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INCHIESTA SUI TESTI PER L’INSEGNAMENTO DELLA STORIA CONTEMPORANEA NELLA SCUOLA ITALIANA
Il movimento di liberazione in Italia riprende con la pubblicazione di questa inchiesta sulla storia contemporanea nei libri di testo della scuola italiana un tema di lavoro già avviato e sviluppato in anni precedenti, che esso considera congeniale e doveroso nei confronti dei fini istituzionali dell'Istituto rispetto al proprio orientamento, inteso a promuovere la conoscenza critica e oggettiva della storia della Resistenza come momento decisivo e asse della storia contemporanea. Le prospettive nuove che l’inchiesta che adesso presentiamo apre consistono, quanto al contenuto, nella considerazione della diffusione dei singoli manuali e dei criteri della loro adozione e, quanto al metodo, nel lavoro di équipe sul quale essa si fonda. Si tratta, come apparirà 'evidente ai nostri lettori, di un terreno e di un procedimento coi quali la nostra cultura, e il nostro stesso lavoro, hanno una scarsa consuetudine. Va da sé che, come per ogni altro scritto pubblicato sulla rassegna, la direzione della rivista non si identifica con alcuno dei giudizi specifici contenuti nella inchiesta. Desideriamo però sottolinearne la validità come inizio, o meglio ripresa, di un processo di lavoro, che si collega direttamente con la profonda spinta oggi in atto alla riconsiderazione del posto dell'insegnamento della storia contemporanea nella scuola italiana-, un problema, questo, che la rassegna si propone di sviluppare e di approfondire. A questo fine essa invita i suoi lettori ad intervenire nella discussione e nella indagine che questa inchiesta apre.Premessa
Nel 1964 abbiamo pubblicato su questa rassegna una serie di schede sui principali testi di storia in uso nella scuola media inferiore e superiore, con un esame critico della trattazione riservata al periodo contemporaneo. Il quadro dell’insegnamento della storia contemporanea nella scuola che era fornito da questa inchiesta era assai sconfortante: la grande maggioranza dei testi rivelava un’estrema riluttanza ad affrontare il periodo successivo al 1918, un generico qualunquismo moralistico espresso in un impossibile sforzo di equidistanza tra gli opposti estremismi, una carenza didattica particolarmente sensibile per la media inferiore ’.
A distanza di alcuni anni, desideriamo tornare sul problema, sia per stabilire alcuni termini di raffronto, sia per fornire agli insegnanti un modesto servizio. In questi anni il mondo della scuola è stato sconvolto dalle lotte degli studenti
1 La storia contemporanea nella scuola. Note sui libri di testo, a cura di Luigi Ganapini, Rachele Gruppi Farina, Massimo Legnani, Giorgio Rochat e Angela Sala, in II movimento di liberazione in Italia, n. 75 (aprile-giugno 1964), pp. 68-98.
e degli insegnanti, che hanno sviluppato la coscienza dell’insufficienza dell’im- postazione didattica tradizionale e la consapevolezza del ruolo politico della scuola come luogo di formazione al consenso oppure alla critica. Particolarmente l’insegnamento della storia contemporanea è stato investito dal nuovo interessamento di studenti e professori, tanto che talora ha cessato di essere la cenerentola degli studi per diventare uno dei settori più seguiti.
Il nostro esame per forza di cose si deve fermare ai libri di testo ed al materiale complementare edito, nella piena consapevolezza che in questi anni i libri di testo hanno perso importanza nella scuola e sono rifiutati da un numero crescente di studenti e professori. D’altra parte il libro di testo è ancora una realtà nella maggioranza delle scuole e rappresenta anche l’unico elemento di confronto tra situazioni diverse; né sembra aver esaurito la sua funzione, se uomini di scuola tra i più aperti alle nuove istanze di insegnamento democratico vedono ancor oggi nella stesura di un testo scolastico una forma di completamento del loro lavoro.
La nostra inchiesta ha preso in esame quei testi che, sulla base di rilevazioni empiriche (di cui in parte si rende conto), ci risultavano più diffusi nella scuola media inferiore e superiore o ci sembravano comunque degni di interesse. Di ognuno è stata presa in esame sostanzialmente la parte dedicata alla storia contemporanea (all’incirca dall’inizio del secolo ad oggi) ed a questa soltanto si riferiscono i giudizi espressi in questa sede. In linea di massima il nostro esame ha mirato a stabilire se la trattazione della storia contemporanea nei diversi testi poteva considerarsi sufficientemente esauriente e corretta e tale da sviluppare nel giovane studente la capacità di un giudizio critico autonomo.
Sono stati presi in esame i libri di testo della scuola media e delle scuole superiori, i volumi di educazione civica, le antologie di testi critici e di documenti, le collane di monografie storiche e di documenti, gli atlanti storici. Sono invece state escluse da questa inchiesta, per la tirannia dello spazio, le scuole professionali, mentre un cenno appena è stato dedicato alle elementari. Pure lasciati da parte i problemi dell’insegnamento e della ricerca universitaria, per cui scarso significato poteva avere l’analisi dei libri di testo.
Criterio generalmente seguito è stato quello di affidare la responsabilità dell’esame dei testi a diversi collaboratori (a costo di una minore omogeneità e di qualche ripetizione), per offrire un più ampio ventaglio di giudizi, pur nell’ambito di un accordo di fondo. Le diverse schede sono poi state collegate con brevi note introduttive che mettessero in evidenza le caratteristiche comuni alle opere esaminate.
Hanno collaborato all’inchiesta: Francesco Agli, Ernesto Bein, Roberto Evnard, Luigi Ganapini, Antonio Gibelli, Gaetano Grassi, Gaetano Grasso, Massimo Legnani, Pietro Riccobene, Anna Sabatini Gallerano, Paolo Speziale; inoltre gli Istituti per la storia della Resistenza di Brescia, Cuneo, Genova, Novara, Napoli, Ravenna, Roma, Torino, Udine. Ha coordinato l’inchiesta Giorgio Rochat.A. Un accenno al testi delle elementari
È assai difficile definire lo scopo vero ed ultimo dell’insegnamentodella storia nelle scuole elementari, poiché bisogna distinguere fra ciò che
4 Inchiesta sui testi di storia contemporanea
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 5è previsto dai programmi scolastici (testo del 1955), ciò che è indicato dalla ricerca psicopedagogica ed, infine, dalla prassi (libri di testo ed insegnamento quotidiano).
A livello elementare, lo studio della storia deve rafforzare nel ragazzo la nozione e la coscienza del tempo; da un primo stadio di indifferenziazione fra lo ieri-oggi-domani, si perviene ad una conquista lenta e graduale in campo spazio-temporale delle « dimensioni » degli oggetti e delle azioni. In pratica, lo studio della storia dovrebbe approfondire e fondare questa embrionale coscienza, puntando su realtà ed esperienze vicine (psicologicamente) al ragazzo e tralasciando, se necessario, la pura presentazione cronologica dei fatti a vantaggio di un invito all’osservazione degli aspetti sociali, economici, culturali, politici della vita nella loro evoluzione e differenziazione.
Di fatto, con i libri sussidiari e l’insegnamento, ci si trova in una situazione assai distante dalle richieste psicopedagogiche, preoccupati per lo più di trasmettere alcune nozioni, date, nomi. In genere, il programma delle elementari risulta essere una riduzione quantitativa dei corsi per le medie inferiori e superiori, anziché un ripensamento ed una ristrutturazione della materia sul piano qualitativo ed operativo. Esistono tentativi di revisione, promossi e sostenuti dal Movimento di cooperazione educativa, ma sono assai poco numerosi e conosciuti.
I due testi esaminati non hanno la pretesa di essere in alcun modo paradigmatici; sono due esempi qualsiasi di corsi per le elementari (scelti fra i più adottati), osservati dal punto di vista della storia contemporanea. Essendo i testi comprensivi di tutte le materie, per scegliere una buona sezione per la matematica o per l’italiano, spesso si finisce per adottare libri carenti in altre sezioni, come appunto la storia. È consigliabile, quindi, che gli insegnanti, al momento della scelta per le adozioni, prestino estrema attenzione alla trattazione storica, per non trovarsi poi con un libro scadente o inesatto proprio in questa importante sezione.
Roberto Eynard
Fuochi. Sussidiario per la quinta classe, Brescia, La Scuola, 1969, pp. 320 (storia pp. 66).Il periodo storico che va dal Rinascimento ai giorni nostri è trattato qui con notevole ampiezza, rispetto agli altri testi
adottati nella scuola elementare.Caratteristica principale e sempre presente è la preoccupazione moralistica. Ciò non impedisce di riscontrare nella trattazione di particolari argomenti un certo rigore scientifico, mentre in altri passi è troppo evidente la ricerca di una
certa neutralità scientifica che finisce per diventare equivoca.Periodi particolarmente importanti, come il Risorgimento, e personaggi di rilievo, come Napoleone, sono introdotti da un lungo elenco di date e di avvenimenti, caratteristici del più arido nozionismo (cfr. pp. 42, 57, 85-86).Il periodo che va dal Rinascimento italiano alla Controriforma viene trattato ampiamente, anche se si nota una certa confusione nell’analisi dei fatti rilevanti e delle componenti degli stessi.Dopo aver tratteggiato, abbastanza ra
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pidamente, la prima colonizzazione americana e la successiva guerra d’indipendenza, senza per altro minimamente accennare al problema degli « indiani » e dei negri d’America, si arriva alla situazione sociale in Europa, e in particolare in Francia, alla vigilia della Rivoluzione francese. Uno spazio veramente esiguo è concesso alla ventata di rinnovamento che si verifica in questo periodo; riforme e violenza sono equivocamente accomunate. Così infatti testualmente: « Da quel giorno la Francia fu sconvolta da riforme e da violenze senza pari» (p. 41). Successivamente, trattando del periodo della Restaurazione, si presenta, anacronisticamente, « il re come un buon padre » (p. 48).
Maggior spazio, secondo la tradizione dei nostri libri di testo, è dato al periodo che va dai moti carbonari all’unificazione dell’Italia; mentre i problemi dell’Italia dopo l’unità e la questione sociale di fine secolo sono liquidati brevemente e superficialmente. Al periodo che va dall’inizio del secolo ai giorni nostri sono dedicate ben tre pagine; di esse non più di quattro righe sono dedicate al fascismo ed alla Resistenza! L’impostazione didattica e l’organizzazione tipografica ci sembrano valide. Il linguaggio è accessibile e chiaro. L’esposizione è sovente integrata da testimonianze di contemporanei che rendono più viva e concreta la narrazione. Meno utili ci sembrano invece le letture confinate in fondo al testo. Ogni capitolo è chiuso da un questionario che ha lo scopo di far riconsiderare il materiale ed i fatti studiati secondo un diverso ordine logico. Le illustrazioni, per lo più quadri di autori contemporanei agli avvenimenti considerati, sono sempre parte integrante del testo.Francesco Agli
Mondo aperto. Sussidiario per la scuola elementare, classe quinta, Milano, CE- TEM, 1968, pp. 320 (storia pp. 54).La sezione di questo sussidiario dedi- data alla storia, curata da Bartolo Viro- glio, rappresenta un notevole tentativo di rinnovamento dei testi della scuola elementare, sia per quanto riguarda il con
tenuto, sia per quanto riguarda la compilazione. L’esposizione si presenta in forma chiara e semplice. L’organizzazione tipografica presenta caratteristiche positive, quali un giusto equilibrio tra testo e illustrazioni, non semplicemente adornative, e la presenza del documento a fianco del testo. Un’utile scheda riassuntiva è posta al termine di ogni capitolo. L’introduzione dell’abbondante documentazione, scritti e fotografie, non ha solo lo scopo di dare concretezza alla narrazione, ma anche e forse soprattutto intento formativo. L’autore cerca inoltre, attraverso i documenti, di favorire l’approccio del bambino alla storia.Il terzo volume considera, secondo la partizione tradizionale, il periodo storico che va dalla scoperta dell’America ai giorni nostri. Le schematizzazioni e le generalizzazioni imposte dal limitato numero di pagine infirmano alle volte il rigore storico e provocano cedimenti al nozionismo.Alcuni argomenti sono trattati in modo veramente esemplare. Possono essere considerati capitoli-tipo, per la completezza della loro struttura, quelli dedicati alla situazione dell’Italia nel Seicento, alla Rivoluzione americana, all’affermarsi della industrializzazione, con tutti i problemi conseguenti, nell’Ottocento, alla situazione dell’Italia e del mondo nel secondo dopoguerra, mettendo qui in risalto soprattutto la fine del colonialismo e i problemi dei paesi sottosviluppati, della fame, della pace.
Alcuni altri capitoli ci sembrano incompleti; sono stati del tutto dimenticati, o non sufficientemente analizzati in tutte le loro componenti, avvenimenti che pure hanno lasciato tracce profonde, quali la Controriforma, la Rivoluzione francese, la esportazione delle idee rivoluzionarie in Europa con le armate napoleoniche. Con Napoleone e le guerre d’indipendenza l’autore non va molto oltre l'histoire- bataille.
Al periodo che va dal primo al secondo dopoguerra, anche se l’impostazione ci pare storicamente corretta, è dedicato uno spazio troppo limitato. Si nota una certa confusione tra movimento di liberazione e resistenza. Il testo rimane comunque uno dei migliori, per quanto riguarda la storia, tra tutti quelli adottati nella scuola elementare. Francesco Agli
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B. I libri di testo per la media unica
Alcuni dati sulle adozioniNon esistono statistiche ufficiali o ufficiose sulla diffusione dei diffe
renti testi di storia nella scuola italiana. Nel tentativo non di colmare questa lacuna, ma di indicare l’interesse di una ricerca di questo genere, abbiamo raccolto alcune indicazioni provenienti da diverse città, valendoci della rete di Istituti associati all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia.
Avvertiamo subito che i nostri dati non hanno alcuna pretesa di completezza. L’indagine è stata affrontata sistematicamente a Milano, Torino e Napoli (pur con vari limiti) ed assai empiricamente in alcune altre città; perciò i suoi risultati non possono essere sopravalutati né sopratutto estesi a tutto il territorio nazionale. Riportiamo ugualmente queste indicazioni perché, con tutti i loro limiti, permettono al discorso di uscire dal generico nebuloso in cui lo relegano gli interessi coalizzati delle case editrici e della burocrazia. Ci impegniamo naturalmente sin d’ora a rendere note tutte le integrazioni o fondate rettifiche che ci perverranno *.
Il nostro discorso si basa essenzialmente sui dati raccolti sulle adozioni nell’ultima classe delle scuole medie delle province di Milano e Torino, che, per quanto incompleti, sono largamente rappresentativi: 1550 sezioni per Milano1 2, 766 per Torino3.
Balza subito agli occhi il grande numero di testi adottati: 43 nella provincia di Milano, 39 in quella di Torino, con un totale di 55 titoli. Ad un esame più attento le adozioni risultano assai più concentrate. A Milano, cinque testi totalizzano il 58% delle adozioni, altri 18 si spartiscono il 38%, 20 testi il restante 4% (meno di 10 sezioni a testa). A Torino cinque testi (quattro dei quali già tra i più diffusi a Milano) raggiungono
1 Hanno collaborato alla raccolta dei dati gli Istituti di Brescia, Cuneo, Genova, Novara, Napoli, Ravenna, Roma, Torino, Udine. Ringraziamo particolarmente Laura Sette (dati per Torino), Ugo Gargiulo e Vera Lombardi (dati per Napoli), Antonio Gibelli e Anna Sabatini Gallerano. I dati per Milano ed il coordinamento sono stati curati da Giorgio Rochat.2 Dati desunti dallo spoglio delle relazioni inviate dai presidi al Provveditorato di Milano sulle adozioni per l’anno 1970-71, relativi a circa 1550 sezioni (672 in città, 883 in provincia). I dati numerici che diamo hanno un certo margine di approssimazione, perché abbiamo dovuto calcolare a occhio il numero delle sezioni delle poche scuole che non lo precisavano nelle relazioni da noi viste. Non ne dovrebbe risultare danno ai rapporti proporzionali nelle adozioni dei differenti testi.3 Dati desunti dallo spoglio delle relazioni inviate dai presidi all’Associazione commercianti della provincia di Torino, relativi al 77% delle scuole della città ed all’88% delle scuole della provincia. In complesso si hanno dati per circa 766 sezioni (354 in città, 412 in provincia), con un margine di approssimazione nei dati numerici dovuto
-.alle stesse cause già segnalate per Milano.
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il 59% delle adozioni, 14 testi sommano il 33,5% e 19 si dividono il residuo 6,5% (meno di sette sezioni l’uno). Ecco l’elenco dei testi più frequenti:
Milano e provinciaBrancati (Nuova Italia) 17 %Zelasco (Principato) 12,5%Paolucci (Zanichelli) 12,5%Nicolini-Consonni (SEI) 8,5%Giannelli (Bulgarini) 8 %
58 %Seguono, con diffusione decrescente dal 4% a meno dell’1% (in valori numerici,, da 64 a 10 sezioni) i seguenti testi: Ortolani-Pagella (Le Monnier), Bruni (Signorelli),.
Martinelli (Fabbri), Rossano (Marietti), Spadolini-Zampilloni (Le Monnier), Valeri- Rossi (Mursia), Montanari (Calderini), Avveduto-Borello Acri-Belvederi (Mondadori), Giulietti (Minerva italica), Negro (Paravia), Maturi (Loescher), Lombardi-Mozzati (SEI), Giachino-Guglielmotto (Lattes), La Vecchia-Santoro (Cappelli), Melzi d’Eril (Vallardi), Lelli (Mondadori), Spini (Cremonese) e Citti-Cossarini (Signorelli).Torino e provinciaZelasco 24,5%Brancati 14,5%Nicoiini-Gonsonni 8 %Caffo (Paravia) 7 %Paolucci 6,5%
59 %Seguono, con diffusione descrescente dal 5,5 all’1% (in valori numerici da 44 a 8 sezioni) i seguenti testi: La Vecchia-Santoro, Avveduto-Borello Acri-Belvederi, Ortolani-Pagella, Negro, Valeri-Rossi, Di Tondo (Loescher), Verdina (SEI), Rossano, Spadolini-Zampilloni, Diaz (D’Anna), Spini, Bruni, Lombardi-Mozzati, Vaccher (Fabbri) e Zanna (AIACE).
Emerge con chiarezza da questi dati un elemento assai interessante: la notevole affermazione di testi « nuovi » come il Brancati, il Paolucci,10 Zelasco, che, a cinque-sei anni dal loro ingresso sul mercato, coprono complessivamente quasi la metà della richiesta milanese e torinese. Pur diversi sotto molti aspetti, questi testi hanno in comune il rifiuto del tradizionale autoritarismo e nozionismo, cui contrappongono una ricerca didattica che, attraverso un’impostazione tipografica più vivace e razionale, il largo ricorso a letture e la preparazione sistematica di un lavoro autonomo di gruppo, mira a favorire la formazione critica del ragazzo. Ne deriva anche il superamento dei più pesanti conformismi politici, con una nuova attenzione ai problemi sociali ed economici, ai movimenti popolari, alla storia europea e mondiale. È specialmente la storia contemporanea che si è avvantaggiata da questa nuova impostazione che ha provocato11 franamento della barriera del 1945 (quando non del 1918). Grazie a questi testi, si può dire, la storia contemporanea è entrata nella scuola
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 9media, fornendo agli insegnanti gli strumenti per studiarla ed ai ragazzi l’occasione per richiederla. È vero che, in linea di massima, questi testi rivelano spesso un certo impaccio dinanzi ai problemi più scottanti degli ultimi dieci anni, risolti in chiave di un ottimismo superficiale; ma si tratta di un limite che ha radici troppo al di là della scuola (si pensi alle carenze dell’informazione di massa) per poterlo rimproverare ai già benemeriti autori.
Riteniamo perciò che l’immissione sul mercato di questi testi nuovi sia un fatto molto positivo, anche per l’azione di stimolo che hanno avuto nell’aggiornamento almeno formale dei manuali concorrenti e nella recente pubblicazione di testi assai interessanti come il Di Tondo-Guadagni (Loescher). Tuttavia il loro successo non va sopravalutato; a questo proposito è interessante rilevare una certa differenza tra città e provincia nelle adozioni. Per brevità diamo i dati numerici, benché debbano essere intesi come approssimativi:
Milano Torinocittà provincia città provincia
Brancati 76 185 28 68Zelasco 90 103 110 87Paolucci 64 128 19 34Nicolini-Consonni 76 55 46 12Giannelli 32 93 — 5Caffo — — 28 22(totale sezioniesaminate) (672) (883) (354) (412)
Risulta abbastanza evidente la maggior diffusione nelle scuole della provincia rispetto a quelle della città di almeno due testi « nuovi », il Brancati ed il Paolucci (non a caso i due più tacciati di marxismo) che hanno complessivamente il 21% delle adozioni in Milano città ed il 35,5% in provincia, il 13,5% in Torino città ed il 24,5% in provincia. Tale fenomeno non può essere ricondotto che alla diversa composizione del corpo insegnante che, in seguito alla forte espansione scolastica nei due centri, è costituito nelle scuole di provincia in maggioranza di elementi giovani, venuti all’insegnamento in questi ultimi anni, più sensibili alle esigenze didattiche e disposti a sperimentare testi nuovi e impegnati4.
Per contro, buona parte degli insegnanti meno giovani (e dei presidi, la cui influenza sulle adozioni è nota) si mantiene fedele allo stesso autore attraverso gli anni: solo così si spiega la persistenza locale di alcuni manuali (il Giannelli a Milano, il Caffo a Torino) e l’abbondanza di testi a bassissima diffusione, generalmente antiquati e scadenti. Vero è che questi4 Lo stesso fenomeno ci è segnalato nella provincia di Roma e nelle città limitrofe, in cui una parte del corpo insegnante è costituita da studenti o neo-laureati attivi nel movimento studentesco.
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testi trovano un mercato sussidiario nelle scuole private; i nostri sondaggi non sono stati estesi a questo settore se non saltuariamente, ma dai dati raccolti risulta evidente il predominio dei manuali più tradizionali e l’assenza pressocché totale di quelli « nuovi » nelle scuole private.
I dati raccolti a Milano e Torino, tuttavia, non sono molto indicativi della situazione italiana nel suo complesso. Da Cuneo ci viene segnalato l’assoluto predominio del Nicolini-Consonni, seguito dal Negro, mentre a Udine è ancora il Nicolini-Consonni che risulta il più diffuso insieme al Montanari, seguito dal Brancati, dal Giulietti, dal Negro, dal Giannelli e addirittura dall’antichissimo Manaresi (Poseidonia). A Brescia invece è il Brancati ad avere una buona affermazione, seguito dal Montanari; ma il complesso delle informazioni lascia intravedere che la diffusione dei testi « nuovi » è attualmente limitata alle maggiori città. Anzi, alle maggiori città settentrionali, perché i dati di Napoli forniscono un quadro assai diverso e degno di molta attenzione, anche perché completo5. Eccone i termini essenziali:
Napoli città (667 sezioni)Giannantonio (Loffredo) 66 (10%)Peruzzi (Poseidonia) 54 ( 8%)Giannelli 40 ( 6%)Bruni 33 ( 5%)Fortunato (Conte) 32 ( 5%)
225 (34%)Seguono altri cinque testi con circa il 4% delle adozioni (da 27 a 23 sezioni): Negro, Antocicco (Federico e Ardia), Brancati, Spadolini-ZampiÙoni, Zanna. Un testo con 16 adozioni, il 2,5%: Bini (Aristea). E infine altri 34 testi con meno di 10 adozioni l’uno.Registriamo così per Napoli un numero di titoli più elevato che non
per Milano, con una dispersione assai maggiore: i primi undici manuali totalizzano solo il 55% delle adozioni. Cinque di questi testi sono praticamente ignorati a nord — il che è comprensibile, dato che almeno in tre casi (per il Giannantonio, il Fortunato, l’Antocicco) si tratta di manuali scritti da insegnanti napoletani e stampati da case editrici napoletane. Tutto questo non sarebbe gran male, se i testi adottati fossero di buona qualità; e invece si tratta di opere superate e conservatrici, tra le quali si è inserito (all’ottavo posto!) uno solo dei manuali «nuovi» che primeggiano a Milano e Torino. Né possiamo sperare che questo di Napoli sia un caso-limite: non abbiamo altri dati in mano, ma crediamo di poter presumere che la situazione di Napoli (massima dispersione e vischiosità1 Dati desunti dagli elenchi di adozioni stampati dall’Associazione libraria napoletana in base alle indicazioni del Provveditorato, relativi a 84 scuole della città e 667 sezioni, di cui si considera la terza classe.
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 11nelle adozioni, con assoluto predominio di testi superati) sia piuttosto la norma in un’Italia in cui Milano e Torino, semmai, segnano un caso- limite di attenzione alle novità didattiche.
Il discorso tuttavia non si può esaurire con un giudizio moralistico sull’arretratezza dei professori della media unica (benché il diverso andamento delle adozioni nelle scuole superiori sia certo dovuto anche ad una maggiore qualificazione degli insegnanti), ma deve allargarsi alle strutture della scuola e, specie per il problema che stiamo trattando, alle case editrici. Dietro alla riluttanza di tante scuole a cambiare testo stanno anche precisi interessi economici: l’adozione di un solo testo in una sola sezione comporta un volume di vendite che si aggira sulle 150.000 lire annue; il controllo di un paio di scuole con qualche diecina di adozioni basta già a garantire una confortevole rendita senza problemi (non è un caso che praticamente tutti i volumi che abbiamo visto per questa inchiesta avessero appena subito un aumento di prezzo intorno al 15%). Chi paga (le famiglie) non può rifiutare né condizionare le scelte di chi decide (gli insegnanti); si capiscono perciò le pressioni degli editori, il cui aspetto più evidente è la larghezza di omaggi di volumi, con un costo che ricade in definitiva ancora sulle famiglie.
Il successo di mercato dei testi « nuovi » dimostra che alcune nostre case editrici possono anche svolgere una funzione d’urto contro le resistenze conservatrici del mondo della scuola, adoperando il loro peso a favore di opere sensibilmente migliori di quelle in circolazione; ma sul piano più generale non si può non rimanere perplessi dinanzi al condizionamento sempre più stretto che gli interessi editoriali esercitano sulle scelte della scuola italiana. Oggi non è più concepibile la diffusione fuori dall’ambito locale di un testo (indipendentemente dal suo valore) che non abbia alle spalle una grande casa capace di assicurare prima l’assistenza tecnica all’autore (si pensi al ruolo crescente dell’impaginazione e del corredo di illustrazioni e schizzi, oltre che all’evoluzione verso opere redazionali) e poi una costosa e assidua propaganda capillare.
Con tutto ciò, l’adozione di un buon manuale ha poco significato se l’insegnante continua ad usarlo con criteri tradizionali, riducendolo a veicolo di autoritarismo e nozionismo. La larga diffusione di testi nuovi non implica automaticamente una scuola « nuova », non è necessario insistervi; ma qui il discorso si allargherebbe ben al di là dei limiti modesti che la nostra inchiesta si è prefissa, puntando su un’analisi circoscritta al materiale edito.
Manteniamo perciò il discorso sui libri di testo esistenti e passiamo ad ■ esaminarne alcuni in dettaglio 6. Ricordiamo soltanto che anche nei limiti6 I testi sono stati scelti con un criterio empirico tra quelli ritenuti più interessanti per difiusione o per novità. Anche se abbiamo cercato di dare la precedenza a questi ultimi, la selezione operata non implica automaticamente un giudizio positivo verso le
12 Inchiesta sui testi di storia contemporanea
di questa inchiesta il discorso non può considerarsi chiuso con queste pagine, ma deve comprendere anche il materiale integrativo (collane monografiche, atlanti storici, testi di educazione civica) che presentiamo a parte.
Giorgio Rochat
Antonio Brancati, L’uomo e il tempo, volume terzo, Firenze, La Nuova Italia, 1970 (I ed. 1966), tomo primo: Materiale di lavoro, pp. 299, lire 1150; tomo secondo: Profilo, pp. 243, lire 1150.Il corso è presentato in due serie pa
rallele: la prima dedicata al materiale di lavoro (documenti, testimonianze e scritti di storici) e la seconda al profilo storico. Nell’intenzione dell’autore, la suddivisione rappresenta un aiuto e un’indicazione per l’insegnante, nel senso che il programma di storia sarà sviluppato in classe partendo dal materiale documentario e concludendo con lo studio crono- logico-sistematico dei fatti. L’importanza attribuita al materiale di lavoro è evidente sia nella scelta dei testi proposti (sempre di autori, citati), sia nella quantità (il terzo volume di documenti è di 299 pagine, contro le 243 del corrispondente profilo). La sezione-documenti è corredata da esercizi attivi di ricerca e di riflessione e da una sommaria bibliografia. Le illustrazioni sono poche ma funzionali; sarebbe stato bene citare — quando possibile — il nome del pittore.Un inconveniente affatto trascurabile, soprattutto perché riferito alla scuola del- l’obbligo, è ravvisabile nel linguaggio ricco di tecnicismi ed eccessivamente stringato. L’autore ha voluto iniziare il ragazzo al discorso storiografico ma spesso dimentica l’età dello studente e le sue effettive condizioni di partenza. La limitazione maggiore risiede nel fatto che le difficoltà non sono puramente inerenti alla scelta dei vocaboli, bensì riguarda il tipo di discorso che qua e là rasenta lo specialistico.
Fatta questa precisazione, dobbiamo d’altra parte notare come il rigore scientifico e la documentazione siano esempla
ri. L’autore, pur non trascurando gli aspetti più strettamente storico-cronologici delle vicende, insiste sulle componenti socio-economiche e culturali, favorendo la ricerca e la comprensione dei rapporti causa-effetto.
