Dispense didattiche del corso di Filosofia Morale del Prof. Guido Traversa.

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Le dispense del Prof. Traversa contengono estratti del suo volume "Metafisica degli accidenti. Dalla logica alla spiritualità: il tessuto delle cose", utilizzati nel corso di Filosofia Morale (M-FIL/03) dell'Università Europea di Roma.Guido Traversa è Professore Associato di Filosofia morale (M-FIL/03) presso il nostro Ateneo.

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Metafisica degli accidenti

Dalla logica alla spiritualità: il tessuto delle cose

Guido Traversa

Indice/1

1. Una prima prova dell'impossibilità di una identità e distinzione assolute: il caso dell'uguaglianza

2. Del tipo di distinzione che l'oggetto assicura e impone alla percezione, al pensiero e al linguaggio

3. La classificazione. L'impossibilità di una determinazione completa dell'oggetto. Un „caso‟ di entomologia ed uno di medicina

3.2.1 Le terapie endogene

3.2.2 La riflessione bioetica sui rapporti tra scienza e

etica. L‟esame del “dettaglio” nell‟etica della

scienza

4. Le propensioni. L'ente intermedio.

5. La molteplicità non omogenea degli atti umani e dei fatti storici. Il libero arbitrio.

5.1 Nove tesi di antropologia filosofica

6. Opposizione, contrarietà e contraddizione.

6.1 I fatti storici. Il giudizio storico e quello politico.

7. Cogliere le opposizioni dinamiche. Vedere le antinomie.

8. Il rapporto visione-pensiero. Quaestio: se la visione sia semplice.

9. Il metodo „non esterno‟. Sed contra: percepire e giudicare una idea. L‟opposizione per antinomia.

10. Un esempio di commensurabilità tra esperienze fortemente distinte tra loro. Esperienza. Esperienza mistica. Pensiero mistico

11. E posso ritornare a vedere il mare

Indice/2

AppendiceL‟esibizione di un concetto 1. L‟esibizione (Darstellung) come unità

architettonica delle molteplici relazioni, tra l‟universale e il particolare, tra le forme e le intuizioni.

2. Il molteplice non-omogeneo dell‟esperienza.

3. Percepire e giudicare le propensioni. L‟ente intermedio

Indice/3

Premessa/1 ► Con questo libro di filosofia intendo dimostrare che

l‟identità di ciascuna singola cosa, di ciascuna singola azione, di ciascun singolo evento, è una identità costantemente correlata alla distinzione e ciò non tanto per il fatto che essa è posta in relazione con altre identità determinate, ma perché è in sé medesima distinta, anche se esistesse una sola cosa, una sola azione, un solo evento e dunque anche se non ci fossero relazioni estrinseche. L‟identità di una cosa porta in sé la distinzione perché essa ha accidenti tra loro realmente e non solo gnoseologicamente disomogenei, perché diviene in modo non meccanico, ma attraverso propensioni la cui attuazione implica la contingenza

Premessa/2 ►Ma l‟identità, comunque, in sé “è”, c‟è e si

mostra come tale nella conoscenza, mostra la propria natura etica nell‟agire e proprio per questo si tratta di definire la fisionomia di una metafisica degli accidenti e non di una essenza o di una identità come assoluta uguaglianza di sé con sé.

►Nei diversi paragrafi del libro illustrerò le dimensioni fondamentali di una metafisica degli accidenti e della categoria dell‟identità in sé distinta: 1) il piano logico, 2) ontologico, 3) epistemologico, 4) etico e 5) spirituale.

Premessa/3 ►Gli elementi concreti dell‟esperienza, che

spesso sono in rapporto di opposizione reciproca e non solo tra loro disomogenei, risulteranno, in una simile prospettiva speculativa, realmente commensurabili tra loro: capire potrà così, si spera, essere anche un agire liberamente secondo necessità. Un agire libero e necessario perché capace di fare esperienza e assecondare il ritmo, la misura e l‟ordine interni all‟identità dell‟essere in quanto tale e dell‟essere delle singole cose

Alcuni termini chiave/1 ► Identità:

in logica, relazione che ogni oggetto intrattiene

esclusivamente con se stesso, caratterizzabile

quindi come la meno estesa delle relazioni

riflessive. Principio d‟identità: A=A

► Genere:

ciò che si predica essenzialmente di molti che

specificamente differiscono

► Specie:

l‟essenza in una comunità di individui

Alcuni termini chiave/2 ►Differenza specifica: ciò che caratterizza una specie

distinguendola da tutte le altre appartenenti allo stesso genere. Definitio fit per genus proximum et differentiam specificam

►Analogia: dal greco analogos, che ha relazione,

simile. Rapporto di predicazione diverso dall‟univocità e dall‟equivocità: è detto analogo il termine che si predica di più soggetti, con un contenuto in parte uguale e in parte diverso. Analogia di attribuzione e di proporzionalità

Alcuni termini chiave/3

►Universale: in greco katholou, ciò che è comune ai membri

di un insieme omogeneo, oppure il genere (ghenos) rispetto alla specie, e anche l‟essenza (eidos, idéa, ousia) che è propria di molti. Processo induttivo: astrarre da più cose ciò che esse hanno in comune. Il problema degli universali: realismo, nominalismo

►Particolare: ciò che appartiene ad alcuni individui o oggetti.

Si distingue da “speciale”, da “individuale” (ciò che appartiene all‟individuo) e singolare (ciò che appartiene al singolo)

Alcuni termini chiave/4

►Individuo: In-dividuum è la traduzione letterale del

greco a-tomon (alpha priv. + temno taglio): indiviso, uno in se stesso

►Singolare: non tanto indivisione interna, come in

individuo, quanto distinzione esterna

Alcuni termini chiave

- Sostanza: substantia, ousia. Aristotele (Cat. Met.) Sostanza prima (individuo) “ciò che non è detto né di un soggetto né è in un soggetto”; sostanza seconda (generi e specie). La sostanza è l‟essenza immanente in ogni individuo.

