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IL TAVOLO DA POKER di Andrea Summa
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Non gli ci volle molto per capirlo, steso sul suo letto, mentre le prime luci dell’alba si affacciavano a
rischiarare il cielo. Nel silenzio della città dormiente Dan comprese che era tempo di agire,
questione di secondi, pochi istanti per scavalcare quella sottile soglia che dalle immagini della
mente trasporta l’individuo alla realtà, un flebile sussurro che va colto e memorizzato prima che il
silenzio lo offuschi con la promessa del domani in un continuo susseguirsi di vuoti e attese. Mentre
la luce della notte si faceva più chiara Dan si mise a sedere sul letto, nella penombra della stanza,
guardò fuori dalla finestra e poi le sagome scure delle cianfrusaglie che aveva accumulato nel suo
nido. Da quando si era trasferito a Lerix aveva accumulato, nella sua piccola stanza, un fedele
riassunto della sua breve vita proiettato su oggetti acquistati, trovati o ereditati che ora
rappresentavano il palcoscenico dei suoi viaggi più profondi nelle segrete dello spirito.
L’appartamento lo divideva con due connazionali, anche loro originariamente trasferitisi a Lerix per
proseguire gli studi ma distratti in seguito dal loro innato estro artistico che come un minuscolo
parassita proliferava nei loro giorni e nelle loro notti nutrendosi della libertà che avevano
conquistato allontanandosi dalla casa natìa. Non si può dire che i tre ragazzi di quel secondo piano
fossero i più tranquilli abitanti della cittadina ma, fuori dalle mura domestiche, apparivano come
giovani a modo, affabili e acuti con caratteristiche radicalmente differenti ma accomunati dalla
stessa passione per l’arte.
Si alzò dal letto, la finestra era aperta e l’aria del primo mattino ancora acerbo gli rinfrescò il respiro
dalla calura ancora non del tutto debellata dalla venuta del mese di Settembre. Quando era colto
da grande ispirazione non amava la luce artificiale, nei primi tempi si era circondato di candele, poi
col passare dei mesi si attrezzò di due lanterne e un lume che amava utilizzare quando voleva
creare la giusta atmosfera per ispirare le sue lunghe meditazioni in mondi immaginari riportando
poi il tutto sulle pagine bianche. Sollevò la campana di vetro dal lume, pescò l’accendino dalla
scrivania e accese lo stoppino per poi riposizionare il vetro. La luce calda scivolò nella stanza
riempiendola di ombre dai contorni definiti. Si sedette alla scrivania, prese carta e penna e
cominciò a scrivere. Nessuno in tutto il mondo poteva sentire quel suono, il suono netto e definito
della penna che scivolando sulla carta ruvida rilascia l’inchiostro dando vita alle parole che dalla
mente del ragazzo si riversavano sotto forma di nero colore sul candido foglio, solo lui poteva
sentire quel suono, in quel preciso momento, in quella stanza al secondo piano nella città di Lerix.
Le ore passarono, il sole illuminò il cielo e la città si svegliò.
Quando, all’ora di pranzo, Adam andò a bussare alla porta della stanza di Dan non ricevette alcuna
risposta e il tempo passò ancora, le ore si susseguirono nel comune svolgersi degli eventi, i treni
delle vite di ciascuno percorsero i loro binari con puntualità e quando il cielo si fece arancio e dopo
nero e la luna splendette nuovamente nel cielo Adam tornò alla porta della stanza di Dan, ruotò la
maniglia, schiuse l’uscio e si affacciò all’interno. Ricurvo sulla scrivania, alla luce di un lume il
giovane Dan giaceva senza vita con la penna ancora tra le mani e il capo poggiato su una pila di
fogli.
Quando Francis attraversò il corridoio di casa per raggiungere la sua stanza non poté fare a meno
di notare Adam, fermo immobile, nella stanza di Dan. Entrò anche lui in quella tomba silenziosa nel
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quale un giovane ed eccentrico faraone senza scettro aveva deciso di riposare tra i suoi averi più
cari, ma non comprese il silenzio del basito compagno fino a quando i suoi occhi non incrociarono
quelli di Dan, vitrei, assenti, privi della scintilla vitale dell’animo del ragazzo, persi nel vuoto, nulla
nel nulla.
Quello che era stato Dan ora era niente più che un sacco di pelle ripieno di carne e ossa, la sua
mente si era spenta come nel finale di un film, quando il trasporto della passione delle immagini si
riduce a uno schermo nero e mai più in quel cinema sarebbero state proiettate altre pellicole.
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Capitolo 1
Il bed and breakfast di Lisa si trovava in una zona periferica della città di Lerix, abbastanza vicino da
sentire il suono delle macchine passare, abbastanza lontano da potersi considerare un passo fuori
dal confine. Dal balcone dell’unica stanza che aveva in affitto si potevano scorgere, in lontananza,
gli alti alberi del cimitero della città e di tanto in tanto, tra quelli, una croce tombale e oltre il
cimitero il grande monastero.
Lisa era una ragazza sulla trentina, lunghi capelli castani, dal viso tondo e grazioso, naturalmente
portata all’intraprendenza imprenditoriale, una donna metodica e gentile, distaccata nella giusta
misura da chi le stava attorno. Salì le scale di casa fino al piano superiore, con in mano un vassoio
con la cena per i clienti. Bussò due volte, lasciò il pasto su un comodino accanto alla porta, senza
aspettare alcuna risposta dall’interno e scese nuovamente le scale.
Sul balcone della stanza un uomo se ne stava seduto su una sedia di legno. Sentì bussare alla sua
porta, voltò appena il capo a quella parte ma non si mosse da dove si trovava. Prese dal tavolo
l’accendino, portò la sigaretta alle labbra e accese la fiamma accostandola al tabacco, sollevò la
testa verso l’alto sbuffando una nube di fumo bianco, poi il suo sguardo si perse in direzione del
monastero.
Il monastero, dopo decenni di abbandono, era stato restaurato dal comune e poi ceduto
all’università della città che ne aveva fatto la sede degli uffici dei docenti con una piccola biblioteca
e un corridoio, a primo piano, che era diventato una lunga sala studio per gli studenti. Durante
l’inverno il monastero era costantemente affollato da file ragazzi che attendevano il loro turno per
sostenere gli esami negli uffici dei professori e ogni tavolo e poltrona del lungo corridoio erano
occupati da mattina e sera, ma in estate erano in pochi a frequentarlo e ora che l’autunno si
affacciava alle porte, come la quiete prima della tempesta, il lungo corridoio del primo piano del
monastero era deserto, solo un ragazzo era seduto al tavolo, immerso nello studio.
Nik tamburellava con la penna sulla superfice del tavolo mentre i suoi occhi stanchi scivolavano
sulle parole del libro che stava studiando. Era un ragazzo sveglio, socialmente impegnato alla
ricerca di sempre nuovi espedienti per ravvivare la vita della città con eventi per gli studenti, un
ragazzo interessato alla politica e amante dei viaggi, passioni che lo spinsero nel tempo a ritardare
il corso dei suoi studi fino a renderlo, ora, ansioso e sotto pressione dovendo gestire la miriade di
impegni, la moltitudine di abiti che si era creato nel corso del tempo, dovendo vestire ora quello
dello studente, ora quello del politico, ora quello dell’associazionista, ora quello del figlio e così,
come un macchinista alle prese con troppe manopole, egli se ne stava, stressato, con gli occhi
stanchi e appesantiti dall’uso prolungato delle lenti a contatto, seduto al tavolo nel corridoio del
monastero, solo lui e il suo studio. Alzò la testa e guardò fuori da una delle tante finestre che
percorrevano tutta la parete del corridoio, un’ampia terrazza si affacciava su due chiostri. Si alzò
come se la sua mente si fosse inceppata per il troppo studio, uscì sulla terrazza e si guardò attorno.
In lontananza vide l’alto campanile del duomo che spiccava tra i tetti della città.
La piazza del duomo era immensa, una delle più belle del paese: un enorme quadrato circondato
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dalle imponenti strutture barocche della chiesa. Alla piazza si accedeva attraverso un piccolo
corridoio tra due case e lì si trovava il bar di Enrique e Francesca, l’eccentrico ribelle dai lunghi ricci
biondi e lo sguardo vispo e la romantica fidanzata, bassina dai capelli scuri. Enrique se ne stava
dietro al bancone passando lo strofinaccio in un bicchiere, guardò l’orologio appeso alla parete e
poi verso la porta del bar, in attesa. Puntuali come un orologio svizzero fecero il loro ingresso nel
locale Francis e Adam insieme al loro amico Joseph, un ragazzo alto e atletico dal carattere calmo e
prudente e dallo sguardo intelligente. Enrique sorrise riponendo il bicchiere.
I quattro scambiarono i convenevoli, poi Francis, Adam e Joseph attraversarono il locale, aprirono
una porta e oltre quella si trovarono in uno stanzino ampio meno di dieci passi per parete con nel
centro un tavolo quadrato foderato con un panno verde, sopra il panno le fiches erano già pronte
per la partita e il mazzo di carte regnava nel centro del tavolo pronto a distribuire sciagure o
fortune nelle leggi della casualità. I tre si sedettero, Adam chiese l’ora, Joseph rispose e tutti e tre si
fecero impazienti guardando il quarto posto, vuoto.
Leo stava percorrendo di gran passo il viale della stazione, per quanto grande potesse essere il suo
passo data la statura. Guardò l’orologio rendendosi conto di essere in ritardo per il poker e
accelerò l’andamento. Era un tipetto bassino, dalla capigliatura sempre scompigliata e la barba
trasandata, il volto da ingenuo burlone era smentito solo dallo sguardo intenso e analitico, ma
chiunque, a priva vista, non avrebbe potuto comprendere dal suo aspetto le curiose sfaccettature
della sua personalità. Passò davanti al negozio di animali di Jean e istintivamente guardò verso i
cuccioli che erano esposti in un recinto oltre l’ampia vetrina. Nel negozio, tra i guaiti agitati dei
piccoli cani c’erano due uomini che parlavano al bancone.
Si guardarono negli occhi con complicità, poi Jean si avviò verso il ripostiglio restando assente per
alcuni minuti. L’acquirente si chiamava Pier, una mente brillante ma corrotta alla criminalità. Il
commerciante rientrò con una grande scatola, la posò sul bancone e la aprì, era vuota, ci infilò
dentro una mano alzando il doppiofondo nel quale era stata accuratamente riposta una calibro 357
magnum e un paio di scatole di proiettili. Pier sbirciò l’articolo e sembrò soddisfatto quindi Jean
aggirò il bancone dirigendosi verso i grandi contenitori con i cani, prese un cucciolo di pastore
belga e tornò indietro infilandolo nella scatola. L’acquirente allungò un rotolo di banconote sul
bancone, più di quante ne servissero per acquistare un cucciolo di cane, poi si uscì in strada con lo
scatolone tra le mani. Quando arrivò in prossimità della casa Pier aprì la scatola, prese il cucciolo e
lo posò sul marciapiede, assicurandosi di non essere visto, per poi inserire la chiave nella serratura
ed entrare richiudendo la porta alle sue spalle.
