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Capitolo I
IL DIRITTO COMUNE E L’EUROPA
1. Ius commune, romano-canonico e ius proprium
Lo ius commune si diffuse grazie alle Università, dove veniva insegnato il Corpus Iuris
Civilis (cui si aggiunsero i libri feudorum). Assieme ad esso veniva insegnato il Corpus Iuris
Canonici. Quest‟ultimo ebbe una rapida diffusione già nel corso del XII secolo in tutta Europa col
diffondersi del primato papale. Il diritto romano fu recepito lentamente con tempi e modalità
differenti da luogo a luogo, ma siccome veniva insegnato con gli stessi metodi, nella medesima
lingua e dagli stessi testi, si finì sui tempi lunghi per avere un diritto uniforme in tutta Europa
basato sul diritto Romano Canonico.
Lo Ius proprium, invece, non costituiva oggetto di studio nonostante avesse una posizione
prioritaria nella gerarchia delle fonti rispetto al diritto comune e veniva letto, interpretato ed
applicato sulla base delle categorie concettuali romanistiche apprese nelle Università.
1.1. L‟Italia
È il paese che ha visto una più rapida applicazione del diritto universitario, sia perché era
quello in cui era nato e più a lungo e intensamente praticato, sia per la frequenza delle Università,
sia ancora per la presenza del papato, divenuto nel 1100 la fonte principale del diritto canonico; sia
infine per la precoce presenza di un ceto di notai molto numeroso. Quindi, i negozi giuridici e atti
giudiziari da noi risentirono precocemente dell‟insegnamento del diritto comune.
Tutto ciò non evitò però una larga diffusione di diritti locali, sia nelle aree monarchiche che
in quelle delle Città-Stato. Perciò l‟Italia è il paese che ha vissuto prima il problema del concorso
delle fonti.
Ma un esempio può essere utile. Prendiamo in considerazione un istituto: quello della
repressione della stregoneria, che viene ritenuto esclusivo del diritto canonico. Ebbene il Decretum
di Graziano, primo testo di diritto canonico, recava sul punto essenzialmente il canone Episcopi,
esso trattava in maniera blanda le credenze sulle streghe, ritenute essenzialmente superstizioni di
donnicciole; c‟è in esso prudenza e moderata repressione di quello che si riteneva un fenomeno
sfumante nella superstizione e nell‟ignoranza.
Nel testo canonistico successivo oggetto d‟insegnamento, il Liber Extra del 1234, si
distingueva nettamente tra eresia, repressa duramente e magia. Gli inquisitori erano all‟opera
accanto e in luogo delle consuete corti episcopali per l‟eresia. A metà secolo però l‟inquisizione
deve essere stata anche troppo solerte, per cui Alessandro IV ricordò che essi dovevano occuparsi
esclusivamente della peste dell‟eresia e lasciare alle corti vescovili (i giudici ordinari) divinazioni e
sortilegi.
Ma il papa poneva un inciso molto importante: la competenza degli inquisitori si sarebbe
accesa laddove quelle pratiche “avessero chiaramente traboccato nell‟eresia”. La decretale veniva
accolta nel Liber Sextus, la successiva raccolta di testi papali insegnati nelle Università del 1298 e
nella glossa ad esso di Giovanni d‟Andrea si precisava che, in dubbio, gli inquisitori non dovessero
avere alcuna giurisdizione sui casi stregoneria.
E il diritto proprio che diceva? A Pistoia, nel 1250, nella curia del podestà, quando si
condannò una donna di servizio perché malleficiavit il suo padrone per renderlo impotente ai
rapporti con la moglie, la condanna era stata di 200 lire, senza precisazioni in caso d‟insolvenza.
Niente pena al rogo, dunque. Nello statuto di Siena del 1262 erano puniti con 200 lire applicandosi
la pena prevista per omicidio in caso d‟insolvenza. Nel primo 300 furono emanate costituzioni
episcopali integrative al diritto canonico per le diocesi di Firenze e Fiesole e si stabilì ancora solo la
scomunica per gli autori di sortilegi.
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Preziose informazioni, per pochi anni dopo, ci vengono da un consilium di Oldrado da
Ponte, celebre professore universitario, ormai sotto la protezione del papa operante in curia ad
Avignone, dove sarebbe divenuto anche giudice di rota. Ebbene un certo Johannes de Partimano era
stato preso d‟amore per una donna, e doveva aver preparato pocula amatoria e ymagines,
naturalmente a fini di libine. Il suo caso fu affidato dal papa a due uditori e dal consilium si capisce
che la questione verteva sul fatto se si fosse o meno in presenza di un caso di stregoneria tendente
all‟eresia tale da far scattare la competenza dell‟inquisizione. Interessante è notare che in presenza
di dubbio non fu la stessa inquisizione a decidere e gli argomenti addotti da Oldrado convinsero che
si trattava piuttosto di superstizione e follia amorosa, per cui il nostro Giovanni poté andare libero;
cominciava però ad essere difficile parlare liberamente in difesa degli inquisiti.
Nel primo vero trattato giuridico sull‟inquisizione scritto intorno al 1330 da Zanchino
Ugolini, giurista operante nell‟inquisizione della romagna, si ricordano magia e sortilegi ma si
continua sottolineare la competenza dei vescovi.
Un noto consilium del giurista Federico Petrucci relativo alla differenza tra sortilegium e
divinatio per rispondere ad un quesito a lui posto discute le questioni muovendosi soltanto sulla scia
dei passi del Decretum.
La prassi sembra blanda ed è, a volte, la stessa opinione pubblica a frenare la repressione.
Un San Bernardino, predicatore appassionato e affascinante, desiderava una svolta nella repressione
nel primo „400 per evitare le giuste punizioni divine (diceva), ma se la prassi fosse stata severa non
si spiegherebbero i suoi insistenti appelli. A Todi era a predicare nel 1426 e negli statuti redatti
subito dopo fece inserire una rubrica contro incantatori e fattucchiere, con le previsioni del rogo e
della tortura.
I gruppi dirigenti erano increduli, ma siccome a livello popolare era diffusa la credenza nella
magia le voci che invitavano alla prudenza si facevano sempre più rare; ma i giuristi ben figurarono.
Mario Socini si segnala per l‟equilibrio e la serenità del giudizio e in cui pare ripetere posizioni del
suo maestro Niccolò de Tedeschi, grande canonista difensore del conciliarismo.
1.2 La Germania
Fu il Paese che restò più indietro nel processo di ricezione europea del diritto romano insegnato
nell‟università. Il motivo è attribuibile al fatto che in Germania. esisteva un dir. consuetudinario
scritturato, insieme alla mancanza di giuristi formati nelle università.
Ciò consolidò, quindi, in patrimonio normativo tradizionale che contrastava la penetrazione del dir.
romano.
Naturalmente, discorso a parte va fatto per il diritto canonico grazie alle giurisdizioni
ecclesiastiche. Nella situazione tedesca vi erano analogie con quanto avveniva in Inghilterra, dove il
Common Law aveva fatto da barriera al dir. romano, anche se la cultura tedesca finì presto per
trovarsi ben più vicina a quella italiana poiché molti studenti tedeschi si formavano nelle università
italiane.
A fare da resistenza vi era anche l‟enorme frammentazione politica che creava l‟esigenza di
un diritto superiore capace di offrire idonee soluzioni ai vari problemi che si presentavano e rispetto
ai quali il dir. locale non dava soluzioni. Solo il dir. dotto era all‟altezza di tale compito e molti
studenti delle università finirono per fare i consulenti legali di principi, vescovi o città autonome
tedesche che attraverso sentenze e consilia diffusero le argomentazioni giuridiche tipiche del diritto
romano mettendo in evidenza l‟idoneità a risolvere tale problema.
Fu, dunque , una ricezione di fatto ma non dichiarata che si protrò per tutto il 1400 fino alla
ricezione ufficiale del diritto comune tramite l‟istituzione del Tribunale Camerale dell’Impero del
1495.
Molte delle città libere tedesche, dato il complicarsi della struttura sociale e l‟intensificarsi dei
commerci, cominciarono a legiferare e nel farlo si ispirarono al modello statutario italiano.
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1.3 La Francia
Nella Francia del sud, grazie alle complicazioni romano-barbariche dei Visigoti e dei
Burgundi, il dir. romano sopravvisse anche dopo la caduta dell‟Impero Romano, nel nord invece
con la fondazione dello Stato Franco il dir. romano fu messo al bando e al suo posto si diffuse il dir.
consuetudinario franco di origine germanica, e furono consolidate dal processo di scritturazione
ordinate dal re con l‟ordinanza di Montils-les-tours nel 1454 durato più di un secolo. Dunque nel
sud la penetrazione del dir. romano dotto fu molto facile e precoce e si svilupparono numerose
università.
Tuttavia anche in Francia la ricezione del dir. romano cominciò già dal sec XIII e si sviluppò
in modo più energico che in Germania perché era stato sostenuto da università famose e dalla
monarchia che appoggiava il ceto dei legisti; questi ultimi consentirono al Re Filippo il Bello il
processo a papa Bonifacio VIII e quello ai Templari.
1.4 Inghilterra : tra dir. canonico e origini del common law
Nel medioevo inglese, a seguito della sconfitta degli anglosassoni inflitta da Guglielmo I di
Normandia, il potere regio poté perdurare nell‟isola solo a prezzo di essere forte e capace di arrivare
capillarmente nelle varie parti del Paese.
Perciò furono istituite, nel corso del XII secolo, delle Corti regie itineranti che prima
affiancarono e poi sostituirono il sistema feudale di giustizia locale, instaurando un sistema di
diritto uguale a tutto il territorio e fortemente centralizzato.
Esso si basava sui writs, ossia ordini che il re dava al giudice di accertare se determinati fatti erano
accaduti o meno e, sulla scorta degli accertamenti fatti, di giudicare in un senso o nell‟altro.
Costituivano ipotesi specifiche e venivano emanati per conto del re, su richiesta dell‟attore e dietro
pagamento di una tassa. Si svilupparono formule standard raccolte nel “register of writs”.
Il fatto che l‟amm.ne del re e le corti finissero per avere la loro sede fissa a Londra fece si che ivi si
formasse una cerchia di giuristi pratichi della materia, istruiti e politicamente influenti che si
organizzarono in corporazioni professionali con il nome di Inns of Court e ai quali fu affidata
l‟educazione del giurista, formato attraverso la pratica. Solo chi si era formato qui, si pretese, che
potesse esercitare come avvocato o giudice.
Comunque anche nelle università inglesi veniva insegnato il diritto romano, ma con finalità
solo culturali o per preparare i giuristi delle corti ecclesiastiche; questi giuristi venivano chiamati
civilians e formarono una diversa corporazione sempre con sede a Londra, quella dei Doctors
Commons.
I civilians, oltre che nelle corti dei vescovi, operarono nella corte dell‟ammiragliato competente in
materia di cause sul diritto alla navigazione. In questo campo vi erano già consuetudini basso
medioevali redatte poi nel XV secolo nel libro del consolato del mare.
Il diritto romano non si affermò in Inghilterra perché, nel momento in cui i dottori delle
università di Bologna elaborarono il processo romano canonico, in Inghilterra si era già affermato il
sistema della corti rege e dei writs. Il processo creativo dei writs applicati dalle corti andò scemando
a partire dal 1300 perché era troppo rigido e lacunoso e molte cause venivano perse o per errori
tecnici o per la mancanza di writs adeguati al caso. Così intorno al 1300 fu possibile presentare una
petizione al re pregandolo di ingiungere all‟altra parte della causa un determinato comportamento,
non basato sul common law ma per riguardo ai principi della morale e dell‟equità cristiana; in
concreto si passava la domanda al cancelliere che giudicava con quale rimedio e se concedere la
grazia.
Le richieste che furono progressivamente inoltrate direttamente al cancelliere, divennero un
corpo consolidato di rimedi processuali che prese il nome di equity: quest‟ultima divenne parte del
common law in senso lato, ma distinto dai rimedi di common law. In tale sistema giuridico la legge
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ebbe un ruolo marginale perché nella tradizione inglese è dal processo che si guarda al diritto, da
ciò che viene tutelato. Perciò la legge intervenne su molte questioni di diritto pubblico, ma nelle
questioni private solo in via eccezionale, con una funzione quindi solo integrativa - correttiva del
common law.
Il diritto posto con la legge veniva considerato speciale e non veniva, pertanto, applicato per
via analogica.
Nelle Università si formavano i Doctors, negli Inns invece sia i solicitors che i baristers: i
solicitors sollecitavano gli atti nelle corti i baristers erano coloro che facevano le discussioni che
venivano registrate nei libri annuali dei processi. Il „500 inglese rappresentò un favorevole
momento per il diritto romano grazie all‟azione di Enrico VIII che istituì dei regi professori di
diritto romano perché avrebbe voluto introdurre il diritto comune in quanto vi trovava la
sottolineatura del potere del principe secondo il principio ” ciò che piace al principe è legge” e si
fondava sul concetto di proprietà piena che avrebbe contribuito a modernizzare il sistema feudale,
incentivando quindi l‟accumulazione del capitale necessario per lo sviluppo industriale.
L‟atteggiamento favorevole verso il diritto comune di Enrico VIII cessò con lo scisma da
Roma nel 1534, poiché una riconsiderazione del ruolo del diritto comune fu necessaria in seguito
all‟appoggio che il Parlamento diede al re per l‟atto di supremazia, il quale fu costretto a
riconoscere la centralità del parlamento.
2. La scritturazione del diritto e il problema dell‟interpretazione
La scritturazione del diritto fu un fenomeno che a partire dal XIII secolo interessò un po‟ tutti i
Paesi europei, favorendo la diffusione dell‟idea che la legge dovesse essere contenuta in testi scritti.
Però, mentre le raccolte di Francia e Germania contenevano norme di diritto consuetudinario, quelle
di Spagna Italia e Inghilterra, si ispiravano al diritto romano e contenevano materiale legislativo
nuovo. Queste raccolte avevano, in genere, la precedenza nella pratica rispetto al diritto comune ma
costituivano un diritto particolare e perciò insuscettibile di applicazione analogica o, come si diceva
allora, di interpretazione.
La legge era espressione della volontà giuridica, ma anche politica, del legislatore che era
solo il principe. Accade però che, al momento della sua emanazione, ogni atto normativo cominci a
vivere una sua vita autonoma e, molto spesso, quella che è la volontà del legislatore viene stravolta
o non rispettata al momento dell‟applicazione del diritto. Per questo l‟attività interpretativa è stata
proibita dai legislatori. Lo stesso Giustiniano riservò a sé sia la produzione che l‟interpretazione del
diritto che egli intendeva come attività di spiegazione.
Lo stesso valore deve essere attribuito al divieto di interpretazione del testo che si rintraccia
spesso negli statuti comunali, ove si precisa che il testo va applicato alla lettera , secondo il senso
chiaro ed evidente delle parole. Lo statuto cittadino, infatti, era visto come una sorta di deroga al
diritto comune e dunque insuscettibile di interpretazione analogica.
Il divieto in questione ha, di fatto, un significato meno drastico rispetto a ciò che oggi
potremmo pensare e corrispondeva al timore del legislatore di vedere modificata in sede applicativa
la sua volontà, quindi rappresenta anche un momento della recezione del diritto romano.
Il divieto di interpretatio rappresenta quindi un proposito politico ideologico col quale
siamo alle radici del moderno positivismo. Di fatto, interpretavano i giudici e soprattutto i giuristi
che, proprio grazie ad un‟attività fortemente creatrice di diritto, sulla base del diritto romano,
riuscirono ad adattarlo alle esigenze del tempo. Importanti regole le troviamo nel corpus iuris civilis
giustinianeo dove il pensiero che solo il principe potesse interpretare le norme perché da lui stesso
emanate e reso esplicito.
Altre importanti regole sull‟interpretazione le troviamo nel Digesto, dove si dispone che in
primo luogo si guardi a come si è provveduto nei casi anteriori del genere e poi che in caso di
dubbio si tenga presente la consuetudine, ovvero il prestigio delle decisioni già prese.
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3. Il processo romano-canonico e l‟inquisizione.
Il processo romano-canonico è, insieme al Corpus iuris Civilis e Canonici, l‟eredita giuridica
che il Medioevo ha lasciato all‟Età moderna.
Le caratteristiche del processo romano-canonico si differenziano nettamente da quelle del
processo alto medievale, che era di solito un processo:
1. orale;
2. che si svolgeva davanti a giudici che non erano tecnici del diritto;
3. nel penale basato su di un sistema accusatorio;
4. in cui tra i mezzi di prova erano previste le “ordalie”.
Il processo romano-canonico era tutto al contrario, ossia:
1. scritto;
2. che si svolgeva davanti a tecnici
3. basato su prove razionali (in particolare le testimonianze e non le ordalie);
4. in cui ha valore solo ciò che veniva provato nel processo.
Il verdetto non era emesso secondo coscienza o equità, ma secondo quanto attestato dagli
atti. Anche se il giudice era consapevole della iniquità della sentenza, la doveva emettere
attenendosi solo a ciò che era emerso durante il processo (principio questo da “Stato di diritto”).
Nel campo penale, il processo diviene essenzialmente inquisitorio. Questo tipo di processo
risale al duecento, quando le corti ecclesiastiche dovettero applicare alcune decretali pontificie di
importanza fondamentale e che giustificano la denominazione di tale processo come romano-
canonico.
Questo processo inquisitorio si basa sull‟iniziativa del giudice che passa, da terzo Super
partes che assiste alla contesa tra accusatore e accusato che si difende, a parte attiva, perché c‟è una
serie di reati per cui egli ora è tenuto ad agire non appena gli giunga la notizia criminis. Da questa
nasce il suo obbligo di cercare le prove e i responsabili di un dato reato.
La svolta è enorme, prima lo Stato non sentiva tra i propri oneri quello della repressione del
crimine e comunque riteneva fondamentale la presenza di un‟accusa formale. Ora invece, dal
duecento, su impulso della vasta attività svolta dall‟inquisizione della Chiesa contro gli eretici, si
affermò, anche in sede laica, l‟idea che un‟autorità in prima persona potesse agire contro il reo
anche se non vi era un‟accusa formale della parte lesa, la quale non era più soggetta alle
intimidazioni del reo che poteva farla desistere dal presentare accusa, rimanendo cosi il reato
impunito.
Di qui l‟esigenza di uno Stato confessionale, ossia di una struttura pubblica che assistesse la
Chiesa nella repressione delle forme esteriori del peccato. Il Papa in pratica dava una
“commissione” a degli inquisitori, che diventavano responsabili della repressione dell‟eresia in un
determinato territorio, in aggiunta e in deroga ai tribunali ordinari vescovili. I Vescovi avevano già
accanto a se un Vicario per l‟amministrazione della giustizia. Lui giudicava in nome del Vescovo
poiché era un laureato, un Doctors, formato nelle Università in contrapposizione ai giudici dell‟alto
medioevo che erano dei laici e si limitava ad assistere allo svolgimento dell‟ordalia.
Il carattere inquisitorio del processo penale portò conseguenze sia positive che negative. Tra
gli aspetti positivi c‟è il fatto che i crimini non rimasero più impuniti come nell‟alto medioevo.
Aspetto negativo del sistema inquisitorio fu che la pubblica accusa era parte della stessa corte.
Viene a mancare dunque una netta separazione tra giudice e accusa, poiché le parti sono solo due:
l‟inquisito e l‟inquisitore, che fa parte della corte che dovrà poi emettere la sentenza; cosa che nel
sistema accusatorio non accadeva poiché il giudice assumeva la posizione di terzo.
Altro aspetto negativo è che fu recuperata dal diritto romano la pratica della tortura
giudiziaria, applicabile ogni volta che non fossero sufficienti altri elementi di prova. Bisogna tener
presente che nel processo di diritto comune la condanna era possibile ove esistesse una piena prova,
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data ad esempio da più testimonianze fededegne. Spesso divenne quindi indispensabile la
confessione del reo e la tortura aveva proprio questo scopo.
Differenza fra processo inquisitorio laico e quello ereticale è che, nel primo, è prevista
l‟assistenza legale dell‟inquisito, nel secondo è lo stesso inquisito a difendersi senza conoscere
neppure le contestazioni specifiche che gli vengono accollate, né i nomi dei testi a carico.
In particolare, in quello ereticale, non si reprime un fatto ma un‟opinione, una credenza.
Un‟altra caratteristica del processo romano canonico è la scrittura, grande elemento di
differenziazione rispetto al sistema di common law, che si basava su un dibattimento orale davanti
ad un giudice e ad una giuria.
Il procedimento penale inglese si divideva in due fasi: una prima in cui il Gran jury stabiliva davanti
ad una commissione locale se procedere nei confronti dell‟inquisito (come attuale gip) ed una
seconda fase in cui un Petty jury giudicava in merito a quella fattispecie concreta; si era dunque
giudicati dai propri simili come da noi solo nelle corti feudali.
In Inghilterra il sistema della prima giuria, per accertare se aprire il processo vero e proprio,
consentì di non instaurare il processo inquisitorio perché il collegio dei giurati locali evitava
l‟intimidazione che nel sistema accusatorio impediva la repressione del crimine.
Nel processo romano-canonico, a differenza di common law, non c‟è una giuria ma un
giudice dotto e monocratico e in campo penale gli atti dovevano rimanere segreti.
Il processo romano-canonico è scritto in tutte le sue fasi, anche in quella della tortura giudiziaria.
Infatti, c‟è tutta una trattatistica in merito che disciplinava l‟esercizio della tortura giudiziaria, oltre
che poche norme statutarie. Essa doveva essere fatta davanti ad un notaio che verbalizzava tutte le
fasi della tortura, che andava praticata in modo che non recasse danni permanenti al torturato; tra
l‟altro la maggior parte degli statuti prevedeva anche un controllo dell‟organo politico locale che
doveva autorizzare la tortura. Meritano di essere ricordati i trattati del „300 di Bernardo Gui,
inquisitore per la stregoneria, e dello spagnolo Nicolas Eymerich, con gli accorgimenti dottrinali e
normativi di Francisco Pena, giudice della rota romana.
4. Uguaglianza delle parti nel processo di diritto comune.
Riguardo alla posizione delle parti, il processo di diritto comune presentava alcune
caratteristiche formali di rilievo in senso garantista che s‟ispirava al principio del contraddittorio,
per cui era necessaria la garanzia del diritto di difesa del convenuto.
In primo luogo l‟attore doveva procede all‟accusa in modo che l‟accusato ne fosse a
conoscenza. Si riteneva poi, in base alla massima di Ulpiano contenuta nel digesto che recita “non
deve essere consentito all‟attore ciò che non è consentito al convenuto”, che l‟attore non potesse
compiere atti preclusi al convenuto. Si ha dunque una convergenza tra la tradizione civilistica e
canonistica facilitata da un passo importante degli Atti degli Apostoli, ossia “giudicherai il grande
come il piccolo, né quindi avrai riguardo alla diversa condizione delle persone. La regola fu poi
recepita ufficialmente nel corpus iuris canonici tramite il titolo de regulis iuris, redatto per il Liber
sextus di papa Bonifacio VIII da Dino da Mugello.Secondo lo stesso Dino il principio di
uguaglianza delle parti nel processo avrebbe dovuto prevalere su ogni altro, principio questo che
trovava un‟ applicazione problematica in un sistema che riconosceva largamente privilegi e
distinzioni in base alla categoria sociale delle persone. Anche per i giuristi Bartolo, Baldo e Matteo
D‟Afflitto si doveva dare la prevalenza a tale principio sui privilegi. Anche Federico II fece recepire
nel Regno di Sicilia tale principio. Tuttavia, una cosa era affermare tale principio e tradurlo in
pratica nella giustizia civile, dove la par condicio era facilitata dall‟indifferenza del potere politico;
altra cosa era affermarlo in sede penale ove il processo inquisitorio invece s‟ispirò all‟assoluta
prevalenza del giudice inquisitore rispetto ai diritti della difesa. Che la teoria e gli ideali avessero il
loro peso lo dimostra anche la vicenda tragica del cosiddetto San Simonio di Trento il piccolo
sacrificato dagli ebrei (omicidio rituale). Un commissorio apostolico accertò gravi violazioni del
diritto di difesa degli ebrei incarcerati, ma la sua protesta non bloccò l‟esecuzione.
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5. I Consilia - Pareri dei giuristi.
Un altro aspetto interessante del processo romano-canonico che si sviluppa sopratutto nell'Italia
comunale è il consilium detto anche "consiglio di savio" nelle fonti statutarie antiche.
I Consilia si dividono in due categorie:
- consilium pro parte; è il parere che il giurista dotto da parte che ne fa richiesta per sostenere le
proprie ragioni davanti al giudice.
- Consilium pro veritate (sapientis) è quello chiesto dal giudice al giurista quando la causa aveva un
minimo di complicazione sulla questione del diritto da decidere, e il parere del giurista aveva
carattere vincolante sulla pronuncia della sentenza. Dunque il giurista si pronunciava su richiesta
ufficiale del giudice che recepiva il consilium ed era obbligato a sentenziare seguendo quelle
indicazioni. I consilia sapientis dati per una causa, non erano vincolanti per il futuro.
Le motivazioni per cui il giudice era obbligato a recepire il consilium del dotto sta nel fatto che non
sempre i giudici erano dotti, poiché di solito venivano da fuori e quindi, non conoscendo il diritto
locale anche se dotto il giudice aveva bisogno del parere.
La spiegazione che appare più plausibile è che in realtà si voleva maggiormente valorizzare il ruolo
del collegio dei dottori locali. In ogni comune c'era una corporazione che era molto rilevante a
livello politico: la pratica consiliare era un modo per valorizzare appunto "i dottori" presenti in città,
che in questo modo controllavano l'amministrazione della giustizia.
Un'altra ipotesi di spiegazione è che, nel caso di ricorso al consilium sapientis, il giudice non era
tenuto a rispondere di eventuali errori nella consueta sede di sindacato: Il consilium era insomma
anche un mezzo di deresponsabilizzazione dei giudici.
Questa pratica di origine medievale è proseguita fino in età moderna e ha portato due conseguenze
molto importanti: l'aumento di prestigio dei giuristi, con la formazione di un loro mercato e la corsa
ad assicurarsi i più accreditati, ": la penetrazione del diritto dotto e della cultura accademica nella
paratia. Dal 200, infatti, inizia anche la conservazione dei consilia, tra le tante raccolte,
cominciarono presto a circolare, già nel 300, gruppi di consilia dati dal giurista più accreditato del
medioevo, Bartolo da Sasso Ferrato, la cui opinione finì per presumersi sempre corretta
(bartolismo).
Addirittura si giunse a tentativi di fare accogliere certe opinioni facendole passare per opinioni di
Bartolo.
Un'ulteriore divisione dei consilia va fatta tra quelli richiesti nell'ambito di un processo e quelli
extra giudiziari; quest'ultima categoria ebbe una particolare importanza sia tra rapporti tra privati sia
nell'attività degli enti pubblici. Infatti, era molto frequente che i comuni o principi, prima di
intraprendere le loro attività, chiedessero dei consilia pro veritate.
Con il consilium il giurista leggeva i problemi giuridici concreti alla luce del diritto comune
facendo penetrare le dottrine nella giustizia di tutti i giorni poiché il diritto comune era la fonte
primaria che guidava i consilia, ed è perciò che le dottrine universitarie da no furono elemento
primario della vita giuridica.
Da tutto ciò si capisce come il mondo del diritto comune fosse un mondo di opinioni: partendo dal
corpus iuris su questo tema quel giurista sostiene questa o quell'altra soluzione. Non c'è un
legislatore che sciolga i dubbi ma tutto è lasciato all'autogestione dei giuristi. Questa realtà si
prestava ad alimentare la cosiddetta disputa delle arti, ossia la lotta tra le discipline, con la
contestazione del tradizionale primato del diritto. Sarà l'incertezza del sistema uno degli argomenti
principe che gli umanisti utilizzeranno contro i giuristi che anziché cercare la verità, avrebbero
lavorato per il potere e il denaro. Il loro prestigio andò lentamente declinando e nel contempo
aumentò quello degli umanisti.
Il giurista consulente conobbe l'apice del proprio successo nel '400: Segue una riflessione a partire
dal '500: I più grandi giuristi formeranno le loro raccolte di consilia nel periodo dal 1300 al 1500; in
seguito entreranno in scena i grandi tribunali che bloccheranno la fortuna dei consilia entro il XVI
secolo.
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6. Perizie processuali, cosa giudicata e consilia
E' in questo contesto che nasce una singolare opinione di un valente canonista Antonio Da Butrio;
questi aveva sviluppato un'idea in margine ad una decretare accolta nel liber extra: La decretale
proposuisti contiene una direttiva papale data per una causa matrimoniale in cui una donna asseriva
di non avere avuto mai rapporti sessuali, giurando e portando la t4stimonianza di 7 donne che ne
avevano verificato la verginità con una inspectio corporis, contro il marito, che viceversa giurava il
contrario, bloccando il giudice: Il papa diede ragione alla moglie, perché era bene attribuire fides al
detto della donna e delle 7 matrone: questo passo diventerà un topos per sostenere l'idea che
bisogna attribuire fiducia alle perizie tecniche. Infatti, con il processo romano-canonico si ebbe
un'enorme valorizzazione delle testimonianze, recepite dal giudice per iscritto, e una loro
valutazione razionale che spesso bastava ad accertare i fatti ed evitava il ricorso alla tortura. Dal
200 poi, ebbero grande importanza anche le testimonianze qualificate dei periti. Ebbene, in margine
all'ipotesi delle matrone, Guglielmo Durante, aveva osservato che il detto d'esperti era quindi più
valido di una testimonianza normale, e nel corso del 300 era divenuto pacifico che la perizia dei
tecnici fosse superiore della testimonianza non qualificata. Perciò si cominciò a sostenere che se
una causa era stata chiusa con una perizia e poi se ne fosse trovata una più qualificata, il processo
doveva riaprirsi rivedendosi la prima sentenza.
Su questa base Antonio da Butrio fece un ulteriore passo avanti. Come la sentenza basata sulla
perizia, così anche quella emessa su un consilium sapientis andrà rivista se si troverà un consilium
migliore. Viene fuori così la massima: "quella sentenza, proprio perché basata su consilium, non
passa in giudicato".
Ciò che ha consentito ad Antonio un passo così grave inficiando la stabilità di tanti processi, risiede
nell'antica differenza canonistica per il consilium; mentre il diritto canonico avrebbe preferito
giudici unici competenti in toto, a istruire e a decidere, c'era che ormai il mondo del diritto comune
aveva mostrato che non tutti i dottori non erano uguale e che qualcuno era nettamente migliore e
che doveva essere preferito. Del resto Antonio aveva vissuto il dramma dello scisma della chiesa
d'occidente e aveva ben visto come erano stati dati i consilia del tutto contradditori tra loro nel corso
della vicenda. Se per giudicare dell' elezione papale contestata, da cui era nato lo scisma, si
potevano trovare consilia migliori, perché non doveva accadere lo stesso in ogni causa? Per di più la
tradizione canonistica ha un altro punto fermo:che per quanto possibile bisogna guardare più alla
verità dei rapporti che non alla loro stabilità. Per cui, niente cosa giudicata, ma revisione dei
processi quando c'è una questione di periculum animae di peccato.
Non a caso, la questione fu molto discussa, ma fu il tribunale laico a fissare come propria
giurisprudenza a fine '500 che la sentenza basata su consilium sapientis passasse ugualmente in
giudicato e chiudesse definitivamente i processi. Invece i giuristi operanti a Roma rimasero fermi a
sostenere la ritrattabilità della sentenza fedele alle tradizioni del diritto canonico.
7: Lo sviluppo dottrinale dello ius comune: il diritto internazionale privato.
Come si vede il diritto comune è un sistema la cui evoluzione si basò sull'interpretatio doctorum.
Differente è il sistema di common law, che è invece a sviluppo giudiziario ma, per quanto il civil
law ed il common law seguono delle linee di sviluppo tendenzialmente dottrinarie o giudiziali non
fu mai esclusa la rilevanza della legislazione. In questi sistemi giuridici ci fu pur sempre un
legislatore creatore di leggi e statuti, le cui lacune vennero colmate via via attraverso l'attività dei
giudici (nel common law) e dei doctores (nel civil law).
Un esempio di evoluzione dottrinale tipica del diritto civile è data dagli insegnamenti sviluppatisi in
margine alla prima costituzione del codice giustinianeo. Si tratta della celebre legge che impose a
tutti i sudditi dell'impero di vivere secondo il cattolicesimo, seguendo la tradizione di Pietro,
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altrimenti si era eretici e si veniva sottoposti alla vendetta pubblica: Dalla costituzione citata si
ricava quindi che ci sono popoli che non vivono sotto l'imperio delle leggi imperiali. Questo bastò
perché questa costituzione divenisse in seguito all'elaborazione dei giuristi il fondamento della
teoria del diritto internazionale privato. Il processo logico che sottende a tale operazione parte dal
concetto che l'imperatore pone un vincolo ai propri sudditi, per cui non vincola chi non è suo
suddito e che quindi seguirà una legge diversa. E' possibile quindi trovarsi di fronte ad un conflitto
di leggi.
Inoltre i giuristi, in base a quella norma di diritto romano, elaborarono in modo creativo i criteri
ritenuti più opportuni per i vari gruppi di problemi emergenti in particolare seppero distinguere
complessi problematici:
-Capacità di agire e status delle persone. I giuristi sostenevano che si dovesse avere riguardo alla
legge personale dello straniero. Se, cioè, non si era in grado di stipulare un contratto per minorità,
ad esempio nella propria città, non si poteva invocare la diversa normativa vigente in un'altra città
per poterlo fare. Si distingueva comunque nel senso che la legge personale "seguiva "la persona
quando favorevole, mentre ciò non avveniva quando fosse "odiosa", limitandosi solo ad avere
rigore entro lo stato d'origine. Così ad esempio, anche per la capacità a far testamento si guardava
alla legge personale, mentre per i requisiti formali del testamento alla legge del luogo, dove era
stato confezionato in base al principio"il luogo indica la legge applicabile"; lo stesso valeva per
sentenze, atti notarili ecc, che sarebbero dovuto essere riconosciuti ovunque, purché validamente
emessi nel territorio in cui erano stati fatti.
-Contratti in genere e in particolare quelli relativi ai beni mobili. Qui si presentavano vari
problemi. Per la forma, valeva anche qui il principio "il luogo indica la legge applicabile".Per i
diritti nati con riferimento alla conclusione dei contratti, valeva di nuovo la legge del luogo di
conclusione. Invece, se il contratto non era eseguito secondo quanto pattuito, si guardava al diritto
del luogo in cui doveva essere adempiuto, se così avessero voluto le parti, altrimenti alla legge del
giudice adito.
-Beni immobili. In questo caso le regole generali subivano delle eccezioni, trattandosi di un settore
cui anche gli statuti guardavano con particolari cautele, perché valeva in questo caso il principio
della "legge del luogo in cui si trova l'immobile", che ne escludeva la commerciabilità o la limitava
o la sottoponeva a tributi. A questo proposito aveva applicazione la distinzione tra oneri attenenti
agli immobili, e pertanto anche gli stranieri ne erano destinatari, e oneri personali quale ad esempio
la custodia della città che gravava soltanto sul cittadino.
-Successioni intestate. Questo tema richiama quello dell'eredità in caso di mancanza di testamento:
Che legge applicare ove i beni si trovassero in territori sottoposti a diversi regimi politici? La
questione si sviluppò soprattutto con riferimento alla questione inglese, dato che in Inghilterra in
luogo della regola italiana, della divisione tra tutti i figli, si applicava alla primogenitura. Il grande
Bartolo da Sassoferrato, sostenne la necessità di studiare il modo in cui era formulata la legge: se
essa poneva l'accento sul problema del luogo, si doveva applicare la legge del luogo, fosse il
defunto un cittadino o uno straniero; ponendo invece l'accento sulla persona faceva riprendere
l'efficacia alla legge personale. Cosicché se i figli erano inglesi il primogenito ereditava tutto in
Inghilterra, ma i beni situati altrove si dividevano tra tutti; se non erano inglesi, la primogenitura
non si applicava, ovunque fossero i beni. Altri guardavano esclusivamente alla legge di origine del
defunto, ovvero alla legge del luogo dei beni, creandosi terreno fertile per il lavoro di giudici e
avvocati.
-Diritto penale. Regnarono minori incertezze in questo campo perché si ammetteva che si potesse
applicare la legge del luogo del reato: gli stranieri quindi in forza del diritto sono da considerarsi
cittadini, anche se con la limitazione che quando il reato tale non fosse in base al diritto comune
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essi dovevano scusarsi per la loro ignoranza. Inoltre potevano essere puniti anche per il reato
commesso contro il civis fuori della civitas, quando non fosse stato punito dal suo giudice, così
com' è punito il civis che delinque fuori dal suo territorio ove così voglia il legislatore. Se queste
regole erano normalmente pacifiche tra i civilisti, va però tenuto conto che i canonisti furono ad
esse contrari, perché, con riferimento alle costituzioni episcopali, dovevano tener conto della
decretale di Bonifacio VIII che ne limitava la vigenza alla diocesi per cui erano state emesse.
-Norme processuali. Non vertevano controversie teoriche, sostenendosi un sicuro orientamento già
dal 200 per l'applicazione delle norme del luogo in cui il processo si svolgeva.
Come si vede si tratta di una serie di criteri empirici, elaborati in base alla natura dei singoli
rapporti, fondandosi più sul buon senso che non su precise norme di legge. Il merito di questi
giuristi è stato di aver effettuato valutazioni oggettive a favore dell'interesse pubblico e della
certezza dei rapporti: perciò alcuni dei criteri indicati hanno avuto una fortuna che va bene al di là
del diritto romano, essendo ancora oggi vigenti; perciò questi nostri giuristi vengono indicati come i
fondatori del diritto internazionale privato.
Ciò che essi non potevano fare è che oggi si realizza mediante la recezione dei trattati era di dare
sicura applicazione pratica ai criteri elaborati. Questi, per quanto avessero una carica normativa
tanto più forte quanto più credibile apparissero gli argomenti avanzati dai loro sostenitori, si
presentavano essenzialmente come proposte di soluzione, e si esponevano a contestazioni già
all'interno stesso della corporazione dei giuristi: mancavano cioè di carattere legislativo.
8. Le funzioni del diritto comune romano-canonico.
1) valore sussidiario; nei casi non specificatamente previsti dalla legislazione propria locale, questa
stessa di solito prevedeva che si applicasse lo ius commune.
2) modello di riferimento; indispensabile con un enorme deposito di concetti e soluzioni giuridiche
da cui attingere per creare il diritto locale.
3) funzione formativa; su di esso si formarono in modo uniforme tutti i giuristi d'Europa.
4) Fornì le categorie per la lettura stessa dei diritti locali, che furono intesi attraverso le lenti del
diritto comune.
5) Per la sua complessità interna ammonì permanentemente sulla pluralità delle fonti normative
operanti in concreto e sui loro difficili rapporti dialettici: Insegnò quindi che ora prevale una fonte
ora l'altra a secondo delle circostanze storiche.
6) Fornì problemi e soluzioni non solo sul piano giuridico ma anche sul piano politico.
7) Consentì di dare omogeneità alle norme di varie origini e, in particolare, di inserire nel sistema
giuridico un diritto d'origine consuetudinaria che si era sviluppato parallelamente al diritto comune
come un diritto speciale di categoria: il diritto commerciale.
9. La nascita del diritto commerciale.
Il diritto commerciale è un settore con poco spazio nel diritto romano. Ebbe origine dalla
pratica mercantile come insieme di consuetudini tese a regolare i rapporti che si venivano
instaurando tra commercianti in relazione allo sviluppo dei traffici via mare e via terra, in
particolare, in occasione delle grandi fiere.
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Era dunque un diritto diverso da quello romano. Veniva applicato in speciali tribunali; quelli
di diritto marittimo si chiamavano in genere consolati. Consolato del mare si chiamerà, infatti, la
raccolta di consuetudini marittime redatta a Barcellona a fin 400: Si chiamavano mercanzie i
tribunali che applicavano il diritto mercantile in generale e non solo e specificamente il diritto
marittimo.
Mercanti erano tutti coloro che avevano a che fare con le merci. Inoltre accadeva spesso che
l'imprenditore comprasse la materia prima e che poi ne commissionasse la lavorazione a domicilio.
Questo rappresentava uno dei modi, più diffusi, di produzione decentrata e a basso costo. I prodotti
finiti venivano acquistati a prezzi minimi e poi venduti a costi maggiorati. Le relazioni che si
venivano a creare nella pratica non erano regolare dal diritto ufficiale, statale, ma erano lasciate alla
categoria di imprenditori, organizzati in corporazioni ("arti").
Lo ius mercatorum era dunque un diritto professionale su cui gli interventi statali erano
ridotti al minimo, anche se non inesistenti qualora si trattasse di comuni con forti vocazioni
mercantili. Le normative erano diversificate anche all'interno dello stesso territorio e non solo da
luogo a luogo, cambiavano a seconda dei soggetti sui quali intervenivano e creavano dei tribunali
speciali.
Le corporazioni avevano un loro foro privilegiato, così come il clero e i nobili. Avevano
propri sistemi autonomi di giustizia, proprie leggi, propri statuti a cui erano vincolati tutti gli iscritti
e i lavoratori degli iscritti. Le corporazioni regolavano il mercato del lavoro e delle merci,
disciplinavano i rapporti tra gli artigiani, tra i maestri e i loro apprendisti, ecc, e stabilivano la
qualità dei prodotti. Da questa dipendeva il prestigio della corporazione.
L'autonomia di cui godevano le corporazioni non era però assol7uta. Lo stato cercò di
esercitare sempre più frequentemente delle forme di controllo, e cominciò, quindi, ad autorizzare e
a disciplinare l'istituzione delle mercanzie, e in particolare dei tribunali mercantili.
La corte della mercanzia oltre che essere il tribunale della corporazione, fungeva in molte
città da centro di raccordo fra le varie arti: di fronte ad essa venivano trattate le cause più
importanti, mentre si lasciava alle singole corporazioni la soluzione dei casi minori.
