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A cura di Pierpaolo Cetera
Storia e storiografia della cultura italiana
A cura di Pierpaolo Cetera
Sintesi di critica storiografica
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Sintesi di
CRITICA STORIOGRAFICA
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Elementi di Critica della Cultura Con riferimenti più diretti alla Storia d’Italia nel XX secolo.
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A cura di
Pierpaolo Cetera
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La storia tra filosofia e sociologia. Una (prima) bibliografia
Temi ed interpretazioni di storia dell’Italia contemporanea.
G. Carocci, Storia d’Italia dall’Unità ad oggi, Feltrinelli, 1989
AA.VV., Storia d’Italia Einaudi, vol. IV, Einaudi 1975
AA.VV., Storia della società italiana, vol. XIV, il blocco di potere nell’Italia unita, Teti, 1980.
Periodi.
A. Aquarone, L’Italia giolittiana, il Mulino, 1988.
G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna volume IX. Il fascismo e le sue guerre. Feltrinelli, 1981.
M. Legnani, L’Italia dal 1943 al 1948, Loescher, 1986.
D. Sassoon, L’Italia contemporanea. I partiti. Le politiche la società dal 1945 ad oggi Ed. Riuniti, 1987.
Storiografia
J. Tosh, Introduzione alla ricerca storica, la Nuova Italia, 1989
AA.VV., Storiografia e fascismo, F. Angeli ed., 1985.
E. Collotti, Fascismo, fascismi, Sansoni 1989.
Mondo degli affari e mondo della politica nel ‘900 in Italia
G. Alvi, Le tentazioni economiche di Faust, Adelphi, 1988
G. Are, Industria e politica in Italia, Laterza 1975.
U Ascoli (a cura di), Walfare State all’italiana, Laterza, 1984
P. Barcellona, L’individualismo proprietario, Boringhieri, 1987.
G. Carli, Intervista sul capitalismo in Italia, Laterza 1977
F. Cazzola, Della corruzione. Fisiologia e patologia di un sistema politico, Il Mulino 1988
C.E.N.S.I.S., Gli anni del cambiamento (1976-1982), F. Angeli, 1982
D. Fisichella, Il denaro e la democrazia, Nuova italia 1990
5
S. Rodotà, Il Terribile diritto. Studi sulla proprietà privata (pt. III), il Mulino, 1981.
G. Rossi, Trasparenza e vergogna. La società e la borsa, Il saggiatore, 1983
G. Rossi, La scalata al mercato. La borsa e i valori mobiliari, il Mulino 1986
Studi
C. Barberis, Aristide Merloni. Storia di un uomo e di un’industria in montagna, Il Mulino, 1987
G. Baglioni, L’ideologia della borghesia industriale nell’Italia liberale, Einaudi, 1974
L. Bortolotti, Storia della politica edilizia in Italia. Proprietà, imprese edili e lavori pubblici dal primo dopoguerra, ed. Riuniti, 1978.
A. Confalonieri, Banca e industria in Italia (1894-06/1907- 14, voll. 2), il Mulino e BCI, 1982.
G. Gribaudi, Mediatori. Antropologia del potere democristiano nel mezzogiorno, Rosenberg e Sellier, 1980.
G. Provasi, Borghesia industriale e democrazia cristiana. Anni 70, angeli 1980
M. Salvati, Economia e politica in Italia dal Dopoguerra a oggi, Garzanti, 1984.
R. Webster, L’imperialismo industriale italiano. Studi sul prefascismo 1908-1915, Einaudi 1974.
L. Zani, Fascismo, autarchia, commercio estero. F. Guarneri un tecnocrate ala servizio dello “Stato Nuovo”, Il mulino, 1988
Storia della cultura
Norberto Bobbio, Profilo ideologico del Novecento
A. Asor Rosa, La Cultura (in Storia d’Italia, Einaudi)
Nello Aiello, Intellettuali e PCI
N. Tranfaglia, Labirinto italiano. Il fascismo, l’antifascismo, gli storici.
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Libro esaminato
N. TRANFAGLIA, IL LABIRINTO ITALIANO. FASCISMO ANTIFASCISMO E GLI STORICI
1. INTRODUZIONE
Da Giorgio Galli, “Dal bipartitismo imperfetto alla possibile alternativa” (il Mulino,
1984)
<< Certamente è dalla scelta del “connubio” di Cavour che il sistema
politico/parlamentare italiano si è venuto configurando con una tendenza centripeta
(come antitetica a quella “alternativa”) in misura più marcata che in altri sistemi
politici anche per dignità culturale (indice di una forma mentale) che si era voluto
dare a quello che avrebbe potuto limitarsi ad essere un opportuno accorgimento
tattico.
Ma destra e sinistra hanno tentato di organizzarsi come partiti parlamentari
permanenti, prima di rassegnarsi alla riscossa centripeta che assunse il
“trasformismo” di De Pretis. Da allora il meccanismo di ricambio limitato a
innovazione controllata, parallelo al processo di sviluppo e decollo industriale, ha
assunto caratteristiche che … possono essere interpretate come anticipazioni del
bipartitismo imperfetto >>.
Il “bipartitismo imperfetto” (nella critica che ne fa Galli) appare come il frutto di una
valutazione assai critica dell’esperienza repubblicana, che vede nella << possibile
alternativa>> come Galli stesso dirà nel suo successivo libro, l’uscita da una
condizione di inferiorità della democrazia italiana rispetto ad altre esperienze più
avanzate dell’>Occidente (pag. 14).
Il “pluralismo polarizzato” di Giovanni Sartori si collega a un’interpretazione
complessiva … che distingue tra partiti pro-sistema e partiti anti-sistema e di
conseguenza vede nella coalizione di centro … l’unica possibile difesa del sistema
politico italiano (ibidem).
Da Paolo Farneti ( “La crisi della democrazia italiana …”, Rivista di Scienza Politica,
1975):
<< Il Fascismo fu in gran parte il risultato dell’incapacità, o non volontà del
liberalismo di diventare “liberal-democrazia” (fondata sul suffragio universale e sulla
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rappresentanza proporzionale) e del socialismo di diventare “socialdemocrazia”,
diviso piuttosto tra riformismo conformista e rivoluzionarismo velleitario. In
sostanza, il Fascismo sfruttò l’incapacità delle forze politiche dello Stato di
aggregarsi ed organizzarsi in partito di massa cooptando i ceti medi >>.
2. FASCISMI: ITALIA E SPAGNA
Il fascismo italiano non funge da guardia bianca degli agrari ma anche mette insieme
la piccola e media borghesia << … ma soprattutto assimila dal movimento socialista,
e trasforma a suo uso e consumo, un nuovo modo di fare politica attento ai riti, alla
coreografia, agli slogan al leader carismatico che comunica direttamente con le folle
>> (pag. 25).
In Spagna al regime militar-burocratico di Primo de Rivera succede la IIa Repubblica,
che è condizionata dallo scontro socialisti-repubblicani e da questi contro l’apparato
clericale-agrario << … che controllava gran parte del sud e disponeva di redditi
immensi >> (pag.26). Filo-fasciste in Spagna sono le organizzazioni di Josè Antonio
Primo de Rivera, la “Falange”, e di O. Redondo e R. L. Ramos, la “Juntas de Ofensiva
National Sindacalista” (JONS), ma erano organizzazioni minoritarie e fuori dalla
dialettica politica reale.
In Italia il fascismo al potere come minoranza, determinata e condizionata dalla
borghesia, man mano acquista consensi fin a diventare maggioranza indistinguibile
da altri gruppi di potere (ad esclusione della Chiesa). In Spagna il movimento … della
Juntas e della Falange nelle mani del blocco dominante di Franco diventa strumento
di aggregazione e agitazione.
Franco << … nello stesso tempo è bene attento (a differenza di quando hanno fatto
Hitler e Mussolini) a non perdere in nessun momento il favore della Chiesa, né a
scontentare la grande proprietà terriera con una politica economica industrialista >>
(pag. 30).
Le differenze. E le somiglianze
<< A meno che si guardi ai modelli elaborati in campo storico come a qualcosa di
statico, immobile, di trasferibile da un paese all’altro senza tenere conto abbastanza
delle differenze profonde che segnano l’esperienze nazionale nei secoli precedenti e
che influiscono in modo determinante sull’adattamento dell’una o dell’altra
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ideologia, dell’uno o dell’altro regime alle varie compagini nazionali … >> si può
affermare che il franchismo è un fascismo.
Lo sviluppo industriale, voluto dai tecnocrati dell’Opus Dei, portò il cambiamento
sociale (camaleontismo) che innestò successivamente la conflittualità capitale-
lavoro e le lotte per la modernizzazione volute dalla borghesia intellettuale, ma la
conservazione liberticida e l’uso spregiudicato delle violenze di Stato contro
l’autonomia regionale e le organizzazioni proletarie di base raggiunse il massimo
negli anni ’60. << La Spagna è costretta a diventare fascista attraverso una guerra
civile, l’Italia al contrario esce dal fascismo attraverso la guerra civile >> (pag. 58).
3. IL CAPO E LE MASSE.
Il linguaggio.
Si può parlare di legami non ideologici ma sociali e umani fra Mussolini e le masse
piccolo-borghesi, di atteggiamento pedagogico, da padre e maestro, nei confronti
del popolo italiano.
Significativamente l’esperienza giornalistica lo aiuto molto nell’esposizione verbale e
non si può non riconoscere nell’esercizio retorico mussoliniano una trasformazione
in chiave appunto giornalistica della retorica dannunziana.
Due sono le caratteristiche del linguaggio di M.:
1) la sacralizzazione del linguaggio politico ovvero l’utilizzo ad abundantiam di una
terminologia desunta dal campo teologico e riportata in quello politico (“fede”,
“mistica”, “devozione”, “sacrificio”).
2) un linguaggio di sicura ascendenza dannunziana << … quello delle interrogazioni
retoriche attraverso le quali si chiede alle masse non tanto una risposta basata su
elementi razionali di valutazione quando una riaffermazione di fede in qualcosa che
l’oratore enuncia e rispetto a cui gli ascoltatori non hanno nessuna facoltà di dialogo
ma soltanto la scelta tra l’adesione e il rifiuto >> (pag. 47)
Da i “Colloqui con Mussolini” di Emil Ludwig (1932):
<< La massa per me non è altro che un gregge di pecore, finché non è organizzata.
Non le sono affatto ostile. Soltanto nego che possa governarsi da sola. Ma se la si
conduce bisogna reggerla con due redini: entusiasmo e interesse. Chi si serve solo di
uno dei due corre pericolo. Il lato mistico e il politico si condizionano l’un l’altro.
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L’uno senza l’altro è arido, questo senza quello si disperde nel vento delle bandiere.
Non posso pretendere dalla massa la vita incomoda: essa è solo per pochi>>.
4. COERCIZIONE E CONSENSO ( dal “Dizionario di Sociologia” di L. Gallino, 1978)
<< Si ha consenso in una comunità qualsiasi quando la maggioranza dei suoi membri
aderisce ai valori e condivide credenze affini in relazione ad aspetti fondamentali del
suo aspetto politico, economico, giuridico quali il modo di produrre e di distribuire le
risorse materiali e non materiali, la natura e la direzione dei mutamenti da
apportare alle istituzioni, le norme che definiscono e reggono l’ordine sociale, la
libertà di organizzazione e di espressione di differenti settori della popolazione, con
speciale riguardo alle minoranze politiche, etniche e religiose >>.
Coercizione: << … estrinsecazione dell’apparato repressivo dello Stato e del Regime,
sia come risultato della mobilitazione ideologica, dei mezzi di comunicazione di
massa della repressione culturale del dissenso >> (pag. 62)
[Sono indicati i vari tipi di relazioni (subordinazione, equivalenza e autonomia)
all’interno del Regime, ove si prefigura una rapporto di subordinazione tra il duce e
le istituzioni statali (prefetti, polizia) e il Gran Consiglio; equivalenza con la
“Confederazione degli Industriali” (?) e la Chiesa; subordin. tra l’esercito e la
monarchia; e con il PNF e la MVSN e sindacati subordinati al duce].
<< La politica estera sostanzialmente cauta di Mussolini in quegli anni (’22-’29),
l’estrema cura che il regime fascista pone nell’apparire di fronte all’opinione
pubblica delle democrazie occidentali come una variante conservatrice e populista
del liberalismo … e non certo un nuovo totalitarismo … hanno sortito l’effetto – di
fronte al fantasma bolscevico del primo dopoguerra e ai comuni interessi di paesi
che adottano un modo di produzione capitalistico e sono legati da importanti vincoli
finanziari e commerciali – di creare in Europa e in tutto l’Occidente un’atmosfera di
prudenza e di attesa, ma non di ostilità, di fronte all’esperimento mussoliniano >>
(pag. 67).
