbita pubblica, ma che dall’altra consente alle società private livelli del tutto inconsueti di autofinanziamento (limitazioni dei dividendi, rivalutazioni dei cespiti patrimoniali, facoltà di riscontro dei titoli rappresentativi di crediti per commesse statali), sal
vo ricorrere a crediti statali integrativi sotto forma di mutui a lungo termine contratti con l’Imi e l’Icipu15. Non a caso le agevolazioni in materia di concentrazioni e fusioni verranno mantenute e rinnovate nell’immediato dopoguerra16 17. Si creano così le condizioni per il conseguimento di una più profonda indipendenza finanziaria come passo in direzione di una configurazione tipica della moderna corporation11 . Ecco dunque il punto: l’ideazione, la nascita, lo sviluppo di Mediobanca vanno collocati all’interno di una profonda ristrutturazione del capitale finanziario italiano, pubblico e privato, che parte dalla seconda metà degli anni trenta per arrivare a lambire gli anni cinquanta: un processo di crescente concentrazione e verticalizzazione dei gruppi di comando della finanza, sulla cui evoluzione ancora oggi non disponiamo che di suggestive indicazioni di ricerca18, ma la cui geografia — resa complessa dalla proliferazione di barocchismi di ingegneria finanziaria, e degli scambi incrociati di partecipazioni tra capogruppo e controllate — è stata disegnata compiutamente nell’immediato dopoguerra dai risultati, purtroppo sistematicamente ignorati nelle ricerche di economisti e storici, della indagine straordinaria sulle società per azioni condotta nel periodo della Costituente19. È nei confronti di questo nuovo assetto del capitale finanziario italiano, ereditato dal seconde dopoguerra e basato
14 Cfr. P. Grifone, Il capitate finanziario cit., pp. 168-183. Sul ruolo di equilibrio svolto dalla ex Bastogi — alla guida della quale troviamo significativamente lo stesso Beneduce dal 1926 al 1939 — vedi anche F. Bonelli, Alberto Beneduce cit., pp. 355-356.15 Su questi temi, vedi Giuseppe Maione, L ’imperialismo straccione. Classi sociali e finanza di guerra dall’impresa etiopica al conflitto mondiale (1935-1943), Bologna, Il Mulino, 1979, pp. 185-226 e 241-259; e Massimo Legnani, Su! finanziamento della guerra fascista, in Francesca Ferratini Tosi - Gaetano Grassi - Massimo Legnani (a cura di), L ’Italia nella seconda guerra mondiale e nella Resistenza, Milano, Angeli, 1988, pp. 288-299.16 Cfr. D. Serrani, Lo stato finanziatore cit., pp. 58-59.17 Cfr. Paul A. Baran - Paul M. Sweezy, Il capitale monopolistico. Saggio sulla struttura economica e sociale americana, Torino, Einaudi, pp. 16-17.18 Vedi Giorgio Mori, Per una storia dell’industria italiana durante il fascismo, in “Studi storici” , 1971, n. 1, pp. 19-23; Id. Métamorphose ou réincarnation? Industrie, banque et régime fasciste en Italie 1923-1933, “Revue d’Hi- stoire Moderne et Contemporaine”, 1978, n. 2, pp. 265-274.19 Nell’ambito dei lavori della Commissione economica della Costituente, la pubblicazione dei risultati dell’indagine si limitò alla relazione di Francesco Coppola D’Anna, Le società per azioni in Italia, in ministero per la Costi-
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sul ruolo egemone delle grandi società finanziarie, pubbliche e private, le cosiddette holding “pure” o “miste”20, che va misurato il ruolo svolto non solo da Mediobanca e dalle banche di interesse nazionale, ma dall’intero sistema del credito all’industria.
La difficile eredità della “banca mista” . Finanziamento della ricostruzione e riforma del credito mobiliare nell’immediato dopoguerra
Quale ruolo spettava al sistema creditizio nel finanziamento della ricostruzione dell’industria italiana? Quali modifiche andavano apportate, a tale scopo, alla struttura istituzionale del sistema bancario e finanziario ereditata dagli anni trenta e formalizzata nei dettami della legge bancaria? Queste le domande di fondo alle quali, nei primi mesi del 1946, la Commissione economica della Costituente chiama a rispondere i più qualificati rappresentanti dell’industria e della finanza. Anche le norme del 1936 passano dunque al vaglio
dell’egemonia liberista postbellica, con le conseguenze che numerosi studi hanno efficacemente puntualizzato: regressione del rapporto tra banca centrale e sistema creditizio dal “controllo” alla “vigilanza”, autogoverno di fatto di un sistema bancario che si configura come vero e proprio corpo separato rispetto agli organismi rappresentativi e allo stesso esecutivo, cassazione di ogni ipotesi di manovra programmata del credito21. La natura privatistica di Mediobanca va perciò considerata non tanto un problema di continuità, quanto l’esito di una battaglia — e di una sconfitta — politica che ha segnato in misura determinante la struttura dei poteri economici e finanziari fino almeno alla metà degli anni sessanta, e in alcuni casi fino ad oggi. Il pesante condizionamento liberista traspare con evidenza dai risultati dell’indagine della Commissione sul sistema creditizio e assicurativo. La foga antipianificatrice e l’enfasi posta sul portato ‘tecnico’ delle norme bancarie, soprattutto in relazione al nodo fonda- mentale della specializzazione del credito22,
tuente, Rapporto della commissione economica (d’ora in poi indicato come Ree), II, Industria, voi. Ili, pp. 231- 253. I risultati completi vennero pubblicati, con ulteriori ampliamenti e approfondimenti, in due volumi: Radar, Organizzazione del capitale finanziario italiano (Quaderno di “Critica economica”, la rivista del Cer), Roma, Edizioni Italiane, 1948; Cgil-Ufficio statistica, Struttura dei monopoli industriali in Italia, Roma, Ed. Progresso, 1949. Vedi anche Ermete Zerini [pseudonimo], L ’economia capitalistica e i vari aspetti delle egemonie economiche in Italia, “Critica economica”, 1947, nn. 5, 6 e 7. Sugli sviluppi del periodo postbellico, Luciano Conosciani, La struttura monopolistica dell’economia italiana, ivi, 1955, n. 3, pp. 40-65. Si sofferma bevemente su questi aspetti della struttura industriale e finanziaria italiana Camillo Daneo, La politica economica della Ricostruzione 1945-1949, Torino, Einaudi, 1975, pp. 37-40.20 Sulla distinzione tra holding “pure” e “miste”, a seconda che, oltre a detenere il controllo di un gruppo di società, esercitino o meno una diretta attività produttiva, cfr. Roberto Weigmann, Società per azioni, in Marcello Car- magnani-Alessandro Vercelli (a cura di), Economia e storia, Firenze, La Nuova Italia, 1978, “Il mondo contemporaneo”, vol. II, pp. 846-847. Possiamo ritenere holding “pure” le finanziarie Iri (Stet, Finmare, Finsider, Finmeccanica) e le private Strade ferrate meridionali (la ex Bastogi), La Centrale, Pirelli e C., Ifi (Fiat), Gim-Generale industrie metallurgiche (gruppo Bruno-Orlando); vanno considerate “miste” le irizzate Sip, Meridelettrica, Setemer, le stesse Terni e Ansaldo, e le private Edison, Sade, Montecatini, Snia Viscosa, Italcementi, Italgas, Falck, Breda: vedi Cgil, Struttura dei monopoli industriali in Italia cit., in particolare pp. 96-100.21 Vedi Franco Belli, “Controllo-governo” del credito: indagine sull’evoluzione dell’ordinamento, in P. Vitale (a cura di), L ’ordinamento del credito tra due crisi cit., pp. 48-49; Marcello De Cecco, Note sugli sviluppi della struttura finanziaria nel dopoguerra, in Id., Saggi di politica monetaria, Milano, Giuffrè, 1968, pp. 39-47; Gaetano Traisi, Inchiesta su! sistema bancario, Bari, De Donato, 1970, pp. 51-65; Stefano Merlini, Struttura del governo, centri “separati” di potere e indirizzo di polìtica economica, in II governo democratico dell’economia cit., pp. 83-93.22 Vedi F. Belli, Aspetti e problemi del controllo dell’intermediazione bancaria in sede di Commissione economica per la Costituente, in Andrea Orsi Battaglini (a cura di), Amministrazione pubblica e istituzioni finanziarie cit., pp. 89-135.
L’eredità della banca mista 633
rinviano immediatamente allo scontro politico in atto tra la fine del 1945 e la prima metà del 1946: scontro che ruota meno intorno alle nazionalizzazioni bancarie proposte dalle sinistre23, e in misura assai più rilevante intorno all’assetto istituzionale scaturito dal noto decreto del 1944 che fissava la rigida subordinazione del sistema bancario al Tesoro24. È in questo contesto, sovrastato dalle battaglie sui progetti di fiscalità straordinaria e sul cambio della moneta25, che si avvia la discussione sulla riforma del credito mobiliare: discussione istituzionale destinata tuttavia a cedere presto il passo all’incalzare dei nodi di politica monetaria, mentre proprio lungo il percorso che conduce alla stretta deflazionistica, una serie di operazioni istituzionali ridisegna la struttura dei poteri economici, conferendo alla Banca d’Italia l’autonomia dell’esecuti
vo, la supremazia sul sistema bancario e un’ampia discrezionalità nella disciplina delle emissioni di valori mobiliari e degli impieghi degli istituti di credito26.
A questo esito non appaiono in ogni caso estranei i risultati del confronto all’interno della commissione, i cui connotati risultano tutt’altro che liberisti, eccezion fatta per qualche operatore di borsa affascinato da paradisi “lussemburghesi”27. Non si pongono nemmeno in discussione la necessità di un ruolo dello Stato nel credito all’industria e la separazione tra banche ordinarie e istituti di credito speciale e mobiliare28; né si levano voci a reclamare la riprivatizzazione delle banche irizzate — tema, questo, particolarmente caro a qualche membro della commissione, da Giovanni Demaria e Ernesto D’Albergo: “una gravissima iattura”,
23 Ree, IV, Credito e assicurazione, vol. I, Relazione, pp. 330-332. Sulla nazionalizzazione delle banche irizzate e degli istituti di credito di diritto pubblico, la Commissione restò divisa tra chi dichiarava già conseguiti gli obiettivi della nazionalizzazione in virtù del controllo statale sulle grandi banche, e chi individuava nella proprietà collettiva la maggior garanzia per la loro indipendenza da interessi di gruppi particolaristici e il loro coordinamento “per la massima utilità pubblica e per lo sviluppo di una più equilibrata economia.” L’esempio francese era riproposto dalle forze politiche di sinistra proprio con l’obiettivo di rescindere definitivamente i legami tra grandi banche e gruppi industriali e finanziari, oltre che come strumento di una politica economica di piano.24 II dllgt. 14 settembre 1944, n. 226, stabiliva la soppressione dell’Ispettorato per la difesa del risparmio e per l’esercizio del credito e il passaggio delle sue attribuzioni al ministero del Tesoro.25 A tale proposito possono considerarsi ormai classici gli studi di Enzo Piscitelli, Da Porri a De Gasperi. Storia del dopoguerra 1945-1948, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 191-230; e Mariuccia Salvati, Stato e industria nella ricostruzione. Alle origini del potere democristiano 1944-1949, Milano, Feltrinelli, 1982, pp. 190-207.26 Si fa riferimento naturalmente al decreto legislativo del Cps 17 luglio 1947, n. 691, che sopprimeva l’Ispettorato per la tutela del risparmio, ricostituiva il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (presieduto dal ministro del Tesoro) e attribuiva alla Banca d’Italia, autonoma dall’esecutivo, i più ampi poteri di governo dell’intero settore creditizio. Per una discussione sul riassetto istituzionale dei rapporti tra amministrazione e governo implicito nel provvedimento, vedi M. De Cecco, Note sugli sviluppi cit., pp. 43-45; S. Merlini, Struttura del governo, centriseparati di potere cit., pp. 83-88; F. Belli, Aspetti e problemi del controllo cit., pp. 135-163.27 Ree, IV, vol. II, Interrogatori di Antonio Foglia, presidente dell’Associazione tra gli agenti di cambio, e di Giorgio Pivato, procuratore generale degli agenti di cambio, della Borsa di Milano e direttore dell’Istituto di studi sulle borse valori dell’Università Bocconi, pp. 225-227 e 264-265, sostenitori accaniti della banca privata e della completa deregolamentazione del mercato mobiliare e dei cambi, in vista di un massiccio afflusso di capitali stranieri in cerca di “anonimità, discrezione e segretezza” .28 Cfr. M. Bagella, Gli istituti di credito speciale cit., pp. 28-29 e 43-47, la cui attenzione si sofferma sul fatto che, tra gli interrogati, “sulle questioni di principio non vi furono grandi contrasti” , né si registrò “alcuna preconcetta avversione nei confronti della presenza dello Stato nel settore del credito” : ciò dimostrerebbe l’egemonia di un “liberalismo interventista di estrazione keynesiana” su una visione neoclassico-monetarista più ortodossa. Sui risultati dell’indagine della Commissione economica della Costituente in materia creditizia, vedi anche Carlo Pace - Giovanna Morelli (a cura di), Origini e identità del credito speciale, Milano, Angeli, 1984, pp. 311-392, che tuttavia si limita a ribadire le ragioni teoriche — mantenimento della liquidità del sistema, parallelismo delle scadenze delle operazioni di raccolta e impiego — che militano a favore della specializzazione del credito.
