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Culture a confrontoL’impegno della FITeL verso l’integrazione
delle seconde e terze generazioni degli immigrati
Progetto finanziato ai sensi della L. 383/2000 art. 12 - Lettera F (Anno finanziario 2008)
Culture a confrontoL’impegno della FITeL
verso l’integrazione delle seconde e terze generazioni degli immigrati
Progetto finanziato ai sensi della L. 383/2000 art. 12, Lettera F(Anno finanziario 2008)
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L’immigrazione, oggi, si presenta come un fenomeno sempre
più complesso e di più difficile “gestione” perché coinvolge, co-
me mai prima d’ora, tanto i singoli individui, con le loro perso-
nalità e le loro storie, quanto l’intera società. I testi che esplora-
no la presenza di stranieri in Italia evidenziano chiaramente che
il nostro paese è diventato un luogo di “stabilizzazione” degli im-
migrati entrando così nelle seconda fase del ciclo migratorio che
vede la presenza sia di immigrati singoli, sia di nuclei familiari.
Ciò fornisce un segno evidente che la presenza degli immigrati
stranieri nel nostro paese è sempre meno provvisoria. La cosid-
detta “invisibilità sociale” dello straniero rappresenta una condi-
zione in continua riduzione
che porta alla necessità di ri-
pensare i servizi sociali, sani-
tari ed educativi adeguandoli
ad un paese immerso nel gi-
gantesco processo della mon-
dializzazione che sta assu-
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mendo la veste di Paese mul-
tietnico per l’inserimento sta-
bile, sempre crescente, di cit-
tadini stranieri. In pochissimi
anni, infatti, già caratterizzato
da una rilevante emigrazione e
da movimenti demografici in-
terni, il nostro Paese ha regi-
strato un notevole incremento
del fenomeno immigratorio,
assumendo la funzione di ter-
ritorio non soltanto di transito
ma anche di destinazione defi-
nitiva per flussi migratori di notevoli dimensioni.
Nell’ambito dei fenomeni migratori occorre dare una partico-
lare attenzione ai cosiddetti “figli dell’immigrazione”. Con que-
sta espressione si intende includere diverse categorie come i mi-
nori stranieri ricongiunti alle famiglie, i bambini nativi figli di
coppie di immigrati, i figli di coppie miste. Un altro termine che
si utilizza spesso è “minore straniero” perché viene considerato
“neutro” in quanto rimanda alla situazione giuridica, piuttosto
che alla storia diretta o familiare di migrazione. La stessa defini-
zione del termine appare complessa e ricca di ambiguità in quan-
to circa la metà di loro è nata in Italia e conosce il paese d’origi-
ne solo indirettamente. Con questa sintetica distinzione dei termi-
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ni non si intende spiegare quale sia quello più o meno appropria-
to, bensì fornire la dimostrazione di quanto sia complessa ed ete-
rogenea la figura del minore straniero e di quante realtà siano na-
scoste dietro quel termine. Ogni minore ha un mondo alle spalle,
una situazione diversa da caso a caso, un percorso migratorio di-
retto o indiretto, vissuto, subito o semplicemente respirato in fa-
miglia per essere figlio d’immigrati. Il bambino e l’adolescente
straniero costituiscono il momento più avanzato del processo di
confronto culturale dell’intera famiglia nella società, poiché sono
proprio loro ad avere il primo contatto con le istituzioni e con i
primi luoghi di socializzazione. I servizi sociali, le scuole, i tri-
bunali, gli ospedali, ma anche la stessa società civile si trovano
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improvvisa- mente a dover gestire e a convivere con una nuova
figura, un nuovo cittadino, una nuova persona: il minore stranie-
ro. I minori stranieri sono soggetti che mediano tra due mondi, il
paese di origine e il paese in cui vivono. Questo processo di con-
tinua mediazione è particolarmente difficile da affrontare duran-
te una fase evolutiva di passaggio delicata in cui è in atto una ve-
ra e propria riorganizzazione del sistema di sé, l’adolescenza. In
sostanza, durante l’infanzia, e ancor più nell’adolescenza, si
esplicitano delle problematiche di maturazione di identità in
quanto l’apporto di due culture e quindi di due appartenenze ren-
de ancor più difficile la crescita. La realtà in cui si trovano im-
mersi fortemente è conflittuale, ambivalente e complessa. La per-
cezione di un abbandono del paese di origine da parte di uno o
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entrambi i genitori è accompagnata da una realtà extrafamigliare
alla quale è necessario adattarsi. In sostanza la “doppia apparte-
nenza” influisce sul processo di costruzione identitaria. Diventa
così reale l’ipotesi secondo la quale il minore straniero a volte fi-
nisce per considerarsi doppiamente straniero, sia nei confronti
del paese d’origine, sia in quello di arrivo. Inoltre va ricordato
che il senso di doppia appartenenza è spesso accompagnato dal-
le difficili condizioni economiche e giuridiche dell’immigrato
extracomunitario in Italia.
