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Università Cattolica del Sacro Cuore
CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICAE SVILUPPO ECONOMICO INTERNAZIONALE
La spesa pubblica in Italia:articolazioni, dinamica e
un confronto con gli altri Paesi
Floriana Cerniglia
ISBN 978-88-343-1316-X
€ 3,00
Università Cattolica del Sacro Cuore
CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICAE SVILUPPO ECONOMICO INTERNAZIONALE
La spesa pubblica in Italia:articolazioni, dinamica e
un confronto con altri Paesi
Floriana Cerniglia
Novembre 2005
segreteria.cranec@unicatt.it
www.vitaepensiero.it
Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previstodall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordostipulato tra Siae, Aie, Sns e Cna, Confartigianato, Casa, Claai, Confcommercio,Confesercenti il 18 dicembre 2000.Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per unnumero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito dispecifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe, n. 2, 20121Milano, telefax: 02 809506, e-mail: segreteria@aidro.org
© 2005 Floriana CernigliaISBN 88-343-1316-X
3
Abstract
Il lavoro consiste prevalentemente in una analisi quantitativa sull’andamento della spesa pubblica in Italia dal 1960 al 2002 e si conclude con alcune osservazioni di carattere generale in un’ottica di confronto con altri Paesi. Nella prima parte si considera il trentennio 1960-1990, nel quale si è verificata l’espansione più prolungata del peso del settore pubblico sull’economia italiana: la quota di spesa pubblica sul Pil è passata dal 29 al 53,5%, mentre l’adeguamento delle entrate è stato più lento, portando la finanza pubblica agli inizi degli anni ’90 in condizioni assai precarie. Nel 1992, infatti, il debito pubblico ha superato il 100% del Pil e il peso del disavanzo ha raggiunto l’11%. Si analizza successivamente la fase di risanamento della finanza pubblica che caratterizza gli anni ’90, con particolare attenzione al periodo che va dal biennio 1992-1993 al 1997, poiché in esso si realizzano gli interventi più importanti che hanno consentito all’Italia di essere fra i Paesi che hanno dato vita all’euro. I conti economici delle Amministrazioni Pubbliche sono presentati per categorie economiche e per categorie funzionali. La classificazione delle spese per categorie funzionali solo recentemente è stata resa disponibile dall’Istat e consente di comprendere più precisamente per quale finalità e/o bene pubblico vengono erogate le risorse: come ci si può attendere, il maggior peso della spesa pubblica è quello della “protezione sociale” (o assistenza e previdenza), seguita da sanità e istruzione. Questa ripartizione per categorie funzionali è svolta anche per sottosettori che compongono le Ap (Amministrazioni Centrali, Amministrazioni Locali e Enti di Previdenza): coerentemente con il processo di decentramento in atto in Italia negli ultimi anni, si osserva che sono le amministrazioni locali che erogano la maggior parte delle risorse per alcune categorie funzionali (ad esempio nel caso della sanità). L’attenzione si sposta poi su un aggregato di funzioni di spesa particolarmente importanti: si tratta della spesa per il welfare
(previdenza, assistenza, sanità e istruzione) che nell’anno 2002
4
ammonta a circa 370 miliardi di euro, circa il 70% della spesa totale delle amministrazioni pubbliche escludendo gli interessi passivi. L’analisi comprende alcuni cenni alle caratteristiche salienti del modello di welfare italiano, distinguendolo da quello di altri Paesi europei. È possibile riscontrare che soprattutto la previdenza ha un peso significativo nel modello di welfare italiano. La parte conclusiva dello studio svolge invece alcune considerazioni in merito alla “qualità” della spesa pubblica in un momento di crescita molto debole dei Paesi Ue e dunque sulla necessità di puntare su tipologie di “spesa produttiva,” capace cioè di stimolare lo sviluppo economico. Il riferimento è soprattutto alle spese per investimenti in Ricerca e Sviluppo e anche in formazione del capitale umano, per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea dal Consiglio di Lisbona del 2000. Si ricorda che l’Italia si colloca negli ultimi posti nella classifica della spesa in R&S (circa 1,07% sul Pil). Dal confronto tra l’andamento della spesa pubblica italiana e quello riscontrato in Francia, Germania e Regno Unito non emergono divari significativi in termini di peso del settore pubblico sul Pil e di singole categorie funzionali di spesa. Quello che invece emerge come specificità del caso italiano è il peso rilevante che hanno avuto e continuano ad avere il deficit, il debito e le spese per interessi passivi. Il debito e la quota rilevante di spesa per interessi che l’Italia ha dovuto sostenere in questi decenni è ciò che più impedisce oggi al nostro Paese di indirizzare maggiori risorse verso investimenti produttivi.
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INDICE
1. Introduzione 7
2. Dal 1960 al 1990: una sintesi 12
3. La spesa delle amministrazioni pubbliche dagli anni novanta e la politica di risanamento 34
4. La composizione per categoria funzionale e per livelli di governo della spesa pubblica 48
5. La spesa per il welfare 58
6. Conclusioni: gli investimenti pubblici e la “qualità” della spesa pubblica 66
Riferimenti bibliografici 73
Appendice 77
Elenco Quaderni Cranec 80
6
7
1. Introduzione*
Nella storia dell’Italia di questo secolo i decenni che vanno dal 1960 in
poi sono quelli che hanno visto l’espansione più prolungata del peso del
settore pubblico sull’economia. In questi quaranta anni la quota della
spesa pubblica sul Pil è passata dal 29% al 47% ed ha toccato quasi il
58% negli anni tra il 1992 e il 1993. Questa spesa ha contribuito a
generare in Italia un ammontare di debito superiore al Pil.
In questo lavoro l’obiettivo principale consiste nel tratteggiare,
attraverso l’analisi dei dati del Conto economico consolidato delle
Amministrazioni pubbliche, questo trend di crescita. Detto altrimenti, il
nostro obiettivo è una presentazione quantitativa del fenomeno. Come la
letteratura economica ha evidenziato, le dimensioni della spesa pubblica
pongono infatti numerosi quesiti sulle cause, modalità ed evoluzione
futura che meritano ulteriori approfondimenti soprattutto sulla base di
una distinzione fra i fattori strutturali e i fattori di ordine politico-
istituzionale che sono alla base di tale crescita.
Il lavoro è organizzato come segue: nel paragrafo 2 si riassume
l’andamento complessivo delle spese e delle entrate nel trentennio 1960-
1990. Ci è sembrato opportuno cominciare l’analisi dei dati a partire
dagli anni ’60 perché, dopo la fase di boom economico del decennio
precedente, l’Italia comincia a riformare il sistema di entrate e di spesa
adeguandolo ad alcuni modelli di welfare europei. In questo primo
* Questo saggio è stato elaborato per la Fondazione Edison in relazione al Convegno “Sussidiarietà ed economia, nuovi paradigmi di sviluppo in Italia” che si è tenuto il 28 giugno 2005. Il saggio è di prossima pubblicazione in un volume della Fondazione Edison che sentitamente si ringrazia.
8
decennio tuttavia l’espansione della spesa è abbastanza contenuta. A
partire dai primi anni ’70 la politica del deficit spending comincia invece
a diventare prassi nell’azione di politica economica a sostegno
dell’economia (forse anche diventa strumento di raggiungimento di
consenso a causa dei forti conflitti sociali). Nel 1975 il disavanzo
pubblico è più dell’11% del Pil e nei primi cinque anni di questo
decennio il debito cresce di 20 punti percentuali.
Questo processo ha un’ulteriore accelerazione in tutti gli anni ‘80
quando la spesa pubblica totale passa dal 42% al 52% sul Pil.
Dunque la finanza pubblica italiana arriva agli inizi degli anni ’90 in
condizioni assai precarie. Soprattutto a partire dal 1992 la situazione
appare fuori controllo: il debito pubblico ha superato il 100% del Pil, il
disavanzo è dell’11%. Da questo momento comincia la nuova fase di
risanamento nella storia della finanza pubblica che permette poi
all’Italia di entrare in Europa. Queste vicende sono ripercorse nel
paragrafo 3. Concentreremo l’attenzione anche al breve sottoperiodo
che va dal biennio 1992-1993 al 1997 perché, come vedremo meglio
nelle righe che seguono, in questo sottoperiodo si realizzano gli
interventi più importanti che hanno con successo consentito all’Italia di
essere fra i paesi che hanno dato vita all’Euro.
Nel paragrafo 3 i conti economici consolidati delle spese delle Ap sono
presentate per categorie economiche. Tuttavia questo tipo di
informazione non permette di cogliere appieno per quali funzioni viene
erogata la spesa pubblica. Detto altrimenti, da questo schema di conti
soltanto la voce relativa alle prestazioni sociali può fornire alcune
informazioni riguardo al peso della protezione sociale nel nostro sistema
9
economico, ma non si possono inferire informazioni in merito ad
esempio alle risorse erogate per la sanità, per l’istruzione etc. Per avere
informazioni di questo tipo dobbiamo disporre nel sistema dei conti
pubblici della classificazione delle spese per categorie funzionali.
Queste informazioni recentemente sono state rese disponibili dall’Istat.
Dedichiamo il paragrafo 4 quindi a questo tipo di informazioni.
Attraverso la scomposizione delle spese in dieci categorie di funzioni
(servizi generali delle Pubbliche Amministrazioni; difesa; ordine
pubblico e sicurezza; affari economici; protezione dell’ambiente;
abitazione e assetto territoriale; sanità; attività ricreative, culturali e di
culto; istruzione; protezione sociale) è possibile comprendere in maniera
più puntuale per quale finalità o bene pubblico viene impiegata la spesa
pubblica. Come ci si può attendere la parte del leone in questo insieme
di spese è la funzione protezione sociale, seguita da sanità e istruzione.
Questa classificazione delle funzioni è anche scomposta per sottosettore
(amministrazioni centrali, amministrazioni locali, enti di previdenza).
Coerentemente con il processo di decentramento in atto in Italia da
alcuni anni, osserviamo anche che sono le amministrazioni locali ad
erogare la maggior parte delle risorse per alcune categorie funzionali di
spesa (ad esempio nel caso della sanità).
Dopo aver osservato quantitativamente i dati relativi alle categorie
funzionali di spesa pubblica, nel paragrafo 5 volgiamo l’attenzione ad
un aggregato di funzioni di spesa particolarmente importanti, alle quali
già nelle righe precedenti abbiamo accennato. Si tratta della spesa per il
welfare vale a dire l’insieme delle spese destinate alla previdenza,
assistenza, sanità, istruzione. Nell’anno 2002, la spesa per il welfare
10
ammonta complessivamente a circa 370 miliardi di euro, circa il 70%
della spesa totale delle amministrazioni pubbliche escludendo gli
interessi passivi. Si tratta in sostanza di tutte quelle risorse finalizzate a
soddisfare alcuni diritti di cittadinanza quali la tutela della salute, la
formazione e l’istruzione, il diritto ad un reddito nella vecchiaia, la
protezione in caso di disoccupazione o di malattia, la tutela della
maternità, il diritto in ogni caso a un minimo di risorse per la
sopravvivenza. In ogni sistema economico la spesa per il welfare ha una
funzione redistributiva (dal sano al malato, dal giovane al vecchio,
dall’occupato al disoccupato) ed anche assicurativa contro ogni rischio
riconosciuto come sociale a cui ogni cittadino può essere esposto. Nel
paragrafo 5 pertanto si faranno alcuni cenni alle caratteristiche salienti
del modello di welfare italiano distinguendolo da altre famiglie di
modelli riscontrabili in Europa.
Concludiamo il lavoro osservando che soprattutto il processo di
unificazione europea (ma anche la crescente integrazione internazionale)
ha posto e pone il problema della dinamica della spesa pubblica in una
prospettiva sovranazionale. È indubbio che oggi il far parte dell’Unione
europea costituisce un vincolo importante all’uso «improprio» della
spesa pubblica, soprattutto se finanziata in disavanzo. Nella fase attuale
il dibattito tocca principalmente la questione dell’entità,
dell’adeguatezza e della tipologia della spesa pubblica e della pressione
fiscale in un momento in cui tutti i paesi dell’area UE stanno avendo una
crescita molto debole. Il dibattito ha recentemente toccato la questione
della riforma del Patto di stabilità con l’obiettivo di rilanciare lo
sviluppo economico. Questo induce a concludere che la spesa pubblica
11
dovrebbe puntare sempre di più verso una “spesa produttiva”, capace
cioè di stimolare la crescita economica. Nel paragrafo 6 concludiamo
pertanto mostrando qualche dato su alcune tipologie di “spesa
produttiva” riferendoci anche ad alcune misure e orientamenti delle
istituzioni dell’Unione europea che ad oggi si muovono in questa
direzione.