Le mercanzie assunsero ben presto la rappresentanza del mondo produttivo di fronte al
potere pubblico. Oltre che centri giudiziari e politico-economici, le mercanzie erano anche centri di
servizio. Si trovavano presso la loro sede le bilance ufficiali, ed al loro interno si controllava la
validità delle monete e, dove le mercanzie assunsero particolare peso politico, fu loro attribuito il
compito di battere moneta, divenendo così zecche ufficiali.
A seguito del forte potere delle corporazioni, i mercanti s‟inserirono nelle organizzazioni
statali, per cui non ci fu la necessità di creare un' istituzione a se che disciplinasse i rapporti
commerciali o che intrattenesse relazioni con il potere politico. Tra i tanti istituti tipici del diritto
commerciale si ricorda quello dell'assicurazione, nata come consuetudine del diritto marittimo per
l'esigenza di assicurare i carichi e le navi. Il portoghese Pedro de Santarém elaborò nel suo trattato,
sulle assicurazioni e promesse dei mercanti, una prima riflessione dottrinale sulle questioni
giuridiche cui i contratti di assicurazione davano luogo utilizzando gli schemi del diritto dotto. Il
che era necessario perché gli istituti del diritto commerciale non avevano radici romanistiche.
Tipico ad esempio è l'istituto della cambiale o, meglio, della lettera di cambio che venne
utilizzata tra l'altro per eludere il divieto canonistico delle usure. Di origine medioevale essa iniziò
ad essere oggetto di scambio con la "girata", inaugurando quel fenomeno fondamentale indicato
come "mobilitazione del credito".
Altro istituto diffuso era quello della rappresaglia, che aveva luogo quando un cittadino
rimaneva all'estero vittima di azioni illecite e non riusciva ad ottenere giustizia localmente. Lo stato
di sua appartenenza allora poteva promuovere rappresaglie di un certo importo contro gli
appartenenti a paesi in cui tali azioni si erano verificate, fino all'ammontare del danno ricevuto. Il
tutto a tutela di tutti quei cittadini che erano costretti ad operare in terre straniere e di tutti coloro
che spesso avevano contatti con l'estero.
Tra tutti gli istituti tipici di derivazione mercantile, vi era la disciplina speciale del concorso
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di creditori in caso d'insolvenza: ossia la disciplina fallimentare, che alterava l'ordine naturale dei
creditori su patrimonio del mercante "decotto".
Infine si ricorda la commenda da cui derivano le moderne società in accomandita. In essa
c'era un socio che conferiva il capitale e un socio che invece si occupava di far fruttare il capitale,
per poi dividerlo in utili al termine dell'impresa, che di solito andava di volta in volta rinegoziato.
Vanno poi menzionate quelle società che oggi si chiamano società in nome collettivo, quelle
in cui tutti i soci erano capitalisti ed erano responsabili illimitatamente e in solido anche per le
azioni compiute dagli altri soci. Tali società, dette compagnie, garantivano quindi in modo
particolare il creditore.
Nel complesso lo ius mercatorum divergeva dallo ius comune perché rispondeva a esigenze
e realtà diverse4. Il mondo del commercio doveva essere dinamico semplice e pratico. Spesso non
occorreva l'atto notarile e presso le mercanzie c'erano degli addetti che registravano informalmente
il contratto scritto in volgare.
Il diritto comune era attento ad assicurare sopratutto la stabilità dei rapporti, per cui per esso
l'istituto fondamentale era senz'altro la proprietà con i suoi corollari, i modi di trasmissione, di
estinzione e di costituzione della stessa.
Il bisogno di far circolare le merci nel mondo commerciale invece portò ad esempio alla
tutela dell'acquirente anche "a non domino", cioè a colui che acquistava da chi non era proprietario
del bene venduto.
10. Diritto dei dottori e incertezza del diritto.
Il diritto comune essendo frutto che nasce dalla dottrina è una creazione normativa
frammentaria e contraddittoria, col risultato ovvio di un incredibile incertezza del diritto.
Quattro sono stati gli espedienti principali tentati per dare una risoluzione a questo problema.
1) Criterio della communis opinio. Consiste nel seguire l'opinione comune tra i dottori.
Esiste in merito tutta una trattativa elaborata nel 4-500 che spiega come trovare la communis opinio
mettendo al sicuro l'opinione prescelta. Non veniva seguito in genere un criterio meramente
numerico, ma si seguiva l'opinione qualitativamente superiore che molto spesso coincideva con
l'opinio Bartoli.
2) Criterio della legge delle citazioni. Legge romana del 426 d.C. dava valore legislativo e
pertanto vincolante, alle opere di determinati giuristi. Questa legge era stata concepita in un
momento di confusione della tradizione manoscritta delle opere dottrinali. Lo stesso principio venne
tentato nel basso medio evo e nell'età moderna in vari stati europei.
In Spagna fu approvata nel 1427 una legge che vietava al ricorso di dottori successivi a Bartolo e
a Giovanni d‟Andrea. In questo stesso periodo è raro avere simili leggi in Italia perché da noi, terra
di Università dalle grandi tradizioni, il potere e il prestigio dei giuristi erano fortissimi ancora nel
500, per cui una legge delle citazioni che imbalsamasse le opinioni del passato non aveva la
possibilità di passare.
3) Ricorso alla riserva per il legislatore. Il potere politico si può riservare la possib9ilità di
interpretare la legge in caso di dubbi interpretativi. Questo criterio fu utilizzato tra l'altro nella
Spagna di Ferdinando e Isabel, M non ebbe successo perché portò a un' accumulazione di cause
pendenti e sembrò poco rispettoso della dignità del giudice. Perciò si tornò di fatto alla situazione
precedente, con il tradizionale divieto (in Spagna) di usare il diritto comune. Non a caso la Spagna è
appunto un paese in cui ci fu un grande sviluppo della dottrina politica nel 500 con la grande scuola
della seconda scolastica.
Questo criterio non ebbe successo neanche nella Francia della rivoluzione francese. Ci si
rese conto che tardava la soluzione dei dubbi che si presentavano in giudizio e non era quello il
13
tempo di dilazioni processuali. Proprio per questo si dovette istituire la corte di cassazione, poi
imitata in altri ordinamenti continentali. La corte di cassazione quindi garantisce il rispetto della
legge da parte degli altri giudici.
4) Dare valore di precedente vincolante alla giurisprudenza. Questo è un rimedio
possibile, ma in realtà da noi non si è mai affermato il principio dello stare decisis, ossia
dell'obbligo di seguire i precedenti giudiziari. Si tratta della soluzione adottata nei paesi di common
law, in particolare in Gran Bretagna con i judicature acts di epoca vittoriana nel II ottocento, e come
si pratica ad esempio rigorosamente in Sud Africa.
11. Il problema della rappresentanza: assemblee parlamentari e assemblee cittadine.
Le opinioni dei professori svilupparono a f0ondo le categorie giuridiche fondamentali e il
diritto privato: Per il diritto pubblico anche certe loro idee furono importanti, ma gli stimoli
provenienti dalla classe politica del tempo furono anche molto rilevanti:
Ad esempio, per il tema fondamentale della partecipazione alle deliberazioni politiche, al
governo della cosa pubblica, anche quando governata dagli imperatori; delle specie di parlamenti,
non come le intendiamo e le pratichiamo oggi, ma come istituti di consultazione ed elaborazione
politica da parte dei sovrani con i saggi o maggiorenti dello stato: Nei regni medioevali era normale
per i sovrani riunirsi con i capi militari e religiosi più fedeli e vicini prima di prendere decisioni
importanti: era la Curia Regis; sono le cosiddette assemblee parlamentari. Come possiamo
considerare anche le ben diversamente affollate assemblee nelle città alle origini dei comuni.
Assemblee convocate eccezionalmente nel corso dell‟anno per eleggere i consoli o per proclamare
fatti importanti come la guerra, e fondate sulla partecipazione, per adesione corale del popolo. Il
dissenso, come nelle assemblee feudali si esprimeva non partecipando o organizzando tumulti di
disturbo. Siamo nella fase cosiddetta incoativa delle istituzioni rappresentative, che operano ancora
senza regole fisse.
I comuni italiani cominciarono a darsi delle regole nei “brevi” dei consoli e poi negli statuti
da fine 1100 in avanti, anche se le regole maggioritarie del rispetto di quanto deciso dalla
maggioranza, ebbero difficoltà ad essere accolte e spesso le minoranze furono escluse per motivi
politici.
11.1 Lo sviluppo parlamentare inglese.
All‟origine di queste assemblee in Inghilterra ci furono convocazioni di rappresentanze dei
ceti sociali e del territorio perché il re aveva bisogno di tasse. Era il tempo di Re Giovanni senza
terra, il quale convocò dei parlamenti, che per distinguersi l‟uno dall‟altro, e ricordare le decisioni
che vi venivano assunte, prendevano il nome del luogo in cui si riunivano.
Essi non erano organi stabili perché si costituivano e scioglievano per la singola occasione.
Si ebbero così, nel 1213, due parlamenti, uno a St. Albans e l‟altro a Oxford. A conclusione di varie
diatribe si giunse alla firma della Magna Carta (15 giugno 1215), fondamento del costituzionalismo
inglese; Tale documento era solo un contratto politico-giuridico fra il sovrano e i suoi sudditi. Solo
che la sua permanenza nel tempo ne ha fatto un simbolo del Common Law, per cui ancora oggi lo si
può citare nelle corti anglo-americane per certi principi giuridici
Naturalmente la carta fu presentata come una promessa fatta dal Re, cioè apparve come un
atto unilaterale, strappato in un momento di debolezza del sovrano e promulgato su consiglio dei
“pari”.
Il Re si obbligò a una serie di concessioni. Gli articoli 12 e 14 del testo riguardavano le
regole fondamentali per le assemblee, soprattutto per la loro convocazione e i tributi da applicare
nel quale si specificava che “nessun tributo vassallatico o conferimento sarà imposto nel nostro
Regno, se non per comune consenso del nostro Regno (…), inoltre si stabilirà il giorno delle
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convocazioni e il motivo di questi, di modo che la gente avrà il tempo di prepararsi a discutere il
problema”.
Importante fu anche la vincolatività per gli assenti per quanto deciso. Il nuovo principio si
poneva come elemento di garanzia per i membri dell‟assemblea.
Il principio maggioritario era previsto all‟art 61 per il collegio dei nobili che doveva
garantire l‟osservanza della Carta che dava addirittura un diritto di resistenza se il sovrano avesse
violato gli impegni contratti.
Tutto ciò dette vita a quello che per noi è un vero rapporto giuridico tra sovrano e sudditi. Il
contrasto tra il Re e i maggiori baroni ebbe poi un ulteriore rilievo, perché aprì spazi politici anche
per i piccoli feudatari e uomini liberi che non erano né nobili né ecclesiastici (commoners). Questi
dalla fine del '200 divennero infatti parte del parlamento costituito dai rappresentanti delle
comunità.
Dopo vari rivolgimenti nel 1295 si giunse al parlamento modello, considerato termine di
riferimento per la prassi successiva, perché in esso si stabilizzarono i criteri di rappresentanza di
cavalieri, città e clero (nobili clero e commoners). Nel corso del '300 però i cittadini si riunirono a
parte, mentre i grandi ecclesiastici si unirono ai nobili: si formarono così le due assemblee
tradizionali tuttora esistenti dei Lords e dei comuni (uomini liberi delle città).
Con la guerra dei 100 anni durata fino a metà 400, il sovrano ebbe bisogno di continue e
nuove tasse rispetto a quelle fissate dalla tradizione, e il parlamento consolidò la sua competenza
essenziale in tema di fisco e di questioni giudiziarie maggiori.
Notevole che allora la funzione legislativa si presentasse come un aspetto della funzione
giudiziaria. L‟alta corte del parlamento dava il suo parere al Re sulle questioni che egli poneva. Il
Parlamento quindi era anche corte giudiziaria, col risultato che pretenderà nel „700 di godere delle
prerogative che i giudici nel frattempo avevano conseguito.
Intanto , a fine „300 si affermò il principio che le leggi d' iniziativa regia dovevano avere il
consenso di entrambi i rami del parlamento, e allo stesso modo avvenne per le petizioni (richieste
articolare in singoli articoli) approvate dalle camere; queste, sanzionate dal Re, diventavano leggi.
Le due camere ottennero il diritto al controllo dell‟amministrazione regia e addirittura quello di
promuovere i processi penali contro i ministri del Re (impeachment).
Sempre a fine „300 il Parlamento dichiarò di “rappresentare tutto il popolo del reame) e di
avere pertanto anche il diritto di deporre il sovrano (Riccardo II che operava in modo tirannico fu
costretto ad abdicare).
Con la fine della dinastia dei plantageneti prese il potere quella dei Lancaster, e poi nel 1485
Enrico Tudor imparentato con i Lancaster salì al trono vincendo il nemico. Egli convocò il
Parlamento che lo riconobbe Re: atto che suggellò la successione.
11.2 Il caso francese.
L‟unificazione politica francese è avvenuta attraverso un processo di annessioni successive
ad un nucleo territoriale iniziale che nel 1100 aveva come centro l‟area di Parigi. Ciò che
contraddistinse tale procedimento fu il fatto che i territori che venivano man mano inglobati
mantenevano la loro identità regionale, i propri usi e consuetudini e a volte il loro apparato politico-
amministrativo. Conservavano così tra l‟altro i cosiddetti “stati provinciali” ovvero assemblee
costituite dai rappresentanti dei vari ceti.
Dalla prima metà del Trecento cominciarono a riunirsi anche quelli che furono chiamati gli
“stati generali”, una sorta di organo parlamentare, costituito dai rappresentanti dei ceti di tutto il
territorio francese. Questi portavano al Re le istanze del ceto che rappresentavano operando quindi
vincolati da un mandato. Accadeva spesso che il Re acconsentisse alle loro richieste, ma solo in
vista e in cambio di nuovi oneri fiscali.
Si sviluppò così una concezione pattizzia del diritto e del potere impositivo fiscale, come
risultato dell‟accordo tra il popolo ed il Re che si consolidò soprattutto durante la guerra dei 100
15
anni per la necessità di continui finanziamenti che consentissero il proseguimento del conflitto.
11.3 I parlamenti e consigli delle città italiane.
Il principio su cui si basava la pratica parlamentare medievale si ritenne ispirato alla
massima “ciò che riguarda tutti deve essere approvato da tutti" si riteneva che con l‟approvazione
degli stati si avesse quella popolare. Pratica questa diffusa in tutta Europa monarchica. Si trattava di
una massima contenuta in un passo del corpus iuris, ma riferito ad un contesto ben diverso. La
massima cioè nacque in un contesto privatistico ma, fu dai dottori medievali estrapolata dal contesto
ed applicata anche ad ipotesi ben diverse, come questa del diritto pubblico.
Comunque la pratica parlamentare degli stati sociali divisi chiamati separatamente ad
approvare le imposte restò invece estranea al mondo comunale, nel qual fu preponderante il
modello del civis. Il singolo cioè partecipava alla vita politica non come esponente di un ceto
sociale, ma come cittadino.
Essendo assente il sistema delle rappresentanze di ceto, nell‟Italia comunale, si applicò il
principio maggioritario che vincolava la minoranza non assenziente.
Le assemblee cittadine comunali non votavano, ripartite in sezioni di ceto, ma unitariamente,
ed elaborarono le prime pratiche parlamentari di tipo moderno. Semmai erano esclusi alcuni ceti
sociali come gli ecclesiastici e non possidenti, ma non si assisteva ad una votazione separata. Il fatto
è importante perché ha creato l‟idea di un ente stato unitario impersonale con piena potestà sul
territorio.
16
Capitolo II
Il particolarismo giuridico - politico
Dal medioevo all’età moderna:
Il pensiero degli umanisti
1.Le forme del particolarismo politico.
Il particolarismo politico si può intendere in due diversi modi:
1) La diversificazione normativa, che si aveva durante l‟antico regime a seconda dello status
delle persone, era basata sulla categoria sociale di appartenenza.
2) In ragione dei territori, consistente nella varietà di normative in relazione alle diverse
realtà locali.
Soprattutto i centri che ebbero una certa importanza riuscirono a strappare al potere centrale
determinati riconoscimenti e privilegi come quello di avere un proprio tribunale.
Negli antichi stati c‟era una netta differenziazione dei comuni: quelli rurali contavano poco
o nulla politicamente, mentre i comuni urbani conservarono una loro posizione specifica all‟interno
dello stato anche se non più indipendenti: pensiamo a Bologna, Perugia, Siena, Firenze, etc.
C‟erano poi zone non soggette al governo diretto dello stato; i feudi, i quali complicarono il
sistema delle fonti del diritto, inserendo la normativa del signore feudale accanto e tra le altre, per
cui si aveva una stratificazione così composta nell‟età pre-codificatoria:
normativa del principe, quando estensibile ai feudi (non sempre);
normativa del signore feudale;
normativa del comune locale (statuto e sue riforme)
consuetudini (locali e territoriali);
diritto comune
Questo perché la costituzione di un feudo non eliminava l‟organizzazione comunale locale
preesistente.
Per noi è difficile capire il particolarismo politico, perché sia il nostro egualitarismo sia la
nostra tradizione giuridica codicistica e amministrativa di epoca napoleonica, hanno introdotto una
normativa generale uguale per tutti, tale da far ritenere irrazionale le diversità previgenti.
2. Il particolarismo istituzionale nella penisola italiana.
Quando in Francia già si parlava di stato nazionale nel „500, l‟Italia si affacciava alla nuova
epoca con una situazione politica assai più frammentaria, dominata da forze o straniere o locali
fortemente centrifughe e radicate nel loro particolarismo. Numerosi organismi politici in difficile
equilibrio tra loro, rendevano impensabile allora un‟evoluzione verso un accentramento politico e
istituzionale. Le varie repubbliche come quella di Venezia, Genova e Lucca insieme ai principati
rendevano stazionaria la forte articolazione territoriale esistente, che insieme all‟esistenza dello
Stato pontificio impedì un movimento culturale e politico per la formazione di uno stato nazionale e
in tale situazione la penisola rimase per tutta l‟età moderna, facile preda delle potenze straniere.
Dopo il contrasto tra spagnoli e francesi sfociato nelle guerre d‟Italia si consolidò fino al primo „700
la presenza della Spagna su larga parte del territorio italiano. Grazie ad una concessione fatta a
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Cosimo I dei Medici da parte di Filippo II lo stato di Siena divenne feudo in capo ai duchi di
Firenze. Questi mantennero i due ordinamenti (Siena e Firenze) separati; l‟unificazione dei territori
fu per questo personale e non reale. Il dominio della dinastia medicea su entrambi fu pertanto a
titolo diverso: a Firenze Cosimo dei Medici fu in origine duca di una repubblica che gli si era
concessa, data; a Siena, invece, era feudatario della corona spagnola. Come ogni vassallo doveva
qui rispettare le regole a lui imposte nel cosiddetto diploma d‟investitura.
Il territorio dunque si trovava assoggettato alle diverse autorità gerarchicamente ordinate tra
loro, legate da rapporti di potere più o meno vincolanti:
imperatore: che concede il vicariato imperiale al Re Filippo II;
Re di Spagna: che concede ai medici in feudo Siena e il suo territorio per liberarsi di un
debito, mentre avrebbe potuto tenerlo per se e governarlo con un proprio rappresentante
locale. Essendo stata scelta la prima opzione Cosimo dei Medici ebbe come interlocutore nel
feudo il sopravvissuto comune di Siena e i vari comuni dello stato senese, amministrati pur
sempre da “terrazzani” locali, per i quali si aprivano due possibilità diverse: o vivere sotto il
controllo del comune di Siena, oppure sotto controllo d‟un feudatario granducale.
Il feudo mediceo della stessa Siena si trovava quindi scisso al suo interno in varie realtà
giuridiche. Solo il cittadino abitante dentro le mura godeva della piena capacità politica, mentre
le comunità limitrofe avevano un proprio statuto risalente al medio evo.
Più semplice era la struttura della dominazione medicea a Firenze, in quanto mancava la
concessione feudale, ma anche lì rimanevano come entità autonome le città già inglobate nella
ex repubblica di Firenze e si ripetevano le situazioni esemplificate per Siena.
Analoga era la struttura della gerarchia politico-istituzionale nel regno di Napoli:
Papa autorità che istituisce il Regno di Sicilia attraverso un‟apposita concessione feudale a
Ruggero II il Normanno nel 1130;
Re; vassallo del papa ma sedicente sovrano del regno, e che cerca una pienezza di potere già
dal XIII secolo, come i Re di Francia, con la formula “il re nel suo regno è parificabile
all‟imperatore, ossia non ha superiori”.
A questo punto nel territorio si hanno due possibilità di governo:
Di feudatari, di nuovo talora dipendenti da autorità diverse dal Re, o quelli dipendenti dal Re
con i relativi comuni inglobati;
Città demaniali, ossia direttamente dipendenti dalla corona, con privilegi più o meno ampi e
in ogni caso l‟uno privilegiato in modo diverso dall‟altro.
Situazioni analoghe esistevano nello Stato Pontificio, anch‟esso costituito da una miriade di
entità territoriali più o meno estese e legate al sovrano pontefice da rapporti diversi, definiti
in genere al momento dell‟inglobamento nello stato e poi modificati in momenti favorevoli
all‟una o all‟altra parte.
3. Feudi e Comuni.
Le concessioni feudali non sopprimevano le autonomie normative locali, perché:
1. Garantite talora espressamente nei cosiddetti capitoli, ossia gli atti con i quali il
vassallo si obbligava a rispettare la situazione giuridica già esistente, oppure
2. Acquisite ab immemorabili, cioè molto anticamente.
Così all‟interno del feudo sopravvissero i comuni
Molti furono però, specie nel Regno di Sicilia i Comuni non infeudati. Quando non
infeudate le città si dicevano demaniali, perché dipendenti dal fisco, e ricevevano dalla corona i
propri funzionari per l‟amministrazione della giustizia; salvo che avessero il privilegio di
scegliersele da sole.
L‟autonomia di queste città era senza dubbio superiore rispetto a quella dei comuni feudali:
avevano la possibilità di essere rappresentate nei parlamenti dove la borghesia cittadina poté far
sentire la sua voce.
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Al contrario, le città assoggettate ai feudatari non avevano il diritto di inviarvi propri
rappresentanti, in quanto l‟unico delegato del territorio era il signore feudale.
Nei parlamenti dunque già dal 2 „300 e fino al „700, tre forze dominarono talora
contrapponendosi: la corona, i feudatari, la borghesia e la nobiltà delle città demaniali.
Successivamente, la rappresentanza delle città non infeudate costituirà la base del potere
regio contro le forze dissolvitrici e centrifughe rappresentate dai feudatari.
Ciò perché in tempi e modi diversi da ordinamento a ordinamento il feudo divenne oggetto
di compravendita per la necessità regia di avere denaro dagli acquirenti. Si creò così un mercato
delle terre in concessione che offriva ai risparmiatori la possibilità di investire capitali e al
contempo di compiere un salto nella gerarchia sociale.
La commercializzazione dei feudi si ripercosse negativamente sul loro assetto
amministrativo. Questo perché i nuovi nobili (già mercanti arricchiti) erano disinteressati alle terre
acquistate e le affidavano nelle mani di propri vicari che risultavano essere lucrosi poiché
coltivavano rapporti clientelari con emergenti del territorio o trescavano con i funzionari pubblici,
impedendo il buon funzionamento della cosa pubblica.
I diritti di questa nuova classe nobiliare sopravvivranno fino alla fine del „700. La loro
definitiva scomparsa con la rivoluzione francese e la dominazione napoleonica determinerà la fine
dell‟Ancien Regime, in Francia già nel 1789 in Italia durante la dominazione francese.
Va tenuto presente che l0autonomia statutaria dei comuni, ancora durante l‟ancien regime,
era assai diversa da quella odierna. Essa comprendeva allora la possibilità di regolamentare ogni
materia d' interesse locale con norme proprie, perché essa incontrava un limite solo nel rispetto
degli interessi della città dominante o del re o del signore feudale.
Le manifestazioni dell‟assoggettamento si avevano al momento 1) del controllo delle norme
statutarie, 2) nel controllo delle spese degli enti locali, in modo che non si indebitassero
eccessivamente, Ma per il resto valeva la sussidiarietà: si lasciava fare a livello locale tutto quello
che era possibile, non per rispetto della sua autonomia, ma perché sarebbe stato troppo costoso in
termini politici e finanziari fare diversamente in tempo di stati leggeri, privi com‟erano di ossatura
burocratica.
Dal punto di vista fiscale si aveva quello che oggi qualificheremmo federalismo fiscale, i
tributi venivano riscossi e usati dalle autorità locali in quanto doveva curare la maggior parte delle
spese.
Molti comuni assoggettati ad autorità esterne specie se rurali, vennero pian piano decadendo
perché abbandonate a se stesse e private delle terre comuni. Maggior vivacità si ebbe solo laddove i
proprietari delle terre risiedevano nelle terre stesse e, quindi, interessati al benessere e alla ricchezza
dei propri possedimenti. Il particolarismo estremo faceva si che all‟interno dello stesso ordinamento
coesistessero realtà molto diverse tra loro
4. Il particolarismo e la crisi del diritto comune: le novità umanistiche.
La situazione delle fonti e delle istituzioni pubbliche di cui sopra discorso durò per larga
parte dell‟ancien regime in Italia. Gli sforzi che dagli inizi del „400 alcuni ambienti culturali italiani
fecero per il rinnovamento della giurisprudenza tradizionale non riuscirono.
Gli scritti umanistici criticavano fortemente il dominio delle opiniones nella dottrina e le
distorte interpretazioni che i dottori erano costretti a cercare fra le righe dei testi romani per adattarli
alle esigenze del diritto vivo.
La giurisprudenza umanistica rappresentò tuttavia in Italia un momento di reazione al
monopolio del diritto da parte dei giuristi e non fu certo un caso che le critiche al vecchio metodo
venissero soprattutto dai letterati estranei al mondo forense.
Altro aspetto e la riflessione sulla centralità dello stato. Gli umanisti iniziarono ad affermare
la necessità che il potere politico dovesse liberarsi dai gravami medievali, inaugurando un diverso
modo di concepire il potere sovrano. Questo perché il ceto degli umanisti era in ascesa e divenuto
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consigliere del potere politico, rivendica per sé un ruolo centrale in qualità di consulente del
governo repubblicano del principe.
Per meglio comprendere la varietà di motivi che sottendono gli scritti umanistici, è
opportuno vedere da vicino alcune osservazioni di Poggio Bracciolini, che ci riportano anche al
problema del particolarismo giuridico. Egli scrive in un passo della sua Secunda Convivialis
Disceptatio “fai che la repubblica fiorentina abbia un governo più ampio, raccolga le sue private
leggi come hanno fatto i romani, le ordini volumi e abroghi tutte le altre, legiferi soltanto con le sue
e i suoi sudditi siano tenuti a seguirle…”.
In questo passo, il Bracciolini invitava dunque a prescindere dal diritto comune e a creare un
diritto toscano, proprio della repubblica di Firenze. Egli, infatti, sostiene che, nel caso in cui si
consolidi il dominio fiorentino, la repubblica potesse fare ciò che fecero i romani: ordinare in un
corpus le proprie, abrogando tutte le altre.
Auspicando la codificazione territoriale l‟umanista non rende merito ai “costruttori” e ai
“gestori” del sistema dello ius commune. Egli è fortemente critico nei confronti dell‟operato di
questi ultimi perché il diritto comune risulta come un agglomerato di opinioni confuso e pasticciato;
l‟unica soluzione al caos della giurisprudenza è per lui la codificazione locale.
5. Le pandette fiorentine e Lorenzo Valla.
Le pandette fiorentine, il manifesto più antico del Digesto, portato a Firenze Da Pisa dopo la
sanguinosa presa della città all‟inizio del 400, erano collocate in una teca nella chiesa
Orsanmichele, ove erano conservate come una reliquia quasi divina, simbolo di un potere legittimo
e universale.
Firenze onorando il Digesto di Giustiniano si sente come un‟altra Roma, centro di
conservazione e di ritrovamento del più grande potere mai esistito.
Quest‟opera potrebbe avere anche il significato di un atto politico: la contestazione del
potere fiorentino, contestando quel simbolo (il Digesto) dai fiorentini tenuto così importante. Allo
stesso modo si contesta il potere del Papa con lo scritto del Valla sulla donazione di Costantino,
perché il Regnum Siciliae aveva tutto l‟interesse a svincolarsi dalla sudditanza formale al pontefice.
6. Diritto comune, diritto locale e il problema della cittadinanza.
Ritornando al passo di Poggio Bracciolini, possiamo chiederci perché l‟auspicio
dell‟umanista non trovò realizzazione. Il motivo è da ricercare nell‟esclusivo potere di Firenze
rispetto ai territori da essa dominati. Come per Caracalla, quando nel '212 aveva concesso alla
cittadinanza a tutti gli abitanti dell‟impero, così l‟auspicio del Bracciolini presupponeva che gli
abitanti della repubblica fiorentina divenissero cives fiorenti.
Il particolarismo territoriale era di ostacolo alla realizzazione di tutto ciò e portava a ritenere
le terre fuori Firenze come una sorta di colonia della città stessa. Nessun altro comune era parificato
ad essa. Un esempio classico di questa disparità politica è da ravvisare nella provenienza fiorentina
di tutti gli amministratori inviati nelle varie località della repubblica: le cariche pubbliche
spettavano solo ai cives fiorentini e solo essi potevano acquistare beni immobili ovunque senza
condizione di reciprocità. Parificare i vari comuni avrebbe significato la perdita del privilegio dello
status di cittadino della città dominante, che comportava, fra l‟altro, la possibilità di comprare
liberamente nei comuni assoggettati.
La cittadinanza di un abitante della repubblica non fiorentino era concessa in via del tutto
eccezionale, allo scopo spesso di ingraziarsi certe famiglie influenti in loco o di compensare un
intellettuale al servizio della repubblica.
Ogni comune dunque continuò a regolarsi con propri statuti, in antitesi agli auspici di
Poggio Bracciolini, e Firenze mantenne la propria supremazia privilegiata senza creare un' unità
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politico-giudiziaria regionale impedendo il formarsi di quella politica unitaria che avrebbe
consentito a fine „400 di resistere all‟invasione straniera.
In questo contesto si capisce bene come gli statuti della città dominante svolgessero dal „400
una funzione sussidiaria nei confronti del diritto dei comuni assoggettati. Il particolarismo giuridico
trova dunque una spiegazione nel particolarismo politico, essendo gli statuti simbolo di autonomia e
d' identità istituzionale.
Paradossalmente è soprattutto negli stati di origine repubblicana che il fenomeno del
particolarismo rimase accentuato, mentre negli stati principeschi si fece meno complesso. Questo
perché il principe aveva interesse a disciplinare in m0do più uniforme il territorio anche se
anch‟egli dovette concedere alla nobiltà dei privilegi sul tipo di quelli repubblicani. Ma la corte, che
in ogni caso si costituisce in un ordinamento principesco, finisce per operare come un centro di
raccordo con le varie unità emergenti del territorio, dando così ad esso maggiore rappresentanza che
non le dure repubbliche.
Per lunghi secoli la principale differenza delle città stati di origine cittadina e quelle degli
stati principeschi è costituita da tale connotazione. Nel „500 la Milano spagnola e la Torino sabauda
sono assai più simili istituzionalmente e politicamente e Napoli che non a Venezia o a Genova.
Il grande dilemma della scelta tra conservazione e innovazione fu una delle caratteristiche di
fondo del periodo rinascimentale. Molte certezze stavano crollando e non era chiaro in quale
direzione occorresse muoversi per far fronte all' incipiente crisi del mondo medievale. Ciò emerge
in una disputa che vide coinvolto uno dei più noti giuristi del tempo, Giason Delmaino.
7. Da Giason Delmaino al Diplovatazio: problemi della transizione.
Egli fu autore di uno scritto in polemica contro il tentativo di rinnovamento dei libri
Feudorum fatto a Pavia da Bartolomeo Barattieri, che nel primo „400 aveva inviato all‟imperatore
un nuovo testo filologicamente rivisto della importante compilazione del diritto feudale. Giason
Delmaino, esaminando la questione, dice in sostanza: “io penso che rinnovare questo libro,
porterebbe solo confusione nella glossa e nella dottrina dei dottori dell‟uno e dell‟altro diritto…”.
Giasone ne negava dunque l‟utilità, ritenendolo anzi pericoloso perché in caso
d‟introduzione del testo rinnovato, tre secoli di studi ed elaborazioni sarebbero caduti e l‟opera
sarebbe dovuto essere studiata nuovamente mettendosi in discussione i rapporti nati sulla sua base.
Questo è il classico punto di vista del giurista pratico che giudica negativamente l‟opera
degli umanisti quando confonde inutilmente le acque sconvolgendo il sistema giuridico consolidato.
Altro esempio di come lì ambiente culturale italiano fosse sconcertato di fronte alle scoperte
filologiche degli umanisti, c‟è dato dalla reazione al lavoro di collazione (confronto) e di
adnotationes tra la littera fiorentina e la littera bononiensis del Digesto condotto da Angelo
Poliziano alla fine del „400 anzi intorno al 1490. Il Poliziano scrisse dei libri incunanboli (I edizione
a stampa) del Digesto gli errori, le inesattezze del testo come studiato nelle università (littera
Bononiensis), rispetto a quello conservato a Firenze (littera florentina), che lui riteneva senz‟altro
autentica e quindi priva di errori.
Alla sua morte vi fu una corsa da parte di varie autorità, tra cui il papa e il duca di Milano
per stampare le annotazioni lasciate scritte negli incunaboli del grande umanista; non tanto per
migliorare la pratica del diritto quanto per rendersi meritevoli di aver dichiarato all‟università le
migliorie apportabili dal corpus iuris. Però di questi importanti testi venne fatto poco uso per tanti
anni essendosi ormai il diritto pratico consolidato attraverso le opiniones fondate sulla littera
Bononiensis
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8. Mos italicus e mos gallicus.
Il nuovo metodo proposto dal Valla, portato a maturazione con il triumvirato formato da
Budeo, Alciato e Zasio si basava sull‟analisi filologia del corpus iuris e degli altri testi più antichi.
Di questi testi gli umanisti non si sentivano più continuatori, ma solo affascinati studiosi. La
rigorosa indagine filologia porta loro a riconoscere errori del tutto umani in documenti che non
hanno niente di divino, d‟infallibile, ed a ammettere le contraddizioni interne finora ostinatamente
negate.
Così facendo gli umanisti minarono le basi dell‟intero sistema del diritto comune fondato
sull‟assolutezza e perfezione del testo giustinianeo. Agli umanisti il corpus iuris appare ad esso
stratificato nei suoi percorsi storici anziché un corpo di norme sempre applicabili. Dall‟analisi
storica dei vari periodi s‟intravedono le diverse soluzioni politiche e giuridiche talvolta
contraddittorie accolte nella compilazione giustinianea, traendone spunti ed insegnamenti per il
presente. Questo è il nuovo interesse scientifico che porta i nuovi giuristi a studiare il diritto
pubblico romano per via dell‟esigenza di dare nuove risposte al presente sulla base
dell‟insegnamento della storia.
E‟ proprio questa esigenza che caratterizza il mos gallicus iura docenti (il modo francese di
insegnare il diritto) contrapposto al mos italicus che guardava alla passata esperienza giuridica
come ad un qualcosa di perfetto da conservare e tramandare al futuro.
Il nuovo indirizzo scientifico fu denominato mos italicus perché in Francia trovò la massima
applicazione culturale. In Francia il diritto romano era considerato ratio scripta da cui trarre
un‟autorevole uida per la nuova legislazione o per riformulare un diritto nazionale tradizionale
basato sulle consuetudini gallicane; il suo studio era quindi essenziale a scopo formativo.
Come politicamente la Francia si era sentita sempre indipendente dall‟impero, almeno dal
1200 giuridicamente ci teneva a rivendicare il predominio del proprio diritto locale rispetto al diritto
comune, diritto dell‟impero.
9. Ancora Firenze: giustizia civile e giustizia penale in un testo del Guicciardini.
La disputa sul modo di studiar e insegnare il diritto romano aveva importanti risvolti pratici.
E‟ comprensibile dunque che molti giuristi fossero prudenti nell‟innovare il metodo giuridico
perché si aveva sempre un occhio attento alle esigenze della pratica, che non aveva bisogno di
incertezza del sistema giuridico.
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Parte Seconda
DENTRO L’ETA’ MODERNA (O ANTICO REGIME)
Capitolo uno
CHIESA E FEDELI NELLA BUFERA:
DAL CONCILIARISMO ALLA RIFORMA
1. L‟assolutismo pontificio e le premesse della riforma religiosa in Germania
La Francia fine „400 era uno stato unitario in cui le tendenze nazionalistiche s‟indirizzavano
verso l‟ambito politico-giuridico. Per l‟aspetto religioso il suo governo regio aveva già difeso
l‟autonomia della chiesa francese dal papato (gallicanesimo), che aveva dovuto accettare
l‟inevitabile per evitare un indebolimento maggiore.
La Germania invece, realizzò solo agli inizi dell‟età moderna un nuovo senso d‟identità in
seguito all‟accendersi dei problemi religiosi, perché nel „400 continuò la sua profonda
frantumazione politica, essendo l‟impero solo la cornice in cui vivevano le più differenti autonomie
cittadine, feudali e principesche.
Ma quel secolo era già stato molto irrequieto sotto questo profilo, e non a caso aveva visto
circolare la riforma di Sigismondo, un documento che richiedeva profonde riforme in camp0
ecclesiastico, anche contro Roma.
La Germania era rimasta delusa dai Concili di Costanza (414,418) e di Basilea 431,439, che
trattavano dei poteri papali e del loro rapporto con la chiesa universale in modo nuovo, ma i cui
decreti furono bloccati dal papato a metà secolo. C‟era dunque un forte desiderio di riforma della
chiesa e, visto che la riforma non sembrava potesse ormai più venire da Roma, troppo corrotta, si
chiedevano interventi al potere temporale.
L‟interessamento alle grandi questioni della chiesa da parte dell‟imperatore aumentò, a fine
„400, quando ci si rese conto che i due concili non avevano risolto i problemi esistenti, e che si
affermava la pretesa papale ad una maggiore contrazione di autorità a Roma. A cominciare da Pio
II, fu netta la divisione tra conciliaristi, che ritenevano il Concilio ecumenico, una autorità superiore
a quella papale, e assolutisti, che consideravano il papa, signore della chiesa e del mondo. I
conciliaristi prevalsero sugli assolutisti nella prima metà del „400 e a metà secolo la situazione si
rovesciò a favore del papato che riuscì a conquistarsi l‟imperatore e i principi, stringendo con essi
dei concordati.
Insomma, i concordati rovesciarono l‟impostazione dei due grandi concili che avrebbero
invece voluto rafforzare la chiesa come corporazione ecclesiastica, anziché come monarchia
assoluta.
Famoso è il decreto di Haec sancta del 1415 che aveva proclamato che il concilio
rappresentava la Chiesa e che ricevesse da Cristo il potere cui ciascuno deve obbedire in materia di
fede e per tutto quanto riguarda l‟estirpazione dello scisma e la riforma di detta Chiesa, pena essere
sottoposti a giusta penitenza e debite punizioni.
Ancor più efficacemente, il famoso decreto Frenques del 1417 aveva disposto che la
frequente riunione dei concili fosse il mezzo principale per coltivare i campi del signore e stabilì,
con editto perpetuo, che i concili generali fossero tenuti in tempi e modi ben precisi.
Quei termini avrebbero potuto essere anticipati per problemi emergenti dal Papa ma mai
posticipati.
Ma il Papa nel 1448, con il concordato di Vienna, raggiunse l‟accordo con l‟Imperatore e
pochi anni dopo, con la bolla Execrabilis del 1459, Pio II condannò chiunque osasse appellarsi ad
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un concilio per contrastare una decisione papale. Proprio ciò che fecero in Re di Francia nel „500 e
Lutero per contestare la bolla papale che condannava i suoi insegnamenti.
Questa situazione di nuova stabilità del potere papale preoccupò ulteriormente i riformatori,
creando le premesse per riforma luterana. Grande perso ebbe anche il diritto canonico che, essendo
a favore del Papa, era di ostacolo ai riformatori.
Per questo motivo Lutero, dopo aver affisso le sue tesi sulla porta della cattedrale di
Wittenberg nel 1517, passo al rogo le decretali pontificie.
Una testimonianza del potere che i pontefici andarono attribuendosi la si ha con la celebre
bolla Inter coetera di Alessandro VI nella quale si ribadì il concetto che il Papa fosse Dominus
mundi. Siccome vicario di Cristo egli poteva assegnare intere parti di terra a questo o a
quell‟imperatore ma, Francia, Inghilterra e paesi bassi, la considerarono lesiva dei propri interessi.
Già nel 1454 papa Nicolò V concesse al re di Portogallo il monopolio delle coste africane,
autorizzandolo a prendere possesso di ciò che aveva precedentemente conquistato. Quarantanove
anni più tardi, all‟indomani della scoperta dell‟America, papa Alessandro VI con l‟Inter coetera,
sanciva il dominio della corona spagnola sulle terre raggiunte.
Questa bolla papale, ispirata alla tradizione giuridica medievale, sottolinea l‟universalità del
potere spirituale e temporale dei papi, i soli a poter legittimare le conquiste delle nuove monarchie
nazionali. Ed è sulla base di questo fondamento giuridico che veniva “regalata” l‟America agli
spagnoli e l‟Africa ai portoghesi.
2. La riforma luterana e le nuove confessioni religiose.
Il dibattito sulle questioni religiose assunse nell‟Età moderna un‟importanza mai avuta in
passato. Dal „500 alla rivoluzione francese si discussero tutte le questioni di fede e di coscienza,
nonché i problemi relativi alla struttura ecclesiastica e all‟organizzazione della Chiesa nei suoi
rapporti con lo stato. All‟epoca non c‟era tolleranza religiosa e fino al „700 si combatterono le altre
religioni e chi si dichiarava ateo.
