la violenza sulle donne e la sua rappresentazione

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Viviamo in una società che insegna alle donne come fare a non essere violentate anziché insegnare agli uomini a non violentare

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Ultimo atto

a cura di Graziella Priulla

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Consiglio d’Europa

La Convenzione di Istanbul, 2011Ratificata dall’Italia nel giugno 2013

Gli obiettivi della Convenzione di Istanbul, elencati nell’articolo 1, sono i seguenti:• Proteggere le donne da ogni forma di violenza; prevenire ed eliminare la violenza sulle donne e la violenza domestica;• Contribuire ad eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne e promuovere un’uguaglianza sostanziale tra donne e uomini, conferendo maggior potere alla donna;• Prevedere una struttura di politiche e misure di protezione e assistenza a tutte le vittime della violenza contro le donne e della violenza domestica;• Promuovere una cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;• Fornire supporto ed assistenza alle organizzazioni e rinforzare i poteri legali per cooperare in modo efficace per adottare un approccio unificato con lo scopo di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica.

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La violenza di genere interroga direttamente la nostra normalità, il nostro presente. Essa del resto è profondamente intessuta nell’ordito delle strutture archetipiche dell’immaginazione e della cultura cui apparteniamo.

Fa parte della nostra narrazione delle origini – basti pensare per un momento all’iterazione dello stupro nella mitologia.

Sta nel racconto delle religioni, nelle rappresentazioni dell’arte, nell’ordinamento dello Stato, producendo realtà sociale e dando senso a gesti e comportamenti.

Ancora oggi, l’idea di essere prede naturali del desiderio maschile si forma e si consolida presto nelle donne, che vengono gradualmente educate a suscitarlo attraverso un complesso codice di comportamenti. 4

Riccardo Iacona, giornalista:

È una guerra moderna, questa. Non siamo di fronte a un’Italia in bianco e nero, non ci sono alibi, non sono storie di una periferia culturale, economica o morale del Paese. Non sono storie lontane da noi. Non sono storie di pazzi. Sono storie nostre, questo ci racconta la cronaca del loro martirio, 124 donne nel 2012 come se fossero state uccise tutte da un solo uomo e tutte per lo stesso motivo: la libertà. 

Libertà di scegliere, di lasciare, di vivere da sola, voglia di riprendersi la vita in mano, una vita dove lui non è previsto. Sono morte non perché deboli ma perché forti, sono state uccise quando si sono liberate del loro uomo, sono martiri della libertà. 

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Perché diciamo che la violenza di genere è un problema culturale?

I conflitti tra i sessi ruotano intorno alla disponibilità e dipendenza reciproche, alla loro simmetria, alle regole che ne definiscono contenuti e limiti.

Esso si svolge perciò entro la tensione permanente tra le condizioni della libertà della persona e le forme di lealtà verso la relazione.

Tale tensione, se non elaborata, in determinate condizioni produce violenza, in particolare verso le donne e i bambini.

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E’ merito del femminismo aver portato nel dibattito pubblico e all’attenzione delle istituzioni una violenza che si colloca all’interno del rapporto di potere tra i sessi, un dominio del tutto particolare perché passa attraverso le vicende più intime;  averlo tolto dalla cronaca nera, aver fatto in modo che non fosse attribuito alla patologia del singolo o ai costumi barbari delle comunità straniere, fare in modo che non lo si vedesse come emergenza o questione di sicurezza, ma come problema culturale, sociale e politico di primo piano.

Lea Melandri

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Lo stupro e l’omicidio sono forme estreme del sessismo e sarebbe un errore considerarle isolatamente, come se non fossero situate in una linea di continuità con rapporti di potere e culture patriarcali che, nonostante la costituzione, le leggi, i «valori» sbandierati della democrazia, stentano a riconoscere la donna come «persona». La donna resta - purtroppo anche nel sentire e nel modo di pensare di molte donne, per ragioni di adattamento e di sopravvivenza - una funzione sessuale e procreativa. È il corpo che assicura piacere, cure, continuità della specie. […] È importante perciò che si dica che la violabilità del corpo femminile - la sua penetrabilità e uccidibilità - non appartiene all’ordine delle pulsioni «naturali», ai raptus momentanei di follia, o alla arretratezza di costumi «barbari», stranieri, ma che sta dentro la nostra storia, greca-romana-cristiana, a cui si torna oggi a fare riferimento per differenziarla dalla presenza in Europa di altre culture. Essa fa tutt’uno con la nascita della polis, con la divisione sessuale del lavoro, con la separazione tra la casa e la città, la famiglia e lo Stato. La cancellazione della donna come persona, individualità, soggetto politico, produce inevitabilmente lo svilimento del suo corpo, l’assimilazione agli altri «corpi vili» - l’adolescente, il prigioniero, lo schiavo - su cui l’uomo ha esercitato fino alle soglie della modernità un potere sovrano di vita e di morte.

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L’alternativa alla violenza è in primo luogo la parola, che è il fondamento della cultura.

Il significato intimo, profondo della parola, l’immaginario cui rimanda, le suggestioni che alimenta, i sogni che implementa, la catena di sentimenti che sviluppa. Parole e pratiche di scambio.

La violenza contro le donne, nel momento in cui si manifesta, è dominata dall’afasia. Di entrambi, dell’una e dell’altro, intrappolati entrambi, vittima e carnefice, nel lato in ombra dei sentimenti, di cui mai si riesce a parlare. Urla, imprecazioni, farneticazioni e lamenti, suppliche, pianto. Gesti brutali. Lacrime. Silenzi.

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Violenza simbolica

E’ quella violenza “dolce” - impercettibile a coloro che la subiscono - che ci fa sentire, conoscere, riconoscere, comunicare, agire ed essere in un certo modo e non in un altro.

Passa attraverso indicazioni sia esplicitamente che implicitamente normative. Questa normatività appare ai nostri occhi come accettabile e, quel che è peggio, naturale. Paradossalmente ciò che ha una nascita storica si mostra come eterno, pertanto necessario e immobile.

Il lavoro delle istituzioni (famiglia, stato, chiesa, scuola) finisce per neutralizzare la storia e fare sì che i risultati di questa possano apparire come naturali: è questo il modo in cui le relazioni divengono naturalizzate, perdendo la loro storicità, e i rapporti di potere si perpetuano.

Per invertire questo processo è necessario denaturalizzare lo storico, dubitare dell’ovvio, sospettare dell’evidente e mettere in discussione sia le nostre azioni che il modo col quale ci relazioniamo con i generi. Per essere produttori e non prodotti di cultura.

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Dietro gli aspetti più evidenti del potere, sia privato che pubblico, ce ne sono altri invisibili, che passano attraverso l’educazione, la scuola, i saperi, la comunicazione, il linguaggio, la conoscenza che abbiamo di noi stessi e del mondo. In altre parole siamo di fronte a una forma di dominio che è inscritta in tutto l’ordine sociale e opera nell’oscurità dei corpi: cioè attraverso l’immaginario, i sentimenti, le emozioni, gli habitus mentali di uomini e donne.

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La violenza di genere non ha passaporto, non ha residenza, né fede religiosa: la violenza contro le donne è una manifestazione delle relazioni di potere storicamente disuguali tra uomini e donne e produce danni e sofferenze fisiche, sessuali e/o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione e la privazione arbitraria di qualunque forma di libertà, fino ad arrivare al furto irreparabile della vita stessa.

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Serve sempre di più che lo sgomento provato di fronte all’uccisione di una donna si accompagni alla volontà di ridurre il numero delle vittime di violenza; serve che si conoscano e si diffondano gli strumenti di protezione necessari.

Dobbiamo uscire da un approccio fatalista ed emergenziale per attivare modificazioni culturali che trasformino in maniera significativa i codici della violenza e gli equilibri di potere.

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Da una ricerca svolta nel 2010 nella provincia di Roma:

Gli adolescenti si dividono a metà tra i possibilisti e coloro che non accettano la violenza di genere.

Uno su tre pensa sia lecito schiaffeggiare una donna e solo poco meno di uno su due ritiene che la gelosia non giustifichi un comportamento violento, continuando a vedere la gelosia come qualcosa di positivo, espressione dell’amore e non della possessività o della prevaricazione.

Quasi un adolescente su tre pensa che siano più a rischio le donne «provocanti»: lo stereotipo sottostante è che queste donne siano corresponsabili della violenza che subiscono.

Inoltre, l’uomo si deve far valere e deve sempre sapersi imporre: due terzi degli adolescenti ha interiorizzato questa virilità aggressiva.

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Una cultura arcaica

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Nella tradizione popolare …

• Picchia tua moglie ogni sera: tu non sai perché lo fai, ma lei lo sa.

• Buono o cattivo che sia, al cavallo si dà di sprone. Buona o cattiva che sia, alla moglie si dà di bastone.

• La donna è come la chitarra. Prima la si suona e poi la si appende al chiodo.

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Se è culturale, si può prevenire

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Lo stupro

Il termine latino stuprum, con cui si definisce la violenza carnale, significa anche “onta,disonore,vergogna”.

Disonore per chi? Per la donna stuprata, non per lo stupratore.

In questo spostamento del disonore da chi compie l’atto a chi lo subisce sta l’operazione attuata dalla nostra cultura, che vede la donna colpevole delle violenze subite, sulla base della doppia morale sessuale inventata dall’uomo a proprio favore.

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La cultura dello stupro

E’ un complesso di credenze che incoraggiano l'aggressività sessuale maschile e supportano la violenza contro le donne.

In una cultura dello stupro, le donne percepiscono un continuum di violenza minacciata che spazia dai commenti sessuali alle molestie fisiche fino allo stupro stesso.

Una cultura dello stupro condona come "normale" il terrorismo fisico ed emotivo contro donne. Nella cultura dello stupro sia gli uomini che le donne assumono che la violenza sessuale sia "un fatto della vita", inevitabile come la morte o gli uragani.

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L’uomo è cacciatore

È da quando ho le orecchie che questo modo di dire ritorna inesorabile in ogni discorso in cui si voglia giustificare in un uomo l'attitudine all’incostanza sentimentale, l’insistenza ottusa nel corteggiamento o la frustrazione di chi si è visto sfuggire di mano la preda perché lei, rompendo le regole del gioco di ruolo, gli ha imposto un rifiuto netto e non previsto.

Lo dicono i padri ai figli e le madri alle figlie; se lo ripetono tra loro gli amici ammiccanti con una pacca sulle spalle e lo mormorano le donne alle amiche con un’alzata di occhi al cielo, tutti con la stessa leggerezza: “che ci vuoi fare ... L’uomo è cacciatore e la donna è preda”. Magari dopo averla detta sorridono.

Non realizzano di avere dentro alla testa l’associazione micidiale tra seduzione e morte. Fanno finta di non ricordarsi che il cacciatore la preda la insegue per ucciderla.

L.Lipperini - M.Murgia, L’ho uccisa perché l’amavo: falso!24

Una sottocultura che addossa alla donna un concorso di colpa

nella perdita dell’autocontrollo maschile

Quante volte abbiamo sentito dire "guarda quella come va in giro, poi si lamenta se la stuprano"?

Quante volte abbiamo sentito dire "se l'è cercata"?

Quanti commenti odiosi siamo costrette ad ascoltare davanti ad ogni gonna corta, ad ogni maglietta scollata, ad ogni donna che rivendica il suo diritto di vivere la propria vita e la propria sessualità come meglio crede?

Gallismo

In Italia non esiste nessuna riprovazione sociale verso atteggiamenti come fischiare a una passante per strada o gridarle che cosa le si farebbe avendone l’opportunità.

Basterebbe un viaggio nel resto d’Europa per rendersi conto di quanto questo comportamento sia raro e malvisto.

L.Lipperini - M.Murgia, L’ho uccisa perché l’amavo: falso!

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Il femminicidio? Colpa delle donne. «Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni».

Parola del parroco di san Terenzo, un piccolo paese che si affaccia sul golfo della Spezia. In una lettera affissa nella bacheca della Chiesa, don Piero Corsi si scaglia contro le donne e le loro "responsabilità" nel caso di omicidi, stupri e violenze sessuali.

Il documento è un estratto da un articolo dell’editorialista del sito Pontifex.it

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Viviamo in una società che insegna alle donne

come fare a non essere violentate anziché

insegnare agli uomini a non violentare

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Dire che gli uomini sono tutti uguali non solo è scorretto, ma diffonde la falsa idea che la violenza sia insita nella natura maschile.

