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Università Cattolica del Sacro Cuore CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICA E SVILUPPO ECONOMICO INTERNAZIONALE La spesa pubblica in Italia: articolazioni, dinamica e un confronto con gli altri Paesi Floriana Cerniglia

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Università Cattolica del Sacro Cuore

CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICAE SVILUPPO ECONOMICO INTERNAZIONALE

La spesa pubblica in Italia:articolazioni, dinamica e

un confronto con gli altri Paesi

Floriana Cerniglia

ISBN 978-88-343-1316-X

€ 3,00

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Università Cattolica del Sacro Cuore

CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICAE SVILUPPO ECONOMICO INTERNAZIONALE

La spesa pubblica in Italia:articolazioni, dinamica e

un confronto con altri Paesi

Floriana Cerniglia

Novembre 2005

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[email protected]

www.vitaepensiero.it

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© 2005 Floriana CernigliaISBN 88-343-1316-X

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Abstract

Il lavoro consiste prevalentemente in una analisi quantitativa sull’andamento della spesa pubblica in Italia dal 1960 al 2002 e si conclude con alcune osservazioni di carattere generale in un’ottica di confronto con altri Paesi. Nella prima parte si considera il trentennio 1960-1990, nel quale si è verificata l’espansione più prolungata del peso del settore pubblico sull’economia italiana: la quota di spesa pubblica sul Pil è passata dal 29 al 53,5%, mentre l’adeguamento delle entrate è stato più lento, portando la finanza pubblica agli inizi degli anni ’90 in condizioni assai precarie. Nel 1992, infatti, il debito pubblico ha superato il 100% del Pil e il peso del disavanzo ha raggiunto l’11%. Si analizza successivamente la fase di risanamento della finanza pubblica che caratterizza gli anni ’90, con particolare attenzione al periodo che va dal biennio 1992-1993 al 1997, poiché in esso si realizzano gli interventi più importanti che hanno consentito all’Italia di essere fra i Paesi che hanno dato vita all’euro. I conti economici delle Amministrazioni Pubbliche sono presentati per categorie economiche e per categorie funzionali. La classificazione delle spese per categorie funzionali solo recentemente è stata resa disponibile dall’Istat e consente di comprendere più precisamente per quale finalità e/o bene pubblico vengono erogate le risorse: come ci si può attendere, il maggior peso della spesa pubblica è quello della “protezione sociale” (o assistenza e previdenza), seguita da sanità e istruzione. Questa ripartizione per categorie funzionali è svolta anche per sottosettori che compongono le Ap (Amministrazioni Centrali, Amministrazioni Locali e Enti di Previdenza): coerentemente con il processo di decentramento in atto in Italia negli ultimi anni, si osserva che sono le amministrazioni locali che erogano la maggior parte delle risorse per alcune categorie funzionali (ad esempio nel caso della sanità). L’attenzione si sposta poi su un aggregato di funzioni di spesa particolarmente importanti: si tratta della spesa per il welfare

(previdenza, assistenza, sanità e istruzione) che nell’anno 2002

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ammonta a circa 370 miliardi di euro, circa il 70% della spesa totale delle amministrazioni pubbliche escludendo gli interessi passivi. L’analisi comprende alcuni cenni alle caratteristiche salienti del modello di welfare italiano, distinguendolo da quello di altri Paesi europei. È possibile riscontrare che soprattutto la previdenza ha un peso significativo nel modello di welfare italiano. La parte conclusiva dello studio svolge invece alcune considerazioni in merito alla “qualità” della spesa pubblica in un momento di crescita molto debole dei Paesi Ue e dunque sulla necessità di puntare su tipologie di “spesa produttiva,” capace cioè di stimolare lo sviluppo economico. Il riferimento è soprattutto alle spese per investimenti in Ricerca e Sviluppo e anche in formazione del capitale umano, per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea dal Consiglio di Lisbona del 2000. Si ricorda che l’Italia si colloca negli ultimi posti nella classifica della spesa in R&S (circa 1,07% sul Pil). Dal confronto tra l’andamento della spesa pubblica italiana e quello riscontrato in Francia, Germania e Regno Unito non emergono divari significativi in termini di peso del settore pubblico sul Pil e di singole categorie funzionali di spesa. Quello che invece emerge come specificità del caso italiano è il peso rilevante che hanno avuto e continuano ad avere il deficit, il debito e le spese per interessi passivi. Il debito e la quota rilevante di spesa per interessi che l’Italia ha dovuto sostenere in questi decenni è ciò che più impedisce oggi al nostro Paese di indirizzare maggiori risorse verso investimenti produttivi.

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INDICE

1. Introduzione 7

2. Dal 1960 al 1990: una sintesi 12

3. La spesa delle amministrazioni pubbliche dagli anni novanta e la politica di risanamento 34

4. La composizione per categoria funzionale e per livelli di governo della spesa pubblica 48

5. La spesa per il welfare 58

6. Conclusioni: gli investimenti pubblici e la “qualità” della spesa pubblica 66

Riferimenti bibliografici 73

Appendice 77

Elenco Quaderni Cranec 80

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1. Introduzione*

Nella storia dell’Italia di questo secolo i decenni che vanno dal 1960 in

poi sono quelli che hanno visto l’espansione più prolungata del peso del

settore pubblico sull’economia. In questi quaranta anni la quota della

spesa pubblica sul Pil è passata dal 29% al 47% ed ha toccato quasi il

58% negli anni tra il 1992 e il 1993. Questa spesa ha contribuito a

generare in Italia un ammontare di debito superiore al Pil.

In questo lavoro l’obiettivo principale consiste nel tratteggiare,

attraverso l’analisi dei dati del Conto economico consolidato delle

Amministrazioni pubbliche, questo trend di crescita. Detto altrimenti, il

nostro obiettivo è una presentazione quantitativa del fenomeno. Come la

letteratura economica ha evidenziato, le dimensioni della spesa pubblica

pongono infatti numerosi quesiti sulle cause, modalità ed evoluzione

futura che meritano ulteriori approfondimenti soprattutto sulla base di

una distinzione fra i fattori strutturali e i fattori di ordine politico-

istituzionale che sono alla base di tale crescita.

Il lavoro è organizzato come segue: nel paragrafo 2 si riassume

l’andamento complessivo delle spese e delle entrate nel trentennio 1960-

1990. Ci è sembrato opportuno cominciare l’analisi dei dati a partire

dagli anni ’60 perché, dopo la fase di boom economico del decennio

precedente, l’Italia comincia a riformare il sistema di entrate e di spesa

adeguandolo ad alcuni modelli di welfare europei. In questo primo

* Questo saggio è stato elaborato per la Fondazione Edison in relazione al Convegno “Sussidiarietà ed economia, nuovi paradigmi di sviluppo in Italia” che si è tenuto il 28 giugno 2005. Il saggio è di prossima pubblicazione in un volume della Fondazione Edison che sentitamente si ringrazia.

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decennio tuttavia l’espansione della spesa è abbastanza contenuta. A

partire dai primi anni ’70 la politica del deficit spending comincia invece

a diventare prassi nell’azione di politica economica a sostegno

dell’economia (forse anche diventa strumento di raggiungimento di

consenso a causa dei forti conflitti sociali). Nel 1975 il disavanzo

pubblico è più dell’11% del Pil e nei primi cinque anni di questo

decennio il debito cresce di 20 punti percentuali.

Questo processo ha un’ulteriore accelerazione in tutti gli anni ‘80

quando la spesa pubblica totale passa dal 42% al 52% sul Pil.

Dunque la finanza pubblica italiana arriva agli inizi degli anni ’90 in

condizioni assai precarie. Soprattutto a partire dal 1992 la situazione

appare fuori controllo: il debito pubblico ha superato il 100% del Pil, il

disavanzo è dell’11%. Da questo momento comincia la nuova fase di

risanamento nella storia della finanza pubblica che permette poi

all’Italia di entrare in Europa. Queste vicende sono ripercorse nel

paragrafo 3. Concentreremo l’attenzione anche al breve sottoperiodo

che va dal biennio 1992-1993 al 1997 perché, come vedremo meglio

nelle righe che seguono, in questo sottoperiodo si realizzano gli

interventi più importanti che hanno con successo consentito all’Italia di

essere fra i paesi che hanno dato vita all’Euro.

Nel paragrafo 3 i conti economici consolidati delle spese delle Ap sono

presentate per categorie economiche. Tuttavia questo tipo di

informazione non permette di cogliere appieno per quali funzioni viene

erogata la spesa pubblica. Detto altrimenti, da questo schema di conti

soltanto la voce relativa alle prestazioni sociali può fornire alcune

informazioni riguardo al peso della protezione sociale nel nostro sistema

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economico, ma non si possono inferire informazioni in merito ad

esempio alle risorse erogate per la sanità, per l’istruzione etc. Per avere

informazioni di questo tipo dobbiamo disporre nel sistema dei conti

pubblici della classificazione delle spese per categorie funzionali.

Queste informazioni recentemente sono state rese disponibili dall’Istat.

Dedichiamo il paragrafo 4 quindi a questo tipo di informazioni.

Attraverso la scomposizione delle spese in dieci categorie di funzioni

(servizi generali delle Pubbliche Amministrazioni; difesa; ordine

pubblico e sicurezza; affari economici; protezione dell’ambiente;

abitazione e assetto territoriale; sanità; attività ricreative, culturali e di

culto; istruzione; protezione sociale) è possibile comprendere in maniera

più puntuale per quale finalità o bene pubblico viene impiegata la spesa

pubblica. Come ci si può attendere la parte del leone in questo insieme

di spese è la funzione protezione sociale, seguita da sanità e istruzione.

Questa classificazione delle funzioni è anche scomposta per sottosettore

(amministrazioni centrali, amministrazioni locali, enti di previdenza).

Coerentemente con il processo di decentramento in atto in Italia da

alcuni anni, osserviamo anche che sono le amministrazioni locali ad

erogare la maggior parte delle risorse per alcune categorie funzionali di

spesa (ad esempio nel caso della sanità).

Dopo aver osservato quantitativamente i dati relativi alle categorie

funzionali di spesa pubblica, nel paragrafo 5 volgiamo l’attenzione ad

un aggregato di funzioni di spesa particolarmente importanti, alle quali

già nelle righe precedenti abbiamo accennato. Si tratta della spesa per il

welfare vale a dire l’insieme delle spese destinate alla previdenza,

assistenza, sanità, istruzione. Nell’anno 2002, la spesa per il welfare

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ammonta complessivamente a circa 370 miliardi di euro, circa il 70%

della spesa totale delle amministrazioni pubbliche escludendo gli

interessi passivi. Si tratta in sostanza di tutte quelle risorse finalizzate a

soddisfare alcuni diritti di cittadinanza quali la tutela della salute, la

formazione e l’istruzione, il diritto ad un reddito nella vecchiaia, la

protezione in caso di disoccupazione o di malattia, la tutela della

maternità, il diritto in ogni caso a un minimo di risorse per la

sopravvivenza. In ogni sistema economico la spesa per il welfare ha una

funzione redistributiva (dal sano al malato, dal giovane al vecchio,

dall’occupato al disoccupato) ed anche assicurativa contro ogni rischio

riconosciuto come sociale a cui ogni cittadino può essere esposto. Nel

paragrafo 5 pertanto si faranno alcuni cenni alle caratteristiche salienti

del modello di welfare italiano distinguendolo da altre famiglie di

modelli riscontrabili in Europa.

Concludiamo il lavoro osservando che soprattutto il processo di

unificazione europea (ma anche la crescente integrazione internazionale)

ha posto e pone il problema della dinamica della spesa pubblica in una

prospettiva sovranazionale. È indubbio che oggi il far parte dell’Unione

europea costituisce un vincolo importante all’uso «improprio» della

spesa pubblica, soprattutto se finanziata in disavanzo. Nella fase attuale

il dibattito tocca principalmente la questione dell’entità,

dell’adeguatezza e della tipologia della spesa pubblica e della pressione

fiscale in un momento in cui tutti i paesi dell’area UE stanno avendo una

crescita molto debole. Il dibattito ha recentemente toccato la questione

della riforma del Patto di stabilità con l’obiettivo di rilanciare lo

sviluppo economico. Questo induce a concludere che la spesa pubblica

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dovrebbe puntare sempre di più verso una “spesa produttiva”, capace

cioè di stimolare la crescita economica. Nel paragrafo 6 concludiamo

pertanto mostrando qualche dato su alcune tipologie di “spesa

produttiva” riferendoci anche ad alcune misure e orientamenti delle

istituzioni dell’Unione europea che ad oggi si muovono in questa

direzione.

Infine in questo lavoro il nostro obiettivo è anche un confronto tra

l’andamento della spesa pubblica italiana con quello riscontrato in

Francia, Germania e Regno Unito. Questo confronto viene riferito alle

grandezze più significative sul lato delle spese, ma anche su quello delle

entrate, del settore pubblico con l’intento di mettere in evidenza

eventuali elementi di affinità e difformità tra l’Italia e questi paesi. Va

qui detto che, anche in questa comparazione internazionale, faremo delle

considerazioni di carattere generale, prevalentemente descrittivo, che

sotto vari aspetti invece richiederebbero ulteriori analisi. In generale da

questa comparazione non emergono divari significativi in termini di

peso del settore pubblico sul Pil. I dati italiani sono quasi sempre

allineati a quelli della media della UE15. Inoltre non emergono

disomogeneità sostanziali per quanto riguarda le singole categorie

funzionali di spesa pubblica e neppure relativamente alla pressione

fiscale. Quello che invece emerge è che nella finanza pubblica italiana (a

differenza di questi paesi) un peso rilevante hanno avuto e continuano

ad avere il deficit, il debito e le spese per interessi passivi. Il debito e la

quota rilevante di spesa per interessi che l’Italia in questi decenni ha

dovuto sostenere è ciò che oggi più impedisce all’Italia di utilizzare

maggiori risorse verso investimenti produttivi.

