Enzo bianchi

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Anno pastorale 2011-12 Parrocchia Sant' Antonino Martire di Castelbuono (PA) Parroco Don Mimmo Sideli Ciclo di conferenze "I mendicanti dell'Assoluto" tenuto da P. Filippo S. Cucinotta, OFM; docente di Teologia orientale della Pontificia Facoltà Teologica "San Giovanni Evangelista" di Palermo Incontro su Enzo Bianchi

Transcript of Enzo bianchi

comunità parrocchiale “S. Antonino martire”Castelbuono

  

I segnali silenziosi e i molteplici indizi

 In dialogo con i mendicanti dell’Assoluto

   

Anno pastorale 2011-2012

IV Convegno Ecclesiale Nazionale

«… La società in cui viviamo va compresa nei suoi dinamismi e nei suoi meccanismi, così come la cultura va compresa nei suoi modelli di pensiero e di comportamento, prestando anche attenzione al modo in cui vengono prodotti e modificati. Se ciò venisse sottovalutato o perfino ignorato, la testimonianza cristiana correrebbe il rischio di condannarsi a un’inefficacia pratica».

I modelli di pensiero

22 Ottobre: F. Nietzsche

19 Novembre: E. Severino

10 Dicembre: E. Scalfari

14 Gennaio: H. Küng

25 Febbraio: C.M. Martini

24 Marzo: E. Bianchi

21 Aprile: E. De Luca

19 Maggio: E. Hillesum 

Ogni cosa alla sua stagione

Einaudi, Torino 2010

Cicerone: «Io individuo quattro motivi per cui la vecchiaia sembra triste: primo, perché allontana dall’attività; secondo, perché indebolisce il corpo; terzo, perché nega quasi tutti i piaceri; quarto, perché non dista molto dalla morte».  

E. Bianchi e il quinto motivo: l’era della tecnica ha spiazzato e reso fuori luogo l’adagio che legava vecchiaia e sapienza e vedeva nell’anziano il depositario di una memoria, di un’esperienza che lo rendeva elemento fondamentale nel gruppo sociale.  

K. Barth: «Finché era più giovane, l’uomo poteva ancora immaginarsi di essere lui stesso ad andare incontro al suo Signore. L’età deve diventare per lui l’occasione per scoprire che invece è il Signore che gli viene incontro per assumere il suo destino». 

C.G. Jung: «Ciò che la giovinezza troverà al di fuori, l’uomo nel suo meriggio deve trovarlo nell’interiorità».

Questo libro è un viaggio nel tempo, nella vita che scorre, nei giorni di un uomo e in quelli delle stagioni

Le Stagioni dell’anno

Le Età della vita

I Valori

I Personaggi

Le Stagioni dell’anno

Le Età della vita

I Valori

I Personaggi

Estate (i giorni degli

aromi)

Infanzia Il vino Il parroco

Le Stagioni dell’anno

Le Età della vita

I Valori

I Personaggi

Estate (i giorni degli

aromi)

Infanzia Il vino Il parroco

Autunno (i giorni del

focolare)

Fanciullezza La tavola I Morti

Le Stagioni dell’anno

Le Età della vita

I Valori

I Personaggi

Estate (i giorni degli

aromi)

Infanzia Il vino Il parroco

Autunno (i giorni del

focolare)

Fanciullezza La tavola I Morti

Inverno (i giorni del

presepe)

La giovinezza Il camino I Re magi

Le Stagioni dell’anno

Le Età della vita

I Valori

I Personaggi

Estate (i giorni degli

aromi)

Infanzia Il vino Il parroco

Autunno (i giorni del

focolare)

Fanciullezza La tavola I Morti

Inverno (i giorni del

presepe)

La giovinezza Il camino I Re magi

Primavera (i giorni della memoria)

La vecchiaia L’Amicizia I Genitori“Le madri”

Gli amici

Le Stagioni dell’anno

Le Età della vita

I Valori

I Personaggi

Estate (i giorni degli

aromi)

Infanzia Il vino Il parroco

Autunno (i giorni del

focolare)

Fanciullezza La tavola I Morti

Inverno (i giorni del

presepe)

La giovinezza Il camino I Re magi

Primavera (i giorni della memoria)

La vecchiaia L’Amicizia I Genitori“Le madri”

Gli amici

EstateI giorni degli aromi

 

Le Stagioni dell’anno

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Estate (i giorni degli

aromi)

Infanzia Il vino Il parroco

Autunno (i giorni del

focolare)

Fanciullezza La tavola I Morti

Inverno (i giorni del

presepe)

La giovinezza Il camino I Re magi

Primavera (i giorni della memoria)

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Gli amici

Lode al vino 

Noi esseri umani, a differenza degli animali, siamo capaci di comunicare anche con chi non vediamo, perché in realtà vediamo bene solo con il cuore.

