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Andrea Pinotti
Piccola storia della lontananza
Walter Benjamin storico della percezione
. .
Progetto grafico di Giorgio Catalano
ISBN 88-7043-096-0 ©1999 Raffaello Conina Editore
Milano, via Rossini 4
Prima edizione: 1999
Premessa
Sigle utilizzate
Indice
l. "Un breve scritto programmatico"
2. "Una sorta di ubiquità"
3. Una lontananza, per quanto vicina
Excursus: aura ed empatia
4. Storia dell'arte e storia della percezione
5. Culto ed esposizione
6. Tecnica e preistoria
7. Tecnica e mimesi
8. Specchi, maghi e chirurghi
9. Gnoseologia della dinamite
10. Teoria dd proiettile
11. Estetica ed estetizzazione
12. Una vicinanza, per quanto lontana
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La lontananza è il contrario della vicinanza Walter Benjamin
Premessa
"Con tutta la sua tenera dedizione alle cose, la sua filosofia si rompe incessantemente i denti mordendo i noccioli": così Adorno caratterizza lo stile filosofico di Benjamin, nd suo approccio ravvicinato, tattile al mondo. Questa palpazione del reale contrastava singolarmente con qudla sorta di incorporeità da cui, come conferma anche Scholem, Benjamin appariva affetto nei rapporti umani: "Che gli amici non osassero anche soltanto mettergli una mano sulla spalla". Essi erano tenuti a distanza, per quanto potessero essere vicini: erano, per così dire, guardati a vista. ·
La medesima polarità di vicino e lontano, di toccare e vedere, di tattile e ottico, domina larga parte ddla riflessione benjaminiana rivolta ai modi di esperienza tipici della modernità, e in particolare ai modi ddl' esperienza artistica. Distanza e lontananza, occhio e mano costituiscono un vero e proprio paradigmil este-tico per l'interpretazione di tale esperienza. ·
A questa interpretazione - così come è proposta soprattutto nel saggio benjaminiano del1936 L.:opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica - è rivolto questo testo. Esso nasce nell'ambito di un seminario connesso al corso di Estetica tenuto dal professor Gabriele Scaramuzza ndl'anno accademico
lO PREMESSA
1998-1999 presso l'Università degli Studi di Milano e dedicàto alla questione della decadenza dell'aura nel pensiero di Benjamin. La natura dello scritto, di carattere espositivo, risponde in primo luogo a esigenze didattiche e riflette il lavoro seminariale di lettura diretta del saggio sull'opera d'arte.
In secondo h10go, esistendo di tale saggio quattro redazioni diverse - tre stese da Benjamin in lingua tedesca e una da lui approntata in lingua francese in collaborazione con il traduttore, Pierre Klossowski -, di cui solo la terza versione tedesca è stata tradotta in italiano, si è ritenuto che l'esposizione paragrafo per paragrafo dell'opera potesse meglio dar conto delle differenze presenti nelle tre stesure ancora non tradotte nella nostra lingua, i cui elementi più salienti sono stati comparativamente evidenziati e messi a disposizione degli studenti insieme con la traduzione di alcuni appunti dai materiali preparatori, parerghi e paralipomeni. Si è tentato, inoltre, di rapportare l'insieme di questi scritti riguardanti l'opera d'arte con il resto della produzione benjaminiana, in primis con gli altri lavori degli anni Trenta (come ad esempio la Piccola storia della fotografia, le tesi Sul concetto di storia, il Passagenwerk), per alludere almeno ai numerosissimi rimandi interni, non di rado in forma di citazioni, che caratterizzano il corpus di Benjamin.
D'altra parte, non v'è naturalmente esposizione che non scaturisca da un punto di vista, da una chiave di lettura, a partire dalla quale viene a determinarsi la salienza di questo o quell'elemento. il saggio di Benjamin sull'opera d'arte - come in generale ogni suo scritto - si articola su molteplici livelli, di cui, per !imitarci a quelli più macroscopici, si possono menzionare il politico, il teologico, il dialettico, quello relativo alla filosofia della cultura e alla filosofia della storia
PREMESSA 11
(dell'arte). Collocandosi, come si è detto, nell'ambito di un seminario relativo a un corso di Estetica, il punto di vista della presente esposizione è un punto di vista estetico- nel duplice senso che il termine. "estetica" ha assunto nel corso della storia di tale disciplina: teoria dell'aisthesis, della sensazione e della percezione, dottrina della conoscenza sensibile da un lato, e dall'altro teoria o filosofia dell'arte (delle arti).
Certamente di arti particolari si parla in questo saggio: di pittura e di scultura, di epica e di teatro, di fotografia e di cinema; così come si parla della storia dell'arte, dalle sue origini magiche e cultuali fino alle avanguardie novecentesche e all'epoca dell'infinita riproducibilità delle opere; così come si parla di questioni tradizionalmente connesse alla teoria dell'arte: il bello, l'apparenza, la ~mesi, il rapporto fra arte e tecnica. Ma l'importanza attribuita da Benjamin al momento della ricezione dell'opera ·d'arte lo porta a evidenziare gli aspetti sensibili, estesici, percettivi della fruizione dell'artistico, e a descriverne la storia. Ecco allora che la storia delle arti si correla alla storia della percezione, alla storia cioè delle differenti modalità di rapporto estetico-sensibile tra un'umanità e il proprio mondo, alla storia delle diverse modulazioni dell'accesso corporeo al reale- storia di cui l'esperienza artistica costituisce una, anche se non l'unica, espressione pregnante, come insegnarono a Benjamin gli storici dell'arte della Scuola di Vienna, e sopra tutti Alois Riegl.
In virtù di tale correlazione tra artistico e percettivo, l'intenzione benjaminiana di elaborare in questo saggio una teoria materialistica dell'arte viene ad assumere - fatte salve le sue implicazioni politiche, che ne deteminarono un notevolissimo successo di pubblico, specialmente dopo il Sessantotto, e sulle quali tuttavia il presente lavoro non si focalizza - un senso più am-
12 PREMESSA
pio, comprendente cioè la materialità del corpo proprio, nella sua concretissima relazione estesica con il mondo, articolata secondo le categorie fondamentali del vicino e del lontano, del tattile e dell'ottico: veri e Sigle utilizzate propri a priori corporei, trascendentali materiali del-l' esperienza tout court.
Ringraziamenti
Al professor Gabride Scaramuzza devo il generoso incoraggiamento a intraprendere questo lavoro. Agli amici Maddalena Mazzocut-Mis, Mauro Carbone, Markus Ophiilders i preziosi suggerimenti che lo hanno migliorato. Al professor Elio Frarizini il consiglio di dubitare della tesi che lo sottende.
GS Walter Benjamin, Gesammelte Schriften, unter Mitwirkung von Th.W. Adorno u. G. Scholem hrsg. v. R Tiedemann u. H. Schweppenhauser, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1972-.
Per il saggio I: opera d'arte nell'epoca della sua riproduabilità teatica (io GS VII-2, 681-682 si può trovare un utile schema sinottico delle quattro versioni):
I Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit- Erste Fassung, redatta fra il settembre e l'ottobre del 1935 (in GS I-2, 431-469; note dei curatori in GS I-2, 982-1063).
II Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit- Zweite Fassung, redatta fra la fine dell935 e i primi di febbraio dell936 (in GS VII-l, 350-384; note dei curatori in GS VII-2, 661-690). Si veda la t r. i t. di D. Maierna di due brani (GS VII-l, 381, 369 e nota) con il titolo redazionale LA ricev'one distratta, e commento di F. Desideri, La verità mimetica, in "Linea d'ombra", 131, marzo 1998, pp. 30-33.
Fr. L: ceuvre d'art à /' époque de sa reprodudion mécanisée,:tr. francese di P. Klossowski, elaborata in collaborazione con lo stesso Benjamin tra il gennaio e l'aprile dell936; pubblicata nella "Zeitschrift fiir Sozialforschung", 5, 1936, pp. 40-66 (in GS I-2, 709-739; note dei curatori in GS I-2, 982-1063, spec. 1006-1020). Questa versione fu l'unica edita quando Benjamin era ancora in vita.
III Das Kunstwerk im Zeùalter seiner technischen Reproduzierbarkeit- Dritte Fassung, redatta fra la primavera dell936 e il 1939 (in GS I-2, 471-508; note dei curatori in GS I-2, 982-
14 SIGLE UTILIZZATE
1063). È su questa stesura che si basa la traduzione italiana: "I.:opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica", in W. Benjamin, L: opera d'arte nell'epoca della sua riproducibi· lità tecnica. Arte e società di massa, prefazione di C. Cases, t r. it. di E. Filippini, Einaudi, Torino 1966, pp. 17-56 {nuova ed.
'1991, con un saggio di P. Pullega). Si utilizzerà questa traduzione, segnalando di volta in volta eventuali modifiche.
Per le altre opere benjaminiane:
AN Angelus Novus. Saggi e frammenti, tr. it. e introd. di R. Solmi, Einaudi, Torino 1962 (nuova ed. 1995, con un saggio di F. Desideri).
AR Avanguardia e rivoluzione. Saggi wl/a lei/era tura, tr. it. di A. Mari etti, introd. di C. Cases, Einaudi, Torino 1973.
CCRT Il conce/lo di critica nel romanticismo tedesco. Scritti 1919-1922, a c. di G. Agamben, t r. it. di C. Colaiacomo, R Solmi, A. Marietti Solmi, A. Moscati, G. Agamben, Einaudi, Torino 1982.
CR Critiche e recensioni. Tra avanguardie e le/leratura di consumo, t r. i t. di A. Mari etti Solmi, Einaudi, Torino 1972.
CS Sul conce/lo di storia, a c. di G. Bonola e M. Ranchetti, Einaudi, Torino 1997.
DB Il dramma barocco tedesco [1928]. tr. it. di E. Filippini, introd. di C. Cases, Einaudi, Torino 1980.
H Sull'hascisch, con testimonianze diJ. Selz, tr. it. e nota di G. Backhaus, Einaudi, Torino 1975.
IB Infanzia berlinese, tr. it. di M. Bertolini Peruzzi, Einaudi, Torino 1982.
JJB Il viaggiatore solitario e il /Un eu r. Saggio su Bachofen [1934], a c. di E. Villari, il melangolo, Genova 1998.
MG Metafisica della gioventù. Seri/li 1910-1918, a c. di G. Agamben, tr. it. di I. Porena, A. Marietti Solmi, R. Solmi, A. Moscati, Einaudi, Torino 1982.
OA L: opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, tr. it. di E. Filippini, pref. di C. Cases, Einaudi, Torino 1966, pp. 17-56 (nuova ed. 1991, con un saggio di P. Pullega).
OC Ombre corte. Seri/li 1928-1929, a c. di G. Agamben, tr. i t. di G. Backhaus, M. Bertolini Peruzzi, G. Carchia, G. Gurisatti, A. Mari etti Solmi; Einaudi, Torino 1993.
SIGLE UTILIZZATE 15
PW Parigi, capitale del XIX secolo. I 'passages di Parigi, a c. diR Tiedemann, ed. it. a c. di G. Agamben, tr. it. di R. Solmi, A. Moscati, M. De Carolis, G. Russo, G. Carchia, F. Porzio, Einaudi, Torino 1986.
SSU Strada a senso unico. Seri/li 1926-1927, a c. di G. Ag~mben, tr. i t. di B. Cetti Marinoni, G. Carchia, A. Marietti Sol mi, M. Ber· tolini, Einaudi, Torino 1983.
Per gli epistolari:
A-B Th.W. Adorno - Walter Benjamin, Briefwechsel 1928-1940, hrsg. v. H. Lonitz, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1994.
Br Bn'efe, 2 voli., hrsg. v. G. Scholem u. Th.W. Adorno, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1978.
L Lei/ere 1913-1940 [1966], raccolte da G.G. Scholem eTh.W. Adorno, tr. it. di A. Marietti Solmi e G. Backhaus, Einaudi, Torino 1978.
TU W. Benjamin ·G. Scholem, Teologia e utopia. Carteggio 1933-1940, a c. di G. Scholem, t r. i t. di A. M. Mari etti, Einaudi, Torino 1987.
l "UN BREVE SCRITTO PROGRAMMATICO"
Il saggio r.: opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica appare per la prima volta- nella versione francese tradotta da Pierre Klossowski con il titolo r.: ceuvre d'art à l' époque de sa reproduction mécaniséenel maggio del 1936 sulla rivista "Zeitschrift fiir Sozialforschung", organo dell'Istituto per le Scienze Sociali di Francoforte diretto dal 1931 da Ma x Horkheimer. La rivista era stata fondata nell932 e, in seguito alla chiusura dell'Istituto detenninata dall'ascesa al potere dei nazisti nel 193 3, continuava ad essere pubblicata dall'esilio negli Stati Uniti, a New York; esisteva però anche una sede parigina, con la quale Benjamin collaborava.
Fino all97 4 -data di pubblicazione di GS I- si conoscevano soltanto due redazioni tedesche dyl saggio sull'opera d'arte: una precedente e una succe:Ssiva alla versione francese. Ma le notevoli modificazioni della F r. rispetto alla I inducevano i curatori a sospettare che tra il manoscritto della prima redazione e la traduzione francese esistesse un'citeriore redazione dattiloscritta, ristÙtata dalle prime discussioni di Benjamin con Horkheimer e posta alla base del lavoro di traduzione,
18 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
che avrebbe apportato ulteriori cambiamenti: tale dattiloscritto era ritenuto in trova bile o perduto. Esso venne poi fortunatamente ritrovato, nella forma di un dattiloscritto misto, che comprende anche riformulazioni e aggiurte di note (cfr. GS VII-2, 662), tra le carte dell'archivio Horkheimer alla Frankfurter Stadt- und Universitiitsbibliothek e pubblicato in GS VII-l. "È il lavoroscrivono i curatori- nella versione che Benjamin voleva vedere pubblicata per la prima volta" (GS VII-2, 661), quel lavoro da lui chiamato Urtext.
È dunque a questa seconda redazione che fanno riferimento la lettera di Benjamin ad Adorno del 7.2.1936 (A-B, 163-64), riguardante un primo dattiloscritto caratterizzato come il lavoro "finito, per così dire, per la prima volta", e sottoposto a rielaborazioni e aggiunte di note quali risultarono dalle conversazioni avute con Horkheimer a Parigi "nel modo più fecondo e nell'atmosfera più amichevole" 1, proprio prendendo le mosse da alcuni spunti forniti alla discussione dallo stesso Adorno.
Questi ricevette, come si può evincere dalla lettera accompagnatoria di Benjamin del27.2.1936, un esemplare dattiloscritto della seconda versione in tedesco che riportava ancora i segni del lavoro di traduzione condotto in collaborazione con KlossowskF ("La p re-
l. In tali conversazioni Horkheimer aveva anche manifestato l'intenzione di contribuire al miglioramento delle condizioni materiali di Benjamin. In una lettera ad Adorno del 26.01.1936, Horkheimer scrive: • Avevamo parlato [sci!. a proposito dd saggio sull'opera d'arte] di 1000 franchi- è in· delicato da parte mia ricordarLe questa cifra? Dal momento che egli [scii. Benjamin] non può guadagnare nulla di più, anche facendo il più possibile economia, con meno a Parigi non ce la può fare'" (cit. in A-B, 165 n.).
2. Si veda la lettera indirizzata ad Adrienne Monnier, in cui Klossowski osserva: "Benjamin, valutando troppo libera la mia prima versione, aveva ricominciato a tradurlo insieme a me. Doveva risultame un testo assolutamente illeggibile a furia di venire ricalcato anche sulle più piccole locuzioni tedesche di cui Benjamin non accettava alcuna trasposizione. Spesso la sin-
"UN BREVE SCHr!TO PROGJV\MMATICO" 19
go di scusarmi per questo"): "Spero di non dover aspettare troppo tempo prima di ricevere la Sua risposta. Anche se questa giungerà in poco tempo, come sempre, sarò impaziente. Il lavoro estremamente intensivo che per due settimane mi ha impegnato con il mio traduttore mi ha pem1esso di assumere rispetto al testo tedesco una distanza che di solito ottengo solo in tempi più lunghi. Non lo dico minimamente per allontanarmi da esso, ma piuttosto perché solo da questa distanza vi ho scoperto un elemento che vedrei volentieri raggiungere un qualche onore proprio in Lei come lettore: appunto l'urbanità cannibalica, una prudenza e cautela nella distruzione, che- come spero- rivela qualcosa di quell'amore per le cose a Lei più familiari che le mette a nudo" (A-B, 165-66)3•
Ma attraverso i riferimenti al saggio sull'opera d'arte rintracciabili nelle lettere, oltre che della storia del testo e delle speranze che il suo autore riponeva in una traduzione russa\ è possibile farsi anche un'idea del
tassi francese dava letteralmente dei crampi a questo logico irriducibile" (tr. it. di R. Prezzo, in 'aut aut", 189·90, 1982, p. 8).
3. Si veda la lunga e impOrtante lettera che Adorno scrisse a Benjamin da Oxford il18.3.1936, che fa indubitabilmente riferimento alla redazione II, poiché richiama concetti come "seconda tecnica", "rappresentazione e apparenza" che non sono presenti nella l.
4. Benjamin riteneva l'Unione Sovietica la terra d'dezione dd saggio. Nella lettera inviata a Kitty Marx·Steinschneider ill5 aprile 1936 da Parigi, Benjamin fa riferimento al saggio sull'opera d'arte come a un "piccolo frutto", e accenna al progetto di preparare la versione in russo: "Dei rrlolti fastidi quasi sempre connessi con tali attività [scii. di traduZione], sono compen· sato dall'interesse per le prime reazioni a un tale lavoro, un interesse che per la sua spiccata caratterizzazione è spesso superiore a quello per le reazioni successive in certo qual modo ufficiali. Avrei quasi motivo per dedurne che proprio nel paese che ne è il destinatario naturale, in Russia, esso avrà meno effetti che in ogni altro" (L, 317·18). "Sono estremamente ansioso- si legge in una lettera ad Alfred Cohn dd 26 gennaio 1936- se la si pubblicherà in Russia. t possibile. Tuttavia una decisione positiva mi meraviglierebbe di più di una negativa" (Br, 704). Sull'incontro di Benjamin con la realtà sovie-
20 PICCOLA STOIUII. DELLA LONTANANZA
ruòlo che Benjamin stesso attribuiva a questo breve scritto nell'ambito delle ricerche che lo occupavano intorno alla metà degli anni Trenta.
Per la prima volta Benjamin vi allude in una lettera indirizzata a Max Horkheimer il 16 ottobre 1935 da Parigi: "La Sua ultima lettera mi ha indotto a porre in un canto il quadro storico del problema, che era ormai · provvisoriamente fissato, per dedicarmi a riflessioni costruttive che determineranno il quadro complessivo dell'opera [scil. il Passagenwerk]. Ora, per quanto queste riflessioni costruttive possano apparirLe provvisorie nella forma in cui io le ho fissate, posso tuttavia affermare che esse costituiscono una puntata in direzione di una teoria materialistica dell'arte, che dal canto suo conduce ben al di là dell'abbozzo a Lei noto5• Questa volta si tratta infatti di determinare il luogo esatto del presente a cui la mia costruzione storica si riferirà come al suo punto prospettico. Se il tema del libro è il destino dell'arte nel diciannovesimo secolo, questo destino ha qualcosa da dirci solo perché è racchiuso nel ticchettio di un meccanismo a orologeria che per ora solo le nostre orecchie odono scandire le ore. Ciò che intendo dire è che l'ora fatale dell'arte ha suonato per noi, e io ne ho fissato il segno in una serie di riflessioni provvisorie che portano il titolo Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit. Tali riflessioni tentano di dare una forma veramente attuale ai problemi della teoria dell'arte: e lo fanno dall'interno [von innen her],
tica è importante testimonianza il Dia n'o moscovita {a c. di G. Smith, tr. it. di G. Carchia, prcf. di G. Scholem, Einaudi, Torino 1983), rdativo al viaggio da lui compiuto tra ill926 e ill927, non da ultimo indotto dalla passione per la regista Asja Lacis, conosciuta a Capri nd 1924. La Lacis dedicò a Benjamin alcune pagine dd suo Professione n'voluzionana [1971], tr. it. di E. Casini-Ropa, pref. di F. Cruciani, Fdttinelli, Milano 1976.