Il piccolo pastore belga mosse passi insicuri e, smarrito e impaurito, camminò sul marciapiede fino
a quando non decise di accucciarsi in un angolo creato dall’incontro tra il muro di una casa e la
piccola rampa di scale del suo ingresso.
Quando la cameriera di Roxanne uscì per gettare la spazzatura, scorgendo quel piccolo batuffolo di
peli raggomitolato nell’angolino, non poté fare a meno di prenderlo e portarlo in casa.
Roxanne e la sua cameriera erano due donne agli antipodi sia esteticamente che caratterialmente:
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una alta e avvenente, dai lunghi capelli mossi e castani, con il viso dai lineamenti aquilini, mentre
l’altra era bassina e spigliata dai capelli lisci e biondi. Entrambe erano unite dalla complicità
femminile e maliziosa delle donne ricche e di chi ambisce a quel ruolo. Roxanne protestò vedendo
il cucciolo, ma bastò che la cameriera glie lo avvicinasse e che lei ne scorgesse lo sguardo
intimorito che cedette subito accettando l’animale in casa.
Dal vicolo difronte casa delle due donne un uomo osservò la scena e rimase in attesa che la
cameriera rientrasse. Era Tony, criminale di quartiere, che spiava in agguato la casa della ricca
Roxanne. Non poteva saperlo Sirio, il criptico commissario di polizia che nel frattempo era seduto
in auto a tre isolati di distanza a scrutare verso quella che un informatore aveva detto essere la
casa del più famigerato truffatore della città.
Era seduto al posto del passeggero, al volante dell’auto Notar, una nuova leva, sbadato e
inappropriato alla compagnia del commissario. L’uomo osservava con sguardo truce in direzione
della finestra al primo piano mentre il giovane poliziotto se ne stava appollaiato al posto di guida
lottando contro se stesso per non addormentarsi.
Seduto a una panchina sotto la casa sospettata stava Mark, braccio destro del commissario, un
uomo alto, dalla corporatura massiccia e i capelli lunghi e scuri raccolti dietro la nuca da un
elastico, il suo viso però non aveva nulla di aggressivo a differenza della sua stazza. Mark se ne
stava seduto, anche lui in borghese, intento a leggere un giornale alla luce del lampione. Di tanto in
tanto anche lui sollevava lo sguardo verso una delle finestre illuminate della casa oltre la quale,
seduto a un lungo tavolo, in quella che appariva come una sorta di elegante sala da pranzo, si
trovava Angel, il famigerato truffatore, assorto nei suoi pensieri mentre un altro uomo davanti a lui
gesticolava davanti ad alcuni disegni appesi a un piedistallo in legno, disegni raffiguranti progetti di
improbabili congegni dalle applicazioni criminali. Era Albert, un ingegnere geniale e incompreso,
giovane e fantasioso, che aveva interrotto gli studi forzatamente a causa della sua tendenza a
distruggere i laboratori della facoltà con sperimentazioni meccaniche svolte in maniera
clandestina, il suo look sempre composto e la barba curata lo tenevano a metà tra l’insospettabile
e il sempre sospetto.
Finalmente Leo arrivò al bar di Enrique, con l’affanno, salutando in maniera frettolosa e
raggiungendo la stanza dove i tre lo aspettavano già seduti al tavolo.
Adam diede il primo giro di carte.
Albert uscì sconfortato dalla casa del truffatore Angel e Mark guardò istintivamente in direzione
della macchina posteggiata poco lontano alla ricerca dello sguardo di Sirio. Il commissario annuì e
il poliziotto in borghese attese qualche secondo poi si alzò dalla panchina e seguì il ragazzo che si
era avviato per strada.
Francis era di mano, parlò per primo facendo la prima puntata, gli altri lo seguirono.
Le luci nella casa di Roxanne si spensero e Tony sgattaiolò nell’ombra, verso il retro, cercando il
modo di arrampicarsi.
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Adam cambiò tre carte.
Jean uscì dal negozio chiudendo la serranda che generò il suo tipico e fragoroso rumore di
ferraglia.
Joseph cambiò una carta.
Pier entrò in cucina posando lo scatolone sul tavolo e aprì il doppiofondo estraendo la pistola e una
scatola di proiettili.
Leo cambiò una carta.
Le luci nella casa di Angel si spensero, Notar ormai dormiva sul volante, Sirio non batteva ciglio
guardando il portone di casa, speranzoso.
Adam cambiò tre carte.
Tony si arrampicò, più o meno agilmente, su un tubo di scolo dell’acqua piovana facendo presa sulle
rampicanti che scendevano dal tetto della casa. Raggiunse una finestra del secondo piano, la
scassinò, ed entrò nella stanza silenziosamente.
Francis fece la sua puntata.
Nik chiuse i libri riponendoli nella borsa e cominciò a scendere dalle scale del monastero per
dirigersi verso casa.
Leo rilanciò la puntata.
Pier aprì il tamburo della pistola, la caricò e si mosse verso la stanza da letto.
Tutti i giocatori videro la puntata e Adam abbassò le carte. - Tris di donne.
Pier caricò il colpo in canna entrando nella stanza.
Francis gettò le carte verso il piatto uscendo dalla mano senza scoprirsi.
Pier sollevò il braccio mirando in direzione del letto dove qualcuno dormiva sotto le coperte.
Joseph scoprì il suo punto. - Scala al re.
Pier fece un sospiro, strinse nella mano l’impugnatura della pistola puntando la canna alla testa
dell’uomo.
Leo sorrise sornione abbassando le carte e mostrando il punto servito. - Poker d’assi.
Uno sparo riecheggiò nel silenzio della notte a Lerix, il suo eco viaggiò fino al bed and breakfast di
Lisa. A quel suono Damian sembrò risvegliarsi dai suoi pensieri, si alzò dalla sedia, si poggiò alla
balaustra del balcone guardando verso l’interno della stanza, sorrise, la sua amata dormiva beata.
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Capitolo 2
Sirio aveva aspettato nell’auto tutta la notte ma Angel non si era fatto vedere. Diede un colpo con
la mano a Notar che si risvegliò di soprassalto, poi portò la mano alla tasca dei pantaloni estraendo
il cellulare e accendendolo. Non fece in tempo a vedere il numero delle chiamate perse che il
piccolo aggeggio elettronico cominciò a squillare, era Mark.
Rispose e il suo volto s’incupì più del solito. La barba rada e trasandata scintillava alla luce del
primo sole. Afferrò carta e penna dal cruscotto, gli occhi scavati dal sonno restarono puntati sul
foglio mentre annotava un indirizzo, Quando chiuse il telefono Notar lo guardava ansioso.
- Dove andiamo?
Sirio piegò il foglio, con calma, lo ripose nel taschino della camicia, aprì il cruscotto, prese i suoi
occhiali da sole e li indossò. - A fare colazione. - Rispose seccamente e il poliziotto, rassegnato,
mise in moto e partì.
Quando il Commissario arrivò al bar di Enrique l’alba aveva completato la sua metamorfosi dando
vita, in pochi minuti, al giorno.
Scese dalla macchina stiracchiando appena gli arti indolenziti dalla postura statica della ronda e
cercando con le mani di rimettersi in ordine i costosi abiti. Prese la giacca dal sedile posteriore ma
non la indossò. Quando entrò nel bar seguito dal poliziotto il locale era quasi deserto, quattro
ragazzi stavano seduti a un tavolino, li osservò da dietro le lenti scure, anche loro avevano l’aria di
chi ancora non aveva dormito. Dalla porta della cucina uscì Francesca con in mano un vassoio di
cornetti appena sfornati, il profumo della sfoglia calda fece presto a scivolare nell’ambiente con
dolce prepotenza sovrastando ogni altro spunto sensoriale. Sorrise al commissario con i suoi modi
gentili e solari mentre riponeva sul ripiano i croissant.
Dal tavolino Joseph guardò Sirio entrare, ne seguì i passi, Adam e Francis invece erano intenti a
stuzzicare Leo che se ne stava stravolto e assonnato: era l’unico ad aver perso al tavolo cosa che a
nessuno sarebbe risultato difficile intuire dal suo fare sconsolato.
Sirio si portò al bancone senza togliersi gli occhiali, si sedette allo sgabello abbandonando la giacca
su quello accanto e posando i gomiti sul legno.
Notar ordinò per primo. - Un succo d’arancia e un croissant per cortesia.
La ragazza dietro al banco annuì con un sorriso, serena e riposata evidentemente più di chiunque
altro in quel locale e quando i suoi occhi scuri si spostarono in direzione di Sirio quello parlò
prontamente.
- Un caffè macchiato.
La ragazza annuì ancora ripetendo le ordinazioni e voltandosi verso la macchinetta.
- Con cognac. - Aggiunse subito dopo il commissario.
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La donna si limitò ad annuire servendo poi i clienti.
Circa trenta minuti dopo i due poliziotti arrivarono sul luogo della chiamata dove già erano
radunate due auto della polizia e un'ambulanza.
Bianca, la dirigente del reparto scientifico, si avvicinò alla macchina accogliendo così il commissario
che nel frattempo stava scendendo. L’uomo cercò Mark con lo sguardo ma non lo trovò, quindi si
mise a camminare verso casa incurante della donna che lo stava seguendo
- Chi era la vittima? - Chiese atono in direzione di Bianca che subito rispose seguendone il passo
verso la casa.
- Un nome noto, il cantante Simon.
L’uomo entrò in casa superando un poliziotto che sorvegliava l’ingresso. - Indizi?
La donna annuì stando un passo dietro al commissario che avanzava per la casa guardandosi
attorno da dietro gli occhiali da sole che tolse solo una volta entrato in cucina. - Tutto e niente. -
Disse svelta e nella sua voce si poteva leggere una nota di smarrimento. - Arma del delitto,
proiettili, era tutto qui, nessun segno di scasso alla porta.
Sirio la interruppe - Con chi viveva? - E mentre fece questa domanda il suo sguardo aveva già
cominciato a correre lungo il perimetro della stanza: una cucina a penisola dominava la parete
opposta all’ingresso, nel centro della stanza un tavolo rotondo con una tovaglia a fiori, un’ampia
finestra sulla parete sinistra accanto la quale era posta una credenza di vetro dove erano riposti
piatti ornamentali e bottiglie di vino. Sulla parete sinistra due porte. Tutto era perfettamente in
ordine.
- Abbiamo indagato, viveva da solo.
Il commissario mugugnò qualcosa avvicinandosi al tavolo della cucina e osservando la pistola e la
scatola di proiettili che vi erano posati sopra, prese l’arma tra le mani, con non curanza,
ispezionandola attentamente e aprì il tamburo.