Chi stupra non lo fa in quanto maschio, il maschilismo non si trasmette per via genetica.

L’uomo può essere il miglior alleato delle donne nella lotta alla violenza, soprattutto quando di fronte a messaggi come “in fondo se l’è cercata, ma chissà come era vestita, le donne sono tutte un po’ puttane”, non restano zitti offrendo l’idea di essere conniventi.

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Stupratori non si nasce, si diventa, e lo stupro non è un ‘virus sociale’ inevitabile ma un’azione umana, frutto di contesti e di volontà.

Uno stupratore non usa semplice violenza contro un altro essere umano: lo invade, lo marchia, imprime ferite che diventeranno fonte di angoscia permanente.

Lo stupro è un flagello che attraversa la storia, sfugge alle notazioni statistiche, si maschera dietro pregiudizi e fraintendimenti, si trasforma insieme alla società.

Ma non è un male endemico dell’umanità. La violenza sessuale può essere combattuta e vinta.

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Lo stupro nella coppia: no significa no

2007: la Corte di Cassazione delibera che non esiste “diritto” all’amplesso neppure all’interno di un rapporto di coppia coniugale o paraconiugale: il marito (o il compagno) dunque non ha il potere di esigere o imporre una prestazione sessuale, se la partner non è consenziente.

La violenza sessuale perpetrata all’interno di una relazione affettiva (stupro maritale) è tuttora poco riconosciuta: viene spesso confusa e camuffata dalle rappresentazioni per cui un tempo si parlava di “doveri coniugali”, di “diritto dell’uomo”.

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Lo stupro non è impotenza. Il dominio assoluto di un altro corpo diventa una droga. Si stupra, si tortura, si uccide per sentirsi padroni

del destino degli altri.Angelo Izzo , l’assassino del Circeo 

La violenza dei «bravi ragazzi»

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Processo per stupro

http://www.youtube.com/watch?v=RLurjfwjI4gProcesso per stupro (A Trial for Rape) è un film del 1979, diretto

da Loredana Rotondo. Fu il primo documentario su un processo per stupro mandato in onda dalla Rai. Ebbe una vastissima eco nell’opinione pubblica.

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La violenza del branco

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Parola di giudice

Il tribunale di Bolzano, chiamato nel 1992 a giudicare due giovani che avevano violentato una ragazza, pur riconoscendo come veri i fatti da lei denunciati, assolse i due con la motivazione che

è tuttora convinzione assai diffusa, soprattutto tra la popolazione di bassa estrazione sociale e di scarso livello culturale, che la donna vuole essere conquistata al limite anche con maniere rudi e che lei stessa, per crearsi una sorta di alibi che possa giustificare il suo cedimento ai desideri dell’uomo, non disdegna qualche iniziale atto di violenza da parte  del corteggiatore.

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Esercitazione

Vis grata puellae

Dall’idea dell’insaziabilità sessuale della donna discende una delle argomentazioni più turpi dell’antifemminismo: che la donna violentata sia in qualche modo consenziente.

In un frammento di Varrone, la vittima gradirebbe lo stupro, anzi parteciperebbe con tale foga che quasi s’inverte il rapporto violentatore / violentata.

… violentata da non so quale mulattiere, fa scoppiare l’ernia allo stupratore.

Hai mai avuto occasione di riscontrare, leggendo i giornali o guardando la televisione, quanto sia ancora diffusa - nelle arringhe dei difensori di uno stupratore in tribunale – l’affermazione che la vittima sarebbe stata consenziente, quindi la violenza non ci sarebbe stata? 44

I fondamenti nei miti

Il tema dell’inganno a fini di stupro è il leit motif che nella storia dell’Olimpo accompagna l’agire dei maschi nei confronti di ignare fanciulle.

Sono numerosi i miti greci e romani che presentano scene di rapimenti seguiti da stupro. Una vera e propria cronologia di violenze.

In Grecia il rapimento di Persefone da parte di Ade, di Dafne e Leucotoe da parte di Apollo, di Cassandra da parte di Aiace di Locride, di Auge da parte di Eracle, di Andromaca da parte di Ettore, di Polissena da parte di Achille, di Climene da parte di Acamante, senza contare la lista di dee e donne mortali prese con la forza o con l'inganno da Zeus: Antiope, Asteria, Clitennestra, Danae, Egina, Elara, Elettra, Europa, Io, Taigete.

A Roma, si menzionano la violenza del dio Marte su Rea Silvia e quella di Tarquinio Sestio su Lucrezia.

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Come si comportava con le donne Zeus, il re degli dei?

Quando veniva preso dal desiderio di un essere di sesso femminile (divino, umano, o semiumano che fosse), come spesso gli accadeva, non ascoltava ragioni, non conosceva ostacoli, soddisfaceva il suo istinto senza pensarci un attimo.

Per riuscire a farlo non badava a mezzi. Ben poco gli importava che la donna fosse o meno consenziente, come le sue infinite avventure amorose stanno a dimostrare.

Quella che più si avvicina a un corteggiamento (sia pur molto particolare), e che meno di tutte assomiglia a uno stupro è la storia con Europa, la ragazza che ha dato il nome al nostro continente. 46

I Centauri, esseri duali

Non soltanto erano insieme uomo e cavallo, avevano una doppia natura: saggi e guaritori, ma anche violenti e stupratori.

L’identità maschile è scissa in animale (fecondatore) e civile (paternità) ben più di quanto lo sia quella femminile.

La sua polarità sociale non è frutto di lunga evoluzione, ma recente e culturale. Quindi, più precaria. Con lo sprofondare del patriarcato riemerge, nel pieno della postmodernità, il polo “rimosso”: la natura animale, simboleggiata dal cavallo.

Come nel mito, irrompono patologie quale lo stupro di gruppo, sconosciuto alle specie animali, testimone di un’incapacità di relazione risolta con la violenza. 47

Filomela: dopo lo stupro, l’alleanza tra donne

Venne violentata da Tereo, re della Tracia, marito della sorella Procne.

Per impedirle di riferire le violenze le tagliò la lingua (la donna è senza voce), ma Filomela riuscì ad informare la sorella ricamando un messaggio su una tela che le fece pervenire (simbolo della strategia femminile di aggirare i divieti).

Saputo il fatto, Procne uccise il figlio Iti avuto con Tereo e glielo diede in pasto di nascosto.

Quando Tereo capì quanto avvenuto si diede alla ricerca delle due sorelle, che nel frattempo s’erano rifugiate in Focide. Le due invocarono l'aiuto dagli dei, e furono trasformate in uccelli (la metamorfosi perpetua l’aggressione e la voce si riduce a canto).

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Aracne, la punizione per chi parla

Aracne è brava tessitrice, e sfida Atena a costruire un arazzo.

Ricama tutte le infedeltà di Giove, ma la dea la punisce, afferra il suo magnifico tappeto lacerandolo completamente, e le getta addosso la spola.

Aracne, vinta dal dispiacere, si toglie la vita impiccandosi ma la dea, ancora non paga, la trasforma in ragno, condannandola a tessere per l'eternità appesa ad un filo.

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Rileggendo la storia

Il sesso è sempre stato usato come strumento di potere. Dalla notte dei tempi non esiste manifestazione di esercizio vittorioso più simbolico della violenza maschile sui corpi femminili. I corpi delle donne stuprate erano come le case e gli edifici distrutti ed incendiati: una prova di forza, considerata accettabile.

Nel 753 a.C. fu fondata Roma; Romolo, dopo avere ucciso il fratello Remo, ne divenne re incontrastato e la rese forte. Per conquistare altri territori aveva però l’esigenza di un esercito più numeroso di quello esistente, e quindi la necessità di aumentare in breve tempo il livello demografico; le donne romane in età fertile non erano sufficienti a esaudirne il bisogno.

Col ratto delle Sabine (le sole vergini, ovviamente) il problema venne risolto.

E’ insomma con uno stupro di massa che inizia la “Civiltà romana”: lo certifica Tito Livio.

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Nel secolo scorso questo è accaduto, ad esempio, nel 1917 ad opera delle truppe austro-tedesche dopo la disfatta di Caporetto. È accaduto dopo il '43 ad opera dei tedeschi nell'Italia occupata e nel '44 ad opera delle truppe alleate, dalle cosiddette "marocchinate" immortalate nella Ciociara da Moravia e poi da De Sica, alle 40.000 donne italiane costrette dalla fame e spesso dalla violenza subita a prostituirsi con gli angloamericani.

Ma non va taciuto il comportamento di tanti uomini italiani nelle situazioni in cui questo è stato possibile.

Le cronache della conquista dell’Eritrea dal 1988, della riconquista fascista della Libia fra il 1930 e il 1931, della campagna di Grecia di un decennio dopo sono piene di stupri feroci delle truppe italiane verso le donne dei popoli oggetto di conquista. E tanti sono gli episodi accertati di violenza sessuale contro donne partigiane da parte di fascisti repubblichini dopo il '43.

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Stupri di guerra, Danzica: un soldato violenta una donna incinta

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Una pratica ancora diffusa: la violenza sui corpi femminili viene esercitata in un conflitto per umiliare il nemico o per attuare rappresaglie.

E’ accaduto spesso durante le due guerre mondiali; ancora dieci anni fa, nella Jugoslavia in fiamme, le truppe serbe stuprarono oltre 25mila musulmane bosniache (organizzando addirittura i rape camps), rompendo l’illusione di un’Europa democratica fondata sul rispetto dei diritti umani. A queste donne non è mai stato riconosciuto lo statuto di vittime di guerra.

Le Nazioni Unite calcolano che più di 60mila donne siano state stuprate durante la guerra civile in Sierra Leone (1991-2002), più di 40mila in Liberia (1989-2003), e almeno 200mila nella Repubblica del Congo durante gli ultimi 12 anni di guerra.

Ricerche attuali confermano una situazione di violenza in Ciad, dove si stuprano le rifugiate dal Darfur. Lo stesso è accaduto in America Centrale. Si è calcolato che nel genocidio del Rwanda (in tre mesi del 1994) siano state violentate tra le 250 e le 500mila donne e bambine.

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La violenza

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Ci si deve attrezzare a livello legale per punire questi reati e per prevenirli, ma non riusciremo a entrare fino in fondo nel nodo che si stringe tra un uomo e una donna, di qualsiasi età, ceto sociale o provenienza geografica, prima dell’uccisione, se non afferriamo il dato culturale profondo, la novità terribile che si nasconde dietro ognuno di questi delitti.

Questa realtà riguarda prima di tutto gli uomini, i ragazzi, la loro formazione, la loro sessualità, in un mondo in cui la posizione e i sentimenti delle donne cambiano rapidamente e sono, per la prima volta nella storia, espressi, raccontati, vissuti.

La sessualità degli uomini deve trasformarsi di fronte alla nuova libertà delle donne, è una grande occasione, non è una perdita anche se come ogni cosa nuova fa paura.

Cristina Comencini, maggio 2013

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Imparare a problematizzare la propria identità di genere nel periodo dell’adolescenza è un fattore determinante per poter progettare il proprio futuro - esistenziale, affettivo e lavorativo - al di fuori delle aspettative dominanti sulla maschilità e la femminilità.

In questo processo, il mondo della scuola e quello della formazione giocano un ruolo cruciale e sono chiamati a introdurre una prospettiva di genere all’interno delle proprie pratiche educative: un fare educazione che sia in grado di disfare i modelli dominanti di genere offrendo a studenti e studentesse gli strumenti teorici e relazionali necessari a diventare gli uomini e le donne che desiderano.

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In premessa è bene ricordare alcune date italiane che forse non tutti conoscono:

solo nel 1956 la Corte di Cassazione ha deciso che al marito non spettava nei confronti della moglie e dei figli lo jus corrigendi, ossia il potere educativo e correttivo del pater familias, che comprendeva anche la coazione fisica1962 - l’abolizione del licenziamento per matrimonio 1963 - la possibilità per le donne di accedere alla carriera di magistratosolo tra il 1968 e il 1969 la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 559 del codice penale che puniva unicamente l’adulterio della moglie1975 - il nuovo diritto di famiglia e l’abolizione del concetto di capofamiglia (e con esso il diritto del marito di picchiare la moglie laddove, a sua discrezione, questa aveva sbagliato)1977 - la parità di trattamento sul lavoro

Ritardi che sono espressione evidente delle resistenze e della difficoltà di estirpare nel nostro Paese le radici delle asimmetrie tra i sessi e, di conseguenza, della violenza di genere. 59

Comparazioni impietose

Nel Gender Gap Index 2012 del World Economic Forum, che misura la parità di genere in 135 Paesi, siamo all’80°posto, dopo l’Uruguay, il Botswana, il Perù e Cipro. Si noti che i risultati nel Gender Gap Report sono correlati sia con la competitività globale dei Paesi, sia con il loro indice di sviluppo umano:

dove le donne stanno peggio, l’intero Paese sta peggio.