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avrebbe icasticamente commentato l’amministratore delegato della Comit, Raffaele Mattioli, giacché la privatizzazione avrebbe potuto essere finanziata solo dalle stesse banche da privatizzare29. D’altra parte, le critiche mosse nel corso degli interrogatori al funzionamento degli istituti parastatali di credito industriale, e all’Imi in particolare, vertono non su eventuali discriminazioni compiute ai danni di gruppi privati, ma sull’adozione di una strategia finanziaria (concessione di crediti dietro garanzie reali) che aveva puntato quasi esclusivamente sullo strumento del mutuo ipotecario a scapito del vero e proprio credito mobiliare (pure compreso tra le funzioni consentite all’Imi dal proprio statuto)30.
La riconsiderazione pubblicamente compiuta dall’élite industriale e finanziaria dell’esperienza degli anni trenta — ossia di un circuito dei capitali rigidamente vincolato al bilancio statale — si lega inscindibilmente al problema cruciale di neutralizzare le potenzialità di intervento politico sul credito (non vi leggerei soltanto il riflesso dei timori suscitati dalle sinistre al governo e da una situazione istituzionale ancora incerta, ma un più profondo rigetto della democrazia e delle sue implicazioni). Emblematico sotto questo aspetto risulta ancora una volta il polemico intervento di Mattioli, interamente giocato sulla rivendicazione della piena indipendenza delle tre banche di interesse
nazionale dal loro azionista Iri e sull’attribuzione esclusiva alla banca centrale — contro ogni velleità di intervento politico “attivo” (identificato nell’assunzione da parte del Tesoro delle funzioni esercitate dall’Ispettorato di vigilanza) — della prerogativa di impartire le direttive generali della politica monetaria e creditizia31: a dimostrazione di come i ‘sani’ principi di autonomia e supremazia della ‘tecnica’ — l’impresa bancaria — sulla politica siano in grado di tradurre con intelligenza ed efficacia la strenua difesa di una posizione di potere entro le coordinate di un discorso politico antifascista.
Ma non è alle necessità immediate della ripresa produttiva e della ricostituzione delle scorte (ampiamente assicurate dal sistema bancario ordinario) che si indirizzano le attenzioni più pressanti — sebbene la congiuntura del 1946 tenda giocoforza a enfatizzare i problemi del credito di esercizio (soprattutto come adeguamento del circolante agli effetti dell’inflazione e alla nuova struttura dei costi di produzione) — quanto piuttosto ai problemi di equilibrio finanziario delle maggiori imprese. Su questo terreno la commissione incontra un coro di voci deciso ad ottenere — con diversità di toni e obiettivi — una riforma delle istituzioni finanziarie ed efficaci agevolazioni normative e fiscali alla formazione di sindacati bancari per il collocamento di titoli industriali32, in nome della rottura del ‘monopolio statale’ del credito
29 Ree, IV, vol. II, Interrogatorio di Raffaele Mattioli, p. 297.30 Sui limiti dell’azione dell’Imi nel campo del credito industriale, vedi la risposta dell’Associazione bancaria al questionario sul credito mobiliare, in Ree, IV, vol. II, p. 386; e le critiche del presidente della Edison, Piero Ferre- rio, ivi, II, vol. II, pp. 164-165. Tali accuse furono decisamente respinte dall’ex presidente dellTmi, Paride For- mentini, nel corso del suo interrogatorio: ivi, IV, vol. II, pp. 103-105. Sullo statuto dellTmi e la sua attività dalla fondazione allo scoppio della seconda guerra mondiale, vedi Francesco Cesarini, Alle origini del credito industriale: rim i negli anni Trenta, Bologna, Il Mulino, 1982.31 Cfr. Ree, IV, vol. II, Interrogatorio di Raffaele Mattioli, pp. 292-293: “Quando si stabilì l’assunzione dell’Ispettorato da parte del Tesoro, mi sono permesso di esprimere il mio pensiero chiaramente e insistentemente al ministro Soleri, sembrandomi che la Banca d’Italia non dovesse continuare in una politica di rinuncia alle sue attribuzioni essenziali” .j2 Insiste particolarmente su quest’ultimo aspetto la Edison, che vi vede la possibilità di evitare il ricorso ai finanziamenti Imi e Icipu, finora agevolati da concessioni fiscali: Ree, II, vol. III, Questionario n. 6, risposta della socie-
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all’industria33, anche a costo di intaccare la sacralità del principio di specializzazione del credito. Non a caso alle proposte di reintroduzione in Italia della merchant bank e per l’istituzione della banca di credito a medio-lungo termine — istituti esplicitamente finalizzati ad integrare con iniziative private i canali di finanziamento a disposizione della grande industria — fa da sponda la tambureggiante offensiva per la piena deregolamentazione del mercato mobiliare: abolizione della nomina- tività e dei gravami fiscali sui titoli (imposta sui dividendi, sovrimposta di negoziazione), abolizione delle limitazioni sugli aumenti di capitale, sblocco dei dividendi, in una parola lo smantellamento del complesso di norme attraverso le quali il regime fascista aveva convogliato forzosamente quote sempre più elevate di risparmio nazionale per il soddisfacimento delle esigenze finanziarie dello Stato, e che nel dopoguerra rischiavano di essere utilizzate per finalità sociali o ‘pianificatone’34. Del resto, su questo stesso versante, la campa
gna confindustriale per una “difesa della lira” tutta imperniata sulla lesina della finanza statale era destinata a ricevere un avallo autorevole dalla politica di Epicarmo Corbino al Tesoro, finalizzata a rimuovere ogni ostacolo all’afflusso del risparmio sui titoli industriali, con le note deleterie ripercussioni sull’aggravamento della spirale inflazionistica35.
Su questo terreno, insistente è il richiamo al ruolo demiurgico del capitale straniero privato (“al quale — scrive la commissione nella sua relazione conclusiva — occorre creare le condizioni più favorevoli per trovare conveniente impiego nelle nostre imprese industriali”); e poiché, come avrebbe tenuto a precisare l’allora presidente dellTri, Giuseppe Paratore:
La costituzione della nuova banca a medio termine potrebbe avere molta importanza [...] ma alla condizione di avere carattere internazionale. [...] Le banche di interesse nazionale si trovano in una situazione di inferiorità, perché non possono prendere titoli industriali. Con questa banca l’inferiori- tà è tolta36.
tà Edison, p. 99. Vedi anche ivi, vol. II, Interrogatorio di Teresio Guglielmone, pp. 343-344: “Il sistema del finanziamento — afferma il noto banchiere e presidente della Cogne, presidente della Commissione economica del Cln piemontese, nonché futuro senatore democristiano — è in funzione di una necessaria disciplina del credito che deve consentire l’utilizzo, anche a media scadenza, delle disponibilità liquide degli istituti di credito”. Esemplari anche le dichiarazioni rese dal direttore dell’Assonime, Francesco Coppola D’Anna, — ivi, VI, Vol. II, pp. 67-75 — peraltro scettico nei confronti delle possibilità di successo della progettata “banca a medio termine” e propenso soprattutto ad un’estensione dell’offerta di titoli industriali a reddito fisso con possibilità di conversione in azioni (i cosiddetti warrants): “noi siamo di fronte a questo problema: di utilizzare il risparmio che non vuole impegnarsi per lungo tempo, in investimenti che comportano una immobilizzazione spesso di lunga durata. Questo è un problema che esiste in tutti i paesi, ma esiste di più in un paese povero di capitali come il nostro.”33 Singolarmente isolata in questo contesto appare la Fiat: vedi Ree, II, voi. Il, Interrogatorio di Vittorio Valletta, pp. 352-353: “Il povero Soleri (ministro del Tesoro, liberale), che era un mio grande amico, e a cui parlavo molto chiaro, mi accennò un giorno al decreto che stabiliva in 10 miliardi la cifra per gli aiuti all’industria. Io gli dissi: preparati a metterci tre zeri vicino; si vede che l’ordine di grandezza, caro Soleri, non ti è venuto in testa. I suoi successori hanno portato i 10 miliardi a 15; adesso pare che siano disposti a portarli a 20-25 miliardi; ma 25 miliardi sono una cosa ridicola.”34 Ree, IV, vol. I, Relazione, p. 234 e pp. 309-328; vedi anche ivi, IV, vol. II, Risposta dell’Associazione bancaria italiana al questionario sul “credito mobiliare”, pp. 394-395.35 Sull’inflazione e sull’azione di Epicarmo Corbino al Tesoro vedi Paolo Baffi, Memoria sull’azione di Einaudi 1945-1948, in Id., Studi sulla moneta, Milano, Giuffrè, 1965, pp. 177-193; Marcello De Cecco, Sulla politica di stabilizzazione del 1947, in Saggi di politica monetaria, Milano, Giuffrè, 1968, pp. 121-129; oltre a E. Piscitelli, Da Porri a De Gasperi cit., pp. 191-209; e M. Salvati, Stato e industria nella Ricostruzione cit., pp. 208-216. Sulle valenze ideologiche dell’antistatalismo confindustriale dell’immediato dopoguerra, vedi Massimo Legnani, L ' utopia grande-borghese”. L ’associazionismo padronale tra ricostruzione e repubblica in Aa.Vv., Gli anni della Costituente, strategie dei governi e delle classi sociali, Milano, Feltrinelli, 1983, pp. 165-168.36 Ree, II, vol. II, Interrogatorio di Giuseppe Paratore, pp. 457-458.
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In queste parole, riforma del credito mobiliare e intervento del capitale straniero si intrecciano in termini non dissimili da quelli prospettati di lì a poco da Libero Lenti sulla stampa confindustriale, e da Cesare Merza- gora dalla tribuna del noto convegno milanese sul commercio estero del marzo 1946, allorché esortava a “rapidamente creare gli organismi tecnici per agevolare, convogliare e controllare questo afflusso” e si augurava (con riferimento alle iniziative in via di attuazione, ossia Unione bancaria, poi Mediobanca, a Milano, ed Ente finanziamenti industriali a Roma) che “le autorità competenti [si dimostrassero] comprensive della necessità di agevolare — per quanto purtroppo loro concerne — simili iniziative”37.