Bianca lo guardò sconcertata ma non fece in tempo a protestare che il commissario la anticipò.
- Un solo colpo. - Disse pensieroso per poi proseguir. - Dov’era l’arma e dov’è il corpo. - Non chiese
ma semplicemente elencò con tono freddo e distaccato le informazioni che gli occorrevano.
- L’arma l’abbiamo lasciata esattamente dov’era, la vittima è stata uccisa nel sonno, l’hanno portato
via. Non si tratta di suicidio. - Disse come a voler anticipare i ragionamenti del commissario.
- L’hanno portato via? - Chiese lui con tono adirato, puntando la donna con lo sguardo, ma a quel
punto Bianca sbottò.
- Ti stiamo chiamando dalle tre di questa notte! - Esclamò esasperata dall’atteggiamento del
commissario. - Di solito non lasciamo decomporre i corpi delle vittime in attesa che il magnifico
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Sirio concluda la sua caccia alle farfalle. - Disse con tono sarcastico e l’uomo si rese conto di che il
suo stupore era fuori luogo e si calmò raggiungendo la stanza da letto.
Entrò di un passo oltre l’uscio guardandosi attorno: la stanza aveva un arredamento spicciolo, un
letto matrimoniale in posizione centrale, a ridosso della parete opposta alla porta d’accesso, sul
quale si poteva vedere la chiazza di sangue. Sul cuscino il foro del proiettile, due comodini di legno
ai lati del letto con una lampada per ciascuno, sulla parete sinistra una finestra aperta con le tende
bianche che svolazzavano appena verso l’interno, un armadio di grosse dimensioni e una
cassettiera stavano a ridosso della parete sinistra mentre in opposizione al letto una scrivania sulla
quale c'era uno stereo con delle casse e un paio di quaderni con sopra poggiata una penna e sulla
parete una mensola con libri e cd. All’angolo tra il muro e la scrivania era posata una chitarra
acustica.
Come prima cosa il commissario puntò la finestra, vi si accostò avvicinando il volto.
- E' entrato ed uscito da qui. - Sentenziò dopo pochi secondi sporgendosi fuori e costatando che
l’altezza fosse minima e che la finestra dava sul giardino posteriore della casa. - Probabilmente un
tossico o un alcolizzato, ha lasciato impronte praticamente ovunque. Non è un professionista.
La donna gli si accostò guardando il contorno bianco della finestra sul quale non vide nulla, poi
l’uomo ticchettò con il dito sul legno del cornicione in direzione di un paio di graffi. Sporgendosi
Bianca poté notare le impronte delle scarpe sulla parete esterna.
- Si è arrampicato sulla finestra, è saltato dentro. - Mentre spiegava Sirio si guardava attorno come
se potesse vedere i movimenti dell’assassino. - Si è avvicinato alla vittima e gli ha sparato. Poi è
tornato in cucina, ha lasciato pistola e proiettili... - A questo punto però si bloccò scuotendo la
testa, non convinto. - La pistola era già in casa, lui è entrato per derubare la rockstar ma non ha
trovato niente di valore, solo la pistola, quando si è reso conto che si era compromesso per nulla,
lasciando impronte ovunque, ha dato di matto, si è avvicinato all’uomo è l’ha sparato alla testa. Poi
è fuggito.
Bianca era rimasta in silenzio, nel frattempo anche Notar si era aggiunto al gruppo e stava
ascoltando anche lui le parole del commissario.
Bianca intervenne desolata. - Nulla ci può indurre a pensare che volesse rubare, non ha toccato
praticamente niente.
Sirio rimase in silenzio a riflettere. - Avete già fatto le analisi delle impronte?
La donna annuì. - Le stanno facendo adesso.
Sirio si morse il labbro superiore scuotendo appena il capo con disinteresse. - Comunque
dev’essere un uomo non troppo agile, basso e grassoccio, ha fatto tanta fatica a salire su un muro
così basso da lasciare le impronte delle scarpe sia quando è entrato che quando è uscito. Un metro
e sessanta, settanta chili direi. Aspettiamo risultati e vediamo che succede. Intanto continuate a
cercare e vedete se è sparito qualcosa, analizzate le impronte delle scarpe, i graffi e cercate traccia
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di qualsiasi cosa possa esserci d’aiuto. Leggete i quaderni, guardate nella cassa della chitarra, fate
quello che volete, servono tracce dell’assassino, il movente è chiaro. Trovatemi una lista di
sospettati che corrispondano alla descrizione e date il caso a qualcun altro. Io non ho altro da
aggiungere qui. - E così dicendo sorpassò i presenti senza neanche dare il tempo di replicare a
Bianca che già stava per intervenire contrariata.
Uscì dalla casa seguito da Notar, entrò al posto del passeggero aspettando che il poliziotto lo
raggiungesse, indossò nuovamente i suoi occhiali da sole e quando l’altro mise in moto l’uomo lo
fissò per qualche secondo, pensieroso.
- Andiamo a svegliare il nostro amico Angel. - Disse sorridendo e lasciando il compagno di stucco.
- Ma, signore, non possiamo arrivare e suonare alla porta e poi qui c’è stato un omicidio.
Sirio sorrise beffardo. - Non ho tempo da perdere con casi minori.
Notar era allibito. - E da quando un omicidio è un caso minore?
Sirio non rispose quindi il poliziotto, scuotendo il capo, mise in moto e diresse il veicolo verso la
presunta casa di Angel.
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INTERMEZZO
Pier si trovava nella sua attuale abitazione, la notte era ancora distesa sulla città con il suo manto
scuro e lui aveva da poco terminato il suo ultimo incarico. Se ne stava seduto davanti alla scrivania,
nel silenzio, alla luce pallida della luna che entrava dalla finestra posta sopra la scrivania.
Prese una pinza dal tavolo e lentamente, con mano ferma, ne accostò le estremità al palmo destro
sfregando con il ferro appena sopra il polso e sollevando il lembo di una sottile pellicola
trasparente. Quando l’ebbe fatto la afferrò con la pinza e tirò delicatamente staccando dalla mano
una patina sottile che la percorreva completamente e che si inspessiva soltanto in prossimità delle
impronte digitali. Terminata l’operazione posò la seconda pelle su un piccolo vetrino, poi con
l’accendino le diede fuoco. Sentì le sirene della polizia affollare il silenzio della dormiente Lerix e
sorrise, da solo, nel silenzio, immaginando la spiegazione che avrebbero dato al suo capolavoro.
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Capitolo 3
La macchina guidata da Notar si accostò sotto casa di Angel. Il commissario ordinò al poliziotto di
restare in auto mentre lui scese guardando verso il portone. Si accostò alla porta sollevando il
pugno e batté tre volte sul legno, con forza.
Dopo alcuni secondi dall’interno si udirono dei passi poi la porta si aprì, oltre quella Angel in
persona.
Angel era un uomo alto, il viso gentile ma rude, capelli lunghi e neri, quasi ricci, che teneva quasi
sempre legati dietro la schiena. Era il classico gentiluomo all’italiana dalla carnagione scura e i tratti
meridionali. Complessivamente risultava una persona affascinante al quale le donne non sapevano
resistere.
Il truffatore rise divertito ma non fece in tempo ad aprire bocca che un pugno violento gli si
abbatté dritto sul naso. L’uomo indietreggiò cadendo a terra dolorante e si portò le mani al naso
sanguinante ma subito dopo il suo rantolo di dolore sfociò in una fragorosa risata divertita.
- Buon giorno a te, commissario. - Disse con sforzo per mascherare il dolore e Sirio si piombò
nuovamente su di lui.
Notar dalla macchina vide la scena attraverso la porta aperta e cominciò a guardarsi attorno
preoccupato per assicurarsi che nessuno passasse di lì in quel momento.
Sirio afferrò Angel per la camicia facendogli saltare via un bottone, il truffatore sembrava divertirsi
nel vedere la rabbia sul volto del commissario ma sollevò le mani per difendersi, istintivamente,
quando vide il pugno dell’uomo alzarsi nuovamente.
- Ok, basta, basta. - Disse smettendo di ridere man mano che finiva la frase.
Il commissario si fermò in quella posizione e non si mosse per un po’, come se fosse indeciso o
trattenuto, poi lasciò la presa e l’uomo tirò un sospiro alzandosi a stento da terra.
- Non sei il modello ideale di ospite. - Disse Angel con tono ironico al commissario che lo osservava,
fermo nell’ingresso mentre lui chiudeva la porta. - Vieni sopra, immagino che tu sia qui per dirmi
qualcosa.
Dalle labbra di Sirio si generò una sorta di ringhio. - Non sono qui per stare ai tuoi giochetti,
bastardo.
A questo punto Angel si fece serio tastando nuovamente il naso con una smorfia di dolore sul
volto. - Commissario, non complicare la tua posizione più di quanto tu non abbia già fatto.
Scommetto che non hai ne un mandato ne uno straccio di prova che possa permetterti
un’irruzione con pestaggio in casa mia. Quindi se hai qualcosa da dirmi vieni di sopra, ci sediamo
con calma, come persone civili, e parliamo.
Sirio rimase in silenzio, Angel aveva ragione, lo teneva in pugno ma di questo era già consapevole
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fin da quando aveva scelto di andare a bussare alla sua porta. Lo seguì per la rampa di scale fino al
primo piano. Angel aprì una porta oltre la quale si trovava un'ampia sala da pranzo con un lungo
tavolo nel centro. Tutto l’arredamento era molto elegante. Angel invitò l’uomo ad accomodarsi e si
allontanò dalla stanza.
Sirio si sedette guardandosi attorno: sul tavolo c’era una sorta di campana di vetro, accanto alla
porta un grande caminetto in marmo bianco dominava la stanza, alle pareti erano appesi diversi
quadri raffiguranti scene classiche di caccia e mitologia. Due grandi lampadari pendevano dal
soffitto e sia sulla parete sinistra che su quella opposta all’ingresso due finestre affacciavano sulla
strada. Ad un angolo del soffitto, alla destra del camino, una telecamera puntava in direzione del
tavolo. Sirio la fissò alcuni istanti prima di calare nuovamente lo sguardo togliendosi gli occhiali e
posandoli sul tavolo.
Dopo alcuni minuti Angel entrò nuovamente nella stanza dalla stessa porta.
- Hai l’aria stanca commissario. - Disse sorridendo mentre si passava un asciugamano sul viso
gocciolante acqua, ripulito del sangue della colluttazione.
Sirio non raccolse la provocazione e lo incalzò subito. - Dieci milion...
Angel lo ammonì prontamente sollevando la mano e intimando il silenzio, il commissario si bloccò
interdetto.
- Prima di arrivare a questo, commissario, spero gradiate un caffè. - Sul suo viso si dipinse un
sorriso sinistro. - Stephen porta il caffè per cortesia. - Disse alzando il tono della voce per farsi
sentire dal corridoio e, pochi secondi dopo, arrivò nella stanza un bestione alto un metro e ottanta,
dalla corporatura possente.