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1981: l’abolizionedel delitto «d’onore»

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1996:l’inclusione della violenza sessuale tra i reati

contro la persona

Prima, la violenza sessuale non era considerata un reato contro la persona, ma un reato contro la morale, perciò aveva un certo valore se la donna era ancora vergine (avendo provocato un danno irreparabile nei confronti del futuro marito), ma valeva ben poco se non lo era.

Certe cose non accadono alle donne “perbene”, ma a “quelle che se la vanno a cercare»: questa era la filosofia di base.

Il 26 aprile 1979 rappresentò una data storica per la televisione italiana, ma anche per l’intera società: alle 22 andò in onda, sulla RAI, Processo per stupro. La trasmissione del documentario fu sconvolgente perché rendeva visibile quanto gli avvocati che difendevano gli accusati di stupro potessero essere violenti nei confronti delle vittime. 62

In questo quadro si inserisce il tema della violenza sulle donne.

Fare informazione su questo non è una scelta neutra: tocca tabù sociali, molti antichi e alcuni - purtroppo - anche nuovi.

La reazione misogina e la violenza verbale di singoli e di gruppi si manifestano con evidenza sui social network e nei commenti ai siti che trattano questi argomenti.

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Differenze tra conflitto e violenza

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Nel mondo oltre 600 milioni di donne subiscono violenze

sono 6 milioni 743.000 le donne italiane tra i 16 e i 70 anni che hanno subìto almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita

3 milioni 961.000 donne sono state vittime di violenze fisiche (pugni, schiaffi ecc.)

5 milioni (il 23,7%) hanno subìto violenze sessuali le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le

classi e a tutti i ceti

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Sono triplicati in un anno, dal 2011 al 2012, i reati di atti sessuali con minorenni.

Il 78% dei 505 bambini che li hanno subiti (166 nel 2011) è femmina.

In Italia le bambine e le ragazze risultano più vulnerabili, di fronte alla violenza, rispetto ai loro coetanei maschi: in 6 casi su 10 la vittima di reati commessi e denunciati su minori nel 2012 è una giovanissima donna.

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Le dimensioni della violenza domestica

Ogni minuto una donna subisce una violenza domestica. E non in paesi del Terzo Mondo, ma nella civilissima Europa. Le donne subiscono violenze soprattutto tra le mura domestiche, dal marito o compagno, proprio nel luogo in cui dovrebbero sentirsi maggiormente protette.

“Una donna su quattro è stata vittima di maltrattamenti durante la propria vita” - afferma il segretario del Consiglio d'Europa, Terry Davis - “mentre una su dieci ha subito una violenza sessuale. Molte di queste donne non sono sopravvissute alla violenza domestica, che è ancora uno dei killer più spietati per le donne tra i 18 e i 44 anni”.

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I costi sociali

Le violenze domestiche hanno conseguenze sia sulla vita delle vittime che per la società. Attacchi di panico, paura, depressione, incapacità di relazionarsi con l’esterno e di contribuire all’educazione dei figli sono solo alcuni dei sintomi più frequenti cui vanno incontro le donne violentate.

Alla sofferenza umana si aggiungono poi gli effetti negativi sulla società, con una crescita delle spese per sanità, polizia e giustizia, e una riduzione della produttività.

Ad esempio, la Svizzera spende ogni anno 260 milioni di euro mentre in Inghilterra e in Galles il costo è di 34 miliardi di euro. Tutti i paesi europei sono colpiti da questa piaga: il governo spagnolo paga 2,4 miliardi di euro, nei Paesi Bassi 151 milioni di euro e in Finlandia 101 milioni.

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In Italia ogni giorno ogni 12 secondi una donna viene colpita da atti di violenza di genere (fisica, verbale e psicologica).

Nell’ultimo anno con dati disponibili (il 2010) si sono contati oltre 105mila reati di genere, pari ad oltre 290 al giorno.

Più in dettaglio, ogni giorno 95 donne denunciano di aver subito minacce e 87 di aver subito ingiurie; 64 donne al giorno sono vittime di lesioni dolose, 19 di percosse, 14 di stalking, 10 di violenze sessuali.

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Il caso estremo

Femminicidio

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E’una recente categoria di analisi socio-criminologica delle violenze perpetrate nei confronti delle donne entro un rapporto di coppia.

E’ un neologismo per indicare ogni forma di violenza posta in essere contro la donna in quanto donna.

Inventare nuove parole serve: finché non hanno un nome, le cose sono invisibili.

Dare un nome a un problema è essenziale sia per far sorgere consapevolezza della sua esistenza, sia per agire.

Iniziare a chiamare gli omicidi misogini con il termine femminicidio serve a rimuovere la generalizzazione che deriva dall’uso di parole quali “omicidio” e “uccisione” e comprendere invece i fattori di rischio specifici, la loro diffusione, le modalità per effettuare le indagini.

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Si parla finalmente di femminicidio.

Si parla ancora troppo poco delle diverse forme che la violenza sulle donne assume, delle sue dinamiche spesso invisibili.

Troppo poco delle diverse strade che tante donne coraggiose intraprendono, riuscendo a reagire interrompendo la spirale della violenza, e riconoscendola al primo apparire.

Troppo poco di come dovremmo collettivamente reagire di fronte a questa barbarie. Perché c’è bisogno di un cambiamento culturale profondo, che attraversi tutta la società.

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Scrive l’Accademia della Crusca

E' genericamente omicidio qualsiasi azione che abbia come conseguenza la morte di un soggetto da parte di un altro soggetto. 

E' uxoricidio il provocare la morte della propria moglie, è infanticidio provocare la morte di un bambino. 

E' femminicidio provocare la morte di una donna, bambina o adulta, da parte del proprio compagno, marito, padre o di un uomo qualsiasi, conseguente al mancato assoggettamento fisico e psicologico della vittima.

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E’ l’adeguamento - stentato - della lingua a una stortura di millenni

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Il termine ‘femminicidio’ si è diffuso dopo il film-denuncia diretto da Gregory Nava e interpretato da Jennifer Lopez e Antonio Banderas, che racconta 14 anni di omicidi di donne in Messico.

Dal 1993, più di 400 donne sono state barbaramente assassinate a Ciudad Juárez e in altre città dello Stato messicano di Chihuahua, e più di 650 stuprate.

Le indagini locali sono risultate inadeguate, tra omertà, depistaggi, colpevoli ritardi, falsificazione delle prove.

Grazie alla tenacia delle donne messicane, il Messico è stato condannato dalla Corte interamericana per i diritti umani per i femminicidi avvenuti sul suo territorio. 79

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Donne uccise nel 2013

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Bollettino di guerraMenna era al lavoro, alla guida di uno scuolabus. Giustiziata. Francesca dormiva nel suo letto, come Rosanna. Giustiziate. Gabriella era in macchina accanto al suo assassino, Antonia aveva appuntamento con

lui per strada ... giustiziate.Stefania, brillante studentessa di psicologia, battagliera nel movimento degli studenti.

Il ragazzo che la uccise, dopo un amore finito, non seppe dire altro che una frase assurda: «L’amavo più della sua vita».

Carmela, liceale palermitana, si frappone fra la sorella e il suo omicida. Cerca di salvarla dal furore dell’ex fidanzato respinto. Le hanno trovate una accanto all’altra, le ragazze, riverse nell’androne di casa al ritorno da scuola.

Silvia è stata fatta a pezzi e poi messa dentro un congelatore. Donne diversissime tra loro per provenienza, mestiere, classe sociale. Ma con vicende

simili.Il dopo si assomiglia: l’ospedale, la questura, la paura, i processi. Ma si assomiglia

anche il prima. Il colpo di fulmine, l’innamoramento, il sentimento assoluto, la vita in comune, le botte, i primi abusi, l’isolamento, la denigrazione, le minacce sui figli quando ci sono, la segregazione.

Prima: quando si poteva ancora fare qualcosa. 92

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Un triste primato

Ogni tre giorni in Italia una donna viene uccisa per mano del proprio partner

Un fenomeno allarmante per le Nazioni Unite: eppure in Italia è trattato come un reato di scarsa pericolosità sociale, quasi fisiologico e inevitabile. Basti pensare che violenze e percosse alle donne, spesso preludio del delitto, sono perseguite solo su querela della vittima.

Anche per l’informazione, il reiterarsi di questo crimine fa sì che scenda la soglia di attenzione e che il trattamento della notizia sia ormai scaduto in un racconto di routine. E colpisce la frequenza con cui si usano, per raccontare questi crimini, categorie come "delitto passionale", "raptus di follia", o che si leggano titoli come: "l’ex confessa: l’amavo più della mia vita". "Gelosia", "passione", "amore" diventano facile movente e persino attenuante, che abbassa la soglia dell’allarme sociale, nel silenzio delle famiglie “normali”.

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Una mattanza sotto traccia

E’ difficile conoscere il fenomeno della violenza dai dati delle statistiche amministrative, essendo le denunce scarsissime.

Solo circa il 7% delle violenze, sia fisiche che sessuali da partner o ex-partner sono state denunciate, nel 33% dei casi le vittime non hanno parlato con nessuno della violenza subìta, e soltanto nel 2,8% si sono rivolte ad un Centro antiviolenza.

Ricerche nazionali e internazionali hanno evidenziato che 7-8 donne su 10 prima di essere uccise dal loro partner o ex partner avevano subìto maltrattamenti o erano state perseguitate.

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Chi lavora stabilmente sui casi di violenza spiega come sia indiscutibile che gli uomini che “condividono la subcultura della superiorità maschile” siano più inclini a diventare “partner abusanti”.

Così come è dimostrato dai fatti che “le donne portate a concepire per sé un ruolo subalterno” nella coppia/famiglia siano più inclini a subirla e a non denunciarla.

L’85% degli uomini che agiscono violenza l’hanno vista perpetrata dai propri padri o familiari.

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2013: una ogni due giorni100

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In Italia sono 250 al giorno …

… le donne che vengono aggredite e picchiate dal loro partner o dal loro ex partner.

Nel tempo che avete impiegato a leggere questa diapositiva, è successo, da qualche parte, almeno una volta.

Su dieci uccisioni di donne, 7,5 sono precedute da maltrattamenti, violenza

fisica o psicologica

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Barbablù sposava le ragazze e le uccideva, poi nascondeva i loro corpi in cantina. Così, in serie.

Il primo serial killer delle favole. Marito omicida seriale, impunito.

Perché lo facesse, la storia non lo spiega: non per i soldi, era ricco e viveva in un castello. Non per gelosia, le sue mogli non lo tradivano né potevano avere la tentazione di farlo: vivevano isolate nel maniero, sole con lui.

Non per rabbia, non per reazione a qualche episodio che potesse scatenarla: niente di tutto questo dice la storia. Solo che lui le uccideva.

Concita De Gregorio, Malamore 108

Santa MonicaAllevata così nella pudicizia e nella temperanza… quando ebbe raggiunta l’età conveniente andò a marito, e lo servì come un padrone, studiandosi di guadagnarlo a te (Dio, ndr)… ne tollerò le infedeltà tanto di non farne mai motivo di litigio, ma attendeva la tua misericordia su lui…

In realtà egli era molto affettuoso, ma anche molto irascibile. Ella però aveva imparato a non opporsi alle sue sfuriate né con i fatti né con le parole: quando poi, sbollita la collera, lo vedeva quieto e ben disposto, gli spiegava i motivi della sua condotta, se le pareva che egli si fosse adirato troppo a torto.

Molte altre mogli, dai mariti meno furiosi, portavano sulla faccia sfigurata i segni delle percosse; parlando con le amiche, esse inveivano contro la condotta dei mariti, ed ella contro la loro lingua… E poiché esse, ben sapendo quale marito violento dovesse sopportare, si maravigliavano che non si era mai sentito né constatato che Patrizio (il marito, ndr) avesse battuto la moglie o che vi fosse stata un solo giorno domestica discussione tra loro e, in via di amicizia, gliene domandavano come fosse possibile, ella esponeva loro il suo metodo, quello che ho sopra ricordato.

