ETICA ED ECONOMIA_Andrea-Punzi

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    ETICA ED ECONOMIA. ANTICHE PARENTELE E INCAUTEASSIMILAZIONIAndrea Punzi

    Introduzione

    Per vedere quello che abbiamo davanti al naso serveuno sforzo costante.

    (George Orwell)

    per questo che sentire molto per gli altri e poco per se stessi, frenare i sen-timenti egoistici e secondare quelli benevoli, costituisce la perfezione della na-tura umana 1 . Lautore della frase sopra citata Adam Smith, padredelleconomia politica e teorico del liberalismo classico. Smith ha scritto La ric-chezza delle nazioni, uno dei libri fondamentali della moderna scienza economica

    allorigine di ci che intendiamo con il termine capitalismo mentre occu-pava la cattedra di Filosofia morale dellUniversit di Glasgow. Possibile che unfilosofo morale si occupasse di economia e che, in pi, scrivesse un libro con-siderato la Bibbia dei teorici del mercato libero e del laissez faire? Se questo fat-to appare oggi stravagante, se non addirittura impensabile, allora bene fare unpasso indietro e capire perch la dimensione etica e quella economica appaionooggi come due universi distanti, irriducibili e incompatibili.

    Lorizzonte etico e quello economico sono in realt accumunati da unadiscendenza comune. Una parentela etimologica che risale al mondo grecoclassico, e che riflette la volont di un pensiero filosofico e critico che intende-

    va i campi dellagire etico e dellapraxiseconomica come profondamente inter-

    secati, entrambi ingredienti fondamentali della paideiaclassica. Ci appare evi-dente, come gi detto, dallorigine etimologica dei termini odierni etica ed e-conomia. Il termine etica, infatti, viene comunemente fatto risalire al lemmagreco ethos, inteso come labitare, il trattenersi in un luogo, la necessit dipervenire a una stabilit protetta. Dallaltra parte, la parola economia trovala sua radice nellespressione greca oikos, originariamente tradotta come casa,abitazione, luogo in cui si dimora, nella sua particolare accezione di ric-chezza posseduta da tutelare. Questa piccola escursione filologica non deveper distrarre il lettore: serve unicamente ad affrescare uno sfondo al nostrodiscorso sul legame di parentela che unisce la dimensione etica a quella econo-mica. Una profonda connessione che non sfuggiva, come abbiamo visto, ai

    grandi padri delleconomia moderna, ma che pare ora essere stata rimossa daldibattito pubblico sul tema.Uno sguardo dinsieme allattualit pu dunque indicarci la strada da se-

    guire: la grave crisi economica che stiamo vivendo interroga nella sua essenza illegame fra etica ed economia. Ne porta alla luce le contraddizioni, le incon-gruenze, le discendenze e le possibili assimilazioni. Cionondimeno essa ha inprimo luogo fatto emergere la fragilit di un intero modello di sviluppo eco-nomico. Diciamo, per maggior chiarezza, che ha rimesso in discussione le basidel nostro (occidentale) modello capitalistico di produzione della ricchezza.Non saremo di fronte alla crisi del capitalismo tout court, ma ci a cui stiamo as-

    1 A. Smith, citato in T. Judt, Guasto il mondo, trad. it. di F. Galimberti, Laterza, Bari 2011, p. 48.

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    sistendo senza dubbio la crisi di un certo tipo di capitalismo, basato su inso-stenibili squilibri macroeconomici, sul leverage, su profonde e sempre pi accen-tuate disuguaglianze sociali. Un modus operandiche si declina in un agire schiac-ciato sul breve e brevissimo periodo, facente leva sulla mercificazione dei rap-porti interpersonali e funzionale a una finanza fine a se stessa, basato sulla pre-sunta capacit del mercato di autoregolamentarsi, letteralmente sguinzagliatodal progressivo e inarrestabile depotenziamento del sistema delle regole e deicontrolli.

    In questo lavoro inevitabilmente inadeguato rispetto alla maggiore pro-fondit e analiticit che la complessit e gravit degli argomenti trattati impor-rebbe , saranno presentate due testimonianze ritenute fondamentali per com-prendere il nucleo essenziale del dibattito sul rapporto tra letica e leconomia.La significativa e per certi versi straordinaria esperienza professionale e di vitadi Walther Rathenau2 far da contraltare alla voce di uno dei pi importanti os-servatori della realt politica ed economica del XX secolo, Wilhelm Rpke3,della cui riflessione sul tema in oggetto saranno evidenziati limiti e punti di for-za.