5. SULL’ANTISEMITISMO FASCISTA
Luoghi comuni: primo, tra il fascismo e il nazionalsocialismo non ci sono affinità o
parentele. << il secondo luogo comune, strettamente legato al primo, riguarda
vicende della comunità ebraica nel nostro paese prima e dopo l’ingresso italiano in
guerra e il 25 luglio ’43: la tendenza di chi separa nettamente fascismo e NS; di chi fa
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dell’uno un fenomeno rivoluzionario, dell’altro un fenomeno conservatore è quello
di considerare la discriminante antiebraica sfociata nelle leggi del ’38 una sorta di
incidente di percorso, di imitazione del regime hitleriano (… ma non si capisce la
necessità di imitazione se si trattava di due sistemi diversi) quindi di ritenere la
persecuzione del 1943-45 come un fatto da addebitare essenzialmente agli alleati-
padroni di Salò di fronte a cui la R.S.I. nelle sue istanze ufficiali prestava
collaborazione , ma a livello popolare invece si faceva in quattro per limitare il
danno e salvare quanto più ebrei si poteva dalle grinfie delle SS e della Ge.sta.po
hitleriana >> (pag. 78).
Risposta di Collotti: << Se cerchiamo di approfondire i principali momenti di conflitto
tra i due regimi dobbiamo constatare che si è trattato sempre di conflitti meramente
politici, di conflitti tra Stati nel senso tradizionale dell’espressione *…+ il caso più
clamoroso quale quello del razzismo antisemita, lungi dal dar luogo a una netta
differenziazione, conferma la subalternità del Fascismo italiano che rivaluta le sue
potenzialità razzistiche e si adegua goffamente allo stesso razzismo nazista,
limitando la sua autonomia al compiacimento di ritrovare in Mussolini il prototipo
della razza italiana …>> (da “Fascismo e capitalismo”, Feltrinelli 1976).
Sovvenzionata dal regime è la rivista “La Via italiana” dell’antisemita Giovanni
Preziosi che diffonde in Italia i “Protocolli dei Saggi di Sion”. D’altra parte
l’organizzazione semita “La nostra bandiera” di Torino cercò di lavorare per il regime
fino al 1938.
6. MAGISTRATURA E FASCISMO
La fascistizzazione della magistratura, ovvero la totale disponibilità del potere
giudiziario a considerare l’ideologia fascista propria ideologia (specialmodo la
concezione dello Stato e il corporativismo) consente, se studiata correttamente con
strumenti culturali idonei, di capire a fondo anche il volto del regime: << Un volto
fatto di oppressione di classe ma anche di demagogia assistenziale … >> (pag. 94).
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Interpretazioni del Regime.
Testi di riferimenti:
G. Salvemini, scritti sul fascismo (voll. 3, 1961,’66, ’74) P. Togliatti, Lezioni sul fascismo (1935, r. 1970) E. Santarelli, Storia del movimento e del regime fascista (1967) R. De Felice, Mussolini (voll. 4, 1974) G. Quazza, Fascismo e società italiana, (1976) Fonti: le leggi fondamentali del ventennio, i discorsi e gli scritti di Mussolini, le carte
dell’Archivio Centrale di Stato (ACS).
Sono sotto-utilizzate le seguenti fonti: giornali, riviste, pubblicazioni varie.
Sono da “esplorare”: le carte degli altri ministeri e gli archivi personali dei Gerarchi.
Quesiti della storiografia:
- Problema della continuità/rottura dello stato liberale con lo stato fascista
(Stato autoritario, Stato totalitario).
- Natura e dimensione delle differenze che separano il fascismo come regime
dai sistemi di potere reazionari che lo hanno proceduto.
- Il ventennio tra consenso e repressione.
- Immagini e contenuti reali del Regime
Questo per il decennio 1980-1990-. I progressi della storiografia in questi ultimi
decenni (1990-2000) sono notevoli: sono stati indagati aspetti di varia natura,
uomini e sistemi locali del potere fascista, opere e simboli del regime.
Per il decennio 2000-2010 la ricerca ha consolidato aspetti e elementi avalutativi del
Fascismo.
“Lezioni sul fascismo” di Togliatti (1935) << In particolare dalle pag. di T. emergono
alcuni punti essenziali su cui la discussione è ancora aperta. Schematicamente,
potrebbero così enumerarsi: 1) repressione poliziesca e inquadramento delle masse
in organizzazioni che promuovono una pseudo-partecipazione alla vita politica, sono
due aspetti inscindibili, complementari del regime; 2) il corporativismo corrisponde
“… a un grado avanzato dell’economia” capitalistica, quella del capitale finanziario,
3) la collaborazione di classe che si vuol attuare attraverso le corporazioni si realizza
nello stato fascista grazie all’apparato repressivo e a un’ideologia “anticapitalistica”
diffusa nei momenti opportuni dai mezzi di grande comunicazione di massa di cui il
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fascismo si serve per far breccia nella piccola borghesia e settori limitati della classe
operaia; 4) il corporativismo fascista, infine, “ non è che un modo di formulare i
tentativi capitalistici della cosiddetta pianificazione” (pag. 108).
Sul regime fascista degli anni ’30 R. De Felice scrive di << uno scontro aperto tra
fascismo rivoluzionario e i fiancheggiatori [ceti conservatori e agrari, nda] che lo
catturano. Alfredo Rocco, incontestabile protagonista della costruzione dello stato
fascista attraverso leggi sui conflitti di lavoro dell’aprile 1926, la preparazione di testi
unici di pubblica sicurezza, e anche del Codice penale che porta il suo nome, autore
in massima parte di quel manifesto ideologico del F. che è la Carta del Lavoro, è un
personaggio scomodo in una simile interpretazione … Mussolini dà uno spazio così
grande all’antico reazionario …
De Felice può ritrarre il plebiscito del’29 come una consultazione elettorale non
molto differente da libere elezioni, liquidare rapidamente i nodi della politica
economica fascista di quegli anni, esaltandone gli aspetti positivi, formulare un
giudizio di dura condanna nei confronti di notevoli componenti dell’antifascismo
all’estero, salvando all’opposto, la funzione e i risultati a lungo termine
dell’antifascismo conservatore raccolto intorno a Benedetto Croce … ( da pag. 126).
Mantenimento di una “costituzione economica” sostanzialmente uguale a quella del
periodo liberale, opera principalmente di G. Bottai. Questi poi cercò di programmare
interventi nel settore industriale e finanziario al di fuori di qualunque nesso con le
istituzioni corporative e per questo fu destituito nel ’32 da ministro delle
Corporazioni (pag. 132, n. 32). Con la crisi del ’31/’32 matura un progetto di
pianificazione statale all’interno della struttura capitalistica italiana … si è parlato di
“autogestione capitalistica” del sistema.
Altri aspetti:
I) esistenza all’interno della classe dirigente fascista e tra intellettuali di un’ala
minoritaria con tendenze riformatrici, omogenee – formalmente- a correnti
vittoriose in paesi di capitalismo avanzato; II) la necessità, dunque, di guardare al
corporativismo anche come dislocò le classi sociali all’interno del sistema di potere;
III) fra il 1931 e il ’34 si razionalizzò il rapporto tra il capitale e lo Stato; IV) emergere
della burocrazia delle “amministrazioni parallele”.
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GAETANO SALVEMINI STORICO DEL FASCISMO.
Scuola economica-giuridica del Volpe e del Salvemini come maggiore novità della
ricerca storiografica degli inizi del novecento (secondo Croce).
<< Fra l’opera di ricostruzione storica e i giudizi personali che lo storico può
formulare vi è senza dubbio “separazione”, se lo storico è un uomo onesto, che non
manipola maliziosamente il passato con l’intento di suggerire al lettore i propri
giudizi personali ben sapendo che questi non sarebbero accettati, se tutti i fatti
fossero presentati senza soppressioni e senza contorsioni … ma “separazione” non è
antinomia. Ricostruzione storica e giudizio personale sono due operazioni dello
spirito, le quali non possono né confondersi né opporsi, perché non solamente sono
separate, ma anche sono diverse>> (1947).
La questione dell’obiettività assoluta (in cui si nascondono opinioni e passioni
politiche).
<< Lo storico empirico risale dal presente al passato e poi discende dal passato al
presente e spiega il presente come risultato del passato >> (Empirici e teologi, 1955)
La dittatura fascista in Italia (1927) e Mussolini diplomatico (1932, poi “Preludio alla
seconda guerra mondiale”, 1948); Sotto la scure del fascismo (1936) e, infine, le
“Lezioni di Harvard. L’Italia dal 1919 al 1929” edizione del 1942-43 e ried. del 1961
come “Scritti sul fascismo”.
Schematicamente tre sono i punti di interesse storiografico del lavoro di Salvemini:
1) il problema delle origini del movimento fascista e di conseguenza del rapporto fra
l’Italia liberale e quella fascista; 2) le caratteristiche e il significato del regime
mussoliniano, con particolare riguardo all’edificio corporativo, all’apparato
repressivo, alle istituzioni e alla politica interna ed economica del regime; 3) la
politica estera del fascismo … (pag. 223).
Per quel che riguarda il primo punto importante è la valutazione dell’elemento anti-
bolscevico che caratterizza l’origine dei fasci di combattimento, la considerazione
sull’inefficacia dell’azione della classe liberal-monarchica per contrastare l’influenza
dei fasci nella polizia e magistratura e l’uso spregiudicato del binomio legalità-
illegalità, della violenza e della veemenza giornalistica da parte dei fascisti subito
dopo la “rivoluzione fallita” dei rivoluzionari di sinistra.
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Salvemini e il corporativismo.
Il risultato fondamentale della ricerca sul corporativismo di Salvemini sta nell’aver
dato un’interpretazione convincente ed esaustiva del rapporto tra il “mito
corporativo” (la sua funzione simbolica, dei suoi aspetti integrativi e conciliativi) e la
natura sostanziale della repressione del regime di ogni autonomia dell’operaio (è
emblematica la frase “fanno un deserto e lo chiamano pace”); dalla “pace sociale”
all’altro chiarimento su << qual è il rapporto che negli anni trenta si va delineando
tra l’oligarchia politica fascista che fa capo a Mussolini e le forze economiche
dominanti, da sempre alleate ma non sempre del tutto d’accordo con il dittatore >>
(rif.pag 229). << Mentre lo stato corporativo riduce i salari, il “polizei staat” reprime
ogni segno di agitazione. Probabilmente il merito per “la pace sociale” italiana
dovrebbe andare al “polizei staat” e non all’uomo corporativo (Sotto la scure del
fascismo).
Capitalismo e fascismo. Si può attribuire a Mussolini e al fascismo una reale
autonomia dai gruppi economici dominanti oppure no?
Rifiuto delle categorie “terzinternazionaliste” quali “blocco dominante”, egemonia e
capitale finanziario.
Mussolini diplomatico (Paris, 1932)
Fondamentalmente lo studio sulla politica estera fascista è basato sull’analisi delle
iniziative alla luce del sole, sull’analisi dei quotidiani che riferivano sempre notizie
più o meno propagandistiche (in Italia) e di notizie governative che riguardavano la
sciagurata politica dell’appeacement (all’estero).
1) la politica estera di Mussolini procede negli anni ’20 e potremmo dire fino
all’impresa d’Etopia senza un progetto preciso, viene concepita e realizzata giorno
per giorno condizionata dalle esigenze della politica interna, della propaganda,
dell’obiettivo primo del prestigio del dittatore da spendere soprattutto in Italia: 2)
convinto di essere il nuovo Machiavelli, in realtà Mussolini si fa giocare dai suoi
principali interlocutori, Francia e Inghilterra, prima, Germania poi; 3) del resto
l’attenzione prevalente alla propaganda da parte del duce, lascia spazio alla
burocrazia ministeriale, nella politica interna come in quella estera. A queste
proposizioni, Salvemini aggiunge due affermazioni … la prima è che il fascismo prima
o poi significa guerra … ; la seconda è che se qualcosa è in grado di far crollare il
regime questa è proprio la politica estera, la sconfitta della dittatura.
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L’itinerario di Carlo Rosselli. Gli ultimi 10 anni.
L’analisi del fascismo. Il carattere supremamente ripugnante della dittatura
moderna fascista non consiste nell’impiego della forza e nella soppressione della
libertà – fenomeni, questi, propri a tutte le tirannie- ma nella fabbrica del consenso,
nel servilismo attivo che essa pre-tende dai sudditi. Il rapporto che Mussolini ha
creato col popolo italiano è cioè un rapporto di sadica soggezione … (riunione di
“Giustizia e Libertà”, 1932).
