Post on 14-Aug-2020
Allocuzione del direttore d'ella scuola magistrale di Guido Marazzi
L'atto di dare inizio ai lavori di questa giornata di riflessione su una problematica di carattere storico, filosofico e pedagogico, ma insieme non priva di connotazioni politiche pregne di attualità, mi sembra occasione opportuna per accennare all'intima, e non certo puramente formale, connessione della ricorrenza che vogliamo celebrare, e cioè il centesimo anno di attività della scuola magistrale a Locarno, con la tematica scelta. Nel 1878, mi permetto di brevemente ricordarlo, il Gran Consiglio votò - anche per motivi di opportunità politica - il trasferimento a Locarno della sezione maschile della scuola, creata 5 anni prima con sede nell'antico seminario di Pollegio. La sezione femminile con il relativo convitto, restò invece in Leventina ancora altri 3 anni; nell'81 sarà però anch'essa trasferita a Locarno, nell'edificio di Via Cappuccini. Da allora è trascorso un secolo, un secolo di vita travagliata da crisi laceranti, da inquietudini, da contraddizioni tra slanci verso prospettive talora generosamente illusorie e momenti di acquiescenza a condizionamenti politici talvolta fortemente involutivi; un secolo in cui questo istituto fu quasi sempre considerato, non a torto su un piano puramente strategico, una prima linea di battaglia, il cui possesso era determinante per la difesa del regime volta a volta dominante o, rispettivamente, per l'opposizione politica di turno, quale prima tappa di un'operazione di rovesciamento dei rapporti di forza . Il paese è infatti sempre stato «geloso» di questa «sua» scuola; e tale sentimento si è spesso manifestato purtroppo anche in forme passlonali, con drammatiche e ricorrenti «epurazioni» della direzione e del corpo docente. Il paese ha sempre saputo - specialmente in tempi in cui l'incidenza dei mass-media nella trasmissione delle idee era estremamente ridotta - che la scuola di formazione dei maestri era uno dei nuclei più determinanti per l'elaborazione dei paradigmi di vita delle generazioni successive e quindi per il destino politico del cantone; a maggior ragione perchè l'elemento caratterizzante del nostro curricolo di studi è sempre stato la riflessione sulla società: riflessione disciplinata, tuttavia, dall'approfondimento anche storico delle scienze umane - esattamente, dunque, nella linea del carattere della presente giornata. Poiché se anche la «scuoia» ha perso oggi una parte importante della sua tradizionale funZione di canale di diffusione delle idee, ed addirittura è messa in discussione la legittimità stessa della sua esistenza come istituzione (cioè come strumento predisposto e programmato a f ini soclalizzanti ed educativi) , noi continuiamo a sentire con fiducia che la nostra funzione di educatori e quella della scuola, come istituto del corpo sociale e politico, sono ben lungi dall'essere esaurite e superate. Ma ci rendiamo d'altro lato ben conto che la perdita di credibilità, di cui soffre oggi la scuola, sia in parte dovuta anche ad una sua troppo scar~ sensibilità di fronte a compiti che, esulando dallo stretto «far le-
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zione», si configurano in un'opera di promozione culturale fuori delle sue mura. Noi siamo persuasi assertori di una accentuata «professionalizzazione» del ruolo di insegnante, ma siamo altrettanto consapevoli della necessità di integrare questo indirizzo con una intensa proiezione verso il mondo circostante. Siamo convinti, in altre parole, che la scuola non debba esaurirsi nella riproduzione del sapere costituito, ma caratterizzarsi per rapporti vivi e produttivi col tessuto sociale che la esprime; e che questi debbano andar oltre ad una equilibrata interazione delle sue componenti (direzione e docenti , studenti e famiglie) , per assumere un ruolo immediatamente incentivante della vita socio-culturale del paese; un ruolo «politico», dunque, nel senso nobile del termine.
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Queste sono state, in sostanza, le considerazioni che ci hanno consigliati di sottolineare la nostra fausta ricorrenza anche con una qualificante celebrazione del bicentenario della morte di J. -J. Rousseau. Il «cittadino di Ginevra» viene ricordato - in questo 1978 - in tutto il mondo: specialisti e studiosi si soffermano sulla sua opera per evidenziarne gli apporti precorritori, per analizzarne o reinterpretarne certe proposizioni, per scandagliare la sua vita Ma ricordare Rousseau non è solo una dotta tentazione di specialisti, di addetti ai lavori: basta scorrere la stampa quotidiana e settimanale (cito qui a caso le pagine di recente dedicate all'autore del Contratto Sociale da: Le Monde, La Repubblica, Le Nouvel ObseNateure L'Espresso) per rendersi con-
to che si awerte un diffuso bisogno di divulgare il suo pensiero e la sua opera, e una più profonda esigenza di fare un po' i conti con certe sue osservazioni che riguardano il senso ed il destino dell'uomo; l'uomo come individuo, ma anche come umanità che fa la storia, e a quale prezzo sovente! La scuola magistrale di Locarno ha voluto così segnare una sua dignitosa presenza nel quadro delle celebrazioni di questa importante ricorrenza. Diciamo che l'ha sentita come un obbligo verso colui che - per dirla con le parole di un altro grande ginevrino, Eduard Claparède - è a giusto titolo riconosciuto come il teori~ ed il padre di una concezione moderna dell'educazione. Un'educazione tutta centrata sull'educando e non più adultistica; un'educazione che chiama problematicamente in causa l'ambiente come termine fondamentale di quell'interazione dialettica attraverso la quale l'individuo si sviluppa «naturalmente»; un'educazione, infine, alla libertà, attraverso la pratica della libertà . «L'uomo è nato libero, e dappertutto è in catene», dice Rousseau, nell'esordio al Contratto Sociale. E, se apriamo il primo libro dell'Emilio, troviamo, nelle prime pagine, un'altra importante costatazione:
«Di fronte alla necessità di contrastare o la natura o le istituzioni sociali - scrive Rousseau -, bisogna decidere se formare un uomo o un cittadin'o: formare l'uno e l'altro insieme non si può».
Perché questa impossibilità radicale? Le ragioni sono essenzialmente politiche, più che pedagogiche: la mancanza di buone istituzioni sociali. La società bene organizzata, fedele - russoianamente - ai costumi ed alle tradizioni, è una società giusta, di liberi e di eguali, u.na società educante, palestra di virtù e di saggezza. Questo tipo di società può anche fare a meno della scuola e della preoccupazione di trasmettere sapere e conoscenze. Sarà, co-
munque, una società educante, intimamente capace di educare il cittadino. « Le buone istituzioni sociali - sottolinea infatti Rousseau - sono quelle che meglio riescono a snaturare l'uomo, a privarlo della sua esistenza assoluta per conferirgliene una relativa, a inserire l'io nell'unità comune, di guisa che ogni singolo individuo non senta più se stesso come unità, ma come parte dell'unità, e non abbia rilevanza alcuna se non nel tutto in cui è assorbito. Un cittadino romano non era né Caio né Lucio: era un romano, e giungeva ad amare la patria fino al totale oblio di se stesso». Ma dove trovare ormai, alle soglie della rivoluzione industriale, un tipo di società capace di rifiutare la massificazione e il conformismo, la degenerazione e i conflitti insanabili della disuguaglianza, la lotta tra uomo e uomo e tra gli uomini e la natura] In qualche piccola repubblica, in qualche superstite città-stato della Svizzera (Ginevra, ad esempio, secondo le originarie illusioni di Jean Jacques) che si ricollegano idealmente alla Roma repubblicana. Per il resto è meglio non farsi illusioni: il più è perduto. E Rousseau, a questo proposito, con lucido realismo, non si fa alcuna illusione. L'educazione del cittadino, insomma, non può precedere l'edificazione della Città. Come dire che l'educazione non è una variabile indipendente; e che con l'educazione non si fanno miracoli. Eppure il rapporto educazione-società è un nodo del pensiero russoiano, che collega strettamente il versante pedagogico con quello politico ; non in una maniera facile e deterministica, bensì in un'articolazione problematica che ancora oggi niente ha perduto di valore e di attualità; perché l'educazione dell'uomo non è separabile dalla problematica politica; ne costituisce solo una difficile, ma necessaria variazione. Nel 1762 (lo stesso anno dell'apparizione dell'Emilio) Rousseau pubblica anche il Contratto Sociale e cerca così di sceverare il più profondamente possibile la dimensione del politico. Siamo, allora, all'edificazione della Città] Ancora una volta, è meglio non illudersi: Il contratto sociale è una prospettiva, non certo una panacea. E l'edificazione della Città resta difficile e lontana, quanto lo era prima. Paradossalmente, così come l'educazione del cittadino ha bisogno della preliminare fondazione della città, allo stesso modo l'edificazione della Città ha, a sua volta, bisogno di poter contare sull'educazione, in un certo senso preliminare, dei cittadini. E Rousseau ne è consapevole. Rileggiamo cosa ebbe a scrivere pochi anni dopo la pubblicazione del Contratto Sociale: «Questo, fra le mie vecchie idee, è il grande problema in politica, che io paragono a quello della quadratura del cerchio in geometria e delle longitudini in astronomia: trovare una forma di governo che ponga la legge al di sopra degli uomini. Se questa forma può essere trovata, cerchiamola e tentiamo di stabilirla . . . Se sventuratamente non può essere trovata - e confesso candidamente che credo che non lo si possa - il mio parere è che bisogna passare all'altro estremo . . . e stabilire il dispotismo più arbitrario possibile: vorrei che il despota potesse essere Dio. In una parola, non vedo una via di mezzo sopportabile tra la più austera democrazia e l'hobbesismo più perfetto, perché il conflitto degli uomini e delle leggi, che
Da sinistra: prof. Mario Dal Pra, prof.ssa Matilde Callari-Galli, dotto Sergio Caratti, prof. François Matthey, dir. Guido Marazzi e dotto Odilo Tramèr.
dà luogo nello Stato a una continua guerra intestina, è il peggiore di tutti gli stati politici».
Ma cosa implica « la più austera democrazia»] In un modo o nell'altro si t ratta della formazione dell'uomo. Una formazione che solo fino ad un certo punto può fare astrazione dall'educazione del cittadino. Le ultime battute dell'Emilio parlano, a questo proposito, con inusitata chiarezza. Rousseau ha ormai a fianco il suo pupillo già educato come uomo e quasi in procinto di rifugiarsi lontano dalla città depravata. Ora sentiamo cosa gli ricorda Jean-Jacques:
«Se ti parlassi dei valori del cittadino, tu domanderesti forse dove è la patria e crederesti forse di avermi messo in imbarazzo. E tuttavia ti inganneresti, caro Emilio; chi non ha una patria, ha perlomeno un paese».
Un discorso, quest'ultimo, che vuole chiaramente sottolineare come l'uomo non possa mai sfuggire al destino di vivere in mezzo agli uomini. Anche se le ultim.e esortazioni di Rousseau ad Emilio sono impregnate di un'amara saggezza:
« Se il principe o lo Stato ti chiamano al servizio della patria, abbandona tutto per recarti ad adempiere, nel posto che ti verrà assegnato, l'onorevole funzione del cittadino. Se tale funzione ti riesce gravosa, c'è un mezzo onesto e sicuro per esserne esonerato: adempierla con tanta onestà, che non ti sia lasciata a lungo. Del resto, hai poco da temere il fastidio di una simile carica: finché vi saranno uomini di questo secolo, nessuno verrà a cercare te per servire lo Stato».
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Ho voluto esporre, a mo' di introduzione alle prossime ore di studio, queste brevi riflessioni per sottolineare le profonde ragioni che debbono legare alla figura ed all'opera di Rousseau una scuola come la nostra che, avendo il compito di educare gli educatori, vive drammaticamente la problematica del rapporto tra scuola e società.
Ringrazio dunque i dotti specialisti che hanno cortesemente accettato di presentarci alcune possibilità di approfondimento dei significati che la figura e l'opera del ginevrino incarnano. Grazie per gli interessanti elementi di stu" dio, su cui avremo modo di meditare nei prossimi mesi.
Programma
10.00 Apertura oella giornata di studio - dotto Guido Marazzi, direttore della Scuola magistrale di Locarno. Allocuzione CIel dotto Sergio Caratti, direttore della Sezione pedagogica del DPE.
10.30 «J.-J. Rousseau e le scienze umane», relazione di Matilde Callari-Galli, docente di antropologia culturale presso l'Università di Bologna.
* 14.30 «L'exile de Rousseau de
1762-1765», relazione di François Matthey, presidente della «Société des amis de J.-J. Rousseau», docente presso l'Università di Neuchatel.
Breve pausa.
16.00 Brani strumentali da «Le devin du village» di Rousseau, eseguiti da docenti della Scuola magistrale.
16.15 «R.ousseau 5 Marx» - relazione di Mario Dal Pra, ordinario di storia della filosofia presso l'Università di Milano.
17.15 Conclusione della giornata di studio - dotto Guido Marazzi.
La giornata di studio si è svolta nel salone del palazzo della Sopracenerina, gentilmente concesso.
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Il saluto del Dipartimento della pubblica educazione di Sergio Ca ratti
Ho l'onore e il piacere di pqrtare a questa interessante giornata di studio il saluto e gli auguri di buon lavoro da parte del Consigliere di Stato, Direttore del Dipartimento della pubblica educazione, on.le Ugo Sadis. Il fatto che un istituto scolastico mostri sensibilità e attenzione a certi awenimenti culturali - e, perchè no?, a certe ricorrenze -costituisce, senz'altro, non solo un titolo di merito ma anche un buon auspicio. Come ha appena finito di sottolineare il Direttore della Scuola Magistrale, Guido Marazzi, c'è la ricerca di un rapporto più vivo Gon il più vasto ambiente socioculturale. E il fatto, poi, che la Scuola Magistrale di Locarno abbia voluto legare questa giornata di studio russoiana ai suoi cento anni di vita rappresenta, a mio awiso, un'ulteriore consapevolezza della direzione nuova che si apre all'istituzione scolastica se vuole conservare - valorizzandola - la sua funzione di formare maestri sempre meglio preparati sul piano culturale e più agguerriti su quello professionale. Forse - e questo mio rilievo non vuole certo essere un appunto critico -, forse questi cento anni di vita della Scuola Magistrale meriterebbero un'attenzione anche rivolta a ricostruire un filo conduttore che, 'se è troppo definire «storico» è, parimenti, troppo poco relegare n eli' ambito della mera crona· ca. Perchè mi pare di poter dire che in questi cento anni non sono stati solo registrati avvenimenti di normale amministrazione scolastica: accanto a questi si sono anche avuti momenti di un certo qual rilievo nella vita, nella realtà socioculturale di un piccolo paese qual è il nostro Cantone. Penso, in questo momento - per un'associazione naturale che la problematica russoiana mette in moto -, penso all'appassionato dibattito, politico e pedagogico a un tempo, che caratterizzò gli ultimi anni del nostro '800 e i primi del secolo seguente. Un dibattito sulla politica dell'educazione, imperniato sulla necessità di rinnovare la nostra scuola - in particolare la scuola elementare - accogliendo finalmente la lezione della pedagogia pestalozziana e il suo metodo. Ebbene: se sfogliamo la cronaca di quegli anni troviamo che - soprattutto tra il 1894 e iI1896, ma anche dopo - la Scuola Magistrale, con alla testa il teologo Don Luigi Imperatori, fu tutt'altro che estranea a quel dibattito, occupando non di rado una posizione centrale e decisiva. I movimenti di idee che dall'inizio di questo secolo si sono accentuati in senso più ampiamente sociale e democratico, anche quando imperavano le ideologie totalitarie, non sono rimasti mai senza eco neWevoluzione della Scuola Magistrale, il cui obiettivo principale si è così man mano identificato con quello di formare educatori sempre meglio in grado di' elevare, attraverso l' istruzione, le condizioni di vita di tutto il popolo, offrendo a tutti i fanciulli uguali possibilità di formazione. È soprattutto in quest'ottica che va colto il continuo potenzia mento della Magistrale, sia per quanto riguarda la durata degli studi sia per la qualità degli stessi.
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La cultura .generale è stata elevata grazie a successive riforme e grazie soprattutto all'apporto di docenti colti e capaci che generazioni di maestri ricordano con durevole affetto ed estimazione. Particolare attenzione è stata pure dedicata alla preparazione professionale con l'introduzione, accanto alla filosofia, alla pedagogia, alla didattica, di aggiornati studi psicologici e con un tirocinio pure prolungato, atto a favorire più stretti e produttivi legami tra la teoria e la pratica, tra le dottrine e la realtà della scuola in cui ì maestri sono chiamati a operare. Questa giornata di studio è, però, importante, è soprattutto importante - direi - per la figura del pensatore di cui si vuole commemorare il bicentenario della morte: JeanJacques Rousseau. Bene ha fatto, quindi, la Direzione della Scuola Magistrale a rivolgersi a illustri studiosi che ci aiuteranno a riflettere su aspetti particolari, e fondamentali a un tempo, della vasta e ricca produzione del Ginevrino. In questo 1978 Rousseau è commemorato un po' dappertutto nel mondo. Due sono le sue opere che più di tutte hanno forse condizionato l'evoluzione delle concezioni della vita (concezioni filosofiche in senso ampio, sociologiche, politiche, pedagogiche, psicologiche, didattiche) fino ai nostri giorni: Contratto sociale ed Emilio. Il Contratto sociale descrive in fondo una società ideale opposta a quella in cui visse Rousseau, cioè una società basata sull'uguaglianza di tutti gli uomini, uguali ,per nascita anche se non lo sono più per sorte di nascita. In altre parole il valore originario degli uomini è uguale, così come uguale e inalienabile è la loro libertà originaria, anche se gli incrementi diversi di proprietà e di ricchezza hanno finito per generare disuguaglianze e forme di dipendenza contro natura. Questi punti di vista dovevano ispirare i rivoluzionari del 1789. Li ritroviamo nella Dichiarazione dei Diritti dell'uomo e del citta" dino. Un secolo e mezzo più tardi, la Dichiarazione universale dei Diritti dell'uomo, adottata solennemente dali' Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel dicembre del 1948, rappresenta, in effetti, l'espressione moderna delle idee politiche di Rousseau: ispiratore lontano di tutti i movimenti di liberazione nazionale che resteranno la caratteristica di questa fine del ventesimo secolo. Anche nell'Emilio, sullo stesso piano spirituale del Contratto sociale, si descrive in fondo l'itinerario di una educazione ideale, in netta antitesi con quella ricevuta da lui stesso, come osserva nelle Confessioni, tale da condurre il bambino a un'autoformazione secondo leggi intrinseche alla sua stessa natura e capaci di educarlo progressivamente a pensare e ad agire in modo autonomo, e a non essere condizionato da nessuna autorità che non sia quella della sua stessa ragione. Si tratta qui, ovviamente, di un'esigenza ideale basata sul dover essere dell'uol11o, esigenza che forse nessuna società riuscirà mai a raggiungere completamente, ma che
appunto perciò, come ai tempi di Rousseau, continua a rimanere esigenza ideale. La rivoluzione copernicana awiata da Rousseau sul piano pedagogico (in parallelo a quella kantiana su piano filosofico) continua così a essere operante anche oggi: il centro dell'azione educativa è infatti stato spostato, sempre più decisamente, dal maestro all'allievo e al suo processo di formazione, dalle materie da imparare a come esse sono via via apprese nelle fasi della vita di ciascun essere umano. Appunto perciò l'uomo di oggi ha acquistato più chiara coscienza di come l'educare e l'insegnate costituiscano ormai i più difficili compiti dell'pdulto, di genitori e insegnanti in particolare. A noi - uomini di scuola, quotidianamente alle prese con i problemi complessi delle istituzioni educative - Rousseau è particolarmente vicino, anche se la vicinanza è sui generis: in quanto punto di riferimento obbligato, ma, nel contempo, non sempre facile da decifrare (non a caso Jean Piaget, parlando di Rousseau «precursore dell'educazione nuova», ha sottolineato il fatto che si tratta di un «precursore un po' pericoloso»). La difficoltà, tuttavia, non è casuale e nemmeno specifica, tecnica. «Nello spazio di una vita abbastanza corta - confessa lo stesso Rousseau - ho provato grandi vicissitudini, e senza uscire dalla mia povertà ho per così dire assaporato tutte le condizioni, il benessere e il malessere mi si sono fatti sentire in tutte le maniere. La natura mi ha dato l'anima più $9nsibile, la sorte l'ha sottomessa a tutte le vicissitudini immaginabili». L'essere stato così profondamente, così radicalmente umano (e averlo voluto - tenacemente - testimoniare senza parsimonia di documentaziene) è senza dubbio la ragione di fondo che fa di Rousseau un punto di riferimento obbli.gato della nostra coscienza moderna. Tanto più - siamo costretti ad aggiungere - se ci troviamo coinvolti in imprese complesse come complesse sono le imprese che si riferiscono alla realtà dell' educazione. «Punto di riferimento» non significa, certo, che in Rousseau noi possiamo trovare la risposta puntuale ai problemi di oggi, grandi o piccolI che i problemi siano. Come tradurre le indicazioni dell'Emilio in soluzioni possibili per le questioni nelle quali si dibatte la nostra scuola? Ma se non ci è assolutamente possibile ricavare una serie di ricette per l'immediato, possiamo però individuare una prospettiva di scientificità e di rigore, di cui tutta la realtà dell'educazione ha oggi profondamente bisogno. Rousseau, in altri termini, non ci viene solo in soccorso conia sua visione funzionale dello sviluppo, che è una riscoperta e una rivalutazione del fanciullo, ci indica anche chiaramente che, una delle premesse più importanti dell'azione educativa è la formazione degli insegnanti, la loro formazione professionale. Se diamo una rapida occhiata ai più importanti problemi della nostra politica scolastica (unificazione della scuola dell'obbligo, formazione professionale dei docenti, elaborazione di una nuova legge della scuola), ebbene non ci è difficile trovare che certi interrogativi di fondo sono gli stessi con i quali si è commisurato Rousseau, e che la sua prospettiva può ancora esserci di aiuto per individuare la strada più giusta da imboccare e percorrere.