Certamente la “terra di mezzo” in cui si sentono immersi i mi-
nori stranieri può essere fonte di disagio ma se gestita in manie-
ra adeguata può rappresentare una condizione di reale intercultu-
ralità. Con questo non si intende dire che è necessario prefigura-
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re una sommatoria aritmetica tra due culture perché la prevalen-
za dell’una sull’altra può variare in base alle situazione in cui
l’adolescente si trova (casa, scuola, paese d’origine del genitore).
Al contrario è necessario che entrambe le appartenenze siano
considerate seppur in maniera flessibile e selettiva. La sfida non
è semplice in quanto spesso si incorre nel rischio di una confu-
sione a fronte di segnali o valori contraddittori.
Per i figli degli immigrati l’ostacolo e nello stesso tempo il
traguardo principale da raggiungere è l’integrazione all’interno
della società ospitante. Questo si concretizza attraverso l’ap-
prendimento della lingua italiana, il successo scolastico, la so-
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cializzazione, la costruzione mentale di progettare un futuro in
Italia. Questi aspetti rimandano al concetto ampio e complesso
d’integrazione che consiste nell’acquisizione di diritti, possibili-
tà di realizzazione di sé senza ostacoli, costruzione di relazioni
sociali e formazione di sentimenti di appartenenza e di identifi-
cazione.
Esistono molteplici strumenti che possono veicolare e favo-
rire l’integrazione sociale e culturale dei giovani figli di immi-
grati.
Il teatro sociale è uno degli strumenti innovativi che incorag-
gia la comunicazione, la comprensione e l’empatia. L’incontro
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con l’arte e in particolare con il teatro, nei diversi contesti di ri-
ferimento a attraverso molteplici forme, può diventare un’occa-
sione di crescita e sviluppo attraverso la promozione di valori
umani universali che guardano alla valorizzazione delle differen-
ze e non alla costruzione di barriere. La coesistenza, la compren-
sione reciproca e la collaborazione di diversi gruppi di destinata-
ri può portare ad uno scambio sano che mira all’integrazione e al-
l’accettazione della diversità come fonte di arricchimento per la
nostra società. Fare teatro nelle scuole con la partecipazione di
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bambini, adolescenti e insegnanti permette ai soggetti coinvolti
di guardare la realtà e ciò che li circonda da diversi punti di vista
in base al ruolo che i protagonisti interpretano. Questo facilita la
comprensione e il dotarsi continuamente di occhi nuovi perchè
osservare lo stesso fenomeno mettendosi nei panni dell’altro, può
far crescere e conoscere aspetti della realtà precedentemente
ignoti. A tal proposito entra in gioco l’empatia, ossia la capacità
dell’individuo di comprendere i pensieri e gli stati d’animo di
un’altra persona andando oltre l’apparenza e ascoltando attiva-
mente. La messa in scena è uno dei modi migliori per diffondere
messaggi di grande valore sociale perché il teatro è un linguag-
gio che raggiunge direttamente gli spettatori senza richiedere
complessi processi mentali. Recitazione, musica, espressione
corporea, costumi e scenografi sono modi alternativi per comuni-
care con un pubblico giovane trasmettendo concetti profondi e
favorendo la comprensione reciproca e l’accettazione dell’altro.
Le attività espressive e creative all’interno della scuola possono
rappresentare un notevole sostegno al processo di crescita dei
giovani.
In particolar modo la conoscenza di se e dell’altro viene favo-
rita attraverso il linguaggio del corpo che può essere considerato
come biglietto da visita con cui ci si presenta agli altri. La postu-
ra e l’espressività facciale comunicano all’interlocutore lo stato
d’animo prima ancora che abbia inizio la comunicazione verba-
le. Come afferma uno degli assiomi della comunicazione, non si
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può non comunicare. L’attività o l’inattività, le parole o il silen-
zio, hanno tutti il valore di un messaggio.