5. Cioè l'Exposé su Parigi, capitale del XIX secolo (PW, 5·19).
"UN D RE VE SCRilTO PROGRAMMATICO" 21
evitando ogni riferimento diretto con la politica. Queste annotazioni, che non si riferiscono quasi mai a materiale storico, non sono molto ampie. Hanno unicamente un carattere di principio. Le vedrei benissimo nella rivista. Naturalmente mi farebbe molto piacere che fosse proprio Lei a pubblicare questo prodotto del mio lavoro. Non intendo comunque farlo pubblicare senza aver prima sentito il Suo parere in proposito" (L, 311-12).
Come mostra questa lettera, il lavoro al saggio sull'opera d'arte deve essere contestualizzato nell'ambito delle vaste ricerche storiche che Benjamin andava conducendo sui passages parigini, di cui quel saggio doveva costituire una sorta di nucleo teorico, in particolare di teoria materialistica dell'arte, e di teoria immanente all'arte stessa ("dall'interno, evitando ogni riferimento diretto con la politica"). Il tono di Benjamin è piuttosto apocalittico e l'accento temporale è posto sul presente, laddove l'indagine sui passages appare una ricostruzione storica del passato prossimo, l'arte ottocentesca. Il saggio avrebbe dunque il compito di esporre con chiarezza qualcosa che altrimenti rimarrebbe nascosto o implicito nell'opera maggiore.
Benjamin accenna al saggio anche in una lettera indirizzata a Scholem il23 ottobre 1935, sempre da Parigi: "Negli ultimi tempi questo [scil. il mio vero lavoro] ha ricevuto un impulso decisivo da alcune concl,usioni fondamentali [grundlegende Feststellungen] a cui sono giunto nell'ambito della teoria dell'arte. Insieme allo schema storico [historischen Schematismus] che ho svi· luppato circa quattro mesi fa, esse- come linee di fondo sistematiche [systematische Grundlinien]- costituiranno una sorta di reticolo [ Gradnetz] che dovrà essere arricchito di tutti i particolari. Queste riflessioni anco-
22 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
rano la storia dell'arte nel diciannovesimo secolo alla conoscenza della situazione da noi vissuta nel presente. Io le tengo molto segrete, perché sono infinitamente più adatte a essere rubate della maggioranza delle mie idee. La loro stesura provvisoria si intitola I: opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" (L, 316).
È una lettera a Kitty Marx-Steinsclmeider, del24 ottobre 1935, a permettere di fissare all'arco di tempo fra il settembre e l'ottobre del193 5 il periodo della prima redazione del saggio: "Nelle ultime settimane mi sono occupato di fissare alcune riflessioni decisive sulla teoria dell'arte [ ... ]. È come se fossi riuscito ad afferrare per la prima volta queste riflessioni, che si erano sempre mantenute nascoste nelle mattine del giorno calante, una volta fatte uscire alla luce di mezzogiorno" (Br, 697).
Significativa a tal riguardo è anche una lettera a Werner Kraft, del28 ottobre 1935: "Per quanto mi riguarda, mi sforzo di rivolgere il mio telescopio attraverso la nube sanguigna ad una fata morgana del diciannovesimo secolo, secolo che mi sforzo di ritrarre secondo quei tratti che esso mostrerà in un futuro stato del mondo liberato dalla magia. Naturalmente devo innanzi tutto costruirmi io stesso questo telescopio, e in tale sforzo ho ora trovato per primo alcune proposizioni fondamentali della teoria materialistica dell'arte. Sono attualmente in procinto di chiarirle in un breve scritto programmatico" (Br, 698-99). ·
In una lettera a [B.] del24 novembre 193 5 leggiamo un'ulteriore conferma del nesso strettissimo ravvisato da Benjamin fra il saggio sull'opera d'arte e il Passagenwerk: "Il baricentro del mio lavoro si è sensibilmente spostato. Il lavoro riguarda sempre il mio grande libro. Ma lo svolgo solo di rado in biblioteca. Piuttosto ho interrotto gli studi storici[ ... ] e ho incominciato a
-uN UREVESCRr!TO PHOGRAMMATICO" 23
dedicarmi all'altro lato della bilancia. Poiché ogniconoscenza storica si può rappresentare nell'immagine di una bilancia in equilibrio, della quale un piatto è caricato con il passato, e l'altro con la conoscenza del presente. Mentre sul primo piatto i fatti non potrebbero mai venire raccolti in modo abbastanza modesto e abbastanza numeroso, sul secondo piatto possono stare solo pochi pesi massicci. Sono questi pesi che mi sono procurato negli ultimi due mesi attraverso delle riflessioni sulle condizioni di vita dell'arte [nel] presente. Così facendo, sono giunto a formulazioni straordinarie e derivanti da concezioni e concetti del tutto nuovi. E posso ora affermare, che la teoria materialistica dell'arte, di cui si era sentito molto parlare, ma che nessuno aveva ancora visto con i propri occhi, adesso esiste" (GS VI, 814; cfr. GS VII-2, 665).
Lo ribadisce una lettera a Kraft del 27 dicembre 193 5, in cui si annuncia la conclusione del saggio: "Infine vorrei aggiungere che ho concluso un lavoro programmatico sulla teoria dell'arte. Si intitola L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Non ha alcun rapporto di carattere contenutistico con il libro grande [scii. il Passagenwerk], di cui ho menzionato il progetto, ma ha uno strettissimo rap-
. porto metodologico con esso, dal momento che ogni lavoro storico, soprattutto se pretende di inscriversi nell'ambito del materialismo storico, deve essere preceduto da una esatta fissazione della posizione del presente nelle cose la cui storia deve essere rappresentata: [. .. ] il destino dell'arte nel diciannovesimo secolo" (Br, 700).
Come si può evincere dai documenti epistolari, è dunque al grande lavoro rimasto incompiuto sui passages parigini che Benjamin connette il saggio sull'opera
24 PICCOLA srOIUA DELLA LONTANANZA
d'arte: la natura del rapporto fra il primo e il secondo è quella eli una relazione fra un 'indagine storica sul passato e una ricerca teorica, metodologica, programmatica, eli carattere materialistico.
Questo ruolo di premessa teorico-metodologica del saggio nei confronti del grande affresco storico lo pone per così dire in concorrenza con un altro scritto teorico dell'ultimo Benjamin, le celeberrime tesi Sul concetto di storia- stese in un periodo che va dagli ultimi mesi del 1939 ai primi del1940 -,anch'esse da riferirsi a un contesto eli ricerca più ampio consistente nel progetto complessivo eli Parigz; capitale del XIX secolo, "rispetto al quale sorge talvolta il sospetto che non sia stato sempre ed esclusivamente la miniera da cui estrarre passi da riportare nel brogliaccio delle tesi in fieri, ma in qualche raro caso anche, all'inverso, il deposito in cui trasferire nuove intuizioni cui le tesi avevano portato la riflessione, in vista eli altre future utilizzazioni"6 (CS, XIV).
Come nel caso della "premessa gnoseologica" allo studio del1928 sul dramma barocco tedesco (cfr. DB, 3-3 7) - anche se con un effetto che alla lettura risulta meno terrificante di quell"'angelo con la spada fìammeggiante"7- avremmo a che fare con una introduzio-
6. I curatori, G. Bonola e M. Ranchetti, ricordano come uno degli s.p· punti dd Passagenwerk {N Il,4) sembri "contenere in nuce quasi per intero il pianodclle tesi" (CS, XII} e si appoggiano ad Adorno, secondo il quale "le tesi Sul concetto di storia riassumono,[ ... ] per cosi dire, le riflessioni sulla teoria della conoscenza [. .. ) il cui svilur.po ha accompagnato quello dd progetto di lavoro suipassages parigini" W ber Walter Benjamin, Suhrkamp, Frankfurt a.M.l970, p. 26).
7. i?. così che Scholem caratterizza la "premessa gnoseologica": •na sempre l'introduzione al Dramma barocco di W alter Benjamin ha scoraggiato molti lettori. Essa sta davanti allibro come l'angelo con la spada fiammeggiante del concetto all'ingresso del paradiso della scrittura" {G. Scholem, "Walter Benjamin" [1965], in Walter Benjamin e il ruo angelo, tr. it. di M. T. Mandalari, Addphi, Milano 1978, p. 90}. Rispetto al mutamento di stile OC·
corso dai primi scritti, caratterizzati da un rimuginare sull'incomunicabile,
"UN BREVE SCRITIU PROGRAMMAllCO" 25
ne teorica ad un'indagine storica: ma al ruolo di tale introduzione sembrano aspirare due scritti. Come intendere il loro rapporto? Non certo, a quanto sembra, nel senso di una sostituzione nel ruolo eli premessa metodologica del saggio sull'opera d'arte, ormai "datato", da parte delle più tarde Tesi. Benjamin tornò infatti sempre di nuovo a modificare, integrare, ritoccare il saggio sull'opera d'arte, intendendolo, più che come un testo compiuto e concluso, come un vero e proprio "work in progress" (cfr. GS I, 1035). In una lettera del 12.3 .3 8 a Karl Thieme egli scriveva eli aver trovato- o così almeno credeva- "una fondazione ricca eli conseguenze del concetto eli aura". E ancora tra il gennaio e il febbraio del1940 (Benjamin, lo ricordiamo, si sarebbe tolto la vita nella notte fra il26 e il27 settembre dello stesso anno) andava raccogliendo citazioni e note "Zum 'Kunstwerk im Zeitalter"' (cfr. Epilegomena: GS VII-2, 67 3).
Verrebbe da pensare piuttosto al rapporto tra una teoria della spazialità e una teoria della temporalità come indagini sulle condizioni di possibilità dell' esperienza della modernità, la cui "protostoria" sarebbe stata tentata nel Passagenwerk. Se il saggio sull'opera d'arte è incentrato sull'analisi eli categorie spaziali come la distanza e la lontananza, e sulle prassi tatti!i e ottiche eli apprensione spaziale, le tesi sul concetto eli sto-
i
agli ultimi, ispirati da una "volontà di trovare un accomodamento fra il suo tipo di esperienza spirituale e una comunicazione più vasta", Adorno indica come esemplare dei primi Il compito del traduttore, dei secondi il saggio sull'Opera d'arte, che" descrive non soltanto i nessi storico-filosofici che dissolvono quell'demente [scii. non comunicativo], ma contiene segretamente anche u,n programma per la stessa attività letteraria di Bcnjarnin, cui poi cercano di obbedire il saggio Su alcuni motivi di Baudelaire e le tesi Sul conce/lo di storia" ("Introduzione agli scritti di Benjamin" [1955), in Note per la /et· t era tura 1961-1968, tr. it. di E. De Angdis, Einaudi,1òrino 1979, p. 254}.
26 PICCOLA STOIUA DELLA LONTANANZA
ria assumono a proprio oggetto la dimensione della temporalità, del passato e della mem~:>ria. Ciò naturalmente non impedisce- come vedremo- che i percorsi dei due testi teorici si intersechino, ad esempio sui temi del progresso e della tecnica, e che la dimensione del tempo e della storia interessi anche quelle coppie categoriali spaziali di vicino/lontano, tattile/ ottico, determinandone la storicità.
2 "UNA SORTA DI UBIQUITÀ"
Già nell' esergo1 al saggio veniamo introdotti immediatamente nel cuore della questione della storicità della percezione. In una lunga citazione da La conquete de l' ubiquité- di Paul Valéry, breve scritto del1928 in cui l'autore si sofferma sulle profonde trasformazioni che le innovazioni tecniche hanno prodotto nel concetto di bello e di Arte, leggiamo tra l'altro che "né la materia né lo spazio, né il tempo non sono più da vent'anru in qua, ciò che erano da sempre". Tale trasformazione investe l'arte nella misura in cui "in tutte le arti si dà una parte fisica che non può più venir considerata e trattata come un tempo, e che non può più verur sottratta agli interventi della conoscenza e della potenza moderne" (III, 18). Si accenna così- anche se fugacemente- al
i l. Nella Fr. manca; nella I e Il l'esergo è costituito dalla citazione di Ma
dame de Duras, "Le vrai est ce qu'il peut; le faux est ce qu'il veut• (Il vero è quel che può, il falso è quel che vuole).
2. Pubblicato in De la musique avo n/ lou/e chore, Éditions du Tambourinaire, Paris 1928; ripreso in tutte le edizioni di Pièces sur l'art; cfc. "'La conquista ddl'ubiquità ",in P. Valéry, Senili sull'arte, te. i t. di V. Lamarque, postfazione di E. Pontiggia, Tea, Milano 1984, pp. 107·109 (la citazione di Benjamin si trova alla p. 107). Nel1936, a Parigi, Benjanùn aveva regalato ad Adorno la terza edizione di Pièces sur l'ari, apparsa proprio in quell'anno. • A durevole ricordo dd giorni parigini dell'ottobre 1936" è la dedica che Benjamin appose al volume (cfr. A·B, 200, n.d.C.).
28 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
punto di ìntersezione tra l'estetica come filosofia dell'arte e l'estetica come teoria della sensibilità: la "parte fisiCa" presente in ogni arte è appw1to quell'elemento che si offre alla percezione sensibile e che si correla alle modifibzioni della sensibilità.
Come risulterà evidente dalla trattazione dello sviluppo dei rapporti percettivi tra uomo e mondo che Benjamin condurrà nei paragrafi successivi, il punto cruciale qui è appunto la questione della storicità dell'estetica, cioè delle condizioni di possibilità dell'esperienza sensibile (materia, spazio, tempo), che non sarebbe plausibile porre come universali, cioè sempre uguali a se stesse in ogni tempo e in ogni luogo. Tale storicità, come vedremo, verrà però pensata da Benjamin in modo molto più ampio rispetto a Valéry, che si limita in questo passo a considerare solo le trasformazioni degli ultimi vent'anni (cioè dei primi due decenni del Novecento), rispetto ai quali il "prima" è visto come un blocco compatto e uguale a se stesso.
È nella Premessa che Benjamin tenta di fondare dal punto di vista del materialismo marxista il proprio metodo di indagine di tali trasformazioni storiche, operando una di quelle che Adorno chiamava "iniezioni materialistiche" nel suo pensierol e che come tale dovette apparire a Horkheimer (vuoi per motivi di opportunità politica, vuoi per motivi interni al saggio) un "corpo estraneo"4 da eliminare nella versione francese,
3. Note per la letteratura, cit., p. 254. Adorno ricorda come Benjamin abbia •parlato occasionalmente del 'veleno materialistico' che era costretto a mescolare al suo pensiero affinché sopravvivesse" (''Profilo di Wa.lter Benjamin" [1950), in Prismi. Saggi sulla critica della cultura, te. i t. di C. Mainoldi, Einaudi, 'l,' orino 1972, p. 240).
4. P. Pullega, Nota 1991, in OA, 175-76; Pullega ricorda la polemica contro l'atteggiam~to prudente e in qualche misura cxnsorio di Horkhei· rner condotta da Ros:emarie Heise (t r. i t. in "Carte segrete" ,.9, 1969, pp. 23-37).
'UNA SORTA DI UDIQUITA'
nel complesso molto più moderata rispetto al testo tedesco per quel che riguarda i riferimenti politici e ideologici.
La premessa riguarda una questione· centrale del pensiero mandano, quella dei rapporti tra struttura [Struktur] e sovrastruttura [Uberbau], cioè dei rapporti tra le forze produttive (i mezzi della produzione e le tecnologie e i sa peri che la rendono possibile) e le manifestazioni teoriche, ideologiche e culturali che vi corrispondono. Benjamin- che nel testo tedesco impiega i termini Unterbau e Uberbau5 -vuole prendere in considerazione le "tendenze dello sviluppo dell'arte nelle attuali condizioni di produzione".
n problema della relazione struttura-sovrastruttura non è certo inteso da Benjamin in senso deterministico e causalistico (lettura contro cui del resto già Marx aveva dovuto mettere in guardia), quanto piuttosto in senso espressivo: è molto esplicito a questo proposito un appunto del Passagenwerk, espressamente dedicato alla "teoria della sovrastruttura ideologica": "Se la strut-
5. Nella seconda Lettera da Parigi, del19}6, e, in modo leggermente più esplicito, nella recensione al libro di Gisèle Freund, LA photographie en Fra~ce au dix·neuvième siècle. Essai de sociologie et d'esthétique, del1938, BenJamin così affronta la questione del rapporto fra opera e società: •scrive l'aut~ce [scii. la Freund]: 'Quanto più grande è il genio dell'artista, tanto meglio la sua opera riflette- e proprio in forza ddl'originalità della sua forma -le tendenze della società a lui contemporanea' {p. 4). Ciò che in questa frase appare problematico non è il tentativo di determinare la portata di ud lavoro in rapporto alla struttura sociale dell'epoca in cui è sorto· problematica è soltanto la con~~one che questa struttura si p_resenti sem'pre sotto lo stesso aspetto. Inventa il suo aspetto potrebbe cambtare con le diverse epoche che volgono il loro sguardo sull'opera" (CR, 309). Sulla questione si veda anche la n. 30 del saggio del!9}7 su Eduard Fuchs, in cui nell'ambito di u!la teoria materialistica dell'arte si descrive un passaggio da un rigido paradigma causalistico ad uno analogico, più elastico, nella comprensione dd rapporto tra struttura e sovrastruttura. In ogni caso, conclude Benjamin il materialista non può trarre automaticamente da premesse relative alla vita lavorativa e sociale "'conclusioni intorno alla genesi degli stili" {OA, 120).
30 PICCOLA STOIUA DELLA LONTANANZA
tura determina in un certo senso nel materiale empirico e intellettuale la sovrastruttura, e se però questa determinazione non ha la forma del semplice rispecchiamento, come va allora concepito- prescindendo completamente dalla questione delle sue cause geneticheil suo vero carattere? Come espressione: la sovrastruttura è l'espressione della struttura. Le condizion1 economiche che determinano l'esistenza della società giungono ad espressione nella sovrastruttura; proprio come, nel caso del dormiente, un imbarazzo di stomaco trova nel contenuto del sogno - per quanto possa determinarlo in senso causale.:.. non il proprio rispecchiamentorna la propria espressione" (PW, 513 )6
.
·Grazie a tale correlazione tra struttura e sovrastruttura, nel saggio sull'opera d'arte Benjamin può elaborare tesi che ".eliminano un certo numero di concetti tradizionali- quali i concetti di creatività e di genialità, di valore eterno e di mistero [SchOp/ertum und Genialitiit, Ewigkeitswert und Geheimnis] -, concetti la cui applicazione incontrollata .(e per il momento difficilmente controllabile) induce a un'elaborazione in senso fascista del materiale concreto" (III; 19).
Creatività, genìalità, valore eterno e mistero dell'arte (è significativo che nella I, 435, Benjamin al posto di Geheimnis poness~ altri tre concetti centrali della tradizionale teoria dell'arte: "stile, forma e contenuto" [Stil, Form und Inhalt]): sono categorie fondative del-
6. Si veda altresll'appunto in PW, 595: •Marx espone la connessione causale tra economia~ cultura. Qui è in questione una connessione espressi· va. Non si tratta di esporre l'origine economica della cultura, ma l'espressio· ne dell'economia nella sua ·cultura. Si tratta, in altre parole, dd tentativo di afferrare un processo economico come un protofenomeno [Urphà.nomen]
· ben visibile, dal qualeJrocedono tutte le manifestazioni vitali dei passages (e, in questa misura, d XIX secolo)". ~J·' ·r·_- - , -
"UNA SORTA DI UlliQUITA•· 31
l'estetica occidentale, che Benjamin non esita a concepire in continuità con una teoria fascista dell'arte, e a contrapporre a quei concetti che nel suo saggio "vengono introdotti per la prima volta nella tèoii.iiddl'~i:te" e. che "~ono ~tilizzabili per la formulazione di esigenze nvoluzwnane nella politica artistica" (III, 20; tr. mod.).
Sconcerta forse che il primo di tali concetti inediti a venìre introdotto nel primo paragrafo sia quello di "riproduzione" [Reproduktion, Nachbildung], dal momento che - come si evince dalla rapida ricognizione o~ferta qui da Benjarnin- esso è da sempre consustanztal~ all'opera d'arte stessa: "In linea di principio, l'opera d arte è sempre stata riproducibile [reproduzierbar]. Una cosa fatta dagli uomini ha sempre potuto essere ri- · ~atta da uon:inì" (III, 20); ad esempio dagli allievi per · unparare dat maestri, da questi per diffondere le loro. creazioni sul mercato, da terzi interessati al guadagno. . Ma a qu~ta riproduzione [Nachbtldung], che è. uri .
rifare e un npetere con la mano ciò che la stessa o t.in;al- · tra mano ha fatto [bilden nach =formare secondo: .. ] ..