Quelle che ne facevano la prova, dopo l’esperimento ne la ringraziavano; quelle che non volevano farla, continuavano a essere schiave e malmenate.

da Sant’Agostino, “Le confessioni”.109

Isabella Morra

Lucana, figlia del barone di Favale, poetessa petrarchista del Rinascimento; fu prima reclusa e poi uccisa - a 26 anni - dai suoi stessi fratelli, per via di una presunta relazione clandestina.

I fieri assalti di crudel Fortunascrivo, piangendo la mia verde etate,me che 'n si vili ed orride contratespendo il mio tempo senza loda alcuna.Degno il sepolcro, se fu vil la cuna,vo procacciando con le Muse amate,e spero ritrovar qualche pietatemalgrado de la cieca aspra importuna.

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Carmen, la gitana che voleva vivere libera

Poco prima di essere barbaramente assassinata dà un bacio sulla guancia a Don José. Non lo percepisce come un pericolo, lo considera una vecchia fiamma alla quale è ancora affezionata. Non ha desideri di vendetta o di rivalsa nei suoi confronti: desidera solo vivere la vita che si è scelta. Gli restituisce l’anello di fidanzamento con un gesto semplice, quasi con pudore, con tenerezza.

Per questo tanti uomini sorprendono le donne con la violenza, perché le donne non credono che si possa arrivare a uccidere per qualcosa – glielo dice, a José: c’est fini, je ne t’aime plus – che non esiste più.

E si sbaglia Carmen, si sbagliano le donne, purtroppo.

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Un fatto di cronaca del 1785

Francesco Ferdinando II, Principe di Palagonia, pretore a Palermo, brutto e deforme, sposato all’età di sessant’anni con una giovinetta, ne era a tal punto geloso da applicare specchi ai soffitti della sua residenza, la famosa "Villa dei Mostri" di Bagheria, al fine di controllare meglio la consorte.

Quando la scoprì in compagnia di un falegname, la fece legare con una fune ad un cavallo e trascinare fino alla morte, mentre il falegname fu murato vivo nella villa.

Delitti impuniti, ovviamente.

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L’ «onore» come attenuante

Riporto - in onore della memoria - l’articolo del codice penale che è stato in vigore in Italia fino al 1981:

art. 587: Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.

Queste disposizioni sono state abrogate con la L.442/1981.

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Identikit della violenza

Le tipologie principali della violenza- sessuale (stupro, tentato stupro, molestie, rapporto imposto, 

sfruttamento)- fisica (percosse, ferite, mutilazioni, uccisioni)- economica ( privazione di fondi e risorse)- psicologica e verbale (minacce, ricatti, umiliazioni, denigrazioni, 

insulti).

La violenza ha come autori uomini molto diversiNessuna ricerca  ha rilevato specifici fattori come indicatori di rischio: né la razza, né l’età, né le condizioni socio-economiche 

e culturali, né una specifica condizione psico-patologica.114

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Ti amo,perciò ti uccido

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L’analisi storica e sociologica aiuta a comprendere.Non è perché gli uomini sono malvagi che alcuni di loro umiliano o

uccidono le loro compagne, ma perché la società nel corso dei secoli ha creato in loro la convinzione di essere i legittimi proprietari del corpo femminile e che il loro desiderio fosse il solo a contare.

Questa convinzione, costruita socialmente e culturalmente e radicata nella legge, nella letteratura e nei media, crea quello squilibrio di genere che è all’origine della violenza e che deve cambiare.

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L’amavo più della sua vita

http://www.youtube.com/watch?v=jqNoBvawLk4

Video della regista Cristina Comencini

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Non è un destino ineluttabile

Il punto non è «donne contro uomini».In tutto il mondo lo scontro in atto è di

mentalità.Coloro che vogliono conservare regole e

abitudini del passato «devono» umiliare le donne. Ai loro occhi è il solo modo per evitare che lo status quo sia messo in pericolo.

Le persone moderne invece non avvertono questa necessità, perché sono in grado di adattarsi a una società retta da princìpi nuovi.

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E invece …

Mai stare zitte davanti alle espressioni di questa cultura, di questo controllo, di questa violenza, cui assistiamo o che vengono esercitate su di noi nel quotidiano.

Non reagire a un comportamento sessista significa legittimare la cultura che è alla base del femminicidio.

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A lungo mi sono chiesta come fosse possibile che persone intelligenti, il più delle volte colte, spesso autonome economicamente, accettassero di essere oggetto di violenza all’interno della propria relazione. 

Adesso so che contano l’educazione femminile, frutto di secoli di addestramento alla subordinazione, e anche la parallela formazione maschile, imbevuta di proiezioni dominanti e possessive. 

Contano i modelli sociali patriarcali, e conta moltissimo la sensibilità popolare educata all’idea che uno schiaffo sia solo una carezza veloce, nella convinzione diffusa che l’amore sia tale anche quando procura occhi pesti, zigomi lividi e sospette cadute dalle scale.

Michela Murgia123

La violenza si può fermare

Brutali e fragili: non c’è mix più micidiale.Se scartiamo l’infondata ipotesi di una connaturata malvagità

del sesso maschile, possiamo pensare, più ragionevolmente, che un cambiamento - nel senso di relazioni più umane tra uomini e donne - venga dalla cultura, dall’educazione, dalle leggi, da una conoscenza di sé e dell’altra più consapevole della barbarie che ci portiamo dentro, nostro malgrado.

Non è una questione per sole donne, ma la condizione fondamentale per dar vita a una società libera dall’oppressione.

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Stereotipi sulla violenza di genere (1)

Sulle donne …

• “Va in giro vestita in un modo tale che se l’è cercata!”• “Se lui la picchia ci sarà un motivo, no?”• “Se lei proprio non voleva, non sarebbe successo”• “Si  è  ricordata  di  andare  dalla  polizia  troppo  tardi,  di 

sicuro non è vero”

Stereotipi sulla violenza di genere (2)

Sugli uomini …

• “Un  uomo  di  fronte  ad  una  donna  provocante  non  può resistere all’istinto”

• “Gli  stupratori  sono  uomini  stranieri  oppure tossicodipendenti”

• “Gli ha fatto violenza perché è malato, un uomo normale non farebbe una cosa così”

• “Gli uomini sono fatti così, la violenza e la forza sono una loro caratteristica, anche se ogni tanto si lasciano andare”

Stereotipi sulla violenza di genere (3)

Sui luoghi …

• “Le  violenze  avvengono  in  strada  o  in  luoghi  bui  e isolati”

• “Casa mia è il luogo più sicuro del mondo, non mi può succedere niente”

• “Sono  cose  che ti  possono  succedere  con  gli  estranei, non con le persone che conosci”

Stereotipi sulla violenza di genere (4)

Nella tradizione popolare …

• Picchia tua moglie ogni sera: tu non sai perché lo fai, ma lei lo sa.

• Buono o cattivo che sia, al cavallo si dà di sprone. Buona o cattiva che sia alla moglie si dà con il bastone.

• La donna è come la chitarra. Prima la si suona e poi la si appende al chiodo.

La ricerca - a partire da un'indagine in ambito piacentino - intende dar voce alla percezione che gli adolescenti hanno nei confronti della violenza di genere.

Emerge un quadro preoccupante, fatto di pregiudizi e stereotipi che finiscono per legittimare la violenza, soprattutto quand’essa occupa le mura domestiche e laddove essa non raggiunge le conseguenze estreme; gli intervistati esprimono infatti un giudizio perlopiù negativo sulle donne che subiscono violenza, dibattendosi in una particolare difficoltà nel distinguere tra il volere, nel senso del desiderio, e il violare, a causa di quel desiderio; sembra mancare in loro la distinzione fra conflitto e sopruso, fra pericolo reale e insicurezza sociale.

Ascoltare i campanelli d’allarme

Anna Costanza Baldry, ricercatrice specializzata in criminologia:

Ho studiato 479  fascicoli processuali di altrettanti omicidi di donne  per  cercare  di  capire  se,  prima  dell'uccisione,  ci fossero  stati  campanelli  d’allarme. Nel  70% dei  casi  erano suonati eccome, ma nessuno li aveva sentiti. 

In 9 casi su 10, se si valuta il rischio correttamente, è possibile capire se ci sarà un’escalation della violenza.

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Ragazze: continuiamo pure a credere all’amore eterno e continuiamo a raccontare alle nostre amiche tutte le romanticherie che ci piacciono, ma non tralasciamo mai di chiederci e di chiedere “Ti rispetta?”

Ficchiamoci in testa che questa domanda è essenziale.

Ficchiamoci in testa che il solo vero amore è quello che ti rispetta.

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Nessuna donna dovrebbe accettare un rapporto in cui è sempre il compagno a dettare le regole.

Uno dei segnali da “allarme rosso”, ad esempio, è se l’uomo cerca progressivamente di isolare la compagna dal mondo esterno, quindi le impedisce di vedere gli amici, di avere attività di vario genere che la portino a trascorrere del tempo senza di lui.

L’uomo manipolatore e lo psicopatico tentano con tutti i mezzi di costruire un rapporto “fusionale” con la donna e non perché siano realmente innamorati di lei, ma solo perché vogliono mantenerla sotto controllo.

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Riconoscere la violenzaI maltrattanti si comportano tutti in maniera molto simile.Considerano la compagna una cosa di proprietà, ne sono gelosi al

punto da impedirle progressivamente di uscire, di avere una propria vita sociale, spesso la inducono a lasciare il lavoro per badare ai figli, la umiliano verbalmente fino a distruggere la sua autostima.

A questi comportamenti, poi, alternano periodi di docilità e tranquillità. Questo crea confusione e sensi di colpa nella donna, ed è questa la ragione per cui le donne portano avanti relazioni violente così a lungo, rivolgendosi mediamente ai centri antiviolenza dopo 7 anni di maltrattamenti.

Lo scopo per tutti è lo stesso: ridurre la donna in condizione di isolamento e quindi di dipendenza, economica e psicologica. La soggezione psicologica è tale che molte subiscono sistematicamente anche violenza sessuale, ma accettano la cosa come normale.

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Valutazione dei livelli di negazione

Non è vero Non ero in me

Negazione dei fatti Negazione della consapevolezza

Mi ha istigato Non mi pare così grave !

Negazione della responsabilità Negazione dell’impatto

Alcuni piccoli consigli da seguire se sei oggetto di violenza:

•reagisci subito, al primo schiaffo: la tua passività rafforzerebbe nell’uomo la convinzione del suo diritto alla violenza su di te;•se hai un fidanzato manesco, lascialo subito: con il matrimonio non cambierà;•non giustificare la tua incapacità a lasciare un marito violento con l’alibi dei figli: loro soffrono a vivere in un clima di violenza. Inoltre, le statistiche dicono che un bambino che vive in una famiglia violenta ha ottime possibilità di diventare un violento, e una bambina quella di diventare oggetto passivo di violenze;•non perdere la stima di te stessa solo per quello che un uomo può dire di te;•se vieni picchiata, vai in ospedale, fatti rilasciare un certificato che attesti le tue condizioni e sporgi denuncia, dopo aver contattato un centro antiviolenza o il telefono rosa perché ti affianchino e ti aiutino nell’iter della denuncia e ti informino sui tuoi diritti, onde evitare errori per potrebbero ritorcersi contro di te.

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Saper riconoscere i sintomi

Chiari sono i tre indicatori fondamentali perché una donna possa riconoscere una situazione di maltrattamento: la sofferenza, la confusione e la paura.

Quando si è in una situazione di maltrattamento psicologico c’è sofferenza e ci si sente responsabili, come se essere trattate male sia propria colpa.

C’è confusione, non si capisce più chi ha torto o ragione nelle discussioni, non si riesce a seguire il proprio punto di vista e ci si sente indecise e insicure su ogni cosa.

C’è paura, si sente un disagio forte perché si è continuamente

in ansia per le oscillazioni di umore del proprio compagno.140

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Le storie violente cominciano sempre con uno schiaffo: un “piccolo“ episodio che spesso viene sottovalutato nella speranza che non accadrà ancora. E invece lo schiaffo si ripete, più forte. Sempre.

Di solito una vittima non reagisce alle prime avvisaglie di un comportamento violento con comportamenti di fuga, allontanamento o ribellione: è portata piuttosto a perdonarlo o comunque a trascurarlo, confidando che non si presenti più.