Una volta regolati i rapporti con lo Stato tramite i concordati, i Pontefici cercarono di godere
anche di fatto della pienezza dei loro poteri sulla Chiesa, sulle sue gerarchie e sui fedeli tutti che da
secoli rivendicavano. Nulla poterono i concili nei confronti della loro grande e indiscussa autorità,
tanto che il Concilio di Trento, l‟ultimo più importante dell‟età moderna, si svolse sotto il controllo
il controllo papale.
In questa sede si discusse dei problemi di fede insorti nella chiesa dopo la protesta di Lutero,
che portò tutti i nodi al pettine. Già da tempo, infatti, si vivevano momenti di scontro fra una Chiesa
incapace di auto riformarsi e una classe intellettuale europea che chiedeva a gran voce una riforma;
non giungendo ad alcuna soluzione la colpa la si addebitò agli ecclesiastici romani troppo
preoccupati dei problemi temporali.
Di fronte a gravi problemi come l‟accumulo dei benefici dei vescovi, che si arricchivano
senza risiedere nelle diocesi loro assegnate e la generalizzata corruzione del clero, che drenava
fondi a Roma da tutta Europa per essere investiti in attività non religiose, la riforma apparve
indispensabile.
Grandi nomi parteciparono alla disputa religiosa e la partecipazione di un grande umanista,
Erasmo da Rotterdam dimostra che i problemi scatenanti la rivolta erano in larga misura culturali.
Egli si rese conto che la Bibbia, nella traduzione vigente di san Gerolamo, non era corretta e
sentì di ritornare alle fonti originarie. Molte altre interpretazioni tradizionali furono criticate da
Erasmo, prima che Lutero fosse portato, dalla chiusura della Chiesa, a criticare sistematicamente
tutte quelle opinioni che formarono la sua traditio.
Come stava avvenendo per la contestazione del metodo tradizionale giuridico, cosi si
metteva in discussione, in capo religioso, non tanto la validità delle fonti, ma le costruzioni
dottrinali dogmatiche, spesso fasulle e artificiose che col tempo le avevano offuscate. Qui si
toccavano questioni di fede, quindi i contestatori dovettero scegliere tra l‟obbedienza ai precetti
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della Chiesa e la libertà di pensiero. Erasmo scelse la prima, mentre Lutero scelse la seconda e fu
condannato dal papato.
Lutero comunque fu quello che in prima persona si espose ai rischi di questa difficile
impresa, e che poté diffondere il suo credo anche grazie provvide alla traduzione in tedesco della
Bibbia, che rappresentò non solo il fondamento per la formazione della coscienza nazionale tedesca,
ma anche il simbolo della sua protesta che muoveva contro la mediazione delle gerarchie
ecclesiastiche fra Dio e il comune fedele. Per i riformatori più coerenti il rapporto tra Dio e l‟uomo
andava vissuto individualmente, senza aiuto né linguistico né interpretativo.
La storiografia cattolica ha sempre attaccato questo pericoloso individualismo, sostenendo
l‟importanza e il valore dell‟aiuto offerto al fedele dalla Chiesa. Ma la storiografia moderna,
riconosce nella Riforma luterana, l‟inizio d‟un processo di rivalutazione dell‟individuo
(individualismo).
Si sostiene ad esempio che certamente da allora fu più facile anche solo concettualizzare il
problema dei diritti della persona. Il conflitto religioso aperto mostrava, infatti, che non c‟era
un‟antica verità, e che solo l‟individuo era responsabile della scelta. Era una rivoluzione perché il
mondo cessava di essere una verità data una volta per tutte. Ora, nella nuova realtà si doveva
discutere di tutto, cercare di capire e conoscere, era un aprirsi alla ricerca laica non controllata dalle
autorità dalla tradizione scolastica universitaria subordinata alla chiesa.
Il conflitto costrinse anche il pensiero cattolico a rinnovarsi. Nel „500 insieme al Concilio di
Trento, fu in particolare la cosiddetta scolastica, una scuola di giuristi e teologi per lo più gesuiti e
spesso i professori Salamanca, celebre università spagnola,. I suoi grandi teorici aggiornarono il
Tomismo, sottolineando fortemente le problematiche della persona e dei suoi diritti. Vari furono
isettor9i in cui s‟impegnarono questi studiosi, le cui posizioni finirono spesso per essere adottate
dalla chiesa. Ad esempio, che non potendo più rivendicare il potere tradizionale di Dominus Mundi,
il papa aveva pur tuttavia il potere e il dovere di guidare e ammonire i sovrani perciò, a tale titolo,
intervenne ancora nel 1570 a scomunicar e deporre la regina Elisabetta d‟Inghilterra (senza effetti
concreti)
La protesta di Lutero e i movimenti religiosi che si svilupparono portarono quindi ad un
movimento di liberazione dalle oppressioni responsabilizzando l‟individuo nel suo rapporto con la
parola di Dio.
Alla fase distruttrice non seguì, nel mondo riformato, una fase costruttrice di una nuova
struttura ecclesiastica e ciò creò un disorientamento delle coscienze poiché non si sapeva quale
nuova fede abbracciare.
Sulle ceneri della confessione cattolica in molte aree d‟Europa si formarono gruppi di
credenti che si ritrovarono in comuni modi di interpretare la Bibbia. E‟ interessante ad esempio la
confessione dei Sociniani, fondata da Lelio e Fausto Socini, i quali più che a dar vita ad una vera e
propria confessione, fondarono un movimento antitrinitario che predicò la tolleranza religiosa,
libera interpretazione della Bibbia e la non violenza. Furono condannati, sia dalla chiesa che dai
paesi riformati, perché ritenuti sovvertitori di ogni autorità e alla fine dovettero fuggire in Polonia. I
Sociniani fondarono la chiesa unitariana che ha ancora seguaci negli USA.
Dal punto di vista giuridico e politico maggior rilievo acquistarono i Calvinisti, che
predicavano la teoria dell‟attività economica della morale religiosa Giovanni Calvino, riformatore
religioso francese, riuscì a portare le proprie idee a Ginevra. Qui Calvino riuscì a convertire la
classe dirigente alla dottrina della predestinazione, secondo la quale l‟uomo, incerto della propria
futura salvezza, dovesse avere fiducia in Dio operando al meglio delle proprie possibilità eseguendo
onestamente il proprio mestiere a favore della famiglia e del paese.
Il calvinismo fu visto come una cultura incentivante le Attività imprenditrici e mercantili,
attraverso la valorizzazione delle capacità della persona e della separazione della morale
dall‟economia. Di lì a pochi decenni fu lecito prestare il denaro a interessi nacque ad Amsterdam la
Borsa.
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Il Calvinismo attecchì oltre che nei Pesi Bassi, in Francia dove la sua rapida diffusione fu
motivo della guerra civile tra ugonotti e cattolici.
In Germania Lutero non fu sconfitto come uno dei tanti eretici, perché ebbe la fortuna di
essere protetto dal Duca di Sassonia. La sua dottrina, proprio perché demoliva le pretese di Roma,
suscitò subito l‟interesse di molti principi temporali interessati al controllo delle chiese locali e
riuscì così a portarne molti dalla sua parte.
Lutero condusse una polemica anche controllo il Monachesimo e gli ordini religiosi in
generale, esaltando il matrimonio cristianamente vissuto. Questa rivolta contro la clausura portò alla
soppressione degli ordini religiosi, negli stati che accoglievano il Luteranesimo e alla
nazionalizzazione degli ingenti beni dei monasteri, utilizzando i patrimoni avocati a se, gli stati
costruirono scuole pubbliche e alimentarono il mercato nazionale.
Lo storico Max Weber ha collegato lo sviluppo economico di quel tempo nei paesi riformati
proprio al protestantesimo e alle sue conseguenze.
Dopo la protesta di Lutero ci fu grande smarrimento con anche concrete possibilità di
riforma. Intorno al 1620 circolò un importante scritto d‟ignoto autore “i 12 articoli dei contadini
tedeschi”, documento che sintetizzava gli obiettivi di lotta di questi ultimi. In un momento di grande
incertezza i ceti rurali optarono per la rivolta sociale oltre che religiosa.
Fra i punti salienti del documento, s‟indicavano le elezioni dei parroci ad opera degli stessi
fedeli, la limitazione delle decime al solo mantenimento dei parroci, la soppressione della servitù
della gleba, la libertà di uccellagione, di caccia e pesca, il mantenimento dei boschi in possesso
delle comunità medesime.
Lutero di fronte alla rivolta sociale, dovette scegliere se sostenerla o contrastarla in nome
della pace; optò per questi ultimi soluzione, in un suo famoso discorso pur condividendo i motivi e
gli obiettivi della rivolta non poteva approvare i mezzi e le degenerazioni della lotta contadina.
La protesta dei contadini contro il diritto romano portò Lutero anche ad analizzare
attentamente la questione del diritto comune da poco recepito in Germania. Dopo un suo iniziale
orientamento verso un ritorno a un diritto biblico, appoggiò le tesi che sostenevano la necessità di
accogliere il diritto romano codificato dall‟analisi fisiologia auspicata dagli umanisti, preferendo
così il Mos Gallicus. Successivamente ritornò sulle sue posizioni appoggiando il Mos Gallicus,
perché al contrario dei due altri ordinamenti, non conduceva alla‟anarchia la società.
Per battersi controllo la chiesa di Roma e le sue potenti gerarchie le varie confessi0ni
sentirono il bisogno di darsi una minima organizzazione. Sia Calvino a Ginevra, sia Lutero nei
territori della Germania che accolsero le sue idee, incoraggiarono la formazione di chiese locali
come luoghi di riunione e di culto dei fedeli.
La particolarità delle chiese protestanti fu quella di evitare la dipendenza da un potere
centrale. I pastori erano eletti dalla comunità dei fedeli solo per gestire la comunità stessa. Per
questo erano uomini come gli altri, perché non erano altro che dei fedeli come gli altri. Il celibato
dei preti nacque storicamente in un certo momento della storia cristiana, e non sempre esistito,
come prima si sosteneva e quindi anche non necessario.
Le chiese luterane si limitarono però a gestire la materia spirituale senza ingerirsi nelle scelte
del potere temporale. Si capisce come, al di là della fede, i principi avessero l‟interesse al successo
di tale religione perché li investiva di prerogative fino ad allora di esclusiva competenza
ecclesiastica.
Lo stato moderno nasce anche da questo esautoramento della chiesa perché esso fu tratto a
interessarsi sempre di più di tutte le questioni del Paese.
Lo studio della storia, in questa come in mille altre questioni fu decisivo per il pensiero
riformato, perché finì per favorire la ricerca scientifica delle testimonianze sulla religiosità del
passato e sulla storia della chiesa e sottolineare la storicità delle esperienze umane. Perciò il „500
comportò uno sviluppo incredibile della storiografia moderna tesa a rileggere scientificamente il
passato con i dogmi della chiesa.
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3. La fine dell‟Universalismo medievale e l‟avvento del nazionalismo: la nascita delle chiese
gallicana e anglicana.
L‟universalismo cristiano medievale aveva esaltato la figura del pontefice sopra a quella dei
sovrani temporali, tant'è che a lui, spettava di incoronare il nuovo imperatore. Tale posizione di
supremazia iniziò a incrinarsi con i concordati del „400 e 500, per disciplinare la presenza della
chiesa entro l‟ordinamento laico. L‟indebolimento del papa costretto alla trattativa con un potere
laico, su questione che sino allora erano state di prerogativa papale mostrava chiaramente che un
intera epoca era terminata.
Tale prassi pattizia fu particolarmente forte in Francia, dove i vescovi si unirono al proprio
re e promossero sotto la sua tutela la formazione di una chiesa francese (Gallicana), autonoma dalla
Santa Sede. Si costruì cioè una specie di chiesa nazionale francese che consentì l‟avvio di riforme
indipendenti da Roma, e che può essere vista come un motivo probabile dell‟insuccesso della
riforma in Francia.
Lo scisma fra la chiesa di Roma e Inghilterra, invece fu causato dal divorzio del re Enrico
VIII. Prima del divorzio, e quindi del litigio tra re inglese e papa, Enrico VIII si era apertamente
schierato con la chiesa contro Lutero, attraverso un atto ufficiale che egli aveva meritato il titolo di
re cattolicissimo, “difensore della fede”. La sua pretesa di avere l‟annullamento del matrimonio dal
papa creò nel campo della dottrina un grande dibattito. Furono mobilitate le università per verificar
la giuridicità di un matrimonio che Enrico VIII sosteneva essere invalido. La moglie Caterina
d‟Aragona era, infatti, la vedova del fratello di Enrico VIII, per cui i giuristi di parte facevano
appello al passo del Deuteronomio nella Bibbia per sostenere che ci fosse il divieto di un tale
matrimonio; gli altri si appellavano allo ius novum per affermare invece la sua validità. Il problema
fu dunque da quale fonte attingere; ma c‟era di più. Il pontefice in passato aveva chiuso un occhio
in casi analoghi, mentre in questo frangente ci fu un chiaro irrigidimento del papa.
Di fronte a tale irrigidimento, Enrico VIII emanò un solenne atto di supremazia, staccando
da quella di Roma la chiesa Inglese di cui si proclamò unico capo assoluto. Egli, cattolico, non
cambiò confessione e non si ritenne eretico, bensì, visto il comportamento ingiustificato del papa,
pensò di essere il vero continuatore della vera tradizione cattolica.
Si ebbe dunque uno scisma. Dal punto di vista giuridico, l‟atto di supremazia consisté in un
atto legislativo adottato con il consenso del parlamento col quale Enrico VIII si dichiarò capo della
chiesa d‟Inghilterra.
Gli eredi che accedettero al trono fecero altrettanto e nello stesso modo furono scomunicati
dal papa, ma entro il „500 l‟anglicanesimo aveva un proprio nucleo di credenti autonomo rispetto al
cattolicesimo e al luteranesimo, e serviva alla regina Elisabetta per evitare troppi conflitti interni.
Ma la debole origine della chiesa anglicana lasciò spazio ad aspri conflitti religiosi nel corso
del primo „600, dai quali emersero le figure dei puritani.
Insomma da questi conflitti in un mondo diviso con nessuna credenza prevalente poté
cominciare a manifestarsi un barlume di buon senso: quello che avrebbe condotto alla tolleranza
religiosa.
La varietà delle credenze portò finalmente a dubitare che chicchessia avesse il diritto di
reprimere i dissenzienti.
Oggi l‟anglicanesimo è ormai tradizione consolidata, nonostante i tentativi di
riavvicinamento tra Roma e Canterbury, facilitati dal fatto che la struttura ecclesiastica inglese è la
più vicina a quella romana.
Ma allora, in un primo tempo molti cattolici pensarono che prima o poi lo scisma sarebbe
stato ricomposto, riconciliandosi con un‟unica Chiesa.
Intanto, però, al tempo di Enrico VIII, nonostante la situazione d‟incertezza, furono
sequestrati tutti i beni dei monasteri e chiusi tutti gli ordini religiosi. Questo posto alle origini del
capitalismo inglese, perché avrebbe rivitalizzato i commerci e le attività produttive rurali –
trattandosi di provvedimenti adottati assieme alle enclosures (le recinzioni di terre precedentemente
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di uso comune. Questi provvedimenti avrebbero perciò favorito le imprese agricole, formato
un‟estesa piccola nobiltà locale (gentry) e quindi favorito l‟accumulazione capitalistica e da
fine‟700 in poi le origini della rivoluzione industriale.
4. Il Concilio di Trento e la reazione alla riforma protestante.
Il mondo cattolico reagì alle trasformazioni portate dalla ricerca scientifica e filologica e
dalla riforma religiosa in primo luogo con la repressione attraverso strumenti efficacissimi come
l‟inquisizione romana. Anche le gerarchie della chiesa stessa erano costantemente tenute d‟occhio.
Si fece largo uso infatti anche della censura. Fu così fondata la congregazione dell‟indice, un
ministero di cardinali che si occupavano di aggiornare in continuazione l‟elenco dei libri proibiti.
Nel frattempo la congregazione del Concilio fu incaricata di dare l‟interpretazione autentica dei
decreti conciliari, in modo da non lasciare spazio a libere interpretazioni. Si ritennero tante
pericolose le interpretazioni dei dottori che i decreti non vennero neppure insegnati nelle università.
Uguale importanza venne data all‟educazione. In questo periodo nacque ad opera di Ignazio
di Lojola a Parigi l‟ordine dei Gesuiti che esigeva castità e povertà dei propri membri ma soprattutto
obbedienza incondizionata al pontefice e che ricevette dagli anni del Concilio di Trento un
particolare impulso dalla chiesa di Roma che fece di esso il proprio braccio operativo del mondo.
L‟importanza storica dell‟ordine dei gesuiti sta principalmente nel fatto che esso si occupò
di educare all‟obbedienza di un complesso catechismo cristiano le elite europee. I dotti gesuiti
furono precettori della classe dirigente ivi compresi i parroci, inviati di prima fila
nell‟evangelizzazione delle popolazioni e periodicamente chiamata ad aggiornarsi nei seminari,
istituiti di nuova fondazione.
La strategia di resistenza nei confronti delle pericolose novità, fu elaborata nel Concilio di
Trento che fallì nel tentativo di mediazione con la chiesa riformata ma che dette un nuovo volto alla
chiesa cattolica con i suoi numerosi importanti decreti che rinnovarono profondamente le strutture
ecclesiastiche, tanto che la storiografia attuale suole parlare di riforma cattolica a se.
Secondo gli ultimi orientamenti il tentativo di reagire alla riforma protestante sarebbe da
porre in secondo piano rispetto a quello che viene considerato l‟obiettivo principale, ovvero quello
di riorganizzare la struttura della chiesa. Molto discussa e poi se tale riforma sia stata solo esteriore,
o abbia inciso anche sulla religiosità.
In primo luogo in Concilio rinnovò la disciplina del clero, imponendo obblighi ben precisi ai
vescovi, agli abati, ai parroci. In particolare crebbe l‟importanza del parroco, che divenne lo
strumento principale e per la diffusione capillare del cattolicesimo. Si riorganizzò la disciplina della
parrocchia, fu imposta la tenuta dei registri di battesimo e di matrimonio, ora meglio disciplinato
nella celebrazione, la quale era sottoposta anche a una disciplina laica, rappresentata dalla
legislazione suntuaria, quella cioè che riguardava consumi e lusso e che cercava di contrastare gli
eccessi.
Il potere laico attraverso tale legislazione voleva evitare al massimo gli sprechi di capitale,
mantenendo entro certi limiti le donazioni nuziali e le fastosità.
Con il Concilio di Trento venne ribadita la sacra mentalità e la con sensualità del
matrimonio, il che voleva dire contrastare la necessità dell‟assenso dei genitori. Molti matrimoni,
specie tra i rampolli di famiglie abbienti, erano il risultato di accordi a carattere patrimoniale tra le
famiglie dei futuri sposi. In secondo luogo si credette che per contare sull‟operato del clero,
occorreva impartirgli un‟istruzione adeguata. Nacquero così i seminari i cui corsi erano spesso
tenuti dai gesuiti. Si cercò di arginare anche il fenomeno del patronato laico delle chiese. Accadeva
spesso, infatti, che famiglie nobili fondassero, proprie spese, chiese o cappelle per acquistare il
diritto di indicare coloro che avrebbero poi officiato quei luoghi. Molto spesso perciò le persone
preposte all‟ufficio religioso erano sostanzialmente incompetenti in materia di fede.
28
5. L‟Inquisizione romana.
Lo strumento di repressione principale, dove non operava l‟inquisizione spagnola, fu
l‟inquisizione Romana, essa nacque come congregazione di cardinali che si riuniva per studiare e
organizzare la repressione dal centro, e in poco tempo diventò sede di un potere penetrantissimo,
tanto che quasi tutti i papi del „500, prima di esserlo, rivestirono le sue cariche.
La congregazione fu anche per lo Stato pontificio un‟istituzione che può essere paragonata
ad un ministero attuale. Rispetto all‟inquisizione medievale, quella romana era assai più organizzata
e seguì procedure più scientifiche.
Riassumiamo le caratteristiche del processo inquisitorio, validi in gran parte anche per le
procedure laiche:
Segretezza assoluta degli atti del processo e loro scrittura;
Mancanza di difesa per non permettere all‟accusato di inquinare la ricerca della verità;
Presunzione di colpevolezza;
Grande rilievo dei pentiti;
Procedura premiale (premio a chi accusava o denunciava, in genere ¼ dei beni
dell‟imputato);
Tortura giudiziaria;
Ricompensa del denunciante con una parte dei beni confiscati.
L‟inquisizione romana si indirizzò ad alcune categorie di persone con particolare attenzione
per coloro che possedevano e diffondevano libri pericolosi e coloro che abbracciavano idee
protestanti.
In Italia era meno sentito il problema che assillava l‟inquisizione spagnola, ossia dei
Saraceni convertiti che acquistavano lo status di cattolici per evitare l‟espulsione dalla Spagna
disposta dai re cattolici e degli ebrei che non fossero realmente convertiti e che potevano diffondere
idee anti-cristiane.
Diverso era essere ebreo ufficialmente e vivere in una comunità che avesse una specie di
contratto con la città che la ospitava. Gli ebrei dei “ghetti” erano però solo tollerati; pagavano infatti
una tassa per risiedere in città, ma non potevano acquistare proprietà definitive perché erano ospiti.
Non avevano tutela giuridica e non faceva parte della comunità perché per il cattolico era un altro;
pagava le tasse e, pagandone una apposta, poteva effettuare il prestito feneratizio (ad interessi)
proibito ai cattolici.
6. L‟inquisizione Romana e gli Stati.
L‟inquisizione Romana non ebbe sempre l‟appoggio degli Stati cattolici, che iniziarono a
rivendicare la propria competenza a punire ciò che avveniva nei loro territori. Cosi spesso i Sovrani
negarono alla santa sede le operazioni dell‟inquisizione e la contrattarono in vista di corrispettivi
riconoscimenti.
Tradizionale fu la diffidenza delle autorità napoletane (come per Venezia) confronti di tutte
le autorità ecclesiastiche, tanto che si parla di un precoce giurisdizionalismo.
In Sicilia e in Sardegna l‟inquisizione Romana non arrivò perche vi era già presente quella
spagnola. Per la Spagna avere una propria inquisizione fu un enorme privilegio perché poté usarla a
fini non religiosi facendola divenire un tribunale che consentiva di sovrastare perfino le forti
autonomie locali controllando di fatto tutte le Istituzioni.
Anche in Sicilia essa fu molto attiva riuscendo a creare uno Stato dentro lo Stato. Gli agenti
dell‟inquisizione godevano di numerosi privilegi come il porto d‟armi, il privilegio del foro, etc.,
per cui non potevano essere toccato dagli ufficiali statali (un po‟ com‟è oggi per i diplomatici).
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Nel corso del tardo „500 primi del „600, cominciò il clima di generale sospetto
controriformista: nelle città si diffusero denunce anonime e si considerarono attentamente già come
indizi atteggiamenti ereticali minori come la sola bestemmia o concubinato etc..
7. Il modello dello Stato cristiano: la Spagna.
Nel „400 e nel „500 l‟inquisizione ereticale fu utilizzata anche a scopi politici, soprattutto in
Spagna. La Monarchia spagnola era molto legata al Papa,il quale le concesse grandi privilegi:
1. la Bolla del 1478 riconobbe ai sovrani la direzione dell‟inquisizione del regno; il sovrano
stesso nominava gli inquisitori, affiancati dei cosiddetti famigli, collaboratori dotati di
numerosi privilegi e di un forte potere intimidatorio sulla popolazione;
2. un concordato consentì ai sovrani di controllare le nomine papali e permise loro di
acconsentire o meno in Spagna l‟efficacia dei provvedimenti papali.
Questi furono gli strumenti che lo Stato adottò per esercitare la sua influenza nella vita
ecclesiastica. Il potere di intervento statale si sviluppò gradualmente e solo tra „400 e „500 iniziò il
periodo dei concordati, che sancirono il potere dello Stato sulle questioni ecclesiastiche, quasi una
contropartita, un bilanciamento del potere assoluto dei pontefici. Lo Stato e il papato si riconobbero
reciprocamente ed entrambi amplificarono il loro potere, condizionando ancor più pesantemente la
società: è il periodo dell‟alleanza del trono con l‟altare.
Particolare accanimento subirono gli ebrei e i mussulmani, costretti a rinnegare la propria fede,
se volevano rimanere nei territori spagnoli (nicodemismo).
L‟inquisizione spagnola fu estesa anche in alcuni stati italiani (Sicilia e Sardegna) che
dipendevano dalla corona spagnola e qui fu indirizzata soprattutto contro il pensiero riformato.
8. Gli ebrei tra emarginazione e repressione.
Una chiara ed esemplare sintesi della mentalità inquisitoriale è fornita dal processo condotto
nel 1475, da organi giudiziari normali e non dall‟inquisizione, contro gli ebrei di Trento, dopo il
ritrovamento durante la settimana santa del corpo d‟un ragazzino (divenuto San Simonio), morto, si
disse, per opera degli ebrei che attuarono un omicidio rituale. Il processo destò tanto clamore che
persino dal papa fu inviato un commissario per controllare tutte le procedure, ma le cose erano
andate cosi avanti localmente che neppure il papato riuscì a controllare la repressione più cieca.
Siamo prossimi alla cacciata ufficiale degli ebrei dalla Spagna. Nei confronti di questo
popolo la Chiesa insegnava che erano loro i responsabili della morte di Cristo, instillando una forte
diffidenza nei loro confronti; per cui già il concilio lateranense del 1215 aveva disposto il
contrassegno obbligatorio sui vestiti per renderli riconoscibili.
Ma era consentito loro di praticare il mutuo ad interesse che i cristiani non potevano fare.
Per il diritto romano il prestito era “naturalmente” un prestito ad interessi, dunque sempre usuraio
per la Chiesa. Per essa l‟usura, oltre che un peccato, era un reato di competenza delle corti
ecclesiastiche. Pertanto il cristiano poteva prestare ma solo in comodato.
Nella pratica però le cose andavano diversamente, perché anche gli ecclesiastici avevano
bisogno di prestiti. Per aggirare il divieto di usura si usarono vari espedienti, tra i quali la cambiale,
nata originariamente per pagare in diversa valuta in un luogo diverso da quello concordato. Nel
passaggio da una moneta all‟altra aumentava l‟importo (erano gli interessi). Altro modo per
aggirare il divieto era la vendita fittizia.
Alla fine del „400, la forte opposizione dei francescani a queste pratiche, portò alla nascita
dei monti di pietà, istituiti per esercitare il piccolo prestito a pegno con un interesse minimo,
giustificato dalle spese di esercizio, nelle città in cui maggiorenti venivano costretti ad anticipare i
capitali per iniziare il prestito.
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I comuni avevano avuto grande interesse a tenere in città gli ebrei per i loro capitali, ma ora
che erano sostituiti dai monti di pietà, potevano farne a meno.
9. La questione degli Indios.
La scoperta dell‟America accelerò intanto il dibattito sulle questioni religiose e sui diritti
dell‟individuo, trovandosi i conquistatori davanti ad esseri umani cosi diversi da loro da far dubitare
che avessero un‟anima. Se ciò fosse risultato vero, gli indios avrebbero potuto essere ridotti in
schiavitù e la Chiesa non si sarebbe neanche posta il problema della loro evangelizzazione.
Per risolvere i dubbi sugli “strani selvaggi”, Carlo V istituì una commissione per indagare
sulla loro natura, ma senza successo. La questione rimase aperta fino alla pronuncia del Papa a metà
del „500. intanto però la schiavitù era già concreta e ampia. Dal 1493 infatti iniziò la pratica degli
encomendados, cioè la conquista da parte dei soldati concessionari di terre che con le stesse
assumevano anche il dominio degli indigeni; i ribelli venivano sterminati. Un personaggio da
ricordare nella questione dell‟America latina è Bartolomeo de Las Casas, famoso per la sua
apologetica Historia, dove ha cercato di sfatare molti luoghi comuni sogli indios. Egli prese le
difese degli indigeni di fronte a Carlo V e divenne vescovo in Messico, inimicandosi i padroni
bianchi del luogo che lo costrinsero a tornarsene via accusandolo di tradimento.
A favore degli indios vi tre bolle papali del 1537, in cui si dichiarò eretica l‟idea che fossero
privi di ragione (e quindi incapaci di convertirsi al cristianesimo) e si condannò chiunque li
rendesse propri schiavi. Inoltre si tentò di trasferire ai vescovi la giurisdizione sugli indios che, fino
ad allora spettava all‟Inquisizione spagnola.
L‟intervento papale incentivò, nel corso del „500, una produzione legislativa a favore degli
indios. Di fatto però non si riuscì ad impedire il lucrosissimo affare della schiavitù indigena con il
suo ampio mercato, causando enormi trasferimenti delle popolazioni nere dall‟Africa alle
Americhe.
Tale fenomeno era organizzato in maniera scientifica e fu alla base dell‟accumulo di ingenti
capitali e del fiorire di un grande commercio internazionale attraverso l‟Atlantico. Il valore delle
merci trasportate alimentava il proliferare di pirati e corsari che operavano con il consenso dei
Governi.
In Paraguay i Gesuiti delle locali missioni attuarono una interessante forma di Governo
teocratico,istituendo comunità organizzate non solo dal punto di vista del lavoro, ma anche della
vita spirituale. Gli indios che vivevano in queste comunità avevano la fortuna di non essere servi dei
proprietari di queste terre, ma erano sudditi del Re di Spagna.
I Gesuiti avevano assunto dunque il ruolo di difensori ufficiali degli indios, i quali erano
considerati dalle leggi coloniali privi della piena capacità giuridica ed erano i padri gesuiti ad
integrare la loro volontà nei confronti del mondo esterno. All‟interno della comunità gli indigeni
avevano comunque la facoltà di eleggersi dei propri ufficiali. I colonizzatori non videro mai di buon
occhio queste realtà e, dietro forti pressioni, riuscirono a farle abolire, da Carlo III che fece
espellere i gesuiti dalle colonie del Sud America nel 1767.
10.Conflitti religiosi e problemi gius-politici: da Augusta e Nantes alla dichiarazione di tolleranza
Olandese.
La confessione augustana del 1530 è un complesso di principi raccolti da Melatone e
approvati dai sovrani luterani tedeschi in occasione della Dieta di Augusta. Essa spezzò l‟unità
religiosa caratteristica dell‟età medievale.
Ogni Stato tedesco ora, aveva libera scelta sulla confessione religiosa da adottare. Tale
situazione dette luogo a contrasti che sfociarono spesso in scontri armati, capitava infatti che due
Stati confinanti adottavano diverse confessioni.
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A tale pericolosa situazione cercò di ovviare la Dieta di Augusta del 1555, in cui si formulò
il principio cuius regio cuius religio. In particolare ciascun suddito avrebbe dovuto seguire la
religione imposta nel territorio dal Sovrano, altrimenti sarebbe stato costretto a trasferirsi. Cercando
di arginare i disordini, con tale principio, si affermava anche l‟indipendenza elevata raggiunta dal
potere politico nei confronti di quello religioso, potendo così ampliare i campi di intervento del
potere temporale, come quello della scuola o della libertà di fede.
La statuizione di tale principio ebbe altre conseguenza perché la pace di Augusta prendeva
in considerazione solamente due confessioni: quella luterana e quella Cattolica. Tutti coloro che non
si riconoscevano in nessuna delle due si trovarono costretti ad abbandonare la Germania, verso
l‟Olanda, la Francia e la Svizzera. Una eccezione era prevista per le città imperiali, dal momento
che non c‟era un Principe, che indicasse inderogabilmente l‟una o l‟altra confessione.
Altra importante conseguenza di questi fatti fu il notevole fervore culturale che si accese
intorno a questioni vecchie e nuove, come quelle dei limiti del potere del Principe, i conflitti
religiosi, cioè, portarono a riflettere su principi politico-giuridici in modo più puntuale ed
approfondito.
In Francia si sviluppò addirittura un movimento di intellettuali che teorizzò la necessita di
uccidere i tiranni, lo stesso Enrico IV era un capo Ugonotto poi convertitosi al cattolicesimo per
poter ascendere al trono e fu ucciso da un cattolico che non approvava la sua politica tollerante nei
confronti dei calvinisti. Enrico IV, infatti, aveva riconosciuto in determinate aree del paese la libertà
di culto agli ugonotti; tali zone però divennero fortezze indipendenti entro lo Stato e solo da Luigi
XIII recuperate.
Tale situazione di instabilità politica può essere interpretata come la conseguenza del
conflitto di due principi, da una parte veniva ribadita la necessita di ribellarsi ad un Governo
tirannico; dall‟altra si riteneva prerogativa del potere statuale il garantire la stabilità sociale e un
minimo di ordine pubblico.
Il problema della tolleranza religiosa era già stato affrontato nel corso del „500 dal
movimento religioso dei sociniani.
I Paesi Bassi del nord erano un paese calvinista, costituito in gran parte grazie agli sforzi di
molti ex perseguitati cattolici del sud. Il paese divenne dunque il rifugio di molte minoranze
religiose e permise fruttuosi scambi culturali: Spinoza, filosofo olandese che, tra l‟altro, scrisse sul
problema della tolleranza, era appunto di origine ebraica.
Gli Stati generali olandesi arrivarono addirittura nel Gennaio del 1614, ad emanare una
dichiarazione ufficiale di tolleranza, redatta materialmente da Ugo Grozio, giurista e filosofo. Con
tale atto si intimava ai teologi di sospendere le lotte religiose, nel testo si sostiene che per garantire
la pacifica coesistenza di confessioni diverse lo Stato deve poter intervenire condannando la
repressione violenta del dissenso religioso.
11. Un aspetto del bartolismo e dell‟invadenza inquisitoria: la stregoneria in un falso consilium di
Bartolo da Sassoferrato.
Un‟area importante per verificare il clima d‟intolleranza e di sospetto, ormai prevalenti in
Europa, è offerta dal problema della stregoneria. Nel medioevo non c‟era stata affatto una generale
sollecitazione alla repressione.
Le cose cambiarono solo a fine „400, lo testimonia bene il successo del martello delle
streghe, pubblicato nel 1486, di nome Institor e Sprenger, due domenicani incaricati da papa
Innocenzo VIII di dirigere la ricerca delle streghe nelle aree montane della Germania. Ma le
resistenze dei giuristi più illuminati non cessarono.
Un bel esempio viene nel 1520 da un giurista piacentino, Giovanfrancesco Ponginibbi,
subito attaccato dal domenicano Bartolomeo Pina (1521), un pisano attivo nell‟inquisizione di
Modena, che ne denunciò il linguaggio come eretico.
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Ma il primo „500 vide anche la bella testimonianza del milanese Andre Alciato, il giurista
umanista che sostenne come communis l‟opinione canonistica tradizionale dell‟incredulità e
rivendicò la giurisdizione laica su quei pretesi reati.
Bisognava allora stendere un velo su una tradizione dottrinale di ampia tolleranza e di
scetticismo per far trionfare “i nuovi teologi”. Ebbene, il velo in un modo o in un altro fu trovato.
La linea Oldrado-Socini e dell‟Alciato ora ricordata perse presto terreno, finché nei tractatus
universi iuris, la più grande raccolta di opere del diritto comune, non verrà accolto ne il Socini ne il
Ponginibbi, ma sarà inserito il trecentesco trattato dello Zanchino e un suo aggiornamento
cinquecentesco.
E si trovo il modo per ridimensionare l‟opposizione dell‟Alciato divenuto presto molto
famoso e autorevole. Infatti si creò a tavolino un consilium fatto stampare sotto il nome di Bartolo
che sembra fatto proprio per contestare l‟Alciato. In esso si fece sostenere l‟opinione che contro la
stregoneria fossero competenti i tribunali ecclesiastici e che fosse normale la pena di morte.
12. La Penitenza apostolica.
Operò nello stesso tempo del‟Inquisizione. La penitenzieria, era un‟importante ufficio
papale che assolve vada censure ecclesiastiche gravi, che non potevano essere assolte dal confessore
ordinario e neppure dal vescovo locale. Ad essa si rivolgevano laici ed ecclesiastici per mettersi la
coscienza in pace.
Insomma la penitenzieria fungeva un po‟ da “ufficio condoni”, presto il Papa/Principe:
passata la spugna su fatti poco commendevoli del passato, il supplicante tornava “pulito”, pronto ad
assumere anche posizioni di riguardo perché quel passato era cancellato. La morale derivava sempre
dall‟accento papale.
Ora, il fatto interessante documentato da questi registri, è, sia il numero relativamente alto di
casi, sia la facilità apparente con cui si poteva essere assolti da fatti che, secondo la storiografia
tradizionale, avrebbero dovuto portare diritti al rogo.
Qui invece si assolve con larghezza, e anche contro l‟eventuale rigore di corti periferiche,
persino dell‟Inquisizione.
Un laico della diocesi di Besançon, nel 1539, ricorda di essere caduto in scomunica perché
una volta malato fu persuaso di convenire in un luogo ove aveva negato il Creatore e si era
accoppiato ad una donna.
Un altro laico della stessa diocesi fu meno conciso, anche se nuovamente vittima di un
vicino valdese che gli fece balenare la possibilità di guadagnare molto in poco tempo. Qui la storia
si complica: ci sono unguenti magici, c‟è un presidente del sabba, c‟è l‟omaggio dopo aver negato
Dio, la Vergine e il Battesimo, ci sono i molteplici rapporti carnali con l‟altro sesso.
Non c‟è da continuare oltre, ma gli esempi basteranno per convincere a leggersi la densa
casistica: fatti “reali”, perché narrati senza costrizioni particolari che attestano una cultura popolare
diffusa e del tutto omogenea con quella.
Le fonti giudiziarie di prima mano come queste, non ingannano: nella loro scarna semplicità,
dicono assai più tante “ricostruzioni” storiografiche. La realtà, con le sue luci e ombre, è sempre più
ricca di ogni ricostruzione storica. Ma fa pur sempre parte della realtà anche il falso, creato per
rispondere talora ad un bisogno profondo del tempo.
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Capitolo due
LE STRUTTURE PUBBLICHE-LAICHE NEL ‘500 ‘600
1. L‟evoluzione dello Stato in età moderna: la repressione penale
Nel passaggio dal medioevo all‟età moderna, lo stato subisce trasformazioni, anche se non
mancano elementi di continuità: ad esempio continua a reprimere o, consente che si reprimano, i
comportamenti ritenuti devianti dalla chiesa (che localmente ha proprie carceri). Da questo punto di
vista l‟età moderna può essere ritenuta per molti Stati (non tutti) un periodo anche più oppressivo
del Medioevo.
La convivenza delle coppie di fatto, non era vietata dal diritto comune; fu la rigida
ortodossia instaurata con il Concilio di Trento (1545-1563) che finì per affermare che solo dopo il
matrimonio si potesse coabitare legittimamente. In mancanza dell‟ATTESTATO
PARROCCHIALE DOI MATRIMONIO si rischiava la denuncia e la carcerazione e la donna era
sempre esposta all‟accusa di meretricio non autorizzato.
Questo è lo STATIO CONFESSIONALE che ha il compito dei difendere e di favorire la
penetrazione di una confessione religiosa lasciando mano libera all‟inquisizione; fu questo il clima
che favorì il conformismo e il perbenismo non solo nei paesi cattolici ma in quelli protestanti.
Quindi, con l‟età moderna andò delineandosi una politica di disciplinamento sociale,
attraverso momenti associativi, favorita da una infinità di confraternite, corporazioni, ospedali.
Cooperando con la chiesa lo Stato tentava di reprimere ogni comportamento che non fosse
conforme alla condotta del buon cristiano.
Si perfezionò dunque una legislazione di polizia, molto forte in Francia e in Germania, con
norme riguardanti la bestemmia, la prostituzione, il modo di vestire, la partecipazione alle
cerimonie religiose, ma anche una sorta di diritto amministrativo, riguardante la organizzazione
delle comunità locali.
Un altro aspetto della giustizia di antico regime fu la convinzione che si dovesse prevedere
l‟estrema durezza delle pene, anche se spesso si era incapaci di applicarle, un po‟ perché l‟apparato
pubblico di polizia era modesto (cmq più alto i quello medievale) e un po‟ per la dilagante
corruzione dell‟apparato giudiziario; ma questa durezza repressiva aveva anche la funzione di
sottolineare l‟indispensabilità della grazia del principe. Questi accoglieva le frequenti richieste di
grazia avvolte per puro esercizio del potere “grazioso”, avvolte perché richieste da famiglie vicine o
da legare a se. L‟esercizio del potere grazioso gli faceva acquisire consenso tra i sudditi e il popolo
diceva il sovrano è misericordioso mentre i (suoi) sbirri sono i veri cattivi e corrotti. Un residuo è
rinvenibile nel potere di grazia del Presidente della Repubblica.
Altra caratteristica del sistema giudiziario di ancien regime è che, qualunque processo,
poteva essere avocato dal Governo o dai suoi uffici non giudiziari, che potevano togliere la causa al
giudice “naturale”. Il sovrano e i suoi ufficiali erano ritenuti giudici provvidi.
Uno dei tanti motivi che generò leggi severissime fu la diffusione del banditismo ad opera di
bande di ribelli popolari spesso capitanati da nobili, esistenti soprattutto in zone feudali, montane
boscose e/o di confine. L‟attività di queste bande era alimentata dal contrabbando, classico reato
dell‟età moderna, favorito dal fatto che lo Stato imponeva tasse sui beni di prima necessità (il sale)
imponendo avvolte l‟acquisto coatto di determinate quantità ad ogni famiglia.
Poche forze erano impegnate contro questi crimini,. Fino al settecento gli apparati di polizia
furono modestissimi, solo alla fine del secolo si ebbero veri e propri apparati repressivi. Prima
l‟azione contro i crimini era in buona parte nelle mani degli stessi abitanti dei quartieri delle
circoscrizioni cittadine o dei villaggi, che avevano l‟obbligo di denunciare tutto quel che avveniva
sul loro territorio per questo esistevano i sindaci (cariche gratuite e a rotazione tra gli abitanti)
deputati a denunciare i crimini che avvenivano nell‟area. Se omettevano di denunciare la
responsabilità ricadeva anche sull‟intera collettività che veniva punita con pene di vario genere: è la
c.d. responsabilità oggettiva, cioè indipendente dalla materiale commissione del fatto. L‟altro
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strumento che evitata di dover disporre di ingenti forze di polizia era la legislazione premiale. Il
pentitismo dunque era incoraggiato.