- Accidente: symbebecos, accidens. “ciò che appartiene a una cosa e si può dire vero di essa, ma non necessariamente né per lo più”

Alcuni termini chiave

► Participatio: in Tommaso d‟Aquino, principio di causalità, il partecipato è la causa, il partecipante è l‟effetto “quando qualcosa riceve in parte ciò che a un altro appartiene universalmente si dice che vi partecipa”.

► Distinzione reale tra essenza ed atto d‟essere: “la completezza finale d‟ogni cosa è data dalla partecipazione all‟essere..l‟essere è il completamento di ogni forma”

Alcuni termini chiave

► Atti umani: "tra le azioni che l'uomo compie, sono dette umane in senso stretto soltanto quelle compiute dall'uomo in quanto uomo. Ora, l'uomo si distingue dalle altre creature, non ragionevoli, perché padrone dei suoi atti. Perciò in senso stretto si dicono umane le sole azioni di cui l'uomo ha la padronanza. D'altra parte l'uomo è padrone dei suoi atti mediante la ragione e la volontà ... E quindi propriamente sono denominate umane le azioni che derivano dalla deliberata volontà. Le altre azioni, che all'uomo vanno attribuite, potranno chiamarsi azioni dell'uomo, ma non umane in senso proprio, non appartenendo esse all'uomo in quanto uomo" ( Tommaso d’Aquino, S.T.,I-II q.1 a.1).

Alcuni termini chiave

►Libertà: è la capacità che l‟uomo ha di essere arbitro, cioè padrone delle proprie azioni, scegliendo tra varie possibilità e alternative: di agire oppure di non agire, di fare una cosa piuttosto che un‟altra. Libertà in negativo e libertà in positivo.

►Metafisica: “filosofia prima”, indaga l‟essere in quanto essere. Ontologia.

Essenza e atto d‟essere

► Nel De ente et essentia c.4 Tommaso introduce la distinzione in un contesto di generale rigetto dell‟ilemorfismo universale, tramandato da Avicebron ( Ibn Gabirol 1020 ca. 1058) . Tommaso nega una composizione di materia e forma negli enti puramente spirituali, proponendo quella fra essere ed essenza. Dato che la quiddità o essenza di un ente separato riceve il suo essere da Dio, essenza ed essere si relazionano come potenza ed atto. Per essere non deve intendersi una cosa (res) o un diverso tipo di essenza, o un accidente predicamentale che verrebbe a sommarsi all‟essenza. L‟actus essendi è più un principio dell‟essere che un essere stesso.

Essenza ed atto d‟essere

► De potenzia q. VII,a.2, ad 9 l‟esse è definito come “l‟attualità di tutti gli atti e la perfezione di tutte le perfezioni”. Un ente partecipa dell‟esse.

► L‟espressione “reale” figura solo nel De Veritate q. XXVII, a.1, ad 8 : “Omne quod est in genere substantie est compositum reali compositione”. Ma spesso dice che l‟atto d‟essere è aliud rispetto a ciò che è, l‟essenza. Non troviamo mai un Utrum esse differat ab essentia; il problema si pone sempre all‟interno di altre questioni. In Dio esse ed essentia coincidono.

Essenza ed atto d‟essere

► Tommaso dimostra l‟assunto in quattro modi: ► 1) Argomento dell‟Intellectus essentiae. Dal momento che,

quando pensiamo l‟essenza, nel nostro concetto di essa non includiamo l‟essere, essi sono due realtà distinte.

► 2) Argomento del Genus. Il fatto che le cose siano individue, che abbiano l‟esse, e che inoltre appartengono ad un genere e a una specie, indica che in esse l‟esse è altro dalla sua quiddità.

► 3) Argomento Dio-creature. La creatura differisce da Dio; ma in Dio solo l‟essenza è l‟esse; dunque nelle creature l‟essenza non è l‟esse, e questo viene da Dio; dunque, in ogni creatura, vi è una composizione di id quod est ed esse.

► 4) Argomento della partecipazione.

Essenza ed atto d‟essere

► Giovanni Duns Scoto (1265 - 1308) ► La concezione di Avicenna (Ibn Sina 980 - 1037) dell‟essere

come accidente dell‟essenza influenza profondamente Duns Scoto. L‟essenza non è né universale, né particolare, ma indifferente così all‟universalità come alla singolarità. Originariamente, tale realtà essenziale è presente nell‟intendimento divino che la produce. L‟essenza ha l‟essere del possibile. La creazione è allora l‟atto per il quale una tale essenza si trova posta nell‟esistenza attuale che conviene al singolare. L‟universalità può essere poi attribuita solo mediante un atto del pensiero. In ciascun momento, all‟essenza corrisponde un essere proporzionato. Non vi è mai essenza senza esistenza: l‟esistenza non è altro che una modalità d‟essere propria all‟essenza presa in ciascuno degli stati in cui viene a trovarsi.

Essenza ed atto d‟essere

►Egidio Romano (1234 ca. - 1316)

►Theoremata de esse et essentia 1276 ca. Difende la distinzione contro Enrico di Gand nel 1285. la distinzione è necessaria per render conto del carattere contingente della creature. Distinzione equiparata a quella tra res e res.

Essenza ed atto d‟essere

► Enrico di Gand (1217 ca. - 1293)

► L‟essenza è costituita come un possibile prima dell‟avvento dell‟esistenza, e questa le risulterà accidentale. Enrico di Gand concepisce una triplice sorta d‟essere dell‟essenza: 1) essenza realizzata in natura = esse existentiae; 2) essenza concepita = esse in anima o esse rationis; 3) essenza assoluta = esse quidditativum o esse essentiae. L‟esse essentiae è l‟ideato, la quiddità nell‟Intelletto divino.