Jean-Jacques Rousseau e le scienze umane di Matilde eallari-Galli
Come omaggio per la ricorrenza del quarto di millenio della nascita di Jean-Jacques Rousseau, Claude Lévi-St rauss ha celebrato un'altra nascita, quella delle scienze umane ad o'pera del filosofo ginevrino. l)
Mi trovo, quindi, nell'occasione di· questa nostra commemorazione a subentrare -in un certo senso - a colui che oggi è il massimo degli antropologi viventi. Sono consapevole dell'azzardo, ma per il mio carattere personale mi piace raccogliere come una sfida l'invito che mi è stato fatto, e che diventa quindi ancora più onorevole, ma ancora più oneroso. Dagli inizi degli anni sessanta, dopo il saggio scritto da Lévi-Strauss, Rousseau è diventato immancabilmente e definitivamente il fondatore delle scienze dell'uomo. Qualche anno prima Lévi-Strauss era intervenuto pesantemente contro i critici, i misconoscitori e gli avversari di Rousseau, che gli attribuivano colpe spettanti, se mai, a Diderot21 . Del vagheggiamento, cioè, di un uomo naturale, glorioso del suo stato di natura, in cui qualcuno o qualcosa avrebbe introdotto l'uomo artificiale. E da questa penetrazione sarebbe cominciata «la guerra continua che dura per sempre». In Tristi Tropici, Lévi-Strauss scopriva Rousseau, «il nostro maestro», Rousseau, <<il nostro fratello», «al quale» - come scriveva - «ogni pagina di questo libro potrebbe essere dedicata, se l'omaggio non fosse indegno della sua grande memoria»31. Mi rendo conto della mia incoscienza, ricordandomi dell'amore e dell'invidia che provo per )' Au tore di Tristi Tropici, un libro che leggo e rileggo per stimolare la mia riflessione e la mia immaginazione, come ho fatto anche questa volta, prima di cominciare a scrivere questo mio intervento. Rousseau non ha mai commesso l'errore di Diderot41, di idealizzare l'uomo naturale, anzi proprio evitando la confusione dello stato di natura con lo stato di società, Rousseau fonda le scienze dell'uomo. E ciò, dopo la celebrazione di Lévi-Strauss è ormai noto a tutti. Qualcosa però è accaduto in questi anni che separano la celebrazione di l éviStrauss da questo nostro incontro, qualcosa di grosso, anzi di così grosso da fare apparire la Confederazione Elvetica non più come la terra promessa, ma direi piuttosto come un paradiso perduto di queUa che avrebbe potuto essere, e qui forse è stata, la realizzazione del mito della nostra civiltà. Ciò che è accaduto, e sta accadendo è la crisi del modello di sviluppo economico e sociale51, la crisi dell'ideologia del progresso e, come temo, la crisi prossima ventura del principio dell'eguaglianza di tutti gli uomini. Raccolgo allora la sfida, e celebro Rousseau non come il f ilosofo che ci ha parlato del formarsi dell'ineguaglianza, un tempo, alle origini, ma che ci parla oggi del riformarsi delle diseguaglianze, dell'annullamento di ordini istituzionali e ideologici verso nuove forme di contratto sociale
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che ancora nessuno riesce neppure ad intravedere. Ciò che io ne so è ben poca cosa, e la devo, in ogni caso, ancora a Rousseau, così come l'ho letto attraverso LéviStrauss6" ma vedrò di adoperarlo in questa sede, e soprattutto di adoperarlo come luce per l'oscurità sopravveniente. Tra l'origine dell'ineguaglianza e il contratto sociale si pone a programma di civiltà, l'Emilio: maze-way7" mappa cognitiva per giungere ad uno stato di società che riesca ad abolire le colpe e i delitti di questo stato. Intendo, cioè, che se vogliamo costruire, come ha utopizzato Lévi-Strauss nella sua lezione inaugurale al Collège de France8', una civiltà nuova, un ·nuovo umanesimo dobbiamo imparare preliminarmente da Rousseau a costruire un progetto uomo a cui concorrano tutte le discipline che vengono definite oggi - con un'etichetta forse ancora troppo vaga e troppo ambiziosa - scienze umane: la pedagogia e la storia, la filosofia e la sociologia, la psicologia e l'antropologia. Proviamo, quindi, di fronte alla crisi attuale e con l'unica possibilità teorica - a mio parere - di venirne fuori, di ripercorrere con i nostri poveri mezzi - e sono veramente fuori di metafora - il cammino che per noi ha tracciato, un paio di secoli fa, Jean-JacQues Rousseau. Lo stato di natura russoiano non è l'Eden giudaico-cristiano, né l'età dell'oro greco-romana. È piuttosto, direi con linguaggio contemporaneo, il fondamento biologico della società; e quindi non appartenente solo alla realtà dell'ieri, della preistoria, ma co-presente ancora neU'oggi; e materiale, piano - almeno speranza - per una trasformazione verso la società del domani. In questi anni di letture discontinue ma sempre appassionate di Rousseau e su Rousseau, ho colto in tanti esegeti del suo pensiero, di certo assai più autorevoli di me, una proposta più o meno implicita di riappropriarci di Rousseau in chiave weberiana. Dichiaro subito che intendo scostarmi da loro, nonostante la loro autorevolezza9,. Lo stato di natura non è, a mio parere, un tipo ideale, alla Max Weber, una fictio concettuale e metodologica per leggere lo stato di società. E credo di capire perché altri abbiano invece seguito una strada diversa da quella che io qui vi proporrò. Le ore che viviamo, e non solo nel mio paese, sono ore di travaglio: il malessere sociale va al di "là dei fatti quotidiani e investe la nostra capacità t radizionale di interpretare il nostro posto nel mondo e nella storia. Ci siamo troppo a lungo - mi sembra - adagiati nella speranza di uno sviluppo cumulativo, e abbiamo puntellato questa speranza con l'ideologia di un progresso inevitabile, irreversibile e unidirezionale, perché assoluto e perfetto per sua logica interna. Bene, Rousseau, due secoli fa ha già messo in crisi questo mito del progresso che avrebbe allontanato - secondo i suoi fautori - l'uomo dalle sue origini, dal suo stato di natura, rendendolo tutto, nello stato di società, essere civile e razionale. I lettori in chiave weberiana dello stato di natura russoiano esorcizzano, appunto, attraverso la concezione del tipo ideale, l'idea che il progresso sia un mito e non una realtà. Rousseau, insomma, non fu mai né un detrattore né un fautore della
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storia come evoluzione civile che avrebbe condotto l'uomo dalla natura alla società10,. Per poterlo considerare tale è necessario compiere un'operazione intellettuale che io, francamente, non mi sento affatto di condividere: separare, cioè, e contrapporre il Rousseau del Discorso da quello dell'Emilio, da quello del Contratto Sociale. Lo stato di natura di Rousseau non è unità di misura per cogliere il cammino positivo o negativo della società, né l'Emilio è un'alternativa, diciamo privatistica, per correggere le storture, diciamo pubbliche, illuminate dal Contratto. Negli anni '40 un antropologo americano ha scritto che ogni uomo è sotto certi aspetti simile ad ogni altro uomo, sotto certi alt ri aspetti è simile solo ai membri del gruppo con cui vive, e sotto !lIt ri aspetti ancora è simile solo a se stesso 11' . Gli evoluzionisti sociali di ieri e di oggi, interpretano questi tre aspetti come fasi di uno sviluppo che per successivi livelli di chiarezza dovrebbe portare l'uomo dall'indifferenziata orda dell'ieri, attraverso il paternalismo statale dell'oggi, alla piena realizzazione individuale del domani. Rousseau mescola le carte; rompe gli schemi; ci spiazza dalle nostre pigre certezze. Lo stato di natura ci sarà domani, così come l'individuo c'è già stato ieri. E così realmente fonda una scienza dell'uomo che attende ancora un secondo Rousseau per essere capace di dare risposte a problemi assillanti e angoscianti. Nella cosiddetta cultura di massa 12' - che gli aristocratici non si stancano mai di deprecare - è rinvenibile, a mio parere, un carattere che Jacques Lacan ha definito una volta come «previo incretinimento da mistificazioni di bassa divulgazìone»13'. Lacan dietro l'invettiva avanza la proposizione della necessità di leggere direttamente Freud14,. Penso che incretinimento, mistificazione, bassa divulgazione siano presenti in tanti altri luoghi, oltre che negli istituti psicoanalitici, e che occorrerebbe - e non solo per Freud - che si tornasse a leggere di prima mano. Ed anche chi lo fa rischia però, soprattutto in una situazione commemorativa, di confondere le «intenzioni di un autore» dalle «conseguenze» che lungo i decenni e i secoli sono state tratte dalle dottrine che questo autore ha elaborato15'. C'è inoltre un secondo rischio: che la celebrazione diventi puro atto formale, allontanando ancora più dei secoli l'autore dal nostro contesto. Resa consapevole, direttamente da .Rousseau, che sto correndo il primo rischio, di portare cioè le sue conseguenze al di là delle sue intenzioni, penso tuttavia che il modo più onorevole di parlarne sia di interrogare Rousseau nQn su una scienza dell'uomo - come si dice f ilosofica - ma piuttosto applicata ai concreti problemi dell'uomo oggi. Perché non solo nel campo della scienza ma anche nel campo della politica, è d'uso estrarre Qua e là una citazione e quindi cucirle insieme, per un catechismo buono per tutte le stagioni. Sto pensando, a questo proposito, allo slogan «il personale è politico» che ormai significa meno che niente: ricollocato nel suo contesto - la crisi della civiltà occidentale - riacquista il suo senso. Ora io non so con esattezza cosa sia la cultura di massa16" e potrebbe essere solo
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una figura retorica utile per aristocratiche deprecazioni. Le scienze dell'uomo dopo i primi passi che ha fatto far loro il pensiero illuministico francese, hanno molto camminato. E nella prima metà di questo secolo si sono sfrenate in una corsa che senza portarle ad alcuna meta, ha dato loro, soprattutto e intanto, un respiro affannoso. Là, dove emergeva il bisogno, il sociale poneva delle domande, e prima ancora che le scienze dell'uomo riuscissero a dar risposta sopraggiungevano altri bisogni, altre domande. Le risposte, scollate dal contesto, hanno creato spesso solo confusione. Così quando sento parlare di cultura e di cultura di massa, talvolta io stessa che dovrei essere una specialista, non riesco a capire di che si stia trattando. Cultura diventa sinonimo di società, ma l'intercambiabilità dei due termini è fallace . Società è il rapporto degli uomini tra di loro, e cultura invece l'insieme delle relazioni che legano l'uomo al mondo 17'.
Questa confusione non è casuale e corrisponde a mio parere alla visione assai condivisa per cui un principe assoluto di uno stato, sedicente democratico o sedicente socialista, debba trasformare prima i rapporti politici e poi, solo poi, su una umanità così rinnovellata, possa agire perché questa neo-umanità abbia una nuova relazione con il mondo. Che è, a mio parere, il modo sicuramente più sbagliato di ricevere la lezione delle tesi su Feurbach. Bene, in questo senso va letto che il personale è politico, come imperativo di una ristrutturazione della nostra vita quotidiana, di un nuovo senso, di un nuovo modello della cultura perché la società possa trasformarsi, abolendo realmente l'alienazione polit ica ed economica. E qui può esser subito fatto omaggio a Rousseau di una comprensione precorritrice. Rousseau non fa mai la confusione tra cultura e società, come alcuni avevano fatto prima di lui e come una pletora ha fatto, nonostante la sua lezione. Rousseau pone alle origini la cultura, come determinante e produttrice della successiva so-
cietà1BI. Il passaggio dall'uomo/animale all'uomo/ uomo, dalla natura alla società, è appunto determinato dalla cultura. Se Rousseau, après Lévi"Strauss, è il «padre» dell'antropologia del XX secolo, nel secolo scorso gli antropologi di scuola evoluzionista, sacerdoti dell'ideologia del progresso, avevano scelto, contrapposto a lui, un altro «padre»: Georges LoUls Leclerc, comte de Buffon. E come ha scritto in un eccellente saggio l'antropologo inglese Edmund Leach, l'aporia di fondo su cui si dibatte tutta l'antropologia contemporanea e su cui si è dibattuta tutta l'antropologia, è nel pencolare tra queste due paternità191 ~ Buffon che dà il primato al sociale, quando postula per l'uomo delle origini una costrizione naturale ad associarsi al proprio simile, se vuole sopravvivere20l. Per Rousseau, tutto al contrario, l'uomo/animale è il solo essere che nella natura possa bastare a se stesso. La cultura dell'uomo/animale è in Buffon e nei philosophes che si accodano a lui, susseguente ad un sociale creante, non creat0211. L'uomo/animale di Rousseau è invece l'assolutamente selvaggio: in questa scoperta russoiana stanno i presupposti di un modello culturale utile a spiegare la società che diventa così per Rousseau un autentico prodotto dell'uomo. Perché se la società precorre la cultura, come vogliono Buffon e Diderot e Helvetius, il trucchetto teorico consente di poter barare, a livello politico, su tutte le ideologie. Il primato, insomma, del sociale relega il sociale nella natura, confonde lo stato di società con lo stato di natura. Dallo zoòn politicòn di Aristotile alla celebre frase di Buffon «l'uomo non è tale che in quanto ha saputo riunirsi all'uomo», l'apparente primato dell'uomo, per il quale l'ambiente naturale si identifica tutto con lo stato di società, è il presupposto fondamentale dell'ideologia della discriminazione. Perché è facile dirsi egualitari per l'ieri, per la preistoria, quando al grado zero le condizioni si presuppongono eguali. Più difficile essere egualitari nell'oggi, se interpretiamo le macroscopiche differenze sociali come ritardi di alcuni gruppi, di alcuni uomini, rispetto ad altri, che partiti ieri dalle stesse condizioni oggi sono più progrediti. La scuola antropologica italiana dell'Ottocento giocò abilmente con questa confusione teorica per progettare un ordine sociale da raggiungere con la forza delle armi della pOlizia e dell'esercito. La società sarda, quella calabrese, quella meridionale tutta, dimostrava di non saper tendere allo stato di civiltà della società piemontese. E allora gli antropologi positivisti, e inter alia, socialisti, chiedevano allo stato di esser forte ed imporre il suo ordine22l. Oggi ci siamo fatti tutti più sofisticati: ma la colpa originaria permane e produce, inevitabilmente, i suoi effetti. AI di là della mia avversione che dire istint iva e poi rafforzata dal mio mestiere per un certo «razzismo» che i popoli nord-europei dimostrano verso gli emigranti dell'Europa meridionale, direi, paradossalmente, che è più pulito questo razzismo di alcune posizioni «illuminate» e «progressiste», presenti ad esempio nel mio paese: perché i «razzisti» del Nord-Europa vedono un pericolo per la loro società nell'introiezione di una cultura - quella degli emigranti - che a loro appare come .una non-
cultura. Mentre i «progressisti» hanno visto nell'emigrazione, nell'industrializzazione, nell'urbanesimo, una sicura conquista, salvo oggi a strillare contro la violenza che dilaga nel sociale, violenza per loro inconcepibile, date le «obiettive conquiste». Anche questo, nel suo contesto, significa che il personale è politico. Cioè che il politico non può essere autoritario, ma neanche paternalistico; e neppure solo ufficiale e pubblico, lasciando che «i panni sporchi si lavino in famiglia». Ora Rousseau è, a mio parere, un antesignano alla lotta agli autoritari farisei che pensano ad una umanità minus habens che verrà guidata e portata per mano: perché il «principe» con la sua razionalità sa dove sta il meglio. So che c'è qualcuno, t ra glì esegeti del pensiero di Rousseau, di certo più insigne e competente di me, che ne ha parlato come del padre - o almeno del difensore d'ufficio - di ogni futuro totalitarism023l. Ma per me Rousseau, direttamente o accidentalmente in assonanza con il più grande dei filosofi italiani, - Giovan Battista Vico - è artefice di un'idea/uomo - intendo di una antropologia teoretica - radicalmente anti-autoritaria. Vico e Rousseau riprendono quella che forse è la prima teorizzazione antropologica del pensiero moderno, il Leviatan0241. E l'uno e l'altro, seguendo propri sentieri, immaginano con Hobbes le prime forme di società e di cultura, come unione concorde dei proto-uomini, disposti a mettersi insieme per un reciproco vantaggio. Dove, però, differiscono entrambi da Hobbes è nel ritenere l'uomo/animale già dotato di quella ragione caratteristica del futuro uomo/uomo. Di solito l'accento vie n posto, a preferenza, su un'altra discordanza tra Hobbes e Rousseau (e Vico): l'aggressività criminale dell'uomo animale di Hobbes, rispetto alla ~ come si dice - bontà dell'uomo/animale di Rousseau (e di ViCO)251. Mi sembra veramente riduttivo - cioè povero e inutile - comprimere la grande teorizzazione antropologica di Rousseau nella grossolanità della formula «il buon selvaggio». Più che inventare il mito del «buon selvaggio», Rousseau spezza lo schema evolutivo proprio dei philosophes, interrompe quella caleidoscopica proiezione sul resto dell'umanità passata e presente, di qualità, vizi, aspirazioni propri dell'uomo occidentale, fatta da Buffon per creare la sua visione scalare di un progresso in costante divenire. Per Rousseau, invece, all'inizio non c'è storia: «Quanti secoli saranno passati - egli scrive nel Discorso - prima che gli uomini siano stati in grado di vedere altro fuoco che non fosse quello del cielo? Quante diverse combinazioni saranno state loro necessarie prima di apprendere gli usi più comuni di questo elemento? Quante volte l'avranno lasciato spegnere prima di aver imparato a riaccenderlo? Quante volte ognuno di questi segreti sarà morto insieme con colui che l'aveva scoperto?26I» Ed ancora: «La natura fa tutto da sola nelle operazioni della bestia mentre l'uomo concorre nelle proprie, in qualità di agente libero. L'una sceglie o rifiuta per istinto, l'altro con un atto di Iibertà»)27). Oggi l'antropologia è costretta dalle sue scoperte, e da quelle di altri studiosi viciniori, a mettere in discussione il concetto
tradizionale di «uomo». Una delle branche più attive dell'antropologia - la paleontologia - sotto la gara familiare dei Leakys padre/madre e figli, sposta all'indietro sempre più l'origine dell'uomo/uomo, e dilata nell'ordine di milioni di anni l'esperienza culturale dell'uomo/animale. L'antichità a cinquemila anni dell'uomo nella visione dei pensatori del Settecento è poco meno di un batter di ciglia, rispetto ai quindici milioni di anni, secondo la datazione dell'uomo/animale dei Leakys. Gli etologi, dal canto loro, provocano la riflessione degli antropologi togliendo via via alla specie umana caratteristiche distintive dhe essi invece generalizzano ad altre specie2B1. L'ultimo baluardo della specificità rimane presidiato da Norman Chomsky e i suoi, che respingono confusioni con una - diciamo così - linguistica etologica, affermando che il carattere generativo esiste solo nel linguaggio verbale umano. E poiché il linguaggio è lo strumento principale, se non addirittura fondamentale, per dare un ordine all'ambiente, anche se tl.!lte le specie viventi riconoscono nel loro ambiente ciò che è utile e ciò che non-utile per la loro sopravvivenza, l'unicità del linguaggio umano differenzierebbe l' ordine dell'uomo dall'ordine dell'animale. Forse attualmente siamo alle soglie di una sistemazione teorica di un nuovo paradigma per le scienze dell'uomo che renderà tutto chiaro e ci meraviglieremo, come dice di aver fatto Huxley per la teoria darwiniana, di non esser riusciti a vedere già da noi questa chiarezza. Attualmente ci dibattiamo girando a vuoto nel circolo del ragionamento causale29l: è nato forse prima il linguaggio permettendo così la costruzione dell'utensile e l'<<invenzione>> del fuoco, o questo e quello mutando le condizioni di vita tanto a livello fisiologico che a livello di interazione sociale, hanno indotto quelle trasformazioni cerebrali necessarie per il gran salto qualitativo dei nostri processi simbolici?
Madame de Warens.
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E c'è stato addirittura qualcuno di noi che con scarsa costanza, ma con eccezionale senso pratico, ha negato all'antropologia il diritto di occuparsi del problema delle origini29lbis. Ora come per me è evidente e come dovrei sforzarmi di dimostrarvi, in questa crisi concettuale, Rousseau è ancora avanti a noi, e la sua stimolazione teorica è anche modello operativo, rispetto al più pratico ma indispensabile, ricorrente, quesito del «che fare». Gli etologi hanno riscoperto con obbes l'aggressività dell'animale e attribuendo questa aggressività in maniera subdola all'uomo/animale la perpetuano, per fissazione genetica, anche all'uomo/uomo. L'uomo/uomo discende, come ci ha dimostrato Darwin, dall'uomo/animale e condivide quindi con altri animali le caratteristiche dell'animalità. Ma l'attribuzione dei tratti aggressiVi ereditati geneticamente è possibile solo a condi;zione di attribuire questi tratti all'uomo/animale: è possibile, cioè solo a condizione di scegliere Hobbes piuttosto che Rousseau. Scegliere per l'uno o per l'altro comporta conseguenze pratiche enormi a giustificazione dell'autoritarismo. Ma comporta anche, e direi soprattutto, conseguenze teoriche egualmente gravi. Non è dimostrato, infatti, dal ragionamento etologico la fissazione dei caratteri lungo l'evoluzione, ma piuttosto - e questa è la posizione di molti biologi - si attribuiscono per vizio antropocentrico caratteri attuali deU'uomo al suo progenitore e si conclude quindi che i caratteri attuali sono naturali perché geneticamente acquisiti. È la stessa operazione, estesa alla specie, che è stata compiuta per la sottospecie dell'umanità: la donna. Nella nostra società, nella società cioè che ha istituzionalizzato la formalizzazione scientifica, la donna è chiamata a svolgere, come in ogni altra società, ruoli drrferenti dall'uomo. E questa differenziazione tipicamente sociale è stata ricercata, mantenuta, sostenuta dopo averla proiettata nel mondo della natura. In altre paro-
Scrittoio di Rousseau.
le, è stata la differenza d~i ruoli sociali che ci ha imposto la dicotomia classificatoria sessuale: non sono cioè gli attributi primari fisiologici quelli che hanno prodotto i differenti ruoli, ma la divisione sociale dei ruoli ci ha c.ostretto ad una coerente lettura dell'ambiente in termini di «maschile» e «femminile». Salvo poi a ritrovarei pieni di confusione - tanto a livello teorico quanto a 'Iivello pratico - quando estendiamo il principio comparativo, su cui si basa gran parte del-
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la nostra metodologia scientifica, a questa classificazione. Perché scopriamo, allora, che nel passato e. nel presente, cambiando continente, l'Iazione, epoca, gruppo sociale, le éategorie «maschile» e «femminile», «uomo» e «donna» si accoppiano in modo diverso, antinomico, contraddittorio: e le caratteristiche che correlano lo status sessuale maschile (e quello femminile) con lo status sociale di uomo (e di donna) sono variabili dipendenti e non assoluti immutabil i. Scelgo a caso tra i tanti esempi che possono spiegare la fallacia di ogni processo logico rigidamente ancorato al predominio dell'elemento «naturale» sull'elemento so_o cio-culturale. Certo solo le donne generano e allattano la prole ma l'atteggiamento dei padri rispetto alla cura dei figli varia ampiamente. In molti gruppi - dai contadini russi del secolo XIX ad alcune tribù del bacino amazzonico - si tenta di rafforzare sin dall'inizio il legame padre-fig li: i mariti sono durante il periodo della gravidanza sollecitati ad osservare tutti i tabù, tanto quelli di carattere alimentare quanto quelli di carattere sociale, che devono osservare le loro mogli; al momento del travaglio anche l'uomo mima i dolori del parto e condivide tutte le limitazioni (alcune naturali ma mò~te imposte dalla cultura) della partoriente. Quest'uso molto complesso e che obbedisce a svariate regole sociali, è noto, in antropologia, con il termine di couvade, ed è spiegato proprio come uno sforzo per fa r partecipare il sesso maschile all'atto stesso della nascita30l. I rapporti che legano il padre al figlio nei primi anni di vita sono anch'essi estremamente vari: il signore europeo di alcuni secoli fa ignorava completamente i suoi figli fino a che non fossero giunti in età adulta, limitandosi, prima, a vederli molto di rado, nelle situazioni più ufficiali e formali; il padre Nambikwara, per isolare a caso fra gli esempi etnografici più contrastanti, nutre e pulisce i suoi piccoli, e trascorre molte ore condividendone i giochi.
Prima che si fondasse l'antropologia (<scientifica» - come dice uno dei suoi storici, il francese Paul Mercier311 - esisteva, e continua ad esistere in ogni gruppo umano un'antropologia «spontanea». Per la cultura della classe egemone della nostra società, questa antropologia spontanea è stata formalizzata dai philosophes del XVIII secolo, e viene perpetuata e tramandata attraverso l'istruzione scolastica ancora oggi. L'idea uomo dei philosophes poggia su tre pilastri: - l'aggressività criminale dell'homo homini lupus di Hobbes; - lo stato sociale di branco di Buffon; - la razionalità congenita, e quindi produt-trice e responsabile del linguaggio e de.i costumi, cara a Diderot. Rousseau è il fondatore delle scienze dell'uomo nel senso che è l'iniziatore di una antropologia scientifica che si contrappone all'antropologia spontanea del mondo occidentale moderno e alla formalizzazione che ne hanno fatto i philosophes. E Rousseau fonda un nuovo modello per le scienze umane smantellando sistematicamente i tre pilastri filosofici, separando così lo stato di natura e lo stato di società, tra i quali pone la cultura umana. Ma questa cultura non è data una volta per tutte, non è in Rousseau un'entità superorgani, ca e idealistica mente superpsichica, e non
Denis Diderot.
è neppure - e qui è la sua più grande intuizione - una sintesi tra natura e società. Essa è piuttosto l'essenza stessa dell'umanità, direi un metodo che l'umanità scopre e riscopre continuamente. In questa scoperta è la storia. È insomma l'equivalente del paradiso di Heidegger: il paradiso, cioè, è la strada per il paradiso. l'antropologia scientifica, ma anche le antropologie spontanee, e quindi ogni immaginazione simbolica dell'uomo, sanno - o hanno semp~e saputo - che l'uomo è insieme natura e società. La cultura per Rousseau e dopo Rousseau è il grande strumento umano perché l'uomo riesca a vivere questa consapevolezza. Allora l'uomo non è nella storia da sempre, sin dalle sue origini di uomo/animale: la storia è invece sin dalle origini un prodotto dell'uomo. L'uomo/animale capace di vivere senza gli altri uomini, ma capace contemporaneamente di vivere con tutti gli altri animali, diventa uomo attraverso un salto, una rottura, una rivoluzione. Il primo uomo «che si fece degli abiti o un'abitazione, si procurò cose assai poco necessarie»32I; è questa invenzione che crea la socialità e la società trasforma l'invenzione in bisogno. Come scrive nell'Essai i bisogni dell'uomo/ animale «Iungi dall'avvicinarlo ai suoi simili lo allontanava da 10ro»33I. Tra tutte le rotture, tra tutte le rivoluzioni quella che per Rousseau, anticipando Chomsky, fonda realmente la cultura umana, è il linguaggio. Il linguaggio che muta la natura dell'uomo/animale nella natura dell'uomo/uomo, ma anche il linguaggio che creando società viene trasformato proprio dallo stato di società in un rischio culturale, in una oppressiva necessità di soddisfare ad un bisogno. la persuasione russoiana, anche qui tanto vicina a quella vichiana34l, che il linguaggio, inventato per comunicare emozioni abbia poi, solo poi, prodotto ragione, è un presupposto essenziale alla fondazione delle scienze umane contemporanee, oltre che un attacco diretto al primato assoluto della ragione, affermato da Diderot. «Non la fame, non la sete, ma l'amore, l'odio, la pietà, la collera, strapparono a loro le prime voci. I frutti non sfuggono alle nostre mani; ce ne possiamo nutrire
senza parlare; possiamo inseguire in silenzio la preda di cui vogliamo cibarci: ma per commuovere un giovane cuore, per resping'ere un aggressore ingiusto, la natura detta accenti, grida e gemiti»351. Ho citato per esteso questo brano poetico dell'Essai, tanto utile ai detrattori di Rousseau: ecco la prova - dicono alcuni -del suo «romanticismo»; del suo «irrazionalismo», dicono altri. E per un verso è verissimo che Rousseau rifiuti la coincidenza di storia umana e di storia della ragione, ma questo rifiuto è un atto d'omaggio alla complessitè della razionalitè umana; per un altro verso questo «romanticismo» ante litteram è uno strumento euristico per scoprire paradossalmente il materialismo, evitando le paludi banali di ogni funzionalismo, di matrice sempre positivista. Perché per la concezione implicita di cultura che scorre nelle pagine di Rousseau, la ragione non può essere compressa dentro gli schemi angusti di un sistema sociale, di qualunque sistema sociale. «Bisogna osservare le differenze, per poter poi scoprire le proprietè»361, scriveva nell'Essai: ecco nella differenza, nel differenziarsi consiste il cammino della ragione, ma non per affermare una superioritè e una inferioritè, bensì per conoscersi meglfo, per riconoscersi nell'identificazione con popoli diversi. Attraverso l'excursus di sistemi familiari monogamici e poligamici, di sistemi religiosi monoteisti e animisti e politeisti, di riti magici e propiziatori, di paradigmi scient ifici formali. e informaH, di sistemi educativi costrittivi, autoritari o permissivi e asettici, compassionevoli o crudeli, individuiamo al di sotto delle differenze una proprietè comune, e su questa proprietè comune possiamo sperare di Costruire con la ragione un nuovo modo di essere. «Tutta la terra» - scriveva Rousseau nel Discorso - «è coperta di nazioni di cui conosciamo solo i nomi, e poi pretendiamo di giudicare il genere umano! Supponiamo che un Montesquieu, un Buffon, un Diderot, un D'Alembert, un Condillac, o altri uomini della stessa tempra, viaggino per istruire i loro compatrioti, osservando e descrivendo come sanno fare la Turchia, l'Egitto, la Barbaria, l'impero del Marocco, la Guinea, il paese dei Cafri, l'interno dell'Af rica e le sue coste orientali, i Malabari, il Magol, le rìve del Gange, i regni di Siam, di Pegu, e di Ava, la Cina e la Tartaria, e soprattutto il Giappone; poi nell'altro emisfero, il Messico, -il Perù, il Cile, le terre mag.ellaniche senza dimenticare i Patagoni veri o falsi, il Tucumèn, il Paraguay, se fosse possibile il Brasile, infine i Caraibi, la Florida e tutte le contrade selvagge; sarebbe il viaggio più importante di tutti e bisognerebbe farlo con la massima cura. Supponiamo che i novelli Ercoli, reduci da quelle spedizioni memorabili, facessero poi a bell'agio la storia natura le, morale e politica di quanto avessero visto, e vedremmo a nostra volta un mondo nuovo uscire dalla loro penna, e impareremmo in tal modo a conoscere il mondo nostro ... »371. Così il processo di identificazione travalica i confini propri del pensiero occidentale, non è cioè più ristretto e limitato al membro del proprio gruppo - -il cittadino opposto al barbaro, il credente opposto all'infedele - ma si estende sino a comprendere ogni uomo, dovunque e comunqueviva.