Elementi non classisti della dittatura: il meccanismo burocratico che mantiene
centinaia di uomini al lavoro per la dittatura; autoritarismo burocratico e culto della
violenza ereditate dal conflitto mondiale: religione nazionalistica; debolezza del
carattere italiano, servilismo, influenza millenaria della Chiesa …
*…+ il fascismo è la democrazia ridotta a pura forma, il socialismo a pura economia,
la libertà a semplice strumento *…+
Giudizio sull’URSS
*…+ Rosselli è attento a distinguere nettamente la valutazione della Rivoluzione
d’Ottobre alla critica del Regime sovietico. La prima è positiva, pur con alcuni distin-
guo: << … non possiamo aderirvi senza riserve, ma non possiamo neppure seguire
Kautsky e i marxisti ortodossi democratici che di ogni atrocità dittatoriale sta la
rivoluzione che ha distrutto l’autocrazia, che ha dato la terra ai contadini. Questa
rivoluzione l’amiamo e la difendiamo>>. *La critica al regime di Stalin+ si fonda sul
rifiuto del burocratismo di partito e dello statalismo esasperato che caratterizza
l’esperienza russa, sulla critica della socializzazione e della collettivizzazione totali
come soluzioni idonee a risolvere i problemi del controllo operaio nell’industria e
contadino sulla terra, ancora sulle violazioni della legalità rivoluzionaria che si
consumano in maniera evidente alla metà degli anni trenta a quasi vent’anni dal
rovesciamento dell’autocrazia zarista.
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Ideologia del fascismo
<< … Noi ci permetteremo il lusso di essere aristocratici e democratici, conservatori
e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti, a seconda delle
circostanze di tempo, di luogo e di ambiente >> (Mussolini marzo 1921).
Attivismo in politica, irrazionalismo in filosofia: culto dell’azione per l’azione.
Il fascismo se fu movimento anti-ideologico lo fu nel senso della negazione di altre
ideologie (bolscevismo, sindacalismo e liberalismo).
Il fascismo è una controrivoluzione o, meglio, una controriforma (la definizione è di
Curzio Suckert Malaparte) che raggruppa in se le due componenti dell’eversione
antidemocratica: quella dei conservatori che mirano alla creazione di uno Stato
autoritario, e quella dei nazional-rivoluzionari che premevano per una “rivoluzione
totale”.
Realisti di Regime e Credenti fanatici. Giovanni Gentile è il teorico dei realisti di
regime, colui che più di altri influenzò la classe dirigente moderata, l’apparato
burocratico del fascismo-Stato. Gentile è un esponente della “destra storica ormai
irrigidita e idealizzata” (N. Bobbio). Per Gentile esistono due liberalismi: quello
atomistico di origini illuminista, che trova fautori in Francia e Inghilterra, e quello
statale-organico, che è comunitario ed etico, che si sviluppa in Germania e in Italia.
Da questa distinzione sviluppa la sua tesi del fascismo come liberalismo organico.
Lo Stato non è inter homines ma in interiore homine.
<< Ogni individuo agisce politicamente, è uomo di Stato, e reca in cuore lo Stato, è lo
Stato … (G. Gentile, 1930).
21 aprile 1925: Manifesto degli intellettuali fascisti.
Alfredo Rocco, << … proveniva dal nazionalismo di destra, era antiliberale, in
economia e in politica; e, a differenza dal Gentile, liberale a suo modo, era
reazionario, con l’aggravante di essere anche un buon giurista >> (N. Bobbio). Nel
1925 Rocco sostenne che Vico e Machiavelli (ma anche S. Tommaso!) sono i
precursori del fascismo. Corporativismo o sindacalismo integrale di Stato. “Il
sindacalismo rivoluzionario aveva alimentato ideologicamente il fascismo di sinistra
…” (ancora Bobbio).
APRILE MAGGIO 1921
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Iscritti al Partito Nazionale Fascista 320.000 Censimento di 150 mila
Lavoratori della terra 24,3 % Operai 15,4 %
Proprietari terrieri 12 % Studenti 13 %
Impiegati 9,8 %
Commercianti e artigiani 9,2 % Altri esponenti della borghesia 15,3 %
Classe operaia 39.7 % Borghesia 61,3 %
SOREL E IL SORELISMO.
Il sorelismo è prima di tutto un tentativo di rifondare l’equilibrio perduto tra
l’operare intellettuale e la dimensione etico-politica (alla stregua di Croce e Pareto)
e, secondariamente, un esperimento di interpretazione del marxismo e di una nuova
ideologia per la classe operaia. Considerando che l’odio immediato per la
democrazia del sorelismo si traduce in una componente rivoluzionaria, frange
operaie che non possono essere assorbiti dal “riformismo forte”, e in una
componente reazionaria, frange di piccoli-borghesi esclusi dal sistema giolittiano, ciò
significa che l’ideologia soreliana fu bifronte anche se prevalse per molto tempo il
primo aspetto: quello rivoluzionario. Sorel, come sindacalista rivoluzionario, attacca
i marxisti “professori di pace sociale” che hanno fatto del socialismo un ricettario
per il “progresso” e la “salvezza”; riprendendo il concetto dell’’elan vital di H.
Bergson, Sorel sosteneva che la vita era una perpetua creazione, una lotta senza
fine; riprendendo dalla morale di Nietzsche l’etica virile e l’odio per gli esseri deboli.
Questi i concetti sono alla base contro la socialdemocrazia maggioritaria second-
internazionalista. Per il Sindacalismo Rivoluzionario la società del XIX° secolo era una
società in decadenza. La sostituzione di idee astratte (come il “progresso” e la
“democrazia”) con le verità delle cose hanno mortificato le forze più dinamiche e
profonde della storia: << … tutta la costituzione dello stato riposa su un certo
numero di postulati e di apriorismi, i quali ebbero e hanno la capacità fattiva di
valere come elementi costruttivi. I diritti dell’uomo, il contratto sociale, la
fratellanza, l’uguaglianza ecc, sono le menzogne angolari della civiltà democratica, la
sanzione ultima e più ipocritamente solenne della schiavitù vera della classe del
lavoro >> (A. Lanzillo, sindacalista rivoluzionario).
18
Nella introduzione a “Le Illusioni del Progresso” George Sorel (successivamente
collaboratore del mussoliniano Popolo d’Italia) esprime l’idea che il marxismo è la
teoria rivoluzionaria << assoluta>> e quindi non è da confondersi con l’ideologia dei
partiti politici rivoluzionari che in fin dei conti saranno costretti a funzionare come
partiti borghesi perché sono partiti politici. Ciò che si chiede alla classe operaia è
perciò di restare il più possibile fedele a questo spirito d’istintiva e totale rivolta: la
sua missione non consiste nel riformare i fondamenti della società e dello stato, ma
nell’affermare all’interno della storia, l’esempio di un comportamento sociale eroico
da cui soltanto può nascere una nuova etica.
Lo sciopero generale è il luogo dove il proletariato forgia i suoi valori virili e la
militarizzazione dello sciopero invocata da Sorel, rappresenta il vero momento di
battaglia finale, che non è una rivendicazione economica, ma una creazione
continua di miti sociali cioè: << bisogna fare appello a un insieme di immagini capaci
di evocare in blocco e con una sola intuizione, prima di ogni analisi riflessa, la massa
dei sentimenti che corrispondono alle manifestazioni della guerra impegnata dal
socialismo contro la società moderna >>. Il discorso politico soreliano si riversa
completamente sull’organizzazione partitica della classe operaia per la conquista
dello Stato. La massima organizzazione sindacale viene fatta dal <<proletariato dei
produttori>> che acquistano <<senso giuridico>> dalle condizioni di produzione
stesse, in queste condizioni rivoluzionarie (al di fuori delle fabbriche l’operaio-
produttore non esiste!). La borghesia decadente deve riorganizzarsi. Il sistema di
produzione capitalistico ha sempre tentato di rendere la classe operaia in un
aggregato di uomini liberi, di creare cioè degli “opifici senza padroni”; ma in questa
situazione i rapporti di produzione esistono anche senza padroni e quindi Sorel
teorizza una società di piccoli-borghesi, incatenati al mito del lavoro e della dignità
personale in cui il “massimo dispiegamento della coscienza rivoluzionaria
corrisponderà al massimo dispiegamento delle potenzialità produttive delle
industrie”.
19
Origini dell’operaismo
Su Costantino Lazzari (Cremona 1857- Roma 1927)
Costantino Lazzari si forma culturalmente con le opere di Guesde, Malon, Lafargue,
Bakunin, Kropotkin ed Herzen. Aderisce al Circolo Operaio milanese. Definisce il
socialismo << … quell’insieme di rapporti sociali che possono assicurare al genere
umano uno stato di giustizia e di uguaglianza fra tutti i suoi membri>>. A Milano è
tra i fondatori de’ “Il Fascio operaio”, organo dell’operaismo milanese che si fondava
sulla resistenza dei lavoratori alle ingiustizie statali nonché sulla ricerca di un’orga-
nizzazione autonoma della classe operaia, con la finalità di collettivizzare le terre e i
mezzi di produzione. Al terzo congresso (e dopo al VI°, al V°) della “Confederazione
operaia lombarda”, difese e propugnò le sue tesi e specialmente al V° congresso
ottenne, con l’ordine sullo sciopero, la maggioranza: nell’aprile-maggio 1885 fonda il
“Partito Operaio Italiano” e nel Comitato Centrale del partito fece approvare la
fusione con la “Confederazione Operaia Lombarda” (II° congresso del Partito
Operaio, dicembre 1885). A Pavia, nel III° congresso del Partito Operaio si oppose
alla linea facente capo a E. Croce e ad A. Casati, che sostenevano di rifiutare il
“parlamentarismo” della linea Lazzari. Nel 1886 Costantino Lazzari partecipò alle
elezioni “per protesta” e ottenne un notevole consenso di voti: subito venne
attaccato dai radicali, Cavallotti in primis, di connivenza con la questura e di
finanziamento governativo … solo che poco tempo dopo un decreto prefettizio
sciolse il “Partito Operaio” e ci furono gli arresti di Croce, Dante, Casati e Lazzari!
Nel frattempo Lazzari s’interessa delle cooperative di produzioni e partecipa
all’organizzazione delle cooperative per il miglioramento della classe lavoratrice,
cercando di intrecciare questi argomenti con gli altri temi del partito operaio.
Intanto prosegue il suo lavoro di collegamento internazionale e a Londra incontra
Federico Engels al congresso mondiale delle “Trade Unions”, presente all’importante
assise come delegato sindacale italiano del Partito Operaio. Dall’altra parte
prosegue il suo interesse per l’organizzazione dei “lavoratori della terra”, i contadini
dell’alto milanese, dove era scoppiato uno sciopero importante per adesioni e
partecipazioni e furono di nuovo posti agli arresti i principali leader, nel maggio
1889. Dopo la tentata soppressione de’ “Il Fascio operaio”, chiuso e poi riaperto ad
Alessandria nel marzo del 1890, Lazzari iniziava un processo di avvicinamento al
gruppo riformista del Socialismo capeggiato da Filippo Turati, che portò alla
fondazione della Lega Socialista milanese. Nel novembre 1890 si tenne l’ultimo
20
congresso del “Partito Operaio Italiano (il V°) tenutosi a Bologna nel 1888: fu posta
l’esigenza di uscire dalle “società di mutuo soccorso”, di iniziare scioperi per la
conquista delle “otto ore lavorative”, per l’istituzione del “giorno dei lavoratori” (il I°
Maggio) e la costituzione delle “Camere del lavoro”, la prima fondata a Milano
proprio nel 1891. Sempre nel 1891, nell’agosto, iniziava il “Congresso Operaio”
italiano, con i principali leader del movimento operaio milanese e con Lazzari che
svolse un importantissimo ruolo di moderatore fra Turati e Casati e Cabrini, in
contrasto su molte questioni. Il Congresso doveva sancire la costituzione di un
“partito operaio” che aveva come base il socialismo scientifico propugnato da Carlo
Marx in << … nome della concordia e del benessere delle masse dei lavoratori >>, e
che ora erano divisi in molte particolarità che non giovavano alla classe proletaria.
Nel congresso operaio fu anche approvato all’unanimità un o.d.g. antimilitarista e
anticolonialista. Il Comitato Centrale provvisorio fu costituito con l’intenso lavoro di
mediazione politica di Lazzari ed era composto da E. Bertini, E. Croce, S. Cattaneo, G.
Cremonesi, A, Maffi e A. Mozzoni. Ma il documento del C.C. provvisorio era così
confusionario che Turati dovette revisionarlo sotto l’influenza di Antonio Labriola,
prestigioso intellettuale già in sodalizio con Engels (Marx era scomparso nel 1883).
Nell’agosto del 1892 era nato il “Partito dei Lavoratori italiani”, nel congresso di
Genova in cui Lazzari era insieme alla corrente di Turati. Quest’organizzazione
partitica assunse connotati più chiari nel II° congresso tenutosi a Reggio Emilia nel
1893 quando Lazzari parlò del partito come << … una grande associazione
eterogenea nelle parti , omogenea solo nell’intento di emancipazione del lavoro>>.