Ampio rilievo è concesso nell’opera alla storia contemporanea. Nell’esame delle cause della prima guerra mondiale (che appare piuttosto sommario) e nella narrazione dei principali avvenimenti del conflitto l’autore si attiene ad uno schema tradizionale, per lo più molto ricco di dati anche se alcune valutazioni, come quella sul momento successivo a Capo- retto in cui « sembrò [. ..] che la guerra pur con gli immani suoi dolori, avesse portato a compimento il nostro processo unitario e contribuito allo sviluppo definitivo della nostra coscienza nazionale », avrebbero tratto giovamento da una maggiore cautela. Ricca di spunti critici, anche se talvolta discutibile, è la trattazione del periodo immediatamente successivo: nella narrazione degli sviluppi della rivoluzione russa l’autore tende a presentare il periodo di Lenin come quello staliniano con una stessa caratteristica fonda- mentale: « un regime di terrore poliziesco, che aveva avuto il suo tragico battesimo durante la guerra civile e che diventò per un certo periodo un vero e proprio metodo di governo » (p. 164) usato non solo contro la borghesia ma anche ai danni del proletariato; giudizio che, anche se giustificato per certi aspetti del sistema di governo staliniano, conserva la sua validità solo all’interno di un esame completo di tutti i fattori che caratterizzarono il momento.
Il primo dopoguerra in Italia è visto in modo molto diffuso e ricco di particolari interessanti: dominato dallo scontro tra il tentativo delle masse popolari
opere presentate (alcune sono state scelte proprio per indicare i limiti della produzione- tradizionale), né un giudizio negativo verso quelle che non sono state prese in considerazione.
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 13di darsi nuovi ordinamenti o addirittura di assumere la direzione della vita economica nazionale ed i rappresentanti della borghesia che vedono l’occupazione delle fabbriche ed i risultati delle elezioni del ’19 come altrettanti segni del « diffondersi del contagio bolscevico e del progressivo scardinamento del vecchio Stato liberale » (p. 168). In questo contesto il fascismo, soprattutto al suo sorgere, è ridimensionato a puro strumento « della grande industria e dell’alta banca », dotato di un credo politico inconsistente, fondato sull’obbiettivo del potere come tale e deciso ad impedire con la violenza « ogni legittima evoluzione sociale ». Di fronte alla violenza fascista il vecchio stato liberale rimane inerte utilizzando anzi il fascismo come « utile correttivo » al bolscevismo fiducioso nel suo prossimo « rientro nella legalità ».Nell’ambito europeo una pesante responsabilità, di fronte all’ascesa della Germania hitleriana, aH’imperialismo fascista e all’avanzata del franchismo in Spagna, è attribuita alla colpevole debolezza delle potenze occidentali « più preoccupate del pericolo comunista sovietico che di quello germanico ».
Agli avvenimenti della seconda guerra mondiale ed alla Resistenza in Italia sono dedicate in complesso circa venticinque pagine, dense di notizie e dati, che danno un quadro molto equilibrato del periodo. La Resistenza, giustamente interpretata come un « movimento d’opposizione spirituale ed armata » (p. 205) alle angherie, alle repressioni fasciste, figura come la logica risposta ad uno stato di fatto da parte delle persone sensibili ed impegnate, non escluse le masse contadine che « per la prima volta [ . . . ] , quasi del tutto assenti dal primo Risorgimento, partecipano volontariamente alla lotta, insieme a numerosi militari alleati evasi dai campi di concentramento » (p. 205).
Il secondo dopoguerra, sia in Italia che nel resto del mondo, è presentato come il momento dell’affermarsi quasi incontrastato del progresso e della pace. Anche la guerra fredda e la spaccatura dell’Europa sono rapidamente superate dall’avvio della politica di coesistenza pacifica, dovuta all’iniziativa di Kennedy (« che si impegnò subito in una coraggiosa revisione della politica statunitense, in senso di sviluppo democratico sia all’interno sia in sede internazionale » - p. 222), di Kruscev e di Giovanni XXIII. Sono que
ste, a giudizio dell’autore, le tre figure maggiori della nostra epoca, quelle che, benché prematuramente scomparse, « hanno lasciato un’eredità spirituale, raccolta almeno in parte dai loro successori » (p. 223): ad esempio Johnson « seguendo l’esempio del suo predecessore, si è reso promotore all’interno del paese di una energica politica diretta all’emancipazione dei negri », ed anche Nixon « sta cercando a sua volta di condurre una politica di più concreto disimpegno nei riguardi del sud-est asiatico ».In sostanza tutto il periodo più vicino a noi è visto in chiave positiva, senza le stimolanti riserve critiche di cui è ricca la trattazione dei periodi precedenti; motivi predominanti sono la distensione internazionale e la pacifica competizione tra le due massime potenze assieme alla « più esaltante esperienza della storia dell’umanità: la conquista dello spazio cosmico »
(p. 224). Anche i problemi della decolonizzazione, pur registrati chiaramente, sono visti in questa prospettiva ottimistica; il paragrafo dedicato alla Cina popolare, ad esempio, si sofferma specialmente su motivi istituzionali, come l’appartenenza0 meno del paese alle Nazioni Unite.Queste nostre riserve non intaccano ilgiudizio positivo sull’opera (e un certo impaccio dinanzi agli avvenimenti più vicini si può notare in tutti i testi, anche1 più aperti), di cui ricordiamo anche il misurato apparato di cartine e di piante che facilitano la comprensione del testo ed invitano a seguire graficamente lo svolgersi delle vicende.Il materiale di lavoro affianca tutta la narrazione, presentando una serie di documenti diretti a comprovare o ad introdurre determinati argomenti o vicende. Letture di carattere più direttamente politico si alternano a brani di storia civile, di documentazione tecnico-scientifica e culturale.Roberto Eynard - Paolo Speziale
R. Caffo, Popoli, uomini, idee. Corso attivo di storia delle civiltà per la scuola media, volume terzo, Torino, Paravia, 1969, pp. 397, lire 2600.Nell’esame del testo appare evidente la preoccupazione dell’autore di fornire innanzitutto un materiale facilmente ac
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cessibile ai lettori cui è rivolto, sia dal punto di vista del linguaggio che attraverso l’uso di schemi riepilogativi ad apertura e conclusione di ogni capitolo. Frequenti sono anche le cartine storiche.Al periodo tra 0 1915 e i giorni nostri sono dedicate 150 pagine su un complesso di circa 400. Le cause della prima guerra mondiale sono trattate in modo estremamente piano e chiaro, senza sacrificare alla semplicità un soddisfacente approfondimento dell’argomento. Del tutto sommario ed inadeguato è invece il modo in cui l’autore affronta il problema relativamente all’Italia; inoltre spesso il testo cade nella retorica e nello sciovinismo più deteriore (si vedano ad esempio le didascalie delle illustrazioni alle pp. 256 e 259). Analogamente, ad una prima ed equilibrata narrazione della rivoluzione russa inserita tra gli avvenimenti di guerra del 1917 fa seguito una celebrazione della battaglia del Piave commentata, nei modi e coi termini a lui propri, da Gabriele d’Annunzio.Singolare è poi il modo in cui l’autore presenta il panorama diplomatico all’indomani del conflitto: di fronte a Wilson, « ispirato da nobili ideali » stanno « i diplomatici europei che, purtroppo, non erano spiritualmente preparati per
comprendere ed accettare » le idee del presidente americano. Neppure in Italia si era preparati a tanto, al punto che d’Annunzio « che aveva combattuto in cielo, in terra e in mare, volle compiere un’azione di stile garibaldino » e occupò Fiume (p. 278).Altrettanto impreciso e sommario è il paragrafo dedicato ai primi anni di vita dello stato sovietico: Lenin è descritto come un uomo « privo di scrupoli, deciso e spietato nell’azione [...] che volle applicare nel suo paese la dottrina di Marx, che negava la proprietà privata, la fede in Dio, e le classi sociali » (p. 280).Il fascismo è presentato poi come un movimento teso a « restaurare l’ordine, dare prestigio e potenza all’Italia » sconvolta dalla guerra sia sul piano economico che su quello politico. Mussolini potè conseguire il suo obbiettivo con la violenza grazie alla debolezza dello stato, « che non sapeva far rispettare la legalità »; ultimo atto, dopo una lunga serie di violenze, la marcia su Roma, di fronte alla quale il re capitolò « per evitare la guerra civile ».Diverso è il modo in cui l’autore pre
senta la seconda guerra mondiale: sia I motivi dello scoppio del conflitto che la entrata in guerra dell’Italia sono descritti con precisione, sia pure piuttosto schematicamente; altrettanto vale per le operazioni di guerra dal ’39 al ’45. Quanto alla Resistenza, « fu come un secondo Risorgimento »; ad attestarlo ci sono le parole di Pedro Ferreira che si sente erede dei martiri del Risorgimento (p. 340).Al dopoguerra, sia in Italia che nel resto del mondo, sono dedicate 24 pagine in cui non si affronta nessuno dei più. gravi problemi nazionali (alla « ricostruzione » è dedicato un breve e generico paragrafo) mentre in campo internazionale dominano incontrastate le figure di Kruscev, iniziatore della politica della « coesistenza pacifica », J. F. Kennedy,, « fautore di una nuova ed audace politica a vantaggio di tutta l’umanità », e- Giovanni XXIII. Nei rispettivi successori, poi, « non sono mancate incertezze e contraddizioni ».
Quanto al colonialismo l’autore si sente di affermare che esso è finito ed al sua crollo « ha contribuito notevolmente l’atteggiamento degli Stati Uniti e del- l’URSS », « sia pure per diversi fini » (p. 359); pertanto per indicare la soluzione dei problemi del « terzo mondo » ci si limita a far riferimento all’enciclica di Paolo VI e ad un generico appello alla cooperazione internazionale.Nell’insieme il testo è scarsamente aggiornato sul piano tecnico (le letture, ad es., sono relegate in un insufficiente fa- scicoletto separato dal testo) mentre dal punto di vista del contenuto qualche rara eccezione non vale a modificare un’impressione generale di approssimazione c semplicismo nell’affrontare problemi di rilievo, quando non si arriva a trascurarli del tutto, come nel caso della guerra vietnamita, della posizione della Cina in campo internazionale e del neo-colonia- lismo.
Paolo Speziale
Franco D i T ondo - G iorgio G uadagni, La storia e i suoi problemi. Corso di storia e di educazione civica per la scuola media, volume terzo, Torino,. Loescher, 1970, pp. 424, lire 2400.Il testo si presenta come un utile stru
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 15mento al fine di un rinnovamento della didattica della storia.In primo luogo, è un’opera volta alla ricerca, in quanto non si pone come esposizione narrativa e dogmatica di fatti storici, ma come raccolta di materiale documentario, ipotesi, informazioni che offrono i « dati » di un problema la cui soluzione costituirà il punto d’arrivo della ricerca collettiva. Secondo tale impostazione, l’allievo cessa di essere l'oggetto di ,una cultura trasmessa, per divenire il soggetto di un’attività di ricerca critica volta a costruire connessioni, formulare concetti interpretativi, stimolare alla valutazione. In tal modo il libro di testo diventa uno strumento, un insieme di ipotesi su cui lavorare e cessa di essere il quadro di riferimento obbligato di soluzioni interpretative aprioristiche e acritiche.
Per un secondo motivo il testo in questione si differenzia dai manuali tradizionali: non solo sostituisce al discorso storico impostato su basi concettuali-valuta- tive una raccolta di materiale teso a descrivere qualitativamente i vari fenomeni economici, politici, culturali, ma aggiunge la considerazione degli aspetti quantitativi di tali fenomeni mediante repertori statistici, numeri indice ecc. L’integrazione del momento descrittivo con la comprensione degli aspetti quantitativi dei fenomeni storici, offre l’occasione di impegnare gli allievi in vari lavori di ricerca come la costruzione di diversi tipi di grafici, di tavole di numeri indice, sulla base di dati prelevati dal libro di testo e da altre fonti.Attraverso questa nuova metodologia basata sull’analisi quantitativa, il ragazzo sarà portato a comprendere, anche visivamente, il perché di certi fenomeni, a istituire comparazioni, a valutare, a ricostruire il processo storico. Vorremmo indicare come esempi di analisi quantitativa i diagrammi riportati per illustrare la « rivoluzione dei prezzi » in Europa nella seconda metà del Cinquecento (voi. II, pp. 274-75), oppure il grafico che rappresenta il movimento migratorio italiano dal 1860 al 1914 (vol. I l i , p. 157) e ancora quello che mette in rapporto la produzione industriale e la disoccupazione mondiale dal 1929 al 1934 (voi. I l i , p. 311).
Le illustrazioni assolvono alla funzione di documentare in modo « visivo » determinati avvenimenti, siano esse stampe
dell’epoca, disegni satirici, riproduzioni di documenti.La storia del Novecento occupa circa metà del terzo volume; ampio spazio è dedicato alla formazione dell’economia di monopolio, all’imperialismo, alle cause economiche dei conflitti mondiali, alla Resistenza europea (illustrata con ottime cartine).Si tratta dunque di uno strumento nuovo al servizio della scuola per la formazione di una presa di coscienza critica.
Ernesto Bein
C. A. G iannelli, Testimonianze. Corso distoria e di educazione civica per lascuola media, volume terzo, Firenze,Bulgarini, 1970, pp. 369, lire 2200.I capitoli del volume sono costruiti secondo uno schema parzialmente nuovo: da 6 a 8 pagine di « fonti » (brani dell’epoca, riproduzioni di giornali o docu
menti, fotografie commentate) precedono da 8 a 10 pagine di « profilo storico », cioè di testo narrativo sistematico. Il rapporto tra le due parti, tuttavia, non consente di spostare realmente il centro delle lezioni dalla narrazione alle fonti, che sono troppo brevi e disperse (anche se spesso interessanti) per avere valore autonomo. Si ricade in sostanza nella formula tradizionale, arricchita da una selezione di letture più ricca del consueto.II volume dedica un centinaio di pagine (su 340 di testo) a « il mondo in cui viviamo », concedendo però una preminenza schiacciante al periodo 1915-45 su quello successivo. In questo ambito, se la prima guerra mondiale è risolta tradizionalmente in chiave patriottica, l’avvento del fascismo è descritto con una realistica crudezza, anche se la denuncia delle violenze mette un po’ in sordina il problema delle alleanze; pure la crisi provocata dal delitto Matteotti è presentata con fedeltà. Il tono cambia però con la descrizione del regime, di cui si annotano solo i successi, primo tra tutti il trattato lateranense; l’opposizione antifascista è ridotta al rango di minoranza incontentabile, legata ad un mito astratto della libertà e avulsa dal paese. Dopo di che la narrazione scorre rapidissima, per accenni, fino alla denuncia dei crimini nazisti ed alla Resistenza, vista in chiave di continuità risorgimentale.
16 Inchiesta sui testi di storia contemporanea
Con il 1945 la trattazione praticamente si conclude: le ultime 14 pagine non sono sufficienti a illustrare i problemi contemporanei e infatti il discorso si tiene terribilmente sulle generali, soffermandosi sulle organizzazioni internazionali e le scoperte tecniche. Rruscev, Kennedy e Giovanni XXIII dominano il campo; un timido e mistificante accenno alla prima guerra d’Indocina (la seconda neppure si nomina) ed a quella d’Algeria esaurisce l’analisi delle difficoltà della decolonizzazione. In questo quadro generico ed elusivo solo l’insurrezione ungherese del 1956 ha risalto grazie ad una vivace lettura sugli scontri tra russi e insorti.
Queste rapide annotazioni permettono di segnare i limiti delPaggiornamento del testo, audace solo quando non può urtare alcuna suscettibilità (denuncia dello squadrismo fascista e del razzismo nazista), ma per il resto impegnato ad evitare prese di posizioni troppo nette. Anticomunismo, cattolicesimo, atlantismo si stemperano così senza però annullarsi, restando a testimoniare un chiaro indirizzo ideologico che evita la discussione aperta. Giorgio Rochat
U. N icolini - D. Consonni, L’uomo e la sua storia. Nuovo corso di storia per la scuola media, volume terzo, Torino, SEI, 1970, pp. 416, lire 2200.
Il volume si apre con una nota metodologica che riassume i criteri adottati dagli autori nel loro lavoro e presenta e giustifica il « nuovissimo sussidio didattico » costituito da una ricostruzione, compiuta sulla base di testi e documenti dei singoli momenti storici, di un ideale « Giornale del tempo ». Alla fine del volume è poi raccolta un’appendice di educazione civica.Per quel che riguarda i criteri generali che ispirano l’opera, sembra di poter riscontrare una netta contraddizione da una parte tra la pretesa, espressa nell’introduzione, di voler dare della storia una visione critica oltre che facilmente accessibile, rigorosa ed approfondita, tale da presentare i fatti « inquadrati in una realtà umana; da non porre nulla al di sopra di essa; non narrare dei miti; non celebrare le gesta di semidei », e dall’al
tra, per fermarci all’impressione delle prime pagine, la galleria di pomposi ritratti di Eroi e Battaglie con cui il volume si apre in ossequio ai canoni più tradizionali della celebrazione patriottarda del Risorgimento.
La narrazione storica si apre col congresso di Vienna e termina con un breve capitolo d’aggiornamento sui problemi più attuali quali il progresso scientifico, il problema razziale e la contestazione giovanile. Al periodo che corre tra la prima guerra mondiale e i nostri giorni sono dedicate 132 pagine su un totale di 344.L’impianto generale dell’opera è tanto idealistico e retorico quanto limitato nell’indicazione delle componenti che sono chiamate a dar ragione dei fatti: la storia della prima guerra mondiale è storia di battaglie, illustrate dalle tavole del Beltrame; le cause dell’intervento italiano sono individuate, oltre che nell’esigenza di un equilibrio politico nei Balcani, nella «antipatia [...] verso la Germania e l’Austria » come nella « affinità con i popoli occidentali » e in particolare con la Francia, la « sorella latina ». Del peso che hanno avuto precisi interessi econo- mini non si fa cenno mentre si avalla la tesi secondo cui con la guerra « l’Italia voleva compiere la sua unificazione ed il suo Risorgimento ». Durante la guerra « la prova più luminosa si ebbe naturalmente nel campo militare. I capi furono degni del loro alto compito; i soldati diedero prove stupende di tenacia e di eroismo » (p. 228).
La rivoluzione russa è liquidata in poche righe in cui Kerenskij è presentato con grande rilievo come colui che « tentò la via delle riforme sociali interne e della ripresa energica della guerra » ma fallì « sopraffatto dagli estremisti »; infatti « Kerenskij e i moderati furono travolti. Prese allora la direzione del governo Lenin, che, da Pietroburgo, portò la capitale a Mosca (rivoluzione d’Ottobre, 25 ottobre 1917) » (p. 222).Il fascismo è presentato come movimento anti-comunista e anti-operaio sorto come controffensiva della classe borghese che temeva, « sia per convinzione, sia per interesse », la nuova organizzazione proletaria nata ad imitazione del modello sovietico. Mussolini instaurò una spietata dittatura e « trasformò la costituzione dello stato svuotando di contenuto lo Statuto albertino ». Durante il fascismo « i conflitti tra proletari e borghesi fu-
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 17Tono fatti tacere. Molte provvidenze, per altro, furono prese a favore dei lavoratori, i quali trovarono anche largo impiego in grandiose opere pubbliche, bonifiche ecc. » (p. 242). Frattanto lo stato italiano si alleava con la Germania, « in cui era sorto un regime dittatoriale e antidemocratico ».
Piuttosto sommaria è la narrazione degli avvenimenti della seconda guerra mondiale mentre maggior spazio vien riservato alla Resistenza, in cui assume un rilievo alquanto sproporzionato l’apporto delle truppe regolari italiane sbandate dopo l’8 settembre. A giudizio degli autori la Resistenza fu soprattutto « lo stupendo spettacolo di un popolo che, rinnovando lo spirito guerriero e le forme di lotta dei cospiratori risorgimentali, combattè tenacemente per la liberazione della patria » (p. 247).Il dopoguerra è presentato come il teatro del « trapasso dallo stato liberale allo stato che viene definito non solo democratico, ma anche sociale »; infatti, tra gli altri provvedimenti previsti dalla Costituzione vi è anche quello per cui « allo stato è riconosciuto il potere d’intervenire in campo economico, a fianco e in sostituzione dell’iniziativa privata, per promuovere il benessere individuale ».Riguardo alla situazione internazionale, sintomo delle componenti idealistiche che ispirano il testo è il modo in cui gli autori presentano l’opera e la figura di Kennedy; Kruscev lancia la politica di « coesistenza pacifica » ma « una simile impostazione politica poteva prendere grande slancio soltanto se fosse stata tratta fuori dal piano tattico, in sé sterile, e rilanciata, sul piano spirituale, che è il più fruttuoso. È quello che fece J. F. Kennedy ». Tale politica si riassume nel rilievo, fatto da Kennedy, che « il problema della pace mondiale è strettamente connesso con quello di promuovere lo sviluppo civile e il progresso economico dei paesi sottosviluppati » (p. 287) ed a tale politica, a parere degli autori, si è ispirata l’opera di L. B. Johnson e di R. Nixon « il quale si prefisse il programma di una grande società ove la personalità umana di ciascuno possa trovare il più pieno sviluppo ». Anche nelle rimanenti pagine, formalmente aggiornate, gli autori del volume si attengono agli schemi interpretativi più tradizionali e non riflettono neppure indirettamente i temi più rilevanti ed universalmente accredi
tati del dibattito storiografico contemporaneo.Paolo Speziale
Oddone O rtolani - Mario Pagella, Il tempo e le opere, volume terzo: Evo contemporaneo (dal 1815 ai nostri giorni), Firenze, Le Monnier, 1970, pp. 464, lire 2000.Il volume è diviso in due sezioni nettamente distinte: la prima dedicata alla storia, la seconda all’educazione civica. Si presenta con una veste tipografica sobria e funzionale; sono stati adottati alcuni accorgimenti che danno un taglio agile alla pagina e ne facilitano la lettura.Il testo è ricco di illustrazioni che diventano sovente vera e propria documentazione iconografica; sono riproduzioni di quadri o di incisioni e numerose fotografie che si riferiscono alle vicende della storia più recente, alcune di impressionante eloquenza. Tuttavia le letture « confinate » in fondo a ogni capitolo ra
ramente assolvono alla funzione insostituibile del documento, anche perché molte di esse non sono che riduzioni o adattamenti di passi tratti da opere di storici a noi contemporanei.Ogni capitolo è chiuso da una scheda che comprende una breve sintesi della materia trattata, un questionario con quesiti che invitano alla riflessione, e propone argomenti di osservazione, di ricerca, di discussione. Il linguaggio usato nell’esposizione è sempre piano e accessibile. L’introduzione di nuovi concetti e di nuovi termini è graduale; il loro significato si può sempre desumere dal contesto in cui sono inseriti.In più punti si notano cedimenti alla retorica ed al moralismo. Questi e alcune analisi parziali, limitate e superficiali di momenti particolarmente importanti infirmano il rigore storico dell’opera.I primi 24 capitoli sono dedicati al periodo che va dal congresso di Vienna alla prima guerra mondiale. Anche se la materia è ancora presentata secondo la impostazione tradizionale, notevole è lo sforzo di trovare, nelle diverse situazioni, uno spazio alle componenti economiche e sociali.Al periodo che va dal primo dopoguerra ai giorni nostri sono dedicati otto ca-
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18 Inchiesta sui testi di storia contemporanea
pitoli per complessive 96 pagine. Il primo dopoguerra è dipinto a tinte sufficientemente realistiche, ma sovente la analisi delle situazioni in cui venne allora a trovarsi l’Italia è condotta in modo troppo superficiale e definirla situazione da « guerra civile » (p. 287) è forse eccessivo. Il periodo fascista è trattato ampiamente, ma confusamente. Mussolini è colui che « per calmare l’allarme che si era sparso tra le numerose persone oneste [...] disciplinò militarmente le sue squadre d’azione» (pp. 292-93), e poi favorì la conciliazione tra l’Italia e la S. Sede con un « trattato ed un concordato vantaggiosi per la Chiesa » (p. 296). Non più chiaramente sono affrontate la politica estera fascista, la guerra di Spagna, le grandi opere pubbliche del regime.Più completi e più solidamente strutturati sono gli ultimi capitoli dedicati alla Resistenza, alla nuova repubblica italiana ed ai problemi del mondo d’oggi.La seconda sezione, alla cui stesura ha collaborato G. Gozzer, è dedicata all’educazione civica ed ha caratteristiche di maggior omogeneità. Presenta i principi della Costituzione italiana, le istituzioni, le strutture portanti della nuova società come nati dal travaglio della nostra storia recente. Non sono dimenticate le istituzioni internazionali a cui sono dedicati due capitoli. I grafici che illustrano argomenti e aspetti particolari, statistiche, ecc., sono chiari e utilissimi. Completa il volume un’appendice con il testo integrale della Costituzione italiana.
Francesco Agli
Silvio P aolucci, Storia per la scuola media, volume terzo: Ottocento e Novecento, Bologna, Zanichelli, 1970 (I* ed. 1964), pp. 411, lire 2000 (in preparazione le Note per l’insegnante del terzo volume).
L’impostazione didattica data al volume (come anche agli altri due precedenti) corrisponde ad un’esigenza di tipo operativo, nel senso che la trattazione vuole soprattutto fare emergere dei problemi di ordine storico, sociale, economico o politico ed offrire al ragazzo una serie di elementi (essenzialmente documenti) atti a far scoprire la soluzione, il nesso causa- effetto. L’inserimento frequente di lettu
re-documento testimonia di questa volontà da parte dell’autore; anzi, si potrebbe dire che, in qualche modo, il testo applica i princìpi dell’istruzione programmata, nel senso che la lettura del documento diventa elemento indispensabile alla comprensione di ciò che segue, essendo il testo del documento integrato nel discorso che l’autore svolge.Il libro può essere letto sia in maniera tradizionale, capitolo dopo capitolo, che- in forma cursoria, affrontando via via argomenti ricorrenti, problemi comuni, ecc.L’autore, sensibile al problema del linguaggio, senza cadere o nei tecnicismi o nell’approssimazione, ha introdotto novità lessicali solo quando le novità erano una esigenza, contrassegnandole in colore blu ed inserendole in un contesto tale da renderle inequivocabili (imboscato, autarchia, sanzioni, stato totalitario, auto- decisione dei popoli, ecc.).La scelta delle illustrazioni corrisponde al principio operativo sopra enunciato; è funzionale e sobria.L’autore dedica circa 150 pagine alla storia contemporanea, dalla « grande guerra » in avanti, arrivando comodamente fino ai nostri giorni con le conquiste spaziali, la questione del Viet-Nam e — sopratutto nelle illustrazioni con ampie e documentate didascalie — al maggio francese, a « Che » Guevara, ecc. La trattazione vuole essenzialmente condurre lo studente a scoprire la problematica che presuppone e condiziona gli eventi contemporanei; per questo è lasciato ampio spazio al discorso sull’evoluzione tecnico-scientifica, sulla questione sociale e razziale.Il fascismo è visto come risposta dello
« spregiudicato e bellicoso » Mussolini al malcontento generale causato da scioperi, manifestazioni di piazza e proteste continue (pp. 259-60). Il quadro generale è dipinto a tinte sufficientemente realistiche, così come si può constatare a proposito dell’ascesa al potere del Führer, alla cui personalità la maggioranza dei tedeschi cedette « senza ombra di dubbio », « abbagliata da sogni di grandezza, anche quando fu evidente che la via del nazismo era quella della guerra » (p. 268). Dopo l’ampio capitolo (il XXI) sui fatti della seconda guerra mondiale, ne troviamo un altro dedicato alla descrizione delle figure delle vittime e dei ribelli del « nuovo ordine » (D. Rubinowicz, A. Franck,
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 19ecc.) ed alla Resistenza in Italia. I partigiani sono essenzialmente dei guerriglie- ri (p. 315) e la loro azione, dopo essere stata considerata dagli stessi protagonisti « una breve avventura, più eccitante che pericolosa» (p. 319), appare da queste pagine come qualcosa di determinante per le sorti della nuova Italia. L’inquadramento storico è concreto e preciso, con puntuali riferimenti a persone, luoghi, avvenimenti (Boves, Marzabotto, CVL, CLNAI, brigate Garibaldi, Matteotti, Fiamme Verdi, ecc.; il giornale Il Ribelle con un articolo di Parri).Insomma, un buon testo, esauriente, scientificamente corretto e didatticamente valido. Roberto Eynard
G. Spadolini - R. Zampilloni, I secoli, volume terzo: Dal Congresso di Vienna ad oggi, Firenze, Le Monnier, 1969 (Ia ed. 1967), pp. 491, lire 2100.
La suddivisione in capitoli è quella tradizionale, di tipo cronologico; la pagina dedica una fascia laterale alla trascrizione (in evidenza) dell’argomento trattato, corredato anche da illustrazioni.I documenti sono raggruppati al termine di ogni capitolo, a fianco dei riassunti, degli inviti alla ricerca e di un dizionario dei termini tecnici. Ciò nonostante, qua e là affiorano vocaboli di non facile interpretazione e collocazione: fascistizzazione (p. 360), il generalissimo francese (p. 324), programma ideologico (p. 348), per non citare che qualche esempio.II terzo volume dedica complessivamente 120 pagine (su quasi cinquecento) alla storia contemporanea, dalla prima guerra mondiale al Vaticano IL Tre capitoli vanno alla grande guerra, uno al dopoguerra ed agli sviluppi della politica totalitaria europea, uno alla seconda guerra mondiale ed uno al dopoguerra fino ai nostri giorni.La descrizione degli eventi relativi alla prima guerra mondiale pecca, soprattutto nel tono e nella scelta dei brani di lettura, di un patriottismo desueto. Spesso, la retorica offusca episodi che di fatto hanno una consistenza ben più robusta e sulle cui conseguenze pratiche quasi si sorvola o si tace: il martirio di Cesare
Battisti (accompagnato da una lettura e da un commento — soprattutto quest’ultimo •— non idonei) o la resistenza al Piave vista come la « grande ora di solidarietà nazionale » (p. 336).La nascita del fascismo, « movimento di ispirazione autoritaria », sembra quasi addebitata dagli autori al governo Giolit- ti che « non riuscì ad impedire lo scatenarsi della violenza e il sorgere » appunto del fascismo (p. 359). Pur facendo rilevare i difetti e gli eccessi del regime, gli autori esprimono poi un giudizio favorevole, per esempio, sul Concordato: « Risultati sostanzialmente positivi essa (= la politica estera del fascismo) ebbe, per altro, in quel delicatissimo settore della politica estera italiana che riguardava i rapporti con la Santa Sede. LT1 febbraio 1929, Mussolini firmava a nome di Vittorio Emanuele con il cardinale Gasparri, rappresentante di Pio XI, il Trattato del Laterano » (p. 363). In tanti particolari, perché non sottolineare le conseguenze di questo atto?Alla Resistenza italiana sono dedicate poche righe in calce al capitolo sull’occupazione alleata dell’Italia (pp. 401-02).Si tratta, quindi, di un discorso a questo proposito sostanzialmente affrettato, qualunquista e talvolta poco rigoroso. Didatticamente, l’opera segue la falsariga dei testi tradizionali con la suddivisione in cronologia dei fatti e letture-documenti non sempre adeguate o chiarificatrici.