Sotto le maniche della camicia bianca si intravedeva la sagoma dei bicipiti palestrati, il volto del
gorilla di Angel aveva i classici lineamenti definiti della zona greca, un’ombra di barba sulle guance.
Entrò nella stanza con un vassoio con sopra due tazzine posate sui rispettivi piattini e la moka
fumante. Posò il tutto sul tavolo sotto lo sguardo vigile di Sirio che però non poté opporsi quando
questo gli si mise dietro posandogli la mano sulla spalla. Il commissario fu costretto ad alzarsi e
l’uomo lo perquisì fino alle caviglie senza omettere nessuna zona del corpo, alla fine sul tavolo
c’erano il telefonino del commissario, un pacchetto di sigarette e un registratore acceso.
Angel scosse il capo disapprovazione poi prese la campana di vetro e la mise sopra gli oggetti.
Negli occhi di Sirio si leggeva la rabbia dell’impotenza. Stephen versò il caffè nelle tazzine ma Sirio
lo bloccò.
- Macchiato, con cognac.
Il gorilla guardò Angel che acconsentì alla richiesta mentre si sedeva a capotavola, e controvoglia
eseguì l’ordine uscendo dalla stanza.
- Quindi... - riprese Angel - dieci milioni di euro non ci cacciano nel mio portafogli commissario. -
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Disse mettendosi comodo sulla sedia.
- Infatti saranno già in circolo sulla piazza del narcotraffico. - Lo incalzò subito Sirio ma Angel rise
nuovamente
- Sai... - riprese in tono confidenziale - sapevo che saresti venuto, così come sapevo che eri lì fuori
questa notte, ma sono rimasto, ero troppo curioso di vedere con quale pretesto questa volta
saresti venuto ad importunarmi e non mi hai deluso. - Quindi si fece serio. - Passando agli affari -
disse posando le mani sulla superficie liscia del tavolo - non ho fatto io quel colpo, per quanto mi
sarebbe piaciuto avere una fetta del bottino.
Sirio rise sfacciato. - Tu hai sempre le mani in pasta a tutto, non me la dai a bere.
Nuovamente Angel scosse il capo - No commissario, non questa volta. Sto indagando con mezzi
sicuramente più efficienti dei tuoi ma sembra che il nuovo criminale sia un tipo niente male.
Sirio lo fissò inquisitorio - Sai che è un uomo?
Stephen tornò nella stanza con il latte e la bottiglia di cognac versando entrambi i liquidi nella
tazzina del commissario come un vero barista.
Angel fece spallucce alla domanda. - Il tipo, la tipa, è uguale. Fatto sta che non riesco a rintracciare
la fonte, sembra che il nostro amico lavori da solo, un ladro vecchio stampo che mi sta dando non
poche rogne. Non lascia tracce dietro di sé, è come un fantasma, molto bravo. - Nelle sue parole
era possibile leggere la stima per quel personaggio ma l’espressione sul volto di Sirio non cambiò.
- Questa notte - disse il commissario - c’è stato un omicidio a tre isolati da qui.
Angel sorrise. - Ah, il cantante.
Sirio annuì. - Ne sai niente?
Angel lo fissò in silenzio per qualche secondo, riflettendo prima di parlare. - Ho fatto fare una copia
della chiave di casa del cantante da uno dei miei e una riproduzione delle impronte digitali su un
tessuto particolare che si adatta alla pelle, sai com’è, le nuove tecnologie. Bisogna stare al passo
coi tempi. - Disse con tono sereno.
Il commissario lo scrutò con sospetto. - Perché hai fatto ammazzare il cantane? - Chiese con fare
minaccioso ma Angel non sembrò farci caso e proseguì tranquillamente.
- Non l’ho fatto uccidere io, era un lavoro sotto commissione.
Sirio non riuscì a trattenere una grassa risata. - Tu che lavori sotto commissione? Perché, ma
soprattutto per chi? - Disse accentuando l’ultima parola e a questo punto Angel si alzò dalla sedia.
- C’è qualcuno che sta cercando di fregarmi la piazza, è una buona pista da seguire quella di un
killer che cerca materiale, no?
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Sirio continuò a studiarlo attentamente. - Chi è il mandante?>
Angel non seppe rispondergli. - Sto cercando di capirlo, ho comunicato solo con il mandato, non
con il mandante e per di più tramite un corriere, un ragazzo dei miei che mi ha dato una
descrizione approssimativa del killer ma era travestito. Mi ha fatto avere le istruzioni tramite
lettere e poi mi ha fatto trovare i soldi in casa.
Sirio si incupì. - Voglio vedere le lettere.
Angel sembrò d’accordo e fece un cenno a Stephen che intanto se ne stava davanti all’uscio.
L’uomo uscì dalla stanza e Sirio prese la tazzina e cominciò a sorseggiare il caffè. - Chi ti ha detto
del piantonamento?
Angel rise. - Commissario, adesso mi stai chiedendo troppo.
Nuovamente sull’uscio comparve Stephen con in mano due lettere che lanciò sul tavolo in
direzione del commissario.
Angel lo guardò. - Credo che a questo punto sia tutto. - Quindi sollevò la campana di vetro e Sirio si
alzò dalla sedia posando la tazzina e recuperando gli oggetti tra cui il registratore con il nastro che
ancora stava girando. Premette lo stop.
- Immagino che adesso te ne andrai.
Angel scosse il capo. - Per il momento non ho motivo di spostarmi ma se mi infastidirai
nuovamente sarò costretto a farlo.
Quindi il commissario indossò gli occhiali da sole mettendo le lettere in tasca e si avviò per le scale.
- Commissario! - lo chiamò il criminale.
Sirio si fermò voltandosi.
- Perché ti chiamano Sirio?
Il commissario lo guardò da dietro gli occhiali da sole. - E a te perché ti chiamano Angel?
L’uomo in cima alle scale rise. - Perché ho il faccino d’angelo.
Sirio tacque scendendo le scale e aprì la porta uscendo in strada e dirigendosi alla macchina nella
quale Notar era rimasto ad attenderlo.
- Stavo per chiamare i rinforzi. - Disse il poliziotto uscendo dalla macchina, stravolto in viso dalla
preoccupazione.
Sirio non rispose, prese il telefono e compose un numero. Bianca rispose dall’altra parte senza dare
il tempo all’uomo di parlare.
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- Le impronte sulla pistola sono del cantante. - Disse la voce femminile e Sirio entrò in macchina.
- Lo so, è un depistaggio. Le impronte sono state falsificate, anche quelle sulla finestra.
La donna all’altro capo del telefono rimase ammutolita.
- Intensificate le ricerche nella casa, cercate capelli, peli, sagome di passi sul pavimento, qualunque
cosa.
La donna rispose positivamente e il commissario chiuse la chiamata.
- Portami a casa. - Solo questo disse a Notar e non parlò per il resto del tragitto.
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Capitolo 4
Francis e Adam avevano dormito tutta la mattinata per riconquistare il sonno perso durante la
notte pur di guadagnarsi i soldi di Leo. I quattro ragazzi si erano lasciati davanti al bar di Enrique
quando il sole si era già levato sulla linea di confine tra la notte e il giorno e una volta tornati a casa
si erano abbandonati tra le braccia di Morfeo.
Il telefono di Adam si mise a squillare e quello aprì gli occhi con il volto ancora schiacciato sul
cuscino, girò la testa nella direzione dalla quale proveniva il suono e fissò il telefono che intanto
continuava a squillare, allungò la mano verso l’orologio da polso che aveva lasciato sul comodino,
girò il quadrante verso di sé e si rese conto che erano ormai le quattro del pomeriggio. Non voleva
parlare, ancora confuso dal brusco risveglio, ma data l’insistenza degli squilli dovette premere il
tasto verde. Era Leo, voleva organizzare un’altra partita per la sera stessa, evidentemente non gli
era andato giù il fatto di perdere tanti soldi.
Adam si sforzò di rispondere alle richieste dell’amico dovendosi schiarire la voce un paio di volte
prima di riacquistare il suo timbro.
- Leo non possiamo fare questa vita, finirò per vivere soltanto di notte, peggio di un vampiro.
Ma il ragazzo all’altro capo del telefono non voleva sentire ragioni e Adam sapeva bene quanto
fosse rischioso portare Leo all’insistenza quindi cedette subito per tagliare la testa al toro.
- Va bene, va bene. Ma si finisce presto, non voglio fare l’alba di nuovo.
La voce al telefono sembrò soddisfatta.
In realtà quella del “non fare l’alba” era ormai una frase di rito che si ripeteva prima di ogni partita,
ma alla fine la morsa del gioco era avvincente e nessuno riusciva a tirarsi fuori oppure il caso
lasciava che il gioco si allungasse all'infinito.
Adam si stiracchiò le braccia mentre ancora stava steso sul letto poi, con indolenza, si mise a
sedere. La luce del sole lo infastidì non poco essendosi dimenticato, per il troppo sonno, di
chiudere la tapparella della finestra, indossò le pantofole e uscì dalla stanza puntando
direttamente alla porta del bagno ma quando vi si accostò si rese conto che l’acqua della doccia era
aperta e ne dedusse che Francis l’avesse preceduto. Il ragazzo mosse passi lenti e trascinati
attraverso il corridoio e raggiunse la cucina, immersa nel silenzio del falso mattino.
Si avvicinò al lavandino aprendo le ante del mobile che era appeso alla parete, alla ricerca della
moka ma, non trovandola, fu costretto a vedere quello che il suo inconscio aveva visto ma obliato,
ovvero che la moka era nel lavandino e andava lavata. Tirò un sospiro e aprì il serbatoio della
piccola caffettiera, ci volle un po’ di fatica per compiere questo gesto, poi gettò il caffè compresso
nella spazzatura e una volta ultimato il lavaggio sotto l’acqua corrente la riempì di nuovo posandola
sul fornello e accendendolo. Ci volle un po’ prima che l’acqua cominciasse a bollire facendo salire il
caffè e, dopo quell'arco di tempo, Francis era ancora sotto la doccia.
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Adam prese due tazzine e le posò sul tavolo versandovi dentro il caffè fumante, ci mise lo zucchero
e mescolò il contenuto. Intanto, dal corridoio, il suono dell’acqua della doccia continuava a
scivolare nell’aria insieme all’aroma del caffè.
Adam spazientito si affacciò nel corridoio e fece per accostarsi alla porta del bagno ma si bloccò
quando sentì il rumore dell’acqua sotto i suoi passi. Guardò a terra, il pavimento era allagato,
l’acqua proveniva dalla porta del bagno e gli si gelò il sangue nelle vene quando vide una ciocca di
capelli scivolare sotto la porta oscillando sospinta dall’acqua che scorreva.