Di nuovo arrestato nel 1894 perché si era espresso in solidarietà del “movimento dei
fasci siciliani”, ebbe difficili rapporti con il giornale “Lotta di Classe”. Attraversava
così un periodo nero, trascorso al confino, e nel 1895 si iscrisse al Partito Socialista
(così si chiamava il partito che aveva contribuito a fondare). Costantino Lazzari si
guadagnava da vivere lavorando come “commesso viaggiatore” per una ditta di
commercio: instancabile organizzatore e conferenzieri nelle regioni del centro Italia,
aveva partecipato a numerose manifestazioni pubbliche e di lotta Nel 1897 si rifiutò
di partecipare al congresso di Bologna del Partito Socialista a causa dei contrasti con
il gruppo “Lotta di Classe”. Arrestato nell’98, durante la violenta repressione del
generale Bava Beccaris nella Milano insorta, fu condannato a un anno di carcere che
gli costò molto dal punto di vista della salute. Continuò il suo lavoro di ideologo nella
commissione centrale del Partito Socialista: l’ala intransigente guidata da Enrico
Ferri, in aperto contrasto con il gruppo facente capo a Turati, trovò in Lazzari un
forte sostenitore. Lazzari si era radicalizzato dopo le esperienze di Milano, e negli
21
scontri in piazza aveva intravvisto una maggior consapevolezza della classe operaia
organizzata. Attaccò, quindi, la voglia ministerialista del gruppo turatiano (che era
maggioranza del partito). Nel 1902 Lazzari, poco prima del Congresso socialista di
Imola, pubblicò un pamphlet intitolato “La necessità della politica socialista in Italia”,
in cui attaccava sia Turati sia Ferri, non risparmiando critiche anche nei confronti
dell’operato di Antonio Labriola, F. S. Merlino. Scriveva: << La rivoluzione è mediata
e cosciente, da non confondersi con i colpi di mano o i colpi di testa del rivoluziona-
rismo empirico-convenzionale >>, e la lotta di classe non può essere “lentezza e
gradualità”, come nella mentalità riformista, ma << dalla sua vera e specifica azione
di guerra antiborghese >>. Ma Imola sancisce la vittoria dei riformisti di Turati.
Intanto inizia la relazione politica fra Lazzari e il sindacalista rivoluzionario Arturo
Labriola e con la rivista “L’Avanguardia Socialista”. Nel 1904 Lazzari partecipa agli
scioperi degli operai, incoraggiandoli nella loro resistenza al capitale, continuando
così, coerentemente con sua la base ideologica operaista, l’azione di organizzatore
sindacale e rivoluzionario. Al congresso di Roma del Partito Socialista (1906) Lazzari
appoggiò la linea “sindacale e rivoluzionaria” che negli anni successivi si costituì
come corrente con un proprio comitato costituito da G. Lerda, F. Ciccotti, A. Vella, P.
Mantica, E. Musatti, E. Zerbini e lui stesso. A Reggio Emilia nel 1912 si tenne il
congresso del partito e vennero rovesciati i rapporti di forza: gli intransigenti
conquistarono la maggioranza e Costantino Lazzari fu eletto segretario generale del
Partito Socialista, carica che tenne fino al 1919. Vedendo in Mussolini un perfetto
classista e un oratore abilissimo lo investì della carica di direttore del giornale
ufficiale del Partito Socialista, l’Avanti!.
Nel 1914, al congresso di Ancona, vietò ogni patto tra il Partito Socialista e la riformi-
sta “Confederazione Generale del Lavoro” (CGdl). Sostituì Mussolini allo scoppio
della prima guerra mondiale e lo espulse dal partito accusandolo di essere un
indegno politico. Lazzari fu fautore, durante il conflitto europeo, della linea né
aderire né sabotare, in opposizione alla richiesta di Giacinto M. Serrati di avviare il
sabotaggio antimilitare. Una posizione sostanzialmente passiva sulla Guerra.
22
MARXISMO IN ITALIA
ANTONIO LABRIOLA.
Contro l’idealismo e contro il positivismo. Nel primo caso si parla di marxismo come
scienza del concreto e Labriola sostiene che le idee << … non nascono dal cielo>>
perché sono connesse alla struttura socio-politica delle situazioni storiche. Nel
secondo caso l’opposizione al riduzionismo positivista e al determinismo
darwiniano, che riduce direttamente la storia umana “a parte e prolungamento della
natura”, si sviluppa nei discorsi relativi al lavoro e alle relazioni sociali come
peculiarità del genere umano. Labriola sostiene che l’analisi della realtà partendo
dalla complessa manifestazione della storia (idee e cultura contraddizioni e
superamenti reali dei problemi sociali) giungendo, in ultima analisi a ciò che Marx
chiamava la sottostante struttura economica ( la causa degli effetti ) ed è da qui che
parte la << critica allo stato delle cose presente >; quindi in fin dei conti ogni
determinismo o volontarismo volgare risulta rifiutato.
Opere:
In memoria del manifesto dei comunisti, 1895 Del materialismo storico, 1896 Discorrendo di filosofia e socialismo (Lettera a Sorel), 1898
Una filosofia per una nuova classe.
Per Labriola la borghesia italiana è ancora ben lontana dal suo stadio di piena
maturità capitalistica, la classe operaia gli appariva in uno stadio ancora embrionale.
La sua opposizione alla formazione di un partito socialista derivava dalla sua
opposizione al positivismo: filosofia che tenta una “interpretazione coerente delle
realtà non interna alle leggi proprie del mondo storico (cioè umano) ma ricorre a
un’interpretazione meccanica, tutta esterna e, quindi, in larga misura insoddi-
sfacente, fondata su leggi proprie del mondo biologico e natura” (pag. 1034).Il
positivismo è espressione di una fase decadente del pensiero borghese.
Labriola rifiuta di considerare il rapporto fra l’economia e la società come perma-
nente ed esclusivamente necessario anzi postula che esiste ed è intrecciato un
rapporto relativo fra struttura e sovrastruttura … e cioè il convincimento che la
storia dell’uomo, come è il prodotto di leggi economiche materiali, dotate di una
loro dinamica e di una loro necessità così pure è creazione dell’uomo stesso, in
quanto l’uomo agisce al suo interno con gli strumenti del proprio lavoro e ne
23
determina la forma attraverso la forma delle proprie collettive intraprese di
trasformazione (pag. 1038).
Labriola è stato il massimo mediatore di coloro che criticando il positivismo siano
tornati ad Hegel tramite Marx. “Ma è un dato storico che fra il 1895 e il 1904, l’anno
della sua morte, egli abbia soprattutto mostrato alle giovani generazioni intellettuali
come si potesse combattere il positivismo in nome di una filosofia concreta e
storicamente fondata …” (pag. 1041)
RODOLFO MONDOLFO.
IL MARXISMO è UN UMANISMO. Contro le versioni economicistiche e materialistiche del
marxismo si pone l’accento sul fatto non oggettivo della PRAXIS, sulla conoscenza
oggettiva dei fenomeni storici che non consentono spunti al volontarismo (critica del
leninismo). Mondolfo ponendo il marxismo come “bussola del movimento operaio”,
nella sua versione antioggettivista (critica del riformismo) e anti-soggettiva (critica
del bolscevismo), arriva negare il fatalismo dell’inevitabilità del comunismo in una
società sviluppata capitalisticamente e dove la lotta capitale-forza lavoro
comporterà la vittoria della seconda (come sosteneva già Gramsci)
GRAMSCI E IL PROBLEMA DEGLI INTELLETTUALI (da Eugenio Garin).
Gramsci con il tema degli intellettuali “traduceva in italiano” una questione che tra-
vagliava nel medesimo giro di anni tutta la più accorta cultura europea, impegnata a
definire la funzione dei clercs (espressione usata da Julien Benda per indicare gli
intellettuali integrati) – se ne avessero ancora una- nella società (capitalistica o no).
Gli intellettuali << … sono, devono essere i costruttori, organizzatori, persuasori
permanenti funzionari delle sovrastrutture >>. La lezione del passato sembrava, ai
suoi occhi dimostrata proprio dal fatto che se una classe non sa crearsi la propria
categoria di intellettuali è destinata alla sconfitta.
24
CROCE
EUGENIO GARIN, INTELLETTUALI ITALIANI NEL XX° SECOLO. BENEDETTO CROCE O DELLA
SEPARAZIONE IMPOSSIBILE FRA CULTURA E POLITICA.
I saggi pubblicati su “Critica” nel 1913 su Domenico Settembrini e su Francesco De
Sanctis possono essere considerati lo studio più importante di Croce sul compito
degli intellettuali nella società post-unitaria (poeti, storici, eruditi in rapporto alla
loro funzione per il progresso civile degli italiani). <<Un sistema filosofico risolve un
gruppo di problemi storicamente dati; e prepara la condizione per la posizione di
altri problemi, e, cioè, di nuovi interessi. Ciò è sempre stato, e così sarà sempre>>
(B.C., Filosofia della pratica,1909).
La sua visione mondana, il suo laicismo, il suo coerente rifiuto di ogni trascendenza
circoscrivendo nell’orizzonte terreno il significato dell’uomo … << pone il “savio” in
una funzione reale ed umana che è quella dell’educazione e liberazione del genere
umano. Se il “savio” non è rivelatore e il sacerdote dell’assoluto in che mai consiste
il suo lavoro e qual è la sua missione? >>. Questa domanda viene superata da Croce
solo quando iniziò l’organico lavoro di rilettura della storia, della cultura e
dell’umanità, compiuto nel corso dei quaranta anni successivi.
Croce … ha satireggiato il velleitarismo delle “anime belle”, ha schernito il moralismo
degli storici ( << … cotesti storici moralisti sono odiosi >> ) poteva far suo il principio
di Spinoza: << Non piangere, non ridere, capire >>, quando parlava della Rivoluzione,
fallita, del 1799 a Napoli (e in senso più generale della inesorabilità dei processi
storici ). La realtà storica, ogni realtà, non è buona o cattiva: è.
*…+ Croce in concreto, nei suoi scritti (si è) impegnato non solo in un’attività
genericamente educatrice ma in un costante e preciso intervento “politico”, sempre
rivolgendo le sue opere storiche, nate da problemi “attuali”, a modificare le
situazioni. In verità non c’è opera storica di Croce che possa intendersi nel suo
valore al di fuori di una definita battaglia politica. La pretesa “neutralità” pratica
dello storico in quanto tale è una delle più sottili operazioni ideologiche del Croce,
che ha sempre sostenuto il valore conoscitivo, e non determinante sul piano
dell’azione, dell’opera storiografica, ma che ha sempre scritto pagine impegnate fino
in fondo in una battaglia in ultima analisi “politica”.
25
2.
LA CULTURA (dal saggio di Alberto Asor Rosa)
Creazione e assestamento dello Stato Unitario (1860-87)
Gli intellettuali, che sono stati l’avanguardia della lotta risorgimentale italiana, a uni-
ficazione italiana avvenuta scoprono che l’unità ha comportato la fine degli ideali e
la notevole inadeguatezza della realtà alle aspettative e alle ambizioni del recente
passato.
<< A fare il giornale letterario-polemico-sperimentale e senza pregiudizi e senza
preconcetti, ci siamo noi, piccolo gruppo, in mezzo alla turba innumerabile degli
indifferenti. Perché negarlo? I giovani d’oggi sono i decrepiti del nostro tempo. Le
febbri d’allora entusiastiche ed ideali non si verificheranno più. I papà e le mamme
le prevengono con le altissime dosi di chinino pratico. Noi avevamo un solo
desiderio: combattere. Oggi a 15 anni si lavora per farsi una posizione.
Noi vogavamo lietamente la galera delle lettere e delle arti con accompagnamento
alimentare periodico di castagne e baccalà. Oggi si vanno ad ingolfare volontari della
calligrafia e dell’aritmetica negli uffici del monte di pietà o in quelli dell’Istituto di
Credito … >> (F. Girelli, giornale “La Farfalla”, 1886). Si determina in quegli anni la
critica alla politica, anti-industrialismo (a sfondo reazionario) e la separazione fra
comunità culturale e paese reale. Un’atmosfera irrequieta e confusa attraversa la
cultura italiana di fine ‘800 costituita da una consapevolezza del fallimento dei
politici post-unitari e dalla feroce critica al sistema in quanto democratico e non
compiuto.” L’Italia non ci piace, l’Italia non è una cosa bella, i giovani d’oggi sono i
decrepiti del nostro tempo, si vive in un’atmosfera inquinata dalle banche e dalle
imprese industriali, il parlamento è un porcaio, il popolo è vile, Roma è Bisanzio, la
cultura, l’arte, la morale sono in terribile decadenza, dappertutto ci sono o si vedono
cloache, fogne e fango, moltissimo fango: da dove deriva, dunque, questa possente
irrefrenabile inclinazione deprecatoria? (pag. 836)
Una cultura umanista, infatti, reagisce all’impatto con una società in via di trasfor-
mazione, rinchiudendosi nella condanna: questo, tanto più se la classe che è
portatrice deve per conto suo, oggettivamente, affrontare gli spinosi problemi di
una collocazione sociale spesso precaria e mortificante (pag. 839).