. Benjarnin contrappone la technische Reproduktion co-· me qualcosa di "nuovo, che si afferma nella storia· a in- . termittenza, a ondate spesso lontane l'una dall'altra e · . . ,. tuttaVIa con una crescente intensità". È importante os·· s~rvare come la modalità tecnìca di riproduzione non . sta da Benjarnin limitata all'età moderna, ma sia considerata .~a modalità che si è affacciata anche in un p~sato ptu remoto sulla scena della "storia mondiale" [weltgeschichtlich], e cioè in modo i.ntermittente ma crescente.
A questo proposito le redazionì divergono: la I, la II e la Fr. prendono le mosse dalla xilografia, dall'incisione ?~ '!is.egno su. un bloc~o di legno come prirr{a m o-. dali t a, di nprodl.IZIOne.teçmca della grafica. La III r:i.sale
32 PICCOLA STOHIA DELLA LONTANANZA
invece addirittura ai Greci, ai quali, ricorda Benjamin, erano noti soltanto due procedimenti riproduttivi di riproduzione delle opere d'arte: la fusione e il conio, applicati a bronzi, terrecotte e monete.
Alla xilografia nel corso del Medioevo si aggiunsero acquaforte e puntasecca, che precedettero a loro volta la stampa, la cui influenza sulle modificazioni nella letteratura ha costituito un caso eclatante, ma non certo unico nella storia della riproducibilità tecnica. È la litografia, nel XIX secolo, a rappresentare un nuovo stadio nell'evoluzione di questo fenomeno, non limitandosi a riprodurre in gran quantità i prodotti artistici, ma vadandoli in "configurazioni ogni giorno nuove", illustrando sulla stampa la quotidianità.
La litografia viene presto soppiantata dalla fotografia, nel cui processo di riproduzione di immagini [Prozefl bildlicher Reproduktion] "la mano si vide per la prima volta scaricata delle più importanti incombenze artistiche, che ormai venivano ad essere di spettanza dell'occhio che guardava dentro l'obiettivo. Poiché l'occhio è più rapido ad afferrare che non la mano a disegnare, il processo della riproduzione figurativa venne accelerato al punto da essere in grado di star dietro all'eloquio" (III, 21). Questo passo è importante, perché introduce il tema della mano e dell'occhio, della coppia otticità-tattilità, che vedremo essere centrale nel saggio.
Così come la litografia prefigurava il giornale illustrato, la fotografia prefigurava il film sonoro, una volta che si fosse integrata con i metodi di riproduzione tecnica dei suoni. "Questi sforzi convergenti - aggiunge Benjamin nella III, con una citazione sempre dalla Conquete de l'ubiquité- hanno prefigurato una situazione che Pau! Valéry definisce con questa frase: 'Come l'acqua, il gas o la corrente elettrica, entrano grazie a uno
'UNA SORTA DI UDIQUITA' 33
sforzo quasi nullo, provenendo da lontano, nelle nostre abitazioni per rispondere ai nostri bisogni, così saremo approvigionati di immagini e di sequenze di suoni, che si manifestano a un piccolo gesto, quasi un segno, e poi subito ci lasciano"' (III, 21).
Questa prefigurazione valéryana - che va ben oltre gli scenari sperimentati da Benjamin, dal momento che, come l'ha interpretata Régis Debray glossando proprio questo passo, sembra preconizzare addirittura lo zapping televisivo7
- allude a una duplice situazione in cui veniva a trovarsi verso il 1900 la riproduzione tecnica: da un lato, bisogna tener conto della capacità propria dei mezzi tecnici di considerare l'insieme delle opere d'arte tradizionali come qualcosa di cui poter fornire una riproduzione, modificando così profondamente l'effetto [Wirkung] delle stesse sui fruitori (Benjamin anticipa qui il tema della ricezione, che sarà fondamentale nel corso della trattazione). Dall'altro, si deve valutare la possibilità che gli stessi mezzi tecnici, non che limitarsi alla riproduzione di opere d'arte tradizionali, producano essi stessi nuove opere d'arte, conquistandosi così "un posto autonomo tra i vari procedimenti artistici": Benjamin pensa in primo luogo al "film come arte" (per usare il titolo della celebre opera di Rudolf Arnheim del1932, Film als Kunst, che rappresenta una delle fonti per la stesura del saggio sull'o-
_7· "Commentando La conquista dell'ubiquità, e partendo da qud che la rad1o aveva comportato per la musica, Valéry ha annunciato il regno dd piccolo schermo fin dal 1928; [ ... ) Valéry si aspettava molto dallo zapping" (R Debray, Vt_ta e. mort.e de~/ ~mmagm~. Una stona dello sguardo in Occidente [1992), tr.lt. dt A. Pmotu,mtrod. dt E.l'ranzini, Il Castoro, Milano 1999, p. 1_01}. ~~a su~ proposta di istituire una disciplina ·mediologica" come trona ~ell unmagme, Debray ha annoverato proprio Va.léry e il Benjamin dd sagg1o sull'opera d'arte come i "'prozii della nostra disciplina, già affissi al suo albo d'onore .. (ibidem), non tralasciando tuttavia- come vedremo- di esprimere una severa critica alla concezione auratica ddl'arte dd secondo.
34 PICCOLA STOIUA DELLA LONTANANZA
pera d'arte e che senz' altro deve aver corrisposto ai suoi interessi per le questioni relative alla ricezi~né), cioè ad una forma artistica che è costituita al suo mterno da procedimenti tecnici e da apparecchiatur<~ tecni: che, non però impiegate in vista di una duplicaz~one di opere d'arte già di per sé sussistenti e per altre v1e prodotte bensì in vista di una poiesis autonoma.
A 'tale modernità cinematografica Benjamin aveva
opposto, in u~ passo P?i ~spunto ~~lla_III9,_Ja g~:;~ità antica. Quesu due penodi stanno agli antipodi . se consideriamo infatti il polo greco antico, troviamo opere uniche create per l'eternità, mentre al polo ~pp~sto, quello moderno, abbiamo nel film "una forma il cw carattere artistico per la prima volta viene costantem~nte determinato dalla sua riproducibilità. Sarebbe ozwso confrontare nei particolari questa forma con 1: a_rte gr~ca. Tuttavia in un punto esatto tale confronto e tstrutt:vo. Con il film infatti per l'opera d'arte è diventata dec:siva una qualità che i Greci avrebbero concesso da uhtma all'opera d'arte o comunque consider~t~ .c?me la sua qualità più inessenziale: la s~a p;_rfetub~t~ [Ver~ besserungsfà'higkeit]". Al contra no, il film e l oper
8. "In Film ali Kunst, pubblicato per_la ~rima volta in G~n;ùania _nd 1932, Amheim sviluppò una teoria della ncezJOne del film._ Qum . anru, o piuttosto decenni, prima che la cosiddetta Reuptwnsasth~tlk :u~~ mven~ata c presentata come un metodo completamente nuovo d1 an st ett~rana, RudoU Arnheim quasi senza essere notato, aveva presentato u~~ te?n.a ~dla ricezione dd fiim. E non fu certo per caso che le rinnovate edu:oru.~h Ftl'!' l K · d 197' end 1979 quando la Raepttonsasthettk a r unst siano apparse n '1 • h · h
era al culmine deUa popclarità" (D. Grathoff, "Rudolf Am eun at t e Weltbuhne", in Rudolf Arnheim. Revealtng Vwon, ed. by K. Klemma1~lnS~ L. V an Duzer, The University of M1ch1gan Press, ~nn Arl;>or 1997f~' . dJ· veda la t r. it. di P. Gobetti, Film come arte, pref. d1 G. Anstarco, tnn l,
Milano 1983. 1 il if · 9. È il S 8 di J, II, e Fr., di cui la III ha mantenuto so. o r .enm<;nto so
pradtato elle due tecniche greche di riproduzione, la fuswne e il conto, mserendolo n d S l.
"UNA SOifi"A DI UBIQUITÀ" 35
d'arte massimamente perfettibile", constando di una serie di immagini in successione sulle quali chi opera il montaggio ha in ogni momento la possibilità di intervenire- Chaplin, ricorda Benjamin, per il suo J}opùtione pubblica (1919) ha girato 125.000 metri di pellicola, per conservarne solo 3.000. "E questa sua perfettibilità dipende dalla sua radicale rinuncia al valore di eternità. Ciò risulta dalla controprova: per i Greci, la cui arte era assegnata alla produzione di valori di eternità, al vertice delle arti stava quella meno perfettibile di tutte, e cioè la scultura, le cui creazioni sono letteralmente tutte d'un pezzo [aus einem Stiick, contrapposto al film finito, che è aus einem Wurf, di getto]. La decadenza della scultura nell'epoca dell'opera d'arte monta bile è inevitabile"(!, 446-47; II, 361-62; Fr., 719).
3 UNA LONTANANZA, PER QUANTO VICINA
Ora, per entrambi i tipi di riproduzione, tanto per quello riproduttivo quanto per quello poietico- anche se per motivi differenti-, si deve rilevare una modificazione dello statuto tradizionale dell'opera d'arte. Nel paragrafo 2 questo statuto viene circoscritto tramite il celeberrimo concetto di aura, intesa come ciò che nell'opera si sottrae a qualsiasi riproduzione tecnica: "Anche nel caso di una riproduzione altamente perfezionata- comincia Benjamin -,manca un elemento: l'hic et n une [das Hier un d ]etzt] dell'opera d'arte -la sua esistenza unica [einmaliges Dasein] nel luogo [Ort] in cui si trova" (III, 22; tr. mod.).
Da questo incipit si nota subito che quel che resiste alla riproduzione è il momento crono-topico dell'opera, l'intreccio irripetibile di spazio e tempo che la co.stituisce, la sua origine e la sua collocazione che determinano la sua esistenza unica. È questa esistenza cronotopica a poter avere una storia [Geschichte]. Avere storia significa subire modifìcazioni in quel crono-topo: mutare fisicamente nel corso del tempo, mutare il proprio luogo a causa dei cambiamenti di proprietà, che si traducono per lo più in uno o più trasferimenti dell'o-
38 PiCCOLA S1'0RIA DELLA LONTANANZA
pera dalla sua sede originale (Benjamin nella III aggiunge in nota che ovviamente la storia di un'opera abbraccia altre questioni, ad esempio per la Monna Lisa, qu;mte riproduzioni ne sono state offerte nel corso dei secoli: III, 48, n. 2).
La storia di entrambi questi tipi di mutamento (descrivibile mediante esami chimico-fisici nel caso della modificazione indotta nell'opera dal passare del tempo, mediante l'identificazione di una tradizione nel caso dei passaggi di proprietà) non può evidentemente essere ricostruita prendendo a oggetto una riproduzione dell'opera stessa, ma solo ed esclusivamente l'opera in carne ed ossa, l'originale [Origina!].
Ora Benjamin introduce due ulteriori elementi caratterizzanti ciò che si sottrae alla riproducibilità, e quindi l'esser-opera proprio dell'opera: l'autenticità [Echtheit] e l'autorità [Autoritat]. Vediamo il primo punto: "J; hic et nunc dell'originale costituisce il concetto della sua autenticità.[ ... ) J;intero ambito dell'autenticità si sottrae alla riproducibilità tecnica- e naturalmente non a quella tecnica soltanto", ma anche alla riproducibilità manuale: in questo secondo caso, una copia di un allievo o di un imitatore è falsa rispetto all'originale autentico, come è falsa una riproduzione tecnica di un quadro come stampa o cartolina illustrata. Nel caso della riproduzione tecnica - aggiunge Benjamin in una nota della III, particolarmente significativa se si pensa agli sviluppi novecenteschi della iterazione dell'immagine, ad esempio nella pop art, nella ripetitività in un Warhol- è il concetto stesso di autenticità ad essere colpito alle radici. Si prenda infatti la xilogralia: che cosa è propriamente "originale" qui -la matrice, la prima stampa, i primi dieci, cento esemplari numerati? Si viene a creare una "differenziazione e una
UNA LONTANANZA, PEJt QUANTO VICINA 39
~r~~~azione .[?zfferenz:erung zmd Stufung] dell'autentlctta .e addlrlttura - CIÒ che è ancor più pregnante -nasce il concetto stesso di autentico, che semanticamente si determina solo a partire dalla correlazione con il proprio concetto-cerniera, il concetto di copia o di falso: "Un'effigie Wild] medievale della Madonna, al momento in cui veniva dipinta, non ·era ancora autentt~ ca; diventa autentica nel corso dei secoli successivi e nel modo più pieno, forse, nel secolo scorso" (III, 49, n. 3 ).
t:f.a - e qui Benjamin introduce un primo aspetto ~oslttvo della riproducibilità tecnica, fin qui in ombra nspetto alla predominante connotazione negativa di distruzione dell'hic et nunc- la riproduzione tecnica "può, per esempio mediante la fotografia, rilevare aspetti dell'originale che sono accessibili soltanto all'obiettivo, che è spostabile e in grado di scegliere a piacimento il suo punto di vista, ma non all'occhio umano, oppure, con l'aiuto di certi procedimenti, come l'ingrandimento o la ripresa al rallentatore, può cogliere immagini che si sottraggono interamente all'ottica naturale [natiirliche Optik] ". Questa funzione, che potremmo chiamare protesica, della tecnica amplia le possibilità percettive dell'uomo, permettendogli di cogliere qualcosa dell'originale che la sua sola "ottica naturale" non gli consentirebbe, espandendo quindi l'esperienza dell'originalità e dell'autenticità stesse.
In secondo luogo, la tecnica permette di perfezi.onare progressivamente quella valéryana "conquista dell'ubiquità" (la redazione francese non a caso recita a differenza di quelle tedesche: "La reproduction mé~anisée assure à l'originall'ubiquité dont il est naturellement privé": Fr., 711, c.vo mio) che avvicina il fruitore all'opera, sia questa sonora (nel disco) sia questa visiva (nella fotografia): "La cattedrale abbandona la sua ubi-
40 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
cazione [Platz] per essere accolta nello studio di un amatore d'arte; il coro che è stato eseguito in un auditorio oppure all'aria aperta può venir ascoltato in una camerli" (III, 22-23 ). Questo venir-incontro [entgegenkommen] dell'opera al fruitore sotto forma di opera riprodotta tecnicamente riduce la distanza tra spettatore e opera, riduce cioè quella lontananza che è caratteristica della contemplazione tradizionale dell'opera, così come viene descritta da una di quelle categorie dell'estetica- il mistero o segreto [Geheimnis]- che Benjamin aveva inquadrato in continuità con un approccio "fascista" all'arte.
Tale avvicinamento è un trasferimento, una disloca-zione le cui circostanze possono "lasciare intatta la consistenza intrinseca [Bestand, nella Fr., 711 è contenu] dell'opera d'arte- ma in ogni modo determinano la svalutazione [entwerten] del suo hic et nunc". Questo processo, riconosce Benjamin, vale per l'opera d'arte come per il paesaggio naturale trasposto~ un fùm· m_a solo nell'opera investe un punto essenziale: l autenticità tutto ciò che è tramandabile, "dalla sua durata materi~e alla sua virtù di testimonianza storica", che si basa sulla prima; in una parola, l' auto:ità [Autori!a:t] ospecificazione soppressa nella III- il peso tradizwnale [traditionelles Gewicht] della cosa.
Veniamo così, con il vacillare di autenticità e autorità al cuore dell'argomentazione benjaminiana, il venir ~eno dell'aura dell'opera d'arte causato dalla riproduzione tecnica: "Ciò che vien meno nell'epoca della riproducibilità tecnica è !"'aura" [~ura] d~'opera d'arte. [. .. ] La tecnica della riproduzwne, cosi SI potrebbe formulare la cosa, sottrae il riprodotto all'ambito della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, essa pone al posto di un evento unico [einmaliges Vorkom-
UNA LONTANANZA. PER QUANTO VICINA 41
me n] un evento di massa [massenweises] (Ili, 23; tr. mod.; cfr. Fr., 711: "son existence en série").
La moltiplicazione tecnica degli originali permette a questi stessi di andare incontro ai fruitori là dove questi si trovano, diffondendosi: ciò, sostiene J3enjamin, attualizza [aktualisiert, actualise] la cosa riprodotta. Questa situazione consiste in un "violento rivolgimento [. .. ] che è l'altra faccia della crisi attuale e dell'attuale rinnovamento dell'umanità", connesso ai movimenti di massa e all'agente più potente: il cinema (cioè quella tecnica che non si limita a riprodurre opere d'arte del passato, come può fare la fotografia, ma che produce autonomamente nuove opere), la cui valenza sociale positiva consiste proprio nell'essere una forza distruttiva e catartica [destruktiv, kathartisch] che liquida "il valore tradizionale dell'eredità culturale" (III, 23 ).
In questo modo Benjamin recupera una valenza messianica e politica della trasformazione in corso in seno all'arte, riconnettendosi all'argomentazione politica della premessa, ed allargando l'ambito al di là di quello squisitamente artistico, in direzione di una vera e propria filosofia della storia che verrà meglio precisata nelle Tesi sul concetto di storia. È qui infatti, in particolare nella Tesi XIV, che Benjamin riflette sul rapporto tra passato e presente in termini di distruzione, di attualità e di citazione: "La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è costituito dal tempo omogetleo e vuoto, ma da quello riempito dell'adesso Uetztzeit] 1•
Così, per Robespierre, l'antica Roma era un passato carico di adesso, che egli estraeva a forza dal continuum
I. Sul concetto cfr. il lemma dei curatori di CS, 141-44, e F. Desideri, "Ad vocem ]e/1./zeit", in La porta della giustàJa. Saggi su \'Valur Benjamin, Pendragon, Bologna 1995, pp.152-65.
42 PICCOLA STO!UA DELLA LONTANAN'LA
della storia. La Rivoluzione francese pretendeva di essere una Roma ritornata. Essa citava l'antica Roma esattamente come la moda cita un abito d'altri tempi" (CS, 45-47). Come si evince nella Tesi XVII -che in modo molto significativo per il nostro discorso connette esplicitamente la storia alla storia della cultura (e quindi anche dell'arte) -, questa citabilità2 permette al materialista storico di "far saltar fuori una certa epoca dal corso omogeneo della storia; così fa saltar fuori una certa vita dalla sua epoca, una certa opera dal corpus delle opere di un autore. Il profitto del suo procedere consiste nel fatto che in un'opera è custodita e conservata tutta l'opera, nell'opera intera l'epoca e nell'epoca l'intero corso della storia" (es, 53 )l.
Ecco ravvisato proprio nell'aspetto più distruttivodella riproduzione tecnica dell'opera tradizionale da un lato, e del linguaggio autonomo proprio della tecnica, il cinema, dall'altro- il momento più positivo, più rivoluzionario e liberato rio: la liquidazione della tradizione, cioè della storia; il che, nota Benjamin, è tanto
2. Si veda altresì "Che cos'è il teatro epico?" [1939), in OA, 125·35, in particolare il paragrafo dedic_ato al ges~o citaf;ile, in cui l'tnterruzton~ dc:ila rappresentazione nel teatro d1 Brecht vtenc;: nco!"'dotta al?punto alla clt,aziO· ne come a un "procedimento che travahca d~ molto il s<:ttore .d~ arte. ( .. .] Citare un testo implica interrompere il con~esto .m cut rte~tra. ( ... ]L'attore dev'essere in grado di spaz.ieggiare i suot gesti, _come _un Up?· grafo le parole" (OA, 131·32). In Brecht però questa inten:ulJ~ne "!."'ne m netto contrasto, come rileva lo stesso BenJamm, con la teona a_nsto~elica dd: la catarsi ("Ciò che viene tolto di mezzo nell'opera dramm~uc~ di Brecht e la catarsi aristotelica, la scarica degli affetti tramite la pa~e.ct~azmn~ al co?"'movente destino dell'eroe": OA, 130), mentre- come st e vtst~- m BenJamin la forza distruttiva del cinema è caratterizzata come katharltsch . .
3. I curatori fanno opportunamente notare come questo procedlm:~to dtazionistico che distrugge il contiNuum om?genw trà:J.i.to rapp.resenu un esatto capovolgimento del metodo ermeneutico della c.nuca ston;a, mess? a punto già da ED. E. Schleiermacher (1768·1834), per il9uale un opera VJe. ne compresa esaurientemente solo in ri~erimento a tutto. il corpus delle ?Pe- · re di un autore, a un autore però solo m rapporto con il contesto stanco e culturale della sua epoca" (CS,53, n. 40).