Sostanza accidenti

► Essere: <<L‟essere si dice in molteplici significati, ma sempre in riferimento ad una unità ed a una realtà determinata. L‟essere, quindi, non si dice per mera omonimia, ma nello stesso modo in cui diciamo “sano” tutto ciò che si riferisce alla salute ..... Così, dunque, anche l‟essere si dice in molti sensi, ma tutti in riferimento ad un unico principio: la sostanza>> IV, 2, 1003 a, 30 ess. (tra. it. G. Reale).

Sostanza accidenti

► Sostanza << senso si dice ciò che è immanente a queste cose che non si predicano di un sostrato ed è causa del loro essere .... ancora sostanze sono dette quelle parti che sono immanenti a queste stesse cose, che esprimono un alcunché di determinato e la cui eliminazione comporterebbe l‟eliminazione del tutto. ... inoltre si dice sostanza di ciascuna cosa anche l‟essenza, la cui nozione è la definizione della cosa. ... Ne risulta che la sostanza si intende secondo due significati: a) come sostrato ultimo e b) come un alcunché di determinato. (Met., V, 8, 1017 b, 10-25)sostanza, in un senso, sono detti i corpi semplici.... in un altro

Sostanza accidenti

► Accidenti: <<Accidente significa ciò che appartiene ad una cosa e che può essere affermato con verità della cosa, ma non sempre e non per lo più.... Dell‟accidente non ci sarà quindi neppure una causa determinata, ma ci sarà solo una causa fortuita, cioè determinata. .... Accidente si dice anche in una altro senso. Tali sono tutti gli attributi che appartengono a ciascuna cosa di per sé, ma che non rientrano nella sostanza stessa della cosa >> (Met., V, 30, 1025 a, 15-30).

Antinomia

► Antinomico è un conflitto tra pari; un forte e un debole non possono essere in rapporto antinomico. Pertanto due posizioni sono tra loro antinomiche se ciascuna ha forti argomenti a proprio sostegno. Se una tesi non solo ha forti ragioni, ma entra anche in un rapporto antinomico con un‟altra tesi, ugualmente forte, allora il conflitto non nasce ad arbitrio, ma da un necessario dilemma conoscitivo e morale interno al rapporto tra l‟uomo e l‟esperienza.

Nove Tesi di antropologia filosofica

► E‟ necessario pensare ed esperire la sentenza “agere sequitur esse” rendendosi familiari non più soltanto all‟agere o all‟esse, ma soprattutto alla dinamica interna al sequitur.

Nove Tesi di antropologia filosofica

► La molteplicità delle azioni – in quanto umane e perciò in base alla distinzione tra atti dell‟uomo ed atti umani – è una molteplicità in sé disomogenea; che per essere capita, come tale, necessità di un modello di universalità che mantenga la reale distinzione e disomogeneità tra le singole azioni.

Nove Tesi di antropologia filosofica

► La necessità di una simile universalità (concetto, legge, forma) deriva non solo dal piano gnoseologico, ma è originata principalmente dalla stessa struttura ontologica dell‟esse dell‟uomo; struttura che si trasmette e si mostra nel suo agire.

Nove Tesi di antropologia filosofica

►L‟identità ontologica dell‟esse dell‟uomo è la fonte di un agire in sé disomogeneo perché è una identità non analitica (A=A), che non contiene tutti i suoi predicati – accidenti – in sé come semplici modi; al contrario è una identità in sé bipolare, una identità che è l‟unità di due principi: l‟essenza e l‟atto d‟essere

Nove Tesi di atropologia filosofica

► L‟uomo fa esperienza del carattere di non assoluta identità del proprio esse (e delle sue due componenti ontologiche) non direttamente ma soprattutto nell‟agere, in quanto reale molteplicità di azioni tra loro disomogenee.

Nove Tesi di atropologia filosofica

► Una metafisica degli accidenti – degli atti secondi – mostra la fisionomia di un particolare habitus, quello del „permanere‟ dinamicamente nel sequitur, quale legame tra le azioni e la propria origine e rende abili al capire le somigliane e le dissomigliane tra le azioni, abili all‟analogia entis.

Nove Tesi di atropologia filosofica

► Il legame, come unità distinguente, che è il terreno stesso del sequitur fa fare esperienza della participatio ontologica.

Nove Tesi di atropologia filosofica

► L‟esperienza della participatio, l‟abito al permanere nel sequitur, il capire le somiglianze e le dissomiglianze tra le singole azioni, trasformano il concetto di responsabilità individuale in una altra esperienza della responsabilità, quella „allargata‟.

Nove Tesi di atropologia filosofica

► La forma della redenzione passerà attraverso la valutazione dei dettagli

Percepire

►Vedo, di fronte a me, una grande distesa d'acqua e non vedo la sagoma che la può circoscrivere. Potrebbe essere il mare, o un enorme lago. In tutti i casi vedo, percepisco molta acqua, in movimento, di fronte a me.

Percepire

►Però è manifesto a me stesso che vedo e vedo qualcosa di determinato, che ha una propria identità, e insieme qualcosa di distinto, sia rispetto ad altre cose che entrano nel mio campo visivo, sia rispetto a me stesso che lo percepisco.

Percepire

►Se vedo e mi dico di vedere (ossia giudico) un liquido in movimento, vedo, in qualche modo, una identità di un qualcosa di determinato e la sua distinzione rispetto ad altro e a me stesso. Questo sapere accompagna il vedere il liquido in movimento. Vedo una cosa e non un'altra, e questo mentre vedo lo so; questo sapere accompagna il mio vedere.

Percepire

►Ma per quanto sapere e determinazioni fisiologiche della stessa percezione si accompagnino necessariamente al mio vedere, io comunque vedo un oggetto che è, che esiste indipendentemente da me

Percepire

►In qualche modo vedo, quindi, un qualcosa che ha una propria identità e che è distinto in quanto tale, eppure non vedo, in senso proprio, né l'identità, né la distinzione di quella cosa vista; allora la vedo e basta?

Percepire

►Il mio sapere e le strutture fisiologiche del mio vedere misurano l'oggetto visto e contemporaneamente questo stesso li misura.