Come scrive Claude Lévi-Strauss, (il pensiero di Rousseau prende dunque le mosse da due principi: quello dell'identificazione agli altri e addirittura al più 'altro' fra tutti gli altri, I~animale; e quello del rifiuto: dell'identificazione a se stesso, cioè il rifiuto di tutto ciò che può rendere 'accettabile' l'io. Questi due atteggiamenti si completano, e il secondo persino fonda il primo: in veritè, io non sono 'io' ma il più debole, il più umile degli 'altri'. Ecco la scoperta delle Confassions ... »381. Ogni rivoluzione culturale rappresenta un salto storico e un salto della ragione. Ed oggi i paleontologi hanno indirettamente confermato Vico e Rousseau, e la loro comune idea sulla natura emozionale del primo linguaggio. L' invenzione culturale dei primi manufatti doveva essere comunicata e trasmessa alle generazioni più giovani. Manufatto culturale e linguaggio hanno creato «il fatto sociale totale», come lo avrebbe poi chiamato Marcel Mauss, in cui cultura materiale, comunicazione e mutazione fisiologica dovuta allo sviluppo del cervello e all'ingrandimento del cranio, hanno imposto una scelta alla natura: quella di produrre un infante incapace, che emozionalmente e non razionalmente doveva esser legato alla «pietè» della coppia adulta, perché lui riuscisse a sopravvivere e la specie a perpetuarsi391. Oggi molti che si autoproclamano difensori della razionalitè tentano ancora di barattare la funzionalitè del sistema sociale come ragione umana, imponendo ciò che è stato fatto - e che quindi non può essere un non fatto - come modulo oppressivo dell'a necessitè, negatore di ogni libertè. Ed è il modo migliore per tentare di cancellare, «previo un incretinimento da mistificazione di bassa divulgazione» il valore dirompente del messaggio dei due grandi eretici del XVIII secolo, Vico e Rousseau401 . Messaggio che non indica il peso del passato sul presente ma proprio al contrario la possibilitè sempre presente e sempre ricorrente di un fare nella storia, di un fare storia.
Bologna, maggio 1978
*Perle opere di Rousseau si fa riferimento a Oeuvres Complètes, edizione curata da B. Gagnebin e M. Raymond per la Biblioteca della Pléiade, Parigi, 1959 .. . - 4 volI. apparsi su cinque previsti (abbrev.: O.C., seguita dall'indicazione del voI. e da quella del numero delle pagine).
nC. LEVI-STRAUSS, Jean-Jacq.ues Rousseal.l, fondatore delle scienze dell'uomo, in Razza e storia e altri studi di antropologia (a cura di P. Caruso), Torino, 1967. 21D. DIDEROT, Oeuvres philosophiq.ues (a cura di P. Vernière), Paris, 1962, e Oeuvres Politiq.ues (a cura di P. Vernièrel, Paris, 1963. Ma per ricostruire l'antropologia di Diderot è necessario, come ha messo bene in luce J. Proust, analizzare tutta la partecipazione di D., come direttore e come autore di articoli, all'Encyclopédie e all'Histoire des Deux Index - cfr.: J. PROUST, Diderot et 1'« Encyclopédie», Paris, 1962, nonchè l'articolo La contribution de Diderot Il 1'«Encyclopédie» et les «théories du droit nature!», in «Annales historiques de la révolution française.», 1963. 31C. LEVI-STRAUSS, Tristi Tropici, Milano, 1960, p. 379. Per una traccia bibliografica del pensiero di L.-S. su Rousseau cfr.: JeanJacq.ues Rousseau, père de l'ethnologie, in «Courrier de l'UNESCO)), marzo 1963; Il pensiero selvagg.io, Milano, 1964; Il totemismo og-
gi, "Milano" 1964. Per una visione critica delnnfluenza di Rousseau su L.-S. cfr.: J. DER-RIDA, La scrittura e la differenza, Milano, 1969; E. R. LEACH, Nuove Vie dell'antropologia, Milano, 1973. 41Per un'analisi critica del rapporto tra Rousseau e Diderot cfr.: J. F'ABRE, Deuxfrèresennemis: Diderot et Jean-Jacques, in «Diderot Studies», 1.11, 1961; A. ADAM, Rousseau et Diderot, in «Revue des s.ciences humaines», 1948. Per un'esegesi chiarificatrice dell'originalità del pensiero di Rousseau nel panorama dell'illuminismo francese cfr.: J. STAROB1NSKI, Rousseau et Buffon, in Jean-Jacques Rousseau et son oeuvre. Pro.blèmes et recherches, Paris, 1964. 5l:La crisi economica è stata in verità precorsa da una crisi c!onoscitiva, cui l'antropologia al pari di tutte le altre scienze moderne, naturali e sociali, ha dedicato la sua analisi, affrontando soprattutto il livello epistemOlogico. Credo che il brano seguente possa costituire un'esemplifiçazione abbastanza chiara di ciò che intendo: «Avrei rivissuto dunque l'esperienza degli antichi esploratOri, e attraverso di essa, quel momento cruciale del pensiero moderno in cui, grazie alle grandi scoperte, una umanità che si credeva completa e perfezionata riceve all'improw iso, come una contro-rivelazione, l'annunzio che non era l'unica, che era soltanto una parte di un più vasto sistema e che, per conoscersi, doveva prima contemplare la sua irriconoscibile immagine in quello specchio una particella del quale, dimenticata per secoli, stava per dare a me solo il suo primo ed ultimo riflesso» - C. LEVI-STRAUSS, Tristi Tropici, op. cit. , p. 312. 61 Ho già citato nelle note precedenti alcuni riferimenti al pensiero di Rousseau presenti nelle ope~e di Claude Lévi-Strauss. Vorrei qui aggiungere una citazione, presa ancora da Tristi Tropici (pp. 303-304) per ribadire e chiarire la «lettura» levistraussiana di Rousseau: «Quanto a me, sono andato fino in capo al mondo in cerca di quel che Rousseau chiama 'il pmgresso quasi insensibile degli inizi'. Sotto il velo delle leggi troppo sapienti dei Caduvei e dei Bororo, avevo perseguito la mia ricerca di uno stato di cose che - dice ancora Rousseau - 'non esiste più, forse non è mai esistito, e probabilmente non esisterà mai e di cui ciononostante è necessario avere una giusta nozione per ben giudicare il nostro stato pre.sente'. Più fortunato di lui, credevo di averlo scoperto in una società agonizzante, ma della quale era inutile chiedersi se era o non era un relitto : tradizionale o degenerata, essa mi metteva comunque in presenza di una delle forme sociali e politiche più povere che si possa immaginare. Non avevo bisogno di rivolgermi alla storia particolare che l'aveva mantenuta in quella condizione elementare o che, più verosimilmente, ve l'aveva ricondotta. Bastava considerare l'esperienza sociologica che si svolgeva sotto i miei occhi. Ma proprio questa mi sfuggiva. Avevo cercato una società ridotta alla sua forma più semplice. Quella dei Nambikwara lo era a un punto tale che vi trovai solo degli uominÌ». 7-)maze-way nella definizione di A.Wallaçe sta a indicare la mappa cognitiva del mondo privato proprio di ogni individuo, che è regolarmente evocata dl;lgli stimoli, così come .essi sono percepiti e/o ricordati. Cfr.: A. WALLACE, The Psychic Vnity of Human Groups, in Studyng Personality Cross-Culturally, ed. by B. Kapian., New York, 1961, p. 131. SIC. LEVI-STRAUSS, Elogio dell'antropologia, in Razza e storia ... , op. cito 91 Dello stesso Starobinski cfr. l'introduzione e le note al Discours sur l'origine et l'es fondements de l'inégalité, in O.C., III. Si vedano inoltre: J. TERRASSE, J.-J . Rousseau et la quAte de l'Age d'or, Bruxelles, 1970; M. LAUNAY, Rousseau, écrivain politiq.ue, Grenoble., 1972. 101Quasi all"inizio del Discours egli scrive: «per quanto sia importante per un giudizio esatto sullo stato naturale dell'uomo, considerato fin dalla sua origine, per così dire, nel primo embrione della specie, non seguirò il suo organi:zzarsi aUra" verso i successivi sviluppÌ» . J.-J . ROUSSEAU,
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Arrivo di Rousseau ai Campi Elisi.
Scritti politici, a cura di P. Alatri, Torino, 1970, p.291. 11ICfr.: C. KLUCKHON-H.A. MURRAY, Personallty formation: the determinanta, in Peraonality in Nature, Society and Culture, New York, 1953, p. 53. 121 Difficile fornire un'indicazione bibliografica su un tema di così vasta portata. Mi limiterò a indicare alcuni testi utili per delimitare, almeno, il campo cui mi riferisco: B. ROSENBERG-D. WIiITE (eds), Mass Culture, London, 1956; E. BARNOUW, Maaa Comunication, N.ew York, 1956; A. MOLES, Sociodinamlca della cultura, Milano, 1971; A. MOLES-E. ROHMER, La paychologie de l'eapace, Paris, 1972; E. MORIN, L'industria culturale, Bologna, 1963; J. BRAUBILLARD, La società del conaumi, Bologna, 1976; Id. , Per una critica dell'economia politica del segno, Milano, 1974; H. M. ENZENSBERGER, Palaver, Torino, 1976; M. McLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano, 1967; Id., La galassia Gutenberg, Roma, 1976; J . KRiSTEVA, Polylogue, Paris, 1977. Sono, come si vede, testi composti da specialisti appartenenti ad aree disciplinari quanto mai diverse: sociologi della comunicazione, filosofi, psicologi sociali, critici letterari e semiologi: dimostrazione empirica della natura composita dell'area problematica etichettata sotto il termine di «cultura di massa», della difficoltà dei rapporti interdisciplinari, e di organizzazione delle conoscenze; ma testimonianza anche dell'urgenza ampiamente awertita di elaborare schemi concettuali nuovi e fecondi di soluzioni e di proposte. 131P . CARUSO (a cura di) , Conversazioni con Claude Lilvi-Strauss, Michel Foucault, Jacques Lacan, Milano, 1964. p. 154. 141 Per un esempio di «sviste» macroscopiche determinate dalla «non-lettura» delle opere di Freud, cfr. più avanti a p. 16910 stesso testo curato da Paolo Caruso quando Lacan dice: «Freud, ad esempio, non ha mai parlato di istinto. Ha parlato di impulsi. E le consiglio di rileggere le pagine che Freud ha dedicato agli impulsi: vedrà che si tratta di qualcosa di tanto poco 'naturale' quanto lo sono i 'collage' surrealisti». 151Lettera a Voltaire del 18 agosto 1756, in O.C., III. E Rousseau ebbe in grandissimo conto, sempre, il problema dell'interpretazione e del significato. «Non vi è lingua abbastanza ricca - egli scrive nell'Emile - da fornire tanti termini, giri di parole e di frasi per tutte le modificazloni che le nostre idee possono avere. Il metodo di definire tutti i termini e di sostituire senza tregua la definizione al posto della cosa definita. è bello ma impraticabile; poichè in qual modo evitare il circo-107 Le definizioni potrebbero essere buone, se non si usassero parole per farle». Cfr.: J.-J. ROUSSEAU. Opere (a cura di P. Rossi) , Firenze, 1972, p. 409 (nota di Rousseau). 161Per una mia posizione personale sui rapporti tra cultura di massa e le scienze umane rinvio a Cultura e territorio, in corso di stampa presso l'editore Cappelli di Bologna.
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171Secondo Claude Lévi-Strauss «la società è una macchina e contemporaneamente il lavoro prodotto da questa macchina»: ogni gruppo umano potrebbe allora esser visto sotto l'aspetto dell'entropia, del disordine, cioè della sua macchina sociale, o sotto l'aspetto dell'ordine. del prodotto della macchina, cioè della cultura. In un mio saggio, dedicato ai rapporti tra antropologia ed educazione. ponevo come energia motrice tanto di progresso, di scarti . di entropia - cioè di società - quanto di relazioni con il mondo, di organizzazione. di ordine - cioè di cultura -l'educazione e le sue tecniche. Cfr.: C. LEVISTRAUSS, Primitivi e civilizzati . Milano, 1970, p. 63; M. CALLARI GALLI. Antropologia e educazione, Firenze, 1975. soprattutto la prima parte (<<antropologia e pedagogia», pp. 1-91) . Sul concetto di «rappresentazioni», oltre alle classiche opere di Durkheim (cfr.: Le regole del metodo sociologico, Firenze, 1964; Le forme elementari della vita religiosa, Milano.l963; Educazione come socializzazione, Firenze. 1973), una posizione interessante. soprattutto per il suo accento sull' aspetto metodologico, è quella a noi contemporanea di E. GOFFMAN, La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, 1969. Dello stesso si vedano anche: Modelli di interazione, Bologna, 1969; Il comportamento in pubblico, Torino, 1971. 1SIPer una lettura dell'opera di Rousseau sotto questa angolazione, cfr.: J.-BENOIST, Facettes de l'identitil, in L'identité. Séminaire interdiscipllnaire dirigé par C. Lévi-Strauss professeur au Collège de France. 1974-75. Paris, 1977. 1SIE. R. LEACH, Anthropos, in Enciclopedia Einaudi. val. I. Torino, 1977. 201« E dalla società - sostiene Buffon - che l'uomo trae la propria potenza; è grazie ad essa eh' egli ha perfezionato la propria ragione, esercitato il proprio intelletto e riunito le proprie forze. Prima, l'uomo era forse l'animale più selvaggio e meno temi bile di tutti; nudo, inerme e senza riparo. la terra era per lui solo un vasto deserto popolato di mostri. di cui spesso egli era la preda». 211 Per i rapporti tra pensiero illuministico francese e sviluppo dell'antropologia scientifica, cfr.: M. HARRIS. L'evoluzione del ensiero antropologico, Bologna, 1971; M. DUCHET, Le origini dell'ant ropologia, Bari. 1976. 4 volI.
22ICfr.: N. COLAJANNI, Per la razza maledetta. Palermo. 1898; R. VILLARI (a cura di), Il sud nel.la storia d'Italia, Bari, 1961. 231 Per una presentazione critica della visione politica di Rousseau, cfr. : E. CASSIRER. La filosofia dell'Illuminismo, Firenze, 1970; P. HAZAR D, La crisi della coscienza europea, Milano. 1968; B. GROETHUYSEN, J.-J. Rousseau, Paris, 1949; H. SÉE, L'évolutlon de la pensile politique en France au XVIII siècle. Paris. 1925; F. MEINECKE, L'idea della ragion di stato. Firenze. 1970; .R. KOSELLECK, Critica iIIumista e crisi della società borghese, Bologna,1972.
24l Leviatano, o$sia la mat eria, la forma e il potere di uno stato ecclesiastico e civile è il titolo completo dell'opera scritta da Thomas Hobbes e pubblicata a Londra in inglese nel 1651 e tradotta, o meglio riadattata, in latino nell'edizione di Amsterdam del 1668. 25IPer l'opposizione di Rousseau ad Hobbes mi piace citare questo sorprendente brano: « . .. essi divengono nemici ; alternativamente perseguitati e persecutori, ognuno su tutti e tutti su ognuno; !'intollerante è l'uomo di Hobbes, l'intolleranza è la guerra dell'umanità», scrive Rousseau nella conclusione, in seguito tralasciata, del cap. VII I nel libro IV del Contrat social, Genève, 1762. 26IJ .-J. ROUSSEAU, Scritti politici, a cura di P. Alatri , op. cit., p. 302. 27I Op . cit., p. 298. 2BISecondo Starobinski (saggio cit.) Rousseau nell'Essai avrebbe accettato l'idea di Hobbes della «guerra di tutti contro tutti». Seguendo M. Duchet (op. cit.) a me sembra che l'Essai la confuti analogamente a quanto awiene nel Discours. 29IPer una lunga e accurata considerazione circa la struttura delle leggi causali, cfr.: W. SELLARS. Verso una teoria delle modalità «causali», in Leggi di natura, modalità, ipotesi, a cura di C. Pizzi, Milano, 1978. 29bisICfr. per tutti B. MALlNOWSKI, Teoria scientifica della cultura e altri saggi. Milano. 1962. 301 Per una posizione teorica sulla complementarità tra natura e cultura. cfr.: C. LEVI-STRAUSS, La famiglia. in Razza e storia .... op. cit. ; Le strutture elementari della parentela. Milano. 1969. Per un livello ampiamente descrittivo della variabilità degli status sociali legati al sesso. cfr.: M. MEAD, L'adolescente in una società primitiva. Firenze, 1954; Maschio e femmina. Milano, 1962; Sesso e temperamento In tre società primitive. Milano, 1964; Generazioni in conflitto, Milano, 1975. 311p. MERCIER, Storia dell'antropologia, Bologna, 1972. 32IJ .-J. ROUSSEAU, Scritti politici, op. cit., p. ~7. 33IJ .-J. ROUSSEAU, Saggio sull'origine delle lingue, in Appendice a A. VERRI. Origine delle lingue e civiltà in Rousseau, Ravenna, 1972 -cap. IX, par. 6. 341«Adunque la sapienza poetica, che fu la prima sapienza della gentilità, dovette incominciare da una metafisica non ragionata ed astratta qual'è questa or degli addottrinati, ma sentita e immaginata qual dovett'essere di tai primi uomlni. siccome quelli ch'erano di niuno raziocinio e tutti robusti sensi e vigorosissime fantasie. com'è stato nelle degnità stabilito». G. B. VICO, Scienza Nuova Seconda. Libro II. Sez. I (Metafisica poetica). cap. I, par. 375. Per una lettura in chiave di antropologia moderna di Giovan Battista Vico, cfr.: E.R. LEACH, Vico e L6vl-8trauss sulrorigine dell'umanità, in «Rassegna Italiana di Sociologia». 1972. n. 2. pp. 221-233. 35IJ .-J . ROUSSEAU, Saggio sull'origine delle lingue, op. cito - cap. Il. par.3. Per un'interessante interpretazione della. nascita del linguaggio secondo Rousseau, cfr.: J. MOSCONI, Sur la théorie du devenir de l'entendement, in «Cahiers pour I·analyse». n. 4, setto -otto 1966. 36IJ.-J. ROUSSEAU. Saggio sull'origine delle lingue, op. cit. , cap. VIII , par. 1. 37IJ .-J. ROUSSEAU. Scritti politici. op. cito (nota 10 del secondo Discorso) . 36IC. LEVI-STRAUSS. J .-J . Rousseau fondatore delle scienze dell'uomo, op. cit., p. 91. 39IOerricja. dissentendo dall'interpretazione di Starobinski. riunifica la concezione della «pietà» espressa tanto nell'Emilio quanto nel Saggio sull'origine del linguaggio e nel secondo Discorso - cfr.: J. DERRIDA, La scrittura e la differenza, op. cito 401 Per una stimolante lettura di Rousseau in chiave di antropologia contemporanea, cfr.: S. DIAMOND, Anthropology in question, in Reinventing Anthropology, D. Hymes ed .• New York.1972.
L'exil de .Rousseau 1762-1765 la période des années d'exil, et correspond à l'existence de facteurs positifs qui justifient les propos de Jean-Jacques, plusieurs fois répétés dans son oeuvre ou sa correspondance. Il termine ainsi sa lettre au Maréchal de Luxembourg du 2B janvier 1763, où il décrit le Val-de-Travers:
di François Matthey
La vie de Jean-Jacques Rousseau semble s'articuler comme les cinq actes d'une tragédie classlque. On peut V distinguer les années ce jeunesse, peuplées d'expériences aventureuses et formatives; puis le murissement du jeune homme et la tentation de la société parisienne où il essaVe en vain de ,jouer un rOle; à 40 ans, la gioire de l'homme promu soudain au rang d'auteur et de musicien, par sa réponse à la question posée par l'Acadérttie de Dijon d'une part, par le succès de son Devin du Village de l'autre. (Gioire d'ailleurs aussitOt contrariée, et augmentée, par la rupture de l'écrivain d'avec la société parisienne). Du coup on atteint au drame du quatrième acte: les années d'exil en Suisse, en Angleterre, et dans une longue errance en France et dans le Dauphiné. Enfin l'apaisement progressif de la vieillesse parisienne dans un cinquième acte qui s'achève par l'épilogue des semaines d'Ermenonville où Rousseau meurt le 2 juillet 1na, soit voici 200 anso C'est d'une portio n de ce quatrième acte que je vais vous entretenir, de cet exil qui brise le coeur de Jean-Jacques, mais auquel nous devons ces oeuvres immortelles, les Confessions qui trouveront leur prolongement dans les Dialoguea et les RAveries. Un exil qui verra l'écrivain fuir vers les pavs qui lui rappellent les paradis de son enfance, où, avec son exaltation coutumière et la vision des chimères qui lui étaient chères, il croira chaque fois découvrir le séjour.idéal, retrouver un nouvel age d'or, alors que chaque fois il devra déchanter, reconnaitre la malveillance des hommes, et sentir croitre son pessimisme au point d'atteindre aux limites de la résistance nerveuse et de froler milme les abrmes de la folie. N'est-ce pas cette image qui est le plus souvent gravée dans nos souvenirs?«JeanJaoques Rousseau, en Suisse, persécuté et sans asile» est le titre d'une grande gravure du XIXème siècle, et ce titre résume dans les mémoires tout le séjour de l'écrivain dans notre région neuchAteloise de 1762 à 1765. Il faut dire que ce dernier est partiellement responsable de cette attitude. Le récit des Confesaiona insiste sur le complot ourdi contre lui, et l'on oublie que l'art de l'écrivain V est pour beaucoup, qui cherche à opposer les périodes paradisiaques de l'enfance et de la jeunesse à l'enfer de la maturité qui livre l'individu aux pouvoirs abusifs de la société, mauvaise par la définition milme de la perspective rousseauiste. Rousseau a-t-il vraiment été aussi malheureux que le veut une certaine tradition? L'exil de 1762-1765 ne se déroule-t-iI que sous un ciel assombri par l'orage où ne
brillerait aucune lueur si ce n'est la fulgurance des éclairs? J'espère réussir dans cet exposé à vous montrer que la durée relativement longue du séjour de Motiers (plus de trois ansI est exceptionnelle dans
«Voilà, Monsieur le Maréchal, de quoi vous former quelque idée du séjour que j'habite, et auquel vous voulez bien prendre intérilt. Je dois l'aimer comme le seui lieu de la terre où la vérité ne soit pas un crime, ni l'amour du genre humain une impiété. ( .. . ) Les habitans du lieu m'v montrent de la bienveillance et ne me traitent point en proscrit. Comment ne pourrais-je n'iltre pas touché des bontés qu'on m'V témoigne ( . . .) Je passerois ici sans regret le reste de ma vie si j'V pouvois voir quelquefois ceux qui me la font aimer».