Le modalità di comunicazione non verbale sono definite da
sguardo, espressione del volto, gestualità, movimenti del corpo,
postura, contatto corporeo, abiti, aspetto esteriore. Le modalità di
comunicazione paraverbale sono determinate da vocalizzazioni
non verbali, tono della voce, ritmo, sospiri, pause, silenzi. La co-
municazione non verbale e paraverbale rappresenta il principale
mezzo per esprimere e comunicare le emozioni (gioia, rabbia,
paura, tristezza, disgusto, disprezzo, interesse, sorpresa, tenerez-
za, vergogna, colpa). Si stima che la comunicazione non verbale
e paraverbale sia determinante in almeno il 70% del messaggio
trasmesso. Le parole, dunque, rappresentano solo una piccolissi-
ma fetta della comunicazione che dunque si alimenta, in gran par-
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te, di cose non dette, di respirazione, di tatto, di toni di voce e ge-
stualità. L’espressione delle emozioni da parte degli attori è par-
ticolarmente visibile attraverso queste due forme di comunicazio-
ne, non verbale e paraverbale. L’utilizzo consapevole del lin-
guaggio verbale, non verbale e paraverbale da parte dell’attore
permette di trasmettere dei contenuti allo spettatore attraverso
una comunicazione efficace. Un fattore che incide fortemente
sull’efficacia della comunicazione per trasmettere concetti pro-
fondi e difficili da trattare come i pregiudizi etnici, il razzismo e
l’intolleranza è il contesto di riferimento. Molto importante a tal
proposito considerare chi si ha davanti. Questo facilita l’indivi-
duazione della chiave giusta affinchè il messaggio arrivi al desti-
natario. Non esiste una tecnica assoluta che permette di far sì che
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questo avvenga ma la creatività e la partecipazione attiva degli
spettatori sono due formule che facilitano il coinvolgimento.
Parlando di partecipazione attiva e teatro è interessante descri-
vere il cosiddetto gioco di ruolo, dall’inglese role playing. Il role
playing si propone di simulare, per quanto possibile, una situa-
zione reale, allo scopo di far conoscere ai partecipanti, attraverso
l’esperienza pratica, le relazioni che si stabiliscono in un’attività
caratterizzata da un importante processo di comunicazione.
Simulare delle situazioni reali che possono essere frequenti
nella vita quotidiana, può essere utile per riflettere e analizzare lo
stesso fenomeno da diversi punti di vista in base al ruolo che vie-
ne interpretato dai personaggi della storia. Il gruppo dei parteci-
panti si divide in due parti: alcuni interpretano dei personaggi in
una situazione realistica della vita scolastica, altri osservano la
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loro azione; ciò non significa che “attori” e “spettatori” abbiano
funzione nettamente diversa: ambedue le categorie devono “os-
servare ciò che succede” ed elaborare l’osservazione allo scopo
di comprendere il sistema di relazione e comunicazione che si
realizza. Il vantaggio sta nel fatto che, a differenza della situazio-
ne reale, il processo che si sviluppa nel gioco di ruolo non ha con-
seguenze nella vita reale, permette però ai partecipanti di esplo-
rare il reale recitando o assistendo alla rappresentazione da osser-
vatori esterni. Ai partecipanti che fungono da “attori” sono asse-
gnate delle “parti” che definiscono il loro ruolo nella situazione
che si vuole ricreare; a tutti viene dato uno scenario che definisce
il contesto nel quale l’azione si sviluppa. Le “parti” contengono
anche alcune indicazioni su come iniziare il play e come condur-
ne alcuni aspetti, ovvero sulle caratteristiche e sulle modalità
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comportamentali del ruolo assunto; la frazione maggiore del la-
voro viene però lasciata all’improvvisazione. Gli “attori” posso-
no agire e parlare non tanto secondo le proprie inclinazioni, quan-
to secondo il carattere dei personaggi descritto nelle singole “par-
ti”. Vanno evitati atteggiamenti troppo “recitati”, l’intenzione è
quella di vedere come succede quando si interagisce con gli altri,
non di strappare applausi; così come occorre che gli “attori” pos-
sano esprimersi senza rischiare di essere messi in condizione di
un qualche stress emotivo da pubblico. Mentre gli “attori” studia-
no le “parti”, gli altri membri del gruppo, con il conduttore che
ha un ruolo di coordinamento, formulano ipotesi su quali aspetti
del play debbano essere osservati e in vista di quali risultati. Con-
clusa la fase di preparazione e il play si passa in plenaria a ripor-
tare le osservazioni e a discuterne: è importante che tutti comuni-
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chino le loro osservazioni, e che anche gli “attori” riportino le lo-
ro impressioni, emozioni, scelte di “recitazione”.