Torna dunque al pettine il nodo di fondo che la crisi bancaria della prima metà degli anni trenta aveva momentaneamente sciolto: quello della indispensabilità, nella crisi di transizione postbellica, del sostegno fornito ai grandi gruppi industriali dalla moneta e dal sistema bancario, al quale viene richiesto di svolgere “nel suo complesso” e “ancor di
più che in passato” — e sia pure attraverso appositi istituti — funzioni di “trasformato- re, e non già di semplice intermediario, del risparmio” (così avrebbe argomentato con grande chiarezza Amedeo Gambino38, direttore generale dell’Efi, istituto privato che in quello stesso frangente stava sondando le possibilità di convertire la propria attività verso l’esercizio del credito a medio termine)39. Il vuoto lasciato sul fronte privato dell’economia dal crollo della banca mista trova insomma una risposta assai lontana dai modelli anglosassoni di specializzazione creditizia40: del resto, si può condividere il giudizio di Massimo S. Giannini per cui “la marginalizzazione del capitale finanziario privato italiano fu [...], insieme alla direzione pubblica del credito, il risultato politico più importante della riforma bancaria del 1936”41 — se per capitale finanziario si intende l’impresa bancaria. Si chiede anzi alle nuove istituzioni finanziarie di riproporre il modello operativo della banca mista al livello più generale di funzionamento dell’intero sistema bancario. D’altra parte, se la crisi
37 Vedi Cesare Merzagora, Gli investimenti di capitati esteri in Italia e di capitali italiani all’estero, Relazione al I Convegno nazionale sul commercio estero (Milano, 11-14 marzo 1946), in Insmli, Carte Merzagora, b. 21, fase. 11; e l’articolo di Libero Lenti (già capo dell’Ufficio studi della Snia Viscosa), “Il Corriere d’informazione”, 20 aprile 1946 (poi in “Notiziario Cgil” , n. 8, 1946).38 Pur pronunciandosi contro l’assunzione da parte delle banche, “apertamente o surrettiziamente”, del finanziamento di operazioni mobiliari o del “primo rischio” di tali operazioni, Gambino sottolineava anche la necessità di consentire alle stesse banche di assorbire titoli emessi dai nuovi istituti a medio, di concedere loro finanziamenti transitori per equilibrare le operazioni attive coi termini di scadenza dei titoli, e di finanziare direttamente le imprese bisognose di credito mobiliare in attesa del perfezionamento delle operazioni con gli istituti specializzati: Ree, IV, vol. II, Interrogatorio di Amedeo Gambino, pp. 12-16.39 L’Efi era stato costituito nel 1939 ad opera di alcune società industriali private (Fiat, Pirelli, Edison, Nebiolo, Breda, Tosi, Piaggio, Acna, Metallurgica italiana, Bomprini Parodi, Nobel), col compito di effettuare operazioni di risconto presso il Consorzio sovvenzioni sui valori industriali (Csvi) dei crediti detenuti da imprese verso le pubbliche amministrazioni per l’esecuzione di commesse statali. Nell’immediato dopoguerra l’ente aveva invece assunto il ruolo di “consegnatario centrale” dello Stato, e per esso dell’Istituto per il commercio estero (Ice), per l’importazione dai paesi alleati di materiali “inerenti alle industrie elettriche ed elettroniche ed a quelle della gomma”; tuttavia fin dal 1945-1946 la dirigenza Efi aveva preso in considerazione la possibilità di allargare il proprio raggio d’azione all’esercizio del credito a medio termine. Vedi M. Bagella, Gli Istituti di credito speciale cit., p. 68.40 Per una sintetica definizione del modello anglo-americano di sviluppo finanziario — tracciato da J.G. Gurley e E.S. Shaw a metà degli anni cinquanta (di questi autori in italiano La moneta in una teoria de! finanziamento, Milano, Cariplo, 1965) — vedi Fausto Vicarelli, Credito, in Dizionario di economia politica, diretto da Giorgio Lunghini con la collaborazione di Mariano D’Antonio, Torino, Boringhieri, 1983, pp. 101-104.41 Vedi l’intervento di Massimo S. Giannini, in M. Porzio (a cura di), La legge bancaria. Note e documenti sulla sua storia segreta, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 239-242.
L’eredità della banca mista 637
del 1931-1934 aveva forse definitivamente posto termine alla parabola della ‘banca holding’42, non era certo convinzione unanimemente condivisa che con essa fosse irrimediabilmente tramontata anche l’esperienza della banca mista43.
Capitale straniero e ricostruzione: i tentativi della finanza privata
L’insistenza con la quale da più parti viene sollevata la necessità vitale del legame tra nuova articolazione del sistema creditizio e intervento finanziario del capitale straniero ci ricorda come la scomparsa delle ‘banche holding’ avesse privato l’economia italiana delle istituzioni che, tra gli anni venti e trenta, avevano svolto un ruolo guida nel consentire ai maggiori gruppi industriali l’accesso al mercato finanziario internazionale44. Quella breve e certo non del tutto riuscita esperienza — già esauritasi di fatto ancor
prima di essere travolta dagli effetti della grande crisi45 — sembra rappresentare un punto essenziale di riferimento per i tentativi di nuovo coinvolgimento della finanza straniera nell’economia dell’Italia postbellica. È noto con quanta tempestività — in previsione della cessazione del regime di occupazione e della restituzione al governo italiano delle responsabilità finanziarie da parte delle autorità militari alleate — già tra la fine del 1944 e la primavera del 1945 i governi Bono- mi si vennero adoperando, con esiti peraltro negativi, per una ripresa di contatti con enti e istituzioni finanziarie americane. Del resto, il dato di fondo di questa fase interlocutoria, dominata dalla contraddittorietà dei segnali provenienti da oltre Atlantico sulla futura politica economica nei confronti non solo dell’Italia ma dell’intera Europa liberata, consiste proprio nell’emergere graduale della centralità degli aiuti governativi da un contesto nel quale, ancora nel corso del 1945-1946, i canali finanziari privati sem-
42 Efficaci a tale proposito le considerazioni di Pasquale Saraceno, Donato Menichella e il rapporto Banca-Industria, “Rivista di storia economica”, 1984, n. 2, pp. 271-273.43 Vedi la risposta di Coppola D’Anna al questionario della Commissione sulla separazione tra credito ordinario e mobiliare, Ree, IV, vol. II, pp. 395-396, per il quale l’esercizio del credito mobiliare da parte delle banche ordinarie aveva certo influito sulle ricorrenti crisi bancarie; queste tuttavia erano state riflesso delle crisi economiche, e se le banche “avessero potuto mantenere in portafoglio fino alla ripresa i titoli che possedevano al momento della crisi, avrebbero forse finito col pareggiare le perdite che hanno subito.” Ma nella Commissione stessa non si manca di sottolineare il ruolo determinante delle banche miste nello sviluppo dell’accumulazione industriale italiana. Si chiedeva ad esempio Gaetano Di Nardi, (ivi, p. 69): “possiamo consentirci di avere un sistema bancario specializzato, che dal punto di vista tecnico appare indubbiamente preferibile, ma che tuttavia per la improrogabile esigenza di vedere rapidamente ricostruita la nostra attrezzatura produttiva, può costituire, in un certo senso, una remora al raggiungimento dello scopo?”.44 Sulle strategie messe in atto dalla Comit e dai maggiori gruppi elettrici nei confronti del capitale finanziario americano, vedi Giorgio Mori, Nuovi documenti sulle origini dello “Stato industriale” in Italia. Di un episodio ignorato (e forse non irrilevante) nello smobilizzo pubblico delle “banche miste” (1930-1931), in Id., Il capitalismo industriale in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1977; Cesare Sartori, Un aspetto del capitale finanziario italiano durante la grande crisi: il caso dei gruppo Volpi-Sade, in G. Toniolo (a cura di), Industria e banca nella grande crisi 1929- 1934, Milano, Etas Libri, 1978, pp. 134-183; G. Toniolo, Crisi economica e smobilizzo pubblico delle banche miste (1930-1934), ibidem, pp. 284-352; C. Sartori, Giuseppe Volpi di Misurata e i rapporti finanziari del gruppo Sade con gli Usa (1918-1930), “Ricerche storiche”, 1979, nn. 2-3, pp. 375-438; Gian Giacomo Migone, Gli Stati Uniti e il fascismo. A ll’origine dell’egemonia americana in Italia, Milano, Feltrinelli, 1980, pp. 99-199.45 Sulla disgregazione dei mercati finanziari internazionali in seguito alla crisi degli anni trenta, vedi Charles P. Kindleberger, La Grande Depressione nel mondo 1929-1939, Milano, Etas Libri, 1982; per i riflessi sull’economia italiana, Pierluigi Ciocca, L ’economia italiana nei contesto internazionale, in P. Ciocca - G. Toniolo (a cura di), L ’economia italiana ne! periodo fascista, Bologna, Il Mulino, 1976, pp. 19-50.
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brano destinati ad essere privilegiati46. Non a caso la prima delegazione economica italiana inviata negli Stati Uniti, Formai famosa missione Quintieri-Mattioli (alla quale parteciparono il futuro amministratore di Mediobanca, Enrico Cuccia, e Mario Morelli, destinato ad occupare di lì a poco la carica di segretario generale della Confindustria), avrebbe assunto una fisionomia prevalentemente privata, riservando di fatto — come hanno confermato le fonti diplomatiche americane — all’amministratore delegato della Comit il ruolo di vero e proprio negoziatore ufficiale47. Tuttavia, la scelta italiana di privilegiare i più discreti canali privati rispetto ai contatti ufficiali (forse anche per ragioni di opportunità diplomatica) è ribadita dalla missione assegnata poche settimane più tardi dal ministro del Tesoro, Soleri, al banchiere Enrico Scaretti, recatosi anch’egli negli Stati Uniti con l’incarico di sondare gli umori delle case finanziarie che avevano intrattenuto in passa
to rapporti con banche e società industriali italiane48.1 risultati di questa iniziativa, di cui lo stesso Scaretti sottolineò in una relazione inviata al ministro del Tesoro e alla Banca d’Italia il carattere “esplorativo e di propaganda”, avrebbero pienamente confermato l’atteggiamento di profonda diffidenza degli ambienti bancari e finanziari americani nei confronti di una ripresa di rapporti con l’economia italiana. Al di là delle oggettive difficoltà politiche e legali, sottolineava Scaretti, “il momento non è ancora giunto per poter esaminare concretamente alcuna partecipazione” : istituti come la Chase National Bank e la casa Morgan subordinavano la possibilità di un proprio intervento al conseguimento della stabilità politica e finanziaria, e soprattutto — nel caso di partecipazioni al capitale di società industriali e finanziarie — alla possibilità di trasferimento, entro un certo numero ragionevole di anni, degli utili e delle quote di ammortamento49.
46 Sul tramonto delle fortune politiche di personaggi come Cordell Hull e Morgenthau, e in generale del personale politico e diplomatico legato al New Deal, a favore di una maggiore influenza della politica “realista” del Dipartimento di Stato, si sofferma John L. Harper, L ’America e la ricostruzione dell’Italia. 1945-1948, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 19-45.47 Quinto Quintieri, nobiluomo meridionale che sarà nominato alla vicepresidenza della Confindustria dopo reiezione di Angelo Costa, era stato ministro delle Finanze con Badoglio e ricopriva all’epoca la carica di presidente del Banco di Calabria. Sulla missione Quintieri-Mattioli, vedi M. Salvati, Stato e industria cit., pp. 72-85, oltre al resoconto di Egidio Ortona, a sua volta membro della delegazione, in Anni d ’America. La ricostruzione: 1945-1951, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 30-55. J.L. Harper, L ’America e la ricostruzione dell’Italia cit., pp. 56-65, illustra bene la sostanziale diffidenza americana verso la missione, e verso lo stesso Mattioli, accusato di “opportunismo politico” per i suoi rapporti con i tedeschi nel periodo dell’occupazione nazista. Come noto, nonostante gli influenti appoggi ottenuti presso l’amministrazione americana (soprattutto Oscar Cox, l’ideatore del lend lease e amministratore della Fea, Foreign Economie Administration, la missione ottenne esclusivamente il consenso americano all’unificazione dei poteri di emissione monetaria sotto un’autorità italiana.48 Secondo quanto riferisce E. Ortona, Anni d ’America. La ricostruzione cit., p. 32, Scaretti, evidentemente personaggio di una certa influenza, “molto amico” dell’ambasciatore americano a Roma, Kirk, era stato inviato negli Stati uniti “per una vaga missione di incaricato della Croce rossa italiana, ma soprattutto con l’intento di presentare attraverso di lui un’Italia che desse fiducia”. La Banca Scaretti era costituita sotto forma di società anonima, il cui capitale era interamente posseduto dalla Banca Belinzaghi, a sua volta controllata dal gruppo oleario Gaslini: cfr. Cgil, Struttura dei monopoli industriali cit., p. 359.49 Relazione Scaretti, “Sulla possibilità di ottenere l’intervento di capitale privato straniero nella Ricostruzione dell’Italia”, Washington, 7 maggio 1945: in Archivio della Banca d’Italia (d’ora in poi Abi), Ufficio studi (Carte Guidoni), b. 388, fase. 14. Oltre a Wintrop Aldrich, presidente della Chase National Bank, e a Thomas W. Lamont, presidente della casa Morgan, Scaretti aveva interpellato direttamente James F. Cavagnaro, vicepresidente della TransAmerica Corp. (Bank of America), Curtis E. Calder, presidente della Electric Bond & Shares Company, e George Murnane, rappresentante negli Stati uniti della casa bancaria Lazard Frères. Sul piano giuridico, a metà 1945 erano ancora operanti nei confronti dell’Italia: il Johnson A ct, che impediva la concessione di ulteriori crediti
L’eredità della banca mista 639
Attendismo e diffidenza da parte americana spingevano dunque ad un “moderato pessimismo” sulle possibilità effettive di ripetere nel breve periodo l’esperienza della metà degli anni venti. A parte gli spiragli di collaborazione lasciati aperti nel campo dei crediti commerciali, anche tramite la riorganizzazione delle filiali delle banche italiane già attive oltreoceano (Credit, Comit, Banco di Roma), la questione cruciale nei primi mesi del 1946 — sulla quale non a caso si sarebbero soffermati numerosi interrogatori della Commissione economica — era di fatto costituita dalla necessaria adesione italiana al Fondo monetario e alle nuove istituzioni finanziarie internazionali come premessa per la stabilizzazione e per l’ottenimento di prestiti governativi. D’altra parte l’esperienza del credito commerciale per l’importazione di cotone in Italia — contrattato dapprima con la Chase National Bank, cui era subentrata successivamente la Export-Import Bank — avvalorava la sensazione che, anche per mutazioni intervenute in seno agli stessi organismi finanziari privati americani, il canale per attingere ai prestiti
stranieri sarebbe passato in misura sempre più vincolante attraverso trattative economi- co-diplomatiche tra i due governi50. In questo senso, quanto riscontrato dal delegato italiano all’Oece, Organizzazione europea di cooperazione economica, Pietro Campilli, verso la fine del 1947 nel corso di nuove conversazioni con esponenti della finanza bancaria americana — anche dopo la sofferta sistemazione dei prestiti americani prebellici raggiunta sulla base degli accordi Lovett- Lombardo51 — avrebbe pienamente confermato l’esiguità dei margini entro i quali il capitale finanziario d’oltreoceano intendeva muoversi autonomamente52.