Infine in questo lavoro il nostro obiettivo è anche un confronto tra
l’andamento della spesa pubblica italiana con quello riscontrato in
Francia, Germania e Regno Unito. Questo confronto viene riferito alle
grandezze più significative sul lato delle spese, ma anche su quello delle
entrate, del settore pubblico con l’intento di mettere in evidenza
eventuali elementi di affinità e difformità tra l’Italia e questi paesi. Va
qui detto che, anche in questa comparazione internazionale, faremo delle
considerazioni di carattere generale, prevalentemente descrittivo, che
sotto vari aspetti invece richiederebbero ulteriori analisi. In generale da
questa comparazione non emergono divari significativi in termini di
peso del settore pubblico sul Pil. I dati italiani sono quasi sempre
allineati a quelli della media della UE15. Inoltre non emergono
disomogeneità sostanziali per quanto riguarda le singole categorie
funzionali di spesa pubblica e neppure relativamente alla pressione
fiscale. Quello che invece emerge è che nella finanza pubblica italiana (a
differenza di questi paesi) un peso rilevante hanno avuto e continuano
ad avere il deficit, il debito e le spese per interessi passivi. Il debito e la
quota rilevante di spesa per interessi che l’Italia in questi decenni ha
dovuto sostenere è ciò che oggi più impedisce all’Italia di utilizzare
maggiori risorse verso investimenti produttivi.
12
2. Dal 1960 al 1990: una sintesi
Nella storia dell’Italia di questo secolo (escludendo gli anni dei conflitti
mondiali) i tre decenni che vanno dal 1960 al 1990 sono quelli che
hanno visto l’espansione più prolungata del peso del settore pubblico
sull’economia. In questi trenta anni infatti la quota della spesa pubblica
sul Pil è passata dal 29 al 53,5%1. Questa dinamica di spesa, come
autorevoli studi hanno documentato2, ha avuto fra le sue cause fattori di
ordine strutturale (fattori demografici e fattori connessi al processo di
sviluppo economico e sociale e quindi la crescita del reddito, fattori
legati alla produttività del settore pubblico ed ai prezzi relativi del
settore pubblico) ma anche fattori di ordine politico (fattori e vincoli
istituzionali quali ad esempio i meccanismi decisionali, le caratteristiche
dei vincoli di bilancio, scelte ideologiche, forti pressioni settoriali a
seguito di conflitti sociali, i cicli politici).
Rispetto all’espansione della spesa l’adeguamento delle entrate è stato
più lento. In questo trentennio, la pressione tributaria aumenta di circa 9
punti percentuali sul Pil mentre quella fiscale di circa 14 punti3. È
ampiamente noto il riflesso sul disavanzo e quindi sul debito di questa
dinamica differenziata. Il disavanzo pubblico poco più dell’1% nel 1960
è dell’11% nel 1990. Anche per quanto concerne il debito questo
trentennio si caratterizza per una crescita enorme del suo peso sul Pil
1 Franco (1992; 1993). 2 Cfr i saggi contenuti in Ente Einaudi (1992); Franco (1992, 1993); Monorchio (1996). Per un’analisi relativa soprattutto al periodo 1960-1980 cfr Gerelli e Majocchi, (1984). 3 La pressione tributaria passa dal 16,5% al 25,2%, quella fiscale passa dal 25,7 al 39,7%. Cfr Tabella 3.
13
che è pari al 36,9% all’inizio del periodo, ma raggiunge l’ammontare del
Pil nel 1990.
Nelle Tabelle 1, 2, 3 e 4 è riportata la serie storica completa per il
trentennio qui considerato relativamente alla spesa della pubblica
amministrazione e al prelievo fiscale del settore pubblico. Nelle Figure 1
e 2 sono riportati l’andamento del disavanzo e del debito rispetto al Pil4.
In questo paragrafo ci limitiamo a richiamare gli aspetti quantitativi
essenziali che emergono dai dati di queste tabelle, soprattutto quelli
relativi alla dinamica della spesa, oggetto principale di analisi di questo
lavoro. In particolare sulla dinamica della spesa nei principali comparti
dello stato sociale (istruzione, sanità, previdenza e assistenza) di questo
trentennio una interpretazione molto dettagliata ed articolata è fornita
dalla analisi di Franco che qui seguiamo (1992, 1993).
4 I dati sul disavanzo e sul debito sono tratti da Artoni e Biancini (2003).
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1972
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1973
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1974
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1975
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1977
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1985
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Cominciamo a commentare i dati della Tabella 1 relative alle spese sul
Pil riferite a: reddito da lavoro dipendente, consumi intermedi,
prestazioni sociali, contributi alla produzione, interessi passivi, altre
spese, totale spese correnti, investimenti lordi, contributi agli
investimenti, altri investimenti in conto capitale, spese in conto capitale,
totale generale spese.
Consideriamo i tre decenni presi singolarmente.
In ognuno di questi decenni ci sono stati tre cicli principali di aumento
della spesa. Innanzitutto le tabelle fanno riferimento alla spesa delle
amministrazioni pubbliche5.
Il primo decennio (1960-1969) ha una espansione della spesa pubblica
abbastanza contenuta, poco più di quattro punti percentuali6 e soprattutto
concentrata nel primo quinquennio con una accelerazione tra il 1964 e il
1965 quando si passa dal 30,4 al 32,9 come effetto della rivalutazione
delle pensioni e dell’introduzione delle pensioni sociali di anzianità. In
questo biennio il disavanzo7 passa dall’1,1% al 4,1 % (cfr Grafico 1).
5 Sulla definizione dell’aggregato istituzionale delle Amministrazioni Pubbliche e sulla classificazione delle spese per categorie economiche e per categorie funzionali cfr. più avanti nel lavoro. 6 Va comunque sottolineato che in periodi di forte crescita (come in questo decennio) un incremento di quattro punti rispetto al Pil implica rilevanti incrementi in termini reali o di spesa effettivamente erogata. 7 Anche per effetto della politica di bilancio usata in quegli anni a seguito della stretta creditizia del 1963.
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16
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Un intervento molto importante verso l’ampliamento dello stato sociale
avviene nel 1968 con l’introduzione del Sistema sanitario nazionale.
Il quadro macroeconomico di questo periodo è comunque abbastanza
favorevole, il tasso di crescita medio annuo è di circa il 6%8. Proprio in
questo decennio nel 1963 il rapporto debito/Pil tocca il valore
minimo di tutto il dopoguerra pari al 32,6 ma raggiunge quasi il 40% già
alla fine del decennio (cfr il Grafico 2).
Passiamo al periodo 1970-1979. Non possiamo qui riferire della quantità
e della complessità di eventi negativi che hanno caratterizzato questo
arco di tempo della storia italiana (solo per citare alcuni fatti, le crisi
petrolifere, la svalutazione della lira, l’alto tasso d’inflazione, i conflitti
sociali). Rispetto al decennio precedente, il tasso di crescita medio
annuo composto del Pil quasi di dimezza: poco più del 3,5%. Sul fronte
delle spese osserviamo dai dati della Tabella 1 che la spesa per interessi,
sempre sotto il due per cento nel decennio precedente, tocca già nel
1978 il valore del 5%. Questo decennio, già nel primo quinquennio
registra una considerevole espansione di alcune voci di spesa. Infatti a
metà degli anni 70 la somma della spese per il personale e quella per le
prestazioni sociali è quasi il 25% del Pil.
8 In questo paragrafo i tassi di crescita medi annui composti, riferiti ai tre decenni, sono stati da noi calcolati sulla base della serie storica del Pil (in dollari internazionali 1990) riportati in Maddison (2003), The World Economy: historical statistics, OECD, Paris.
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lico
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PIL
18
19
A spiegazione dell’aumento della spesa per le retribuzioni va anche
ricordato che a metà degli anni ’70 si ha l’istituzione delle Regioni con
il successivo trasferimento a questo nuovo livello di governo di un
insieme di funzioni in precedenza gestite dallo Stato. È chiaro quindi
che la spesa corrente ha un ruolo predominante nella dinamica di
espansione, infatti la spesa in conto capitale continua a rimanere intorno
al 4%. In sintesi, in questo decennio la politica del deficit spending
diventa prassi nell’azione di politica economica a sostegno
dell’economia (forse anche diventa strumento di raggiungimento di
consenso a causa dei forti conflitti sociali) e dunque nel 1975 il
disavanzo pubblico è più dell’11% del Pil. Nei primi cinque anni di
questo decennio il debito cresce di 20 punti percentuali, poi si arresta
soprattutto a causa della sempre più elevata inflazione.
Nel periodo 1980-1990 non si segnalano interventi di riforma
particolarmente significativi sul sistema di spesa pubblica che però
continua a crescere: dieci punti percentuali. La spesa aumenta
soprattutto nel comparto delle prestazioni sociali (anche a causa
dell’invecchiamento della popolazione) e in quella per interessi (circa 4
punti percentuali). La spesa in conto capitale aumenta di circa un punto.
Il tasso di crescita medio annuo del Pil è poco più del 2% . Nel 1981
avviene anche il “divorzio” fra Banca Centrale e Tesoro, ma questa
scelta non porta maggiore disciplina nel comportamento delle autorità
politiche nel contenere il disavanzo che nel 1985 supera il 12%. La
spesa corrente viene finanziata sempre di più da debito sottoscritto dalle
famiglie che vengono allettate con alti tassi d’interesse. Come si osserva
20
nella Figura 2 la dinamica debito/Pil diventa esplosiva fino a che tra il
1990 e il 1991 il valore del debito supera quello del Pil.
Abbiamo sin qui presentato la spese delle pubbliche amministrazioni
secondo la classificazione in categorie economiche. Consideriamo ora la
classificazione per categorie funzionali (servizi generali, difesa,
istruzione, sanità, previdenza e assistenza, abitazioni, altri servizi,
servizi economici, servizi vari) che è riportata nella Tabella 2.
Su questi dati in particolare, riprendiamo l’analisi di Franco (1992,
1993) per riferire sinteticamente dell’evoluzione dei settori di spesa
istruzione, sanità, previdenza e assistenza. Questi sono i comparti di
spesa che più caratterizzano il modello di stato sociale e che
rappresentano più della metà della spesa pubblica (al netto degli
interessi). Innanzitutto la spesa per istruzione lungo tutto questo arco
temporale aumenta di 2 punti percentuali rispetto al Pil, la spesa in
sanità di 2,8 punti e quella in previdenza e assistenza di 6,7.
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2,2
3,2
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0,4
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1,7
28,9
1961
3,5
2,1
33,1
9,2
0,8
0,4
4,2
1,7
27,9
1962
3,4
2,1
3,4
3,1
9,7
0,8
0,3
4,4
1,7
28,9
1963
3,7
2,1
3,5
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41,5
29,4
1964
3,7
2,1
3,9
3,6
10,1
0,8
0,2
4,4
1,4
30,2
1965
3,9
2,2
4,2
3,9
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0,9
0,3
4,5
1,5
32,8
1966
3,8
2,2
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4,4
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1967
3,7
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11,1
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0,3
4,8
1,6
32,2
1968
3,8
24,1
4,2
11,6
0,8
0,3
51,4
33,2
1969
3,5
1,9
4,3
4,3
11,3
0,7
0,3
5,1
1,2
32,6
1970
3,5
1,7
4,1
4,5
11,3
0,7
0,3
5,5
0,9
32,5
1971
3,9
1,9
4,5
4,9
12,1
0,7
0,3
5,5
0,8
34,7
1972
41,9
4,7
5,3
13
0,8
0,3
5,8
0,9
36,7
1973
3,7
1,9
4,6
5,2
12,4
0,7
0,3
5,5
0,8
35,2
1974
3,5
1,9
4,2
5,2
12,1
0,7
0,3
5,4
1,5
34,8
1975
3,7
1,7
4,5
5,2
13,7
0,8
0,3
6,6
2,7
39,3
1976
3,4
1,5
4,5
5,2
13,4
1,1
0,4
6,2
2,4
38,2
1977
3,5
1,6
4,6
4,9
13
0,9
0,3
6,7
2,8
38,3
1978
4,1
1,6
4,5
5,2
13,8
10,2
73,1
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1979
3,6
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4,6
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13,1
10,3
6,7
3,5
39,8
1980
4,8
1,7
4,8
5,6
13,2
1,4
0,4
6,4
3,8
42
1981
51,7
5,3
5,3
14,8
1,5
0,5
6,4
5,6
46,1
1982
4,9
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5,3
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1983
52
5,2
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16,1
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1984
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1985
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1986
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1988
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5,2
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1989
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1990
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Pil
(%
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21
22
Per quanto riguarda l’istruzione, questo comparto si caratterizza per
un’elevata intensità di lavoro, quindi sotto il profilo occupazionale
questo settore è molto importante: nel 1960 assorbe il 27%
dell’occupazione pubblica e il 2% di quella complessiva, nel 1990 le
cifre sono rispettivamente 32% e 5%9. Inoltre, si verificano interventi
significativi dal lato dell’offerta quali ad esempio l’allungamento del
ciclo scolastico obbligatorio e la creazione della scuola materna statale.
Si tratta di fattori che, secondo l’analisi di Franco, sono di ordine
strutturale ed hanno contribuito in maniera preponderante all’espansione
della spesa soprattutto fino alla metà degli anni ottanta10. Tuttavia, “in
una seconda fase, è diventato rilevante il peso della decisione «politica»
di fornire occupazione, aumentando considerevolmente il rapporto fra
personale e studenti; quest’ultimo aumento è stato quanto meno
agevolato dalla flessione del costo relativo del personale”11.