- Francis... - Un sussurro spontaneo e sgomento sgorgò dalle labbra del ragazzo in maniera naturale
come il corso di quel piccolo ruscello che scorreva sulle mattonelle scivolando tra le sue scarpe.
Corse verso la porta facendo zampillare l’acqua verso le pareti del corridoio, abbassò la maniglia e
spinse lentamente aspettandosi di sentire il peso del corpo dell’amico dietro la porta, cosa che
però non accadde, infatti la porta si aprì tranquillamente. Adam guardò dentro, in preda al panico,
ma quello che vide fu solamente un lavandino intasato e che strabordava tirando fuori dal tubo di
scolo ciocche di capelli che man mano si ammassavano sulla porta sospinte dal fluire dell’acqua
impigliandosi nella fessura sottostante. La paura si trasformò in rabbia mentre istintivamente si
affrettò a chiudere il rubinetto guardandosi attorno per capire l’entità del danno. In quel momento
si affacciò Francis alla porta del bagno, ancora assonnato, ma non appena lo fece balzò indietro
sentendo inaspettatamente l’acqua sotto i piedi scalzi.
- Ma che...
Adam ancora furioso gli andò incontro scuotendogli l’indice davanti al naso. - Hai usato i giornali
l’ultima volta che hai tagliato i capelli? - Il ragazzo lo guardò stranito non essendo ancora del tutto
sveglio, quindi Adam continuò. - Capisco la tua volontà di tagliarli da solo ma la prossima volta
assicurati di tirarli via dal lavandino! - Sbottò uscendo dal bagno e dirigendosi in cucina con passo
stizzito.
Francis rimase a guardare la scena dell’acqua che cadeva come una cascata dal lavandino e
nuovamente la voce di Adam lo raggiunse dalla cucina al bagno.
- E quel macello lo pulisci tu!
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INTERMEZZO
Nel Bed and Breakfast di Lisa Damian stava sparecchiando il tavolo che, per il pranzo, era stato
spostato sul balcone della sua stanza. Impilò i piatti mettendoli da parte poi entrò nella stanza
scivolando sul letto accanto all’amata che intanto si era lì abbandonata.
Lei stava di spalle, riversa sul fianco. La cinse con un braccio posandole un delicato bacio sulla
spalla e lei sorrise voltandosi verso di lui, che sorrise a sua volta. In un solo istante fu come rapito
dai suoi occhi.
Antonella era una ragazza esile ma dal fisico sensuale, Damian ne era follemente innamorato ma
più di ogni altra cosa amava il suo viso. Dal collo lungo e sottile si dipingeva un volto grazioso e
vivace tra i corti capelli biondi che arrivavano appena sotto le orecchie. La osservò con attenzione,
immerso in due occhi grandi come due lune, non aveva mai visto occhi così grandi e belli, uno
sguardo così intenso ed espressivo. Damian puntellò il materasso con il gomito posando la testa sul
palmo della mano, inclinandola, come a voler osservare meglio la donna, sollevò la mano destra e
delicatamente lasciò scivolare il pollice sul suo mento sottile e appuntito, lo fece scivolare fino alla
fossetta che si creava all’angolino delle labbra quando sorrideva e lei ora sorrideva, innamorata.
Ebbe come l’impressione che la sua mano scivolasse sulla superficie di un petalo tanto era morbida
la pelle della donna, poi il pollice si spostò accarezzando, come un soffio di vento caldo, le sue
labbra sottili, la mano scivolò sulla guancia con delicatezza, sfiorandone la pelle. Si avvicinò
baciandole la fronte ampia e accarezzandola con le labbra posando un altro bacio tra gli occhi della
ragazza, appena sopra il naso piccolo e sottile, le sue labbra scivolarono su quello baciandone la
punta. La ragazza rise, lo avvolse con il suo braccio delicato e passandogli tra i capelli le dita
perfette e affusolate ne catturò le labbra in un lungo bacio appassionato.
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Capitolo 5
Nik era seduto al suo solito tavolo, nel corridoio del primo piano del monastero della città di Lerix,
il suo stomaco brontolava per la fame mentre la matita scorreva tra le pagine del libro a
sottolineare i concetti che considerava più importanti. Arrivato alla fine del paragrafo posò la
matita sul foglio abbandonando la schiena allo schienale della sedia e gettando il capo all’indietro
con un profondo respiro. Durante la mattinata il monastero era stato assalito dagli studenti per i
primi esami dell’autunno, ma ora era nuovamente solo.
Aprì lo zaino, prese un contenitore di plastica e una forchetta avvolta in un tovagliolo, uscì sulla
terrazza, aprì il coperchio e si affacciò sul primo chiostro usando la balconata come ripiano per
appoggiare il pranzo. In silenzio cominciò a mangiare ripetendo a mente quel che aveva appena
studiato, non si era accorto dei due uomini che parlavano sotto il porticato del chiostro, così come
loro non potevano intuire la sua presenza dato che a quell’ora del pomeriggio il monastero era
solitamente un luogo deserto.
Quando una voce famigliare colse l’attenzione di Nik i suoi pensieri e ragionamenti interiori si
zittirono lasciando scivolare l’attenzione verso i due che parlavano sotto di lui.
- Quando?
- Domani notte.
Uno dei due uomini sospirò
- E questi?
- Entro due ore.
Ci furono alcuni secondi di riflessivo silenzio poi l’altro parlò.
- Pagamento?
- Come sempre.
Il silenzio che seguì questa breve conversazione fu interrotto solo dal rumore di passi che si
allontanavano.
Nik cercò di sporgersi, incuriosito, ma per vedere i due avrebbe dovuto aggirare la balconata del
chiostro e non ritenendo la cosa importante si limitò a proseguire il suo pasto. Nuovamente la
voce di uno dei due si fece strada tra i suoni della quieta natura, ora parlava al telefono e quando
Nik si rese conto del discorso che stava ascoltando il boccone che stava masticando sembrò
inchiodarsi in gola e gli andò di traverso facendolo tossire con forza al punto da doversi battere il
pugno sul petto. La voce al piano di sotto si fermò. Ci fu un lungo silenzio e Nik rimase immobile, in
ascolto, ma nessuno parlò si sentì solo il rumore dei passi. In preda al panico corse nel corridoio, i
due ingressi della sala erano rispettivamente sulla destra e sulla sinistra, non poteva prevedere da
quale parte l’uomo sarebbe salito, dovette andare a istinto e scelse la scala a sinistra, quella
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secondaria. Cercando di non fare rumore corse da quella parte, spalancò la porta e si trovò di
fronte un uomo di media statura, piuttosto magro, con i capelli castani corti e il pizzetto dello
stesso colore. L’uomo aveva un viso innocuo, gli sorrise.
Nik rimase paralizzato mentre quello gli passò oltre chiedendo il permesso, attraversò il corridoio e
scese le scale dalla parte opposta. Nessun altro stava salendo, né da quella parte, né dalla
direzione opposta. Nike se ne rese conto dopo un paio di minuti d’attesa e in silenzio, spaventato,
tornò a sedersi al suo tavolo, incapace di riportare l’attenzione allo studio.
Angel era in casa sua, seduto al lungo tavolo nella sala da pranzo con il computer davanti. Stephen
se ne stava seduto in disparte, aveva posto una sedia davanti alla finestra che affacciava sulla
strada e da lì guardava fuori. Il telefono del gorilla squillò un paio di volte, l’uomo rispose e subito
dopo si alzò portandolo al suo capo che distolse lo sguardo dal monitor osservando prima Stephen
in volto, poi il telefono che prese e si portò all’orecchio.
- Si?
La voce dall’altra parte parlò con tranquillità. - Ho nuove istruzioni.
Angel si fece serio – Quali?
L’uomo rispose dopo un paio di secondi. - Documenti da consegnare.
Angel aggrottò la fronte. - A chi?
L’uomo rispose e il truffatore si alzò dalla sedia di scatto attendendo prima di rispondere. - Era lo
stesso contatto?
La voce all’altro capo sembrò indecisa - Era un’altra persona, il contatto mi aveva già parlato dei
ragazzi, solo che adesso ha cambiato i suoi piani.
Angel tornò a sedere. - Chiamerò Sirio.
La voce al telefono si fece intimorita. - Signore, con tutto il rispetto, mi metterà nei guai.
Angel sorrise come se quello potesse vederlo. - Non preoccuparti, non gli parlerò della tua
operazione, anzi, ti renderò le cose più facili.
L’uomo ringraziò. - Un’altra cosa, un ragazzo nel monastero, credo mi abbia sentito.
Angel si fece pensieroso. - L’hai visto in faccia? - L’uomo rispose di sì e Angel continuò. - Hai modo
di rintracciare il killer del contatto?
La voce al telefono tornò seria. - Mi ha dato un modo per rintracciarlo in caso di emergenza.
Angel annuì soddisfatto. - Rintraccialo, digli che voglio commissionare un lavoro e dagli le
istruzioni. - Diede qualche altra indicazione e chiuse la telefonata, compose un nuovo numero e
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posò il cellulare sul tavolo con il vivavoce accesso. Mentre il telefono squillava il criminale tornò
con l'attenzione sul monitor digitando rapidamente sulla tastiera del computer.
Sirio era nel suo ufficio, seduto dietro la scrivania con la sigaretta accesa appesa tra le labbra,
sbuffando il fumo dal lato della bocca. Difronte alla scrivania stava Roxanne con il suo
Maggiordomo, un uomo alto e dalla carnagione scura, Notar invece era seduto al lato della
scrivania appuntando ogni cosa su un foglio. La donna aveva denunciato un furto in casa, avvenuto
la notte dell’omicidio del cantante e il maggiordomo stava illustrando per lei l’elenco degli oggetti
rubati per un ammontare di qualche centinaio di migliaia di euro. La donna sembrava quasi
annoiata mentre Sirio le poneva domande che per lei non avevano alcuna attinenza con il fatto.
- Sono ricca, è normale che io abbia molti nemici, tutti invidiano la gente ricca. Se il suo
ragionamento è questo potrebbe anche essere stato lei a derubarmi.
Sirio la ascoltò spazientito - Signorina non mi sembra che lei sia particolarmente scossa per questo
avvenimento.
La donna si alterò – Oh, qualche cianfrusaglia in meno, a me interessa avere protezione, chi mi dice
che i ladri non torneranno di nuovo? O che qualcuno non voglia farmi fuori!
Solo ora Sirio sembrò prendere la cosa molto sul serio. - Si sentirebbe più sicura se le affidassimo
una scorta?
La donna annuì soddisfatta.
- Collega - disse il commissario richiamando l'attenzione di Notar - accompagna la signora all’ufficio
assegnazione scorte.
Il ragazzo lo guardò, si vedeva che era annoiato già da diverso tempo e si alzò dalla sedia facendo
strada alla donna e al suo maggiordomo che se ne uscirono con aria trionfante fino a quando però
il poliziotto non li accompagnò all’uscita del commissariato.