Roberto Eynard
G. Zelasco - I. M ichaud, Il cammino della storia, volume terzo, Milano, Principato, 1968 (ed. francese 1966), pp. 543, lire 2400.Il volume presenta una struttura alquanto originale: il testo vero e proprio è limitato alla colonna di sinistra di ciascuna pagina, mentre nell’altra colonna sono riportati, assieme a tavole illustrative o fotografie, documenti d’epoca a commento del testo. Se è vero che un esauriente materiale per una ricerca non può essere fornito da un manuale di storia, si deve però riconoscere all’autore il merito di aver saputo presentare, attraverso la documentazione diretta, una illustrazione chiara e spesso veramente utile degli argomenti via via trattati.
20 Inchiesta sui testi di storia contemporanea
Nel corso della trattazione vien dato particolare rilievo all’aspetto socio-politico dei problemi affrontati, senza mai limitare l’esame al piano militare-diplomatico (si veda ad esempio lo spazio dedicato alla descrizione della condizione operaia in Italia durante il decollo industriale).Degno di nota è anche l’impegno dimostrato dall’autore ad estendere l’ambito dei problemi trattati al di là dei confini dell’Europa, per arrivare a comprendere10 sviluppo di paesi normalmente ignorati, come la Cina, il Giappone ecc. (cfr. ad esempio le pp. 314-331). Insolito spazio vien dedicato anche alla storia dell’arte dei singoli paesi nelle varie epoche. In appendice l’autore presenta inoltre una trentina di pagine di educazione civica.Agli anni che corrono tra la prima guerra mondiale e i nostri giorni sono dedicate circa 150 pagine. Le cause della prima guerra mondiale sono individuate in modo preciso e corretto; un ostacolo serio alla completa utilizzazione del materiale offerto è però rappresentato in questo caso dall’estrema sinteticità del testo, del tutto inadatto a far comprendere i problemi trattati a lettori che non11 abbiano già avvicinati per altra via.Alla rivoluzione sovietica è dedicato un capitolo (otto pagine): i fatti salienti,dalla rivoluzione del marzo alla morte di Lenin sono descritti diffusamente; altrettanto vale per il dopoguerra in Italia e le origini del fascismo, di cui son messi in evidenza gli stretti legami con l’oligarchia industriale ed agraria (si veda la lettura a p. 390).Particolarmente ricca di elementi significativi è poi la descrizione del ventennio fascista, sia nell’esame dei caratteri fondamentali del regime, sia nell’analisi dell’antifascismo, visto in tutto l’arco del periodo, a cominciare dagli anni ’20. Altrettanto preciso e motivato è l’esame dell’avvento del nazismo in Germania, in cui quale fattore determinante è visto « il sostegno e il finanziamento della grande industria e dell’alta finanza » (p. 412). Anche i prodromi della seconda guerra mondiale ed il suo sviluppo sono presen
tati in modo efficace (si veda l’incisivo stralcio tratto dal diario di un soldato nazista, pp. 430-431).
Altrettanto seria ed equilibrata, quasi sempre aliena da cedimenti allo « spirito atlantico », è la presentazione degli avvenimenti internazionali immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale.Discutibile è spesso, a nostro parere, l’ultima parte del volume dove, ad esempio per la guerra del Viet-Nam, si sacrifica alla esigenza di equidistanza tra i contendenti un esame più approfondito dei fatti, oppure si esprime un giudizio incondizionatamente positivo sull’opera di Paolo VI che, a parere dell’autore, « sta proseguendo ed ampliando l’opera » di Giovanni XXIII (p. 472). E ancora nel far riferimento agli stati ex coloniali, che una volta ottenuta l’indipendenza politica sarebbero in molti casi divenuti « semplici pedine nel complesso gioco delle sfere dell’influenza degli Stati Uniti, dell’Unione Sovietica e della Cina popolare », sembra non si voglia vedere il ruolo decisivo svolto dagli interessi economici nordamericani nella perpetuazione. del proprio dominio nelle forme del neocolonialismo. L’impressione è confermata dalla lunga citazione di J. F. Kennedy riportata al termine del capitolo (p. 476), che rischia di dare un’immagine parziale del periodo kennediano e della politica estera americana in genere.Nell’ultima parte del volume è poi veramente insolita, e perciò particolarmente pregevole, l’ampiezza dello spazio riservato agli ultimi venti anni di storia italiana, normalmente del tutto ignorati dai manuali.L’ultimo capitolo è dedicato, infine, a una rassegna delle opere più significative realizzate ai nostri giorni nei campi più diversi: dalla scienza alla medicina, alla letteratura, alle arti figurative. Nel suo complesso, quindi, nonostante qualche riserva, il volume costituisce uno strumento serio ed aggiornato, valido sia sotto l’aspetto tecnico-didattico che per la scelta dei temi proposti ai giovani.
Paolo Speziale
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 21
C. I libri di testo per le scuole superiori
Alcuni dati sulle adozioniLe indicazioni di cui disponiamo sono assai limitate, ma pur degne di
attenzione. Si riferiscono alla maggior parte, se non alla totalità delle adozioni per l’ultimo anno di corso nelle scuole superiori di Milano, Torino e Napoli '; raggruppiamo inoltre sotto un’unica voce i dati (incompleti, ma rappresentativi) provenienti da diverse città dellTtalia settentrionale: Brescia, Cuneo, Genova, Novara, Ravenna, Udine1 2. Ricordiamo ancora che alcune delle cifre seguenti sono approssimative e tutte incomplete; hanno quindi un valore orientativo, anche se per brevità diamo i dati numerici raccolti3.
Sei cittàMilano Torino setten- Napoli Totaletrionali
Camera-Fabietti : licei 27 18 17 13 75(Zanichelli) istituti 66 30 47 31 164totale 93 48 64 34 239 (30%)Saitta (N. Italia): licei 30 4 41 17 92Saitta (Sansoni) : istituti 6 9 37 2 54totale 36 13 78 19 156 (20%)Spini : licei 33 14 11 40 98(Cremonese) istituti 18 13 10 16 57totale 51 27 21 56 135 (17%)Morghen : licei 13 — 3 20 36(Palumbo) istituti — — 15 32 47totale 13 — 18 52 83 (10%Dupré (D’Anna) : licei 6 — 4 4 14istituti 3 — 3 10 16
totale 9 — 7 14 30 (4%)Quazza (Petrini): solo licei 3 6 20 1 30 (4%)dispersi : licei 8 16 15 23 62
istituti 19 19 1 12 51totale 27 35 16 35 113 (15%)
totale sezioni licei 120 58 111 118 403esaminate : istituti 112 71 113 93 393
totale 232 129 224 211 796 ( 10096 )1 Provenienza e limiti di questi dati sono già stati indicati trattando delle scuole medie.2 I dati raccolti dagli Istituti storici locali riguardano l’ultimo anno di corso di 17 sezioni di Brescia (10 di licei, 7 di istituti tecnici), 21 di Cuneo (12 e 9), 88 di Genova (49 e 39), 28 di Novara (11 e 17), 19 di Ravenna (10 e 9), 51 di Udine (19 e 32). Tutti questi dati, come quelli per Milano, Torino e Napoli, si riferiscono solo a scuole pubbliche.3 Sotto la voce licei comprendiamo licei classici, scientifici e artistici e gli istituti magistrali; sotto la voce istituti gli istituti tecnici dei vari rami e gli istituti d’arte. Le cifre riguardano le adozioni dell’ultimo anno di corso e quindi rappresentano sezioni e non classi.
L’indicazione più evidente che emerge da questo sondaggio è che la dispersione delle adozioni caratteristica della media unica ha dimensioni assai più ridotte nelle scuole superiori: tre soli testi (Camera-Fabietti, Saitta e Spini) nelle loro differenti versioni per licei e istituti tecnici coprono due terzi esatti del mercato su un arco abbastanza ampio di città, altri tre testi (Morghen, Dupré, Quazza) raggiungono un altro 18%. L’andamento delle adozioni inoltre è differente ma non opposto a Napoli rispetto alle città settentrionali considerate4: il che permette di ipotizzare una situazione nazionale in cui il predominio dei manuali sopra citati sia indebolito, ma non scomparso 5.
Una seconda constatazione è che una forte maggioranza di insegnanti delle scuole superiori si orienta verso manuali di livello sicuro e di buona apertura6. I testi dello Spini e del Saitta, che hanno dominato il mercato fino alla recente comparsa del Camera-Fabietti, al loro apparire negli anni ’50 rappresentarono un sostanziale progresso, mettendo a disposizione di insegnanti e studenti una narrazione ampia, completa e informata, che privilegiava gli aspetti etico-politici della storia ma non dimenticava gli umili e gli oppressi. Negli anni della guerra fredda e della chiusura democristiana la diffusione di questi due testi « democratici » ha rappresentato un’indicazione del margine di autonomia della scuola italiana e un’occasione per un discorso aperto. Entrambi i testi, tuttavia, appaiono oggi « datati » (come indicano le severe schede che diamo di seguito e più ancora il fulmineo successo del Camera-Fabietti), ma sono ancora lungi dall’aver esaurito il loro ciclo7, anche se ormai « scavalcati a sinistra » da un gruppo di nuovi testi.
La crisi di rinnovamento che la nostra scuola traversa, sotto la congiunta pressione dell’incremento degli iscritti, delle lotte di studenti e insegnanti e dei successivi riformismi ministeriali, ha infatti prodotto in questi ultimi tempi diversi manuali di storia nuovi, dal Camera-Fabietti
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4 I dati di cui disponiamo per Roma sono proporzionalmente troppo esigui per utilizzarli appieno (solo 47 sezioni), ma confermano la predominanza di Saitta, Spini e Camera-Fabietti, nell’ordine.4 I testi diffusi, ma con un numero di adozioni minimo (e perciò non li prendiamo in considerazione), sono praticamente gli stessi a Milano e Napoli: se ne deduce che nelle scuole superiori la persistenza di testi « locali » è assai ridotta rispetto alla media unica.6 Questo atteggiamento è certamente dovuto alla maggior qualificazione specifica degli insegnanti di storia delle scuole superiori, per i quali questa materia non è elemento trascurabile e poco gradito come troppo spesso nelle medie inferiori. Non apriamo tuttavia il discorso sulla opportunità di lauree e cattedre liceali di storia, che ci porterebbe troppo lontano; segnaliamo l’interessante inchiesta promossa in merito dall’Istituto campano per la storia della Resistenza.7 Sembra tuttavia che la sostituzione del Saitta col Camera-Fabietti negli istituti tecnici debba ancora estendersi: diverse scuole, ci segnalano, hanno ancora in uso il primo testo nelle classi superiori, ma hanno già iniziato a sostituto con il secondo nelle classi inferiori.
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 23e dal Quazza (entrambi del ’67-68) al Salvo-Rotolo ed al Villari (al loro primo anno di vita). Questi volumi rispondono ad un’esigenza di rinnovamento politico e didattico ad un tempo, che trova le risposte più facili nel Camera-Fabietti (in cui la disponibilità al dialogo va a scapito della coerenza dell’impostazione ideologica di un democraticismo aperto a troppi contenuti - da qui forse il travolgente successo di vendite) e risposte più rigorose (pur nella varietà di soluzioni tecniche) in manuali di impostazione marxista come il Quazza, il Salvo-Rotolo, il Villari. Non sappiamo quali potranno essere le conseguenze sulle adozioni dell’ingresso sul mercato di questi testi.
Nell’ambito di un discorso generale sui manuali di storia e sul materiale integrativo edito, ci sembra interessante mettere in evidenza la crisi della formula tradizionale del libro di storia autosufficiente, che non lascia spazio ad un lavoro autonomo degli studenti, ma impone soluzioni precostituite senza fornire alcuna possibilità di discuterle (crisi testimoniata anche dal rinnovamento formale di opere moderate, di cui diamo alcuni esempi appresso). I testi più recenti presentano soluzioni differenti, che vanno da una maggiore varietà di impaginazione ad un corredo di fotografie e illustrazioni meglio finalizzato alla ricostruzione storica, per culminare nell’inserimento di varie combinazioni di documenti e di brani di interpretazione storiografica. Ne consegue la possibilità di scegliere un testo non solo per il suo orientamento ideologico, ma anche per il suo taglio didattico; e la ricchezza di combinazioni possibili (infinite, se si mettono nel conto anche le antologie e le collane storiche) è un fatto positivo, che permette a insegnanti e studenti di compiere scelte « individualizzate » e sempre rinnovabili. Tuttavia il progressivo appesantimento dei manuali con inserti documentari di vario tipo ha un aspetto ambiguo, nella misura in cui tende a riproporre all’inerzia degli uomini e delle istituzioni la soluzione del volume unico autosufEciente, inevitabilmente destinato a condizionare il discorso storico nella classe. Senza giungere a conclusioni troppo precipitose, ci limitiamo a segnalare la soluzione del Quazza che rilancia il manuale di impianto tradizionale, ripulito di letture, fronzoli e cedimenti al dialogo precostituiti, ridotto perciò al suo compito fondamentale e ineliminabile di fornire nude informazioni in una sistemazione organizzata e coerente, che, imponendo a insegnanti e studenti il ricorso a strumenti integrativi per lo sviluppo del dibattito, li obbliga ad assumere la gestione di un lavoro di formazione di cui il manuale deve -essere il supporto, non mai il protagonista.
Diamo qui di seguito una serie di schede critiche sui testi che, con criterio empirico, ci sono sembrati caratteristici per diffusione, novità o continuità con la tradizione moderata (tutt’altro che sepolta nella nostra scuola, anche senza arrivare al tasto dolente della scuola privata). La maggior parte dei testi analizzati circola in due edizioni, l’una per i licei
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e gli istituti magistrali, l’altra per gli istituti tecnici (talvolta con l’intervento di un co-autore per l’adattamento dall’una all’altra versione. Abbiamo tuttavia preso in considerazione una sola delle due versioni, secondo un criterio volutamente casuale, perché riteniamo che ormai una distinzione di livello tra licei e istituti non abbia molto senso; e infatti, se il Camera- Fabietti pubblica lo stesso testo per i due ordini di scuole, però con titoli e copertine diversi, volumi recenti come il Villari e l’ultima edizione del Morghen si indirizzano indifferenziatamente a tutte le scuole superiori. Presentiamo due schede solo per il Saitta, che pubblica il manuale per i licei e quello per gli istituti presso due editori diversi.
Augusto Camera - Renato Fabietti, Storia per gli istituti tecnici, volume terzo: Dal 1848 ai giorni nostri, Bologna, Zanichelli, 1970 (I* ed. 1968), pp. 374, lire 2400.Al periodo che intercorre fra il 1917 e il 1964 gli autori dedicano più di un terzo del volume, precisamente sei capitoli di complessive 150 pagine su un totale di 370 (per gli istituti tecnici il programma di storia del quinto anno inizia con il 1848). A queste sono da aggiungere 35 tavole fotografiche commentanti avvenimenti bellici, politici, sociali o relative a personaggi politici. Una bibliografia ragionata, orientativa per un
ulteriore approfondimento degli argomenti trattati, chiude il testo.L’esposizione della materia è ampia e completa e i nodi storici sono affrontati come « problema » aperto a soluzioni diverse e ciò grazie alla compresenza di elementi critici e spunti provenienti da vari autori. La narrazione degli avvenimenti è accompagnata a piè di pagina da « osservazioni » che mettono a fuoco problemi la cui interpretazione è demandata al lettore, che per ciò dovrebbe essere sollecitato ad approfondimenti culturali, ad una chiarificazione ideologica ed invitato al dibattito. Gli autori si muovono nell’ambito di una storiografia di « sinistra » come risulterà agevolmente dal seguito di questa scheda. Si può rilevare che essi non superano le coordinate di un discorso prevalentemente etico-politico e lamentare la scarsità dello spazio accordato all’analisi delle strutture: in questo essi non fanno che ribadire una per
Giorgio Rochat
sistente lacuna della storiografia italiana sul periodo. Tuttavia, per la chiarezza e- la coerenza del discorso, nel quale affiora costantemente la posizione ideologica degli autori, il volume si presenta come uno strumento pedagogico estremamente duttile e stimolante.
La parte del testo che abbiamo preso in esame si apre con l’analisi della situazione storica, sociale, politica ed economica che determinò in Russia la presa del potere da parte dei bolscevichi e, per quanto riguarda la nostra penisola, con l’analisi della situazione oggettiva degli anni 1918-20 che videro la vasta partecipazione delle masse popolari e dei ceti medi all’azione politica, 1’affermarsi dei partiti di massa, la crisi del massimalismo socialista, la nascita del partito comunista d’Italia e il sorgere dell’indiscriminata e generica protesta del movimento- dei combattenti, il prender corpo del mito della vittoria mutilata, gonfiato dai nazionalisti e dalla vecchia classe dirigente liberale, le agitazioni operaie del 1919-20 e quindi 1’affermarsi del fascismo come reazione agraria ed industriale. « L’ascesa del fascismo e del suo sistematico impiego della violenza seguì al- l’attenuarsi della volontà di lotta del proletariato, ne fu l’effetto e non la causa. Difatti solo dopo [tutte le sottolineature- sono degli autori] il fallimento dell’occupazione delle fabbriche cominciò una vistosa compenetrazione fra reazione agraria [...] e le cosiddette squadre d’azione [...]. Alla sutura del fascismo con la reazione agraria si aggiungeva ben presto quella con la reazione degli industriali »- (P- 254).
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 25Un lungo paragrafo è dedicato alla convergenza, che culminò con la stipulazione dei Patti lateranensi, tra la Chiesa e il fascismo. Per quest’ultimo, la conciliazione religiosa viene vista come un pilastro essenziale della politica interna; per la Chiesa, si sommano considerazioni di
ordine ideologico (« la Chiesa avvertiva nel fascismo una fondamentale vacuità ideale e morale che lo poteva rendere, e lo rese effettivamente, più remissivo nei suoi confronti di quel che non fosse il liberalismo e il socialismo, avversari ben più nobili e ricchi di premesse dottrinarie » - p. 272), e materiali, come l’abbandono del progetto di legge relativo alla abolizione della nominatività dei titoli. Tali considerazioni la spinsero tra le braccia del regime e gli autori non esitano a riportare — fatto insolito per un testo scolastico — le parole dell’allocuzione pronunciata da Pio XI in seguito all’attentato alla vita di Mussolini nel ’26: «Mussolini [...] con tanta energia governa le sorti del paese, da far giustamente ritenere pereclitare il paese stesso ogni qualvolta périclita la sua persona » (p. 273).Complici dello stabilizzarsi del nazismo in Germania sono considerati, oltre che Mussolini, che dal 1936 muove di conserva con la dittatura d’oltralpe, seppure indirettamente, le potenze occidentali, sostenitrici della politica di « pacificazione » ad ogni costo con i regimi fascisti, in funzione antisovietica. Secondo una medesima posizione anticomunista venne valutata la formazione della « Commissione internazionale per il non intervento » da parte della Francia e dell’Inghilterra allo scoppio della guerra civile spagnola.
Un lungo paragrafo è dedicato alla Resistenza italiana, alle formazioni partigia- ne ed alle brigate comuniste e gielliste, considerate « la più consapevole anima politica della Resistenza » (p. 327) e questa, nel suo insieme, viene vista come « integrazione-superamento del Risorgimento, che era stato prevalentemente un movimento di élite. Non una rivoluzione, ma certamente una lotta popolare che approderà alla fondazione della repubblica democratica » (p. 329).
Il volume si chiude con un ampio capitolo dedicato ai problemi degli anni 1945-70, dalla guerra fredda alla politica di coesistenza pacifica, dal tramonto del colonialismo alla vittoria della Cina popo
lare. La narrazione però perde in organicità e serietà, gli argomenti vengono più affastellati che collegati e si notano lacune assai grosse, di impostazione (problemi del sottosviluppo del Terzo mondo) e di informazione (la guerra del Viêt- Nam). Indubbiamente tutta questa parte finale dovrà essere profondamente rielaborata ed ampliata, per raggiungere il livello delle altre parti del volume, di cui costituisce l’unica grossa pecca riscontrabile. Anna Sabatini Gallerano
L. Cattanei - V. Fabroncini, Tempi etestimonianze. Corso di storia per istituti magistrali e licei, volume terzo,Torino, SEI, 1970, pp. 640, lire 2600.Come è indicato nel titolo, il testo si presenta come un insolito tessuto di brani, giudizi o frammenti di giudizi tratti da storici delle più diverse tendenze. Un lavoro certamente notevole per l’impegno di lettura e selezione delle opere, senza però capacità formativa, perché privo di unità e di sintesi. Specialmente la storia più recente risulta frammentaria, disorganica e volutamente « neutra », giacché il giudizio storico degli autori scompare o si nasconde nell’ecclettismo dei giudizi altrui con l’implicita giustificazione dell’obiettività. Da questa impostazione non deriva, per lo studente, una visione più problematica ed aperta, ma piuttosto la impressione di una estrema opinabilità, che sconfina nel disorientamento e nella sospensione del giudizio. La cucitura abbastanza « qualunquistica » dei « pezzi » sembra appunto sottintendere negli autori la mancanza di un giudizio politico anche in riferimento al presente, presupposto necessario per ricostruire organica- mente e con continuità logica i fatti del passato.Ecco, per fare un esempio, come gli autori affrontano il tema della rivoluzione cinese: si cita un passo di 11 righe dall’opera Le origini ideologiche della rivo luzione cinese di E. Collotti Pischel, e un passo ancor più breve tratto da un articolo del « Corriere della sera » del 20-10-1970, uniti da poche righe di raccordo. Nel primo troviamo un breve cenno alla rivoluzione come liberazione di 300 milioni di contadini dai vecchi rapporti feudali, nel secondo si parla in
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vece delle tendenze imperialistiche implicite nella « Cina rossa », e nella natura della popolazione cinese, « priva di fantasia, con tendenza all’automatismo, ligia agli ordini in maniera meccanica, ossequiente alla gerarchia in senso cieco » (pp. 579-580). Non si vede quale collegamento logico possa esistere tra i due passi citati. Gli autori non aggiungono altro, non spiegano, non giudicano, in definitiva non si compromettono.II ventennio fascista è trattato in 20 pagine con l’unione di 29 « pezzi » di opere varie (Renouvin, Tasca, Alatri, Nitri, Chabod, Morandi, Seton Watson, Croce, Scoppola ecc.), nonché di articoli di giornale, documenti e discorsi di uomini politici dell’epoca. Bisogna dire che questa è una delle parti più accettabili del testo, anche se presenta i difetti di metodo già messi in evidenza: questatrattazione del fascismo è senz’altro preferibile a quella di molti testi tradizionali.
Il quadro che ne risulta è quello di un fenomeno di malcostume politico dovuto al diffuso malessere dell’epoca, le cui componenti sono la « vittoria mutilata », la crisi economica e la crisi del parlamento. Vi troviamo anche un cenno all’occupazione delle fabbriche (riferita però con una inesattezza abbastanza vistosa al 1921 anziché al settembre del 1920). Ma nessun cenno viene fatto alla reazione agraria e industriale che sostiene la recrudescenza dello squadrismo. Più completa la parte relativa all’organizzazione dello stato fascista, perché più concorde e appropriata la scelta dei passi, sorretta e animata questa volta dalla condanna esplicita degli autori nei confronti della dittatura, sia pure espressa in toni non di rado moralistici. Viene illustrata la figura di Mussolini, si fa riferimento all’opposizione fino al delitto Matteotti, al processo di Savona e al manifesto del Croce; si puntualizzano i caratteri dello stato corporativo col quale si annullano di fatto le spinte autonome del movimento operaio, si mette in rilievo il carattere propagandistico e paternalistico della politica economica e della battaglia del grano; si accenna infine all’opera di fascistizzazione dell’educazione, volta a formare cittadini obbedienti.
Pochissimo spazio è dedicato invece alla Resistenza italiana. Troviamo soltanto due brevissimi passi dell’opera Resistenza in Piemonte di A. Galante Garro
ne [w'e], riferiti al significato morale e al carattere politico del fenomeno, e un passo de L’Italia contemporanea di F. Chabod, in cui vien messo in rilievo il contributo della Chiesa.La parte rimanente, fino ai nostri giorni, quantunque abbondante di citazioni ed anche di illustrazioni, appare frammentaria e generica, e spesso condotta sulla linea di luoghi comuni ricorrenti
nella propaganda ufficiale. Ne è prova l’ampiezza dello spazio dedicato alla coesistenza pacifica, con toni osannanti per J. F. Kennedy. Quanto all’imperialismo americano e alla natura del sottosviluppo gli autori non dicono, e neppure fanno dire, una sola parola. E se si pregiano, a differenza di molti altri autori, di parlare della « dolorosa piaga » del Viet-Nam, tacciono sulla Conferenza di Ginevra del ’54 e non distinguono tra aggressori e aggrediti, ossia non illuminano il carattere imperialistico del conflitto.Si comprende pertanto che essi possano definire « oscuro » il male del mondo moderno, indicandone la causa nell’abbandono, da parte dell’uomo d’oggi, della contemplazione per l’azione, e nella dimenticanza che « più oltre, in alto, più in alto non v’è che Dio» (p. 601). Alcune fotografie, tra cui due veramente belle riproducenti momenti della lotta rispettivamente di operai e studenti (con le scritte « La scuola siamo noi » e « Uniti si vince ») chiudono in maniera sconcertante e contraddittoria questo « strano » manuale.Pietro Riccobene
F. Melzi d’Eril - E. Mandelli - M. L. Corrieri, Il fiume della storia. Corso di storia per gli istituti tecnici, volume quinto, Milano, Mondadori, 1969, pp. 570, lire 2500.Gli autori tentano di conformarsi ai nuovi criteri ormai imposti dalla metodologia storiografica più avanzata e cercano di accontentare la richiesta, espressa attraverso i nuovi programmi, di una visione più ampia e aperta della storia. Perciò la storia contemporanea dalla prima guerra mondiale ad oggi è preceduta da ben quattro capitoli complessivamente di 91 pagine che trattano un po’ di tutto e alla rinfusa: lo sviluppo del capitale, i pro-
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 27hlemi del socialismo, la storia dell’automobile, i progressi della tecnica, le crisi economiche, l’allevamento del baco da seta, l’emigrazione, l’inurbamento, il commercio, la scienza, la cultura, l’arte, il folclore, l’analfabetismo, l’istruzione operaia e persino le villeggiature, gli svaghi e gli esercizi fisici dei borghesi, corredando il tutto con numerose e discrete fotografie e alcune cartine geografiche. Da questa presentazione disorganica degli avvenimenti risulta un quadro della vita italiana ed europea anteguerra abbastanza confuso, tale da non permettere allo studente di orientarsi. Gli avvenimenti sociali, politici e culturali, il cui senso è strettamente legato alla rivoluzione industriale, sono semplificati e schematicamente incasellati.
Del socialismo, ad esempio, si distingue artificiosamente un « aspetto ideale », individuabile nella « nobile e giustificata protesta contro l’oppressione di una moltitudine da parte di una minoranza avida e prepotente » e un « aspetto politico » che non può essere accettato dagli autori perchè in esso si evidenzia la lotta di classe, l’odio e la violenza (p. 306). Quanto al resto, si afferma che il capitalismo, di cui si riconoscono le contraddizioni, è indistruttibile, che l’oppressione dell’operaio è dovuta « all’avidità e smodata passione di dominio che si nascondono nell’anima umana », che l’emigrazione è un fatto conseguente al progresso della tecnica, e che l’analfabetismo è un fatto dovuto agli stessi analfabeti. Se è difficile spiegare le vere ragioni e il senso dei fatti per gli autori, giacché la storia come è detto nel titolo del testo è simile a un fiume, bisogna dire tuttavia che non manca per questo, alla fine di ogni capitolo, una paginetta recante il titolo « guida per lo studente ». Ecco, ad esempio, come lo si guida a trovare le cause dell’analfabetismo: « Colpa dei governi?D’accordo. Ma non si dimentichi che l’individuo, conscio di una sua evidente inferiorità, reagisce spesso non già tentando di superarsi, ma cercando ogni pretesto per negare la superiorità altrui. Il bambino che non sa andare in bicicletta rifiuterà a volte di imparare, accontentandosi di deridere i suoi compagni che pedalano » (p. 395).