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2. Dal 1960 al 1990: una sintesi

Nella storia dell’Italia di questo secolo (escludendo gli anni dei conflitti

mondiali) i tre decenni che vanno dal 1960 al 1990 sono quelli che

hanno visto l’espansione più prolungata del peso del settore pubblico

sull’economia. In questi trenta anni infatti la quota della spesa pubblica

sul Pil è passata dal 29 al 53,5%1. Questa dinamica di spesa, come

autorevoli studi hanno documentato2, ha avuto fra le sue cause fattori di

ordine strutturale (fattori demografici e fattori connessi al processo di

sviluppo economico e sociale e quindi la crescita del reddito, fattori

legati alla produttività del settore pubblico ed ai prezzi relativi del

settore pubblico) ma anche fattori di ordine politico (fattori e vincoli

istituzionali quali ad esempio i meccanismi decisionali, le caratteristiche

dei vincoli di bilancio, scelte ideologiche, forti pressioni settoriali a

seguito di conflitti sociali, i cicli politici).

Rispetto all’espansione della spesa l’adeguamento delle entrate è stato

più lento. In questo trentennio, la pressione tributaria aumenta di circa 9

punti percentuali sul Pil mentre quella fiscale di circa 14 punti3. È

ampiamente noto il riflesso sul disavanzo e quindi sul debito di questa

dinamica differenziata. Il disavanzo pubblico poco più dell’1% nel 1960

è dell’11% nel 1990. Anche per quanto concerne il debito questo

trentennio si caratterizza per una crescita enorme del suo peso sul Pil

1 Franco (1992; 1993). 2 Cfr i saggi contenuti in Ente Einaudi (1992); Franco (1992, 1993); Monorchio (1996). Per un’analisi relativa soprattutto al periodo 1960-1980 cfr Gerelli e Majocchi, (1984). 3 La pressione tributaria passa dal 16,5% al 25,2%, quella fiscale passa dal 25,7 al 39,7%. Cfr Tabella 3.

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che è pari al 36,9% all’inizio del periodo, ma raggiunge l’ammontare del

Pil nel 1990.

Nelle Tabelle 1, 2, 3 e 4 è riportata la serie storica completa per il

trentennio qui considerato relativamente alla spesa della pubblica

amministrazione e al prelievo fiscale del settore pubblico. Nelle Figure 1

e 2 sono riportati l’andamento del disavanzo e del debito rispetto al Pil4.

In questo paragrafo ci limitiamo a richiamare gli aspetti quantitativi

essenziali che emergono dai dati di queste tabelle, soprattutto quelli

relativi alla dinamica della spesa, oggetto principale di analisi di questo

lavoro. In particolare sulla dinamica della spesa nei principali comparti

dello stato sociale (istruzione, sanità, previdenza e assistenza) di questo

trentennio una interpretazione molto dettagliata ed articolata è fornita

dalla analisi di Franco che qui seguiamo (1992, 1993).

4 I dati sul disavanzo e sul debito sono tratti da Artoni e Biancini (2003).

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1960

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1,3

1,5

0,7

24,9

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0,6

0,1

4,1

29

1961

8,5

3,6

9,1

0,9

1,4

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24,2

3,2

0,5

0,1

3,9

28,1

1962

8,7

3,7

9,5

1,1

1,3

0,7

25,1

3,1

0,8

0,1

429,1

1963

9,4

3,9

10,1

0,9

1,2

0,7

26,1

2,9

0,5

0,1

3,5

29,6

1964

9,7

410,3

1,2

1,1

0,4

26,7

3,1

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0,1

3,6

30,4

1965

10,5

411,9

1,2

1,2

0,5

29,3

2,8

0,8

0,1

3,7

32,9

1966

10,5

3,9

12

1,2

1,4

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29,5

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0,1

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33,1

1967

10,1

3,8

11,4

1,3

1,5

0,5

28,8

2,5

1,1

0,1

3,7

32,5

1968

10,2

3,8

12

1,6

1,6

0,6

29,7

2,8

0,9

0,1

3,7

33,4

1969

10

3,8

11,7

1,7

1,6

0,5

29,3

2,6

0,9

0,1

3,6

32,9

1970

9,8

3,7

12

1,6

1,6

0,7

29,4

31,3

04,3

33,7

1971

10,9

4,2

12,7

1,7

1,9

0,9

32,3

2,9

0,8

03,7

36

1972

11,3

4,3

13,5

1,7

2,1

0,9

33,8

30,7

03,8

37,6

1973

10,9

413,2

1,5

2,3

132,8

2,7

0,7

03,4

36,2

1974

10,3

3,9

12,8

1,5

2,8

0,9

32,1

2,9

0,8

03,8

35,9

1975

10,4

4,1

14,5

2,8

3,5

1,1

36,4

3,3

10,5

4,8

41,2

1976

10

3,7

14,4

2,5

41

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3,2

10,1

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39,9

1977

10,3

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13,9

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0,8

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40,1

1978

10,6

3,9

14,8

2,8

5,1

138,1

2,8

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0,2

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42,3

1979

10,8

414,1

2,8

50,7

37,4

2,8

1,1

0,3

4,1

41,5

1980

11

3,9

14,1

2,9

5,3

0,7

37,9

3,2

0,9

0,2

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42,2

1981

12,1

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15,7

2,9

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0,6

41,5

3,7

1,1

04,8

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1982

12

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16,3

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0,6

43,3

3,7

1,4

05,1

48,4

1983

12

4,5

17,3

2,9

7,5

0,8

45

3,7

1,3

05,1

50

1984

11,9

4,6

16,7

3,1

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45,1

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1985

11,8

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17,2

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1986

11,7

4,8

17,2

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0,9

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0,1

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51,2

1987

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17,3

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0,9

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1988

12,1

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2,4

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50,9

1989

12

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47,2

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52

1990

12,6

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18

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(1993, pag14-1

5)

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15

Cominciamo a commentare i dati della Tabella 1 relative alle spese sul

Pil riferite a: reddito da lavoro dipendente, consumi intermedi,

prestazioni sociali, contributi alla produzione, interessi passivi, altre

spese, totale spese correnti, investimenti lordi, contributi agli

investimenti, altri investimenti in conto capitale, spese in conto capitale,

totale generale spese.

Consideriamo i tre decenni presi singolarmente.

In ognuno di questi decenni ci sono stati tre cicli principali di aumento

della spesa. Innanzitutto le tabelle fanno riferimento alla spesa delle

amministrazioni pubbliche5.

Il primo decennio (1960-1969) ha una espansione della spesa pubblica

abbastanza contenuta, poco più di quattro punti percentuali6 e soprattutto

concentrata nel primo quinquennio con una accelerazione tra il 1964 e il

1965 quando si passa dal 30,4 al 32,9 come effetto della rivalutazione

delle pensioni e dell’introduzione delle pensioni sociali di anzianità. In

questo biennio il disavanzo7 passa dall’1,1% al 4,1 % (cfr Grafico 1).

5 Sulla definizione dell’aggregato istituzionale delle Amministrazioni Pubbliche e sulla classificazione delle spese per categorie economiche e per categorie funzionali cfr. più avanti nel lavoro. 6 Va comunque sottolineato che in periodi di forte crescita (come in questo decennio) un incremento di quattro punti rispetto al Pil implica rilevanti incrementi in termini reali o di spesa effettivamente erogata. 7 Anche per effetto della politica di bilancio usata in quegli anni a seguito della stretta creditizia del 1963.

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17

Un intervento molto importante verso l’ampliamento dello stato sociale

avviene nel 1968 con l’introduzione del Sistema sanitario nazionale.

Il quadro macroeconomico di questo periodo è comunque abbastanza

favorevole, il tasso di crescita medio annuo è di circa il 6%8. Proprio in

questo decennio nel 1963 il rapporto debito/Pil tocca il valore

minimo di tutto il dopoguerra pari al 32,6 ma raggiunge quasi il 40% già

alla fine del decennio (cfr il Grafico 2).

Passiamo al periodo 1970-1979. Non possiamo qui riferire della quantità

e della complessità di eventi negativi che hanno caratterizzato questo

arco di tempo della storia italiana (solo per citare alcuni fatti, le crisi

petrolifere, la svalutazione della lira, l’alto tasso d’inflazione, i conflitti

sociali). Rispetto al decennio precedente, il tasso di crescita medio

annuo composto del Pil quasi di dimezza: poco più del 3,5%. Sul fronte

delle spese osserviamo dai dati della Tabella 1 che la spesa per interessi,

sempre sotto il due per cento nel decennio precedente, tocca già nel

1978 il valore del 5%. Questo decennio, già nel primo quinquennio

registra una considerevole espansione di alcune voci di spesa. Infatti a

metà degli anni 70 la somma della spese per il personale e quella per le

prestazioni sociali è quasi il 25% del Pil.

8 In questo paragrafo i tassi di crescita medi annui composti, riferiti ai tre decenni, sono stati da noi calcolati sulla base della serie storica del Pil (in dollari internazionali 1990) riportati in Maddison (2003), The World Economy: historical statistics, OECD, Paris.

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19

A spiegazione dell’aumento della spesa per le retribuzioni va anche

ricordato che a metà degli anni ’70 si ha l’istituzione delle Regioni con

il successivo trasferimento a questo nuovo livello di governo di un

insieme di funzioni in precedenza gestite dallo Stato. È chiaro quindi

che la spesa corrente ha un ruolo predominante nella dinamica di

espansione, infatti la spesa in conto capitale continua a rimanere intorno

al 4%. In sintesi, in questo decennio la politica del deficit spending

diventa prassi nell’azione di politica economica a sostegno

dell’economia (forse anche diventa strumento di raggiungimento di

consenso a causa dei forti conflitti sociali) e dunque nel 1975 il

disavanzo pubblico è più dell’11% del Pil. Nei primi cinque anni di

questo decennio il debito cresce di 20 punti percentuali, poi si arresta

soprattutto a causa della sempre più elevata inflazione.

Nel periodo 1980-1990 non si segnalano interventi di riforma

particolarmente significativi sul sistema di spesa pubblica che però

continua a crescere: dieci punti percentuali. La spesa aumenta

soprattutto nel comparto delle prestazioni sociali (anche a causa

dell’invecchiamento della popolazione) e in quella per interessi (circa 4

punti percentuali). La spesa in conto capitale aumenta di circa un punto.

Il tasso di crescita medio annuo del Pil è poco più del 2% . Nel 1981

avviene anche il “divorzio” fra Banca Centrale e Tesoro, ma questa

scelta non porta maggiore disciplina nel comportamento delle autorità

politiche nel contenere il disavanzo che nel 1985 supera il 12%. La

spesa corrente viene finanziata sempre di più da debito sottoscritto dalle

famiglie che vengono allettate con alti tassi d’interesse. Come si osserva

Page 21: La spesa pubblica in Italia: articolazioni, dinamica e un ... · quando la spesa pubblica totale passa dal 42% al 52% sul Pil. ... all’Italia di entrare in Europa. Queste vicende

20

nella Figura 2 la dinamica debito/Pil diventa esplosiva fino a che tra il

1990 e il 1991 il valore del debito supera quello del Pil.

Abbiamo sin qui presentato la spese delle pubbliche amministrazioni

secondo la classificazione in categorie economiche. Consideriamo ora la

classificazione per categorie funzionali (servizi generali, difesa,

istruzione, sanità, previdenza e assistenza, abitazioni, altri servizi,

servizi economici, servizi vari) che è riportata nella Tabella 2.

Su questi dati in particolare, riprendiamo l’analisi di Franco (1992,

1993) per riferire sinteticamente dell’evoluzione dei settori di spesa

istruzione, sanità, previdenza e assistenza. Questi sono i comparti di

spesa che più caratterizzano il modello di stato sociale e che

rappresentano più della metà della spesa pubblica (al netto degli

interessi). Innanzitutto la spesa per istruzione lungo tutto questo arco

temporale aumenta di 2 punti percentuali rispetto al Pil, la spesa in

sanità di 2,8 punti e quella in previdenza e assistenza di 6,7.

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1960

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3,2

39,5

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0,4

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1,7

28,9

1961

3,5

2,1

33,1

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0,8

0,4

4,2

1,7

27,9

1962

3,4

2,1

3,4

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0,3

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1963

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3,5

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1964

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2,1

3,9

3,6

10,1

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4,4

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30,2

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1966

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32,9

1967

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4,8

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32,2

1968

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1969

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32,6

1970

3,5

1,7

4,1

4,5

11,3

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32,5

1971

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1972

41,9

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1973

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35,2

1974

3,5

1,9

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34,8

1975

3,7

1,7

4,5

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1976

3,4

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1978

4,1

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1979

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1980

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5,6

13,2

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1981

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5,3

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6,4

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1982

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1983

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1984

52

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1985

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51,2

1986

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1987

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1988

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1989

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1990

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(1993, pag 1

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21

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22

Per quanto riguarda l’istruzione, questo comparto si caratterizza per

un’elevata intensità di lavoro, quindi sotto il profilo occupazionale

questo settore è molto importante: nel 1960 assorbe il 27%

dell’occupazione pubblica e il 2% di quella complessiva, nel 1990 le

cifre sono rispettivamente 32% e 5%9. Inoltre, si verificano interventi

significativi dal lato dell’offerta quali ad esempio l’allungamento del

ciclo scolastico obbligatorio e la creazione della scuola materna statale.