Nella situazione italiana, va peraltro precisato, gli orientamenti del capitale straniero non possono essere considerati separata- mente dalle caratteristiche — e dalle carenze — strutturali del sistema finanziario nazionale. Le incertezze create dalla latitanza di interlocutori tradizionali e dalla presenza sui mercati internazionali di cospicui flussi di capitali di carattere speculativo venivano ulteriormente amplificate in Italia dall’assenza di istituti finanziari — sui modelli delle so-
alle potenze inadempienti agli obblighi dei prestiti ottenuti fino al 1935; il Trading with the Enemy Act; il Foreign Funds Control, che sottoponeva ogni movimento di fondi a favore di enti o privati stranieri ad una speciale licenza della Federal Reserve Bank regionale.50 Ree, IV, vol. II, Interrogatorio di Enrico Scaretti, pp. 89-91. Lo stesso Scaretti si mostrò allora, sia pure a malincuore, persuaso — così come gli altri interpellati dalla Commissione — della assoluta centralità della partecipazione italiana al Fondo monetario internazionale ed agli altri istituti finanziari internazionali, “poiché si deve tenere presente — affermò — che, almeno per qualche anno, i rapporti finanziari tra i vari paesi si svolgeranno esclusiva- mente o quasi tra istituti governativi” . Vedi a tale proposito M. Salvati, Stato e industria cit., pp. 28-36. Sul prestito ExImBank per l’importazione di cotone, vedi anche E. Ortona, Anni d ’America. La ricostruzione cit., pp. 148- 150.51 Abi, Ufficio studi, b. 365, fasce. 39 e 40, “Emissione obbligazioni estere trentennali 1947”; e Atti parlamentari, Camera, I Legislatura, n. 599/A, Relazione della IV Commissione permanente (Finanze e Tesoro) sul disegno di legge presentato dal ministro del Tesoro, Giuseppe Pella, nella seduta del 1 giugno 1949. Cfr. E. Ortona, Anni d ’America. La ricostruzione cit., pp. 198-200. Il di 8 settembre 1947, n. 921, e i seguenti ddmm 28 e 29 novembre 1947, impegnavano il governo italiano ad assicurare di fronte ai portatori esteri il servizio delle nuove obbligazioni, nonché ad accantonare la valuta in dollari necessaria e a garantire il buon andamento della loro circolazione.52 Vedi Rapporto Campilli al ministro degli Esteri, Washington, 19 novembre 1947, ampiamente illustrato da M. Salvati, Stato e industria cit., pp. 329-333. Alle sollecitazioni del rappresentante italiano volte ad ottenere dal capitale privato americano una “indispensabile integrazione” del piano Marshall allora in discussione, si opposero considerazioni in tutto analoghe a quelle prospettate due anni prima a Scaretti; l’esperienza degli investimenti obbligazionari in Europa consumatasi negli anni venti e trenta non era stata “incoraggiante”; andava inoltre rivista la legislazione italiana sugli investimenti stranieri. Ma al fondo di ogni questione restavano tre nodi preliminari: stabilità politica, risanamento monetario, revisione dei tassi di cambio.
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cietà finanziarie e degli investment trust ampiamente diffusi in Europa fin dagli anni tra le due guerre — in grado di fungere da strumenti operativi di solida affidabilità. Il fallimento delFunica operazione finanziaria concordata tra istituzioni private prima del varo dell’Erp, European Recovery Program, 53 — il prestito di cinquanta milioni di dollari concesso da un gruppo franco-canadese alla società Strade ferrate meridionali, la più blasonata holding elettrofinanziaria italiana e tradizionale punto di equilibrio tra i principali gruppi elettrici54 — può essere considerato, in tal senso, emblematico di queste difficoltà. Le carte di Felice Guarne- ri, che nella Bastogi deU’immediato dopoguerra ricopriva sia pure del tutto informalmente un ruolo direttivo di primo piano (il suo reingresso ufficiale risale alla fine del 1947)55, ci mostrano soprattutto — da un punto di osservazione interno — il fallimento dei tentativi operati dalla dirigenza della società di mantenere la ripresa della propria attività finanziaria internazionale entro i confini della sfera privata. Ne emerge dunque la progressiva presa di coscienza del fatto che la vastità e la profondità delle ri
percussioni della grande crisi determinano oggettivamente, nelle vicende della fine degli anni quaranta, il nuovo terreno sul quale si sposta la contrattazione tra gruppi privati e organi dello Stato. L’inconvertibilità generalizzata, la scarsità di riserve, il controllo dei cambi e dei movimenti internazionali di capitale — fattori che il dopoguerra eredita dalla crisi degli anni tra le due guerre — pongono definitivamente i governi e gli apparati statali al crocevia di ogni rapporto finanziario internazionale. Nonostante la riprovazione dei cantori delle virtù del tallone aureo, privato e pubblico non si confrontano su un’impossibile alternativa tra sistemi opposti, ma sulla gestione degli strumenti esistenti: in questo senso l’autentica chiave interpretativa del liberismo postbellico non sta nell’attacco all’intervento statale in economia, ma nella lotta per l’uso privato degli strumenti pubblici. Può dunque considerarsi emblematico il fatto che il progetto Bastogi finisca per naufragare proprio sullo scoglio della garanzia governativa di cambio, rivelatasi in contrasto con le esigenze finanziarie tenacemente difese da Tesoro e Banca d’Italia56. Questione cruciale, quella
53 Cfr. Banca d’Italia, Servizio studi economici, Appunto sulle somministrazioni gratuite e sugli accreditamenti esteri a favore dell’Italia in questo dopoguerra, s.d. (ma 1948): in Abi, Ufficio studi, b. 388, fase. 14.54 Sulla storia della finanziaria fiorentina, vedi Ettore Passerin d’Entrèves - Luciano Coppini - Nicola Carranza - Piero Ridolfi - Cesare Padovani, La “Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali” nell’opera dei suoi presidenti (1861-1944), Bologna, Zanichelli, 1962, di impostazione prevalentemente agiografica. Assai più utili e problematiche le considerazioni sulla figura di Alberto Beneduce (che della ex Bastogi fu presidente dal 1926 al 1944) di F. Bonelli, Alberto Beneduce cit., pp. 341-353. Il patto di sindacato per il controllo della società riuniva tutte le maggiori holding elettriche (Edison, Sade, Centrale, Meridelettrica — nelle quali la Bastogi deteneva a sua volta significative partecipazioni), Iri, Fiat, Pirelli, Assicurazioni generali e Ras, oltre ad un nutrito stuolo di “bei nomi” — Marchi, Crespi, Motta, Agnelli, Conti, Pirelli, Treves, Parodi Delfino — della finanza italiana: vedi Radar, Organizzazione dei capitale finanziario cit., pp. 43-47.55 L’ex ministro Scambi e Valute, parallelamente all’incarico assunto quale presidente del Banco di Roma, era entrato nell’aprile-maggio 1940 nel consiglio delie Ferrate meridionali con la carica di vicepresidente. Presentate le sue dimissioni dall’incarico il 10 maggio 1945, sarebbe stato reintegrato per cooptazione nel consiglio solo nel novembre 1947, riassumendo la carica di vicepresidente nel luglio 1948, con successive riconferme nel 1950 e nel 1953. All’epoca della vicenda in questione, quindi, il ruolo di Guarneri all’interno della ex Bastogi era del tutto informale. Vedi Archivio storico del Banco di Roma (d’ora in poi Asbr), Carte Guarneri, fase. “Strade Ferrate Meridionali” . La più completa ed equilibrata biografia di Guarneri, limitata peraltro al periodo che si chiude con la seconda guerra mondiale, è quella di Luciano Zani, Fascismo, autarchia, commercio estero. Felice Guarneri, un tecnocrate al servizio dello Stato nuovo, Bologna, Il Mulino, 1988.36 Guarneri a C.A. Miranda (direttore generale della Ferrate meridionali), 23 ottobre 1946: in Asbr, Carte Guarneri, fase. “Finanziamenti Gruppo franco-canadese (1947)” . Nulla di certo è dato di arguire sulla effettiva fisionomia
L’eredità della banca mista 641
della garanzia statale, non solo per l’esito favorevole dell’affare, ma per la stessa definizione dei rapporti di forza tra settore privato e organi dello Stato su un terreno determinante come quello dei rapporti finanziari con l’estero. Guarneri dimostra di avere ben presente il valore assolutamente sostanziale del confronto in atto quando scrive all’ingegner Carlo A. Miranda, direttore generale della holding:Da un punto di vista di interesse generale occorre preoccuparsi anche della circostanza che qualora lo Stato dovesse concedere la sua garanzia per una prima operazione di mutuo estero, sarà ben difficile poter concludere altre operazioni di qualche rilievo con l’estero senza questo viatico. E ciò io considero sommamente pregiudizievole. Penso anche che portare lo Stato su questa via significa porlo nella necessità di esercitare sempre maggiori controlli e di intervenire in forme sempre più attive nell’economia del paese e delle aziende57.
E tuttavia il solco scavato dalla grande crisi tra gli anni venti e gli anni quaranta è troppo profondo, benché il movimentato e confuso biennio 1946-1948 e il rapido succedersi delle
ondate di aiuti e prestiti governativi americani, non consentano ancora ai protagonisti di rendersi pienamente conto della fine dell’epoca dell’ “alta finanza”58. Ne acquista consapevolezza Guarneri nel momento in cui è costretto a constatare come siano le stesse condizioni imposte dagli operatori finanziari internazionali — che a metà 1947 optano per la stipula diretta del contratto a favore del governo italiano in luogo della prosecuzione del rapporto con la Ferrate meridionale — ad infrangere i fragili argini eretti dalla finanziaria italiana a salvaguardia dell’autonomia della propria attività verso l’estero59.
Su questo decisivo banco di prova può considerarsi fallito il tentativo della Bastogi di subentrare nel ruolo di intermediario privilegiato tra gruppi elettrici e finanza estera, per rilanciare il proprio ruolo di società di intermediazione finanziaria e di investment trust60.