Un‟altra caratteristica dello stato dell‟età moderna è che il più delle volte venivano attribuite
agli uffici varie competenze: mancava una divisione vera di e esse in base al principio della
separazione dei poteri, per cui un ufficio una volta istituito curava tutti gli aspetti gestionali e
giudiziari in quel campo (es. Corte della Sommaria napoletana, uffici dell‟Abbondanza). Si pensava
che avere unificato presso un ufficio tutti i compiti agevolasse il lavoro; per una questione di
risparmio e per una esigenza di efficienza si giungeva all‟accentramento dei poteri, il che
alimentava la corruzione.
Ciò non toglie che vi erano eccezionali barlumi di divisione dei poteri: pensiamo alle rote,
non rispondono all‟esigenza della separazione del potere giudiziario da ogni altro potere? Cmq sia è
certo che, la complessità dei meccanismi, amministrativi, giurisdizionali e politici esistenti
alimentava una litigiosità intensissima, che sosteneva un corpo di pratici del diritto enorme, a sua
volta necessario per districarsi nel complessissimo sistema giuridico fatto di fonti stratificate e
intrecciate tra loro.
Famosa fra tutte la situazione di Napoli dove i “togati” (giudici delle innumerevoli corti o
amministratori nei molti organi di governo del regno), rappresentarono un ceto molto importante,
con una propria ideologia civile, sulla quale più volte è ritornato con i suoi scritti Raffaele Ajello
dell‟università di Napoli. Essi hanno dimostrato che i giuristi sono stati il ceto eminente a Napoli,
tenuto conto che la nobiltà vista con sospetto dagli spagnoli fu ridotta in condizione di non nuocere
politicamente mediante incombenze onorifiche e/o concessioni di feudi. Invece il ceto dei giuristi fu
quello che consentì alla grande macchina amministrativa di funzionare, acquisendo anche una
grande consapevolezza di categoria, perché: 1) alimentò l‟idea dello Stato con suoi propri diritti
anche nei confronti della chiesa alimentando nel „700 duri conflitti giurisdizionale e 2) coltivò i
rapporti con la cultura europea, in particolare spagnola francese e olandese, importanti idee e
modelli.
2. La legislazione statale e la consolidazione degli statuti cittadini
Quanto all‟opera legislativa degli Stati in Età moderna,non si può generalizzare, perché si
hanno casi molto diversi.
Soltanto a partire dal „400, i Re francesi, ad esempio, cominciarono ad emettere
frequentemente le loro leggi (Ordonnances). Una importante del primo „500 ed esempio fu l‟ampia
legge di diritto processuale che tentò di organizzare la procedura.
Per l‟Impero, a parte le leggi delle città, è da ricordare la Costituzione criminale Carolina
del 1532, emanata dall‟imperatore Carlo V. essa è importante perché è una sorta di condensato della
dottrina di diritto comune, con cui l‟Imperatore cercò di dare un diritto penale comune all‟Impero.
Si tratta di un provvedimento che riflette bene la situazione di debolezza politica dell‟Impero
persino in Germania. Infatti la Carolina non fu un diritto direttamente applicabile che si imponeva
automaticamente, ma solo un diritto sussidiario che l‟Imperatore emanava per modernizzare il
Paese.
La Carolina fu dunque una sorta di “legge quadro” che i singoli stati potevano recepire o
meno, un po‟ come fu per il diritto comune recepito dal Tribunale camerale – un modello però
presto seguito.
In Italia importanti furono le Nuove Costituzioni del Dominio di Milano. Esse furono
emanate dallo stesso Carlo V nella sua nuova veste di Duca di Milano, mettendo fine alla
dominazione francese. Si trattò di un complesso ricco di norme estese all‟intero Ducato di Milano,
che si sovrapponevano agli Statuti, acquisendo efficacia diretta sul tutto il territorio e destinate a
rimanere in vigore fino alle riforme austriache del „700. si disciplinavano anche le prerogative del
Senato di Milano.
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Ugualmente importanti ,dopo le riforme del 1533, i Nuovi ordini di Emanuele Filiberto per
il Principato piemontese emanati nel 1561, nuovi per la vastità della normativa e per essere espressi
in volgare.
Per il resto abbiamo per lo più soltanto delle riedizioni a stampa di legislazioni precedenti.
In particolare si ricordano le “Costituzioni di Santa Madre Chiesa” , fatte nel secondo „300. ora (nel
„500), sono pubblicate a stampa con le addizioni Carpensi, cioè le aggiunte del Cardinale da Carpi,
arricchite anche da la “glossa” (nata nella pratica) di Gasparre Cavallini.
Si aveva quindi una situazione delle fonti molto complessa in questi territori, perché in
primo luogo c‟erano le Bolle papali promanate direttamente dal Papa Sovrano, poi gli Statuti locali
che continuavano ad avere vigore anche in età moderna, e poi, prima di ricorrere al diritto comune,
si doveva cerca di la norma adatta per il caso nelle Costituzioni Egidiane che erano un po‟ il diritto
comune regionale nelle Marche.
Questo tipo di situazione è generale nell‟età moderna. Lo Stato cosiddetto moderno è
incapace di unificare dal punto di vista giuridico il territorio, e perciò si può parlare anche di
“particolarismo territoriale”. Ci sono soltanto alcuni complessi normativi nuovi o vecchi che
assumono un‟efficacia più ampia.
Ad esempio è una novità che lo Statuto della città dominante divenga diritto comune in tutto
il territorio ad essa sottoposto, come ad esempio lo Statuto della città di Firenze che viene a supplire
gli statuti di Pisa, Arezzo, Pistoia, etc. Altro fatto interessante relativo agli statuti è che essi si
consolidano, tentando a non avere più riformulazioni. Mentre nel Medioevo gli statuti venivano
riformulati con frequenza, ora ci sono delle riforme settoriali, ad esempio nella loro messa in
stampa nel secolo XV e XVI.
Fa eccezione alla stampa quello di Firenze del 1415, rimasto in parte in vigore per tutta l‟età
Moderna, circolando in manoscritto, per poi essere pubblicato alla fine del „700. un‟altra eccezione
è lo statuto di Siena.
Una particolarità di questi statuti può essere considerata il fatto che fossero scritti in latino, a
differenza di quelli trecenteschi che, quantomeno per quelli di Siena, erano anche in volgarizzati. Il
fatto che gli ultimi statuti non fossero tradotti, dimostra la chiusura sociale che era in corso, nel
senso che si andava superando il clima popolare dei Comuni e si affermavano le oligarchie culturali,
locali con un ethos culturale.
Il fatto pio che queste norme statutarie non venissero non venissero riformate, è un‟altro
indizio della crisi in cui era entrata l‟Italia nel corso del XVII secolo, nel senso che si assiste un po‟
ovunque alla generale stagnazione sociale ed economica che rimarrà fino al 1700per certe aree,
anche dopo per altre fino all‟inizio dell‟industrializzazione.
L‟Italia risente più degli altri della crisi perché non ha rapporti coloniali con le terre di nuova
scoperta, non avendo così un fortissimo sviluppo economico.
3. La cameralistica e il diritto pubblico.
Diversi sono gli aspetti che contribuito a delinearlo Stato Moderno.
Sul piano dell‟impegno di ricerca va senz‟altro riconosciuto un certo spazio alla scienza
detta “cameralistica”. Essa indicò la scienza dell‟amministrazione del patrimonio pubblico (fisco,
finanze, etc.), quasi una sorta di scienza dell‟amministrazione: la “Camera” era tradizionalmente
l‟amministrazione del patrimonio dello Stato.
In questa materia primeggiarono i tedeschi a partire dal „600, con Università (spesso di
nuova fondazione) in piena ascesa, perché favorite dalla maggior indipendenza dei singoli Principi
territoriali per effetto di Westfalia.
Questi studiosi esponevano i principi migliori per una migliore amministrazione dello Stato,
consigliando la preparazione di determinati sondaggi statistici, i vari interventi di legislazione
amministrativa, etc. Tutto era finalizzato a trarre maggior profitto per le finanze dello Stato.
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Sempre in Germania, collegata a questi studi, si sviluppò la scienza del diritto pubblico.
Questo sviluppo scientifico si giustifica tenendo conto della multiforme della realtà politica della
Germania di allora. C‟era una moltitudine di Stati e città libere che giustificarono gli studi, anche
storici, per una teorizzazione dei loro rapporti e delle loro istituzioni. Inoltre era molto sentito il
dibattito culturale fra cattolici e protestanti, che dava un forte stimolo per gli studi teologici e le
ricerche storiche – un po‟ come avveniva in Francia da parte dei grandi giuristi del Moss gallicus.
L‟Italia rimase fuori Dl dibattito, adagiata sul suo radicato cattolicesimo e sulle salde
tradizioni del mos italicus, che mal si conciliavano con questi nuovi indirizzi scientifici tedeschi –
che peraltro coesistevano con una giurisprudenza molto tradizionale. Si parla infatti di Usus
modernus Pandectarum per indicare come nelle Facoltà di Giurisprudenza tedesche proseguisse la
tendenza già italiana ad attualizzare il patrimonio giuridico comune ereditato con la recezione.
4. La “ragion di Stato”.
È una espressione nata nel „500 per indicare l‟interesse dello Stato come criterio di
valutazione dell‟azione politica (letteralmente la “ragione” è il “diritto” in volgare italiano antico).
Giovanni Botero, un gesuita che si spogliò dell‟abito per divenire Consigliere dei Savoia, nel 1589
scrisse un‟opera intitolata “La Ragion di Stato”, inaugurando un nuovo filone letterario e
trattatistico destinato ad avere grande fortuna in Europa. I temi trattati riguardavano il governo di un
Paese e le virtù di un buon Principe cristiano, con un linguaggio accessibile al grande pubblico.
Sono opere con cui si proseguono i medievali manuali del buon Principe Specula Principium.
Questo indirizzo dottrinale si proclamava in netta contrasto con le posizioni del Machiavelli,
finito all‟Indice perché ritenuto retico anticristo (avrebbe sostenuto che “il fine giustificava i mezzi
e condannava lo Stato pontificio), ma finì per dar prova di un sano realismo molto machiavelliano.
Pensiamo a Botero quando assegna alla religione un ruolo preminente: “tra tutte le leggi non
ve ne è di più favorevoli a‟ prencipi, che la cristiana; perché sottomette loro, non solamente i corpi,
ma anche l‟amina e la coscienza”.
A parte il realismo, quello che queste opere vogliono combattere è il ricordo della politica di
un tempo, del libero gioco politico che ancora si svolgeva nelle Repubbliche. La dottrina della
ragion di Stato indica che, piuttosto che discutere di politica bisogna affidarsi ad un Principe
prudente, che abbia la virtù del buon Governante e che bisogna accreditarsi a Corte presso di lui.
La funzione generale della letteratura sulla ragion di Stato può dunque riassumersi in quella
di attuare un compromessio tra le ragioni della politica e le regioni della morale. Per questa via il
termine Ragion di Stato” passo a designare invece l‟intervento eccezionale motivato dalle necessità
di Stato: ad esempio, il segreto sulle trattative diplomatiche viene giustificato appunto con la
Ragion di Stato, cioè con l‟esigenza di salvaguardare la suprema Istituzione pubblica.
5. Esperienze repubblicane
Vediamo come si giunse a questo tipo di letteratura in Italia.
L‟età moderna si caratterizza, dal punto di vista della struttura, della costituzione degli Stati,
per una bipolarità: da un lato permangono esperienze di tipo repubblicano, per lo più in crisi o
estinte, dall‟altro molte esperienze monarchiche, in ascesa.
Lo studio di questo bipolarismo, permette di capire come si è evoluto il diritto pubblico, in
particolare il diritto costituzionale, e come si è arrivati al fenomeno della redazione di costituzioni
scritte. All‟origine di questi eventi ci sono esperienze molto diverse.
Ne sono esempi le città – stato medievali italiane, le città mercantili delle Fiandre e le città
libere tedesche. In esse si instaurò un tipo di governo collegiale, repubblicano, perché ad esse restò
estranea la figura del Princeps, poi variamente denominato: Re, Duca, Conte, etc.
Esemplari sono appunto gli statuti, una parte dei quali riguarda l‟organizzazione degli uffici
dei Comuni e le loro competenze, cioè i poteri. L‟idea dunque che fosse necessaria la redazione di
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regole scritte che dovessero reggere il gioco politico non è nata due secoli fa (può farsi risalire al
mondo greco – romano, anche se trovò concretezza nel basso medioevo), ma è molto più antica.
Lo statuto cittadino era la raccolta fondamentale della legislazione locale, non esaustiva
perché le leggine ne rimanevano fuori. In esso però c‟erano molte norme che riguardavano molti
settori che noi oggi diremmo di diritto pubblico, amministrativo, di procedura civile e criminale e di
diritto penale. Non erano raccolte omogenee, ne esaustive di diritto, daco che presupponevano
sempre e comunque il diritto comune, ma c‟erano norme che potrebbero definirsi di diritto
costituzionale, specie quando si trattava di comuni che erano città – stato indipendenti. Coloro che
poi controllavano e avevano la gestione della vita politica e ne avevano la direzione, erano i cives;
la partecipazione poteva essere più o meno ampia, ma comunque il rapporto tra chi era ammesso al
governo era paritario e regolato da norme di regola accolti negli statuti.
Tra gli autori di opere politiche nate in clima repubblicano, il più influente fu senz‟altro, a
livello europeo, il fiorentino Niccolò Machiavelli con il suo Principe. Le sue riflessioni nacquero
come conseguenza della crisi istituzionale repubblicana fiorentina. Egli conosceva bene sia le
modalità di funzionamento delle Istituzioni, che i meccanismi della politica e li descrisse. Siamo
alle origini di una scienza della politica come scienza del potere Tout Court, cioè senza
condizionamenti ideologici (e perciò gli scrittori della Ragion di Stato gli si opponevano).
Altro importante autore fiorentino fu Donato Giannoti, che scrisse, dopo il crollo della
Repubblica, un opera intitolata La Repubblica Fiorentina, un‟altra sulla Repubblica veneziana e un
discorso per riordinare la Repubblica di Siena, in cui distingue le leggi in due specie: quelle
universali ed essenziali, da cui dipende la stessa Repubblica (leggi costituzionali) e quelle
particolari ed accidentali che servono al benessere dello Stato. Dove le prime sono bene ordinate, le
altre saranno senz‟altro ottimamente regolate.
Ma più che sul piano culturale, il pensiero repubblicano in età moderna fu difeso con alcune
esperienze concrete. Pensiamo soprattutto a Venezia, Svizzera e Paesi Bassi.
6. Venezia, un caso particolare.
Venezia, oltre ad essere un‟importante Repubblica, costituì un‟eccezione all‟interno del
sistema di diritto comune europeo. A partire dal „200 essa ebbe propri statuti e dal „300 iniziò anche
a raccogliere le proprie consuetudini. Ma quel che le fu peculiare è che essa non riconobbe mai
un‟autorità e un posto ufficiale al diritto romano. Venezia si riteneva infatti autonoma indipendente
dall‟Impero, perché era sorta su stili che erano da considerarsi res nullis: dall‟affermazione di
indipendenza, al trattato di Campo formio, con cui si decretò la fine della Repubblica veneziana,
discendeva negli statuti veneziani una gerarchia delle fonti che prevedeva, in primo luogo, che
dovessero essere applicati gli statuti, se ciò non bastava si doveva fare ricorso alle consuetudini e, in
ultima istanza, l‟Arbitrium giudicis con cui il giudice doveva giudicare secondo equità.
Il diritto romano non era dunque minimamente contemplato nella gerarchia delle fonti,
anche se può essere stato alla base di tanti istituti del diritto veneziano.
Le conseguenze di questa eccezione furono disparate. Ad esempio, i giudici a Venezia non
era forestieri come imponeva la tradizione comunale, ma apparteneva al ceto nobile locale. Gli
stessi avvocato non si erano formati sul diritto romano e non occorreva dunque che fossero
addottati. Venezia, infatti, già dal „200 aveva delineato la propria classe dirigente redigendo un
Libro D‟Oro con l‟elenco delle famiglie da ritenersi nobili e che quindi avevano diritto alla
partecipazione politica e quindi accesso alle cariche pubbliche (c.d. serrata del maggior Consiglio).
Negli altri Comuni, la partecipazione politica fu motivo dei frequenti conflitti interni di
natura politica. La classe dirigente comunale poi, poteva essere composta da ceti non nobiliari, anzi
prevalsero i c.d. governi del Popolo, che escludevano ufficialmente la nobiltà dal governo.
Poi i giudici veneziano non erano dotti e, in ragione di ciò, si formarono all‟interno della
Repubblica, organi giudicanti collegiali. Tali erano appunto le due Quarantie, Civil e Criminal, cosi
dette perché erano formate da 40 membri, nobili veneziani di regola privi di specifica competenza
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in materia di diritto. Il processo era, proprio per questo, orale: non veniva redatto alcun verbale
tecnico da sottoporre ai giudici, perché essi non erano dei tecnici da convincere sul piano tecnico.
L‟ampia nobiltà veneziana aveva la direzione di ogni settore della vita pubblica, dalla politica, alla
giustizia, all‟economia; i nobili veneziani, oltre che ricoprire le principali cariche istituzionali, erano
mercanti e avevano nelle loro mani le fila della politica del Paese.
Nonostante tutto questo (o per questo), il sistema veneziano risultò sostanzialmente stabile,
probabilmente grazie ad un complesso sistema di bilanciamenti tra i poteri dei vari organi della
Repubblica cui dette vita. Importante a tal riguardo era l‟ufficio degli Inquisitori di Stato, incaricato
di vigilare ed assicurare il buon funzionamento degli organi della Repubblica e che nessun ufficiale
divulgasse segreti di Stato.
Coloro che erano esclusi dalla direzione politica, ed erano tanti, solo perché nobili di nascita,
avevano comunque accesso agli uffici come segretari o collaboratori, e poterono così sentirsi
partecipi delle vicende dello Stato
Venezia inoltre si guardò bene dall‟estendere tale organizzazione ai territori caduti sotto il
suo dominio (Padova, Vicenza, Treviso e Verona). Essi conservarono, pur dovendo rinunciare alla
loro indipendenza, un ordinamento largamente autonomo grazie ai soliti Capitoli stipulati al
momento della resa e inglobamento entro la Repubblica.
Durante tutto il „500 Venezia, in ragione di questa indipendenza e dei continui scambi
culturali, sviluppo una politica relativamente “tollerante”. Lo stesso Giordano Bruno vi trovò
rifugio e, se non fosse stato per il tradimento del suo protettore veneziano, non sarebbe finito nelle
mani dell‟inquisizione a Roma, che lo spedì al rogo nel 1600 a Campo dei Fiori. Venezia sostenne i
propri diritti statali con fermezza nei confronti dell‟Impero della Chiesa.
Agli inizi del „600, si arrivò persino all‟incriminazione di due sacerdoti delinquenti da parte
delle autorità veneziane, che costò alla città l‟Interdetto papale e una grossa crisi del rapporto con il
papato.
L‟interdetto dette luogo ad una vertenza, in cui i diritti della Repubblica di Venezia furono
efficacemente difesi da Paolo Sarpi, un frate servita, teologo e giurista che operò in un periodo in
cui vi era un forte dispiegarsi di pratiche inquisitorie e di pretese ecclesiastiche nei confronti dello
Stato. Sarpi fece vari consulti nei quali contestava le posizioni papali, tanto che qualche tempo dopo
fu scomunicato e alcuni frati attentarono alla sua vita. Professore di teologia e filosofia, scrittore
anche di una importante e coraggiosa “Storia del Concilio tridentino” (1619), da fine „500 era a
contatto con la curia romana. All'inizio del 1600 il Senato di Venezia lo aveva proposto al Papa per
una nomina a Vescovo, ma il Papa rifiutò la nomina, motivando che egli era sospettato di eresia.
7. Esperienze monarchiche
Abbiamo visto il contrattualismo sviluppatosi in ambiente repubblicano e lo vedremo meglio
per i Paesi Bassi.
Ma adesso va chiarito che esso fu inizialmente, fortemente e naturalmente, collegato
piuttosto con il sistema monarchico nella sua fase feudale. In Inghilterra ad esempio, la monarchia
si resse grazie alle concessioni feudali che il Re fece alla nobiltà che aveva collaborato alla
conquista.
Così pure accadde ai Normanni di Sicilia. Nelle esperienze monarchiche fu presente, sin dal
medioevo, questa bilateralità che vedeva contrapposti il Sovrano concedente il feudo da un lato ai
suoi “vassi" feudatari dall‟atro, che gli rimanevano fedeli in cambio di protezione.
Il rapporto non era rigorosamente paritario, ma tuttavia contrattuale: si dava per ricevere
qualcosa.
Ed è quello che avviene anche nel Papato: i Cardinali sono tutti uguali finché non viene
prescelto il Papa, subito innalzato al di sopra tutti su precise norme costituzionali. La Chiesa infatti
deve essere considerata un sistema istituzionale da includere nelle esperienze monarchiche.
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Il Conciliarismo avrebbe voluto trasformare il Papato in una Monarchia parlamentare,
perché secondo i decreti conciliari il Papato avrebbe dovuto servirsi dei Concili per stabilire le linee
portanti della propria politica. In realtà invece, di diritto e di fatto la chiesa a partire dalla metà del
„400, la Chiesa si organizzò in senso sempre più assolutistico, riconoscendo pieni e incondizionati
poteri solo al Pontefice. Già da quel periodo si può parlare della Chiesa come di una istituzione con
una Costituzione non scritta in senso moderno, perché non c‟era un testo unico con i poteri di Papa,
Cardinali, etc, ma c‟erano fin d‟allora norme scritte e non scritte che disciplinavano
l‟organizzazione dei poteri all‟interno dell‟istituzione.
Inghilterra e Francia erano molto più simili nel corso del „500 che non a fine „600. Entrambe
nel „500, erano monarchie in cui il Sovrano si serviva della collaborazione di organi che noi oggi
chiamiamo Parlamenti.
In Francia si chiamavano Stati Generali; in Inghilterra il termine “parliament” comprendeva
sia la “House of Lord”, sia la camera dei Comuni.
Ebbene in entrambi i paesi la monarchia passò momenti terribili di crisi nel „600, in
particolare a metà secolo. Fu comunque un periodo incandescente anche altrove: a Napoli ci fu
addirittura con Masaniello una rivolta antispagnola che evocò il modello repubblicano.
Le due monarchie uscirono tuttavia dalla crisi in modo diverso. Mentre l‟Inghilterra si avviò
verso la gloriosa rivoluzione e divenne certamente una monarchia costituzionale, la Francia s‟avviò
solo allora, sotto il lungo regno di Luigi XIV, a qualificarsi un baluardo dell‟assolutismo.
8. La Francia.
La Francia non ebbe uno sviluppo costituzionale, in età moderna, come l‟Inghilterra.
Nel secondo „500 il Paese fu bloccato da terribili guerre di religione tra Cattolici e
Calvinistiche condusse nel1572 alla strage “ della notte di S:Bartolomeo”. I cattolici con i Guisa
erano appoggiati dalla Spagna e dal Papa.
Enrico di Borbone si convertì al cattolicesimo e divenne Re Enrico IV, acquistando la
fiducia dei borghesi nell‟amministrazione, e continuando la pratica della vendita della cariche
pubbliche, come quella di membro del Parlamento di Parigi o dei Parlamenti provinciali, che
permetteva l‟accesso alla “nobiltà di toga”.
Ma anche Enrico IV fu ucciso per mano di un fanatico cattolico nel 1610, e la nobiltà intese
riprendere il controllo chiedendo la convocazione degli stati generali, ove chiese l‟abolizione della
compravendita e dell‟ereditarietà delle cariche pubbliche. Dal 1614 gli stati generali non furono più
riuniti fino al fatidico 1789 (rivoluzione francese) perché dal 1624 prese avvio l‟assolutismo di
Luigi VIII, con Richelieu consigliere. Nel 1628 le truppe di Richelieu espugnarono il porto
fortificato di La Rochelle, ultima roccaforte degli Ugonotti.
L‟Assolutismo raggiunse il suo apice in Francia sotto il regno di Luigi XIV detto il Re Sole.
Tra gli aspetti del suo assolutismo, sono da sottolineare:
- non aver più convocato gli stati generali;
- aver piegato i Parlamenti obbligandoli ad applicare immediatamente gli Editti Regi senza
esercitare il paralizzante potere di Remontrance, di rimostranza;
- aver controllato autoritativamente tutto il territorio per mezzo di Commissari ed Intendenti;
- aver revocato nel 1685 l‟editto di Nantes che garantiva la libertà di culto agli ugonotti, che
comportò il trionfo del cattolicesimo in Francia, provocando la fuga di molti ugonotti
(anche giuristi) verso l‟Olanda e la Germania;
- aver parallelamente dichiarato” nel 1682 solennemente le libertà gallicane, nel senso di
consuetudini, cioè privilegi, della chiesa francese vista come chiesa nazionale organizzata
autonomamente da Roma, che negavano anche il primato del Papa sul Concilio;
- aver combattuto il Giansenismo per uniformare in modo univoco e ferreo sotto il
cattolicesimo il proprio paese;
- aver proceduto ad unificare il diritto nazionale in certi rami: per quanto riguardava il
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commercio, il diritto marittimo, il processo civile e il diritto la procedura penale con due
grandi Ordonnances. Si tratta della Ordonnance civile pour la rèformation de la justice e di
quella criminale: Ordonnance criminel dette Code Louis.
- aver introdotto l‟insegnamento del diritto francese nella università, ponendo fine al
tradizionale primato esclusivo del Corpus iuris civilis.
Le grandi possibilità acquisite da Luigi XIV fecero scuola per tutto il secolo negli
ordinamenti monarchici, indicando ai principi che la via del rafforzamento alla monarchia passava
attraverso “grandi riforme razionalizzatrici e centralizzatrici”. Se si vuole conseguire la “pubblica
felicità”, il “ben comune”, come si disse più frequentemente, bisognava esercitare un potere centrale
tendenzialmente assoluto.
9. L‟ Impero e la Germania.
Già dalla metà del trecento fu chiaro che l‟Impero non poteva certo svilupparsi verso una
monarchia assoluta. L‟Imperatore doveva essere eletto dai principi elettori secondo le procedure
fissate dalla Carta Costituzionale nota come “Bolla d‟oro”. Tali Principi erano i Duchi di Sass0nia,
del Brandeburgo e del Palatinato, il Re di Boemia, i Vescovi di Magonza, Colonia e Treviri. Non si
era cioè riusciti ad affermare l‟ereditarietà della corona – come avrebbero voluto ad Asburgo – e
l‟imperatore dipendeva sempre da coloro che lo avevano eletto. Un altro tentativo di trasformare la
caria di Asburgo lo fecero ai primi del „600, ma finì per divamparne la terribile guerra dei trent'anni.
Allora un Asburgo fece temere in Boemia di andare verso un intollerante predominio
cattolico, insopportabile in un paese che dal 1602 conosceva la libertà di culto; ne derivò una serie
di eventi drammatici e la guerra che finì per coinvolgere tutta Europa con la “pace di Westfalia”
(1648), gli Asburgo, che governarono il Sacro Romano Impero fino alla sua estinzione del 1806, si
trovarono a dover riconoscere ufficialmente tutta un serie di competenze ai Lander, il Duca di
Baviera in ascesa, acquisì allora il diritto elettorale per l‟Impero.
La Dieta poté deliberare da allora solo all‟unanimità, e con ciò l‟Imperatore fu imbalsamato.
Anche per quanto riguarda l‟Impero quindi non si può parlare di una carta Costituzionale
come la intendiamo noi oggi.
10. La stagnazione nobiliare italiana: religione, politica e diritto.
L‟Italia del „500 non solo subì l‟impatto pesante della Chiesa rinnovata a Trento, ma dovette
anche scontare un pesante ritardo politico, che determinò una forte preponderanza straniera, in
particolare Spagnola. Dopo la fondamentale pace di Cateau Cambrèsis del 1559, divennero domini
diretti della Corona spagnola Napoli, Palermo e Milano, e un forte influsso spagnolo subirono pure i
governi di Firenze e Genova.
Preponderanza straniera che non impedì anche qui una relativa modernizzazione degli stati
esistenti, che significò soprattutto semplificazione del quadro politico e avvento o consolidamento
di governi principeschi o repubblicani oligarchici.
Dal primo punto di vista si tratta di sottolineare la fine delle Repubbliche di Firenze e di
Siena, che segnarono con l‟avvento della nuova dinastia ducale (e Granducale dei Medici la fine di
due importanti esperienze comunali tardo medievali. Venezia, Genova e la debole Lucca rimasero
sole a rappresentare il grande passato repubblicano italiano, si parla di loro come di “Repubbliche
aristocratiche”.
Nel secondo comparato va ricordato l‟ampliamento dello Stato Pontificio, l0irrobustimento
dei Savoia, dei Farnese e dei Gonzaga che erano una società artigiana, che tenta di cancellare il
ricordo della grande esperienza comunale. Certo, a Venezia, c‟era una dialettica politica ancora
vivace, tuttavia ovunque si istituzionalizza un ceto tendenzialmente molto omogeneo di nobili che,
con sovrano o meno, controlla il potere politico, economico ed ecclesiastico.
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Mentre nel basso medioevo i populus aveva acquisito l‟accesso alla sfera di governo, con
l‟età moderna rimangono in genere i nobili gli unici cittadini abilitati a partecipare alle assemblee: è
la cosiddetta “chiusura aristocratica” dei Comuni.
Dove non riuscì nel primo „500 la chiusura, le repubbliche, in cui i partiti continuarono a
lottare tra loro, caddero nelle mani dell‟uomo forte /Cosimo I dei Medici). Fu la faziosità dei partiti
che portò a questo esito autoritario. Nel momento in cui le Repubbliche di Firenze e di Siena
passarono nelle mani della famiglia dei Medici, si passò dal Governo dei Consigli ad un governo
del Principe.
Va per altro detto che questo fu un iter generale in Europa: un po‟ da tutte le parti con
l‟inizio dell‟età moderna, si ebbero chiusure nobiliari o principesche /Brema,
Francoforte,Norimberga, Amburgo, Augusta). Prevalse la cosiddetta 2ideologia nobiliare” vera
costante dell‟età moderna, faticosamente distrutta solo con la Rivoluzione francese.
L‟essenza di questa ideologia nobiliare, era che il governo di molti era un governo caotico: i
governi che funzionavano erano governi di pochi e quei pochi si tramandavano ereditariamente
l‟arte del governo. Ovunque per secoli la nobiltà mantenne, di generazione in generazione, i posti
chiave della vita pubblica protetta da speciali regole.
Si tratta di un ceto che ha spesso organi di rappresentanza 8come i parlamenti) e che gode di
una serie di privilegi che la fanno configurare anche giuridicamente come strato sociale a se. Essa
ha pene caratteristiche, privilegi fiscali, privilegi per l‟accesso a certe cariche o professioni, istituti
giuridici caratteristici come il maggiorascato e il fede commesso.
Sostituzioni fidecommessarie; il nobile disponeva dei propri beni con dei testamenti
elaboratisi, in cui faceva dei lasciti con delle sostituzioni successive: prima si nominava i figli da
privilegiare, poi si stabiliva che, se questi avessero esaurito la linea maschile della famiglia, sarebbe
stata ad esempio la Chiesa cattedrale ad ereditare, o un ospedale, e così via.
Si dava il caso, ad esempio, che fosse lasciato erede il primogenito con l' obbligo di
trasferire gran parte del patrimonio a sua volta al proprio primogenito, allo scopo di mantenere
integro il patrimonio familiare. Il fedecommesso con maggiorascato, in genere, comprendeva
almeno le terre più antiche della famiglia, il palazzo e le cappelle di patronato della famiglia.
L‟importanza di questi beni era fondamentale, perché venivano così sottratti alla libera circolazione.
I beni sottoposti a fedecommesso non potevano essere venduti dall‟erede, ne potevano essere
attaccati dal creditore. L‟erede poteva soltanto usare quei beni, ma non poteva farne altro.
La nobiltà aveva una propria cultura, con propri istituti caratteristici, come ancora il duello.
La Chiesa e Magistratura rimasero entro certi limiti, veicoli di promozione sociale per non nobili,
anche se il monopolio delle chiese locali e dei collegi professionali tese a ridurre questi spazi.
L‟accordo tra Chiesa e Stato e l‟onnipresenza della nobiltà configurarono una società estremamente
stabile che aveva un pluralismo istituzionale cui non corrispondeva certo un pluralismo culturale,
per cui si può parlare di società tendenzialmente omogenea, compatta, molto oppressiva, quasi
totalitaria.
L‟organizzazione giuridica dei ceti, salvo che di regola per la nobiltà, era prescritta la
antichità della casata, una ricchezza di base e, a un certo punto, un rapporto privilegiato con il
potere pubblico – era alle regole locali che bisognava far riferimento per ricostruire il profilo del
nobile. In particolare divenne importante requisito pressoché ovunque di non esercitare “arti vili”.
Ad esempio si arrivò persino a ritenere vile l‟attività di notaio – in quanto al servizio pagato del
cliente – come lo era normalmente quello di commerciante al minuto. Solo il mercante “vero”
poteva conservare il titolo, che poteva anche essere perduto in taluni ordinamenti.
Nello stagnante panorama italiano si ebbero altresì alcuni momenti di vivacità. Tra essi
spiccano gli anni 1647 – 48 del tentativo repubblicano di Masaniello a Napoli, che alimentò
l‟interesse dei dotti napoletani per la cultura olandese.
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11. Lo Stato forte: mercantilismo e colonialismo.
Nel „600 inizia in Europa un fenomeno di intervento attivo dello Stato nell‟economia
(mercantilismo), per favorire il commercio, l‟esportazione di beni e di conseguenza l‟importazione
di valuta.
Fino al „500 il diritto commerciale era stato gestito, in linea di massima, dagli stessi
mercanti (ma in Italia ci fu spesso anche la legge delle città). Successivamente la forte espansione
coloniale rese necessario l‟intervento dello stato per accrescere le ricchezze del Paese.
In Francia Luigi XIV emanò una Ordonnance du Commerce, che disciplinava
minuziosamente l‟attività del mercante ed i suoi rapporti con i privati. Il diritto commerciale diventa
quindi da diritto corporativo, a diritto statale.
Altra Ordonnance collegata a questa in Francia fu l‟Ordonnance de la marine, una specie di
codificazione del Diritto Marittimo.
Lo strumento dell‟intervento pubblico nell‟economia era stato già utilizzato: Si pensi alle
Compagnie Coloniali che ottennero il monopolio del commercio con certe aree, per favorire le
importazione e le esportazioni con il Paese d‟origine della Compagnia. Possiamo vedere un
antecedente delle compagnie coloniali nel Banco di San Giorgio, sorto a Genova del „300. Esso era
un‟associazione di creditori del Comune, che gestiva il credito pubblico.
Alcune Compagnie ebbero dalla Corona inglese il privilegio di occupare le zone del Nord
America. Erano colonie dirette di un Governatore del re o affidate ad una compagnia con una carta
di concessione (come la Virginia). Queste carte di concessione, che fissavano le norme
fondamentali per l‟esercizio del potere in quel territorio, finivano per essere delle piccole
costituzioni. Le funzioni delle colonie erano molte, oltre a quelle economiche già viste. In alcune
venivano condotte i carcerati per evitare che nuocessero nella madrepatria, in altre si rifugiavano i
perseguitati religiosi, etc.
È ciò che successe nel 1620 ai famosi “padri pellegrini”, perseguitati dalla chiesa
Anglicana, dopo essere emigrati in Olanda, intrapresero un viaggio in nave e sbarcarono nella baia
del Massachusetts dove fondarono Plymouth.
Interventi molto importanti del governo inglese in economia si ebbero con l‟Atto di
navigazione del 1651 che stabilì tra l‟altro che le merci europee con potevano essere trasportate in
Gran Bretagna se non con vascelli inglesi o del Paese di origine delle merci europee. Per le merci
provenienti dall‟America, dall‟Africa e dall‟Asia si potevano usare solo vascelli inglesi, con
capitano ed almeno un terzo dell‟equipaggio inglesi.
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Capitolo tre
Novità della giustizia:
I grandi Tribunali d’antico regime
1. Stagnazione con riforme.
Abbiamo visto gli sviluppi giuspubblicistici europei d‟Antico regime e abbiamo parlato di
stagnazione in Italia. Ma questa fu tendenziale, non generale. Ci furono settori investiti da novità.
LO Stato Pontificio, ad esempio, avviò un‟opera di modernizzazione nelle proprie strutture
prima impensabile, con una esaltazione della centralità di Roma, con il contenimento della
criminalità, anche nobiliare, l‟omogeneizzazione dei variegati territori compresi entro i propri
confini e così via.
Perciò, facendo tesoro dell‟opportunità indicata da Francesco Guicciardini nel “pensiero”
ricordato a suo tempo, si prestò attenzione alla riforma della giustizia, e quella civile risultò
fortemente privilegiata. Vediamo come.
2. Verso la giustizia del „500: unità o separazione dei poteri
Il sistema del diritto comune romano canonico e diritti locali continuò anche in età moderna.
Ma continuò anche il lavoro dottrinale collettivo che permise un progressivo adeguamento degli
istituti giuridici alle mutate condizioni socio politiche.
Sui problemi di stile, non era facile per le autorità pubbliche intervenire, dato che le
università avevano da secoli la loro “autonomia” didattica e, le modifiche isolate di un‟università
avrebbero avuto difficoltà ad essere gradite dal pubblico, spesso internazionale, degli studenti,
Comunque proprio dal „500 i principi e i governi cominciarono a introdurre delle differenziazioni
organizzative e didattiche “regionali”, prima assenti.
Dove invece il potere politico sentì presto la necessità di provvedere fu in tema di
amministrazione della giustizia, degli ordinamenti monarchici e di quelli cittadini “repubblicani”.
Nei primi le assemblee rappresentative dei principi avevano tradizionalmente anche competenze
giudiziarie superiori. Così le camere inglesi, che avevano la possibilità di interventi in cause di
interesse pubblico, sovrapponendosi alle corti ordinarie di Common law.
In Francia, invece, il più attenuato sviluppo parlamentare degli “stati generali” spiega come
a giustizia superiore si concentrasse in un organo che dipese direttamente dal Re e che dal 1300
operò con grande autorità in campo giudiziario: il Parlament de Paris, corte giudiziaria con giuristi
dotti e perciò tramite importante di diffusione di diritto comune.
Questo intrico aveva luogo perché il Re secondo le dottrine politiche del tempo doveva
assicurare la giustizia. La cosa comportava sia provvedimenti generali (leggi, ordinanze. Etc), sia
provvedimenti specifici che saranno ora privilegi per i fedeli, corporazioni o città, sia sentenze per
il caso singolo. C‟è unità di poteri. Detta e lamentata “mancanza di separazione” dei poteri. Ossia la
Iurisdictio, del potere politico era unitaria.
Anche nelle città italiane erano diffuse queste idee, ma in esse si ricorderà la presenza, dei
potestà, che dal „300 in poi concentrarono i poteri giudiziari ordinari, separando quindi la
“giurisdizione” dalla politica e dalla legislazione, compito dei governi e delle assemblee cittadine.
Tendenza che venne ereditata anche dalle Signorie e Principati del „400, perché in 3sse i
principi cominciarono ad istituire dei “Consigli di Giustizia”, specializzati nella trattazione delle
cause più importanti, distinti quindi dai consigli politici, che assistevano il principe nella decisione
delle questioni politiche.
Sono le premesse della nascita di molti tribunali della nuova età che modificò
l‟organizzazione dei tribunali medievali.
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3. L‟istituzione del Tribunale Camerale dell‟Impero e la recezione del diritto comune in Germania.
In Germania ebbe luogo un intervento importante, nel 1495, si formò il
Reichskammergericht, ossia il tribunale Camerale dell‟Impero, prevedendo tra i suoi membri che la
metà almeno fossero dottori laureati e solo per il restante giudici nobili. Poli una riforma della metà
del „500 prevederà che tutti i componenti fossero giudici professionali, di formazione dotta, per
regolare la situazione caotica che si era creata tra i vari domini interni all‟Impero e disciplinare i
conflitti tra sudditi e Sovrano, e tra i principi.
Il fatto più rilevante è che il diritto che si diceva dover essere applicato dai giudici era il
diritto comune, perché le consuetudini locali si potevano allegare solo provandone l‟esistenza, la
qual cosa non fu sempre facile: di qui un processo che ne provocò la decadenza.
Ciò comportò il fatto importantissimo per la storia giuridica tedesca della recezione ufficiale
del diritto comun in Germania con le interpretazioni dottrinali fino ad allora dati dai dottori.
Il Tribunale Camerale ebbe sede nella libera città di Francoforte. Esso infatti rappresentava
una istituzione giudicante neutrale ed autonoma, al contrario di quelle precedenti, molto legate alla
corte imperiale.
E‟ vero che già da tempo c‟erano i tribunali ecclesiastici in Germania che applicavano il
diritto canonico, e quindi anche il diritto romano; ed è vero che nel „400 molti giuristi tedeschi dotti
formatisi in Italia avevano diffuso consilia e trattati in Germania.
Ma nei tribunali dei vari territori statuali interni all‟impero (Lander) si applicavano ancora i
diritti consuetudinari e i giudici spesso non erano dotti (erano gli anziani del luogo esperti di
consuetudini: gli “scabini”).
È dunque solo con l‟istituzione del tribunale camerale che si ebbe la completa recezione del
diritto romano. Questo tribunale era lo strumento per superare le antiche consuetudini, fu infatti un
modello che presto si impose per i tribunali dei singoli Lander.