La storia tra le due guerre è presentata come un ventennio di crisi che si risolve nelle dittature fasciste, il cui fattore determinante è indicato semplicisticamente
nella paura del comuniSmo. Infatti, si afferma che « per sconfiggere i comunisti alcune nazioni democratiche si dovettero affidare [sic} in modo temporaneo o definitivo ai dittatori che governarono con energia » (pp. 435-36). « Nel disorientamento diffuso — si legge ancora a p. 457 — si ha l’impressione che tra tanti uomini di stato e tanti scrittori politici nessuno avesse le idee chiare quanto Hitler ».Questa semplificazione della crisi europea tra le due guerre è particolarmente evidente nella trattazione della guerra di Spagna, determinata dal fatto che « le estreme [?!] spinsero la situazione al peggio: ci furono invasioni di terre, occupazioni di fabbriche, vandalismi e persecuzioni religiose » (p. 452).Anche il fascismo italiano è trattato con le stesse semplificazioni e ambiguità. A questo proposito l’atteggiamento pseudo-problematico degli autori si concreta in una serie di domande che sottintendono fin troppo scopertamente il loro orientamento: « Esaminiamo soprattuttola società politica del dopoguerra. Questa
società era veramente così marcia e di- spregevole? La lotta dei partiti per accaparrarsi il potere, era veramente scandalosa? E se veramente le pecche di quel mondo politico erano gravi, ci è lecito concludere che il fascismo fosse allora necessario? Un male, insomma, necessario ad evitare mali ancora più grandi? » (p. 480). Si aggiunge poi che « tutti hanno tirato un respiro di sollievo, giacché la rivoluzione si è composta ancor prima nella normalità e nella legge » (p. 466). Il delitto Matteotti, il tribunale speciale, l’introduzione della pena di morte, le leggi eccezionali si intendono come fatti conseguenti e necessari; mentre viene inserita nel quadro della crisi economica mondiale del ’29, come segno di distinzione del regime, in un momento così difficile, la politica economica (battaglia del grano e opere pubbliche) e, a proposito dell’ordinamento corporativo, si dice che « la vita economica, per la grandezza e la potenza della nazione, non verrà più abbandonata all’individualismo liberale, ma dipenderà dallo stato » (p. 474).Su queste basi si può facilmente intuire quel che gli autori possono dire della Resistenza. Ridotta a poco più di una pagina, è vista schematicamente e ambiguamente come opposizione ai tedeschi e alla RSI nella forma della « guer-
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rigtia con le sue azioni di sorpresa, gli atti di sabotaggio e le azioni di disturbo sulle vie di comunicazione dell’avversario » (p. 515). Si parla di apporto delle classi più disagiate, desiderose di prender parte alla vita politica della collettività, ma non si definiscono gli ideali della guerra partigiana, giacché si distingue troppo schematicamente un movimento « derivante da reparti dell’esercito che non si erano disciolti e conservavano un ordinamento disciplinare » e un movimento « politicamente caratterizzato, quello dei comunisti e del partito d’azione », dove « accanto al comandante militare c’era il commissario politico » e dove « i partigiani dovevano sapere che il loro era l’esercito della rivoluzione » (p. 515).Le vicende dal ’45 ad oggi sono trattate con scarso rigore critico e con una impostazione nozionistica basata sui luoghi comuni dell’anticomunismo. L’Europa e il mondo dall’inizio della guerra fredda ad oggi, sono divisi in due blocchi, in « democrazie popolari » e « democrazie senza aggettivi ». Da una parte c’è l’URSS, decisa a sostenere i popoli tendenti a rovesciare le vecchie strutture e dall’altra gli USA che « per il bene altrui e per il proprio vantaggio non avrebbe avuto difficoltà a imporre la propria legge » (p. 526). Gli Stati Uniti tuttavia sarebbero stati spinti « a imprese avventate e piene di rischi, come quelle della Corea e del Viet-Nam dalla pretesa, non priva di generosità e di una certa grandezza, di proteggere in tutto il mondo la causa della libertà e della democrazia » (p. 555). Tutto il resto, la NATO, l’ONU e la politica internazionale è spiegato in questo quadro e dei paesi del Terzo mondo di cui si parla solo nozionisticamente, si afferma che « ognuno d’ora innanzi è padrone della sua storia e delle sue vicende » (p. 569).
Pietro Riccobene
Raffaello Morghen, Cività europea. Corso di storia per le scuole medie superiori, volume terzo, Palermo, Palumbo, 1969 (I* edizione 1951), pp, 550, lire 3000.Il testo del Morghen ci appare come un serio ed impegnativo lavoro di sintesi in cui confluiscono — per quasi tutti i
periodi considerati — i frutti di una ricerca senza dubbio vastissima. Tuttavia ci sembra che l’opera sia nel suo complesso invalidata da una troppo rigida chiusura di fronte a modelli interpretativi che non rientrino nei vetusti schemi della storiografia liberale cui l’autore fa costante ed esclusivo riferimento.Per la prima guerra mondiale, accanto ad una minuziosa elencazione dei dati, l’unico giudizio complessivo offerto è che essa fu « guerra ideologica » (p. 385); nel dibattito tra interventismo ed anti- interventismo il fattore economico non compare neppure. Così pure nel primo dopoguerra unici protagonisti nella scena internazionale sono gli eserciti e gli uomini politici; anche l’avventura di Fiume è perfettamente inserita nel quadroufficiale ed incolore dell’alta diplomazia.È importante, per chiarire la posizione dell’autore, l’accenno alle ripercussioni della guerra sulla struttura economica europea: l’intervento dello stato nellaeconomia di guerra è presentato come un fatto nuovo, mostruoso ed aberrante prodotto di una situazione straordinaria (p. 429). Nel medesimo contesto si legge poi che « il quarto stato » irrompendo- « con la potenza del numero nelle formazioni non più chiuse della società borghese » ne abbassò il tono « dal punto di vista intellettuale e spirituale ». Sono le stesse classi medie a maggiormente soffrire delle ripercussioni della guerra, mentre « l’innalzarsi delle masse popolari ad un più alto tenore di vita » rendendo più arduo ed ampio l’ambito dei problemi che lo stato si trova ad affrontare, provoca la progressiva caduta delle idee liberali a favore del rivoluzionarismo socialista e del nazionalismo autoritario; ciò costituisce la premessa dell’affermarsi del fascismo, i cui genuini caratteri anti- operai e di difesa del grande capitale sono riferiti unicamente al periodo successivo al 1924.
Della politica economica fascista si sottolinea particolarmente l’aspetto negativo dell’intervento dello stato nella vita nazionale senza insistere sui motivi dei provvedimenti presi in questo senso (p. 459); la contrapposizione infatti è tra « spontanea forza creativa della libertà » e « dirigismo statale » (p. 459).Molto spesso l’esame di importanti questioni, come la politica estera fascista, l’ascesa al potere di Hitler o la guerra civile spagnola si riducono ad una minu
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 29ziosa elencazione di fatti in cui non si riesce a cogliere un tentativo di interpretazione.Ad una esposizione particolareggiata (35 pagine) della seconda guerra mondiale fa seguito una presentazione della Resistenza, tale da dare un’impressione di equilibrio tra forze partigiane e forze militari regolari (CIL).Fin qui, anche se all’interno di una linea interpretativa che non condividiamo, l’autore ha dato prova di serietà e correttezza scientifica. Dove invece il testo perde queste caratteristiche per scadere al livello di mediocre ed imprecisa informazione, se non addirittura di aperta mistificazione, è nelle scarse pagine (18, comprese letture e tabelle riassuntive) dedicate agli avvenimenti dal 1945 ad oggi. Al proposito vai la pena di vedere l’accenno dedicato alla rivoluzione cinese (p. 523) presentata come normale passaggio di potere tra due presidenti, oppure (p. 524) la presentazione di una Cina che tenta « di risolvere le varie questioni riguardanti la sua espansione nell’Asia con una serie di guerre », tra le quali figurano, senza nessuna limitazione o vago accenno ad altre possibili interpretazioni, la guerra di Corea, quella « contro l’India » e « nel sud-est asiatico ».
Addirittura incoerente è poi la presentazione di Kruscev il quale cercò, •« con una politica di colpi di scena tra intimidatori e distensivi » di « incorporare Berlino nella Repubblica tedesca orientale » prendendo « a questo scopo » contatto diretto con Eisenhower e Kennedy e che mentre su tutto il fronte affermava una politica di rottura ed aggressione nei confronti delle potenze occidentali, « in definitiva finì per affermare il nuovo principio della coesistenza pacifica ».Infine un ultimo capitoletto (2 pagine) è dedicato alla « crisi della civiltà », dovuta essenzialmente all’attenuarsi del senso della tradizione, e alle « speranze dell’avvenire» fortemente alimentate dal fatto che « in Asia e in Africa popolazioni indigene, viventi ancora, qualche anno fa, allo stadio di tribù, sono assurte alla dignità di comunità nazionali sotto l’in- f'nrso della civiltà occidentale, portatrice di germi fecondi di libertà e di progresso ». Paolo Speziale
G uido Quazza, Corso di storia per i licei e gli istituti magistrali, volume terzo, Torino, Petrini, 1969, pp. 511,lire 2500.Il volume si presenta tanto tradizionale per impianto e aspetto esteriore, quanto rinnovato nel contenuto. Autore ed editore, infatti, non si sono preoccupati di seguire la moda consumistica che vuole testi sempre più vari per impaginazione, corredo di illustrazioni e letture; qui i capitoli sono tradizionalmente divisi in paragrafi e densi capoversi, le illustrazioni e le cartine sono poche (anche se chiare), in bianco e nero e non inserite nel testo. Anche il linguaggio non è discorsivo, ma, per terminologia e ritmo del periodare, esige preparazione e attenzione. Non si ricorre insomma a mezzi leciti e illeciti per attirare l’attenzione di studenti e insegnanti, ma si preferisce conservare un’atmosfera di rigore scientifico abbastanza contrastante con la generale tendenza del mondo scolastico.Sotto questo manto tradizionale, il Quazza opera un profondo rinnovamento della materia, che esemplifichiamo in tre direzioni: la coerenza di un’interpretazione marxista, l’ampiezza della trattazione, il riconoscimento pieno dell’importanza della storia contemporanea. Tre aspetti di una medesima impostazione che non elude i problemi scottanti, ma li affronta con serenità e serietà, con un’apertura al dialogo sul piano sostanziale anziché su quello formale.Mentre la maggioranza dei manuali indugia sulla denuncia delle cause dell’avvento del fascismo, ma sbriga rapidamente l’analisi del regime sorvolando sui complessi problemi di struttura e di alleanze di classe, il Quazza scrive in merito lucide pagine, che scegliamo a testimoniare la continuità del suo serrato discorso. La confluenza nel regime delle diverse forze borghesi, dai partiti alla cultura, ed il legalismo dell’opposizione aventiniana sono chiaramente indicati, la costruzione dello stato totalitario è descritta nei suoi meccanismi senza mezzi termini; con pari chiarezza l’autore illustra la difesa degli interessi capitalistici condotta dal fascismo (soppressione dei sindacati, demagogia della soluzione corporativa, predominio padronale a tutti i livelli) e la debolezza intrinseca di « una politica economica generale di prestigio »,
la quale « non bada all’effettivo miglio
30 Inchiesta sui testi di storia contemporanea
ramento della produzione attraverso un rinnovamento tecnologico e strutturale capace di aumentare la produttività, bensì al raggiungimento di obiettivi atti a propagandare l’efficienza del regime » (p. 289). Battaglia del grano, bonifiche e lavori pubblici sono così ricondotti alla loro reale natura, senza cedimenti. Pure l’appoggio della Chiesa cattolica è precisato senza mezzi termini, con un’illustrazione delle clausole del Concordato proiettata sull’oggi; e la demistificazione si estende alla politica estera, con l’indicazione della natura di classe dei consensi anglo-francesi (si veda anche p. 310). Infine l’antifascismo ha diritto ad una analisi completa, pur nella sua brevità, che non indulge a sentimentalismi, ma anzi precisa crudamente i limiti dell’azione degli oppositori dinanzi all’adesione che il paese concede alla dittatura.
Nelle righe precedenti è implicita anche l’indicazione dell’ampiezza della trattazione, che oltre ai temi consueti investe movimento operaio e strutture economiche, organizzazione della cultura e alleanza di classi nazionali e internazionali. Va tuttavia sottolineata l’attenzione del Quazza ai problemi europei e mondiali, posti al centro almeno di una ventina dei 35 capitoli del volume. Ne deriva talora un certo appesantimento del testo, indubbiamente molto denso ma non mai dispersivo, perché le varie storie nazionali sono sempre ricondotte all’unitarietà di una lotta di classe che ha dimensioni mondiali. La tavola sinottica 1815-1969, che occupa ben 70 pagine del volume, è l’espressione più evidente dello sforzo dell’autore di superare i limiti tradizionali dell’italo-centrismo. La tavola, in cui sono ripresi tutti gli avvenimenti del testo narrativo, è divisa in sette colonne: Italia, stati tedeschi escandinavi, Francia-Svizzera,Spagna-Porto- gallo, Gran Bretagna-Olanda-Belgio, Europa orientale e balcanica, America, Afri- ca-Asia-Oceania; e queste due ultime colonne non iniziano solo negli ultimi decenni, ma sono fitte di dati già per il primo Ottocento, fornendo un richiamo (forse di non facile consultazione per lo studente meno preparato, ma certo di grande interesse per gli altri) alla complessità e pluralità del processo storico.L’aspetto più interessante in questa sede è però l’organicità con cui il Quazza affronta la trattazione della storia 1945- 70, invece di relegarla (come tanti altri
manuali) in un solo capitolo finale, ampio ma disorganizzato. Dopo undici capitoli e 115 pagine (su 380 totali) per la storia 1914-46, vengono quattro capitoli e 40 pagine sugli anni successivi, in cui sono sistematicamente toccati tutti i problemi contemporanei, dalla « guerra fredda » al « Terzo mondo e la coesistenza pacifica », dalla « esperienza democratica dell’Italia » alla « crisi del rapporto tra società e stato nel mondo d’oggi » (per riprendere i titoli dei capitoli). Il discorso spazia dalle guerre di liberazione dei paesi afro-asiatici alla contestazione del 1968, ponendosi come la continuazione organica di quello precedentemente avviato; l’analisi della potenza mondiale cinese, ad esempio, non è affrontata estemporaneamente nelle ultime pagine, ma si ricollega alla trattazione dei capitoli sull’Otto-Novecento. Un esauriente indice analitico facilita la ricerca dei col- legamenti.Concludendo, questo del Quazza è un manuale storico nel senso migliore del termine, che fornisce un’eccellente sintesi degli avvenimenti contemporanei, organizzata con rigore scientifico e coerenza politica. II volume non ha cedimenti o aperture verso un insegnamento più facile e vivace, non si presenta cioè come soluzione precostituita dei problemi didattici che si pongono quotidianamente a professori e studenti (con tutti i rischi di demagogia e faciloneria che ciò comporta). Non è perciò un volume « comodo » da usare perché fornisce una solida base per lo sviluppo di un discorso, la cui responsabilità spetta a professori e studenti con l’ausilio degli altri mezzi didattici esistenti (pensiamo ad esempio alle collane monografiche); ma nel testo del Quazza insegnanti e studenti troveranno costantemente un sicuro punto di riferimento, un’informazione eccellente e, ciò che più conta, una sistemazione organica della materia che è esempio e stimolo di azione e riflessione autonoma.
Giorgio Rochat
Armando Saitta, Il cammino umano. Corso di storia ad uso dei licei, volume terzo, Firenze, La Nuova Italia, 1968 (I* ed. 1954), pp. 658, lire 2900.Questo « classico » dei testi di storia per i licei sente indubbiamente il peso
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 31degli anni, nel senso che emergono con sempre maggiore evidenza le sue carenze e i limiti derivanti da una posizione ideologica di fondo che, se qualche tempo addietro poteva passare per « progressista » nel contesto generale della scuola italiana, oggi mostra decisamente la corda.Tutto questo appare con maggior chiarezza nei capitoli che trattano il periodo dalla prima guerra mondiale ai nostri giorni, capitoli che occupano circa un terzo del volume, e soprattutto nella parte di storia più recente, del secondo dopoguerra. In queste pagine infatti l’eclettismo ideologico-politico (con una propensione evidente per l’idealismo piuttosto che per il materialismo storico) si riflette anche sul piano didattico in una scarsa capacità di sintesi e in un’esposizione (spesso farraginosa e spezzettata) di avvenimenti politico-diplomatico-istituzionali cui fa difetto un legame organico con i riferimenti economico-sociali.Particolarmente indicativo è il modo in cui viene svolta la storia dei paesi extraeuropei e coloniali dove la mancanza di un’impostazione organica e di vasto respiro fa sì che si perdano del tutto le caratteristiche di fondo e il significato del dominio imperialista in questa fase storica (tanto da ridurre ad esempio la guerra del Vietnam all’errore di un presidente USA un po’ più « duro » del precedente; in generale poi gli anni ’60 sono trattati in « un rapido sguardo d’insieme sul mondo 1967 » in sei pagine di fatti e nomi piuttosto affastellati e tutti sullo stesso piano).A tale proposito faremo degli esempi significativi che illustrano l’eclettismo dell’autore nell’impostazione metodologi- co-politica dei problemi storici. Si veda il capitolo « L’Europa e il mondo verso la prima guerra mondiale », là dove in un paragrafo dedicato ai « grandi imperia lismi » leggiamo: « le potenze del vecchio continente ubbidivano alla ineluttabile legge dello sviluppo capitalistico che giunto ad. un certo limite si risolve in imperialismo » (p. 399). Questa frase, dopo la quale ci attenderemmo una concretizzazione e un approfondimento del problema dell’imperialismo, resta purtroppo un semplice « civettamento » con la terminologia leniniana; invece di venire spiegata attraverso un’esposizione che metta in luce i nessi reali tra la base economica deH’imperialismo, la sua poli
tica e la guerra, questa frase viene svuotata e in ultima analisi negata dal successivo elenco di « fatti » politico-diplomatico-militari che, di fatto, riduce il fenomeno dell’imperialismo a « una certa politica ». Da ciò derivano poi giudizi di tipo moralistico, come quello che l’Italia di fronte al primo conflitto mondiale avrebbe avuto l’alternativa tra « fare la guerra con animo imperialista » o « accettarla soltanto come la quarta guerra d’indipendenza del nostro Risorgimento » (p. 440); o il giudizio a proposito della « ttoppo facile critica di non pochi socialisti alla passata guerra » (p. 506). Nelle pagine sulla « crisi del dopoguerra in Italia » possiamo poi leggere affermazioni di questo tipo: « la maggior parte del paese era sensibile alle eccitazioni dei nazionalisti e, stranamente ingannandosi sui veri interessi del paese, anziché prender fuoco per la mancata assegnazione di colonie, lo prendeva per il problema della frontiera italiana » (p. 501). Il che viene infine condito con una « lettura » patriottica come quella dell’Omodeo sui « giovinetti del Piave ».In altri casi tuttavia le letture risultano più indovinate e stimolanti: come il passo tratto dalle Tesi del Congresso di Lione del PCd’I, che ci dà un’analisi di classe del sorgere del fascismo, (p. 526).È chiaro che simili impostazioni diventino macroscopiche allorché si arriva alla storia più recente: qui si richiede ben altra chiarezza, rigore e originalità, oltre alla capacità di impostare i problemi in maniera aperta e critica, rispetto alla « aurea mediocritas » o alle banalità cui l’autore trova comodo restare attaccato.
Gaetano Grasso
Armando Saitta, Produzione e traffici nella storia della civiltà per j l triennio degli istituti tecnici, volume terzo, Firenze, Sansoni, 1970, pp. 503, lire 2000Rispetto al testo dello stesso autore per i licei, questo per gli istituti tecnici
presenta alcune caratteristiche didattica- mente positive, quali la maggior agilità dell’opera, la maggior attenzione per i temi socio-economici, il ricco apparato iconografico (fotografie, grafici, stampe scelte con originalità) che costituisce da solo il corpo di interi capitoli-inserto di
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tipo monografico (molto efficaci quelli sul razzismo, sull’urbanesimo ecc.). Nello stesso tempo va detto che l’opera non presta il fianco, se non in qualche caso particolarmente per quanto riguarda la storia recentissima, ad accuse di vistosa semplificazione o di mistificazione grossolana.Nonostante questo il volume non supera alcuni tradizionali difetti della classica opera per i licei, e specialmente la tendenza ad accumulare fatti e problemi senza che emerga con evidenza una linea interpretativa unitaria. Talvolta la fretta espositiva nuoce alla comprensione corretta e sintetica degli avvenimenti.Cosi se il capitolo sul sorgere del socialismo scientifico appare, pur nella sua brevità, abbastanza convincente, non sembra adeguato lo spazio dato alla rivoluzione d’ottobre (a proposito della quale sfugge all’autore il termine quantomeno singolare di « colpo di mano »). Le fasi del processo rivoluzionario, trattate in un solo paragrafo (nell’ambito del capitolo sulla prima guerra mondiale), si sovrappongono in modo un po’ meccanico e scarsamente convincente.
Anche sulla crisi del dopoguerra in Italia, aspetti e momenti dell’avanzata tumultuosa del movimento proletario non sono sufficientemente analizzati, tanto che eventi quali l’occupazione delle fabbriche (cui pure viene dedicata una lettura) compaiono nel bel mezzo del discorso senza una evidente motivazione, apparentemente solo in relazione alla paura della borghesia ed all’avvento del fascismo.
Ma la parte più carente appare quella della storia più recente, dal secondo dopoguerra ad oggi, dove più evidenti si rivelano i limiti dell’orientamento. Tutto il discorso verte infatti sui rapporti tra « potenze », in termini politico-diplomatici e militari, anziché sulle drammatiche contraddizioni tra sviluppo e sottosviluppo, e interne alle stesse società sviluppate. Così mentre la guerra del Viêt- Nam appare marginalmente come frutto di un « errore politico » degli Stati Uniti, fatti di grande importanza come la rivoluzione culturale cinese e la rivolta delle giovani generazioni nell’occidente sviluppato (« contestazione ») sono segnalati in termini equivoci e col riferimento ai più triti luoghi comuni.
La prima viene infatti definita « in parte nuova forma di stalinismo voluta
da Mao e dal suo secondo Lin Piao, in parte esplosione spontanea di estremismo egualitaristico in gruppi giovanili » (pp. 420-421). La seconda come «una ventata prevalentemente anarcoide, della quale è disagevole ancora cogliere l’effettiva portata storica ». Nonostante questa riserva di giudizio, riguardo alla « contestazione » in Italia l’autore ritiene di poter dire che « certi atti terroristici non sono i mezzi migliori per far trionfare una contestazione rivelatasi sempre più vuota di effettivi contenuti, e ancor meno per instaurare una vera e autentica democrazia » (p. 421).In entrambi i casi è evidente la mistificazione che deriva da un affrettato e sommario riferimento ai fatti, che vengono liquidati con giudizi di una bana
lità sconcertante. La confusione intenzionale tra maoismo e stalinismo, tra contestazione e terrorismo, suggella in modo classicamente conservatore un testo per altri versi abbastanza pregevole, rivelando i limiti di tutta una prospettiva.Antonio Gibelli
F. Salvo - F. Rotolo, La città dell’uomo. Manuale di storia ad uso dei licei e dell’istituto magistrale, volume terzo (2 tomi), Firenze, Le Monnier, 1970, pp. 780 compless., lire 3.000.Caratteristiche « esterne » del volume sono la notevole mole (è diviso in due tomi, per complessive 761 pagine) e una certa « difficoltà » dell’esposizione, che presuppone la familiarità con categorie interpretative abbastanza complesse. Difetti didattici — diciamo subito — abbastanza inevitabili, se si tien conto dello sforzo di completezza e di serietà scientifica che sorregge- tutto l’impianto del libro.L’intero arco della storia contemporanea è affrontato dagli autori dal punto di vista di una chiara e non dogmatica impostazione marxista, che vede nella dinamica di classe a livello mondiale la chiave unitaria di interpretazione dei fenomeni storico-politici. Sarebbe quindi inutile dare una rassegna analitica dei singoli aspetti della trattazione, sempre corretta e aliena da schematizzazioni o mistificazioni, sia che affronti il problema della prima guerra mondiale e dell’avvento del fascismo in Italia e in Europa, sia che
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 33investa i temi più recenti della seconda guerra mondiale, della Resistenza, dei problemi mondiali nel secondo dopoguerra.È appunto nella sintesi degli avvenimenti dal 1945 ad oggi che si rivela con più evidenza la serietà dell’impostazione, che si muove attorno a tre fondamentali linee direttrici: l’espansione dell’area socialista (di cui sono evidenziati, accanto agli immensi sviluppi liberatori, anche le insufficienze e le contraddizioni); la crescente incidenza del terzo mondo, correttamente definito come « polo di sottosviluppo sociale all’interno della crescita economica del neocapitalismo » (p. 721); i tentativi di sopravvivenza del mondo capitalistico attraverso l’introduzione di meccanismi razionalizzatoti e di controllo dei fattori produttivi, che tuttavia non riescono a superarne le contraddizioni più profonde.Gli autori non solo lasciano lo spazio dovuto ai grandi eventi della storia extraeuropea (come la rivoluzione cinese), che danno un’impronta decisiva al XX secolo, ma non si sottraggono alla trattazione degli eventi più drammatici e recenti, che coinvolgono la polemica politica e impegnano in modo più diretto lo storico come parte attiva della storia in atto: dall’invasione sovietica della Cecoslovacchia (vista come « espressione di una operazione conservatrice della burocrazia dell’URSS », p. 743, pur senza indulgere ad una esaltazione acritica del « nuovo corso » cecoslovacco), al conflitto arabo-israeliano, correttamente inquadrato nell’ambito dello scontro mondiale tra imperialismo e popoli in lotta per la loro emancipazione.Da questo punto di vista il volume è forse il migliore tra quelli apparsi finora, e rappresenta una novità senza dubbio positiva. Aggiungiamo che il testo viene intercalato con la pubblicazione di documenti per lo più scelti con criteri di efficacia didascalica, e con appendici di « note e complementi », quest’ultime forse troppo episodiche e dispersive, e tali da appesantire la trattazione senza aggiungervi elementi fondamentali.
Antonio Gibelli
■ Giorgio Spin i, Disegno storico della civiltà per licei classici, scientifici e istituti magistrali, volume terzo, Roma, Cremonese, 1970 (IX ed.), L. 2.800.
Al periodo che intercorre fra il ’18 e gli anni ’60, nel terzo volume in uso per i licei, l’autore dedica 163 pagine su un totale di 526 (il terzo volume per i licei si apre con la Restaurazione). Una pressoché medesima proporzione viene mantenuta nel testo in uso negli istituti tecnici.Nel volume la ricostruzione storica condotta dall’autore si presenta come un tutto già compiuto, un problema già risolto che né pone e sollecita interrogativi, né invita all’approfondimento e al dialogo; per cui, ci sembra che difficilmente il testo possa prestarsi ad un nuovo tipo di insegnamento, centrato sulla partecipazione attiva dello studente. Anzi, l’autore, che si muove nell’ambito della storiografia democratica moderata, dietro lo schermo della neutralità scientifica sembra smussare gli angoli della dialettica ideologica e politica per poter presentare sulla medesima coordinata esperienze storiche le più diverse.Entrando nel merito del volume ci sembra necessario fare una distinzione fra i capitoli relativi al periodo fra le due guerre e quelli successivi, più precisi nelle notizie e più aperti alla problematica politica.
L’analisi della crisi dello stato liberale in Italia appare eccessivamente sintetica e schematica, e, d’altra parte, non vengono valutate nel loro peso reale le forze che appoggiarono le « squadre d’azione » e determinarono l’avvento al potere del fascismo, del quale, per altro, non si tenta alcuna interpretazione. Si pone l’accento solo sul massimalismo verbale dei socialisti, sulle « agitazioni bolscevizzanti di piazza » (p. 384), su generici scioperi e occupazioni di terre (si passano per altro sotto silenzio le promesse fatte ai contadini durante il conflitto) e sulle manifestazioni antimilitariste lesive dell’orgoglio piccolo-borghese. Della crisi delle strutture prodotta dal conflitto e della diversa situazione storico-politica non si fa voce.
Parimenti, nel precipitare dell’Italia nel gorgo della seconda guerra mondiale, si tenta di scindere la responsabilità della corte, di parte delle sfere dirigenti e della Chiesa dalla politica bellicista e filotedesca di Mussolini: « L’inquietudinecominciava a penetrare [nel ’39] ormai negli ambienti di corte e nelle stesse sfere dirigenti fasciste: né poco contribuiva ad accentuarla l’atteggiamento ostile al
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razzismo assunto dalla Santa Sede col pontefice Pio XI e col suo successore Pio XII » (p. 419).Medesima angolatura viene mantenuta nelle pagine dedicate al nazional-sociali- smo hitleriano e ciò ci sembra tanto più grave quanto più l’autore accentua il carattere dispotico del regime staliniano di cui non illustra la fondamentale differenza di struttura rispetto alle dittature fasciste.La ricostruzione storica diviene più valida e puntuale allorché si passa a trattare la resistenza armata europea, vista non tanto come lotta contro i regimi di occupazione quanto come lotta contro il nazismo per le libertà civili e politiche. Purtuttavia nel trattare del fronte antifascista nel corso della seconda guerra mondiale, patrocinato, da quanto appare nel testo, dal solo Roosevelt, si ribadisce
la costante anti-occidentale dell’URSS e si anticipa un giudizio -— a nostro avviso parziale — sulla guerra fredda. Roosevelt si sforzava di creare « un clima di reciproca fiducia e collaborazione con l’URSS, nella convinzione che quest’ultima, dimessa l’antica ostilità verso l’occidente, potesse indursi ad una ricostruzione postbellica su basi largamente comuni con il resto del mondo democratico » (p. 434).
Un intero paragrafo è dedicato alla Resistenza italiana, alla lotta armata portata avanti dai partiti antifascisti riuniti nel CLN e all’atteggiamento diffidente degli alleati che « mantennero in pratica il controllo del paese e sulle prime accordarono solo in misura molto modesta una partecipazione dell’esercito regolare alla guerra, ovvero dei soccorsi alle forze partigiane » (p. 440).Gli ultimi quattro capitoli sono ricchissimi di dati e di notizie; partendo dalla
conferenza di Teheran e di Yalta — in cui i tre grandi ritornarono alla tradizionale politica di partizione e di equilibri fra potenze — attraverso la guerra fredda e lo scontro armato in Corea, si giunge alla « coesistenza pacifica » e all’analisi della nuova prospettiva politica dovuta al ruolo che, specie nel terzo mondo, ha oggi la Cina comunista e ai nuovi problemi connessi all’emancipazione dei popoli coloniali, specie quelli relativi al sud-est asiatico e allo stato di Israele, con una trattazione ampia e puntuale.