Anche la nascita di Mediobanca, come vedremo, sarà segnata da un analogo insuccesso. Solo a partire dagli anni cinquanta infatti l’istituto milanese giungerà a disporre di una
dei tre gruppi finanziari esteri coinvolti: la Société Européenne d’Etudes et d’Entreprise di Parigi, specializzata nel “finanziamento e messa in opera di grossi lavori ferroviari ed elettrici in paesi esteri”; la Trans American Development Co. di New York, attiva dal 1940 nel finanziamento di lavori pubblici in America latina; la Canadian Expansion Trade Co. di Montreal.57 Guarneri a Miranda, 20 marzo 1947, in Asbr, Carte Guarneri, cit.58 Vedi Onu, Département des questions économiques, Les Courants Internationaux de Capitaux Privés 1946- 1952, New York, 1954; e Mira Wilkins, The Maturing o f Multinational Enterprise. American Business Abroad from 1914 to 1970, Cambridge (Mass.), Harvard U.P., 1974, pp. 288-291.59 Simon Cleja a Cesare Merzagora, ministro del Commercio estero, 30 luglio 1947: Asbr, Carte Guarneri, fase. “Finanziamenti Gruppo franco-canadese (1947)” . Paradossalmente, dopo due anni di estenuanti trattative, il prestito non potè mai essere utilizzato per la mancata approvazione da parte del governo canadese, cui era subordinata la sua entrata in vigore effettiva. Le aspre polemiche tra le parti faranno approdare la vicenda di fronte ad un collegio arbitrale ginevrino che nel settembre del 1949 dichiarerà mancato l’affare e mai entrato in vigore l’accordo, “senza alcuna colpa delle parti” .60 Sul prestito, la dirigenza Bastogi faceva assegnamento per la concessione di crediti a gruppi armatoriali per l’acquisto di navi mercantili all’estero, oltre che per l’acquisto di macchinari destinati al potenziamento delle società direttamente o indirettamente controllate (tra cui le società elettriche meridionali di cui la Bastogi fungeva da holding-capogruppo — la Meridionale elettricità di Giuseppe Cenzato, la Generale elettrica della Sicilia, la Elettrica sarda — e nelle quali deteneva cospicue interessenze anche Tiri): cfr. Radar, Organizzazione del capitale finanziario in Italia cit., pp. 42-60. Sui rapporti tra la Bastogi e le società elettriche meridionali nel periodo tra le due guerre vedi Giovanni Bruno, Capitale straniero e industria elettrica nellTtalia Meridionale (1895-1935), e Pinella Di Gregorio, Crisi e ristrutturazione dell’industria elettrica in Sicilia (1930-1935): l ’intervento del capitale americano, in “Industria elettrica e movimenti di capitale in Europa”, “Studi storici”, 1987, n. 4, pp. 943-984 e 985-1004.
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rete di alleanze internazionali in grado di sostenerne le scelte strategiche.
Nascita e sviluppo di Mediobanca tra finanziamento a medio termine e credito mobiliare (1946-1956)
È la Comit di Mattioli a perseguire con maggiore coerenza un proprio disegno di riavvicinamento tra banca e industria. Rispetto al circuito finanziario tipico della seconda metà degli anni trenta — un circuito ‘indiretto’ (mercato-banche-istituto di emissione-Teso- ro) poggiato in misura via via crescente sui mezzi forniti al Tesoro dal sistema bancario (sottoscrizione obbligatoria di buoni del Tesoro, anticipazioni della Banca d’Italia) — nell’immediato dopoguerra l’inflazione e la crescente liquidità del sistema bancario creano le condizioni per una maggiore indipendenza di quest’ultimo dalle esigenze del bilancio statale61. La radicale inversione del circuito finanziario (che a partire dalla prima metà del 1946 si presenta con la nuova sequenza: Tesoro-istituto di emissione-banche-mercato) equivale in sostanza ad una crescente sottrazione di mezzi all’Erario. A beneficiare della nuova situazione sono soprattutto le tre Bin, la cui attività, dopo gli smobilizzi del 1933-1934, era stata forte
mente condizionata dalla acuta esposizione nei confronti dellTri: nel corso del 1946, al contrario, anche grazie al sostanziale annullamento dei loro immobilizzi ad opera dell’inflazione, esse avevano riconquistato il primato degli impieghi tra tutte le categorie delle aziende di credito, recuperando la capacità di adattarsi alle esigenze di finanziamento manifestate dalle imprese62. La particolare congiuntura finanziaria consente dunque alle ex banche miste di progettare la ripresa — sia pure con la cautela consigliata dai progressi inflazionistici e attraverso nuovi strumenti di intervento — del discorso interrotto quindici anni prima. D’altra parte, fin dalla metà degli anni trenta Mattioli aveva avuto ripetuta- mente modo di manifestare, sull’assetto e sul ruolo del sistema bancario, convinzioni profondamente difformi da quelle che guidavano l’azione di Beneduce e Menichella, soprattutto nell’affermazione di un “necessario ibridismo” tra credito ordinario e credito mobiliare, e nella tenace avversione nei confronti degli istituti parastatali di credito industriale, come l’Imi (di cui aveva proposto nel 1935 lo scioglimento, unitamente al Csvi)63. Pienamente in linea con questa sua convinzione risulta l’idea originaria — di recente resa di pubblico dominio dallo stesso Cuccia — della costituzione di una Unione bancaria per il credito finanziario (Union-
61 Vedi il dibattito a distanza sviluppatosi agli inizi del 1948 sul primo numero della rivista della Banca nazionale del lavoro, “Moneta e credito”: Amedeo Gambino, L ’altalena del credito, pp. 2-12; Marcello Mancini, Il mercato monetario, il finanziamento del Tesoro e gli impieghi bancari per rami di attività economica, pp. 17-18; e Luigi Federici, Sei mesi di politica economica italiana, pp. 49-50.62 In base ai dati della Banca d’Italia riportati da M. Mancini, Il mercato monetario, il finanziamento del Tesoro cit., pp. 20-21, nella ripartizione degli impieghi tra le categorie delle aziende di credito, la quota delle Bin era passata, tra il 1936 e il 1946, dal 13,1 al 27,4 per cento. Sulla situazione di liquidità della Comit, e in generale sugli effetti dell’inflazione sulla posizione patrimoniale delle tre ex banche miste, vedi anche Relazioni Mattioli al consiglio Comit, 20 marzo 1946, in Giorgio Rodano, Il credito all’economia. Raffaele Mattioli alla Banca Commerciale Italiana, Milano-Napoli, Ricciardi, 1983, pp. 154-158.63 Sull’atteggiamento maturato dal ‘banchiere’ Mattioli già nell’anteguerra nei confronti della nascita dell’Iri e della nuova legge bancaria del 1936, vedi G. Rodano, Il credito all’economia cit., pp. 105-122. In seguito alla pubblicazione di questo lavoro, si è sviluppato sulle pagine della “Rivista di storia economica” un interessante dibattito: P. Ciocca, In margine a! “Mattioli” di G. Rodano, 1986, n. 1, pp. 109-128; Rodolfo Banfi, Mattioli e Tiri, e Fabio Ronchetti, Mattioli “economista critico”, 1986, n. 2, pp. 223-236; e la risposta di G. Rodano, Sul “Mattioli”: replica dell’autore, 1986, n. 3, pp. 339-349.
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banca) attraverso un consorzio che, pur attribuendo alle tre Bin la maggioranza del capitale, vedesse la compartecipazione dei cinque istituti di credito di diritto pubblico, della Banca d’America e d’Italia, del Banco di S. Spirito, delle Assicurazioni generali, della Ras, dell’Ina e infine della Bastogi64.
Due capisaldi, tra loro complementari, guidano in effetti sin dal 1945 la strategia di Mattioli alla testa del prestigioso istituto di credito milanese: da un lato, la necessità di evitare il consolidamento della “stortura” rappresentata dal finanziamento quasi esclusivo dell’attività industriale da parte degli enti operanti con garanzia dello Stato; dall’altro, l’opportunità di impedire che la liquidità in possesso delle banche ordinarie venga convogliata verso le imprese esclusivamente sotto la forma fittizia di crediti d’esercizio, ai quali i continui rinnovi finirebbero per conferire un carattere di fatto finanziario. La ricongiunzione tra risparmio e mercato finanziario va dunque perseguita attraverso canali non aleatori o destabilizzanti per l’equilibrio finanziario degli istituti di credito e delle stesse società industriali65. In questo quadro, il progetto Mediobanca — imperniato sull’accordo Comit-Credit, cui verrà quasi a forza associato il Banco di
Roma — appare fin d’allora estremamente coerente: esso si propone di sfruttare la congiuntura finanziaria e politica particolarmente favorevole ad un disimpegno dell’erario e delle finanze statali, per recuperare alle ex banche miste una funzione basilare di sostegno all’accumulazione industriale in concorrenza con gli organismi parastatali fino ad allora prevalenti, soprattutto nel campo del risparmio a medio termine, e per realizzare quel “distacco” del finanziamento industriale “dalla firma dello Stato” sul quale aveva con tanta forza insistito Mattioli nel corso del suo interrogatorio alla Commissione economica della Costituente66. Il disegno di Mattioli e della Comit si colloca così ad uno dei principali crocevia del rapporto tra settore pubblico e settore ‘privatistico’ dell’economia: meglio, prefigura già i lineamenti di una pratica di gestione bancaria — di cui Mattioli è stato riconosciuto leader e paradigma — nella quale al banchiere pubblico tocca il compito direintrodurre la grande banca, la finanza, come autonomo vaglio dei progetti di investimento e soprattutto delle imprese in grado di intraprenderli, secondo criteri di rendimento-rischio, al di fuori di preferenze predeterminate per l’una o per l’altra iniziativa di produzione67.
64 Vedi Enrico Cuccia, Mediobanca Story, “L’Espresso”, n. 49, 14 dicembre 1986, pp. 243-244, che colloca data e luogo del concepimento, per così dire, qualche giorno dopo il ferragosto del 1944 nell’ufficio romano di rappresentanza della Comit. Secondo la ricostruzione di Cuccia, il progetto sarebbe stato accantonato fino all’estate del 1945 prima per l’impossibilità di contattare a Milano la dirigenza del Credit, poi per gli impegni di Mattioli e Cuccia con la nota missione negli Stati uniti.65 Relazione Mattioli al consiglio Comit, 23 gennaio 1946, pubblicata integralmente in G. Rodano, 7/ credito all’economia cit., pp. 160-162. La preoccupazione di Mattioli di volersi assicurare che gli investimenti delle banche ordinarie fossero effettivamente crediti di esercizio derivava dalla considerazione che in una situazione, come quella immediatamente postbellica, nella quale “per la prima volta nella storia finanziaria d’Italia” la circolazione risultava inferiore al debito dello Stato verso la banca centrale ed era di fatto quasi completamente “circolazione per lo Stato” anticipata dal sistema bancario, ogni aumento degli impieghi delle banche ordinarie avrebbe influito diretta- mente sulla circolazione stessa: in tale situazione, “errori che, in altre circostanze potevano essere corretti con relativa facilità [...] possono oggi rappresentare invece un fattore di grave portata per la situazione monetaria e finanziaria del paese, perché tenderebbero a provocare movimenti a senso unico” (pp. 164-165).66 Ree, IV, vol. II, Interrogatorio di R. Mattioli, p. 247.67 Cfr. P. Ciocca, In margine al “Mattioli” cit., pp. 123-125. Vedi anche Relazione all’Assemblea generale Comit 1948, in G. Rodano, Il credito all’economia cit., pp. 166-167 (i testi delle relazioni di Mattioli alle assemblee generali Comit dal 1945 al 1971 sono raccolti in due volumi editi a Milano, da Capriolo & Massimino, rispettivamente nel 1967 enei 1974).
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È stato lo stesso Cuccia a rendere note le perplessità sul progetto di Mattioli manifestate nel 1945 dal governatore Einaudi — favorevole alla creazione da parte di Comit e Credit di due distinti organismi per il credito a medio, nel timore probabilmente che l’intesa tra i due potenti istituti preludesse ad una estensione del cartello interbancario al nuovo segmento di mercato — e le insistenze da parte della Banca d’Italia affinché i limiti imposti all’attività del nuovo istituto salvaguardassero dal rischio di un rientro delle Bin e delle banche ordinarie, sia pure in forme mascherate, nel settore mobiliare68. In realtà il compromesso strappato dall’azione congiunta di Mattioli e di Mino Brughera, amministratore delegato del Credito italiano, all’organismo di vigilanza, ancora alle dipendenze del Tesoro, aveva prodotto uno statuto sufficientemente elastico, in grado di garantire a Mediobanca un’ampia versatilità. Se infatti — come avrebbe precisato Mattioli ancor prima della nascita ufficiale dell’istituto — l’attività prevalente avrebbe dovuto svolgersi nel campo dei finanziamenti con scadenza massima di cinque anni (attraverso sconto di effetti, anticipazioni in conto corrente e riporti su titoli), utilizzando la rete organizzativa delle filiali delle banche ordinarie per la raccolta del ri
sparmio a medio termine69, l’orizzonte di azione configurato dallo statuto si ampliava anche alle operazioni più propriamente mobiliari, con la possibilità di curare il collocamento di azioni ed obbligazioni per conto di terzi, e soprattutto — integrazione che Cuccia attribuisce alla ferma ostinazione di Mattioli — con la facoltà di vendere ed acquistare titoli azionari e obbligazionari, sia pure per un importo non superiore ad un terzo del proprio capitale e delle riserve70. Queste peculiarità operative circoscrivono evidentemente l’area imprenditoriale interessata al progetto entro i confini della grande e media industria, quotata in borsa o comunque inserita in gruppi industriali e finanziari che garantissero il ricorso al risparmio azionario per il consolidamento dei crediti finanziari. L’attività di Mediobanca avrebbe dovuto in altre parole consentire il riequilibrio delle strutture produttive e finanziarie della grande industria — con strumenti più elastici di quelli adottati sia dagli istituti parastatali di credito speciale, che dalle banche di diritto pubblico, che proprio allora venivano dotate di autonome sezioni per il credito industriale — contemporaneamente garantendo alle Bin il mantenimento del carattere commerciale dei loro impieghi.