UNA LONTANANZA, PER QUANlD VICINA 43 più evidente proprio nei grandi film storici: Cleopatra, Ben Hur, Federico il Grande e Napoleone (come esemplifica la sola I, 439). Ed è proprio uno dci primi teorici del cinema, Abel Gance, a invitare inconsapevolmente "a una liquidazione generale"4 della tradizione quando preconizza "una resurrezione nel film" di leggende, mitologie, religioni, letterature del passato.
La positività della distruzione nei confronti della tradizione era già stata al centro di un breve e denso scritto dell931, dedicato da Benjamin appunto al Carattere distruttivo: qui Benjamin non contrassegna il carattere distruttivo come semplicemente negato re della tradizione, bensì piuttosto come un suo differente veicolo: "Il carattere distruttivo sta nel fronte dei tradizionalisti. Mentre alcuni tramandano le cose rendendole intangibili e conservandole, altri tramandano le situazioni rendendole maneggevoli e liquidandole. Questi vengono chiamati i 'distruttivi"'5• Come è evidente, lo schema corporeo della tattilità corrisponde all'atteggiamento distruttivo nei confronti di una tradizione sottratta alla sua intangibile lontananza e resa maneggevole, cioè in fondo citabile, disponibile ad esseremobilitata e attualizzata- e quindi liquidata in quanto tradizione.
A questa stessa maneggevolczza e mobilità Bcnjamin pensava quando, esaltando in Esperienza e povertà
!
4. "Lei sa -scrive Adorno nella lettera a Benjamin dd 18.3.36 -che l'og· getto 'liquidazione dell'arte' sta da molti anni dietro i miei saggi estetici" (AB, 168). Adorno rimanda a un suo saggio del1934 apparso nellaSchOnb"g/eslschnft per simili riflessioni su tecnica e dialettica {"Il compositore dialettico", tr. it. di C. Mainoldi, in Impromplus. Saggt' musicali 1922-1968, Fdtrinelli, Milano 1973, pp. 3 7 ·42 ).
5. Tr. it. di P. Di Segni, in • Metaphorein", 3, 1978; ripreso in F. Rdla (a c. di), Cn'lica e s/on'a. Materiali su Benjamin, Cluva, Venezia 1980, pp. 201-202, e più recenteO\ente in "'Millepiani", 4, 1995, pp. 11-12.
44 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
(1933) chi tra i suoi contemporanei era capace di essere "barbaro", di "iniziare dal N uovo; di farcela con il Poco", richiamava Schccrbart, Loos c Le Corbusicr, le loro "case di vetro regolabili e movibili": "Le cose di vetro non hanno "aura". Il vetro è soprattutto il nemico del scgreto"6. .
· Che cos'è dunque l'aura? Se nel paragrafo 2 BenJa-min aveva introdotto il concetto tramite le categorie di hic et nunc, di autenticità e di autorità, nel successivo, paragrafo in tutto e per tutto nevralgico per il discorso benjaminiano, lo,statuto ?di'aura v,iene così a~pro~ondito: "Che cos'c propnamentc l aura? - SI chiede Bcnjamin - Una particolare trama di spazio e te~po [ein sonderbares Gespinst aus Raum und Zett]: un apparizione unica di una lontananza, per quanto questa possa essere vicina [einmalige Erschemung emer Ferne, so nah si e sein mag]" (I, 440; II, 355; Fr., 712)1. Il suo s~gnificato si illustra- spiega Benja~ s~l? nella III, nprendendo il binomio natura-~tona- utiliz.zando com.e strumento per comprendere il concetto di aura applicabile agli oggetti storici [geschichtliche Geg~nstà'nde~ il concetto di aura applicabile agli oggetti naturali [naturliche Gegenstà'nde]: "Definiamo questi ultimi apparizioni uniche di una lontananza, per quanto questa possa c;:ssere vicina" (Ili, 24-25). . . .,
Ritorna la coppia concettuale vicl!1o-lontano, gia an-
6. T r. it. di F. Desideri, in • Metaphorein", 3, 1978; poi, ripresa in F. Rella (a c. di), Critica e rtoria, cit., pp. 203-208, qui p. 206 (e p1u recentemente m "Millepiani",4, 1995,pp.17·2l,quip,·l9).. . ._
7. Si veda l'identica dcfimz1one g1a tn Ptccola stona della fo'uog;afia, _usci ta in tre puntate fra il settembre e l'ott?bre ?~ _1931 sulla_ Luerartsche Wdt" (in OA, 70). Cfr. anche Di a/cunr mo/tut rn Baudelmre (AN, 125). Adorno ricorda che "Benjamin ha sempre dispost? dt una forza defi?nona di una severità all'antica, dalla definizione del dcsuno quale "nesso d1 colp_a fra viventi., fino alla t~rda definizione ddl"a.ura'.,, richiamando la sua predilezione per l'immobilizzante "monumentalità dd momentaneo" (Note per la le//eratura, cit., p. 247).
UNA LONTANANZA. PER QUANTO VICINA 45
ticipata nel paragrafo precedente con la descrizione del venir-incontro [entgegenkommen] dell'opera al fruitore sotto forma di opera riprodotta dalla tecnica. È essenziale al fenomeno dell'aura che ad apparire sia un che di unico, che deve manifestarsi, anche se è vicino, come se fosse distante. Così esemplifica Benjamin una situazione auratica concernente oggetti naturali: "Seguire, in un pomeriggio d'estate, una catena di monti all'orizzonte oppure un ramo che getta la sua ombra sopra colui che si riposa- ciò significa respirare [atmen] l'aura di quelle montagne, di quel ramo" III, 25)8•
Se unicità e lontananza sono i due momenti costitutivi dell'esperienza auratica9, quel che si definisce con "decadenza dell'aura" [Verfall der Aura] consiste appunto nel venir meno di questi due momenti, prodotto secondo Benjamin da un condizionamento sociale preciso: la crescente intensità dei movimenti di massa (la Fr., 713, aggiunge a questa determinazione quantitativa anche una specificazione qualitativa: "la prise de consdence accentuée des masses"). È infatti una duplice tendenza propria delle masse odierne quella di voler
8. L'esempio era già stato introdotto ndla Piccolo stona dello fotografia, con qualche differenza: "Seguire placidamente, in un mezzogiorno d'estate, una catena di monti all'orizzonte oppure un ra.mo che getta la sua ombra sull'osservatore, fino a quando l'attimo [Augenblick], o l'ora [Stunde], partecipino ddla loro apparizione [Erscheinung] -tutto dò significa respirare l'aura di quei monti, di qud ramo" (OA, 70).
9. Benjamin non tralascerà di circoscrivere il significato dell'aura. anche sotto il profilo dd suo rapporto con la memoria- suddivisa proustianamtnte in "volontaria" e "involontaria"- e con le modificazioni che questa subisce da parte delle apparecchiature di riproduzione tecnica: "'Se si definiscono le rappresentazioni radica te nella mémoire involontaiu, e che tendono a raccogliersi attorno ad un oggetto sensibile, come l'aura di quell'oggetto, l'aura attorno ad un oggetto sensibile corrisponde esattamente all'esperienza che si deposita come esercizio in un oggetto d'uso. I procedimenti fondati sulla camera fotografica e sugli apparecchi analoghi successivi estendono l'ambito della mimoire volontaire; in quanto pcnnettono di fissare un evento, sonoramente e visivamente, con l'apparecchio in qualunque momento. E diventano così conquiste fondamentali di una società in cui deperisce l'esercizio" (Di alcuni motivi in Baudelaire: AN, 123).
46 PICCOLA STOIUA DELLA LONTANANZA
rendere le cose più vicine [die Dinge sich "niiherzubringen"; "spazialmente e umanamente più vicine", aggiunge la III; "le monde [ ... ] plus accessible", preferisce la Fr.], e di voler superare la loro unicità grazie alla loro riproduzione. Sempre più si manifesta la tendenza da parte delle masse di prender possesso dell'oggetto il più possibile da vicino [aus nachster Nlihe], non solo nell'immagine [Bild], quanto piuttosto nell'effigie [Abbild, copia], nella riproduzione [Reproduktion].
Qui Benjamin gioca con la duplice accezione di Bild, che significa tanto immagine quanto quadro o dipinto: infatti subito precisa che l'Abbild caratteristica delle riproduzioni nei giornali illustrati o nei cinegiornali si identifica per la sua !abilità e ripetibilità, di contro all'unicità e durata proprie del quadro [Bild;"il tr. it. dà entrambi i significati: "l'immagine diretta, il quadro"; la Fr. preferisce il più generico image d'art].
A questo punto Benjamin stringe l'obiettivo di nuovo sulla storicità della percezione che aveva introdotto fm dall'esergo, focalizzando la propria riflessione sulla modalità percettiva dell'epoca in cui l'aura è decaduta: "La liberazione dell'oggetto dalla sua guaina [Entscha~ lung des Gegenstandes aus seiner Hiille; la Fr. usa halo] 10 ,
la distruzione [Zertriimmerung] dell'aura sono il con-
10. È interessante a questo proposito la distinzione- operata da_Benjamin in alcune comunicazioni sull'cssen1..a dell'aura durante un esperunento con l'hascisch ai primi di marzo dd 1930- tra il proprio,concc;to di au.r~a come :rodero" e la ~oncezi<?ne volgar_me~ltc _t~~ofìca de~ aura: _Tutto c!? che disst era in polemica con 1 teosofì dt cui mtirntavano lmespenenza e ligno: ranza. E - anche se certo schematicamente - contrapposi sotto tre aspet!l l'aura reale alle rappresentazioni banali c convenzionali dei teos~fi. In pnmo luogo la vera aura si manifesta in tutte le cose. Non soltanto 1~ alcune, come immagina la gente. In secondo luogo l'aura muta, e muta radicalmente, con ogni movimento della cosa di cui è !:aura. In terz~ luogo 1~ vera at;r.a non può in alcun caso essere pensata come il leccato fascmo ra~.tan_tc ~p~~: tualistico, secondo l'immagine e la descrizione che n~ danno t hbn mtsttct volgari. n momento distintivo della vera aura è piUttosto l'ornamento, un'incamiciatura ornamentale nella quale la cosa o l'essenza è calata come in un fodero. Ddl'aura vera nulla ci dà un'idea più giusta dci tardi quadri di
UNA LONTANANZA, PER QUANTO VICINA 47 t rassegno [Stgnatur] di una percezione la cui "sensibtlità per ciò che nel mondo è dello stesso genere" 11 è cresciuta a un punto tale che essa, mediante la riproduzione, conquista anche ciò che è unico" (III, 25; tr.mod.).
Benjamin conclude il paragrafo osservando come l'importanza delle masse si dia a vedere tanto nella sfera intuiti va [anschaulich], potremmo dire percettiva, quanto nella sfera teorica sotto forma di statistica. Ma la chiusa rimette in discussione quell'iniezione materialistica e deterministica di cui si diceva sopra: "L'adeguazione della realtà alle masse e delle masse alla realtà è un processo di portata illin1itata sia per il pensiero sia per l'intuizione" (III, 25). Questa affermazione, a ben vedere, non è infatti più perfettamente compatibile con la concezione secondo cui i movimenti di massa sono la causa che determina la modificazione della percezione e quindi dell'immagine della realtà: qui Benjamin sembra non avere in mente un modello univoco (dalle masse all'immagine della realtà), ma piuttosto un modello biunivoco o correlativo.
van Gogh, ove tutte le cose- così si potrebbero descrivere questi quadrisono rappresentate con la loro aura" {H, 88).
11. ·smn fiir das Gleichartige in der Welt", dtazione che solo la I, 440, rimanda allo scrittore danese J ohannes V. J ensen ( 187 3-1950 ). Si veda il Ver. baie di <>perimenlo con l'haJCisch dd 29 settembre 1928 a Marsiglia: •Per fortuna sul mio giornale trovo la frase: 'Con il cucchiaio si deve attingere l'uguale dalla realtà'. Diverse settimane prima ne avevo annotata un'altra di Johannes V.Jensen, che apparentemente esprime un concetto analogo: 'Richard era un giovane sensibile a tutto ciò che vi è di affme nd mondo':·Questa frase mi era piaciuta molto" (H, 83; OC, 169; nd settembre dd 1928 Benjamin lesse le Exotisch< Novellen di Jensen: cfr. OC, 616). Si veda a tal proposito}. Sdz, ·un'esperienza di Walter Benjamin" (1959]: ·n senti· mento deli'identità preoccupava molto Benjamin. [ ... ] Il termine iJentità era d'altronde ben lungi dal soddisfa rio per designare, in certi casi, lo stato di due cose simili, e per parlare dd fenomeno egli aveva inventato una parola francese, la parola mém1ié. Sotto l'influsso ddl'hasdsch questa impressione che due cos~ diverse siano un'unica cosa era legata a una sensazione di felicità che egli gustava con cura delicata. Egli aveva annotato nd suo diario: "Con il cucchiaio si deve attingere l'uguale dalla realtà'" (H, 140-41).
EXCURSUS: AURA ED EMPATIA
Come ha rilevato, tra gli altri, ]Urgen Habermas, "Benjamin ha avuto sempre un atteggiamento ambivalente nei confronti della perdita dell'aura" 1• Egli oscilla tra una disposizione nostalgica nei confronti di una lontananza irrin1ediabilmente perduta e una positiva fiducia nella vicinanza delle immagini resa possibile dai mezzi tecnici di riproduzione2. Questa oscillazione ha sviluppato in Benjamin la sensibilità per i momenti in-
1.]. Habermas, "Critica che rende coscienti o critica che salva. L'attua· lità di Walter Benjamin" [1972], in Cultura e critica, ed. it. a c. di N. Paoli, Einaudi, Torino 1980, p. 252. Sul concetto benjaminiano di aura si possono vedere; per la storia del concetto, W. Fui d, Die Aura. Zur Geschichte eines Begriffer bei Benjamin, in • Akzente", 26, 1979, pp. 352-70; quindi D. Harth - M. Grzimek, '"'Aura• und "Aktualitiit" als isthetische Begn'f/e, in P. Gebhardt et al. (Hrsg.), Wa!ler Benjamin-Zeitgenorre der Moderne, Scriptor Verlag, Kronberg!Ts. 1976, pp. 110-45; A. De Paz, "l: aura, la tecni01, le forme: Benjamin e la contemporaneità", in R Barili i {a c. di), Estetica e società tecnologica, Il Mulino, Bologna 1976, pp. 121-48; F. Masini, Metacn~lca dell'aura, in • Materiali filosofici", 6, 1980, pp. J -!J.
2. Sembra cogliere esclusivamente il primo aspetto nosta1gico la critica di lfotard che, considerando il .. declino dell'aura", cosl scrive: •Je n'y vois nul dédin, sauf celui d'une esthétique venue de Hegd pour qui l'enjeu était en effet l"expericnce' au sens d'une passion de l'esprit pa.rcourant les formes sensiblcs afm de parvenir à la totale exprcssion de soi dans le discours du philosophe. Esthétique appuyée sur le genrc •absolu' du récit spécuJatif, sur la forme de la finalité, et sur l'arrogance métaphysique" Q.-F. Lyotard,
. La philosophie el 14 peinlure à l'ère de leur expérimenlalion. Conlribulion à uneldée de Lz portmodernité [1979], in "Rivista di estetica", 9, 1981, pp. J. 15,quip.!J).
50 PICCOLA STORJA DELLA LONTANANZA
termedi, grigi, ambivalenti, in cui si sta compiendo, ma non è ancora compiuta, la decadenza dell'aura per mano della tecnica.
Nella Piccola storia della fotografia, riflettendo in particolare sui primi ritratti fotografici, Benjami.t1 osserva che "l'osservatore sente il bisogno irresistibile di cercare nell'i.tnmagine quella scintilla magari minin1a di caso di bi c et n une con cui la realtà ha fotografato il cara tte;e dell'i.tnmagine, il bisogno di cercare il luogo invisibile in cui, nell'essere in un certo modo di quell'attimo lontano si annida ancora oggi il futuro, e con tanta eloquenza che noi, guardandoci indietro, siamo ancora in grado di scoprirlo", come nel caso dell'immagine della moglie del fotografo Dauthendey, il cui sguardo è "risucchiato da una iontananza colma di sciagure" (OA, 62), lontananza che le sta preparando il suo suicidio.
La scarsa diffusione della fotografia e dei giornali, i lunghi tempi di posa in situazioni di pressoché as.soluto isolamento e di totale i.tnmobilità, la composta nservatezza nei confronti dell'obiettivo, la componente magica dell'apparecchio (la differenza tra tecnica e magia è una "variabile storica": OA, 63), in una parola l'inattualità della fotografia faceva sì che "tutto, in quelle lontane fotografie, era predisposto perché durasse" (OA, 65), in netto contrasto con quello che sarebbe accaduto con l'istantanea.
I.: emersione dell'i.tnmagine dal buio dello sfondo, tipica delle vecchie lastre, e l'uso dell'ovale come vera e propria aureola che circondava le foto di.gruppo determinavano inequivocabilmente nelle pnme fotografie un "fenomeno auratico" (OA, 68) che la successiva commercializzazione e il perfezionamento della tecnica del trattamento del chiaroscuro riuscirono ad eli.tninare. Ciò produsse tuttavia una sorta di effetto di com-
EXCURSUS, AUHA ED EMPATIA 51 pensazione: nel periodo di "decadenza", "negli anni successivi al1880, i fotografi considerarono loro compito ripristinare artificiosamente quell'aura" (OA, 68). Fu la vendetta della pittura contro la fotografia: il ritocco, la spugnatura, l'artificio decorativo, le i.tnprobabili scenografie a metà "tra la camera di tortura e il salone del trono", condussero a i.tnmagini di cui una delle prime fotografie di Kafka rappresenta un esempio paradigmatico: "In un vesti tino infantile, stretto, in qualche modo umiliante, sovraccarico di ornamenti, il ragazzo, di circa sei anni, sta in w1a specie di paesaggio da giardino d'inverno. Ventagli di palme irrigiditi sullo sfondo. E quasi che ancora occorresse rendere più ridondanti e soffocanti questi tropici di carta, il modello regge un copricapo smisurato, dalla testa ampia, alla spagnola. E certamente scomparirebbe dentro tutta questa messinscena se gli occhi, infinitamente tristi, non dominassero questo paesaggio, predisposto per loro" (OA,W).
Non tristezza, bensì sicurezza e autorità emanavano gli sguardi dei pri.tni soggetti fotografati, ancora "circondati da un'aura" (OA, 67), quell'aura che- dopo esser stata surrogata dagli artifici leziosi nel suo periodo di decadenza- sarebbe stata definitivamente eli.tninata dalle i.tnmagini pre-surrealiste, deserte di sguardi e di uomini, di Atget: con la sua capacità tattile di "abbandonarsi alla cosa", Atget "disinfetta" il cascame;~om" poso e finto della fotografia artistica, producendo i.tnmagini che "risucchiano l'aura dalla realtà, come l'acqua pompata da una nave che affonda" (OA, 69-70).
3. Cfr. la ripresa, lievemente variata, di tale descrizione nd saggio su Kafka del!934 (AN, 282-83), nonché il ricordo di simili sacrifici subiti da Benjamin bambino in uno studio fotografico "'a mezzo tra U boudoir e la ca· mera di tortura", in Infanzia ber/in eu (IB, 55).