È per tale via che crebbe l‟importanza dei giuristi italiani in Germania, dove fu recepito il
Moss italicus e dove si stampavano, come a Francoforte o la vicina Basilea, soprattutto opere di
giuristi italiani.
Si precisò presto che, presso il tribunale, il diritto comune dovesse essere applicato secondo
il testo commentato dalla Glossa accursiana, ossia la “vulgata” del corpus iuris corrente nelle
Università. Perciò vennero trascurati i testi scoperti successivamente dagli umanisti e si affermò la
massima “ciò che non conosce la glossa non lo conoscere neppure la corte”.
Nel „550 infatti, sorsero molte nuove università in Germania ma molti studenti tedeschi
preferirono comunque venire a formasi direttamente in Italia. Per i tedeschi, molto sensibili anche al
richiamo della cultura umanistica si istituirono spesso anche delle cattedre in cui si insegnava il
puro testo, in cui, cioè, si spiegava direttamente ed esclusivamente il Corpus romanistico anziché gli
insegnamenti e le interpretazioni dei dottori come ad esempio Bartolo, Baldo ed il Tartagni.
In questo periodo inoltre alcuni giudici cominciarono a scrivere osservazioni sulla
giurisprudenza del tribunale camerale dell‟impero ed ebbero grande diffusione per la mancanza di
bollettini o decisioni autentiche che dessero il suo orientamento ufficiale giurisprudenziale.
Altro fattore di recezione del diritto comune in Germania fu la Spruchtatigkeit, ossia le
pronunce, i consigli ufficiali nelle cause, delle facoltà di giurisprudenza. Quando insorgevano dubbi
gravi, i giudici ne demandavano la soluzione ad una facoltà di giurisprudenza. Durante il „500 la
risposta consisteva in un consiglio, ma nel „600 erano le stesse facoltà che decidevano direttamente
le cause sottoposte loro.
La Germania divenne così un Paese di diritto comune. Non scomparve però del tutto il
patrimonio del diritto tedesco che venne applicato in un‟ottica romanistica e influenzato dalla
tradizione dottrinale italiana. A partire dal „600 si parla infatti per la Germania di un‟utilizzazione
“attualizzata” del Digesto, che tenesse conto anche della legislazione locale e delle nuove
interpretazioni dottrinali.
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L‟applicazione del diritto romano in Germania non fu all‟inizio scevra da problemi. Le
comunità contadine, che avevano beni collettivi, avvertirono il diritto comune come un diritto
straniero, imposto a tutela della proprietà individuale ed intravidero nel diritto di nuova recezione
un sopruso politico, uno strumento dei potenti teso a favorire lo sviluppo della proprietà privata.
Nel 1525 scoppiò la rivolta dei contadini, capeggiati da piccoli nobili, animati da sentimenti
religiosi anti cattolici e da rivendicazioni economiche in senso collettivista.
Assai diverse si presentavano perciò le situazioni tedesca e francese. In Germani a il diritto
comune divenne diritto vigente in tutto il Paese, rimanendo il diritto consuetudinario applicabile
esclusivamente su richiesta delle parti e solo se poteva essere provato ed allegato.
In Francia invece le consuetudini si consolidarono con la loro definitiva redazione scritta.
Proprio nel „500 le varie raccolte furono redatte per iscritto e sottoposte ad un processo di
modernizzazione. La più importante raccolta fu quella parigina (coutunes de Paris), perché
rappresenta la base dell‟unificazione del diritto consuetudinario francese.
In Francia il diritto romano, pur utilizzato per redigere le consuetudini, eppure essendo alla
base della tradizione giuridica meridionale, non ricevette mai una recezione ufficiale su modello
tedesco
4. Un altro modello giudiziario: la Rota fiorentina e l‟edizione delle Pandette fiorentine del 1553
Alla fine Quattrocento e ai primi del Cinquecento, quando era ancora una repubblica,
Firenze si caratterizzava per una grande partecipazione popolare al governo.
Un Altro retaggio della tradizione giuspubblicistica medievale erano i governi collegiali
repubblicani, che duravano in carica di regola solo da due a sei mesi e la cui alternanza causava la
mancanza di continuità dell‟azione di governo. Per di più c‟era il problema della iustizia civile che
premeva molto all‟elite fiorentina, perché il governo nel Quattrocento avevo spesso effettuato
interventi arbitrari nella sfera giudiziaria. Per sopperire a queste carenze e problemi, a Firenze
furono presi due provvedimenti che interessano direttamente la storia del diritto:
1) L‟istituzione del Gonfaloniere a vita, emulazione del Doge fiorentino. A Venezia infatti, per
risolvere i problemi di stabilità governativa vivissimi era stata creata, dal medioevo la carica
di Doge a durata vitalizia, ed era stata perfezionata una costituzione detta già allora “misra”,
in cui convivevano elementi monarchici e repubblicani.
Le altre cariche non erano vitalizie ma a rapida rotazione e limitavano i poteri del doge
dando largo spazio ad una larga elite che fu molto stabile sul tipo del senato romano.
2) L‟istituzione della Rota fiorentina, nel 1502. Fino a tale data la diarchia del Podestà e del
Capitano del Popolo si rifletteva nelle due relative corti, che si controllavano a vicenda. Esse
erano ricoperte da dirigenti forestieri, che dovevano essere “cavalieri” (cioè abituati al
comando militare, più che dottori), con una “condotta” di breve periodo (annuale), e
giungevano a Firenze con un seguito di giudici e notai che erano poi quelli che conducevano
li affari giudiziari.
L‟istituzione della Rota, detta inizialmente “Consiglio di giustizia” pose fine a questo tipo di
organizzazione. Essa fu un tribunale centrale formato da giudici Dotti in carica tre anni, in modo da
dare stabilità all‟amministrazione della giustizia.
Con una grossa novità: i giudici in molte situazioni legalmente previste ebbero l‟obbligo di
motivare le proprie decisioni. Esso per la sua importanza fa il paio con il principio della par
condicio già esaminata.
La motivazione della sentenza infatti, è stata ritenuta per tanto tempo una creazione
esclusiva del mondo contemporaneo, perché la sua introduzione veniva fatta risalire solo alla
rivoluzione francese.
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Le motivazioni dovevano quindi essere rese esplicite per ragioni di trasparenza del processo
nei confronti delle parti e del pubblico che poteva consultarle. Il bisofno di trasparenza erano
particolarmente avvertito allora, perché si erano moltiplicate le critiche di parzialità, in quinata
dall‟intervento dei politici.
Non è un caso che la Rot fiorentina inizialmente assumesse il nome di Consifglio di
giustizia. La necessità di motivare era un dato nuovo, che derogava chiaramente al diritto comune
che non prevedeva tale obbligo.
Fu un‟istituzione specifica di ius proprium fiorentino. Molti giuristi ritenevano inopportuno
dare le motivazioni, perché avrebbero fornito la possibilità alle parti di chiedere l‟annullamento
della sentenza una volta dimostrata l‟erroneità delle motivazioni addotte. I giudici podestarili
medievali infatti di solito evitavano di motivare le loro sentenze: il primo luogo perché essi erano
giudici monocratici, non avevano quindi da discutere con dei colleghi sulle ragioni della sentenza;
in secondo luogo la loro “condotta” era troppo breve perché venisse lo stimolo per registrare
l‟attività giurisprudenziale della corte.
Il rilievo della giurisprudenza dei tribunali è essenzialmente un fatto dell‟età moderna: La
conservazione delle decisioni rotali così solennemente prevista a Firenze fa comunque pensare che
con la decisione della rota si volesse costruire una specie arsenale pe4rmanente di motivazioni,
capace di mettere un punto fermo sui conflitti dottrinali. Scrivere la motivazi0ne di una sentenza
equivaleva infatti a mostrare quale opinio si preferiva su quella questione giuridica. Che la Rota le
registrasse poteva essere un modo per contribuire al formarsi di un patrimonio giurisprudenziale che
fosse di guida per il futuro.
Una maggio re durata della condotta e la conservazione delle motivazioni rotali creava una
certa continuità nell‟amministrazione della giustizia in modo di soddisfare quei maggiorenti che si
lamentavano dell‟incertezza della risoluzione delle cause interessanti il loro patrimonio: La ragione
politici dell‟obbligo di motivazione dei giudici della >Rota fiorentina consisteva non solo dunque
nell‟intento di conservare una magistratura autonoma rispetto ai mutamenti rep4nditi di potere ad
opera delle fazioni in lotta fra loro.
L‟altra grande novità della Rota risiedeva anche nella raccolta ufficiale delle motivazi9ni
delle sentenze per il pubblico le quali creavano una linea giurisprudenziale per la prassi forense
locale. E‟ interessante osservare come la ricerca di imparzialità e di certezza el diritto investisse
anche la giustizia penale: la Rota ebbe infatti in un primo tempo anche comptenze penalistiche che
le vennero tolte successivamente quando l‟obiettività del giudizio penale non interessò più di tanto
o comunque quando la repressione divenne un problema tanto pressante da non ptersi più trattare in
modo garantistico.
Fra i primi cinque giudici rotari di Firenze, in carica per tre anni, fu eletto Ludovico
Bolognini, illustre giurista e professore universitario, noto a Firenze è perchè aveva richiesto al
Poliziano un confronto testuale del Digetto la quale gli aveva consentito di chiarire una questione
intricatissima in materia di obbligazioni solidali. Ebbene, questa sua presenza fa notare la volontà
di inserire presenze più prestigiose e dotte nella magistratura.
La possibilità di consultazione da parte del pubblico forense comportò un‟ulteriore
diffusione della singola decisio, che poteva essere ricordata in successive cause in modo da
indirizzare i giudici nella prosecuzione dell‟indirizzo già seguito. L‟istituzione della Rota ebbe
come ulteriore conseguenza anche un inarrestabile declino dell‟uso dei consilia sapientis.
Si afferma cioè, un principio della giustizia moderna: quello che al giudice non si può ne si
deve chiedere di far accertare le questioni di diritto da un dotto esterno, perché si presume che lui
stesso in via assoluta ne sia a conoscenza.
Ma non è tutto. E‟ interessante anche notare che pur dopo la presa del potere nel 1530, i
Medici non eliminarono la motivazione. La riforma del 1532 toccò solo le procedure del tribunale.
Cosimo dei Mwdici fu anzi a favore da questa istituzione giudiziaria. Non solo: Probabilmente non
è neppure un caso che proprio dalla tipografia ufficiale medicea uscì l‟edizoione della littera
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fiorentina del Digesto, destinata ad alimentare discussioni sulla validità della littera bononiensis,
fonte primaria del diritto comune.
La pubblicazione della littera fiorentina dette infatti modo di riscontrare i molti errori
presenti nella vulgata del Digesto. Il tetto corrente nelle università, e consentì anche tutta una serie
di studi prima impensabili. Tra questi quelli che concludevano che, benché più fedele rispetto alla
litera bononiensis, anche la fiorentina non potesse essere considerata un manoscritto autentico,
originario, del Digesto. Comunque, la fiorentina divenne punto di riferimento indispensabile
d‟allora in poi.
Con questa operazione editoriale Cosimo acquistò un grande prestigio internazionale, dato
che si trattava della pubblicazione del più grande monumento giuridico di tutti i tempi. Entrambi gli
interventi muovevano oggettivamente contro il diritto comune come attualmente sistemato: l‟uno
contro la littera bononiensis, l‟altro contro le opiniones, i consilia sapientium e quindi l‟uno e l‟altro
contro il diritto romano come diritto vigente.
Perché? Perché Cosimo era fortemente intenzionato a porre in essere notevoli riforme in
Toscana, oltre che mantenere saldo il suo potere politico, e per entrambi gli scopi aveva bisogno di
legiferare esautorando così quanto più possibile il Corpus iuris.
5. Le altre Rote nell‟Italia centro settentrionale
La tendenza a supera l‟impasse del sistema del diritto comune non portò all‟abbandono della
giurisprudenza tradizionale: Non è un caso che molte istituzioni analoghe alla Rota fiorentina si
formarono in varie parti d‟Italia: a Siena nel 1504, negli anni trenta a Genova, Lucca, Perugia e
Bologna, nel 1545 a Parma, nel 1557 a Mantova, etc. Molte si badi, con forme di motivazioni della
sentenza su un tipo rotale fiorentina
Questa è la prova che i tempi erano ormai pronti per una riforma giudiziaria e che i tribunali
podestarili tradizionali non soddisfacevano le esigenze di imparzialità della giustizia. La Rota
nacque infatti dove si attraversava un periodo politico difficile o di transizione, in cui i cittadini
vigili e attenti alle sorti della loro comunità, si preoccupavano di dare una certezza
all‟amministrazione della giustizia. La Rota sorgeva dunque per curare i sintomi di un malessere,
ma anche come contrassegno della capacità del governo di dare risposte ai problemi esistenti.
Il nuovo tribunale rappresentava per queste città una garanzia di una giustizia sganciata dalle
vicende del potere politico.
Comunque va notato che solo con un certo ritardo vennero pubblicate le raccolte di queste
decisioni. In toscana solo da fine „500, con il risultato paradossale che la Rota di Siena motivava a
volte con rinvii alla giurisprudenza napoletana, facilmente accessibile perché a stampa, anziché alla
propria, da ritrovare nei registri d‟archivio.
A Genova invece si ebbe l‟importante raccolta intitolata Decisiones de mercatura (1582). La
Rota genovese aveva infatti eccezionalmente competenze in materia commerciale, oltre che civile, e
quest‟opera, per l‟interesse dei contenuti che raccoglieva, ebbe un‟enorme diffusione in tutta
Europa, così come contemporaneamente per altre materie circolavano con successo le decisiones
della Rota romana.
6. La Sacra Rota Romana e le funzioni della motivazione.
La Sacra Rota Romana è il più antico tribunale cattolico esistente ininterrottamente da ben
700 anni. Ad eccezione degli altri tribunali, la Rota non nasce infatti nell‟età moderna, ma la sua
origine risale al medio evo come i tribunali di Common law inglesi.
Istituita durante la permanenza del papato ad Avignone (1331), la Rota doveva occuparsi
degli affari giudiziari in ultima istanza per conto del Papa. Era costituita da membri detti uditori del
signor papa, e “uditori” si chiamarono anche i giudici delle Rote diverse della romana, che nello
stesso secolo iniziarono anche a scrivere i ricordi delle discussioni cui dettero luogo le cause più
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delicate pervenute al Tribunal. Questi scritti vennero chiamati decisiones perché non erano le
sentente, ma le ragioni giuridiche delle stesse.
Ebbero in tutta Europa grande diffusione e notorietà circolando manoscritte tra tre e
Quattrocento; poi, alla fine del „400, furono stampate fra le prime edizioni di libri giuridici.
E‟ indispensabile notare che la motivazione della sentenza poteva e può tutt‟oggi assumere
significati diversi a seconda del contesto in cui si inserisce. Qui ne indichiamo i principali:
1) Un significato di tipo politico: si chiariscono i motivi della sentenza per soddisfare gli utenti
della giustizia, permettendo loro di conoscere su quali basi si fonda la loro condanna o viceversa.
Ma attraverso questo tipo di intervento si offre ad un pubblico non direttamente interessato a quella
sentenza, in particolare, la possibilità di sapere perché i giudici in certe situazioni hanno giudicato
in un certo modo.
2) Un rilievo burocratico: la motivazione può essere strumento di controllo da parte del principe, o
comunque dell‟autorità politica nei confronti dei giudici. Si ricorda un caso senese tipico della
giustizia feudale. Il giudice penale ordinario senese in età medicea era il Capitano di giustizia, il
quale prima di pronunciare una sentenza, doveva presentare le sue argomentazioni al Sovrano o a
chi per lui per essere autorizzato a proseguire e per poi giungere alla sentenza. Come si vede, si
tratta di consentire un controllo assai penetrante sull‟attività del giudice, finalizzato a consentire al
potere politico di poter eventualmente influire, per puri motivi di opportunità politica,
sull‟amministrazione della giustizia: si prendeva atto che le condanne, potessero suscitare scandalo
o colpire categorie o persone che si desiderava proteggere, per cui si teneva sotto controllo rigido
l‟attività del giudice .
3) Un rilievo endoprocessuale, cioè attinente allo svolgimento del processo stesso. Questo si ha o
quando la motivazione interviene nel corso di un processo per addivenire ad una pronuncia più
corretta, oppure perché serve per impugnare una sentenza di prima istanza.
La motivazione in quest‟ultimo caso nasce per spiegare la sentenza e rimane all‟interno della
singola causa: E‟ il caso della Rota Romana, le cui motivazioni non avrebbero dovuto costituire un
deposito giurisprudenziale. In origine, infatti la decisio faceva parte cioè dell‟iter processuale ed era
perciò emessa prima della sentenza.
Le parti infatti ponevano i propri dubbia, di fronte al quale la causa era coram (di fronte a),
dopo di che gli esprimevano i propri orientamenti sui punti della questione. Il ponens raccoglieva i
loro pareri, istruiva la questione, portava il problema di fronte al collegio giudicante ed infine
redigeva la decisio.
Questa altro non era che la motivazione di un‟ipotetica sentenza, cioè sintesi dei pareri dei
colleghi. La decisio, “progetto di motivazione” di una sentenza non ancora emessa, veniva
presentata alle parti e la parte presunta perdente, ove si fosse applicata la decisio, era posta di fronte
la duplice possibilità di replicare o di abbandonare la causa. In quest‟ultimo caso la questione si
sarebbe conclusa e la motivazione da provvisoria sarebbe divenuta definitiva e avrebbe fatto parte
integrante della sentenza. In casl di replica, invece, venivano dati nuovi spunti al ponens, il quale
procedeva con una nuova decisio.
Com‟è facile intuire, la decisio non era parte della sentenza, ma si poneva come aiuto alle
parti per lo svolgimento migliore del processo, indicando il futuro orientamento della Rota e dando
l‟opportunirtà di modificarlo.
Quando sia cominciata la prassi della motivazione endoprocessuale non è attualmente noto
con certezza. Sappiamo però che le raccolte medievali della Rota Romana non erano certamente
autentiche, perchè erano solo ricordi del giudice, mentre erano originali le motivazioni che il ponens
consegnava alle parti. Non c‟era allora l‟obbligo di motivare, e quindi ogni resoconto processuale
non era autentico, perché era basato solo sui promemoria, necessari per i dibattiti collegiali, dei
membri del tribunale o sui ricordi delle discussioni entro il collegio.
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la Rota Fiorentina subì una riforma fondamentale proprio da questo punto di vista dopo
l‟istituzione delle altre Rote, forse per trovare rimedio all‟incertezza delle opiniones del diritto
comune. Un‟importante bolla papale del 1563, dispose infatti:
1) che avevano riconoscimento ufficiale le tre raccolte medievali di decisiones già ricordate, dato
che s‟impose la Rota di non distaccarsi dalle argomentazioni in esse contenute se non con una
maggioranza del collegio dei due terzi;
2) che era obbligatorio rendere pubblica la decisio da parte del ponens qualora ci fosse stata 8una
richiesta delle parti in tal senso.
Successivamente al 1563 dobbiamo quindi presumere autentiche le decisioni Rotali a
stampa, tanto più che d‟allora in poi su ogni testo troviamo apposti sia a data ed il nome del giudice
relatore che la diocesi di provenienza assenti nelle precedenti decisioni.
Nel „600 le singole decisioni cominciarono ad essere stampate direttamente dalla Tipografia
Vaticana e vennero pubblicate di causa in causa come fogli non rilegati di poche pagine che gli
avvocati relegavano succivamente in volumi indicizzandole per poi usarle negli studi professionali.
Nonostante che tutte le raccolte si basassero sulle decisioni stampate dalla Tipografica
Vaticana ed essere avessero il crisma dell‟ufficialità impresso dal collegio giudicante, and sorgendo
nei giudici il sospetto di una non completa esattezza delle riproduzioni, per cui si alimentò la
necessità di una rigorosa revisione delle stesse. Tuttavia, solo con una Bolla del 1688 si giunse a
disporre un controllo ufficiale di tutte le decisioni della <Rota presso l cancelleria del Tribunale in
modo da non potersi più dubitare dell‟autenticità delle future pubblicazioni, dando vita così alla
diffusione ufficiale mai più interrotta.
Uno dei motivi per cui la giurisprudenza Rotale romana ebbe un‟enorme diffusione in
Europa durante l‟età moderna, fu rappresentata dal fatto che i suoi Uditori, tutti ecclesiastici,
avevano un ottimo livello di formazione giuridica e in qualche modo erano rappresentativi dei vari
Paesi cattolici. Come membri della Rota il papa doveva nominare un austriaco, uno spagnolo, un
francese, etc., tuttavia anche talune città italiane strapparono il privilegio del giudice rotale:
Bologna, Perugia e a un certo punto anche Siena.
Paradossalmente la competenza della Rota Romana andrò restringendosi per effetto della
tendenza degli Stati ad allargare le competenze dei loro tribunali, in particolare l‟Inghilterra si
staccò da Roma nel 1534 ela Spagna, già privilegiata dalla propria inquisizione nazionale, ebbe la
possibilità di istituire una Rota propria a Madrid.
La Corte di giustizia romana era quindi già naturalmente una grande corte internazionale,
per cui la diffusione e l‟autorevolezza internazionale delle sue decisioni erano nelle cose.
7. La Segnatura di giustizia.
Era un tribunale centrale pontificio che aveva le funzioni che ha oggi la nostra Corte di
Cassazione quando regola la giurisdizione e le competenze. Uno degli Stili posto in atto presso la
segnatura Apostolica di giustizia era la “rimessa in pristino” della restituitio in integrum. Si trattava
di un provvedimento che poneva nel nulla un atto avente carattere sia procedurale che sostanziale; i
presupposti per procedervi erano due: la sussistenza di una iusta causa, una lesione determinata
dall‟atto: Una forma particolare di restituito era ad 4sempio la restituito in integrum propter
aetatem, che veniva applicata ad esempio nel caso in cui non si fosse fatto appello per un
minorenne: il favor che veniva concesso era giustificato appunto dalla giovane età; in questo caso la
iusta causa era preseunta. Ma nel caso in cui l‟atto posto in essere dal minorenne non avesse
provocato nessuna lesione, la restituito in integrum non veniva applicata.
Altre forme di restituito erano: la restituito in integrum gratiosa, che veniva concessa dal
papa; la restituito in integrum de iustitia, la cui pronuncia spettava a qualunque tribunale di alto
grado sottoposto al papa, come le Rote provinciali dello Stato pontificio; la restituito in integrum de
iniustitia si poteva ottenere solo dopo una sentenza definitiva, nella forma di grazia concessa dal
papa, e solamente nel caso in cui il Pontefice avesse ritenuto iniqua la pronuncia del tribunale:
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8. La Sacra Rota di Macerata.
Con una Bolla del 1589 di Sisto V, il papa riformatore dello Stato Pontificio, la Rota di
Macerata divenne il tribunale centrale delle Marche. La sua istituzione permise di eliminare la
maggior parte dei tribunali esistenti, compresi quelli ecclesiastici. La giusdizione laica ed
ecclesiastica della Rota maceratese era totale ed assoluta. Essndo sempre previsto l‟appello alla
Rota romana, si ponevano gravi problemi circa la concorrenza dei due appelli diversi; essi venivano
risolti tramite l‟applicazione del principio cosiddetto della prevenzione; chi per primo adiva ad uno
dei tribunali competenti, aveva diritto di proseguire il processo di fronte al giudice scelto, previo
consenso della controparte:
La Rota di Macerata è l‟unico caso di rota dello Stato Pontificio che si fregia del titolo di
Sacra, titolo che le viene concesso per due ordini di motivi: perchè aveva competenza in materia
ecclesiastica e perché il suo stylus era improntato a quello romano. Le regole inerenti al
funzionamento di questa rota non erano applicabili ovunque, proprio per la diversità degli stili e
delle pratiche utilizzate.
9. I Tribunali del Regno di Sicilia e Matteo d‟Afflitto.
Nel Regno di Sicilia continuò in età moderna la grande tradizione dei tribunali centrali regi
istituiti a Palermo e a Napoli fin dal Medioevo. In Sicilia si ricordano il Concistoro della Sacra Real
Coscienza, la Regia Curia e il Tribunale Camerale del Patrimonio.
A Napoli erano attivi tre tribunali centrali: il Sacro Real Consiglio, con giurisdizione
prevalentemente civile, la Magna Curia della Vicarìa, con giurisdizione penale in generale e in più
anche civile per la città di Napoli, la Real Corte della Sommaria, una sorte di Corte dei Conti, che
svolgeva il contenzioso fiscale e un controllo sulla contabilità pubblica:
Le varie riforme che investirono questi tribunali nel ì300 e nel „400 non compromisero il
loro funzionamento. In queste corti non vigeva la prassi della motivazione, perché la loro
“vicinanza” al sovrano rendeva superfluo la motivazione delle sentenze.
La novità dellìetà moderna consiste nel fatto che la giurisprudenza di questi tribunali
comincia a circolare e diventa presto copiosissima, specie quella di Napoli.
In italia la prima opera, anche se riferita ad un tribunale laico, si deve proprio a Matteo
d‟Afflitto (Decisiones Sacri Regii Consilii). La sua è la più antica raccolta di decisioni giudiziarie
italiane passata a stampa, pubblicata per la prima volta nel 1509.
Le decisioni di questa raccolta differiscono notevolmente da quelle che venivano depositate
presso la Rota fiorentina: 1) come quella della Sacra Rota Romana, non erano fatte per essere
depositate in tribunale, e quindii non arano autentiche; 2) erano decisioni – reports, riferiscono
9infatti in modo narrativo quanto detto dai giudici in camera di consiglio nelle varie cause.
Anche questa silloge non è autentica, per questo alimentò a Napoli vivaci dibattici
sull‟effettiva rappresentatività degli indirizzi giurisprudenziali del grande tribunale napoletano. E‟
certo comunque che essa dette avvio alla tendenza vivacissima a Napoli alla pubblicazione e alla
diffusione delle raccolte di decisioni del S.R.C.
L‟opera di Matteo d‟Afflitto ebbe grande successo non solo nel Regno di Napoli, ma anche
a livello europeo. La cosa non deve stupire perché nel sistema di diritto comune i giudici potevano
argomentare le proprie sentenze anche basandosi sulle decisioni di tribunali stranieri qualora non
avessero una motivazione valida presente nel proprio ordinamento.
Il diritto comune, infatti, era inteso come un sistema “aperto” e sempre perfettibile:
chiunque, giudice o professore, poteva proporre nuove soluzioni che, se ben argomentate e
plausibili, potevano essere raccolte al di fuori dell‟ordinamento in cui erano nate: è il c.d.
internazionalismo del diritto comune. La raccolta ebbe decine di edizioni e fu ristampata ancora un
secolo dopo la sua editio princeps con le note di aggiornamento di molti giuristi napoletani che
richiamavano la nuova giurisprudenza e legislazione sui vari argomenti toccati.
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10. I Senati.
Altri “grandi tribunali” in Italia, oltre alle Rote e ai tribunali del Regnum, furono i Senati.
Primo fra tutti quello di Milano istituito nel 1499, con l‟invasione francese, durante la quale fu
soppresso il precedente Consiglio di Giustizia ducale, organo degli Sforza.
Il Senatus era un consiglio di saggi al lato del principe e i cui membri formavano un elite
nominato a vita (a differenza dei tribunali e delle assemblee comunali medievali che erano organi a
veloce rotazione e a differenza delle Rote i cui giudici restavano in carica per tre o cinque anni).
Vi sono numerosi esempi europei di collegi i cui membri mantengono la carica a vita:
1) la Camera dei Lords in Inghilterra,
2) al Concistoro dei cardinali, divenuto l‟organo collaterale del papa a partire dal basso medioevo,
per giungere al senato del regno d‟Italia che mantenne questa prerogativa fino alla costituzione
dell‟attuale repubblica. La durata a vita di una carica comporta la creazione di una casta
privilegiata: l‟inamovibilità conferisce una‟autorevolezza e un‟indipendenza altrimenti
difficilmente raggiungibili.
3) La Corte suprema americana, una carica vitalizia negli USA.
4) A Venezia già dal medioevo si era costituita una nobiltà cittadina che aveva una sua
rappresentanza esclusiva e che rappresentava un‟eccezione vistosissima rispetto agli altri
comuni.
5) A Siena il Consiglio del Popolo, vigente fino alla caduta della repubblica, nel 1555, era
l‟assemblea in cui erano ammessi a vita coloro che vevano fatto parte del governo cittadino.
6) A Milano, che prima di divenire sede ducale dei Visconti, nel 1395, era stata una città stato, il
Senato costituito dai francesi fu ereditato dagli spagnoli ed in esso trovò posto l‟elite lombarda
costituita da famiglie che in Lombardia già erano potenti storicamente. Il Senato milanese
costituì perciò il contraltare locale rispetto alla dominazione spagnola, essendo il rappresentante
dela Lombardia in opposizione al potere del Governatore, l‟inviato e fiduciaro del Re di
Spagna.
7) Ritroviamo analoghi istituti in Savoia, a Nizza e a Torino, dove il senato fu istituito a metà
„500 proprio quando non vennero più convocate da Emanuele Filiberto le assemblee di “stati”
8) A Parma e a Piacenza, quando a metà „500 si costituì il principato dei Farnese si adottò una
soluzione intermedia fra Rota e Senato: il Gran Consiglio di Giustizia.
9) A Mantova, dove la Rota, istituita nel „500 sotto i Gonzaga, fu trasformata in Senato dopo venti
anni, con giudici tratti dalla nobiltà favorita dal principe.
I Senati furono comunque di regola tipici organi degli stati di tipo monarchico, i cui membri
rimanevano in carica a vita, come accadeva nei tribunali di Napoli e Palermo. Non erano forestieri
ma fiduciari del principe.
Di regola, questi tribunali non motivavano le loro sentenze: essendo Corti 2sovrane”,r
itenevano di non dover rendere conto a nessuno. Per questo motivo la decisio del Senato di Torino
sullo stuprum è un report e non una motivazione autentica.
La motivazione esterna, divenne il simbolo della tradizione rotale; quando ci fu, essa presso
i Senati ebbe piuttosto un‟altra funzione, di solito endoprocessuale a duplice fine: 1) di far
conoscere al principe l‟operato dei giudici, 2) facilitare il ricorso in appello o la revisione per grazia.
Ma anche questa distinzione non è così netta: mentre il Senato torinese nel „600 fu obbligato
a rendere noti i motivi dela sentenza, il Senato di Chambèrry, pur sottoposto allo stesso principe,
riuscìa resistere all‟obbligo di motivazione, perché organo più forte di quello piemontese, in quato
radicato in un territorio lontano ormai dal principe.
Altro elemento che distinse i Senati dalle Rote fu che la Rota era un organo soltanto di
giustizia senza altre competenze, i Senati finirono per rappresentare il territorio e per assumere
funzioni extra-giudiziarie di rilievo politico. Si pensi all‟attività di registrare i provvedimenti del
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governo, che conferì ai Senati il ruolo di organi di controllo sulla legittimità degli atti governativi
Questa delicatissima competenza spettava tradizionalmente al Parlamento di Parigi. Solo a
Milano per l‟Italia ci fu una seria contrapposizione Senato-Governo: il tribunale qui aveva di fronte
un semplice Governatore e non un re spagnolo, ed aveva un forte potere di rappresentanza del
territorio.
11. Il Parlamento di Parigi.
Fu uno dei tribunali più potenti in Europa per tutta l‟età moderna, anche perché non ebbe
solo competenze giudiziarie. Ebbe una posizione particolarissima, data la sua capacità di
assecondare o di ostacolare i disegni del governo, attraverso l‟interinazione, cioè la registrazione
ufficiale dei suoi atti. Se i membri dal Parlamento avessero ritenuto un atto del governo contrario
alle leggi fondamentali del Regno, avevano la possibilità di rispedirli indietro senza registrarlo e
solo dopo che esso aveva fatto la “navetta” più volte interveniva l‟obbligo di registrazione ove il
sovrano lo avesse ordinato sul “lit de justice” (letto di giustizia).
Questa capacità di resistenza si spiega con la notevole indipendenza dal governo dei giudici
francesi dovuta ad una particolarità notevolissima: essi si erano comperata la carica.
In Francia, dalla metà del „400, valse infatti la regola della venalità degli uffici: Era
possibile, possedendo certi requisiti, acquistare un ufficio pubblico, conservarlo a vita o trasferirlo
ad altri. In questo modo da una parte lo Stato si assicurava grossi introiti, dall‟altra, essendo
l‟ufficio diventato una specie di bene privato, i giudici godevano di una grande autonomia poiché il
loro incarico non dipendeva più dal sovrano o da altri ed essi erano liberi di muoversi come meglio
credevano. Questa autonomia permetterà ai giudici a metà del „600 di ribellarsi ad un progetto
governativo di riforma fiscale e di dar vita a quell‟opposizione che fu chiamata fronda
parlamentare.
La venalità degli uffici tuttavia non fu una peculiarità esclusivamente francese ma una
caratteristica diffusa nel cosiddetto “Stato moderno” che troviamo anche nello Stato pontificio e nel
Regno di Napoli.
12. Altre raccolte di giurisprudenza e l‟arbitrium.
L‟apporto di questi grandi collegi all‟evoluzione del sistema di diritto comune fu notevole,
anche perché, quella che venivano ritenute “corti supreme”, Senati e tribunali centrali del Regno di
Sicilia, si sentivano legittimate a giudicare secondo criteri equitativi molto larghi, facendo uso di
un‟ampia libertà interpretativa.
L‟accusa di arbitrarietà mossa dagli illuministi era rivolta proprio a questa loro prerogativa,
che era uno dei capi saldi del sistema di diritto comune. Il termine arbitrium non stava a significare
ciò che oggi designiamo, dandogli la connotazione di abuso, ma esprimeva la semplice
discrezionalità, che andava esercitata nel rispetto di regole dettate appunto dalle dottrine di diritto
comune.
I Senati si riservavano di interpretare in modo fortemente equitativo il diritto, perché
ritenevano di godere dell‟arbitrium, di poter decidere non tanto sulla base del diritto, quanto anche
della propria discrezionalità. In questo senso essi ruppero con la tradizione di diritto comune, che
imponeva invece di giudicare secundum probata et allegata, cioè secondo ciò che risultava dagli atti
e si arrogarono in sede giudiziaria una grande libertà discrezionale. In speciali condizioni ritennero
di poter condannare senza processo; stabilirono che non fosse opponibile la prescrizione; reputarono
insomma di avere il potere e l‟autorità, in quanto rappresentanti del sovrano, di andare contro le
regole del diritto comune, contro la communis opinio, operando importanti innovazioni nel diritto.
Fra le raccolte si ricordano, oltre a quella del Sacro Real Consiglio, quelle di Ettore Capece
Latro e di Tommaso Grammatico, di Pietro Benintendi della Rota bolognese. La raccolta di Antoine
Fabre (1606) raccoglie le decisioni del senato di Chamberry in Savoia, le quali non sono autentiche
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dato che tale tribunale non motivava, ma sono state –“approvate “ dal Senato stesso, non vanno
dimenticate inoltre quelle mercantili della Rota genovese già ricordate.
Riguardo alle decisioni della Rota fiorentina, dobbiamo aggiungere che per quasi un secolo
non fu pubblicato alcun resoconto dell‟operato del Tribunale.
Intorno al „700 le decisioni della Rota fiorentina furono largamente pubblicate in raccolte
molto autorevoli: Iacopo Conti, giudice sia a Siena che a Firenze, si preoccupò di mettere insieme la
giurisprudenza di entrambi i tribunali; si segnala inoltre,il Thesaurus Selectarunm Decisionum della
rota fiorentina (tesoro di decisioni selezionate); pubblicato in 12 volumi a fine „700 a cura di
Giovanpaolo Ombrosi. Il tribunale fiorentino non fu oggetto delle aspre critiche con cui gli
illuministi investirono altre Corti Supreme, come il Senato di Milano, perché essendo un tribuna in
senso stretto non divenne un simbolo dell‟assolutismo principesco o dell‟arbitrio nobiliare. A Roma
era invece prevista la piena libertà di stampa per le raccolte di decisioni della –Rota.
Oltre alle raccolte di decisioni di un singolo tribunale, fiorirono le raccolte plurime, quelle
cioè con decisioni emesse da più corti, in modo da rafforzare le conclusioni giuridiche attraverso la
forza e l‟autorevolezza dei vari tribunali.
Da molte parti, si giunse ad auspicare che l‟Imperatore confermasse le più importanti decisioni dei
Tribunali per mettere un buona volta fine alle controversie dottrinali e per attenuare cosi
l‟incertezza del diritto. L‟Imperatore non rispose a questi appelli, e tuttavia furono molti i curatori
di antologie di decisioni che provvidero a compilare vere e proprie summae, ossia delle sintesi delle
varie raccolte, che quindi formarono una sorta di massimari di giurisprudenza. Tra questi magistrati
troviamo molti napoletani, tra cui Giovan Antonio Marta e Camillo Borriello. Quest‟ultimo
sistematizzò le massime di varie corti secondo l‟ordine del Digesto.
Il quantitativo enorme di decisiones raccolte e stampate spingeva, poi, a una ulteriore
elaborazione e semplificazione dei materiali: basti pensare che solo nelle Novissimae della Rota
romana, le decisioni raccolte erano 3762 e nelle Recentiores erano circa 11000. Si era ormai giunti
al paradosso che le decisioni nate per risolvere il problema della certezza del diritto finivano per
alimentare l‟incertezza stessa! Le Corti, inoltre, rinnovavano la loro giurisprudenza aggiungendo
sempre nuovo materiale all‟enorme quantità già esistente, tuttavia solo per i tribunali inferiori si può
parlare di efficacia vincolante (o quasi) della giurisprudenza prevalente. Inoltre gli avvocati per
rafforzare la propria posizione, erano si portati a citare le sentenze dei tribunali più autorevoli, ma in
modo quantitativo con elenchi di citazioni incredibilmente lunghi.
14. Giovanni Battista De Luca (1614 – 1683)
È il più grande giurista italiano dell‟età moderna, cercò di contribuire fattivamente alla
risoluzione di un problema sempre più pressante: l‟ingestibilità del sistema del diritto comune.
Nacque a Venosa nel 1614 e si laureò a Napoli nel 1635. L‟istituzione universitaria al pari
del prestigio della cattedra, già tanto grande in passato, in questo secolo ere molto decaduta.
L‟iter della carriera di questo giurista è significativo. Mentre in passato l‟insegnamento
universitario era la grande meta del giurista, adesso esso non rappresentava altro che la prima tappa
verso i grandi tribunali. Solo da qui si poteva eventualmente essere scelti dal principe per diventare
o ministro o giudice. Egli ricoprì per qualche anno la carica di vicario del vescovo di Venosa, prese
in seguito gli ordini minori e si trasferì a Roma, dove divenne avvocato del Re di Spagna. Nel suo
studio legale si formarono insigni avvocati e giudici del tempo, tra cui Iacopo Conti e Ansaldo
Ansaldi, noti giudici e raccoglitori di decisioni.
Le opere del De Luca ci permettono di conoscere il maturo diritto comune del „600. Fra le
principali opere, si ricorda la più grande: “Il teatro della verità e della giustizia”, divisa in discorsi
giuridici in 15 volumi, dove egli non solo cerca di ridurre al minimo le citazioni di auctoritates
(opinioni di t4ribunali e giuristi), evitate per quanto possibile, ma cera di parlare di questioni
pratiche, legate a problemi squisitamente forensi, non solo tradizionalmente dottrinali. Emergono
così in prima linea i grandi problemi degli appalti, dei monopoli, dei feudi, dell‟amministrazione
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pubblica, degli usi civici, tutte materie ignote o poco note al diritto romano, ma fondamentali in
quel tempo.
Del theatrum egli stesso redasse un compendio, il Dottor Volgare, l‟opera la cui grande
novità consisté nella redazione on lingua italiana: è la prima importante opera giudica in volgare,
destinata ad un pubblico più vasto composto non solo da giuristi. Altra opera significativa in
volgare e il suo Dello stile legale, trattatello sulla prassi dei tribunali. Sempre a Roma De Luca
diventò cardinale e consigliere del Papa, per il quale lavorò (inutilmente) ad un progetto di riforma
dello Stato Pontificio. Molti suoi scritti sono 9inoltre indirizzati all‟analisi di cariche istituzionali
ecclesiastiche e non.
Si ricordano il Cardinale pratico, il Vescovo pratico, il Principe cristiano pratico e così via.
Riguardo al problema delle fonti, egli sottolineò come nel suo tempo il diritto fosse costituito da
una pluralità di fonty9i normative diverse: la fonte4 feudale, civile, canonica, statutaria, legislativa e
consuetudinaria, e come il solo diritto romano non fosse più in grado di fornire soluzioni adeguate
ad ogni fattispecie.
Egli riconosceva un ruolo preminente alla giurisprudenza del tribunale presso il quale si
svolgeva la singola causa o di quello ad esso superiore gerarchicamente. A questo punto occorreva
però , secondo De Luca, distinguere tra stylus indicandi e semplici decisioni. Le decisioni nella
maggioranza dei casi erano soltanto dei reports e potevano essere in realtà poco attendibili. Era
quindi allo stylus complessivo del tribunale che occorreva riferirsi e questo doveva essere
rintracciato nelle sentenze reiterate su uno stesso tema (almeno due). IL De Luca riprendeva una
massima di diritto comune, riguardante la resa indicata:”una sentenza diventava definitiva quando
ve n‟erano almeno due conformi sullo stesso caso”.
L‟opinio dell‟autore rifletteva una realtà del suo tempo i grandi tribunali, come il Sacro Real
Consiglio ed i Senati, aspiravano a rappresentare il sovrano e di conseguenza si consideravano la
principale fonte del diritto. Questo indirizzo traspare anche da una decisio ( la numero 120 della
raccolta del D‟Afflitto) in cui si parla dei “nudi patti”, che producono soltanto obbligazioni naturali
non coercibili. Secondo il De Luca questo limite della non coercibilità delle obbligazioni naturali
scaturenti dai nudi patti, non valeva per il Sacro Real Consiglio. Questo tribunale infatti
rappresentando il Re, fonte primaria di giustizia, poteva condannare anche sulla base del nudo patto.