68 Secondo quanto riferito da Cuccia, ancora in una lettera del 27 agosto 1945 Mattioli esprimeva a Einaudi I’au- spicio che “le banche di credito ordinario, con i propri quadri ormai specializzati nel credito di esercizio, avrebbero evitato saggiamente di organizzare ciascuna per proprio conto una sezione per il medio termine, affidando invece ad un ente giuridicamente distinto la gestione di quel tipo di operazioni” : segno che egli non dava ancora come del tutto tramontata la sua ipotesi originaria di un largo consorzio bancario. Fu cura in ogni caso della Banca d’Italia di far inserire nello statuto di Mediobanca l’inibizione a ricevere depositi di aziende di credito, disposizione che Mattioli e Brughera riuscirono a limitare agli istituti di credito italiani (con esclusione quindi di quelli stranieri): vedi ancora E. Cuccia, Mediobanca Story cit., pp. 245-246. Del resto, le parole pronunciate da Einaudi nella relazione sul 1946 sono assai esplicite: Mediobanca “ha iniziato le operazioni, previa autorizzazione del ministro del Tesoro, concessa malgrado le richieste poste dal nostro istituto circa l’inquadramento giuridico del nuovo ente, e circa taluni aspetti tecnici della sua attività, [attinenti] [...] il problema fondamentale [...] di una netta separazione tra credito a breve e quello a medio termine”: Banca d’Italia, Relazione 1946, pp. 155-159.69 Cfr. Relazione Mattioli al Cda Comit, 23 gennaio 1946, cit., p. 161. La nascita ufficiale di Mediobanca è sancita con decreto del ministro del Tesoro 29 aprile 1946, pubblicato sulla “Gazzetta ufficiale”, n. 101 del 2 maggio 1946.70 Banca di Credito Finanziario, Statuto 1946, p. 6. Una ulteriore limitazione era imposta alla concentrazione degli investimenti in titoli emessi da ogni singola società, che non dovevano superare il dieci per cento del capitale e delle riserve di Mediobanca; tale limitazione non si applicava viceversa ai titoli di Stato o garantiti dallo Stato.
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La realizzazione del progetto postulava naturalmente una flessibilità degli impieghi bancari e un andamento del mercato mobiliare esattamente opposti a quelli seguiti alla stretta deflattiva dell’estate del 194771. Ciò contribuisce a spiegare la fiera ostilità mostrata da Mattioli verso lo strumento della riserva obbligatoria (giudicata eccessivamente e inutilmente restrittiva), sebbene il comportamento degli istituti di credito nel vortice inflazionistico avesse confermato e in certo senso acuito le preoccupazioni da lui espresse in merito alle proprie commistioni di credito commerciale e finanziario. Così come l’insufficiente ampiezza raggiunta dall’attività di Mediobanca spiega la decisione di Mattioli di guidare la Comit a lavorare sempre al limite delle proprie risorse — del resto le tre Bin avrebbero continuato per tutta la prima metà degli anni cinquanta ad erogare alle imprese industriali finanziamenti solo formalmente a breve, che rappresentavano di fatto “posizioni stagnanti di durata pluriennale” — pur di non abdicare a quel ruolo di “promozione e sostegno” dell’attività industriale che egli giudicava irrinunciabile per il proprio istituto72.
Anche un secondo caposaldo del progetto Mediobanca — un cospicuo intervento del capitale straniero, su cui si contava, oltre che per vincere le resistenze delle autorità
monetarie, per saldare su più ampie basi di manovra il nuovo asse oligopolistico con i grandi gruppi industriali — era destinato a non realizzarsi. Le trattative avviate fin dall’autunno del 1945 con potenziali soci stranieri, in particolare con imprecisati “gruppi svizzeri” (Cuccia ha recentemente chiarito essersi trattato della Blankart di Zurigo e della Union de banque suisse), sembravano destinate a soddisfacenti soluzioni. Ai gruppi esteri sarebbe stato concesso di partecipare all’amministrazione del nuovo istituto, per consentir loro di orientarsi sulle possibilità di investimento offerte dall’industria italiana al capitale straniero; la loro partecipazione al capitale della banca avrebbe rappresentato la premessa per la concessione di crediti in divisa libera a media scadenza alla banca stessa, ed amministrati “di comune accordo” tra soci italiani e stranieri; il rimborso dei crediti avrebbe potuto aver luogo “sia mediante l’assunzione di partecipazioni in affari che possano interessare il capitale estero, sia mediante il funzionamento di ‘conti valutari’” da stabilirsi d’accordo con le autorità monetarie73. Sul fallimento dell’intesa pesò certamente la sospensione, imposta dalle autorità americane in attesa della sistemazione del trattato di pace, dell’accordo commerciale italo-svizzero (comprendente anche il regolamento dei debiti prebellici italiani) precocemente concluso nel-
71 Vedi a tale proposito Pietro Manes, Il mercato azionario nel periodo postbellico, “Moneta e credito”, 1959, n. 46, pp. 165-169.72 Cfr. G. Rodano, Il credito all’economia cit., pp. 166-168, 188-189 e 212-222. Vedi anche Giovanni Malagodi, Profilo di Raffaele Mattioli, Milano-Napoli, Ricciardi, 1984, pp. 42-45.73 Relazione Mattioli al Cda Comit, 23 gennaio 1946, cit., pp. 162-163: “Abbiamo ritenuto di offrire così al capitale straniero — concludeva Mattioli — il mezzo più obbiettivamente leale e commercialmente serio per procedere ad investimenti, o quanto meno ad intese ed accordi, di carattere permanente, o comunque duraturo, che risultino per essere effettivamente di comune o reciproca convenienza, senza correr dietro a fantasmi o a chimere variamente atte a provocare o assecondare illusorie, e talora insidiose, logomachie”. Cfr. inoltre E. Cuccia, Mediobanca Story cit., pp. 245-246. Mattioli avrebbe ottenuto nell’ottobre del 1945 la disponibilità ufficiale della Blankart, attraverso il banchiere Felix Somary, per un apporto di mezzo miliardo di lire al capitale di Mediobanca (si trattava di lire in conto estero) e per una apertura di credito in franchi svizzeri e di durata quinquennale fino a cinquanta milioni di franchi svizzeri. Dopo i successivi tentennamenti di Somary, Mattioli valutò insieme al direttore della Union, Schaefer, che la stessa Ubs subentrasse per la parte relativa al credito in valuta. Cuccia tuttavia non fornisce alcun elemento in grado di chiarire i motivi del fallimento anche di questa ulteriore ipotesi.
646 Stefano Battilossi
l’agosto 194574. Del resto, al peggioramento sostanziale fatto registrare nel corso del 1947 dal mercato svizzero dei capitali, soprattutto in conseguenza di forti realizzi effettuati dalle banche elvetiche in coincidenza con la svolta restrittiva delle politiche monetarie di numerosi paesi europei, e dell’istituzione di più severi controlli sulle riserve valutarie e sui movimenti di capitali, si sarebbe aggiunta l’opinione tutt’altro che lusinghiera espressa dal “Comitato Italia” dell’Associazione svizzera dei banchieri (e riferita a Menichella dal delegato per la Svizzera della Banca d’Italia, Altenburger) sull’andamento dei negoziati per la sistemazione dei debiti prebellici in corso con una delegazione italiana, la cui politica — a parere del direttore generale deU’Union de banque suisse, Zolley — “costituirebbe il mezzo proprio per pregiudicare il credito dell’Italia e la possibilità per la futura emissione di prestiti italiani sul mercato svizzero”75. Tale critica va evidentemente messa in relazione al blocco (destinato del resto a protrarsi sino alla fine degli anni quaranta) del pagamento delle cedole scadute dei debiti obbligazionari contratti
da imprese elettriche italiane (Sade, Sme, Sip) nel periodo prebellico, di cui si sarebbe dovuto far carico — malvolentieri — il Tesoro italiano76.
Solo alle soglie degli anni cinquanta si riapre per Mediobanca, con maggiore fortuna, il capitolo delle alleanze finanziarie internazionali. Nel corso del 1949-1950, l’istituto milanese partecipa difatti alla costituzione della parigina Société financière de développement industriel et commercial (Sofdic), in unione ad “un gruppo francese” — ufficialmente non specificato, ma agevolmente identificabile nella prestigiosa casa finanziaria Lazard — destinato a diventare un alleato storico, partecipe di pressoché tutte le operazioni gestite da Cuccia nei decenni successivi77. Sulle fondamenta di questa originaria intesa del 1949 avrebbe senza dubbio poggiato la costituzione, quasi dieci anni più tardi, di quel “sindacato segreto” pubblicoprivato — comprendente, oltre alle tre Bin e ai Lazard, anche la Pirelli e la tedesca Berliner Handels-und-Frankfurter Bank (Bhf), e successivamente il gruppo Agnelli — che ha permesso ai nuovi soci privati di condividere
74 L’accordo del 10 agosto 1945 prevedeva il regolamento dei vecchi debiti italiani (prestiti, forniture speciali e in clearing) attraverso il conglobamento in un unico conto ammortizzato con l’accantonamento di una quota dei ricavi delle esportazioni italiane, oltre alla concessione di un nuovo prestito svizzero al governo italiano per l’acquisto di prodotti elvetici per ottanta milioni di franchi (al cambio di 23 lire per franco). Vedi Insmli-Carte Merzagora, b. 19, fase. 8 “Sottocommissione finanziaria. Verbali” . Sulla presenza storica di capitale svizzero soprattutto nelle società elettrofinanziarie italiane, vedi C. Pavese, Le origini della società Edison; e Luciano Segreto. Capitali, tecnologie e imprenditori svizzeri nell’industria elettrica italiana: il caso delta Motor (1825-1923): in Energia e sviluppo cit., pp. 25-210. Per il periodo tra le due guerre, Luciano Segreto, Le nuove strategie delle società finanziarie svizzere per l ’industria elettrica (1919-1939), in “Industria elettrica e movimenti di capitali in Europa”, “Studi storici”, cit., pp. 861-907.75 Vedi Lettera di Altenburger e Manichella, dir. gen. Banca d’Italia, 25 ottobre 1947: in Abi, Ufficio studi, b. 113.76 Per le obbligazioni Sade 7%, Sme 7% e Sip 6,5% circolanti sul mercato svizzero, il debito del Tesoro — in seguito al versamento delle lire corrispondenti al servizio delle cedole scadute nel periodo bellico — assommava a franchi svizzeri 8.335.000 circa (al netto degli interessi di mora sul capitale non ammortizzato al 1946), equivalenti a circa 1.145.500.000 al nuovo cambio di 141,70 (contro 4,41 all’epoca dell’emissione dei prestiti). Agli inizi del 1949 la questione non era ancora stata risolta in maniera definitiva, con gli inevitabili strascichi polemici. Vedi Appunto al governatore e al direttore generale, 14 febbraio 1949: in Abi, Ufficio studi, b. 365, fase. 38 “Sistemazione dei debiti obbligazionari prebellici in possesso svizzero” .,7 L’annuncio della costituzione della Sofdic venne dato in poche righe, prive di ogni risalto, nella Relazione del Consiglio di amministrazione Mediobanca per l’esercizio 1949-50, Assemblea del 6 ottobre 1950, p. 11. La partecipazione di Mediobanca alla Sofdic ammontava al cinquanta per cento del capitale; quanto agli scopi, si indicava del tutto genericamente l’obiettivo di “promuovere la ripresa dei rapporti finanziari italo-francesi” .