Si tratta di fattori che, secondo l’analisi di Franco, sono di ordine

strutturale ed hanno contribuito in maniera preponderante all’espansione

della spesa soprattutto fino alla metà degli anni ottanta10. Tuttavia, “in

una seconda fase, è diventato rilevante il peso della decisione «politica»

di fornire occupazione, aumentando considerevolmente il rapporto fra

personale e studenti; quest’ultimo aumento è stato quanto meno

agevolato dalla flessione del costo relativo del personale”11.

Anche nella sanità, nel periodo in esame, si susseguono importanti

riforme e innovazioni. La più importante è certamente l’istituzione del

Servizio Sanitario Nazionale. Questa riforma ha l’obiettivo di fornire

un’assistenza a tutti i cittadini dato che a differenza del precedente

sistema mutualistico è a carattere universale. Abbiamo detto che in

questo arco di tempo questa tipologia di spesa passa dal 3,0 per cento al

5,8 per cento; gli incrementi si registrano in tutte le voci di spesa (gli

9 Cfr Franco (1992, pag. 242). Franco scrive anche che “l’aumento è stato attenuato dallo scorporo nel 1990 del personale attribuito al nuovo Ministero dell’università e della ricerca scientifica”. (Franco, 1992, pag. 242, nota 37). 10 Ad esempio “se il tasso di scolarizzazione fosse rimasto quello del 1960, a parità di ogni altra circostanza, l’incidenza della spesa per il personale sarebbe aumentata solo dello 0,7% del prodotto, anziché dell’1,7 per cento. (Franco, 1992, pag 259). 11 Franco (1992, pag. 262).

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23

oneri per i servizi dei medici passano dallo 0,3 allo 0,7 per cento, quello

per i farmaci dallo 0,5 all’1,0 per cento, quello per gli ospedali pubblici

dall’1,1 al 2,4 per cento)12. In altri termini, la spesa sanitaria è cresciuta

non soltanto per l’estensione dell’assistenza a tutti i cittadini, ma anche

per l’aumento della quantità dei servizi offerti a ciascun cittadino (il

numero di farmaci e di visite si è circa triplicato e si è quadruplicata la

manodopera ospedaliera per giorno di degenza)13. Si noti anche che la

sanità presenta caratteristiche molto diverse rispetto all’istruzione: i

servizi sono prodotti dal settore pubblico (principalmente da ospedali)

ma anche da privati (cliniche, produttori e distributori di farmaci); è

molto intensa l’evoluzione delle tecniche di diagnostica come pure i

cambiamenti nell’organizzazione; nelle riforme che si sono susseguite le

decisioni di spesa sono state decentrate e affidate agli stessi produttori di

servizi14.

Consideriamo infine la previdenza e l’assistenza che rappresentano il

comparto di spesa che in questo trentennio più degli altri ha contribuito

all’espansione della spesa pubblica. (Tabella 2). Innanzitutto, la

previdenza e l’assistenza hanno caratteristiche di erogazione della spesa

completamente diverse dall’istruzione e dalla sanità. In questo comparto

infatti incidono molto poco gli oneri per il personale; è invece

predominante la parte della spesa che consiste in meri trasferimenti in

denaro. In altri termini la spesa in previdenza e assistenza è quasi tutta

concentrata nelle prestazioni sociali in denaro. Riferendoci ai dati di

12 Franco (1992, pag. 264). 13 Franco (1992, pag. 288). 14 Soprattutto questa scelta è ciò che più ha portato fuori controllo la spesa sanitaria.

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24

incidenza sul Pil la spesa per previdenza e assistenza nel 1960 è di 9,5

punti percentuali e nel 1960 e di 16,2 punti nel 1990 (Tabella 2).

L’incidenza delle prestazioni sociali in denaro è rispettivamente dell’8,3

e del 15,7 per cento15. A loro volta le prestazioni sociali in denaro per

funzione si suddividono in vecchiaia, invalidità, superstiti, infortuni e

malattie professionali, famiglia, disoccupazione, malattia, maternità.

Secondo l’analisi di Franco in questo arco di tempo però sono aumentate

soprattutto le spese in favore di cittadini anziani, invalidi e superstiti,

hanno avuto poco peso gli interventi per i disoccupati, è invece

notevolmente diminuito il sostegno alle famiglie. Franco (1992, 1993)

scrive che in nessun paese dell’aera OCSE la spesa per pensioni è stata

elevata quanto quella italiana. A tal proposito, vale la pena riportare qui

quanto segue: “Il progressivo aumento del peso relativo delle pensioni

sul complesso della spesa sociale è, in primo luogo, dovuto al fatto che

la tutela degli anziani, degli invalidi e dei superstiti è stata più

importante di quella di soggetti quali i disoccupati, i cittadini con carichi

familiari, i cittadini con problemi di alloggio. Le ragioni di questa scelta

non sono ancora state sufficientemente esaminate. In secondo luogo, è

dovuto all’utilizzo delle pensioni per il perseguimento di obiettivi non

strettamente connessi con gli anziani, gli invalidi e i superstiti: le

pensioni di invalidità dell’INPS sono state utilizzate per sostenere i

cittadini relativamente poveri o con problemi occupazionali del settore

agricolo e delle aree arretrate del paese; i prepensionamenti sono stati

usati per sussidiare i lavoratori disoccupati; con le pensioni di invalidità

15 Franco (1992, pag. 292, tabella 18).

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25

civile si è dato sostegno agli anziani con gravi problemi di salute.

L’utilizzo «improprio» delle pensioni ha presentato vari aspetti negativi

in termini di equità (solo alcune categorie di poveri e di disoccupati sono

stati sussidiate), di incentivo ad abbandonare permanentemente il

mercato del lavoro (in specie nel caso di prepensionamenti), di

possibilità di avvalersi delle prestazioni sociali per fini clientelari”16.

16 Franco (1992, pag. 327-328).

Tabella 3

Prelievo fiscale del settore pubblico: 1960-1990 (in % del Pil)

Anno Imposte Imposte Pressione Contributi Pressione

dirette indirette Tributaria sociali Fiscale

1960 5,2 11,3 16,5 9,2 25,7

1961 4,9 11,2 16,1 9,1 25,2

1962 5,4 11,1 16,5 9,6 26,1

1963 5,2 10,7 15,9 10,5 26,4

1964 5,7 10,8 16,5 11,1 27,6

1965 5,9 10,8 16,7 10,4 27,1

1966 5,9 10,7 16,6 10,3 26,9

1967 5,7 11,2 16,9 10,7 27,6

1968 6,1 11 17,1 11,3 28,4

1969 6 10,7 16,7 10,7 27,4

1970 5,3 10,4 15,7 11,3 27

1971 5,5 10,1 15,6 11,8 27,4

1972 6,1 9,5 15,6 11,9 27,5

1973 5,7 9 14,7 11,9 26,6

1974 5,8 8,8 14,6 11,8 26,4

1975 6,1 7,9 14 12,8 26,8

1976 7 8,5 15,5 12,7 28,2

1977 7,6 8,9 16,5 12,4 28,9

1978 8,8 8,7 17,5 12,4 29,9

1979 8,5 8 16,5 12,8 29,3

1980 9,7 8,6 18,3 12,8 31,1

1981 11,1 8,3 19,4 12,8 32,2

1982 12,4 8,6 21 13,7 34,7

1983 13,5 9,2 22,7 14 36,7

1984 12,9 9,3 22,2 13,5 35,7

1985 13,1 8,9 22 13,6 35,6

1986 13 9,1 22,1 14 36,1

1987 13,4 9,5 22,9 13,8 36,7

1988 13,5 10 23,5 13,7 37,2

1989 14,5 10,4 24,9 14 38,9

1990 14,6 10,6 25,2 14,5 39,7

Fonte: Ceriani, Frasca e Monacelli (1992, pag. 620)

Tabella 3 - Prelievo fiscale del settore pubblico: 1960-1990 (in % del Pil)

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26

Per completare il quadro di riferimento di questo trentennio,

consideriamo ora il profilo e la dinamica del prelievo fiscale del settore

pubblico con lo scopo di illustrare il grado di copertura della spesa

pubblica con le entrate fiscali.

Confrontando i dati della Tabella 3 con quelli della Tabella 1, è

immediato osservare che (come già detto) rispetto all’espansione della

spesa, l’adeguamento delle entrate è stato più lento anche perchè solo

nei primi anni settanta prende avvio la riforma tributaria che ha segnato

la nascita dell’attuale sistema17. Prima della riforma, rispetto ad altri

paesi, il sistema tributario italiano si caratterizzava per la bassa

incidenza della tassazione diretta rispetto a quella indiretta. Con la

riforma si disegna un sistema moderno simile a quello degli altri paesi

industrializzati, più orientato a obiettivi redistributivi attraverso la

riduzione delle imposte indirette e con l’istituzione di un’imposta

personale onnicomprensiva con aliquote fortemente progressive18. La

riforma tributaria fu certamente un successo dal punto di vista del gettito

soprattutto per quanto riguarda le imposte dirette la cui incidenza

rispetto al Pil passa da un valore intorno al 6% prima della riforma al

14,6% nel 199019. Anche nel caso dell’entità delle risorse provenienti dal

prelievo fiscale rispetto al Pil consideriamo i decenni separatamente.

17 Legge delega 9 ottobre 1971, n. 825. La riforma prende il via nel 1973 per quanto riguarda le imposte dirette e nel 1974 per le imposte indirette. 18 Ceriani, Frasca e Monacelli (1992, pag. 603). 19 Cfr. Tabella 3. Come scrivono Ceriani, Frasca e Monacelli “la crescita del gettito dell’imposizione diretta dal 1974 ad oggi è stato il fattore principale di aumento del livello del prelievo complessivo” (1992, pag. 624).

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27

Nel decennio 1960-69 l’aumento delle entrate totali è più contenuto

rispetto alla dinamica della spesa, circa il 2% a fronte di un 4% di

aumento di spese. Questo decennio è quello precedente alla riforma ed il

gettito delle imposte dirette era quasi il 6% del Pil, circa la metà rispetto

all’incidenza del gettito delle indirette, pari al 11%. Inoltre se guardiamo

alla composizione del prelievo fiscale nella Tabella 4 l’imposizione

indiretta era ancora dominante, nonostante comincia già in questo

decennio un lieve passaggio dalla imposizione indiretta a quella diretta.

Le entrate provengono principalmente dalla tassazione indiretta e dai

contributi sociali, la tassazione diretta contribuisce mediamente solo per

il 20%. Osserviamo ancora che soprattutto l’aumento della pressione

fiscale è quasi interamente dovuto al peso dei contributi sociali che alla

fine del periodo contano per quasi il 40% delle entrate fiscali (Tabella

4).

Abbiamo già ricordato che il decennio 1970-1979 si caratterizza per una

rilevante crescita della spesa ed infatti nonostante lo sforzo fiscale a

seguito della riforma tributaria il grado di copertura tributaria della spesa

complessiva si riduce. Più in particolare la copertura tributaria nel

decennio precedente è superiore al 50% nel decennio 1970-80 è di circa

il 40%. In altri termini, “la riforma fiscale entra in vigore in una

situazione di finanza pubblica già in parte compromessa… lo sforzo

fiscale è riuscito a far fronte all’aumento della spesa primaria, ma non

anche all’onere crescente del debito”20.

20 Ceriani, Frasca e Monacelli (1992, pag. 607).

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28

Inoltre, alla fine di questo periodo il rapporto fra il gettito delle imposte

dirette e quello indirette si comincia a rovesciare a favore delle prime.

Infine, nell’ultimo decennio di questi trenta anni presi qui in

considerazione si attua uno sforzo fiscale considerevole: la pressione

tributaria aumenta di 5,8 punti percentuali rispetto al Pil, la pressione

fiscale di 7,5. Muta anche la composizione del prelievo; alla fine del

periodo il gettito delle imposte dirette supera quello dei contributi sociali

che dal 1968 in poi erano stati la fonte principale del gettito.