Anche nella sanità, nel periodo in esame, si susseguono importanti
riforme e innovazioni. La più importante è certamente l’istituzione del
Servizio Sanitario Nazionale. Questa riforma ha l’obiettivo di fornire
un’assistenza a tutti i cittadini dato che a differenza del precedente
sistema mutualistico è a carattere universale. Abbiamo detto che in
questo arco di tempo questa tipologia di spesa passa dal 3,0 per cento al
5,8 per cento; gli incrementi si registrano in tutte le voci di spesa (gli
9 Cfr Franco (1992, pag. 242). Franco scrive anche che “l’aumento è stato attenuato dallo scorporo nel 1990 del personale attribuito al nuovo Ministero dell’università e della ricerca scientifica”. (Franco, 1992, pag. 242, nota 37). 10 Ad esempio “se il tasso di scolarizzazione fosse rimasto quello del 1960, a parità di ogni altra circostanza, l’incidenza della spesa per il personale sarebbe aumentata solo dello 0,7% del prodotto, anziché dell’1,7 per cento. (Franco, 1992, pag 259). 11 Franco (1992, pag. 262).
23
oneri per i servizi dei medici passano dallo 0,3 allo 0,7 per cento, quello
per i farmaci dallo 0,5 all’1,0 per cento, quello per gli ospedali pubblici
dall’1,1 al 2,4 per cento)12. In altri termini, la spesa sanitaria è cresciuta
non soltanto per l’estensione dell’assistenza a tutti i cittadini, ma anche
per l’aumento della quantità dei servizi offerti a ciascun cittadino (il
numero di farmaci e di visite si è circa triplicato e si è quadruplicata la
manodopera ospedaliera per giorno di degenza)13. Si noti anche che la
sanità presenta caratteristiche molto diverse rispetto all’istruzione: i
servizi sono prodotti dal settore pubblico (principalmente da ospedali)
ma anche da privati (cliniche, produttori e distributori di farmaci); è
molto intensa l’evoluzione delle tecniche di diagnostica come pure i
cambiamenti nell’organizzazione; nelle riforme che si sono susseguite le
decisioni di spesa sono state decentrate e affidate agli stessi produttori di
servizi14.
Consideriamo infine la previdenza e l’assistenza che rappresentano il
comparto di spesa che in questo trentennio più degli altri ha contribuito
all’espansione della spesa pubblica. (Tabella 2). Innanzitutto, la
previdenza e l’assistenza hanno caratteristiche di erogazione della spesa
completamente diverse dall’istruzione e dalla sanità. In questo comparto
infatti incidono molto poco gli oneri per il personale; è invece
predominante la parte della spesa che consiste in meri trasferimenti in
denaro. In altri termini la spesa in previdenza e assistenza è quasi tutta
concentrata nelle prestazioni sociali in denaro. Riferendoci ai dati di
12 Franco (1992, pag. 264). 13 Franco (1992, pag. 288). 14 Soprattutto questa scelta è ciò che più ha portato fuori controllo la spesa sanitaria.
24
incidenza sul Pil la spesa per previdenza e assistenza nel 1960 è di 9,5
punti percentuali e nel 1960 e di 16,2 punti nel 1990 (Tabella 2).
L’incidenza delle prestazioni sociali in denaro è rispettivamente dell’8,3
e del 15,7 per cento15. A loro volta le prestazioni sociali in denaro per
funzione si suddividono in vecchiaia, invalidità, superstiti, infortuni e
malattie professionali, famiglia, disoccupazione, malattia, maternità.
Secondo l’analisi di Franco in questo arco di tempo però sono aumentate
soprattutto le spese in favore di cittadini anziani, invalidi e superstiti,
hanno avuto poco peso gli interventi per i disoccupati, è invece
notevolmente diminuito il sostegno alle famiglie. Franco (1992, 1993)
scrive che in nessun paese dell’aera OCSE la spesa per pensioni è stata
elevata quanto quella italiana. A tal proposito, vale la pena riportare qui
quanto segue: “Il progressivo aumento del peso relativo delle pensioni
sul complesso della spesa sociale è, in primo luogo, dovuto al fatto che
la tutela degli anziani, degli invalidi e dei superstiti è stata più
importante di quella di soggetti quali i disoccupati, i cittadini con carichi
familiari, i cittadini con problemi di alloggio. Le ragioni di questa scelta
non sono ancora state sufficientemente esaminate. In secondo luogo, è
dovuto all’utilizzo delle pensioni per il perseguimento di obiettivi non
strettamente connessi con gli anziani, gli invalidi e i superstiti: le
pensioni di invalidità dell’INPS sono state utilizzate per sostenere i
cittadini relativamente poveri o con problemi occupazionali del settore
agricolo e delle aree arretrate del paese; i prepensionamenti sono stati
usati per sussidiare i lavoratori disoccupati; con le pensioni di invalidità
15 Franco (1992, pag. 292, tabella 18).
25
civile si è dato sostegno agli anziani con gravi problemi di salute.
L’utilizzo «improprio» delle pensioni ha presentato vari aspetti negativi
in termini di equità (solo alcune categorie di poveri e di disoccupati sono
stati sussidiate), di incentivo ad abbandonare permanentemente il
mercato del lavoro (in specie nel caso di prepensionamenti), di
possibilità di avvalersi delle prestazioni sociali per fini clientelari”16.
16 Franco (1992, pag. 327-328).
Tabella 3
Prelievo fiscale del settore pubblico: 1960-1990 (in % del Pil)
Anno Imposte Imposte Pressione Contributi Pressione
dirette indirette Tributaria sociali Fiscale
1960 5,2 11,3 16,5 9,2 25,7
1961 4,9 11,2 16,1 9,1 25,2
1962 5,4 11,1 16,5 9,6 26,1
1963 5,2 10,7 15,9 10,5 26,4
1964 5,7 10,8 16,5 11,1 27,6
1965 5,9 10,8 16,7 10,4 27,1
1966 5,9 10,7 16,6 10,3 26,9
1967 5,7 11,2 16,9 10,7 27,6
1968 6,1 11 17,1 11,3 28,4
1969 6 10,7 16,7 10,7 27,4
1970 5,3 10,4 15,7 11,3 27
1971 5,5 10,1 15,6 11,8 27,4
1972 6,1 9,5 15,6 11,9 27,5
1973 5,7 9 14,7 11,9 26,6
1974 5,8 8,8 14,6 11,8 26,4
1975 6,1 7,9 14 12,8 26,8
1976 7 8,5 15,5 12,7 28,2
1977 7,6 8,9 16,5 12,4 28,9
1978 8,8 8,7 17,5 12,4 29,9
1979 8,5 8 16,5 12,8 29,3
1980 9,7 8,6 18,3 12,8 31,1
1981 11,1 8,3 19,4 12,8 32,2
1982 12,4 8,6 21 13,7 34,7
1983 13,5 9,2 22,7 14 36,7
1984 12,9 9,3 22,2 13,5 35,7
1985 13,1 8,9 22 13,6 35,6
1986 13 9,1 22,1 14 36,1
1987 13,4 9,5 22,9 13,8 36,7
1988 13,5 10 23,5 13,7 37,2
1989 14,5 10,4 24,9 14 38,9
1990 14,6 10,6 25,2 14,5 39,7
Fonte: Ceriani, Frasca e Monacelli (1992, pag. 620)
Tabella 3 - Prelievo fiscale del settore pubblico: 1960-1990 (in % del Pil)
26
Per completare il quadro di riferimento di questo trentennio,
consideriamo ora il profilo e la dinamica del prelievo fiscale del settore
pubblico con lo scopo di illustrare il grado di copertura della spesa
pubblica con le entrate fiscali.
Confrontando i dati della Tabella 3 con quelli della Tabella 1, è
immediato osservare che (come già detto) rispetto all’espansione della
spesa, l’adeguamento delle entrate è stato più lento anche perchè solo
nei primi anni settanta prende avvio la riforma tributaria che ha segnato
la nascita dell’attuale sistema17. Prima della riforma, rispetto ad altri
paesi, il sistema tributario italiano si caratterizzava per la bassa
incidenza della tassazione diretta rispetto a quella indiretta. Con la
riforma si disegna un sistema moderno simile a quello degli altri paesi
industrializzati, più orientato a obiettivi redistributivi attraverso la
riduzione delle imposte indirette e con l’istituzione di un’imposta
personale onnicomprensiva con aliquote fortemente progressive18. La
riforma tributaria fu certamente un successo dal punto di vista del gettito
soprattutto per quanto riguarda le imposte dirette la cui incidenza
rispetto al Pil passa da un valore intorno al 6% prima della riforma al
14,6% nel 199019. Anche nel caso dell’entità delle risorse provenienti dal
prelievo fiscale rispetto al Pil consideriamo i decenni separatamente.
17 Legge delega 9 ottobre 1971, n. 825. La riforma prende il via nel 1973 per quanto riguarda le imposte dirette e nel 1974 per le imposte indirette. 18 Ceriani, Frasca e Monacelli (1992, pag. 603). 19 Cfr. Tabella 3. Come scrivono Ceriani, Frasca e Monacelli “la crescita del gettito dell’imposizione diretta dal 1974 ad oggi è stato il fattore principale di aumento del livello del prelievo complessivo” (1992, pag. 624).
27
Nel decennio 1960-69 l’aumento delle entrate totali è più contenuto
rispetto alla dinamica della spesa, circa il 2% a fronte di un 4% di
aumento di spese. Questo decennio è quello precedente alla riforma ed il
gettito delle imposte dirette era quasi il 6% del Pil, circa la metà rispetto
all’incidenza del gettito delle indirette, pari al 11%. Inoltre se guardiamo
alla composizione del prelievo fiscale nella Tabella 4 l’imposizione
indiretta era ancora dominante, nonostante comincia già in questo
decennio un lieve passaggio dalla imposizione indiretta a quella diretta.
Le entrate provengono principalmente dalla tassazione indiretta e dai
contributi sociali, la tassazione diretta contribuisce mediamente solo per
il 20%. Osserviamo ancora che soprattutto l’aumento della pressione
fiscale è quasi interamente dovuto al peso dei contributi sociali che alla
fine del periodo contano per quasi il 40% delle entrate fiscali (Tabella
4).
Abbiamo già ricordato che il decennio 1970-1979 si caratterizza per una
rilevante crescita della spesa ed infatti nonostante lo sforzo fiscale a
seguito della riforma tributaria il grado di copertura tributaria della spesa
complessiva si riduce. Più in particolare la copertura tributaria nel
decennio precedente è superiore al 50% nel decennio 1970-80 è di circa
il 40%. In altri termini, “la riforma fiscale entra in vigore in una
situazione di finanza pubblica già in parte compromessa… lo sforzo
fiscale è riuscito a far fronte all’aumento della spesa primaria, ma non
anche all’onere crescente del debito”20.
20 Ceriani, Frasca e Monacelli (1992, pag. 607).
28
Inoltre, alla fine di questo periodo il rapporto fra il gettito delle imposte
dirette e quello indirette si comincia a rovesciare a favore delle prime.
Infine, nell’ultimo decennio di questi trenta anni presi qui in
considerazione si attua uno sforzo fiscale considerevole: la pressione
tributaria aumenta di 5,8 punti percentuali rispetto al Pil, la pressione
fiscale di 7,5. Muta anche la composizione del prelievo; alla fine del
periodo il gettito delle imposte dirette supera quello dei contributi sociali
che dal 1968 in poi erano stati la fonte principale del gettito.