Questa decisione inserita nella raccolta curata da Matteo D‟Afflitto fece stato poiché molto seguita
dai tribunali centrali e dai senati.
Capitolo IV
La stampa e la letteratura giuridica
1. Problemi dell‟editoria del diritto comune.
Abbiamo visto anche i nuovi soggetti dell‟antico regime: i grandi tribunali e la loro
produzione di decisioni: impensabili en età medievale. A questo passare i vari problemi all‟editoria
di diritto comune.
Cominciando dalla vicenda del falso consilium di Bartolo in tema di stregoneria di cui si è
già parlato in sede storico-giuridica, i problemi filologici, di approccio ai testi, devono avere un
rilievo centrale, condizionato preliminarmente e pesantemente lo studio del pensiero giuridico.
Amplificando e facilitando la diffusione dei testi, la stampa ha di fatto accresciuto le fonti di
quel sistema. E in modo non programmato, non “governato”, cosicchè la domanda di mercato,
molto sostenuta, suggerì agli editori di non andare troppo per il sottile.
Si pubblicò subito moltissimo, opere di autori noti e meno noti, antichi e moderni..
Bisognava orientarsi in questo mare che già nel primo Cinquecento diveniva sempre più
magnum e bisognava andare alla ricerca di qualche approdo sicuro.
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Perciò alcuni autori divengono ora, anche più di prima, un punto di riferimento preciso
nell‟insegnamento e nella legislazione. La loro auctoritas si potrà discutere, ma la loro opinione
andava in ogni caso tenuta presente. In questa storia, di un relativo irrigidimento delle strutture
portanti del sistema di diritto comune, il di Bartolo ha un posto segnalato come nessun altro: la
storia del „bartolismo‟ è un po‟ la storia del tardo diritto comune.
E‟ di questa storia sono un capitolo importante gli interventi del Diplovazio, tesi in modo
sistematico a metter ordine nella tradizione dei testi bartoliani. Di questi interventi fanno parte
anche quelli di tipo censorio, attuati da chi selezionò e mutilò – come si è anticipato – le sue
additiones a Bartolo che indicavano dubbi sulla paternità delle sue opere.
Tali additiones furono probabilmente ritenute superflue, prolisse e in parte anche pericolose
pensandosi che esse potessero sconvolgere le opiniones receptae del mondo del diritto, perdurando
la relativa latitanza del legislatore e la gestione sempre prevalentemente „dottorale‟ del sistema.
2. LA STAMPA DELLA LETTERATURA GIURIDICA
La diffusione della stampa ebbe qualcosa di prodigioso. Fu rapidissima, partire dagli anni
intorno al 1500, dopo la pioneristica produzione di „incunaboli‟( i libri, di solito oggi rarissimi
stampati entro il 1500), ampliò enormemente l‟utenza dei prodotti intellettuali e nel mondo
giuridico dette avvio ad una serie di effetti e conseguenze.
In primo luogo consentì di far conoscere meglio le fonti normative che fino ad allora
venivano riprodotte, con frequenti errori, solo in copie manoscritte; permise di modificare anche in
tempi ristretti la legislazione di promanazione statuale: le „grida‟ i bandi, etc., infatti, poterono
essere diffusi rapidamente stampando fogli scempi a pochi giorni di distanza.
Agevolò, inoltre, a circolazione di opere poco note o che sarebbero altrimenti rimaste
sconosciute.
La stampa, da un lato formò una categoria di operatori nuovi, cvhe propriamente non erano
dei giuristi, ma che aiutavano gli editori e ne sollecitavano l‟attività, ad esempio promuovendo la
stampa di opere antiche risalenti ai tempi formativi della dottrina di diritto comune. Venivano
stampati autori rimasti un po‟ ai margini rispetto alla grande diffusione che era toccata alle opere
dei giuristi maggiori come Bartolo da Sassoferrato, Giovanni d‟Andrea, Cino da Pistoia e Dino del
Mugello.
Si che si trattasse di opere già molto diffuse o poco conosciute, i collaboratori le
corredavano di note di aggiornamento, che avevano la precisa funzione di rendere attuali e fruibili
le opere di diritto comune anche se prodotte due o più secoli prima. Queste note sono ora presziose
per noi, che possiamo grazie ad esse rilevare rapidamente oggi lo „status questiones’ su un singolo
problema dottrinale di allora.
Questo tipo di intervento provocò il verificarsi di due principali conseguenze: 1) il testo a
stampa che ora possediamo non sempre risulta fededegno, 2) il nome dell‟autore stesso indicato
nella stampa antica non è l‟effettivo compilatore del testo.
La ricerca recente ha dato molti esempi di attribuzioni errate di opere pubblicate
assegnandole ad autori che non furono quelli reali, quando addirittura non inventati di sana piata o
letti male nella fonte manoscritta.
La tipografia giuridica cinquecentesca quindi è molto ricca quantitativamente, ma da
accogliere con molte cautele, soprattutto quando si tratti di opere medievali.
Bisogna sempre chiedersi, aprendo un libro antico, se il testo riprodotto non sia corrotto e se
l‟autore sia effettivamente quello indicato dai curatori della pubblicazione. Le conseguenze in sede
di ricostruzione dottrinale che si producono se si ha un approccio superficiale alle fonti a stampa
posso essere molto gravi: di rischia di attribuire ad una certa epoca idee giuridiche risalenti invece a
periodi ben diversi.
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Dall‟altro lato, la stampa facilitò la diffusione degli scritti contemporanei, incoraggiando a
produrre opere che forse non sarebbero mai state scritte. A questo proposito non c‟è soltanto da
richiamare la letteratura prodotta dall‟umanesimo giuridico, ma bisogna ricordare anche in primo
luogo l‟ampia produzione di tractatus giuridici.
Cresciute a dismisura le opiniones dei giuristi, si moltiplicarono i tractatus, che
consentivano ai pratici, in maniera più agevole
, di individuare le dottrine sui vari problemi giuridici e la relativa graduazione delle opinioni più o
meno comune.
La trattatistica però non va ricordata solo per l‟utilità che ebbe nella pratica giuridica, perché
assolse anche ad una funzione più alta. Gli autori, infatti, furono indotti nel corso del proprio lavoro
a mettere ordine nel materiale dottrinale. La conseguenza più ev9dente fu quella di porre l‟accento
su problemi giuridici, anziché sulle fonti tradizionalmente oggetto di insegnamento universitario,.
In questo modo la dottrina giuridica si allontanava dagli schemi romanistici originari e
accentuava la propria libertà creativa, individuando complessi tematici con problemi specifici propri
che si sarebbero successivamente autonomizzati come discipline a se stanti.
Pensiamo naturalmente al diritto commerciale, alla materia feudale, alle nostre „procedure‟
civili e penali.
In generale, la trattatistica ebbe anche la funzione di isolare una serie di opinioni
relativamente „certe‟ sulle varie problematiche, dando una guida ai pratici nell‟applicazione delle
dottrine di diritto comune. Il trattato su un singolo istituto in a volta stampato circolava attestando,
fino a prova contraria, il punto cui era pervenuta la discussione dottrinale.
Scrittori importanti di tractatus furono ad esempio Roberto Maranta, che all‟inizio del
Cinquecento elaborò uno Speculum aureum processuale che ebbe molto successo.
Per le loro opere in particolare criminalistiche, si ricordano Giulio Claro, lombardo e
Ippolito Marsili, fiorentino, mentre Tiberio Deciani e Prospero Farinacci sono autori di importanti
Practicae criminalisti che.
Nel corso del Cinquecento si continuarono a stampare anche le opere dottrinali dei più
grandi dottori del passato come Bartolo e il Panormitano o più recenti come Giason del Maino e
Filippo Decio, ma in genere la produzione di nuovi commentari fu scarsa e cessò del tutto ai primi
del „600, con la crisi definitiva delle università italiane. Ciò nonostante il sistema non cambiò, per
cui le raccolte di consilia rimasero molto importanti almeno fino al definitivo affermarsi delle
decisioni dei tribunali.
Altre fonti di letteratura giuridica possono considerarsi i Singularia doctorum, pubblicati a
partire dal 1500, „Detti singolari‟, eccezionali dei singoli dottori: erano cioè eccezioni alle regole su
questioni particolari stabilite da autorevoli dottori.
Corrispettive dei trattati possono considerarsi le raccolte di Communes opiniones. Entrambi i
tipi di raccolte svolsero una funzione eminentemente pratica, facilitando e velocizzando
l‟impostazione e la risoluzione delle controversie, fornendo ai giuristi regole generali ed eccezioni.
L‟esigenza di una maggiore certezza del diritto in un mondo di opinioni spiega anche la
rapida diffusione delle raccolte di decisioni dei tribunali.
La stampa non favorì soltanto la pubblicazione delle decisioni autentiche, ma senza dubbio
stimolò anche la redazione dei reports e l‟annotazione dei dibattiti giudiziari in vista di una loro
pubblicazione.
Gli effetti che si ebbero furno contraddittori, perché le decisioni da un lato aumentarono il
mondo delle opinioni e quindi anche la confusione, ma dall‟altro offrirono un quadro di riferimento
agli operatori.
Parallelamente cominciarono a declinare le raccolte di consigli. Un sospetto di parzialità
cominciò a investire questi pareri, perché ci si rese ben conto che i consigli meglio argomentati
contenevano per lo più opinioni date per sostenere delle posizioni di parte. A nulla valsero le
appassionate difese della professione consulente di un Tiberio Deciani in polemica con l‟Alciato e
di un Pacio Scala, un giurista tradizionale di Padova, che coglieva giustamente che i pareri
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rappresentavano, comunque, un momento di congiunzione tra insegnamento dotto e pratica
professionale. L‟opinione ormai consolidata che il consulente dovesse per lo più forzare la dottrina
per conchiudere a favore del cliente fu decisiva nel declino di questo tipo di letteratura, molto
prospero fin verso il 1550.
Un altro aspetto nuovo del sistema del diritto comune derivato dalla propagazione della
stampa è l’internazionalizzazione della dottrina giuridica. La stampa pemise la circolazione e la
rapida conoscenza delle opere della scienza giuridica e provocò imprestati reciproci dai giuristi dei
più vari ordinamenti.
Si pensi che l‟apertura del sistema era tale che non solo i giuristi di vari Stati si conoscevano
e si citavano vicendevolmente, ma addirittura i giudici di Stati diversi potevano utilizzare la
giurisprudenza di altre corti grazie alla stampa delle decisioni.
Al di là dei punti decisi dalla legislazione nazionale o dalla normativa locale, rimaneva
infatti un campo vastissimo di questioni aperte, che i giudici risolvevano con grande discrezionalità
in base alle dottrine richiamate dalle parti i individuate nei testi circolanti.
Quanto il sistema fosse elastico e incerto attesta bene una questione proposta da Giovanni
Nevizzano – un giurista di Buttigliera d‟Asti autore di un curioso trattato, di impronta fortemente
„maschilista‟, sulla „selva‟ dei problemi giuridici legati al matrimonio: la Sylva nuptialis (la Foresta
matrimoniale) del 1521 – che pose anche il problema di come fosse possibile evitare la massa dei
libri giuridici allora già circolanti. Nella sua risposta propose una nuova compilazione di leggi
ordinata dal sovrano che evitasse il ricorso alle fonti di diritto comune., dando l‟idea del forte
disappunto che si avvertiva già nei primi anni del secolo.
Purtroppo l‟auspicata codificazione dovrà attendere ancora molto tempo. Si cercò comunque
di ovviare alle difficoltà di orientarsi tra tante pubblicazioni stampando degli Indices delle maggiori
opere di diritto comune divise per generi o addirittura predisponendo delle biografie di giuristi che
rendessero conto della loro operatività.
A questo proposito abbiamo ricordato il tentativo di Tommaso Diplovatazio, il De claris
iuris consultis.
Il lavoro non fu però pubblicato e giacque inedito fino al nostro secolo, un po‟,
probabilmente, per la sua incompiutezza e vastità, e un po‟ perché nel corso del secolo il rapporto
tra le varie fonti del diritto si squilibrò a favore della giurisprudenza e della legislazione a discapito
della dottrina che si trovò nettamente sfavorita e privata di interesse. Andò invece alle stampe già
nel „500 la successiva e più snella opera sui giuristi suoi predecessori di Guido Panciroli.
Non a caso le ristampe dei grandi commentari – da Bartolo a Giovanni d‟Andrea, da Giason
del Maino ad Alessandro Tartagni – vengono meno definitivamente con i primi anni del Seicento,
tipici materiali d‟insegnamento tardo medievale che furono le repetitiones, quei commenti lunghi,
su singoli passi dei Corpora iuris che venivano esposti in giorni particolari di lezione all‟università.
Le raccolte di „ripetizioni‟ canonisti che e, a parte, di quelle civilistiche, costituirono comunque
ancora un‟impresa editoriale di grande impegno, la quale mise assieme testi diversissimi e ancora
oggi molto utili per la ricerca. Con le ultime stampe di repetitiones e di commentaria, si possono
ricordare anche Singularia doctorum, di Communes opiniones, di Contrarietates e di Quaestiones
che rappresentavano il versante universitario dei consilia, essendo disquisizioni puramente teoriche
attorno ad un caso ipotetico di opere che consentivano di reperire rapidamente l‟opinione di un
„dottore‟ su un singolo punto
L’area dell’innovazione:
teorie e prassi riformatrici
in età moderna
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Capitolo 1
Le novità costituzionali 1. Guardare fuori dall‟Italia.
Abbiamo fin qui esaminato l‟Antica regione del 5-600 e dedicato maggior attenzione
all‟Italia, piombata nella stagnazione politico-culturale e giuridico - istituzionale per molti
complessi motivi come: le dominazioni straniere, le chiusure nobiliari e il prevalere ella
controriforma cattolica, e l‟aver raggiunto prima degli altri paesi. Nel tardo medioevo, situazioni di
assoluta eccellenza in ogni settore della vita sociale e culturale. Non era facile tenere un livello
qualitativo quale quello raggiunto. Nel „500 quel primato non fu perduto, ma gli elementi che lo
componevano cominciarono a passare altrove; come l‟eccellenza nella filologia e la storia che
aveva dato in campo giuridico le prime grandi prove di quello che divenne paradossalmente il “ross
gallicus”. I successi artistici e architettonici poterono continuare grandiosi fino al „700, ma i freni
politico-economici divennero prevalenti per il diritto. Il paese perché in quella che si chiama oggi
competitività. Ai primi del „600 anche la Glossa, Bortolo e così via non furono più stampati.
Avevano dato tanto, troppo ormai e le università italiane avevano cominciato il loro declino dal
quale non si sono più ripresi veramente, salvo qualche guizzo nell‟800. Intanto fu all‟estero che tra
„500 e „700 si giocarono le carte delle riforme, nell‟innovazione gius pubblicistica e gius
privatistica alla luce di nuovi metodi rispetto al “moss gallicus”.
2. La Svizzera
Un modello costituzionale che si afferma definitivamente in età moderna è quello svizzero.
All‟origine di questo sviluppo cìoè il patto di confederazione tra i cantoni di Uri, Scwyz e
Untervoldem del 1291. I cantoni già godevano di autonomie entro le compagini dell‟Impero, grazie
a corte concesse da Federico II in base alle quali gli svizzeri furono esenti dal governo diretto dagli
Asburgo. Nel 1499 sconfissero l‟Imperatore e lo forzarono a stipulare il trattato di Basilea che sancì
la loro indipendenza di fatto. Da allora la Svizzera ebbe un‟autonomia che divenne vera e propria
indipendenza come per l‟Olanda alla foce di Westfalia nel 1648. On pochi anni si aggiunsero altri
cantoni che divennero 13 e tali rimasero per quasi due secoli. Lo Stato era governato da una Dicta
Federale, con due rappresentanti per cantone. Era comunque necessaria, per le decisioni importanti,
l‟unanimità e la ratifica da parte di ogni cantone. La riforma religiosa capitanata da Zwigli nel 1522
a Zurigo condusse alla guerra civile tra cantoni cattolici e protestanti, in seguito alla quale fu
stabilito che ogni cantone rimanesse della propria religione, come deciso da Augusto. Alla fine del
„700 in seguito all‟invasione delle truppe francesi (1798) la Svizzera divenne Repubblica vassalla
della Francia. Tuttavia Napoleone convocò i cantoni a Parigi e stipulò, nel 1803, l‟Atto di
Mediazione che riconobbe il Governo federale e disegnò i confini dei Cantoni attuali. Dal
Congresso di Vienna (1815) al Svizzera è una Repubblica neutrale che non può fare alleanza
neppure difensiva. Un nuovo patto forzato, dalle potenze vincitrici di Napoleone, intervenne a
ridefinire i poteri locali, rafforzando le vecchie oligarchie e le antiche forme di governo. Da qui la
guerra civile del 1830/34, chiusa poi con la Costituzione del 1848 che è ancora vigente: Essa
prevede 23 cantoni ma 26 unità distrettuali: Oggi la Svizzera si dice ufficialmente
“Confederazione”, ma tecnicamente è una Federazione: C‟è una Assemblea federale costituita da
due camere, una delle quali con rappresentanti dei cantoni. Il Governo federale che si chiama
Consiglio Federale, è di sette membri che devono essere di Cantoni diversi e sono nominati
dall‟Assemblea federale.
Il governo non può essere messo in crisi (Governo Direttoriale). Le leggi sulle quali le due
camere non raggiungono l‟accordo sono sottoposti a referendum, che è anche richiesto per ogni
modifica costituzionale.
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Sei Cantoni hanno ancora oggi grandi assemblee annuali che comportano l‟esercizio della
democrazia diretta: si chiamano Comuni del territorio.
La Svizzera è riuscita dove hanno fallito nelle città italiane. Là è riuscita il Federalismo che
da noi ha lasciato spazio agli “ Stati cittadini a proiezione regionale”, cioè alle grandi città-Stato.
Il federalismo presuppone un movimento d‟unione dal basso; tra uguali che vogliono
crescere mettendosi insieme, creando un centro di potere superiore alle vaie unità che si associano e
che rafforza il tutto.
3. L‟Unione delle Provincie Olandesi.
Altro caso importante è quello investì parte dei Paesi Bassi.
Nel 1579 le 7 provincie settentrionali dei Paesi Basi, protagoniste della rivolta contro la
monarchia spagnola che non voleva riconoscere i loro privilegi tradizionali, si unirono in una
confederazione, sotto la guida dello Statholder (reggitore dello stato Guglielmo d‟Orange, che
aveva già avuto e ricoperto quella carica dagli stessi spagnoli per la sola provincia dell‟Olanda.
A lui fu affidata la guida nella guerra di liberazione contro gli spagnoli, che riuscirono però
a conservare i territori del sud (l‟attuale Belgio). Il patto di Utrecht dettava delle norme generali, ma
la Costituzione olandese rimase comunque consuetudinaria. I suoi principi di base possono essere
riassunti nei punti seguenti:
1) Ogni provincia rimaneva sovrana;
2) Era assicurata, per il mantenimento della pace sociale, la libertà di coscienza;
3) Era garantito il rispetto dei privilegi preesistenti di città, regioni, corporazioni e delle loro
carte di privilegi medievali.
Il quadro del diritto pubblico olandese si presenta senza dubbio confuso, a cominciare dal
ruolo degli Orange, quasi monarchico. Gli Stati Generali erano detti Generalità, e consistevano in
un‟assemblea di deputati provenienti dagli stati provinciali delle 7 province. Ogni provincia
disponeva di un voto. Il patto di Utrecht richiedeva la decisione all‟unanimità solo per le questioni
di guerra e di pace e per l‟istituzione di nuove tasse.
A differenza dei membri del parlamento inglese, quelli degli stati generali olandesi erano
legati dal cosiddetto vincolo di mandato. A lato della generalità stava un consiglio di stato, che si
interessava degli affari interni e che avrebbe voluto anche legiferare, se la <generalità non glielo
avesse impedito. Comunque il suo Segretario, Tesoriere e il Gran Pensionario (capo di fatto degli
stati olandesi) portarono il titolo di ministri e furono stabili. Per quanto riguarda le finanze, le
provincie contribuivano alla Generalità in proporzione alla loro ricchezza. Il bilancio lo preparava
annualmente il Consiglio di Stato ed una <petizione inviato per l‟approvazione alla Generalità.
Non c‟era una corte suprema per tutte le province, ma solo Corti d‟Appello in ognuna di
esse. Non vi erano università nazionali. Lo Stato confederale delle <Province si presentava come un
Paese borghese, dominato dalla forte Olanda. Qui il potere era formalmente degli stati perché in essi
sedeva solo un membro della nobiltà, a loro volta dominati dai reggenti, ossia un‟aristocrazia
mercantile che assolse al ruolo altrove svolto dalla nobiltà e dei magistrati delle monarchie.
Anche i contemporanei rilevarono che l‟unione rappresentava un miscuglio di istituzioni
come per Venezia, la costituzione “mista” per antonomasia: l‟unione era monarchia, aristocrazia,
democrazia.
L‟unione quindi aveva molto di medievale, per il suo particolarismo istituzionale; ma aveva
anche molto di moderno, per l‟assenza di un potere centrale opprimente, per la libertà e la tolleranza
di pensiero, per la scomparsa del clero come ceto privilegiato, per il federalismo.
Nel panorama del tempo quella olandese era una situazione nettamente contro corrente. Gli
altri stati andavano verso regimi assoluti, o verso monarchie deboli, o verso grandi apparati pubblici
centralizzati, o verso deboli repubbliche ormai sclerotiche. Così a molte quella dell‟Unione sembrò
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un‟avventura assurda. Elisabetta d‟Inghilterra osservandola diceva che la gente “normale” non era
adatta al governo.
La fortuna olandese, che trovò nel „600 il suo “secolo d‟oro”, quando il Paese, divenne il più
ricco d‟Europa, declinò nel „700, con l‟affermarsi della supremazia Inglese e Francese. La
rivoluzione francese causò poi il crollo della libera unione a fine‟700, con la fondazione della
repubblica Batava, vassalla della Francia.
Divenne quindi regno d‟Olanda poi annesso alla Francia, con il Congresso di Vienna
ridivenne una monarchia indipendente, fino alla rivolta di Bruxelles, del 1830, che proclamò
l‟indipendenza dell‟area meridionale del paese e quindi la nascita dell‟attuale Belgio.
4. L‟apologia di Guglielmo d‟Orange e la dichiarazione d‟indipendenza Nederlandese.
Nel dicembre del 1580, un anno dopo la nascita dell‟unione di Utrecht, quando Filippo II Re
di Spagna mise pubblicamente al bando Guglielmo d‟Orange, fu presentata alla riunione degli stati
generali l‟apologia in sua difesa. Con questo testo Guglielmo d‟impegnava al rispetto dei diritti dei
cittadini e della “Gioiosa Entrata”, ovvero di quel testo del 1356 davanti al quale ogni nuovo
principe nominato nella regione del Brabante (una delle provincie) era obbligato a giurare. Il testo
ha un carattere costituzionale evidente e indica con chiarezza il contrattualismo non fosse un tema
teorico, ma una vera e propria pratica istituzionale.
Il contenuto di questo testo venne riecheggiato l‟anno successivo (1581), nella
Dichiarazione d‟Indipendenza della Repubblica delle Provincie Unite. Questi passi si possono
direttamente considerare anticipazione culturale del costituzionalismo inglese e della dichiarazione
d‟Indipendenza americana.
5. Contrattualismo politico.
Un‟opera la dobbiamo ricordare per essere stata interpretata anche a sostegno del
repubblicanesimo olandese ed è: rivendicazione contro i tiranni del 1579. Tradotta in inglese e
francese nel 1648, sosteneva l‟esistenza di due patti, uno tra Dio da una parte ed il Re e il popolo
dall‟altra, per fondare una comunità che sia tale anche sotto il profilo religioso, ed uno tra il Re e il
popolo per il quale il popolo è tenuto a ubbidire solo finchè il Re governi con giustizia.
Tutti i Re secondo l‟autore dovrebbero essere in verità elettivi, perché i diritti del popolo
non si prescrivono. Qui l‟autore è soprattutto interessato alla punizione del re eretico.
L‟idea di un governo rispettoso dei sudditi comunque non si trova solo in ambienti
repubblicani protestanti. Anche alcuni teorici cattolici di ambiente monarchico lo sostennero,
parlando anche del diritto d‟opposizione contro le autorità e della uccisione del tiranno. Ad
esempio, nel suo libro dedicato a Filippo III di Spagna (del re e del suo fondamento), il gesuita
spagnolo Juan Mariana sostenne la liceità dell‟uccisione del tiranno. Nel 1610 dopo l‟assassinio di
Enrico IV, il parlamento di Parigi condannò il libro ad essere bruciato e fu severamente proibito ai
gesuiti, di sostenere le opinioni del Mariana.
6. Lo sviluppo costituzionale inglese in età moderna.
L‟unico Stato esistente in Occidente che ha una costituzione non scritta con radici
medievali.
Siamo rimasti nelle premesse medievali al 1485, quando Enrico Tudor salì sul trono
riconosciuto come Re di Inghilterra dal Parlamento; con questo atto venne suggellata la successione
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e nacque la moderna Inghilterra parlamentare; Altro momento decisivo fu l‟Act of supremacy del
1534.
Il Parlamento legiferava così anche in materia spirituale, cancellando i limiti posti dal diritto
divino e naturale. Naturalmente si proibì anche l‟insegnamento del diritto canonico.
La Corona nel Cinquecento si appoggiò sul Parlamento; il suo appoggio fu tanto importante
che per godere della maggioranza la regina nominava nuovi baroni per la House of Lords, o
modificava la composizione della Camera dando il diritto elettorale e nuove città.
Un relativo clima di libertà portò allora in Inghilterra molti stranieri, a partire da Alberico
Gentili, già ricordato.
Si sarà notata la forte sottolineatura dell‟onnipotenza del Parlamento: esso in questo passo
compare come organo legislativo, amministrativo e giudiziario. E‟ il Princeps, il sovrano della
nostra tradizione romanistica. Per rendere giustizia esercita ogni potere. Come si vede qui c‟è se
mai un problema di limite ai poteri del Parlamento nei confronti dei sudditi.
6.1 La teorizzazione del common law e la sua costituzionalizzazione.
Tutto cambiò dopo la morte di Elisabetta (senza eredi) e con l‟ascesa al trono nel 1603 di
Giacomo I di Scozia (1603-1625), della famiglia Stuart, che ebbe accanto come consigliere Francis
Bacon, un filosofo notevole, avversario di Edward Coke. Giacomo cingendo la corona inglese
aveva così realizzato un‟unione personale tra Inghilterra e Scozia, mentre il Regno Unito attuale
esiste solo dal 1707 come unione reale di Inghilterra e Scozia.
Ebbene, Giacomo si fece interprete della tendenza del tempo verso l‟assolutismo politico.
Solo un potere monarchico forte evita le guerre civili e fa grande la Nazione. Si ebbero comunque
attriti con il Parlamento, intenzionato a difendere la sua libertà e quella del Paese, mentre il Re
tentava di sopprimere la componente elettiva e governava senza convocarlo per lunghi periodi.
Per varie circostanze Edward Coke (morto nel1634) Presidente di Corte del King‟s Bench,
divenne il più noto suo oppositore interno. Egli ha un rilievo di prim‟ordine nella costruzione del
common law.
Grazie a una memoria leggendaria, consultando i registri antichi dei tribunali di common
law, redasse una specie di sintesi del suo sviluppo dalle origini fino al suo tempo: Istituzioni di
diritto inglese. Tale opera fu individuata come importante già allora, tanto che la pubblicazione di
essa fu proseguita dopo la sua morte per disposizione del Parlamento.
Dal punto di vista politico fu molto importante che di fronte ad un tentativo di ingerenza in
una causa del re egli sostenesse orgogliosamente che persino il Re non poteva pronunciarsi sul
common law, in quanto era un patrimonio giurisprudenziale intangibile, che solo i giudici sapevano
penetrare e conoscere adeguatamente.A Giacomo dovevano quindi essere impediti interventi sul
diritto tradizionale, cje faceva parte della storia del Paese.
Nello stesso senso è molto famosa una pronuncia di Coke nel c.d. Bohnam‟s Case (1610),
ove fu dichiarato che “il common law controlla gli atti del parlamento e talvolta li giudica del tutto
non validi. Come si vede, in questo caso siamo addirittura al conferimento di un ruolo
“costituzionale” al common law, come si trattasse di una legge superiore cui le singole leggi del
Parlamento – gli statutes – devono adeguarsi. In questo modo si assegna in un certo senso al
common law il ruolo politico di una costituzione rigida.
6.2. Sviluppo dei diritti civili e politici.
Egli fu anche il redattore della bozza del testo che divenne poi la Petition of Rights del 1628,
una delle prime dichiarazioni dei diritti soggettivi (rights) del cittadino.
Importanti in particolare erano
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L‟art. 1, che stabiliva che nessuna tassa poteva essere imposta agli uomini liberi senza il
loro consenso, come per gli americani Gottarda inc.;
L‟art. 3, che stabiliva che nessun uomo poteva essere punito senza un processo
“opportuno”, cioè rispettoso dei diritti della difesa: è questo il due processo f law, a cui si appellano
il V e il XIV emendamento attuali della Costituzione federale degli Stati Uniti d‟America;
L‟art. 5, che vietava ogni imprigionamento per comando speciale del re.
Si tratta dell‟atto più importante adottato durante il regno del figlio di Giacomo, Carlo I
(1625-1649), che aveva tentato di proseguire sulla linea del padre, esautorando il Parlamento e
cercando di creare un sistema fiscale autonomo, in modo da evitare la sua approvazione. Carlo I
inasprì anche la persecuzione contro Cattolici e Puritani e attuò una politica di favoritismi che
indignò la piccola nobiltà e la borghesia commerciale: In seguito ad un aumento del carico fiscale,
si scatenò allora una agguerrita opposizione parlamentare, che condizionò la concessione dei tributi
appunto alla sottoscrizione da parte del Re della Petition of Rights del 1628 di cui si è parlato.
Carlo I firmò la Petizione, ma quando il Parlamento tentò di allargarne la portata, lo sciolse
e governò senza di esso per ben undici anni, dal 1629 al 1640. Introdusse nuove tasse, tra le quali la
“moneta della nave”, destinata dapprima a coprire le spese della flotta, ma ora allargata anche alle
città non portuali. Ai Puritani, li costrinse ad emigrare in massa, fatto che fece la fortuna delle
colonie americane per il tipo di emigrazione che favorì.
In seguito e necessità finanziarie lo costrinsero a convocare nel 1640 un Parlamento, che
rivendicò in pieno i suoi diritti. Esso fu chiamato Short Parliament, cioè “breve parlamento”, in
quanto fu sciolto dopo appena un mese: In seguito alle difficoltà della guerra contro gli Scozzesi e
gli Svedesi, il Parlamento fu riconvocato e questa volta durò a lungo, ben 13 anni, dal 1640 al 1653.
E‟ il Parlamento che impose al Re l‟impeachment del suo braccio destro, il Conte di
Strafford, e la sua condanna a morte, l‟abolizione della Star Chamber e delle c.d. “corti di
prerogativa”, rimesse alla discrezione del sovrano, ma non la giurisdizione di Equity. Essa tuttavia
da ora fu bloccata nel suo ulteriore sviluppo. Fu anche fissato il principio della convocazione del
Parlamento almeno ogni tre anni, ed il divieto di scioglimento senza il suo assenso. Come si vede, si
era a un regime parlamentare puro.
6.3. Il Commonwealth
Per questo il Re tentò allora il colpo di Stato, dando inizio ad una guerra civile, durante la
quale spiccò la figura di Oliver Cromwell con i suoi Indipendents, che condusse fino alla vittoria
finale nel 1649, sbarazzandosi della destra moderata e della sinistra dei Levellers. Questi ultimi,
sostennero un testo noto come “Patto del popolo”, una specie di progetto di costituzione in cui
ponevano l‟accento sui diritti naturali inviolabili degli uomini, tra i quali includevano il suffragio
universale maschile, perché tutti uguali.
Si capisce allora come si sia potuti giungere nel 1649, per voto all‟incriminazione del Re,
giustificata da Cromwell in termini religiosi.
Inutile dire che il processo fu memorabile perché era la prima volta che un re veniva
processato da un popolo che si diceva sovrano; ma lo fu anche perché il Re si difese con grande
dignità.
Il processo a re Carlo si concluse co sua condanna a morte come “tiranno, traditore, omicida
e nemico della Nazione”.
Conseguentemente si ebbe la proclamazione del Free Commonwealt (libera Repubblica).
Essa durò undici anni (1649-60), durante i quali divenne sempre più dittatoriale la figura di
Cromwell, che come Lord Protettore non convocò più il Parlamento, sostituito da un‟assemblea di
puritani di scarso prestigio.
E‟ però importante questo periodo, innanzitutto perché si ebbe allora una costituzione
scritta. Si tratta del c.d. Instrument of Government del 1653, che inizia con un solenne art.1 in base
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al quale “la suprema potestà legislativa del Commonwealt d‟Inghilterra, Scozia e Irlanda, nonché
dei Dominions, sarà concentrata in una Persona e nel Popolo riunito in Parlamento; il titolo di
questa Persona sarà quello di Lord Protettore di Inghilterra, Scozia e Irlanda”
All‟art.6 si precisava che “Le leggi non potranno essere alterate, sospese, abrogate o
revocate né fatte ex novo, né alcuna tassa o imposta posta a carico del popolo se non per “comune
consenso” nel Parlamento, e salvo quanto esposto all‟art. 30 (sulla necessità urgente di
provvedere)”.
Dopo molti articoli sulla formazione e le convocazioni del Parlamento, la costituzione
proseguiva all‟art. 24 che
“Tutti i progetti di legge saranno presentati al Lord Protettore per il suo consenso”
Come si vede, si prevedeva il conflitto tra i due poteri e la prevalenza del Parlamento, ma
rimaneva la questione dell‟eventuale incostituzionalità della legge. All‟art.32 si prevedeva come
elettivo a vita l‟ufficio di Lord Protettore e al 35 che “La religione cristiana, sarà ritenuta come la
pubblica professione di queste Nazioni”, e all‟articolo seguente, il 36, che non si sarebbe stati
costretti con penalità a seguire quella confessione, ma che si sarebbe prevista un‟adeguata
educazione per esservi introdotti.
All‟art.37, poi, si garantiva libertà di culto a tutti, salvo per coloro che turbassero la pace
con l‟esercizio della loro libertà religiosa, e in ogni caso salvo per i seguaci della “popery” (papato)
e ai “prelacy” (preti), ritenuti evidentemente di turbamento presunto in assoluto.
Il periodo fu di intense riforme, nessuna delle quali però sopravvisse, salvo l‟abolizione dei
feudi militari.
-Fu eliminata la figura dei Vescovi;
-fu eliminato il Law French (ossia “il francese del diritto”, l‟antico linguaggio giuridico del
common law) dalle corti di giustizia, in cui si sarebbe dovuto parlare solo inglese;
-si sarebbe voluto codificare il diritto e inaugurare un nuovo sistema di datazione, che
partisse con l‟anno I dalla fondazione della Repubblica.
Sono evidenti, quindi, somiglianze con la Rivoluzione francese, perché le idee di libertà,
uguaglianza e tolleranza, anche se strumentalmente affermate, furono poi riprese in contesti anche
diversissimi.
6.4. La restaurazione monarchica
Nel 1660, dopo undici anni di convulsi turbamenti, le parti in lotta furono costrette a
richiamare un sovrano, Carlo II della dinastia degli Stuart, che promise rispetto al Parlamento, la
libertà di coscienza. Quindi si assistette ad una restaurazione della monarchia basata su di un atto
del Parlamento: Tale illegalità fu colmata dal consenso dell‟opinione pubblica e del nuovo monarca.
Ma intanto furono eliminati i monopoli, gli usi civici, le corporazioni, modernizzando il Paese e
consolidando una tendenza verso il liberalismo politico ed il liberalismo economico, alle origini
d‟un incredibile sviluppo economico e industriale
I Comuni vollero imporre il loro governo al Re.attraverso il Consiglio privato della Corona,
mentre il Re contrastò questa imposizione costituendo un Governo segreto: il Cabinet. Il sovrano,
insospettì l‟ala liberale del Parlamento, per cui fu imposto il famoso Habeas corpus Act del 1679,
che era una legge formale in cui si disponeva che la polizia dovesse mettere a disposizione del
giudice gli arrestati entro 20 giorni.
Nel 1685 Giacomo successe a Carlo, ma ebbe una rivolta dei Protestanti contro di lui che
portò alla sua fuga presso Luigi XIV. Nel 1688.89 si ebbe così la Glorius Revolution contro la
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Great Rebellion. Il Parlamento preparò alcuni importanti provvedimenti, come il Tolaration Act del
1689, col quale si ammise la libertà religiosa per i Protestanti non anglicani.
Ancor maggiore importanza rivestì il Bill of Rights (Carta dei Diritti), del 1689, vera e
propria anticipazione delle successive Dichiarazioni dei diritti dei cittadini e dell‟uomo, che fu
giurata dal nuovo sovrano Guglielmo III d‟Orange, chiamato dal Parlamento a governare.
Esso affermò nel common law la regola del rule of law (governo o primato del diritto) cge,
tra l‟altro, prevedeva:
1- Il divieto di sospendere le leggi e di dispensare dall‟osservanza di esse senza
autorizzazione del Parlamento (il Re non è sopra la legge;
2- La tassazione per l‟esercito solo con il consenso del Parlamento;
3- La libera elezione dei deputati e la libertà di parola entro le mura del Parlamento;
4- L‟immunità parlamentare di fronte alla giustizia;
5- Il divieto di introdurre pene crudeli e inusuali;
6- Il diritto di portare armi.
Si trattava in pratica di un nuovo contratto tra sovrano e governati: Durante la rivoluzione
“gloriosa” quindi il Parlamento giudicò da solo sulle legittimità del comportamento del sovrano. Per
la seconda volta dunque si assistette ad un governo esclusivo del Parlamento, il quale però si rese
conto che ra meglio avere anche una autorità distinta e separata per il governo quotidiano. Fu da
allora che i due partiti riflettevano una diversa strategia su come governare il Paese.
Si affermò la necessità di un minimo consenso parlamentare per l‟azione di Governo e la
maggioranza e la maggioranza liberale riuscì ad avere suoi membri nel Cabinet. Dalla fine del
Seicento quindi il re potè governare con il proprio Cabinet, a cui i membri del Palramento erano
sempre più interessati, perché volevano che vi partecipassero dei personaggi di cui potersi fidare.
7. Nelle colonie d‟America: prima degli Stati Uniti.
Questi sviluppi erano ben conosciuti nelle colonie inglesi in America, anche se nel Seicento
ad esse l‟Europa dedicava ancora ben poca attenzione.
Ebbene, esse derivavano o
a) Da insediamenti di compagnie commerciali titolari di concessioni o
b) Da insediamenti in territori ottenuti per motivi vari da privati con lettere patenti del
sovrano.
In entrambi i casi i territori furono popolati da comunità emigrate spesso per dissenso
politico e religioso con quanto avveniva in Inghilterra, quando furono perseguitati i non
conformisti.
Anche un primo insediamento molto famoso fu di carattere religioso, di un gruppo che si era
prima fermato in Olanda, a Leiden, e che poi riprese le sue peregrinazioni perché l‟ambiente era
troppo pericoloso, giungendo anziché in Virginia, ove era stato previsto l‟approdo nella Nuova
Inghilterra, dove fu fondato il porto di Plymouth, poi incluso nel Massachusetts. Siamo nel 1620 e i
“pellegrini” naviganti, i c.d. “Padri fondatori” prima di sbarcare fecero un solenne giuramento su un
documento di evidente carattere contrattuale, noto come “Mayflower Compact”, interessante anche
per il richiamo alle leggi nuove da darsi anziché al common law.
Si vede bene come fosse comune a molti gruppi trasferitisi in America l‟idea di costituire
qualcosa di nuovo radicalmente, in opposizione alla vecchia società europea. Ma le prime comunità
ebbero vita durissima (clima, indigeni, banditi etc).
Alla metà del Seicento comunque, tutte le 13 colonie inglesi dell‟Est si erano ormai
stabilizzate ed ebbero soluzioni organizzative analoghe. Questo perché la loro origine era stata ben
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diversa per lo più, e inoltre perché la Madrepatria non si occupò per molto tempo del destino delle
colonie, affidate agli investitori delle varie “compagnie”.
Nonostante il disinteresse del potere centrale che finì per favorire l‟immigrazione di chi
voleva fondare un “ordine nuovo”, religioso e sociale, qualche istituzione dovette necessariamente
prevedersi nelle varie colonie: in particolare un Governatore con un Consiglio di nomina regia ed
un‟Assemblea eletta dai residenti riproducendo così il dualismo inglese.
Il Governatore era nominato dal Re e rappresentava il potere esecutivo, essendo capo
militare ed amministratore delle colonie. Le Assemblee dei rappresentanti collaboravano con il
Governatore.
Essa si riservava di bloccare l‟applicazione di queste leggi, qualora le avesse ritenute
contrarie agli interessi della nazione e dei cittadini britannici. Si noterà che è un po‟ quel che da noi
avveniva per il controllo esercitato dalle città dominanti sugli statuti dei centri dominati e ora dal
governo nazionale su quelli regionali.
7.1. Il governo secondo le “carte”
Questo sistema era costituito con atti normativi specifici, documenti scritti che abituarono
gli Americani all‟idea di una costituzione scritta con tutte le norme organizzative fondamentali, non
diffusa in Inghilterra. L‟applicazione delle leggi coloniali, le sentenze dei tribunali, erano
appellabili al Privy Council , ossia al Consiglio privato della Corona, che rifiutava l‟applicazione
delle leggi in contrasto con quelle inglesi, cui dovevano essere subordinate.