L’Italia repubblicana ha aspettato vent’anni per cominciare a modificare talune
strutture intermedie, sicché si può dire che la cultura che hanno oggi dai trenta-
cinque anni in su risente ancora fortemente dell’impronta mentale lasciata da quel
tipo di scuola (Risorgimentalismo, Manzonismo e Cattolicesimo più o meno
26
strisciante ai livelli elementari e popolari; umanesimo, qualche frammento di libero
pensiero, laicismo più o meno spregiudicato ai livelli medi e superiori; verticismo,
gerarchismo e concezione burocratica e dottrinaria della cultura, per tutti)(pag. 848)
L’IDEA E LA COSA: DE SANCTIS E L’HEGELISMO.
<< *…+ La profonda ammirazione del De Sanctis per la realtà del mondo medievale,
quando “l’uomo viveva come abbarbicato al suo suolo, a’ suoi avi, alla sua casa, alla
sua chiesa, alla sua classe, al suo comune, chiuso in potenti organismi che gli
rammentavano doveri da compiere più che diritti da rivendicare …” (da confrontare,
almeno per la parte che riguarda il comune, con l’analoga visione di un personaggio
così diverso come Carducci o, più avanti da un intellettuale non conformista come
Salvemini, per capire il ruolo reazionario che assunse nella cultura italiana il mito di
questo piccolo mondo felice, compiuto, in una parola organico, spesso
contrapposto, esplicitamente o implicitamente ai caratteri non sempre apprezzabili
dal punto di vista etico, del grande Stato moderno fondato sull’uso spregiudicato del
potere politico)… >>.
De Meis: in lui l’idea che una dittatura di classe sull’intera società rappresentasse
l’unico strumento per realizzare nelle condizioni italiane la dittatura della cultura,
estremizza e quindi rivela un convincimento che c’è peraltro in tutti i componenti
del gruppo hegeliano: e cioè che la riforma della cultura è preminente e precede
quella della società, perché soltanto nella cultura sono contenuti gli elementi capaci
di assicurare al tempo stesso il progresso (ordinato) e la (liberale) conservazione
della società (pag. 878).
IL POSITIVISMO
Per gli idealisti il compito della cultura è di guida del processo storico, per i positivisti
la cultura è una funzione sociale come tante altre.
<< Occorre beninteso, evitare, anche in questo caso, identificazioni troppo strette:
come abbiamo respinto l’idea piuttosto diffusa che l’hegelismo si debba considerare
tout court l’ideologia della destra storica, così non ci pare accettabile la coincidenza
perfetta fra positivismo e sinistra, a meno che, come abbiamo già osservato, non si
dia della sinistra una versione complessa e anche al proprio interno contraddittoria
… >> (pag. 883).
27
*…+ Trezza ci tiene a sottolineare che l’Unità del Mondo moderno (cap. VII° della
“Critica Moderna”) è del tutto diversa dall’ <<unità del Medioevo, che non era né
poteva essere interiore ed organica, ma piuttosto centralità meccanica preparata
alla conquista romana, e compiuta dalla prepotenza ieratica del papato>>, essa
invece consiste nelle molteplici relazioni, che regolano i diversi “centri parziali” fra
loro e tutto insieme ad uno stesso “fuoco” che però non è estraneo e sovrapposto
ma incidente in ciascun di loro, sicché il “progresso” consiste esattamente nello
sviluppo individuale di tutti i centri storici e contemporanei nella loro sempre più
intima e ragionata confederazione. Ci sembra che qui Trezza tocchi e definisca uno
dei caratteri più propri del nostro positivismo, e cioè la considerazione della realtà
come infinita vita di relazioni, su cui va appuntata l’attenzione puntuale e modesta
dello studioso … >> (pag. 889).
Ardigò giunge … << a un’identificazione completa della moralità con la giustizia >>. Il
concatenamento ferreo tra morale e società comportava infatti di conseguenza che
non fosse possibile concepire un miglioramento della prima senza un progresso
della seconda.
*…+ Ardigò fu collaboratore tra i primi della “Lega per la Democrazia” di Alberto
Mario, accanto a Libero Bovio, Bertani, Cavallotti e Colajanni, e la cui “Morale dei
Positivisti” cominciò ad apparire sulla Rivista Repubblicana di A. Ghisleri nel 1878.
Ardigò indica esattamente nell’internazionalismo e nella democrazia le grandi
idealità sociali del tempo moderno …
Cesare Lombroso. Un rappresentante della “nuova psichiatria” (A. Pirella) ha parlato
di lui come di un “servo fedele” della borghesia, << … che faceva finta, ogni tanto, di
impuntarsi o scandalizzarsi >> per poter far passare un concetto più umanitario,
quindi più sottilmente persecutorio, di segregazione.
<< La scuola classica di diritto penale e le scuole filosofiche spiritualiste ammettono
che i criminali siano dotati, meno in certi casi estremi, di intelligenza e di sentimenti
uguali a quelli degli uomini normali e che perciò compiono il male per atto cosciente
e libero di volontà malvagia; tutto il sistema penale attuale prende quindi come base
della pena l’atto materiale delittuoso e ne punisce l’autore a seconda della sua
gravità. Invece la scuola positiva del diritto penale sostiene che i criminali non già
delinquono per atto cosciente e libero di volontà malvagia, tendenza che ripetono la
loro origine da una organizzazione fisica e psichica diversa da quella dell’uomo
NORMALE, per cui la nuova scuola studia, invece che il delitto astratto, il delinquente
28
e prende per base del diritto della società ad agire contro di esso, non la sua
malvagità ma la sua pericolosità … >> (C. Lombroso, L’uomo delinquente, 1878).
Un testo: Gli anarchici (1895). Per Lombroso gli anarchici appartengono alla cate-
goria dei delinquenti politici: tuttavia essi, o molti fra essi, possono contare su delle
attenuanti poderose, come lo straordinario idealismo e altruismo, che si riflette (è il
casi di Sante Caserio, attentatore del presidente francese Sadi Carnot) in fisionomie
antropologiche niente affatto tarate, anzi in un certo senso di una nobilissima
normalità.
DISSENZIENTI E I “REFRATTARI”: DEMOCRAZIA, ANARCHISMO, PROTOSOCIALISMO
Le riviste: Gazzettino rosa (1868-1873); La Farfalla (1877-1885), pubblicato a
Cagliari e poi a Milano, diretto da Angelo Sommaruga; La Lotta, “pompa sociale-
politico-letteraria”, settimanale diretto da Paolo Valera (1880-1883); Il Proletario,
“giornale economico socialista”, Firenze (1865), fondato da Niccolò Lo Savio,
riedizione, poi, nel 1886 a cura di Osvaldo Gnocchi Viani, Paolo Valera, Amilcare
Cipriani e Costantino Lazzari, e legato, quindi, al Partito Operaio Italiano di Milano;
La Plebe, “monitore quotidiano del presente per l’avvenire”, fondato da Enrico
Bignami, successivamente redatto da Gnocchi Viani.
Da “Il Proletario e noi” (opuscolo de’ “La Plebe”, Milano 1880):
<< C’è nelle città segnatamente grandi, una specie di viventi che stanno fra la bor-
ghesia e il proletariato e non appartengono propriamente né a questa né a quella
classe, sono veri enti fuori classe: déclasses li chiamano in Francia, o boheme ovvero
secondo l’espressione di Jules Valles, refrattarii, in Italia si chiamano spostati … >>
LE PRIME MANIFESTAZIONI DI SOCIETA’ DI MASSA.
Trent’anni dopo: apocalisse borghese, speranza socialista.
Egemonia di Francesco Crispi (1887-1896). Al trasformismo depretisiano si sostitu-
isce il tentativo di un governo forte e temuto, che non esclude i vizi e le vergogne del
vecchio sistema (Asor Rosa): per certi versi siamo ancora nell’alveo della tradizione e
del personale politico di governo espresso da Risorgimento: ma corretti con
l’incipiente consapevolezza di un superamento (quale esso sia) del LIBERALISMO
CLASSICO.
Critica al crispismo: Pantaleone, Pareto e Labriola.
29
Il “liberalismo assoluto”: il richiamo forte ed intransigente, in tutti i campi, alla difesa
della libertà individuale. Intorno a ciò ruotano le critiche al sistema provenienti
dall’antistatalismo, antiprotezionismo e dai principi della libertà di pensiero e di
espressione.
Critica del crispismo: gli intellettuali socialisti.
L’unità del ceto intellettuale è rotta: da questo momento in poi diventa più difficile
pensare ai problemi della cultura e degli intellettuali, senza tirare in ballo gli
schieramenti politici e sociali (pag. 1006).
Definizione antigiacobina dell’opposizione al crispismo. Per gli intellettuali
anticrispini esiste una << … preminenza dei processi storici reali, oggettivi
(economici, sociali politici) sull’iniziativa dei singoli individui o gruppi dirigenti … e il
convincimento che, in presenza di fattori sociali e politici nuovi, poderosi, come
l’emergenza delle grandi masse operaie e piccolo-borghesi, nella vita del paese,
fosse necessario ricorrere a strumenti di organizzazione politica e del consenso
collocati ben al di là di ogni ottimistica fiducia nelle automatiche capacità del
progresso dello spirito umano (pag. 1010).
Anticulturalismo.
Bisogna riconoscere che il Movimento Operaio porta con sé, fin dall’inizio, uno
spontaneo elemento anti-intellettuale a anticulturale: questo non nel senso che il
proletariato non avverta l’esigenza di un proprio sviluppo intellettuale (es: il
proclama del comitato italiano per la Rivoluzione sociale, 1874) bensì nel senso che
esso vende tende a rifiutare la cultura e gli intellettuali della borghesia … verso la
fine del decennio ’80, mentre gli anarchistes si avviano verso il loro declino risorge
(?) qualche esperienza di cultura alternativa antiborghese con tratti di più marcata
autonomia operaia (n.d.c.: mi sembra alquanto contraddittoria e prematura
l’associazione del declino dell’influenza anarchica con l’inizio della “produzione
culturale della classe operaia” – anche qui!)
Fascio Operaio (organo del Partito Operaio Italiano, 1883)
<< Siamo operai … noi crediamo che gli operai possano e debbano far da sé e da soli
sostenere e proteggere i loro interessi confermando col fatto questa grande verità:
l’emancipazione dei lavoratori non sarà compiuta che per opera dei lavoratori stessi
(Costantino Lazzari) >>.
30
DIFFICOLTA’ NELLA CRESCITA DEL MOVIMENTO OPERAIO
<< Questa difficoltà consisteva nell’accostare e nell’intrecciare positivamente due
cose che si sentivano ed erano all’origine diverse, e cioè da una parte il movimento
di emancipazione e di riscatto operaio e proletario, e dell’altra il movimento sociali-
sta come corrente di pensiero teoricamente ben definita, e con una sua autonomia
rispetto al movimento proletario vero e proprio >> (pag. 1019).
Turati, Bissolati, Ghisleri, Loria e Ferri sono i teorici del movimento culturale sociali-
sta. I caratteri originali di questo gruppo non sono evidentemente indifferenti
all’evoluzione di questo processo (socialismo degli intellettuali e proletariato, n.d.c.).
Si tratta innanzitutto di un piccolo gruppo particolarmente compatto, sia dal punto
di vista anagrafico che geografico … di conseguenza, esperienze culturali e ideali
molto omogenee. Si erano formati nell’area di massima diffusione del positivismo
italiano: tra Como, Milano, la bassa Padania e Bologna. E furono perciò positivisti
con convinzione ed accanimento. È stato notato giustamente che almeno all’inizio
essi erano mezzo marxisti e mezzo socialisti della generazione precedente , quella
degli internazionalisti come Bignami, Costa, Cafiero, Gnocchi Viani ecc., e che di
conseguenza nei confronti delle tradizione risorgimentale essi avevano un
atteggiamento molto più rispettoso e pacato. Enorme fu l’importanza dell’insegna-
mento carducciano su questi giovani non solo sul piano letterario ma su quello della
mentalità e ideologia retorico-politica; *ed enorme fu l’importanza di Ardigò sul
piano retorico e filosofico] (pag. 1020)
Il contributo storico più importante della socialdemocrazia turatiana alla crescita del
movimento operaio italiano, consistette, sul piano culturale come su quello politico,
nel sottrarre masse di lavoratori ai vecchi vizi del settarismo e dell’estremismo, in
cui venivano a confluire non solo la spontanea carica antiborghese e classista dei
ceti oppressi, ma anche numerosi cascami del radicalismo borghese e nel
conquistarle alla politica (pag. 1020).
31
La politica come scienza.