T abella 4
Prelievo fiscale del settore pubblico: 1960-1990 (composizione %)
Anno Imposte Imposte Contributi Pressione
dirette indirette sociali Fiscale
1960 20,0 44,1 35,9 100,0
1961 19,3 44,5 36,2 100,0
1962 20,8 42,6 36,6 100,0
1963 19,8 40,6 39,6 100,0
1964 20,8 39,0 40,2 100,0
1965 21,8 39,7 38,5 100,0
1966 22,0 39,6 38,4 100,0
1967 20,7 40,5 38,8 100,0
1968 21,6 38,6 39,8 100,0
1969 21,9 39,0 39,1 100,0
1970 19,7 38,4 41,9 100,0
1971 20,2 36,8 43,0 100,0
1972 22,2 34,5 43,3 100,0
1973 21,6 33,9 44,5 100,0
1974 21,8 33,4 44,8 100,0
1975 22,8 29,4 47,8 100,0
1976 24,8 30,0 45,2 100,0
1977 26,3 30,9 42,8 100,0
1978 29,4 29,1 41,5 100,0
1979 29,0 27,4 43,6 100,0
1980 31,2 27,8 41,0 100,0
1981 34,4 25,7 39,9 100,0
1982 35,7 24,7 39,6 100,0
1983 36,8 25,0 38,2 100,0
1984 36,2 25,9 37,9 100,0
1985 36,8 25,1 38,1 100,0
1986 36,0 25,3 38,7 100,0
1987 36,5 25,8 37,7 100,0
1988 36,3 26,9 36,8 100,0
1989 37,3 26,6 36,1 100,0
1990 36,7 26,8 36,5 100,0
Fonte: Ceriani, Frasca e M onacelli (1992, pag. 621, Tab. 7)
Tabella 4 - Prelievo fiscale del settore pubblico: 1960-1990 (composizione %)
29
Concludiamo questa sezione con qualche dato di comparazione
internazionale, in particolare relativamente alla Francia, alla Germania e
al Regno Unito. Questa comparazione sui dati di finanza pubblica si
rende necessaria perché la politica economica dell’Italia (in particolare
Tabella 5
Dati di finanza pubblica in % del Pil: un confronto con alcuni paesi europei (1960-90)
1960-67 1968-73 1974-79 1980-90 1960-90
Italia 13,1 14 13,9 16,3 14,6
Francia 14,4 14,8 16,9 18,8 16,5
Germania 14,9 16,5 19,8 19,9 17,9
Regno Unito 16,9 17,7 20,5 20,8 19,2
1960-67 1968-73 1974-79 1980-90 1960-90
Italia 11,1 13 15,4 16,8 14,3
Francia 15,5 15,6 17,5 21,2 17,9
Germania 12,4 13,2 16,7 16,4 14,8
Regno Unito 7,3 8,8 10,7 13,1 10,3
1960-67 1968-73 1974-79 1980-90 1960-90
Italia 31,9 36 42,9 49,1 40,9
Francia 37,4 38,9 43,3 50,2 43,4
Germania 35,7 39,8 47,5 47,7 43
Regno Unito 34,7 39,5 44,4 44,8 41,1
1960-67 1968-73 1974-79 1980-90 1960-90
Italia 29,7 30,9 33,5 37,9 33,5
Francia 37,2 38,4 40,8 46,5 41,4
Germania 36,1 39,5 44 44,9 41,4
Regno Unito 32,5 37,9 39 41,3 37,9
1960-67 1968-73 1974-79 1980-90 1960-90
Italia -1,8 -4,8 -9,2 -10,9 -7,1
Francia 0,5 0,5 -1,1 -2,1 -0,7
Germania 0,8 0,2 -3 -2,1 -1,1
Regno Unito -1,1 -0,4 -4,1 -2,3 -2
Fonte: OECD, Historical Statistics 1960-1990 , Paris, 1992, pp. 67-69
Indebitamento
Consumi collettivi
Trasferimenti sociali
Spese totali
Entrate correnti
Tabella 5 - Dati di finanza pubblica in % del Pil: un confronto
con alcuni paesi europei (1960-90)
30
negli anni sessanta) guarda ai modelli di stato sociale di questi paesi.
Detto altrimenti, sulla politica di spesa e tributaria di quel periodo è
determinante la convinzione che dopo la fase di boom economico del
decennio precedente l’Italia deve riformare il sistema di entrate e di
spesa adeguandolo ad alcuni modelli di welfare europei21.
Sulla base dei dati OECD, presentati nella Tabella 5, risulta che in effetti
l’Italia nel periodo 1960-1967 presenta rispetto agli altri Paesi un livello
più basso di consumi collettivi, di trasferimenti sociali (ad eccezione del
Regno Unito), di spese totali e di entrate totali. Tuttavia, in questo
periodo l’indebitamento italiano è già superiore a quello degli altri paesi
(Francia e Germania presentato una situazione di avanzo). Dai dati
OCSE risulta evidente che inizia poi il processo di adeguamento o
“rincorsa” verso questi paesi ed infatti nel periodo 1980-1990 l’Italia ha
spese inferiori alla Francia di poco meno di un punto e superiori a quelli
di Germania e Regno Unito rispettivamente di 1,4 punti e 4,3. In questo
periodo, a differenza di questi tre paesi, l’indebitamento italiano è a due
cifre. Notiamo altresì che molto più accentuato è il divario italiano con
riferimento alle entrate totali. Lungo questo arco temporale, l’Italia ha
un livello più basso di entrate rispetto al Pil e tale divario si accentua nei
periodi 1968-73 e 1974-79. Il divario si riduce nell’ultimo periodo. Il
quadro è più o meno simile se guardiamo ai dati OCSE relativi alle
entrate totali al netto dei contributi sociali nella Tabella 6.
21 Crf. Artoni e Biancini (2003, p. 363) e la bibliografia ivi citata in merito a questo.
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32
Osserviamo che nel 1990 la pressione fiscale italiana è più alta di quella
francese e tedesca. Soprattutto nella Tabella 6 emerge il trend di crescita
della tassazione personale sul reddito che (soprattutto per effetto della
riforma) cresce ad un tasso più alto di quello degli altre tre paesi qui
considerati. Detto altrimenti in questi decenni l’onere di allineare la
pressione fiscale a quella degli altri paesi europei cade prevalentemente
sulle imposte dirette.
Per concludere, negli anni sessanta e settanta l’andamento della spesa
pubblica in Italia mostra un trend di crescita simile a quello di altri paesi
occidentali, a partire dagli anni ’80, in Italia l’espansione della spesa
presenta connotati più rilevanti. Questi dati illustrano quanto gli studi
sulla interpretazione della crescita della spesa pubblica in Italia hanno
ben documentato22. In sintesi c’e’ un certo grado di consenso negli studi
nel ritenere che a partire dalla seconda metà degli anni 70, accanto a
fattori di ordine strutturale, la crescita della spesa pubblica in Italia ha
obbedito a fattori di ordine politico. Secondo Franco sono questi ultimi
fattori a rendere «preoccupante» le dimensioni della crescita della spesa
pubblica in Italia . Secondo questo studioso questa distinzione fra fattori
strutturali a fattori di ordine politico comporta certamente un certo grado
di arbitrarietà, ma: “è cruciale per giungere ad una valutazione di ciò che
si poteva, e si può, fare in Italia in materia di controllo della spesa
pubblica. Infatti, se un processo di aumento della spesa dipende da
ragioni «strutturali», si deve cercare di finanziarlo con maggiori entrate;
se invece esso ha origini «politiche», ci si deve, innanzi tutto, assicurare
22 Una rassegna di questi studi è presentata in Franco (1992, 1993).
33
che i processi decisionali siano tali dal evidenziare pienamente i costi
delle scelte effettuate”23.
Su questo sfondo, a partire dagli anni ’90 comincia a farsi strada una
nuova fase nella storia della finanza pubblica italiana: quella del
risanamento.
23 Franco (1993, pag. 196-197).
34
3. La spesa delle amministrazioni pubbliche dagli anni novanta e la
politica di risanamento
Come appena visto, la finanza pubblica italiana arriva agli inizi degli
anni ’90 in condizioni assai precarie: il debito pubblico arriva a sfiorare
il 100% del Pil, il disavanzo è dell’11%. Soprattutto a partire dal 1992 la
situazione appare fuori controllo. Da questo anno comincia la nuova
fase di risanamento.
Per ripercorrere molto sinteticamente le principali vicende che hanno
caratterizzato questo periodo della finanza pubblica italiana, come per i
dati presentati nel precedente paragrafo, anche qui facciamo riferimento
al conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche (Ap).
Le Ap sono l’aggregato istituzionale che comprendono le
Amministrazioni centrali, gli Enti previdenziali e le Amministrazioni
Locali; si ricordi anche che le Ap sono assunte come aggregato di
riferimento negli obiettivi di finanza pubblica del Trattato di Maastricht
e del Patto di stabilità e crescita. I dati si riferiscono agli anni 1991-
200224.
In questo paragrafo i conti delle Ap per ciò che concerne le spese (o
uscite) è per categorie economiche25. I dati sono riportati in percentuale
rispetto al Pil e sono stati da noi elaborati sulla base delle Relazioni
24 Non riportiamo i dati relativi al 2003 perché per il biennio 2003-2004 nel momento in cui scriviamo è in corso da parte dell’Istat e di Eurostat una revisione dei conti dell’Italia. 25 Nel paragrafo successivo incrociamo questa analisi economica delle categorie di spese con la classificazione delle spese per funzioni.
35
annuali della Banca d’Italia per gli anni 2003, 2001, 199926. In
particolare per le spese correnti riportiamo i dati relativi a: spese per
interessi, redditi da lavoro (vale a dire il compenso che le
amministrazioni pubbliche erogano ai propri dipendenti), consumi
intermedi (vale a dire il valore dei beni e servizi consumati quali input
nel processo produttivo) e prestazioni sociali in denaro. Tra le spese in
conto capitale riportiamo la voce relativa agli investimenti fissi lordi27.
Per le entrate riportiamo la ben nota distinzione tra entrate dirette,
indirette, contributi sociali. Nella voce “altro” sono incluse le imposte in
conto capitale.
Nel commentare i dati nel seguito oltre a considerare l’andamento
dei saldi di bilancio del periodo 1991-2002 faremo anche specifico
riferimento al breve sottoperiodo che va dal biennio 1992-1993 al
1997 perché, come vedremo meglio nelle righe che seguono, in
questo sottoperiodo si realizzano gli interventi più importanti che
hanno con successo consentito all’Italia di essere fra i paesi che
hanno dato vita all’Euro. Come è ampiamente noto nel 1992 viene
firmato il Trattato di Maastricht che comporta per i paesi
sottoscrittori un impegno molto severo in termini di obiettivi fiscali e
monetari da raggiungere ai fini dell’ammissione all’Unione
26 Quindi le Relazioni annuali del Governatore che si sono svolte rispettivamente il 31 maggio 2004, il 31 maggio 2002, il 31 maggio 2000. 27 Che secondo la definizione metodologica data dall’Istat si tratta di “tutte le acquisizioni, nette delle cessioni, di capitale fisso che consiste nei beni materiali o immateriali che rappresentano il prodotto dei processi di produzione, i quali sono utilizzati più volte o continuamente nei processi di produzione per più di un anno”. Cfr. Istat, Conti ed aggregati economici delle Amministrazioni pubbliche – Serie SEC95 –
anno 2000-2003. Statistiche in breve del 5 luglio 2004.
36
monetaria. Al contempo si abbatte sulla lira una grave crisi valutaria
a cui segue una significativa svalutazione e l’uscita dallo Sme. In
Italia questo anno rappresenta uno spartiacque fondamentale nella
storia della finanza pubblica. Il Trattato di Maastricht impone
all’Italia la strada del risanamento finanziario. In altre parole
l’adesione al Trattato impone una disciplina fiscale che nessuna forza
politica o di governo aveva osato prima imporre per paura di perdere
consenso. Sono altresì gli anni di tangentopoli e quindi un momento
di forte delegittimazione della classe politica stessa. Tutti questi
eventi fanno sì che nell’ultima parte dell’anno 1992 inizia con un
governo tecnico (il governo Amato) la manovra di risanamento
finanziario. Fra il luglio 1992 e l’ottobre 1993 il governo Amato
chiede e ottiene la delega per riforme strutturali nella previdenza,
nella sanità, nel pubblico impiego e nella finanza locale, comparti
questi ritenuti i maggiori responsabili della eccessiva crescita della
spesa28. Nel 1993 succede il governo Ciampi che continua l’azione
risanatrice. Detto altrimenti con questi due governi si comincia
subito ad agire con manovre strutturali sul lato della riduzione delle
spese (al netto degli interessi). Fra il 1992 e il 1993 (cfr Tabella 7)
non migliora certamente il quadro, ma si riesce comunque ad
impedire un ulteriore squilibrio di bilancio in un momento in cui i
tassi d’interesse sono al massimo storico del periodo.
28 Cfr Bernasconi e Marenzi (1998, p. 93). In questo stesso studio si riportano le cifre della manovra del Dpef del governo Amato e del Dpef del governo Ciampi. Per un’analisi puntuale delle manovre nel periodo 1995-2000 cfr Bernardi e Parlato (2001).
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38
Questi due governi certamente segnano l’inversione di rotta verso il
riequilibrio finanziario e sopratutto l’Italia comincia ad acquistare
credibilità sui mercati internazionale, i tassi d’interesse iniziano a
scendere e quindi comincia anche a scendere la spesa per interessi. Si
osservi anche che il governo Ciampi adotta una strategia del
gradualismo, vale a dire si prosegue il risanamento dei conti, ma si
cerca di non deprimere la crescita: la Finanziaria per il 1994 è
relativamente “leggera”29. Nel 1994 il tasso di crescita reale del Pil
diventa del 2,2% a fronte di un dato negativo dell’anno precedente
(Cfr Tabella 1A in appendice).
Nel 1992 parte anche un vasto processo di privatizzazione che
fornisce negli anni un contributo significativo in termini di risorse: nel
1992 i proventi delle privatizzazioni sono lo 0,04% del Pil, nel 1995
sono 0,92%, nel 1997 sono il 2,05%, nel 1999 il 2,21%30.