L'amore nella “casa del vino”, la cella vinaria. Per noi monaci, da sempre lettori appassionati del Cantico, la cella è davvero “vinaria” anche se in essa non vi conserviamo il nettare fermentato dell'uva: conosciamo un'altra bevanda, un vino nuovo che ha attraversato i secoli.

Occorre qualcuno che educhi chi è giovane ad apprendere, proprio attraverso il vino, l'arte dell'autocontrollo, quell'arte che fornisce alla vita il senso della misura, l'accettazione del limite, l'accesso alla libertà che non degenera.

Nel cristianesimo il vino è una creatura essenziale e decisiva, senza la quale non si potrebbe fare memoria di Gesti e della sua vicenda. Ha iniziato la sua vita pubblica cambiando l'acqua in un ottimo vino.Si è congedato dai suoi nel corso di una cena di cui si ricorda solo “il pane e il vino” ...

La fede cristiana: per parlare di Dio ci consegna il racconto dell'uomo Gesù, per narrare la salvezza ci offre pane e vino e ci invita a un banchetto, per farci vivere la legge di Dio ci dice: “Amatevi gli uni gli altri”. Molte cose, forse, non ci saranno più, ma ci sarà il vino e ci saranno gli amici.

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Estate (i giorni degli

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Infanzia Il vino Il parroco

Autunno (i giorni del

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Primavera (i giorni della memoria)

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I falò [Il parroco]

 

Arrivavano i nuovi tempi e il parroco non si raccapezzava davvero più.

Credo che l'amarezza maggiore gli venisse dal non capire più il cambiamento non tanto dei tempi, ma piuttosto della “sua” gente, quelle persone a cui era davvero affezionato e che conosceva così bene, fin dalla loro infanzia.

Era preoccupato non perché stava perdendo il suo “potere”, ma perché temeva che si stessero perdendo uomini e donne cui continuava a voler bene come un padre.   

Di lì a poco il concilio si sarebbe fatto carico anche di quelle preoccupazioni, aprendo nuove vie per annunciare il Vangelo che non cambia in un mondo che stava cambiando a una velocità un tempo impensabile.  

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Infanzia Il vino Il parroco

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Fanciullezza La tavola I Morti

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Primavera (i giorni della memoria)

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AutunnoI giorni del focolare

 

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La tavola dell'umanizzazione  

La tavola è il luogo attorno al quale si consuma un rito proprio, fra tutti gli animali, solo all'essere umano: quello di mangiare insieme e non in competizione con i propri simili.

E, mangiando, parlare insieme: la tavola è il luogo privilegiato per la parola scambiata, per il dialogo: si comunica attraverso il cibo che si mangia e attraverso le parole che si scambiano. Mentre uno parla, gli altri mangiano e ascoltano, poi i ruoli si invertono quasi spontaneamente: chi tace smette di mangiare e inizia a parlare e chi ascolta riprende a mangiare.  

Occorre disciplina, consapevolezza dell'aggressività che ci abita: si tratta di evitare di parlare spinti da ciò che emotivamente ci domina, di vigilare sull'umanizzazione del nostro rapporto con il cibo e con la parola.

La sapienza monastica prescrive di iniziare i pasti in silenzio, dopo una preghiera di benedizione e ringraziamento. E’ un atteggiamento che andrebbe ripreso anche fuori da un contesto religioso, trovando adeguate modalità per porre una distanza tra sé e il cibo, per prendere coscienza di non essere i soli o i “primi” attorno a quella tavola e, di conseguenza, vigilare sulle parole che escono dalle nostre labbra.

Chi mi ha educato mi diceva sempre che è la tavola il luogo in cui ci esercitiamo a vivere la fede, la speranza, l'amore. In questa scuola di umanizzazione tre elementi legano il pasto dall'inizio alla fine: il pane, le bevande e la parola.