Gaetano Mosca.
La scienza politica, di cui ne è massimo esponente Gaetano Mosca, nasce insieme da
un atto di << … relazione al pericolo di una crisi del potere della classe dominante e
di un mutamento vero e proprio di regime >>. Lo scopo principale del lavoro del
positivista Mosca è quello di scoprire le leggi dell’agire umano, ovvero quelle regole
che sottostanno alla divisione del potere e al suo dispiegarsi, al dio fuori della
contingenza, per definire quali sono le scelte dell’uomo nella società. Quindi
l’elemento principale di studio e la storia umana.
Su “Elementi di scienza politica”.
<< Fra le tendenze e i fatti costanti, che si trovano in tutti gli organismi politici, uno
ve n’è la cui importanza, evidenza, può essere a tutti facilmente manifestata: in
tutte le società esistono due classi di persone … quelle dei governanti e l’altra dei
governati. La prima, che è sempre la meno numerosa, adempie a tutte le funzioni
politiche, monopolizza il potere e gode i vantaggi che ad esso sono uniti … mentre la
seconda, più numerosa, è diretta e regolata dalla prima in modo più o meno legale
ovvero più o meno arbitrario e violento e ad essa fornisce, almeno apparentemente
i mezzi materiali di sussistenza e quelli che alla vitalità dell’organismo politico sono
necessari >>.
La classe politica è determinata da due fattori: organizzazione ed ereditarietà,
mentre la rigenerazione della classe politica può avvenire anche dal basso.
Anti-democrazia. Non può esistere nessuna contrapposizione fra l’organizzazione
statale e l’organizzazione sociale: << piuttosto che studiare quali debbano essere i
limiti dell’azione dello stato si deve cercare quali debbano essere i limiti dell’azione
dello stato si deve cercare quale sia il miglio tipo di organizzazione politica … >>.
Principio morale: in ogni dominio deve essere giustificato un principio morale di
ordine generale.
Elemento religioso: ogni governo fonda il suo dominio su una concezione del mondo
sufficientemente omogenea, capace di omologare ceti sociali.
Elemento psico-sociale: il carisma dei leaders.
32
Il problema fondamentale è la ricerca degli equilibri dei sistemi politici. Mosca
completa il suo sistema con una evidente aporia: la concezione pessimista (il tragico
destino degli uomini) della storia umana.
Testi di Mosca:
-Teorica dei governi e governo parlamentare
-Elementi di scienza politica
LE ILLUSIONI DELLA SCIENZA (SU VILFREDO PARETO)
Per Pareto, ancora una volta, compito della scienza politica è la ricerca degli equilibri
di sistema. Fondamentale è la sua argomentazione sulla decadenza della borghesia:
essa è traviata e rammollita dalle ideologie umanitarie, germogliate dal suo seno.
Da ciò le sue simpatie per il “radicalismo industrialista” e per il sindacalismo rivolu-
zionario, veri avversari in lotta violenta (la violenza come rigeneratrice di civiltà).
In Les système socialistes (1903) c’è una critica ad ogni teoria o pratica socialista
perché << … il dato economico è per lui importante, non l’unico né di per se decisivo
>> (pag. 1064). Per Pareto la distribuzione della ricchezza in un diagramma matema-
tico apparirebbe con una forma di trottola ma anche la distribuzione dell’intelligenza
come quella del talento o altro apparirebbe la stessa configurazione appunto ad
indicare che la ricchezza è distribuita in modo non legato soltanto alle
diseguaglianze economiche ma anche culturali (… e via discorrendo*?+)
“Trattato di sociologia” (1916). Nella teoria corrente, oltre ai dati di fatto, vi sono
due elementi importanti: 1) parte sostanziale (espressione di certi sentimenti, non
logiche); 2) parte contingente (manifestazioni di un bisogno di logica).
La parte sostanziale << è il principio che esiste nella mente dell’uomo >>, la seconda
<< sono le spiegazioni di questo principio>>. La parte costante dell’espressione dei
sentimenti sono i residui, la parte contingente è le derivazioni. L’equilibrio dei
sistemi politici è dovuto principalmente ai residui.
LETTERATURA DECADENTE. ESTETISMO. D’ANNUNZIO.
[Oriani accusava l’operaio d’imitar la borghesia e perciò di non essere veramente
popolare]
33
Il culto della forza, dell’energia, dell’intraprendenza virile svolge tale funzione nel
pensiero, poniamo, di Pareto; il culto della bellezza, ma anch’esso ammantato di
forza, energia, d’intraprendenza virile, svolge la stessa funzione, poniamo, in un
D’Annunzio. Le esigenze particolari della comunicazione, le tradizioni diverse il
diverso livello psicologico e intellettuale del discorso rendono le tue posizioni assai
lontane l’una dall’altra. Questo non toglie che ci sia qualcosa di dannunziano in
Pareto, come c’è qualcosa di paretiano in D’Annunzio: almeno nel senso che
D’annunzio concepisce paretianamente la cultura come creazione di miti, mentre
Pareto, dannunzianamente vede possibilità in Italia di una classe dirigente reale
affidata alla nascita di una nuova aristocrazia (pag. 1084)
Abituatevi a reggervi Con agile eleganza
Su tenue corda delle probabilità distesa attraverso gli abissi
G. D’Annunzio
Pascoli.
Mentre D’Annunzio partiva all’attacco frontalmente delle nuove difficoltà espressive
e badava soprattutto a infoltire e rafforzare i battaglioni delle parole, Pascoli le
aggirava rendendo più sommessa e misteriosa la voce della poesia e preferendo
parlare al cuore più che ai sensi del lettore. Poteva dirsi questa un’operazione più
genuianamente decadente dell’altra? Non v’è dubbio che P. dava l’impressione di
aprire un varco in quella resistentissima base classica dell’eloquio poetico italiano …
(ma dopo averlo indicato si affrettò a chiuderlo).
34
CROCE GENTILE E IL NEOIDEALISMO.
<< Il materialismo storico sarebbe stato di gran lunga beneficio quando fosse inteso
non già come filosofia della storia o una filosofia senz’altro, ma come un empirico
canone d’interpretazione, una raccomandazione agli storici di dare l’attenzione, che
sino allora non si doveva dare, all’attività economica della vita dei popoli e alle
immagini, ingenue o artificiose, che essa prendono origine >> (Benedetto Croce,
Come nacque e come morì il marxismo teorico in Italia [1895-1900], 1937).
Ricordiamo la topica: “ Non è la coscienza dell’uomo che determina il suo essere, ma
è al contrario, il suo essere sociale che determina la sua coscienza” (Karl Marx, “Zur
kritik der politische Oeconomie”, 1859).
“Il neoidealismo si presenta come l’ideologia dell’egemonia dell’intellettuale sulla
società e come proposta di essere un fattore equilibrante (in senso conservatore, da
<< nuova destra militante >>) nei confronti delle acutissime tensioni che … in questo
senso costituisce una prima risposta alla deprecatio temporum e un primo tentativo
di reale organizzazione degli intellettuali come ceto distinto, in particolare rispetto al
ceto politico e alla classe dominante …” (pag.1142)
Sul piano pratico il neoidealismo sceglieva decisamente la strada della conserva-
zione orientandosi a formulare una nuova ideologia per la classe dominante, che
sanzionasse definitivamente la scissura sociale fra ceto colto e strati subalterni
attraverso un’operazione di tipo neoaristocratico. Così fu realizzato da Croce e
Gentile il << mito dell’unità del sapere>> che aveva travagliato i primi hegeliani
napoletani, trasformando l’idealismo da cultura d’opposizione in cultura di
maggioranza (che politichese!, ndr), da cultura di gruppo in cultura di classe: ma in
un certo senso accettando e teorizzando come ineliminabile quella separazione fra
classi popolari ed intellettuali che in qualche misura con innumerevoli ingenuità e
fastidiosissime rozzezze, la cultura positivistica e riformistica e, in part, lo stesso
idealismo trasformistiche di Francesco De Sanctis, si erano preoccupati di sanare.
Si può dire che il neoidealismo… costituisca l’ideologia di un nuovo blocco culturale
che ha le sue radici nel compromesso allora in atto fra città e campagna, nel
predominio ancora vitale dell’elemento agrario soprattutto fra gli intellettuali, nello
sviluppo ancora imperfetto e parziale della civiltà urbana e industriale propriamente
detta. E ancora nella “meridionalizzazione della cultura”.
35
UN CASO DI GIACOBINISMO PROFESSIONALE (GAETANO SALVEMINI)
Il problema del mezzogiorno … non è per lui soltanto una grande questione nazio-
nale, alla cui soluzione sono interessati tutte le parti e tutti i ceti della penisola, ma è
soprattutto l’occasione e il terreno per costruire una diversa visione del problema
italiano, che è visione complessiva, nazionale e consiste infine anche in un discorso
sullo sviluppo economico e sui rapporti fra le diverse classi sociali.
I latifondisti sono un’infima minoranza ma è grazie all’accordo con i piccoli-borghesi
cittadini che riescono a conservare i loro poteri. Da ciò la critica al giolittismo come
corruzione e antimeridonalismo dei governi liberali. E anche la critica al socialismo
(sia riformista sia massimalista) incapace di far politica coerente con lo sviluppo del
meridione.
Il meridione ha due precise linee da seguire: << da una parte … tutte le possibilità di
riscatto delle plebi meridionali [vanno a determinarsi] pressoché esclusivamente
all’introduzione del suffragio universale e alla richiesta di un forte decentramento
amministrativo, misure attraverso le quali i diversi milioni di analfabeti contadini
sarebbero stati chiamati ad una responsabilità politica diretta, educatrice … (pag.
1204). Lo spostamento del punto di osservazione della realtà italiana porta il
Salvemini all’idea “nazionale”: nell’11 rompere definitivamente coi socialisti e nel
dicembre dello stesso anno fonda L’Unità.
Era fatale che accentuandosi sempre più il distacco dalle posizioni del proletariato
finisse per prevalere nelle posizioni dell’Unità una negazione sempre più marcata
della dinamica dello scontro di classe, insieme con la ricerca di soluzioni politiche
affidate essenzialmente all’aggregazione delle forze intellettuali.
Culturalmente Salvemini conta, più che per la sostanza francamente utopica del suo
discorso, per la sollecitudine che egli chiede alla costituzione di una terza forza come
ultima alternativa possibile fra rivoluzione e reazione (pag. 1209).
Lo scopo principale o le direzioni del lavoro politico di Salvemini possono essere
indicati nella ricerca di un’organizzazione di massa guidata dalla “classe”
intellettuale che salvi il paese dallo sfacelo morale che investe l’Italia nell’ingresso
del XX secolo.
36
L’IDEOLOGIA DI RICAMBIO PER LA BORGHESIA NAZIONALE, OVVERO: LE DUE ITALIE.
Emilio Gentile ne’ “Le origini dell’ideologia fascista” scrisse: << il mito delle due Italie
nacque da questa polemica interventista: l’Italia dell’anteguerra contro l’Italia
rigenerata dalla guerra; l’Italia dei neutralisti e dei “reazionari” rinunciatari contro
l’Italia dei rivoluzionari interventisti e dei combattenti, l’Italia dei vecchi contro
l’Italia dei giovani >> (cit. pag. 59). Ma non rileva che tale mito era ben presente
nella polemica nazionalista e antidemocratica fin dai primi anni del secolo, e che
addirittura nel titolo di questo articolo (Le due italie) uno destinato a contare un bel
po’ come Prezzolini , ne aveva fatto una bandiera. E siamo nel 1904!
L’Italia dei fatti e l’Italia dei retori della mentalità democratica (“… miscugli di bassi
sentimenti”, scriveva Papini).
La prima rivista culturale che lavorò in questa prospettiva fu IL REGNO (Firenze, 1903),
diretta da Enrico Corradini e con collaboratori come A. Campodorico, Papini,
Prezzolini e Pareto. Questi giovani nazionalisti rifiutano le alleanze fra una parte
della classe liberale, quella giolittiana, con una parte della classe socialista (quella ri-
formista di Bonomi, Treves e Modigliani). Antidemocraticismo, antioperaismo, anti
liberoscambismo, anti individualismo … la loro era una cultura dell’odio? Agli inizi si,
poi ci fu il progetto politico. Alfredo Rocco, Che cos’è il nazionalismo e cosa vogliono
i nazionalisti? (pamphlet uscito a Padova nel 1914).
Contaminazioni:
- Partendo dall’ultimo Carducci, i Nazionalisti invocano la “grande proletaria”
ovvero che la patria oppressa dall’esterno riprendesse il suo posto egemonico
nel Mediterraneo (analogia tra classe proletaria e nazione).
- << … lo stesso socialismo è una forma di imperialismo, è un imperialismo di
classe >> (E. Corradini, 1914)
- << … come il socialismo insegnò al proletariato il valore della lotta di classe
così dobbiamo insegnare il valore della lotta internazionale >> (documento
del “Congresso dei nazionalisti”).