    Anticipiamo, dunque, la tesi conclusiva che questo lavoro si propone diaffidare al lettore. Se da una parte, infatti, vero che etica ed economia sonofiglie di un progenitore comune, il procedere anche e soprattutto con unmovente critico a incaute assimilazioni, pu distogliere dal cuore del pro-blema, identificabile non tanto in una presunta assenza di eticit nellazioneeconomico-capitalistica, quanto in un sempre pi profondo deficitdi capacitpolitica e di gestione nei confronti di un sistema economico segnato da pro-fonde ambiguit, contraddizioni e cattivi meccanismi di funzionamento.

    La crisi di un modello. Rpke e la critica alleconomia di mercato

    Spegneremmo anche la luna e il sole, se ci aspettassi-mo da loro dei dividendi.

    (John Maynard Keynes)

    Come abbiamo visto, fin dai tempi di Adam Smith leconomia nasce allinternodel corpo di scienze morali. Solo con la rivoluzione neoclassica leconomia ini-zia ad assumere la fisionomia di una scienza autonoma, volta a studiare i com-portamenti dellhomo conomicusbasandosi sugli assiomi del comportamento ra-zionale e della massimizzazione dellutilit individuale, indifferente a ogni con-siderazione etica o valoriale.

    In base a questo teorema, che vuole lagire economico costituito da unasua propria e specifica valenza epistemologica, la massimizzazione dellutilitindividuale non sarebbe un elemento di accentramento dei benefici ma, al con-

    2 Walther Rathenau (Berlino, 29 settembre1867 Berlino-Grunewald, 24 giugno1922) statoun politico e imprenditore tedesco, Ministro degli Esteri della Repubblica di Weimar, assassina-to il 24 giugno 1922.3 Wilhelm Rpke (Schwarmstedt, 10 ottobre1899 Ginevra, 12 febbraio1966) stato un eco-nomista svizzero, tedesco di nascita, padre della social market economy. Da un punto di vista eco-nomico e finanziario, Rpke auspicava la nascita di una sorta di umanesimo economico, chelui stesso definiva terza via, ossia un compromesso tra il liberalismo e il socialismo. Nella socie-

    t che egli teorizzava i diritti umani erano il perno fondamentale, e lindividualismo tipico delpensiero liberale veniva bilanciato da principi di collettivit e solidariet .

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    trario, da essa si produrrebbe, secondo meccanismi interni, il massimo di beneprivato e pubblico. Anche per le pi recenti versioni del liberismo economico,il mercato (fulcro essenziale dellorganismo economico), attraverso il dispie-garsi della concorrenza, il luogo in cui un automatismo implicito nella logicaeconomica permetterebbe di eguagliare i prezzi ai costi marginali, massimiz-zando la rendita del consumatore e limitando i profitti a un livello di equa re-munerazione dellattivit dimpresa, garantendo cos livelli di ricchezza adeguatiper tutti. Malgrado queste assunzioni di verit invero ancora adesso credutetali da pi parti proprio questa sovrastruttura ideologica a essere andata de-finitivamente in crisi, ad aver drammaticamente mostrato il suo difetto di fun-zionamento.

    La crisi affonda pertanto le sue radici in un grave errore epistemologico.Essa ha mostrato una serie di lacune conoscitive sul funzionamentodelleconomia di mercato. Ha messo a nudo tutta la presunzione degli operato-ri economici che si sono susseguiti nel tempo e che hanno fatto del mercatounideologia semplificatoria. I mercati, che consideravamo tra gli strumenti piefficienti e concorrenziali al mondo, non si sono rivelati tali. Lefficienza stessadel mercato ovvero la sua capacit di esprimere prezzi in grado di riflettereadeguatamente tutta linformazione disponibile non pu essere consideratauna situazione stabile che conduce a trovare sempre un equilibrio. Al contrario,

    vi in essa una tendenza a sviluppare bolle speculative che possono persinoportare i mercati al collasso e al fallimento. Il mercato, poi, condizionato con-tinuamente da spinte monopolistiche, non riesce ad autoregolamentarsi, a cor-reggere i propri eccessi e a porre rimedio ai danni provocati dai propri falli-menti. Non conduce di per s a ci che chiamiamo bene comune per sempli-ce sommatoria degli interessi individuali.