52 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
Se, come si legge nel paragrafo "Ottico" di Strada a senso unico, "lo sguardo è l'ultima goccia dell'uomo" (SSU, 47)- quell'ultima goccia che trattiene Kafka dallo scomparire del tutto nel suo ritratto fotografico -, abbiamo dunque qui uno schema oppositivo che contrappone aura, lontananza, sguardo, umano, arte da un lato, e perdita dell'aura, vicinanza, tatti!ità, inumano, tecnica. Si può approfondire tale nesso tra aura e sguardo facendo riferimento ad uno scritto successivo al saggio sull'opera d'arte, Di alcuni motivi in Baudelaire, pubblicato nel1939-40 sulla "Zeitschrift fiir Sozialforschung". Ribadendo qui il ruolo fondan1entale svolto dalla fotograiìa nel processo di decadenza dell'aura, Benjamin scrive: "Nello sguardo è inlplicita l'attesa di essere ricambiato da ciò a cui si offre. Se questa attesa (che può associarsi altrettanto bene, nel pensiero, a uno sguardo intenzionale d'attenzione, come a uno sguardo nel senso letterale della parola) viene soddisfatta, lo sguardo ottiene, nella sua pienezza, l'esperienza dell'aura. 'La percettibilità- afferma Novalis- è un'attenzione'. La percettibilità di cui parla non è altro che quella dell'aura. L'esperienza dell'aura riposa quindi sul trasferimento di una forma di reazione normale nella società umana al rapporto dell'inaninlato o della natura con l'uomo. Chi è guardato o si crede guardato alza gli occhi. Avvertire l'aura di una cosa significa dotarla della capacità di guardare. [ ... ]È inutile sottolineare quanto Prousr fosse addentro al problema dell'aura. Ma è sempre degno di nota che egli lo tocchi inciden-
4. In Per un ritrai/o di ProuJI [1929] Benjamin parla della "intangibilità' cui è improntata l'opera proustiana: "il suo indice è incomparabil~. Ma nel rapporto amichevole, nella conversazione c'è anche un altro gesto: il c~ntat· to. Questo gesto è estraneo a Proust più che a ogni altro. E neanche egli può toccare il suo lettore, non lo potrebbe per nulla al mondo. Se si volesse rac·
EXCUR5US: AURA ED EMPATIA 53 talmente in concetti che ne implicano la teoria: 'Certi amanti del mistero vogliono credere che rimanga qualcosa, negli oggetti, degli sguardi che li hanno toccati'. (E cioè la capacità di ricambiarli)". Anche Valéry offre a Benjamin un pensiero che si muove in questa direzione: "Le cose che vedo mi vedono come io le vedo" (AN, 124-25).
Rispetto alla possibilità di dotare una cosa della capacità di guardare, Benjamin precisa in nota: "Questa dotazione è una scaturigine della poesia. Quando l'uomo, l' aninlale o un oggetto inaninlato, dotato di questa capacità dal poeta, alza gli occhi e lo sguardo, egli è attratto lontano; lo sguardo della natura risvegliata sogna e trascina nel suo sogno il poeta. Anche le parole possono avere la loro aura. Come l'ha descritta Karl Kraus: 'Quanto più davvicino si guarda una parola, e tanto più lontano essa guarda"' (AN, 124-25, n. 3 ).
Qui Benjamin sembra fare ricorso, nel definire il processo di costituzione dell'aura, a un classico procedimento dell' Einfiihlung o empatia1: la correlazione
cogliere la poesia intorno a questi due poli -la poesia che indica e qudla che tocca-, il centro della prima sarebbe occupato dall'opera di Proust, qudlo della seconda da Péguy" (A,R 38). h significativo che Benjamin abbia rac· colto un piccolo indice di luoghi proustiani utilizza bili in riferimento al saggio sull'opera d'arte ("ProuJistellen zum Kunstwerk im Zeitalttr": GS VII-2, 679): sono soprattutto esperienze delle nuove tecnologie, concernenti tra l'altro il modo differente in cui l'automobile e il trenO si impossessano dd terreno (All'ombra del/t fanciulle in fiore), la modificazione ddl'arte'-'attraver.;o la velocità (episodio automobilistico con Albertine in Sodoma t Gomorra), nonché l'auraticità della stazione ferroviaria (Sodoma e Gomorra) e la magia dd telefono (GuermanleJ).
. 5. Commenta Habermas a proposito di questo passo: "'ll fenomeno au. rat1co può verificarsi solo nel rapporto intersoggettivo dell'io con il suo al· tro, con l'alter ego. Dove alla natura viene 'prestato' qualcosa per cui essa spalanca gli occhi, l'oggetto si trasforma nell'altro che ci sta di fronte. L'animazione universale della natura~ il segno delle immaglni magiche dd mon~o, dove f!On _è ancora avvenuta la separazione fra la sfera di dò che~ ogget· ttvato e d1 cui disponiamo in senso manipolativo, e l'ambito dell'intersoggettivo, dove ci incontriamo comunicando" (Cultura e critica, cit., p. 253).
54 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
dell'uomo all'inanimato avviene infatti come se questo fosse un essere umano, e il rapporto fra soggetto e oggetto si configura in termini di intersoggettività. Pur nelle multiformi declinazioni dell'empatia, è comune ai vari teorici l'impiego di termini quali animazione, umanizzazione, immedesimazione, trasferimento, trasposizione, identificazione, proiezione, che nel complesso sottolineano un'attività di transfert dal soggetto all' oggetto di contenuti estesici o patemici, vuoi nel senso di un'empatia di attività [Tiitigkeitseinfiihlung], ad esempio quando si parla di una "fuga" delle colonne, vuoi nel senso di un'empatia di stati d'animo [Stimmungseinfiihlung], quando ci si riferisce ad un paesaggio malinconico o ad un colore gioioso.
n modello che più frequentemente è stato impiegato dai teorici per il chiarimento di tali processi traspositivi potrebbe essere definito idraulico6
, dal momento che opera secondo uno schema dfvasi comunicanti secondo cui il passaggio del contenuto estesico-patemico avviene dal soggetto all'oggetto come da un vaso pieno a un vaso vuoto. Questo sembra essere il modello cui anche Benjamin fa ricorso, nel momento in cui parla di un "trasferimento" dall'umano all'inanimato e afferma che percepire l'aura di una cosa significa "dotarla" della capacità di guardare.
La "dotazione" di tale capacità all'oggetto implica una concezione reificante dello stesso come "mera cosa", la quale deve appunto essere presupposta come vuota e inerte per poter accogliere dal soggetto (ad
6. Ho cercato di circoscrivere il senso di tale modello idraulico c i problemi ad esso connessi in EstetiCJJ ed empatia, Gucrini, Milano 1997, in part. pp. 28-29, e nel saggio" Stimmung ed Ein/iihlung. Modello idraulico e mo· dello analogico ndlc teorie dell'empatia", in R. Poli- G. Scaran~uzza {~c. dt) Estetica fenomenologica, Annali dell'Istituto A. Banfi, n. 5, Almea, Fuenze 1998, pp. 347-64, lavori ai quali mi permetto qui di rinviare.
EXCURSUS, AURA ED EMPATIA 55
esempio dal poeta nel discorso benjaminiano) unica ed ~rigina~i,a _fonte del senso, il contenuto estesÌco-patemtco e pm rn generale quello statuto di umanità e di soggettività che le rimarrebbe altrimenti precluso. Ciò evidentemente si pone in contrasto con una concezione vitalistica, magica, panteistica della natura- tipica tanto di un'umanità primitiva quanto di certe forme di religiosità, quanto infine proprio di certo romanticismo c~ pure la maggior parte dei teorici dell'empatia siri: chtamava come al proprio padrino spirituale -, che di per sé è piena di senso, viva e attiva, e non aspetta come mera cosa vuota il riempimento [Einfiihlung come Ein/iillung] proveniente dal soggetto.
Ma quel modello idraulico si trova altrettanto in c?ntrasto con una filosofia del concreto, quale ad esempio si è tentata nel richiamarsi da parte della fenomenologia "alle cose stesse" [zu den Sachen selbst], nell'ambito di un riconoscimento dei diritti dell' oggetto7 e dei suoi autonomi strati di senso che sussistono indipendentemente da qualsiasi "conferimento" psicologico soggettivo, e che invece si costituiscono in un rapporto di correlazione con il soggetto stesso. Una filosofia del concreto che lo stesso Adorno, nonostante le sue riserve nei confronti del metodo fenomenologico, aveva espressamente avvicinato al "contatto fisico con i contenuti" tipico del modo tattile di filosofare proprio di Benjamin8•
7. Si veda ad esempio nell'esemplare saggio di M. Geiger, Zum Problem der Stimmungiein/iihlung, in "Zeitschrift fiir Asthetik un d allgemeine Kun· Stwissenschaft", 6, 1911, pp. 1-42, il riconoscimento dd carattere o stato d'animo dei paesaggio come appartenente di diritto al paesaggio stesso. ru. c?rdiamo qui che Benjamin fu allievo di Geiger nel!916 a Monaco. Cfr. al nguardo G. Scaramuzza, "'Walter Benjamin: incontro con la fenomenolo· gi~", in Id. (a c. di), Estetica monacenu. Un percorso fenomenologico, Cuem, Milano 1996, pp.161·90.
~· N_ote ~er la l;tteratura, cit., pp. 244 e 248. Parlando, a proposito di BenJa~l~, di u_no sfrenat.o ~bbandono all'oggetto ... Adorno scrive: •Facendosi il pensiero per cos1 due troppo dappresso alla cosa, questa diviene
56 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
Questa adozione del tutto problema ti ca di un implicito modello idraulico nell'empatia tra soggetto e oggetto, quale viene posta da Benjamin alla base della costituzione dell'aura come "capacità di guardare", diviene ancor più problematica se si tiene conto della costante polemica che animò gli scritti benjaminiani nei confronti dell'empatia tra soggetto e soggetto. Ricordiamo ad esempio, per quel che riguarda il procedimento empatico connesso alla critica d'arte, l'esclusione dell' Einfuhlung dalla "vera intuizione del bello": questa "non si dischiuderà mai alla cosiddetta "immedesimazione", e solo imperfettamente alla più pura contemplazione dell'ingenuo" (Le Affinità elettive [1924-25], in AN, 2369). Ancora in Storia della letteratura e scienza della letteratura [1931], l'Einfuhlung viene annoverata fra le sette teste dell'"idra dell'estetica scolastica": "Creatività, empatia, emancipazione dal tempo, ricreazione, partecipazione all'esperienza interiore altrui, illusione c godimento estetico" (AR, 137).
Questo rifiuto dell'empatia nel metodo della critica d'arte si connette all'esclusione del procedimento empatico tanto nella produzione quanto nella ricezione dell'opera: è questo un importante punto di concordanza con la drammaturgia non-aristotelica 10 di Bre-
estranea come qualunque oggetto della vita quotidiana visto~ micro~copio. [ ... ] È cambiato il modo di guardare, l'intera ottica. La tecmca ~.ell'mg_randimento fa muovere l'irrigidito e fermare dò che è mosso.[ ... ] Lmtenz.tone soggettiva viene ra.pprese!ltatil come dissolve~~esi nell'ogget_to. [ ... ] n PC?· siero incalza la cosa, quast volesse trasformarsttn ,un tastar;.~ ~n fiutare, m un gustare. [ ... ] La riduzione della distanza dall ogge_tto ts~Itw~c.e nd ~antempo il rapporto con una prassi possibile, che in segutto gmdcra il penstero di Benjamin" (Pnsmi, ci t., pp. 245-46). .
9. Si veda, ndlo stesso saggio, la critica del Goethe dt Gundolf: ·.Invece di ftltrare, da un'idea come qudla di destino, il contenuto vero medtante la conoscenza, questo contenuto è rovinato dal sentimentalismo che- col suo fiuto- 's'immedesima' in essa" (AN, 203 ).
10. Il teatro brechtiano "si qualificava come teatro epico, e come tale si contrapponeva a qudlo drammatico nel senso più stretto, la eu~ teo~a ~ra stata formulata per la prima volta da Aristotele. Brecht presento qumdt la
BXCURJUJ, AURA ED EMPATIA 57
cht, là dove- come osserva lo stesso Benjamin, la peculiarità del suo teatro epico consiste nel fatto che "non si fa quasi appello alla facoltà di immedesimazione dello spettatore", e "anche l'attore deve rinunciare all'immedesimazione" (OA, 130-31) 11 •
Ma non è solo nell'ambito della teoria dell'arte e della sua storia 12 che Benjamin scaglia i suoi strali contro l' Einfuhlung. Citiamo, introdotta da un esergo proprio brechtiano, la VII Tesi Sul concetto di storia, in cui il "Verfahren der Einfiihlung", il "procedimento di immedesimazione emotiva", è caratterizzato come la cifra
sua teoria come 'non aristotelica'- come Riemann aveva fondato una geometria 'non euclidea'. Riemann aboll il postulato ddle parallele; ciò che è caduto in questa nuova teoria del teatro è la 'catarsi' aristotdica, la scarica degli affetti attraverso l'empatia, l'immedesimazione nd movimentato destino dell'eroe. Un destino che ha il movimento dell'onda, che trascina il pubblico con sé. (La famosa 'peripezia' è la cresta ddl'onda, che rotola cadendo in avanti, fino a esaurirsi). Per parte sua il teatro epico avanza a scosse, e può essere quindi paragonato alle immag_ini della pellicola cinematografica. La sua forma fondamentale è quella dello choc con cui le ben distaccate situazioni singole del dramma si scontrano tra loro. I songs, le didascalie, le convenzioni gestuali degli attori staccano una situazione dall'altra. Si determinano così continui intervalli, che contrastano notevolmente all'illusione dd pubblico. Questi intervalli sono riservati alla sua presa di posizio· ne critica, alla sua riflessione. ( ... ]Talvolta il drammatico si accende come un lampo al magnesio alla fine di uno sviluppo apparentemente idillico" (I/ paese in cui non si può nominare il proletariato [A proposito della prima rappresentazione di otto atti unici di Brecht, 1938]: AR, 185).
11. Si veda in generale la teoria dello straniamento (Vet/remdung] in Brecht (Scn.lli teatrali, tr. i t. di E. Castellani, Einaudi, Torino 1962), e il suo scritto ·critica dell'immedesimazione" t in scn·u; sulla lelleratura t sull'art t, tr. it. di B. Zagari, introd. di C. Cases, Einaudi, Torino 1975, pp. 153·54. Cfr. al riguardo F. Masini, Brecht e Benfamin. ScienlJl della letteratura ed erlneneutica maten'alista, De Donato, Bari 1977.
12 "Come un malato che è sconvolto dalla febbre e che ridabora tutte le parole che riesce a percepire dentro le tumultuanti immagini dd delirio, lo spirito dd tempo s'impadronisce di tutte le testimonianze di mondi spirituali passati e molto remoti per trarle a sé e per incorpora de senza amore nd suo fantasticare, che è prigioniero di se stesso. [ ... ]A questa deprecabile e patologica suggestionabilità, in virtù della quale lo storico cerca di scivolare, tramite 'sostituzione', al posto dell'artista, come se questi, precisamente perché l'ha fatta, fosse anche l'interprete della propria opera, è stato dato il no· me di Einfiihlung (entropatia}, dove la mera curiosità è esorcizzata e dissimulata sòtto il mantclluccio dd metodo" (DB, 34).
58 PICCOLA STOIUA DELLA LONTANANZA
distintiva della storiografia storicistica, contro cui insorge il materialista storico: "La sua origine è l'ignavia del cuore, l'acedia, che dispera di impadronirsi dell'immagine storica autentica, che balena fugacemente". La natura della tristezza cui tale acedia dà luogo si chiarisce "se ci si chiede con chi poi propriamente s'immedesimi lo storiografo dello storicismo. La risposta non può non essere: con il vincitore" (CS, 29, 31). Nei materiali preparatori delle tesi un'annotazione precisa che "l'immedesimazione con ciò che è stato serve in ultima analisi alla sua attualizzazione". Ma tale attualizzazione, a differenza della citazione, è "completa soppressione di tutto ciò che ricorda la destinazione originaria della storia come rammemorazione", è "falsa vitalità" che consiste nell'" espunzione dalla storia di ogni eco di 'lamento"' (CS, 99-100).
Ricordiamo infine la questione dell'Einfuhlung per la merce, defmita nel Passagenwerk una "immedesimazione nel valore di scambio stesso" il cui virtuoso è il flaneur (PW, 582-83 ). Questa immedesimazione, come precisa Benjamin in una lettera ad Adorno del9.12.38, "si presenta come empatia con la materia inorganica" (L, 375) tipica del feticismo, che soggiace così al "sexappeal dell'inorganico" (PW, 11).
4 STORIA DELL'ARTE
E STORIA DELLA PERCEZIONE
I:insufficienza del processo immedesimativo tipico dell'impostazione storicistica non è d'altronde l'unica pecca della storiografìa tradizionale. Se dalla storia tout court ci vogliamo in.particolare alla storia dell'arte, troviamo che per lungo tempo essa è stata soggetta a pregiudizi di carattere classicistico che escludevano dal novero dei temi degni di essere indagati interi periodi artistici e determinate forme d'arte. A tali pregiudizi si sono opposti- osserva Benjamin sempre nel paragrafo 3, fondamentale nell'economia del saggio-, gli studiosi della Scuola di storia dell'arte di Vienna, e sopra tutti due dei suoi massimi rappresentanti: Franz Wickhoff e Alois Riegl. Nelle loro opere principali - rispettivamente la Wiener Genesis (studio del1895 dedicato a un celebre codice viennese miniato del Genesi, all'epoca ritenuto del IV secolo) e la Spiitromische Kunstinilustrie, del 1901, volta allo studio dell'arte del periodo post-costantiniano e delle trasrnigrazioni "barbariche"1- essi si oppongono innanzitutto alla teoria dei
l. La Wiener Genesù di Wickhoff (nato a Steyr ncl1853, morto a Venezia ncll909) è stata tradotta in italiano con il titolo di Arte romana [1895], tr. k di M. An ti, introd. di C. Anti, Le Tre Venezie, Padova 1947; dell'opera di Riegl (nato a Lmz nel1858, morto a Vienna nd 1905) abbiamo due versioni
60 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
periodi di decadenza, guadagnando ad una approfondita considerazione storica un'epoca, quella appunto tardo-romana, convenzionalmente tacciata di imperfezione e di mancanza di originalità rispetto a quella greca classica, delle cui opere si sarebbe limitata a fornire cop1e.
Ma Wickhoff e Riegl significano per Benjamin qualcosa di più: questi storici gli forniscono gli strumenti per indagare un nodo problematico cruciale, il nesso fra la storicità dell'arte e la storicità della percezionenesso che (come si è già accennato a proposito dell'esergo valéryano) costituisce il sigillo della prospettiva estetica del saggio sull'opera d'arte, là dove confluiscono i due significati fondamentali del termine stesso di "estetica" intesa da un lato come teoria dell'aisthesis, come aisthesiologia e percettologia, come dottrina della conoscenza sensibile, dall'altro come teoria dell'arte. In tale prospettiva non risulterebbe forse eccessivo considerare Riegl e Wickhoff come i due numi tutelari del saggio.
"Nel giro di lunghi periodi storici - incomincia Benjamin -, insieme coi modi complessivi di esistenza [gesamte Daseinsweise] delle collettività umane [menschlichen Kollektiva, société humaine; la I, 439 ha historischen Kollektiva], si modificano anche i modi e i generi della loro percezione" (III, 24); qui Benjamin espone la tesi generale della storicità della percezione, che procede a determinare così: "li modo in cui si organizza la percezione sensoriale umana- il medium in cui essa ha luogo -, non è condizionato soltanto in senso naturale [natiirlich], ma anche storico [geschichtlich] ".
italiane: Arte. lardoromana, a c. di L. Collobi Ragghianti, Einaudi, Torino 1959, e Industria artistica tardoromana, t r. it. di B. Forlati Tamaroe M. T. Ronga Leoni, introd. di S. Bettini, Sansoni, Firenze 1953, che qui utili:z.z.iamo.
STORIA DELt:AI<TE E STOIUA DELLA PERCEZIONE 61
La condizionatezza naturale di cui parla Benjamin potrebbe venire interpretata in senso kantiano (o per lo meno nel senso di una declinazione psico-fìsiologica del kantismo): il mondo così come lo percepiamo- il mondo come fenomeno, come ciò che ci appare- dipende dalla nostra struttura percettiva come dalla propria condizione; e questa struttura è determinata per natura, secondo la nostra natura di uomini, diversa da quella di altri animali, di Dio o degli extra-terrestri; il corpo umano risulta costituire l'insieme delle forme a priori dell'intuizione sensibile.