Anna Sabatini Gallerano
Rosario Villari, Storia contemporaneaper le scuole medie superiori, Bari,Laterza, 1970, pp. 812, lire 2800.Il fatto che questo manuale di recentissima apparizione si rivolga a tutte le scuole superiori, non rispettando la tradizionale divisione tra licei e istituti tecnici, è l’indice esteriore di un serio tentativo di fornire alla scuola italiana uno strumento nuovo, adatto alle sue reali esigenze, senza cedimenti all’inutile lusso,, ma nel rispetto della maturità dell’insegnante e dello studente.Il manuale è diviso in capitoli di struttura tradizionale, ognuno dei quali ha un’appendice documentaria (che occupa dal 10 al 20% delle pagine) generalmen
te assai interessante e una nota bibliografica fin troppo vasta. L’apparato di cartine e illustrazioni non è lussuoso, ma sufficientemente chiaro; si nota nella scelta delle foto il desiderio di rovesciare una tradizione celebrativa per ricondurre l’attenzione sulla vita e la lotta delle classi subalterne. Particolare interessante, il volume è stampato su normale carta e non su quella patinata tanto cara agli editori scolastici, e non ricorre a neretti o soluzioni tipografiche complesse; ne risulta un contenimento del costo (per lo meno in proporzione al numero delle pagine) e l’annullamento della differenza di presentazione tra testi scolastici e libri di normale lettura, che non possono essere che positivi.E veniamo al contenuto del manuale. Già dall’indice si nota il superamento della visione italo-centrica ed il largo spazio accordato alle vicende dei continenti extra-europei, nonché l’impostazione marxista evidente nella ripartizione dei temi e sin dal linguaggio dei titoli. La stesura del testo non delude la prima impressione: il Villari affronta la storia in una prospettiva dichiaratamente marxista, che lo porta a ridurre l’importanza delle vicende diplomatiche e militari (si veda la rapidità delle pagine sulle battaglie delle guerre mondiali) per concentrare la sua attenzione sui problemi dello sviluppo economico e dei rapporti tra le classi. La trattazione non è però dogmatica né schiacciata dalle cifre, anzi ha un andamento volutamente discorsivo; così la crisi dello stato italiano nel primo dopoguerra è presentata in modo dichiaratamente problematico, con un riferimento al travaglio storiografico e alle diverse-
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 35interpretazioni, come introduzione ad una analisi molto dettagliata delle varie forze.È tuttavia caratteristico del testo in esame che a questa analisi approfondita del dopoguerra seguano pagine troppo rapide sulla costruzione del regime fascista (sul piano meramente quantitativo, la crisi 1919-22 è trattata in 15 pagine di testo e 8 di documenti, mentre le successive vicende italiane fino alla vigilia della nuova guerra mondiale sono liquidate in 6 pagine). Il volume del Villari ha infatti un andamento ineguale, almeno per la parte contemporanea da noi controllata, nel senso che alterna trattazioni di grande interesse e ampiezza ad altre più sbrigative, senza che venga meno una coerenza interpretativa, ma ricorrendo a diversi livelli di profondità di analisi. Per restare nel campo della storia italiana, le lotte politiche che stanno dietro la facciata della Resistenza sono appena accennate, per cui la schietta presentazione dei problemi della ricostruzione e degli squilibri interni non giunge sufficientemente preparata.Queste ineguaglianze di sviluppo non vanno però considerate astrattamente, bensì inquadrate nel tentativo di rovesciare la tradizionale ripartizione della materia e di dare un carattere aperto e discorsivo al testo. Dinanzi all’enorme massa di problemi che riempiono l’Otto- Novecento (quando mai sarà possibile ridurre il programma dell’ultimo anno di corso a proporzioni logiche?) il Villari rifiuta una trattazione di livello uniforme, forzatamente sintetica e non sempre didatticamente utile, e preferisce approfondire determinati avvenimenti a scapito di altri. Sulle singole scelte si può ovviamente discutere, ma in linea generale non esistono alternative per un testo,
come questo, che si ponga come autosufficiente e aperto al dialogo, completo di una sia pur ridotta appendice documentaria in modo da non rendere obbligato- rio il ricorso ad antologie o altri strumenti integrativi.Poche parole ancora sulla parte riservata alla storia contemporanea: all’incir- ca duecento pagine sul periodo 1914-45 e cento sugli anni successivi, su ottocento in totale. Ci sembrano più validi i capitoli dedicati ai problemi tra le due guerre mondiali, anche se sacrificano le vicende italiane, perché qui la narrazione ha un respiro veramente ampio, unendo Europa e Stati Uniti in un unico quadro. Più discutibile, a nostro avviso, l’ultima parte: ad un capitolo di impostazionesulla guerra fredda ed il passaggio alla coesistenza pacifica segue non più una ricostruzione storica, ma un’antologia di scritti rappresentativi delle diverse posizioni. Non discutiamo la scelta dei singoli brani, ma il sistema: un’antologia di 50 pagine non esaurisce i problemi 1950-70, quindi gli studenti realmente impegnati dovranno documentarsi altrove, mentre maggior vantaggio avrebbero tratto da quella sistemazione organica della materia che si può avere solo in un manuale. Il risultato è che non solo sono elusi problemi come la guerra del Viet-Nam o il conflitto arabo-israeliano, ma addirittura che un volume così aperto e problematico come questo del Villari termina con tre brani di Giovanni XXIII, di un tecnocrate e di U Thant, in una prospettiva di ottimismo progressista che contraddice l’impegno politico precedente. Ci auguriamo pertanto che nelle successive edizioni anche quest’ultima parte del volume possa trovare una sistemazione più organica. Giorgio Rochat
D. Antologie di documenti e di critica storica
Presen tare una serie di schede critiche dedicate alla parte contem poranea delle principali antologie di docum enti e di critica storica non è facile, perché tu tti i volum i considerati hanno fo rti differenze di im pianto prim a ancora che di livello. Q uella dell’antologia integrativa del manuale di storia è in fa tti una form ula tu t t ’altro che definita, anzi aperta a tu tti gli esperim enti; docum enti, testim onianze e giudizi storiografici si alter
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nano secondo criteri sem pre più opinabili quanto più ci si avvicina ai nostri giorni, di volta in volta senza com m ento oppure con introduzioni anche di lunghezza rilevante, in una varietà di soluzioni che rischia d i far perdere di vista lo scopo di questa categoria d i testi.
Riconosciamo che le antologie hanno esercitato una funzione positiva negli anni scorsi, quando hanno rappresen tato una form a di ro ttu ra del m onopolio del m anuale con un im m ediato arricchim ento dell’insegnam ento. Ci sem bra però di po ter affermare che per la storia contem poranea (la sola che interessi in questa sede) le varie antologie presen tino p iù rischi e lim iti che aspetti positivi, per chi intenda l ’insegnam ento della storia come possibilità d i ricerca autonom a per insegnanti e studenti. G li u ltim i sessant’anni presentano una tale abbondanza di problem i, di in te rp re tazioni, di docum enti e una tale possibilità di inform azione extra-scolastica, da infirm are in partenza qualsiasi selezione di docum enti, d i testim onianze o di giudizi storici che inevitabilm ente non può coprire in m odo sufficientem ente rappresentativo tu tte le possibili esigenze. L ’insegnante che adotta u n ’antologia nella speranza di am pliare il d ibattito con gli studenti, vi è poi legato, costretto a subirne il discorso anche se si rivela inadatto allo sviluppo degli interessi della classe (quando non vi trova un alibi per un rito rno ad un meccanismo au to rita rio ). N é si può fare un paragone con il m anuale, che trova la sua ragion d ’essere p roprio nella coerenza e nella organizzata completezza con cui l ’autore in terp re ta il processo storico. La scelta dello strum ento integrativo, su cui veram ente costruire la form azione della coscienza storica della classe, deve essere assai più libera di quanto non perm etta u n ’antologia; riteniam o perciò che debba orientarsi p iu ttosto verso i volum etti delle diverse collane di docum enti e di m onografie storiche, tan to più agili come impiego e più esaurienti e rappresentativ i sui singoli problem i.
Q ueste considerazioni non toccano la funzione delle antologie nello studio della storia m eno vicina, assai p iù filtrata da una tradizione culturale e quindi p iù idonea ad essere racchiusa in un num ero delim itato di pagine senza che le sia fatta violenza. I giudizi critici che diam o sull’u ltim a parte delle diverse antologie non vanno quindi necessariam ente estesi all’opera nel suo complesso, ma testim oniano la difficoltà di affrontare lo studio della storia contem poranea su basi che non siano quelle di una piena libertà di ricerca. N on neghiam o com unque che le antologie possano avere (come hanno avuto negli ultim i anni) una funzione positiva, dato che la nostra scuola non gode di u n m argine di indipendenza tale da assicurarle (se non in casi eccezionali) quella libertà di m ovim ento necessaria per una ricerca autonom a. Che le antologie dei vari tip i non abbiano esaurito il loro ruolo, lo provano anche le num erose adozioni riscontrate nella nostra inchiesta. N on abbiam o ten ta to di tradu rre queste indicazioni in dati num erici perché non è possibile capire dall’esterno in quali casi l ’antologia viene consigliata
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 37solo pro form a , oppure per essere regolarm ente consultata, oppure ancora se è destinata a diventare il vero centro del corso di storia. La scelta che presentiam o com prende com unque tu tte le antologie che dai nostri sondaggi risultano più diffuse. _ ,Giorgio Rochat
Mario Bendiscioli - Adriano G allia,« continuità organica » fra documento edDocumenti di storia contemporanea1815-1970, Milano, Mursia, 1970, pp.584, lire 2800.
Le antologie di questo genere dovrebbero servire non tanto a mettere a disposizione dello studente le fonti storiche, quanto ad abituarlo a servirsene e a ricercarle. Come si può leggere nella prefazione, anche i curatori dell’antologia in esame hanno cercato di mettere il lettore « in un contatto immediato con gli avvenimenti [...] riducendo il diaframma dell’interpretazione storiografica o, comunque, consentendone un correttivo e un controllo ». Essi si sono serviti non solo di documenti in senso stretto, ma anche di fonti narrative e documenti in senso lato « a testimonianza di stati d’animo, di comportamenti, di condizioni economiche e sociali ».
Il materiale prescelto dai curatori dell’antologia per illustrare il periodo 1917- 1970 occupa quasi la metà dell’opera. I documenti sono suddivisi in sei capitoli (dal XIV al XIX), secondo un ordine che è nello stesso tempo cronologico e per materia, cioè riuniti, dopo essere stati a volte estratti dall’ordinaria successione cronologica, in modo da dare una idea più esatta di alcuni particolari momenti storici. Vediamo così la fase successiva alla prima guerra mondiale analizzata in questi tre aspetti: « Teoria e azione politico-sociale nel mondo », « Politica e organizzazione internazionale », « Economia e cultura fra le due guerre ». E ancora leggiamo, dopo il capitolo dedicato alla seconda guerra mondiale, i documenti relativi al periodo 1945-1970 suddivisi in due parti: « Il secondo dopoguerra » e « Problemi del mondo attuale ». I pezzi sono preceduti da una nota con la quale i curatori intendono inquadrarli — come si legge nella premessa — « nella vicenda o nell’istituzione che li hanno espressi », così da fornire non solo le necessarie notizie esplicative, ma anche dare l’immagine di una certa
evento storico.Se pure riconosciamo al testo un’indubbia praticità, per la quale ci è consentito di avere raccolti in ün solo volume tanti documenti diversi, non ci sembra che con esso gli autori siano giunti a risultati apprezzabili in ordine agli scopi propostisi e sopra accennati. Si nota in genere per il periodo che c’interessa una tendenza a toccare semplicemente l’argomento, senza voler stimolare la ricerca e l’approfondimento da parte dello studioso. Sembra quasi che gli autori, avendo voluto allargare al massimo il campo della documentazione (« la scelta si è proposta l’ampiezza più vasta », è scritto nella premessa), si siano dimenticati d’insistere sugli argomenti che avrebbero potuto prestarsi ad uno studio più approfondito ed abbiano così perso di vista le finalità dell’antologia. Citiamo ad esempio il tema delle origini del fascismo: in merito ad esso, si manifesta insufficiente un solo pezzo, quello del Salvatorelli (pp. 336-339); a questo avrebbe dovuto essere affiancato almeno un altro articolo0 brano di saggio, a provare concretamente come uno stesso fatto storico possa essere oggetto, secondo le diverse impostazioni, di interpretazioni anche opposte. E così pure vediamo come il capitolo dedicato all’economia e alla cultura fra le due guerre (cap. XVI) lasci insoddisfatti sia per il primo sia per il secondo campo d’indagine (richiedenti peraltro, a nostro avviso, due distinti capitoli) proprio per aver trattato due temi di tanto interesse solo con brevi accenni, per cui1 documenti si susseguono nell’antologia senza alcun carattere d’organicità come dei semplici brani di lettura. È evidente che non può essere questo il fine pratico di un’opera di tale genere, se non si vuole che essa risulti una pura e semplice raccolta di quelle « letture » che già si possono ritrovare alla fine dei capitoli dei libri di storia.Notiamo infine che gli autori hanno tralasciato di considerare i movimenti resistenziali europei: grave si presenta la
38 Inchiesta sui testi di storia contemporanea
omissione, anche perché sono gli autori stessi a sottolineare nella prefazione « la esigenza della comprensione del passato non quale mondo a sé, ma quale realtà che tra mutamenti, contestazioni, innovazioni impronta ancora il nostro vivere attuale, inteso come complesso di istituzioni, come realtà di coscienza accettata o respinta ». D’altro canto lo squilibrio risulta evidente, se si esamina tutta la parte successiva dell’antologia, 1945-1970, ricca di documentazione, ma implicitamente lacunosa, essendo mancata l’illustrazione di quel momento indispensabile per l’esame e la comprensione della storia più recente. In questo si rivelano di nuovo i difetti d’origine dell’antologia, rappresentati dall’eccessiva dilatazione e conseguente sfumatura del campo d’indagine, con il risultato di dare allo studente, piuttosto che degli strumenti da usare per la riprova della storia, un quaderno d’immagini. Gaetano Grassi
Carmelo Bonanno, Critica Storica, volume terzo, Padova, Liviana, 1967, pp.299, lire 2000.Al periodo che intercorre dalla rivoluzione russa agli anni ’50 il volume dedica nove capitoli di complessive 100 pagine su un totale di 299 (il testo in uso negli istituti tecnici si apre con il 1849).
Il volume di Critica storica in esame non è il tradizionale testo antologico per il quale il curatore presenta e sceglie una serie di testi e saggi, ma la presentazione, in prima persona, di un preciso ventaglio di interpretazioni storiografiche delle quali l’autore si serve, pur attraverso ambiguità e contraddizioni, per avallare la propria tesi ideologicamente chiusa e, a nostro giudizio, sovente unilaterale e parziale. Il testo ci sembra, inoltre, pedagogicamente scorretto non offrendo gli strumenti per una diversa interpretazione delle tesi succintamente citate, e quindi per una corretta ricostruzione degli avvenimenti e non demandando al lettore la risposta agli interrogativi storici, politici, sociali e morali che i problemi nel testo enucleati suscitano.Se entriamo, infatti, nel merito del testo ci troviamo di fronte ad un iter critico che esemplifichiamo con il capitolo sulla « Diagnosi del bolscevismo ». Il ca
pitolo parte dalla posizione favorevole alFUnione Sovietica, documentata, e non a caso, da brevi e generiche righe di intonazione etico-politica di Sidney Webb, per poi dare più lungo spazio alla tesi di James Burnham sostenitore del fallimento della rivoluzione socialista. « La Russia sovietica — scrive il Burnham — parla nel nome della libertà, e crea la più spinta dittatura totalitaria che si sia mai conosciuta nella storia; invoca la pace e prende possesso di nazioni e di popoli con la forza armata, dice di combattere il fascismo e si allea con Hitler [...]. L’Internazionale comunista è semplicemente l’amplificazione del nazionalismo russo ad un piano mondiale [...]. Il risultato della rivoluzione è stato lo sviluppo di una nuova struttura sociale: la società dei tecnici » (pp. 202-203). Considerazioni, queste, che, se singolarmente e diversamente motivate, possono e debbono essere condivise, ma nell’economia del volume, in cui si prescinde da una ricostruzione storica globale e da un’analisi strutturale, rivelano la scorrettezza metodologica dell’autore che può così apoditticamente affermare: « Ma ciò che svela la vera natura del comuniSmo russo, ciò che toglie ogni illusione nella sua decantata funzione internazionale a favore dei lavoratori, ciò che dimostra ch’esso è una forma di autentico imperialismo, [...] è il patto russo-tedesco». Posizione questa che viene nuovamente ribadita — con le sottolineature delle convergenze tra gli opposti estremismi — nel capitolo dedicato al nazismo. Privo di ogni valutazione strutturale dell’analisi delle forze politiche economiche che ne determinarono il potere, e di intonazione genericamente moralistica è il capitolo dedicato all’interpretazione del fascismo, ove per altro, si riportano, con uno scarto limitato di posizioni solo la tesi del Volpe, del Croce, del Borgese, del Fortunato e dello Smith, per chiudere « a sinistra » con quella di Valeri e Chabod. Delle rimanenti si tace.
Con maggiore sensibilità storica si argomenta il significato e il valore della Resistenza italiana il cui inizio viene fatto risalire allo sdegno che il delitto Matteotti suscitò nel paese e nel parlamento. Purtuttavia, nell’analisi delle forze antifasciste che dal 1924 al 1943 operarono in Italia e all’estero si fa menzione solamente del circolo ruotante attorno alla « Critica » di Croce, alla parigina
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-« Concentrazione antifascista », al movimento « Giustizia e libertà » e alla « Alleanza Nazionale »; dell’opposizione dichiaratamente politica dei partiti di sinistra non si fa voce.
Ampio spazio viene dedicato alla situazione politica della penisola dall’8 settembre 1943 all’aprile del 1945, alla resistenza armata e ai limiti oggettivi che essa incontrò in relazione all’atteggiamento politicamente diffidente ed ostile degli anglo-americani. Per ciò che riguarda le brigate partigiane è da notare tuttavia che — in conformità con l’assunto del testo — nella misura del possibile si cerca di diluirne il colore, presentandole come un indifferenziato movimento di lotta antifascista.
La Resistenza — si dice nel testo — « non fu un’emanazione del partito comunista, [...] né di altro partito, ma un fatto collettivo che abbracciava tutti i partiti, tutte le tendenze politiche antifasciste, che, pur avendo delle divergenze, miravano ad uno sforzo comune» (p. 259).Gli ultimi tre capitoli sono dedicati all’analisi dei problemi del dopoguerra, portata avanti con ambiguità e strani silenzi; non viene motivata ad esempio, la guerra fredda che non si capisce bene cosa sia stata. Allorché, invece, si viene a trattare della decolonizzazione si motiva l’acquartieramento occidentale nel Terzo mondo degli ultimi decenni dell’800 e dei primi del 900 in questi termini alati: « La spinta [al colonialismo] era venuta da impulsi sentimentali, da esigenze strategiche, e da considerazioni economiche in egual misura, cosicché non seppero sottrarvisi i governi più diversi e gli Stati con varia storia e struttura [...]. Esso esercitò un’attrazione ’mitica’, che ebbe riflessi immensi sul mercato del lavoro e delle merci, sulle ideologie e le fortune dei partiti politici, sulle espressioni d’arte e di letteratura, sulle più nobili aspirazioni religiose e morali » (p. 276).
Anna Sabatini Gallerano
Franco Catalano, Stato e società nei secoli. Pagine di critica storica, volume terzo: L’età contemporanea. Parte seconda: dal 1915 al 1945, Messina- Firenze, D’Anna, 1968, pp. 1550, lire 2900.
L’elemento che maggiormente differenzia questa antologia dalle altre prese in considerazione è dato dall’ampiezza delle introduzioni, ciascuna delle quali ambisce a presentarsi come un’approfondita esposizione-discussione dei principali problemi storiografici: la pace di Versailles, la rivoluzione sovietica, i fascismi tra le due guerre, l’economia tra le due guerre, la politica estera tra le due guerre, la seconda guerra mondiale. L’autore fa ricorso ad una bibliografia assai vasta (senza disdegnare la pubblicistica), e sulla strada che questa apre ricostruisce la genesi delle diverse interpretazioni storiche, la collega ai fatti politici, economici, sociali che ne costituiscono il sostrato. L’intento è pertanto esplicito, dichiarato: consegnare agli studenti uno strumento di lavoro privo di pretese definitorie e aperto invece a tutti gli stimoli della discussione. La scelta dei passi — circa 900 pagine contro le 600 delle introduzioni ■— si colloca nella stessa prospettiva e offre un ventaglio di posizioni nel quale le pagine degli studiosi si integrano costantemente con quelle dei politici e dei protagonisti.
Questa preoccupazione di tenere il discorso aperto sulle diverse alternative si accompagna peraltro, da parte dell’autore, ad una impostazione che, come si legge nella premessa, « esorta a dare una seria attenzione al fattore economico-sociale ». « Seria attenzione » che si traduce spesso in momento determinante, sia che si tratti di analizzare le cause del fascismo e del nazismo, sia che si vogliano illuminare le ragioni dell’Europa uscita dalla prima guerra mondiale. Inoltre l’ampio capitolo sull’« economia tra le due guerre » colma una lacuna che, nella maggior parte dei testi scolastici, è problematica ancor prima che informativa e che, il richiamo è forse superfluo, si apparenta con le posizioni più ritardatarie della nostra storiografia. Sotto questo profilo il volume si presta a discussioni e verifiche che vanno al di là dell’ambito strettamente scolastico. Gli accenni alla ricchezza delle introduzioni inducono peraltro — non sembri paradossale — a qualche interrogativo sulle effettive possibilità di totale impiego dell’antologia. La molteplicità delle informazioni bibliografiche, ad esempio, impone l’adozione di criteri di scelta e di gradualità che richiedono un impegno non indifferente tanto agli insegnanti che agli studenti.
40 Inchiesta sui testi di storia contemporanea
Altrettanto si dica per una parte dei brani riportati, i quali, proprio per essere frutto del dibattito politico coevo agli avvenimenti, necessitano di una particolare « ambientazione », più ardua e comunque diversa da quella riservata alle pagine degli storici. Massimo Legnani
Franco G aeta - P asquale Villani, Documenti e testimonianze. Antologia di documenti storici, volume unico, Milano, Principato, 1969 (I“ ed. 1967), pp. 1095, lire 3000.Il volume presenta un’ampia selezione di documenti di vario genere e di testimonianze di protagonisti, con lo scopo di integrare e vivificare il manuale scolastico. Gli autori hanno consapevolmente rinunciato a includere nel volume dei brani di storici, ritenendo più importante e urgente fornire ai giovani gli elementi per una conoscenza storica su cui esercitare il proprio spirito critico, che non giudizi critici già predisposti. Ogni brano riportato è naturalmente preceduto da un breve inquadramento, ma con una netta distinzione tra l’intervento degli autori ed il testo dei documenti, presentati senza note.La storia contemporanea occupa circa duecento pagine su mille complessive, una proporzione onesta. La scelta degli autori è ampia, tiene conto delle varie correnti ideologiche e delle varie nazioni; così circa 40 pagine sono dedicate a scritti di Lenin e Stalin, i patti del Late- rano sono riportati quasi integralmente, si odono le voci di Giolitti, Wilson, Mussolini, Croce, Roosevelt, Kruscev, Mao-tse-tung, Kennedy e Giovanni XXIII, si parla del concilio Vaticano II e del conflitto russo-cinese e si riportano numerosi programmi di partiti, alleanze e
organizzazioni internazionali. Nonostante questa ricchezza di scelta si possono notare vuoti dolorosi: tutta la prima guerra mondiale (rappresentata solo dai 18 punti di Wilson), tutta la seconda guerra mondiale (per cui abbiamo solo la Carta atlantica del 1941 ed il proclama insurrezionale del CLNAI), la produzione marxista italiana (il discorso sul fascismo non si può esaurire con Croce, Giolitti e Mussolini), infine i problemi del sottosviluppo odierno.Ci sembra di poter dire, dall’insieme
dell’opera, che queste ed altre meno evidenti lacune vanno addebitate non alla volontà degli autori, bensì ai limiti di spazio, resi più pesanti dal fatto che il testo si presenta con un unico volume dal medioevo ad oggi. Dal che nasce una certa perplessità sulla possibilità di costruire un’antologia di storia contemporanea di soli documenti senza avere a disposizione un numero quasi illimitato di pagine, o, più in generale, di poter affrontare con lo stesso metodo periodi così diversi come quelli trattati nel volume in questione. È forse possibile concentrare in qualche centinaio di pagine una scelta sufficientemente rappresentativa di documenti medioevali; ma quando si arriva alla storia contemporanea, si moltiplicano i problemi e le interpretazioni che non si possono lasciare da parte senza danno. Inoltre la preferenza data al documento ed alla testimonianza rispetto all’intervento critico dello studioso perde consistenza e ragion d’essere: a quale categoria appartengono scritti come le Lezioni sul fascismo di Togliatti o le gramsciane Tesi di Lione? Il mantenimento di una distinzione che è più naturale per i periodi precedenti fa sì che nell’antologia in esame si trovino quelle dichiarazioni di principi non sempre significative che illustrano ogni patto di alleanza (cosa possono dire le formulazioni ufficiali del Patto atlantico0 i principi di Bandung rispettivamente sulla guerra fredda e sul dramma del Terzo mondo?) e manchi invece un’introduzione ai problemi economici di oggi, al neocolonialismo ed al neocapitalismo.In altri termini riconosciamo l’impegno e l’apertura dell’antologia, ma riteniamo che la sua formula (solo documenti e testimonianze) sia adeguata per illustrare alcuni aspetti della realtà odierna, come1 dibattiti ideologici e le soluzioni diplomatiche, ma non altri di pari interesse, come le questioni economiche e sociali che travagliano il nostro tempo. Il discorso trascende ovviamente il volume in questione e si riferisce a tutta una formula editoriale.
Giorgio Rochat
Rosario Romeo - G iuseppe T alamo, Documenti storici. Antologia, volume terzo: L’età contemporanea, Torino,Loescher, 1968 (I“ ed. 1966), pp. 257,. lire 1400.
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 41L’antologia di documenti storici presentata da Romeo e Talamo è, a nostro avviso, un utile strumento metodologico e pedagogico, che mette in rapporto lo blemi storici degli ultimi 50 anni. I documentarie coeve agli avvenimenti. Tuttavia il testo in esame non si rivela di grande utilità per la conoscenza dei problemi storici degltimi 50 anni. I documenti riportati, infatti, sono molto pochi, 11 per la precisione; alcuni, per altro, noti e sovente presenti negli stessi ma
nuali come letture.Per i temi di grande complessità e dei quali i giovani si interessano in partico- lar modo, quali il nazismo, il fascismo e l’antifascismo, si presentano solo tre documenti e precisamente: « Programma del partito nazional-socialista dei lavoratori tedeschi », « La dottrina del fascismo », « Il fascismo come pericolo mondiale » del Croce. Il testo inoltre, pur essendo stato edito nel 1968, si chiude con il 1945. A queste considerazioni di ordine quantitativo si deve aggiungere che tutti i documenti presentati dagh autori rientrano in una prospettiva storiografica esclusivamente etico-politica. L’aver limitato la scelta documentaria intorno ai vari problemi storiografici affrontati ad un solo documento per ciascun problema, a nostro parere, non solo non stimola il lettore alla discussione e al dibattito, ma altresì non offre gli strumenti necessari per individuare le forze politiche ed economiche che determinarono in Europa una svolta di così grave importanza quale la presa del potere da parte del fascismo e quindi la resistenza ideologica, politica ed armata che ad esso si appose. Ci viene così offerta un’immagine univoca dell’antifascismo non analizzato nelle sue diverse componenti politiche e sociali, ma visto come opposizione spirituale e culturale, con la presentazione di parte dell’articolo che Benedetto Croce scrisse nel 1943 per il New York Times.
Anna Sabatini Gallerano
Armando Saitta, Storia e tradizione. Panorama critico di testimonianze, volume quinto: L’età contemporanea, Firenze, Sansoni, 1968, pp. 426, L. 1600.
A rmando Saitta, Antologia di critica storica per le scuole medie superiori, volume terzo: La civiltà contempora
nea, Bari, Laterza, 1969 (I‘ed. 1962),pp. 755, lire 2900.
Nella vasta produzione scolastica del Saitta sono comprese anche queste due antologie storiche, assai diverse per peso ed impostazione.Il quinto volume del Panorama critico di testimonianze raccoglie centoventi brani di agile lettura, per lo più scritti di protagonisti (ma non mancano interventi di storici posteriori) scelti con competenza ed ampio respiro. Lo scopo dell’opera è evidentemente quello di fornire una vivace integrazione del manuale: accanto ad analisi dense e succinte ed a documenti
significativi troviamo perciò anche scene colorite e ritratti umani. Ne risulta un volume interessante e vario, di piacevole lettura ma di impostazione didattica ormai superata. I brani infatti mirano ad illustrare il manuale, non ad approfondirlo; sono brevi e vivaci e tendono a coprire tutto l’orizzonte della storia europea, senza una scelta dei momenti e problemi più importanti, senza una contrapposizione di tesi e una presentazione di dati che mettano lo studente in grado di tentare un giudizio personale. Né è possibile impiegare questa antologia da sola, senza il sostegno di un manuale tradizionale che fornisca un quadro d’insieme e un commento critico.Il difetto più evidente dell’opera è però la sottovalutazione veramente incredibile della storia contemporanea. Il Saitta dedica 350 pagine al secolo che va dalla Restaurazione allo scoppio della prima guerra mondiale, per poi liquidare il successivo trentennio in sole 68 pagine (un sesto del volume! ) e addirittura arrestare la trattazione al 1945, senza un rigo di giustificazione! Nel momento in cui anche i testi più conservatori si preoccupano di aggiornarsi almeno sul piano formale, il disinteresse del Saitta per il Novecento è sorprendente. L’antologia ne risulta completamente sbilanciata e tronca, malgrado l’interesse di buona parte dei brani riportati per gli anni 1917-45; ne viene confermata l’impressione che il volume possa essere utilizzato solo nel quadro di un insegnamento chiuso ad
ogni novità.Il terzo ed ultimo volume dell’A«;o/o- gia dì critica storica, di cui passiamo ad occuparci, ha un livello assai più elevato e si rivolge palesemente a studenti dei
42 Inchiesta sui testi di storia contemporanea
licei e delie università (mentre l’antologia precedentemente trattata era indirizzata ai meno considerati studenti degli istituti tecnici). Allinea infatti una cinquantina di contributi, in media di una diecina di pagine, dovuti a specialisti di nome e relativi a problemi indubbiamente ben scelti.