Un ceffone è già troppo. Anche se è la prima volta, anche se l’uomo si pente e promette di non usare più le mani, in quel momento il limite è stato superato e può andare soltanto peggio. 143

Stai attenta a chi ti dice troppo spesso cosa fare, senza chiedersi cosa vorresti fare tu.

Stai attenta a chi ti promette amore per qualcosa in cambio.

Stai attenta a chi ti tratta male e giustifica il suo comportamento come necessario.

Stai attenta a chi non ti fa mai un apprezzamento.

Stai attenta a chi non ha fiducia in te.

Stai attenta a chi ti fa sentire in colpa, come se tu fossi sbagliata.

Stai attenta a chi ti vuole "troppo bella", "troppo gentile", "troppo buona", "troppo disponibile".

Stai attenta a chi non ti vuole per quello che sei e cerca di modificarti in un'altra.

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Assumiti la responsabilità di aiutare te stessa e il tuo compagno (che deve essere curato e incarcerato nei casi più gravi) riconoscendo il problema. Se hai un tumore far finta di non averlo non ti guarirà: morirai lo stesso. I dati ci suggeriscono da dove viene il problema. Dal nostro tipo di attaccamento relazionale che è disfunzionale. Se abbiamo avuto traumi affettivi e un attaccamento insicuro con i nostri genitori ci riteniamo indegne, ci identifichiamo nel nostro carnefice e giustifichiamo le sue manchevolezze.

Ammettere di non essere amate ci fa profondamente soffrire ma negarlo non ci restituisce quell’amore che stiamo mendicando.

Giustificare il tuo compagno addossandoti la colpa di averlo provocato fa parte di un retroterra culturale retrivo e violento.

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Il ciclo della violenza

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E le pubblicità, che relazioni umane suggeriscono?

E perché i maschi accettano che li si rappresenti così?

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Una sessualità da incubo

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Nella storia della nostra specie deumanizzare serve a pensare l’altro essere umano incompleto, animale, oggetto. Serve a compiere su di lui azioni inaccettabili in un contesto normale.

Queste sottrazioni di umanità accompagnano la nostra vita senza che spesso ne abbiamo consapevolezza.

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Fin da una giovane età, ai ragazzi vengono messe camicie di forza emozionali da un ristretto codice di comportamento che definisce falsamente la mascolinità.

Aderire a questo codice lascia molti uomini dissociati dai loro sentimenti ed impossibilitati ad accedere, nominare, condividere o accettare molte delle loro emozioni.

Quando gli uomini non comprendono le loro stesse emozioni diventa impossibile comprendere i sentimenti di un’altra persona. Questo crea un “disordine da deficit di empatia” che è fondamentale per bullismo, abusi e violenza di genere.

Ai ragazzi viene insegnato ad essere tosti, indipendenti e ad evitare ad ogni costo qualunque cosa considerata femminile per paura di essere associati con le donne. Questo porta molti uomini a rinunciare alla comune umanità con le donne in modo da sentire una disconnessione emozionale con loro. Le donne diventano così oggetti, usati per validare l’insicurezza mascolina o per soddisfare bisogni fisici. 155

Possesso

Il rapporto con la donna è fortemente segnato dal verbo avere: “ho un moglie”, “ho una ragazza”, “farò di tutto per riaverti”, “sei mia”, “l’ho posseduta” sono forme linguistiche che chiariscono molto più di tante analisi a quale tipo di rapporto siamo stati/e educati/e.

La donna “si ha”, e se è negata

è legittimo toglierle la vita,

romperla come un oggetto.

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Tanto dagli uomini maltrattanti quanto da quelli “buoni”, spesso è considerato normale un controllo pressante sulla vita e le libertà della partner.

Vietare facebook alla fidanzata, leggere la sua posta, impedirle di lavorare o seguirla ogni giorno per controllare che il rivale in amore non si faccia vedere, è considerato un modo normale di essere uomini e innamorati, anche per molte donne.

Ma è solo una questione di possesso e dominio.

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Questo non è amore

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Che cos’è la gelosia?L' "amore geloso" si attiva quando predomina una tensione

determinata da insoddisfazione, scarsa autostima, frustrazione: un vuoto che il partner dovrebbe colmare.

In questa modalità di relazione si tende al possesso del partner. E’ un rapporto di potere. C'è un bisogno esasperato di essere amati, ammirati e scelti come unici destinatari dell'investimento affettivo del partner, da cui si esige una presenza e una disponibilità continua e totale.

Il partner geloso, con la sua pretesa di possesso esclusivo dell'altro da cui ricevere un amore incondizionato e una soddisfazione totale, non riesce ad identificare il partner come "altro da sé", ma come specchio di se stesso.

E' un amore a metà, dove predomina l'illusoria convinzione delle donne di essere ricercate, amate, desiderate intensamente da un uomo che dice di non poter vivere senza il loro amore, ma che in realtà sta pensando solo a se stesso.

Per amare è necessario riconoscere il partner come altro da noi, con la sua personalità, il suo modo di essere, i suoi spazi di libertà.  169

Per quale motivo – nel XXI secolo – la gelosia di un uomo viene considerata da alcune donne un elemento

a suo favore, quasi un pregio, una virtù?

“Il mio ragazzo è molto geloso, non vuole che esca da sola la sera con le amiche”; “ Non mi posso vestire troppo scollata, o con una mini, perché sai, poi lui si arrabbia”; “Io controllo sempre di nascosto i messaggi sul cellulare del mio ragazzo, e anche lui lo fa sempre … se mi arriva un messaggio di un altro, anche se non c’è niente tra di noi, diventa gelosissimo e spesso minaccia di lasciarmi o di farmela pagare. Allora io sto zitta e faccio quello che vuole, perché non voglio perderlo”.

La violenza sulle donne non è solo stupro, è anche pressione psicologica, è anche l’essere costretta a fare cose che non si vorrebbero fare, è anche l’’ ssere ostacolata nel prendere decisioni individuali o l’essere psicologicamente costretta a non essere indipendente, è essere controllata costantemente.

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L’«amore» uccide più della malavita

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Troppo spesso gli stereotipi e i pregiudizi, ancora sottesi in tradizioni, istituti, ruoli e realtà sociali attuali, trovano la donna incapace di quella consapevolezza che la condurrebbe a percepirsi nel suo ruolo di vittima quando questo fosse.

E’ soggiogata troppe volte anche da una fragilità psicologica che la mantiene passiva, indulgente e tollerante, incline a sopportazione e oblatività come caratteristiche materne e quindi confacenti con il suo ruolo di donna.

E’ soggiogata troppo spesso da una sudditanza economica, quando non possa contare sull’efficienza di una rete istituzionale sistemica e coordinata che la protegga e la difenda. 174

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Nelle storie di piccola e di grande violenza mancano sempre le parole da dire

Non ci sono le parole della vittima che subisce, si percepisce impotente e si arrende a un potere che diventa sopraffazione.

Non ci sono le parole di chi utilizza la violenza perché non sa raccontare in altro modo la sua paura di vivere ai margini, la sua vulnerabilità che è spesso il risultato di storie di vita dall’avvio problematico e dalle poche risorse educative ed emotive.

Non ci sono nemmeno le parole di coloro che dovrebbero presidiare il campo della crescita e dell’educazione, che dovrebbero prendere posizione rispetto alle prepotenze e alle ingiustizie. 175

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Nella violenza domesticale conseguenze sulle vittime si possono descrivere così:•perdita del valore di sé e della sicurezza sino alla perdita dell’autostima •perdita del senso di gestione autonoma della propria vita e del proprio corpo •senso di impotenza e isolamento.La violenza può provocare conseguenze traumatiche. Spesso le donne trovano delle strategie per convivere con il dolore e i sentimenti feriti. Queste donne investono un’enorme energia per sopravvivere e affrontare la quotidianità. Ma la violenza continua aumenta il peso, le tensioni e ansie determinano le giornate rendendole insopportabili. A volte si ricorre all’alcol o alle droghe per calmare la tensione, l’ansia, nei casi di situazioni particolarmente pesanti alcune donne ricorrono agli psicofarmaci. Con il tempo però ciò porta ad un calo dell’energia e delle forze che servono alla donna per affrontare la vita quotidiana e quella della famiglia.Per uscire dal ciclo della violenza un aiuto adeguato dall’esterno è assolutamente necessario. 179

Lesioni quotidiane all’autostima

Mi diceva che sono grassa, che sono stupida, che sono brutta: e io andavo davanti allo specchio, mi guardavo con gli occhi suoi e mi dicevo che forse aveva ragione

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Che cosa prova la donna

• massima VULNERABILITA’• pervasivi sentimenti di COLPA e VERGOGNA• paura• ansia/angoscia• solitudine• diffidenza• disorientamento/confusione• disperazione• disvalore/incompetenza• … rabbia

Il giudizio degli altri

In molti casi, una donna in condizione di fragilità psicologica subisce l’ulteriore carico del giudizio dei familiari, che sminuiscono la sua condizione di sofferenza con frasi come "Te lo sei sposato e te lo tieni", e delle forze dell’ordine, che spesso scoraggiano quelle che vanno a denunciare: "Signora, è il padre dei suoi figli: ci pensi bene".

Per aiutarle a uscire dall’isolamento è dunque importante avvicinarsi loro con cautela e istruire in modo adeguato forze dell’ordine e operatori sociali.

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I bisogni delle donne che subiscono violenza

BISOGNI INIZIALIUSCIRE DALLA CONFUSIONEESSERE ASCOLTATE RACCONTARE LA PROPRIA STORIA E LE PROPRIE EMOZIONIESSERE CREDUTE E NON GIUDICATERICONOSCERE LA VIOLENZA COME TALEVEDERE LEGITTIMATE LE PROPRIE EMOZIONIRACCOGLIERE INFORMAZIONI

CONOSCERE LA RETE DEI SERVIZI

consente alla vittima, informata sulle

motivazioni di un accompagnamento o invio ad altro servizio, di essere

UN SOGGETTO ATTIVO CONSAPEVOLE

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Incolpare la vittima è ucciderla due volte

Sminuire la portata della violenza, ritenendo fisiologica l’episodica aggressione nella sfera del privato di coppia,

definire genericamente conflittualità  di  coppia  l’agire violento del partner maschile, o

ricercare nella vittima, nel suo comportamento e/o nella sua psicologia, le cause della violenza,

dà luogo a un processo che è stato definito di vittimizzazione secondaria, che consiste nel cercare la causa della violenza in tratti di personalità, in particolari comportamenti delle donne o caratteristiche morali di queste ultime.

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«Non è vero»

«Non sta succedendo a me». Luisa, 38 anni, toscana, dice di essere andata avanti per mesi con quel pensiero fisso. Mesi durante i quali il fidanzato, da cui attendeva un figlio, alternava momenti di tenerezza a scatti di ira, carezze a botte.

Chi lavora con le donne maltrattate spiega che dalla fase «non sta succedendo a me» passano quasi tutte.

Se si avessero le chiavi per decodificare i segnali, imboccare il tunnel che porta a diventare vittime di violenza sarebbe meno semplice. Capire significa salvarsi.

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La rappresentazione mediatica

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La RAI

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Se si prova a cercare la parola “femminicidio” negli archivi dei giornali si scopre che essa fa la sua prima comparsa intorno al 2006-2007, per poi diffondersi sensibilmente solo negli ultimi anni.

Non che prima, ovviamente, non si consumassero femminicidi: semplicemente non c’era una parola per indicare il fenomeno e i singoli episodi venivano raccontati slegati l’uno dall’altro.

Da qualche tempo, molto lentamente e con grandi lacune, alcuni mezzi di comunicazione hanno deciso di tirar fuori dal flusso indistinto degli avvenimenti i casi di donne uccise per aver osato mettere in discussione il loro ruolo e hanno iniziato a dare a questi fenomeni il nome di femminicidio (anche se qualcuno ancora storce il naso di fronte a questa parola).

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Alla luce del crescente risalto dato dai media e dalla politica ai femminicidi e, più in generale, alla violenza contro le donne, è importante valutare la qualità dei messaggi che riceviamo sul tema.

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Al centro della violenza maschile c’è il nodo della soggettività e della libertà delle donne: il riconoscimento del desiderio femminile, il riconoscimento della propria compagna come interlocutrice, il misurarsi con la libertà di scelta di una donna che se ne va.

Ma nella comunicazione pubblica e nelle iniziative sulla violenza questo nodo emerge di rado: gli uomini restano invisibili e le donne sono rappresentate come soggetti deboli, da proteggere, magari da controllare.