Percepire

►Se l'identità e la distinzione appartenessero completamente o all'oggetto percepito o al soggetto che le percepisce potrei prima o poi arrivare a cogliere una identità assoluta (senza relazioni o distinzioni),

Percepire

►Ma affermiamo subito, che ciò è impossibile perché né l'essere dell'oggetto, la sua esistenza, né l'essere del soggetto, la sua esistenza, sono completamente determinati, possiedono - sono - un'essenza individuale assolutamente identica a se stessa e quindi in modo ugualmente assoluto distinto da altro.

Logica

►Una prima prova dell'impossibilità di una identità e distinzione assolute: il caso dell'uguaglianza.

Logica

►A=A è un caso di uguaglianza, A=B è un caso diverso di uguaglianza? In entrambi i casi si presenta l'identità, ma dobbiamo chiederci se lo è, è nello stesso modo? Inoltre, la distinzione è presente in entrambi i casi, o è assente, o, ancora, è presente solo in uno dei due (e in quale)?

Logica

►Per poter anche solo affrontare queste tre domande è necessario capire che queste stesse domande ci pongono il problema della relazione (quella, come minimo, tra A e A e quella tra A e B).

Logica

►I termini in questione, fin qui, sono: uguaglianza, identità, distinzione e relazione.

Logica

►Non tutte le uguaglianze hanno il medesimo valore: A=A appare come una uguaglianza analitica, A=B no.

Logica

►La prima uguaglianza si presenta come una relazione di una cosa con se stessa; la conoscenza non può, però, accontentarsi di questa identità analitica, di sé con sé. Il caso di A=B sembra promettere maggiori conseguenze per la conoscenza, ma in base a cosa due distinti (ad esempio le due differenti lettere dell'alfabeto qui usate) sono uguali?

Logica

► L'identità analitica non è mai completamente tale perché per capire l'identità 'semplice' di A con A devo, nella riflessione, sdoppiare una identità in due: l'identità posta e l'identità da conoscere, giudicarla, come identica, appunto, a se stessa. Vale a dire, che per poter anche solo pronunciare l'enunciato A=A devo giudicare dell'identità di A e della relazione che essa ha con se stessa: non ho colto l'identità assoluta, l'ho, invece, raggiunta, con la riflessione, nel giudizio,

Logica

►Se questo è vero, allora anche il tipo di identità analitica è legata a quella non analitica, sintetica: A=B.

Logica

► Vediamo ora il caso dell'uguaglianza espressa dalla formula A=B: qui due segni diversi si pongono in identità. Forse può essere persino intuitivo il ritenere che l'uguaglianza tra distinti (in questo caso tra due segni) presupponga la categoria stessa dell'identità, altrimenti non potrei neppure pensare e dire l'uguaglianza dei due termini; si presuppone, così, la possibilità anche solo logica (formale) dell'identità e per di più l'identità in quanto tale fa pensare per necessità all'identità di sé con sé: l'identità analitica appunto.

Ontologia

► Ma l'analiticità dell'identità che rende possibile un enunciato non analitico appare anche ad un livello che non è quello dei soli presupposti logici: ritenere che quei due segni siano, ad esempio, due nomi di un medesimo oggetto, e che proprio per questo possono essere uguali tra loro è necessario presupporre - ed in caso anche farne esperienza diretta - la reale, ontologica, identità dell'oggetto in questione con se stesso, ecco nuovamente l'identità analitica.

Ontologia

►C'è dunque una identità e una distinzione, una relazione necessaria, tra i due tipi di identità o uguaglianza.

Ontologia

►Il problema a questo punto è quello di riuscire a capire che cosa fa sì che non si dia una identità analitica senza trovare in essa quella 'sintetica' e che, parimenti, non si dia quella non-analitica senza trovare in questa quella analitica, in altre parole che la distinzione tra le due non sia assoluta, ma solo di 'dominanza' di un aspetto, di un carattere.

Ontologia

►Se si permane solo sul piano logico-formale, come relazione tra categorie, ritengo che non se ne possa veramente cogliere la ragione

Ontologia

►Tanto la genesi del giudizio dalla percezione sensibile, quanto il tendere di un giudizio ad acquisire un rapporto con una intuizione sensibile dimostrano che le concrete forme del pensare e del dire (giudizi ed enunciati) sono legate costantemente a qualcosa che esse in quanto tali non sono, ad una dimensione che le trascende: l'esperienza nella sua datità empirica.

Ontologia

►Dunque l'impossibilità di trovare un'identità assoluta, cioè non connessa internamente a ciò che le è distinto, e dunque alla categoria stessa della distinzione, deriva dal fatto che la relazione tra l‟oggetto' e le forme del pensiero e del linguaggio è la condizione trascendentale del significato (dell'identità) dei giudizi e degli enunciati.

Ontologia

►E‟ l‟oggetto stesso che pone l‟impossibilità di cancellare in un identità analitica la distinzione, e ciò perché la struttura metafisica tanto dell‟oggetto della conoscenza, quanto del soggetto conoscente è una “composizione reale” di essenza e di “atto d‟essere”.

Ontologia

►E‟ questa struttura metafisica, comune al soggetto e all‟oggetto, che impedisce di convertire la distinzione in una identità analitica, che non potrebbe spiegare né gli accidenti, né il divenire di un determinato ente: riconducendo entro un molteplice omogeneo, come lo spazio cartesiano, il multivario della concreta realtà naturale e storica

Ontologia

►E' l'oggetto, la sua identità in sé distinta che dà, quindi, l'impossibilità di cancellare in una identità analitica la distinzione.

Ontologia

►Se è vero tutto questo, per comprendere un enunciato è necessario riconoscere contemporaneamente, come condizione trascendentale sia il darsi (l'identità) dell'oggetto, sia le differenti (la distinzione) modalità conoscitive con cui si può entrare in rapporto con l'oggetto stesso.