I giochi di ruolo sono un’attività libera, piena di fantasia, indi-
vidualità, cooperazione e progettazione. Leggere, narrare, inven-
tare storie, immaginare, riferire, aiutano la conoscenza del sé, del
mondo degli altri, di sé nel mondo e di sé con gli altri. I giochi di
ruolo aiutano a migliorare le capacità espressive, le conoscenze
storiche, letterarie, linguistiche ed aiutano l’apprendimento di
quei valori fondamentali nella vita degli uomini.
Un altro strumento che favorisce il miglioramento delle capa-
cità linguistiche e creative dei giovani e la collaborazione è la
scrittura creativa. Essa costituisce lo stimolo all’apprendimento
ed è stato dimostrato che svolgere attività scrittorie guidate dal-
l’abitudine genera noia e disinteresse. Per questo motivo sta sem-
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pre più evolvendosi l’idea di dinamicizzare l’attività di classe ri-
conoscendo la giusta importanza al lavoro di gruppo e al coinvol-
gimento dell’insegnante come membro del gruppo-classe nel
ruolo di facilitatore e consigliere piuttosto che direttore delle at-
tività. Oggi i ragazzi passano la maggior parte del loro tempo a
contatto diretto e continuo con i mass media. Per proporre loro
qualcosa di realmente alternativo e coinvolgente, che si differen-
zia dalle attività prettamente legate allo studio, è necessario far
scoprire la dimensione ludica dello scrivere, il piacere dello scri-
vere come forma di espressione delle proprie emozioni, stati
d’animo, creatività. La creatività è da considerarsi come una fa-
coltà propria dell’essere umano e come tale va educata e stimo-
lata. Dunque la scuola che ha tradizionalmente privilegiato l’edu-
cazione convergente, che opera con schemi rigidi ormai noti, può
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dare maggiore spazio ad un campo privilegiato di esercizio di
creatività, la scrittura. Il metodo adottato mira a seguire un ap-
proccio pedagogico che privilegia l’interazione permettendo ai
presenti di scambiare opinioni su esperienze reali o immaginarie
che potranno costruire sulla base di esperienze ed eventualmente
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culture diverse. Questo facilita lo scambio reciproco che stimola
l’immaginazione e la fantasia. Dopo aver affrontato il teatro so-
ciale e la scrittura creativa arriva il momento di considerare l’im-
portanza della musica come fonte di espressione che genera
emozioni eterogenee e intense. Svolgere dei progetti in cui si da
l’opportunità ai giovani di “fare” musica concretizzandola attra-
verso l’utilizzo di strumenti diversi, rende l’esperienza musicale
nella sua interezza uno degli elementi che incidono fortemente
sulla formazione della personalità. Il laboratorio viene inteso co-
me contesto sociale di apprendimento musicale dove si condivi-
de l’esperienza musicale e cognitiva, dove si comunica con l’al-
tro. Spesso si fa riferimento a competenze sociali che si acquisi-
scono attraverso la musica. Questo è vero sia per il percorso di
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crescita e formazione individuale, in quanto la musica è una ri-
sorsa culturale ed espressiva di eccellenza, sia per un percorso di
educazione dello stare bene insieme. La pratica della musica in-
sieme incentiva e promuove lo scambio e il confronto sull’inter-
pretazione e sull’intenzione comunicativo-espressiva. Un percor-
so didattico che fa conoscere musiche diverse, comprese quelle
che si ascoltano nella vita quotidiana, può spingere all’elabora-
zione personale, alla scoperta dei propri gusti musicali, al con-
fronto con gli altri, alla collaborazione per creare, insieme, forme
di rappresentazione musicali. L’educazione musicale costituisce
un campo di relazione tra le diverse culture e proprio per questo
motivo può rappresentare uno strumento prezioso per favorire la
socializzazione e l’integrazione sociale con uno slancio creativo.
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La creatività può essere impiegata anche in ambiti completa-
mente diversi da quelli finora citati come quello dell’autoim-
prenditorialità. Prima di trattare questo tema è naturale rimarca-
re l’inevitabile presa di coscienza che entrare nel mondo del la-
voro rappresenta attualmente una sfida per moltissimi giovani e
adulti. Questo provoca la difficoltà da parte dei giovani di rag-
giungere un’indipendenza economica e di costruirsi un futuro. I
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canali tradizionali, come ad esempio l’invio di curricula alle im-
prese, non sempre danno i risultati sperati. Il rischio è quello di
passare inosservati nel flusso di richieste che arrivano quotidia-
namente ai destinatari. Esiste una via alternativa che permette,
ma non assicura, di creare da se il proprio lavoro, la strada im-
prenditoriale.