T abella 4

Prelievo fiscale del settore pubblico: 1960-1990 (composizione %)

Anno Imposte Imposte Contributi Pressione

dirette indirette sociali Fiscale

1960 20,0 44,1 35,9 100,0

1961 19,3 44,5 36,2 100,0

1962 20,8 42,6 36,6 100,0

1963 19,8 40,6 39,6 100,0

1964 20,8 39,0 40,2 100,0

1965 21,8 39,7 38,5 100,0

1966 22,0 39,6 38,4 100,0

1967 20,7 40,5 38,8 100,0

1968 21,6 38,6 39,8 100,0

1969 21,9 39,0 39,1 100,0

1970 19,7 38,4 41,9 100,0

1971 20,2 36,8 43,0 100,0

1972 22,2 34,5 43,3 100,0

1973 21,6 33,9 44,5 100,0

1974 21,8 33,4 44,8 100,0

1975 22,8 29,4 47,8 100,0

1976 24,8 30,0 45,2 100,0

1977 26,3 30,9 42,8 100,0

1978 29,4 29,1 41,5 100,0

1979 29,0 27,4 43,6 100,0

1980 31,2 27,8 41,0 100,0

1981 34,4 25,7 39,9 100,0

1982 35,7 24,7 39,6 100,0

1983 36,8 25,0 38,2 100,0

1984 36,2 25,9 37,9 100,0

1985 36,8 25,1 38,1 100,0

1986 36,0 25,3 38,7 100,0

1987 36,5 25,8 37,7 100,0

1988 36,3 26,9 36,8 100,0

1989 37,3 26,6 36,1 100,0

1990 36,7 26,8 36,5 100,0

Fonte: Ceriani, Frasca e M onacelli (1992, pag. 621, Tab. 7)

Tabella 4 - Prelievo fiscale del settore pubblico: 1960-1990 (composizione %)

Page 30: La spesa pubblica in Italia: articolazioni, dinamica e un ... · quando la spesa pubblica totale passa dal 42% al 52% sul Pil. ... all’Italia di entrare in Europa. Queste vicende

29

Concludiamo questa sezione con qualche dato di comparazione

internazionale, in particolare relativamente alla Francia, alla Germania e

al Regno Unito. Questa comparazione sui dati di finanza pubblica si

rende necessaria perché la politica economica dell’Italia (in particolare

Tabella 5

Dati di finanza pubblica in % del Pil: un confronto con alcuni paesi europei (1960-90)

1960-67 1968-73 1974-79 1980-90 1960-90

Italia 13,1 14 13,9 16,3 14,6

Francia 14,4 14,8 16,9 18,8 16,5

Germania 14,9 16,5 19,8 19,9 17,9

Regno Unito 16,9 17,7 20,5 20,8 19,2

1960-67 1968-73 1974-79 1980-90 1960-90

Italia 11,1 13 15,4 16,8 14,3

Francia 15,5 15,6 17,5 21,2 17,9

Germania 12,4 13,2 16,7 16,4 14,8

Regno Unito 7,3 8,8 10,7 13,1 10,3

1960-67 1968-73 1974-79 1980-90 1960-90

Italia 31,9 36 42,9 49,1 40,9

Francia 37,4 38,9 43,3 50,2 43,4

Germania 35,7 39,8 47,5 47,7 43

Regno Unito 34,7 39,5 44,4 44,8 41,1

1960-67 1968-73 1974-79 1980-90 1960-90

Italia 29,7 30,9 33,5 37,9 33,5

Francia 37,2 38,4 40,8 46,5 41,4

Germania 36,1 39,5 44 44,9 41,4

Regno Unito 32,5 37,9 39 41,3 37,9

1960-67 1968-73 1974-79 1980-90 1960-90

Italia -1,8 -4,8 -9,2 -10,9 -7,1

Francia 0,5 0,5 -1,1 -2,1 -0,7

Germania 0,8 0,2 -3 -2,1 -1,1

Regno Unito -1,1 -0,4 -4,1 -2,3 -2

Fonte: OECD, Historical Statistics 1960-1990 , Paris, 1992, pp. 67-69

Indebitamento

Consumi collettivi

Trasferimenti sociali

Spese totali

Entrate correnti

Tabella 5 - Dati di finanza pubblica in % del Pil: un confronto

con alcuni paesi europei (1960-90)

Page 31: La spesa pubblica in Italia: articolazioni, dinamica e un ... · quando la spesa pubblica totale passa dal 42% al 52% sul Pil. ... all’Italia di entrare in Europa. Queste vicende

30

negli anni sessanta) guarda ai modelli di stato sociale di questi paesi.

Detto altrimenti, sulla politica di spesa e tributaria di quel periodo è

determinante la convinzione che dopo la fase di boom economico del

decennio precedente l’Italia deve riformare il sistema di entrate e di

spesa adeguandolo ad alcuni modelli di welfare europei21.

Sulla base dei dati OECD, presentati nella Tabella 5, risulta che in effetti

l’Italia nel periodo 1960-1967 presenta rispetto agli altri Paesi un livello

più basso di consumi collettivi, di trasferimenti sociali (ad eccezione del

Regno Unito), di spese totali e di entrate totali. Tuttavia, in questo

periodo l’indebitamento italiano è già superiore a quello degli altri paesi

(Francia e Germania presentato una situazione di avanzo). Dai dati

OCSE risulta evidente che inizia poi il processo di adeguamento o

“rincorsa” verso questi paesi ed infatti nel periodo 1980-1990 l’Italia ha

spese inferiori alla Francia di poco meno di un punto e superiori a quelli

di Germania e Regno Unito rispettivamente di 1,4 punti e 4,3. In questo

periodo, a differenza di questi tre paesi, l’indebitamento italiano è a due

cifre. Notiamo altresì che molto più accentuato è il divario italiano con

riferimento alle entrate totali. Lungo questo arco temporale, l’Italia ha

un livello più basso di entrate rispetto al Pil e tale divario si accentua nei

periodi 1968-73 e 1974-79. Il divario si riduce nell’ultimo periodo. Il

quadro è più o meno simile se guardiamo ai dati OCSE relativi alle

entrate totali al netto dei contributi sociali nella Tabella 6.

21 Crf. Artoni e Biancini (2003, p. 363) e la bibliografia ivi citata in merito a questo.

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1965

1970

1975

1980

1985

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Italia

16,8

16,3

14,2

18,7

22,5

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Fra

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22,7

22,3

21,9

23,9

25,2

24,4

Germ

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23,1

22,9

23,8

25,1

24,2

22,9

Regno

Unito

25,7

31,8

29,4

29,4

31,2

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1965

1970

1975

1980

1985

1990

Italia

2,8

2,8

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9,2

10,3

Fra

ncia

3,7

4,2

4,5

5,4

5,7

5,2

Germ

ania

8,2

8,8

10,8

11,3

10,9

10,1

Regno

Unito

9,1

11,6

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10,3

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31

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32

Osserviamo che nel 1990 la pressione fiscale italiana è più alta di quella

francese e tedesca. Soprattutto nella Tabella 6 emerge il trend di crescita

della tassazione personale sul reddito che (soprattutto per effetto della

riforma) cresce ad un tasso più alto di quello degli altre tre paesi qui

considerati. Detto altrimenti in questi decenni l’onere di allineare la

pressione fiscale a quella degli altri paesi europei cade prevalentemente

sulle imposte dirette.

Per concludere, negli anni sessanta e settanta l’andamento della spesa

pubblica in Italia mostra un trend di crescita simile a quello di altri paesi

occidentali, a partire dagli anni ’80, in Italia l’espansione della spesa

presenta connotati più rilevanti. Questi dati illustrano quanto gli studi

sulla interpretazione della crescita della spesa pubblica in Italia hanno

ben documentato22. In sintesi c’e’ un certo grado di consenso negli studi

nel ritenere che a partire dalla seconda metà degli anni 70, accanto a

fattori di ordine strutturale, la crescita della spesa pubblica in Italia ha

obbedito a fattori di ordine politico. Secondo Franco sono questi ultimi

fattori a rendere «preoccupante» le dimensioni della crescita della spesa

pubblica in Italia . Secondo questo studioso questa distinzione fra fattori

strutturali a fattori di ordine politico comporta certamente un certo grado

di arbitrarietà, ma: “è cruciale per giungere ad una valutazione di ciò che

si poteva, e si può, fare in Italia in materia di controllo della spesa

pubblica. Infatti, se un processo di aumento della spesa dipende da

ragioni «strutturali», si deve cercare di finanziarlo con maggiori entrate;

se invece esso ha origini «politiche», ci si deve, innanzi tutto, assicurare

22 Una rassegna di questi studi è presentata in Franco (1992, 1993).

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33

che i processi decisionali siano tali dal evidenziare pienamente i costi

delle scelte effettuate”23.

Su questo sfondo, a partire dagli anni ’90 comincia a farsi strada una

nuova fase nella storia della finanza pubblica italiana: quella del

risanamento.

23 Franco (1993, pag. 196-197).

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34

3. La spesa delle amministrazioni pubbliche dagli anni novanta e la

politica di risanamento

Come appena visto, la finanza pubblica italiana arriva agli inizi degli

anni ’90 in condizioni assai precarie: il debito pubblico arriva a sfiorare

il 100% del Pil, il disavanzo è dell’11%. Soprattutto a partire dal 1992 la

situazione appare fuori controllo. Da questo anno comincia la nuova

fase di risanamento.

Per ripercorrere molto sinteticamente le principali vicende che hanno

caratterizzato questo periodo della finanza pubblica italiana, come per i

dati presentati nel precedente paragrafo, anche qui facciamo riferimento

al conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche (Ap).

Le Ap sono l’aggregato istituzionale che comprendono le

Amministrazioni centrali, gli Enti previdenziali e le Amministrazioni

Locali; si ricordi anche che le Ap sono assunte come aggregato di

riferimento negli obiettivi di finanza pubblica del Trattato di Maastricht

e del Patto di stabilità e crescita. I dati si riferiscono agli anni 1991-

200224.

In questo paragrafo i conti delle Ap per ciò che concerne le spese (o

uscite) è per categorie economiche25. I dati sono riportati in percentuale

rispetto al Pil e sono stati da noi elaborati sulla base delle Relazioni

24 Non riportiamo i dati relativi al 2003 perché per il biennio 2003-2004 nel momento in cui scriviamo è in corso da parte dell’Istat e di Eurostat una revisione dei conti dell’Italia. 25 Nel paragrafo successivo incrociamo questa analisi economica delle categorie di spese con la classificazione delle spese per funzioni.

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35

annuali della Banca d’Italia per gli anni 2003, 2001, 199926. In

particolare per le spese correnti riportiamo i dati relativi a: spese per

interessi, redditi da lavoro (vale a dire il compenso che le

amministrazioni pubbliche erogano ai propri dipendenti), consumi

intermedi (vale a dire il valore dei beni e servizi consumati quali input

nel processo produttivo) e prestazioni sociali in denaro. Tra le spese in

conto capitale riportiamo la voce relativa agli investimenti fissi lordi27.

Per le entrate riportiamo la ben nota distinzione tra entrate dirette,

indirette, contributi sociali. Nella voce “altro” sono incluse le imposte in

conto capitale.

Nel commentare i dati nel seguito oltre a considerare l’andamento

dei saldi di bilancio del periodo 1991-2002 faremo anche specifico

riferimento al breve sottoperiodo che va dal biennio 1992-1993 al

1997 perché, come vedremo meglio nelle righe che seguono, in

questo sottoperiodo si realizzano gli interventi più importanti che

hanno con successo consentito all’Italia di essere fra i paesi che

hanno dato vita all’Euro. Come è ampiamente noto nel 1992 viene

firmato il Trattato di Maastricht che comporta per i paesi

sottoscrittori un impegno molto severo in termini di obiettivi fiscali e

monetari da raggiungere ai fini dell’ammissione all’Unione

26 Quindi le Relazioni annuali del Governatore che si sono svolte rispettivamente il 31 maggio 2004, il 31 maggio 2002, il 31 maggio 2000. 27 Che secondo la definizione metodologica data dall’Istat si tratta di “tutte le acquisizioni, nette delle cessioni, di capitale fisso che consiste nei beni materiali o immateriali che rappresentano il prodotto dei processi di produzione, i quali sono utilizzati più volte o continuamente nei processi di produzione per più di un anno”. Cfr. Istat, Conti ed aggregati economici delle Amministrazioni pubbliche – Serie SEC95 –

anno 2000-2003. Statistiche in breve del 5 luglio 2004.

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36

monetaria. Al contempo si abbatte sulla lira una grave crisi valutaria

a cui segue una significativa svalutazione e l’uscita dallo Sme. In

Italia questo anno rappresenta uno spartiacque fondamentale nella

storia della finanza pubblica. Il Trattato di Maastricht impone

all’Italia la strada del risanamento finanziario. In altre parole

l’adesione al Trattato impone una disciplina fiscale che nessuna forza

politica o di governo aveva osato prima imporre per paura di perdere

consenso. Sono altresì gli anni di tangentopoli e quindi un momento

di forte delegittimazione della classe politica stessa. Tutti questi

eventi fanno sì che nell’ultima parte dell’anno 1992 inizia con un

governo tecnico (il governo Amato) la manovra di risanamento

finanziario. Fra il luglio 1992 e l’ottobre 1993 il governo Amato

chiede e ottiene la delega per riforme strutturali nella previdenza,

nella sanità, nel pubblico impiego e nella finanza locale, comparti

questi ritenuti i maggiori responsabili della eccessiva crescita della

spesa28. Nel 1993 succede il governo Ciampi che continua l’azione

risanatrice. Detto altrimenti con questi due governi si comincia

subito ad agire con manovre strutturali sul lato della riduzione delle

spese (al netto degli interessi). Fra il 1992 e il 1993 (cfr Tabella 7)

non migliora certamente il quadro, ma si riesce comunque ad

impedire un ulteriore squilibrio di bilancio in un momento in cui i

tassi d’interesse sono al massimo storico del periodo.

28 Cfr Bernasconi e Marenzi (1998, p. 93). In questo stesso studio si riportano le cifre della manovra del Dpef del governo Amato e del Dpef del governo Ciampi. Per un’analisi puntuale delle manovre nel periodo 1995-2000 cfr Bernardi e Parlato (2001).