Ontologia

►L'oggetto in quanto tale, non è riducibile ai modi di conoscerlo, piuttosto, questi sono possibili e differenti tra loro in quanto condizionati dalla presenza dell'oggetto che può essere 'detto' in molteplici modi.

Ontologia

►Per quanto i modi di conoscere, siano modalità del soggetto conoscente, essi si riferiscono ad un dato che non è posto da quelle modalità stesse. Il "valore di verità" presente in un enunciato rimanda costantemente ad un oggetto, rispetto a cui si genera il giudizio, rendendo, con ciò, commensurabili reciprocamente i differenti enunciati.

Ontologia

►Una teoria del significato che vuole prescindere dalla datità dell'oggetto e dalle strutture della percezione sensibile rende il pensiero, il giudizio, il linguaggio, e di conseguenza la realtà un molteplice omogeneo retto da una identità analitica

Ontologia

►Si dà così un molteplice costituito di 'cose' tra loro omogenee, dove non c'è posto per un'analogia scandita dal reale e dove non si può più riconoscere la „genesi‟ del reale.

Ontologia

►L'identità di significato di una proposizione non può essere trovata come assoluta, non solo perché logicamente è posta costantemente in relazione con l'identità di altri enunciati, ma soprattutto perché è distinta dall'oggetto.

Ontologia

►Quali proprietà universali dell'oggetto in quanto tale determinano l'impossibilità, in ambito conoscitivo e in quello dell'agire, di arrivare ad una identità semplice, assolutamente analitica, o assolutamente non-analitica?

Ontologia

► Insomma che tipo di identità e di distinzione mostra l'oggetto reale di fronte a me? Che tipo di identità e distinzione si presenta nella percezione sensibile di questo stesso oggetto? In più - e forse prima ancora di tentare una risposta a queste due domande - è possibile legittimare e non solo credere che vi sia una distinzione reale tra l'oggetto e la percezione che ne abbiamo?

Ontologia-classificazione

►La classificazione. L'impossibilità di una determinazione completa dell'oggetto. Un „caso‟ di entomologia ed uno di medicina.

classificazione

► La classificazione, l'operazione di ordinare gli organismi in gruppi sulla base delle loro relazioni di similarità e di affinità, può sembrare per molti aspetti il risultato dell'applicazione di criteri convenzionali, esterni agli stessi individui classificati.

Classificazione

►Per quanto i criteri, i metodi e gli scopi con cui si classifica possano variare, essi dovranno sempre in qualche modo seguire alcune caratteristiche proprie agli individui, appunto, classificati.

classificazione

► Riferiamoci ad un sistema particolare di classificazione: quello comunemente adottato dagli zoologi e che è stato codificato da Linneo. Ogni specie è contrassegnata da un nome composto da due vocaboli latini o latinizzati, il primo è il nome del genere, il secondo quello della specie, ad esempio il nome Acipenser sturio designa una particolare specie di pesce, lo storione.

Classificazione

► Cerchiamo di vedere cosa è convenzionale e cosa si presenta come oggettivo nella struttura gerarchica a cui le procedure della classificazione riconducono gli individui studiati. Le categorie tassonomiche hanno una struttura tipicamente gerarchica: ognuna occupa un particolare livello o rango determinato dal suo potere comprensivo: un genere comprende più specie, un ordine comprende più generi, una classe comprende più ordini. Le categorie più usate dagli zoologi sono:

Classificazione

► Regno ► Phylum ► Subphylum ► Superclasse ► Classe ► Sottoclasse ► Coorte ► Superordine ► Ordine ► Sottordine ► Superfamiglia ► Famiglia ► Sottofamiglia ► Tribù ► Genere ► Sottogenere ► Specie ► Sottospecie

Classificazione

► I biologi, inoltre, invitano a distinguere la categoria dal taxon: un taxon è un gruppo di individui sufficientemente distinto da essere nominato a qualsiasi livello di categoria. Il taxon designa il contenuto della categoria e si riferisce agli organismi veri e propri, mentre la categoria è una astrazione.

Classificazione

► I biologi, inoltre, invitano a distinguere la categoria dal taxon: un taxon è un gruppo di individui sufficientemente distinto da essere nominato a qualsiasi livello di categoria. Il taxon designa il contenuto della categoria e si riferisce agli organismi veri e propri, mentre la categoria è una astrazione.

Classificazione

►I biologi sono ben consapevoli del carattere convenzionale delle categorie che segnano i limiti tra un taxon e un altro, infatti, ciò è testimoniato dalle diverse suddivisioni: il fatto che un ordine venga suddiviso in cinque famiglie, anziché in due soltanto o in sette, è evidentemente il frutto di opportunità dettate dalla ricerca scientifica.

Classificazione

►Ma c'è, sempre per molti biologi, una eccezione: l'unica categoria che presenta anche una connotazione biologica oggettiva è la specie; la definizione di specie si basa sul principio biologico della interfecondità che può essere verificato sperimentalmente.

Classificazione

►Ma anche i diversi concetti di specie e i cambiamenti subiti non sono convenzionali, riflettono, infatti, il carattere progressivo della ricerca scientifica, e quello dei caratteri scelti per stabilire cosa appartiene - e perché - ad una specie.

Classificazione

►Di solito si riconducono le tante definizioni di specie a tre tipi fondamentali: quella tipologica, quella nominalistica e quella propriamente biologica. Ad esempio lo stesso Linneo procedeva nella propria sistematica secondo un concetto tipologico essenzialmente morfologico, individuando il tipo, cioè un individuo con funzione di modello.

Classificazione

►La specie 'biologica' è costituita da gruppi di popolazioni naturali effettivamente o potenzialmente interfecondi e riproduttivamente isolati da altri gruppi. Tale criterio rende conto non solo della fissità delle specie (morfologia linneana) ma anche delle mutazioni (evoluzionismo), della statica e della dinamica delle specie. Il concetto biologico di specie non è dunque arbitrario: trova una prova in natura.