Nel frattempo il telefono sulla scrivania di Sirio cominciò a squillare, l’uomo spense la sigaretta nel
posacenere e rispose.
- Commissario! - La voce divertita e squillante di Angel risuonò nell’apparecchio e Sirio rimbalzò
quasi sulla sedia.
Parlò a voce bassa. - Che diavolo vuoi?
L’uomo rise. - Non agitarti commissario, ho una pista.
Sirio guardò verso la porta. - Parla.
Angel rispose in maniera negativa. - I miei telefoni sono protetti, i tuoi no.
Sirio non disse nulla, prese carta e penna e scrisse il luogo e l'orario che Angel gli dettò guardando
poi l’orologio al polso.
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Nel frattempo la voce di Roxanne lo raggiunse dall’esterno, la donna stava urlando dalla strada,
infuriata ma il commissario non ci fece particolarmente caso e riattaccò il telefono.
Attese fino alle sei e mezza, scese velocemente le scale dell’edificio ed entrò in macchina
raggiungendo il luogo dell’incontro.
Entrò nel bar di Enrique che erano quasi le sette, lo sguardo del barista lo seguì per tutto il tragitto
dalla porta al bancone. In silenzio Sirio si sedette sullo sgabello ed Enrique gli si piazzò davanti
attendendo l’ordinazione.
- Aspetto gente. - Si limitò a rispondere il commissario mentre dalla porta entrarono nel locale
Francis, Adam e Joseph chiacchierando vivacemente.
I ragazzi si accostarono al bancone chiedendo dell'amico Leo e non furono sorpresi nel sapere dal
barista che non fosse ancora arrivato. Ordinarono una birra e si avviarono verso la saletta dove li
attendeva il tavolo del poker. Sirio alternava lo sguardo tra i ragazzi e l’orologio appeso alla parete,
nuovamente incrociò lo sguardo con quello di Joseph come la stessa mattina.
Enrique chiamò Adam prima che si allontanasse dal banco. - Mi hanno portato questa per te.
Il ragazzo tornò indietro e afferrò la busta che Enrique gli stava porgendo, sopra c’era il suo nome e
quello di Francis, Sirio guardò la lettera, la analizzò con discrezione durante lo scambio. L’ora
dell’incontro era passata e Angel non si era fatto vivo, sapeva che non sarebbe più venuto e
imprecò a bassa voce per l'essere cascato in chissà quale dei suoi tranelli.
- Come scusi? - Disse Enrique sentendolo bisbigliare.
Il commissario lo guardò sprezzante, si alzò dallo sgabello e si avviò verso la macchina.
I tre ragazzi si sedettero al tavolo verde e Adam aprì la busta contenente una serie di fogli, Joseph e
Francis scherzavano tra di loro ma si zittirono quando videro il loro compagno sbiancare con il
terrore negli occhi.
- Che succede? - Chiesero preoccupati ma Adam, incapace di parlare, allungò la lettera a Francis
che ne lesse giusto le prime due parole balzando dalla sedia, indietreggiando come a volersi
allontanare da ciò che aveva appena letto.
Joseph rimase interdetto e palesemente preoccupato. - Ragazzi, che sta succedendo?
Adam invitò Francis a calmarsi poi puntò i gomiti sul panno verde e incrociò le dita delle mani
poggiandovi sopra le labbra, in silenzio, pensieroso.
- Glie lo dobbiamo dire. - Disse in fine verso Francis che però non rispose limitandosi a guardarlo
fisso negli occhi.
- Dirmi cosa? - Chiese prontamente Joseph.
Francis si sedette e cominciò a parlare.
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Capitolo 6
- Ricordi la morte di Dan? - La voce di Adam era calma, il tono serio.
Nella luce morbida della stanzetta i tre se ne stavano, spaventati, attorno alla lettera che avevano
appena ricevuto.
Joseph annuì. - Ovvio che la ricordo.
Adam attese qualche secondo. - Quella mattina, quando mi alzai, andai a chiamarlo ma non
rispose. La sera mi resi conto che non era ancora uscito di casa, le sue chiavi erano appese
all’ingresso. - I due ragazzi ascoltavano con attenzione le parole dell’amico, Francis teneva gli occhi
bassi mentre Joseph lo scrutava con attenzione alternando lo sguardo tra i due. - Tornai a
chiamarlo, aprii la porta e lo trovai morto. - Joseph spalancò gli occhi incredulo ma Adam continuò.
- Puoi immaginare la nostra reazione, è una sensazione che non si può descrivere. Quando Francis
entrò in camera si accorse che prima di morire Dan aveva scritto una lettera. - E così dicendo posò
la mano sulle pagine che aveva davanti facendole scivolare sul panno verde verso Joseph che le
prese e cominciò a leggere:
“Temo molto, in questo periodo della mia vita, per me, per la mia sicurezza. La mia e quella delle
persone alle quali è devoto il mio affetto. Tanto temo che i miei presagi siano veritieri che scrivo
queste righe, non sapendo quando la nera falce calerà su di me traendo la sua giustizia. Una falce
indiscriminata che su tutti cala in egual modo.
Siamo appassionati del gioco, io e i miei coinquilini, tanto che nel tempo, per mia sfortuna, ho
accumulato debiti con loro fino a proporzioni che mai potrei colmare da umile studente quale
sono. Per quanto siano ragazzi gentili e a modo in casa abbiamo sempre portato all’esasperazione
le modalità di comportamento umano, un gioco da artisti, che ora ha creato qualcosa di più. Da
tempo ormai sono cominciate le minacce e dalle minacce si è passato ai fatti, fatti terribili,
intimidazioni vili che non ho la forza di riportare alla mente. Ora vogliono che il loro debito sia
saldato, lo pretendono e mi hanno dimostrato che non esiteranno a ottenerlo nei soldi o in altri
modi. La loro sete di vendetta è folle e insensata, come possono i soldi portare a questo? Non sono
i soldi, è la malvagità che alberga nei loro cuori. Sanno che non potrò pagarli, loro non vogliono
essere pagati, vogliono che io soffra e quando ne avranno abbastanza approfitteranno della
situazione per avere l’esperienza della morte in qualità di artisti maledetti ed estremi che sono
diventati. A questo mirano, per questo ora mi nascondo da loro: Francis e Adam. Per questo scrivo
questa lettera in modo che, se quel che penso dovesse avverarsi, la giustizia possa calare su di loro
in egual misura, come la bruta falce che attendo.”
Joseph non lesse oltre, alzò lo sguardo dal foglio puntando gli occhi sui presenti, con sospetto e
incredulità.
- Voi... - Sibilò verso i due.
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- No Joseph, non capisci! - Intervenne Francis. - Era un pazzo! Un folle! Voleva incastrarci.
Joseph sembrava come stordito. - Ma per quale motivo?
A questo punto intervenne Adam. - Da qualche settimana Dan era depresso, continuava a ripetere
che la vita lo annoiava, che dovevamo liberarci dalla morsa della società ed essere liberi,
concederci al caos, all’arte. Delirava come un folle ma era un tipo eccentrico, non sospettavamo,
non potevamo sospettare. Cominciò a dire che lui avrebbe reso le nostre vite più belle, ci avrebbe
dato l'avventura per poi renderci ricchi. - Un lungo silenzio galleggiò nell’aria della stanza. - Come
potevamo pensare che quel folle si sarebbe ucciso dando a noi la colpa solo per... solo per darci
una dimostrazione, per gettarci nell'occhio dei media! - Adam era disperato, come se tutto fosse
appena successo ma Joseph non batté ciglio.
- E l’incendio? - Chiese verso i due.
Fu Francis a rispondere. - Non potevamo permettere che il gesto di un pazzo ci distruggesse la vita,
non potevamo. Quando leggemmo quella lettera cominciammo a pensare al modo di risolvere la
situazione, non potevamo spiegare le cose così com’erano, la polizia non ci avrebbe mai creduto.
Pensammo di distruggere solo la lettera ma alla fine ci venne in mente una soluzione migliore, una
soluzione che ci avrebbe evitato di rischiare, di finire nelle indagini come sospetti per un suicidio
inspiegabile come quello. Nella stanza c’erano il letto, il piccolo guardaroba, il comodino, la
scrivania. Su ognuno di essi erano riposte candele e ceri, la stanza era piena di oggetti di legno, di
quadri, c’erano le chitarre, i mobili, alle pareti erano appese maschere tribali e ventagli asiatici,
sopra il letto era appeso un grande lenzuolo africano e poi c’erano due lanterne e il lume con
accanto la latta del petrolio. Sarebbe bastata una piccola fiamma per fare di quella stanza un
inferno, sarebbe stato più che plausibile, la sua pazzia non ci avrebbe condannati.
Joseph lo interruppe. - Ma voi non eravate in casa quando è successo.
I due ragazzi si guardarono negli occhi poi Adam continuò. - Trovammo uno stratagemma in modo
tale da non essere sospettati, ci serviva un alibi e non volevamo rischiare. Cospargemmo il corpo di
Dan... - Adam chiuse gli occhi e si portò la mano alla bocca poi fece un sospiro facendosi coraggio. -
Cospargemmo il corpo di Dan di petrolio, rompemmo il lume come se fosse caduto
accidentalmente e mettemmo una candela a terra posizionando accuratamente i vestiti imbevuti
di petrolio. La candela era alta più o meno trenta centimetri, mettemmo i vestiti più in basso della
metà in modo tale che la fiamma sarebbe scesa lentamente fino a quando non sarebbe stata
abbastanza vicina da bruciare i vestiti e ciò sarebbe successo solo quando noi fossimo stati ormai
lontani. Le fiamme ripulirono tutto, cancellarono ogni cosa, rimase solo polvere e macerie e il
corpo carbonizzato di Dan.
Joseph era sconvolto, incredulo, disgustato. Tutti e tre rimase assorti nel silenzio, con l’angoscia nel
cuore, prima che Joseph parlasse di nuovo.
- Qualcuno sa e adesso vuole incastrarvi. - Disse sventolando le pagine della lettera.
27
I due rimasero in silenzio ma in quel momento la porta alle loro spalle si spalancò di colpo.
- Si gioca?! - Disse Leo entrando nella stanza senza neanche rendersi conto delle facce sconvolte
degli amici.
Si sedette in tutta fretta al tavolo, prese il mazzo e cominciò a mischiare. Solo dopo qualche
secondo, alzando la testa, si accorse degli sguardi truci che aveva puntati addosso.
Ci fu qualche minuto di silenzio poi Joseph guardò le carte che Leo teneva in mano, glie le tolse e
cominciò a distribuire la mano, gli altri lo guardarono con fare interrogativo.
- Dobbiamo pensare. - Rispose seccamente alla tacita domanda lanciando le carte verso i giocatori.