E’ la parola che costituisce il legame più profondo fra tutti gli attori del pasto: narra gli alimenti diversi che giungono in tavola, unisce i presenti e gli assenti, i commensali e gli altri,mette in relazione il passato con il presente, aprendoli al futuro.

La parola a tavola può essere davvero strumento di comunione, mezzo privilegiato per conferire senso al pasto, per valorizzare il gusto degli alimenti, per suscitare l'arte dell'incontro.

Stare a tavola insieme è un linguaggio universale tra i più determinanti e decisivi per l'umanizzazione di ciascuno di noi. Stare a tavola è molto più che saper nutrirsi: è saper vivere.   

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La stagione dei morti 

L'autunno, “la stagione dei morti”.Le foglie che cadono ci ricordano i corpi che si staccano dalla vita.La nebbia diventa padrona e i giorni si fanno sempre più corti.Gli anziani morivano più facilmente in quel mese.Qualcosa muore anche in noi alla fine di mesi pieni di vita e di frutti.

La campagna sembra vestirsi a lutto.La morte riconosceva quella dignità che spetta a ogni essere umano, al di là dei suoi comportamenti. Fedeltà, riconoscenza per “i nostri cari” e pietà, rispetto, per tutti gli altri.

I tumuli che segnavano le sepolture più recenti erano trattati con ancora maggior cura.Così quel mucchio di terra smossa era accudito con delicatezza estrema, sembrava quasi che si volessero rimboccare le coperte del letto attorno a un corpo troppo presto divenuto cadavere.

Anche chi non aveva mai donato un fiore a qualcuno mentre questi era in vita, ora compiva il gesto con convinzione, si piegava docile alla preziosità di quel segno di umano rispetto.

Nessuno era trascurato, nemmeno quanti erano vissuti soli e soli erano morti.Lo si percepiva come un dovere morale.Era una memoria silenziosa ma capace di gratitudine.

Nella cura anche fisica per i nostri morti è in gioco la nostra umanizzazione che non è solo vita nell'attimo presente, ma esistenza inserita in una storia che ci precede, ci attraversa, ci sorpassa.

Come le tombe dei nostri morti rafforzano in noi la realtà, la memoria e la grazia della loro presenza nella nostra vita e la consapevolezza della nostra propria morte, così anche noi siamo aiutati a vivere quest'ultima come un dono di memoria per quelli che restano o verranno dopo di noi.  

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InvernoI giorni del presepe

 

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Primavera (i giorni della

memoria)

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Il camino 

Nel cuore dell'inverno si cerca di moltiplicare le occasioni per far festa: Natale, l'anno nuovo, l'Epifania, il carnevale... poiché scarseggia la luce naturale si moltiplicano le “luci” create dagli uomini.

Ma l'inverno è anche stagione prodiga di insegnamenti, se solo lo si vuole ascoltare: tutto ciò che appare come una morte è in realtà un riposo.L'inverno diventa una metafora della nostra vita.L'inverno può anche essere dentro di noi e talora riusciamo a dirlo a noi stessi e agli altri.

L'aspetto dell'inverno che vivo con più costanza fin dalla mia infanzia è il camino.Il camino acceso era segno della vita che danzava intorno.Davanti a un camino acceso quel fuoco invita al silenzio e fa dell'ascolto reciproco un sussurro eloquente.

Se è vero che nell'amicizia il cuore arde, il fuoco del camino ne è l'icona più rappresentativa.

Giunta la notte si prende congedo dal camino con un rito che è quasi una compieta laica, il “coprifuoco”: si seppelliscono le braci sotto la cenere, con la cura ricca di speranza con cui si seppellisce un seme.

E’ un gesto di fede: domani ci sarà ancora fuoco, un fuoco che si riaccenderà nel camino per ardere ancora nel cuore.  

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Il sapore della speranza [l’Epifania]

 

I sapienti dei Vangeli diventano tre re e a ciascuno di essi viene “assegnato” uno dei doni.Ma questi sapienti dell'Oriente hanno costituito anche per gli ambienti più semplici l'immagine dell'alterità: i magi hanno rappresentato il simbolo del diverso, dello straniero che si fa prossimo.