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En pleine période de persécution une telle affirmation d0it nous rendre attentif à scruter les événements, et à redécotJvrir ce qui dans l'exil neuchàtelois pouvait justifier de telles paroles si peu en accord avec l'amertume qui s'exprime ailleurs, dans le douzième livre des Confessions, en particulier. Reprenons les divers moments du printemps de l'année 1762: Rousseau est à Montmorency, hOte du Maréchal de Luxembourg qui a mis un pavillon à sa disposition dans le parc de sa propriété. Depuis deux ans il travaille à son ouvrage Emile, qui traite de l'éducation, et à sa vlsion politique, le Corttrat social. Ce dernier nvre sort de presse au début d'avril ; Emile est mis en vente dès la fin du mois de mai. Mais le livre est conffsqué par la police dès le 3 juin à cause des idées religieuses trop audacieuses que l' on trouve dans la «Profession de foi du vicaire savoyard» - refus du péché originel etattitude rationnelle à l'égard des miracles. Les événements se précipitent; le 9 juin le Parlement de Paris condamne l'Emile et décrète Rousseau «(de prise de corps». Mis au courant de la situation, Rousseau prend congé du Maréchal de Luxembourg au co,Urs d'une nuit dramatique, et s'enfuit en vaiture vers la Suisse. Il évite les grandes villes de crainte de la police, et roule aussi vite que les routes de l'époque le permettento C'est en cinq jours seulement (on en mettait ordinairement · une dizaine) qu'il atteint le territoire de Berne (aujourd'hui le Jura vaudois) ; son arrivée théatrale traduit bien l'espoir exalté de Jean-Jacques, toujours prompt à croire à la réalité du so uvenir idéal qu'il a gardé dans son coeur. «En entrant sur le territoire de Berne je fis arreter; je descendis, je me proste rn ai , j'embrassai, je baisai la terre, et m'.écriai dans mon transport. Ciel protecteur de la vertu , je te loue, je touche une terre de liberté. C'est ainsi qu'aveugle et confiant dans mes espérances, je me suis toujours passionné pour ce qui devoit faire mon
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malheur. Mon postillon surpris me crut fou: je remontai dans ma chaise et peu d'heures après, j'eus la joye aussi pure que vive de me sentir pressé dans les bras du respectable Roguin.» (Confessions, in Oeuvres complètes, éd. Pléiade, p. 587) Voilà donc Jean-Jacques au septième ciel! Avec l'optimisme qui le reprend si aisément il se voit dans cette Suisse protectrice «mélange bizarre, C .. ) animé, ( ... ) vivant, qui respire la liberté, le bien-etre, et qui fera toujours (de ce) pays ( ... ) un spectacle unique en son geme.» (Lettre au Maréchal de Luxembourg, 20 janvier 1763) La liberté, le bien-etre, c'est ce dont son coeur ulcéré a besoin. H retrouve la chaleur de l'amitié, chez Daniel Roguin, cet ami parisien qui venait de se retirer à Yverdon, et avait convié Jean -Jacques à venir lui rendre visite - invitation qui apparait comme un geste de la providence dans les circonstances du mOinent. Plusencore, le fugitif trouve là toute une famille puisque la nièce de Roguin, Mme Boy de la Tour y passe l'été avec ses enfants. JeanJacques s'enthousiasme, retrouve sa foi en la bonté des homines et croit à cette liberté suisse qui devrait etre accueillante au proscrit. Il devra, hélas, bien vite déchanter. Ce n'est pas qu'à Yverdon sa présence passe pour indésirable. Tout au contraire, il est choyé par les Roguin dont les membres de la famille occupent des postes importants dans la petite ville. Meme le bailli, de Gingins-Moiry, lui est favorable. Mais Genève n'est pas très loin, et là on s'agite. L'oligarchie genevoise a compris que le Contrat social est d'abord une attaque contre le pouvoir abusif qu'elle s'est peu à peu attribué depuis le XVllème siècle, et que sous les apparenees d'une théorie générale du gouvernement des peuples, Rousseau, tout au long de son traité, a pensé sans cesse à Genève, la Genève idéale dont il n'avait retrouvé qu'une image déformée et décevante à son retour dans sa patrie en 1754.
Genève ne saurait done accepter sans a~tre ce soutien accordé au parti populaire des citoyens et bourgeois, et le 19 juin, soit cinq jours après l'arrivée de Rousseau à Yverdon, le Contrat social et l' Emile sont brOlés, et leur auteur décrété de prise de corps dans sa patrie. Quel coup pour l'exilé de voir sa ville, celle dont il était fier de se proclamer «citoyen» (voir la «Dédicace» du Discours sur l'inégalité) s'acharner contre lui avec plus de rigueur encore que la France en s'en prenant aux deux traités: en le condamnant non seulement pour ses idées religieuses, mais encore pour son idéal politique! JeanJacques sent dès lors que son sort va dépendre du succès des pressions qui de Genève vont inévitablement s'exercer sur le gouvernement bernois. L' inquiétude le reprend. Le 17 juin il avait écrit à Madame la Maréchale de Luxembourg: «L'air natal, l'accueil de l'amitié, la beauté des lieux, la saison, tout concourt à réparer les fatigues du plus triste des voyages.» Mais averti par son ami genevois Moultou que ses ouvrages sont déjà sous scellés à Genève, il trahit son anxiété dans un autre lettre, datée ce meme 17 juin, à Thérèse Levasseur: «Je ne suis pas encore déterminé sur l'asile que je choisirai dans ce pays.» Fatigue du voyage, choc et émotions ont atteint sa santé; le pessimisme fe saisit en dépit du réconfort qu'il trouve au sein de la fainille Roguin qui <<l'accable ( ... ) d'amitié.» N'a-t-il pas toujours eu soif de la chaude compréhension desautres. «Que faime à etre bien voulu et caressél il me semble que je ne suis plus malheureux quand on m'aime.» (A Moultou, 22 juin 1762). Autour de lui dans les coulisses on s'agite, et l'on s'écrit à ti"avers le pays romand; il faut influencer Leurs €xcellences de Berne et obtenir l'éloignement du fugitif. Un exemple suffìra: celui de Charles Bonnet, qui se dit philosophe chrétien, et qui de Genève cherche à persuader Albert de Haller d'user de son crédit auprès des autorités bernoises. «Je ne doute pas qu·e votre Sénat ne suive notre exemple et qu'il se montre bientOt le vengeur de la Religion et du Gouvernement offensés.» (18 juin 1762) Il s'enflammera jusqu'à tourner la rigueur genevoise en bienveillancel «II n'v a guère que deux cents ans que nous aurions fait rotir Rousseau; nous nous sommes bornés à faire rOtir ses livres.» (20 juillet 1762) Quel regret! L'image de la tolérance au siècle des lumières est aussi une idéalisation de notre pensée moderne, ou une réminiscence d'un age d'or tel qu'en revait Rousseau. Heureusement les attaques suscitent également des défenseurs, meme parmi les membres de la haute société bernoise. Preuve en sont les démarches entreprises par Bernard de Tscharner, qui, renseigné sur les décisions du Sénat bernois, suggère au banneret Roguin (un parent de Daniel Roguin) d' intervenir auprès du bailli d'Yverdon et de faire surseoir à l'expulsion de Jean-Jacques en prétextant l'état de santé du réfugié et la nécessité pour lui de suivre une cure de bains dans les eaux sulfureuses de l'endroit. Son jugement sur les écrits de Rousseau est impressionnant de clairvoyance et d'équité. Il réprouve la condamnation d'ouvrages qui contiennent «des leçons admirables,» simplement parce que quelques passages choquent pàr
le jugement qu'ils portent sur <<l'ordre des rangs dans la Société» et se permettent de réfléchir sur les idées reçues en fait de religion. (Voir sa lettre à Roguin du 2 juillet 1762) C'est très exactement ce que reprochait à Rousseau le Parlement de Paris dans son décret du 9 juin: «Cet écrivain qui soumet la religion à l'examen de la raison.» Tscharner connait fort bien le dossier et semble avoir lu les ouvrages interdits.. Son refus de sévir contre un · homme pour ses idées peu conformistes paralt plus admirable de la part d'un patricien, et plus digne d'illustrer le libéralisme éclairé qu'on inclut volontiers dans l'image du XVlllème siècle.
Mais le poids de la défense ne l'emporta pas; le bailli ne put que différer de remettre l'arrilt d'expulsion. Jean-Jacques instruit des décisions bernoises préféra ne pas attendre et prendre les devants. C'est ainsi que le 9 juillet 1762, il quitte Yverdon en compagnie du colonel Roguin, et prend la route de la montagne qui élève ses coteaux au-dessus du Lac de Neuchatel,dans l'espoir renouvelé de trouver un asi le sur dans le Val-de-Travers. Il avait plusieurs raisons de prendre celte décision. Tout d'abord l'offre généreuse de Mme Boy de la Tour, la nièce de Daniel Roguin, qui lui proposait d'occuper une maisonlui appartenant à MOtiers. Pour Jean-Jacques ce logis sera toujours <<l'asile offert par l'amitié .. » Et puis en franchissant la montagne, Rousseau passait également une frontière politique importante. En effet, Motiers, chef-lieu du Val-de-Travers, appartenait à la Principauté de Neuchatel, qui, au début du XVlllème siècle, avait choisi de se mettre sous la protection du puissant Roi de Prusse. Parmi les prétendants au titre de Prince de Neuchatel il avait l'avantage d'etre suffisamment fort pour assurer la sécurité du territoire, et résidait suffisamment loin pour laisser aux Neuchatelois le sentiment d'une certaine indépendance. Le pays de Neuchatel présentait donc l'avantage d'iltre tout à la fois l'étranger et la Suisse, dont il était depuis toujours pays allié, et dont rien ne le distinguait, ni les moeurs, ni le mode de vie, ni le costume, ni la vision politique. La principauté de Neuchatel et la Suisse, pour Jean-Jacques c'est tout un. La lettre adressée au Maréchal de Luxembourg le 20 janvier 1763 le dit bien : «Pour connoltre Motiers, il faut avoir quelque idée du comté de Neuchatel, et pour connoltre le comté de Neuchatel, il faut en avoir de la Suisse entière.» Différents, mais semblables, un pays inclut l'autre. Autre raison encore d'accepter l'offre de Mme Boy de la Tour, l'espoir - typique des réminiscences idéalisées de Jean-Jacques - de retrouver ce pays des «Montagnons» qu'iI avaitdécouvert lors de son premier passage en pays neuchatelois (1730-1731), et dont le souvenir lui avait inspiré une page célèbre de sa Lettre à d'Alembert sur les spectacles:
«Je me souviens d'avoir vu dans ma jeunesse, aux environs de Neufchatel, un spectacle assez agréable et peut-iltre unique sur la terre. Une montagne entière couverte d'habitations dont chacune fait le centre des terres qui en dépendent; en sorte que ces maisons à distances aussi égales que les fortunes des propriétaires, offrent à la fois aux nombreux habitans
de cette montagne, le recueillement de la retraite et les douceurs de la société.» Cette égalité des conditions qui permet aux paysans de cultiver «avec tout le soin possible, des biens dont le produit est pour eux» avait marqué Rousseau et devait mOrir dans sa pensée politique. En franchissant la montagne qui sépare Yverdon de Motiers, c'est cette organisation sociale unique qu' il va , croit-il, retrouver. Mais les impressions varient avec les changements de l'age, de la santé, de l'humeur. «C'est ce que j'éprouve bien sensiblement en revoyant ce pays que j'ai tant aimé. J 'y croyois retrouver ce qui m'avoit charmé dans ma jeunesse: tout est changé; c'est un autre paysage, un autre air, un autre ciel, d'aut res hommes; et, ne voyant plus mes montagnons avec des yeux de vingt ans, je les trouve beaucoup vieillis.» (Lettre au Maréchal de Luxembourg, 20 janvier 1763) Une fois encore l'illusion de l'age d'or s'estompe; les. chants amers de l'expérience ont remplacé les mélodies de la jeunesse insoucia)'lte. Rousseau a d'ailleurs l'honnilteté d'admettre que le changement s'est opéré en lui, et non pas dans les choses, ou les etres. Pour toutes ces raisons, voici Jean-Jacques installé dans ce pays de Neuchatel qu'il avait «tant aimé», et qu'il pense ne plus jamais devoir quitter. Dans le douzième livre des Confessions, le plus sombre, celui qui évoque au supreme degré la chute sans rémission, le sentiment du paradis perdu à jamais, l'exilé écrira: «Je trouvois le séjour de Motier fort agréable, et pour me déterminer à y finir mes jours il ne me manquoit qu'une subsistance assurée.» (O.C., Pléiade, p. 606) Preuve évidente qu'il ne faut pas résumer hativement les trente-huit mois passés au Val-de-Travers par la seule image de la trop célèbre «Iapidation» qui y mit fin! Il n'est pas question de nier les tribulations de Jean-Jacques dans la communauté motisane. Aux soucis nés des condamnations successives de ses ouvrages, s'ajoutent les attaques que son absence suscite aussi bien à Paris qu'à Genève. Rousseau devine que ses ennemis ne sont pas inactifs. Cette tension nerveuse se traduit par une recruçJesce.nce des maladies qui semblent l'accabler à tout moment pendant son séjour dans le Jura. Souvent il se sentira à fin de vie. Le climat de la vallée peut etre assez rude, surtout en hiver, mais la raison profonde de ces maux parait liée tout autant au sentiment que sa fuite a laissé un vide dont ses adversaires profitent pour tisser autour de lui des rets auxquels il ne pourra plus échapper. Et tout cela n'est pas qu'imagination maladive.
Dès son arrivée à Motiers Jean-Jacques a obtenu, grace à l'intervention de Milord Maréchal, qui gouverne la principauté au nom du Roi, l'autorisation de séjourner dans le pays SOIJS la protection du so uverain, Frédéric Il . Il s'est ensuite adressé au pasteur du lieu afin d'iltre intégré à la communauté religieuse protestante. Par une lettre du 24 aoOt 1762, il demande au pasteur de Montmollin la permission d'assister au culte et de prendre part à la communion, «car il n'est pas bon qu'on pense qu'un homme de bonne foi qui raisonne ne peut etre un membre de Jésus-Christ.» La réponsesera favorable, et il faut souligner
la largeur de vue du ministre qui accepte la présence du nouveau fidèle dans son église, milme dans le costume d'Arménien par lequel Jean-Jacques se singularise aux yeux des habitants du village. La décision du pasteur de Motiers ne pouvait qu'iltre ressentie comme un camouflet à Genève où les vues théologiques de ,'écrivain venaient d'etre jugées intolérables. Aussi ne faudra-t-il pas attendre très longtemps pour que des pressions, venant de pasteurs genevois, se fassent sentir sur la Vénérable Classe des ministres neuchatelois. Longtemps le pasteur dé Montmollin fera front; et sa tolérance mérite plus d'admiratic;m 'qu' on ne lui en accorde d' ordinaire. (N'a-t-il pas offert sa propre voiture à Thérèse Levasseur pour lui permettre d'assister à la messe aux Verrières?!) Mais que pouvait faire à la longue ce théologien isolé dans son viUage? Les éCTits de Rousseau qui veut se défendre et se justifier depuis MOtiers (lettre 'à Christophe de Beaumont, archev6que de Paris, é.crite en automne 1762 et pubHée l'année suivante; Lettres écrites de la Montagne en 1764) ne pouvaient que mettre le pauvre pasteur dans le plus cruel embarras, puisque ces ouvrages renforçaient et aggravaient les propositions du philosophe sur la religion naturelle. La crise de 1765 ne sera que le résultat d'une lente guerre d'usure menée aussi bien contre le pasteur de Motiers que contre Rousseau. Lorsque les amis de Jean-Jacques publieront les Lettres de Goa pour le défendre, Montmollin se trouvera à son tour acculé et accablé par la malveillance. L'affrontement ne pourra plus qu'éclater augrand jour, et la population villageoise excitée et divisée manifestera ouvertement des sentiments hostiles. Le résultat est bien connu: la fameuse «Iapidation» de septembre 1765, relatée dans les Confess·ions. Mais il est tout aussi intéressant de se pencher sur le miroir qui nous renvoie les images du séjour de MOtiers et d'en scruter les facettes moins ternies. Les amis de Rousseau dans le pays de Neuchatel ont été nombreux. 115 ont parfois desservi le fugitif par excès de zèle. Mais il ne faut pas oublier qu' ils l'ont bel et bien entouré et lui sont restés fidèles longtemps après son départ précipité. Au premier rang, Mme Boy de la Tour, bien sOr, qui sutavec beaucoup de doigté faire accepter à Rousseau le logis de Motiers. Il n'était pas simpie d'offrirquelque chose à un philosophe qui ne voulait rien devoir à personne, afin de ·conserver une entière indépendance. Jean-Jacques veut absolument payer une location. Qu'à cela ne tienne! «Vous voulez que je tire un loyer, à la bonneure, à 30 livres de france il est sur payé; ce n'est point dans ce pays que l' on tire parti des maisons, jamais je n'en ai tiré un liar, je l'ai preté très souvent et avès de l'obligation à ceux qui l'occupaient.)) (20 juillet 1762) Sans insister, avec de l'enjouement, elle fait passer une somme dérisoire pour une rente convenable. D'instinct elle t rouve le ton juste. Rousseau lui restera profondément attaché; et à sa famille également. N'est-ce pas pour Mme Delessert, la fille de Mme Boy de la Tour, et sa pet ite fille qu'il rédigera la correspondance rassemblée sous le nom de Lettres sur la botanique? Rousseau y donne un véritable cours par conespondance avant la lettre, et l'ouvrage témoigne d'un sens pé-
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dagogique qui ne devrait pas étonner chez l'auteur d'Emile! Les parents des Boy de la Tour i! MOtier5, les Girardier furent, 5emble-t-il moins chaleureux dans leur accueil. Mais il faut dire qu'un homme célèbre peut ètre un voisin encombrant, et que l'arrivée inopinée de Rousseau dut les contraindre i! partager une partie du batiment qu'ils occupaient. Malgrè tout il reçurent Jean-Jacques i! leur table, en attendant l'arrivée de Thérèse Levasseur. La famille d'lvernois occupe une piace de choix dans le cercle des amis mòtisans. Jean-Jacques offrira i! chacune des deux soeurs Anne-Marie et lsabelle un lacet de sa confection le jour de leur mariage, afin de leur rappeler les devoirs des mères prescrits dans l'Emile et résumès par la formule: /'allaitement maternel. Par le mari d'lsabelle, Frédéric Guyenet, lieutenant civil du Val-de-Travers, une autre famille de notable du village entrait dans le cercle des connaissances de l'ècrivain. Les appuis venaient également de l'extérieur. Milord Maréchal avait été conquis dès l'abord, et Rousseau avait été séduit par <<l'aspect vénérable de cet illustre et vertueux Ecossais» dans lequel il voyait «Un sage», mais aussi «un homme.» Pour Jean-Jacques ce fut une sorte de père sous l'autoritè duquel il se sentait en confiance. Sans l'intermèdiaire de Mi/ord Maréchal on peut se demander si Frédéric de Prusse eOt accèdé si aisèment i! la demande d'asile du fugitif. La lettre de Rousseau ne manquait pas d'audace. «J'ai dit beaucoup de mal de vous; j'en dirai peut-ètre encore: cependant, chassé de France, de Genève, du canton de Berne, je viens chercher asile dans vos ètats. Ma faute est peut-ètre de n'avoir pas commencé par li!; cet éloge est de ceux dont vous etes digne. Sire, je n'ai méritè de vous aucune grAce, je n'en demande pas; mais fai cru devoir déclarer i! votre majesté que j'étais en son pouvoir, et que j'y voulois etre: el/e peut disposer de moi comme il lui plaira.» (prob. 1/ juillet 1762)
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Franchise qui frise l'insolence; fierté, ou orgueil; défense anticipée pour conserver sa libertè et son franc-parler; refus du «citoyen» de plier devant un monarque; dèsir de marquer les distances, et de s'illustrer par un coup d'éclat: il y a de tout cela dans ces quelques lignes audacieuses qui pouvaient plaire ou choquer. Le ton plut i! Milord, et il se fit l'avocat de son nouveau protégè; peut-ètre le changeait-il des compliments neuchatelois qui excitaient la raillerie de Rousseau: (di se croient polis parce qu'ils sont façonniers.» (Au Maréchal de Luxembourg, 20 janvier 1763) Mi/ord Marèchal avait parcouru le monde et ne faisait pas de façons. Lorsque Jean-Jacques se prèsenta i! lui dans son habit d'Arménien, il ne lui fit aucune réflexion, aucune remarque, mais lui adressa un salut de circonstance; «Salamaleki», lui dit-i/ en l'accueillant en sa résidence du Chateau de Colombier. Et comme dit Rousseau: «Après quoi tout fut fini, et je ne portai plus d'autre habit.» (Confessions, in O.C., Pléiade, I, 601) Rousseau choisit de porter un habit armènien i! Mòtiers pour des raisons qu' il explique au livre XII des Confessions: d' une part la nècessité où ses maux de vessie le mettaient de porter des sondes; mais aussi, sans doute, une façon de se temr au chaud dans un pays où les hivers sont rudes. A quoi il faut ajouter le souvenir de la rencontre du jeune Jean-Jacques avec un certain archimandrite lors de son premier séjour neuchAtelois, trente ans plus tòt. L'homme lui était apparu avoir (d'air assez noble», avec sa grande barbe, son habit vio/et i! la grecque, un bonnet fourré. C'est le modèle mème du vetement que Jean-Jacques se compose avec passablement de coquetterie. Il choisit ses ètoffes avec soin, commande i! Mme Boy de la Tour i! Lyon des ceintures de soie, de la fourrure pour ses bonnets. S'il se laisse imposer un imprimè de couleur (di/ac» pour sa robe, ne serait-ce pas parce qu'il revoit la haute figure de l'archimandrite qui quètait en Suisse pour le Saint-Sé-
puicre de Jérusalem dans «son habit violet i! la grecque»] Cette pièce d'ha!>illement èvoque donc des amis très attachés i! Rousseau pendant et après son séjour i! MOtiers. 1/ s'agit de la famille Deluze-Warney, propriétaire de la grande fabrique d'indiennes (toiles imprimées) du Bied près de Colombier. Monsieur et Madame Deluze aidèrent Rousseau i! s'installer i! Mòtiers, lui fournirent l'étoffe des robes d'Armènien. I/s entretinrent une correspondance suivie et se rendirent visite réciproquement. Monsieur Deluze s'occupera de Jean-Jacques lo~ue, déclarè indésirable sur l'Ile de St Pierre, il devra partir vers Baie, puis Strasbourg. M. Deluze le précédera i! Paris, afin de sonder les intentions de la police et s'assurer que Rousseau ne risquait rien i! gagner la capitale. III'accompagnera encore jusqu'i! Londres avec le philosophe et historien David Hume, et se dèpensera pour trouver une habitation convenable pour l'écrivain dans les environs de la capita/e anglaise. Rousseau adressera i! Mme Deluze une lettre où il dèpeint son asile de Wootton, comme il avait décrit le Val-deTravers pour /e Marècha/ de Luxembourg, ce qui montre l'estime dans /aquelle il la tenait. La correspondance se prolongera jusqu'au retour de l'exilé i! Paris. L'èchange de lettres avec Mme Deluze révèle d'ail/eurs un Rousseau détendu et heureux comme on aime i! l'imaginer, lorsque le beau temps des mois d'étè l'attire sur les chemins des environs de Mòtiers et des montagnes jurassiennes. Mme Deluze aimerait obtenir un lacet confectionnè par Jean-Jacques, mais celui-ci refuse avec humour: « La destination de mes lacets a été faite. .. si vous voulez y avoir droit, ayez la bontè de redevenir fil/e, et de vous marier tout de nouveau.» (11 octobre 1762) La réponse de Mme De/uze maintient ce ton de bonne humeur: « 1/ me serait un peu difficile de souscrire aux conditions que vous me proposez, non monsieur, quelque gioire, quelque plaisir qu'il m'en revint de porter un de vos lacets, et s'il dépendait de mDi de rètrograder; j'aimerois mieux y renoncer; le carillon de six marmots m' effraye moins que la perspective de leur donner le jour.» Voili! un ton et des prèoccupations bien éloignès de celui que crèent les soucis et les angoisses de l'homme traquè! Le cercle des amis qui montent i! Motiers rendre visite i! l'écrivain et lui apportent distraction et rèconfort est vaste, mème si Rousseau s'est souvent plaint de tous les fAcheux qui de France et de terres plus lointaines vinrent en foule pour le voir. Les visites des amis genevois formeraient un chapitre i! el/es seules. Leurs tèmoignages ne manquent pas, qui disent la belle humeur autour de la table où Thèrèse s'entend i! servir une excellente chère. Et les crus du pays sont bons; Jean-Jacques en fait l'éloge: « Le vin vient de NeuchAtel, et il est très bon, surtout le rouge: pour mDi, je m'en tiens au blanc, bien moins violent, i! meilleur marché, et selon moi beaucoup plus sain.» (Au Maréchal de Luxembourg, 28 janvier 1763) Pour se limiter aux gens du pays, il faut mentionner en premier lieu le Docteur Jean-Antoine d'lvernois qui initiera JeanJacques i! la botanique. On sait i! quel
point cette science paisible qui allie les bienfaits des promenades en plein air et l'observation de la nature devint pour Rousseau une passion qui ne le quitta pas jusqu'él ses derni~rs jours. Elle fit nailre en lui un intérèt qui le détourna de la tristesse et du pessimisme. Cette étude où se melent l' observation, le calme, la solitude resta toujours, avec la musique, la consolation des mlsères de sa vie. C'est d'ailleurs un solide groupe de compères qui se retrouvent pour explorer la flore des gorges et des hauteurs jurassiennes. Abram Pury, colonel, qui possède une vaste métairie en face de MOtiers, si bien nommée Monlési (<<Mon loisir» dans le patois d'autrefois). Le colonel s'V rend en été, et Rousseau l'V va voir. Par son intermédiaire, il entrera en contact avec PierreAlexandre DuPeyrou, riche bourgeois de NeuchAtel, esprit peu conformiste, qui deviendra un ami intime sur lequel JeanJacques pourra compter. Son appui généreux permettra au philosophe d'envisager avec sérénité la solution de ses problèmes de subsistance. En vue d'une édition complète de ses oeuvres Rousseau obtiendra une rente qui reviendra à Thérèse en cas de décès de l'écrivain. Si Neuchatel possède aujourd'hui l' inestimable trèsor de manuscrits de Rousseau que DuPeyrou a légué él la Bibliothèque de la Ville, c'est grace à cette transaction qui fit de DuPeVrou le conservateur des papiers de Jean-Jacques lorsqu'il dut quitter la Suisse en 1765. Le fonds comprend un lot considérable de lettres de Rousseau et des liasSes plus volumineuses encore de lettres de correspondants, le premier manuscrit des Confessions, commencé él MOtiers et laissé inachevé, l'unique manuscrit des Riveries, et ceux d'oeuvres moins connues, sans compter des dossiers de notes et de brouillons. DuPevrou montait voir son ami Abram Pury sur sa montagne, et venait également rejoindre Rousseau au Val-de-Travers pour quelques excursions de botanique dont le souvenir a été conservé grace aux récits qu'en a laissés un témoin, ami des précédents, François-Louis d'Eschernv dans le tome III de ses Mélanges, intitulé De Rousseau et des philosophes. Il nous peint un Rousseau plein d'allant et de gaieté, détendu, qui laisse libre cours él son tempérament fondamentalement généreux. D'Eschernv évoque les soirées où, après la journée en plein air, la petite troupe se repose éll'auberge. Ici, noussommes él Brot au-dessus des gorges de l'Areuse, en face du Creux-du-Van. «Nos jeux et nos lectures étaient entremèlés de gaieté, de nres et de plaisanteries. Nos entretiens roulaient quelquefois sur les gens et les philosophes de Paris. Rousseau rendait justice él tous, ne les présentait que sous le cOté le plus avantageux, jusqu'él Voltaire, dont il oubliait les injures, pour ne se souvenir que de ses talents et de son génie.» Il n'va pas de raison de douter du témoi-9nage de d'Eschernv, lorsqu'on sait qu'en 1770, le 2 juin, Rousseau souscrira une somme d'argent pour soutenir le projet d'élever él Lvon une statue au seigneur de Fernev· «Qui le croirait,» continue d'Eschernv, «cet homme, ce Jean-Jacques, si connu par sa misanthropie, ses brusques incarta-
des, ses paradoxes, ses sophismes, ses explosions d'amour-propre, quand il se crovait blessé, ( ... 1 était avec nous à Brot, et dans toutes nos courses, le plus simple, le plus doux et le plus modeste des hommes. Il est vrai qu'il était dans son élément dans des contrées un peu sauvages, mais extremement variées, pittoresques et romantiques. » Ce Jean-Jacques-Iél manque dans "le port rait qu'en ont laissé les Confesslons par la volonté de l'auteur et de l'artiste, conscient du dessein de son ouvrage. Mais quelle chance qu'un témoin, membre de la troupe des amis excursionnistes ait conservé pour la postérité le souvenir de ces randonnées où l'étude de la nature n'em!'Achait pas de jouir d'un épicurisme de bon aloi. Au Chasseron une mule transporte d'excellentes victuailles. Rousseau se montre «de la meilleur humeur du monde, excepté quand il vovait que nous avancions de trop près du précipice; il nous priait en grace de nous retirer.» Le soir on se réfugie dans un chalet où tous dorment dans le foin. L'atmosphère du souper dans le «rustique réfectoire» est d'une vérité dont peuvent témoigner tous ceux qui ont vécu de telles soirées dans des fermes jurassiennes où l'on recourait aux bougies et aux lampes él pétrole pour s'éclairer.