Leo saltellava con lo sguardo da un volto all’altro. - Pensare a cosa?
Nessuno rispose.
Leo apre le carte e fa la sua puntata.
Sirio raggiunge il commissariato e parcheggia l’auto avviandosi su per le scale.
Francis vede la puntata.
Sirio entra nell’ufficio, qualcosa sulla scrivania cattura la sua attenzione.
Adam lancia le carte, non vuole giocare.
Sirio si avvicina alla scrivania puntando con lo sguardo la busta, si siede.
Joseph rilancia la puntata.
Sirio apre la busta e comincia a leggere.
Tutti vedono il rilancio, Leo cambia una carta.
Una scintilla si accende negli occhi del commissario, una smorfia rabbiosa gli si dipinge in viso nel
leggere la lettera: “poker.. Francis e Adam”. Ripensa alla nuova pista di Angel.
Francis cambia tre carte.
Sirio si alza di scatto allertando le pattuglie.
Joseph cambia due carte.
Sirio si precipita per le scale entrando nella macchina.
Leo apre le carte: otto di cuori, nove di cuori.
Sirio parte sgommando dal parcheggio accendendo sirene e lampeggianti.
Dieci di cuori, jack di cuori.
28
Dietro Sirio partono altre tre volanti della polizia a sirene spiegate.
Gli occhi di Leo si riempiono di speranza nell’aprire l’ultima carta: dieci di fiori.
La porta della stanzetta dove si trovano i ragazzi viene aperta e fatta sbattere al muro, dietro
quella Angel li osserva. I quattro rimangono interdetti.
- Credo sia meglio che vi muoviate. - La voce del truffatore era calma e decisa. - La polizia sta
venendo a prendervi.
I tre ragazzi a quelle parole si guardarono negli occhi, si alzarono senza perdere tempo e corsero
dietro l’uomo sotto gli sguardi dei due baristi ammutoliti.
I ragazzi furono fatti salire sul retro di un furgone di surgelati che li attendeva, a motore acceso,
davanti all’ingresso del locale. La vettura partì con calma evitando la strada principale e andando
dritto per vie secondarie. Dopo qualche secondo le sirene della polizia e le luci dei lampeggianti si
incanalarono nella piazza da cui il furgone era appena uscito.
Sirio aprì il cruscotto, impugnò la pistola e scese dalla macchina. Enrique era sotto la porta del
locale, si voltò verso Francesca.
- Vai in cucina. - Disse semplicemente ma quella si rifiutò.
Il commissario lo spostò di forza senza neanche dargli il tempo di chiedere spiegazioni e si precipitò
verso la porta della stanza dove i ragazzi giocavano a poker. La porta era aperta ma dentro non
c’era nessuno. Con rabbia animale Sirio ordinò di avviare le ricerche.
29
INTERMEZZO
Mark se ne stava seduto nella sala principale del commissariato, nel gabbiotto della portineria,
Quando Sirio diede l’allarme vide sfilare davanti a sé i poliziotti e poco dopo il suono delle sirene
sopraffece il silenzio che la sera aveva portato con sé nelle strade della città. I suoi occhi seguirono
la corsa degli uomini fino a quando non ebbero lasciato l’edificio, rimasto solo aprì il cassetto del
tavolo dietro il quale sedeva, afferrò un panino, lo scartò e cominciò a mangiare avidamente.
Il citofono della caserma suonò e dal piccolo monitor vide una donna che attendeva davanti al
cancello, svogliatamente premette il tasto di apertura del cancelletto e Lisa entrò nell’edificio dopo
aver legato a un palo la bici con la quale aveva raggiunto il posto.
- Salve. - Disse la ragazza sorridendo, una volta superata la porta d’ingresso.
Mark la guardò fino a quando quella non si trovò oltre il vetro che separava il gabbiotto dalla
stanza, non disse nulla limitandosi a lasciare nuovamente il panino nel cassetto. La donna
indossava una borsa a tracolla, la aprì ed estrasse una cartellina che poggiò sul banco.
- Devo consegnare i documenti dei clienti del Bed and Breakfast. - Disse ora meno gentile in
risposta al comportamento dell’uomo che si limitò a digitare qualcosa sulla tastiera del computer
attendendo che la donna gli consegnasse i moduli di identità degli ospiti.
Quando lo fece Mark lesse velocemente i nomi andando a trascrivere i dati sul computer poi però
si bloccò riportando lo sguardo sui fogli. Li prese tra le mani e si lasciò abbandonare sullo schienale
della sedia sollevando lo sguardo di tanto in tanto in direzione della ragazza che attendeva, ora
impaziente, davanti a lui.
- Qualche problema? - Chiese la ragazza e nuovamente l’uomo non rispose allungando la mano per
restituire i fogli, Lisa li prese, ringraziò freddamente e uscì dal commissariato.
Mark la osservò dal monitor della telecamera di sorveglianza, la vide prendere la bici e avviarsi per
la strada poi, con il mouse, portò l’indicatore sull’icona di chiusura del programma e alla domanda
“salvare il documento?” clicco sul tasto “non salvare” eliminando così i dati che aveva appena
inserito. Rimase per qualche minuto pensieroso poi aprì di nuovo il cassetto e riprese a mangiare il
suo panino.
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Capitolo 7
Il giorno successivo Mark uscì dal commissariato verso le tre del pomeriggio, salì in auto e percorse
la strada fino a quando le case cominciarono a divenire sempre di meno e la natura cominciò a
prendere piede nella periferia di Lerix. La giornata era calda e non c’erano nuvole nel cielo azzurro.
Imboccò una strada di campagna alla fine della quale stava la piccola casa di Lisa e si parcheggiò
nel piazzale antistante. Scese dalla macchina e si accostò alla porta battendo con le nocche sul
legno, qualche secondo dopo la porta si aprì e ad accogliere il poliziotto c’era Lisa che sembrò
stupita nel vederlo lì.
- Buon giorno. - Disse Mark con tono gentile e la ragazza abbozzò un sorriso senza però aprire del
tutto la porta. - Ci siamo visti ieri in commissariato. - Continuò lui. - Devo parlare con i suoi clienti.
L’espressione sul viso della donna si fece preoccupata mentre apriva del tutto la porta. - Ci sono
problemi?
L’uomo sorrise. - No, no. Devo solo fare un controllo di verifica dei dati, una cosa di routine che
facciamo a campione per assicurarci che sia tutto in regola.
La donna sembrò calmarsi invitando l’uomo a entrare. - Mi ha fatto prendere uno spavento, aspetti
qui.
Mark la fermò. - Se permette andrò io stesso, è la prassi.
Lisa non sembrò convinta da quella richiesta ma alla fine cedette facendo spallucce. - La prima
porta a destra del corridoio. - Disse indicando la scala.
L’uomo ringraziò con cortesia e si avviò salendo i gradini, una volta raggiunta la porta bussò sul
legno un paio di volte attendendo che questa si aprisse.
Antonella guardò Mark come se si aspettasse di trovare un’altra persona dietro la porta e il sorriso
scomparve dal suo viso. Indossava un vestito blu di stoffa leggera che su di lei appariva quasi come
un elegantissimo abito da sera.
- Si? - Disse la donna verso il poliziotto che attendeva.
- Sto cercando Damian.
La donna sorrise nuovamente scuotendo il capo e facendo oscillare appena i capelli sulle spalle. -
Non c'è nessun Damian qui.
Ma Mark insistette mostrando il distintivo. - So che è dentro, apri la porta.
Non attese che quella si spostasse, la costrinse a farlo entrare afferrandogli il braccio con forza ma
non appena l’uomo fece un passo nella stanza Damian gli si piombò addosso con uno scatto veloce
e portandogli la mano destra al collo lo spinse indietro con violenza facendogli sbattere la testa
contro il muro.
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- Non toccarla con le tue luride mani. - Le sue parole erano un sibilo minaccioso e Mark sembrò
spaventarsi nel vedere i suoi occhi bruciare di rabbia.
Damian non era particolarmente atletico ma in quell’occasione sfoderò una forza tale da mettere a
tappeto e intimorire quel bestione che era Mark.
Subito dopo il ragazzo lasciò la presa e il poliziotto riprese fiato portandosi una mano dietro la testa
dolorante e si sforzò di parlare trattenendo la rabbia. - Potrei farti arrestare per questo.
Ma Damian non sembrava interessato alle parole dell’uomo, si spostò verso la ragazza e
accarezzandole la guancia le chiese se stesse bene. Antonella annuì chiudendo poi la porta.
Nel frattempo, dal fondo delle scale, Lisa non aveva potuto fare a meno di ascoltare i suoni della
breve colluttazione, silenziosamente era salita al piano superiore entrando nel bagno accanto alla
stanza e, accostatasi alla finestra, cercò di capire cosa stesse succedendo.
- Anch’io potrei farti arrestare. - Disse Damian baciando la fronte della ragazza e sussurrandole
qualcosa all’orecchio.
La ragazza sorrise dolcemente ma da dietro Mark brontolava dolorante.
- Accomodati sul balcone. - Disse al poliziotto, ora con voce tranquilla. - Stavo facendo il caffè, lo
vuoi?
Il poliziotto disse di sì e Damian piazzò la piccola moka su una piastra portatile per poi uscire a sua
volta sul balcone, Antonella fece lo stesso e Mark osservò prima la ragazza, poi il ragazzo che però
non batté ciglio portandosi a sedere e prendendo dal tavolo un pacchetto di sigarette, estraendone
una e accendendola con un piccolo sbuffo di fumo bianco che si arrotolò su se stesso salendo
lentamente, colpito dai raggi del sole.
Mark parlò per primo. - Il fatto che tu abbia un nome nuovo non ti permette di tornare qui come
se niente fosse, dovevi avvisarmi che saresti venuto in città.
Il ragazzo sorrise. - Motivo?
Mark non seppe rispondere e Damian rise nuovamente come a voler confermare i suoi sospetti -
Non preoccuparti Mark, non sono qui per te.
L'uomo annuì. - Lo so ma stai combinando un po’ troppo casino in un momento in cui già c’è
abbastanza movimento.
Damian sbuffò un'altra nuvola di fumo verso l’alto lasciandosi scivolare appena sulla sedia per stare
più comodo. - Che vuoi dire?
Mark sorrise con fare beffardo. - Non ne sai niente tu dell’omicidio del cantante? O della rapina
della stessa notte. - Adam fece spallucce e il poliziotto continuò. - Immaginavo che non fossi stato
tu ma hai appena messo il dito tra il cane e il gatto.
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Adam si morse il labbro inferiore con fare riflessivo. - Il commissario?
Il poliziotto annuì nuovamente.
- E in che modo? Se posso. - Chiese incuriosito mentre, intanto, anche Antonella, con le braccia
posate sulla ringhiera del balcone, si era accesa una sigaretta e ascoltava la conversazione tra i due.