    Leconomia di mercato non sembra dunque essere un luogo cos perfettoed efficiente come abbiamo creduto finora. Per troppo tempo un atteggiamen-to ideologico e dogmatico ci ha spinto a ragionare in modo manicheo, per con-trapposizioni e mutue esclusioni: stato vsmercato, pubblico vsprivato, comuni-t vsindividuo, morale vsprofitto. Si pensava che queste antinomie rappresen-tassero il campo dove esercitare giudizi di valore tra fazioni contrapposte, incui quasi per necessit era esclusa ogni possibilit di compromesso, di raffor-zamento reciproco, di esercizio responsabile delle proprie competenze, in unalogica di mutuo coinvolgimento e di contaminazione. Dal punto di vista politi-co ha prevalso, in sintesi, la logica della contrapposizione piuttosto che quelladellinclusione. Una riflessione, questa, che non costituisce di certo una novitdal punto di vista del dibattito pubblico sul tema. Tanto vero che numerosi eimportanti esponenti del mondo accademico, politico ed economico non si so-no sottratti allarduo compito di sviscerare il tema del rapporto tra i meccani-smi e le finalit dellazione economica nella sua variante capitalisticadelleconomia di mercato e la dimensione etica dellagire umano.

    Un interessante punto di vista da cui guardare a queste questioni datodallinterpretazione che leconomista tedesco Wilhelm Rpke ha fornito circa icaratteri fondamentali delleconomia di mercato. Interessante oltre al fattoche (anche) dalle sue riflessioni pot emergere lidea di una terza via alternati-

    va allantitesi di capitalismo e socialismo poich la lettura data da Rpke deiproblemi relativi alle distorsioni e alle contraddizioni generate dal capitalismo

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    porta alla luce elementi di criticit che bene indicano il confine tra lagire eco-nomico stricto sensue lagire etico.

    Cionondimeno, i problemi sollevati da Rpke pi di quaranta anni fasembrano rimasti drammaticamente insoluti: una denuncia dellincapacitdelleconomia di mercato ad assolvere le funzioni fondamentali di salvaguardiadei diritti di libert individuale da una parte, e di tutela del bene comunedallaltra. Rpke, in particolare, rileva due rischi per la societ, qualora non fos-se messo un freno alla tendenza speculativa del mercato. Egli, infatti, affermache la concentrazione in poche mani del potere economico e politico da unaparte, e la frammentazione degli interessi particolaristici dallaltra assunti en-trambi gli aspetti come tendenze generali riscontrabili nella realt socio-economica costituiscono un serio rischio di collasso non solo dello specificomeccanismo di mercato, ma anche di un intero modo di concepire la creazionedella ricchezza.

    Il punto centrale per Rpke riguarda dunque un grave deficitnel funzio-namento delleconomia di mercato, la quale non dispone in s e per s dellerisorse necessarie per affrontare questioni collocate al di fuori della sfera eco-nomica. Grossolano errore credere che lo stesso mercato possa, inquestottica, autocorreggersi e dare risposte concrete alla complessit delle pro-blematiche sociali e politiche collocate al di l della domanda e dellofferta.Lazione economica comprende, infatti, scelte di valore che determinano laconformazione del solo ordine economico rispetto allordine democratico dellasociet. Un punto, questo, fondamentale, che interroga, a nostro modo di ve-dere, lessenza della domanda etica nei riguardi della produzione capitalistica.