A Londra naturalmente non si applicavano le leggi coloniali che violavano gli interessi della
legislazione inglese. Si affacciò così l‟idea di una gerarchia delle fonti ed i giudici di Londra
potevano controllare la conformità dei due livelli.
Le colonie erano di lingua inglese, ma ereditarono liberamente il sistema di common law
dalla Madrepatria. Anche perciò seppero alimentare lo spirito contrattuale tipico del Mayflower
Compact.
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Capitolo terzo
Il lungo settecento
Un’età tra riforme e rivoluzioni
1. IL SETTECENTO A VOLO D‟UCCELLO
Il Settecento è un secolo che ha forgiato l‟Età contemporanea poiché le idee ancora oggi
correnti n gran parte derivano da quella età. Vediamo gli aspetti fondamentali che da un punto di
vista storico-giuridico hanno influito sugli eventi del s3colo e hanno inciso profondamente sulle
nostre concezioni ideologico-culturali attuali.
Il diffondersi di una cultura attenta ai diritti individuali e legata ad una nuova nozione di
„natura‟ ha consentito di affermare in modo nuovo la sempre proclamata „naturale‟ libertà ed
uguaglianza degli uomini ed ha segnato correlativamente l‟inizio della crisi della radicatissima
cultura nobiliare d’Ancien règime. Lo abbiamo visto per gli sviluppi politico-costituzionali in
Inghilterra e per il diffondersi di giusnaturalismo e giusrazionalismo. Il moderno costituzionalismo
trae fortissimo, decisivo, alimento da quel contesto e dalla sua affermazione nelle colonie
americane. Ugualmente, il razionalismo e giusnaturalismo sono il fondamento della „questione
penale‟, che fu centrale nel Settecento pressoché ovunque, come problema del crimine, del processo
penale e del trattamento del reo.
Nei Paesi protestanti il problema dei privilegi ecclesiastici era già stato risolto. Non così nei
Paesi cattolici. Qui la Chiesa apparve sempre schierata a tutela della conservazione dello status quo,
a favore delle istituzioni tradizionali per cui la cultura nuova finì per atteggiarsi in senso anti-
clericale, quando non atea del tutto o quanto meno volta a difendere e ad ampliare i diritti e le
competenze dello Stato laico, che apparve l‟unico apparato in grado di riformare un passato
negativo. Prende avvio da qui un aumento delle competenze legislative. Nel complesso il Settecento
segnò perciò nel mondo cattolico un crollo dell‟egemonia ecclesiastica e una decisa affermazione di
autonomia dello Stato.
Nel complesso, la cultura settecentesca costituisce fondamentalmente il corpo centrale della
cultura laica odierna, che cerca di risolvere i problemi prescindendo da credenze religiose, e che
crede nell‟utilità della separazione tra Chiesa e Stato e che sia possibile una soluzione generale dei
problemi, perché gli uomini hanno sostanzialmente gli stessi diritti naturali e gli stessi bisogni, per
il solo fatto di esser nati.
Perciò si potè anche discutere con una ampiezza e una libertà prima inesistente di riforme
giuridiche e istituzionali, che si realizzarono in Europa.
Questo fu il grande dilemma degli intellettuali e dei governanti alle prese con quella che è
stata chiamata la „crisi della coscienza europea‟.
E le soluzioni furono infatti tutt‟altro che omogenee.
Sul piano dei modelli gius.politici infatti si assistè in alcuni Paesi al diffondersi e al
rafforzarsi dell’assolutismo politico, talora „illuminato‟, ispirato a criteri riformatori per limitare
privilegi di nobiltà e clero: è la strada seguita dai Paesi di lingua tedesca. D‟altro canto si affermano
anche pienamente nell‟area anglo. Americana, ordinamenti parlamentari di ispirazione liberale
decisamente contrari ai primi.
In mezzo tra questi due poli, I Paesi dove le riforme non riuscirono e si giunse quindi al
pieno dispiegarsi dell‟esperienza rivoluzionaria. Come fenomeno originario, la rivoluzione ebbe
luogo in Francia, ma dalle armate napoleoniche essa fu esportata con tutto il suo corredo ideologico
e ideale in (quasi) tutta Europa, provocando reazioni, recezioni, adattamenti: a quella furia non si
poteva essere indifferenti, volenti o nolenti.
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Sul piano giuridico, collegato a questi drammatici eventi politici, si realizzarono le
condizioni per:
a) il trionfo del costituzionalismo sul pian gius-pubblicistico; da allora, la presenza di una
costituzione cominciò ad essere ritenuta condizione essenziale per la civile convivenza da ampi
strati della popolazione;
b) il trionfo del passaggio da ordinamenti di diritto comune a ordinamenti a diritto codificato sul
piano del diritto privato soprattutto; anche se non dappertutto e nello stesso modo, si può ben dire
che „normalmente‟ si ebbe un profondo radicamento del progetto codificatorio, ritenuto
complementare o addirittura più importante e condiviso di quello costituzionale.
c) il pieno dispiegarsi in definitiva, tenuto conto dell‟uno e dell‟altro aspetto, del cosiddetto
gius.positivismo, che comportò l‟aumento del fenomeno legislativo ovunque.
Si può perciò qui introdurre il concertto di consolidazione con cui gli storici odierni hanno
etichettato le raccolte normative del Sei-Settecento che riordinavano materiali precedenti, novità,
ma sempre restando all‟interno del sistema del diritto comune. Queste raccolte, già viste per il
Cinque-Seicento, sono ora presenti ovunque.
2. L‟AVVIO DEL SETTECENTO
2.1 Sul piano culturale importanti sviluppi si stavano realizzando, sulla base delle solide premesse
giusnaturalistiche e giusrazionalistiche seicentesche nei Paesi di Lingua tedesca. Dove bisogna
porre attenzione a quanto avveniva in molti Stati dell‟Impero avviati all‟assolutismo illuminato
grazie alla poderosa opera svolta sul piano culturale dalle università.
Alcuni scrittori sono emblematici di questa stagione. Uno in particolare sembra riassumere il
meglio della grande stagione seicentesca.
2.2 Christian Thomasius (1655-1728) Filosofo, giurista e docente di diritto nelle Università di
Lipsia e di Halle, Thomasius sviluppò le idee iniziate dal Pufendorf: laicizzazione del diritto, difesa
della libertà di coscienza, tolleranza religiosa. Si battè per l‟esclusione dalla lista dei crimini
punibili dallo Stato dei reati di eresia (1697), di magia (1701) e per l‟abolizione della tortura
giudiziaria (1705).
La tortura giudiziaria, secondo Thomasius, va abolita perché: 1) è già una pena, e può
ricadere si un innocente; 2) perché spesso viene usata da chi detiene il potere come mezzo di
vendetta, e ciò non si confà ad uno Stato civile; 3) perché viola il diritto di auto-difesa; 4) perché
può causare una falsa confessione; 5) perché è immorale ed inumana.
Per Thomasius ciascun uomo è chiamato a vivere secondo i tre criteri dell‟Honestum, del
decorum edel iustum. La prima sfera riguarda le regole di saggezza e di virtù, la seconda riguarda i
rapporti di benevolenza e correttezza verso gli altri. Queste due sfere non possono però essere fatte
oggetto di obbligo giuridico, al contrario della terza, quella del iustum, che assicura il bene minimo
della non conflittualità e della non violenza tra i soggetti.
Quelle di Thomasius sono idee già illuministiche e liberali.
2.3 Christian Wolff (1670-1754)
Si tratta di un matematico, filoso e giurista, che sviluppò e divulgò le idee seicentesche di
Leibniz.
Egli ritenne che le regole non dovessero essere differenziate sulla base delo status
soggettivo.
Riteneva necessaria l‟esistenza di regole generali a cui si poteva derogare solo tramite le
eccezioni. La sua idea di una parte generale del diritto, valida per tutti i cittadini, venne in seguito
ripresa nella codicistica tedesca.
La sua opera principale è Il diritto naturale trattato in modo scientifico del 1748
68
2.4 REGNO DI PRUSSIA
Nata come Stato autonomo solo nel „500, quando un Hohenzollern, elettore del
Brandeburgo, secolarizzò i beni dei cavalieri dellOrdine Teutonico: In forte sviluppo proprio da fine
„600 per aver accolto o protestanti in fuga dalla Francia, divenne Regno nel 1701, quando il suo
Duca assunse il titolo di re senza le proteste dell‟impero, dato che la Prussia era fuori dell‟Impero,
ma suscitando le proteste vivissime del Papa, secondo il quale un titolo del genere non poteva
essere assunto da un protestante.
Da allora soltanto la Prussia, con capitale a Berlino, grazie ad un poderoso esercito e una
attenta politica mercantilistica, acquisì una posizione centrale in <Germania.
In Prussia, prima ancora del re Federico il Grande 1740-86), si attuò una gerarchia
amministrativa unificata con burocrati professionali assunti in base a regole generali, a tempo pieno
e regolarmente retribuiti: la Prussia passò così all‟avanguardia per l‟efficienza amministrativa
diventando modello per potenti vicini in via di riorganizzazione.
Il nuovo insegnamento rispondeva ad esigenze eminentemente pratiche, tese a formare
quadri professionali competenti da impegnare nell‟amministrazione pubblica o nelle forze armate. Il
patrocinio statuale postulava la tutela del benessere e della felicità dei sudditi e la salvaguardia della
sicurezza: la libertà sia in senso economico che politico procedeva unicamente dallo Stato.
2.5. Impero di Russia
Non si può fare a meno di pensare alle grandi riforme avviate in un Paese allora
arretratissimo da Pietro il Grande (1672-1725), zar effettivo a partire dal 1696 e riformatore dopo
un lungo viaggio di 15 mesi nei più moderni Paesi europei.
Egli sostituì la „Duma‟ tradizionale con un Senato di nomina propria di nove membri,
controllò in modo ferreo la Chiesa ortodossa, centralizzò l‟amministrazi0ne e suddivise l‟Impero in
provincie. Creò una nobiltà di ufficio deprimendo quella di sangue e fece divenire elettiva la corona
per legge (1722) attribuendosene il diritto. Insomma aprì la Russia alla modernità, anche se non
riuscì a contenere fenomeni profondamente arretrati come la compravendita dei „servi della gleba‟.
2.6. Regno Unito d‟Inghilterra: consolidamento costituzionale
Nel 1701 il Bill of Right frutto della „gloriosa rivoluzione‟ di fine Seicento venne integrato
per il regolamento della successione al trono con l’Act of Settlement. Questo portò nel 1714
all‟ascesa della dinastia degli Hannover estintasi con la regina Vittoria nel 1901, cui succedette il
figlio Edoardo VII, di Sassonia-Coburgo e Gotha che si arrivò poi alla attuale dinastia degli
Windsor, così detti dal 1917 quando Giorgio V decise di rinunciare ai titoli tedeschi.
L‟atto del 1701 aveva stabilito che i sovrani dovessero essere protestanti e non „papisti‟, e
poiché la regina Anna nel 1714 era morta senza eredi protestanti, la successione passò a Giorgio I,
figlio di un principe tedesco della casa Hannover, elettore dell‟Impero, che arrivò in Inghilterra
senza conoscere il Paese e la stessa lingua inglese.
Fu un fatto importante, perché da questo momento il Cabinet cominciò a riunirsi anche
senza di lui: La fiducia del re divenne meno necessaria ed il governo si appoggiò maggiormente al
Parlamento. Si poteva parlare ormai di „monarchia costituzionale‟ e la base sociale del Parlamento
era più ampia. Infatti poteva votare solo il 2% della popolazione. Nel Settecento si ebbe uno
sviluppo costituzionale compiuto nei suoi lineamenti essenziali, formandosi quindi un sistema
costituzionale parlamentare che cominciò ad essere un modello da studiare e imitare. L‟Inghilterra
divenne un faro di civiltà per l‟Europa anche perché favorita dal generale clima di libertà (a partire
da quella di stampa), che vi si respirava. Ne furono incoraggiati i dibattiti culturali, accademie e
università entravano in una fase di eccezionale vivacità e si sviluppava un‟editoria sia scientifica
che „popolare‟.
69
Anche perciò le opere di John Locke (m. 1704) ebbero una rapida diffusione ovunque e il
modello inglese diventò presto un mito, mentre si diffondeva il pensiero scientifico di un Isaac
Newton e quello filosofico, prettamente empirista, e quindi incoraggiante anche la ricerca
scientifica dei fenomeni naturali, del grande filosofo David Hume (m. 1776). Egli ci interessa
soprattutto come rigoroso difensore dell‟utilitarismo, e coerentemente favorevole a ogni analisi dei
fenomeni sociali.
Non è certo un caso che intanto in Inghilterra si siano costituite le prime „logge‟, e che qui
già nel secondo decennio del Settecento si siano scritte le prime „costituzioni‟ massoniche, che
prescrivevano una fede in Dio di tipo deistico e la solidarietà universale per il progresso
dell‟umanità. Il segreto delle procedure della Massoneria doveva servire non solo a garantire il
progressivo maturare dei membri, ma anche mettere al riparo da eventuali ritorsioni e permettere
un‟azione più penetrante in ambienti dirigenti che non potevano rendere pubblica la loro
affiliazione.
Costituitasi anche in altri Paesi europei e in America, la Massoneria assunse un carattere più
radicale e quindi anche anticlericale nei Paesi cattolici ove si scontrò con le istituzioni repressive
d‟Antico regime ancora pienamente operanti.
2.7. Altro motivo di ammirazione: le colonie
Altri sviluppi di singolare interesse si potevano rintracciare nelle colonie d‟Oltreoceano.
Il caso della Pennsylvania, terra che aveva come capoluogo „Philadelphia‟, ossia la città
dell’amore fraterno, balzò presto all‟attenzione degli osservatori più attenti in Europa: Questo
territorio era stato donato dal re inglese a William Penn con una lettera patente che lo obbligava a
consultare gli abitanti per le nuove leggi.
Ebbene, nel 1701 i residenti costrinsero il concessionario a concedere a sua volta una carta:
La Carta dei privilegi della Pennsylvania (1701)
Libertà religiosa (non ateismo!), felicità dei cittadini (problema nuovissimo, sconosciuto in
Europa), rappresentanza, processo, proprietà: i cardini del vivere civile divenuti poi cavalli di
battaglia dell‟illuminismo europeo sono qui concentrati in modo assolutamente inedito.
Si capisce come in un ambiente di questo genere si sia potuti giungere a pretendere dalla
Madrepatria quello che il Parlamento inglese aveva a sua volta a suo tempo preteso nei confronti
della Corona, cioè che venisse riconosciuto un potere autonomo alle Assemblee e in particolare che
le assemblee americane dovessero acconsentire alla tassazione che riguardava le colonie. No
taxation without representation.
Facile capire perché la sconosciuta e lontana Pennsylvania sarà presto esaltata da Voltaire e
più tardi da un Filangieri. Era una carta sul tipo di quelle medievali o come saranno spesso le
costituzioni „octroyées‟, concesse, dell‟Ottocento, ma era un passo avanti notevolissimo rispetto a
ogni assolutismo.
2.8. Un aspetto meno edificante: il commercio degli schiavi
Il primato inglese nell‟Atlantico fu rafforzato nel Settecento, quando si ebbe la crisi
definitiva del vastissimo Impero spagnolo.
Ma non fu solo inglese un aspetto poco commendevole del dominio dei mari e del
colonialismo, ossia la libertà di commercio degli schiavi, ebbe alti e bassi per ogni Paese in
relazione alla posizione egemonica occupata in un certo contesto. Ad esempio, un aspetto della crisi
spagnola fu l‟essere costretta, nel 1713, a firmare il trattato sul c.d. asiento, che dette all‟Inghilterra
una sorta di monopolio sul commercio internazionale degli schiavi dall‟Africa verso le Americhe.
70
L‟importazione di schiavi fu più imponente per l‟America centrale (Barbados in particolare)
e del sud, ove ebbe esiti sui tempi lunghi meno traumatici per la convivenza. Essi vi rimasero
quantitativamente meno numwerosi; ciò avvenne un po‟, purtroppo, per l‟elevatissima mortalità
provocata dalle condizioni assolutamente disumane, e un po‟ per le molte fughe dei marrons, gli
schiavi fuggitivi.
3. LA RIVOLUZIONE CULTURALE DEL PRIMO SETTECENTO IN FRANCIA
Mentre c‟erano sviluppi così importanti in alcuni Paesi, altri erano invece ancora avvolti
dalle pratiche istituzionali del passato. A partire dalla Francia, che diverrà il Paese sempre più al
centro dell‟attenzione e, alla fine anche, quello più lacerato dalle contraddizioni insanabili maturate.
Qui infatti si ebbero sviluppi culturali rilevantissimi cui non corrisposero però le riforme
istituzionali, sociali e del diritto che i governi poterono assicurare in Inghilterra e nei Paesi di
lingua tedesca.
I personaggi da ricordare da questo punto di vista sarebbero molti, ma due spiccano su tutti.
Il primo perché strettamente attinente ai problemi giuridico-istituzionali, il secondo per la sua
versatilità e genialità.
3.1 Montesquieu (1689-1755)
Scrittore di enorme influsso in tutta Europa e America fu Charles-Louis de Secondat, barone
di La Brede e di Montesquieu (1689-1755), nome col quale è conosciuto: Egli per alcuni anni,
grazie all‟ereditarietà delle cariche, fu presidente del Parlamento di Bordeaux e come tale potè
venire a intimo contatto con le strutture dello Stato e della società francese del tempo, mentre si
informava con attenzione di quanto avveniva altrove, specie in Inghilterra dopo la „gloriosa
rivoluzione‟, conclusa proprio quando lui nasceva.
Da qui l‟opera sua giovanile (del 1721) Le lettere persiane, che attraverso l‟artificio di un
romanzo basato sulle impressioni di persiani in visita in Francia, dipingevano impietosamente i
difetti della società francese del suo tempo.
La sua opera maggiore è Lo spirito delle leggi, una specie di grande trattato sulla
legislazione e sulle forme di governo, non dedicata alla Francia, né alla teoria della separazione dei
poteri per la quale soprattutto divenne famoso.
La sua analisi esaminò modelli istituzionali diversi, per cui viene ritenuto uno dei fondatori
dello studio istituzionale comparato.
In questo contesto teorizzò come esempio di „monarchia temperata‟ l‟Inghilterra, vedendo
nel suo sistema costituzionale quell‟equilibrio di poteri capace di evitare la tirannide.
Montesquieu non è un pensatore astratto come i giusnaturalismi, ma un analista delle
istituzioni storiche concrete e giunto alla conclusione che l’equilibrio dei poteri garantiva tolleranza
e libertà.
Proprio per questo si deve a lui una critica serrata delle Repubbliche italiane del tempo (in
particolare a Venezia, la più famosa), in cui governava una specie di „tiranno collettivo‟ che
controllava ogni potere, ed in contrapposizione viene valorizzata la monarchia „temperata‟.
Per lui c‟era da creare un sistema di poteri plurimi, bilanciati, che consentissero di evitare
ogni arbitrio della nobiltà e monarchia.
Da questo punto di vista può essere annoverato tra i padri del liberalismo, ma non va
neppure dimenticata la sua rivendicazione di un forte potere legislativo, che limitasse i poteri dei
giudici. Essi, infatti, dovrebbero solo applicare le leggi: devono essere bouches de la loi, bocche
della legge.
Interessante anche l‟analisi critica da lui condotta sul sistema penale e processuale
nell‟Esprit, il cui assetto è di matrice laica e di impronta garantista: solo le azioni esterne sono
71
passibili di persecuzione, le intenzioni e le parole non dovevano essere considerate rilevanti ai fini
processuali e penali.
Un suo seguace italiano può essere considerato il milanese Cesare Beccaria.
3.2. Voltaire (1694-1778)
Educato dai gesuiti, con qualche studio giuridico, ma poi subito passato alle buone letture
filosofiche, storiche e letterarie, dopo l‟esilio cui fu costretto in Inghilterra (1726-28) e dove potè
conoscere da vicino il liberalismo e l‟emoirismo, egli pubblicò le Lettere sugli Inglesi (sull‟esempio
delle Lettere di Montesquieu) sostenitrici della tolleranza inglese e del suo governo parlamentare e
molto polemiche con il sistema politico-giuridico francese e per questo condannate al rogo.
Un‟altra delle realtà nuove pubblicizzate efficacemente da Voltaire fu la Pennsylvania, la
colonia inglese americana che egli additò come modello di società giusta e razionalmente
organizzata.
Sul piano giuridico molto importante ed efficace fu la sua battaglia (vinta) per far rivedere il
caso Calas, ossia la condanna che era stata inferta ad un calvinista di Tolosa, accusato di aver ucciso
il figlio per evitare la sua conversione al cattolicesimo.; la vicenda è raccontata nel suo Trattato
sulla tolleranza, del 1763.
3.3. La Fisiocrazia
Dal punto di vista culturale, importante è anche la Fisiocrazia (letteralmente, „dominio della
natura‟). Tale corrente di pensiero si sviluppò soprattutto in Francia, ma in Toscana con il senese
Sallustio Bandini, autore d‟un Discorso sulla Maremma, del 1737, in cui propugnava la libera
esportazione dei grani per risolvere i problemi di quel territorio allora in piena decadenza e preda
della malaria.
La Fisiocrazia sosteneva l‟esistenza di un „ordine naturale‟; contro il mercantilismo i
fisiocrati sostenevano posizioni liberiste negando la necessità dei regolamenti economici, e
sostenevano che non bisognava privilegiare l‟industria ed il commercio con l‟estero, ma incentivare
la produzione agraria. Perciò era necessario favorire i produttori agricoli dando loro libertà di
commercio e garantendo loro la proprietà della terra.Che veniva intesa espressione suprema
dell‟individuo.
Il pensiero fisiocratico influì anche su quello giuridico e più in generale sulla politica del
diritto dei legislatori, nel senso di liberare la proprietà fondiaria da ogni vincolo, quelli feudali in
particolare. L‟idea era che solo gli imprenditori non gravati potessero essere produttori sani
economicamente.
Veniva quindi esaltato il diritto di proprietà.
Però questa impostazione, contemporanea a crisi economiche e carestie favorì una ripresa
delle tradizionali ideologie comunistiche del passato, ora rinnovate nel linguaggio e spesso
anticlericali a differenza del passato, quando aveva una chiara impronta religiosa.
In Francia questi orientamenti furono soprattutto difesi dagli illuministi, come philosophes
Mably e Morelly.
In questo contesto si può anche ricordare il „mito del buon selvaggio‟. Il „buon selvaggio‟
era appunto l‟indigeno di aree ancora non „civilizzate‟ del globo, che non era stato contaminato
dalla civiltà corrotta e decadente d’Ancien règime. Da lui si poteva imparare moltissimo, perché non
conosceva i condizionamenti di cui da secoli erano responsabili la Chiesa e la nobiltà.
Tutto ciò alimentava una cultura di apertura universale favorita anche dalla diffusione della
Massoneria, che ebbe molti adepti tra i philosophes, di cui parliamo. Essa fa parte integrante di
questo mondo innovatore, che ha preso il nome di Illuminismo.
3.4. Diritto scritto e diritto consuetudinario
72
L‟egualitarismo e universalismo di questa cultura illuministica strideva a piene lettere con la
situazione francese del tempo, caratterizzata dai privilegi del clero e della nobiltà feudale, difese
dalle istituzioni tradizionali come i Parlamenti.
Se da un lato, l‟ordinamento politico francese si presentava coke un organismo statuale
accentrato dall‟altra registrava ancora l‟antica frattura di un sistema legislativo che si fondava su
diritti parzialmente confliggenti in molti istituti giuridici tra i più rilevanti: il „diritto scritto‟ di
derivazione romana in vigore nel sud, e quello consuetudinario di origine germanica vigente nel
nord.
Nel Midi, dal diritto romano si traeva una concezione più autoritaria della famiglia; con il
paterfamilias cui veniva accordata un‟autortà pressoché indiscussa rispetto agli altri.
La proprietà veniva concepita come un principio pieno ed assoluto teso all‟esclusione di
profili di dominio collettivo.
Inoltre le disposizioni testamentarie accordavano al de cuius la completa e totale volontà di
determinare il destino dei propri beni.
Nei „paesi‟ del settentrione, le consuetudini prevedevano una concezione della famiglia con
un‟attenuazione del potere accentratore del capofamiglia. La condizione giuridica della donna non
contemplava l‟amministrazione esclusiva ed incontrollata del patrimonio affidata al capo e l‟istituto
della dote.
La concezione della proprietà era meno individualistica rispetto ai principi romanistici, con
forme di disponibilità collettive dei beni.
Il diritto successorio era contrassegnato da una minore libertà del testatore.
Inoltre le diffusissime giurisdizioni signorili-feudali e quelle ecclesiastiche agivano da
fattori disgreganti dell‟unità del Paese.
Il diritto feudale per i privilegi e diritti sia personali che reali da esso previsti, mentre il
diritto canonico su scala anche più ampia interveniva sul regime giuridico cui erano assoggettate
persone e beni. Ad esempio, sottraeva al diritto comune la regolamentazione del diritto
matrimoniale.
In questa situazione di estremo particolarismo, ci furono varie sollecitazioni tese
all‟unificazione legislativa nel corso del XVIII secolo, ma incorsero nella resistenza dei ceti
privilegiati. Questi, ritardavano la registrazione delle Ordonnances regie finalizzate alla
costituzione di un unitario corpus legislativo, oppure le disapplicavano di fatto.
Paradossalmente, nonostante i vari impulsi di riforma del diritto civile poste in essere ad
opera di privati o di incaricati ufficiali, prima del Code napolèon, la Francia riporta il fallimento
quasi integrale di ogni impegno sistematico salvo le riforme dovute all‟iniziativa del potente
cancelliere del Regno Daguesseau (m: 1751)
Questi fu un giurista operante come scrittore negli anni ‟20 e ‟30 del secolo sul problema
della sistematizzazione dei contenuti normativi. Il suo approccio era pragmatico e di un moderato
riformismo, per cui pensò fosse necessario procedere alle riforme affrontando singoli settori. Perciò
preferì cominciare con le donazioni laddove si poteva contare su un istituto caratterizzato dalla
semplicità ed il ridotto contrasto tra i principi del diritto romano e quelli del diritto francese.
La sua opera proseguì in tre grandi Ordonnances che investirono rami importanti del diritto
privato, il regime delle donazioni dei testamenti e dei fedecommessi, rispettivamente nel 1731, 1735
e 1747.
Importanti leggi, perché esse unificavano il diritto francese in questioni privatistiche
essenziali, superando così la frammentazione delle coutumes e lo scontro tra esse e il diritto romano
del Sud; inoltre perché la loro disciplina mostrò che anche il diritto privato poteva essere investito
dalle riforme; molti aspetti di queste normative furono poi recepite entro il Code Napolèon.
Ma rimanevano fuori i contratti, successioni e famiglia; di qui il successo che continuava a
riportare l‟opera razionalizzatrice di Domat, tutta tesa a ridisegnare il sistema giuridico. Essa fu
73
sviluppata da un giurista che divenne famoso non solo in Francia, ma in ogni Paese a diritto
codificato, e realizzata in alcuni settori privatistici dal cancelliere Daguessau.
3.5. Robert Joseph Pothier (1699-1772)
Pothier è il grande continuatore settecentesco dell‟opera di Domat, considerato il pér du
code civil francese de 1804. I redattori del Code civil si ispirarono a lui, attingendo dalle sue opere,
come:
1) Pandectae in novum ordinem digestae (1748-1752, cioè Le pandette risistemate), ispirata dal
Daguesseau, una rielaborazione in chiave razionalistica dal Digesto, come quella programmata dal
Leibniz, ma con tratti caratteristici: chiarezza espositiva, richiami in capo a ogni titolo alle sedi
parallele e ai sommari ad essi preposti;
2) l‟edizione commentata della Coutume d‟Orleans (1740), traatta il diritto consuetudinario francese
in generale;
3) una lunga serie di trattati su materie di diritto privato, obbligazioni e proprietà in particolare.
Fu il teorico di una metodologia nuova consistente nell’unificazione descrittiva dei diritti
distinti. Un trattamento che rendeva più sfumate e meno notevoli le differenze tra i due mondi
giuridici
Pothier dette una diversa interpretazione di determinati istituti privatistici tradizionali.
Valorizzò come proprietario il possessore e quindi l‟imprenditore. E‟ una inversione del modello
tradizionale di proprietà, che preparò culturalmente l‟eliminazione dei diritti feudali durante la
Rivoluzione francese.
A differenza di quanto teorizzava il mercantilismo, per Pothier la vera ricchezza di un Paese
era nella produzione agricola, valorizzazione dell‟impresa, realizzabile solo con la piena proprietà
dei mezzi di produzione.
4. L‟ITALIA NEL PRIMO SETTECENTO: PRE-ILLUMINISMO
Il nostro Paese pagava allora lo scotto della stagnazione seicentesca. Che fu tale, ma non
significò sempre anche una crisi completa da un punto di vista culturale se solo pensiamo alla
ricerca storica svolta in più sede significative, ma anche all‟arte e all‟architettura del barocco, e ai
suoi fasti a cominciare da Roma e senza trascurare tante altre città.
Per il diritto, chiaramente il contesto politico-istituzionale pesava però in senso negativo,
tendendo a consolidare gli equilibri esistenti.
Nei limiti in cui ci fu, il rinnovamento degli studi giuridici in Italia nell‟ultimo scorcio del
Seicento e soprattutto nei primi decenni del secolo successivo trasse alimento dai nuovi fermenti
culturali e scientifici. Vennero recuperate e ripensate le metodologiche umanistiche strutturate su
canoni dell‟esegesi delle norme del corpus giustinianeo, dell‟interpretazione storica e degli
accertamenti filologici. Questo indirizzo innovatore si delineò per la sua coscienza critica che
faceva proprie e valorizzava le suggestioni speculative derivanti dal giusnaturalismo e dal
cartesianesimo. Gli indirizzi ‟antiquati‟ so congiunsero con le indagini basate su fondamenti
scientifici e di carattere filosofico di nuova generazione, inserendosi così all‟interno del più vasto
contesto culturale europeo.
In questo contesto intellettuale il giurista riformatore vestì i panni del letterato e dell‟uomo
di scienza. Le nuove inclinazioni non andavano disgiunte anche dalla condivisione di interessi di
natura giuspolitica: emergevano i lineamenti di una riflessione che proponeva una ridefinizione del
diritto, dei rapporti fra governanti e governati, della funzione dello Stato. Si assiste ad un impegtno
di esegesi e di studio dalla pura teoria si cala più decisamente nella realtà del tessuto sociale.
Ma questi furono sviluppi limitati, eccezionali.
74
La regola ce la dà ad esempio Venezia, che pure non aveva università e non si considerava
terra di diritto comune: non per questa assenza della cultura tradizionale di diritto comune potè
brillare per spirito innovativo.
Si consideri che a fine Seicento vi si era pensato di raccogliere in oltre 200 volumi (!) le
leggi veneziane, e poi si finì, nel 1729, per rieditare gli statuti civili e criminali antichi con rinvii
alle loro correzioni nel corso dei secoli.
Nel complesso nella Penisola la coltre di conformismo imposta dal clima politico e
controriformistico si sentiva o se ne sentivano gli effetti.
Le eccezioni furono sostanzialmente solo due in quel primo Settecento: i domini sabaudi e la
Toscana.
4.1. Terre di riforme
a) Domini sabaudi
In Italia, l‟intervento più fortunato del tempo si deve ai Savoia, ormai in ascesa sul piano
internazionale e decisi a interessarsi prevalentemente delle loro fortune in Italia, ma attenti a quanto
avveniva nei Paesi europei vicini.
Già nell‟ultimo scorcio degli anni 10 del Settecento, il Sovrano con un Editto del 1717
provvide ad un generale riassetto istituzionale ispirato ad una visione centralistica dell‟apparato
statale. Venne riordinato il Consiglio di Stato e l tre Segreterie degli Interni, degli Esteri e della
Guerra: Un‟altra disposizione regia diede una nuova struttura alle Aziende finanziarie e a quelle
della Real casa: delle fortificazioni e delle Artiglierie. Costituì un organo collegiale. Il Consiglio
delle finanze, con funzioni di contr5ollo e sovrintendenza anche della politica economica.
Attraverso il costante impegno degli amministratori governativi, si delineò un nuovo
modello culturale orientato verso la formazione di un personale competente ed esperto nelle scienze
del governo, che si concretizzò, nel corso del terzo decennio del XVIII secolo, in riforme
modernizzanti la scuola e l‟università guardando ai miglio modelli stranieri.
Ma l‟intervento per noi più significativo fu del 1723, quando il nuovo re di Sardegna
Vittorio Amedeo II di Savoia pubblicò la prima versione delle Leggi e costituzioni di sua maestà il
re di Sardegna.
La struttura delle Leggi e costituzioni fu ispirata dal ministro della guerra Andrea Platzaert e
fu l‟esito della solerzia riformistica di più giuristi che elaborarono un impianto giuridico di ordine
sistematico seguendo la prescrizione sovrana di esprimersi in termini concisi e chiari, generali e
astratti: il programma di Wolff..
“ E perché i saggi editti e gli ordinamenti de‟ Reali Predecessori pel cambiamento dei tempi,
hanno variata sorte e vicenda, di modo che o non si considerano o sono diversamente
considerati, ci siamo risoluti di spiegare l‟intrinseco loro senso e sostanza, riducendoli in un
limpido e breve compendio, si stabilisca una legge facile e chiara, restino sepolte quelle
inutili superfluità che partorivano si spessi e si gravi sconcerti”.
L‟opera non fu solo una riedizione ordinata di legislazione precedente, perché comprese
incisive riforme che dettero un nuovo volto al dominio dei Savoia. Ad esempio in materia di diritto
privato, feudale e fiscale, che erosero il primato del diritto comune,
Il testo esteso ai territori sardi in virtù del trattato che al momento dell‟acquisto aveva
vincolato il Sovrano al rispetto della legislazione e delle consuetudini vigenti nella regione.
Si prevedevano anche disposizioni nuove in tema di fonti, Nella prima revisione dell’opera,
il sovrano sancì il divieto per gli avvocati e i giudici di citare nei loro atti le autorità dottrinali (le
opiniones). La strada della certezza del diritto passava attraverso una giustizia più certa.
Anche per questo il sovrano dispose che in mancanza di norme espresse i giudici fossero
tenuti a ricorrere alle decisioni già pronunciate. Siamo allo stare decisis esplicito.
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Non solo: dalle norme sabaude derivò la tradizione ancora vigente di non poter citare i
„dottori‟.
b) Granducato di Toscana
Dove i tentativi di riforma legislativa globale non ebbero successo, come a Napoli, fu nel
Granducato di Toscana, che passò dalla dinastia dei Medici, estintasi, a quella dei Lorena con
Francesco, marito di Maria Teresa imperatrice d‟Austria, nel 1737.
Nel contesto italiano a Pompeo Neri spetta il riconoscimento di aver compiuto una elle più
accurate, storicamente e filologicamente corrette riflessioni sulla codificazione: Incaricato dal
Granduca Francesco Stefano di Lorena l‟abate fiorentino nella bozza del giugno del 1745, segnava
la via di una formulazione legislativa contrassegnta da un assai cauto riformismo e chiariva, nelle
sue linee essenziali, il retroterra teorico che avrebbe ispirato il suo impegno legislativo.
L‟insuccesso non destò polemiche.
Probabilmente, la situazione della giustizia non era così drammatica come altrove, grazie in
particolare alla giurisprudenza delle Rote, di Firenze e di Siena.
Qui tuttavia i nuovi funzionari granducali attuarono molte riforme sui feudi, sui
fedecommessi, sulla manomorta ecclesiastica e sugli enti pii, lottando contro la selva di istituti da
„repubbliche‟ che ancora si trovarono vigenti nelle varie città toscane.
4.2. La cultura delle riforme
Nonostante il grigiore complessivo del mondo del diritto ittaliano di questi decenni, qualche
personaggio di spicco non mancò, per cui echi della giurisprudenza francese, olandese, dell‟Usus
modernus tedesco poterono farsi strada. Quel che avveniva all‟estero era seguito attentamente in
alcuni ambienti napoletani, torinesi, pisani; nelle accademie o nelle università riformate dai principi
sul modello straniero.
Va segnalato il primato culturale napoletano e quindi un Gian Vincenzo Gravina (1664-
1718) giurista umanista meridionale di formazione cartesiana, autore di una sorta di storia del diritto
che analizza le fonti, la giurisprudenza e le istituzioni nel loro complesso. La ripresa ed il
ripensamento dei testi, gli permisero di rintracciare l‟essenza del Corpus juris, sgombra dalle
sedimentazioni erronee delle allegazioni forensi tipiche del bartolismo di scuola.
Ma anche il Grande Pietro Giannone, giurista e storico del Regno di Napoli, morto in
carcere a Torino nel 1748, condannato per il suo anticlericalismo, già autore d‟una fondamentale
Istoria civile del Regno di Napoli (1723). Avvocato, il suo anticurialismo giunse nel Triregno
(pubblicato postumo) ad auspicare la soppressione del papato! La storia del Regno è comunque una
valida opera di storia per il suo tempo.
Sono solo due tra i nomi di una serie che si fa lunghissima ma mano che ci di addentra nel
Settecento, dopo quel fatidico 1734 che per Napoli significò moltissimo, dacchè vide l‟arrivo di
Carlo di Borbone, il re stanziale, che pose fine al viceregno e avviò una serie di riforme, molto
impegnative anche se poco fortunate e efficaci ma destinate a lasciare un ricordo tenace tra i tanti
illuministi napoletani. Per lo più essi furono educati dall‟insegnamento di Antonio Genovesi, un
sacerdote illuminato, filoso e teorico del commercio, mentre un posto spetta a G:B: Vico (1688-
1774), il filosofo famoso per la teoria dei „corsi e ricorsi storici‟.
Sul piano delle riforme allora tentate, va ricordato un Codice Carolino (da Carlo III di
Borbone, il re) preparato dal giurista Pasquale Cirillo a Napoli su incarico del ministro Bernardo
Tanucci negli anni ‟40. Esso era solo una riorganizzazione dei tradizionali materiali normativi
civili, criminali, processuali e amministrativi.
L‟impegno legislativo della commissione incaricata della stesura del codice del Regno
procedette infatti con estrema difficoltà fino agli anni settanta del Settecento. Il progetto subì un
brusco arresto per il conservatorismo dei membri. Venuta meno la prospettiva di una riforma
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radicale, si andavano via via diffondendo le premesse per un esito compromissorio. Tanto che nel
progetto pubblicato postumo nel 1789, le previsioni normative erano ancora in latino; il progetto
presentava troppe ambiguità: oscillava fra un censimento delle prammatiche regie e una
codificazione di riforma: Insomma, era se mai un tipica „consolidazione‟
4.3. Pisa: Giuseppe Averani (1662-1738)
Giuseppe Averani (1662-1738), si può accostare per le sue speculazioni giuridico-
istituzionali al Gravina: Professore a Pisa e figura dal profilo intellettuale assai eclettico, l‟Averani
appartiene a pieno titolo alla dinastia dei novatores. Formatosi alla scuola umanistica, nella sua
opera principale, le Interpretationes iuris (1716-46), proclama l‟opportunità di attingere alle fonti
originali la ratio del patrimonio legislativo romano; le sue interpretazioni rispondono all‟esigenza di
rendere evidente l‟eredità spirituale di ragione ed equità racchiuse nell‟ordinamento.
4.4. Modena: Ludovico Antonio Muratori (1672-1750)
Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) è il principale storico italiano del secolo, autore
della grande raccolta delle cronache italiane del Medioevo, di trattazioni storiche di una erudizione
e acutezza che facevano recuperare all‟Italia il tempo perduto nei confronti della grande
storiografisa straniera del Sei-Settecento.
Muratori, bibliotecario del duca di Modena ma anche giurista, aveva dovuto fare ricerche
per una celebre contesa riguardante la sovranità sulla laguna di Comacchio e aveva studiato a fondo
l‟opera di G:B: De Luca.
Inviò anche una famosa lettera all‟imperatore Carlo VI nel 1726, sollecitando il suo
intervento contro il caos normativo del diritto comune e suggerendogli di compilare un nuovo
codice di leggi: va sotto il nome di De Codice Carolino.
Ma il risultato più maturo delle sue riflessioni si ebbe con Dei difetti della giurisprudenza,
un trattato del 1742, che sollevò subito le proteste tradizionali. L‟opera non voleva sovvertire il
mondo del diritto comune.
IL Muratori vi proponeva solo una serie di provvedimenti all‟Imperatore che mettessero fine
all‟incertezza delle opinioni dottrinali su questioni di diritto privato da lui elencate in 100 punti,
sulle quali non era più sopportabile l‟arbitrio dei giudici. Egli infatti sosteneva che i giudici sono
divenuti padroni ed arbitri della giustizia…Il peggio è l‟esser giunto il credito di questi novelli
legislatori così in alto che più alla loro sapienza si presta fede che alla legge stessa” Sosteneva
anche che i giudici si permettevano persino di privilegiare il diritto romano contro la stessa
legislazione dei loro sovrani.
Il fine che si proponeva Muratori nei Dei difetti della giurisprudenza corrispondeva appunto
ad una sostanziale contestazione di un sistema giudiziario reso incerto dalla proliferazione senza
controllo delle opiniones degli esegeti, dall‟indeterminata normativa, dalla prolissità dei processi e
dalla arbitrarietà con cui questo stesso diritto veniva amministrato.
Muratori aveva piena coscienza dell‟inevitabilità dei commenti esplicativi per ogni sistema
normativo, sia per l‟insanabile ambiguità della legge, sia per l‟emergere di sempre nuove
fattispecie.
La critica era semmai rivolta alle ambiguità dell‟impianto giudiziario provocate sia dalla
discordanza e dal volume delle interpretazioni, sia dalla condotta dei giudici, accusati di render
giustizia sulla base dello status degli aventi causa. I Difetti constano di una preliminare illustrazione
del modello gius-politico vigente che “per l‟astrusa verità delle cose” mostrava difetti intrinseci e
difetti estrinseci. I primi erano considerati dall‟autore oggettivamente insanabili a causa delle
difformi interpretazioni fornite dai giuristi, l‟oscurità di molte leggi, la carenza delle fattispecie
astratte, la complessità nell‟individuare la volontà del legislatore.