Anche quest’opera, tuttavia, è contraddistinta dalla riluttanza del Saitta a misurarsi con la storia contemporanea. Oltre 500 pagine sono dedicate al secolo 1815-1915, ma 110 soltanto agli anni 1917-45. La trattazione però non si arresta qui, ma prosegue, sotto forma di appendice, con 90 pagine in un fastidioso corpo minore occupate da cinque saggi sugli anni 1945-55. Questa strana relegazione in appendice del più recente periodo è giustificata con « motivi di indole pratica » (p. 269) non meglio chiariti (ma non si tratta certo di problemi di spazio: l’uso di un corpo tipografico minore avrà consentito il risparmio di 20-30 pagine, ben poche sulle 750 totali).Malgrado queste gravi limitazioni di trattazione, le pagine sulla storia del Novecento sono utili. La spina dorsale è data da brani di Chamberlin sulla rivoluzione russa, di Morandi sulla crisi del primo dopoguerra, di Saitta sul fascismo,
di Valiani sull’intervento italiano in Spagna, di Chabod sul fallimento della Resistenza. In appendice troviamo poi poche pagine della Collotti Pischel sulla nascita
della Cina popolare, un buono studio sui sistemi economici contrapposti, un altro assai interessante sugli Stati Uniti da Roosevelt a Truman (non a Kennedy, come dice il titolo), una rassegna di D. Battoli sulla fine dell’impero inglese (l’unico di questi saggi che oltrepassi il 1950) ed un’altra sul mondo musulmano negli anni ’40. Come si vede, si tratta sempre di problemi centrali, anche se l’aggiornamento lascia a desiderare.Rimane il rischio che questi saggi, proprio per il loro livello, non siano facilmente impiegabili in una terza liceo, ma vengano di fatto ad essere riservati ad un’élite, oppure a studi universitari. I brani riportati infatti non si prestano ad un lavoro di gruppo, né ad una graduale acquisizione di cognizioni storiche e capacità critiche, bensì postulano già una buona preparazione in chi li affronta. Forse una maggiore disponibilità di spazio avrebbe consentito la scelta di pagine più distese, ma il discorso è anche più generale e trascende l’opera del Saitta per giungere alla questione se sia possibile costruire un’antologia didattica- mente, oltre che scientificamente adeguata.Le due antologie del Saitta condurrebbero ad una risposta negativa, poiché ci sembrano dimostrare che non basta la competenza dello storico a creare uno strumento di formazione critica.
Giorgio Rochat
E. Collane di documenti e monografie storiche
Una delle più interessanti novità di questi ultim i anni, per quanto riguarda l’insegnam ento della storia contem poranea nella scuola, è la crea- 2 Ìone di una serie di collane monografiche che in agili vo lum etti o in capaci buste presentano gruppi di docum enti o approfondim enti particolarm ente curati di singoli problem i. È così possibile m ettere i giovani a con ta tto d ire tto con docum enti selezionati e annotati oppure fornire una serie di analisi am pie e critiche, spesso arricchite da pregevole m ateriale illustrativo. Q ueste collane forniscono gli strum enti necessari per un lavoro di gruppo (anche se talvolta ostacolato dai prezzi relativam ente elevati) ed è con particolare soddisfazione che registriam o la prem inenza che ha in esse la storia contem poranea, testim onianza indubbia dell’orientam ento degli interessi degli studenti.
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 43Le caratteristiche delle varie collane sono troppo diverse per poter
condurre un discorso generale; rim andiam o perciò alle schede che seguono, no tando soltanto che non è possibile dividerle a seconda del tipo di scuola cui si rivolgono. A lcune collane infatti sono utilizzabili nella media unica e nelle scuole superiori, altre nelle scuole superiori e all’università, a seconda delle diverse esigenze e dei diversi volum etti, con una interessante dim ostrazione di flessibilità d idattica '.
Bompiani. Documenti per la ricerca storicaIl parlamento e la legge. Dallo Statuto albertino a oggi, a cura di E. Bompiani, G. Arnaldi, R. Calogero, G. Zennero (n. 2), Milano, Bompiani, 1969, lire 1500.
È questa l’unica delle quattro buste di documenti finora edite della collana che si riferisca alla storia contemporanea; le altre spaziano dal Risorgimento a Carlo Magno e ne è annunciata una sulla distruzione di Pompei.Si tratta di una grossa busta che contiene 17 riproduzioni di documenti (per10 più stampe e fotografie di soggetto parlamentare, una copia della Costituzione, un grande foglio di istruzioni e un grande cartone per il gioco « facciamo una legge ». L’elemento più evidente è la ricerca di nuove soluzioni tecniche che colpiscano la fantasia dei ragazzi della media inferiore: gli autori ricorrono ad un designer della fama di Munari e inventano una specie di gioco dell’oca, « facciamo una legge », in cui i ragazzi risalgono a colpi di dado il faticoso iter di una proposta di legge in parlamento (n. 55: udienza della Confindustria, al prossimo tiro aggiungi 3; n. 33: manca11 numero legale, esci solo se fai più di
6, ecc.). Questa ricerca di novità tecniche è evidente anche nelle altre buste della serie, che contengono dischi e mazzi di carte « storiche ».Questi sforzi di rinnovamento tecnico sono però inseriti in un quadro storico estremamente statico e chiuso, in cui la Costituzione è il punto di arrivo in tutti i sensi (l’ultimo documento è la fotografia della firma di De Nicola) ed i problemi reali sono lasciati fuori della porta. Ci si chiede a che possano servire tante immobili oleografie risorgimentali, commentate su un foglio a parte e completamente staccate tra di loro; anche la figura di Matteotti, malgrado il rilievo sproporzionato che le è attribuito, si appiattisce per mancanza di fondo e si riduce a mera curiosità (che senso ha il facsimile del manoscritto di un articolo inedito non inquadrato né commentato?). Né il gioco dell’oca parlamentare è inserito in una visione attiva della vita scolastica e politica: i ragazzi possono seguire con i dadi il meccanismo formale dell’approvazione di una legge, non fare una legge, perchè dei suoi contenuti e dei suoi rapporti con la realtà nulla si dice loro.Ai giovani si insegna così una visione
1 Sul numero precedente di questa rivista è stata segnalata un’opera di notevole interesse che, anche se isolata, andrebbe inserita in questa sezione della nostra inchiesta, poiché ha le stesse caratteristiche dei volumi qui sotto schedati: F. Chicco-G. Livio, 1922-1945. Sintesi storica e documenti del fascismo e dell’antifascismo italiano, Torino, Paravia, 1970, pp. 375, lire 2500 (segnalazione a cura di A.A. Mola sul numero 99-100 della rivista II movimento di liberazione in Italia). Approfittiamo dell’occasione per ricordare che due volumetti delle collane sotto presentate sono già stati schedati su questa stessa rivista, con giudizi anche non collimanti; si tratta di R. Paris, Le origini del fascismo, Milano, Mursia, 1970 (scheda a cura di M. Isnen- ghi sul n. 99-100) e di Le origini del fascismo, a cura di M. Bartolotti, Bologna, Zanichelli, 1969 (scheda a cura di A.A. Mola sul n. 96).
44 Inchiesta sui testi di storia contemporanea
immobile e rinunciataria della realtà, prospettando « un avvenire nel quale non saranno tanto richiesti atti di eroismo quanto buone leggi », in cui « i sindacati sono forti solo se sono indipendenti dai partiti e se sono uniti », mentre la Con- findustria tutela gli interessi di tutte le industrie per il vantaggio comune, « in
quanto un’industria forte e sviluppata dà lavoro a tutti e produce beni a basso prezzo » (dal foglio di istruzioni). La ricerca di novità tecniche porta così al consueto « buon senso » conservatore e diventa un alibi per il mantenimento della vecchia scuola autoritaria e forma- listica. Giorgio Rochat
Loescher. La ricerca, enciclopedia monograficaLa collana di monografìe Loescher dimostra di essere uno dei più validi
strumenti di studio e di approfondimento della storia, a livello di scuola dell’ob bligo. L’impostazione tipografica, il linguaggio usato, la scelta degli argomenti, la competenza di molti dei compilatori sono fattori che contribuiscono giustamente al suo successo presso gli studenti.
Poiché gli autori sono diversi e diverso è anche il loro modo di procedere, si è pensato che fosse più significativo e producente non intraprendere un discorso generico, bensì esaminare da vicino alcuni di questi saggi monografici, allo scopo di determinarne il grado di obiettività, la vastità di documentazione e la sensibilità didattica.
Accanto ai volumi sotto presentati, ricordiamo anche i seguenti (Torino, Loescher):A. Bu jo n i, I l pensiero politico del Risorgimento, 1966, pp. 90.F. D i T ondo, Campagne coloniali italiane, 1967, pp. 68.G. Ba rb ier i, La nascita della grande industria in Europa, 1967, pp. 83.G. Bonis Cu a z , Dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana, 1967,
pp. 103.F. D i T ondo, La guerra di secessione americana, 1969, pp. 79.
F ranco D i T ondo, Campagne garibaldine, Torino, Loescher, 1968 (I* ediz. 1965), pp. 68, L. 700.La figura di Garibaldi, come molte altre figure di eroi e condottieri, anche sui testi scolastici, è stata sovente presentata in una cornice leggendaria, mitica. Fortunatamente la tendenza a demitizzare la storia, a ridimensionare gli eroi si va ormai diffondendo; questa monografia ne è un esempio notevole, pur riconoscendo alla figura del condottiero nizzardo quel rilievo che le compete.L’autore inserisce assai di frequente nel testo stesso passi significativi tratti dalle M.emorie garibaldine, dalla biografia del Guerzoni, da ricordi di garibaldini. Queste citazioni, anche se alle volte indulgono forse un po’ troppo alla reto
rica, contribuiscono a dare alla figura di Garibaldi, pur considerata soprattutto sotto l’aspetto militare, una dimensione più umana.Le campagne garibaldine sono via via prese in considerazione secondo il loro ordine cronologico: dalla partecipazione al movimento insurrezionale sud-americano alle campagne del 1848-49; dalla partecipazione dei Cacciatori delle Alpi alla seconda guerra d’indipendenza alla spedizione dei Mille; da Aspromonte alla campagna del 1866; da Mentana alla campagna di Francia.Alcuni passi, particolarmente quelli che trattano della guerriglia garibaldina (pp. 61-62) e dell’intuizione di Garibaldi del limite della rivoluzione italiana (p. 23), sono veramente notevoli per essenzialità, di analisi e chiarezza di esposizione.
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 45Particolarmente felice è la scelta della documentazione fotografica (il materiale è per lo più tratto dai Musei del Risorgimento di diverse città italiane), l’organizzazione tipografica e l’impostazione didattica. Francesco Agli
V. Vidotto, Storia dei partiti politicidall’Unità alla Costituente, Torino,Loescher, 1967, pp. 76, L. 700.La difficoltà di far muovere i fanciulli ■ e i ragazzi nelle vicende del passato è evidente al punto che pedagogisti come Rousseau hanno affermato l’impossibilità di insegnare la storia al ragazzo prima dei 16 anni, ed educatori come Tolstoj hanno sostenuto l’incapacità di comprenderla prima dei 18 anni. L’autore di questo volumetto porta un validissimo contributo al superamento di tali difficoltà, convinto come è che lo studio storico abbia soprattutto la funzione, attraverso la conoscenza del passato, di capire il nostro tempo criticamente per viverlo più attentamente e costruttivamente.Egli scrive che conoscere, anche solo per elementi essenziali, lo svolgimento delle posizioni politiche italiane è indispensabile per capire la realtà presente. « I partiti politici sono infatti una delle condizioni e una delle caratteristiche più rilevanti delle moderne democrazie parlamentari, alle quali appartiene anche la Repubblica italiana » (p. 1). Con linguaggio piano e di agile andamento narrativo l’autore presenta una storia dei partiti politici di tipo événementielle, sottolineando via via le diverse caratteristiche e la diversa fisionomia che sono andati assumendo fino a raggiungere la struttura ■ odierna. Sempre sono tenute presenti tutte le diverse componenti (economiche, sociali, culturali, militari, ecc.) delle situazioni in cui di volta in volta i partiti erano chiamati a operare. Questo è certamente il pregio maggiore di questa
monografia.Vengono dapprima analizzati nelle loro caratteristiche essenziali la Sinistra e la Destra, i due grandi partiti di opinione presenti nel parlamento italiano dopo l’unità; il sorgere e l’organizzarsi di un partito del movimento operaio, il partito socialista, « il primo grande partito in senso moderno che si sia costituito in Italia » (p. 17); il tramonto dei due par
titi di opinione e il progressivo inserimento dei cattolici nella vita pubblica con Giolitti. Gli ultimi capitoli sono dedicati alla crisi dei partiti nel primo dopoguerra, all’avvento ed al rafforzamento del fascismo e al riorganizzarsi dei partiti nella Resistenza.Ogni qual volta è possibile l’autore fa parlare i contemporanei. È molto interessante, ad esempio, un notevole brano stralciato dai verbali delle sedute della Camera dei deputati che riporta un commento di Matteotti alle elezioni del ’24 (cfr. pp. 62-63).Utilissime ci sono sembrate la nota didattica e la breve ma essenziale nota bibliografica che accompagnano il testo.Francesco Agli
A. Frugoni, Storia della guerra, Torino,Loescher, 1967 (I“ ed. 1965), pp. 52L. 600.Nella nota didattica che correda il testo viene indicata la prospettiva nella quale si è voluto muovere l’autore nel- l’affrontare l’argomento. Alcune affermazioni non possono che trovarci concordi. È vero che la « storia militare è parte importante, anche se non prevalente della storia dei popoli » (p. 50), come è vero che « il fenomeno ’guerra’ [•••] presenta particolari caratteristiche economiche, demografiche, etnologiche, psicologi
che » (p. 46).Non ci pare però che l’impostazione didattica e il taglio storico di questo che è probabilmente uno dei volumetti meno riusciti dell’enciclopedia monografica Loescher siano molto stimolanti e possano suscitare interesse nei giovani lettori.Il linguaggio è sovente arido e schematico; si cerca di descrivere in poco più di 40 pagine armi, strategie e tattiche militare dal tempo delle guerre persiane ai giorni nostri. Le fotografie di armi, di fortificazioni, le riproduzioni di incisioni e di dipinti sono le stesse di molti librid‘ teSt°' Francesco Agli
G. Golzio, Storia delle ferrovie, Torino, Loescher, 1966, pp. 116, L. 800.La storia delle ferrovie non è solo legata alla storia della scienza e della tee-
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nica, ma alla generale evoluzione della società. Questo volumetto, seppure limitandosi ai problemi ed agli aspetti più interessanti, tratta la « storia del treno » secondo una prospettiva unitaria che tiene presenti di volta in volta le componenti e le conseguenze di ordine economico, sociale, militare, politico, ecc... Non è però monografia pregevole e interessante solo per questo. L’impostazione didattica è valida; la documentazione è significativa; il linguaggio è sempre piano ed accessibile. Assai utili, anche ai fini della comprensione del testo, sono i grafici, le statistiche, i diagrammi, le note a carattere divulgativo di particolari nozioni tecnico-scientifiche.
Francesco Agli
Franco D i Tondo, La prima guerra mondiale, Torino, Loescher, 1966, pp. 68, L. 600.Nella nota didattica, che accompagna il testo e ne giustifica l’impostazione, l’autore, rilevando che l’aspetto più propriamente militare « resta in genere tagliato fuori » quando « alla fine dell’anno scolastico si affronta l’argomento Prima guerra mondiale » (p. 65), rivendica la necessità di studiare anche la storia militare.Sotto tale aspetto questa monografia tuttavia è carente. Così registra l’inter
vento in guerra dell’Italia, a fianco dell’Intesa, ignorando il travaglio politico che aveva preceduto tale ingresso. Afferma addirittura che « slancio ed entusiasmo non mancavano » (p. 21), mentre si sa che al di sotto delle due minoranze che si combattevano per la pace e per la guerra, la grande massa rimaneva apatica, contraria alla guerra. Con scarso rigore storico è trattato il periodo da Caporetto al Piave, anche se integrato da una lunga citazione tratta da L’età del Risorgimento italiano dell’Omodeo (Milano, Ispi, 1942). Troppo limitata e superficiale è pure l’analisi delle vicende collegate con la rivoluzione di ottobre che portarono la Russia al ritiro dal conflitto.
D’altra parte non mancano a questa, come a quasi tutte le altre monografie della stessa collana, motivi di grande pregio. La veste tipografica è sobria e si presenta bene; sono stati adottati al
cuni utili accorgimenti che facilitano la lettura e la comprensione del testo, il quale si informa a criteri didattici avanzati, con una valida utilizzazione della documentazione, soprattutto scritta. I documenti sono per lo più tratti da annotazioni e memorie di protagonisti, da Hindemburg a Joffre, da Pershing a Cadorna, da Ludendorff a Foch. Ci è sembrata molto interessante l’utilizzazione, come documenti vivi e di prima mano, di canti alpini, quali Monte nero e Ta- pum, nati nelle trincee del fronte italiano nel rigido inverno 1915-1916. Completa il volumetto un’agile ed essenziale nota bibliografica. Francesco AgliFranco D i T ondo, La seconda guerramondiale, Torino, Loescher, 1966, pp.72, L. 600.
« Aspetti militari, civili, economici si intrecciano nella storia del secondo conflitto mondiale, spesso con eguale importanza decisiva » (p. 1), così l’autore nell’introduzione, tracciando il piano dell’opera.
La realizzazione non corrisponde però alle intenzioni manifestate nella premessa.Il volumetto è diviso in due parti, l’una dedicata all’aspetto economico, l’altra, più particolarmente, alle operazioni militari, mentre non è in alcun modo considerata la componente ideologica e il testo, per quanto riguarda la Resistenza, il più importante e certamente il più caratteristico aspetto sotto il profilo politico-civile, rimanda ad un’altra monografia della stessa collana.
Non è però possibile tracciare e capire, anche solo nelle sue linee di sviluppo essenziali, lo svolgimento della seconda guerra mondiale senza tener presenti, almeno in alcune delle fasi più decisive, tutte le componenti.Così non ci pare di poter condividere l’opinione dell’autore quando dice che « nei momenti di estrema tensione l’intelligenza degli uomini ha diretto le alterne vicende dello scontro » (p. 1).A parte questi aspetti negativi, notevole è lo'sforzo di presentare ai ragazzi fatti e situazioni attraverso documenti di prima mano, alcuni veramente impressionanti, come quello sulla teorizzazione nazista dello spazio vitale (p. 2).Anche questa, come le altre monografie della stessa collana, utilizza il docu
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 47mento come prima iniziazione alla storia.La veste tipografica è sobria; rimpaginazione facilita la lettura; il linguaggio è sempre accessibile ed essenziale.
Francesco Agli
Franco D i T ondo, La Resistenza in Europa, Torino, Loescher, 1968 (1° ed. 1965), pp. 60, L. 600.Questo ventiseiesimo volumetto della enciclopedia monografica Loescher è uno dei testi esemplari, sia per quanto riguar
da l’impostazione didattica, sia per quanto riguarda il contenuto, dell’intera collana dell’editore torinese.L’abbondante documentazione, sia fotografica, sia sotto forma di documenti scritti, che si inseriscono di volta in vol
ta nel testo, è utilizzata in modo veramente efficace. La veste tipografica è sobria e risponde a criteri di notevole praticità.Partendo da un primo sguardo d’insieme, sul piano temporale e geografico, con
rara essenzialità di racconto l’autore traccia un quadro completo, nei limiti che naturalmente la collana impone, della Resistenza in Europa.Vengono presi via via in considera
zione il manifestarsi e l’organizzarsi della resistenza in tutti i paesi che la « furia nazista » andava occupando, dalla Polonia alla Francia, dalla Grecia e l’Albania all’Italia.Un interessante capitolo è dedicato al movimento di liberazione jugoslavo dal suo primo costituirsi alla vittoria finale che « è stata la più completa di tutte quelle riportate dalle Resistenze nazionali: una nuova Jugoslavia è nata, concepita nel fuoco e nel sangue » (p. 22).Ricco di documenti interessanti e condotto con rigore scientifico e taglio prospettico originale è il capitolo sull’Unione Sovietica. Il movimento partigiano, sviluppatosi in Russia impetuosamente, a cui presero parte più di un milione di cittadini sovietici, viene acutamente presentato come « un fronte dietro il fronte », che non agisce autonomamente, ma in puntuale coordinamento con l’esercito regolare.Forse troppo rapidamente tratteggiato il movimento di liberazione albanese, che dopo aver resistito « ai duri colpi che gli occupanti cercano di infliggerle, passa a vittorioso contrattacco » (p. 24); senza per altro precisare che gli occupanti erano i soldati dell’esercito italiano e i miliziani fascisti.Il giudizio complessivo è però certamente positivo. Francesco Agli
La Nuova Italia. Le fonti della storiaLa collana comprende attualmente 24 titoli, tutti editi a Firenze nel 1969-70
al prezzo unitario di lire 1.800; diamo l’elenco dei titoli di storia contemporanea, cui ci riferiamo nelle pagine seguenti:S. P ic cio n i, F. Fabbri, Roma 1944: le Fosse ardeatine (n. 5).E. R onconi, F. F abbri, A. P ic cio n i, 1914-15: intervento o neutralità (n. 6).E. Striano , F. Fa bbri, Le quattro giornate di Napoli (n. 7).C. F rancovich, G. V e r n i, F. F a bbri, La Resistenza a Firenze (n. 10).C. F rancovich, L. D e Benedetto , F. F abbri, I giorni della libertà-, l’aprile
1945 (n. 11).G. D ’A gostino , F. F abbri, L ’Italia in Africa (1869-1896) (n. 17).A. P ic c io n i, Il brigantaggio (n. 18).G. Cer rito , F. Fabbri, Le origini del movimento operaio in Italia (n. 20).E. R onconi, A. P ic cio n i, F. F abbri, 1918: da Caporetto a Trento e Trieste
(n. 21).S. P ic cio n i, A. P ic cio n i, 1946: monarchia o repubblica? (n. 22).M. G anci, F. Fabbri, La guerra di Libia (1911-12) (n. 24).
48 Inchiesta sui testi di storia contemporanea
La caratteristica più immediatamente percepibile di questa collana è l’ampiezza e l ’organicità dei temi affrontati. In soli due anni, con uno sforzo editoriale notevole, sono infatti stati presentati 24 titoli, tu tti dedicati alla storia italiana dalla fine del Settecento al 1946, tra i quali la storia contemporanea è largamente rappresentata con le 11 buste citate qui sopra. Pur riconoscendo alla collana questo merito, non possiamo non osservare che la scelta degli argomenti trattati ricalca luci ed ombre della nostra storiografia: se infatti per gli ultimi decenni dell’Ottocento è possibile affrontare con serietà e coraggio temi interni scottanti come il brigantaggio meridionale e la nascita del movimento operaio, per il Novecento l’attenzione si polarizza sulla prima guerra mondiale, vista in modo assai legato alla tradizione patriottica, e sulla Resistenza, la cui trattazione non costituisce più oggetto di scandalo nel mondo scolastico. Mancano invece le lotte operaie del Novecento, il fascismo in tutti i suoi aspetti, le sconfitte della seconda guerra mondiale e soprattutto il periodo post-1946: lacune dolorose in una collana interessante come questa. Manca poi anche tutta la storia non italiana, ma riteniamo che ciò sia dovuto alla particolare natura documentaria che assume questa collana.
La sua seconda caratteristica, infatti, è data dal genere di documenti selezionati. Ad ogni titolo corrisponde una busta di grandi dimensioni (cm 30 x 45) che contiene un fascicoletto di inquadramento narrativo e commento critico e una serie di una ventina di grandi riproduzioni di documenti, scelti di regola tra manifesti, volantini e giornali. Ne deriva non solo una discreta omogeneità tra i documenti presentati, ma anche una loro maggiore « autenticità », in quanto il manifesto o giornale murale conserva una immediatezza di linguaggio in cui gli elementi propri del tempo, come l’ortografia o l’impostazione tipografica, sono più facilmente inseribili in un discorso storico anziché aneddottico rispetto alle stampe oleografiche o alle pagine di una lettera o di un libro. Quanto ai fascicoli che accompagnano i documenti, sono fatti assai bene; contengono una narrazione distesa degli avvenimenti, non priva di spunti critici pur nel desiderio di « obiettività », in cui viene inserito organicamente il rinvio alle riproduzioni allegate.
Abbiamo già detto che le migliori buste sono quelle sul brigantaggio e le origini del movimento operaio, in cui viene consapevolmente attuato il ribaltamento della tradizionale impostazione moderata. Le buste sulla prima guerra mondiale e sulla Libia sono invece più impacciate: il notevole rilievo concesso alle posizioni socialiste non basta ad alterare un sostanziale allineamento ai miti del patriottismo democratico. Ampie, corrette e non « celebrative » le buste sulla Resistenza, vista però (è questa la nostra unica riserva) attraverso la lotta politica e militare nelle sue forme più evidenti e non ricostruita nelle sue radici sociali più complesse; ma forse questo taglio è dovuto anche alla natura dei documenti disponibili.
In sostanza, malgrado cedimenti e lacune, la collana si presenta come opera seria e utile. Dobbiamo tuttavia esternare qualche perplessità sulla sua funzionalità didattica, anche se in forma più interrogativa che affermativa. Ci sembra infatti che il rapporto tra fascicolo e documenti non sia risolto: troppo stacco permane tra un’esposizione narrativa di stile tradizionale (anche se di contenuto stimolante) e l’immediatezza di una serie di manifesti murali. Non si può chiedere
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 49ai ragazzi della media di colmare da soli questo stacco, con un lavoro autonomo; sarà bensì necessario che la lettura del documento sia guidata continuamente dall’insegnante, che può trovare un valido supporto nel fascicolo. Senonché l’alto costo delle singole buste (1800 lire) e la brevità del periodo trattato in ognuna richiederebbero proprio quella ricerca individuale o di gruppo che non ci sembra possibile in una terza media: l’insegnante, costretto ad assumere la direzione dello studio di tutta la classe, dovrà limitarsi a presentare una sola busta, due al massimo, riducendo l ’efficacia del nuovo metodo di lavoro.
In una scuola superiore queste difficoltà dovrebbero essere attenuate, perché gli studenti dovrebbero essere in grado di utilizzare i materiali riprodotti senza la mediazione dell’insegnante. Non per questo è risolto il problema del rapporto tra fascicolo e documenti, che richiede pur sempre una buona preparazione preliminare. C’è insomma il pericolo che questo nuovo degnissimo materiale diventi soltanto una serie di illustrazioni che si aggiungono all’impalcatura tradizionale dell’insegnamento della storia, anziché sostituirla stabilendo un nuovo rapporto direttamente con i documenti. Che questo ultimo però non fosse l’obiettivo della collana è dimostrato dal suo alto costo (43.200 lire per la serie di 24 buste) che la relega appunto tra gli strumenti integrativi anziché sostitutivi dell’attuale tradizionale testo.
Giorgio Rochat
Mursia. Problemi di storiaLa collana di Mursia affianca a libri di storia contemporanea altri che riguar
dano la storia moderna e medievale; i volumi che abbiamo considerato — e che sono la maggioranza — sono i seguenti, tu tti ripresi dalle edizioni della casa francese Flammarion di Parigi:R obert P a r is , Le origini del fascismo, Milano, Mursia, 1970 (ed. francese 1968),
pp. 142, lire 1.000.C laude K l e in , La repubblica di Weimar, Milano, Mursia, 1970 (ed. francese
1968) , pp. 150, lire 1.000.P ierr e Ren ou vin , I l trattato di Versailles, Milano, Mursia, 1970 (ed. francese
1969) , pp. 161, lire 1.000.M arc F erro, La rivoluzione russa del 1917, Milano, Mursia, 1970 (ed. francese
1967), pp. 158, lire 1.000.P ie r r e Sorlin , L ’antisemitismo tedesco, Milano, Mursia, 1970 (ed. francese
1969), pp. 129, lire 1.000.
Non esplicitamente destinata a costituire una collana di testi sussidiari destinati alle scuole medie inferiori o superiori, questa pubblicata da Mursia è solo la traduzione di una serie di opere destinate a un pubblico non specializzato ma esigente in fatto di aggiornamento storiografico. L’editore francese Flammarion si è valso dell’opera di nomi noti largamente anche in Italia per prestigio scientifico; non è certo il caso di insistere, in questa sede, su alcuni aspetti che sembrano rendere non del tutto agevole a degli studenti l’uso di questa collana, considerando che essa non dichiara affatto di essere destinata alle scuole. Tutta
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via è inevitabile che questi libretti finiscano ad essere un punto di riferimento' per molti insegnanti e una fonte preziosa per giovani desiderosi di approfondire problemi di storia.
I testi finora tradotti in italiano si accentrano principalmente, per quanto riguarda la storia contemporanea, sui problemi del primo dopoguerra: I l trattato di Versailles di P. Renouvin, La repubblica di Weimar di C. Klein, La rivoluzione russa del 1917 di M. Ferro, Le origini del fascismo di R. Paris. Il valore delle opere non è sempre eguale; particolarmente poco felice appare ad esempio il libretto di Paris, che mutua dalla più recente storiografia alcuni temi — come il recupero del populismo da parte dei nazionalisti — e li pone al centro di una ricostruzione su cui incardina la spiegazione di un processo che in realtà è assai più complesso. Non giovano certo al libro alcuni grossolani errori di fatto e concettuali che si stenta ad attribuire all’autore; preferiremmo pensare a una traduzione poco felice. Nel complesso, tuttavia, il livello della collana è eccellente e non può non riuscire utile anche ai fini di un aggiornamento degli insegnanti. Tuttavia rimane su tutta la collana il peso dell’origine; sono opere nate e concepite per un pubblico francese; e il punto di riferimento rimane costantemente la Francia, le sue tradizioni, gli stessi avvenimenti di oggi. Se pensiamo a degli studenti che debbano aggiornarsi su di esse non possiamo fare a meno di osservare che, se da una parte la ginnastica intellettuale che questa prospettiva poco consueta per il livello medio d ’informazione impone non può non essere salutare, per altri aspetti forse lo sforzo appare inadeguato. La collaborazione dell’editore italiano per superare questo scoglio appare comunque minima. All’editore rimane del resto un grosso merito: quello di aver portato in Italia testi abbastanza inconsueti sia per l’impianto sia per il taglio culturale. Se qualche volta si avverte — come nelle opere di Klein e di Ferro — un eccessivo eclettismo, ciò può essere considerato in parte una delle conseguenze meno, positive di una scuola storiografica che ha allargato notevolmente i confini dell’indagine tradizionale; ma non si può negare che sia, per la cultura storica italiana, l’occasione per un salutare confronto. Esemplare è, al proposito, il libro di Pierre Renouvin, in cui la storiografia diplomatica è annullata e lo sguardo dell’autore si sforza di abbracciare tutte le componenti di politica interna che influiscono sull’operato delle diverse potenze. Rimane infine da segnalare, anche se l ’asse del lavoro non è rigidamente contemporaneo, il libro di P. Sorlin, L ’antisemitismo tedesco, che offre in una prospettiva storica che si stende dal Medioevo ad oggi un discorso acuto ed affinato su un tema che siamo abituati a veder trattato unicamente con toni deprecatori o falsamente pietistici.