L’autoimprenditorialità permette di sfruttare le proprie cono-
scenze teoriche e pratiche coniugandole con le proprie capacità
personali per far nascere un’attività.Autoimprenditorialità signi-
fica diventare imprendotori di se stessi, utilizzare le proprie
competenze per far nascere un’opportunità professionale. Di-
ventare imprenditori è facilitato da una serie di interventi legi-
slativi che mirano ad agevolare la preparazione teorica e pratica
offrendo così ai possibili imprenditori futuri gli strumenti giusti
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per affrontare con successo una strada ricca di stimoli e soddi-
sfazioni ma anche altamente competitiva. Avviare un’attività in
proprio offre anche il vantaggio di non avere né padroni né ora-
ri imposti da altri né dover rendere conto a qualcuno per le scel-
te intraprese. Uno degli svantaggi è assumere sulle proprie spal-
le il rischio della propria attività. È necessario essere preparati a
lavorare duramente senza esser certi di ottenere una retribuzio-
ne, mettere in gioco il patrimonio e la propria immagine. L’im-
prenditore deve saper osservare nel modo giusto la realtà che lo
circonda, conoscere il mercato in cui opera prevedendone gli
sviluppi futuri, stabilire relazioni attraverso una comunicazione
efficace, organizzare l’attività definendone le priorità. Alcune di
queste capacità possono essere facilitate dalla personalità del-
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l’imprenditore, altre essere acquisite attraverso la formazione
teorica e la pratica sul campo.
Per diventare imprenditori è possibile far nascere dal nulla una
nuova impresa oppure rilevarne una già esistente. La prima alter-
nativa è quella più adatta per i neo-imprenditori consentendogli
di far riflettere in essa le proprie caratteristiche e interessi. È la
soluzione adatta per chi entra nel mercato con prodotti nuovi e/o
con strumenti organizzativi innovativi rispetto a quelli utilizzati
nelle imprese già affermate. È anche possibile che ci sia un nuo-
vo imprenditore che non crei una nuova impresa ma ne rilevi una
già esistente o la erediti da un familiare. In questo modo l’esisten-
za di un nome, di una rete di clienti e di fornitori facilita il per-
corso rendendo meno duro l’ingresso nel mercato. Tutto ciò non
esclude la presenza di maggiori difficoltà nell’apportare degli
eventuali cambiamenti nella gestione dell’impresa, già struttura-
ta internamente e riconosciuta all’esterno come tale.
Come è stato accennato precedentemente anche la “libertà ha
un prezzo”. Al lavoratore dipendente viene garantito, anche se
spesso per un periodo determinato, lo stipendio mensile indipen-
dentemente dall’andamento dell’azienda Per l’imprenditore, so-
prattutto nella fase iniziale, non vengono garantite delle entrate
sicure. C’è però anche da specificare che non esiste un limite al
guadagno che può acquisire. Potrà decidere in base a numerose
variabili, tra cui l’andamento del mercato, quanto trattenere per
sé e quanto reinvestire nell’attività in previsione del futuro.
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La strada che porta alla creazione di un’impresa è composta da
varie fasi, la prima consiste nel chiedersi se si vuole intraprende-
re questa via che, come è stato specificato precedentemente, è
lunga e tortuosa. Molti ritengono che imprenditori si nasce, ossia
che è necessario avere delle attitudini innate che facilitano l’in-
gresso. Altri sostengono che chiunque dotato di buona volontà
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può diventarlo. La via di mezzo è quella da preferire, sfruttare le
proprie potenzialità e attitudini personali accompagnate da una
forte motivazione e forza di volontà senza dimenticare che le
competenze possono essere acquisite attraverso lo studio e
l’esperienza pratica.