    In effetti, per Rpke la divaricazione tra agire economico e agire eticotrova la propria scaturigine in una certa visione del mondo, secondo la qualeogni tipo di meccanismo sociale, politico, economico e umano lato sensu, ri-sponderebbe a una logica razionalistica, rispecchiandosi in unillimitata fiducianella ragione illuministica (dalla fiducia incondizionata al funzionamento per-fetto dei mercati, a una visione puramente econometrica dei meccanismi eco-nomici). Tale superbia della ragione, si traduce secondo Rpke in un perpe-tuo rubricare e classificare, anchesso ritenuto un errore esiziale del razionali-smo, il quale si compiace di appiccicare unetichetta alle cose e di considerarleperci scientificamente analizzate 4 . La questione se ci sia uneticanelleconomia affonda pertanto per Rpke in un passato ideologico che sispinge molto oltre i confini del dibattito pubblico corrente. Con questo fondoteologico-metafisico del razionalismo scrive Rpke si collega infine chia-ramente anche quella forma di cecit vitale e sociologica che si presenta comeottimismo assoluto rispetto alla naturale bont e ragionevolezza delluomo esbaglia esattamente come il corrispondente pessimismo assoluto, anchessoprofondamente radicato nella teologia5.

    Lerrore fondamentale del vecchio (attuale?) pensiero liberale capitalisti-co, secondo Rpke, stato precisamente quello di considerare leconomia dimercato come un processo chiuso in s, che si svolgesse automaticamente. Delresto, leconomia di mercato soltanto un dato ordinamento indispensabileentro un ambito ristretto, nel quale deve trovare il suo posto pura e non falsata;

    4 W. Rpke, Democrazia ed economia. Lumanesimo liberale nella civitas humana, trad. it. di S. Cotelles-

    sa, il Mulino, Bologna 2004, p. 98.5 Ivi, p. 110.

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    abbandonata a se stessa diventa pericolosa, anzi insostenibile, perch ridurreb-be gli uomini a unesistenza non naturale che tosto o tardi essi si scrollerebberodi dosso insieme con leconomia di mercato diventata odiosa. Questa ha dun-que bisogno di una solida cornice che per brevit chiameremo la cornice an-tropologico-sociologica. Se questa si spezza, anche leconomia di mercato di-

    venta impossibile6. Per poi concludere: leconomia di mercato non tutto.

    Progetto etico e impresa economica: Rathenau profeta del 900

    Io sono ora convinto che nessun grande progresso nellasorte degli uomini sia possibile fino a quando non av-venga un effettivo mutamento nella struttura fonda-mentale dei loro modi di pensare.

    (John Stuart Mill)

    La domanda etica intorno al senso dellazione economica nasce, secondo Ra-thenau, nel momento in cui questultima diventa motivo di interesse comunita-rio. Quando, cio, si assiste a una trasformazione dellassetto economico nelquale il singolo individuo non pi responsabile di fronte a se stesso per ciche produce e amministra. Lespansione economica diventa pertanto indipen-dente dalle vicende individuali e dai movimenti delle propriet. Questa, sostie-ne Rathenau, la grande rivoluzione operata dallavvento delle societ per a-zioni, nelle quali produzione e ricchezza divengono un fatto collettivo e diredistribuzione degli interessi e del rischio.

    Secondo Rathenau, lo svincolarsi dellamministrazione economica priva-ta dellimprenditore da quella della sua azienda un sintomo significativo diquesto processo di trasformazione del capitalismo moderno. Lo sviluppo dellesociet per azioni , poi, la manifestazione pi rilevante di questo medesimomutamento, per cui come abbiamo visto lespansione economica diviene(in linea teorica) indipendente dalle vicende individuali e dai movimenti dellapropriet. Tale trasformazione legata alla propriet dellimpresa, muta il profilostesso di questultima, generando la necessit di una nuova considerazione cri-tica del fenomeno economico in quanto tale, che Rathenau riassume in manieralapidaria nei seguenti termini: leconomia non pi affare del singolo, bensdellinsieme []. Leconomia non continua pi ad essere un affare privato, di-

    venta res publica, affare di tutti7.Al di l delle conclusioni che lo stesso Autore trae da queste affermazioni,

    egli coglie un aspetto saliente della trasformazione economica che in quegli an-ni (siamo a cavallo tra le due guerre mondiali) si stava verificando nel mondooccidentale. Limpresa economica avrebbe assunto i caratteri di un vero e pro-prio progetto etico e politico, in quanto, sempre secondo il finanziere tedesco,la spersonalizzazione del fondamento dellimpresa, avrebbe finito con il le-garsi allaffermazione di istanze etiche allinterno della vita economica degli in-dividui e della societ. Anche e soprattutto perch scrive Rathenau lagrande impresa oggi, in generale, non pi semplicemente una strutturadinteressi giusprivatistici, ma piuttosto sia singolarmente sia nel suo nume-

    6 W. Rpke,Etica e mercato. Pensieri liberali, trad. it. di M. Baldini, Armando Editore, Roma 2001,

    p. 39.7 Id., Leconomia nuova, trad. it. di G. Luzzatto, Einaudi, Torino 1976, p. 3.