A tale condizionatezza naturale si aggiunge una condizionatezza storica. Procedendo oltre Valéry e la sua cesura tra il modo in cui materia, spazio e tempo si presentano nel Novecento tecnologico e il modo sempre uguale a se stesso in cui si presentavano nei secoli precedenti, Benjamin estende il concetto della storicità della percezione a epoche anche molto lontane dalla contemporaneità: "L'epoca delle invasioni barbariche, durante la quale sorge l'industria artistica tardo-romana e la Genesi diVienna, possedeva non soltanto un'arte diversa da quella antica [la I, 439 ha: "da quella dell' epoca classica"], ma anche un'altra percezione" (III, 24). Considerata la centralità di questo assunto per la concezione estetica di Benjarnin, è opportuno soffermarsi qui sugli aspetti fondamentali delle ricerche di Wickhoff e di RiegF. ii
2. Per un primo approccio alla questione dei rapporti fra Benjamin e la Kunstwissemcha/t cfr .. W. Kemp, Walter Benjamin e la sdenxa estetica. 1: i rapporti Ira Benjamin e la Scuola Vi ennese [1973 ], t r. it. di C. Tommasi, in "aut aut", 189·190, 1982, pp. 216·33; saggio poi ridaborato dallo stesso Kemp in •Fembilder. Benjamin und die Kunstwissenschaft .. , in B. Lindner (Hrsg.), "Unkr hall< noch alles Iich zu enlriitseln ... ": Wa[ter Benjamin im Kontexl, Syndikat, Frankfurt a.M.!978, pp. 224·57. Si veda anche il bdsag· gio di E. Raimondi, "Benjamin, Riegl e la filologia" [1984], in u pietre del
62 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
La Wiener Genesis di Wickhoff -lavoro che per altro condivide con il saggio sull'Opera d'arte la questione dell'imitazione e della riproduzione degli originalioffriva innanzitutto a Benjamin una riflessione sulle differenti modalità della narrazione per immagini, che gli deve essere risultata particolarmente significativa, se consideriamo quanta attenzione- ad esempio nel saggio dell936 su Leskov, da Benjamin stesso accostato al saggio sull'opera d'arte proprio in riferimento alla perdita dell'aura - egli avrebbe riservato alla questione della narratività. È nel primo capitolo che Wickhoff affronta il problema della narrazione figurale, convinto che primaria sia la questione della modalità tipicamente romana di raccontare tramite figure, profondamente diversa da quella greca. Per circoscriverne le caratteristiche, Wickhoff individua tre tipi o maniere narrative
della figurazione: . . l. maniera distintiva: "quella che sceglie smgole sce-
ne salienti, e le dispone una accanto all'altra, ognuna distinta da una incorniciatura"3; è il modo puramente ellenico, e anche quello che ci è divenuto più familiare, addirittura esclusivo, e corrisponde al dramma;
2. maniera continua: tipica delle ultime opere dell'arte pagana e delle prime dell'arte cristi~na, compar~ tanto nelle miniature del codice della Wtener Genests quanto in Michelangelo. In un unico l?aesaggi?, .senza alcuna separazione, appaiono momenu.succ~slv1 dell.a storia narrata, e i personaggi vengono npetutl. Tale sule narrativo non ha più nulla a che vedere con il modo ellenistico, è romano, e corrisponde alla prosa storica;
rogno. Il moderno dopo il rublime, il Mulino, Bologna 1985, ~P· 159-97; T.Y. Levin, Walter Benjamin an d the Theory o/ Art H utory, m October., 47, 1988, pp. 77-83; H. Caygill, Walter Ben;amin. The Colour o/ Expenence, Routledge, London-New York 1998, pp. 80-117.
3. F. Wickhoff, Arte romana, cit., p. 36.
STORIA DEL!: ARTE E STORIA DELLA PERCEZIONE 63
3. maniera integrativa: la più antica, la quale cerca di riprodurre tutto quel che di rilevante e pertinente è avvenuto prima e dopo l'azione narrata. Questo modo narrativo non è originariamente greco, bensì egizio e orientale, e corrisponde all'epopea.
Tale fenomenologia della narrazione figurale descrive in Arte romana tre differenti approcci alla trattazione del nesso crono-topico nella figurazione orientale, greca e romana (è lo stesso decorso tripartito che prenderà in considerazione Riegl qualche anno dopo in Industria artistica tardo romana). Ma - altro punto che non deve aver mancato di esercitare su Benjamin un certo fascino (pensiamo al parallelismo tra barocco ed espressionismo in DB, 35; e si veda il richiamo proprio alla Wiener Genesis in relazione all'espressionismo nei saggio su Kraus: AR, 116) - Wickhoff non manca di tracciare parallelismi con stili di altre epoche, non ultima quella sua contemporanea, mostrando di concepire la categoria di stile in una certa ampiezza che esula dai ristretti limiti storiografici, nonché di essere attento alla dimensione dell'attualità. Così le teste appartenenti al periodo che va da Vespasiano a T raiano vengono accostate ai ritratti di Velazquez e di Frans Hals, monumenti come l'arco di Tito o il foro di Traiano "ricordano opere moderne di Veneziani, Olandesi, Spagnoli e dei più recenti Francesi [scii. gli impressionisti4
], più c4e non ricordino le opere barocche del periodo ellenistico, quali l'altare di Pergamo o il Laocoonte, che pure
4. C. An~i. ricorda nella sua introduzione come Wickhoff, ·pittore egli stesso non d1 mfimo rango, aveva compreso e apprezzato l'impressionismo francese, estrema e più evidente manifestazione dell'illusionismo ndla seconda ~età. dd secolo .XIX. H.su~ occhio, educato cosi a comprendere questa particolare espressione artistlca, la riconobbe e la apprezzò immediatamente ndla pittura campana dd primo secolo d.C." (ivi, p. 15}.
64 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
sono a loro tanto vicine nel tempo. [ ... ]fra questi rilievi statue e busti e le figure di Rubens, I-Ials e Velazquez non vi è solo una somiglianza; lo st~sso stile e gli ste~si mezzi artistici hanno prodotto quelli e queste. E lo stile illusionistico che ha avuto la sua prima altissima mani-
' . festazione nel secondo e terzo secolo d.C. per non n-trovarne altra prima del diciassettesimo secolo"5
•
A grandi affinità stilistiche che vanno oltre i limiti storiografici pensa Wickhoff quando accosta le decorazioni illusionistiche giapponesi a quelle romane del II sec. d.C., oppure quando evoca nei suoi paragoni la pittura su vetro del XIII-XI sec., o l'uso alessandrino e pompeiana di decorare gli ambienti con motivi egiziani stilizzati, simile a "certe cose del tempo dei nostri nonni, quando nei vecchi castelli si usarono per la prima volta motivi cinesi adattati proprio come quelli egiziani a Pompei, e nelle sale rococò ci viene nuovamente incontro in adattamenti simili lo stesso stile egiziano. [ ... ]Ci piace pensare che l'occhio di Goethe possa essersi posato su questi resti pompeiani, provandone gioia "6•
Ad una considerazione piuttosto spregiudicata delle parentele stilistiche e dell'attualità si ut;-isce in Wickhoff un'attenzione assai significativa per 1 moderni mezzi di comunicazione di- massa, che sono visti in continuità con gli antichi metodi di diffusione delle informazioni relative all'imperatore: "In modo identico oggi i giornali illustrati di tutta Europa presentano instacabilmente, di settimana in settimana, in esaurienti silografìe, la benevola apparizione dei monarchi in cerimonie militari o civili.[ ... ] Ciò è possibile oggi per
5.lvi, p. 40; c.vo mio. 6. lvi, p. 165.
STORIA DEL!: ARTE E STORIA DELLA PERCEZIONE 65 il diffondersi della fotografia, per il perfezionamento sempre crescente dei mezzi di riproduzione, che divulgano immediatamente e dappertutto i ritratti di perso-naggi importanti"7• ·
Ma dallo scarso valore artistico che Wickhoff attribuisce alle copie rispetto agli originali si può dedurre una concezione certamente auratica dell'arte che deve avergli suggerito una certa diffidenza per i mezzi antichi e moderni di riproduzione, ad esempio là dove stigmatizza "il copiare in massa" come un "isterilirsi della fantasia artistica"- anche se riconosce che solo grazie a queste copie possiamo avere un'idea di quelli che furono i capolavori della cultura greca; o là dove contrappone l'eterna monumentalità delle antiche immagini all'"effimero settimanale illustrato"; o ancora là dove afferma che "le opere d'arte illusionistica di prim' ordine si svelano solo ad una cerchia ristretta, poiché possono essere godute soltanto nell'originale, essendone le riproduzioni del tutto insufficienti. In esse, infatti, ciò che conta non è la composizione, o per lo meno non in modo preminente, ma la lotta dell'artista con i valori dei colori, con le ombre e con la luce, lotta che crea appunto l'indescrivibile e specialissimo gioco che non può essere imitato. Chi copia, infatti, non può penetrare nel corpo e nell'anima dell'artista per ripetere con eguale vivacità i colpi di spada che si susseguono come lampi, con i quali egli ha domato la natura"8; o infin~ là dove ammette la possibilità che vi sia arte solo nelle creazioni originali dei grandi maestri, i soli capaci di comprendere sempre più profondamente la natura.
Se questa svalutazione wickhoffiana del momento
7. lvi, p.136. 8. lvi, pp. 88·89.
66 PICCOLA STOfUA DELLA LONTANANZA
copiativo appare molto lontana dal Benjamin cantore della forza rivoluzionaria della riproduzione (non da quello, altrettanto innegabile, della nostalgia per il momento aura ti co dell'arte), vicina deve certamente essere ristÙtata a Benjamin la sua concezione non lineareprogressiva e critica nei confronti del modello ascesadecadenza dello sviluppo storico-artistico degli stili, concezione improntata al rifiuto del "concetto generalmente imperante di una decadenza dell'arte nel perìodo imperiale romano" che ostacola la ricerca storica come un "ingombrante pregiudizio"9.
Nello studio di tale intricata processualità dell'arte certamente l'impostazione wickhoffiana è "formalistica" ("anticonografica", come la definisce An ti nella prefazione), nel senso dell'identificazione purovisibilistica dell'artistico con il modo di presentarsi di forma e colore nel piano e nello tpazio, e per questo incorreràcome vedremo - nel rimprovero benjaminiano: "Chi non sa affrontare l'arte direttamente, in periodi di raffinata gioia artistica quale è l'epoca imperiale romana, scorgerà sempre e solo una bruttura di continue ripetizioni, perché alla sua solita domanda sul 'che cosa', nel nostro caso il mito e la poesia, rispondono viete composizioni, che egli apprezza per le invenzioni greche in esse conservate, mentre di solito gli sfugge ciò che è veramente artistico e che sta solo nel 'come' "10•
Ma vicina all'approccio benjaminiano è l'attenzione riservata da Wickhoff al problema della fruizione ericezione di questo "come", di questo contrassegno formale: si veda la contrapposizione tra il modo di rendere le immagini proprio dello "stilista" e del "naturalista"
9. lvi, p. 84. lO. lvi, pp. 89-90.
STOIUA DELL'ARTE E !>"TOIUA DELLA PERCEZIONE 67
da. un lato (i rappresentanti di quello che in Wolfflin si chramerebbe lo stile "lineare"' affidato alla linea di ~ontorno ~om_e alla propria guida), che "curano fino all estrema rifinitu~a la forma, che poi l'osservatore legge come qualcosa di estraneo a lui" a quello dell'"ill ·
. " dall'al ' US!O-n~st_a . tr? (che pratica, sempre nei termini wolf-flmram, uno st~e "pittorico", giocato sulle macchie di colore e stÙ chiaroscuro), che invece costringe l'osservat~~e a c?llaborare spiritualmente alla costruzione d_ellrmmag~e. Tale collaborazione si basa su una indu~lone nel fr_wtore di processi fisiologici analoghi a quelh eh~ p~ested~ttero all'atto visivo dell'autore, su una specr_e dJ pratrca attiva di integrazione di macchie e punti cromatici e luminosi in figure compiute che si c_ontrappon_e a quella della passiva ricezione della silhouette lineare e che si potrebbe descrivere come una sorta _di mimesis corporea, ben differente da "una vuota copra della natura".
Questa attività integrativa richiesta dal fruitore com~letam~nto dell'esperienza dell'immagine si arti~ cola 111 un mtervento delle "immagini mnemoniche" sulla b~se delle quali il soggetto riempie le lacune dell~ per~eziO_ne attuale, e negli effetti cromatici legati alle le~gt otttc;he fisiologiche, ad esempio di quelle proprie det col_on complementari, e che rende illusionistica~~nte ~ ~odo di apparire delle cose in maniera molto ptu realistJca e molto meno artificiale dello stil !in ii
1 . C eeare-p a~t~co. . e~~· Wickhoff è consapevole che quegli ef-fetti ill~stomstrci si ottengono solo a patto che l' osservatore SI ponga "alla giusta distanza".
Ora, posta. q~esta sostanziale differenza fra stile linear~-naturalistrco e stile pittorico-illusionistico, poli che st alternano vicendevolmente nei secoli, qual è la causa del loro mutare? Ad una prima considerazione
'
68 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
Wickhoff sembra rispondere a quest~ deli~ata d_om~~da (delicata poiché investe il cuore di .og~I teo~Ia s~.illstica che, come quella" di Wickh~ff, di ~egl, eli "?'ol.f~ flin, aspiri a ricercare le leggi del! ~voluziOne ~eg~ stil~ artistici- ma delicata anche per chi, c~m~ ~enJamu:, ~~ pone nell'ottica di una storicità degli stili. percettl;l) con la teoria della "stanchezza" e della re~~IOne a un abitudine divenuta fiacca, teoria che era gia stata avan~
d Adolf Goller nel suo Zur Aesthetzk der Archt-~a a d'E ·~ tektur del1887' in cui tramite il conc~tto l . :n~u ung (affaticamento) si descriveva l'evoluziOne stilisti ca come susseguirsi di reazioni a forme che, dopo :ssere s~ate dominanti per un certo tempo, perdono·cli· attra~uva e vengono sostituite con altre nuove, capaci. di susc:ta~e curiosità e sorpresa nel fruitore. Trac.ce di un~ Sl~ e concezione- contro cui ebbe a pol.eml~zare W ?lfflinsi possono riconoscere nel testo d.l Wlcl0.of!, il quale mostra di concepire la trasformaziOne st~stlca ~econdo un principio non dissimile da. quello del colon complementari, secondo cui non SI possono .non ve.d_;re macchie verdi se si fissa per lungo t~po .il r:'sso. Se [ ... ]si resta consapevoli che nell'art;e l penod! segu~n? ai periodi, secondo le leggi fisiol?glche che li determinano così che di solito all'esaltazione subentra per reazio n; la calma, allora si potrà capire come una gell;erazione, saziatasi alla vista del Laocoonte, potes~e poi gustare gli stantii rilievi eli lusso, e anch~ nella p~ttura!~~ tesse rallegrarsi solo per qualcosa di tranquillarn
"11 . commosso . . d ll' E ..
Va rilevato, a integrazione della teona e rm~-
d l Wl.ckhoff non manca di ammettere - alliung, c le l' .. d l
neandosi a una consuetudine diffusa fra g l storiCI e -
Il. lvi, p. 170 (c. vi miei). Si vedano anche argomentazioni simili alle pp.
95 e 140.
STORIA DELL'A mc E STORIA DELLA PERCEZIONE 69
l'arte suoi contemporanei -l'azione sugli stili delle differenze etniche e climatiche, né trascura, ciò che è più pregnante per il discorso benjaminiano, il ruolo svolto dalle innovazioni tecniche e procedurali: "Ora, al principio del primo secolo a.C., che cosa aveva reso possibile che la pittùra, la quale finora non aveva avuto favore come decorazione usuale di stanze, venisse invece impiegata quasi esclusivamente per tale scopo? [. .. ]La causa può essere stata solo l'invenzione di un nuovo procedimento, che rendeva più rapida e quindi più economica l'esecuzione delle pitture" 12
, cioè la tecnica dell'affresco, molto più veloce dd precedente procedi-mento ad encausto. \
Questa attenzione per la tecnica, unita a quella per le prassi anonime della Kunstindustrie, sembra un portato semperiano, che viene addirittura sviluppato in direzione di un influsso inconsapevole sull'in1maginario figurativo dell'artista: "Si potrebbe supporre che abbia esercitato un influsso involontario sull'elaborazione delle forme la consuetudine dell'artista con tal uni procedimenti tecnici della glittica e della toreutica"IJ.
Come già accennato, la fenomenologia che Wickhoff fornisce della narrazione per immagini riguarda nella sua tripartizione gli stessi periodi che nel 1901 Alois Riegl avrebbe preso in considerazione nella sua Indu-
il
12. lvi, p. 160. 13. lvi, p. 55. L'ipotesi di un'incidenza della tecnica sull'inconscio ottico
non solo del produttore, ma anche del fruitore appare chiaramente ammessa da questo passo: •rusulta evidente una differenza fondamentale fra arte antica e arte modèrna. Nd quindicesimo secolo l'arte moderna era passata attraverso un procedimento scientifico [scil. la prospettiva], dal quale trae nutrimento ancor oggi. I princìpi allora scoperti influiscono tuttora sull'os~ servatore moderno, senza che ne sia consapevole ed egli alza gli occhi sor· preso soltanto se la sua sensibilità così educata è ferita da un'offesa grossola· na a tali principi" (i vi, pp. 132-33 ).
70 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
stria artistica tardoromana;, orientale (egizio, greco, tardo-romano). Wickhoff anticipa quello che sarà il Leitmotiv dell'argomentazione riegliana, e cioè c~ e il modo antico di rappresentare "nel dipingere sul ptan~, non aveva mirato ad altro che ad escludere la terza dtmensione"14; questo principio- che tuttavia per Wickhoff vale in pittura solo fino ad Apelle, ~ioè fmo ~l IV sec.a.C.- viene esteso da Riegl alla stona delle art! spaziali nel loro complesso. . .
L'indagine di tali arti che Riegl conduce nel su?,! scritti sembra avere esercitato un'influenza anche p!u profonda di quella di Wickhoff nell'insiem,e deU'oper_a benjaminiana. Scholcm, nella Stona dt un amtctzta, ncorda: "Dato che non me ne interessavo, parlammo ~ssai poco di teoria estetica; rammento solo due eccezioni e cioè la sua convinzione, cui rimase fedele per tutta la 'vita, dell'importanza dell'opera di Alois Riegl, Arte tardo-romana, e la sua predilezione per la Vorschule der Asthetik [Propedeu~ica ~el!' estetica] di J ca~ Pa~;,chc lesse in occasione del suo! studt sul romanticismo ·
Nella Berliner Chronik (frammento iniziato nel 1932, in parte rielaborato in Infanzia ~erlz:nese, c come questa dedicato al figlio Stefan~ ~enJai_Dm rammenta come, nel periodo intorno ai pnn11 ~ru della Grande Guerra, avesse incominciato a scopnre, suUo sfond? del mondo degli uomini, il mondo delle cose. In particolare nella casa di un antiquario berlinese, scovato dal suo compagno di scuola A!fred Cohn, egli si ab?~nd~nava alla rapita contemplazione di fibbie e mo?ili preistorici e longobardi, di collane tardoromanc, di mon_ete medievali, di pcndagli, scudi e bracciali, "sotto l'1m-
14. lvi, pp.ll6-17. . . , .. . ) . 15. G. Scholcm, Walter Benjamin. Storta. dt ~n amraz.ta (1975 , tr. It. e
note di E. Castellani e C.A. Bona dies, Adelphi, Milano 1992, P· 110.
STORIA DELL'ARrE E STORIA DELLA PERCEZIONE 71
pressione dell'Industria artistica tardo romana di Alois Ricgl, che avevo appena studiato" (GS VI, 492).
Quanto durevole sia stata tale impressione è dimostrato dalla presenza costante di Riegl per tutto l'arco dell'opera bcnjaminiana, dai riferimenti contenuti nel Dramma barocco tedesco a quelli presenti nell'ultimo scritto pubblicato da Benjamin in vita, la recensione del1940 a Le Regard, una raccolta di saggi di Georgcs Salles, all'epoca sovraintendcnte del Louvre (CR, 339-42). il Dramma barocco- oltre che rimandare all'opera ricgliana Die Entstehung der Barockkumt in Rom, che viene citata nella seconda edizione, Wien 1923 - impiega nella "Premessa gnoseologica" il celebre concetto riegliano di Kunstwollen (volontà d'arte o volere artistico) a proposito di un significativo parallelismo tra espressionismo e barocco16.
.Ora, il concetto di Kunstwollen, dal "profetico" RiegP7 più usato operativamente che esattamente definito, indica una fondamentale correlazione tra l'ambito formale, il modo di intuizione dello spazio, la specificità
16. ·come l'espressionismo, il barocco è un 'epoca meno contrassegnata dal vero e proprio esercizio dell'arte che non da un incontenibile volere artistico [Kunstwollen]. E così è sempre nelle cosiddette epoche di decadenza. [. .. ]Per questo Riegl scoprì questo tennine proprio nell'arte tarda dell'impero romano. Accessibile al 'volere artistico' è soltanto la forma toul court, mai l'opera singola, totalmente plasmata" (DB, 35).