Non è possibile la progettazione di servizi, la costruzione di campagne di sensibilizzazione senza sviluppare una riflessione critica sui modelli dominanti di mascolinità.

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Le parole per raccontarlo

Il femminicidio nei media viene generalmente legato a due motivi, ambedue fuorvianti: l’amore o la malattia.

Quando il movente viene identificato nel delitto passionale, quello per «troppo amore»: si confonde l’amore con la rabbia o l’incapacità di affrontare solitudine e abbandono.

Quando è identificato con la malattia, si lega l’atto omicida ad una patologia. La violenza viene quasi sempre spiegata come un “raptus” o una “follia omicida”, anche se l’uccisione della donna avviene dopo anni di violenze familiari o stalking, e le indagini rivelano che il delitto era stato organizzato precedentemente .

Con l’uso di queste parole i giornalisti e le giornaliste hanno la responsabilità più o meno consapevole di confermare la cultura che giustifica la violenza nei confronti delle donne. 

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Negli articoli di nera o nei servizi televisivi si sottintende o si esplicita che a scatenare la “follia” sia stato un comportamento “sbagliato” della donna che ha scatenato la reazione distruttiva dell’ex compagno.

Al femminicida vengono attribuite quasi sempre buone qualità (più raramente se è straniero): “buon padre”, “bravo ragazzo”, o viene messa in luce l’infelicità.

La donna invece viene spesso descritta come una portatrice di disordine che aveva (o aveva avuto) molte relazioni”, o non accudente, o infedele. Una donna che non rispettava le aspettative sociali e quelle del compagno, di essere una “buona moglie”.

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È a lui che, incredibilmente, tutte le storie sono rivolte. A morire è una donna ma chi si impadronisce della scena è l’uomo che l’ha uccisa, restando comunque entro una costellazione di tipo passionale.

Il maschio agisce il dominio sull’oggetto di sua proprietà fino a liberarsene, sopprimendolo nel momento in cui si rende conto che gli si palesa dinanzi un soggetto.

Dunque questo amore imperituro e furioso, che porta alla morte dell’oggetto amato, diviene il leitmotiv di ogni narrazione: c’è una soggettività maschile che o è malata o è tradita, della donna poco e nulla si sa.

C’è bisogno di un nuovo baricentro rispetto al tema, posizionarsi al centro e aprire lo sguardo, smascherando le consuetudini che vorrebbero le donne imprigionate nel preconcetto vittimizzante di eterne vestali o surrogate mamme cattive.

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Ricordati di me, che son la Pia

«Non svelo il nome del mio assassino – dice Pia de’ Tolomei quando incontra Dante in Purgatorio – altrimenti vi ricorderete solo di lui e non di me».

Andata in sposa a Nello dei Pannocchieschi, podestà di Volterra e capitano della Taglia guelfa nel 1284, fu fatta uccidere dal marito che la fece precipitare dal balcone del suo castello della Pietra, in Maremma.

La causa del delitto sarebbe, secondo alcuni, la punizione di un’infedeltà, secondo altri la volontà di lui di passare a seconde nozze.

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Dramma della gelosia

Otello è solo un elemento di una coppia fatale: l’altro è Desdemona (in greco ‘sfortunata’), la bionda patrizia veneziana che il Moro ama, sposa e poi strangola sul letto nuziale, convinto che lei lo tradisca.

Shakespeare, che da questa vicenda immaginaria ha tratto una delle sue tragedie più intense e famose, illumina a tutto tondo la figura di Otello, ma lascia in ombra quella di Desdemona, della quale presenta solo gli aspetti funzionali al progredire della passione del Moro, all’acuirsi ed esasperarsi di essa sotto il pungolo del perfido Jago.

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Un “amore criminale” è un ossimoro,

un “omicidio passionale” è una giustificazione,

un “raptus di follia” è una menzogna.

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1 marzo 2012: “Fracassa il cranio del figlio per vendicarsi dell’abbandono della moglie”

Come poteva essere un “uomo mite”, “buono come il pane”, padre “amorevole”, come lo hanno descritto la maggior parte dei giornali ostentando profili psicologici di un uomo “distrutto dal dolore” per la separazione dalla moglie, quello che ha fracassato a martellate il cranio del figlio di 17 anni che dormiva nel letto di casa sua per vendicarsi della donna che lo aveva messo di fronte all’inevitabilità della separazione dopo l’ennesima lite?

Come poteva essere un uomo “pacifico”, uno che decide scientemente di uccidere il figlio, prima di togliersi lui stesso la vita lasciando alla moglie la scoperta dell’orrendo delitto consumato in casa sua?

Quale concezione aveva dei rapporti, dell’amore, della paternità? Quale maturità, quale autonomia, se a tal punto non sopportava un abbandono?

Quale pace mai potrà trovare questa madre, rosa dal rimorso di aver lasciato il figlio in mano al suo aguzzino travestito da padre amoroso? 

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Vittoria, giugno 2013

Un bidello uccide un’insegnante. Si scrive che l'assassino era "ferito" dall'"indifferenza" e

"freddezza" dell'insegnante, quasi la colpa fosse di quest'ultima.

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O la colpa è del caldo?

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Gentilmente

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Un titolo di giornale(Il resto del Carlino)

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Accade spesso che la vittima venga mostrata in abiti succinti

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anche se è minorenne

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Pretendiamo

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Il racconto della violenza nei mass media è spettacolarizzato. La volontà tenace di mostrare la donna vittima è così reiterata

da diventare una sorta di perversa pedagogia.Non servono raccomandazioni, né consigli, né prediche, né

racconti pietosi: questo vale per tutti i mezzi di comunicazione. Noi pensiamo che solo la stima di sé possa salvare le donne

dalla violenza, perché le renderà capaci di riconoscere la violenza prima che accada, le aiuterà a non affidarsi ciecamente e a contare sulle proprie forze. Il resto, le leggi, i provvedimenti, l’ascolto possono aiutare, ma la stima di sé è l’essenziale.

La società in cui viviamo è ancora profondamente impreparata alla libertà delle donne. Quando diciamo società intendiamo dire che anche noi donne siamo impreparate alla nostra libertà e alle sue conseguenze. Può sembrare un paradosso ma non lo è.

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Sulla violenza non si può scherzare!

Banalizzazione dellaviolenza da parte dipubblicitari senza scrupoli

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Estetizzazione e banalizzazione della violenza nelle riviste di moda

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Titoli di giornale su donne importanti

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Non basta essere bravi professionisti, e non basta essere cittadini sensibili; bisogna essere preparati, studiare.

Per dare corretta informazione su questa realtà e in generale sui diritti e le discriminazioni di genere, oltre ai pur utilissimi blog, bisognerebbe entrare a pieno titolo nel tessuto del giornale, avviando un processo di trasformazione dentro le redazioni.

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La violenza assistita

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Secondo dati del 2006 sono state 690mila in Italia le donne che hanno subìto violenze ripetute dal partner e avevano figli al momento della violenza.

Il 62,4% ha dichiarato che i figli hanno assistito ad uno o più episodi di violenza.

Le piccole vittime di violenza assistita apprendono che l’uso della violenza è normale nelle relazioni affettive.

L’aver subìto e/o assistito a maltrattamenti intrafamiliari è tra i maggiori fattori di rischio per lo sviluppo di comportamenti violenti nella vita adulta. 233

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IL BAMBINO CHE VIVE IN UNA SITUAZIONE DI

MALTRATTAMENTO E/O ABUSO FAMILIARE E'

MESSO DI FRONTE AD UN PROBLEMA

INSOLUBILE; IL TERRORE, LA DISPERAZIONE, LA

MORTIFICAZIONE LO PORTANO A RIVOLGERSI,

PER CHIEDERE AIUTO, ALL'ADULTO PROTETTIVO

CHE, IN QUESTO CASO, E' PROPRIO COLUI DAL

QUALE DIPENDE LA SUA SOFFERENZA.

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• Psicologiche: Senso di colpa e d’impotenza, Aggressività, Insicurezza, Paura, Dipendenza dalla madre, Sentirsi diviso fra la madre ed il padre

• Fisiche: Insonnia, Iperattività• Sociali: Stigmatizzazione, Assenteismo

scolastico

LE CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA CONIUGALE SUI FIGLI

Emozioni• Paura (per sé e i familiari)• Orrore• Impotenza• Vergogna• Umiliazione• Rabbia (per l’ingiustizia percepita e vissuta)• Aggressività (apprendono che l’uso della violenza è

normale nelle relazioni affettive, e che l’espressione di pensieri ed emozioni è pericolosa)

• Mancanza di empatia• Sfiducia• Senso di colpa (si sentono privilegiati se non vittimizzati

direttamente;si sentono responsabili della violenza perché cattivi)

Gli esiti dannosi dovuti alla violenza familiare si riscontrano anche a lungo termine nella vita adulta:

paura, impotenza, colpa, vergogna, bassa autostima, distacco emotivo, depressione, disturbi d’ansia, aggressività, impulsività, passività, dipendenza, somatizzazioni, sintomi dissociativi, suicidio, abuso di sostanze, difficoltà di autoprotezione e tendenza ad essere vittimizzati, difficoltà genitoriali, trascuratezza, violenza fisica, psicologica e sessuale, disturbi di personalità.

L’intensità e la qualità degli esiti dannosi derivano dal bilancio tra le caratteristiche dell’evento (precocità, frequenza, durata ecc...) e i fattori di protezione (risorse individuali della vittima e del suo ambiente familiare, interventi attivati nell’ambito psico-sociale, sanitario e giudiziario.

Il danno è tanto maggiore quanto più: - il fenomeno resta nascosto e non viene riconosciuto- non viene attivata protezione nel contesto primario e

sociale- l’esperienza resta non verbalizzata e non elaborata- viene mantenuta la relazione di dipendenza con chi nega

l’abuso.

Che fare?

Attivare interventi di sostegno a favore del nucleo familiare, laddove sussistano sufficienti risorse, è la strada maggiormente auspicabile.

Riuscire a salvare il legame con le figure genitoriali, o con almeno una di esse, rappresenta un aspetto fondamentale per la resilienza e per il processo di elaborazione del trauma nei bambini/e.

Uno dei principali fattori di riparazione del danno subito dai minori vittime di violenza familiare è la consapevolezza, che permett e l’attivazione delle capacità protettive di almeno una delle figure genitoriali.

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Il contrasto alla violenza

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La più lenta a cambiare è la giustizia. In alcune procure esistono pool specializzati, ma nella

maggior parte d’Italia l’argomento è ancora tabù

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La “Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne” dell’Onu, del 1993, fornisce per la prima volta una definizione della violenza contro le donne, intesa come “qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata”.

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Ricordate che la violenza è recidiva

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Telefono Rosa nacque nel febbraio 1988 a Roma come strumento temporaneo di ricerca volto a far emergere, attraverso la voce diretta delle donne, la violenza sommersa di cui non si trovava traccia nei verbali degli operatori sanitari o delle forze dell'ordine.

In una stanza cinque volontarie con l’ausilio di un quaderno e di una penna si alternano nell’ascolto di donne che chiamano da tutta Italia.

Oggi l’Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa onlus è una rete di associazioni territoriali.

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I centri antiviolenza

sono luoghi in cui vengono accolte le donne che hanno subìto violenza.

Grazie all’accoglienza telefonica, ai colloqui personali, all’ospitalità in case rifugio e ai numerosi altri servizi offerti, le donne sono coadiuvate nel loro percorso di uscita dalla violenza. Le Case rifugio, spesso ad indirizzo segreto, ospitano le donne e i loro figli minorenni per un periodo di emergenza.

Per maggiori informazioni D.i.Re: donne in rete contro la violenza

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A Catania

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A Siracusa

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Lo storico centro antiviolenza di Bologna e provincia gestisce: 3 appartamenti rifugio che hanno accolto, al 31 ottobre 2013, 24 donne e 22 minori; il nuovo servizio SAVE, casa d’accoglienza per donne ad alto rischio violenza, che nel primo anno di attività ha accolto 33 donne e 37 minori; 7 alloggi di transizione per il reinserimento abitativo e lavorativo delle donne e tanti altri servizi e attività.

La grande rilevanza che il tema della violenza ha avuto quest’anno ha spinto a chiedere aiuto alla Casa ben 100 donne in più dello scorso anno: finora i casi sono 561, di queste il 20% hanno sporto denuncia delle violenze subìte (il dato nazionale è il 7%).