«II me semble que je m'v vois encore,» dit notre chroniqueuT, «tous assis sur des bancs autour d'une table et au-devant de chacun de nous une écuelle de bois remplie de crème du matin, nous, V trempant de fort bon appétit du pain bis él la lueur d'une lampe suspendue au plancher; lampe qui réveillait plutOt l'idée d'obscurité que celle de lumière.»
Rousseau a rappelé lui aussi le plaisir de ces courses él travers la monta~ne jurassienne. Mais il faut chercher ces confirmations des images qu'en donne d'Eschernv dans des pages dispersées de son oeuvre. Par exemple dans la Septième Promenade des RAveries où, traitant du bonheur que lui ont procurb ses connaissances de bota-
nique, il se souvient d'une herborisation du cOté de «la Robaila », ainsi que du vaste panorama découvert du sommet de Chasseron. Ou encore dansquelques remarques éparses dans la correspondance.
S'adressant él DuPevrou él propos d'une course en compagnie de gens qui n'avaient pas su le mettre él l'aise, il termin~: «II me semble que, malgré la pluie, nous n'étions point maussades à Brot, ni les uns ni les autres.» (16 septembre 17691 La déclaration confirme le récit de d'Eschernv. Il en va de mème pour cette autre allusion qui montre que le souvenir des t ribuJations tend él s'estomper lorsqu'on n'a pas d'autre but que d'évoquer avec un ami la mémoire des bons momems du temps écouIb. «II vaut mieux s'allei promener au Creux-du-Van par la pluie, qu'en Holfande par le beau temps.» (A DuPevrou, qui se trouvait él Amsterdam, 1 aout 1767) Cette bonhommie qu' on découvre ainsi chez Rousseau est également typique de son attitude Iorsqu'il s'installe à MOtiers. Il désire sincèrement s'adapter él la vie du vi llage et se meler él la population. Son apprentissage du travail de dentelier, n'a pas d'autre raison. Il me saurait rester oisif alors que femmes et hommes s'activent. «Je m'avisai pour ne pas vivre en sauvage d'apprendre à faire des lacets. Je portois mon coussin dans mes visites, ou allois comme les femmes travailler à ma porte et causer avec les passants.» (Confessions, in O.C., I, 601 ) Cette intégration à la vie villageoise est confirmée par son appartenance à la société de tir à laquelle il offrit des assiettes en étain, destinées à servir de prix. Elles furent tirées lors de l'Abbave de la Fete-Dieu du 21 juin 1764. Les efforts faits officiellement pour assimiler l'écrivain au pavs de son exil vont dans le mème senso Milord Maréchal, pour renforcer la protection accordée par le Roi de Prusse lui avait fait obtenir des lettres de naturalité neuchAteloise (16 avril 1763). Elles lui ont peut-ètre permis de renoncer plus facilement à la bourgeoisie de Genève le 12 mai suivantl On sait également que Rousseau fut reçu «communier» de Couvet. Cet honneur lui
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fit grand plaisir: «Ainsi devenu .de tout pOfnt Citoven du pavs, j'étois Il l'abri de toute expulsion légale, meme de la part du Prim~e.» (Conf4;tssions, in O.C., Pléiade, I, 621) Lég'alement Rousseau é-tait donc à l'abri, et il exulte de se sentir membre d' -une nouvelle patrie. Mais la générosité covassonne cachait peut-etre une pique à l'égard de la commune de M6tiers. L'honneur accordé par un village voisin le 1 janvier 1765 ne tit, en fin de compte que renforcer les rivalités de la population locale. On est encore très chatouilleux au Val-deTravers! Mais meme en cette année 1765 où les passions s'exacerbent, Rousseau pourra jouir dès le printemps, et comme chaque année, des courses et des visites à ses amis. En hiver il se canton ne com me une marmotte, mais dès que viennent les beaux jours, il est ìnfatigable. A NeuchiUel il va retrouver OuPevrou; on s'occupera de la publication de ses oeuvres. DuPevrou l' entraine vers sa propriété de Bellevue sur Cressier où Jean-Jacques trouvera «de la pervenche», la jolie fleur bleue qui d'un coup éveille le souvenir de la jeunesse heureuse auprès de Mme de Warens. Il montera voir l'éveil du printemps sur la montagne, à la métairie de Pierrenod. Redescendu vers le lac, il poussera Jusqu'à l'Ile de St Pierre. Il réverra l'épanouissement des fleurs jurassiennes dans les patures de la Ferrière en compagnie d'Abraham Gagnebin, le naturanste qui, à son tour, rejoindra la «troupe herborisante» dans la région du Creux-du-Van. Mais ce ne sont plus que des moments privilégiés dans l'atmosphère toujours plus hostile que Rousseau sent autour de lui. Les événements de septembre mettent le comble à cette fièvre, et en dépit de la protection légale, les nerfs craquent ... L'écrivain quitte MOtiers le 7 septembre pour ne plus revenir en terre neuchateloise. Rousseau n'a donc pas réussi son intégration à la vie viUageoise. Différent par l'origine, par Son costume, par ses relations, par son activité, par la situation ambigue de son ménage, il a intéressé, passionné, inquiété ceux qui appl;lrtenaient vraiment à la région. Il n'est jamais facile de vivre en contact avec celui dont la renommée a fait un génie, ou un monstre. Motiers était devenu un point de mire de l'Europe. Cela peut déranger. Il fallait prendre parti. Le rythme de vie de l'écrivain ne s'accordait certainement pas à celui du villag.e, et on comprend qu'i1 préférait partir en pro menade en passant par la grange de sa maison plut6t que d'affronter la curiosité de I.a Grand-Rue. Ce n'était pas qu' il manquat d'occupations; sa correspondance pendant les trois années de Motiers remplit plus du tiers de la Correspondance générale dans I<édition de Th. Dufour. (II en i.ra de me me dans l'édition de la Correspondance complète de R.A. Leigh en cours de. parution.) Et Rousseau devra se faire éditeur pour subsister; il dirigera depuis M6tiers la publication de son Dictionnaire de musique. En dépit de son désir de se confiner loin du monde, il ne por,ma supporter en silence les attaques laricé.es contre lui. Il reprendra donc la pIume poursa propre défense. La Lettre Il Cristoph.e de Beaumont, se.ra suivie des Lettres écrites de la Montagne, et l'{jcrivain se trouvera à nouveau plongé dans les controversés dont il aurait aimé s'ex-
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clure. Mais comment résister à son tempérament, quand l'injustice VOllS révolte et que les ennemis s'attaquent bassement'à votre personne afin d'éviter la discussion des idées. L'entreprise des Confessions date aussi de Motiers, essai de défense de longue haleine et qui s'ad resse eli la postérité. Il ne pourra la mener à chef; mais il recommencera pendallt l'exil d'Angleterre. On parle pau d'une autre tentative de défense fort originale que Jean-Jacques lança dès son arrivée à M6tiers. On sait que Maurice Quentin de La Tour avait exécuté un portrait de Rousseau au pastel en 1752. Cette oeuvre avait été exposée au salon de 1753 avec un certain succès, da en partie à la curiosité suscitée par son titre «J .-J. Rousseau, citoven de Genève.» Rousseau avait pourtant toujours interdit à La Tour de faire graver ce portrait. Or dès son arrivée à Motiers il change d'attitude et désire au contraire le faire reproduire et le lancer sur le marché. Ce n 'est pas pour faire de l'argent; seuls les libraires en tireront profit. Mais Jean-Jacques veut rester en France en effigie, présent parmi ses détracteurs par son image. «Quand M. de La Tour a voulu faire graver mon portrait,» écrit-iI à Madame de Luxembourg le 21 juillet 1762 (dix jours après son installation au Val-de-Travers), «je m'v suis opposé; l'v consens maintenant ( .. . ); pourvO qu'au lieu d'V mettre mon no m, l'on n'v mette que ma devise; ce sera desormais assez me nommer.» Sa devise, c'est l'adage .Iatin Vitam Impendere Vero. Cette décision provoqua immédiatement la production d'une iconographie que Rousseau ne pourra controler et qui décevra son initiateur, quand bien meme elle témoigne d'une popularité san:;; exemple. Mais la ressemblance du portrait de La Tour ne s'V retro uve pas. Et c'est sur cette vérité du portrait que Rousseau crovait pouvoir 'fonder sa défense muette. Cette image parfaite d'un homme à la phvsionomie ouverte et paisible, Rousseau ne l'a jamais vue que dans le pastel de La Tour; toutes les autres tentatives finissent par sembler faire partie de la machination infernale dont il se sentait la victime. «M. de La Tour est le seui qui m'ait peint ressemblant (. .. ) je préférerai toujours la moindre esquisse de sa main aux prus parfaits chefsd'oeuvre d'un autre, parce que je fais encore plus de cas de sa probité que de son talent.» (A Rev, 26 juHlet 1770) Dans les Dialogues, Rousseau qui discute le problème de son identité s'explique. «Vous vous trompez; c'est au contraire votre Jean-Jacques qui est cet homme nouveau. Le mien est l'ancien, celui que je m'étois figuré avant que vous m'eussiez parlé de lui, celui que tout le monde vovoit en lui avant qu'il eut fait des livres, c'est-àdire à l'age de quarante ans» O'age de Rousseau dans le pastel de La Tour précisément). (Dialogues, in O.C., l, 774-5) A quarante ans la vie heureuse est morte, l'homme est devenu célèbre, et les tentatives de ressusciter le passé sont vaines. Les Montagnons, eux aussi·, ont sombré dans la idéalisation du passé. Jean-Jacques ne pouvait plus Glue repartir versun reve nouveau. Chemrn de l'exil une fois de plus; une fois ancore sa hiìte est extrAme: une fuite. Peut-etre moins qu'il n'v para!t. Depuis qu'iI a accompagné DuPevrou V9rs Cressier, Be.llevue et Bienne, Jean-Jacques a aperçu l'Ile de St Pierre au centre du lac
de Bienne. Ce coup d'oeil n'a-t-il pas ranimé la mémoire de ses vingt ans? En 1731, ravenant de Soleure à Neuchiìtel, il avait déjà longé «ce beau bassin d'une forme presque ronde (qui) enferme dans son milieu deux petites i1es, l'une habitée et cultivée d'environ demi-lieue de tour; l'autre plus petite, déserte et en friche.» Ce pavsage atti re Rousseau dès l'automne de 1764; il s'V rend probablement au printemps de l'année 65; il est certain qu'il V a séjourné une dizaine de jours au mois de juillet. Aussi peut-on se demander si la lapidation de septembre ne prend pas des dimensions si vastes dans l'imagination du fugitif que parce qu'il lui faut un prétexte solide pour gagner un nouvel asile qui l'a séduit irrésistiblement. Ne cherche-t-il pas depuis longtemps un androit où il puisse se «circonscrire», se nicher à l'abri; un lieu qui ne soit pas trop vaste, qui soit isolé, qui joigne au plaisir d'une société restreinte les richesses et les beautés de la nature. La Val-de-Travers enfermé entre ses hautes montagnes dont on ne peut sortir qu'à travers des gorg.es ou en se hissant sur les hauteurs était déjà une sorte d'ile en creux. Jean-Jacques· avait été tenté de s'V isoler encore davantage en s' installant dans une «prise», une de ces fermes éparses aux lisières des forets. L'une, en particulier, lui faisait envie, «exposée au midi, sur une terrasse naturelle, dans la plus admirable position que j'aie jamais vue, etdont le difficile accès m'eOt rendu ~'habitation très comode.» (Au Maréchal de Luxembourg, 28 janvier 1763) Seui le caractère du propriétaire l'empecha de troquer <<l'asile offert par l'amitié>> de Mme Boy de la Tour contre cet i10t dominant la vallée. L'herborisation à la Robeila, évoquée dans la «Septième Promenade» produit la meme impression de l'espace idéal où l'homme se sent protégé au sein de la nature. «Je me comparois à ces grands vovageurs qui découvrent une ile déserte.» L'idée de l'ile, du «refuge ignoré de tout l'univers où les persécuteurs ne me déterreraient pas» est liée au souvenir dans les Reveries, mais s'exprime déjà dans les Confessions, presque contemporaines de l'événement. «II me sembloit que dans cette ile je serois plus séparé des hommes, plus à l'abri de leurs outrages, plus oublié d'eux, plus livré, en un mot, aux douceurs du désoeuvrement et de la vie contemplative.» (O.C., Pléiade, I, 638) On le voit l'intention longuement mOrie ne manquait que d'un prétexte pour Justifier sa réalisation. Une fois de plus Jean-Jacques s'était donc crM un reve de retraite heureuse possible pour résister à la méchanceté des hommes. Il s'V rendit avec un nouvel espoir de réinventer les conditions de la bonté originelle. Une fois de plus le séjour sembla rèmplir ses promesses, et les pages des Confessions, comme la «Cinquième Promenade» des Reveries nous ont laissé de véritables poèmes en prose célébrant la beauté du pavsage et la douceur de la vie champetre qui s'V déroule. Jusqu'où JeanJacques se faisait-il illusion à lui-meme en espérant que Leurs Excellences, qui l'avaient éloigné d'Yverdon, allaient le tolérer dans un domai ne qui appartenait à l'hopital des bourgeois de la ville de Berne! Est-ce vraiment parce qu'il pensait avoir devant lui un éternité de bonheur qu'iI renonça à s'installer comme il avait fait à Motiers?
P. A. DuPeyrou.
«Je commençai par ne faire aucun arrangement. Transporté là brusquement seui et nu, j'y fis venir successivement ma Gouvernante, mes livres et mon petit équipage dont j'eus le plaisir de ne rien déballer, laissant mes caisses et mes malles comme elles étoient arrivées et vivant dans l'habitation où je comptois achever mes jours comme dans une auberge dont j'aurois da partir le lendemain.» (<< Cinquième Promenade». in O.C., Pléiade, I, 1042) Cet avenu ne laisse-t-iI pas percer la volonté de Rousseau de s'offrir le luxe de réali-
. ser une chimère, de vivre un moment son reve de bonheur comme pour l'éternité, d'ouvrir une parenthèse pendant laquelle il se laisserait prendre au jeu du paradis terrestre. Et là Jean-Jacques a réussi pour un. temps à vivre l'idéal de la vie champetre dont les générations n'ont pas encore secoué l'envoutement. Après l'enfer des disputes de MOtiers, il instaure l'Ile de St Pierre en jardin d'Eden où il se sent «transporté là seui et nu,» nouvel Adam d'un univers circonscrit où l'on peut «vivre sans gene dans un loisir éternel.» (O.C .. , 1,640) Loisir, mais non pas fainéantise! Jean-Jacques meuble ses journées uniquement d'occupations plaisantes, celi es qui lui permettent de se perdre dans le reve. «J'aime ( ... ) mieux rever éveillé qu'en songe.» libid.) Il veui etre comme un enfant sans cesse en mouvement pour faire des riens, changeant d'idée au gré de son imagination vagabonde, et des besoins de l'humeur. Il y aura la botanique, bien sar, ce trésor inaliénable amassé au Val-de-Travers. La navigation sur les eaux du lac ()Ù n est si bon de se laisser bercer et dériver en admirant les paysages des rives entre ciel et eau, toujours divers selon le lent passage des ombres et des lumières. Ce sont des instants qui suscitent «ces élévations de coeur qui n'imposent point la fatigue de penser.» Ces élans intérieurs raniment l'espoir de Jean,Jacques et sa confiance dans la bonté naturelle. Les occupations utiles sont aussi des jeux lorsqu'elles ne som pas imposées par l'organisation d'une société corrompue: installer une colonie de lapins dans la petite ile déserte; aider à l'occasion à la récolte des fruits; participer activement au bonheur des habitants de
l'ile par la gaieté et la musique. L'illusion du paradis retrouvé et du temps aboli fut telle que l'ordre de sortir de l'ile la issa Rousseau incrédule. «Je crus rever en le lisant». Il avait précédé l'ordre de Berne en quittant Yverdon. Il était parti de Motiers alors que les lettres de naturalité et le titre de «communier» le mettaient à l'arbri de toute expulsion légale. Chaque fois- il avait tourné ses pas vers ce qu'il imaginait un asile définitif; pour retomber, l'espoir trahi. Cette fois Jean-Jacques est pris de vitesse et ne veut pas renoncer à son reve réalisé. Il hésite. Il est désemparé comme jamais. Rien ne le préparait à ce coup, ou plutot, il avait volontairement résolu de nier l'éventualité de voir le reve s'interrompre. «Qù aller? Que devenir à l'entrée de l'hiver sans but, sans préparatif, sans conducteur, sans voiture?» Le désarroi est sincère en dépit des malles encore preteso Une hésitation encore: s'arreter à Bienne? Mais non, le voisinage bernois est trop proche. Mais il semble que Jean-Jacques s'accroche à la région jurassienne de toutes ses forces, espérant trouver dans nos paysages romantiques de montagnes et de lacs des prisons volontaires où il pourrait circonscrire son existence dans les limites d'une vie à sa mesure.
Au prologue relativement heureux du mois passé à Yverdon font pendant les quelques semaines du séjour à l'ile de St Piene. Entre les deux, Rousseau a marqué la vie neuchàteloise du XVlllème siècle pendant plus de trois ans où il a vainemellt tenté de s'intégrer à la population des villages de nos vallées jurassiennes, mais où il a glané des amis fidèles, qualité qu'il reconnaissait aux gens du lieu. «Ceux qu'ils servent une fois ils les servent bien. IIs sont fidèles à leurs promesses, et n'abandonnent pas aisément leurs protégés.» (Au Maréchal de Luxembourg, 20 janvier 1763) Les Deluze, les Boy de la Tour, les
d'lvernois, Pierre-Alexandre DuPeyrou témoignent de la justesse de ces sentiments. Et il faut compter au bilan positif de ces années troubl.ées la découverte de la botanique qui a donné à son existence un tour nOUVeau quels qu'en fussent les déboires. «Toutes mes courses de botanique, les diverses impressions du local des objets qui m'ont frappé, les idées qu'il m'a fait naitre, les incidens quis'y sont melés tout cela m'a laissé des impressions qui se renouvellent par l'aspect des plantes herborisées dans ces memes lieux. Je ne reverrai plus ces beaux paysages, ces forets, ces lacs, ces bosquets, ces FOchers, ces montagnes, doht l'aspect a toujours touché mon coeur : mais maintenant que je ne peux plus courir ces heureuses contrées, je n'ai qu'à ouvrir mon herbier et bientot il m'v transporte. Les fragmens des plantes que j'y ai cueillies suffisent pOUT me rappeler tout ce magnifique spectacle. Cet herbier est pour moi un journal d'herborisations qui me les fait recommencer Bvec un nouveau charme et produit l'effet d'une optique qui les peindroit derechef à mes yeux.» (<<Septième Promenade», in O. C., I, 1073) . L'évocation du paysage dans ces quelques lignes ramène inévitablement au séjour de Rousseau dans notre pays de 1762 à 1765. Cette énumération rappelle celles qu'il donne au début des deux grandes lettres au Maréchal de Luxembourg, et le lien avec la botanique confirme la parenté. Leton du passage trahit une sincère nostalgie pour ce pays où en trois endroits fort rapprochés il a tenté d'accrocher désespérément son reve de bonheur. Ce qu'il en dit douze ans plus tard permet de penser sans forcer l'interprétat ion qu'aux persécutions se soni bel et bien melées des heures d'intense plaisir dont le souvenir n'était pas indifférent à l'auteur des Confession.
Neuchàtel, maggio 1978
Manoscritto delle Confessioni, redazione di Mòtiers.
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Rousseau e Marx di Mario Dal Pra
Mentre ringrazio vivamente per l'onore che mi è stato fatto con l'invito a partecipare alla celebrazione congiunta della Scuola magistrale di Locarno e del bicentenario di Rousseau, sento il dovere di scusarmi con i gentili ascoltatori per la prova a cui, come terzo relatore di questo convegno, sto sottoponendo la loro cortesia. Vedrò solo di rendere questa prova il meno ardua possibile, toccando soltanto tre punti principali attinenti al tema che devo svolgere. Vorrei infatti anzitutto far cenno di alcuni studi su Rousseau che nel secondo dopoguerra sono stati condotti a termine da ricercatori di ispirazione marxista; mi limiterò a dire di alcuni più significativi, perché il mio scopo non è quello di presentare in proposito una rassegna completa, quanto di indicare le tappe di rilievo di una corrente interpretativa particolare. Risulterà che non tutti questi contributi hanno un'identica impronta ed una medesima direzione. Ed appunto per questo mi sforzerò, nel secondo punto della mia relazione, di ricavare dagli studi accennati una linea complessiva, che indichi quali aspetti particolari dell'opera e del pensiero di Rousseau sono stati messi in rilievo. Qui non terremo conto tanto dei soggetti di questi studi, quanto invece dell'oggetto che essi hanno in comune, per vedere come esso risulti arricchito e nuovamente lumeggiato dal lavoro svolto. Ma è anche vero che gli studi russoiani di orientamento marxista, specialmente in Italia, ma non soltanto in Italia, hanno sollevato riserve ed opposizioni da parte degli studiosi del filosofo di Ginevra; non sarà ozioso fare almeno un cenno a tali resistenze, per comprendere meglio sia il contesto generale in cui gli studi da noi considerati si vengono ad inserire, sia lo stacco 'che la linea interpretativa da essi delineata realizza nell'andamento generale dell'odierna ricerca su Rousseau. Nell'ultimo t rentennio, nel contesto sempre ricco ed intenso della letteratura critica intorno all'opera ed al pensiero del filosofo di Ginevra, si è venuto configurando un insieme molto significativo e relativamente nuovo di ricerche di indirizzo marxista. E ciò in diretta connessione con l'ampliarsi degli studi su Marx dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Non è che l'ampliata ed approfondita conoscenza degli scritti di Marx, unitamente alla disamina del pensiero di Hegel, abbiano potuto fornire un'occasione diretta ad una riconsiderazione di Rousseau. Hegel aveva anzi delineato un'antitesi decisa tra la dottrina russoiana del contratto sociale e la sua concezione dello stato etico; ed aveva ritenuta la prima come espressione fedele della concezione atomistica ed individualistica dello stato; Rousseau gli era apparso essenzialmente come il teorico che aveva fondato la realtà dello stato sulla volontà universale, ma intendendo quest'ultima <mella forma determinata di volontà singola» e aveva ricondotto l'universalità della volontà al solo elemento comune alle varie volontà singole, atomisticamente considerate. «Così, aveva commen-
tato Hegel, l'associazione dei singoli nello Stato diviene un contratto che, quindi, ha per base il loro arbitrio, la loro opinione e il loro qualsivoglia consenso espresso»!). Per contro, lo stato come realtà etica, secondo la concezione hegeliana, non poteva non collocarsi ad un livello diverso e superiore rispetto a quello degli arbitrii individuali, come realizzazione di una superiore oggettività. Nella Introduzione del 1857 alla Critica dell'economia politica Marx aveva rieccheggiato il rilievo hegeliano quando aveva notato che il contratto sociale di Rousseau, col suo riferimento a dei soggetti per natura indipendenti che eSSo riusciva a collegare, non costituiva affatto una sorta di ritorno alla vita naturale, ma esprimeva piuttosto l'ingenuità di riferire ad una condizione precedente allo stesso sviluppo storico la situazione dell'individuo che era, per contro, il risultato di uno sviluppo storico preciso, cioè «da un lato della dissoluzione delle forme sociali feudali e, dall'altro, delle nuove forze produttive sviluppatesi a partire dal secolo XVh)2). Sia nel giudizio di Hegel che in quello di Marx, dunque, Rousseau era stato assimilato al giusnaturalismo del Settecento; e ciò non equivaleva certo ad una sollecitazione a riconsiderare, da parte marxista, il pensiero di Rousseau. Anche se qualche rinvio alle condizioni di asservimento dell'uomo realizzate nella società del tempo e puntualmente segnalate da Rousseau era stato fatto da Marx, nel Capitale e in altri scritti. Si può dire, pertanto, che l'attenzione di alcuni studiosi marxisti sia stata condotta a riconsiderare i punti principali della dottrina di Rousseau dall'aver intravveduto una possibile connessione di essi con aspetti importanti della riflessione di Marx, superando, quasi, lo stacco che quest'ultimo aveva prospettato nei riguardi del filosofo ginevrino. Anche a voler tener conto soltanto dei contributi più significativi in tale direzione, si può notare che negli ultimi decenni, prendendo l'occasione del bicentenario del Contratto sociale celebrato nel 1962 e dell'intensificarsi delle ricerche filologiche intorno ai testi russoiani, hanno partecipato attivamente al riesame del pensiero di Rousseau alla luce della tematica marxista principalmente quattro aree filosofiche: quella italiana, quella di lingua francese, l'area filosofica tedesca e quella polacca. Il merito di avere per primo istituito un raffronto Rousseau-Marx spetta in Italia a Galvano Della Volpe, il pensatore che, scomparso nel 1968, si era mosso dapprima nell'ambito della crisi dell'attualismo gentiliano per proporre, in seguito, una sua personale interpretazione del marxismo che ha dato luogo, con gli studi di Mario Rossi, di Nicolao Merker e di Lucio Colletti, ad una vera e propria scuola affermatasi nella cultura italiana degli anni Sessanta. Il saggio Rousseau e Marx di Galvano Della Volpe ha avuto una elaborazione molto prolungata nel tempo; la prima edizione fu pubblicata a Roma nel
Il prot. Mario Dal Pra .