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I difetti estrinseci erano causati dalla proliferazione delle subtilitates degli esegeti. Tuttavia
queste ultime mende potevano essere ovviate vagliando le più accreditate opiniones.
E‟ evidente che i motivi ispiratori dell‟abate di Vignola richiamano la politica del giusto
mezzo. L‟esigenza di chiarificazione di semplificazione legislativa, infatti, non escludeva le leggi
giustinianee e no norme di diritto patrio; mirava piuttosto ad una rielaborazione dell‟ordinamento
vigente che obbedisse ai canoni della precisione e della certezza.
Muratori appartiene al pre-illuminismo. O all‟assolutismo illuminato, quello che fa
dipendere le riforme dalla volontà dei sovrani, e non affronta comprensibilmente il nodo del
superamento del sistema del diritto comune.
Ma ci sono i tipici spunti riformatori del tempo, l‟ansia ad esempio di assicurare con le sue
richieste la „pubblica felicità‟, perché ora si è “straziati dalle liti, alle quali non si vede mai fine”.
Facile pensare agli argomenti che gli furono opposti da Giuseppe Aurelio De Gennaro,
nobile toga, giudice della Vicaria napoletana, è il giurista che coglie la legge immanente nell‟uomo.
Per De Gennaro bisogna approfondire il diritto romano, che è conforme al diritto di natura, più che
far tanti interventi legislativi. Bisogna studiare, non solo osservare l‟esteriorità delle leggi.
Sulla stessa linea Francesco Rapolla che ne 1744 pubblicò unasua Difesa della
giurisprudenza, in cui rimprovera i letterati di pretendere di fare i giuristi. Nonostante il dissenso
che traspare con evidenza rispetto ai giudizi del Muratori, non va però accentuato il conflitto fra i
due Autori: Il saggio di Rapolla tendeva a dimostrare che i “difetti” non erano da imputare alla
“giurisprudenza” generalmente intesa, ma agli “uomini”, agli operatori che, impreparati ed
incompetenti e per di più privi di ogni scrupolo morale, disattendevano la ratio degli ordinamenti
giuridici.
A parere del Rapolla occorreva più “educare gli interpreti” che ricorrere ad una riforma
legislativa.
5. TRA RIFORME E RIVOLUZIONE: LA SECONDA META‟ DEL SETTECENTO
Italia essenzialmente bloccata, quindi. Invece le istanze riformatrici furono molto vivaci nei
Paesi che giunsero ora all‟assolutismo politico. Prescindendo infatti dalla Gran Bretagna e dalla
Francia, si ebbe un‟accelerazione notevole dei processi istituzionali e sociali. Nei Paesi cattolici
c‟erano problemi peculiari per la forte presenza della Chiesa, che nel complesso proprio in questi
anni perdette molto della sua egemonia.
5.1 Il ridimensionamento della Chiesa: giurisdizionalismo
Fu in crescita esponenziale il giurisdizionalismo, con cui si indica la particolare politica e
legislazione dello Stato nei confronti della Chiesa, con la formazione di un diritto ecclesiastico, cioè
un diritto dello Stato disciplinatore della Chiesa e dei suoi enti in opposizione al diritto canonico.
Si voleva impedire che il clero s‟ingerisse nelle faccende temporali, ma essendo Stati
confessionali con una religione ufficiale, bisognava restringere l‟area della giurisdizione
ecclesiastica, allargando quella statale.
Fu entro questo contesto che si giunse anche all‟eliminazione di alcuni ordini religiosi
„contemplativi‟, ritenuti parassitari, incamerandone i beni (la c.d. manomorta ecclesiastica) o
trasferendoli a Roma, oppure si legarono i vescovi ai sovrani incoraggiando la formazione di Chiese
nazionali, come era stato il caso di Giuseppe II. Quest‟ultimo dette vita al c.d. giuseppinismo, che
fu un orientamento volto al controllo rigoroso e burocratico sull‟operato del clero in modo da
assicurarne correttezza, efficienza e moralità al servizio dei fedeli.
Perciò, bersagliati dalle innumerevoli critiche degli illuministi, o Gesuiti finirono per essere
espulsi da vari Paesi nel corso del secondo „700, ritenuti troppo legati a Roma e troppo
condizionanti la politica e la cultura. Finsero in realtà anche un po‟ da capri espiatori delle crisi del
tempo, e il loro Ordine fu infine persino soppresso dal Papa nel 1773 (poi fu ricostituito nel 1814).
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Si riuscì più facilmente a far chiudere l‟Inquisizione (non ovunque), a restringere il
privilegio del foro per il clero, a sopprimere il diritto d‟asilo nelle chiese per i delinquenti, ad
affermare il rigido controllo della politica di acquisti da parte delle chiese.
Per realizzare questi fini un passaggio inevitabile era la riduzione dei privilegi nobiliari ed
ecclesiastici di fronte al rafforzamento dello Stato. E qui cominciavano, naturalmente, le difficoltà
politiche, Che ci conducono ad operare una distinzione fondamentale, pur rimanendo la tendenza
generale dei governi a operare attivamente nella modernizzazione delle strutture statali e nel cercare
di superare il clima di disordine, privilegio e fanatismo fino ad allora imperante (ad es. vengono
meno solo ora i processi di stregoneria).
5.2 Due tendenze nell’Illuminismo
Fatte queste premesse, bisogna precisare che ci furono due filoni fondamentali
dell‟illuminismo.
Quello di area tedesca fu certo razionalistico, ma comunque rispettoso dei ceti sociali
diversificati i operante soprattutto a favore dello Stato.
Esso potè così rivendicare energicamente i propri diritti nei confronti della Chiesa e venne
ben ordinato sul piano amministrativo e burocratico. Questo riordinamento è alle origini della
„tradizionale‟ efficienza, anche militare, asburgica e tedesca.
C‟è poi un illuminismo di tipo francese, quello che arriva da noi soprattutto a Milano e a
Napoli, più attento ai contenuti, alle riforme sociali ance se congiurante con l‟illuminismo tedesco
nel rafforzare i diritti dello Stato di fronte alla Chiesa.
Talora troviamo solo in area tedesca dei riordinamenti legislativi, ma sono finalizzati più ad
una maggiore certezza del diritto. Nella stessa area si raggiunsero alti livelli col cameralismo.
Questi sviluppi furono favoriti anche dalla generalizzazione dell‟insegnamento dei „diritti
nazionali‟ nelle università europee, in cui la Francia di Luigi XIV aveva anticipato tutti. Ora si
introducono anche nuove discipline, o si dà ad esse uno spazio prima sconosciuto.
Si pensi al diritto naturale e delle genti, utilissimo strumento di critica del diritto vigente.
Nel Seicento esso fu presente quasi solo in Germania e slo nelle Facoltà di lettere, mentre
successivamente si diffuse a macchia d‟olio. Solo in Italia ebbe uno sviluppo tardivo, nel secondo
Settecento, ostacolato come fu dalla Chiesa che temeva che diminuisse il ruolo del diritto canonico.
A ragione, perché è quanto avvenne ovunque nell‟Ottocento.
Da noi si radicò finalmente l‟insegnamento secondo criteri umanistici del diritto romano, a
partire da Pisa e Napoli, i centri in cui ebbe luogo una stampa sistematica delle opere degli umanisti
francesi del „500.
Non si può però dimenticare che la nuova scienza e cultura razionalistica e laica ebbero
sviluppo soprattutto fuori delle università, nelle accademie letterarie e scientifiche, nelle libnere
aggregazioni di ricercatori e scrittori svincolate dal controllo pedante delle autorità religiose e
politiche.
Non per niente in Italia e altrove contribuì potentemente al movimento illuminista la
Massoneria, che ha un storia nella valutazione della quale non ci si deve fare influenzare, dalle
deviazioni di lacune logge, così come non si può valutare il ruolo storico della Chiesa solo
basandosi sull‟Inquisizione.
Di ogni istituzione bisogna definire gli ideali e poi si deve esaminare concretamente come
essi vennero attuati, tenendo presente metodologicamente 1) che è del tutto normale la c.d.
eterogenesi dei fini, per cui un‟istituzione può finire per realizzare in concreto fini ben diversi da
quelli programmati; 2) che lo storico deve fare come il buon giudice istruttore: non fidarsi, cercare e
ricercare, senza farsi ingannare dalle testimonianze compiacenti.
5.3. Regno Unito d’Inghilterra
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Il Paese in cui non meraviglierà trovare sopra ogni altro ammirato Montesquieu. Egli infatti
non era un temerario innovatore, ma un prudente riformatore in politica, cosa di nuovo che non
guastava presso l‟èlite inglese del tempo.
Perciò influì molto sul più grande giurista inglese del secolo Sir William Blackstone. Egli fu
autore dei fondamentali Commentari del diritto d’Inghilterra, nei quali illustrò i vari istituti del
diritto inglese con rinvii alle decisioni giudiziarie precedenti utili ancor oggi per i giuristi di
common law.
Nella sua illustrazione ebbe peraltro modo di mostrare nel complesso l‟aderenza del diritto
inglese alla ragione e al diritto naturale, quasi a difenderlo. I miti del tempo comunque avevano
fatto breccia anche là, se si doveva ricorrere a tali argomentazioni: per Blackstone proprio tali
caratteri distinguevano il common law dal diritto comune del Continente!
L‟opera del Blackstone si spiega perché fu il primo docente di diritto inglese all‟Università.
Oltre a lui il secondo Settecento inglese è noto per un giudice, cui si deve una novità
importante; si tratta dell’unificazione del diritto delle obbligazioni, ossia dei contratti. Durante
l‟Antico regime, era normale la duplicazione delle corti, di diritto comune e di diritto commerciale,
corrispondenti alle relazioni (obbligazioni) istituite tra privati ovvero tra o con commercianti.
Ebbene, l‟Inghilterra deve a un giudice di origine scozzese, deputato ai Commons e poi
Lord, Lord Mansfield, una serie di storiche decisioni prese come Chief Justice del King’s Bench,
che inglobarono i criteri commercialistici entro il common law. Ossia, quegli usi mercantili che
prima dovevano ancora essere provati come meri „fatti‟ cominciarono ad essere considerati vere
norme e armonizzati con i principi di common law.
Ciò fu possibile perché evidentemente i „tempi‟ – con la rivoluzione industriale inglese del
tempo, la prima in Europa – erano ormai maturi per far trionfare nella società civile inglse tutti i
principi propri dei commercianti.
Il Pa3ese di Adam Smith, l‟economista che teorizzò il capitalismo, e della rivoluzione
industriale non ebbe bisogno, per affrontare le necessità legali poste da queste clamorose novità, di
cambiare il proprio sistema giuridico. Il common law medievale potè adattarsi, grazie all‟operato
dei giudici e ai rari interventi del legislatore, al nuovo sistema socio-economico senza le rivoluzioni
divenute caratteristica del Continente con il suo corredo di codificazioni e costituzioni scritte
Ma il cambiamento innestò altre contraddizioni. Il Settecento inglese fu infatti molto rigido
quanto al diritto penale, perché fu assicurata dallo Stato una durissima repressione della criminalità.
La repressione penale trovò anche un teorico: Si tratta del grande Henry Fielding, autore ad
esempio di una Inchiesta sulle cause dell’incremento delle rapine (1751)
E‟ dal mondo tradizionale inglese, ancora, che emerse anche il più fortunato critico della
Rivoluzione francese, Edmund Burke, autore delle Riflessioni sulla rivoluzione francese, in cui non
solo condannò l‟astrattezza illuminista, ma difese il common law, visto come unico baluardo allo
strapotere dei nuovi „parlamenti‟ rivoluzionari.
5.4. Regno di Prussia
All‟opposto del conservatorismo inglese possiamo porre il riformismo razionalistico del
(relativamente) nuovo Stato prussiano. Qui si proseguì con le riforme iniziate nel primo Settecento.
Il re Federico il Grande, ereditò dal precedente sovrano il cancelliere Samuel Coccejus.
Incarnando il buon sovrano voluto da Voltaire, in un Discorso del 1750, sostenne di volere
una legislazione chiara e precisa, che evitasse ogni arbitrio applicativo, molto puntuale quando si
trattasse di norme penali e con pene proporzionate: il re voleva la „pubblica felicità‟ dei sudditi.
Perciò attuò riforme giudiziarie importanti (3 senati), che professionalizzarono
l‟amministrazione della giustizia e garantirono l’uguaglianza di fronte ad essa dei sudditi, che
godettero dell‟indipendenza garantita dall‟impero della legge, con sentenza motivata, l‟assistenza
d‟ufficio per i poveri e i soldati, la conciliazione obbligatoria prima del processo, etc.
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Da queste riforme prende origine il Regolamento giudiziario generale del 1781-93, che
delinea il processo moderno, il superamento del processo romano-canonico scritto, il fondamento
degli sviluppi processuali ottocenteschi in Germania.
Invece la riforma del diritto privato sostanziale su basi naturalistiche non fu approvato. Non
entrò in vigore perché di esso si criticava l‟eccessivo egualitarismo che non teneva conto dei
privilegi di ceti e città, e la mancanza di chiarezza precettiva, come sostenne polemicamente la
scuola di Wolff.
Il risultato migliore delle riforme prussiane fu più tardo, del 1794, ossia fu l‟ALR (sigla che
indica il Diritto territoriale generale per gli Stati prussiani. Si tratta di un codice (in tedesco)
importante, perché eliminò il diritto comune e si pose esso stesso come diritto comune per i vari
territori componenti il Regno; inoltre perché presenta una parte generale iniziale molto tecnica e
raffinata con un‟introduzione generale sulla legge, sulle fonti del diritto e sull‟interpretazione.
La prima delle altre due sezioni disciplinava i diritti delle persone, delle cose, e i negozi
giuridici le disposizioni mortis causa, il diritto penale quello feudale. La seconda regolava il diritto
di famiglia, le successioni ab intestato, le corporazioni e gli enti politici Inoltre sono comprese
norme di tipo amministrativo, commerciale ed ecclesiastico.
Il diritto penale veniva incluso nella raccolta civilistica in virtù del pregiudizio causato da
un‟azione illecita. Le norme penali erano stabilite dallo Stato, a tutela del corpo sociale. Oltre al
sistema delle fonti già illustrato prima, l‟ALR prevedeva:
- Che il giudice dovesse attenersi alla lettera della legge e valutarla in rapporto alla
connessione dei termini;
- Che lo status giuridico dei sudditi derivava dalle condizioni della nascita, salvo ad essere
modificato da atti o eventi capaci di produrre conseguenze giuridiche;
Di qui l‟arcaicità di questo codice, che fotografò la situazione sociale i istituzionale esistente
(ha norme specifiche per i nobili, contadini, cittadini) e di città, dovendo così divenire
estremamente dettagliato e articolato avendo persino norme che entrano nella vita privata della
coppia. Tuttavia, fu eliminato in Prussia solo nel 1900, quando entrò in vigore l‟attuale codice civile
tedesco, il BGB, ossia il „Libro delle leggi civili‟
5.5. Regno di Baviera
Nello stesso tempo in Baviera – Stato di grande tradizione, in piena ascesa nel „700, si
assisteva alla redazione di notevoli testi riformatori sotto la direzione del vicecancelliere von
.Kreittmayr.
Nel 1751 fu la volta del Codex iuris bavarici criminalis e nel 1753 del Codex iuris bavarici
judicialis. Quest‟ultimo, dedicato al diritto processuale civile, era solo una risistemazione del diritto
vigente, mentre il primo, penalistico, sostituiva in toto la legislazione precedente.
Avanzato da un punto di vista tecnico, non lo fu rispetto ai contenuti, prevedeva ancora i
reati di magia ed eresia, nonché la tortura!
Nel ‟56 fu pubblicato il Codex bavaricus civilis, con norme in lingua tedesca, chiare e
precise, ma anche questo non eliminava il diritto comune che per le materie regolate.
La Baviera tornerà alla ribalta legislativa nel 1813 con un codice penale molto moderno.
5.6. Impero d’Austria
Riforme importanti si ebbero contemporaneamente anche in Austria con Maria Teresa
d‟Asburgo, attraverso la razionalizzazione dell‟amministrazione finanziaria, giudiziaria e
burocratica, e l’imparzialità della legge assicurata per tutti i ceti, che tuttavia permangono.
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Uno dei suoi primi provvedimenti stabilì la separazione della giurisdizione
dell‟amministrazione (1749). La disposizione era strumentale al consolidamento della burocrazia,
perché mirava a svincolare l‟amministrazione pubblica dagli impedimenti dovuti al diritto vigente e
alla sua applicazione in seno ai vari organi giurisdizionali.
Vennero anche abolite le due cancellerie tradizionali, boema e austriaca, e istituito un
organo centrale, una Direzione sugli affari pubblici ed economici, cui erano sott‟ordinate le strutture
periferiche. Fu inoltre creato un supremo Dicastero di giustizia che ricopriva il ruolo di ministero e
di tribunale superiore: Il già ricordato Consiglio di Stato divenne un organismo di supporto
monarchico ai fini del compimento delle riforme. Si delineò, su queste basi, la suddivisione fra
pubblico e privato e la pratica del governo si avviava a divenire un monopolio statale.
La riforma della legislazione andava verso una definizione dei rapporti fra Stato e società, tramite la
precisazione di uno jus certum e l‟affermazione dell‟autonomia civile dalla politica.
Perciò si tentò di raggiungere la certezza e l‟unificazione del diritto. Si cominciò con il
Codex Theresianus del 1766, tripartito sul modello gaiano-giustinianeo delle Istituzioni (persone,
cose, azioni) Esso è importante perché adottò la lingua tedesca e fu limitato al solo diritto privato. Il
suo difetto è che fu di oltre 8 mila articoli!.
Si tratta però di un codice di impianto moderno, perché la consuetudine vi ha spazio solo se
richiamata, e nelle materie disciplinate si abrogava tutto il diritto previgente.
Il cancelliere von Kaunitz si oppose però alla sua entrata in vigore: si voleva un codice più
snello e più tecnico.
Nel ‟68 si ebbe un successo con una riformulazione del diritto penale previgente.; le pene
rimanevano sempre distinte per ceto. Ci fu solo una tendenza al soggetto unico di diritto penale.
5.6.1. Giuseppe II
Le tiepide istanze di razionalizzazione legislativa che emersero all‟interno del progetto di
riforma condotto da Maria Teresa, con Giuseppe II si fecero più pressanti ed incisive.
I lineamenti generali della riforma delle strutture statali cui mirava Giuseppe II si basavano
su elementi di fatto acquisiti tramite una conoscenza diretta della realtà sostanziale.. Convinto che il
benessere sociale dipendesse dal dirigismo dello Stato, i suoi precetti gli apparivano come gli unici
e validi per eliminare un passato troppo conservatore.
L‟impegno riformista del Sovrano si muoveva entro le linee dell‟assolutismo illuminato.
Ma il punto più alto di questo impegno si ebbe con promulgazione del Codice penale del
1787, che rispecchia fedelmente le convinzioni del Sovrano. Infatti, vi si consolidano i profili
utilitaristici della pena e, di converso, si affievoliscono quelli umanitari..
In materia civilistica Giuseppe II riuscì a compiere un codice civile, ma i suoi interventi
furono assai incivisi. In particolare:
- l’editto sul matrimonio (1783 che sancì il carattere civile dell‟unione, ora passibile di
scioglimento;
- gli editti sulla libertà personale, per cui in varie regioni fu abolita la servitù della gleba;
- gli editti relativi alla mobilità dei beni (con l‟abolizione dei fedecommessi);
- gli editti del 1784 e ‟86 che sancirono la cessazione del monopolio delle corporazioni.
Molti di questi provvedimenti adottati in Francia apparvero del tutto rivoluzionari, contrari a
ogni tradizione.
5.7. Regno di Francia
Siamo nel cuore dell‟illuminismo, nel motore culturale di quest‟epoca. Fondamentale fu
l‟efficacia sul piano culturale dell‟Encyclopèdie, ovvero del Dizionario ragionato di scienze, arti e
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mestieri, diretto da Diderot e D‟Alembert, a cui collaborano lo stesso Voltaire, D‟Holbach e
Rouseau. Essa comportò la riscrittura del sapere del tempo, perché tutte le credenze vennero
sottoposte a una critica razionalistica.
Gli enciclopedisti non risparmiarono i loro attacchi ai Gesuiti, la tortura e la tratta dei negri,
che essi ritennero incivile come del resto il diritto romano, considerato un diritto del tutto
inadeguato alla modernità.
Ma tanta „modernità‟ non sfondò sul piano delle istituzioni, come mostrò la censura dei
Parlamenti e l‟incapacità riformatrice del governo regio. Perciò fiorivano le dottrine sula come
risolvere il problema dell‟arretratezza istituzionale della Francia. Tra gli infiniti scrittori del tempo
uno ha avuto largo influsso negli anni a venire.
5.8. Jean-Jacques Rouseau (1712-1778)
Il ginevrino con il suo Del contratto sociale del 1762 fu un filosofo in fluentissimo in più
direzioni.
Alla base di ogni società, egli sostenne, c‟era il famoso „contratto sociale‟. Ma col contratto
gli uomini avevano alienato tutti i loro diritti naturali, universali, in modo definitivo così come
asserito da Hobbes. Al contrario di quest‟ultimo, per Rousseau gli uomini dovrebbero ricevere poi
tali diritti dalla società e dallo Stato come diritti individuali e garantiti proprietà, libertà,
uguaglianza
E‟ possibile quindi un uso „liberale‟ del pensiero di Rousseau. Ma c‟è anche nella sua
dottrina l‟idea che tutto dipenda dalla volontà generale, espressiva dei voleri popolari, di fronte alla
quale ovviamente l‟individuo scompare.
Da qui deriva l‟uso „giacobino‟, rivoluzionario di Rousseau, contro la legge che non sia
espressiva della „volontà generale‟, ma anche il pericolo di asservimento dell‟individuo al volere
delle istituzioni.
Insomma, Rousseau potè essere „usato‟ per le dittature giacobine, così come dal comunismo
totalitario,
Ma prima di allora le sue teorie poterono essere saggiate nel laboratorio effervescente della
prima grande rivoluzione del Settecento: quella delle colonie inglesi in America.
6. IL CONFLITTO DELLE COLONIE AMERICANE CON LA MADREPATRIA
Il conflitto di interessi tra le colonie, in pieno sviluppo divenne esplicito a metà Settecento,
per alcune colonie a Londra e le colonie della costa americana pensarono subito di espendersi nei
loro territori o comunque di aversi rapporti privilegiati.
Londra invece decise di riservare quei nuovi territori alle proprie compagnie commerciali.
Inoltre a partire dal 1763 il Parlamento di Londra approvò vari provvedimenti che incidevano sulla
libertà di commercio e sul trattamento fiscale delle colonie; con il Prohibition Act, il Quartiering
Act e lo Stamp Act (legge sul bollo).
Quest‟ultimo in particolare fu importante, perché imponeva una tassa senza il consenso delle
Assemblee delle colonie.
Conflitto inevitabile che si protrasse fino al 1773 (Tea Act) quando una nuova legge inglese
riservò a una compagnia il commercio del tè: Ciò portò a Boston alla distruzione di un carico
inglese da parte dei dimostranti. Il Governo inglese rispose con reazioni forti, creando le c.d.
“quattro leggi intollerabili”, che toglievano garanzie procedurali e diritti di libertà ormai acquisiti.
Nel 1774 si ebbe perciò il I Congresso di Filadelfia, assemblea delle 13 colonie, un atto già
di per sé tendenzialmente rivoluzionario, perché l‟assemblea inter-coloniale non era prevista dal
diritto vigente. Questo Congresso revocò le 4 leggi „terribili‟ (il che andava contro la gerarchia delle
fonti) in nome del diritto naturale ed in nome della stessa Costituzione. Ma non era la rottura totale.
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Il Congresso chiese a Londra di istituire un organo rappresentativo per tutto l‟Impero
Britannico. Di fronte al rifiuto di Londra, nel 1775 scoppiò la guerra e si ebbe il II Congresso di
Filadelfia, che tentò un accordo con una Petition of Right, con cui si chiedeva alla Madrepatria di
rinunciare alle imposizioni fiscali o di fare un Parlamento comune, o un‟Assemblea specifica per le
colonie a Londra – un atto tipo quello del 1628 inglese.
Di fronte a un nuovo atteggiamento di chiusura del Governo inglese, le colonie aprirono i
porti a tutti i Paesi, rompendo così il privilegio inglese del commercio.
Tutte queste vicende destarono profonda impressione in Europa, stimolando le riforme o
almeno i dibattiti in materia. Anche in un Paese in cui era più difficile operare come il nostro.
7. TEORIE E REALIZZAZIONI DELL‟ILLUMINISMO ITALIANO
Da noi proseguirono gli equilibri istituzionali e sociali maturai nei secoli fino al 1796.
L‟Italia dava prova di una stabilità eccezionale. Ma la necessità delle riforme, si avvertiva
largamente e i governi degli Stati pre-unitari erano comunque partecipi del generale riformismo del
tempo, sul piano della legislazione delle competenze statali; sul piano amministrativo e fiscale.
7.1 Regno di Napoli
Abbiamo vià visto una discrasia tra sviluppi culturali e riforme giuridico-istituzionali per il
primo Settecento. Analoga la situazione del secondo Settecento.
Ad esempio, non andrò in porto il Codice marittimo predisposto nel 1781 da Michele Iorio.
Nonostante tutto l‟impegno del ministro Bernardo Tanucci, ispiratore dei tentativi di riforma nel
Regno, Il Regno di Napoli rimase irriformabile e non a caso ci sarebbe stata la svolta drammatica
della Repubblica partenopea del 1799.
Tanucci era stato chiamato dall‟Università di Pisa presso cui insegnava e si impegnò
fermamente nell‟impresa, pensando che la priorità assoluta era la riorganizzazione delle
magistrature. L‟esito non fu esaltante, ma riuscì comunque in alcune imprese. Dall‟espulsione dei
Gesuiti dal Regno alla legge sulle manomorte nonché di un provvedimento sulla motivazione delle
sentenze disposto con i famosi dispacci regi del 1774.
Essi stabilivano che i giudici dei tribunali superiori dovessero 1) motivare e, 2), in tale sede
fondarsi su “le leggi espresse del Regno e comuni”, anziché sulle “nude autorità de‟ dottori”; 3), in
caso di lacuna, rivolgersi al sovrano, con la consueta idea del rèfèrè legislatif. L‟originalità dei
provvedimenti tanucciani si individua appunto nella “generalità dell‟obbligo di motivazione”, nel
“vincolo espresso del giudice alla legge positiva”, e nella “pubblicità intensamente sanzionata della
sentenza e dei motivi”.
Inutile dire che corti (a partire dal Sacro Real Consiglio), opposero una strenua resistenza al
provvedimento. Tanto forte che nel giro di pochi anni dovette essere revocato! Ma l‟idea che la
riforma comprendesse anche la discrezionalità di giudici e dottori era ormai ben diffusa.
7.2. Gaetano Filangieri (1752-1788)
In questi anni queste idee erano largamente diffuse entro il ceto intellettuale napoletano..
Gaetano Filangieri, teorico del diritto e autore d‟una Scienza della legislazione, incompiuta,
importante per sottolineare come organizzare una legislazione egualitaria per tutti i cittadini e il
ruolo dello Stato nell‟eliminazione delle disuguaglianze.
Nel titolo del trattato sono sintetizzati i principi ideali che caratterizzano la speculazione
giuridico-filosofica dell‟autore, il Filangieri intendeva quel complesso normativo che la ragione e
l‟esperienza proponevano per il consorzio social.
Secondo l‟autore scienza e governo costituivano un binomio inscindibile: l‟analisi normativa
non poteva esser più condotta tramite la sola tecnica del giurista o del filologo, ma necessitava della
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prospettiva politica: “unendo i mezzi alle regole e la teoria alla pratica” si poteva realizzare un
“sistema compiuto e ragionato della legislazione”.
Qualsivoglia piano di riordinamento del diritto non poteva astrarre dall‟effettivo contesto
socio-economico. In questo senso la riorganizzazione normativa sollecitava il ricorso all‟empiria
per giungere ad un punto di equilibrio fra “coloro che niente vogliono mutare” e “coloro che
vorrebbero tutto distruggere”.
Quanto alla questione penale, il Filangieri prospettava un duplice intervento di riforme:
“trovare un metodo di procedura il più semplice che sia possibile e quindi venire all‟esame delle
pene proporzionandole alla qualità ed al grado” dei delitti. Perciò recepisce in pieno le sollecitazioni
illuministiche.
In materia processualistica, l‟autore rende evidente le carenze speculative della disciplina,
ponendo in relazione il modello romano con quello cosiddetto moderno (procedura di diritto
comune), non trascurando, tuttavia, gli istituti di origine germanica e la legislazione settecentesca.
7.3. Mario Pagano (1748-1799) e la Repubblica partenopea
Fu amico strettissimo del Filangieri e autore dei Saggi politici dei principi , progressi e
decadenza della società (1783-85), incentrati sui problemi della libertà ma anche dell‟uguaglianza,
e delle Considerazioni sul processo criminale e dei Principi del codice penale pubblicati postumi.
Fu giustiziato nel 1799 con altri 120 „patrioti‟ imprigionati, caduta la Repubblica giacobina, dai
Borbone rientrati a Napoli grazie all‟ammiraglio inglese Horatio Nelson.
Ma prima di quella conclusione il geniale Pagano aveva contribuito a scrivere il Rapporto
giustificativo della costituzione della Repubblica – in particolare per motivare adeguatamente le
deviazioni dal modello francese allora vigente.
Un „pezzo‟ di grande interesse, che esprime bene la passione di quei momenti ma che la più
larga cultura costituzionale di quei decenni, in equilibrio tra l‟eredità antica e le novità imposte dai
Francesi: In fondo sono un esame analitico della tradizione delle “antiche repubbliche” e del
modello allora imposto dai Francesi.
7.4. Ducato di Milano
A quello di Napoli corrispose per vivacità e ricchezza di temi l‟illuminismo milanese. A
Milano operarono in particolare, oltre al più fortunato Cesare Beccaria, i fratelli Verri, Pietro e
Alessandro, fondatori di una battagliera rivista, Il caffè (1764-66), che in campo giuridico si segnalò
per il duro antiromanesimo, che voleva allora dire richiesta di leggi nuove, chiare, uguali per tutti,
come in penale chiedeva il Beccaria.
Nei primi anni Sessanta del Settecento questi giovani studiosi si consacrarono all‟analisi e
all‟aperta critica della vita civile del tempo.
Gli interventi critici sul diritto elaborati dagli accademici non rispondono ad un modulo
sistematico, ma si profilano piuttosto come sporadici e discontinui.
Tuttavia all‟interno dei spunti polemici si intravvede una linea ideologica coerente che
tendeva ad inserire entro gli schemi riformistici di ordine politico la „questione giuridica‟. Pietro
Verri nel periodico Il caffè, oltre ad esprimere il proprio biasimo della mentalità fondata sui
pregiudizi, procedeva ad operare una distinzione tra il ruolo della legge considerata come “ordine
pubblico del Sovrano che obbliga le azioni de‟ sudditi generalmente” e quello del giudice che
doveva essere “servo della legge e mero esecutore di essa letteralmente” Il criterio risolutivo era da
rintracciare nel rendere i giudici “servili esecutori”.
Entro questo circolo Cesare Beccaria con l‟opera Dei delitti e delle pene (1764) dette un
contributo fondamentale al movimento di riforma. Il linro ebbe un immediato successo, sia in
Europa che in America. In poche, fitte, pagine riuscì a condensare le istanze illuministiche relative a
riforme profonde del diritto e della procedura penale: la presunzione di innocenza, il principio:
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nessun reato, nessuna pena, senza una specifica previsione legislativa, l‟abolizione della tortura
giudiziaria, delle pene inutilmente crudeli e della pena di morte.
Lo scritto racchiude lo sdegno morale che suscitava il corso della giustizia criminale del
tempo. L‟originalità Dei delitti e delle pene quindi consta soprattutto nella struttura dell‟opera che
coordina singoli motivi censori (l‟esortazione a mitigare le pene, il ruolo attribuito al giudice e via
discorrendo) in un insieme ordinato che coinvolge l‟intero sistema penale, sostanziale e
procedurale.
Il trattato auspicava un assetto normativo in cui le leggi dovevano tutelare i diritti
individuali: “non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l‟uomo cessi di
essere persona e diventi cosa”.
Il suo motto era “la maggior felicità per il maggior numero di persone”.
Gli echi delle impostazioni teorico-pragmatiche del Verri e del Beccaria che segnalavano un
sistema penale in crisi e le complesse articolazioni della repressione criminale furono ben presto
intesi dalla Corte viennese
Già nel 1766, infatti un dispaccio di Maria Teresa aveva affidato al Senato lombardo
l‟incarico di predisporre un piano di riforma del sistema giudiziario lombardo. Nel 1781, il Kaunitz
reiterò le istanze riformistiche, ma ancora una volta non ebbero alcun esito.
Solo nel 1786 le misure di revisione giudiziaria e legislativa divennero tadicali con „ascesa
al trono asburgico di Giuseppe II.
L‟intervento riformatore del Sovrano si articolò in due momenti distinti che si sintetizzano
nella revisione del sistema processuale nella integrale sovrapposizione del Codice penale austriaco,
alla normativa in materia criminale vigente in Lombardia.
Nel 1786 fu emanata la Norma interinale del processo criminale. In origine considerata
provvisoria in attesa del varo del codice penale giuseppino. Nella raccolta si individuano le linee
concettuali illuministico-assolutistiche del Sovrano che prevedevano:
- l‟abrogazione della normativa previgente;
- il principio di legalità;
- la subordinazione del giudice alla legge;
- l‟unicità del foro per tutti i sudditi;
- il mantenimento del sistema delle prove legali;
- Il mantenimento del sistema inquisitorio con attribuzione al magistrato della facoltà di ricorrere a
pene arbitrarie in relazione agli status sociali.
Il testo normativo rimase vigente sino alla promulgazione del Codice di procedura penale
del Regno italico del 1807.
Il Codice penale austriaco (la cosiddetta Giuseppina), all‟opposto, non entrò mai in vigore
nei territori lombardi. Il testo della Giuseppina prevedeva la soppressione della tortura ed una
significativa restrizione dell‟applicazione della pena capitale; istituiva il principio della legalità
della pena; vincolava inflessibilmente il magistrato alla legge penale. Era contraddistinto da un
rigido carattere intimidatorio per il rigore delle sanzioni detentive e corporali. Nonostante
l‟inflessibile determinazione del Sovrano, la promulgazione del codice fu differita reiteratamente a
cuasa delle forti resistenze sia del Supremo tribunale di giustizia, che dei funzionari di governo,
come il Beccaria, allora consigliere del governo, sia del certo dirigente che lo attorniava, orientato
verso un cauto e soprattutto graduale riformismo.
7.5. Granducato di Toscana
L‟altro polo in cui l‟opera del Beccaria trovò positivo riscontro nella pratica legislativa fu la
Toscana in cui dal 1765 venne a trovarsi insediato un geniale figlio di Maria Teresa d‟Austria:
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Pietro Leopoldo, che arrivò al punto di progettare una costituzione da concedere al suo Stato. Come
si spiega una prospettiva del genere?
Va detto che l‟esperienza istituzionale della Toscana di Pietro Leopoldo fu profondamente
segnata dalle teorie fisiocratiche, ma anche dal flusso di stimoli provenienti dalle esperienze
europee del tempo (a cominciare dalle pagine illuminate di Federico II di Prussia), e dai tentativi
delle „assemblee provinciali‟ poste in essere in Francia dal ministro Necker che sperimentavano una
sorta di costituzionalismo per evitare il (futuro e prossimo) disastro rivoluzionario.. Certamente alla
vigilia della redazione del suo Progetto di costituzione, Pietro Leopoldo analizzò con cura quanto la
scienza di governo allora offriva.
Le formulazioni progettuali esaminate dal sovrano si ampliarono fino a vagliare un assetto
statale che andava ben al di là delle rappresentanze d‟Antico regime. L‟idea centrale era basata sulla
rappresentanza „nazionale‟. L‟architettura della rappresentanza si articolava in un triplice ordine di
assemblee: le prime delle comunità riformate secondo criteri censitari (che mettevano in un angolo
la nobiltà), le seconde delle province e la terza nazionale.
Il sistema elettivo prevedeva che la prima assemblea eleggesse la secona e la seconda la
terza. Il potere accordato ai componenti dell‟assemblea risultava relativamente limitato, perché i
voti espressi ottenevano forza di legge solo se ratificati dall‟accordo del Sovrano. Il quale si
riservava anche alcune prerogative ritenute essenziali per lo Stato, a partire dal potere esecutivo, pur
impegnando se stesso e si suoi successori all‟osservanza con giuramento della Costituzione.
Per lui la volontà della „nazione‟ era data dalla somma della volontà dei sudditi.
Con l‟approssimarsi della partenza per Vienna (1790), però il Sovrano sospese bruscamente
questo complesso percorso istituzionale, già ostacolato dalla burocrazia conservatrice che temeva di
esserne colpita nei suoi privilegi. Ma gli appunti redatti dal Gabinetto fiorentino in merito alla
questione, seguirono l‟Imperatore a Vienna, segno evidente di una persistente costanza
dell‟impegno sovrano in questo senso. In altro campo, invece, il suo successo fu completo.
7.5.1. La Leopoldina
A Pietro Leopoldo si deve infatti la sempre giustamente lodata Riforma criminale del 1786,
che realizzava richieste dell‟èlite politico-culturale europea.
Essa per la prima volta abolì esplicitamente la pena di morte e la tortura giudiziaria. Perciò
fu subito esaltata in tutta Europa per aver recepito le istanze della grande-piccola opera del
Beccaria.
Ora, è ben vero che essa non solo non eliminava il diritto comune, che interveniva quando
tortura e pena di morte già da anni trovavano in Toscana un‟applicazione ridottissima, le sue
innovazioni furono messe tra parentesi, nel clima reso sospettoso in Europa dalla Rivoluzione
francese, dopo la partenza dalla Toscana per Vienna di Pietro Leopoldo nel ‟90.
Ma intanto aveva eliminato anche la confisca dei beni, l‟indeterminatezza delle pene e la
molteplicità dei delitti politici. Per quanto riguarda la procedura aboliva il giuramento da parte
dell‟imputato, limitava il mandato di cattura ai soli delitti puniti con pena afflittiva, riconosceva il
diritto dell‟imputato all‟audizione di propri testimoni, vietava per il giudice di servirsi di prove
privilegiate e obbligava il giusdicente ad attivarsi per una sollecita definizione del giudizio.
Il processo rimase comunque ancora inquisitorio. Occorreva o una pubblica accusa o una
querela, o un referto medico. Il notaio criminale svolgeva l‟attività istruttoria in assoluta segretezza
e solo una volta formulata l‟accusa e raccolto il materiale probatorio venivano pubblicati gli atti,
consentendo all‟imputato di difendersi anche attraverso l‟assistenza di un avvocato.
Un‟altra disposizione della Leopoldina avrebbe potuto risolvere molti problemi del diritto
comune senza doverlo eliminare come sistema giuridico. Infatti il granduca dispose che il diritto
comune si potesse applicare in caso di lacuna ma secondo lo spirito umanitario e innovatore della
sua Leopoldina.
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In sostanza il rapporto tra diritto comune e diritto locale veniva in questo modo invertito: il
primo diveniva l‟eccezione. In questo modo la portata riformatrice di una legge non si sarebbe
potuta sminuire in sede interpretativa.
7.5.2. Tentativo di codice civile
Dove invece il granduca Pietro Leopoldo non riuscì fu nel portare a compimento le
aspirazioni all‟unificazione normativa, miranti a superare la frammentarietà normativa degli statuti
locali.
Infatti, nel 1787 incaricò Giuseppe Vernaccini di compilare un Codice della legislazione
generale del Granducato di Toscana, ma il proposito legislativo non giunse a conclusione. Tuttavia,
è interessante notare che questo funzionario, nel tracciare preliminarmente i criteri sistemativi entro
cui si doveva disporre il materiale normativo, si discostò dalla tradizione romanistica sulla via
tracciata dal pensiero giusnaturalistico. Segno che il riformismo asburgico aveva fatto ampia
breccia. Il codice non vide mai la luce e continuò quindi la vigenza del diritto comune e degli statuti
locali fino all‟arrivo dei Francesi.
7.6. Ducato di Modena
L‟altro Stato in cui si ebbero sviluppi riformatori, anche se meno clamorosi, fu quello
estense. Qui, lo scritto del Muratori del 1742 rafforzò i tentativi legislativi riformatori sul tipo
piemontese.
Una prima raccolta di Provvisioni e grida si era già avuta a metà Settecento, ma essa fu
seguita poi, nel 1771, dal ben più notevole Codice di Leggi e costituzioni, denominato normalmente
Codice estense.
Esso razionalizza il materiale esistente, affermando rigorosamente il primato della fonte
sovrana come fonte esclusiva di legislazione, ma accogliendo anche norme privatistiche penali,
processuali, e senza porsi il problema del superamento del diritto comune.
A differenza delle costituzioni piemontesi, viene però con esso eliminato il diritto locale
configgente con la legislazione sovrana.
Per i dubbi in sede applicativa si ricorrerà al Supremo Consiglio di Giustizia, ossia al
tribunale più elevato dello Stato, che alla fine di ogni anno passerà alla stampa le sue interpretazioni
vincolanti “come se fossero fatte da Noi medesimi”
L‟istituto delle Dichiarazioni del Supremo Consiglio è uno dei primi esempi di tecniche
processuali ispirate alle ideologie che sollecitavano la separazione del sistema legislativo da quello
giudiziario.
Eliminate in periodo francese, e sostituite dai codici napoleonici, le Costituzioni ritorneranno
in vigore con la Restaurazione e solo nel 1851 verranno sostituite, alla vigilia dell‟Unità d‟Italia, dal
Codice civile estense del 1851.