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    ro complessivo un fattore di economica pubblica, che fa parte della comuni-t8. Non si tratta tuttavia di una mera statalizzazione delleconomia (comemolti critici hanno erroneamente valutato ai danni di Rathenau), bens del fattoche una tale svolta nei meccanismi di produzione e distribuzione economicafinisce inevitabilmente per accrescere la consapevolezza che il singolo non pi responsabile unicamente di fronte a se stesso per ci che produce dal pun-to di vista finanziario ed economico.

    In questa visione delluniverso economico risiede linteresse di Rathenaunei confronti di un richiamo alleticit dellazione economica. Non siamo difronte pertanto, come sar per Rpke, ad una critica tout courtai mali di una cer-ta inadeguata versione del capitalismo, quanto piuttosto al tentativo in uncerto senso profetico di individuare nellorizzonte dello sviluppo politico-economico nuovi spazi per una valutazione dei fini della stessa azione econo-mica. Di fronte a nuovi scenari, quindi, occorrono nuove tensioni (nuove eti-che) politiche ed economiche. In ci Rathenau incarna appieno lo spiritonietzschiano della trasvalutazione dei valori, giacch sente potentementelemergere di cambiamenti epocali, tali per cui solo la fiducia in una crescitarazionale della societ risulta essere il fattore-chiave per governarli nel benedella collettivit.

    La lezione che si trae dallinsegnamento di Rathenau potrebbe essere sin-tetizzata in questi termini. Per chi soggetto dellimpresa economica ragionaredi etica vuol dire soprattutto rispondere in linea con quanto energicamentesostenuto dallo stesso Rathenau a un principio di responsabilit che vada ol-tre il significato morale che le singole azioni o le singole scelte possono averenei momenti in cui ci disponiamo ad agire. Per farlo occorre sempre esserepronti a rispondere del proprio operato, non in virt delle proprie convinzioni

    per quanto esse possano essere considerate morali ma in virt della pro-pria responsabilit, vale a dire pensando sempre alle conseguenze dellagirecome del non agire, soprattutto quando le azioni implicano forti ripercussioni,quando generano rilevanti e pervasivi effetti per la comunit di riferimento. Seun atteggiamento corretto, trasparente e responsabile non riconoscibile e ri-conosciuto dagli altri, dai propri interlocutori che siano clienti, collaboratorio cittadini allora, sic et simpliciter, viene meno la fiducia, il collante di ogni so-ciet.

    Letica, nella politica e nella condotta, cos come nellimpresa e nel mer-cato, si realizza quindi passando per i due poli della responsabilit e della fidu-cia. Responsabilit da parte di chi amministra, governa e muove i capitali. Fidu-cia nel proprio interlocutore, nelle sue potenzialit, nei suoi interessi, nel ruoloche potrebbe svolgere non solo pro domo sua, ma anche a vantaggio dellinterasociet, dellintero indotto produttivo, dellintero capitale comune.

    La grande visione altamente politica di Rathenau era destinata per ainfrangersi contro lemergente violenza nazifascista, ma forse, ben pi dram-maticamente, contro un muro di ignoranza e indifferenza che il grande tedescofin per pagare con la propria stessa vita. Egli fu uno dei primi a comprendereche lunica via praticabile per un nuovo risorgimento delle nazioni,allindomani del disastro della Grande Guerra, sarebbe passata per la riconcilia-zione dei popoli e per la distensione internazionale. Ed lArnhaim-Rathenau

    8 Id., Lo stato nuovo e altri saggi, trad. it. di R. Racinaro, Liguori Editore, Napoli 1980, p. LV.

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    quello che Robert Musil nel suo capolavoro Luomo senza qualitdipinge in unaffresco rimasto nella storia della letteratura del XX secolo:

    Egli era un uomo di grande formato. La sua attivit si estendeva sui continenti dellaterra come su quelli del sapere. Egli conosceva tutto: i filosofi, lamministrazione sta-

    tale, la musica, il mondo, lo sport. Parlava correntemente cinque lingue. [] Era fa-moso perch nelle sedute dei consigli di amministrazione citava i poeti e affermavache leconomia non si pu disgiungere da tutte le altre attivit umane, e che bisognatrattarla in correlazione con tutti gli altri problemi della vita nazionale, spirituale e per-sino intima. [] Possedeva il talento di non mostrarsi mai superiore nelle cose singolee dimostrabili, e di venir sempre a galla in ogni situazione, grazie a un equilibrio fluidoe ad ogni istante automaticamente rinnovato, il che forse la qualit fondamentaledelluomo politico9.

    Lo spazio della politica e la finestra europea

    Nulla possibile senza gli uomini. Nulla durevole

    senza le istituzioni.(Jean Monnet)

    C allora una profonda contraddizione nel ragionamento che assume la possi-bilit che lagire economico (capitalistico) possa diventare pi etico. Per in-tenderci, un errore fondamentale lo compie, ad esempio, la critica della chiesacattolica al capitalismo degenerato10, nel momento in cui questo trova il suofine ultimo nel mero incremento dei profitti anzich nellequit e nella giustiziasociale. Si tratta di un errore molto comune tra le posizioni che ingaggiano unabattaglia per un capitalismo pi etico, in quanto molta confusione si generanel tentativo di definire lessenza stessa del capitalismo. Leconomia capitalisti-

    ca , infatti, essa stessa unetica che si pone come fine, secondo unipoteticamassima che facendo eco a Spinoza risuonerebbe in questi termini: deus siveutilitas. Il fine precipuo del capitalismo (il suo ethos) invero questo: la produ-zione di ricchezza e lincremento (potenzialmente infinito) di questa sotto for-ma di profitto. Unevidente semplificazione, ma che probabilmente mette benein luce la fallacia argomentativa nel momento in cui a tal fine se ne voglia sosti-tuire un altro di diverso tipo, che sia il bene comune, la giustizia sociale, la tute-la dei diritti, etc.

    Se il capitalismo assume uno scopo diverso da quello impostogli dalla suastessa natura, allora esso cessa di essere tale: se ne , pertanto, invocata implici-tamente la morte pur volendolo soltanto eticamente riformato (senza, per al-

    tro, proporre unalternativa valida e radicale). bene precisare che lhabituse-conomico sottostante allidea del capitalismo non pu essere unicamente ridot-to alla sola logica di mercato, ma costituisce una vera e propria weltanschauung,potentissima e onnicomprensiva, allinterno della quale siamo tutti calati comeagenti sociali ed economici. questa, infatti, la nostra peculiare forma di vitaeconomica, la quale ripetiamolo porta con s una precisa connotazione eti-ca. Il capitalismo, pertanto, non pu essere in alcun modo regolato eticamen-te, perch esso stesso gi un ethos, che come lucidamente gi mostr Marx

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    W. Rathenau, Leconomia nuova, cit., p. XXVIII.10Cfr. Benedetto XVI, Caritas in veritate, Libreria editrice vaticana, Citt del Vaticano 2009.

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    procede per crisi, in quanto intrinsecamente contradditorio e ciclico (cfr. ilciclo DMDI).

    Come intendere, dunque, il rapporto tra la dimensione economica e quel-la etica, un tempo unite, oggi drammaticamente tanto distanti quanto fraintesenella loro essenza? Come abbiamo scritto pi sopra, se da una parte, infatti,

    vero che etica ed economia sono figlie di un progenitore comune, il procedere anche e soprattutto con un movente critico a incaute assimilazioni, pudistogliere dal cuore del problema, identificabile non tanto in una presunta as-senza di eticit nellazione economico-capitalistica, quanto a un sempre piprofondo deficitdi capacit politica nei confronti di un sistema economico attu-ale segnato da profonde ambiguit, contraddizioni e cattivi meccanismi di fun-zionamento.