Classificazione

► Hanno qualcosa in comune i differenti paradigmi di specie, tipologico (morfologico), nominalista e biologico-evoluzionista?

Classificazione

► E' in riferimento all‟oggetto, che, in gran parte, si deve poter spiegare la storia stessa del cambiamento; e non tanto per fini storici, quanto per capire la questione ontologica preliminare da cui siamo partiti: in che senso l'oggetto in quanto realmente distinto dalla percezione e dal giudizio rende impossibile giungere ad una identità, analitica o non, assoluta. Il potere in sé distinguente dell'identità dell'oggetto reale deve poter spiegare, almeno in parte, la storia del cambiamento di paradigma

Identità e accidenti

► Il passo che ora dobbiamo fare è quello di passare dall'aver mostrato che se non si dà identità senza distinzione e distinzione senza identità è perché si dà l'esistenza di un oggetto, al dimostrare che il potere distinguente dell'identità dell'oggetto è dato dall'insieme non omogeneo dei suoi accidenti, dall'insieme non omogeneo delle sue proprietà: dall‟essere essa stessa identità in sé distinta e non tale solo perché in relazione con altre identità

Identità e accidenti

►Se gli accidenti di un qualcosa di determinato potessero essere dati tutti (totalmente) con il darsi stesso dell‟oggetto - con la sua essenza o identità - allora avremmo oggettivamente e nella conoscenza una determinazione completa, una piena identità analitica, dell‟oggetto.

Identità e accidenti

►Se ogni propensione di un qualcosa procedesse meccanicamente senza l‟oggetto stesso, senza distinguerlo, in qualche modo finanche da se stesso, allora anche in questo caso avremmo una determinazione completa, una piena identità.

Identità e accidenti

► Se ad un oggetto nulla mancasse, dando per scontato che questa espressione indica sia un qualcosa che manca in quanto o dovrebbe esserci o in quanto è ciò a cui si tende per necessità, sia ciò che potrebbe non essere mai raggiunto - allora avremmo una identità piena, senza distinzione.

Iddentità e accidenti

► Ripetendo quanto fin qui detto: a) non troviamo identità senza distinzione e distinzione senza identità, né nella percezione, né nel giudizio, perché c‟è l‟oggetto; ma approfondendo l‟esame dell‟oggetto si arriva a b) non troviamo identità e distinzione come assolutamente distinti perché l‟oggetto ha una reale esistenza, con sue propensioni e accidenti che non sono inclusi analiticamente nella sua identità come essenza. La non omogeneità del molteplice dell‟esperienza è la causa dell‟impossibilità di una distinzione assoluta tra identità e distinzione nel giudizio: dell‟impossibilità di dare in modo completo una specie-individuo.

Identità e accidenti

►Vediamo ora se possiamo procedere in questo modo affrontando un altro tipo di molteplice rispetto a quello empirico degli enti naturali: quello delle azioni umane e dei fatti storici. Vediamo se questo tipo di oggetto ha caratteristiche tali da impedire, anch‟esso, la raggiungibilità di una identità assoluta, e se le possiede come si differenzia questa sua potenzialità da quella analoga dell‟oggetto naturale.

Identità e accidenti

►Vediamo in che modo possiamo usare, e se lo possiamo, anche per questa dimensione dell‟esperienza espressioni concettuali come „ciò che manca‟ e „ente intermedio‟e soprattutto „identità in sé distinta‟.

Atti umani - libertà

►La molteplicità non omogenea degli atti umani e dei fatti storici. Il libero arbitrio.

Atti umani - libertà

► Il più delle volte ci si sente liberi quando si avverte una certa distanza rispetto a ciò che può essere fatto o non fatto. Una certa indifferenza sembra essere la garanzia, almeno psicologica, di poter giudicare e poi agire senza essere spinti da fattori esterni a sé, quali potrebbero essere le passioni, l‟opinione altrui, le condizioni di vita nelle quali ci si trova.

Atti umani - libertà

►Una neutralità pare debba essere raggiunta per valutare correttamente gli esiti delle proprie scelte; la stessa capacità di previsione delle conseguenze delle proprie azioni sembra richiedere una preliminare indifferenza.

Atti umani - libertà

► Penso, però, che un‟attenta introspezione metta in luce che la rappresentazione della propria libertà (il sentirsi liberi) è presente in noi quando o ci siamo liberati da vincoli precedenti sentiti, appunto, come minacce o impedimenti alla nostra libertà (credo che non si possa essere indifferenti alla propria salvezza), o quando ci sentiamo non indifferenti - ci sentiamo attratti - verso qualcosa di determinato e che proprio per questo risveglia in noi il bisogno di essere realmente liberi proprio per raggiungere ciò che ci appare, evidentemente, più necessario di un‟altra cosa.

Atti umani - libertà

►L‟indifferenza cade e cede il posto a una più viva, più intensa, rappresentazione o sentimento della libertà, che ci fa sentire la necessità di essere liberi proprio per giungere al desideratum.

Atti umani - libertà

►Se questo è vero, allora la rappresentazione della mia libertà, il „credere‟ di essere libero, non viene cancellato dalla eventuale forma di necessità che accompagna il giudizio sul passato e l‟agire verso il futuro, anzi esalta e rafforza quella stessa credenza.

Atti umani - libertà

► l‟indifferenza, contrariamente a ciò che può apparire a prima vista non garantisce la libertà, anzi è proprio la condizione vissuta di non indifferenza che accresce la rappresentazione della libertà.

Atti umani - libertà

► Ma è pur vero che la non-indifferenza non può essere tale in modo assoluto, altrimenti sarei pienamente identico a ciò che „liberamente‟ voglio: nella non-indifferenza permane una forte presenza di una differenza tra me e l‟azione voluta o giudicata. Quando sento la forza della necessità di una azione che voglio, proprio per questo suo carattere necessario, questa stessa azione è - esiste, è esistita o potrà esistere - realmente distinta da me e dalla mia eventuale capacità di desiderarla o di giudicarla

Atti umnai - libertà

►Come nell‟indiffernza (assoluta) l‟oggetto stesso scomparirebbe, presto o tardi, dal mio stesso sguardo, così nella non-indifferenza assoluta arriverei ad una tale identità completa con l‟azione da non volerla neppure: sarei io stesso quella azione: in entrambi i casi, appena nominata, la mia libertà scomparirebbe in una identità assoluta.