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Questi due governi certamente segnano l’inversione di rotta verso il

riequilibrio finanziario e sopratutto l’Italia comincia ad acquistare

credibilità sui mercati internazionale, i tassi d’interesse iniziano a

scendere e quindi comincia anche a scendere la spesa per interessi. Si

osservi anche che il governo Ciampi adotta una strategia del

gradualismo, vale a dire si prosegue il risanamento dei conti, ma si

cerca di non deprimere la crescita: la Finanziaria per il 1994 è

relativamente “leggera”29. Nel 1994 il tasso di crescita reale del Pil

diventa del 2,2% a fronte di un dato negativo dell’anno precedente

(Cfr Tabella 1A in appendice).

Nel 1992 parte anche un vasto processo di privatizzazione che

fornisce negli anni un contributo significativo in termini di risorse: nel

1992 i proventi delle privatizzazioni sono lo 0,04% del Pil, nel 1995

sono 0,92%, nel 1997 sono il 2,05%, nel 1999 il 2,21%30.

Le manovre si concentrano quindi su aumenti di entrate e riduzioni della

spese come ad esempio contenimento negli acquisti dei beni, nelle

retribuzioni e all’aumento numero dei dipendenti. Dai dati nella Tabella

7 troviamo un riscontro di quanto appena detto: la spesa per retribuzione

dei dipendenti ha un’accelerazione a inizi anni ’90 (cfr. anche Tabella 1

del paragrafo precedente) a seguito del rinnovo contrattuale del 1988-

1990. Tra il 1993 e il 1994 questa voce di spesa comincia a calare per

effetto anche dell’accordo sul costo del lavoro31. Se consideriamo tutto il

29 Bernardi (2000, pag. 15). 30 Fonte: Ministero del Tesoro, Libro bianco sulle privatizzazioni, 2001. 31 Cfr Bernasconi e Marenzi (1998, pag 100).

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periodo qui esaminato il calo di questa voce di spesa è significativo:

1,8% rispetto al Pil.

I consumi intermedi hanno invece un andamento alquanto altalenante

con una leggera contrazione fra il 1991 e il 1997 (di 0,2 punti

percentuali) e un incremento molto lieve fra il 1991 e il 2002 (0,1 punti

percentuali).

Sulle prestazioni sociali in denaro non si sono registrati incrementi di

spesa (come invece per le ragioni di ordine strutturale illustrate nel

paragrafo precedente ci si potrebbe aspettare), ma si sono stabilizzate

intorno al 17% anche per il progressivo e positivo effetto sui conti di

questo comparto di una riforma strutturale importante, che è intrapresa

nel 1995 (la cosiddetta riforma Dini)32.

La spesa primaria totale ha un valore molto alto nel 1993 (45,3%

rispetto al Pil) ma passando al 1997 diminuisce di quattro punti. Nel

2002 tocca quasi il 42%.

Notiamo anche che la spesa per investimenti contribuisce alla riduzione

delle spese totali. Tra il 1993 e il 1997 si riduce di 0,4 punti percentuali.

Ci pare anche importante osservare che addirittura nell’arco di tempo

qui considerato le spese per investimenti si riducono di 1,3 punti

percentuali rispetto al Pil.

Più in generale tra il 1992 e il 1993, nonostante la forte l’instabilità

politica33, si assiste ad una drastica riduzione del disavanzo tale da

consentire all’Italia di entrare nell’Unione monetaria con il governo

32 Cfr paragrafo 5. 33 Ricordiamo che in questo breve lasso di tempo si succedono cinque governi: Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi.

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Prodi. L’accelerazione avviene tra il 1996 e il 1997 quando il deficit

passa dal 7,1% al 2,7% (cfr Tabella 7). Questa contrazione avviene

soprattutto per effetto della caduta dei tassi d’interesse e l’aumento

dell’avanzo primario (dove incidono anche i tagli di spese e alcune

manovre una tantum, ad es. la “tassa per l’Europa”).

Ulteriori informazioni sulle caratteristiche di questa fase di risanamento

e di convergenza verso i parametri richiesti per l’unificazione

economica e monetaria si possono ricavare dai dati della Tabella 7 nella

parte relativa alla pressione fiscale.

Si notano immediatamente i due picchi in corrispondenza dei due anni

in cui è più forte l’azione risanatrice. Come accennato si tratta del 1993

e del 1997. In questi due anni la pressione fiscale tocca rispettivamente

il 44% e il 44,4%. Ad eccezione di questi due anni la pressione fiscale è

di circa il 42%. Anche in questo ambito della finanza pubblica si

registrano in questi anni riforme importanti. Qui ci limitiamo solo a

richiamarne alcune: l’introduzione dell’Ici, la riforma Visco,

l’introduzione dell’Irap, l’abolizione dei contributi sanitari,

l’introduzione delle addizionali comunali e regionali sull’Irpef. Si

osservi anche che dal 1998 si ribalta nuovamente la situazione: la quota

sul Pil delle imposte indirette è superiore a quella delle dirette. La

motivazione sta nel fatto che l’Irap (il cui gettito è di un ammontare

quasi analogo a quello dell’Irpeg) viene contabilizzato nel gettito delle

imposte indirette.

Per quanto riguarda il debito, nel 1991 l’ammontare supera la misura del

Pil e nel 1994 tocca il punto più alto (124,3% rispetto al Pil). Comincia

poi un graduale miglioramento. Nel 2001 il rapporto debito/Pil si è già

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ridotto di circa 14 punti. Come si osserva dai dati in tabella (e come già

richiamato) questa diminuzione è effetto del mantenimento di un elevato

surplus primario (superiore al 4% dal 1996 fino al 2000) ed anche del

dimezzamento della spesa per interessi che è pari al 12% del Pil nel

1993 ma diventa del 6,5 nel 2001 e del 5,8 nel 2002.

Tuttavia con riferimento agli ultimi due anni del periodo qui considerato

(il 2001 e il 2002) la situazione in termini di indebitamento è in

controtendenza rispetto al trend prima descritto perché diventa del 2,6%

nel 2001. Il dato è invece dell’1,7% nel 1999. Vale la pena ricordare

anche che il dato molto positivo del 2000 è effetto principalmente delle

vendite delle licenze UMTS. Come osserveremo tra breve, sempre per

questo motivo, altri paesi europei registrano nel 2000 un surplus di

bilancio. Va anche ricordato che nel 2001 termina la fase espansiva di

crescita del Pil che nel 2000 ha la sua fase di picco con un tasso del 3%

(Cfr. Tabella 1A in appendice). La crescita che si registra dal 1994 in

poi, è sostenuta essenzialmente dalle esportazioni (soprattutto nel 1997 e

nel 2000) ma anche dai consumi delle famiglie. Come scrive Onofri

(2003, pag. 24) “dopo il 1996 il ritmo di crescita della domanda interna

e quello dei consumi delle famiglie, in particolare, hanno presentato una

stabilità sorprendente, alla luce delle azioni condotte di riduzione del

disavanzo pubblico. Nel quadriennio 1997-2000 la crescita media dei

consumi è stata del 2,9% annuo; il che, data la quasi stagnazione della

popolazione italiana, si è tradotto in un aumento medio annuo dei

consumi pro capite del 2,7%. Per farsi un’idea del rilievo di tali

andamenti è sufficiente ricordare che l’espansione dei consumi pro

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capite negli Stati Uniti nello stesso quadriennio è stata del 3,4% medio

annuo”.

Nel 2001 il tasso di crescita del Pil è dell’1,8% e nel 2002 è dello 0,4%.

Si tratta del tasso di crescita più basso per il periodo 1999-2002,

escludendo il 1993. Osserviamo anche un aumento della spesa totale di

circa due punti tra il 2000 e il 2001 e di un calo delle entrate di 0,1 punti

percentuali. Tra il 2001 e il 2002 cala nuovamente la spesa totale e si

riducono anche le entrate di 0,4 punti come primo effetto di alcune

misure sul lato delle imposte (abolizione dell’imposta sulle successioni e

donazioni, legge Tremonti bis, etc.)

In estrema sintesi e guardando ancora ai dati (cfr Grafico 3) la «svolta»

del 92/93 avviene più sul fronte della riduzione delle spese che

sull’aumento delle entrate34.

34 Così concludono diversi studiosi, cfr Bernardi (2000, pag. 24).

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In generale la pressione fiscale rimane sempre intorno al 42% (con

eccezione per il 1993 e il 1997), un dato all’incirca coincidente con

quella della media UE (cfr Tabella 8 più avanti).

Concludiamo il paragrafo con alcuni sintetici riferimenti alla situazione

di finanza pubblica di Francia, Germania e Regno Unito e la media del

paesi della UE15. Come per l’Italia anche qui riportiamo il dato sul

saldo di bilancio, sul debito, sulla pressione fiscale e sulle principali

categorie economiche di spese. I dati sono riportati nella Tabella 835.

Limitiamoci a commentare i dati relativi all’anno 2002. Per quanto

riguarda la spesa pubblica totale è immediato osservare che se

guardiamo la media UE15, il dato è abbastanza analogo a quello

dell’Italia (cfr Tabella 7). La Francia e la Germania hanno valori

superiori alla media dell’UE15 rispettivamente di quasi sei punti e di un

punto. Il Regno Unito ha un dato più basso di circa sei punti e mezzo36

Anche le entrate totali dell’Italia sono assolutamente in linea con quelle

della Media UE come pure quelle tedesche. Sono superiori le entrate

totali francesi (di 4,7 punti percentuali) e, come ci si può attendere,

quelle del Regno Unito sono invece inferiori di circa cinque punti.

35 Per un ulteriore dettaglio sulle diverse voci di spese e entrate dei paesi qui considerati cfr European Commission (2004) Public finance in EMU.

36 Si consideri anche che la media europea delle spese totali sul Pil è molto superiore a quella del Giappone e degli Usa (rispettivamente nel 2001 del 38,6% e del 35,6%). In Europa il dato più alto si registra in Svezia (58,3%). Cfr. OECD Economic Outlook,2003.

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47

Dal confronto tra i dati delle Tabelle 7 e 8 osserviamo che la situazione

italiana è invece assolutamente anomala rispetto agli altri Paesi e

rispetto al dato UE15 per il livello del disavanzo, ma soprattutto per il

livello del debito pubblico e per la spesa per gli interessi. Tutto questo è

forse ciò che più ha impedito e continua ad impedire all’Italia di

utilizzare le sue risorse per investimenti produttivi.

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48

4. La composizione per categoria funzionale e per livelli di

governo della spesa pubblica

Nel paragrafo precendente abbiamo presentato i conti consolidati delle

spese delle Ap per categorie economiche. Tuttavia le precedenti

informazioni non ci permettono di cogliere per quali funzioni viene

erogata la spesa pubblica. Infatti, solo la voce relativa alle prestazioni

sociali ci fornisce il dato riguardo al peso della protezione sociale nel

nostro sistema economico, ma non possiamo inferire informazioni in

merito ad esempio alle risorse erogate per la sanità, per l’istruzione etc.

Per avere informazioni di questo tipo dobbiamo disporre nel sistema dei

conti pubblici della classificazione delle spese per categorie funzionali.

Queste informazioni solo molto recentemente sono state rese disponibili

dall’Istat.

L’Istat ha diffuso per la prima volta le stime (a prezzi correnti) della

spesa per funzioni soltanto nel febbraio 2004 facendo seguito al nuovo

regolamento europeo che ha istituito il sistema dei conti nazionali (il

cosiddetto SEC95) e facendo seguito anche alle indicazioni previste dal

Fondo Monetario Internazionale di scomporre la spesa pubblica in

funzioni di spesa37. Questa classificazione per funzione (da poco

utilizzata dunque nei conti nazionali) è chiamata classificazione

COFOG38. Inoltre, questa classificazione funzionale è suddivisa secondo

37 In precedenza, informazioni di questo tipo potevano essere ricavate solo da alcuni studi della Ragioneria Generale dello Stato (2001) sulla spesa statale regionalizzata o venivano elaborati in alcuni studi: Franco (1992, 1993) ed anche cfr. Bordignon e Cerniglia (2004 e la bibliografia ivi citata). 38 In altri termini, COFOG rappresenta l’acronimo di Classification of Function of

Government e come scrive l’Istat si tratta di una classificazione definita a livello

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49

tre livelli di analisi o tre livelli di funzioni. Al primo livello di funzione

corrispondono dieci Divisioni. Queste dieci Divisioni sono quelle che

vedremo nelle Tabelle nel prosieguo del paragrafo. Ogni divisione si

articola poi in gruppi (funzioni di secondo livello). Ogni gruppo si

suddivide in classe (funzioni di terzo livello)39.

Le dieci Divisioni rappresentano molto bene i “fini primari” perseguite

dalle Amministrazioni Pubbliche e sono: 1) servizi generali delle

Pubbliche Amministrazioni; 2) difesa; 3) ordine pubblico e sicurezza; 4)

affari economici40; 5) protezione dell’ambiente; 6) abitazione e assetto

territoriale; 7) sanità; 8) attività ricreative, culturali e di culto; 9)

istruzione; 10) protezione sociale.

Detto altrimenti, la scomposizione nelle suddette 10 funzioni di spesa

consente di comprendere in maniera più puntuale per quale finalità o

bene pubblico viene impiegata la spesa pubblica.