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La distribuzione territoriale dei centri

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Un ritardo colpevole

Il Consiglio d'Europa raccomanda un centro antiviolenza ogni 10.000 persone e un centro d’accoglienza ogni 50.000 abitanti: in Italia dovrebbero esserci dunque 5700 posti letto ma ce ne sono solo 500, contro i 1100 della Francia, i 7000 della Germania, i 4500 della Spagna e i 3890 dell'Inghilterra.

Anche la Turchia è più avanti di noi, con 1478 posti a disposizione.

Gli studi dell’associazione Women Against Violence (www. womenagainstviolence. org) dicono che al 30 giugno 2011 il nostro Paese aveva 54 case rifugio per donne in pericolo.

In Inghilterra sono 685, in Germania 346, in Spagna 148, in Svezia 180, nel Paesi Bassi 100.

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Le richieste di aiuto delle donne ai centri antiviolenza aumentano di anno in anno, ma le capacità di ospitalità ed accoglienza diminuiscono a causa della riduzione dei fondi messi a disposizione dagli enti locali per la protezione delle vittime.

Diversi centri antiviolenza hanno già chiuso e altri sono a rischio chiusura.

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Nella manovra finanziaria sono previste spese per la costruzione di nuove navi da guerra per 340 milioni l'anno x 15 anni. Totale 5 miliardi e 100.

Per le case rifugio e i centri antiviolenza 10 milioni l’anno (7 per il 2014).

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Legge 119/2013 su violenza di genere e sicurezza

Nel contrastato decreto, diventato legge l’11 ottobre, 5 articoli su 11 riguardano il contrasto al femminicidio, con inasprimento delle pene, nuove aggravanti, misure di repressione, misure di tutela.

C’è poco spazio per la prevenzione e per l’educazione.

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Quelle che ce l’hanno fatta

In tutta Italia, per fortuna, le storie di donne riuscite a liberarsi dai maltrattamenti sono migliaia.

Ad accoglierle e accompagnarle, le operatrici dei Centri, che riconoscono i loro problemi prima ancora di sentire i loro racconti.

Le donne che riescono a liberarsi non hanno una marcia in più di quelle che non ce la fanno. Hanno solo deciso, una volta per tutte, di averne abbastanza.

A volte la decisione scatta per paura di morire, a volte dopo aver visto picchiare o violentare i figli, a volte dopo un colloquio con un centro antiviolenza o con un'amica. Ogni percorso è diverso, ma tutti conducono allo stesso traguardo:

la libertà269

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Per saperne di più

www2.units.it/noallaviolenzaUn sito dedicato alle ragazze e ai ragazzi sulla violenza sessuale,

fisica e psicologica

Troverete anche esercizi diautoanalisi

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Argomenti per donne?

Dice Serena Dandini:Comincio a stancarmi nel vedere le battaglie portate avanti

sempre e solo da donne, come se fosse solo un problema nostro. Gli uomini, soprattutto quelli non violenti, devono farsi carico della loro parte di problema, perché a produrlo è il loro genere. Invece in tutto il mondo, nei servizi sociali, nell’avvocatura, nel volontariato, nei centri antiviolenza, trovi solo donne. Come se fosse un argomento di serie B.

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Oggi, più che l’affermazione di una forza e di un dominio, più che retaggio di incultura e degrado, questa violenza pare nascere dalla disperata opposizione a un cambiamento femminile, dall’incapacità di accettarlo e comprenderlo; dal panico provocato dalla nuova libertà e autonomia delle donne.

Quanto più cresce la capacità di affermazione femminile, tanto più vengono denudate la fragilità o la dipendenza o l’inadeguatezza maschile.

Il gesto violento diviene l’estremo atto di un potere morente, la resa dinanzi all’impossibilità di sottomettere, lo sfregio di un’altrimenti incancellabile alterità. La negazione e, insieme, la massima affermazione della propria vulnerabilità e parzialità.

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Che la violenza sulle donne sia in realtà un problema degli uomini è fatto ovvio, ma che, nell’attuale discorso pubblico sulla violenza, può apparire rivoluzionario. Basta pensare all’immaginario delle campagne contro la violenza di genere, che di solito si limitano a raffigurare le donne come vittime passive e a lasciare totalmente fuori dalla rappresentazione i responsabili della violenza, ovvero gli uomini che la perpetrano.

L’inadeguatezza e l’inefficacia di questo tipo di approccio sono ben chiare ad alcuni autori di campagne contro la violenza di genere che, per contrastarla, hanno scelto di rivolgere i propri sforzi esplicitamente a un pubblico maschile.

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Nel 2012 ha preso piede una nuova campagna contro la violenza sulle donne che vede protagonisti gli uomini.

Qualcosa sta cambiando poiché non tutti vogliono essere identificati come i carnefici dei quali troppo spesso si sente parlare in tv; esiste una grandissima fetta che vuole schierarsi apertamente dalla parte delle donne.

Ci fa capire la consapevolezza che sta nascendo: l’opera di sensibilizzazione sta avendo, anche se lentamente e con qualche difficoltà, i suoi frutti.

Riconoscere la violenza è un passo avanti molto importante affinché si ottengano risultati positivi.

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L’originaria angoscia maschile, legata anche al fatto di avere un corpo che non può generare, è stata fonte di insicurezza e paura, e ha prodotto ansie di controllo del corpo altrui. Tracce di quell’angoscia le ritroviamo nella sessualità, pensata e vissuta, nella cultura del dominio maschile, come strumento di controllo delle donne e di negazione dei diversi orientamenti sessuali. Questo ha schiacciato la nostra sessualità nell’ansia della prestazione, della verifica di una virilità associata al dominio, e ha ristretto la nostra socialità nella percezione del corpo maschile come minaccia, oltre che nell’ansia omofoba.

Incontrare la libertà e l’autonomia femminile ci mette di fronte al nostro limite e alla nostra parzialità. Quest’esperienza, invece di essere motivo di frustrazione, può dare inizio alla ricerca di una relazione libera, di uno scambio sessuale e affettivo nella differenza. Si tratta, per noi, di seguire un’altra idea di felicità, liberando la nostra capacità di cura e il piacere dell’incontro, mettendoci in gioco fino in fondo nella relazione con l’altro/a.

Stefano Ciccone

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Essere amati per piacere e non per dovere: ecco la nostra rieducazione sentimentale - Michele Serra (2013)

A volte provo a ragionare, da maschio, sulla bruta ostinazione con la quale alcuni uomini pretendono di possedere e controllare la “loro” donna, relegarla in casa, costringerla a un amore non sentito, a una devozione non sincera. Qualcosa di ancestrale — di bestiale — abita in quei maschi: l’istinto di trasmettere i propri geni tenendo a distanza quelli altrui. Ma al di là di quell’impulso da tricheco, da orango, e dunque comprensibile e rispettabile nel tricheco e nell’orango, che cosa c’è di gratificante, di eccitante nella sottomissione della femmina? Essere amati per dovere, non per piacere, come può non essere umiliante? A parte le perversioni erotiche, che hanno i loro bravi luoghi e tempi di esercizio, come si fa nella vita vera, e tutta intera, a perseguire una forma così minore e minorata di amore, incatenare qualcuna perché non fugga, farsene carceriere, e se tenta la fuga ucciderla?

A parte questo, e restando più in superficie: come è noiosa l’idea della femmina addomesticata e possibilmente domestica. Com’è mediocre l’uomo che non solo se ne accontenta, ma se ne vanta. Com’è migliore — più vario, più stimolante, più luminoso — il confronto con una tua pari, che ha vita da raccontarti, che ti fronteggia, che oltre ad ascoltarti ti parla, e sei tu che l’ascolti. Come è più vero, più simile alla vita, il “pericolo” di un rapporto esposto al mondo, alle scelte soggettive, al mutamento, perfino al dolore dell’abbandono, che è di gran lunga preferibile alla mortificazione dell’obbligo. Quando ogni maschio capirà, sentirà che cosa perde, perdendo la libertà della “sua” donna, finalmente il mondo potrà cominciare a cambiare. 280

Che cosa ha domandato?Ho chiesto che cosa è per loro la sessualità, se la violenza ne è una componente, che cosa provano quando leggono di uomini che violentano le donne, se si sentono coinvolti e come quando si parla di calo del desiderio, che significa essere virili e che rapporto hanno con la pornografia.

Che cosa è emerso dall’indagine?Agli uomini con cui ho dialogato non piacciono gli stereotipi in cui sono imprigionati, non si riconoscono nell’immagine virile e maschilista che la società e i media attribuiscono loro. Ma non sanno come esprimere questo malessere, principalmente per tre motivi: non hanno luoghi di riferimento per potere condividere questi loro pensieri; se dismettono le armature “virili” perdono potere; rischiano di essere risucchiati nelle categorie “non veri uomini” oppure “omosessuali”. Questa loro incapacità di nominare un disagio si riflette anche nel rifiuto di considerare il corpo maschile come capace di compiere violenza. Non riescono ad ammettere una responsabilità come genere rispetto alla violenza.

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Possibili interpretazioni della violenza maschile

come effetto e riproposizione di un’esperienza traumatica, o come espressione di una patologia individuale;

come forma di comportamento appreso e interiorizzato, attraverso la socializzazione;

come espressione identitaria, in quanto modalità espressiva socioculturale della maschilità o virilità;

(come adesione a dinamiche collettive o di gruppo); come strumento di controllo e potere sugli altri ed in

particolare sulle persone importanti. come reazione distruttiva ad un senso di inadeguatezza nel

mutamento delle relazioni e di impotenza a fronte di scacchi relazionali.

DUE QUADERNI PER APPROFONDIRE

Anche gli uomini possono cambiare. Il percorso del centro LDV di Modena A cura di M. Deriu Pubblicato da Regione Emilia

Romagna, Servizio Sanitario

Il continente sconosciuto. Gli uomini e la violenza maschile A cura di M. Deriu Pubblicato da Regione Emilia

Romagna, Servizio Sanitario

Scaricabili da:  http://sociale.regione.emilia-romagna.it/documentazione/p

ubblicazioni/guide/altre-pubblicazioni-servizio-politiche-familiari/2012/

Azioni necessarie per contrastare la violenza sulle donne nel nostro Paese

1) Formazione e sensibilizzazione delle forze dell’ordine. Devono stabilire protocolli chiari riguardo ai passi da seguire nei casi di violenza domestica, affinché le vittime siano immediatamente incamminate verso i centri d’accoglimento e le cliniche specializzate per appoggio psicologico e medico (inclusa la pillola del giorno, nei casi di violenza sessuale).

2) Media e dignità femminile. E’necessario che i media assumano la responsabilità che risulta dal loro ruolo di creatori di opinioni. C’è bisogno di un organo che garantisca il rispetto della dignità degli uomini e delle donne nelle loro rappresentazioni nei media, in particolare la televisione, il medium di riferimento per la maggior parte degli italiani.

3) Educazione di genere nelle scuole. Come in Francia, bisogna varare una legge per l’insegnamento obbligatorio dei temi di genere. Il valore di questo lavoro di sensibilizzazione di maestri e alunni al tema di violenza di genere non può più essere lasciato alla buona volontà di qualche regione, scuola o città, come lo è stato fino ad adesso, ma va promosso a livello nazionale, senza ulteriori indugi, a prescindere dai tagli di bilancio.

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Un video di Donne in rete contro la violenza

http://www.sosdonna.com/2012/11/23/un-video-per-raccontare-il-percorso-antiviolenza/

Il filmato, intitolato “Potenziare i Centri, Rafforzare le Donne”, ripercorre il percorso che la donna intraprende dal momento della presa di coscienza della violenza di cui è vittima.

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Filmografia

La moglie del poliziotto (Germania, 2013) di Philip Gröning Miss Violence (Grecia, 2013) di Alexandros AvranasTi do i miei occhi (Spagna, 2013) di Iciar BollainLa casa di Ester (Italia, 2012) di Stefano Chiodini Come pietra paziente (Afghanistan, 2012) di Atiq RahimiLa bicicletta verde (Arabia Saudita, 2012) di Haifaa Al-MansourIl mio primo schiaffo (Italia, 2010) di Corrado CeroniUn giorno perfetto (Italia, 2008) di Ferzan OzpetekBordertown (USA, 2006) di Gregory NavaLa bestia nel cuore (Italia, 2005) di Cristina ComenciniIl vestito da sposa (Italia, 2004) di Fiorella InfascelliA letto con il nemico (USA, 1991) di Joseph RubenSotto accusa (Canada, 1988) di Jonathan Kaplan 288

http://www.youtube.com/watch?v=FAHHSypOe3I

Prima che faccia buio: il primo cortometraggio realizzato in Italia contro il femminicidio. Ispirato a una storia vera e ideato dal centro antiviolenza Linea Rosa di Ravenna. Con la regia di Gerardo Lamattina, verrà usato per la formazione alle forze dell’ordine, degli assistenti sociali, degli avvocati e degli operatori sanitari.