Luigi Ganapini
50 Inchiesta sui testi di storia contemporanea
Zanichelli. L e tture storiche
Gli inglesi in India, a cura di Martin D. Lewis, Bologna, Zanichelli, 1968, pp. 208, lire 1.000.
La rivoluzione americana, a cura di Nicola Matteucci, ibid., 1968, pp. 135, lire 700.
I l nazismo, a cura di Enzo Collotti, ibid., 1968, pp. 170, lire 900.
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 51Istituzione del principe cristiano. Avvertimenti e istruzioni di Carlo V al figlio
Filippo, a cura di Gaspare De Caro, ibid., 1969, pp. 96, lire 700.Le origini del fascismo, a cura di Mirella Bartolotti, ibid., 1969, pp. 204, L. 1.200.
La collana « Letture storiche » presentata da Zanichelli si articola in due serie di testi; la prima propone al lettore un’antologia di tesi storiografiche, la seconda una scelta di documenti coevi a un determinato periodo o problema storico.
Di questa ultima serie fa parte il quarto volume Istituzione del principe cristiano, avvertimenti e istruzioni di Carlo V al figlio Filippo. Le Istruzioni presentate nel volume, e precisamente quelle del 4-6 maggio,-1543, 19 gennaio 1548 e del 1558 (i documenti sono preceduti da una lunga introduzione e da una nota cronologica e seguiti da una nota indicativa delle fonti e della bibliografia, da una carta geopolitica, da una tavola genealogica e da un indice onomastico), permettono al lettore una corretta ricostruzione dei paradigmi eticopolitici che fecero di Carlo V l’ultimo e più grande corifeo dell’universalistica ideologia imperiale dell’unità del Corpus Christianum; e rendono facile l’individuazione della peculiare versione spagnola, controriformistica, della ragione di stato che subordina la prassi politica all’onore e alla fortuna della religione cattolica.
Della prima serie fanno parte quattro volumi: Gli inglesi in India, La rivoluzione americana, I l nazismo, Le origini del fascismo. Ciascuno di questi si articola in quattro parti: nelle pagine introduttive si affronta e prospetta la complessità del problema di cui si tratta enucleandone il momento politico-sociale, economico e giuridico; seguono poi una nota cronologica e una significativa scelta di saggi che pongono in evidenza, attraverso la varietà delle interpretazioni, la complessità del problema trattato. Una ragionata nota bibliografica chiude il testo.
I volumi in esame, di serio valore scientifico, possono oggi difficilmente e solo parzialmente essere utilizzati negli istituti di istruzione secondaria ove ancora lo studio della storia è considerato una veloce corsa lungo i secoli di cui si vuole siano conosciuti i soli caratteri esteriori. Di contro a ciò, la collana monografica di cui ci interessiamo sollecita un salutare capovolgimento dei programmi per cui solo alcuni nodi storici dovrebbero essere affrontati e critica- mente rappresentati. Dove ciò è possibile si consiglia l’uso di tali testi che avvicinano i giovani alle fonti della ricostruzione storica ed offrono loro un iniziale panorama storiografico da cui dovrebbero trarre suggerimenti per una corretta impostazione metodologica e per un ulteriore approfondimento.
Entriamo ora nel merito dei quattro volumi sopra citati. Nel primo di essi, Gli Inglesi in India, a cura di Martin D. Lewis, la ricerca verte sul seguente nodo storico: « Il dominio britannico in India fu distruttivo o creativo? Fu, in sostanza, lo sfruttamento e l’impoverimento di un paese a beneficio di dominatori stranieri? O, piuttosto, il dominio britannico servì a infondere un nuovo dinamismo a una società fino ad allora arretrata e stagnante, e a porre le basi essenziali per la definitiva modernizzazione dell’India? Infine, è possibile che il dominio britannico sia stato nello stesso tempo sia distruttivo che creativo? » (p. 8). A tali domande l’autore tenta di rispondere presentando quindici diverse tesi storiografiche rappresentative le prime due — rispettivamente di Romesh D utt
e sir Marriot — del nazionalismo moderato e del colonialismo filantropico dei primi anni del secolo.
Il punto di vista del nazionalismo indiano che lotta per l ’indipendenza viene espresso nella tesi di J. Nehru a cui si contrappone quella di sir Coupland. Una analisi marxista del colonialismo viene condotta nelle pagine dello storico Palme D utt che distingue i tre momenti dello sfruttamento coloniale corrispondenti al colonialismo commerciale, industriale e finanziario. Seguono due saggi sugli effetti economici della dominazione inglese e cinque sugli aspetti politici della stessa; chiudono l ’antologia due saggi rispettivamente sul passaggio dei poteri e sul processo per cui gli indiani raggiunsero l ’indipendenza e la spartizione territoriale tra India e Pakistan.
L’ultimo saggio offre una sintetica analisi della dominazione occidentale dall’arrivo di Vasco de Gama alla partenza delle flotte occidentali dopo la seconda guerra mondiale. L ’impostazione del volume non solo permette di giungere alla formulazione critica di un giudizio sull’imperialismo inglese, ma fornisce ai lettori i parametri metodologici e ideologici per affrontare l’intero problema del colonialismo europeo sull’Asia e sull’Africa.
Il volume La rivoluzione americana a cura di Nicola Matteucci, il secondo della serie, invita il lettore a soffermare la propria attenzione sulla rivoluzione d ’oltre oceano non in quanto momento di lotta e di conquista di indipendenza politica, ma in quanto momento rivoluzionario puro e semplice; il curatore tenta di precisarne i connotati sociali, politici e ideologici in rapporto alle successive rivoluzioni mondiali nei cui confronti la rivoluzione americana presenta caratteri in parte simili ed in parte diversi e ad essa solo riferibili. Posto al centro dell’analisi storica tale problema, l’autore presenta al lettore brani di saggi critici di dieci storici americani attraverso i quali è possibile tentare una prima ricostruzione della medesima tenendo come parametro di confronto i motivi sociali- politici-ideologici delle successive rivoluzioni mondiali.
Il terzo volume della collana, I l nazismo, a cura di Enzo Collotti, sollecita un approfondimento problematico dei peculiari caratteri politici, economici, sociali e razziali del nazismo e dei nessi tra la storia tedesca e la complessiva storia europea. Un contributo a tale analisi viene offerto dai passi antologici riportati nel testo, espressione delle più accreditate tesi storiografiche contemporanee. Visti i presupposti ideologici-dottrinari del nazional-socialismo espressi nel « Secondo libro » di H itler, di cui nel testo si riportano alcune pagine, è una corretta posizione storiografica, domanda l’autore, vedere tout court il nazismo come una diretta conseguenza delle tradizioni politiche spirituali della Germania (cfr. Vermeil, Vereck) e del militarismo tedesco-prussiano (cfr. Meinecke), o, piuttosto, il nazismo è da considerarsi, con il Ritter, proiezione macroscopica della crisi di dimensione europea dei valori del liberalismo, o il prodotto, come afferma Lukàcs, del particolare sviluppo economico e sociale della Germania, espressione cioè del suo particolare imperialismo?
Dibattuto questo punto, e visto come in realtà il nazismo presenti momenti di continuità ed altri di rottura con la tradizione politica del passato, i saggi successivi vertono sulla costante antisemita, per cui si tenta di ricostruire il sostrato socio-culturale e ideologico della borghesia tedesca su cui venne a calarsi la propaganda del Terzo Reich (si veda per ciò il saggio di G. L. Mosse), e sulla
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Inchiesta sui testi di storia contemporanea 53individuazione delle forze economiche che appoggiarono il regime, del quale si tenta poi un profilo socio-economico (saggi di Hallgarten e di Neumann). I tre ultimi brani, rispettivamente di Mommsen, Krausnick, Melnicov, tentano di precisare i caratteri dell’opposizione antinazista e l ’alternativa politica da essi prospettata.
Il quinto ed ultimo volume della collana, Le origini del fascismo, a cura di Mirella Bartolotti, presenta sull’argomento in questione, per un arco di tempo che va dalla crisi del sistema liberale al delitto M atteotti, un vasto repertorio di tesi ed interpretazioni storiografiche coeve, nella prima parte del volume, alla dittatura mussoliniana, ad essa posteriori nella seconda parte. Le prime 29 pagine del testo riportano passi delle affermazioni programmatiche dei « Fasci di combattimento » e alcuni brani del programma del partito nazionale fascista elaborato dopo il congresso di Roma del 7-10 novembre 1921. A questi si aggiungono brani dei più significativi discorsi di Mussolini: quello del settembre 1922 in cui cade la pregiudiziale repubblicana sostituita da una possibile e sincera intesa con la monarchia dei Savoia, e quello pronunciato in qualità di presidente del consiglio dei ministri, alla Camera dei deputati il 16 novembre 1922, nel quale il duce fa chiaramente intendere la dipendenza delle libertà statutarie dal beneplacito dell’esecutivo e dalla sua volontà. Brani salienti del « Manifesto degli intellettuali fascisti » chiudono questa prima sezione della prima parte del volume. A questa segue una raccolta di tesi e di giudizi espressi dai maggiori esponenti del mondo della cultura (Salvatorelli, Gobetti) e del mondo della politica (Zibor- di, Bordiga, Sturzo, Gramsci, Turati, Togliatti, Tasca), contemporaneamente all’affermarsi ed al rafforzarsi del regime.
La seconda parte del libro riporta brani di opere pubblicate subito dopo il crollo del regime e negli anni ’50-60. Le prime due tesi di questa sezione del Croce e del Cusin, prospettano un’interpretazione globale del fascismo; le successive, di Dorso, Chabod, Valeri, Chiesa, tentano una ricostruzione critica degli anni immediatamente seguenti la prima guerra mondiale, del giuoco di forze che permise l ’ascesa del potere del fascismo e dei germi antidemocratici e totalitari presenti nella storia italiana postunitaria. Gli ultimi tre saggi, di intonazione marxista, di Banfi, Sweezy, Procacci vedono il fascismo come momento peculiare dell’imperialismo.
Anna Sabatini Gallerano
F. Gli atlanti storici
Gli atlanti storici sono uno strumento certamente utile per lo studio della storia, ma del tutto negletto nella nostra scuola, al punto che è difficile avviare un discorso su di essi non essendo affatto chiara la loro funzione e quindi le esigenze cui devono rispondere. Promuovendo l’inchiesta sulle adozioni dei libri di testo era nostra intenzione raccogliere anche dei dati sulla diffusione degli atlanti storici, ma abbiamo dovuto arrenderci dinanzi all’evidente casualità con cui viene condotta la scelta degli insegnanti. La maggior parte delle scuole, sia medie che superiori, prescrive^ o consiglia l’acquisto di un atlante storico, ma nella quasi totalità dei casi lascia allo studente la scelta tra due o più titoli:
un’indifferenza incomprensibile dinanzi alle profonde differenze delle opere proposte, chiaramente dovuta al fatto che l ’atlante storico non sarà mai richiesto e tanto meno consultato durante le lezioni, ma diventerà soltanto un’ulteriore' occasione di sfoggio di superiorità per i « pierini » della classe.
Non sappiamo perché la maggioranza degli insegnanti italiani non usi regolarmente l’atlante storico: forse perché il crocianesimo deteriore che ancora pesa sulla nostra scuola ha imposto una netta separazione tra storia e geografia che si traduce, per molti professori, nella incapacità di apprezzare o addirittura di leggere una carta. Oppure perché, dinanzi al costo crescente dei libri di testo, altri insegnanti cercano di ridurne il numero sacrificando i meno importanti. O infine perché gli atlanti storici disponibili sono generalmente di un livello così inferiore a quello degli altri testi, che dalla loro adozione non si possono trarre grandi vantaggi. Né d ’altra parte gli editori paiono invogliati a investire capitali nella preparazione e nel lancio di atlanti storici più moderni ed adeguati, che non avrebbero garantita una sufficiente diffusione.
Sta di fatto che la nostra scuola tende a rigettare definitivamente gli atlanti storici, riducendoli a semplice oggetto di curiosità. I più recenti testi di stori*, ad esempio, dedicano sempre maggior importanza all’apparato di carte geografiche e schizzi organicamente inseriti nella narrazione, in modo da rendere superflua la consultazione di un testo a parte. La tendenza è certamente positiva, specie a livello di scuola media. Riteniamo però che un atlante storico di buona fattura e ampiezza sia pur sempre uno strumento insostituibile per uno studio storico organico che riconosca alla geografia la sua importanza ed all’espressione grafica dei fenomeni umani le sue possibilità didattiche. Ma un testo del genere non esiste in Italia.
Per poter dare questo giudizio, abbiamo esaminato una diecina di atlanti storici raccolti seguendo empiricamente le indicazioni avute (nelle pagine seguenti ne diamo l’elenco con brevi cenni di commento e le necessarie indicazioni bibliografiche), soffermandoci essenzialmente sul periodo che va dalla vigilia della prima guerra mondiale ad oggi. L’impressione generale è che questi testi non abbiano superato che parzialmente l’impostazione angusta dell’epoca ITberal-fascista, degnamente rappresentata dal Baratta-Fraccaro-Visintin tuttora in circolazione. Ad esempio, tutti i testi (con l’eccezione dello Zanichelli, non a caso adattamento di un volume svedese) rivelano una visione fortemente euro-, anzi italo-centrica, che sacrifica totalmente la storia dei continenti extra-europei e spesso anche quella della stessa Europa.
Tutti i testi, inoltre, rimangono legati ad una interpretazione della storia che privilegia il momento militare-diplomatico. Le cartine dedicate a guerre, conquiste e sistemazione di confini sono non solo le più frequenti, ma anche le più chiare: la riluttanza ad affrontare fenomeni come le variazioni economiche o la diffusione di movimenti politici si traduce anche in una debolezza di rappresenta to n e cartografica. Caso tipico è la rinuncia a trattare i problemi sorti tra le due guerre mondiali, se non con il ricorso ad una cartina delle dittature che annulli ogni differenza tra Stalin e Salazar, Kemal Ataturk e Hitler.
Quasi tutti i testi, infine, hanno un’uguale riluttanza ad affrontare gli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Una carta sulle frontiere europee ed una sulla decolonizzazione formale sono in genere sufficienti a chiudere il di
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Inchiesta sui testi di storia contemporanea 55scorso, evitando ogni riferimento alle guerre di liberazione dei popoli afro-asiatici, ai problemi economici mondiali ed a quelli interni italiani. Anche sotto questo punto di vista gli atlanti storici sono assai più arretrati dei testi di storia normalmente adottati nelle scuole.
Queste riserve non sono applicabili all’atlante storico di formato tascabile della Garzanti, che si segnala invece per l ’accurato aggiornamento, l’ampio rilievo dato alla storia contemporanea, l’attenzione rivolta ai fenomeni economici (anche attraverso un’adeguata rappresentazione cartografica) ed ai paesi e continenti extra-europei. Questo netto distacco dagli altri atlanti storici si spiega col fatto che questo di Garzanti non è un testo scolastico, deve quindi conquistarsi un più difficile mercato tenendo conto delle esigenze dei lettori assai più di quanto non si tenga conto normalmente di quelle degli studenti. II testo non è certo esente da difetti, e più sotto ne indicheremo alcuni, ma è certamente il migliore strumento oggi disponibile per l’uso scolastico (e con la sua sola esistenza denuncia fortemente i limiti degli altri atlanti storici).
Il problema più generale, che coinvolge tutti i testi esaminati, è quello del rapporto tra cartine, apparato illustrativo e narrazione integrativa. Nessuno tra i testi che abbiamo visto si limita a fornire un insieme di carte e cartine storicogeografiche opportunamente annotate (che costituiscono la sua giustificazione autentica), ma le integra con una narrazione estremamente minuta (è il caso di atlanti diversi come il Baratta-Fraccaro-Visintin e il Garzanti) oppure più sintetica e legata alle carte (per esempio il Natta-Melzi d ’Eril o lo Zanichelli), oppure con un apparato di foto e disegni commentati che giunge ad occupare anche più di metà dello spazio disponibile (si veda il Déttore, il Menin, il Malinverno- Sacchi). In questi ultimi testi è evidente la tendenza a trasformare l ’atlante storico in un libro di tipo nuovo, concorrenziale anziché complementare rispetto al testo di storia, con una logica che ci sembra trovare radici nel consumismo scolastico (fornire libri sempre più illustrati, luccicanti e costosi) anziché in reali esigenze didattiche.
La molteplicità delle soluzioni adottate, in sostanza, conferma la crisi in cui si dibatte l’atlante storico, un genere di libro che non ha più un posto definito nella scuola italiana e ricerca un nuovo collocamento secondo vie differenti (per le quali rinviamo alle schede delle pagine successive). Ci sembra però che l ’atlante storico potrà ritrovare una precisa funzione nella scuola attraverso una sua riqualificazione specifica e non ponendosi in concorrenza più o meno larvata con i libri di testo veri e propri. Questo implica la ricerca di forme di espressione cartografica dei problemi storici finora lasciati da parte, un coraggioso aggiornamento ai giorni nostri, che porti alla saldatura tra la scuola e l ’informazione quotidiana della televisione e della stampa, e un ridimensionamento del ruolo del testo narrativo che deve servire le cartine e non cercare un ruolo autonomo nella sede sbagliata. A questa riqualificazione non ostano motivi immediatamente politici (i libri di testo di « sinistra » hanno già avuto un confortante successo), ma culturali e organizzativi: gli editori non possono certo essere invogliati a rilanciare un genere di libro che è trascurato anche a livello universitario e scientifico, né gli insegnanti possono facilmente superare la concezione aristocratica della storia costruita sulla parola soltanto e non sull’immagine, che le strutture -scolastiche a tutti i livelli impartiscono e conservano. Dovremo così registrare
un ulteriore decadimento dell’atlante storico nella scuola? Speriamo di sbagliarci, anche se le prospettive non sono molto incoraggianti.
Giorgio Rochat
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M. Baratta - P. Fraccaro - L. Visin- tin, Piccolo atlante storico, fascicolo terzo: Evo moderno, Novara, De Agostini, 1963, lire 1.500 (i tre fascicoli rilegati; ma dell’opera esistono diverse vesti tipografiche).La veneranda età dell’opera è visibile sin dalla sua delimitazione cronologica: il terzo e ultimo fascicolo inizia col 1492 e dedica 7 sole tavole al periodo che va dalla prima alla seconda guerra mondiale compresa. Mezza tavola sulla decolonizzazione esaurisce la storia successiva al 1945. Aggiungiamo che questa mezza tavola ed una intera dedicata alle scoperte geografiche del Quattro-Cinquecento sono le uniche del fascicolo in cui compaiono i continenti extra-europei.Il volume si presenta, in sostanza, co
me prodotto caratteristico della provinciale cultura italiana di quarant’anni fa. L’unico aggiornamento apportato alla narrazione cronachistica che occupa il retro delle tavole è stata la soppressione della storia italiana dal 1919 al 1935, ma lo spirito fascista informa le scarne aggiunte relative agli anni successivi.Il fatto che questo atlante, così penosamente sorpassato sotto il profilo tecnico, scolastico e politico, sia ancora in circolazione illustra meglio di un lungo discorso le carenze della scuola italiana e lo scarso interesse degli insegnanti per gli atlanti storici.
Alfredo Bosisio, Testo-atlante storico per le scuole medie, volume unico, Milano, Vallardi 1964, lire 1.100.Questo volume stabilisce un record negativo, per così dire, tra tutti quelli consultati perché si arresta al 1939, dopo aver concesso agli avvenimenti dal 1914 non più di quattro tavole e mezzo. Il testo che le accompagna rivela chiaramente la data di composizione: si veda l’ostilità riservata alla Società delle nazioni e l’approvazione sostanziale dell’espansionismo nazista. Il testo termina annuncian
do lo scoppio della seconda guerra mondiale, senza che nei trent’anni successivi nessuno si sia sentito in dovere di comunicarne per lo meno la fine.
Ugo Dettore, Atlante storico per la scuola media, volume terzo: Dal con- gresso di Vienna a oggi, Novara, De Agostini, 1966, lire 1.200.Il volume si raccomanda per lo sforzo di leggibilità delle sue cartine, assai grandi e graficamente chiare anche se non numerose (venticinque in tutto, di cui nove per gli anni 1911-46 e due per quelli successivi).Accanto ad ogni tavola l’autore presenta una pagina di fotografie e disegni, a commento degli avvenimenti rappresentati. Non trova però di meglio che riprodurre, per otto pagine dal 1911 al 1945, le tavole di Beltrame per la « Domenica del corriere » e solo quelle! Una così incredibile rinuncia alle possibilità di informazione e commento date dall’enorme materiale illustrativo disponibile può spiegarsi soltanto con una precisa volontà di mistificazione politica: e infatti chi meglio di Beltrame può presentare sempre e soltanto vittorie dell’Italia e dei suoi alleati nazisti e franchisti? Non meraviglia perciò di trovare nel commento comprensione per Horty e Salazar e pieno silenzio sulla Resistenza, sui crimini nazisti e sulle guerre di liberazione coloniale. In sostanza il rinnovamento cercato dall’autore si limita al piano gra
fico, non a quello didattico-ideologico.
Atlante storico Garzanti. Cronologia della storia universale, volume unico, Milano, Garzanti, 1970 (I ed. 1966),. lire 2.000.Questo atlante, che si inserisce nella collana Garzanti di enciclopedie e dizionari di formato tascabile, nasce dall’adattamento di un testo tedesco del 1964,.
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 57curato dal gruppo redazionale Garzanti, e si rivolge al pubblico più vasto e non specificatamente a quello scolastico. Il volume affianca una ricchissima serie di cartine e un ampio testo narrativo e dispone di un interessante indice analitico.La storia contemporanea ha un posto di rilievo: circa 160 pagine, più di un quarto del totale, per gli anni dal 1914 ad oggi (e 60 di queste pagine sono per il ventennio fino al 1964, anno cui è aggiornato il volume). La trattazione tocca tutti i continenti e paesi, con una discreta ampiezza per quelli maggiori, e non si esaurisce nella storia diplomaticomilitare, ma riserva una giusta parte ai problemi economici senza dimenticare quelli culturali, sociali e via dicendo, sopravalutando soltanto (a nostro avviso) l’importanza delle strutture costituzionali dei vari stati.Non è però risolto il problema del rapporto tra testo e cartine. Il volume è destinato a reggersi da solo, senza l’appoggio di un libro di storia; contiene quindi un testo narrativo autonomo, molto ampio, che non è mal fatto, nei limiti di un’ispirazione che potremmo definire di centro-sinistra. Tuttavia il testo ha un andamento cronachistico insopportabile: lo sforzo meritorio di non dimenticare né un paese né un problema fa sì che le sue fitte colonne si riducano quasi sempre a elenchi di nomi e date che non possono avere molto significato, in cui si stemperano le cartine dense e originali.
Anche con questo limite, il volume si presta meglio di qualsiasi altro all’utilizzazione scolastica per l’insegnamento della storia contemporanea. Il formato ridotto delle cartine e la stessa ampiezza dei problemi trattati possono costituire un ostacolo per il suo impiego nella media, m* non nelle scuole superiori.
G iuseppe Malinverno - Enrico Sacchi, Il teatro della storia. Atlante storico iconografico, volume unico, Torino, Paravia, 1965, lire 2.400.Il volume, che si presenta come « un lungo racconto visivo », alterna fotografie, cartine ampiamente ritoccate, didascalie e disegni molto infantili, in una sovrabbondanza di particolari che genera
confusione. A titolo d’esempio, in una sola pagina sull’espansione coloniale italiana troviamo due cartine dell’Africa e sei dei diversi possedimenti italiani, cinque disegni di armati (di un’infedeltà grottesca) e quattro scene su altri problemi; e a fianco la sconfitta di Adua diventa una « infelice azione militare del gen. Baratieri in Eritrea »! In sostanza il volume si inserisce nella più tradizionale e chiusa interpretazione della storia come evasione pittoresca, rinunciando ad avviare i ragazzi ad una riflessione autonoma, ma piuttosto coltivando miti superati e pregiudizi superficiali.
T iberio Menin, Atlante storico, volumeterzo: Dal congresso di Vienna aigiorni nostri, Bergamo, Minerva italica, 1968, lire 950.Il testo fornisce un tentativo di rinnovamento della formula tradizionale dell’atlante storico, presentando, a fianco delle pagine alle carte e note relative, quasi altrettante pagine in cui attraverso fotografie e disegni commentati sono affrontati problemi non necessariamente collegati a quelli delle cartine. Oltre che dei progressi della tecnica, tema prediletto delle pubblicazioni per ragazzi, in queste pagine si parla di Picasso, di architettura moderna, della fame del Terzo mondo e di Hiroshima, con risultati non disprezzabili che però, ci sembra, nulla hanno a che fare con la funzione specifica di un atlante storico, strumento complementare e non sostitutivo del libro di storia.L’opera è interessante anche per il suo grado di aggiornamento: più di metàdelle pagine è dedicata alla storia contemporanea ed anche il periodo post-45 ha un rilievo insolito; sotto il titolo un po’ equivoco di « gli ultimi focolai di guerra » compaiono infatti nitide cartine delle guerre di Corea, Indocina (anni ’50 e ’60) e Israele. Non è questo l’unico elemento degno di interesse di un testo che però è assai discontinuo: se le carte in genere non escono dalla consueta impostazione militare-diplomatica (e dove tentano vie nuove rischiano il ridicolo del « triangolo della pace cristiana » Roma-Istanbul-Gerusalemme), la Resistenza è trattata con ampiezza; se le cessioni territoriali del 1947 alla Francia sono
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alquanto drammatizzate e l’imperialismo iovietico unilateralmente sottolineato, 1’aggravarsi della disperata miseria del Terzo mondo è invece ricordato con efficacia.In sostanza l’opera è allineata su posizioni moderate di taglio cattolico, che le permettono tuttavia di distinguersi dalla maggior parte dei testi similari per la presenza di alcuni spunti critici.
G iuseppe Mori, Atlante storico didattico Le Monnier per le scuole medie superiori, fascicolo quarto: Evo contemporaneo, Firenze, Le Monnier, 1957, lire 600.Il volume dedica 12 delle sue 33 tavole al periodo che va dalla vigilia della prima guerra mondiale al 1946, e una sola agli anni successivi. Le carte non sono commentate, ma fittamente coperte di scritte, frecce, sottolineature, date e simboli di non facile interpretazione (e non prive di errori), la cui chiave è fornita in un denso fascicolo allegato che dà un riepilogo narrativo. Il tutto ci sembra privo di utilità pratica: le cartine sono troppo piene di segni per poter es
sere consultate con efficacia ed il commento del fascicolo si segnala soprattutto per la cura con cui riesce ad evitare di dare giudizi sugli innumerevoli eventi che ricorda, naturalmente senza stabilire nessi e rapporti di importanza. Assoluta- mente inadeguata la tavola unica dedicata al post-1945. Il volume, tecnicamente e didatticamente sorpassato, si raccomanda soltanto per il prezzo contenuto.
E mma Natta - Francesco Melzi d’E ril, Atlante storico, volume terzo: L'Europa e il mondo nei secoli X IX e XX, Milano, Vallardi, 1968, lire 1.100.Il testo dedica circa la metà delle sue pagine alla storia contemporanea, a prima vista con un certo respiro. Sono così seguite per sommi capi le vicende dei continenti extra-europei, la guerra di Spagna e alcuni problemi del dopoguerra (la lega araba, la guerra di Corea, la decolonizzazione). Le carte, piuttosto chiare, sono accompagnate da note illustra
tive e di commento tecnicamente abbastanza ben congegnate.Lo sforzo di rinnovamento degli autori si è però limitato a questi problemi, perché l’impostazione ideologica del testo è quanto mai angusta. Da un assoluto silenzio su vent’anni di fascismo emerge solo un’implicita esaltazione dell’impero, poi un prudente velo è steso sulle sconfitte fasciste, mentre il ricordo della guerra partigiana si accompagna alla deplorazione delle lotte civili. Un bolso anticomunismo domina poi le pagine sul post- 45; l’unica menzione della Cina popolare è a proposito della guerra di Corea, mentre un prudente silenzio è steso su tutte le guerre di liberazione ed in genere sui limiti della decolonizzazione. Il volume, che è coronato da una serie di domande di controllo puramente nozionistiche, appare perciò antiquato malgrado il parziale aggiornamento tecnico.
Costanzo R inaudo, Atlante storico, parte terza: I tempi moderni, Torino, Paravia, 1968 (I* ed. 1943), lire 2.400.Atlante di tipo antiquato, che fa iniziare il suo terzo e ultimo volume al Cinquecento e dedica sei tavole sole al periodo dal 1914 ad oggi. Alcune pagine iniziali forniscono una rapida guida alla lettura delle cartine, troppo fitte di nomi per essere chiaramente leggibili (benché l’autore non ricorra a frecce o altri simboli grafici). In definitiva, un atlante assai povero (malgrado il prezzo elevato) e superato da tutti i punti di vista.
Atlante storico Zanichelli, volume unico,Bologna, Zanichelli, 1966, lire 1.450.Il volume, adattamento redazionale di un testo svedese, rappresenta una chiara,
ma incompiuta indicazione dell’unica via che vediamo possibile per un rilancio dell’atlante storico scolastico. L’impostazione è pulita, con una netta separazione tra cartine e testo narrativo annesso e la rinuncia a effetti grafici di dubbio risultato; il rinnovamento è infatti cercato all’interno, con una trattazione veramente mondiale e non miseramente italo-cen- trica, un testo annesso non cronachistico ma capace di giudizi e riserve critiche,
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 59la rappresentazione cartografica di fenomeni culturali, religiosi ed economici. Il tutto in pagine chiare anche se un po’ fitte.