Mark continuò mentre il suono della caffettiera raggiunse i tre sul balcone così come l’aroma del
caffè. Adam voltò il capo verso Antonella sentendo quel profumo ma lei era già andata in stanza a
spegnere il fornello, si alzò dalla sedia e aiutò la ragazza prendendo le tazzine e lo zucchero da un
piccolo mobiletto. Non visto le si accostò posandole le tazzine davanti e immergendo il naso nei
suoi capelli profumati, inspirando a fondo e baciandole poi la nuca. La donna sorrise portando la
mano, con la sigaretta tra le dita, tra i capelli di Damian mentre con l’altra versava il caffè nelle
tazzine poi l’uomo mise le tre tazzine su un piatto e le portò fuori poggiandole sul tavolo mentre la
donna portò lo zucchero insieme ad una bottiglia d’acqua e i bicchieri.
- Quindi. - Proseguì Mark spazientito. - Adesso i tuoi amici sono con Angel.
A quelle parole il sorriso sul volto del ragazzo svanì. - Cosa?
Adesso toccò a Mark farsi una bella risata. - Eh sì, che cosa ti aspettavi?
Damian fece un altro tiro alla sigaretta mentre Antonella metteva lo zucchero nel caffè. - Com’è
possibile?
Mark lo fissò intensamente. - Dimmelo tu, è stato tuo il giochetto dei documenti.
Damian rimase sgomento. - La lettera… avevo previsto tutto ma non questo.
Mark sembrò soddisfatto dal vedere l’espressione preoccupata sul viso del ragazzo. - Angel e Sirio
hanno occhi e orecchie dappertutto, avresti dovuto includerlo nei tuoi piani.
Il ragazzo posò il gomitò sul tavolo passandosi l’indice sulle labbra, pensieroso, e fu Antonella a
parlare.
- Mark è in entrambe le schiere. - Disse con tono sereno e Damian la guardò senza smuoversi da
quella posa statica e riflessiva, come se avesse colto il senso delle sue parole, e acconsentì.
- Sì, faremo così.
Mark guardò prima la donna, poi il ragazzo. - Glie l’hai detto? - Damian non fece il minimo
movimento mentre Mark parlava con astio. - Bastardo dovrei ammazzarti qui sul momento.
Ancora una volta Damian non disse nulla in risposta alle sue provocazioni ma riprese a parlare
come se il poliziotto non avesse detto nulla. - Andrai da questo contatto. - Disse prendendo dal
taschino della camicia un pezzo di carta e la penna che aveva sempre con sé per poi scrivere un
nome. - Un amico di università, dovrebbe essere ancora nei paraggi, devi scoprirlo.
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Mark si alzò infuriato - Io non farò proprio un bel niente!
Damian prese la tazzina e bevve un sorso di caffè guardando il poliziotto mentre Antonella si era
seduta con i due al tavolo. - Sei libero di non farlo Mark ma lascio a te la scelta.
L'uomo s’incupì tornando a sedere e con un gesto brusco prese il fogliettino dal tavolo leggendo il
nome. - E' in città. - Mugugnò nervoso. - E so dove abita, ma non aspettarti altro.
Damian fece un sospiro poi studiò il volto del suo interlocutore come a volerne leggere il
comportamento.
- Facciamo così. - Disse infine bevendo l’ultimo sorso di caffè e facendo un altro tiro alla sigaretta
per poi spegnerla nel posacenere. - Tu aiutami in questa storia ed io firmerò una testimonianza
che ti scagiona completamente liberandoti in un colpo da me e da qualsiasi pista futura.
A queste parole Mark si zittì prendendo a sua volta la tazzina e cominciando a bere, buttò giù il
caffè tutto d un fiato. - Come potresti?
- Sai come sono bravo ad architettare questi piccoli stratagemmi. - Disse con un mezzo sorriso. - Tu
hai contatti importanti su entrambi i fronti, non sarà difficile mettere su una piccola messa in scena
falsificando la firma di qualche testimone.
Mark sorrise con fare sinistro - Potrei farlo da solo.
Damian scosse nuovamente il capo. - Sai che non riusciresti a mettere su una trama adeguata
senza il mio aiuto e che nessun altro sarebbe disposto a farlo.
Il poliziotto si prese qualche secondo per riflettere e nel frattempo Antonella fece scivolare la
mano sulla superfice del tavolo prendendo quella del ragazzo tra le dita e lui fece lo stesso
guardando sempre il poliziotto che alla fine sembrò rassegnarsi.
- Sia dunque, ti darò una mano e sarà meglio per te che rispetti la parola data.
Il ragazzo annuì e il poliziotto si alzò dalla sedia uscendo dalla stanza imprecando sottovoce.
Nel frattempo Lisa, dalla finestra del bagno, aveva ascoltato ogni cosa.
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Capitolo 8
Albert percorreva il viale principale della città dirigendosi a passo svelto verso casa con in spalla il
cilindro di plastica contenente i disegni dei suoi progetti. Era un ragazzo sveglio e intraprendente,
sempre a caccia del modo di procurarsi soldi inventando improbabili apparecchiature militari
destinate alla criminalità. Nei suoi abiti alla moda percorreva i marciapiedi di Lerix mentre la sera
era ormai arrivata, veloce e prepotente, non poteva immaginare che Mark lo stesse seguendo.
Raggiunto l’appartamento infilò la chiave nella serratura attivandone il meccanismo ma appena la
porta fu aperta venne bloccato, trattenuto da quella che scoprì essere la mano di Mark.
- Noi due dobbiamo fare una chiacchierata. - Disse mostrando il distintivo e Albert trasalì a quella
vista.
- Non ho niente da dire. - Disse cercando di liberarsi dalla presa del poliziotto.
- E invece sì. - Insistette quello spingendolo a forza dentro casa.
Albert rischiò di cadere per la spinta e si rialzò con uno slancio mentre il poliziotto entrava dietro di
lui accendendo le luci dall’interruttore accanto alla porta.
- Bella casa. - Disse l’omaccione muovendo qualche passo in quello che era un ingresso open space
di un monolocale grazioso e arredato in stile moderno.
L’uomo afferrò la custodia dalle spalle del ragazzo che la trattenne ma che non poté nulla davanti
alla forza bruta del poliziotto poi, con il cilindro tra le mani, si mosse lentamente verso il salotto
lasciandosi cadere sul divano con fare arrogante.
- Che cosa abbiamo qui? - Chiese aprendo il coperchio e sfilando i fogli.
Albert intanto stava cercando di allontanarsi ma dovette fermarsi quando sentì il suono del carello
della pistola caricare il colpo in canna. Si voltò, Mark era seduto sul divano e lo teneva sotto tiro.
- Seduto. - Intimò al ragazzo indicando con la pistola la poltrona accanto a lui e Albert dovette
obbedire per forza di cose. Mark attese che l’ordine fosse eseguito e poggiò la pistola sul divano,
accanto a lui. - Allora. - Disse aprendo i fogli. - Ah... è un ingegnere signor Albert?
Il ragazzo annuì intimorito. - Ingegnere meccanico.
Il poliziotto fece finta di essere sorpreso. - E questi sono suoi progetti?
Albert confermò in silenzio.
- Immagino che a molte aziende interessi un set completo di attrezzature all'avanguardia per aprire
le casseforti. - Commentò con tono inquisitorio.
Il ragazzo deglutì, palesemente in difficoltà, poi si fece coraggio cercando di prendere il coltello
dalla parte del manico. - Mi vuole arrestare per qualche disegno?
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L’uomo scosse il capo sorridendo - No no, io ti voglio arrestare perché ti abbiamo visto uscire dalla
casa del più importante criminale della città con una pila di progetti di armi, protezioni e
marchingegni vari. - Albert sbiancò di colpo e l’uomo rise per poi proseguire. - Cos’ha da dire il
buon ingegnere a sua discolpa? - Ma ancora una volta il ragazzo rimase in silenzio quindi Mark tirò
un sospiro stanco. - Basta con questa pagliacciata.
Albert lo fissò. - Cosa?
Il poliziotto gettò i disegni sulla poltrona vicina. - Perché sei andato da Angel?
Trovandosi ormai allo scoperto Albert sollevò le braccia con fare rassegnato. - Volevo provare a
vendergli qualche progetto.
Mark si prese qualche momento per pensare. - Come sapevi che Angel abitava li?
Il ragazzo fece spallucce. - Se sei nel giro prima o poi lo trovi qualcuno che ti indirizzi verso i pezzi
grossi.
L’uomo scosse il capo ancora una volta tenendo gli occhi fissi su quelli di Albert ma poi sembrò non
voler approfondire la questione. - Un cliente ha bisogno di qualche tuo progetto, sembra che
almeno a qualcuno tu piaccia.
Il ragazzo spalancò gli occhi stranito. - Un... un cliente?
Mark annuì. - Un cliente.
- Che genere di progetti?
L’uomo afferrò la pistola alzandosi in piedi e rimettendola a posto dietro la cinta. - Ti faremo
sapere, intanto tieniti disponibile e operativo e, soprattutto, tieniti alla larga da Angel. - E detto
questo si avviò uscendo dalla porta e lasciandola sbattere alle sue spalle.
Albert rimase sbigottito, seduto sulla poltrona, nel silenzio della casa vuota.
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INTERMEZZO
Angel era seduto nel salotto della casa dei due ragazzi, sapeva che era il primo posto in cui Sirio
avrebbe spedito le sue squadre per la caccia agli assassini ma sul suo viso non c’era l’ombra del
turbamento. Fuori dalla casa, infatti, le strade erano sorvegliate dai suoi uomini ed erano stati
creati una serie di diversivi per ostruire le vie principali e creare traffico nella città.
Il telefono dell’uomo cominciò a squillare, rispose, annuì un paio di volte e poi scoppiò in una
grassa risata. - Quanto?
L'uomo all’altro capo del telefono rispose ripetendo la cifra e il truffatore rise ancora. - Roba da
pazzi, annulla tutto, non ho intenzione di spendere tutti quei soldi per far fuori un ragazzino.
Questo tizio sarà pure bravo ma la sua parcella è esagerata anche per me. Annulla tutto. - Ripeté in
fine ma la voce dall’altra parte aggiunse qualcosa e Angel ascoltò attentamente mentre i ragazzi
tornavano nel salone costringendolo ad abbassare la voce. - Non preoccuparti, troveremo una
soluzione alternativa. - quindi chiuse il telefono e sorrise cordialmente ai quattro. - Pronti?
Adam parlò per primo. - No, non siamo pronti. Vogliamo capire cosa sta succedendo.
Angel li osservò attentamente. - Due sospettati di omicidio e due complici mi stanno chiedendo
perché la polizia li cerca mentre le pattuglie si stanno dirigendo nel luogo in cui si trovano. -
Sorrise. - Non sarebbe meglio rinviare a più tardi questa conversazione? Anche di solo una
mezz’oretta?
I quattro sembrarono d’accordo