L’eredità della banca mista 647
pienamente il potere decisionale e di esercitare un determinante potere di veto, nonostante il possesso di quote assolutamente minoritarie78. A questa nuova intraprendenza internazionale può forse essere ricondotta la presenza, a partire proprio dal 1949, nel consiglio di Mediobanca di un personaggio dell’influenza e del prestigio di Giovanni Fummi, notorio rappresentante della finanza americana, già artefice alla metà degli anni trenta della politica di appeasement del gruppo americano Morgan nei confronti del regime fascista, e contemporaneamente presente nei consigli di amministrazione di Edison, Pirelli e Fiat79.
In questi primi sviluppi si può cogliere agevolmente l’impronta caratteristica che avrebbe contraddistinto in misura sempre più marcata la fisionomia e l’attività di Mediobanca negli anni successivi, quando l’istituto di via Filodrammatici si sarebbe drasticamente distaccato (con rammarico dello stesso Mattioli) dal ruolo di “strumento delle banche di interesse nazionale” originariamente assegnatogli per volgersi ad una politica di alta finanza e di “grandi affari”. È tuttavia difficile stabilire quanto questa evoluzione vada addebitata alle preferenze strategiche di Enrico Cuccia, e quanto invece al contemporaneo evolvere delle esigenze finanziarie delle imprese e della struttura dei mercati finanziari. La funzionalità di Mediobanca va del resto valutata in relazione ai due differenti livelli della sua attività: da un lato, il credito a medio termine; dall’altro, le operazioni mobiliari. Non va dimenticato a tale proposito come, a differenza degli altri
istituti di credito speciale, Mediobanca rinunci a finanziarsi attraverso il ricorso al mercato mobiliare e allo strumento delle emissioni obbligazionarie, vincolando in tal modo rigidamente lo sviluppo dei propri impieghi alla lenta espansione di un mercato del risparmio a medio e lungo termine costitutivamente debole. Del resto, l’istituto ripartisce la propria attività di finanziamento a medio termine tra numerosi settori, tra i quali una quota di tutto rispetto mantengono almeno fino al 1949-1950 il tessile e il meccanico, mentre negli anni successivi traspare — pur nella vaghezza delle informazioni disponibili — una decisa accentuazione dell’importanza delle imprese di pubblica utilità e delle società chimiche e farmaceutiche, seguite a debita distanza dal settore meccanico. I dati forniti dall’istituto stesso alla fine del 1953 mostrano a tale riguardo come per tutta la seconda metà degli anni quaranta la raccolta di risparmio degli istituti di credito mobiliare rappresenti meno dell’un per cento della raccolta totale delle aziende di credito, e come solo dal 1950 tale soglia sia superata, seppure spesso in misura quasi impercettibile80. E sebbene la raccolta di Mediobanca rappresenti costantemente la quota in assoluto più cospicua del risparmio a medio (mai inferiore al cinquanta per cento, con punte vicine all’ottanta per cento nel biennio 1948-1949), le relazioni di Cuccia all’assemblea degli azionisti non mancano di mettere ripetutamente in rilievo “l’incertezza che tuttora esiste nell’inquadramento generale, e nella valutazione specifica, del settore del credito a medio termine”81. Ad ag-
78 Nel 1958 entrarono a far parte del consiglio di Mediobanca Hans Fiirstenberg, Leopoldo Pirelli e René Mayer, quest’ultimo da poco ritiratosi dalla presidenza della Ceca per andare a presiedere la prestigiosa holding belga Sofi- na: vedi Assonime, Notizie statistiche cit., 1958, p. 134. Le vicende del “sindacato segreto” di Mediobanca sono riassunte da A. Friedman, Tutto in famiglia cit., pp. 111-121; la ‘scoperta’ del patto nel 1985 ha infatti provocato, come noto, una delle più violente tempeste politiche degli ultimi vent’anni.79 Sul ruolo di Fummi negli anni venti e trenta, vedi G.G. Migone, Gli Stati Uniti e il fascismo cit., in particolare le pp. 368-378.80 Vedi i dati riportati in Mediobanca, Assemblea del 28 ottobre 1953, relazione, pp. 10-11.81 Mediobanca, Assemblea del 6 ottobre 1950, Relazione, p. 8.
648 Stefano Battilossi
gravare le difficoltà già insite nella particolare natura del risparmio affluente all’istituto, vincolato a medio termine e quindi a più lenta formazione, l’amministratore di Mediobanca avrebbe lamentato a più riprese la concorrenza “molto aspra” esercitata dal settore bancario ordinario attraverso l’applicazione di alti tassi di interesse82. Del resto, nel corso degli anni cinquanta le tre Bin si trovano a fronteggiare, da un lato, le ripercussioni negative della politica deliberata- mente ostile adottata nei loro confronti dalla Banca d’Italia, allo scopo di incentivare la riprivatizzazione e la decentralizzazione dell’attività bancaria (esemplare la politica di favore verso l’espansione delle casse di risparmio); dall’altro, le conseguenze dell’ampliamento dei margini di autofinanziamento dei grandi gruppi industriali, in grado di acquisire il controllo di banche ordinarie e di gestire attraverso queste i propri flussi finanziari interni83. Sottolinea polemicamente Cuccia nella relazione del 1951 :non meno attiva ed insistente è stata, e si mantiene, la sollecitazione da parte di aziende industriali intesa ad ottenere un incremento dei depositi dei propri “correntisti”; e ciò oltre alla continua
espansione dei “conti dei dipendenti”. Questa tendenza a distrarre dal sistema bancario notevoli masse di disponibilità, si manifesta anche nei rapporti finanziari diretti tra gruppi industriali, quando tali rapporti nulla hanno a che fare con l’attività specifica delle imprese, ma rappresentano unicamente transitori impieghi di eccedenze liquide84.
È probabilmente su questo terreno che la presenza di un cospicuo e continuativo intervento del capitale straniero avrebbe potuto conferire all’attività di Mediobanca un ritmo di incremento superiore, attenuando in particolare le ripercussioni negative del finanziamento degli investimenti attraverso creazione di moneta bancaria (conti correnti), e consentendo il mantenimento di un equilibrio meno precario tra immobilizzi ed esigenze di liquidità.
Ma le preoccupazioni del gruppo dirigente di Mediobanca non si esauriscono nel constatare l’esiguità dei crediti concessi dall’istituto in relazione alle esigenze finanziarie complessive dell’industria85, ma si concentrano in particolare — il riferimento è implicito all’attività delle sezioni speciali della Bnl e dei banchi meridionali, del Mediocre-
82 Mediobanca, Assemblea del 28 ottobre 1954, Relazione, p. 7: nella prima metà del 1954 “l’andamento della nostra raccolta ha risentito della decisione delle banche di credito ordinario di graduare i tassi di interesse sui depositi con progressione fino al vincolo di 12 mesi, mentre in precedenza questa graduazione era limitata sino ad un vincolo di sei mesi. Riteniamo che un’espansione della raccolta del settore a medio termine sia nell’interesse dell’intero sistema creditizio, in quanto un tale rafforzamento è indispensabile per mettere il settore in grado di servire, a ragion veduta, le crescenti richieste del mercato italiano e per evitare quindi tutti i rischi connessi con la ‘mimetizzazione’ a breve termine di operazioni tipicamente finanziarie.” Cfr. anche G. Rodano, Il credito all’economia cit., pp. 168-169.83 Vedi M. De Cecco, Note sugli sviluppi della struttura finanziaria cit., pp. 70-71. È opportuno ricordare i casi più eclatanti di collegamenti tra banche ordinarie e gruppi monopolistici: Edison-Banco Lariano, Italcementi-Credito commerciale, Sade-Credito industriale veneziano, La Centrale-Banca popolare di Milano, Fiat-Banca popolare di Novara, Strade ferrate meridionali-Banca popolare di Valdagno. Non si.può d’altro canto dimenticare il gran numero di società finanziarie e, più tardi, di investment trusts, costituiti direttamente dai maggiori gruppi italiani negli stessi anni. Vedi, su questo punto, Paolo Ciofi, I monopoli italiani negli anni Cinquanta, Roma, Editori Riuniti, 1962, pp. 38-43.84 Cfr. Mediobanca, Assemblea del 31 ottobre 1951, Relazione, pp. 7-8.85 Mediobanca, Assemblea del 28 ottobre 1953, Relazione del consiglio, p. 10: “se possiamo compiacerci del costante sviluppo del nostro istituto, dobbiamo d’altra parte tenere ben presente che, nonostante questo progressivo incremento, le nostre dimensioni sono ancora troppo esigue per poter consentirci di dare un contributo decisivo alla soluzione del problema dei finanziamenti a medio termine nel nostro paese.”
L’eredità della banca mista 649
dito centrale e degli istituti regionali ad esso collegati — sulla tendenza delle autorità monetarie a circoscrivere le funzioni del credito a medio termine all’ambito delle piccole e medie imprese86. Il richiamo ad implicazioni “di ben più vasta portata” e al rispetto della specializzazione degli istituti bancari rimanda evidentemente ad una concezione del credito a medio termine legata al riequilibrio finanziario della grande industria e perciò complementare, sotto vari aspetti, alla stessa funzione mobiliare. Giacché, come precisa ancora la relazione del 1953,
i nuovi investimenti di maggior impegno sono stati realizzati, in prevalenza, da grandi complessi industriali già esistenti, che hanno trovato in larghi margini di autofinanziamento e nella possibilità di indebitamento presso l’ordinario sistema bancario i mezzi per attuare i loro programmi,
l’appello al mercato azionario e obbligazionario ha svolto in prevalenza una funzione di consolidamento di debiti precedentemente contratti dalle imprese, sia a breve che a medio termine: “basti riflettere alle emissioni obbligazionarie garantite ipotecariamente da impianti alla cui costruzione, spesso pluriennale, si è provveduto con mezzi transi
tori” , come nel caso delle emissioni obbligazionarie di Imi e Icipu per conto di imprese di “pubblica utilità”, elettriche in particolare; oppure “al rimborso di debiti finanziari a cui sono destinati molti aumenti di capitale”87.
Su questo versante l’attività di Mediobanca si orienta fin dal 1949 con crescente intensità verso la promozione e direzione di sindacati di garanzia per l’assunzione a fermo e per il collegamento tra il pubblico di emissioni azionarie e obbligazionarie di società industriali, affiancando tali attività spiccatamente mobiliari — che le erano state consentite dalle autorità di vigilanza nello stesso anno, sia pure con precise limitazioni— alle tradizionali operazioni di finanziamento. La soglia degli anni cinquanta rappresenta in effetti per Mediobanca un evidente punto di svolta, segnato dall’aumento del capitale a tre miliardi88 e da fondamentali revisioni statutarie, tra le quali la possibilità di partecipare a consorzi di garanzia e— passo decisivo in direzione della banca d’affari — di “assumere partecipazioni in aziende finanziarie, immobiliari, industriali e commerciali”89. Di fatto, più che nell’intermediazione tra imprese e uno specifico segmento del mercato finanziario, il ruolo
86 Vedi Mauro Marconi, Lineamenti di un trentennio di politica monetaria, in Fausto Vicarelli (a cura di), Capitale industriale e capitale finanziario: il caso italiano, Bologna, Il Mulino, 1979, pp. 231-232; e M. Bagella, Gli istituti di credito sociale cit., pp. 52-61.87 Mediobanca, Assemblea del 28 ottobre 1953, cit., pp. 11-12.88 Mediobanca, Assemblea del 27 ottobre 1949, Relazione del consiglio, pp. 12-13: l’istituto era infatti tenuto a rispettare il rapporto da uno a quindici tra i propri fondi e il risparmio raccolto.89 Banca di credito finanziario, statuto 1950, pp. 8-9. Questi i limiti imposti dalla Banca d’Italia all’attività di Mediobanca: non più di quindici volte il capitale sociale e le riserve nelle operazioni di raccolta dei fondi; non più del 25 per cento del proprio capitale e riserve per ogni finanziamento, sia sotto forma di credito finanziario che di partecipazione azionaria e obbligazionaria; non più del 50 per cento del proprio capitale sociale e riserve per ogni operazione di collocamento di azioni e obbligazioni per conto terzi e di partecipazione a consorzi di garanzia; non più della metà del proprio capitale sociale e riserve in operazioni di assunzione di partecipazioni e di acquisto di titoli azionari e obbligazionari, e non più del 10 per cento di detto capitale e riserve nell’assunzione di partecipazioni in titoli emessi da ogni singola società. Inoltre a Mediobanca era inibita l’assunzione di partecipazioni superiori ad un decimo del capitale di ogni singola società, tranne in casi di società con capitale inferiore a cento milioni. Questi limiti non si applicavano a titoli dello Stato o garantiti dallo Stato. Vedi anche a tale proposito Luigi Frediani, Le banche di interesse nazionale, Milano, Angeli, 1981, pp. 76-80, che ricorda come tali restrizioni siano state ripetutamente allentate nel corso degli anni sessanta.