Atti umani - libertà

►Se si potesse raggiungere una identità analitica (A=A) tra il mio giudicare e la necessità dell‟azione - che pure non posso non avvertire proprio per giudicare non ad arbitrio - questi stessi termini perderebbero significato: diventerebbero reciprocamente indistinti.

Atti umani - libertà

►Allora anche nel mondo delle azioni umane è l‟oggetto - in questo caso tanto l‟atto del giudizio, che anch‟esso è un‟azione, quanto il giudicato - ciò che mantiene la distinzione tra specie (forma) e individuo e consente un eventuale esercizio della libertà in quanto distinta tanto dall‟universalità in opera nel giudizio, quanto dalla particolarità dell‟azione.

Atti umani - libertà

►Come ci eravamo chiesti cosa faceva l‟entomologo e il medico quando rispettivamente distinguevano una specie dall‟altra, così chiediamoci ora cosa fa colui il quale misura il valore di due possibili azioni per scegliere quella su cui far gravitare le altre, le future, per istituire un habitus.

Atti umani - libertà

► Anche quest‟ultimo, come i primi, percepisce e giudica la singola cosa, che ha di fronte, questa volta una singola azione, e nel valutarla ne coglie le propensioni e i suoi accidenti non tutti di uguale valore e peso. Da una azione infatti possono derivare molte e varie conseguenze e non tutte con uguale intensità e probabilità; le sue propensioni non sono prestabilite, sono accidenti più o meno forti, e anche quelle propensioni molte intense possono essere sopravanzate da altre meno intense.

Libertà - opposizione

►L‟esoperienza del conflitto

Libertà - opposizione

► Quando valuto una azione riconosco sia una sua identità distinta dalle altre azioni rispetto alle quali può entrare in un rapporto di opposizione o di contrarietà, sia una sua identità distinta rispetto a ciò che potrà causare direttamente o indirettamente nel futuro, entrando, anche in questo caso, in un rapporto di possibile opposizione (o di contrarietà o di contraddizione) rispetto alle azioni ancora non date

Libertà - opposizione

►Rispetto al rapporto specie-individuo, identità-distinzione, in ambito naturale, emerge con più evidenza un ulteriore elemento: quello della possibile distinzione caratterizzata come opposizione, come contrarietà o come contraddizione.

Libertà - opposizione

► Penso sia difficile ritenere di poter trovare oggettivamente nella natura una opposizione reale, una contrarietà o una contraddizione, tra individui o tra le specie.

Libertà - opposizione

►Invece nell‟osservare i caratteri con cui mi si presenta una mia azione, una azione di un‟altra persona, un fatto storico e sociale, posso con molta facilità percepire un rapporto di opposizione, di contrarietà, di contraddizione, che proprio per questo spinge il giudizio verso un tipo di unità in grado di misurarsi con quegli stessi rapporti e, in caso di renderne conto.

L‟opposizione

► Tradizionalmente le principali forme di opposizione sono: a) di semplice correlazione, tipo padre-figlio, doppio-metà; b) di privazione, ossia quando si pensa il non-possesso in uno dei due termini di un qualcosa che l‟altro, appunto, possiede: vista-cecità; c) di contrarietà, dove un termine rappresenta il massimo di lontananza all‟interno del medesimo genere dall‟altro termine: bianco-nero, il genere comune è, in questo caso, il colore; d) infine il caso più forte di opposizione è la contraddizione, un termine è la negazione dell‟altro: la relazione tra A e non A, dove ciascun termine non ha in comune nulla coll‟altro.

L‟opposizione

► Ma effettivamente i due termini contraddittori qualcosa in comune ce l‟hanno: a) il rapporto di negazione, b) il fatto che quando penso e dico A = non A, o bianco = non bianco so che in non-bianco può entrare tutto, anche il giallo - che forse non è neppure in rapporto di opposizione con il bianco - un corvo bianco - che pur essendo bianco è comunque incluso in „non-bianco‟ in quanto è, infatti, non solo bianco ma un corvo bianco - un ircocervo, e così di seguito fino a pretendere di includere logicamente il tutto, la totalità.

L‟opposizione

► Per questo, per l‟impossibilità di esibire la totalità in modo completamente determinato, nessun non-A potrà essere un individuo: è solo la negazione di A, ma pure, proprio per questo entra in qualche modo nello stesso A; la negazione più forte, la contraddizione, costituisce dall‟interno qualsiasi cosa determinata, perché appunto l‟identità di A, di un qualcosa di terminato, non é non-A. Ancora una prova, quindi, dell‟impossibilità di giungere ad una identità senza distinzione, senza intrinseche distinzioni.

L‟opposizione

►E‟ necessario trovare un nome - che non rientri nelle quattro forme classiche di opposizione – per quel carattere di distinzione interno all‟identità in quanto tale e non alla distinzione come relazione tra distinte e relate identità.

L‟opposizione

► Una determinata passione contiene, in qualche modo, già in sé il suo contrario, che una determinata realtà antropologica - a carattere oppositivo (appunto per esempio sacro-profano) - contiene, in qualche modo, il suo contrario; sembra dunque che si possano ben legare reciprocamente la forma correlativa, quella per privazione e quella per contrarietà.

L‟opposizione

►Che ne è della più forte forma di opposizione? Che ne è della contraddizione? A e non A non ineriscono alla realtà? Un fenomeno, una azione o un fatto, proprio perché già in un determinato A, ossia in quanto qualcosa di determinato, sono al riparo dal potere del non A?