Passiamo adesso a presentare i dati relativi al periodo 1990-2002. Come

scrive l’Istat questi dati risultano coerenti con il conto economico

consolidato delle Ap pubblicato dallo stesso istituto di statistica e nella

Relazione generale sulla situazione economica del Paese41.

internazionale dalle principali istituzioni che si occupano di contabilità nazionale: OCSE, FMI, Eurostat. 39 Per ulteriori dettagli su come questo nuovo schema di classificazione si raccorda alla classificazione economica delle spese delle Ap cfr. anche Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, (2003) Principi e

regole contabili del sistema di contabilità economica delle Amministrazioni Pubbliche,Roma, aprile. 40 Si noti che nella funzione affari economici rientrano le spese per agricoltura, foreste, pesca e caccia, trasporti, comunicazioni, energia, estrazione minerali, manifatture e costruzioni etc. 41 Cfr. Istat Spesa delle Amministrazioni Pubbliche per funzione Serie Sec95 –anni 1990-

2002, 12 febbraio 2004. In una pubblicazione del 15 dicembre 2004, i dati vengono estesi al 2003.

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50

Tabella 9 - Spesa complessiva a prezzi correnti al netto degli interessi pagati dalle Amministrazioni Pubbliche per funzione; anni 1990-2000; milioni di euro correnti

Fonte: Istat, Spesa delle Amministrazioni Pubbliche per funzione Serie Sec95 – anni

1990-2002, 12 febbraio 2004

Osserviamo subito che la spesa delle Ap erogata nel 2002, a prezzi

correnti e al netto degli interessi, è pari a circa 523 miliardi di euro42.

Come ci si può attendere la parte del leone tra le spese è la voce

protezione sociale (circa 228 miliardi di euro) e la voce sanità (quasi 81

42 Si osservi che in un’altra tabella nella stessa pubblicazione Istat troviamo la medesima classificazione senza l’esclusione della voce di spesa “interessi”. In questo caso il Totale delle spese delle Ap nel 2002 è pari a circa 594 miliardi di euro. La voce “interessi passivi” viene contabilizzate dentro la categoria funzionale Servizi generali che in questo caso rappresenta il 18,9% della spesa totale e l’8,9% della spesa in termini di Pil (in termini assoluti questa categoria funzionale di spesa ammonta a circa 112 miliardi di euro). Cfr. anche Tabella 10 che segue.

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51

miliardi di euro). L’istruzione è per importanza quantitativa la terza

categoria di spesa (61 miliardi e mezzo di euro circa). Tuttavia,

guardando la dinamica temporale emergono dei dati molto interessanti.

Ad esempio la spesa in istruzione nel 1990 è il 12,8 per cento della

spesa totale, nel 2002 è invece l’11,8%; in termini di incidenza

percentuale sul Pil si passa dal 5,6 % al 4,9%. Una tendenza nettamente

opposta la osserviamo nella categoria di spesa per protezione sociale che

per quanto riguarda l’incidenza sul Pil passa dal 16,5% al 18,1 e in

termini di spesa totale passa dal 37,5% al 43,7%. La sanità, dopo un calo

a metà degli anni ’90, ha nel 2002 un’incidenza percentuale sul Pil pari a

quella del 1990. In termini di risorse (a prezzi correnti) si osserva anche

un raddoppio di spesa. Tutte le altre funzioni di spesa non registrano

variazioni significative, ad eccezione della categoria affari economici

che in termini di Pil subisce un decremento di due punti percentuali.

Probabilmente, nell’azione di risanamento intrapresa in questo periodo

della finanza italiana, questo è il settore dove si sono concentrati

maggiormente gli interventi di razionalizzazione delle spese delle Ap43.

A questo punto ci pare anche utile riportare nella Tabella 10 l’analisi

della spesa della Ap per il 2002 effettuata attraverso l’incrocio tra

funzioni e voci economiche. I dati sono in milioni di euro correnti e

contabilizzano anche gli interessi passivi44. Questi dati possono essere

anche letti insieme ai dati della Tabella 7 del precedente paragrafo dove

43 Si osservi anche che il valore molto basso per il 2000 è imputabile al fatto che è stata qui contabilizzata con segno negativo la cessione delle licenze UMTS. 44 Si nota infatti che nella Tabella 9 il totale della spesa pubblica nel 2002 a prezzi correnti è pari 523.017 milioni di euro. Nella Tabella 10 il totale della spesa pubblica è pari a 594.278 milioni di euro. In quest’ultima tabella è immediato osservare che gli interessi passivi, come già detto, vengono contabilizzati nella funzione servizi generali.

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52

invece abbiamo espresso i valori delle voci economiche in termini di

incidenza sul Pil.

Tabella 10 - Spesa pubblica delle Ap a prezzi correnti: distribuzione per categorie economiche e funzionali (anno 2002); milioni di euro correnti

Fonte: Istat Spesa delle Amministrazioni Pubbliche per funzione Serie Sec95 – anni 1990-

2002, 12 febbraio 2004

La Tabella precedente ci fornisce soprattutto ulteriori informazioni

quantitative sulle caratteristiche di alcuni comparti della spesa pubblica

e alle quali abbiamo già accennato nel paragrafo 2. Ad esempio, il 75%

della spesa totale per istruzione è data dalla spesa per la retribuzione del

personale, che nella sanità incide invece per circa il 36% e nella

previdenza molto poco, circa il 2,2%.

È utile concludere questa panoramica sulla spesa pubblica mostrandone

la ripartizione delle funzioni anche nei sottosettori, cioè negli aggregati

istituzionali che (come detto a inizio del paragrafo) costituiscono le Ap e

che sono le Amministrazioni Centrali, le Amministrazioni Locali, gli

Enti di Previdenza.

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53

A questo punto va ricordato che in Italia negli anni ’90 è anche partito

un marcato processo di decentramento di funzioni dallo Stato centrale

alle Amministrazioni Locali.

Diverse motivazioni hanno guidato questa domanda di decentramento45.

Tra queste anche l’idea che un maggior decentramento avrebbe indotto

una maggiore responsabilità finanziaria dei livelli di governo locali per

il raggiungimento dei parametri di Maastricht46. Agli inizi degli anni ’70

infatti l’effetto congiunto del parziale decentramento delle funzioni a

seguito della istituzione del livello di governo regionale e della riforma

tributaria (che prevede un totale accentramento tributario) comincia a

generare gravi fenomeni di irresponsabilità finanziaria delle regioni. La

spesa regionale è infatti “fuori controllo” perchè è finanziata ex post a

piè di lista tramite il meccanismo dei fondi. Come appena detto, anche

questo problema noto come “soft budget constraint” delle regioni sta

alla base della forte domanda di federalismo fiscale nel corso degli anni

’90 che conduce a varie riforme. Ricordiamo le cosiddette leggi

Bassanini, il decreto 56/2000 che abolisce i trasferimenti alle regioni e

stabilisce nuovi meccanismi di finanziamento, l’istituzione dell’Irap e

delle addizionali Irpef comunali e regionali. Questo processo si conclude

con l’importante riforma costituzionale del Titolo V nel 2001 i cui

45 Questa forte domanda di decentramento a partire dagli anni ’90 è comune ad altri paesi dell’area OCSE, sia federali che unitari. Per una discussione ed una analisi empirica cfr. Cerniglia (2003). 46 È utile anche ricordare che con Legge Finanziaria per il 1998 si introduce il cosiddetto Patto di Stabilità interno con lo scopo di rendere corresponsabili le autonomie locali al rispetto dei parametri di Maastricht.

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54

effetti sono ancora difficili da valutare47. Tra le numerose novità

introdotte: le regioni potranno esercitare poteri di spesa, in regime di

concorrenza con il governo centrale, in un insieme molto ampio e

importante di funzioni come ad esempio l’istruzione e la sanità. Nella

sanità le regioni erogano già la quasi totalità delle risorse, come è

osservabile nella tabella che segue e che riporta la spesa consolidata

dell’interno settore, cioè al netto dei trasferimenti tra i settori.

Tabella 11 - Spesa complessiva a prezzi correnti per funzione e per sottosettore (anni 1990-2002) milioni di euro correnti

Fonte: Istat Spesa delle Amministrazioni Pubbliche per funzione Serie Sec95 –anni 1990-

2002, 12 febbraio 2004

47 Per una analisi sugli effetti in termini di risorse da trasferire alle autonomie locali cfr. Bordignon e Cerniglia (2004).

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55

Un dato di rilievo che emerge dalla precedente tabella è che, in termini

di risorse erogate, la spesa delle amministrazioni centrali è più o meno

simile a quella degli enti di previdenza. Inoltre la differenza tra spesa

erogata dalle amministrazioni centrali e spesa erogata dalle

amministrazioni locali è di circa 28 miliardi di euro. Detto altrimenti

l’Italia si caratterizza già per un buon grado di decentramento di spesa.

Anche in questo paragrafo, dedichiamo la parte finale della discussione

ad un breve confronto internazionale con riferimento alla classificazione

funzionale. Questa indagine è possibile grazie al nuovo database

denominato Newcronos di Eurostat che segue la classificazione

COFOG48. Questo database consente di effettuare i confronti fra Italia e

altri paesi con un buon livello di affidabilità anche se i dati sono ancora

abbastanza incompleti (soprattutto lungo la dimensione tempo)49.

Tuttavia anche uno sguardo ad un solo anno può dare utili informazioni

in termini di confronto tra Paesi.

48 Prima di questo database le uniche informazioni per una comparazione internazionale sulle categorie funzionali si potevano trarre in IMF, Government Finance Statistics, anni vari, ma i dati sono molto incompleti soprattutto per molti paesi europei. 49 Cfr Isae (2003) per una discussione sui problemi metodologici di questo database.

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56

Tabella 12 - Distribuzione funzionale della spesa pubblica in Europa nel 2000 (% Pil)

Fonte Isae (2003, pag. 145 che riprende dati Newcronos-Eurostat). *Le altre funzioni comprendono Cultura e religione e Edilizia abitativa e infrastrutture.

La Tabella 12 è infatti abbastanza eloquente e non necessita di

particolari commenti. Il dato che certamente si può trarre è che in

generale non ci sono forti disomogeneità fra Paesi per tipologia di bene

pubblico. Alcune eccezioni si segnalano solo nel comparto della

protezione sociale e più in generale nel comparto del welfare per ragioni

di cui parleremo meglio nel paragrafo successivo.

Concludiamo citando qualche dato sulla ripartizione funzionale per

livello di governo nei paesi europei50. Abbiamo visto che la spesa in

sanità in Italia è ormai erogata quasi tutta a livello regionale, in Francia

la “spesa locale” è solo il 2% della spesa totale, in Germania il 10%.

Nella funzione istruzione, in Italia la spesa è quasi tutta erogata dalle

amministrazioni centrali, in Francia il livello locale incide per il 19%

della spesa totale; in Germania per circa il 18%; nel Regno Unito il

50 Per un quadro più completo cfr. Bernardi e Gandullia (2004).

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57

28%. A differenza di quanto vista dalla precedente tabella, questi pochi

dati invece sono esplicativi del fatto che in Europa, in termini di

organizzazione nell’erogazione dei beni pubblici, si registrano diversi

possibili “modelli”.

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58

5. La spesa per il welfare

Nel paragrafo precedente abbiamo osservato che le componente di gran

lunga più importante della spesa pubblica è la spesa per il welfare vale a

dire l’insieme delle spese destinate alla previdenza, assistenza, sanità,

istruzione51. Riprendendo i dati della Tabella 9, relativi all’anno 2002, si

tratta complessivamente di circa 370 miliardi di euro. Si tratta di tutte

quelle risorse finalizzate a soddisfare alcuni diritti di cittadinanza quali

la tutela della salute, la formazione e l’istruzione, il diritto ad un reddito

nella vecchiaia, la protezione in caso di disoccupazione o di malattia, la

tutela della maternità, il diritto in ogni caso a un minimo di risorse per la

sopravvivenza.

In altri termini, nel sistema economico di un paese la spesa per il welfare

ha una funzione redistributiva (dal sano al malato, dal giovane al

vecchio, dall’occupato al disoccupato) ed anche assicurativa contro ogni

rischio riconosciuto come sociale a cui ogni cittadino può essere

esposto.

Per esplicitare meglio quanto osservato nei dati prima presentati, in

questo paragrafo facciamo degli ulteriori cenni (molto descrittivi) al

modello di welfare italiano.

Innanzitutto può essere utile ricordare che da un punto di vista

normativo-istituzionale ci possono essere diversi modelli di welfare. Ad

esempio nella stessa Europa, fra gli stessi Stati appartenenti all’Unione

europea, si possono registrare differenze significative di modelli. Come

51 Tre le spese del welfare entrano anche le politiche per la casa, ma questa voce di spesa è poco influente in termini di risorse erogate (circa 13 miliardi di euro).

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59

scrive Ferrera (1998, p. 80 e s.) in Europa i sistemi differiscono

prevalentemente rispetto alle seguenti dimensioni: a) le regole di

accesso (eleggibilità); 2) le formule di prestazione; 3) le formule di

finanziamento; e 4) gli assetti organizzativo-gestionale. Sulla base di

queste dimensioni è possibile individuare quattro famiglie «geosociali».

Queste quattro famiglie sono sommariamente riscontrabili anche

guardando i dati della Tabella 12.

La prima famiglia ingloba i paesi scandinavi dove la copertura è

universale per quasi tutti i rischi (anche per chi non partecipa al mercato

del lavoro). Il finanziamento avviene tramite il gettito tributario.