650 Stefano Battilossi
di Mediobanca si afferma gradualmente in questa prima fase tra gli anni quaranta e cinquanta come elemento di compensazione tra grandi gruppi oligopolistici pubblici e privati, mercato dei valori mobiliari (soprattutto obbligazionari: tra il 1947 e il 1952 Mediobanca coprirà in media il collocamento del quaranta per cento delle emissioni obbligazionarie delle società industriali) e un sistema bancario che, in assenza di altri soggetti, canalizza confusamente molteplici flussi di risparmio. Tale funzione di compensazione viene esercitata non solo attraverso l’alto numero di partecipanti ai concorsi (da un minimo di 33 ad un massimo di 56 tra banche, istituti ed enti finanziari), ma anche attraverso la diluizione temporale del collocamento della cospicua massa di obbligazioni, attenuando in tal modo i rischi derivanti da un’espansione delle emissioni superiore alle capacità ricettive del mercato90. Nel passaggio agli anni cinquanta, viceversa, parallelamente all’at- tenuarsi del boom obbligazionario, l’attività mobiliare dell’istituito tende a polarizzarsi intorno a funzioni più selettive, privilegiando, sul versante del reddito fisso, la direzione di consorzi per il collocamento dei titoli Iri, e, su quello dei valori azionari, l’organizzazione di sindacati di garanzia per au
menti di capitale lanciati dalle maggiori holding pubbliche e private (o da loro consociate): agevolata in ciò da un mercato mobiliare nel quale le emissioni di azioni a pagamento rappresentano una quota sempre più cospicua dei mezzi finanziari a medio-lungo termine affluiti all’industria, in presenza anche di quotazioni in continua ascesa e di un tasso reale di redditività elevatissimo91.
Già da questa breve congiuntura emerge insomma la propensione dell’istituto milanese a proiettare le proprie attività mobiliari in una dimensione esasperatamente verticisti- ca, a beneficio esclusivo dei gruppi che, allora come più tardi, monopolizzavano il mercato mobiliare, e al di fuori di una borsa valori storicamente asfittica. Non traspare viceversa alcun rapporto preferenziale col settore privato della grande industria, che anzi — eccezion fatta per i due colossi Fiat e Montecatini — beneficia della collaborazione di Mediobanca assai meno di gruppi liz zati quali Finsider, Finelettrica, Sip, Ilva e Stet. Le ragioni della parziale privatizzazione di Mediobanca — allorché, di lì a poco, vi faranno il loro ingresso Fiat, Centrale, Pirelli e Bastogi — non possono dunque essere rintracciate nelle caratteristiche dell’attività svolta fino alla seconda metà degli anni cin-
90 II boom delle emissioni obbligazionarie si verificò tra il 1948 e il 1949, grazie al decreto legislativo del Cps, 28 novembre 1947, che ripristinava l’esenzione dell’imposta di ricchezza mobile per gli interessi delle obbligazioni emesse dalle spa e dalle società in accomandita (esenzione che era già stata in vigore per otto anni dal 1926 al 1934). La limitazione dell’agevolazione tributaria al 31 dicembre 1949 portò alla concentrazione nel biennio 1948-1949 di una massa imponente di lanci di obbligazioni. Mentre infatti nel periodo 1946-1947 i titoli offerti in pubblica sotto- scrizione erano costituiti per la maggior parte da azioni, nel 1948 le obbligazioni costituirono quasi il 17 per cento delle emissioni private (oltre un nove per cento di obbligazioni convertibili in azioni), per salire nel primo semestre del 1949 al 58 per cento delle emissioni totali. Delle emissioni private di obbligazioni quotate in Borsa, oltre l’85 per cento fu costituito da obbligazioni assunte a fermo o collocate da consorzi diretti da Mediobanca. Vedi Mediobanca, Assemblee 1949-1952, Relazioni del Consiglio.91 Rispetto al triennio 1950-1952, nel 1953-1956 la quota delle emissioni di azioni a pagamento sul totale dei flussi finanziari all’industria passa dal 32 al 53 per cento: cfr. Il finanziamento degli investimenti industriali in Italia, “Mondo economico”, n. 38, 22 settembre 1956, pp. 13-14. Vedi anche Andrea Calamanti, Il mercato mobiliare italiano. Aspetti strutturali ed evolutivi ne! secondo dopoguerra, Milano, Angeli, 1977, pp. 31-36; e P. Manes, Il mercato azionario italiano cit., pp. 183-186.
L’eredità della banca mista 651
quanta. In questa prospettiva, indizi e date porti di forza tra settore pubblico e settore convergono piuttosto nell’indicare nel di- privato e spinge la stessa Mediobanca verso stacco delle società irizzate dalla Confindu- nuove strategie e nuove alleanze, stria e nella costituzione delle Partecipazionistatali il punto di crisi che scompagina i rap- Stefano Battilossi
Stefano Battilossi ha conseguito il dottorato di ricerca in storia presso l’università degli studi di Torino. Collabora attualmente al gruppo di ricerca dell’Insmli su “Gli imprenditori italiani tra guerra e dopoguerra”.
652 Stefano Battilossi
Appendice statistica - tabella 1. - Finanziamenti a medio termine 1948-1956.Ripartizione per settore produttivo dei finanziamenti ancora in essere al 30 giugno di ogni anno
1948 1949 1950 1951 1952 1953 1954 1955 1956
% <7o <% % % <% % %
Servizi pubblici (elettricità, telefoni, trasporti, gas)................. 17,1 26 20,4 38,6 36,3 37,9 33,2 29,4
Chimica e farmaceutica .............................. 23,1 6,5 18,6 26,3 23,1 30,5 26,7 28,4 26,4
Tessile....................... 12,3 29,1 19,8 16,1 11,4 7,4 7,2 9 4,8
Meccanica ed elettro- meccanica, metallurgica, cantieristica......... 27,6 23,5 21 18,5 9,9 5,5 9,8 18 27,6
Altre (alimentare cartaria e editoriale, edilizia, vetraria) ............. 37 23,8 14,6 18,7 17 20,3 18,4 11,4 11,8
100
Fonte: Relazioni annuali Mediobanca 1948-1956.
A p p e n d ic e s ta t is t ic a - t a b e l la 2 . - Raccolta del risparmio e ricorso al mercato mobiliare 1946-1952 ( m i l io n i d i l ir e c o r r e n t i)
R accolta delle aziende di
credito (*a) (1)
di cui BIN
%
R accolta degli
istitu ti di C red ito
M obiliare (*b)(2)
di cuiM ediobanca
%
R icorso al m ercato m obiliare
E m issioni di obbligazioni E m issioni di azion i a pagam ento
E n ti di d iritto
pubblico (*c) (3)
S .p .A .(4)
di cui collocate a cu ra dì
M ediobianca%
T ota le(5)
di cui con garanzia di consorzi
M ediobanca %
T ota le(6)
1 9 4 6 7 3 9 .3 5 4 2 7 ,3 2 .4 1 4 5 0 ,3 7 .1 5 0 * 5 9 5 * — 9 .9 4 1 — 1 7 .6 8 6
194 7 1 .0 8 1 .7 6 2 2 3 ,7 5 .4 2 6 6 4 ,4 7 .9 1 0 * 2 .1 7 6 * 4 4 ,8 6 7 .2 8 3 — 7 7 .3 6 9
194 8 1 .6 2 1 .6 8 1 2 3 ,3 1 0 .6 1 0 7 9 ,9 2 5 .9 2 0 2 4 .3 5 8 3 9 ,8 7 0 .8 8 3 — 1 2 1 .1 6 1
1 9 4 9 2 .0 7 1 .4 1 5 2 2 ,7 1 7 .9 0 6 7 7 ,2 3 3 .2 0 4 1 0 7 .5 8 7 3 2 ,3 9 7 .1 5 2 — 2 3 7 .9 4 3
(private 31.900 84,6)
1 9 5 0 2 .3 8 4 .4 4 2 2 2 ,9 2 7 .9 8 5 5 9 ,3 3 2 .7 1 6 3 2 .6 7 8 5 7 ,7 6 2 .2 0 4 — 1 2 7 .5 9 8
1951 2 .8 9 5 .0 3 1 2 4 ,3 3 1 .1 1 9 6 8 ,1 3 7 .7 7 0 7 .4 0 2 2 5 ,4 9 6 .8 3 3 2 7 ,5 1 4 2 .0 0 5
1 9 5 2 3 .6 0 6 .6 5 1 2 4 ,6 3 9 .6 7 3 6 4 ,7 3 8 .4 5 0 1 5 .1 5 8 5 4 ,6 9 6 .4 7 9 1 0 ,7 1 5 0 .0 8 7
*a) Intero sistema bancario comprese le Casse di risparmio e i Monti di l a categoria.*b) Depositi e buoni fruttiferi di Csvi, Mediobanca, Efi e sezioni speciali di BNL, Banco di Napoli e Banco di Sicilia.*c) Ic ip u , Istituto di credito navale (escluse le emissioni in divisa estera relative a conversioni di prestiti prebellici; ed escluse tutte le emissioni di enti specializzati nel
finanziamento di opere pubbliche).*d) L’asterisco segnala le serie statistiche non strettamente comparabili.F o n ì e : Relazione annuale Mediobanca 1953.
L’eredità della banca m
ista
Appendice statistica - tabella 3. - Operazioni mobiliari 1948-1949/1956-1957 (miliardi di lire correnti). Emissioni obbligazionarie assunte a fermo e collocate al pubblico da consorzi costituiti e diretti da Mediobanca
1 9 4 8 -1 9 4 9 1 9 4 9 -1 9 5 0 1950 -1 9 5 1 1 9 5 1 -1 9 5 2 1 9 5 2 -1 9 5 3 1 9 5 3 -1 9 5 4 1 9 5 4 -1 9 5 5 1 9 5 5 -1 9 5 6 1 9 5 6 -1 9 5 7
Edison 1948-73 10 De Angeli Frua 2 Fiat 1949-74 5 Cot. Olcese Lane Marzotto Fiat 1956-74 15a> Pirelli 1948-73 4 Montecatini 6 Shell It. 1949-69 2 1949-1969 1954-69 9cd> Sade 1949-74 4 Sade 4cu Eridania 1949-69 3 Snia Viscosa 6
Fiat 1949-74 5 Esso Standard 5,5Linificio Canap. Set 2Naz. 1949-69 1
IRI Mare 12 Terni 1949-74 4 Sip 1949-74 IRI Elet. 1952-62 7 IRI El. 1953-62 9 IRI 1955-75 10 IRI 1956-74 20CJ Stipel-Telve Ilva 1949-74 4 IRI 1954-69 22 IRI 1956-76 10 IRI 1957-77 153 e Timo 3,2 IRI Sid. 1953-73 20 IRI El.3IX 1957-77 15,2
Aumenti di capitale a pagamento direttamente garantiti da Mediobianca per conto di consorzi da essa diretti
<uMontecatini +14 Italcementi +4 Lanerossi + 1,5 Fiat + 19 Montecatini + 16
•c Fiat + 12 Magona Caffaro +0,75d’Italia + 1
Finsider +9 Stet +7 Sip + 10,4 Finsider + 15,3 Sip +9,85-C Sip +7,4 Vizzola +3,2 Stet +6 Finelettrica +6 Vizzola +5,023 Stet +5 Terni +5,25 Ilva +8,2X )3 Ilva +7 Terni +5,25Oh Stet + 12 Finelettrica + 15
Partecipazione a consorzi di garanzia per aumenti di capitale a pagamento
cd> Romana El. +1,8 Sme +6,04 Sme +10,88 Seso +2,5 Sme +8,74CU Selt Valdarno
+ 1,84) Terni +5,2 Unes +2O Ilva +3,1
I o Dalmine +2a .
F o n te : Relazioni annuali Mediobanca 1948-1957.
654 Stefano B
attilossi