Le manovre si concentrano quindi su aumenti di entrate e riduzioni della
spese come ad esempio contenimento negli acquisti dei beni, nelle
retribuzioni e all’aumento numero dei dipendenti. Dai dati nella Tabella
7 troviamo un riscontro di quanto appena detto: la spesa per retribuzione
dei dipendenti ha un’accelerazione a inizi anni ’90 (cfr. anche Tabella 1
del paragrafo precedente) a seguito del rinnovo contrattuale del 1988-
1990. Tra il 1993 e il 1994 questa voce di spesa comincia a calare per
effetto anche dell’accordo sul costo del lavoro31. Se consideriamo tutto il
29 Bernardi (2000, pag. 15). 30 Fonte: Ministero del Tesoro, Libro bianco sulle privatizzazioni, 2001. 31 Cfr Bernasconi e Marenzi (1998, pag 100).
39
periodo qui esaminato il calo di questa voce di spesa è significativo:
1,8% rispetto al Pil.
I consumi intermedi hanno invece un andamento alquanto altalenante
con una leggera contrazione fra il 1991 e il 1997 (di 0,2 punti
percentuali) e un incremento molto lieve fra il 1991 e il 2002 (0,1 punti
percentuali).
Sulle prestazioni sociali in denaro non si sono registrati incrementi di
spesa (come invece per le ragioni di ordine strutturale illustrate nel
paragrafo precedente ci si potrebbe aspettare), ma si sono stabilizzate
intorno al 17% anche per il progressivo e positivo effetto sui conti di
questo comparto di una riforma strutturale importante, che è intrapresa
nel 1995 (la cosiddetta riforma Dini)32.
La spesa primaria totale ha un valore molto alto nel 1993 (45,3%
rispetto al Pil) ma passando al 1997 diminuisce di quattro punti. Nel
2002 tocca quasi il 42%.
Notiamo anche che la spesa per investimenti contribuisce alla riduzione
delle spese totali. Tra il 1993 e il 1997 si riduce di 0,4 punti percentuali.
Ci pare anche importante osservare che addirittura nell’arco di tempo
qui considerato le spese per investimenti si riducono di 1,3 punti
percentuali rispetto al Pil.
Più in generale tra il 1992 e il 1993, nonostante la forte l’instabilità
politica33, si assiste ad una drastica riduzione del disavanzo tale da
consentire all’Italia di entrare nell’Unione monetaria con il governo
32 Cfr paragrafo 5. 33 Ricordiamo che in questo breve lasso di tempo si succedono cinque governi: Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi.
40
Prodi. L’accelerazione avviene tra il 1996 e il 1997 quando il deficit
passa dal 7,1% al 2,7% (cfr Tabella 7). Questa contrazione avviene
soprattutto per effetto della caduta dei tassi d’interesse e l’aumento
dell’avanzo primario (dove incidono anche i tagli di spese e alcune
manovre una tantum, ad es. la “tassa per l’Europa”).
Ulteriori informazioni sulle caratteristiche di questa fase di risanamento
e di convergenza verso i parametri richiesti per l’unificazione
economica e monetaria si possono ricavare dai dati della Tabella 7 nella
parte relativa alla pressione fiscale.
Si notano immediatamente i due picchi in corrispondenza dei due anni
in cui è più forte l’azione risanatrice. Come accennato si tratta del 1993
e del 1997. In questi due anni la pressione fiscale tocca rispettivamente
il 44% e il 44,4%. Ad eccezione di questi due anni la pressione fiscale è
di circa il 42%. Anche in questo ambito della finanza pubblica si
registrano in questi anni riforme importanti. Qui ci limitiamo solo a
richiamarne alcune: l’introduzione dell’Ici, la riforma Visco,
l’introduzione dell’Irap, l’abolizione dei contributi sanitari,
l’introduzione delle addizionali comunali e regionali sull’Irpef. Si
osservi anche che dal 1998 si ribalta nuovamente la situazione: la quota
sul Pil delle imposte indirette è superiore a quella delle dirette. La
motivazione sta nel fatto che l’Irap (il cui gettito è di un ammontare
quasi analogo a quello dell’Irpeg) viene contabilizzato nel gettito delle
imposte indirette.
Per quanto riguarda il debito, nel 1991 l’ammontare supera la misura del
Pil e nel 1994 tocca il punto più alto (124,3% rispetto al Pil). Comincia
poi un graduale miglioramento. Nel 2001 il rapporto debito/Pil si è già
41
ridotto di circa 14 punti. Come si osserva dai dati in tabella (e come già
richiamato) questa diminuzione è effetto del mantenimento di un elevato
surplus primario (superiore al 4% dal 1996 fino al 2000) ed anche del
dimezzamento della spesa per interessi che è pari al 12% del Pil nel
1993 ma diventa del 6,5 nel 2001 e del 5,8 nel 2002.
Tuttavia con riferimento agli ultimi due anni del periodo qui considerato
(il 2001 e il 2002) la situazione in termini di indebitamento è in
controtendenza rispetto al trend prima descritto perché diventa del 2,6%
nel 2001. Il dato è invece dell’1,7% nel 1999. Vale la pena ricordare
anche che il dato molto positivo del 2000 è effetto principalmente delle
vendite delle licenze UMTS. Come osserveremo tra breve, sempre per
questo motivo, altri paesi europei registrano nel 2000 un surplus di
bilancio. Va anche ricordato che nel 2001 termina la fase espansiva di
crescita del Pil che nel 2000 ha la sua fase di picco con un tasso del 3%
(Cfr. Tabella 1A in appendice). La crescita che si registra dal 1994 in
poi, è sostenuta essenzialmente dalle esportazioni (soprattutto nel 1997 e
nel 2000) ma anche dai consumi delle famiglie. Come scrive Onofri
(2003, pag. 24) “dopo il 1996 il ritmo di crescita della domanda interna
e quello dei consumi delle famiglie, in particolare, hanno presentato una
stabilità sorprendente, alla luce delle azioni condotte di riduzione del
disavanzo pubblico. Nel quadriennio 1997-2000 la crescita media dei
consumi è stata del 2,9% annuo; il che, data la quasi stagnazione della
popolazione italiana, si è tradotto in un aumento medio annuo dei
consumi pro capite del 2,7%. Per farsi un’idea del rilievo di tali
andamenti è sufficiente ricordare che l’espansione dei consumi pro
42
capite negli Stati Uniti nello stesso quadriennio è stata del 3,4% medio
annuo”.
Nel 2001 il tasso di crescita del Pil è dell’1,8% e nel 2002 è dello 0,4%.
Si tratta del tasso di crescita più basso per il periodo 1999-2002,
escludendo il 1993. Osserviamo anche un aumento della spesa totale di
circa due punti tra il 2000 e il 2001 e di un calo delle entrate di 0,1 punti
percentuali. Tra il 2001 e il 2002 cala nuovamente la spesa totale e si
riducono anche le entrate di 0,4 punti come primo effetto di alcune
misure sul lato delle imposte (abolizione dell’imposta sulle successioni e
donazioni, legge Tremonti bis, etc.)
In estrema sintesi e guardando ancora ai dati (cfr Grafico 3) la «svolta»
del 92/93 avviene più sul fronte della riduzione delle spese che
sull’aumento delle entrate34.
34 Così concludono diversi studiosi, cfr Bernardi (2000, pag. 24).
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In generale la pressione fiscale rimane sempre intorno al 42% (con
eccezione per il 1993 e il 1997), un dato all’incirca coincidente con
quella della media UE (cfr Tabella 8 più avanti).
Concludiamo il paragrafo con alcuni sintetici riferimenti alla situazione
di finanza pubblica di Francia, Germania e Regno Unito e la media del
paesi della UE15. Come per l’Italia anche qui riportiamo il dato sul
saldo di bilancio, sul debito, sulla pressione fiscale e sulle principali
categorie economiche di spese. I dati sono riportati nella Tabella 835.
Limitiamoci a commentare i dati relativi all’anno 2002. Per quanto
riguarda la spesa pubblica totale è immediato osservare che se
guardiamo la media UE15, il dato è abbastanza analogo a quello
dell’Italia (cfr Tabella 7). La Francia e la Germania hanno valori
superiori alla media dell’UE15 rispettivamente di quasi sei punti e di un
punto. Il Regno Unito ha un dato più basso di circa sei punti e mezzo36
Anche le entrate totali dell’Italia sono assolutamente in linea con quelle
della Media UE come pure quelle tedesche. Sono superiori le entrate
totali francesi (di 4,7 punti percentuali) e, come ci si può attendere,
quelle del Regno Unito sono invece inferiori di circa cinque punti.
35 Per un ulteriore dettaglio sulle diverse voci di spese e entrate dei paesi qui considerati cfr European Commission (2004) Public finance in EMU.
36 Si consideri anche che la media europea delle spese totali sul Pil è molto superiore a quella del Giappone e degli Usa (rispettivamente nel 2001 del 38,6% e del 35,6%). In Europa il dato più alto si registra in Svezia (58,3%). Cfr. OECD Economic Outlook,2003.
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Dal confronto tra i dati delle Tabelle 7 e 8 osserviamo che la situazione
italiana è invece assolutamente anomala rispetto agli altri Paesi e
rispetto al dato UE15 per il livello del disavanzo, ma soprattutto per il
livello del debito pubblico e per la spesa per gli interessi. Tutto questo è
forse ciò che più ha impedito e continua ad impedire all’Italia di
utilizzare le sue risorse per investimenti produttivi.
48
4. La composizione per categoria funzionale e per livelli di
governo della spesa pubblica
Nel paragrafo precendente abbiamo presentato i conti consolidati delle
spese delle Ap per categorie economiche. Tuttavia le precedenti
informazioni non ci permettono di cogliere per quali funzioni viene
erogata la spesa pubblica. Infatti, solo la voce relativa alle prestazioni
sociali ci fornisce il dato riguardo al peso della protezione sociale nel
nostro sistema economico, ma non possiamo inferire informazioni in
merito ad esempio alle risorse erogate per la sanità, per l’istruzione etc.
Per avere informazioni di questo tipo dobbiamo disporre nel sistema dei
conti pubblici della classificazione delle spese per categorie funzionali.
Queste informazioni solo molto recentemente sono state rese disponibili
dall’Istat.
L’Istat ha diffuso per la prima volta le stime (a prezzi correnti) della
spesa per funzioni soltanto nel febbraio 2004 facendo seguito al nuovo
regolamento europeo che ha istituito il sistema dei conti nazionali (il
cosiddetto SEC95) e facendo seguito anche alle indicazioni previste dal
Fondo Monetario Internazionale di scomporre la spesa pubblica in
funzioni di spesa37. Questa classificazione per funzione (da poco
utilizzata dunque nei conti nazionali) è chiamata classificazione
COFOG38. Inoltre, questa classificazione funzionale è suddivisa secondo
37 In precedenza, informazioni di questo tipo potevano essere ricavate solo da alcuni studi della Ragioneria Generale dello Stato (2001) sulla spesa statale regionalizzata o venivano elaborati in alcuni studi: Franco (1992, 1993) ed anche cfr. Bordignon e Cerniglia (2004 e la bibliografia ivi citata). 38 In altri termini, COFOG rappresenta l’acronimo di Classification of Function of
Government e come scrive l’Istat si tratta di una classificazione definita a livello
49
tre livelli di analisi o tre livelli di funzioni. Al primo livello di funzione
corrispondono dieci Divisioni. Queste dieci Divisioni sono quelle che
vedremo nelle Tabelle nel prosieguo del paragrafo. Ogni divisione si
articola poi in gruppi (funzioni di secondo livello). Ogni gruppo si
suddivide in classe (funzioni di terzo livello)39.
Le dieci Divisioni rappresentano molto bene i “fini primari” perseguite
dalle Amministrazioni Pubbliche e sono: 1) servizi generali delle
Pubbliche Amministrazioni; 2) difesa; 3) ordine pubblico e sicurezza; 4)
affari economici40; 5) protezione dell’ambiente; 6) abitazione e assetto
territoriale; 7) sanità; 8) attività ricreative, culturali e di culto; 9)
istruzione; 10) protezione sociale.
Detto altrimenti, la scomposizione nelle suddette 10 funzioni di spesa
consente di comprendere in maniera più puntuale per quale finalità o
bene pubblico viene impiegata la spesa pubblica.
Passiamo adesso a presentare i dati relativi al periodo 1990-2002. Come
scrive l’Istat questi dati risultano coerenti con il conto economico
consolidato delle Ap pubblicato dallo stesso istituto di statistica e nella
Relazione generale sulla situazione economica del Paese41.
internazionale dalle principali istituzioni che si occupano di contabilità nazionale: OCSE, FMI, Eurostat. 39 Per ulteriori dettagli su come questo nuovo schema di classificazione si raccorda alla classificazione economica delle spese delle Ap cfr. anche Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, (2003) Principi e
regole contabili del sistema di contabilità economica delle Amministrazioni Pubbliche,Roma, aprile. 40 Si noti che nella funzione affari economici rientrano le spese per agricoltura, foreste, pesca e caccia, trasporti, comunicazioni, energia, estrazione minerali, manifatture e costruzioni etc. 41 Cfr. Istat Spesa delle Amministrazioni Pubbliche per funzione Serie Sec95 –anni 1990-
2002, 12 febbraio 2004. In una pubblicazione del 15 dicembre 2004, i dati vengono estesi al 2003.