La pellicola racconta una storia vera, un fatto di cronaca accaduto a Ravenna che le operatrici di Linea Rosa hanno potuto seguire da vicino, assistendo una donna in fuga da quel mostro che, alla fine, è riuscito ad avere la meglio.

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La libertà negata: stalking

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L'attenzione che si trasforma in ossessione. Molestie quotidiane, silenziose, difficili da individuare e arrestare.

E il sospetto diventa paura, erode la libertà fino a costringersi in una prigione soffocante.

Questo è lo stalking: comportamenti reiterati di sorveglianza, controllo, contatto pressante e minaccia che invadono con insistenza la vita di una persona per toglierle la quiete e l’autonomia.

Gli atti persecutori sono ora un reato ben definito, punito con condanne da sei mesi a quattro anni di reclusione.

Per una prima assistenza è attivo 24 ore su 24 il numero gratuito antiviolenza 1522, in grado di mettere in collegamento diretto le vittime con le questure, offrendo anche supporto psicologico e giuridico.

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Con la L. 23 aprile 2009 n. 38 è stato introdotto nell'ordinamento italiano il reato di atti persecutori (altrimenti detto di stalking). Richiede che tale condotta sia reiterata nel tempo e siab tale da «cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura» alla vittima.

Prevede pene fino a 4 anni di reclusione per molestie reiterate, che possono essere aumentate se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato/divorziato - o da persona che sia stata legata da relazione affettiva - ovvero ai danni di un minore, di donna in stato di gravidanza o di soggetto disabile. 294

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Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale sullo Stalking, nel 2011 un italiano su cinque è stato vittima di molestie insistenti: nel 70% dei casi la

vittima è una donna. Uno stalker su tre è recidivo

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Gli atti Seguire la vittima negli spostamenti quotidiani Aspettarla sotto casa oppure presso il luogo di lavoro Compiere incursioni inaspettate nei luoghi di lavoro per

spaventare i colleghi o il datore di lavoro allo scopo di far licenziare la donna

Comparire inaspettatamente nei luoghi abitualmente frequentati dalla donna in modo che si senta sempre controllata

Telefonare continuamente a casa, sul cellulare, sul posto di lavoro

Inviare continuamente messaggi telefonici o in posta elettronica o lettere o biglietti

Far sentire la donna “ in trappola” minando il suo senso di autonomia e di indipendenza

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Amore nero è un cortometraggio del 2011 scritto e diretto da Raoul Bova.

Il film ha lo scopo di comunicare e sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi delle discriminazioni, abusi e violenze subite dalle donne.

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= preventivi, punitivi e soprattutto dotati di effettività

= apertura di sportelli di ascolto e di denuncia, creazione di presidi anti-violenza nei vari ambiti territoriali, attivazione di linee telefoniche dedicate, assistenza attraverso personale specializzato

= per riconoscere la violenza, per acquisirne consapevolezza, per professionalizzare le forze di polizia, per combattere gli stereotipi, per sensibilizzare alla parità e al contrasto di qualsiasi forma di discriminazione

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Leggi che tutelano le donne

Norme contro la violenza sessualeLegge 15 febbraio 1996, n. 66. La violenza sessuale è qualificata come delitto contro la

libertà personale. La legge attuale riconosce una maggior gravità alla violenza sessuale rispetto alla precedente normativa che la collocava fra i “delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume”

Misure contro la violenza nelle relazioni familiariLegge 4 aprile 2001 n. 154. Si può denunciare una violenza fino a tre mesi dal suo

accadimento. E’ sufficiente presentarsi presso la Questura o presso la sede dei Carabinieri o della Polizia più vicini, con il certificato medico che attesta l’avvenuta violenza. E’ possibile allontanare da casa il coniuge o altro convivente. Se la sua condotta è giudicata pericolosa per l’integrità fisica o morale o per la libertà dell’altro coniuge o convivente o dei suoi prossimi congiunti, su ordine cautelare del Giudice possono essere applicate misure di protezione sociale.

Misure antistalkingDal 2009 art. 612-bis del codice penale: il carcere va da 6 mesi a 4 anni, aumentabili

fino a 6 se il colpevole è un partner o un ex.

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Legge 119/2013

Nel contrastato decreto, diventato legge l’11 ottobre 2013, 5 articoli su 11 riguardano il contrasto al femminicidio, con misure di repressione e misure di tutela.

Nell’aprile 2012 il Tribunale di Caltagirone ha emesso una sentenza esemplare nei confronti dell’assassino di Stefania Noce e di suo nonno. Per la prima volta in Italia in un atto giudiziario si è ritrovato il termine femminicidio, perché il giudice ha accolto in pieno i principali capi d’accusa a carico dell’autore del crimine, primo tra tutti la premeditazione dei due delitti.

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Leggi regionali in materia di violenza sulle donne

• Abruzzo

• Basilicata

• Calabria

• Campania

• Friuli Venezia Giulia

• Emilia-Romagna

• Lazio

• Liguria

• Piemonte

• Sardegna

• Toscana

• Provincia di Bolzano

• Sicilia

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Le molestie sessuali

Per molestia sessuale s’intende ogni comportamento indesiderato basato sul sesso che offenda la dignità e la libertà della persona che lo subisce.

La gamma è molto varia: si va dalla frase equivoca con doppio senso al fraseggio volgare, dall’apprezzamento pesante alla proposta diretta, dalla minaccia subdola e imbarazzante, ripetuta più volte, fino al gesto osceno, al ricatto e all’intimidazione sul posto di lavoro.

Si consuma di preferenza in quegli ambiti in cui si determina da una parte una condizione di bisogno e dall’altra parte una condizione sociale contrattualmente più forte che abusa del suo potere o della sua autorità.

La legge viene oggi in aiuto anche a chi subisce molestie sessuali in quanto ogni atto che disturba anche in minima parte la sfera sessuale altrui costituisce un reato penale. 307

Una ricerca CGIL sulle molestie sul lavoro

Il 52,5% delle donne afferma di aver subito comportamenti indesiderati, anche verbali, a connotazione sessuale.

L’aggressione avviene prevalentemente da un soggetto interno all’organizzazione e il responsabile è prevalentemente un uomo (un collega o un superiore).

Le molestie subite più spesso sono frasi equivoche a doppio senso, battute o gesti volgari, apprezzamenti verbali su corpo e sessualità, richieste o proposte di prestazioni sessuali, contatti fisici, ovvero baci e abbracci indesiderati, che spesso sconfinano nel palpeggiamento.

La maggior parte rimane sommersa.308

Regione Sicilia. Codice di condotta

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Un’enorme transizione ha avuto inizio a livello globale: che si trattasse delle donne europee uccise dai loro compagni, degli studenti violentatori da party, o delle donne segregate in cantina negli Stati Uniti, o della ragazza sventrata di Delhi, dovunque il responso di indignazione è stato superiore al previsto, inaspettato in molti casi.

L’incredibile successo di One Billion Rising, nel febbraio scorso, è figlio anche di questa atmosfera.

Alla maggior parte di uomini e ragazzi la situazione richiede, per la prima volta in vita loro, di mutare il modo in cui pensano allo stupro, alle molestie, all’abuso: subito.

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Regione Toscana

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Università di Bologna

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Roma

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Genova

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Torino

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Sassari

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Bari

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Puglia

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Palermo

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Catania

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28 maggio 2013

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Campagnedi educazione sentimentale

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332Ban Ki-Moon, Segretario Generale delle

Nazioni Unite, 8 marzo 2007

“La violenza contro le donne e le ragazze persiste in ogni continente, paese e cultura. Essa costituisce un alto prezzo da pagare nella vita delle donne, delle loro famiglie e della società nel suo complesso. Molte società proibiscono tale violenza, tuttavia la realtà è che troppo spesso essa è tenuta nascosta o accettata tacitamente”

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In tutto il mondo …

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La violenza sulle donne è parte di una cultura globale che nega alle donne pari opportunità e pari diritti e legittima la violenta appropriazione del loro corpo per

gratificazione individuale o scopi politici. Milioni di donne nel mondo sono terrorizzate da violenze domestiche, schiavizzate in matrimoni forzati, comprate e vendute per alimentare il mercato della prostituzione,

violentate come trofei di guerra o torturate in stato di detenzione.

Più di 125 paesi del mondo hanno delle leggi specifiche per contrastare la violenza domestica, ma sono ancora 603 milioni le donne che vivono in nazioni dove questo fenomeno non è considerato un crimine.

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Le campagne

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Se guardiamo alle rappresentazioni cui ricorrono le campagne di sensibilizzazione prodotte dalle istituzioni, e spesso anche dalle associazioni di donne, l’immagine che rimandano nella maggior parte dei casi è quella di una donna sola e ripiegata su se stessa dopo la violenza; la figura di un uomo non compare quasi mai. Lo sguardo sociale punta alla vittima e non all’autore, con uno spostamento che comporta due conseguenze: ripropone un’immagine di minorità femminile, confermando una disparità tra i sessi, e occulta il maschile a uno sguardo critico.

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Amnesty International

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UE

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Francia

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World Health Organization

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USA

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UK

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Islanda

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Spagna

Germania

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Caucaso

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Palestina

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Cile

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Brasile

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Bolivia

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Sudafrica

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India

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A teatro

Uno spettacolo multimediale, curato dalle giornaliste di Giulia.

La suggestione dei femminicidi letterari per raccontare l’orrida sequela di quelli reali e la mistificante narrazione mediatica.

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Mostre

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Suggerimentibibliografici

Raccoltedi inferni nascosti

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Dossier/Relazioni tra i generi e violenza7 Introduzione8 Qualche riflessione sulla violenza maschile contro le donne, Tamar Pitch12 Rapporti di genere e violenza domestica. Uno sguardo antropologico, Maria Rita Bartolomei18 Violenza maschile e produzione del genere, Cristina Papa23 La cattiveria femminile. Violenza nel genere, Laura Pigozzi29 Le donne maltrattate di fronte alle istituzioni, Daniela Danna34 Contro la violenza di genere occorre più consapevolezza dei diritti delle donne, Marilisa D’Amico39 Uomini che uccidono le donne, Pietro Barbetta43 Femminicidio, Nicole Janigro49 La violenza dei media, Giacomo Brunoro54 Un morto non ancora sepolto. Resistenza del virilismo, Alberto Leiss58 Aver cura delle storie tese, Massimo Michele Greco63 Il conflitto necessario, Barbara Mapelli69 Forza e Violenza, Paola Zaretti74 Come fili d’erba, Anna Maria Piussi 392

Sono scarpe di donne, donne che non ci sono più, donne che le scarpe non le potranno più indossare

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È un gesto concreto dedicato a tutte le donne vittime di violenza. Ciascuna di quelle donne, prima che un marito, un ex, un

amante, uno sconosciuto decidesse di porre fine alla sua vita, occupava un posto a teatro, sul tram, a scuola, in metropolitana, nella società. Questo posto vogliamo riservarlo a loro, affinché la

quotidianità non lo sommerga.

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Non solo vittimeUn miliardo di donne a ballare contro la violenza

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Possibili unità didatticheI primi secoli•Dante Alighieri: Inferno, canto V; Purgatorio, canto V; Paradiso, canto III. •Giovanni Boccaccio: Decameron, IV, novelle 1, 5, 6, 9; X, novella 10.

L’età moderna •Carlo Porta, La Ninetta del Verzeé •Alessandro Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica (passi scelti). •Alessandro Manzoni, I promessi sposi (capp. IX-X; XX-XXIII) •Giovanni Prati, Edmenegarda

I contemporanei •Anna Banti, Artemisia (1947), Bompiani 1994. •Maria Barresi, Non dire niente, Solfanelli Editore, 2007. •Laura Maragnani, Isoke Aikpitanyi, Le ragazze di Benin City, Melampo 2007.

Letteratura e cinema •Marianna Ucrìa di Roberto Faenza (1997). •La bestia nel cuore di Cristina Comencini (2005). •Tutta la vita davanti di Paolo Virzì (2008) •Agorà di Alejandro Amenábar (2009).

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