17. È in Libri chesono rimasti dlluali [ 1929] che Benjamin parla di Indu. stda artisticalardoromana in termini di "profezia": "È un'opera di i~portanza storica, che con profeti ca sicurezza ha accostato la sensibilità stilistica e le intuizioni di quell'espressionismo che sarebbe sono di lì a vent'anni ai monumenti del periodo tardo imperiale, ha voltato le spalle alla teoria dei 'tempi di decadenza', e in qudla che prima di essa era stata definita una 'ricaduta nella barbarie' ha riconosciuto un nuovo senso dello spazio, una nuova volQntà artistica. Nello stesso tempo questo libro è una delle più convincenti prove dd fatto che ogni scoperta scientifica rappresenta automaticamente una rivoluzione del metodo, anche se non pretende di esserlo. Di fatto negli ultimi decenni non è uscito nessun libro di storia dell'arte che sia stato ugualmente fecondo dal punto di vista del contenuto e da quello dd metodo" (CR, 105-06; anche in OC, 335·36).
72 PICCOLA STOR1A DELLA LONTANANZA
antropologica e la determinazione epocale. A questi quattro fattori rimanda infatti una delle esposizioni meno equivoche del concetto: "L'umanità in diversi tempi, in diversa maniera, voleva vedere rappresentate davanti agli occhi le immagini sensibili secondo il contorno e il colore nel piano e nello spazio" 18. Sviluppando suggestioni schopenhaueriane e purovisibilistiche, e ponendosi in contrasto con la teoria dell'arte come potere (Konnen) difesa dagli epigoni eli Gottfried Semper, Riegl pensa al Kunstwollen come a una risposta ai più profondi bisogni esistenziali di un'wnanità in ur:a certa epoca. Perciò quel volere non deve essere evidentemente inteso nel senso di una volontà individuale, bensì eli una volontà anonima, scaturente da una comunità, da un senso comune. Per questo stesso motivo è insensato parlare eli" decadenze": ogni stile è per così di~e all'altezza eli se stesso e dci compiti che gli sono posti dalla comunità e dall'epoca in cui è "voluto".
Del Kunstwollen, proprio a causa di una certa indeterminatezza in cui Riegllasciò il concetto, si sono avvicendate interpretazioni molto divergenti, se non opposte quali quella psicologica di Wilhelm Worringer ~ quella trascendentale di Erwin Panofskyl9
• Ma, considerando l'insistenza con cui Riegl sottolinea il nesso essenziale fra espressione artistica e intuizione sensibile, sembra ben fondata l'interpretazione eli Dittman se-
18. A. Riegl, Industria artistica tardorom~na, ci t., p.}~. . . I9. W. Worringer, Astrazione ed empalta [1907), tr. tt. dt.E. De Angdt!
introd. diJ. Nigro Covre, Einaudi, Torino 1975; E. Panofsky, }l concetto d1 Kunstwollen" [1920], in Lo prospettiua come "forma simbolrca t alt n scntlt, tr. it. di E. Filippini, introd. di G.D. Neri,Fdt;inclli, Milano 1988, pp. 157: 77. Quest'ultimo deve ammettere che ~~l .~nceptva.an~ora.pc:r mo_lu versi psicologisticamente sia il volere aru:uco s1a 1 concetti. muantt a defimr~ lo[ ... ]; data la sua posizione storica, egh non era ancora Ut grado, per cosl dire, di rendersi perfettamente conto di aver fondato una filosofia trascen· dentale dcll'arte" (ivi, p. 177, n. 18).
STORIA DELL'A mE E STORIA DELLA PEHCEZfONE 73 condo cui "il Kunstwollen come 'principio obiettivo d~ll~ spieg~zione dello stile' non è altro che la polarità, dispiegata 111 uno sviluppo, delle possibilità psicologico-percettive dell'uomo"2o.
Quali sono queste possibilità? Fondamentalmente quella tattile e quella ottica. Richiamandosi alle due modalità percettive descritte da Adolf von Hildebrand nel suo Il problema della /orma (1893 ), Riegl storicizza lo schema hildebrandiano, proponendo una filosofia della storia dell'arte che è al tempo stesso una filosofia della storia dell'estetica, cioè del rapporto estesico tra uomo e mondo, mediato dallo stile.
Hildebrand, appoggiandosi sull'ottica helmholtziana, aveva infatti distinto una visione ravvicinata, correlata ad un'immagine vicina [NahebiMJ e una visione a distanza, correlata ad un'immagine lo;tana [FernbildJ: nel prin1o caso, "avvicinandosi sempre di più all'oggetto, lo spettatore avrà maggior bisogno di movimenti e l:a?p.arenza.t~tale si dividerà in tante apparenze parziali, 111 unmag1111 separate. [. .. ] Si può dire che egli ha trasformato il vedere in un reale toccare".21 Nel secondo caso, l'occhio non procede più palpando progressivamente l'oggetto, ma lo coglie in un atto percettivo simultaneo e globale, come un intero: "L'immagine lontana consiste proprio in un effetto d'insieme"22 sul piano.
Tale duplice modalità eli apprensione "non si deve necessariamente produrre con due organi separati/ il corpo che tasta, l'occhio che vede, ma deve trovarsi già
20. L. Dittman, Sti4 Symbo4 Struktur. Studien zu K4tegorien der Kunsl· geschtchte, Fink, Miinchen 1967, p. 35.
21. A. vo~ Hild,ebrand, Il problema della /orma [1893], ed. i t. a c. di S. Samek Lodovtct, D Anna, Messina· Firenze 1949, p. }9. Su Hildebrand e in generai~ sul :osiddctto "purovisibilismo" cfr. F. Scrivano, Lo spat.io ~ 1~ forme. Bast tronche _del vedere contemporaneo, Alinea, Firenze 1996.
22. A. von Hildebrand, Il problema della/orma, cit., p. 47.
• 74
PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
riunita ncll'occhio"23 : la tattilità di Hildebrand non è pertanto quella propria della mano o del corpo proprio, ma si configura purovisibilisticamente come. u~~ operatività possibile dell'occhio stess?, che per di p~u viene normativamentc svalutata, costituendo per I-lildebrand la sola visione lontana un accesso alla vera ar-
tisticità. Riegl tiene ferma l'intuizione .hil~e?randian~ ~el
nesso fra espressione artistica e mtuizionc sensibile, che troviamo così esposta nel Problema della forma: "La configurazione artistica non può prodursi che comc un ulteriore sviluppo della capacità di cogliere lo spazio, la cui base sta già nella nostra facoltà eli vedere c di toccare" 24 • Lamenta però che Hildebrand avesse "stabilito una legge fissa, vietando la possibilità eli una
"25 . . evoluzione all'interno della stessa , e mette m movi-mento la coppia immagine vicina-immagine lontana, traduccndola in una filosofia della storia dell'arte che procede dall'immagine vicina all'~m.aginc lo~tan~. Egli può così sudd_ividere !'.arte ~Uc~ m ~na tn~ar;~zione basata propno sulla elialetttca eli tattile e otuco .
La prima fase, corrispondente all'arte egi~ia, è caratterizzata da un "grande rigore della concezwne puramente sensibile (possibilmente oggettiva) dell'in~vidualità corporea delle cose e in conseguenza masstmo adeguamento del fenomeno corporeo al piano. Questo
23. lvi, p. 31. 24. Ibidem. ddl. " [ 9011 . .,.. . 25. A. Riegl, "Opere della natura e ?pere .'ar:e J. , m Jeona e
prassi della comervo:done dei monumentt, antolog1a di scnttt1898-1905, a c.
di S. Se arrocchi a, Clueb, Bologna 1995, p. 152. . . . . 26. Ho cercato eli render conto di questa st~ncizzaZJone d_elle c~tego~te
hildebrandiane in Il corpo dello stile. Storia del/ arte come stona del/ estelt~a in Semper, Riegl, Wo/ff/in, Aesthetica, Palermo 1998. A quest.o lavoro (t~ part. alle pp. 187-88) mi permetto di rinviare per un cenno su1 rapportt d1 Benjamin con Wolfflin.
STORIA DELt:ARTE E STORIA DELLA PERCEZIONE 75
piano non è il piano ottico che l'occhio ci simula a una certa ~istanza dalle cose, ma il piano tattile, quale ci suggenscono le percezioni del tatto"27 • Questa immagine tattile è correlata a una visione da vicino [Niihsicht], che_ non coglie né scorci né ombre, che potrebbero sugg~me un effetto di tridimensionalità. Esempio di tale ptano tattilc è offerto, nell' archltettura, dalla piramide, · vera e propria "unità tattile": "Da qualsiasi dei quattro lati si ponga l'osservatore, il suo occhio scopre continuamente solo il piano unitario del triangolo equilatero i cui lati tagliati netti non si richiamano in nessuna par-. te alla chiusura in profondità che sta dietro"2B.
La seconda fase, rappresentata dall'arte classica greca, è caratterizzata secondo Riegl da una visione normale [Normalsicht] o tattile-ottica, cioè una visione intermedia tra la visione da vicino e quella da lontano.ln questo caso "accanto a scorci possono anche apparire ombre, ma soltanto mezze ombre che non interrompano come le ombre la continuità tattile della superficie"29. n tempio greco fornisce l'esempio archltettonico paracligmatico eli tale appercezione spaziale: "La visione del tempio greco si ottiene da quella lontananza moderata che corrisponde alla visione normale, in cui la chlarezza tattile del dettaglio e il colpo d' occhlo ottico sull'insieme riescono a valorizzarsi in ugual misura"l0
•
La terza fase perviene finalmente alla visione d4 lontano [Fernsicht] o ottico-cromatica, tipica dell'arte tardoromana: qui il "piano non è ormai più quello tattile, perché è interrotto da profonde ombre; piuttosto esso è ottico-cromatico su cui gli aggetti ci appaiono in !onta-
27. A. Riegl, lndustn·a artistica tardoromana, ci t., p. 29. 28. lvi, p. 33. 29. lvi, p. 31. 30. lvi, p. 35.
76 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
nanza e su cui essi anche si confondono con i loro contomi"31, ottenendo una resa "impressionistica". Tra gli esempi architettonici si possono citare la basilica cristiana e gli edifici a pianta centrale, come il Pantheon, in cui "al posto della superficie assolutamente calma dell'ideale artistico egiziano subentra la curva inquieta che cerca profondità"32. ·
Il progetto, dichiarato da Riegl nell'Introduzione, di individuare "le leggi fondamentali dello sviluppo dell'industria d'arte tardoromana" si apre quindi ad un'ipotesi di sviluppo estestico-artistico dell'arte a~tica n~l suo complesso, che va incontro ad una progressiva ott.1: cizzazione della percezione (secondo uno schema g1a anticipato da Herder33).
Tale otticizzazione significa al contempo una sogget· tivizzazione e un incremento di espressione patemica. Nel paradigma percettologico riegliano è infatti il tatto e non l'occhio, ad assicurare l'oggettività delle cose: "L'organo dei sensi che noi ~doperiamo di gran lung~ più spesso per prender nozwne delle cose esterne e l'occhio. Questo organo però ci mostra le :os~ ~uramente come superfici colorate e non come ~dividu~lità materiali impenetrabili; appunto la perceziOne ott!· ca è quella che ci fa app~rire le .cose del.mondo esterno in una mescolanza caotica. No! possediamo solo attraverso il tatto sicure nozioni della chiusa unità individuale delle singole cose", dal momento che l'occhio ci
rfi . l ")4 mostra solo "le cose come supe c1 co ora te .
3 !.lvi, p. 32. 32.M,p.3L f dl . 33. "'La natura procede con ogni singolo uomo come essa a n a spe~te
intera, dal tatto alla vista, dalla plastica alla pittura" Q.G. Herder, Plasttca [1778],<d. it. a c. di G. Maragliano, Aesth<tica, Palerm_o 1994, p. 86) .. Cfr. al riguardo E.H. Gombrich, Arte e illusione [1959], tr. lt. dt R. Fedenct, Et·
n audi, Torino 1965, p. 22. . 34. A. Riegl, IndUJtn'a artistica tardoromana, ctt., p. 25.
STOIUA DELL'ARrE E STORIA DELLA PERCEZIONE 77
Lo schema binario di tattile/aptico35 e ottico viene da Riegl messo in relazione con la sfera delle Weltanschauungen: "Gli antichi popoli orientali avevano la chiara tendenza a persistere nella loro concezione strettamente tattile-oggettiva del mondo sensibile. Al contrario i Greci ebbero (e verosimilmente tutti i popoli indogermanici) in origine un diverso concetto del com~ito dell'arte figurativa, indirizzata non a una comprensione tattile della individualità corporea in una visione da vicino, ma a una concezione sostanzialmente ottica c a una visione a distanza c perciò anche molto più sog-
tt . "36 N ll' d " I h ge 1va . e arte mo erna, c 1e a per oggetto la rappresentazione degli individui corporei nel libero spazio infinito e mediante lo spazio, i compiti sono divisi in modo uguale tra popoli romanzi e germanici: i primi in generale si pongono con unilaterale preferenza il problema tattile, i secondi quello ottico "l1.
Il connettere le modalità estetico-artistiche della percezione alla questione più complessiva della "visione ~e! mondo" risponde del resto a quell'esigenza, esplicitamente espressa da Riegl, di comprensione globale e (oggi diremmo) interdisciplinare del fenomeno culturale: "L'uomo non è solo un essere che percepisce con i sensi (passivo) ma anche un essere che vuole (attivo) e che perciò vuole spiegare il mondo come desidera che gli appaia, nel modo più aperto e dipendente dalla sua volontà (mutevole secondo il popolo, il luogo e il
a 3~~ Nd~a I e?. ~i lndus~n4 ar~ist1~a tardoromana Riegl impiega il termine takul , poi sostitUito con hapt!Sch (tangibile, dal gr<eoi:rm:òç).
J6. lvi, p. 3 l, n. l. 37: I~i1em. Benjamin ripeterà questa distinzione quasi aUa lettera: ·Nei
popoh d1lingua romanza l'affinamento ddle facoltà sensoriali non riduce l'energia del_contatto sensibile. Nei tedeschi l'affinamento e la crescente cultura, dd godunento dci sensi vengono pagati in genere con una diminuzione dell arte del contattoj la capacità di godimento perde qui in spessore ciò che guadagna in ddicatezza" (PW, 429).
7 8 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
tempo). Il carattere eli questa volontà è chiuso in qucll~ che noi abbiamo chiamato oggi la 'Weltanschauung del momento corrente (eli nuovo nel più ampio se.nso della parola): nella religione, nella filosofia,. nella scienza, anche nello stato c nel diritto, dove eli regola una delle dette forme di espressione generalmente sovrasta
l al ")8 c tre · Id li ili.
Ora, la caratterizzazione proposta da Ricg .eg st. principali dell'arte antica tramite delle cate~~nc es.tetlchc radicate nella corporeità vivente qual! il tattile e l'ottico ha sconcertato non poco alcuni interpreti, che si sono preoccupati di ridimensionare il ruolo svolto dalle strutture percettive, vuoi spiritualizzandolo come Sedlmayrl9 , vuoi artisticizzandolo come Révész
4•0
(del resto proprio come aveva già f.att.o ~an~fsky ne.! co~fronti eli Wolfflin, i cui concetti eli stile lineare ~asci: mentale e di stile pittorico barocco sono caratterizzati
38. A. Riegl, Industn'a artistica tardoroman_a, cit.,y. 3~6. . . , 'ili 39. "Quando egli [i. e. RiegiJ parla di co":s1dera~one r~vytcm?ta } U·
sionistica' intende sempre riferirsi a queglt atteggtament.l m pnn~~ u?go spiritualì [geistig]. La stessa cosa vale prindpalme_nte .Pe.r 1 C,?ncettl o.tuc~tattile'" (H. Sedlmayr, "La quintessenza delle teorte d t Riegl [1929], tn A · te e verità, t r. i t. di F. Paolo Fiore, Ruscom, Mila":o 1984, ~· d5_1). . il
40. Révész sostiene che Riegl non intende 1 concetti 1 ?tu.co e tatt_ e "nel loro senso originario": essi non indicano "concrete fU:nZIOnl ve~cetuve 0
concreti contenuti percettivi, bensì princìpi della p~o?illlone artls.uca e:~ te iamenti dell'uomo che contempla esteticamente ; o.ra questi c~:mc ti ~crdono il loro senso psicologico. e diven~o.no ,co0nc~ttd·autono:;u ~~~ scienza dell'arte e della contemplaz.tone artistica . um l, quan o qv parlava di un'arte aptica 0 tattile, "non intendeva assolutam~te c~e la pras· si artistica nei primi periodi dell'antichità fosse stata domrnata a qu.esta funzione sensoriale. Con aptico lliegl non intend~a dun9ue la p~rceZione aptica, bensì il'vedere aptico'. Non si tratta~a p;r l m del ~r;dto di u;p"'Jdr z.ione biologica- prima dell'aptica, poi dell ottica- bens~. u~ mo l a visione artistica e del comportamento estetico. Entr~mblt.n:odi df vede}e artistico appartengono all'ambito della nostra funz1one :nsava, so o. con a differenza che facciamo emergere proprietà della cosa tal! che nel pruno dd so giungono ad essere percepite particolarmente (o anc~e) ~er me:u;o. , senso tattile, nel secondo caso quasi esdusivame~te tramate senso vtSlVO
(G. Révész. Die Formenwelt d es Tastsinnes, M. Ntjhoff, Den Haag 1938, vol.
Il, pp. 76·78).
STORIA DCLL'ARJC C STORJA OCLLA PERCEZIONE 79
proprio in termini, rispettivamente, di tattilità e otticità41
).
Ben diversamente interpreta Benjamin, nel momento in cui- come abbiamo visto- sostiene, appoggiandosi a Wickhoff e a Riegl, che "l'epoca delle invasioni barbariche[ ... ] possedeva non soltanto un'arte diversa da quella antica, ina anche un'altra percezione" (III, 24). Questa radicale lettura percettologica dei testi dcgli storici vicnnesi ammette una correlazione fra i differenti stili perccttivi, gli stili artistici e il concetto stesso eli natura, la quale di volta in volta si dà a vedere- diviene fenomeno- in modo diverso in relazione alle modalità percettive vigenti. Anche il concetto eli natura viene così a pluralizzarsi nella molteplice "stilizzazione" percettiva e artistica, cioè si storicizza. A questo riguardo, Hauser ha osservato come per Riegl "nemmeno lanatura rappresenta qualcosa di costante e coerente. [. .. ] 'Ogni stile', egli dice, 'mira appunto ad una fedele riproduzione della natura e non ad altro; ma ognuno ha il suo proprio concetto di natura'. Con ciò anche la natura assume un carattere storico [ ... ] . È dunque privo eli senso parlare eli stili fedeli e eli stili infedeli alla natura;
41. Si veda già il saggio anti·wolffliniano del1915, in cui Panofsky la· menta che WOUflin prende •alla lettera un modo di dire che ha un senso fi. gurato: pensa cioè che un'arte, la quale interpreta i dati della visione in un senso lineare o pittorico, veda in modo lineare o pittorico; e- in quanço non si accorge che, così usato, questo modo di dire non designa. più affaito un processo propriamente ottico bensì un processo psichico- assegna alla visione artistico· produttiva quel posto che spetta alla visione naturale ricetti· va, un posto che sta al di qua della facoltà espressiva" (E. Panofsky, ·n pro· blema deUo stile nell~ arti figurative", in LA prorpelliva come •jonna simbolica", cit., p. 150). Dd resto, nella prefazione alla prima edizione dei suoi Con· cetti /ond.zmentali del/4 storia dell'arte, Wolfflin loda Riegl proprio per la coppia haptisch·optisch (Kunstgeschichtliche Grundbegriffe, Bruckmann, Miinchen 1915, Vorwort, p. V!). Cfr. su questi problemi P. Spinicci, Ilpa/4z. xo di Atlante. Contributi per una fenomenologia dala rappresentav'one prrr spettica, Guerini, Milano 1997, pp. 221·22.