1957 e raccoglieva ricerche di filosofia politica che avevano avuto inizio, per indicazione dello stesso autore, nel 1943. L' impostazione iniziale del giudizio intorno a Rousseau era formulata secondo il criterio di ciò che è vivo e di ciò che è morto nell'opera del Ginevrino; secondo Della Volpe, «appartiene orami al passato» la considerazione di «Rousseau filosofo utopista dei 'piccoli stati' e della piccola borghesia radicale, e quindi 'vagheggiatore' di 'rimedi' come il livella mento delle classi al fine che non vi siano più né ricchi né poveri»; e appartiene del pari al passato «la interpretazione in chiave giusnaturalistica del messaggio russoiano circa la libertà e personalità umana»; per contro, ciò che è vivo di Rousseau concerne «l'istanza universale (democratica) del merito personale ossia la esigenza del riconoscimento (sociale) di ogni individuo umano, coi suoi particolari meriti e necessità, per cui la ripartizione proporzionale a ogni individuo differente dei prodotti del lavoro della società comunista teorizzata da Marx nel Programma di Gotha ... è destinata essa ,soltanto a rappresentare il compimento storico dell'istanza russoiana del merito personale»3). Lo studio iniziale fu accompagnato nelle edizioni successive, a partire da quella del 1961, da alcuni chiarimenti dedicati rispettivamente a Rousseau e Hegel e a La problematica del 'Discorso sulla disugualianza' e la sua attualità, nonché da una appendice su La critica marxista di Rousseau. Si ebbe, dunque, nella considerazione dellavolpiana di Rousseau, una evoluzione in due momenti: nel primo di questi, il pensatore italiano ha sottolineato il carattere platonico-cristiano e romantico dell'individualismo di Rousseau e della sua rivendicazione dei diritti dell'uomo di natura, come individuo pre-sociale; la soluzione del contratto, in questa prospettiva, non può che contribuire alla emancipazione puramente politica dell'uomo, che lascia intatta la disuguaglianza economica e l'individualismo conflittuale della società civile. L'emancipazione prospettata da Rousseau sarebbe dunque, per Della Volpe, non già la liberazione di tutto il popolo,
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non l'emancipazione universale, ma solo l'emancipazione della borghesia e perciò la liberazione particolare di una classe. Dopo il 60, invece, Della Volpe ha accentuato il ricupero della stessa teoria politica di Rousseau ed ha insistito su una prospettiva di maggiore continuità fra l'indirizzo democratico della sua visione politica e l'ulteriore integrazione socialista di Marx.
Lucio Colletti ha dedicato a Rousseau «critico della società civile» una parte rilevante del suo volume Ideologia e società41• La sua trattazione si collega direttamente con la disamina dellavolpiana, della quale discute approfonditamente alçune tesi particolari; ma soprattutto essa si richiama alla riconsiderazione che anche Della Vol'pe aveva avviato, nel secondo momento della sua disamina di Rousseau, del contributo che il filosofo ginevrino aveva recato ana critica della società civile come condizione di al-ienazione determinata dall'ordinamento borghese; in tal modo la continuità tra Rousseau e Marx si viene accentuando e il contributo del primo al superamento della concezione liberale-borghese dell'ordinamento della società si viene approfondendo. Per rendere più articolato l'elenco dei contributi marxisti italiani su Rousseau si possono ricordare almeno la raccolta di Scritti politici curata da Paolo Alatri, con commento, un'ampia introduzione e larga bibliografia, nella collana dei «classici della politica» diretta da Luigi Firpo e alcune edizioni di Valentino Gerratana5).
In questi ultimi autori tuttavia la lettura marxista di Rousseau è stata svolta con maggiore decisione, tanto che si ebbe una vivace reazione da parte di alcuni studiosi di Rousseau maggiormente preoccupati di mantenere l'autore in stretto rapporto col suo tempo e contrari, pertanto, ad inveramenti troppo audaci delle sue dottrine6).
Nell'ambito della cultura francese sono da segnalare in particolare due contributi importanti. Il primo è costituito dal saggio che Louis Althusser ha dedicato nel 1967 al Contratto sociale71 • Si tratta di un'anaflsi strutturale del noto testo di Rousseau per metterne in evidenza l'impianto teorico fondamentale. Il contratto sociale occupa, secondo Althussér, nel contesto della dottrìna di Rousseau, la stessa importanza di oggetto teorico che occupa, nella dottrina di Platone la teoria dell'idea, in quella di Aristotele la teoria dell'atto, in quella di Cartesio la teoria del cogito e in quella di Kant la teoria del soggetto trascendentale. ~ molto nota l'interpretazione cheAlthusser ha dato dello stesso pensiero di Marx, non considerandolo alla luce di uno sviluppo con inuo, ma vedendolo articolato invece attraverso una radicale rottura epistemologica . Questa consentirebbe a Marx di bandire le categorie filosofiche di soggetto, di empirismo, di essenza ideale ecc., sostituendole con concetti assolutamente nuovi, essenziali alla formazione di una teoria della storia e della politica, come quelli di formazione sociale, di forze produttive, di sovrastruttura ecc.; ed in ciò consisterebbe la sua rivoluzione scientifica. Rispetto a questa la teoria della società, come è formulata da Rousseau, al pari delle teorie dell'economia, della morale e
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della conoscenza del periodo che precede Marx, obbediscono alla struttura tradizionale. Contrariamente pertanto a quanto tendono a fare gli altri marxisti, Althusser non attenua, ma accentua le differenze t ra il pensiero di Rousseau e quello di Marx. Anche de II' oggetto teorico del contratto sociale egli tende a mostrare, nonostante le sue implicazioni con la teoria dell'alienazione, le risultanze ultime alle quali necessariamente mette capo: esse sono o la fuga in avanti nell'ideologia, o la regressione economica. E poiché entrambe q'ueste soluzioni sono soltanto apparenti, esse non giovano che a rendere più evidente l'emergere, al di là della teoria, del problema reale, nella sua insolubilità: il problema di realizzare una forma di' società in cui ciascuno, unendosi a tutti, non obbedisca che a se stesso. Di tutt'altra natura è il secondo contributo, costituito dall'opera su Rousseau écrivain politique pubblicato da Michel Launay nel 19728). Si tratta del risultato del lavoro condotto da un gruppo di studiosi lungo un periodo di tempo ultradecennale. La convinzione di fondo di tale lavoro è che il pensiero politico di Rousseau costituisca il centro ispiratore di tutta l'opera del filosofo di Ginevra; e la ricerca è appunto rivolta a stabilire in relazione a quali ambienti sociali volta a volta le posizioni politiche di Rousseau si siano venute determinando. L'attenzione è principalmente rivolta al rapporto che è intercorso tra Rousseau ed il mondo economico-sociale degli artigiani. In questa prospettiva assume rilievo l'ideologia di natura popolare ed artigiana in cui si svolge la formazione di Rousseau a Ginevra; ed è qui che acquistano importanza i temi della sovranità popolare, dell'importanza delle assemblee, della resistenza alla delega ecc. Ma anche le fasi successive del pensiero di Rousseau sono considerate in base al rapporto in cui egli si venne à trovare con la piccola borghesia artigiana. Nell'insieme pertanto il filosofo ginevrino non viene considerato come il teorico precorritore della moderna democrazia popolare. Il tema indubbiamente rivoluzionario dell'eguaglianza viene piuttosto posto in relazione con la ricerca di alleanze e con una politica dì equilibrio tra le classi, a cui Rousseau sembra affidare una possibile svolta nella storia dell'umanità. L'importanza del saggio del Launay sta anzi nel fatto che egli ha avviato una nuova ed importante indagine sui concreti rapporti sociali che sottendono lo sviluppo del pensiero di Rousseau nelle sue diverse fasi; ha cioè evitato di impostare la considerazione marxista di Rousseau nel senso di un rapporto immediato ed astratto della sua dottrina con quella di Marx ed ha invece fatto richiamo al marxismo come metodo di indagine storica, applicando i criteri del materialismo storico alla comprensione distinta ed autonoma della dottrina di Rousseau. L'area filosofica tedesca ha dato un contributo decisivo alla critica marxista su Rousseau; si tratta, anzL del contributo di maggiore importanza e compiutezza che abbia visto la luce negli scorsi decenni: voglio alludere al saggio di abilitazione nell'università di Tubinga che Iring Fetscher ha pubblicato nel 1960 col titolo Rousseaus politische Philosophie: zur Geschichte des demokratischen Freiheits-
begriffs, da lui rielaborato nel 1968 e in tale forma tradotto in lingua italiana nel 19729).
Il libro del Fetscher ha analiticamente distrutto l'immagine convenzionale di Rousseau quale propugnatore di un impossibile ritorno alla natura e l'ha sostituita con quella del teorico di una proposta politica concreta e realistica, strettamente legata all'analisi profonda e pessimistica della società borghese nascente. Non dunque la idealizzazione del selvaggio isolato, ma una acuta indagine sulle tendenzé degenerative della società capitalistico-borghese che dovevano.più tardi incontrarsi con l'analisi marxiana. Non pertanto un utopismo alla rovescia, volto a guadagnare una naturalezza irrimediabilmente perduta, ma una prospettiva politica solidamente ancorata al suo tempo e volta essenzialmente a rallentare la decadenza strettamente e inevitabilmente connessa con lo sviluppo della società borghese ed a porre un riparo alla corruzione che corrisponde allo stesso movimento della storia. Il Fetscher insiste molto, d'altra parte, sul conservatorismo di Rousseau, che egli considera «un moralista tradizionalista che, avvertito delle conseguenze disastrose della sfrenata società concorrenziale, tenta di ritardarne il progresso con mezzi politici e pedagogici». Rousseau approda, allora, a giudizio dello storico tedesco, alla celebrazione della repubblica piccolo-borghese autarchica. Il libro del Fetscher ha il merito da un lato di dare il massimo rilievo all'analisi russoiana dell'alienazione umana quale si realizza nella società borghese del Settecento e dall'altro di mettere in piena evidenza i motivi di ispirazione conservatrice nella teoria del ginevrino, dal carattere metafisico-morale della volontà generale ad un certo spiritualismo astratto, dalla sua arretratezza economica alla sua avversione per il popolo dei diseredati. Anche il Fetscher evita dunque una correlazione troppo immediata tra il pensiero di Rousseau e quello di Marx; e si sforza piuttosto, mettendo in rilievo la prospettiva politica del filosofo ginevrino, di chiarirne sia gli aspetti di apertura verso il futuro, sia i motivi di connessione con la tradizione ed il passato. Ricorderemo, infine, il volume dedicato a Rousseau': solitudine e comunità da Bronislaw Baczko e pubblicato in polacco a Varsavia nel 1964 e più tardi, nel 1970 in lingua tedesca 10) .
Lo stesso autore ha anche pubblicato nelle «Annales de la Société J.-J . Rousseau»"), in occasione degli Entretiens sur J .-J. Aousseau del 1962, un saggio su Rousseauet l'aUénation sociale. Non si tratta tanto, egli sostiene, di vedere in Rousseau un hegeliano o un marxista «avant la lettre» e nemmeno di ridurre tutta la sua opera ad un unico motivo; tuttavia mettere a tema la filosofia sociale di Rousseau circa la riflessione critica sul fenomeno dell'alienazione mette certamente in rilievo una delle funzioni storiche fondamentali dell'opera del filosofo ginevrino. A giudizio dello studioso polacco, nell'opera di Rousseau si trova, più che una teoria filosofica o socio logica dell'alienazione, una descrizione fenomenologica del sentimento e d'una esperienza vissuta del mondo sociale, alienato e reificato, e dell'esistenza inautentica dell'uomo in questo
mondo. La divisione dell'uomo tra «essere» ed «apparire» è essenziale per l'intera visione del mondo di Rousseau ed è il punto di partenza a cui risale il motivo dell'alienazione: è tale distinzione infatti che sta all'origine della ricerca delle fonti e dei meccanismi della formazione del mondo delle apparenze e dell'esistenza fittizia dell'uomo. Non solo Rousseau analizza le situazioni in cui il motivo fondamentale dell'azione dell'individuo, l'amore di sé, si trasforma in amore proprio, cioè in ambizione la quale conduce alla vita fittizia ossia all'esistenza al di fuori di sé, ma la sua opera critica questo mondo dene apparenze, attraverso la descrizione dell'esistenza inautentica. In questa direzione lo studioso polacco utilizza largamente le analisi e i commenti ali' opera rl.lssoiana di Raymond come di Gagnebin e di Starobinski, per dare rilievo, nell'opera del filosofo ginevrino, al motivo della rivolta permanente contro tutte le mediazioni finte e reificate esistenti nel mondo umano e dello sforzo sempre rinnovato verso l'emancipazione. Già da questi cenni sommar! ad alcuni soltanto degli studi di orientamento marxista su Rousseau, appare come essi abbiano indicato linee e direzioni diverse, anche se non contrapposte, di indagine. Se infatti da un lato ci si è principalmente occupati di istituire un raffronto diretto tra le dottrine di Rousseau e le dottrine di Marx, ricavandone conclusioni sia di continuità come di opposizione, dall'altro si è tratto essenzialmente da Marx l'indicazione di un metodo di comprensione della storia, tentando quindi di collegare il pensiero di Rousseau con lo sviluppo storico-sociale della sua età, col principale risultato di cogliere meglio la connessione di Rousseau con il suo tempo, anziché proiettarlo in avanti verso un possibile incontro con Marx. Ma cerchiamo ora di ricavare le linee principali di un quadro unitario del pensiero di Rousseau, quale risulta dall'insieme di questi studi, anche per avere modo di determinare meglio il peso che essi hanno esercitato nella storia più recentè della crit ica su Rousseau. Il primo aspetto dell'opera di Rousseau che gli studi marxisti degli ultimi decenni hanno messo in particolare rilievo è quello del primato della politica sulla morale. E ciò in contrasto con le molte ricerche che hanno dato rilievo in passato al primato che rivestirebbe, nella prospettiva di Rousseau, l'impostazione morale. In questa alternativa, è evidente che il primato della morale comporta il riferimento ad una sfera autonoma dell'interiorità umana che risulta anteriore rispetto alla dimensione esteriore della politica e si afferma come indipendente da essa. Non si tratta, certamente, di un momento secondario e trascurabile della costruzione della soggettività umana; ma esso si colloca pur sempre nel dibattito che dialettizza individualità ed universalità all'interno dell'interiorità; e comporta una scelta ed una contrapposizione tra interiorità ed esteriorità; inoltre è owio che, sulla scia dell'interiorità e dell'approfondimento delle sue forme, si apre la strada alla dimensione religiosa; e sempre con l'accentuazione per cui il centro della realtà si sposta verso l'intimità dell'uomo e verso il suo rapporto originario con Dio.
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Insomma, primato della moralità vuoi anche dire, nel pensiero russoiano, primato della spiritualità cristiana, e fedeltà ad una prospettiva di distacco dal mondo e di svalutazione della scienza, della filosofia, e di tutte le forme del mondano e dell'immanente. Ora gli studiosi marxisti hanno largamente insistito su una radicale inversione che l'opera di Rouss.eau proporrebbe del rapporto tra morale e politica, con l'affermazione di un deciso primato del.la politica. E ciò nel senso che per Rousseau la soluzione globale dei problemi dell'uomo non sarebbe offerta tanto daWinteriorità e dalla moralità, quanto dalla politica e dalla società. Perfino il suo modo di intendere il male non è conforme ad una visione moralis~ica ; infatti il male è costituito dall'ineguaglianza e dall'ingiustizia che si realizzano nella società; e l'impegno per superare il male si traduce nell'impegno politico per la trasformazione della società e per la sua libe.razione dalla disuguaglianza. L'attenzione di Rousseau corre dunque subito alla società come ali' orizzonte globale in cui si colloca e si può risolvere il dramma dell'uomo, fuori da ogni ripiegamento interioristico. Viene ripresa così dai recenti studi marxisti la tesi che Cassirer aveva già formulato fin dal 1932 nel suo Il problema Rousseau, quando aveva rilevato che in lui la resp.onsabilità dell'origine del male non viene più fatta risalire
ad un oscuro volere di Dio o ad una presunta colpa originale dell'uomo, ma viene interamente riferita alla società. «In Rousseau », aveva scritto Cassirer, «la responsabilità viene spinta in un punto dove mai prima d'allora era stata ricercata»; egli crea quasi «un nuovo soggetto della responsabilità» e «questo soggetto non è l'uomo singolo, ma la società umana»121. D'altra parte, se la società <mella sua forma attuale ha inferto all'umanità le ferite più profonde», essa «è anche la sola che può e che deve guarire queste ferite». La salvezza, dunque, non può venire né dana religione, né dalla morale, ma soltanto dalIa politica. Dunque la morale si risolve, per Rousseau, nella politica. L'origine del male non è negli individui, ma nei popoli o, meglio, nei loro ordinamenti di governo. Ed anche il rimedio del male e la redenzione dall'alienazione si conseguono soltanto in un nuovo ordinamento della società. Non dunque a Kant deve essere riportata la dottrina di Rousseau ed al suo modo di stabilire la supremazia dell'interiorità morale rispetto all'esteriorità del diritto e della politica; quanto invece all'orientamento hegeliano nel quale la sfera della moralità non può essere affermata nella sua autonomia, ma mira a risolvere il suo carattere astratto netla dimensione dell'eticità, attraverso la concretezza degli istituti e l'organizzazione della vita associata. In Questa
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prospettiva va anche considerato il rapporto t ra l'Emilio e il Contratto sociale, e non già nel senso che la dimensione politica del Contratto formi soltanto una appendice secondaria del piano morale svolto nell'Emilio, quanto invece nel senso che il piano morale dell'Emilio quale ambito aella formazione del singolo nella vecchia società trova il suo superamento e compimento soltanto nel Contratto e cioè nella costituzione di un rinnovato vincolo sociale. Circa un altro nodo importante del pensiero russoiano, quello dello «stato di natura», gli studi marxisti hanno contribuito a consolidare la prospettiva già formulata da Starobinski quando ebbe a rilevare che lo «stato di natura» non indica, nel pensiero di Rousseau, una vera e reale condizione di vita dell'individuo, fuori di ogni contesto associativo, quanto invece una sorta di concetto regolativo o di criterio originario col quale raffrontare le varie fasi dell'incivilimento umano. Non dovrebbe, dunque, interpretarsi il pensiero di Rousseau come essenzialmente rivolto a rivendicare la realtà primaria e pregiudiziale dell'individuo, congiunta con una sorta di vagheggiamento della condizione dell'esistenza selvaggia, contrapposta alla vita in società. e: qui in gioco, evidentemente, non solo il primitivismo di Rousseau, cioè una sua pretesa tendenza utopistica a vagheggiare la condizione dell'uomo primitivo, in contrasto ed opposizione con la condizione della vita sociale, ma ancor più il legame di Rousseau con il giusnaturalismo e con la sua rivendicazione dell'individuo come titolare in forma originaria di diritti innati ed inalienabili, non derivati dal rapporto con la società, ma precostituiti alla stessa esi-
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stenza della società e quindi derivanti all'individuo da un'investitutra diretta di origine religiosa. Se valesse anche per Rousseau la prospettiva giusnaturalistica non soltanto l'individuo dovrebbe essere inteso come compiuto e perfetto in se stesso, fuori e prima della società, ma l'istituzione della società non potrebbe aggiungere nulla alla sua natura, se non la protezione della legge positiva per i diritti originari di cui l'individuo sarebbe in possesso fin dall' inizio. Ora è noto come Hegel (e dopo di Hegel, e, nella stessa direzione, anche Marx) abbia inteso contrapporsi polemicamente a tale concezione dell'individuo e della sua libertà; egli ha mostrato come la concezione atomistica della libertà in cui essa é fatta consistere nella coesistenza di tante sfere di iniziativa quanti sono gli individui, ma ognuna chiusa in se stessa e nel proprio arbitrio, abbia un carattere essenzialmente negativo e non offra all'individuo la possibilità di svolgere la sua stessa realtà su un piano obiettivamente più ampio e consistente, quello appunto della" società civile e dello stato. Hegel ha indicato il limite principale di tale prospettiva nel fatto che essa propone una libertà racchiusa nell'ambito di un principio astratto come è l' individuo che non sia anche membro della società, intesa in modo negativo e statico, e col rifiuto di considerare come vie e forme della libertà e di potenzia mento dell'individuo quelle della società civile e dello stato, in cui egli esprime valori oggettivi ed universali. Come 3i è accennato, Hegel ha ritenuto di poter considerare Rousseau come sostenitore di una concezione individualistica della libertà e quindi come fautore del giusnaturalismo e del contrattualismo, e, in ultimo, come fautore di una
concezione liberale-formale di derivazione borghese. In polemica con tale prospettiva, gli studi marxisti hanno per contro messo in rilievo che per Rousseau la condizione di natura non è uno stato «perfetto» in cui l'uomo trovi, fuori della società, la piena realizzazione di se stesso; si tratta piuttosto di una condizione semplicemente animale dalla quale bisogna uscire in quanto la natura dell'uomo può realizzarsi soltanto attraverso la società. L'uomo di natura, dunque, anziché costituire un punto di arrivo, il perno intorno al quale far ruòtare l'intero sviluppo umano, è una condizione solo iniziale che deve svolgersi nella vita della società. e: la società che fa di un animale stupido e limitato un essere umano. In tal modo il rapporto è invertito e il centro é costituito non già dall'individuo, ma dalla società. Ne consegue che la libertà umana non è la libertà dell'individuo nel suo egoismo, ma la libertà che implica la liberazione dell'intera società; la libertà non è concepita come un orto chiuso, come un ambito riservato, ma come il cammino storico-sociale della libertà. Lungi dunque dal mettere l'uomo naturale al centro della realtà e dal rivolgere tutto alla sua protezione, il contratto sociale comporta la rinuncia all'uomo naturale e la creazione di un ordine sociale nel quale soltanto l'emancipazione dell'uomo può trovare realizzazione. E qui si apre la prospettiva della storia, alla quale Rousseau guarda con una duplice considerazione: negativa per quello che si riferisce alla degenerazione cui la società va incontro, con la condizione di guerra di tutti contro tutti; e positiva, per le possibilità che si delineano di introdurre nella disgregazione sociale promossa dalla proprietà privata una profonda modificazione volta a garantire in modo unitario il pieno sviluppo dell'individuo unitamente a quello della società. Ma il punto nel quale gli studi marxisti su Rousseau hanno forse insistito con maggiore ricchezza di analisi è quello che concerne la critica della società civile. Non senza aver preso le mosse, come nel caso di Colletti, dal paragone con le analisi della società civile che si possono trovare i"n Smith ed in Kant e che, contrariamente a quella di Rousseau, sono essenzialmente ispirate da una considerazione positiva di quella società. Kant e Smith, infatti, pur vedendo nella società civile, come organizzatrice della soddisfazione dei bisogni attraverso la divisione del lavoro, aspetti negativi e squilibri, hanno largamente riconosciuto il significato positivo e progressivo dei contrasti e della concorrenza che in essa si affermano. Per contro Rousseau ha visto con chiarezza che quando viene meno la condizione della vita patriarcale per l'azione della divisione del lavoro e dello sviluppo della proprietà privata, si afferma, nella vita della società, uno spietato stato di guerra. I rapporti degli uomini tra loro divengono rapporti di «scambio», cioè rapporti in cui ogni singolo deve fare degli altri uno strumento del proprio egoismo; sono tali rapporti ad ispirare agli uomini la propensione a nuocersi reciprocamente, anche sotto la maschera della benevolenza. Minacciati da tale situazione, gli uomini concludono tra loro un contratto sociale, il quale, tuttavia, anziché abolire la condizione di concorrenza e di disuguaglianza, la convalida e la ribadisce. e: in tal modo che il potere pubblico come potere di tutti vie-
ne messo a servizio della proprietà privata; è cosi che la legge, come regola comune, diviene «la legge della proprietà e della disuguaglianza». Gli studiosi marxisti sono sospinti a vedere nell'analisi che Rousseau fa del modo «iniquo» di operare del contratto, le stesse linee fondamentali del liberalismo lockeano. Rousseau non solo indicherebbe nella legge che nasce dal contratto la garanzia della proprietà privata e nella «regola comune» il mezzo che rende irrevocabi le la disuguaglianza; ma egli avrebbe anche colto il carattere puramente formale (e pertanto priVO di un contenuto generale positivo) della società nata dal contratto. In questa medesima direzione è stata intesa la rottura tra Rousseau e i philosophes, sostanzialmente vicini al liberalismo di origine lockeana. «La verità è, ha scritto Colletti, che la causa principale della rottura tra Rousseau e i philosophes è da ricercare nelle loro opposte ragioni di principio e, prima fra tutte, nel diverso loro atteggiamento verso la 'società civile' . In un'età in cui tutti i pensatòri più avanzati sono gli interpreti dei diritti e delle ragioni della società borghese in ascesa, della sua prosperità e della sua industria, la critica della società civile contenuta nel Discours isola irrimediabilmente Rousseau tra i suoi contemporanei facendone apparire il pensiero assurdo e paradossale» 13).