La seconda famiglia è quella anglosassone (Regno Unito e Irlanda) dove

“la copertura del welfare è altamente inclusiva: ma può considerarsi

pienamente universalistica solo in campo sanitario”52. Il finanziamento è

di tipo misto (tributi e contributi sociali).

La terza famiglia comprende la Germania, la Francia, i paesi del

Benelux, l’Austria e la Svizzera. “Qui la tradizione bismarckiana, che

prevede un collegamento fra posizione lavorativa (e/o stato di famiglia)

e prestazioni sociali, è ancora influente tanto nel settore della garanzia

del reddito quanto nel settore sanitario. Solo l’Olanda e la Svizzera

hanno parzialmente ibridato tale tradizione introducendo alcuni schemi a

carattere universalitistico”53. Detto altrimenti lo sfondo di riferimento di

questa famiglia è quello occupazionale (che si riflette anche nella

gestione dato che le organizzazioni sindacali possono partecipare con il

governo nel fissare gli schemi assicurativi di categoria) ed assicurativo

52 Ferrera (1998, p. 81). 53 ibidem.

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60

(le formule di prestazione sono proporzionali al reddito e il

finanziamento è tramite contributi sociali).

La quarta famiglia è quella dei paesi dell’Europa meridionale: Italia,

Spagna, Portogallo e Grecia. È la famiglia più complicata da incasellare

in un modello preciso di riferimento, soprattutto perché in continua

evoluzione e non ancora pienamente maturo per alcuni paesi (in

particolare Grecia e Portogallo). In Italia il sistema di welfare può in

generale dirsi maturo, ma permangono forti differenziazioni nel grado di

qualità di erogazione dei servizi fra le aree del Paese. Nel Sud Europa,

scrive Ferrera (1998, p. 83) “non è solo il welfare ad avere una

configurazione sui generis, ma è anche lo stato: si tratta infatti di uno

stato assai poco «weberiano», largamente infiltrato e facilmente

manipolabile dagli interessi organizzati (e in particolare dai partiti

politici). Il basso grado di «statualità» dei sistemi latini di welfare è un

tratto che isola decisamente questa famiglia di nazioni dalle altre

presenti in Europa”. In generale quello che più caratterizza questi paesi è

la prestazione molto generosa in campo pensionistico rispetto agli altri

tipi di rischi e manca la protezione minima di base (ad esempio per

quando riguarda il reddito minimo garantito54). Inoltre in tutti questi

paesi, il servizio sanitario di tipo universalistico è una conquista degli

ultimi decenni e solo negli anni più recenti i tributi stanno sostituendo i

contributi sociali per finanziare la spesa sanitaria.

54 In Italia è stato introdotto a partire dal 1999 in alcuni comuni e in via sperimentale il cosiddetto Reddito minimo di inserimento.

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61

Possiamo ora a una breve descrizione del sistema italiano. Un primo

quadro di sintesi sulle attuali caratteristiche dei programmi di spesa per

il welfare in Italia è nella Tabella 13.

Come fa notare Bosi (2003, pag. 327) il quadro tracciato da questa

tabella: “è lungi dall’essere completo: i sistemi di welfare, e in

particolare quello italiano, sono costituiti da un intreccio molto

complesso di programmi, frutto di stratificazioni non sempre razionali,

che trovano spiegazione soprattutto nel fatto che la loro introduzione e i

loro mutamenti sono sempre il risultato di faticosi e tormentati processi

politici, di lotta sociale e di ricerca del consenso” .

In generale, come si evince dalla Tabella 13, le spese del welfare sono

raggruppabili in cinque comparti: pensioni previdenziali, ammortizzatori

sociali, assistenza, sanità, istruzione55.

Sulle pensioni previdenziali abbiamo già avuto modo di osservare nei

precedenti paragrafi l’importanza di questo comparto in termini di

risorse erogate.

Queste risorse servono a garantire un reddito a tutti i lavoratori

(dipendente e autonomi) alla fine della loro attività lavorativa. È altresì

espressione del “patto sociale intergenerazionale” e costituisce senza

dubbio uno dei cardini fondamentali del welfare italiano.

55 In questo paragrafo non riferiamo del sistema degli ammortizzatori sociali e dell’assistenza. Per alcuni riferimenti cfr. Bosi (2003, capitolo 7).

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62

Tabella 13 - Le prestazioni del welfare State in Italia

Fonte: Bosi (2003, pag. 326)

Il sistema previdenziale italiano, nato soprattutto attraverso il

sovrapporsi non coordinato di provvedimenti, si presenta all’inizio degli

anni ’90 complesso, frammentato e “caratterizzato da gravi iniquità inter

e intra-generazionali”56, ma soprattutto esposto al pericolo di un debito

previdenziale molto grave.

Nel corso degli anni’90 quindi intervengono due importanti riforme: la

cosiddetta riforma Amato nel 1992 e la cosiddetta riforma Dini nel

1995. Queste due riforme hanno posto le premesse per il graduale

passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo57. Sebbene queste

riforme abbiano ottenuto importanti risultati, rimangono insoluti ancora

56 Cfr. Bosi (2003, pag. 354). 57 Per un interessante dibattito tra gli studiosi su queste riforme, cfr. Autori vari (2002) Forum SIE su sistema previdenziale italiano.

Pensioni previdenziali

Sanità Ammortizzatorisociali

Assistenza Istruzione

Pensioni di

vecchiaia

Assistenza di

base

Cassa integrazione Assegni per i

figli

Istruzione

obbligatoria

Pensioni di

anzianità

Spesa farmaceutica Indennià di

disoccupazione

Pensione sociale Istruzione

secondaria

Pensioni per i

superstiti

Assistenza

specialistica e

ospedaliera

Istruzione

universitaria

Pensioni e rendite

per portatori di

handicap

Assicurazione

infortuni sul lavoro

Pensioni agli invalidi

civili

Assicurazione

malattia

Servizi per non

autosufficienti

Scuola materna

Assicurazione

maternità

Reddito minimo di inserimento

Scuole e servizi per l'infanzia

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63

numerosi problemi soprattutto a causa della forte dinamica di crescita

della popolazione pensionata in rapporto alla crescita della forza lavoro.

A partire dal seconda metà del 2003 la riforma pensionistica è tornata

nuovamente nell’agenda politica58.

Sulla spesa sanitaria abbiamo detto che, dopo il calo della metà degli

anni ’90, ha ripreso a crescere. Va comunque segnalato che la spesa

sanitaria in Italia ha dei valori inferiori rispetto ad altri Paesi59. La

funzione sanità è oggi una competenza quasi esclusivamente regionale

anche se manca ancora una legge quadro che dia completa attuazione

alla Costituzione come riformata dal Titolo V. Tra le novità recenti che

hanno toccato questo comparto va segnalata l’introduzione nel 2001 dei

cosiddetti LEA (livelli essenziali di assistenza). I LEA servono a fornire

un certo grado di uniformità nazionale al tipo di assistenza e prestazioni

sanitarie a cui ogni cittadino italiano ha diritto nel quadro di ormai

diversi modelli regionali di sanità. Allo stato attuale uno dei punti più

critici nella sanità italiana è il finanziamento, soprattutto relativamente

alla questione del ripiano ex post delle spese sanitarie quasi tutte a

carico delle Regioni60. La questione è complessa anche alla luce della

recente proposta di graduale soppressione dell’Irap il cui gettito serve a

finanziare la sanità.

Infine passiamo al sistema di istruzione italiano che si caratterizza per il

quasi completo finanziamento pubblico. Sulla spesa totale per istruzione

58 Su questa riforma cfr. Mazzaferro e Toso (2004). 59 Per citare qualche dato: in dollari e in parità di potere d’acquisto la spesa pro capite in sanità in Italia nel 2002 è di circa 1.600 dollari, in Francia 2.080 dollari , in Germania 2.212 e nel Regno Unito 1.801. Fonte: OECD Factbook 2005.

60 Per una descrizione completa della questione anche con riferimento ai dati cfr. Turati (2003) e Mapelli (2004).

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64

il 90% circa è di fonte pubblica, e il 10% circa è privata. In Germania le

quote sono rispettivamente 78% e 23%, nel Regno Unito 84% e 16%. La

Francia ha dati simili all’Italia: 92% e 8%61. Abbiamo anche visto che a

differenza di questi paesi, il sistema italiano è molto centralizzato dal

punto di vista dell’erogazione delle risorse. “Prevale dunque un modello

centralizzato e ciononostante disordinato, a cui corrisponde anche una

notevole disomogeneità della distribuzione delle risorse. Esistono

differenze anche di cinque volte tra le assegnazioni per studente tra

strutture più favorite e strutture meno favorite”62. Soprattutto il rapporto

insegnanti-iscritti varia in maniera significativa fra le regioni italiane

intorno al valore medio nazionale che è di 10,8 studenti per insegnanti

nella scuola primaria, di 10,2 studenti per insegnanti nell’istruzione

secondaria e di 22,4 studenti per insegnanti nell’istruzione terziaria63.

Tuttavia negli altri paesi i numeri (ad eccezione dell’istruzione terziaria)

sono molto più alti. Infatti abbiamo rispettivamente 19,4; 15,2 e 12,3 in

Germania. In Francia sono: 19,5; 12,3; e 18,1. Ed infine nel Regno

Unito 20,5; 14,5; e 17,6.64 L’istruzione ha un’importanza cruciale in un

sistema economico perché deve soddisfare una molteplicità di finalità.

Serve a produrre servizi di socializzazione, vale a dire forma le attitudini

e i valori nei quali uno Stato si riconosce, ma soprattutto l’istruzione

serve a trasmettere conoscenza e abilità: “la formazione delle

competenze, nelle sue diverse dimensioni, rappresenta un input

61 Cfr. Ocse, Education at glance, 2002. 62 Bosi (2003, pag. 433-434). 63 Sulla questione del numero degli insegnanti e sulla qualità della formazione cfr. Brunello, Checchi e Comi (2003). 64 Fonte: Istat, Annuario statistico italiano, 2004. Tavola 7.17, dati 2001.

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strategico sia per lo sviluppo del paese nel suo complesso sia per la

valorizzazione delle opportunità individuali”65.

Non è dunque un caso che il problema dell’istruzione, o più in generale

la formazione del capitale umano, è oggi più che mai nell’agenda

politica degli Stati e dell’Europa in particolare.

65 Bosi (2003, pag. 417).

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66

6. Conclusioni: gli investimenti pubblici e la “qualità” della

spesa pubblica

Dalla discussione precedente è possibile cogliere che soprattutto il

processo di unificazione europea (ma anche la crescente integrazione

internazionale) ha posto e pone il problema della dinamica della spesa

pubblica in una prospettiva sovranazionale. È indubbio che oggi il far

parte dell’Unione europea costituisce un vincolo importante all’uso

«improprio» della spesa pubblica, soprattutto se finanziata in disavanzo.

Nella fase attuale il dibattito accademico e politico tocca principalmente

la questione dell’entità, dell’adeguatezza e della tipologia della spesa

pubblica e della pressione fiscale in un momento in cui tutti i paesi

dell’area UE stanno avendo una crescita molto debole. Il dibattito è

aperto e vivace e, come è noto, ha recentemente toccato la questione

della riforma al Patto di stabilità con l’obiettivo di rilanciare lo sviluppo

economico. Questo induce a concludere che la spesa pubblica dovrebbe

puntare sempre di più verso una spesa produttiva, capace cioè di

stimolare la crescita economica.

Concludiamo pertanto questo lavoro facendo alcuni cenni alle cosiddette

spese pubbliche di “qualità”. Come scrive un recente rapporto dell’Isae

(2003, pag. 12), il concetto di «qualità delle spese pubbliche» ricorre

ormai abbastanza spesso nella ricerca economica anche se non è

possibile definire in maniera univoca cosa si deve intendere. Un punto di

vista possibile per definire la qualità della spesa pubblica è ovviamente

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quello macroeconomico vale a dire egli “effetti che quest’ultime

producono sull’occupazione e sulla crescita economica”66.

Tuttavia anche in quest’approccio la scelta sul tipo o comparto di spesa

dipende anche dai target che un sistema economico decide di

raggiungere. Se l’obiettivo è migliorare la sicurezza allora la funzione

difesa assorbirà un maggior numero di risorse, se l’obiettivo è

minimizzare le disuguaglianze allora maggiori risorse saranno destinate

al welfare. Nella realtà poi, soprattutto a livello europeo, il problema

principale è addirittura quello di cercare la migliore combinazione

possibile tra le varie categorie funzionali di spesa pubblica dati gli

stringenti vincoli di bilancio posti da Maastricht e dal Patto di Stabilità e

Crescita.

Il tentativo allora a livello dell’Unione Europea è stato quello di definire

degli obiettivi per quelle funzioni di spesa che più delle altre possono

stimolare la crescita economica, incidere sulla produttività dei fattori,

sull’occupazione e più in generale migliorare la coesione sociale. Per

raggiungere questo proposito, l’Unione Europea con il Consiglio di

Lisbona del marzo 2000 ha fissato un obiettivo ben preciso: divenire

l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del

mondo. Nei Consigli successivi questo obiettivo è stato reso ancora più

66 Isae (2003, p. 121). In questa stessa pagina del rapporto leggiamo anche che il secondo approccio è quello relativo alla governance, cioè la qualità si riferisce al modus

operandi delle amministrazioni pubbliche; a questo proposito vale la pena anche ricordare che gli indicatori di governance entrano fra le variabili usate dal World economic forum per elaborare i cosiddetti indici di competitività. Il terzo approccio assume il punto di vista aziendalistico, la qualità quindi si riferisce “alle caratteristiche dei processi e dei prodotti e in tale contesto assume particolare rilievo la soddisfazione degli utenti”.