- Gli interessi dei “produttori” (termine proveniente dal sindacalismo) sono
comuni nella produzione… è quindi non può esserci una lotta politica ma
soltanto economica fra produttori possessori e produttori salariati.
37
IL FASCISMO: LA CONQUISTA DEL POTERE (1919-1926)
Il blocco “storico” antiliberale e, specialmodo, antigiolittiano si fondava sul rifiuto
dei due presupposti della nuova politica liberale di Giovanni Giolitti: 1) lo sviluppo
capitalistico industriale fondato sulla libera concorrenza delle forze sociali e 2) la
creazione di un ceto politico costituito da elementi della borghesia e alcuni elementi
del proletariato.
Edificatori di ideologie antioperaie gli antiparlamentaristi (ad esclusione dei sinda-
calisti rivoluzionari), parlavano e scrivevano dell’operaio neutralista, internaziona-
lista e industrialista come una losca figura che aveva rifiutato di servire “la patria”, di
aver solidarizzato con i nemici esterni e di aver approfittato della guerra per
guadagnare forti ricompense a causa dello sviluppo delle fabbriche belliche!
“Dunque riassumendo: anti-socialismo, anti-democraticismo, anti-liberalismo, anti-
operaismo. Aggiungiamo: attesa spasmodica, la ricerca insistita e bruciante di un
mutamento totale: il clima da volontarismo assoluto; l’idealismo spinto, che almeno
nella sua versione gentiliana fa spesso scambiare la realtà con la volontà; l’attesa di
<<un uomo>> di una manifestazione risolutiva di forza, l’esaltazione della guerra e il
convincimento di tutto il potere. Ora, di fronte a tutto questo, chi potrebbe
francamente stupirsi che il fascismo nasca e s’affermi senza essere sottoposto fin
dall’inizio a una fuoco incrociato d’interdizione e di sbarramento?” (pag. 1365/66)
PRODUZIONE INDUSTRIALE (la questione dell’economia)
Il problema della produzione industriale e dello sviluppo dell’economia sta, per
esempio al centro della problematica di due giovani pensatori della sinistra, che
tendono di più ad uscire dallo schema delle posizioni tradizionali: GRAMSCI e
GOBETTI. Non a caso lo stesso mondo industriale nei suoi rappresentanti più vigili,
quale ad es. Giovanni Agnelli, se lo pone drammaticamente, sia nella sua forma più
specifica di organizzazione del lavoro in fabbrica, sia nella sua forma più generale del
rapporto fra mondo della produzione e organizzazione sociale e politica del paese. Si
potrebbe dire, in un certo senso, che esso consista nell’esigenza di ricollegare
attraverso una ristrutturazione istituzionale e politica complessiva, una realtà
industriale e produttiva enormemente (cambiata) cresciuta ad una società che
restata nei suoi grandi lineamenti una tipica società liberale, non riesce più a
controllarla ne a favorirne, se non la crescita, almeno l’assestamento e la
stabilizzazione.
38
Il fascismo fornisce una soluzione a questo problema attraverso una tematica
dell’alleanza fra CAPITALE e LAVORO detta altrimenti alleanza dei produttori. Non
vogliamo dire, con questo, che si tratti di una soluzione reale e destinata a durare a
lungo. Vogliamo dire che nel marasma degli anni 1919-1922 essa poteva presentarsi
come una soluzione soddisfacente per molti e con caratteri di credibilità per quanto
riguarda la sua realizzazione nel breve periodo (pag. 1376-77).
LA FORMAZIONE CULTURALE NELLA TORINO OPERAIA.
Appartenenti al blocco culturale antigiolittiano le nuove leve degli intellettuali
trapiantati o oriundi in Torino (Gobetti, Gramsci, Tasca, Terracini e Togliatti) sono
antiriformisti – nel senso d’opposizione alla cogestione del capitale da parte del
movimento operaio- e antiprotezionisti e sono per una diversa nozione di lotta di
classe tesa a una radicale riforma dello stato, grazie all’intervento di forze sociali
nuove, dopo lo sfascio dello Stato liberale nel primo dopoguerra, e propongono una
rifondazione della pratica e della teoria politica.
Gobetti : l’inizio nella gentiliana “Energie Nuove”, rivista uscita fra il 1918 e il 1920,
corrispondente alla fase dell’idealismo ortodosso, quindi apologia di Prezzolini e
Gentile.
Gramsci: l’inizio con l’Avanti! (1915-1918) per poi tentare con “La città futura”, un
intreccio fra anarcosindacalismo e revisionismo rivoluzionario (su modello
Mussolini), nonché un’apologia di Croce (<< … il più grande pensatore vivente
d’Europa >>). Mentre tutto idealistico è il corredo di spiegazioni dell’Uomo, della
Cultura e dell’Io. Il lavoro gramsciano si rivolge al concetto di lotta di classe, che
motore della storia fa anche rafforzare la contrapposizione borghesia-operai e, nel
senso soreliano, lo sviluppo umano risulta automatico.
ANCORA SU CROCE (INTELLETTUALI ITALIANI DEL XX SECOLO, E. GARIN).
Letture herbartiane (Zimmermann, Drobish, Volkman e Steinthal) che avranno influ-
enze sulla definizione di “valore” (una costante del crocianesimo); A. Schopenhauer
e George Simmel, Rickert e Dilthey ovvero filosofia della vita e il problema della
naturwissenschaft e kulturwissenschaft; rifiuto della filosofia della storia hegeliana e
della riduzione positivistica della storia a scienza [1896-1902]
Tentativo di una fenomenologia dell’intuizione: << Il mondo e l’uomo nascono
insieme nel momento in cui si definisce una forma individuata (visiva o verbale o
39
musicale “ o come altro si chiami”) che si “distingue da ciò che si sente o subisce,
dall’onda o dal flusso sensitivo, dalla materia psichica”. Qui appunto si colloca l’arte,
dovendosi considerare “le opere d’arte come esempi di conoscenze intuitive”>>
(Estetica, 1902)(in Garin, pag. 19). La seconda fase “Logica”, “Filosofia della pratica”
e inizio della rivista “La Critica” (il problema della cultura nazionale e la nascita dei
gruppi radicali de’ “La voce”) << Quella che al Croce continuò a sembrare “una
tranquilla rivoluzione filosofica” ossia il rifiuto del ‘valore’ della scienza, non solo non
era una rivoluzione, ma non era né filosofica né tranquilla: era una risposta
mistificante a problemi reali, che finì con l’offrire facili forme alla pigrizia mentale>>
[1902-1918](pag. 24).
Terza fase, quella de’ “La poesia” (1936) e “La storia” (1938). << Nella prima (opera)
sono quasi maturate l’analisi dell’esperienza artistica così da dare il massimo
spessore al discorso avviato con l’Estetica; nell’altra emergono in una nuda
essenzialità i dualismi inconciliabili quasi convergendo nel nodo teoria-prassi >>
(pag.29)
Un outsider: Carlo Michelstraedter
<< Gli uomini parlano, parlano sempre, e il loro parlare chiamano ragionare …
S’adagiano in parole che fingono la comunicazione; poiché non possono fare ognuno
che il suo mondo sia il mondo degli altri, fingono parole che contengono il mondo
assoluto, e di parole nutrono la loro noja, di parole si fanno un empiastro al dolore,
o rendersi insensibili al dolore …
Hanno bisogno del “sapere” e il sapere è costituito. Il “sapere” è per se stesso scopo
della vita, ci sono le parti del sapere, e la via al sapere, uomini che lo cercano,
uomini che lo danno, si compra, si vende, con tanto, in tanto tempo, con tanta
fatica. Così fiorisce la RETORICA accanto alla vita. Gli uomini si mettono in posizione
conoscitiva e fanno il sapere >>.
Eugenio Curiel
Lettera a “Lo Stato operaio” (1938).
<< Per molti giovani l’”andare verso il popolo” è spesso soltanto presumersi investiti
dal “popolo” per l’azione politica, che deve essere a vantaggio del “popolo”, ma che
non può essere condotta a buon porto che da intellettuali, più o meno illuminati.
Residui mazziniani, mazzinianesimo gentiliano danno a queste correnti una certa
40
base ideologica e conducono questo giovani a pensare al popolo come ad una entità
astratta, dotata di “buon senso” dell’ignoranza, portatrice della saggezza nazionale
ma incapace di guidarsi da sola. Il fascismo stesso diventa per questi antifascisti
disorientati un fenomeno storico, la cui base classista viene negata, un “qualcosa di
superato” che ha significato per l’Italia la reazione, reazione necessaria a certi
eccessi e a certe consuetudini deleterie della vita politica italiana. Ha significato la
fine del parlamentarismo, considerato un fenomeno di degenerescenza della
democrazia borghese; ma non ha segnato la fine della democrazia, che per questi
giovani desiderosi, soprattutto, di libertà di stampa, informazione e discussioni …
*tutto ciò+ è l’ideale più alto, seppure non ancora del tutto purgato dall’ideologia
fascista. Questi giovani non sono ancora molti, sono isolati, le loro idee sono
imprecise e confuse le loro aspirazioni non sono ancora esigenza e volontà, molto
dell’ideologia fascista traspare dai loro discorsi (sottovalutazione dell’azione di
massa, senso gerarchico dell’elite). Ma essi sono sinceri, essi vogliono e cercano di
combattere per la libertà per la affermazione delle loro volontà di pace e benessere.
Essi vogliono l’Italia libera è felice, essi vogliono la pace dei popoli e il benessere
delle masse popolari che oscuramente sentono legato al loro benessere: e a questa
volontà non è attinta soltanto nei libri, ma temprata da un’esperienza, sì ristretta e
condotta in forma specialissima, ma tuttavia vivace di lotte e vicende >>.
La cultura. La democrazia
Problemi internazionali. << La rottura dell’unità antifascista (1947) e sindacale, la
restaurazione capitalistica, la sconfitta del Fronte popolare nel 1948, sono
altrettante ragioni per cui in questo discorso di politica culturale non poté
svilupparsi secondo un percorso rettilineo, e conobbe battute d’arresto e passi
indietro talvolta cospicui. La guerra fredda e una recrudescenza dello stalinismo a
partire dal 1948 introducono altri elementi estranei nel quadro. Certo non si può
paragonare il ’48 al ’22. Ci sono elementi, però, per pensare che in Togliatti, come in
Gramsci dopo la definitiva affermazione del fascismo, intervengano per un certo
periodo considerazioni di carattere eminentemente difensivo, e per considerare la
fase 1948-56 come un momento di parziale sospensione della politica aperta con la
“svolta di Salerno”, teorizzata dal V° congresso e poi ripresa nell’VIII°: con riflessi
non piccoli nell’atteggiamento tenuto verso gli intellettuali >>
Problemi nazionali << C’era … la situazione degli intellettuali antifascisti, che si affacci-
avano ai problemi posti dalla nascita di una democrazia con gli strumenti propri
41
della loro formazione culturale, e avrebbero potuto essere definiti a secondo dei
casi crociani, liberali, liberali-moderati, gentiliani autocritici, spiritualisti,
esistenzialisti, socialisti, socialisti democratici, socialisti liberali e in misura molto,
molto minore marxisti. Pochi fra questi erano in grado con quegli strumenti, di
valutare a fondo e di comprendere non solo il fascismo, da cui uscivano, ma neanche
l’età liberale, di cui parecchi, al contrario, si dichiaravano ancora eredi … >>.
Carlo Salinari. Il neorealismo.
<< Il neorealismo è sorto … come espressione di una profonda frattura storica, quella
crisi che fra il ’40 e il ’45 con la guerra e la lotta antifascista investì, sconvolse fino
alle radici e cambiò il volto all’intera società italiana. Il neorealismo si nutrì, quindi,
innanzitutto di un nuovo modo di guardare il mondo, di una morale e di una
ideologia nuova che erano proprie della rivoluzione antifascista. In esse vi era la
consapevolezza del fallimento della vecchia classe dirigente e del posto che, per la
prima volta nella nostra storia, si erano conquistate sulla scena della società civile le
masse popolari. Vi era l’esigenza della scoperta dell’Italia reale, nella sua
arretratezza, nella sua miseria, nelle sue assurde contraddizioni e insieme una
fiducia schietta rivoluzionaria nelle nostre possibilità di rinnovamento e nel
progresso dell’intera umanità. Il tono poteva variare dall’epico al narrativo o al lirico,
ma la posizione ideale rimaneva la stessa. È evidente che un movimento di questo
tipo si presentava come autentico movimento di avanguardia, rispetto ad altre
cosiddette avanguardie che avevano proposto riforme soltanto formali, che non
rompevano il cerchio della cultura della classe dominante, e qualche volta, compi-
vano rivoluzioni canonizzate nell’Accademia d’Italia.