Di quest'aspetto della dottrina russoiana vi è chi, come Baczko, ha sottolineato soprattutto gli elementi più generali, quelli per i quali essa si caratterizza come condizione generale di alienazione; e ne ha messo in rilievo specialmente la struttura esistenziale richiamando la connessione dell'analisi russoiana con la tematica dell'esistenzialismo; e vi è chi, come in particolare Fetscher, ne ha studiato invece i motivi economico-sociali; anche se in questa seconda prospettiva non si è potuto evitare di considerare come Rousseau non accompagni alla sua analisi critica della società civile una disamina corrispondente ed avanzata dello sviluppo economico. Che anzi, egli ha formulato delle concezioni economiche molto arretrate e più volte al passato che al futuro; non ha mai pensato che la libera iniziativa potesse produrre un arricchimento generale ed ha invece ritenuto che il singolo finisse sempre per arricchirsi a spese degli altri; Rousseau è giunto anzi fino ad affermare che «in tutto ciò che dipende dall'industria umana, bisogna proscrivere con cura ogni macchina ed ogni invenzione che possa abbrevviare il lavoro, risparmiare la mano d'opera e produrre lo stesso effetto con minore fatica». In connessione con la critica della società· civile le interpretazioni marxiste di Rousseau hanno messo in rilievo l'importanza della prospettiva russoiana per lo sviluppo dell'emancipazione dell'uomo. Se da un lato la società realizza lo snaturamellto dell'uomo, dall'altra essa è in grado, rinnovandosi, di promuoverne l'emancipazione. La società, per conseguire tale risultato, deve nascere una seconda volta, come un corpo morale o artificiale radicalmente nuovo in cui l'uomo possa essere organicamente integrato con tutto il suo essere. Si tratta di realizzare quella trasformazione in forza della quale l'uomo sia sottratto alla legge di natura ed alla sua esistenza as-
soluta, per assumerne una relativa che trasporti il suo io «nell'unità comune», in modo tale che «ogni individuo non si creda più uno, ma parte dell'unità, e non sia più sensibile che nel tutto». Tale è il nuovo aspetto del contratto, quello per il quale esso non si pone in relazione di continuità con la prospettiva individualistica lokeana, ma ne rappresenta il supera mento. Non per nulla Rousseau dichiara che promuovere una società in cui sia superata la condizione di alienazione è equivalente a istituire «un popolo» e che per giungere a tanto bisogna «sentirsi in grado di cambiare, per così dire, la natura umana, di trasformare ogni individuo che, da solo, è un tutto perfetto e solitario, in parte di un più grande tutto da cui quest'individuo riceva in qualche modo la sua vita ed il suo essere; di alterare la costituzione dell'uomo per rinforzarlo, di sostituire un'esistenza parziale e morale all'esistenza fisica e indipendente che abbiamo tutti ricevuto dalla natura». Un limite che gli studiosi marxisti non hanno potuto non rilevare nel progetto russoiano della socializzazione umana è che esso si configura essenzialmente in termini politici e morali, ma non in termini economici; si tratta infatti di una socializzazione che si esprime nella costituzione di una volontà generale ed in una sorta di io comune, ma non nel supera mento della proprietà privata; a tale prospettiva ulteriore non poteva giungere la riflessione di Rousseau, pur sempre legata alla situazione storica della società francese del Settecento.
Carlo Marx.
Infine, gli studi marxisti su Rousseau non hanno mancato di rilevare l' importanza che riveste, nella sua dottrina del contratto, il pactum societatis rispetto al pactum subjectionis. Il filosofo ginevrino ha sostenuto che nello stato non c'è che un solo patto, quello di associazione, in forza del quale viene escluso qualsiasi altro patto e, in particolare, quel patto di assoggettamento ad un sovrano che Hobbes aveva considerato come decisivo e fondamentale. La dottrina di Rousseau da tale punto di vista si presenta anzi in antitesi perfetta con quella hobbesiana; e se in quest'ultima era lo stesso patto sociale che veniva assorbito ea annullato nel patto di soggezione di tutti verso un sovrano, in Rousseau è il patto di soggezione rispetto ad un sovrano che viene radicalmente escluso dal patto associativo fondamentale. Quest'ultimo dà luogo alla sovranità popolare; e la sovranità popolare comporta che il governo appaia come un semplice organo esecutivo o, come si esprime Rousseau, come «une commissionl> della stessa sovranità. E qui si colloca anche il principio secondo il quale la sovranità non può essere rappresentata per lo stesso motivo per cui non può essere alienata; essa consiste, afferma Rousseau, essenzialmente nella «volontà generale», e la volontà non si rappresenta; essa c'è o non c'è e non vi è via di mezzo. Per tale motivo «i deputati del popolo non sono e non possono essere suoi rappresentanti, non sono che i suoi commissari e non possono concludere nulla in modo definitivo». Lo stesso concetto russoiano
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della sovranità popolare comporta pertanto la critica dello stato rappresentativo o del governo parlamentare. «La teoria della sovranità popolare», scrive Colletti, «inalienabile e indivisibile, porta con sé l'abolizione del pactum subjectlonis come trasmissione della sovranità del popolo al governo; l'eliminazione di questo contratto di dominazione implica, a sua volta, il declassamento del governo da 'potere sovrano', com'era tradizionalmente inteso, a semplice organo di 'commissari del popolo' . Il senso della teoria, in breve, è quello di una riassunzione diretta, da parte della società, del potere o sovranità che, nel contrattualismo giusnaturalistico, era alienata alla sfera separata e indipendente della 'politica'. Questa riassunzione significa di fatto la soppressione della divisione tra 'società' e 'governo ciVile', owero tra società 'civile' e società 'politica', tra società e Stato e quindi tra bourgeois e citoyen» 141 In tale prospettiva, il popolo che obbedisce alle norme che egli stesso si è dato non soltanto è in grado di superare la dissociazione a cui conduce inevitabilmente lo scatenamento degli interessi privati, ma può anche consentire l'annullamento dello Stato, inteso come quel potere estrinseco che è essenzialmente rivolto a garantire ed a mantenere la disuguaglianza sociale. Su questa direzione gli sviluppi ulteriori della teoria politica rivoluzionaria non avrebbero aggiunto alla dottrina di Rousseau che l'analisi delle basi economiche dello stesso annullamento dello Stato. Dall'insieme di questi motivi della dottrina di Rousseau, messi in ri lievo dagli studi marxisti degli ultimi decenni, risulta non soltanto che il filosofo ginevrino costituisce una tappa importante dello sviluppo storico che porta alla dottrina di Marx, ma anche che il suo pensiero ha un riferimento diretto ed attuale a molti dei problemi della filosofia politica contemporanea. Gli stessi studi di cui si è discorso sono del resto una testimonianza eloquente che Rousseau continua ad esercitare un influsso profondo sulla coscienza contemporanea, a livello etico-politico prima ancora che in sede critica ed esegetica. Ma se la prospettiva adottata dagli studiosi marxisti ha certameme contribuito a rendere il pensiero di Rousseau più vicino ai problemi del nostro tempo, essa ha anche sollecitato, per opposizione, una ricerca storica più preoccupata di cogliere il vero Rousseau e di collocarlo con maggiore fedeltà nell'epoca sua. Da più parti si sono infatti formulate riserve sul modo in cui i recenti studi marxisti hanno utilizzato Rousseau, in quanto esso avrebbe contribuito a semplificare troppo alcuni problemi, ad eliminarne altri ed a trattare sia Rousseau che Marx in maniera alquanto sc01astica, raffrontando alcune loro affermazioni isolate dal contesto, col risultato finale, per quanto concerne Rousseau, sia di inserirlo forzatamente in una problematica che gli risulta sostanziaimente estranea, sia di attenuare i legami che lo legano saldamente aOa cultura ed atta società del suo tempo 151 .
È col proposito di dare risalto all'imponente lavoro che si è svolto in questi ultimi decenni in una direzione più rigorosamente storica e filologica che si è proposto, appunto, di distinguere tra la storia della critica tussoiana e la storia della fortuna di
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Rousseau: più legata la prima a ricerche testuali e storiche rigorose, più connessa. la seconda con un'esigenza più immediata di attualizzare il pensiero del grande ginevrino. È appunto in antitesi con l'indirizzo degli studi marxisti che si è voluto richiamare l'attenzione su alcuni caratteri storici che contrassegnano la dottrina russoiana. In particolare sono stati sottolineati il pathos moralìstico ed interioristico di molti scritti del Ginevrino, la sua violenta polemica antimaterialistica, gli strali da lui lanciati contro la vana filosofia e l'inutile scienza; nella sua invettiva contro la società si introduce, è stato rilevato, anche un rifiuto radicale di tutto il mondo moderno considerato, nel suo insieme, come il regno della degenerazione dell'uomo e di un'esistenza non autentica. Per non dire della tradizione moralistica alla quale Rousseau si richiama e che fa risalire il suo distacco dal mondo e dalla storia alle posizioni di Montaigne e di Charron; per non dire ancora della sua sensibilità religiosa e di un suo personale misticismo che richiama alcuni motivi della tematica di Pasca I. In questa prospettiva acquista una luce nuova il distacco di Rousseau dai philosophes, dovuto, si osserva, non tanto alla sua analisi dell'alienazione propria della società borghese, quanto all'incidenza rilevante che ha ancora nel filosofo ginevrino il sentimento religioso ed alla sua radicale condanna del nascente mondo moderno. Si considera poi che alla corruzione dell'età moderna Rousseau contrappone la rivendicazione dell'interiorità, della moralità ed il ritorno a visioni utopistiche ormai superate ed abbandonate dalla storia, e l'idoleggiamento della felice età patriarcale con un'economia esclusivamente agricola, e la considerazione di nuclei politici del tutto isolati dal contesto storico reale; e si ribadisce che ad un atteggiamento generale arretrato ed arcaico si accompagna l'uso di categorie moralistiche, del tutto inidonee alla comprensione della realtà storica. Abbiamo tuttavia rilevato che gli stessi studi marxisti su 'Rousseau non hanno avuto una direzione ri.gorosamente unitaria ed univoca. E se alcuni di essi hanno seguito il cr.iterio di istituire un raffronto diretto tra il pensiero di Rousseau e il pensiero di Marx, alla ricerca di convergenze e di divergenze, offrendo più facilmente il fianco ai rilievi critici sopra ricordati, altri hanno seguito una direzione dIversa ed hanno inteso il marxismo anzicM come un termine immediato di confronto, come una teoria dalla quale ricavare un metodo criticamente più avanzato di comprensione storita; per questa via sono giunti a considerare Rousseau ed il suo pensiero in più diretto rapporto con la storia sociale politica e culturale del tempo suo; e sono allora emersi motivi precisi di distacco rispetto alla dottrina di Marx. Sicché si può dire che le obbiezioni mosse da un più rigoroso metodo storico agli studi marxisti su Rousseau che hanno insistito su una prospettiva di continuità tra il suo pensiero e quello di Marx, sono state awertite, in partenza, anche all'interno della tematica marxista al punto da creare, in essa, a proposito di Rousseau, una duplice direzione di ricerca.
Precisato questo punto, si deve tuttavia aggiungere che anohe la prospettiva più
immediatamente teorica ha la sua ragion d'esser.e. E se da un lato è bene che sia proseguita la ricerca storica, con la sua preminente impostazione analitica, non v'è d'altra parte motivo di non intendere l'importanza che riveste la considerazione teorica della dottrina di Rousseau, con un preminente carattere sintetico. È infatti proprio solo dei grandi pensatori di avere insieme una storia della critica ed una storia della fortuna, anche se le due storie possono a volte incrociarsi e scontrarsi. Anche per Rousseau è certamente un segno evidente della vitalità del suo pensiero e della sua opera, se essi sono capaci da un rata di alimentare le ricerche rigorose e le ricostruzioni storiche erudite e dall'altro di sollecitare la passione e la riflessione dell'uomo contemporaneo impegnato nella conquista di una più profonda libertà.
Milano, maggio 1978
lIHEGEL, Filosofia del Diritto, § 258, trad. it. di F. Messineo, Bari, Laterza, 1974. 2IMARX, Introduzione alla Critica dell'economia politicil, trad. it., Roma 1954, p. 10. 31G. DELLA VOLPE, Opere, a cura di lo Ambrogio, volo 6, Editori Riuniti, Roma 1972-73, volo V, p.199. 41Bari, Laterza, 1969, pp. 195-292. 51 11 contratto sociale, Einaudi, Torino 1958; Sull'origi,ne e i fondamenti dell'ineguaglianza tra gli uomini, Editori Riuniti, Roma 1968. 61Si possono ricordare, in proposito, specialmente: PAOLO CASINI, Introduzione a Rousseau, Laterza, Bari 1974; PAOLO ROSSI, Introduzione a Rousseau. Opere, Sansoni, Firenze 1972, pp. X-LXVII,; EUGENIO GARIN, Introduzione a Rousseau, Scritti politici, 3 volumi. Laterza, Bari 1971, pp. VII-LXI. 71 LOUIS AL THUSSER, Sur le 'Contract 50-cial ' «Cahiers pour l'analyse>>: travaux du cercle d'épistémologie de l'Ecole normale Superieure, n. 8, Paris 1967, pp. 5-42. 81 Cannes-Grenoble. 911RING FETSCHER, La filosofia politica di Rousseau, trad. it. , Feltrinelli, Milano 1972. 101 Einsamkelt und Gemeinschaft, WienFrankfurt-Zurich. l11AnnoXXXV, 1959-62, Genéve, pp. 223-237. 121E. CASSIRER. Il problema Rousseau, trad. it., Firenze 1934, p. 58. 131 L. COLLETTI. Ideologia e società, cit., p 231 . 141 COLLETTI, Ideologia e societè, cit., p. 250. 151 P. ROSSI, Introduzione, cit .• p. IX.
Jean-Jacques Rousseau (1712-1778): cinque postille bibliografiche(*) di Antonio Spadafora
Strumento insostituibileper orientarsi con sicurezza nella sterminata bibliografia rousseauiana sono le «Annales de la Société JeanJacques Rousseau», Genève, A . Jullien, 1905 . . . - (ultimo tomo pubblicato: XXXVIII, 1969-1971), in seguito sempre indicate con l'abbreviazione: AJJR, seguita dal no. del t . in cifra romana e dal riferimento dell'anno in cifra arabica (1).
Rassegne e ricerche bibliografiche, o d'interesse bibliografico
1. ASSE Eugène, Bibliographie critique de Jean-Jacques Rous-seau, Paris, A. Fontemoing, s.d. (1899/1900), pp. 12.
2. BARBIER Antoine - A. , Notice des principaux écrits relatifs à la vie et aux ouvrages de J. -J. Rousseau, in La France littéraire, ou dictionnaire bibliographique ... - par Joseph-M. QUÉRARD, Paris, F. Didot, 1836, t . VIII, pp. 207-231.
Si tratta della 4a ed., notevolmente ampliata rispetto alla la apparsa nelle .«Annales encyclopédiques» (luglio 1818), ~ ritenuta la prima bibliografia rousseauiana (cfr. S.cHINZ, 1941, pp •. 149-150)' Nel t . VIII de La France littéraire . .. è preceduta (pp. 192-2(6) da una Notice bibliografique sur J . J. Rousseau del cito QUÉRARD.
3. CIORANESCU Alexandre, Rousseau (Jean-Jacques), in Bi-bliographie de la littérature française du dix-huitième siècle, Paris, Editions du Centre national de la recherche scientifique, 1969, t. III, pp. 1516-1592.
4. COURTOIS Louis J ., Chronologie critique de la vie et des awvres de Jean-Jacques Rousseau, in AJJR, XV, 1923, pp. XI-366.
5. DUFOUR Théophile, Recherches bibliografiques sur les reuvres imprimées deJ.-J. Rousseau, Paris, Giraud-Badin, 1925', 2 voli., pp. XI -273 e 299.
6. LEDOS Eugène - G., Catalogue des ouvrages de Jean-Jac-ques Rousseau conservées dans les grandes bibliothèques de Paris, Paris, H. Champion, 1912, pp. VI I-60.
7. SCHI FF MariO, Editions et traductions italiennes des reuvres de Jean-Jacques Rousseau, estro da «Revue des bibliothèques», luglio-settembre 1907, gennaio-marzo 1908, Paris, H. Champion, 1908, pp, 69.
8. SCHINZ Albert, Etat présent des travaux sur J. -J. Rousseau, Paris, Les Belles Lettres, New York, Modern Language Association of America, 1941, pp. X-411 .
.completa organicamente le precedlmti ricerche: - J.-J. Rousseau devant /'érudition moderne, estro da «Modern
Philology», X, 2, ottobre 1912, pp. 24. - Le mouvement rousseauiste du dernier .quart de siècle: essai de
bibliographie critique, in «Modern Philology», XX, 2, novembre 1922, pp. 149-172. Bibliographie critique de J . -J. Rousseau dans les cinq dernières années, in «Moderne Language Notes», LXI, 7, novembre 1926, pp. 423-439.
9. SÉNELIER Jean, Bibliografie générale des oeuvres de J.-J. Rousseau, Paris, Presses Universitaires de France, 1950, pp. 253.
Utile sotto diversi aspetti, questa che è, sostanzialmente, la più recente bibliografia rousseauiana, è però tutt'altro che sicura, come è stato autorevolmente evidenziato (cfr. ree. di Bernard GAGNEBIN in AJJR, XXXII, 1950-1952, pp. 231-235).
10. SPURLIN Paul M" Jean-Jacques Rousseau, in A CriticalBi-bliographie of French Literature, David C. CABEEN generai editor, vol. IV: The Eighteeth Century, edited by George R. HAVENS - Donald F. BOND, Syracuse, N.Y., Syracusè University Press, 1951, pp. 208-251 .
Si veda anche il supplemento al citato IVa volume curato, per R., da John W . .cHAPMAN: The Eighteenth CentuTY, supplement, edited by Richard A. BROOKS, Syracuse, N.Y., Syracuse University Press, 1968, pp. 142-164.
11. VOISINE Jacque!?, Etat des travaux sur;Jean-Jacques Rous-seau au lendemain de son 250e de naissance (1712-1962), in « L'information littéraire», XVI, 3, maggio-giugno 1964, pp, 93-102 (2).
Il Edizioni
Sino al 1959 la raccolta in certo senso corrente delle opere di R. è stata la cosiddetta «vulgate rousseauiste'» o edizione Hachette: Oeuvres complètes de J,-J. Rousseau ... Edition de Charles Lahure ... , Paris, L. Hachette, 1856-58, 8 volI. (3) - poi, dal 1865, in 13 voli. (4). Accanto ai gravi difetti che la caratterizzano non va, tuttavia, dimenticato - come ebbe ad annotare il Dufour (AJJR, I, 1905, p. 179 in n.) - che questa edizione ha pur sempre avuto il merito di essere facilmente r eperibile nelle librerie. Dal 1959 ha finalmente avuto inizio la pubblicazione di quella che è unanimemente riconosciuta come la migliore edizione delle opere di R., superiore a tutte quelle che l'hanno preceduta (5), per l'attendibilità dei testi, per l'apparato filologico e critico, per le notizie bibliografiche:
12. Jean Jacques ROUSSEAU, Oeuvres complètes. Edition pubbliée sous la direction de Bernard GAGNEBIN et Marcel RAYMOND, Paris, Gallimard, 1959 ... - (Bibliothèque de la Pléiade) - 4 volumi pubblicati su 5 previsti:
Voi. i. Les Confessions. Autres textes autobiographiques, 1959 (e successive ristampe: 1962, 1969, 1976), pp. CXVIII-l969.
Contiene: - Les Cantessians. Texte établi et .nnoté par Bern.rd GAGNEBIN el
Marcel RAYMOND.
- Rouss6au Juge de Jesn-Jacques, Dialogues. T exte établi et annoté par Robert OSMONT.
(* ) Com'è chiaramente indicato, queste annotazioni bibliografiche non hanno eccessive pretese; costituiscono semplicemente un primo complesso di informazioni sugli strumenti necessari al lettore interessato a un approfondimento critico della problematica rousseauiana. Per la compilazione, quindi, l'estensore si è attenuto al criterio di fornire tutti gli elementi utili per un'eventuale ricerca dei testi segnalati; in particolare, si è preoccupato di dare tutte le note tipografiche (luogo di edizione, nome dell'editore, anno di edizione) mentre, per quel che riguarda le note bibliografiche (formato del volume, numero delle pagine complessive, numero de.lle tavole, delle illustrazioni, ecc.) si è limitato alla sola indicazione del numero delle pagine . L'estensore dichiara qui il suo debito di riconoscenza verso l'amico A. Soldini, direttore della Biblioteca Cantonale di Lugano, e i signori E. Vuilleumier, R. De Courten e N. Menoud, della Biblioteca Nazionale di Berna, per i preziosi aiuti fornitigl i.
(1) Utile per una proficua consultazione della AJJR è la Table des Tomes I-XXXV, 1905-1962, Genève, A. Jullien, 1965, pp. 217.
(2) Rassegne bibliografiche di notevole importanza si trovano, poi, in diversi studi critici su R. , quali ad esempio quelli, in seguito citati, di: DERATHÉ (1950, 197()2), LAUNAY (1971), MASSON (1916). Non poche, infine., sono le rassegne bibliografiche in italiano, contenute in t raduzioni di opere di R. o in studi critici a lui dedicati - si veda, per tutti, Augusto ILLUMINATI, J.-J. Rousseau, Firenze, La Nuova Italia, 1975, pp. 122-167.
(3) E.-G. LEDOS, Catalogue .. . , op. cit., p. 20 [1291. (4) « ... "édition cliché" reprodution de différents volumes selon le be
soiml (SCHINZ, 1941, p. 155). Più volte ristampata, quindi, a partire dal 1871: LEDOS (1912, pp. 20-21 [138-148]) riporta le ristampe dei diversi volumi succedutesi sino al 1911; SÉNELIER (1950, p. 228 [1.969]) menziona l'ultima ristampa de11913.
(5) Per le opportune indicazioni sulle precedenti raccolte delle opere, a cominciare da quelle apparse vivente R., si rinvia alle ricerche bibliografiche già citate, e in particolare al DUFOUR (1925, t. Il, pp . 1-80). Per quel che concerne le edizioni originali degli scritti di R. si vedano, accanto alle bibliografi.e già menzionate, le «Notices bibliographiquesll contenute in ogni volume delle Oeuvres complètes della Pléiade.
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- Les R'veries du Promtlneur solitl1ire. Texte établi et onnoté pe, Ma,cel RAYMONO.
- Fragments lJutobiogmphiques et documents biographiques. T exte établi et .nnaté pa, Ma,cel RAYMOND et Bema,d GAGNEBIN.
VoI. 11. La Nouvelle Hé/oise. Thé§tre. Poésies. Essais /ittéraires, 1961, pp. CIII-1999; rist. 1964 con l'aggiunta di un «Index de noms et des ouvrages cités», pp. CIII-2051; rist. identica nel 1969.
Contiene:
- Julie, ou la Nouvelle H6loise. Texte étobli pa' Hen,i COULET et an-nolé po, Berno,d GUYON.
- TMitre. Texte établi et annalé po, Jecques SCHERER.
- Ballets - Pastorale - Po4sies.
- Contes et ap%gues.
- MiJlangBs de littArature et de morales. Texte. établis et annatés pa' Cho,le. GUYOT.
Vol. III. Du Contrat soci al. Ecrits po/itiques, 1964 e rist. 1970, pp. CCLV-1964; ultima rist. (con l'aggiunta di una appendice) 1975, pp. CCLV-1978.
Contiene :
- Discours .sur les sciences et les arrs . T exta établi et annoté par François BOUCHAROY.
- Discours SUl l'origine et les fondements de l'insgalitfJ. Texte établi et annalé po, Jean STAROBINSKI.
- Discours SUI reconomie poIitlque.
- Du Contrar social. (Première version, manuscript de Genève) .
- Du Contrat socia/. - Fragrnents politiques.
Texteo étebli. et onnoté. pa, Robert DERATH~.
- Ecrits sur fabM de Saint-Pierre. Texte établi et annaté pa, Sven STELLING-MICHAUO.
- Lettms écritBS de la montagne. Taxte établi et annoté par Jaan - D. CANOAUX.
- Projat de constitution pour la Corse. T exte établi et annoté par Sven STELLlNG-MICHAUO.
- Considtlrations sur le gouvernement de Pologne. Texte établi et annaté pa, Jean FABRE.
- Dépkhes de Venise. Texle établi et annaté po, Jean - O. CANOAUX.
E in appendice:
- Fragments sur la liberté. - Parallèle de Socrate et de Caton. - Guerre et ét8t de Guerre.
Texto. présenté. et annaté. pa, Berna,d GAGNEBIN.