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La PrimaveraI giorni della memoria

 

Senesco [la vecchiaia]

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C'è semplicemente da imparare a invecchiare, così come abbiamo imparato a esserebambini, poi giovani, poi uomini e donne maturi. Apprendiamo a vivere fino a imparare a morire. Il primo dato da assumere circa l'invecchiamento è che ciascuno ha il proprio, esattamente come per la vita.

Quando si è vecchi viene naturale riflettere sul proprio passato, perché quello pesa più del futuro che è poco e del presente che fugge, ma proprio i ricordi sono la grande ricchezza dei vecchi. Invecchiare bene significa invecchiare consapevolmente, continuando a curare uno stile di vita dignitoso.

Nessuna idealizzazione della vecchiaia, ma solo la lucida coscienza che un uomo, una donna sono tali dalla nascita alla morte e il cammino che fanno vale la pena di essere percorso se lo si fa insieme agli altri e se gli altri sanno condividerlo.

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Pinèn [il padre e la madre]

 

Ho perso mia madre quando ero ancora bambino e questo ha contribuito a che mio padre avesse un gran peso nella mia vita da quando sono nato fino al giorno in cui ruppe con me ogni relazione: me ne ero andato da casa per seguire una scelta di vita che non capiva.

Per alcuni anni non mi rivolse nemmeno più la parola e ripeteva sconsolato: “In ogni famiglia nasce un figlio stupido, e io ho avuto un figlio solo...”.

Non andava mai a messa, nonostante la mia matrigna cercasse di trascinarvelo almeno a Pasqua.Era un socialista, come tutta la sua famiglia, ma a volte si professava “comunista”.

Mio padre lavorava in continuazione.Quando parlava era molto sapiente e anche arguto. Amava la buona tavola ed era molto esigente con la sua seconda moglie, arrivando anche ad alzare la voce se il cibo non era come lo voleva.

Beveva parecchio, soprattutto nei primi anni dopo la morte di mia madre: non l'ho mai visto ubriaco, ma a volte irato e collerico sì, soprattutto con me, per ragioni che non sempre capivo. Io cercavo di renderlo contento soprattutto impegnandomi a scuola, ma lo sentivo sempre distante.

Il periodo più duro fu proprio quello successivo alla morte di mia madre: restammo io e mio padre soli... A otto anni dovetti imparare a far qualcosa da mangiare.Ricordo quegli anni con grande tristezza.

Sempre in quegli anni cupi, tra la morte di mia madre e le seconde nozze di mio padre, c'era un altro motivo di angoscia: voleva andarsene in Australia.

Vissi quel periodo con la paura di essere abbandonato, di svegliarmi un mattino e non ritrovarlo più a casa... E’ un'ansia che mi ha segnato a tal punto da rimanermi impressa ancora alla mia età, nonostante non ve ne sia più alcuna ragione logica.

Quando decisi di iniziare la vita monastica a Bose, mio padre non capì né tanto meno approvò: gli sembrava semplicemente una follia. Poi un giorno venne a vedere dove stavo.Prima di partire mi disse semplicemente: “Forse la cosa più giusta l'hai fatta tu qui!”.

Tornò ancora a trovarmi a Bose, ormai muto ed emiplegico a seguito di un ictus.Qualche anno dopo sopraggiunse anche un cancro.Se ne andò anche lui, a poco più di settant'anni.“Ma che figlio ho fatto! Chissà da dove esce?!”   

Grazie a voi [“le madri”]

 

Cocco ed Etta sono state con ogni probabilità le persone per me più significative e decisive.

Erano entrambe molto credenti, ma in modo diversissimo l'una dall'altra: Cocco aveva una fede semplice e rocciosa; Etta era una raffinata intellettuale, era sì cattolica, ma con uno spirito critico, un modo di pensare autonomo e personale.

Passati gli ottant'anni, sono entrambe venute in comunità a Bose. Entrambe si sono spente mentre io tenevo loro la mano...

Epilogo  

Quest'anno ho piantato un viale di tigli lungo la stradina che conduce al mio eremo: li ho piantati per rendere più bella la terra che lascerò.La vita continua e sono gli uomini e le donne che si susseguono nelle generazioni a dar senso alla terra, alle nostre vite, a renderle degne di essere vissute fino in fondo. Nella fede canto: “La mia notte non ha oscurità e tutto nella luce diventa chiaro”.

A mia madre devo la vita, a mio padre la libertà, ma a Cocco ed Etta devo ciò che sono come uomo e come cristiano.