Il secondo passo verso la nascita dell’impresa è rappresentato
dall’idea imprenditoriale. Dall’idea nasce il prodotto o il servizio
che si intende inserire nel mercato e che sarà utilizzato dai futuri
clienti. L’idea è la chiave per il successo imprenditoriale, se ci si
presenta sul mercato con un’idea superata o simile a molte altre
le difficoltà saranno difficili da superare. Al contrario un’idea
particolarmente buona, che si concretizza in un prodotto o servi-
zio può trainare l’impresa anche quando l’imprenditore non è
particolarmente esperto o non abbia chissà quale potenzialità in-
nata di cui si parlava prima. Il successo o il fallimento di un’ini-
ziativa imprenditoriale è decretato dal mercato. I consumatori
quando hanno di fronte a se l’offerta di una serie di prodotti,
spesso fanno delle scelte che premiano le strategie imprenditoria-
li non perfette ma sostenute da un prodotto valido.
Continuando il percorso, il terzo passo verso la nascita del-
l’impresa è, dopo aver identificato il settore economico in cui en-
trare, acquisire più informazioni possibili sui futuri concorrenti
per orientarsi nella redazione del piano d’impresa (business plan)
in cui il neo imprenditore deve stimare con precisione i costi fu-
turi e i profitti attesi. Esso consente di verificare la validità del-
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l’idea ed accorgersi di eventuali errori prima che sia troppo tardi.
L’autoimprenditorialità non rappresenta certamente la risolu-
zione a problemi particolarmente difficili in questi ultimi anni co-
me la disoccupazione giovanile e la precarietà, può offrire però
l’opportunità per i giovani di entrare nel mondo del lavoro sfrut-
tando la creatività per formulare idee innovative concretizzate in
prodotti e servizi.
Sempre per quanto riguarda il lavoro autonomo e l’impren-
ditorialità, secondo la Federazione Italiana del Tempo Libero
(FITeL), le donne devono essere sostenute a formarsi come im-
prenditrici di valore, in tutte le opportunità possibili. Relativa-
mente ai Finanziamenti Imprenditoria Femminile sono regola-
ti dalla Legge 215 del 1992. Questa legge prevede delle agevo-
lazioni nei confronti delle imprese in ”rosa” quindi ammini-
strate dalle donne, che possono essere sia da avviare che già
esistenti.
A tal fine la legge 215 del 1992 va inserita in un complesso
di leggi e provvedimenti volti al credito e al microcredito, per fa-
cilitare da parte delle donne l’accesso alle risorse finanziarie e
per sostenerle nel “fare impresa”, prevedendo un ruolo attivo de-
gli enti locali e un’attenzione particolare alle donne del Mezzo-
giorno.
Il mondo dell’agricoltura offre un esempio di una nuova soli-
darietà e di una nuova parità. La presenza femminile nell’econo-
mia agricola è un fatto, che richiede tuttavia misure per il pieno
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riconoscimento della risorsa costituita dalle donne per l’agricol-
tura e per la società.
Le donne, inoltre, hanno espresso una forte soggettività e co-
scienza critica sulla gestione dei beni comuni quali l’acqua, il
suolo, le risorse energetiche, il paesaggio e l’ambiente.
Se, tradizionalmente, in agricoltura, è prevalso il protagoni-
smo maschile nei livelli decisionali e di rappresentanza, l’idea
oggi emergente di multifunzionalità dell’agricoltura apre alle
donne, comprese quelle immigrate, un nuovo ruolo da protagoni-
ste.
Esempi di multifunzionalità sono l’Agriturismo, in cui il lavo-
ro di cura (cibo e accoglienza) diviene impresa, la Scuola in Fat-
toria e le Fattorie Sociali.
Il territorio rurale è troppo spesso considerato cortile delle cit-
tà, non è quasi mai dotato di servizi flessibili rispetto a tempi e a
modi di vita, diversi da quelli urbani. Tali servizi, in questo caso,
sono anche strumento di mantenimento d’insediamenti umani
che altrimenti sparirebbero e che dovrebbero essere considerati
un bene di tutti. Oggi che nel mondo agricolo italiano la presen-
za femminile s’impone come uno dei parametri positivi, adottare
misure dirette a una strutturazione e cura dell’ambiente e dell’ha-
bitat, dei servizi forniti nelle campagne, di strutture e infrastrut-
ture che permettano un buon livello di vita anche come un reddi-
to indiretto per le famiglie e per le donne si propone come un te-
ma di grande attualità .
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Sicuramente la donna immigrata appare come interprete prin-
cipale d’un lento e silenzioso sviluppo all’interno della società di
accoglienza; nel contempo non è da trascurare il fatto che proprio
il processo d’inserimento ed integrazione della donna straniera
nel nostro Paese agevolerà il processo di edificazione e consoli-
damento di una società realmente multietnica ed interculturale.
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2011
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