Autentica avanguardia il neorealismo ebbe il piglio aggressivo e polemico, la volontà
di caratterizzarsi e di distinguersi nettamente dalla cultura tradizionale, accademica,
arretrata, staccata dalla realtà. Si presentava così come arte impegnata contro l’arte
che tende ad eludere problemi reali del nostro paese; contrappose polemicamente
nuovi contenuti (partigiani, operai, scioperi, bombardamenti, fucilazioni,
occupazioni delle terre, baraccati, sciuscià e segnorine ) all’arte della pura forma e
della morbida memoria (ma non fece mai, almeno nei migliori, di questi contenuti
una precettistica); cercò un mutamento radicale delle forme espressive che
sottolineasse la rottura con l’arte precedente e potesse esprimere più
adeguatamente i nuovi sentimenti; si pose il problema di una tradizione di arte
42
autenticamente realistica e rivoluzionaria a cui riferirsi, scavalcando le esperienze
decadenti dell’arte moderna … >>.
Temi vari.
Pietro Barcellona, l’Individualismo proprietario.
Soggetto moderno e ordine giuridico.
Bobbio: nella nostra società è avvenuto, almeno parzialmente, che al governo degli
uomini, governo arbitrario e contingente, si sia sostituito il governo della legge,
quindi il rapporto governanti e governati è determinato dal primato della legge.
Kelsen-Weber: la società ha un ordinamento giuridico moderno fondato sulla
spersonalizzazione del potere, dell’autorità e sul monopolio legale della forza. << Il
diritto è essenzialmente una tecnica di produzione di comandi mediante
procedimenti regolati dallo stesso diritto >> (pag. 16)
A questo proposito la prima osservazione critica è sul “politeismo dei valori”: la
mancanza di valori assoluti che caratterizza una moderna società atomizzata e
dissipata individualmente …
Domenico Lo Surdo, pene capitali nell’America di razza (articolo)
Ciò che più colpisce nella catena di esecuzioni che si allunga negli Stati Uniti è il fatto
che essa non risparmia nessuno: non si scampa alla condanna a morte né per la
giovanissima età, né per aver vissuto in un ambiente familiare e saturo di violenze; a
quanto pare nell’Arkansas, il democratico Clinton si appresta ad assistere di persona
agli ultimi minuti di vita, sulla sedia elettrica, di un malato di mente afro-americano.
Più della guerra del Golfo è il culto feticistico della pena di morte a mettere in crisi
l’immagine lusinghiera di cui l’America gode. Conviene allora interrogarsi retroterra
storico e culturale di queste esecuzioni. Gli USA sono forse il paese in cui maggior
diffusione hanno a lungo trovato le teorie che negando o minimizzando il ruolo
dell’ambiente, insistono sulla trasmissione ereditaria delle tendenze criminali e della
deficienza mentale. Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 si sviluppa un movimento
che pretende di impedire la procreazione si delinquenti bloccando quindi la
“trasmissione delle tendenze criminali”. Dal 1907 al 1915 ben 13 Stati emanano
leggi per la sterilizzazione coatta, cui devono sottostare, secondo la “legislazione
pilota” dell’Indiana, << … delinquenti abituali, idioti, imbecilli e violentatori … >> *…+
43
Tematiche di respiro europeo.
C. Resta, Stato mondiale o nomos della terra. Carl Schmitt tra universo e pluriverso,
A. Pellicani ed. Roma, 1999.
Una dicotomia? Res pubblica cristiana- stati nazionali
L’espansione illimitata dei confini dell’Occidente determinerà l’eclissi del NOMOS che
C. Schmitt vedeva fondato proprio sul “limite”, sulla differenza tra una pluralità di
Stati diversi.
Rif.: Carl Schmitt, Il nomos della terra, Adelphi, 1991
Id., Categorie del Politico, il Mulino 1998 (sul passaggio dal “teologico” al metafisico
al morale-umanitario all’economico)
Id., Dialogo sul potere, Il melangolo, 1990
Il nomos come “legge e ordinamento” ma anche come “presa di possesso e
suddivisione dello spazio”) legami col pensiero di Heidegger ed E. Junger.
Altri volumi: G. Guarino, Il governo del mondo globale, Le Monnier, 2001
Max Weber, La Politica come professione, (1919)
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Appendice.
La “Nuova Destra” in Italia. Temi e figure negli anni ’80 (una sintesi).
I fondamenti ideologici della N.D. vanno ricercati nelle loro produzioni culturali della
fine degli anni settanta inizi degli anni ’80: è in quel contesto radicalmente di riflusso
della politica attiva che si sviluppano le concezioni le nuove concezioni che ora sono
largamente egemoniche nei vari movimenti della nuova “destra (radicale)”
Testi fondamentali:
Adriano Romualdi, Correnti politiche e ideologiche della destra tedesca dal 1918 al
1932, (1981) e Il fascismo come fenomeno europeo (1978).
Macondo e P38 di Stenio Solinas, giornalista del quotidiano Roma, corrispondente
italiano di GRECE (A. de Benoist)
Marco Tarchi, Prefazione a “Visto da destra” di Alain de Benoist (1981); con titolo “Il
problema di una nuova destra italiana”.
Giano Accame, Socialismo tricolore, (1983).
Il primo, figlio di un importante esponente del MSI, è scomparso a 33 anni in un
incidente, era iscritto al MSI, membro della fondazione G. Volpe e incaricato di
Storia contemporanea all’Università di Palermo, legato a “Ordine Nuovo” ed
“Avanguardia Nazionale”, era uno studioso di Julius Evola, Robert Brasillach e di O.
Spengler. La sua è sicuramente una collocazione nella destra radicale; non così
precisa per gli altri a seguito. Il secondo è un giornalista e prolifico autore, legato al
gruppo francese di de Benoist (forse il principale intellettuale della destra fin de
siecle) e ora impegnato nella rivista “Elementi” (anni ‘90), autore di un “Per farla
finita con la destra” (1997). Il terzo è uno studioso apprezzato (curatore, in gioventù,
delle opere di Goebbels, Evola e Degrelle), un politologo accademico, con interessi e
studi dedicati al fenomeno del “populismo”. Di G. Accame, più integrato al partito
ufficiale della destra italiana (ex repubblichino, ex MSI, economista “sociale”) in
questo libro ha voluto strizzare l’occhio al socialismo di Bettino Craxi. È scomparso
nel 2009.
Altri autori considerati: Corrado Federici, autori di saggi atti a raccordare le
tematiche della nuova destra con la “science fiction” e la “fantasy”; Gianfranco de
Turris, apprezzato studioso di letteratura e di culture tradizionaliste; Franco Cardini,
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studioso di fama internazionale del medioevo, in gioventù militante dell’idea di
destra, ora studioso di islamismo e culture orientali; Mario Bernardi Guardi, autore
del volume “Il caos e la stella. F. Nietzsche e la trasgressione necessaria” del 1983,
studioso di Ernst Junger, e collaboratore di riviste come Athos, L’Italiano e la Torre;
Marcello Veneziani, giornalista, autore di testi teorici come La ricerca dell’Assoluto,
di saggi storico-ideologici come “Mussolini il politico” e “Vilfredo Pareto, il maestro
del disincanto”: Enzo Erra, giornalista e saggista al suo attivo un volume su “Il
fascismo fra reazione e progresso” e un altro dal titolo “Sei risposte a De Felice”;
Giuseppe Del Ninno, studioso dei concetti di “comunità e stato”, esponente
dell’associazione “Grece-Nouvelle Droit” in Italia.
Importanti sono lavori di gruppo o atti di convegni tra cui citiamo i più famosi
A più mani, Hobbit/Hobbit. Un resoconto dell’happening del movimento di destra e
F.d.G.(Fronte della Gioventù, gruppo giovanile del MSI) tenutosi a Montevarchi nel
beneventano nel 1977.
A più mani, Proviamola nuova: atti del seminario “Ipotesi strategie della Nuova
Destra”, (1980).
AA.VV., Al di là della destra e della sinistra: atti del convegno “Costanti e devoluzioni
di un patrimonio culturale”
La Nuova Destra (ND), così come si è articolata nel corso degli anni ’80, ha
completamente abbandonato la “teatralità nazional-popolare, l’intransigentismo
dogmatico e la rissosità dei capi senza carisma” (M. Marchi, in Hobbiti/Hobbit) che
caratterizzava i fascisti ortodossi, quelli delle spedizioni contro le Università e quelli
che ostentavano il saluto romano come un surrogato di vitalità di “una specie
destinata all’estinzione”. Il MSI, davanti a queste affermazioni, attaccò
violentemente il movimento della ND. Dopo le esperienze dei campi d’incontro e
con la pubblicazione della rivista Elementi la ND si considera un “movimento politico
autonomo”, con una sua concezione politica e culturale (transpolitica) in ricerca
continua. E vediamo in cosa consiste questa diversità: negando il tradizionalismo del
partito neofascista (l’MSI) << .. che sbandierava la sua opposizione al sistema dei
partiti, ma che riduceva il suo raggio d’azione nell’alveo delle istituzioni
repubblicane >> (A. Del Ninno, intr. a “Visto da Destra” di A. de Benoist), la ND
doveva farsi carico dell’uscita dalla politica intesa come dialettica delle istituzioni e
immettersi e calarsi nel sociale con un attivismo capace di creare nuove egemonie e
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consensi attorno ai principi universali della concezione storica della destra culturale
(i valori di gerarchia, fedeltà, ordine, sacralità del politico, stato o comunità) e in
netta opposizione del principio di uguaglianza livellatrice e del mercato divenuto
oramai astratta potenza disgregante della modernità razionale e capitalista.
Fondamentalmente questa azione del movimento deve condursi sul piano sociale e
culturale circostante, deve essere anche un tentativo di convogliare il discorso
dell’impegno su un piano concreto dell’esistenza di una lotta contro il caos creato da
una società spersonalizzata e fondata sulla mercificazione dei rapporti umani, una
lotta quindi per l’ordine e per i valori che eternamente sono presenti nella storia. Il
motivo di questa scelta contro l’esistente è legato al significato che si vuol dare della
“crisi della destra” storicamente data dal secondo dopoguerra in poi, crisi che ha
prodotto – ad esclusione dei lavori di Romualdi e Evola- una desertificazione
nell’ambito della produzione culturale. La storia degli ideali di destra (e, quindi, della
sua cultura) ha prodotto un fermo-immagine agli anni trenta. Dopo il 1945, con la
sconfitta del nazifascismo, non c’è stato nulla di interessante: ecco il senso di
estraneità dell’oggi. I luoghi idealizzati – con i loro valori esistenziali, politici e
culturali sono il decennio 1925-1935, gli anni della Konservative Revolution, in cui si
sviluppano le esperienze e il lavoro teorico di von Salomon, Junger, Spengler e dei
circoli culturali ultraconservatori di Weimar; gli anni del fascismo-movimento (1918-
1922), ovvero gli anni dell’eroismo, combattentismo e degli eretici del
nazionalsocialismo e del fascismo (basti pensare al mito di un “trotskismo” di
stampo nazionalsocialista, ora in auge nel testo di Armin Mohler). << La ND -scrive
Marco Revelli – infatti assume a tal punto la crisi come referente qualificante da
affidare a essa la definizione della propria stessa identità e da porre, effettivamente,
nella crisi le ragioni stesse della propria esistenza e le coordinate della propria linea
strategica … >>. Oltre alla “crisi”, valore teorico fondante della ND è il superamento
della concezione classica dei luoghi della politica, ovvero ai topoi “destra” e
“sinistra” viene sostituita una non ben precisata << ... “identità progettuale” che è
tesa a un passato rivisto in profondità e a un futuro illuminato per intuizione >> ( Al
di là di destra e sinistra, atti del convegno del 1981). Si erano fatti apprezzamenti
per la sinistra rivoluzionaria e sostennero di essere affascinati dal “combattentismo”
dell’Autonomia Operaia e individuarono nella famosa cacciata di Lama (leader della
CGIL) dall’Università La Sapienza, un’esperienza condivisa e sentita anche attraverso
la presenza fisica di molti aderenti al movimento non conformista.
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Tutto deve essere inquadrato in una logica di fondo che connette ogni violenza o
azione di gruppo, un filo che lega gli ultras dello stadio, i naziskins delle spedizioni
anti immigrati e le rivolte dei ghetti o l’intifada; un discorso transpolitico, appunto,
che si fonda sul valore del frontgemeinschaft (la comunità di combattimento, di
trincea) di junghiana memoria.
Ultima considerazione: l’anticapitalismo di destra. I suoi teorici propugnano l’idea di
una netta opposizione alla società mercantile (anche nelle sue forme più avanzate
dello spettacolo, secondo la nota impostazione situazionista) e delirano intorno a un
neofeudalesimo post-capitalista e una originaria comunità ecologica rurale degna di
un romanticismo reazionario di stampo ottocentesco.
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Finito il 15 novembre 2014