    Sotto lapparente mancanza di una consapevolezza etica nella conduzio-ne della res conomica, vi oggi un ben pi grave problema di natura politica checoinvolge soprattutto lincapacit da parte dei leadersdi portare avanti il comuneprogetto politico europeo, lunico verofirewallal dilagare della crisi economicae sociale. Alla crisi delleconomia fa quindi da contraltare una grave crisi politi-ca che torna a unire il destino dei singoli stati a quello della struttura stessadellEuropa, cos come la pensarono e progettarono i padri fondatoriallindomani della fine della seconda guerra mondiale. Il ruolo della politica, neltentativo di arginare la crisi etica delleconomia, non pu pi fermarsi, laKeynes, al sostegno di unazione anticiclica a favore di un maggior dirigismostatalista e di una pi ferrea regolamentazione. Passi concreti devono esserefatti perch la politica trovi uno spazio organico e coerente di azione e di go-

    verno sui processi economici, puntando sullunione delle forze positive piutto-sto che sulla frammentazione degli interessi localistici e particolaristici.

    La politica secondo la grande visione di un autentico politico come Je-an Monnet deve consentire non tanto la risposta alla richiesta di uneconomiapi etica, quanto il ritorno a unetica politica che identifichi il fine ultimo dellapropria azione nella costruzione di unEuropa unita sopra e tra le nazioni. Inquestottica, attualissime ed essenziali appaiono le seguenti parole di Luigi Ei-naudi, pronunciate sessantanni orsono allalba di una nuova idea di costruzio-ne politica su base europea che si stava allora cercando coraggiosamente di rea-lizzare:

    Se noi non sapremo farci portatori di un ideale umano e moderno nellEuropa doggi,smarrita ed incerta sulla via da percorrere, noi siamo perduti e con noi perdutalEuropa. Esiste, in questo nostro vecchio continente, un vuoto ideale spaventoso.

    Quella bomba atomica, di cui tanto paventiamo, vive purtroppo in ognuno di noi.Non della bomba atomica dobbiamo soprattutto aver timore, ma delle forze malvagiele quali ne scatenarono luso. A questo scatenamento noi dobbiamo opporci; e la sola

    via dazione che si apre dinnanzi la predicazione della buona novella.Quale sia questa buona novella sappiamo: lidea di liberta contro lintolleranza, dellacooperazione contro la forza bruta. LEuropa che lItalia auspica, per la cui attuazioneessa deve lottare, non unEuropa chiusa contro nessuno, unEuropa aperta a tutti,unEuropa nella quale gli uomini possano liberamente far valere i loro contrastanti i-deali e nella quale le maggioranze rispettino le minoranze e ne promuovano esse me-desime i fini, sino allestremo limite in cui essi sono compatibili con la persistenzadellintera comunit. Alla creazione di questEuropa, lItalia deve essere pronta a faresacrificio di una parte della sua sovranit.Scrivevo trentanni fa e seguitai a ripetere invano e ripeto oggi, spero, dopo le terribili

    esperienze sofferte, non pi invano, che il nemico numero uno della civilt, della pro-

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    sperit ed oggi si deve aggiungere, della vita medesima dei popoli il mito dellasovranit assoluta degli stati. Questo mito funesto il vero generatore delle guerre;esso arma gli stati per la conquista dello spazio vitale; esso pronuncia la scomunicacontro gli emigranti dei paesi poveri; esso crea le barriere doganali e, impoverendo ipopoli, li spinge ad immaginare che, ritornando alleconomia predatoria dei selvaggi,essi possano conquistare ricchezza e potenza.In unEuropa in cui in ogni dove si osservano rabbiosi ritorni a pestiferi miti naziona-listici, in cui improvvisamente si scoprono passionali correnti patriottiche in chi sino aieri professava idee internazionalistiche, in questEuropa nella quale a ogni pi sospin-to si veggono con raccapriccio riformarsi tendenze bellicistiche, urge compiereunopera di unificazione.[] Ma alla conquista di una ricca variet di vite nazionali,liberamente operanti nel quadro della unificata vita europea, noi non arriveremo maise qualcuno dei popoli europei non se ne faccia banditore11.

    11Luigi Einaudi, La guerra e lunit europea, il Mulino, Bologna 1986, pp. 48-9.