L‟opposizione

►Il „non-bianco‟, la massima forma di opposizione, di negazione, quella della contraddizione, può essere ricondotto alla distinzione, pur non cancellandolo analiticamente in questa, proprio per il potere di negazione che il „non‟ ha e mantiene in ogni individuo che rientra nella sua „superclasse‟, rispetto all‟unico ente che gli si contrappone: il bianco.

L‟opposizione

►La caratteristica che però dobbiamo evidenziare di questa forma massima di negazione è che contrapponendo „tutto‟ al bianco ciò non implica una contrapposizione determinata, ma appunto la totalità. Vi è dunque della contingenza, della novità, in „non bianco‟ rispetto a bianco, in non A rispetto a ad A.

L‟opposizione

►La stessa contraddizione può essere ricondotta alla più „visibile‟ contrarietà e alla distinzione proprio perché è possibile lavorare nel „non è‟ per percepire e giudicare il „caso giusto‟, il kairòs, l‟individuo che può essere contrapposto all‟azione che stiamo valutando

L‟opposizione

►Dovrebbe essere chiaro, inoltre, per quello che abbiamo detto sulla libertà, che comunque la nostra capacità di determinare un alcunché nello spazio del „non è‟ non è illimitata, come invece sembra essere questo stesso spazio, ma sarà sempre guidata dalla forza di una rappresentazione, di quella che avvertiamo come in grado di imporsi a noi.

I fatti storici. Il giudizio storico e politico.

► Presupponiamo come già dimostrato, in analogia con gli ambiti a cui ci siamo fin qui riferiti, che il molteplice dei fatti storici sia anch‟esso un molteplice non omogeneo, ma costituito di elementi che non hanno tutti lo stesso valore e la stessa forza di azione e di resistenza nei confronti di chi li giudica o di chi ne è, almeno in parte, fautore; ché i fatti storici sono opere dell‟uomo e sono perciò „oggetti‟ sul cui carattere di intrinseca ed oggettiva opposizione possiamo nutrire una maggiore fiducia epistemologica rispetto alla presenza di questo carattere nelle „cose di natura‟.

I fatti storici. Il giudizio storico e politico.

►L‟universalità che si mostra in un singolo evento ha una genesi diversa, distinta, da questo: essa muove dall‟esigenza di comprendere il fatto e di agire nella storia, questa stessa esigenza cerca nel giudizio una soluzione, una risposta e come tale non può essere l‟identità assoluta, l‟identità di specie e individuo, di quel fatto stesso.

I fatti storici. Il giudizio storico e politico.

►Riconoscere in un fatto una universalità è già, in qualche modo, vedere in quel fatto una forma a cui tende e che non è e non ha in modo completo e che proprio per questo gli „manca‟: ciò vuol dire capire un possibile conflitto reale

Il metodo „non esterno‟. Sed contra

►La caratteristica saliente di questo metodo argomentativo, tanto nella sua concretezza dialogica e didattica, quanto nelle sue applicazioni alla speculazione come tale, sia quella di affrontare un problema, una idea, come un qualcosa che per essere capito deve essere percepito e giudicato a partire dall‟opposizione che lo costituisce, dalla relazione tesi-antitesi in cui si sviluppa.

Il metodo „non esterno‟. Sed contra

►Il modello argomentativo della Quaestio „riflette‟, in senso forte, le possibili opposizioni che possono costituire l‟oggetto stesso - il problema, l‟idea, il fatto storico - che viene percepito e giudicato. La Quaestio diviene così un criterio per esporre la percezione stessa dell‟opposizione e per trovare e assecondare la via migliore per giungere ad una soluzione.

Il metodo „non esterno‟. Sed contra

►Il metodo della Quaestio può aiutare a mantenere sott‟occhio l‟opposizione dinamica interna ad un‟idea, ad una forma, di un particolare oggetto, di una particolare azione umana, di un particolare evento storico, di una particolare istituzione sociale.

Il metodo „non esterno‟. Sed contra

►Il metodo della Quaestio illustra e segue le propensioni e gli accidenti di ciascun corno dell‟opposizione e permette di fermare nel discorso, nel dialogo, la forma antinomica di un „oggetto‟, della sua idea: il movimento dei contrari - che in quanto movimento è contraddizione - che lo fanno divenire, cambiare nel tempo. Permette di percepire nel giudizio l‟opposizione dinamica dell‟oggetto affrontato

. E posso ritornare a vedere il mare.

► Ogni oggetto, ogni azione, ogni fatto, che si definiscono per opposizione, non possono essere ricondotti - ontologicamente e logicamente - ad una identità assoluta, analitica, ad una distinzione assoluta, ad una determinazione completa, ad una sua definizione senza distinzioni interne e senza relazione con altro. Questi motivi e caratteristiche sono: a) ogni oggetto ha una identità distinta in se stessa e non solo rispetto alle altre identità; b) ogni oggetto ha accidenti e propensioni che non possono essere derivati dalla sua essenza (o identità) e che lo fanno „divenire‟ e cambiare; c) ogni oggetto, in quanto ha in sé un‟identità non univoca si connette, realmente e non solo logicamente, con la forma più forte dell‟opposizione, la contraddizione: la sua identità è posta, cioè, al cospetto della non-identità.

E posso ritornare a vedere il mare

► L‟essere che può realmente essere altro dal non-essere ha ed è una identità in sé distinta: ha in sé un ritmo e una misura, un atto d‟essere che lo distingue costantemente da sé medesimo. L‟habitus al permanere in modo dinamico nella opposizione interna all‟identità dell‟essere (distinta dalle quattro forme classiche di opposizione), all‟identità dell‟essere, l‟abito cioè al percepire il suo ritmo e misura porta ad una forma di responsabilità spirituale in grado di cogliere le somiglianze e le dissomiglianze reali, di capire i conflitti, di valutare le propensioni attraverso i dettagli: tutte capacità in grado di rendere partecipi reciprocamente ciascuna singola esperienza, ciascuna singola cosa, farle essere in senso compiuto: contribuire alla loro „redenzione‟