50
Tabella 9 - Spesa complessiva a prezzi correnti al netto degli interessi pagati dalle Amministrazioni Pubbliche per funzione; anni 1990-2000; milioni di euro correnti
Fonte: Istat, Spesa delle Amministrazioni Pubbliche per funzione Serie Sec95 – anni
1990-2002, 12 febbraio 2004
Osserviamo subito che la spesa delle Ap erogata nel 2002, a prezzi
correnti e al netto degli interessi, è pari a circa 523 miliardi di euro42.
Come ci si può attendere la parte del leone tra le spese è la voce
protezione sociale (circa 228 miliardi di euro) e la voce sanità (quasi 81
42 Si osservi che in un’altra tabella nella stessa pubblicazione Istat troviamo la medesima classificazione senza l’esclusione della voce di spesa “interessi”. In questo caso il Totale delle spese delle Ap nel 2002 è pari a circa 594 miliardi di euro. La voce “interessi passivi” viene contabilizzate dentro la categoria funzionale Servizi generali che in questo caso rappresenta il 18,9% della spesa totale e l’8,9% della spesa in termini di Pil (in termini assoluti questa categoria funzionale di spesa ammonta a circa 112 miliardi di euro). Cfr. anche Tabella 10 che segue.
51
miliardi di euro). L’istruzione è per importanza quantitativa la terza
categoria di spesa (61 miliardi e mezzo di euro circa). Tuttavia,
guardando la dinamica temporale emergono dei dati molto interessanti.
Ad esempio la spesa in istruzione nel 1990 è il 12,8 per cento della
spesa totale, nel 2002 è invece l’11,8%; in termini di incidenza
percentuale sul Pil si passa dal 5,6 % al 4,9%. Una tendenza nettamente
opposta la osserviamo nella categoria di spesa per protezione sociale che
per quanto riguarda l’incidenza sul Pil passa dal 16,5% al 18,1 e in
termini di spesa totale passa dal 37,5% al 43,7%. La sanità, dopo un calo
a metà degli anni ’90, ha nel 2002 un’incidenza percentuale sul Pil pari a
quella del 1990. In termini di risorse (a prezzi correnti) si osserva anche
un raddoppio di spesa. Tutte le altre funzioni di spesa non registrano
variazioni significative, ad eccezione della categoria affari economici
che in termini di Pil subisce un decremento di due punti percentuali.
Probabilmente, nell’azione di risanamento intrapresa in questo periodo
della finanza italiana, questo è il settore dove si sono concentrati
maggiormente gli interventi di razionalizzazione delle spese delle Ap43.
A questo punto ci pare anche utile riportare nella Tabella 10 l’analisi
della spesa della Ap per il 2002 effettuata attraverso l’incrocio tra
funzioni e voci economiche. I dati sono in milioni di euro correnti e
contabilizzano anche gli interessi passivi44. Questi dati possono essere
anche letti insieme ai dati della Tabella 7 del precedente paragrafo dove
43 Si osservi anche che il valore molto basso per il 2000 è imputabile al fatto che è stata qui contabilizzata con segno negativo la cessione delle licenze UMTS. 44 Si nota infatti che nella Tabella 9 il totale della spesa pubblica nel 2002 a prezzi correnti è pari 523.017 milioni di euro. Nella Tabella 10 il totale della spesa pubblica è pari a 594.278 milioni di euro. In quest’ultima tabella è immediato osservare che gli interessi passivi, come già detto, vengono contabilizzati nella funzione servizi generali.
52
invece abbiamo espresso i valori delle voci economiche in termini di
incidenza sul Pil.
Tabella 10 - Spesa pubblica delle Ap a prezzi correnti: distribuzione per categorie economiche e funzionali (anno 2002); milioni di euro correnti
Fonte: Istat Spesa delle Amministrazioni Pubbliche per funzione Serie Sec95 – anni 1990-
2002, 12 febbraio 2004
La Tabella precedente ci fornisce soprattutto ulteriori informazioni
quantitative sulle caratteristiche di alcuni comparti della spesa pubblica
e alle quali abbiamo già accennato nel paragrafo 2. Ad esempio, il 75%
della spesa totale per istruzione è data dalla spesa per la retribuzione del
personale, che nella sanità incide invece per circa il 36% e nella
previdenza molto poco, circa il 2,2%.
È utile concludere questa panoramica sulla spesa pubblica mostrandone
la ripartizione delle funzioni anche nei sottosettori, cioè negli aggregati
istituzionali che (come detto a inizio del paragrafo) costituiscono le Ap e
che sono le Amministrazioni Centrali, le Amministrazioni Locali, gli
Enti di Previdenza.
53
A questo punto va ricordato che in Italia negli anni ’90 è anche partito
un marcato processo di decentramento di funzioni dallo Stato centrale
alle Amministrazioni Locali.
Diverse motivazioni hanno guidato questa domanda di decentramento45.
Tra queste anche l’idea che un maggior decentramento avrebbe indotto
una maggiore responsabilità finanziaria dei livelli di governo locali per
il raggiungimento dei parametri di Maastricht46. Agli inizi degli anni ’70
infatti l’effetto congiunto del parziale decentramento delle funzioni a
seguito della istituzione del livello di governo regionale e della riforma
tributaria (che prevede un totale accentramento tributario) comincia a
generare gravi fenomeni di irresponsabilità finanziaria delle regioni. La
spesa regionale è infatti “fuori controllo” perchè è finanziata ex post a
piè di lista tramite il meccanismo dei fondi. Come appena detto, anche
questo problema noto come “soft budget constraint” delle regioni sta
alla base della forte domanda di federalismo fiscale nel corso degli anni
’90 che conduce a varie riforme. Ricordiamo le cosiddette leggi
Bassanini, il decreto 56/2000 che abolisce i trasferimenti alle regioni e
stabilisce nuovi meccanismi di finanziamento, l’istituzione dell’Irap e
delle addizionali Irpef comunali e regionali. Questo processo si conclude
con l’importante riforma costituzionale del Titolo V nel 2001 i cui
45 Questa forte domanda di decentramento a partire dagli anni ’90 è comune ad altri paesi dell’area OCSE, sia federali che unitari. Per una discussione ed una analisi empirica cfr. Cerniglia (2003). 46 È utile anche ricordare che con Legge Finanziaria per il 1998 si introduce il cosiddetto Patto di Stabilità interno con lo scopo di rendere corresponsabili le autonomie locali al rispetto dei parametri di Maastricht.
54
effetti sono ancora difficili da valutare47. Tra le numerose novità
introdotte: le regioni potranno esercitare poteri di spesa, in regime di
concorrenza con il governo centrale, in un insieme molto ampio e
importante di funzioni come ad esempio l’istruzione e la sanità. Nella
sanità le regioni erogano già la quasi totalità delle risorse, come è
osservabile nella tabella che segue e che riporta la spesa consolidata
dell’interno settore, cioè al netto dei trasferimenti tra i settori.
Tabella 11 - Spesa complessiva a prezzi correnti per funzione e per sottosettore (anni 1990-2002) milioni di euro correnti
Fonte: Istat Spesa delle Amministrazioni Pubbliche per funzione Serie Sec95 –anni 1990-
2002, 12 febbraio 2004
47 Per una analisi sugli effetti in termini di risorse da trasferire alle autonomie locali cfr. Bordignon e Cerniglia (2004).
55
Un dato di rilievo che emerge dalla precedente tabella è che, in termini
di risorse erogate, la spesa delle amministrazioni centrali è più o meno
simile a quella degli enti di previdenza. Inoltre la differenza tra spesa
erogata dalle amministrazioni centrali e spesa erogata dalle
amministrazioni locali è di circa 28 miliardi di euro. Detto altrimenti
l’Italia si caratterizza già per un buon grado di decentramento di spesa.
Anche in questo paragrafo, dedichiamo la parte finale della discussione
ad un breve confronto internazionale con riferimento alla classificazione
funzionale. Questa indagine è possibile grazie al nuovo database
denominato Newcronos di Eurostat che segue la classificazione
COFOG48. Questo database consente di effettuare i confronti fra Italia e
altri paesi con un buon livello di affidabilità anche se i dati sono ancora
abbastanza incompleti (soprattutto lungo la dimensione tempo)49.
Tuttavia anche uno sguardo ad un solo anno può dare utili informazioni
in termini di confronto tra Paesi.
48 Prima di questo database le uniche informazioni per una comparazione internazionale sulle categorie funzionali si potevano trarre in IMF, Government Finance Statistics, anni vari, ma i dati sono molto incompleti soprattutto per molti paesi europei. 49 Cfr Isae (2003) per una discussione sui problemi metodologici di questo database.
56
Tabella 12 - Distribuzione funzionale della spesa pubblica in Europa nel 2000 (% Pil)
Fonte Isae (2003, pag. 145 che riprende dati Newcronos-Eurostat). *Le altre funzioni comprendono Cultura e religione e Edilizia abitativa e infrastrutture.
La Tabella 12 è infatti abbastanza eloquente e non necessita di
particolari commenti. Il dato che certamente si può trarre è che in
generale non ci sono forti disomogeneità fra Paesi per tipologia di bene
pubblico. Alcune eccezioni si segnalano solo nel comparto della
protezione sociale e più in generale nel comparto del welfare per ragioni
di cui parleremo meglio nel paragrafo successivo.
Concludiamo citando qualche dato sulla ripartizione funzionale per
livello di governo nei paesi europei50. Abbiamo visto che la spesa in
sanità in Italia è ormai erogata quasi tutta a livello regionale, in Francia
la “spesa locale” è solo il 2% della spesa totale, in Germania il 10%.
Nella funzione istruzione, in Italia la spesa è quasi tutta erogata dalle
amministrazioni centrali, in Francia il livello locale incide per il 19%
della spesa totale; in Germania per circa il 18%; nel Regno Unito il
50 Per un quadro più completo cfr. Bernardi e Gandullia (2004).
57
28%. A differenza di quanto vista dalla precedente tabella, questi pochi
dati invece sono esplicativi del fatto che in Europa, in termini di
organizzazione nell’erogazione dei beni pubblici, si registrano diversi
possibili “modelli”.
58
5. La spesa per il welfare
Nel paragrafo precedente abbiamo osservato che le componente di gran
lunga più importante della spesa pubblica è la spesa per il welfare vale a
dire l’insieme delle spese destinate alla previdenza, assistenza, sanità,
istruzione51. Riprendendo i dati della Tabella 9, relativi all’anno 2002, si
tratta complessivamente di circa 370 miliardi di euro. Si tratta di tutte
quelle risorse finalizzate a soddisfare alcuni diritti di cittadinanza quali
la tutela della salute, la formazione e l’istruzione, il diritto ad un reddito
nella vecchiaia, la protezione in caso di disoccupazione o di malattia, la
tutela della maternità, il diritto in ogni caso a un minimo di risorse per la
sopravvivenza.
In altri termini, nel sistema economico di un paese la spesa per il welfare
ha una funzione redistributiva (dal sano al malato, dal giovane al
vecchio, dall’occupato al disoccupato) ed anche assicurativa contro ogni
rischio riconosciuto come sociale a cui ogni cittadino può essere
esposto.
Per esplicitare meglio quanto osservato nei dati prima presentati, in
questo paragrafo facciamo degli ulteriori cenni (molto descrittivi) al
modello di welfare italiano.
Innanzitutto può essere utile ricordare che da un punto di vista
normativo-istituzionale ci possono essere diversi modelli di welfare. Ad
esempio nella stessa Europa, fra gli stessi Stati appartenenti all’Unione
europea, si possono registrare differenze significative di modelli. Come
51 Tre le spese del welfare entrano anche le politiche per la casa, ma questa voce di spesa è poco influente in termini di risorse erogate (circa 13 miliardi di euro).
59
scrive Ferrera (1998, p. 80 e s.) in Europa i sistemi differiscono
prevalentemente rispetto alle seguenti dimensioni: a) le regole di
accesso (eleggibilità); 2) le formule di prestazione; 3) le formule di
finanziamento; e 4) gli assetti organizzativo-gestionale. Sulla base di
queste dimensioni è possibile individuare quattro famiglie «geosociali».
Queste quattro famiglie sono sommariamente riscontrabili anche
guardando i dati della Tabella 12.
La prima famiglia ingloba i paesi scandinavi dove la copertura è
universale per quasi tutti i rischi (anche per chi non partecipa al mercato
del lavoro). Il finanziamento avviene tramite il gettito tributario.
La seconda famiglia è quella anglosassone (Regno Unito e Irlanda) dove
“la copertura del welfare è altamente inclusiva: ma può considerarsi
pienamente universalistica solo in campo sanitario”52. Il finanziamento è
di tipo misto (tributi e contributi sociali).
La terza famiglia comprende la Germania, la Francia, i paesi del
Benelux, l’Austria e la Svizzera. “Qui la tradizione bismarckiana, che
prevede un collegamento fra posizione lavorativa (e/o stato di famiglia)
e prestazioni sociali, è ancora influente tanto nel settore della garanzia
del reddito quanto nel settore sanitario. Solo l’Olanda e la Svizzera
hanno parzialmente ibridato tale tradizione introducendo alcuni schemi a
carattere universalitistico”53. Detto altrimenti lo sfondo di riferimento di
questa famiglia è quello occupazionale (che si riflette anche nella
gestione dato che le organizzazioni sindacali possono partecipare con il
governo nel fissare gli schemi assicurativi di categoria) ed assicurativo
52 Ferrera (1998, p. 81). 53 ibidem.
60
(le formule di prestazione sono proporzionali al reddito e il
finanziamento è tramite contributi sociali).