L’opera ha tuttavia un grave limite: una netta caduta di livello per la parte contemporanea. Le nostre riserve sono di due tipi: anzitutto, il ripiegamentosu carte esclusivamente militari-diplomatiche, con una chiusura che la presenza di un buon commento critico non basta a coprire. E poi l’arresto della trattazione
al 1945, con una sola cartina sulla decolonizzazione. Se si prescinde dal testo narrativo (che non può costituire la caratteristica qualificante di un atlante storico), la trattazione dell’epoca contemporanea è nettamente inferiore alla media dei testi similari in circolazione. Spiace che proprio su argomenti così importanti e significativi l’atlante Zanichelli abbia rinunciato a quell’opera di rinnovamento che invece gli riconosciamo per il periodo precedente. G»or*fo Rachat
G. I libri di testo di educazione civica
La presente rassegna si basa sull’esame di 21 testi di educazione civica, scelti tra quelli delle medie superiori, senza distinzione di ordine. Sono stati tralasciati i testi per la media unica, perchè il discorso avrebbe dovuto allargarsi eccessivamente. Poiché non disponiamo di un prospetto statistico sull’adozione dei diversi manuali ', la rassegna si limita ad un’analisi tematica del testo indipendentemente dalla larghézza della sua diffusione. D ’altra parte è abbastanza noto che l ’educazione civica appare nelle scuole come una materia di insegnamento estremamente trascurata e sacrificata, o nel migliore dei casi assimilata alla storia.
Ecco l’elenco dei testi consultati:A. Battaglia - M. Ca pu r so , La società e lo stato, Firenze, La nuova Italia, 1964,
pp. 140, lire 800.N. Bobbio - F. P iera nd rei, Introduzione alla Costituzione, Bari, Laterza, 1969,
pp. 234, lire 900.A. Bodanza, Corso di educazione civica, Torino, SEI, 1963, pp. 127, lire 1.000. G . Calandra - G. G ia m p ie t r o , Istituzioni di educazione civica, Roma, Signo
relli, 1967, pp. 100, lire 800.G. C ansacchi, Individuo e società, Torino, Paravia, 1959, pp. 134, lire 650.M. D appiano , Ubi societas ibi ius, Torino, Marietti, 1959, pp. 156, lire 600.N. Ferrarone - M. Spera , Verso la meta, Milano, Santi, 1960, pp. 164, lire 800. L. F rancabandera - G. Brienza , La società e le sue leggi, Roma, Signorelli,
s.d. (II ed.), pp. 130, lire 1.200.A. G alante G arrone, Noi, cittadini, Torino, Loescher, 1966, pp. 151, lire 1.000. A. G alante G arrone, Questa nostra repubblica, Torino, Loescher, 1969, pp.
249, lire 1.500.
1 Abbiamo dovuto rinunciare a presentare dati anche approssimativi, perché non tutte le scuole adottano un testo di educazione civica, mentre in altre l’inclusione di questo manuale tra i libri da acquistare ha carattere puramente formale, dato che non verrà mai adoperato né richiesto. A titolo orientativo, e con le necessarie riserve, diamo i nomi che ci risultano più diffusi. A Milano: Galante Garrone, Sacchi, Saitta, Bobbio- Pierandrei, Cansacchi, Battaglia-Capurso, Spini; a Torino: Galante Garrone, Bobbio- Pierandrei, Vergnano, Bodanza, Strata-Giove, Catalano; a Roma: Ghezzi-Del Re, Bobbio-Pierandrei, Strata-Giove, Giannantonio, Gozzer-Pagella.
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G. G h ezzi - M. D el Re , Legge è libertà, Roma, Cremese, 1967 (II ed.), pp. 230, lire 1.600.
P. G iannantonio, Patria e democrazia, Napoli, Loffredo, 1961, pp. 177, lire 800. G. G ozzer - M. P agella , Civiltà del lavoro, Firenze, Le Monnier, 1969, pp.
260, lire 1.400.M. G o zzin i - G. M e u c c i, L o stato siamo noi, Firenze, Vallecchi, 1964, pp. 120,.
lire 700.L. L u ng hetti, Educazione civica, Palermo, Palumbo, 1962, pp. 146, lire 700. D. R. P e r e t t i G riva , Il buon cittadino, Torino, Lattes, 1966, pp. 182, lire 930. C. P ierm a n i - M. D ’A ntonio , Educazione civica, Milano, Garzanti, 1970, pp.
288, lire 1.500.F. Sa cchi, La democrazia moderna, Milano, Mondadori, 1968, pp. 308, L. 1.500.G. Strata - C. G io v e , Il cittadino, la società, lo stato, Torino, Petrini, 1962,.
pp. 168, lire 740.R. V erdina , Civis, Milano, Principato, 1959, pp. 131, lire 600.I. V ergnano, Dibattito politico e costituzione italiana, Torino, Paravia, 1970,
pp. 363, lire 1.600.
La prima osservazione che balza all’attenzione è che i testi di educazione- civica, nella loro generalità, si rivelano nel modo più chiaro come strumenti di trasmissione della ideologia borghese e di educazione al consenso per il sistema e le sue istituzioni. Lungi dall’essere veicoli di apertura critica alla realtà sociale e politica, essi la mistificano, ne ignorano le contraddizioni, ovvero tendono ad offuscarne il carattere profondo e antagonistico. L’idea mitica di uno « stato » o di un « diritto » che si situano in qualche modo al di sopra dei conflitti di classe, appare largamente comune, sia che venga presentata nella forma più avanzata ed evolutiva, sia che si offra nella forma più reazionaria e borbonica. Appare chiaro in generale il tentativo di accreditare un incoraggiante modello di cittadino neutro, rispettoso delle leggi, dotato di diritti ma anche — non dimentichiamolo — di doveri, garantito da una serie di giusti principi ed inserito in una comunità internazionale che si avvia a grandi passi verso forme di libera e pacifica convivenza. I l carattere di « apologia del sistema » del discorso svolto, è evidente nel fatto che alcune istituzioni fondamentali di esso, dalla proprietà privata alla famiglia, appaiono come eterne e intangibili, e non vengono mai poste in discussione come tali.
Di ciò si può avere una verifica nell’esame di alcuni temi fondamentali e ricorrenti. All’interno di una impostazione spesso puramente descrittiva e tecnica, oppure di un tono paternalistico e democraticistico, velato di riformismo, è abbastanza facile cogliere l’indicazione di alcune idee cardine.
Innanzitutto l’idea di stato. Lo stato è inteso come qualcosa di neutro, al di sopra delle parti. Non c’è una difesa ad oltranza delle istituzioni esistenti nella loro configurazione attuale, ma si lascia intendere la possibilità di migliorarle e perfezionarle. « Lo stato interviene per tutelare il lavoro e la produzione, per favorire un’equa distribuzione della ricchezza, per inserire l’economia nazionale nel più grande gioco dell’economia internazionale » (Strata-Giove, p. 30). Lo stato talvolta vien posto come un a-priori, pur riconoscendo la sovranità
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 61popolare: « Detta sovranità risiede propriamente nel popolo il quale non può esercitarla se non attraverso una organizzazione preordinata che è appunto lo stato [...]. Quindi la sovranità del popolo giuridicamente appartiene allo stato che nell’interesse del popolo la deve esplicare » (Verdina, p. 42).
Il discorso sugli interessi individuali e collettivi, che potrebbe introdurre al tema dei conflitti sociali, appare al contrario generico, schematico e fuorviante, proprio perché non tiene conto della realtà sociale, in quanto si sorregge su categorie astratte (cittadino e stato, individuo e collettività) e mai concrete (classi sociali contrapposte). Troviamo, ad esemplicare i contrasti di interesse, il caso dell’impiegato statale, che vorrebbe trovare il posto nella città d ’origine, in conflitto con lo stato, che esige la sua attività in altra sede, nell’interesse generale (Ferrarone-Spera, p. 31). Altrove vengono considerati come interessi contrapposti quelli di proprietari terrieri e contadini da una parte, industriali e operai dall’altra, commercianti, artigiani, impiegati (Battaglia-Capurso, pp. 21- 22). In questo modo si presenta una visione categoriale e corporativa dei problemi e dei conflitti sociali (accomunando padroni e sfruttati di una categoria contro quelli di un’altra).
Su questa base si fa esplicita l’ideologia della collaborazione e della pace sociale. Quando i contrasti non vengono puramente e semplicemente negati o mistificati, si indica nella collaborazione tra le classi la via della loro soluzione, nell’interesse superiore della nazione. « I lavoratori non dovrebbero dimenticare che se essi hanno la tutela della legge, se essi godono di una formazione professionale, se essi hanno diritto ad assistenze e previdenze, ciò è frutto di un lungo impegno di uomini convinti e coraggiosi che non hanno tanto lottato contro ì padroni, ma combattuto in difesa dei diritti dell’uomo e in nome della stessa dignità umana » (Gozzer-Pagella, p. 88). Per questi motivi allo sciopero, in genere riconosciuto come un diritto sacrosanto, si contrappone come soluzione preferenziale la via dell’accordo pacifico: infatti, « lo sciopero di una categoria di lavoratori crea grave danno all’economia nazionale, perché l ’arresto della produzione diminuisce la quantità dei beni di consumo sul mercato, e inoltre aumenta il costo del prodotto. Pertanto l ’interesse generale esigerebbe che la produzione non subisse arresti per nessun motivo » (Ferrarone-Spera, p. 33). Il rapporto non deve essere di scontro ma di collaborazione: « Tra le due parti [datori di lavoro e lavoratori] intercorrono discussioni, proposte, accordi c contratti, il cui scopo è la pacifica convivenza e il componimento di ogni questione che possa pregiudicare la produzione o la vita stessa delle industrie e delle aziende, la qual cosa si risolverebbe, in definitiva, in grave danno degli stessi operai che rimarrebbero privi di lavoro » (Francabandera-Brienza, p. 66). A questo scopo servono le commissioni interne, che sono « uno strumento per
-evitare che il contrasto di interessi tra lavoratori e datori di lavoro divenga incolmabile » (Ghezzi-Del Re, p. 52).
D’altra parte la ragione stessa dei conflitti sociali sembra scomparire, grazie ai progressi della scienza e della tecnica, alle condizioni enormemente migliorate del lavoro, alle molteplici forme di protezione e di tutela. Certamente — questo è il succo del discorso — i problemi sociali sono esistiti in passato, i lavoratori hanno dovuto anche lottare per conquistarsi migliori condizioni di vita, un tempo assai difficili. Oggi però tutto va molto meglio: lo stato si è reso conto
che i lavoratori vanno protetti, aiutati, difesi. Esistono la previdenza, l ’assistenza, la pensione. Quindi il problema appare, se non del tutto risolto, almeno in via di superamento. « La lotta per la vita rese spesso nemici gli uomini. In loro soccorso sono giunte ora la scienza e la tecnica a rendere possibili condizioni più favorevoli di vita per attenuare, se non annullare, la faziosità di chi ha troppo e la disperazione di chi non ha nulla » (Strata-Giove, p. 29). Il lavoro non è più noioso e alienante, grazie all’automazione, che richiede sorveglianza e intelligenza, per cui il lavoratore « agisce in maniera più consona alla sua umana dignità, in posizioni più comode, con minimo sforzo ». Il merito di tu tto questo sarebbe dei « servocomandi e servomotori » (Verdina, p. 36). Ma se il lavoro non fosse abbastanza comodo, viene in soccorso dell’operaio l’assistenza psicotecnica « che porta all’intervento nelle fabbriche di esperti in psicologia. Essi non solo controllano costantemente l’operaio durante i periodi di affaticamento e di riposo, ma cercano di stabilire la vivacità e la energia dei riflessi, in modo da destinare a ciascuna macchina il personale più idoneo ». Inoltre « le particolari provvidenze in materia di igiene generale e di prevenzione delle malattie professionali, che sono state rese obbligatorie in questi ultimi tempi e impegnano i prestatori di opera [lapsus rivelatore : l’autore intende evidentemente i datori di lavoro] a fornire le sedi di lavoro di docce, bagni, strumenti di aerazione condizionata, materiale sanitario, ecc. » (Battaglia-Capurso, pp. 42- 43). In questo quadro si arriva alla esaltazione del taylorismo come una tecnica che non solo aumenta produttività e profiitti, ma favorisce gli stessi lavoratori: « Una volta abituati gli operai a rispettare i modi e i tempi di lavorazione, si può evitare un inutile e dannoso spreco di energie e di tempo ed ottenere un notevole aumento di prodotto, con conseguente riduzione dei costi di produzione e, quindi, con la possibilità di aumentare i profitti dell’impresa e di elevare la remunerazione dei lavoratori » (Lunghetti, p. 55). Anche quello dell’emigrazione è in fondo solo un problema del passato: « Il tempo del penoso esodo in massa dalle campagne del meridione o dai monti del settentrione è fortunatamente terminato [...]. Oggi le partenze degli emigrati sono organizzate e disciplinate e se i lavoratori vanno ad affrontare il lavoro duro si sentono però sempre tutelati e difesi dalla madre Patria » (Piermani-D’Antonio, p. 148).
Sulla stessa linea sono trattati i problemi internazionali. Anche qui, alle gravi contraddizioni e ai conflitti del passato, si contrappone un presente di collaborazione e di coesistenza, garantite da organismi internazionali (MEC, CEE, ONU ecc.), tra cui non manca talvolta un riferimento alla NATO, che risulta cosi inclusa tra le varie organizzazioni di cooperazione, di progresso e di concordia.
Un discorso particolare merita la trattazione del tema delle origini storiche della Costituzione, che necessariamente richiama al fascismo e alla Resistenza. Si tratta di un argomento solo raramente trattato seriamente, spesso omesso, il più delle volte semplificato o deformato. Ecco per esempio come il Peretti Griva sintetizza i protagonisti, gli scopi e i presupposti politici della Resistenza: « Soldati, carabinieri, studenti, professori, operai di ogni partito presero la via della montagna ancora con piani incerti, ma tutti pervasi dal nobile scopo di combattere per la libertà e per l’onore d ’Italia ». In tal modo « si sopirono le ideologie politiche; comunisti, socialisti, azionisti, monarchici, repubblicani, de-
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Inchiesta sui testi di storia contemporanea 63mocristiani, non pensarono che a lottare ». Inoltre « tutto il popolo, salvo qualche nefanda spia, era coi partigiani » (Peretti-Griva, p. 70). Si tende cosi ad eliminare dal riferimento alla Resistenza ogni carattere di lotta sociale e di scontro politico, accentuandone la unanimità e gli aspetti patriottici con una tipica deformazione retorica. L’intenzione evidente è quella di non turbare nessuno, di pacificare i contrasti e di dimenticare gli antagonismi. Altrove il riferimento alla Resistenza è ancora più equivoco e volutamente oscuro, oltreché del tutto fuori luogo. Ad esempio il Bodanza parlando a proposito del tema della solidarietà — degli « sciacalli » che approfittano delle calamità nazionali, inserisce questa annotazione: « E non vi dico del tempo di guerra! I traditori, purtroppo, non mancarono a Caporetto, e dopo Caporetto, come non mancarono dopo l’8 settembre 1943 » (p. 60). Oppure il Piermani-D’Antonio che, pur essendo tra i pochi a parlare degli scioperi del marzo 1943, inserisce poi, accanto al contributo dei partigiani, quello del « ricostituito esercito italiano », quasi il significato della Resistenza viene svuotato, e si pone l ’accento sulla continuità del ruolo dell’esercito regolare (p. 123). Per il Ghezzi-Del Re poi, dopo l’8 settembre « molti italiani restarono disorientati. Alcuni, abituati a identificare l ’Italia con Mussolini, continuarono a combattere a fianco dei tedeschi; altri si affiancarono al governo Badoglio — e fu la maggioranza » (p. 17). L ’alternativa diventa quindi, in mancanza di un riferimento al CLN, tra Mussolini e Badoglio, il significato della resistenza viene svuotato, e si pone l’accento sulla continuità dello stato, tagliando fuori tutti gli elementi di rivolta popolare e di democrazia dal basso.
Anche quando il discorso sulla Resistenza appare sorretto da un’adesione più sincera e meno equivoca al suo significato, si nota tuttavia la tendenza a riassorbire l ’evento sul piano del contributo ai « valori eterni », senza un riferimento preciso alla dialettica politica e sociale che ne fu alla base: « Il valore della Resistenza sta nel fatto che essa è stata condotta in nome di un ideale eterno, di un ideale di giustizia e di umanità che comprendeva anche coloro contro cui si lottava » (Gozzer-Pagella, p. 116).
Ma al di là dei fugaci ed equivoci accenni, la tendenza più comune dei testi per il biennio di collegamento (per i quali il programma ministeriale non prevede esplicitamente l’argomento), è quella di ignorare completamente le questioni nodali della nostra storia e le origini prossime della Costituzione, passando disinvoltamente dalla monarchia assoluta e dallo statuto albertino alla Costituzione. Si veda a questo proposito il Verdina, che spiega come improvvisamente, « nell’aprile 1945 l ’Italia pensò ad un rinnovamento radicale dei suoi organi istituzionali » (p. 57). Dove non si comprende assolutamente l’origine e le motivazioni di questo « pensamento ». Mentre i riferimenti più remoti abbondano, e compaiono con rilievo i nomi di Solone e di Giovanni senza Terra, si ritiene che lo studente possa tranquillamente ignorare l’antifascismo e la Resistenza.
Fa eccezione in questo senso, ed anche come vedremo sul piano generale, il Galante Garrone (per il biennio), il quale, nonostante i programmi ministeriali, non ritiene di poter prescindere da una trattazione ampia ed anche appassionata della Resistenza, che viene continuamente richiamata come matrice di
una concezione nuova dello stato, fondata sulla autonomie locali, sull’autogovemo, sulla partecipazione popolare.
All’interno delle linee di tendenza prima esposte alcuni testi si distinguono per la chiarezza con cui propongono visioni schiettamente reazionarie, paludate di retorica patriottarda, di culto per la tradizione, e infiorate di vere e proprie insulsaggini.
Nella concezione dello stato, l’elemento forza e coercizione in funzione dell’ordine assume un rilievo particolare: « Lo stato ci impone il bene comune » (titolo di un paragrafo). Il supremo bene comune « per una società civile [è] senz’altro l ’amor di patria » (Bodanza, pp. 26-27). Quindi, « col nostro lavoro, con l ’onestà e la sobrietà della nostra vita noi dobbiamo onorare la patria nostra: raggiungere in lei, con lei e per lei la più forte solidarietà economica » (ibidem , p. 61). Il fine dello stato è la conservazione e il miglioramento della società: « La conservazione della società si realizza mediante l’imposizione del- l ’ordine all’interno e la difesa del territorio da aggressioni straniere » (Ghezzi- Del Re, p. 3). Naturalmente poiché l’ordine è il supremo valore, l ’anarchia è il suo peggior nemico. Essa è infatti una « assurda utopia », che teorizza il « gran disordine » e vuole una società dove « ciascuno degli individui fa il suo comodo ». Per questo essa si è manifestata storicamente come « terribile sovversione sociale e come tragico divampare di disordini e di delitti » (ibidem, p. 7). L ’uso della forza nella vita sociale è giustificato pertanto quando vengono violate le regole: « si pensi all’uso della forza da parte della polizia contro le ribellioni all’autorità da parte dei facinorosi... » (D’Appiano, p. 14). Coscienza morale e carabinieri collaborano in quest’opera meritoria (ibidem , p. 19).
In questo quadro d ’ordine si inseriscono famiglia, scuola, esercito, religione e morale. Nella famiglia e nella scuola « il padre e l’insegnante rappresentano l ’ordine, la disciplina, insomma la legge» (Verdina, p. 1). «Com e in ogni società, così anche nella piccola società familiare è necessario che ci sia un capo che la guidi: il capo della famiglia è il padre, che con la collaborazione saggia e preziosa della madre provvede ai bisogni della famiglia, ne amministra i beni, cura con vigile amore l’educazione dei figli. Così se l’uomo nella famiglia è il capo, la donna è il cuore, e come l ’uomo tiene il primato del governo, l’altra tiene il primato dell’amore » (Francabandera-Brienza, p. 7). È inutile dire che « il matrimonio è indissolubile unione dell’uomo e della donna al fine di procreare la prole e di darsi reciproca assistenza» (Ghezzi-Del Re, p. 61). Inoltre « la vita dei genitori è offerta in dedizione e in olocausto a quella dei figli. La vita dei figli è sacra alla Patria e ad essa è offerta, nei casi di necessità, fino all’effusione del sangue » (Verdina, p. 14). È per questo che « noi dobbiamo usare del nostro corpo secondo la sua natura e la retta ragione. Principale dovere è quello di dominare le passioni e di fare esercizio della virtù della temperanza, che inclina ad un comportamento razionale di fronte ai piaceri sensibili, e della virtù della fortezza, che inclina ad operare razionalmente contro il pericolo corporeo e al bene arduo o non piacevole (il sacrificio per la Patria, per la Fede ecc.) » (Bodanza, p. 13). Ed ecco dunque che il servizio militare « è benefica scuola di disciplina e di affratellamento » (Peretti Griva, didascalia ad una foto che mostra una parata militare). Le illustrazioni fanno da cornice a questo
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Inchiesta sui testi di storia contemporanea 65quadro edificante: la sagoma di un soldato col moschetto prolunga idealmente la figura di un fanciullo coi libri (Bodanza, p. 27). Un giovane tiene sollevati in alto due pesi (lo studio e il sapere) mediante una leva che porta scritto « volontà » (ibidem, p. 18). Una sposa con velo bianco e lungo strascico, accompagnata da due vailette sempre in bianco, si mostra ai compiaciuti parenti. La didascalia commenta: « È nata una nuova famiglia » (Francabandera-Brienza, p. 8).
Si può immaginare facilmente come venga trattato il tema del lavoro e dei problemi sociali. Se nei testi « progressisti » il lavoro appariva come una realtà idillica, qui prevale l’interpretazione biblica. Il lavoro non è un divertimento ma « l’applicazione costante di uno sforzo, è un sacrificio; diremmo meglio, una pena, quasi a confermare il detto divino: Tu, uomo, ti nutrirai del pane ricavato col sudore della tua fronte » (Bodanza, p. 62). Perciò « l’operaio deve comportarsi di buona fede, curando quell’interesse del datore di lavoro che giustifica la mercede » (Peretti Griva, p. 46). Gli eventuali contrasti di interesse si superano attraverso « la consapevolezza delle superiori regole divine e naturali della vita sociale » (D’Appiano, p. 24). Dunque « lo sciopero è un mezzo violento e doloroso » (Francabandera-Brienza, p. 67), e bisogna garantire il diritto al lavoro, inteso come diritto al crumiraggio: « ...nessuno ha titolo d’impedire a chicchessia di lavorare se costui vuole lavorare (donde l ’illiceità di quelle intimidazioni dirette a impedire di lavorare a coloro che non intendono scioperare) » (D’Appiano, p. 49). In particolare « resta vietato lo sciopero che abbia fine politico e non economico », fermo restando che « anche nel campo economico sono tuttora illecite quelle forme di sciopero che mirano a produrre ingiustificatamente un danno particolarmente grave all’impresa » (Ghezzi-Del Re, p. 51). A questo punto è evidente la falsità della lotta di classe, che sarebbe stata « indetta [rie] da Carlo Marx nel 1848 ». Decisamente preferibile è il « principio àzWunità professionale, ispirata dallo spirito di corpo, per cui non conta tanto essere padrone o dipendente, quanto piuttosto appartenere alla medesima professione (ad esempio, orologiai proprietari di bottega e orologiai operai appartengono tutti al medesimo ’corpo degli orologiai’, esercitano tutti la medesima ’professione’ di orologiai, e quindi hanno il comune interesse a non fare lotte di classe, ma a far progredire concordemente l ’arte dell’orologeria » (D’Appiano, p. 52).Naturalmente non manca, per quanto riguarda partiti e ideologie, la critica all’eccessivo numero dei partiti, agli stessi partiti, che con la loro rigida disciplina « avviliscono la personalità umana » (Peretti Griva, p. 29). Basti infine qualche breve citazione, per chiarire in quale chiave vengono presentati i singoli partiti e le correnti politiche. Nel comuniSmo « si presentano assorbenti i valori patrimoniali, con un grave abbassamento della personalità umana, attraverso l’assorbimento dell’individuo nella massa e attraverso la predominanza della autorità statale e dell’interesse della collettività» (ibidem, p. 31). Il socialismo sarebbe invece un po’ migliore in quanto « contrario alle conquiste con la violenza e col sangue » e perchè si sarebbe sottratto « alla cieca obbedienza alla parola d ’ordine del Cremlino » (ibidem , p. 33).
È doveroso infine segnalare come eccezioni di questo a dir poco sconcer
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tante quadro, alcuni testi (in verità pochissimi), che nonostante il limite di una interpretazione prevalentemente giuridico-istituzionale dei problemi, si distinguono certamente per una visione più democratica ed aperta, e per una tematica più critica e stimolante. Si intende parlare qui specialmente del Bobbio-Pieran- drei e del Galante Garrone già citato, nonché del testo dello stesso autore per il corso superiore. Specialmente quest’ultimo è fondato su un’interpretazione dinamica e polemica della Costituzione, la cui origine va cercata nel notissimo discorso di Piero Calamandrei sulla Costituzione come « impegno e programma » da realizzare, sovente ancora in contraddizione con la realtà. Nel Gozzini-Meucci, pur col limite di un certo moralismo di tipo cristiano-cattolico, vi è la delineazione di uno stato la cui vita e formazione devono essere determinate dalla partecipazione quotidiana di tutti i cittadini, in maniera rispondente sia ai principi della Costituzione, sia ai valori del cristianesimo antico. E vi è inoltre, caso questo assai rar'o, un accenno ai problemi più scottanti ed attuali dell’odierna società (consumismo, pubblicità, tempo libero, sviluppo e sottosviluppo).
Un’analoga matrice si ritrova nel Gozzer-Pagella, in cui appare l ’idea di uno stato come struttura aperta, in cui l ’equilibrio dell’insieme scaturisce dalle controspinte di istituzioni diverse, di organismi autonomi e spontanei, di « comunità intermedie » che affondano le loro radici nella società. E in questo senso' viene decisamente valorizzato l’apporto dei sindacati e delle organizzazioni dei lavoratori in genere.
Ma tra tutti gli altri si distingue nettamente, per novità di impostazione, il Vergnano. Il pregio maggiore di questo testo non sta tanto nel merito delle indicazioni, quanto nel metodo ed anche nella novità della problematica. Senza pretendere di offrire soluzioni compiute, esso propone problemi e temi di una ricerca, con ricche indicazioni bibliografiche e di fonti (pubblicazioni statistiche, periodici ecc.). L ’analisi della società, anziché essere filtrata attraverso categorie preconcette ed « ideologiche », si presenta perciò come un problema aperto. Valga il discorso sui partiti politici, dove l ’indicazione sommaria delle pubblicazioni quotidiane e periodiche di ciascuno di essi sostituisce il tentativo consueto di riassumere la loro « dottrina » presunta o reale. Ovvero l ’analisi degli strumenti di comunicazione e dei mass-media, con una appendice sui quotidiani, che costituisce una efficace esemplificazione di indagine sulle tecniche dei condizionamenti dell’informazione. Nell’insieme è particolarmente interessante che il testo si contrapponga alla tendenza dominante di sostituire la retorica all’informazione, l’ideologia alla realtà sociale, con un evidente stimolo alla documentazione.
Antonio Gibelli e Pietro Riccobene-
Tra i non molti testi di educazione civica per la media unica ci limitiamo a segnalare il seguente-,Ada G obetti, Vivere insieme. Corso di educazione civica, Torino, Loescher, 1964, pp. 272, lire 1.100.
Per chiarezza, coerenza, nitidezza di
idee, proprietà e semplicità di linguaggio questo volume rappresenta uno dei migliori contributi all’insegnamento della educazione civica. L’autrice sa esemplifi- carea con estrema puntualità il proprio pensiero, offrendo paragoni e modelli di vita.
Alcuni passi, inoltre, aiutano lo studente a comprendere e penetrare la com-
Inchiesta sui testi di storia contemporanea 67plessa problematica della storia contemporanea, e in particolare gli anni dell’ultima guerra e del dopoguerra, vissuti da protagonista dall’autrice.Nel capitolo dedicato alle origini ed al significato storico della Costituzione, la Gobetti traccia un rapido ma efficace panorama della situazione anteriore alla nascita dell’attuale Costituzione, soffermandosi sul fascismo e la Resistenza. Il fascismo nacque come risposta di Mussolini ai successi della classe operaia, che cominciavano ad impaurire i ceti fino allora dominanti. All’inizio, la posizione di Mussolini non fu chiara: non si sapeva cioè « se si trattasse d’una rottura completa con il passato politico costituzionale dell’Italia del Risorgimento quale s’era venuto sviluppando durante il periodo di relativa democraticità seguito all’unificazione — e chiamato « giolitti- smo » dal nome di Giovanni Giolitti, il ministro liberale che resse per lunghi periodi le sorti del paese —; oppure se di questo passato e di questo periodo costituisse la degenerazione, o, ancora, la coerente evoluzione, portandone le premesse implicite alle estreme conseguenze » (p. 173). Ma tutto si chiarisce col delitto Matteotti e l’irrigidimento del duce, « oggetto della fanatica idola (**)
tria dei suoi saeguaci » (p. 175).Fu compito della « parte sana della popolazione » reagire alla situazione, unendosi in organizzazioni clandestine e raccogliendo intorno a sè un numero sempre maggiore di simpatizzanti, tale da mettere praticamente in minoranza lo sterminato apparato poliziesco fascista e da provocare scioperi e sommosse.Con l’8 settembre, l’Italia si divise in due ed ebbe inizio la Resistenza, « una pagina fulgidissima della nostra storia », che « rivelò l’intima e profonda unità del popolo italiano, la sua chiara volontà di rinnovamento » (p. 181). E nell’introduzione al volume si citano brani tratti dalle lettere dei condannati a morte.La conclusione del « lungo incubo » è la creazione dell’Assemblea costituente nazionale a cui fu affidato il non facile compito della elaborazione del testo della Costituzione.Queste, in sintesi, le pagine dedicate dal volume alla storia contemporanea; ma gli stessi insegnamenti, desunti qui dalla Resistenza, compaiono in altre parti del libro come integrazione o spiegazione dei concetti fondamentali dell’educazione civica.Poche le illustrazioni. Roberto Eynard
(**) Nei giorni 14 e 15 novembre 1970 si è svolto a Ferrara un Convegno di studio su « la Resistenza ed i libri di testo nella scuola italiana ». Purtroppo ne siamo stati informati troppo tardi per poter tenere conto dei suoi lavori in questa inchiesta; a titolo di documentazione diamo nel Notiziario il documento finale del Convegno.