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preciso: entro il 2010 le spese in ricerca e sviluppo dovranno toccare il

3% del Pil67.

Su questo sfondo come scrive l’Isae (2003, pag. 124): “si può sostenere

che una composizione della spesa che accentui in misura più sensibile

l’accumulazione di capitale fisico ed umano, infrastrutture e programmi

mirati di trasferimenti sociali possa essere considerata una spesa di

qualità”. Più in particolare, secondo questo rapporto, occorre individuare

una definizione di “investimenti allargati” che include oltre alla spese in

capitale fisico, anche quelle in capitale umano, ricerca scientifica e

sviluppo tecnologico “categorie per le quali le evidenze empiriche

offrono numerose, anche se non univoche, conferme circa l’esistenza di

effetti positivi di lungo periodo sulla crescita economica” (Isae, 2003,

pag. 124). In particolare alcuni studi hanno dimostrato che isolando le

singole categorie di spesa è osservabile che alcune spese sono più

produttive di altre68. In estrema sintesi un effetto sulla crescita viene

prodotto dalla spesa per la funzione istruzione, per la ricerca e sviluppo

ed anche, con alcune condizioni, per la protezione sociale dato che una

maggiore disuguaglianza nel reddito potrebbe portare minore crescita.

In generale per analizzare empiricamente il ruolo della spesa pubblica

sulla crescita economica un dato a cui più spesso ci si riferisce è quello

relativo alla quota di spesa in conto capitale sul Pil, in particolare quella

67 Per informazioni sui numerosi documenti e iniziative che l’Unione europea ha adottato su questo tema a partire dal Consiglio di Lisbona cfr. la pagina web http://europa.eu.int/comm/research/era/3pct/index_en.html#milestones.68 Per i riferimenti a questa letteratura economica rinviamo alla bibliografia contenuta in Isae (2003).

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per investimenti fissi lordi69. Guardando la dinamica di quest’ultima

voce di spesa (Grafico 4) certamente emerge un declino degli

investimenti nella UE rispetto agli Stati Uniti e rispetto al Giappone.

Dal confronto invece tra Italia, Germania, Regno Unito e Francia (cfr

Appendice, Grafico 1A) emerge il ruolo non particolarmente

significativo che questa voce di spesa ha nel caso del Regno Unito

soprattutto a partire dal 1997. Questo risultato è abbastanza sorprendente

se correliamo questa variabile con la dinamica di crescita di questo

paese che proprio dal 1997 ha tassi di crescita più elevati rispetto ai

paesi qui considerati (cfr. Appendice Tabella 1A). Una prima

conclusione da trarre, molto generale e descrittiva, è quindi che la

dinamica di spesa in investimenti fissi lordi non può dare predizioni

univoche sulla dinamica di crescita di un paese70.

69 Cfr. il Paragrafo 3 per la definizione di questa voce di spesa e cfr. l’Appendice per la spesa in conto capitale della Francia, della Germania e del Regno Unito. 70 La stessa letteratura economica non fornisce evidenze empiriche conclusive sul nesso investimenti pubblici e crescita. Cfr. Isae (2003) in particolare pag. 155 dove si riportano in una Tabella i principali risultati di questa letteratura economica.

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Grafico 4 - Andamento spesa per investimenti – Stati Uniti, Giappone e UE- (in % del Pil)

Fonte: Isae (2003, pag. 149).

Infatti, proprio nei paesi più sviluppati si possono modificare più

facilmente i confini fra investimenti pubblici e privati per l’emergere

delle cosiddette pubblic-private partnership; inoltre i paesi che hanno

accumulato un ampio stock di capitale fisico potrebbero spostare le loro

risorse verso la spesa in ricerca e sviluppo e per la formazione del

capitale umano, spese quest’ultime che vengono incluse nelle categoria

di spese correnti. Anche queste considerazioni rafforzano l’idea, come

accennato sopra, della necessità di individuare una definizione di

“investimenti allargata”. In altri termini, secondo l’Isae (2003, pag. 151

e ss.) la definizione di “investimento allargato” dovrebbe comprendere

le spese per investimenti fissi lordi, quella per ricerca e sviluppo e quelle

per l’accumulazione del capitale umano (inteso sia come conoscenza

che come capacità professionale dei lavoratori).

Nelle righe precedenti abbiamo accennato brevemente in termini

quantitativi agli investimenti fissi lordi; per un’analisi puntuale e

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71

completa sulla spesa rinviamo invece ad alcuni studi in proposito71 e ci

limitiamo qui a ricordare il dato che l’Italia si colloca negli ultimi posti

nella classifica della spesa in Ricerca e Sviluppo (circa 1,07%). La

Francia, la Germania e il Regno Unito si collocano fra il 2 e il 2,5%. Il

gap della media UE con gli Stati Uniti è significativo (circa un punto

percentuale). In Europa soltanto la Svezia e la Finlandia spendono di più

degli Usa. Recuperare questo gap è la principale scommessa che

l’Europa ora si prepara ad affrontare72.

Tuttavia dai dati emersi nel corso di questo studio abbiamo visto che il

peso del settore pubblico sul Pil è di circa il 53% in Francia, il 48% in

Germania, il 41% nel Regno Unito e il 47% in Italia (che è anche il dato

relativo alla media della UE15). In Giappone e negli Usa il peso del

settore pubblico è invece rispettivamente il 38% e il 35%. Questi dati,

insieme alla disciplina e ai vincoli di bilancio, pongono la questione su

quali misure adottare per far crescere la spesa in “investimenti allargati”

senza aumentare eccessivamente la quota di spesa pubblica totale sul

Pil. Una strada percorribile è allora anche una rimodulazione o

ricomposizione della spesa pubblica verso più “spesa di qualità”.

Questo è l’orientamento della Commissione Europea che in una sua

Comunicazione73 dal titolo “INVESTING IN RESEARCH: AN ACTION PLAN

FOR EUROPE”, in un paragrafo che si intitola “REDIRECTING PUBLIC

SPENDING TOWARDS RESEARCH AND INNOVATION”, scrive: “The recent

Commission proposals for strengthening the co-ordination of budgetary

71 Cfr. Quadrio Curzio (2004a; 2004b) e la bibliografia ivi citata. 72 Questi dati si riferiscono al 2000. 73 Comunicazione della Commissione Europea COM (2003) 226 finale, Brussels, 30 maggio, 2003.

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policies confirmed that the quality of public finances, under the angle of

their contribution to growth, is an integral part of budgetary surveillance

within the context of stability and convergence programmes. In this

regard, the Commission has repeatedly made the case for refocusing

public spending towards more productive investments, notably in

support of research and innovation, since they are conducive to higher

growth in the future. In order to ensure macroeconomic stability and

long term sustainability of public finances, this must be done within the

framework of the stability and growth pact. Increased public support for

research and innovation is one of the categories of spending in support

of the Lisbon objectives, for which the Commission considers that small

and temporary public deficits should be authorised in countries having

otherwise attained a positive or close to balance budget position. The

current economic downturn makes it all the more important to ensure

that budgetary policies favour investments that will lead to higher

sustainable growth in the future.

Consistent with this approach, the Commission's proposal for the broad

economic policy guidelines 2003-2006 recommends to refocus public

spending towards more productive investment, particularly research and

innovation, and translates this priority into a number of specific

recommendations to Member States” (pag. 18).

Infine concludiamo questo lavoro dicendo anche che abbiamo fermato la

nostra indagine quantitativa al 2002 perché per il 2003 e per il 2004, nel

momento in cui scriviamo, sono in corso processi di revisione dei dati

da parte di Istat e di Eurostat. Come è noto, i dati – seppur semidefinitivi

e provvisori – di cui disponiamo per il 2003 e per il 2004 non sono per

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73

nulla confortanti sia in termini di crescita sia in termini di saldi di

bilancio.

Come per il 1992 «crisi» è la parola più dominante nel dibattito politico

e accademico. Allo stato attuale la strada per i governi è nuovamente in

salita.

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Appendice

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CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICA, ECONOMIA

INTERNAZIONALE E SVILUPPO ECONOMICO

Working Papers (*)

1994 Alberto Quadrio Curzio La Banca d’Italia dal 1914 al 1936

1994 Alberto Quadrio Curzio Tre livelli di governo per l’economia italiana

1994 Alberto Quadrio Curzio e Roberto Zoboli Linee di recente sviluppo dell’arco alpino ristretto

1994 Giuseppe Colangelo Optimal durability with buyer’s market power

1994 Giuseppe Colangelo Vertical organizational forms of firms

1994 Giuseppe Colangelo Exclusive dealing may foster cross-collusion

1994 Piergiovanna Natale Pricing strategies: a brief survey

1994 Piergiovanna Natale Posted vs. negotiated prices under asymmetric

information

1994 Roberto Zoboli The Alps in the economic and ecological systems of

Europe

(*) It is a new series of Cranec Working Papers, began in 1994. Since 1978 to 1994, 45 working papers have been published.

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1994 Daniela Feliziani Organizzazione e regolamentazione degli orari di

lavoro nei paesi industrializzati

1995 Maddalena Baitieri Sistemi di ricerca e innovazione tecnologica

1995 Maddalena Baitieri Sviluppo tecnologico e tutela dell’ambiente e della vita

1995 Piergiovanna Natale Rapporto di lavoro: una reimputazione

1996 Alberto Quadrio Curzio e Fausta Pellizzari Risorse, prezzi e rendite ambientali. Un’analisi

uniperiodale

1997 Alberto Quadrio Curzio Italy and the European Monetary Union. Why Italy is

on the border line?

1998 Giulio Cainelli e Claudio Lupi The choice of the aggregation level in the estimation of

quarterly national accounts

1999 Deborah Grbac Sulla globalizzazione del sistema economico con

particolare riferimento all’economia lombarda e

milanese

1999 Marco Fortis PMI, Distretti industriali e liberalizzazione del mercato

dell’energia elettrica

2000 Deborah Grbac Transnational and inter-regional cooperation and

macroeconomic flows, a case-study.

Mitteleuropa

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2000 Alberto Quadrio Curzio Dalle istituzioni economiche nazionali a quelle

continentali e sovranazionali. Applicazioni del

principio di sussidiarietà

2001 Floriana Cerniglia e Massimo Bordignon L’aritmetica del decentramento: devolution all’italiana

e problemi connessi

2001 Fausta Pellizzari Environmental resources, prices and distribution

2001 Massimo Visconti Misure della performance d'impresa e indicatori di

bilancio: un paradigma ancora valido?

2001 Marco Fortis e Alberto Nodari Un marchio di qualità AVR per la produzione italiana

di rubinetteria e valvolame: uno strumento per la

valorizzazione e la promozione del made in Italy

2002 Floriana Cerniglia Distributive politics and federations

2003 Floriana Cerniglia La riforma del titolo V della Costituzione e i nuovi

rapporti finanziari fra Stato ed autonomie locali: una

valutazione quantitativa

2003 Floriana Cerniglia Decentralization in the public sector: quantitative

aspects in federal ad unitary countries

2003 Giuseppe Colangelo, Gianmaria Martini Relazioni verticali e determinazione del prezzo nella

distribuzione di carburanti in Italia

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2003 Floriana Cerniglia (con M. Bordignon e F. Revelli) In search of yardstick competition: a spatial analisys of

Italian municipality property tax setting

2003 Alberto Quadrio Curzio Europa: crescita, costruzione e Costituzione, Working

Paper Cranec-Diseis (Dipartimento di economia internazionale, delle istituzioni e dello sviluppo)

Working Papers edited by Vita&Pensiero (**)

2003 Daniele Schilirò Teorie circolari e teorie verticali della dinamica

economica strutturale: verso uno schema analitico di

carattere generale

2003 Fausta Pellizzari Esternalità ed efficienza. Un’analisi multisettoriale

2003 Alberto Quadrio Curzio Europa: crescita, costruzione e costituzione

2003 Fausta Pellizzari Regolamentazione diretta e indiretta in un modello

multisettoriale

2004 Mario A. Maggioni e Teodora E. Uberti La geo-economia del cyberspazio. Globalizzazione

reale e globalizzazione digitale

(**) This new series of Cranec Working Papers began in Autumn 2003 with the cooperation of the Catholic University Editor, Vita&Pensiero.

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2004 Moshe Syrquin Globalization: too Much or is too Little?

2005 Giovanni Marseguerra Il “capitalismo familiare” nell’era globale: la

Sussidiarietà al servizio dello Sviluppo

2005 Daniele Schilirò Economia della Conoscenza, Dinamica Strutturale e

Ruolo delle Istituzioni

2005 Valeria Miceli Agricultural Trade Liberalization and the WTO Doha

Round

2005 Valeria Miceli EU Agricultural Policy: the Concept of

Multifunctionality and Value Added Agriculture

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Finito di stampare nel mese di novembre 2005

da Gi&Gi srl - Triuggio (Mi)

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Università Cattolica del Sacro Cuore

CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICAE SVILUPPO ECONOMICO INTERNAZIONALE

La spesa pubblica in Italia:articolazioni, dinamica e

un confronto con gli altri Paesi

Floriana Cerniglia

ISBN 978-88-343-1316-X

€ 3,00