La quarta famiglia è quella dei paesi dell’Europa meridionale: Italia,
Spagna, Portogallo e Grecia. È la famiglia più complicata da incasellare
in un modello preciso di riferimento, soprattutto perché in continua
evoluzione e non ancora pienamente maturo per alcuni paesi (in
particolare Grecia e Portogallo). In Italia il sistema di welfare può in
generale dirsi maturo, ma permangono forti differenziazioni nel grado di
qualità di erogazione dei servizi fra le aree del Paese. Nel Sud Europa,
scrive Ferrera (1998, p. 83) “non è solo il welfare ad avere una
configurazione sui generis, ma è anche lo stato: si tratta infatti di uno
stato assai poco «weberiano», largamente infiltrato e facilmente
manipolabile dagli interessi organizzati (e in particolare dai partiti
politici). Il basso grado di «statualità» dei sistemi latini di welfare è un
tratto che isola decisamente questa famiglia di nazioni dalle altre
presenti in Europa”. In generale quello che più caratterizza questi paesi è
la prestazione molto generosa in campo pensionistico rispetto agli altri
tipi di rischi e manca la protezione minima di base (ad esempio per
quando riguarda il reddito minimo garantito54). Inoltre in tutti questi
paesi, il servizio sanitario di tipo universalistico è una conquista degli
ultimi decenni e solo negli anni più recenti i tributi stanno sostituendo i
contributi sociali per finanziare la spesa sanitaria.
54 In Italia è stato introdotto a partire dal 1999 in alcuni comuni e in via sperimentale il cosiddetto Reddito minimo di inserimento.
61
Possiamo ora a una breve descrizione del sistema italiano. Un primo
quadro di sintesi sulle attuali caratteristiche dei programmi di spesa per
il welfare in Italia è nella Tabella 13.
Come fa notare Bosi (2003, pag. 327) il quadro tracciato da questa
tabella: “è lungi dall’essere completo: i sistemi di welfare, e in
particolare quello italiano, sono costituiti da un intreccio molto
complesso di programmi, frutto di stratificazioni non sempre razionali,
che trovano spiegazione soprattutto nel fatto che la loro introduzione e i
loro mutamenti sono sempre il risultato di faticosi e tormentati processi
politici, di lotta sociale e di ricerca del consenso” .
In generale, come si evince dalla Tabella 13, le spese del welfare sono
raggruppabili in cinque comparti: pensioni previdenziali, ammortizzatori
sociali, assistenza, sanità, istruzione55.
Sulle pensioni previdenziali abbiamo già avuto modo di osservare nei
precedenti paragrafi l’importanza di questo comparto in termini di
risorse erogate.
Queste risorse servono a garantire un reddito a tutti i lavoratori
(dipendente e autonomi) alla fine della loro attività lavorativa. È altresì
espressione del “patto sociale intergenerazionale” e costituisce senza
dubbio uno dei cardini fondamentali del welfare italiano.
55 In questo paragrafo non riferiamo del sistema degli ammortizzatori sociali e dell’assistenza. Per alcuni riferimenti cfr. Bosi (2003, capitolo 7).
62
Tabella 13 - Le prestazioni del welfare State in Italia
Fonte: Bosi (2003, pag. 326)
Il sistema previdenziale italiano, nato soprattutto attraverso il
sovrapporsi non coordinato di provvedimenti, si presenta all’inizio degli
anni ’90 complesso, frammentato e “caratterizzato da gravi iniquità inter
e intra-generazionali”56, ma soprattutto esposto al pericolo di un debito
previdenziale molto grave.
Nel corso degli anni’90 quindi intervengono due importanti riforme: la
cosiddetta riforma Amato nel 1992 e la cosiddetta riforma Dini nel
1995. Queste due riforme hanno posto le premesse per il graduale
passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo57. Sebbene queste
riforme abbiano ottenuto importanti risultati, rimangono insoluti ancora
56 Cfr. Bosi (2003, pag. 354). 57 Per un interessante dibattito tra gli studiosi su queste riforme, cfr. Autori vari (2002) Forum SIE su sistema previdenziale italiano.
Pensioni previdenziali
Sanità Ammortizzatorisociali
Assistenza Istruzione
Pensioni di
vecchiaia
Assistenza di
base
Cassa integrazione Assegni per i
figli
Istruzione
obbligatoria
Pensioni di
anzianità
Spesa farmaceutica Indennià di
disoccupazione
Pensione sociale Istruzione
secondaria
Pensioni per i
superstiti
Assistenza
specialistica e
ospedaliera
Istruzione
universitaria
Pensioni e rendite
per portatori di
handicap
Assicurazione
infortuni sul lavoro
Pensioni agli invalidi
civili
Assicurazione
malattia
Servizi per non
autosufficienti
Scuola materna
Assicurazione
maternità
Reddito minimo di inserimento
Scuole e servizi per l'infanzia
63
numerosi problemi soprattutto a causa della forte dinamica di crescita
della popolazione pensionata in rapporto alla crescita della forza lavoro.
A partire dal seconda metà del 2003 la riforma pensionistica è tornata
nuovamente nell’agenda politica58.
Sulla spesa sanitaria abbiamo detto che, dopo il calo della metà degli
anni ’90, ha ripreso a crescere. Va comunque segnalato che la spesa
sanitaria in Italia ha dei valori inferiori rispetto ad altri Paesi59. La
funzione sanità è oggi una competenza quasi esclusivamente regionale
anche se manca ancora una legge quadro che dia completa attuazione
alla Costituzione come riformata dal Titolo V. Tra le novità recenti che
hanno toccato questo comparto va segnalata l’introduzione nel 2001 dei
cosiddetti LEA (livelli essenziali di assistenza). I LEA servono a fornire
un certo grado di uniformità nazionale al tipo di assistenza e prestazioni
sanitarie a cui ogni cittadino italiano ha diritto nel quadro di ormai
diversi modelli regionali di sanità. Allo stato attuale uno dei punti più
critici nella sanità italiana è il finanziamento, soprattutto relativamente
alla questione del ripiano ex post delle spese sanitarie quasi tutte a
carico delle Regioni60. La questione è complessa anche alla luce della
recente proposta di graduale soppressione dell’Irap il cui gettito serve a
finanziare la sanità.
Infine passiamo al sistema di istruzione italiano che si caratterizza per il
quasi completo finanziamento pubblico. Sulla spesa totale per istruzione
58 Su questa riforma cfr. Mazzaferro e Toso (2004). 59 Per citare qualche dato: in dollari e in parità di potere d’acquisto la spesa pro capite in sanità in Italia nel 2002 è di circa 1.600 dollari, in Francia 2.080 dollari , in Germania 2.212 e nel Regno Unito 1.801. Fonte: OECD Factbook 2005.
60 Per una descrizione completa della questione anche con riferimento ai dati cfr. Turati (2003) e Mapelli (2004).
64
il 90% circa è di fonte pubblica, e il 10% circa è privata. In Germania le
quote sono rispettivamente 78% e 23%, nel Regno Unito 84% e 16%. La
Francia ha dati simili all’Italia: 92% e 8%61. Abbiamo anche visto che a
differenza di questi paesi, il sistema italiano è molto centralizzato dal
punto di vista dell’erogazione delle risorse. “Prevale dunque un modello
centralizzato e ciononostante disordinato, a cui corrisponde anche una
notevole disomogeneità della distribuzione delle risorse. Esistono
differenze anche di cinque volte tra le assegnazioni per studente tra
strutture più favorite e strutture meno favorite”62. Soprattutto il rapporto
insegnanti-iscritti varia in maniera significativa fra le regioni italiane
intorno al valore medio nazionale che è di 10,8 studenti per insegnanti
nella scuola primaria, di 10,2 studenti per insegnanti nell’istruzione
secondaria e di 22,4 studenti per insegnanti nell’istruzione terziaria63.
Tuttavia negli altri paesi i numeri (ad eccezione dell’istruzione terziaria)
sono molto più alti. Infatti abbiamo rispettivamente 19,4; 15,2 e 12,3 in
Germania. In Francia sono: 19,5; 12,3; e 18,1. Ed infine nel Regno
Unito 20,5; 14,5; e 17,6.64 L’istruzione ha un’importanza cruciale in un
sistema economico perché deve soddisfare una molteplicità di finalità.
Serve a produrre servizi di socializzazione, vale a dire forma le attitudini
e i valori nei quali uno Stato si riconosce, ma soprattutto l’istruzione
serve a trasmettere conoscenza e abilità: “la formazione delle
competenze, nelle sue diverse dimensioni, rappresenta un input
61 Cfr. Ocse, Education at glance, 2002. 62 Bosi (2003, pag. 433-434). 63 Sulla questione del numero degli insegnanti e sulla qualità della formazione cfr. Brunello, Checchi e Comi (2003). 64 Fonte: Istat, Annuario statistico italiano, 2004. Tavola 7.17, dati 2001.
65
strategico sia per lo sviluppo del paese nel suo complesso sia per la
valorizzazione delle opportunità individuali”65.
Non è dunque un caso che il problema dell’istruzione, o più in generale
la formazione del capitale umano, è oggi più che mai nell’agenda
politica degli Stati e dell’Europa in particolare.
65 Bosi (2003, pag. 417).
66
6. Conclusioni: gli investimenti pubblici e la “qualità” della
spesa pubblica
Dalla discussione precedente è possibile cogliere che soprattutto il
processo di unificazione europea (ma anche la crescente integrazione
internazionale) ha posto e pone il problema della dinamica della spesa
pubblica in una prospettiva sovranazionale. È indubbio che oggi il far
parte dell’Unione europea costituisce un vincolo importante all’uso
«improprio» della spesa pubblica, soprattutto se finanziata in disavanzo.
Nella fase attuale il dibattito accademico e politico tocca principalmente
la questione dell’entità, dell’adeguatezza e della tipologia della spesa
pubblica e della pressione fiscale in un momento in cui tutti i paesi
dell’area UE stanno avendo una crescita molto debole. Il dibattito è
aperto e vivace e, come è noto, ha recentemente toccato la questione
della riforma al Patto di stabilità con l’obiettivo di rilanciare lo sviluppo
economico. Questo induce a concludere che la spesa pubblica dovrebbe
puntare sempre di più verso una spesa produttiva, capace cioè di
stimolare la crescita economica.
Concludiamo pertanto questo lavoro facendo alcuni cenni alle cosiddette
spese pubbliche di “qualità”. Come scrive un recente rapporto dell’Isae
(2003, pag. 12), il concetto di «qualità delle spese pubbliche» ricorre
ormai abbastanza spesso nella ricerca economica anche se non è
possibile definire in maniera univoca cosa si deve intendere. Un punto di
vista possibile per definire la qualità della spesa pubblica è ovviamente
67
quello macroeconomico vale a dire egli “effetti che quest’ultime
producono sull’occupazione e sulla crescita economica”66.
Tuttavia anche in quest’approccio la scelta sul tipo o comparto di spesa
dipende anche dai target che un sistema economico decide di
raggiungere. Se l’obiettivo è migliorare la sicurezza allora la funzione
difesa assorbirà un maggior numero di risorse, se l’obiettivo è
minimizzare le disuguaglianze allora maggiori risorse saranno destinate
al welfare. Nella realtà poi, soprattutto a livello europeo, il problema
principale è addirittura quello di cercare la migliore combinazione
possibile tra le varie categorie funzionali di spesa pubblica dati gli
stringenti vincoli di bilancio posti da Maastricht e dal Patto di Stabilità e
Crescita.
Il tentativo allora a livello dell’Unione Europea è stato quello di definire
degli obiettivi per quelle funzioni di spesa che più delle altre possono
stimolare la crescita economica, incidere sulla produttività dei fattori,
sull’occupazione e più in generale migliorare la coesione sociale. Per
raggiungere questo proposito, l’Unione Europea con il Consiglio di
Lisbona del marzo 2000 ha fissato un obiettivo ben preciso: divenire
l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del
mondo. Nei Consigli successivi questo obiettivo è stato reso ancora più
66 Isae (2003, p. 121). In questa stessa pagina del rapporto leggiamo anche che il secondo approccio è quello relativo alla governance, cioè la qualità si riferisce al modus
operandi delle amministrazioni pubbliche; a questo proposito vale la pena anche ricordare che gli indicatori di governance entrano fra le variabili usate dal World economic forum per elaborare i cosiddetti indici di competitività. Il terzo approccio assume il punto di vista aziendalistico, la qualità quindi si riferisce “alle caratteristiche dei processi e dei prodotti e in tale contesto assume particolare rilievo la soddisfazione degli utenti”.
68
preciso: entro il 2010 le spese in ricerca e sviluppo dovranno toccare il
3% del Pil67.