Volo IV. Emi/e. Education. Mora/e. Botanique, 1969, pp. CCXXIII-1958.
Contiene:
- Mtlmoire presentt! " Monsieur de Mably su, l'tlducation de M. san fils.
- Pro jet pour /'éducation de Monsieur de Sainte.Marie. Texte. établis et onnaté. pa' John S. SPINK.
- Emi/e. Premièreversion (manuscript Favre). Texte présenté par John S. SPINK.
- Emi/e ou de l'éducation.
- Emile et Sophie. Texte. établi. pa' Charles WIRZ, p,é,enté, et annalé. po' Pierre BURGELIN.
- Lettre Il Christophe de Beaumont. - Fragments sur Dieu et sur /a mvé/ation. - Lettre B Voltaire .
- Lettres mora/es.
- Notes sur «De l'e$prit>>.
- Lettre à FranquiBres. Textes établis et annolé. pa' Hen,; GOUHIER.
- Lettres sur /a botanique.
- Fragments paur un dictlonnaire des termes d'usage e botanique. Text .. établi. et annoté, pa' Rago, VILMORIN.
Fra le più note edizioni critiche di opere singole:
13. Du Contrat soci al. ed . Edmond DREYFUS-BRISAC, Paris, Alcan, 1896, pp. XXXVI-425. ed . Charles E. VAUGHAN, Manchester, The University press, 1918, pp. LXXVI-l84 (rist. 19471. ed. Maurice HALBWACHS, Paris, Aubier, 1943, pp. 462. ed. Bertrand de JOUVENEL, Genève, Bourquin, 1947, pp. 398.
14. Les Confessions. ed. Ad . VAN BEVER, Paris, Crès, (1912, 2 voli .) 1913,3 voli., pp. V - 364, 524 e 374. ed. Jacques VOISINE, Paris, Garnier, 1964, pp, CLVI-1095.
15. La profession de foi du vicaire' savoyard,
16.
26
- ed. Pierre - M. MASSON, Fribourg, O. Gschwend, Paris, Hachette, 1914, pp. CX-60S.
The political writings of Jean-Jacques Rousseau, Ed, Charles E. VAUGHAN, Cambridge, The University press, 1915, 2 voli., pp. XXI-516, 578 (rist_: Oxford, Blackwell, New York, Wiley, 1962; New York, B. Franklin, 19711.
17,
18,
19,
20.
21.
La Nouvel/e Héloi'se. - ed. Daniel MORNET, Paris, Hachette, 1925, 4 voli ., pp.
IV-396, VIII-422, IV-290 e IV-418.
Discours sur les sciences et les arts. ed . George R. HAVEN$, New York, The Modern Language Association of America, London, Oxford University press, 1946, pp. XIII-278 (rist. New York, Krauss Reprint Corporation, 1966),
Les réveries du promeneur solitaire. - ed. John S. SPINK, Paris, Didier, 1948, pp_ 245.
Lettre à D'Alembert sur les spectacles_ - ed. Max FUCHS, Lille, Giard, Genève, Droz, 1948, pp.
XLVIII - 207.
Essai sur l'origine t1es langues. ed. Charles PORSET, Bordeaux, G, Ducros, 1968, 19702, pp. 247.
III Corrispondenza
Per la corrispondenza l'edizione fondamentale, fino al 1965, è stata : Correspondance générale de J.-J_ Rousseau, collationée . ,. par Théophile DUFOUR (et Pierre - P. PLAN) , 20 voli" Paris, A. Colin, 1924 - 1934. Dal 1965 è però in corso di pubblicazione una raccolta più ricca e sOprattutto meglio curata dal punto di vista scientifico:
22. Jean-Jacques ROUSSEAU, Correspondance complète_ Edi-tion critique, établie et annotée par Ralph - A. LEIGH, Genève, Institut et Musée Voltai re (6), 1965 ... - a tutt'oggi 32 volumi apparsi:
I, 1965, pp. XL-338 (1730-1744; lettres : 1-97); Il, 1965, pp. XXIV-391 (1744-1754; lettres: 98-227);
III, 1966, pp. XXIX-417 (1754-1756; lettres: 228-404) ; IV, 1967, pp. XXVI-469 (1756-1757; lettres: 405-599); V, 1967, pp. XXV-313 (1758; lettres: 600-756);
VI , 1968, pp. XXIV-266 (1759; lettres: 757-917); VII, 1969, pp. XXV-429 (1760; lettres: 918-1214);
VIII, 1969, pp. XXIV-389 (janvier-mai 1761; lettres: 1215-1423); IX, 1969, pp. XXV-399 (juin - décemb re 1761; lett res:
1424-1619) ; X, 1969, pp. XXVIII-341 (janvier-mai 1762; lettres: 1620-1814) ; XI, 1970, pp. XXXI-329 (juin-juillet 1762; lettres: 1815-1975);
XII, 1970, pp, XXX-322 (juillet-aoOt 1762; lettres : 1976-2124); XIII , 1971, pp. XXIX-305 (septembre-octobre 1762; lettres:
2125-2273) ; XIV, 1971, pp , XXVII-268 (novembre-décembre 1762; lettres:
2274-2416) ; XV, 1972, pp. XXVII-414 (janvier-mars 1763; lettres : 2417-2580); XVI, 1972, pp. XXIX-408 (avril-juin 1763; lettres: 2581-2786);
XVII, 1972, pp. XXV-346 (juillet-septembre 1763; fettres: 2787-2946) ;
XVIII, 1973, pp. XXVII-287 (octobre-décembre 1763; lett res : 2947-3089) ;
XIX, 1973, pp. XXVI-355 (janvier-avriI1764; lettres [3090]-3244); XX, 1974, pp. XXIX-361 (mai-juillet 1764; lettres: 3245-3436);
XXI, 1974, pp. XXVII-353 (aoOt-octobre 1764; lettres: 3436 bis-3617);
XXII, 1974, pp. XXV-395 (novembre-décemore 1764; lettres: 3618-3822) ;
XXIII, 1975, pp_ XXXI-416 (janvier-12 février 1765; lettres: 3823-4015) ;
XXIV, 1975 , pp . XXVIII-379 (février - mars 1765; lettres : 4016-4225) ;
XXV, 1976, pp. XXVI-414 (avril-mai 1765; lettres: 4226-4459); XXVI, 1976, pp. XXXII-403 (juin-septembre 1765; lett res: 4460-
4653); XXVII, 1976, pp_ XXVIII-371 (septembre-décembre 1765; lettres :
4654-4861) ; XXVllI , 977, pp. XXVI-379 (décembre 1765-février 1766; lettres:
4862-5081) ; XXIX, 1977, pp. XXXIII-329 (mars-juin 1766; lettres: 5082-5255) ;
(6) Fino al voI. XIV (1971); dal voI. XV (1972) al voI. XXIV (1975): The Voltaire Foundation, Thorpe Mandeville House, Banbury (Oxfordshire); dal voI. XXV (1976) al voI. XXXII (1978) : The oltaire Foundation at the Taylor Institution, Oxford.
xxx, 19n, pp. XXVI-433 (juillet-septembre 1766; lettres: 5256-5465);
XXXI, 1978, pp. XXVII-407 (octobre-décembre 1766; lettres: 5456-5653) ;
XXXII, 1978, pp. XXVI-350 (janvier-mars 1767; lettres: 5654-5805).
IV Traduzioni italiane (7)
23. Emilio e altri scritti pedagogici - trad. integrale di Luigi DE ANNA, intr. e note di Giovanni CALÙ e Luigi DE ANNA, Firenze, Sansoni, 1923, pp. LlV-556.
24. Discorsi e Contratto sociale - a cura di Rodolfo MONDOLFO, Bologna, Cappelli, s.d. (1924), pp. XL-287.
25. Il Contratto sociale - trad. con intr. e commento di Giuseppe SAlITA, Firenze, Vallecchi, s.d. (19241. pp. XLlI-l54.
26. Il Contratto sociale - trad. di Valentino GERRATANA, Torino, Einaudi, 1945, 19734, pp. XLI-l88. In questa quarta ed. si trova premesso il saggio di Robert DERATHÉ compreso nel III voI. delle Oeuvres Complètes della «Pléiade», nella trad. di Viviana CENTO.
27. Le Confessioni- intr. di Jean GUÉHENNO, trad. di Michele RAGO, Torino, Einaudi, 1955, pp. XVII -719.
28. Giulia o La Nuova Eloisa, lettere di due amanri di una cittadina ai piedi delle Alpi - trad. c;ti Piero BIANCONI, Milano, Rizzoli, 1964, 2 voli., pp. compI. 792.
29. Discorso sull'economia politica e Frammenti politici - trad. di Celestino E. SPADA, pref. di Umberto CERRONI, Bari, Laterza, 1968, pp. 179.
30. Emilio o dell'educazione - pagine scelte - intr. di HenryWALLON, comm. e note di Jean-Louis LECERCLE, Roma, A. Armando, 1968, pp. 226 (la trad. è quella già cito del DE ANNA).
31 . Emilio o dell'educazione - t rad. integrale a cura di Paolo MASSIMI, intr. di François e Pierre RICHARD, Roma, A . Armando, 1969, pp. 782.
32. Saggio sull'origine delle lingue in cui si parla della melodia e dell'imitazione musicale - trad. in Enrico FUBINI (a cura dii, Gli Illuministi e la musica, Milano, Principato, 1969, pp. 135-191.
33. Saggio sull'origine delle lingue in cui si parla della melodia e dell'imitazione musicale - trad . in appendice a: Antonio VERRI, Origine delle lingue e civiltà in Rousseau, Ravenna, ed. A . Longo, 1970, rist. 1972, pp. IV-274. L'appendice (pp. 147-274) riporta il testo francese (che è la trascrizione fatta dal Verri del Ms 7835 di Neuchatel) e la traduzione italiana a fronte.
34. Scritti politici - a cura e con una intr. di Paolo ALATRI, trad. di Jole BERTOLAZZI, Torino, Utet, 1970, pp. 1238. Il volume contiene: Discorso sulle scienze e le arti (con le risposte di R. a Raynal e a Stanislao); Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianza (non sono però t radotte t utte le note di R.); Economia politica; Scritti sull'abate di Saint-Pierre; Lettera a D'Alembert sugli spettacoli; Frammenti politici; Il Contratto sociale; Lettere dalla montagna; Progetto di costituzione per la Corsica; Considerazioni sul governo di Polonia e sulla sua progettata riforma.
35 . Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianza tra gli uomini - a cura di Valentino GERRATANA (che vi ha premesso il saggio L'eresia di Jean-Jacques Rousseau), Roma, Editori Riuniti, 1971,3" rist. 1975, pp. 231 (in appendice la trad. della lettera di Voltai re del 30 agosto 1755 e della risposta di R. dellO settembre 1755).
36. Scritti politici - a cura di Maria GARIN, intr. di Eugenio GARIN, Bari , Laterza, 1971 , 3 voli . , pp. XCI-326, XXXII -419, XXXIl-296. Come è precisato nella introduzione (I ,p.XIII), cc .. a parte le prime cinque Lettere dalla Montagna (e qualche breve frammento meno significativo), la presente raccolta traduce tutti i testi del [terzo] volume della Bibliothèque de la Pléiade . . . Tutti i testi sono completi, con tutte le annotazioni di Rousseau».
37. Opere - a cura e con una intr. di Paolo ROSSI, Firenze, Sansoni, 1972, pp. LXVII-1429. Il volume contiene: Discorso sulle scienze e le arti; Prefazione al Narciso; Discorso sull' origine e i fondamenti della disuguaglianza; Discorso sull'economia politica; Lettera di J . -J. Rousseau a Voltai re (18 agosto 1756); Scritti sull'AbM de Saint-Pierre; Lettera a D'Alembert sugli spettacoli; Il Contratto sociale o principi del diritto politico; Emilio o dell'educazione; Progetto di costituzione per la Corsica; Rousseau giudice di Jean-Jacques; Le passeggiate solitarie.
38. Lettere morali - a cura di Raffaele VITI ELLO, Roma, Editori Riuniti , 1978, pp. 215. Il volume contiene: Lettera a Christophe de Beaumont; Lettera a Voltai re (18 agosto 1756); Lettere morali; Note a ((De l'esprit)} di Helvetius; Lettera a M. de Franquières. E in appendice: Frammento sulla libertà; Quattro lettere al presidente Malesherbes.
V Scritti su R .
Anche per quel che concerne gli scritti su R. la bibliografia è, a dir poco, sconfinata. Qui di seguito vengono segnalati alcuni degli studi più importanti, apparsi dall'irìi'zio del secolo. Non vi figurano, di regola, gli scritti premessi alle edizioni critiche già citate, le introduzioni delle Oeuvres Complètes della «Pléiade» e delle citate traduzioni italiane.
Rassegna essenziale delle raccolte di studi e dei numeri speciali di riviste dedicati a R. in occasione di particolari celebrazioni.
Nel 1912, in occasione del 20 centenario della nascita di R. si tennero simposi celebrativi in diversi paesi; le riviste specializzate, ma anche la stampa periodica e quotidiana, dedicarono molto spazio al Cittadino di Ginevra (cfr. la cronaca delle celebrazioni in AJJR, IX, 1913, pp. 203-276). Tre pubblicazioni meritano di essere menzionate in particolare, per i contributi che raccolsero e che, ancora oggi, rappresentano degli importanti punti di riferimento (8).
39. «Annales de la Société J.-J. Rousseau», VIII, 1912. Si segnalano in particolare gli articoli di : Gustave LANSON (L'unité de la pensée de Jean-Jacques Row;seau, pp. 1-31; trad. it. in PR, pp. 261-292); Daniel MORNET (L'influence de J.-J. Rousseau au XVllle siècle, pp. 33-67); Harold HOFDING (Rousseau et le XIXe siècle, pp. 69-98).
40. «Revue de métaphysique et de morale», XX, 3, 1912. Si segnalano in particolare gli articoli di Emile BOUTROUX (Remarques sur la philosophie reJigeuse de J.-J. Rousseau, pp. 265-274; trad. it. in PR, pp. 115-154); Dominique PARODI, (La philosophie reJigeuse deJ.-J. Rousseau, pp. 294-320) ; Edouard CLAPARÈDE (J.-J. Rousseau et la conception fonctionneJle de l'enfance, pp. 391-416; trad. it. nel voI. L'educazione funzionale, Firenze, Giunti, 3" rist. 1971, pp.61-88); Vietor DELBOS (Rousseau et Kant, pp. 417428; trad. it. in PR, pp. 217-234).
41 . Jean-Jacques Rousseau - leçons faites à l'école des Hautes études sociales, Paris, F. Alcan, 1912, pp. XII-303.
Anche in questa raccolta compaiono i temi e gli autori di cui nelle due pr!lcedenti. Si segnalano in particolare gli scritti di : George BEAULAVON (La doctrine politique du Contrat sodal, pp. 155-169); Isaac B ENRUBI (Rousseau et les grads representants de la pensée allemande, pp. 201-249),
Un altro anno rousseauiano è stato il 1962, per la ricorrenza del 250mo della nascita e del bicentenario della pubblicazione dell' Emilio e del Contratto sociale (cfr. la cronaca delle celebrazioni in AJJR, XXXV, 1959-1962, pp. 430-442). Tra le numerose raccolte di studi pubblicati per l'occasione si ricordano:
42. Entretiens sur Jean-Jacques Rousseau - organisés par la Société J.-J. Rousseau à l'lnst. univo des hautes études internationales, à Genève le 16 e 17 juillet 1962-, in AJJR, XXV, 1959-1962, pp.7-315.
Fra i diversi interventi si segnalano quelli di: John S. SPINK (Lespremières expériences pédagogiques de Rousseau, pp. 91-111); Robert DERATHÈ (La religion civile seJon Rousseau, pp. 161-180); Bronislaw BACZCO (Rousseau et l'aliénation sociale, pp. 223-237); Ralph-A. LEIGH (Vers une nQuvelle édition de la correspondance de Rousseau, pp. 263-286).
(71 SonO segnalate le traduzioni più importanti. Per le traduzioni italiane apparse nel settecento e nell'ottocento si rinvia alla citata bibliografia dello SCHIFF e alla più recente Bibliografia delle edizioni e traduzioni italiane delle opere di Rousseau (176().1816), in appendice al volume di Silvia ROTA GHIBAUDI, La fortuna di Rousseau in Italia (1750-1815), Torino, Giappichelli, 1961, pp. 315-332.
(8) Alcuni di Questi contributi sono stati tradotti in italiano e raccolti nel volume curato da Elda BOSSI, Il pensiero di Rousseau, Venezia, la Nuova Italia, s.d. (1927), pp. VIII-229 (in seguito citato con l'abbrevviazione : PR).
27
43. «Annales historiQues de la révolution française», nO 170, ottobre-dicembre 1962.
Raccoglie nove contributi che sono stati poi ripresi nel volume JeanJacques Rousseau (1712-177(1). Pour le 250e ahniversaire de, sa naissance, Paris, Librairie Clavreuil, s.d. (1963), pp. 205 - volume che presenta, rispetto al citato numero delle «Annales», l'aggiunta di altri tre contributi. Si segnalano, con rìferimento al volume del 1963, in particolare gli scritti di: Michel LAUNAY (La sociétfl frençaise d'après la correspondance de J.-J, Rousseau-textes inédites -, pp. 17-40); Albert SOUBUL (Audience des Lumières. Classes populaires et rousseauisme sous la Révolution, pp. 43·60); Silvia ROTA GHIBAUDI (L'influence de Rousseau en Italie pendant la Révolution - 1789/1799 -, pp. 121-1351.
44. «Yale French Studies)), N° 28, 1962. Raccoglie 14 contributi e una succinta rassegna bibliografica delle più recenti pubblicazioni su R. Si segnalano in particolare gli scritti di: Lester G. CROKER (The Priority ofJustice or Law, pp. 34-42); JeanSTAROBINSKI (The IIlness of ROUS5eDU, pp. 64-74; ora anche in francese nel volume, La transparence et l'obstacle , op, appresso cit., pp. 430-444); Bertrand DE JOUVENEL (Rousseau the Pessimistic Evolutionist, pp. 83-96: cfr. un intervento sullo stesso argomento nella raccolta, appresso citata, Rousseau et la philosophie politique, pp. 1-20).
45. Jean-Jacques Rousseau - conférences organisées par l'Univ. ouvrière et la Faculté des Lettres de l'Univ. de Genève, Neuchatel, La Baconnière, 1962, pp 262.
Si segnalano in particolare i contributi di: Jean STAROBINSKI (La pensée politique de Jean.Jacques Rousseau, pp. 81-99); Sven STELLlNG-MICHAUD (Rousseau et l'injustice sociale. pp. 171-186); Robert DERATHÉ (L'unité de la pensée de Jean-Jacques RousS8au, pp. 203-218); Claude LEVI-STRAUSS (Jean.Jacques Rousseau, fondateur des sciences de l'homme, pp. 239-248; trad. it. nel voI., Razza e storia e altri studi di antropologia, Torino, Einaudi, 1967, pp. 83-96),
46 Etudes sur le Contrat soci al de Jean-Jacques Rousseau - actes des journées d'études organisées à Dijon pour la commémoration du 200e anniversaire du Contrat social, Paris, Les Belles Lettres, 1964, pp. VI-541.
Si tratta di un fondamentale strumento di studio che raccoglie il meglio delle ricerche contemporanee sul pensiero politico di R. Per dare un'idea adeguata dei saggi che lo compongono (32 articoli organizzati in tre sezioni: le fonti del pensiero politico di R.; aspetti del pensiero politico di R,; il Contratto sociale e il pensiero politico europeo dal 1762 a oggi) bisognerebbe citarli tutti: nell'impossibilità di farlo (si ritlvia comunque alfa recensione di Robert DERATHÉ in AJJ R, XXXVI, 1963-1965, pp. 330-337) si è scelto di riferire separatamente di alcuni nelle note che seguono (la raccolta è sempre citata con l'abbrewiazione: ED).
47. Jean-Jacques Rousseau et son oeuvre. Problèmes et recherches - commémoration et colloQue de Paris (16-20 octobre 1962) organisés par le Comité national pour la commémoration de J.-J. Rousseau, Paris, Klincksieck, 1964, pp. XXXI-374.
Raccolta molto importante di comunicazioni seguite sempre da un breve resoconto degli interventi che hanno suscitato (cfr. la recensionedi Marcel RAYMOND in AJJR, XXXVI, 1963-1965. pp. 341-346). Si segnalano in particolare: Basil MUNTEANO (Les contradictions de J. -J. Rousseau. Leur sens expérimental, pp. 96-112) ; Antoine ADAM (De quelques sources de Rousseau dans la littérature philosophique -1700/1750 -, pp. 125-133); Martin RANG (Le dualisme antropologique dans l'Emi le, pp. 195-204); Michel LAUNAY (Les problèmes politiques dans la Correspondance de Rousseau. pp. 265-282); Pierre BURGELIN (Kant lecteur de Rousseau, pp. 303-317) .
48. Rousseau et la philosophie politique, Paris, Presses Universi-taires de France, 1965, pp. 256.
Si tratta del nO 5 delle «Annales de philosophie politique)) dell'lnstitut internationale de philosophie politique. Si segnalano in particolare i contributi di : Pierre BURGELIN (Hors des tflnèbtes de la nature, pp .. 21-34; trad. it. in Rousseau, antologia di critica filosofica curata da Mario ANTOMELLI, Milano, ISEDI, 19n, pp. 111-123); Robert DERATHÉ (Les rapports de l'èxécutif et du législatif chez Rousseau, pp. 153-170); Sergio COTTA (Théorie religeuse et théorie politique chez Rousseau, pp, 171-194; e in it. in «Giomale di metafisica)). XIX, 1964, nO 1-2, pp. 1-21).
Rassegna essenziale di scritti dedicati a R. e apparsi dall'inizio del secolo (9).
49. ACHER William, Jean-Jacques Rousseau écrivain de l'amitié, Paris, Nizet, 1971, pp. 213.
50. ALATRI Paolo, Problemi critici su Rousseau, in «Nuova Rivista storica», XLIX, 1965, fase. III-IV, pp. 417-431.
51 . AL THUSSER Louis, Sur le «Contrat sociab) (Les décalagesJ, in «Cahiers pour l'analyse>y, no. 8 - Paris, Le Graphe, 1967 -, pp. 5-42.
52. ANSART-DOURLEN Michèle, Dénaturation et violence dans la pensée de J ,-J. Rousseau, Paris, Klincksieck, 1975, pp. 11-303.
28
53. AUGÉ Mare, Montesquieu, Rousseau et l'antropologie politique, in «Cahiers internationales de sociologie», genn.-giugno 1966, pp. 17-42.
54. BACZKO Bronislaw, Rousseau: Samotnosé i wsp61nota (19641. trad. frane. di Claire BRENDHEL-LAMHOUT, Rousseau: solitude et communauté, Paris, Muton, 1974, pp. 423.
55. BASTIDE Paul, Rousseau et la théorie des formes du gouvernement, in ED, pp. 315-327.
56. BENRUBI lsaac, J.-J. Rousseaus ethisches IdeaI, Langensalza, H. Beyer, 1905, pp. 141.
57. - Id., L 'idéal moral chez Rousseau, Mme de Stael et Amiel, in AJJR, XXVII, 1938, pp. 8-304.
58. BESSE Guy, Libre a/bitre et vertu. La «(Nouvelle Hélo;se)) et /'heritage cartésien, in Roman et Lumières au XVlllesiècle, Paris, Editions Sociales, 1970, pp. 284-308.
59. - Id ., Le sage et le citoyen selon J,-J. Rousseau, in «Revue de MétaphysiQue et de morale», LXXVIII, 1, genn.-marzo 1973, pp. 18-31.
60. BOUCHARDY François, Une définition de la conscience par J.-J. Rousseau, in AJJR, XXXII, 1950-1952, pp. 167-175.
61. BRÉHIER Emile, Les lectures malebranchistes de JeanJacques Rousseau, in «Revue intern.ationale de philosophie», no. 1, 15 otto 1938, pp. 98-120.
62. BRUNELLO Bruno, G.-G. Rousseàu, filosofo della politica, Bologna, N.U. Gallo, 1961, pp. 231(rist. di una precedente ed.: Modena, 1936).
63. BRUNO Antonino, Illuminismo e romanticismo in Rousseau e Hegel, Bari, Laterza, 1955, pp. 109.
64. - Id., La formazione del pensiero politico di Rousseau. La critica del giusnaturalismo nei «Discours)), Catania, Bonanno, 1965, pp. 95.
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(9) Si è scelto di nOA segnalare molti e importanti studi sul settecento o che si riferiscono a problematiche connesse, anche strettamente, a quella rousseauiana, in quanto facilmente reperibili nelle rassegne bibliografiche già citate e/o nelle bibliografie di cui sono corredate diverse edizioni critiche e traduzioni italiane già citate, nonché altre opere che vengono qui menzionate.
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32
Medaglia commemorativa del bicentenario della morte di Rousseau, stampata dali' Associazione degli Amici di Jean-Jacques Rousseau di Neuchiìtel.
Dritto: busto di Rousseau, secondo l'originale in gesso di J.-A. Houdon, proprietà della Bibliothèque de la Ville di Neuchatel.
Rovescio: sigillo di cera con la massima di Giovenale fatta propria da Rousseau:
«Spendere la propria vita per la verità».
REDAZIONE: Sergio Ca ratti direttore responsabile
Maria Luisa Delcll Mario Delucchi Diego Erba Fr-llnco Lepori Mauro Martinoni Giuseppe Mondada Felice Pelloni Enrico Simona Antonio Spadafora
SEGRETERIA : Wanda Murialdo, Dipartimento della pubblica educazione, Sezione pedagogica, 6501 Bellinzona, tel. 092243455
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GRAFICO: Emilio Rissone
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TASSE: abbonamento annuale fascicoli singoli
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