Su questo sfondo come scrive l’Isae (2003, pag. 124): “si può sostenere
che una composizione della spesa che accentui in misura più sensibile
l’accumulazione di capitale fisico ed umano, infrastrutture e programmi
mirati di trasferimenti sociali possa essere considerata una spesa di
qualità”. Più in particolare, secondo questo rapporto, occorre individuare
una definizione di “investimenti allargati” che include oltre alla spese in
capitale fisico, anche quelle in capitale umano, ricerca scientifica e
sviluppo tecnologico “categorie per le quali le evidenze empiriche
offrono numerose, anche se non univoche, conferme circa l’esistenza di
effetti positivi di lungo periodo sulla crescita economica” (Isae, 2003,
pag. 124). In particolare alcuni studi hanno dimostrato che isolando le
singole categorie di spesa è osservabile che alcune spese sono più
produttive di altre68. In estrema sintesi un effetto sulla crescita viene
prodotto dalla spesa per la funzione istruzione, per la ricerca e sviluppo
ed anche, con alcune condizioni, per la protezione sociale dato che una
maggiore disuguaglianza nel reddito potrebbe portare minore crescita.
In generale per analizzare empiricamente il ruolo della spesa pubblica
sulla crescita economica un dato a cui più spesso ci si riferisce è quello
relativo alla quota di spesa in conto capitale sul Pil, in particolare quella
67 Per informazioni sui numerosi documenti e iniziative che l’Unione europea ha adottato su questo tema a partire dal Consiglio di Lisbona cfr. la pagina web http://europa.eu.int/comm/research/era/3pct/index_en.html#milestones.68 Per i riferimenti a questa letteratura economica rinviamo alla bibliografia contenuta in Isae (2003).
69
per investimenti fissi lordi69. Guardando la dinamica di quest’ultima
voce di spesa (Grafico 4) certamente emerge un declino degli
investimenti nella UE rispetto agli Stati Uniti e rispetto al Giappone.
Dal confronto invece tra Italia, Germania, Regno Unito e Francia (cfr
Appendice, Grafico 1A) emerge il ruolo non particolarmente
significativo che questa voce di spesa ha nel caso del Regno Unito
soprattutto a partire dal 1997. Questo risultato è abbastanza sorprendente
se correliamo questa variabile con la dinamica di crescita di questo
paese che proprio dal 1997 ha tassi di crescita più elevati rispetto ai
paesi qui considerati (cfr. Appendice Tabella 1A). Una prima
conclusione da trarre, molto generale e descrittiva, è quindi che la
dinamica di spesa in investimenti fissi lordi non può dare predizioni
univoche sulla dinamica di crescita di un paese70.
69 Cfr. il Paragrafo 3 per la definizione di questa voce di spesa e cfr. l’Appendice per la spesa in conto capitale della Francia, della Germania e del Regno Unito. 70 La stessa letteratura economica non fornisce evidenze empiriche conclusive sul nesso investimenti pubblici e crescita. Cfr. Isae (2003) in particolare pag. 155 dove si riportano in una Tabella i principali risultati di questa letteratura economica.
70
Grafico 4 - Andamento spesa per investimenti – Stati Uniti, Giappone e UE- (in % del Pil)
Fonte: Isae (2003, pag. 149).
Infatti, proprio nei paesi più sviluppati si possono modificare più
facilmente i confini fra investimenti pubblici e privati per l’emergere
delle cosiddette pubblic-private partnership; inoltre i paesi che hanno
accumulato un ampio stock di capitale fisico potrebbero spostare le loro
risorse verso la spesa in ricerca e sviluppo e per la formazione del
capitale umano, spese quest’ultime che vengono incluse nelle categoria
di spese correnti. Anche queste considerazioni rafforzano l’idea, come
accennato sopra, della necessità di individuare una definizione di
“investimenti allargata”. In altri termini, secondo l’Isae (2003, pag. 151
e ss.) la definizione di “investimento allargato” dovrebbe comprendere
le spese per investimenti fissi lordi, quella per ricerca e sviluppo e quelle
per l’accumulazione del capitale umano (inteso sia come conoscenza
che come capacità professionale dei lavoratori).
Nelle righe precedenti abbiamo accennato brevemente in termini
quantitativi agli investimenti fissi lordi; per un’analisi puntuale e
71
completa sulla spesa rinviamo invece ad alcuni studi in proposito71 e ci
limitiamo qui a ricordare il dato che l’Italia si colloca negli ultimi posti
nella classifica della spesa in Ricerca e Sviluppo (circa 1,07%). La
Francia, la Germania e il Regno Unito si collocano fra il 2 e il 2,5%. Il
gap della media UE con gli Stati Uniti è significativo (circa un punto
percentuale). In Europa soltanto la Svezia e la Finlandia spendono di più
degli Usa. Recuperare questo gap è la principale scommessa che
l’Europa ora si prepara ad affrontare72.
Tuttavia dai dati emersi nel corso di questo studio abbiamo visto che il
peso del settore pubblico sul Pil è di circa il 53% in Francia, il 48% in
Germania, il 41% nel Regno Unito e il 47% in Italia (che è anche il dato
relativo alla media della UE15). In Giappone e negli Usa il peso del
settore pubblico è invece rispettivamente il 38% e il 35%. Questi dati,
insieme alla disciplina e ai vincoli di bilancio, pongono la questione su
quali misure adottare per far crescere la spesa in “investimenti allargati”
senza aumentare eccessivamente la quota di spesa pubblica totale sul
Pil. Una strada percorribile è allora anche una rimodulazione o
ricomposizione della spesa pubblica verso più “spesa di qualità”.
Questo è l’orientamento della Commissione Europea che in una sua
Comunicazione73 dal titolo “INVESTING IN RESEARCH: AN ACTION PLAN
FOR EUROPE”, in un paragrafo che si intitola “REDIRECTING PUBLIC
SPENDING TOWARDS RESEARCH AND INNOVATION”, scrive: “The recent
Commission proposals for strengthening the co-ordination of budgetary
71 Cfr. Quadrio Curzio (2004a; 2004b) e la bibliografia ivi citata. 72 Questi dati si riferiscono al 2000. 73 Comunicazione della Commissione Europea COM (2003) 226 finale, Brussels, 30 maggio, 2003.
72
policies confirmed that the quality of public finances, under the angle of
their contribution to growth, is an integral part of budgetary surveillance
within the context of stability and convergence programmes. In this
regard, the Commission has repeatedly made the case for refocusing
public spending towards more productive investments, notably in
support of research and innovation, since they are conducive to higher
growth in the future. In order to ensure macroeconomic stability and
long term sustainability of public finances, this must be done within the
framework of the stability and growth pact. Increased public support for
research and innovation is one of the categories of spending in support
of the Lisbon objectives, for which the Commission considers that small
and temporary public deficits should be authorised in countries having
otherwise attained a positive or close to balance budget position. The
current economic downturn makes it all the more important to ensure
that budgetary policies favour investments that will lead to higher
sustainable growth in the future.
Consistent with this approach, the Commission's proposal for the broad
economic policy guidelines 2003-2006 recommends to refocus public
spending towards more productive investment, particularly research and
innovation, and translates this priority into a number of specific
recommendations to Member States” (pag. 18).
Infine concludiamo questo lavoro dicendo anche che abbiamo fermato la
nostra indagine quantitativa al 2002 perché per il 2003 e per il 2004, nel
momento in cui scriviamo, sono in corso processi di revisione dei dati
da parte di Istat e di Eurostat. Come è noto, i dati – seppur semidefinitivi
e provvisori – di cui disponiamo per il 2003 e per il 2004 non sono per
73
nulla confortanti sia in termini di crescita sia in termini di saldi di
bilancio.
Come per il 1992 «crisi» è la parola più dominante nel dibattito politico
e accademico. Allo stato attuale la strada per i governi è nuovamente in
salita.
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Appendice
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3, p
ag. 1
50).
79
80
CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICA, ECONOMIA
INTERNAZIONALE E SVILUPPO ECONOMICO
Working Papers (*)
1994 Alberto Quadrio Curzio La Banca d’Italia dal 1914 al 1936
1994 Alberto Quadrio Curzio Tre livelli di governo per l’economia italiana
1994 Alberto Quadrio Curzio e Roberto Zoboli Linee di recente sviluppo dell’arco alpino ristretto
1994 Giuseppe Colangelo Optimal durability with buyer’s market power
1994 Giuseppe Colangelo Vertical organizational forms of firms
1994 Giuseppe Colangelo Exclusive dealing may foster cross-collusion
1994 Piergiovanna Natale Pricing strategies: a brief survey
1994 Piergiovanna Natale Posted vs. negotiated prices under asymmetric
information
1994 Roberto Zoboli The Alps in the economic and ecological systems of
Europe
(*) It is a new series of Cranec Working Papers, began in 1994. Since 1978 to 1994, 45 working papers have been published.
81
1994 Daniela Feliziani Organizzazione e regolamentazione degli orari di
lavoro nei paesi industrializzati
1995 Maddalena Baitieri Sistemi di ricerca e innovazione tecnologica
1995 Maddalena Baitieri Sviluppo tecnologico e tutela dell’ambiente e della vita
1995 Piergiovanna Natale Rapporto di lavoro: una reimputazione
1996 Alberto Quadrio Curzio e Fausta Pellizzari Risorse, prezzi e rendite ambientali. Un’analisi
uniperiodale
1997 Alberto Quadrio Curzio Italy and the European Monetary Union. Why Italy is
on the border line?
1998 Giulio Cainelli e Claudio Lupi The choice of the aggregation level in the estimation of
quarterly national accounts
1999 Deborah Grbac Sulla globalizzazione del sistema economico con
particolare riferimento all’economia lombarda e
milanese
1999 Marco Fortis PMI, Distretti industriali e liberalizzazione del mercato
dell’energia elettrica
2000 Deborah Grbac Transnational and inter-regional cooperation and
macroeconomic flows, a case-study.
Mitteleuropa
82
2000 Alberto Quadrio Curzio Dalle istituzioni economiche nazionali a quelle
continentali e sovranazionali. Applicazioni del
principio di sussidiarietà
2001 Floriana Cerniglia e Massimo Bordignon L’aritmetica del decentramento: devolution all’italiana
e problemi connessi
2001 Fausta Pellizzari Environmental resources, prices and distribution
2001 Massimo Visconti Misure della performance d'impresa e indicatori di
bilancio: un paradigma ancora valido?
2001 Marco Fortis e Alberto Nodari Un marchio di qualità AVR per la produzione italiana
di rubinetteria e valvolame: uno strumento per la
valorizzazione e la promozione del made in Italy
2002 Floriana Cerniglia Distributive politics and federations
2003 Floriana Cerniglia La riforma del titolo V della Costituzione e i nuovi
rapporti finanziari fra Stato ed autonomie locali: una
valutazione quantitativa
2003 Floriana Cerniglia Decentralization in the public sector: quantitative
aspects in federal ad unitary countries
2003 Giuseppe Colangelo, Gianmaria Martini Relazioni verticali e determinazione del prezzo nella
distribuzione di carburanti in Italia
83
2003 Floriana Cerniglia (con M. Bordignon e F. Revelli) In search of yardstick competition: a spatial analisys of
Italian municipality property tax setting
2003 Alberto Quadrio Curzio Europa: crescita, costruzione e Costituzione, Working
Paper Cranec-Diseis (Dipartimento di economia internazionale, delle istituzioni e dello sviluppo)
Working Papers edited by Vita&Pensiero (**)
2003 Daniele Schilirò Teorie circolari e teorie verticali della dinamica
economica strutturale: verso uno schema analitico di
carattere generale
2003 Fausta Pellizzari Esternalità ed efficienza. Un’analisi multisettoriale
2003 Alberto Quadrio Curzio Europa: crescita, costruzione e costituzione
2003 Fausta Pellizzari Regolamentazione diretta e indiretta in un modello
multisettoriale
2004 Mario A. Maggioni e Teodora E. Uberti La geo-economia del cyberspazio. Globalizzazione
reale e globalizzazione digitale
(**) This new series of Cranec Working Papers began in Autumn 2003 with the cooperation of the Catholic University Editor, Vita&Pensiero.
84
2004 Moshe Syrquin Globalization: too Much or is too Little?
2005 Giovanni Marseguerra Il “capitalismo familiare” nell’era globale: la
Sussidiarietà al servizio dello Sviluppo
2005 Daniele Schilirò Economia della Conoscenza, Dinamica Strutturale e
Ruolo delle Istituzioni
2005 Valeria Miceli Agricultural Trade Liberalization and the WTO Doha
Round
2005 Valeria Miceli EU Agricultural Policy: the Concept of
Multifunctionality and Value Added Agriculture
85
86
Finito di stampare nel mese di novembre 2005
da Gi&Gi srl - Triuggio (Mi)
Università Cattolica del Sacro Cuore
CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICAE SVILUPPO ECONOMICO INTERNAZIONALE
La spesa pubblica in Italia:articolazioni, dinamica e
un confronto con gli altri Paesi
Floriana Cerniglia
ISBN 978-88-343-1316-X
€ 3,00