80 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
perché il problema non è se si è più o meno fedeli alla natura, ma che concetto ci si fa eli essa. Nella storia dell' arte non si tratta dei diversi gradi della riproduzione della natura, ma dei diversi concetti della naturalezza "42.
In effetti, la scomparsa del concetto di natura in sé nella riflessione riegliana era già stata caratterizzata in termini eli "rivoluzione copernicana" à la Kant da Panofsky nel suo Idea, del1924: "Nella teoria della conoscenza il presupposto di questa 'cosa in sé' è stato scosso da Kant, nella teoria estetica invece si è infranto solo per l'influenza di Alois Riegl"43
• Salvo poi ridurre tale rivoluzione all'ambito della resa stilistica artistica, la sola espressiva e storicamente determinata, contrapposta all'ambito della percezione per così dire "normale", eli per sé neutro, costante e universale.
Questa dicotomia tra stile artistico e percezione normale (che in fondo altro non è se non la dicotomia cultura-natura) viene decisamente rigettata da Benjamin, in un modo che risulta piuttosto evidente nella summenzionata recensione a Le Regard eli Georges Salles. La figura del sovrintendente del Louvre, convinto che il museo debba avere "come primo scopo quello eli affinare le nostre percezioni", emerge in tutta la sua rilevanza proprio nel confronto con Riegl: "Nel bel capitolo La scuola l'autore traccia, con uno schizzo potente e ardito, i contorni eli quella che si potrebbe chiamare la storia della percezione umana. "Ogni occhio è ossessionato, il nostro non meno eli quello delle tribù primitive.
42. A. Hauser, .. Filosofia della storia dell'arte: 'storia dell'arte senza no· mi'", in Le teorie dell'arte. Tendenze e metodi della cn"tica moderna [1958], tr. it. di G. Simone, Einaudi, Torino 1988; p. 185.
43. E. Panofsky, Idea. Contributo alla Jtoria dell'esteti01 [1924], tr. it. di E. C ione, introd. di M. Ghdardi, La Nuova Italia, Firenze 1996, p. 79.
STORIA DEL!: AltrE E STORIA DELLA PERCEZIONE 81
Ad ogni istante plasma il mondo secondo lo schema del suo cosmo". In Riegl, il magnifico storico delle arti minori nella decadenza romana, ci sono delle luci simili. Sono state raramente riflesse. È con esse che Lo sguardo ~on si richiama soltanto alle nostre tentazioni più sottili, ma anche ai nostri tentativi più ardui" (CR, 341-42). . Tra questi tentativi si conta anche quello eli cogliere il momento cruciale di una modificazione della percezione: "Dice Salles: 'Noi siamo in grado eli cogliere, nell'attuale, quel disturbo ottico eli cui domandavamo il segreto alla storia. [. .. ] Lo sconvolgimento visivo di cui siamo testimoni ha il segno perturba t ore con cui si annunciarono i grandi mutamenti storici"' (CR 342).
Significativamente Benjamin, in una let;era a Horkhei.mer del 23 marzo 1940, cita un passo in cui Salles enuncia la connessione essenziale tra storia dell' arte, antropologia e sociologia della cultura: "'Un' arte', in effetti, 'differisce da quella chel'ha preceduta esi realizza proprio perché essa enuncia una realtà eli tutt'altra natura che non una semplice modificazione plastica: essa riflette un altro uomo ... Il momento da cogliere è quello in cui una pienezza plastica risponde della nascita eli un tipo sociale' (pp. 118-20)"44
• Si ribadisce quindi che l'arte non si limita a una modificazione o deformazione della percezione naturale come sua messa in stile, ma si correla a tipi differenti eli umanità storicamente determinati. . '
eli " N a stessa lettera Benjamin esplicitamente accosta le ricerche eli Salles alle prospettive da lui dischiuse nel saggio sull'opera d'arte, e in particolare nel terzo paragrafo che stiamo commentando: "'Per studiare un'arte nei suoi fondamenti bisogna, in fin dei conti, rompere i
44. Lettera riportata in GS III, 704·06, qui 705-06.
82 PICCOLA STORIA DELLA lONTANAN"lA
nostri quadri e immergersi nel vivo delle allucinazioni di cui quest'arte ci consegna soltanto un deposito irrigidito. Bisogna viaggiare nelle profondità di specie sociali scomparse. Compito avventuroso che ha di che tentare una sociologia cosciente della propria missione' (pp. 123-24). Non è affatto necessario forzare il testo per rendersi conto che in queste righe l'autore mira a uno scopo identico a quello che contempla il capitolo III del mio saggio sull" opera d'arte nell'epoca della sua riproduzione tecnica'".
Fra gli epilegomeni di questo saggio conservati alla Bibliothèque N ationale si trova un significativo appunto intitolato Stil - un tema di riflessione presumibilmente suggerito proprio dalle ricerche kunstwissenscha/tlich di Wickhoff e del Riegl "cardiografo" dell'arte45, che mette in luce il nesso essenziale fra stile e attualità da un lato, fra stile e percezione dall'altro: "Sarebbe importante approfondire la questione: da quando esiste un concetto dello stile nel senso dello storicismo? Certamente già il diciottesimo secolo conosceva il concetto di stile: il Medioevo gotico era per esso un'idea corrente. Il Rinascimento aveva un'idea dello stile classico dei Greci. Quel che distingue tali concetti di stile dal nostro è il loro contenuto attuale. n Rinascimento prendeva le mosse dalla convinzione che il modello classico fosse per esso in tutto e per tutto valido, e che tale modello potesse venire raggiunto in pieno dai maestri. n diciottesimo secolo mostrava un disprezzo per il Gotico barbarico del Medioevo, che presupponeva
45. Benjamin parla di Riegl come di un "maestro che penetra tanto in profondità nei contenuti del suo oggetto che a lui riesce di clisegnare come hnea delle loro forme la curva dd loro battito cardiaco" nella recensione dell'opera di Oskar Walzel, Das Wortkunstwerk. Mille/ seiner Erforschung, 1926 (SSU, 123.24).
STORIA DELI:ARTE E STOlUA DELLA PERCEZIONE 83
u~a relazione con esso non meno immediata e attuale d1 quella .che il Rinascimento istituiva con l'antichità. Solo al diciannovesimo secolo il concetto di stile dovrebbe essere apparso sterilizzato e conservabile nel suo secolo come un preparato delle scienze naturali è conservabile sotto spirito. Ciò autorizzerebbe a supporre che come stile si potrebbero rappresentare solo forme che abbiano perduto ogni funzione nella percezione" (GS VII-2, 674).
L'.Ottoc~nto, secolo ossessionato dal problema dello .stile ~ disperatamente alla ricerca di uno stile proprio - ricerca su cui ironizzava caustico Adolf Loos46 -,avrebbe p.erduto quindi la capacità di rapportarsi in modo attualizzante alla storia degli stili, trovandosi in~ap.ace s~a di mimare un modello positivo, come faceva il Rinasc~ento con l'antichità classica, sia di respingere con disprezzo un modello negativo, come faceva il Sett.ecento c.on ~l Medioevo, e limitandosi perciò alla estrmseca citazione eclettica e sincretistica, trasfor~ando lo stile in un oggetto storicisticamente neutralizzato.
Ben altrimenti connesso agli strati profondi dell'espe~ienza ~ercet~iva ~e~ differenti tipi di umanità app~r~va lo stile agli storici dell'arte vi ennesi, e attraverso di loro a Benjamin. Tuttavia la capacità di questi stu-
l-'
l 4.6. "Gli uomini s~ aggiravano tristi tra le vetrine e. si vergognavano della oro un potenza. Ogru età ha avuto il suo stile e solo aUa nostra dovrà essere nega
1to uno stile? Per stile si intendeva l'ornamento. Dissi allora: non pian·
~fte. G':'a~d~e, questo appunto costituisce la grandezza dd nostro tempo a~to ctoe c e ess~ non sia in grado di produrre un ornamento nuovo. Noi
(fbtado s~perato l orn~mento, ~on f~ttca ci siamo liberati dell'ornamento. uar .at~, ~momento st approsstma, il compimento ci attende. Presto le vie
della cma nsplenderanno come bianche muraglie'" (A Loos "O e delitto" [1908], in Parole nel vuoto, tr. it. di S Gess~er Adelph7'MJ;~o 1992, p.219). . ' ' o
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di osi di cogliere per primi nelle epoche e negli stili da loro indagati delle manifestazioni espressive correlate a differenti organizzazioni percettive si è scontrata, secondo Benjamin, con dei limiti intrinseci alloro approccio: essi si sono infatti concentrati sul "contrassegno formale" [formale Signatur] della percezione tipica del periodo tardo-romano, senza affrontare i "rivolgimenti sociali" che si esprimevano in tali modifìcazioni percettive. Questi limiti possono, a parere di Benjamin, essere superati nella modernità: oggi è possibile cioè dar conto delle condizioni sociali [gesellscha/tliche Bedingungen] che determinano le modificazioni percettive, complessivamente classificabili con il concetto di "decadenza dell" aura"' (III, 24).
La critica al formalismo degli storici dell'arte (cioè a un'argomentazione che analizza gli stili artistici innanzitutto e per lo più dal punto di vista, come direbbe Riegl in senso purovisibilistico, del colore e della linea, nel piano e nello spazio) viene condotta da Benjamin in nome di un approccio sociologico all'arte che dia conto delle modilìcazioni stilistiche (e percettive) come condizionato dai rivolgimenti sociali. È evidentemente una possibile risposta alla domanda: perché gli stili (artistici e percettivi tout court) cambiano? - questione delicata che, come si è visto, Wickhoff tendeva a risolvere all'interno di una teoria della reazione fisiologica all'affaticamento provocato dallo stile precedente e che Riegl inquadrava nell'ambito di un'evoluzione continuistica per tappe necessarie che a non pochi interpreti ha evocato fantasmi hegeliani: le realizzazioni tardo romane sarebbero infatti "gradini necessari per le forme moderne", mentre nel suo complesso "il mutamento della Weltanschauung tardoantica fu una necessaria fase transitoria dello spirito umano"47• È però ve-
STORIA DELt:AirrE E STORIA DELLA PERCEZIONE 85
ro che Riegl ammette la possibilità di retrocessioni di '
riprese che spezzano l'intransigente marcia ineluttabi-le del processo evolutivo. Si veda ad esempio la pagina in cui, parlando degli effetti cromatici di luce e ombra nell'arte romana, Riegl ammette che "questo ritmo di colori è proprio delle opere medio-romane, ma anche di quelle del IV secolo [. .. ]; retrocede poi nei rilievi figurati propriamente tardo romani [ ... ] che di nuovo tradiscono la tendenza a un ritorno della concezione tattile"48•
Come vedremo, sarà proprio la possibilità di tali rt~ prese tattili a situarsi- del tutto problematicamente- al centro della riflessione benjaminiana sull'arte nell'epoca della perdita dell'aura.
47. A. Riegl, Industn"a artistico /ardoromatui, cit., pp. 10 e 378. 48. lvi, pp. 366·67 (c. vi miei).
5 CULTO ED ESPOSIZIONE
Procedendo nel paragrafo 4 a interrogarsi sulle caratteristiche proprie dell'opera d'arte auratica, Benjamin afferma che la sua unicità [Eim:igkeit] "si identifica con la sua integrazione nel contesto della tradizione [Tradition]" (III, 25). La tradizione è certamente qualcosa di mobile, un contesto culturale che può declinare in direzioni anche opposte l'interpretazione di un'immagine: ad esempio una statua di Venere può essere per gli antichi greci oggetto di culto, per i cristiani medievali idolo funesto; eppure ad entrambe le tradizioni si presentava la statua nella sua unicità, cioè nella sua aura1
•
Questa modalità di esistenza auratica [auratische Daseinsweire] dell'opera non ha in origine tanto a che fare con una tradizione artistica, quanto innanzi~).lttO con un rituale magico (viene qui anticipata la questione della magia che, come vedremo, avrà parte non margi-
l. Si veda, in Di alcuni motivi in Baudelaire, la citazione dalla pagina proustiana in cui Benjamin ravvisa un'implicita deftnizione dell'aura pro· prio in termini di tradizione: "'Essi [sdL certi amanti del mistero] credono che i monumenti e i quadri si presentino solo sotto il velo delicato che hanno tessuto intorno a loro l'amore e la devozione di tanti ammiratori nd corso dei secoli" (AN, 125).
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naie nel dispiegarsi dell'argomentazione), quindi religioso (con un fondamento "teologico", come si specifì- · ca in I) e si esprime nel culto. In nota Benjamin chiarisce che la definizione precedentemente fornita dell'aura come apparizione unica eli una lontananza per quanto vicina è la trasposizione "nei termini delle categorie della percezione spazio-temporale" di questa natura essenzialmente cultuale dell'opera: "La distanza è il contrario della vicinanza. Ciò che è essenzialmente lontano è l'inavvicinabile [das Unahbare]. Di fatto l'inavvicinabilità è una delle qualità principali dcll'in1maginc cultuale. Essa rimane, per sua natura, 'lontananza, per quanto vicina'. La vicinanza che si può strappare alla sua materia non elimina la lontananza che essa conserva dopo il suo apparire" (III, 49, n. 8).
È su questo punto, cioè sulla connessione eli auratico, magico e cultuale, che Adorno indirizza la prima delle sue obiezioni alla II, espresse nella lunga lettera a Benjamin del 18.3 .36. Sottolineando la fecondità di quelle distinzioni operate da Benjamin in scritti precedenti (la separazione eli allegoria e simbolo nel Dramma barocco, quella eli artistico e magico in Strada a semo unico), Adorno stigmatizza il fatto che nel saggio sull'o, pera d'arte tornino a confondersi "il concetto eli opera d'arte come costrutto [Gebild]", il "simbolo della teologia" e il "tabu magico": "Mi risulta sospetto- e vi vedo un resto molto sublimato eli certi motivi brechtianiil fatto che Lei adesso trasponga in modo incondizionato il concetto dell'aura magica sull"'opera d'arte autonoma"2 c assegni nettamente quest'ultima alla funzione
2. Con il concetto di Autonomie der Kumt Adorno indica appunto il processo di liberazione dell'arte dai propri condizionamenti teologici e mctafisid.
CUI:I"O ED ESPOSIZIONE 89
controrivoluzionaria. Non devo certo assi~urarLa del fatto che sono del tutto consapevole dell'elemento magico nell'opera d'arte borghese (tanto meno, dal momemo che tento sempre di nuovo di smascherare la filosofia borghese dell'idealismo, che è correlata al conc~tto eli a.~tonomia estetica, come mitica nel senso più pieno). M1 sembra però che il centro dell'opera d'arte autonoma non appartenga esso stesso al lato mitico -perdoni il modo topico eli discorrere -, bensì che esso sia in sé dialettico: che tale centro intrecci in sé il magico con il segno della libertà" (A-B, 169).
A questa obiezione eli aver fatto retrocedere Io sta tut? dell'arte autonoma a quello del culto, recentemente n presa tra gli altri da Debray\ Adorno connette una seconda obiezione, rilevando- ciò che è in fondo I' altro corno del problema -l'impossibilità eli attribuire all' arte tecnologicamente riprodotta uno statuto eli immediata rivoluzionarietà. Precisando eli non voler garantire l'autonomia dell'opera d'arte come riserva e eli essere d'accordo con Benjamin nel concepire l'auratico dell'opera come in via eli estinzione (anche se non solo a causa della riproducibilità tecnica, bensì soprattutto per l'adempimento eli una legge formale autonoma propria dell'opera), Adorno osserva che sarebbe tutta-
. 3. Di~~inguendo nella storia dd.l'immagine tre periodi -la logosfera, re· gune d:" idolo; la grafo;;fera, regime dell'arte; la videosfera, regime dd visi· vo -, c!asc.uno carattenzzato da una propria fonte di autorità (rispettivamente il dto, la natura, la macchina), Debray sostiene che Bcnjamin, pur avendo.rnolt_o oppor: una mente messo in luce come le condizioni tecniche di pr~uzt?n.e mfluenzmo la creazione artistica, abbia fatto propria •t'illusione conttnu1st1ca de!Ja.storia ufficiale dell'arte. Cosl ha potuto confondere due e~he, ?ue regu;m dello sguardo: l'era degli idoli e l'era dell'arte. La suaaurt~, !'!fatti~ ~ppartl~ne ~l tanto alla prima. Le qualità di presenza reale, di autor:zta e dt Jmmedi~ta tn~arnaz.i?n:, d~ c,ui egli paventa la perversione indust':lale, sono quegh stessi aspctu dt cu1l opera d'arte si è spogliata nd Rinas~.Iment~, sen_za aspettare la 'riproduzione mcccanizzata'" (Vita e morte Jelltmmagme, eu., p. 102).
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via un'insufficienza dialettica concepire l'opera d'arte nell'epoca della tecnica come eo ipso progrcssist~; ciò significherebbe peccare- scrive Adorno- di una forma di "romanticismo" rivoluzionario, uguale e contraria a quella del romanticismo rcazionario4• Vedremo nel corso della lettura, e in particolare in quei passi in cui Bcnjamin affronta la questione dell'essenza della tecnica, se effettivamente questa seconda obiezione adorniana sia fondata.
Tornando ora alla cultualità dell'opera, Bcnjamin la connette al suo essere autentica (echt, ma anche, nella III in nota, authentisch): "li valore unico dell'opera d'arte autentica trova una sua fondazione nel rituale", e in quest'ambito- Benjamin aggiunge solo nella III, con un evidente richiamo alla terminologia marxiana- trova il suo "primo e originario valore d'uso [Gebrauchswert] ", che mantiene anche quando il rituale va incontro ad un processo di sccolarizzazionc che si manifesta nel culto profano della bellezza così come si esercita dal Rinascimento all'Ottocento, fino cioè al momento in cui, con la fotografia, "primo mezzo di riproduzione veramente rivoluzionario" c significativamente contemporaneo del socialismo, la base cultuale dell'arte sperimentò la sua prima profonda crisi, reagendo- potremmo dire fisiologicamente- in modo appunto teo-
4. "Les extrèmes me touchent, proprio come toccano Lei: ma solo se ella dialettica dell'estremo inferiore è equivalente quella dd superiore, non se questo semplicemente decade. Ent~a.r:tbi portano.le stimmate dd capitalismo entrambi contengono elemenu di trasformaziOne[ ... ]; entrambi sono le d~e met_à dilacerate dell'intera libertà, che tuttavia non si lascia comporre dalla loro somma: sacrificare una metà all'altra sarebbe romantico, o come romanticismo borghese della conservazione della personalità e di tutto l'incantesimo [Zauber], o come romanticismo anarchico nella fiducia ~ie:ca nei confronti della potenza autonoma dd proletariato nd processo stonco.- del proletariato che comunque è esso st~so borgh:scmente prod<?tto. È d1 que; sto secondo romanticismo che devo m certa misura accusare il Suo lavoro (A-B,l71).
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logico: innanzi tutto con la teoria teologica dell'art pour l'art, e successivamente con la teologia negativa dell'arte pura (professata in poesia da Mallarmé come dal suo primo officiante), avulsa da qualsivoglia implicazione non solo sociale, ma addirittura oggettualc.
. È interessant~ nota~e a tale proposito come Bcnjamtn nella III aggiUnga, m nota, una considerazione sulla progressiva soggettivizzazione cui va incontro la din:ensionc auratica nel passaggio dal culto magico-rcligtoso a quello profano della bellezza, in cui all'irripetibilc unicità dell'immagine in se stessa viene via via sovrapponendosi l'autenticità unica dell'artista o del suo gesto; "Nella rappresentazione del fruitore l'unicità delle immagini che appaiono nell'opera cultuale viene sempre più sostituita dall'unicità empirica dell'esecutore di immagini [Bildner] o della sua esecuzione [bildende Leistung]" (III, 49, n. 9; tr. mod.).
Ciò non significa tuttavia che sia possibile un trapasso completo e perfetto dell'autentico dell'oggetto cultuale nell'autentico del gesto soggettivo: lo dimostra il fet~cismo del collezionista, che possedendo la cosa partecipa del suo valore .cultuale indipendentemente dal suo produttore. "Di regola i collezionisti - scriverà Benjamin nel saggio Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico, pubblicato sulla "Zeitschrift fiir Sozialforschung" nel193 7, scritto cronologicamente e tematicamcnte vicinissimo a quello sull'opera d'arte - sbno sempre guidati dall'oggetto" (OA, 113). Esistono tuttavia due forme di feticismo: a fianco di quella oggettiva, legata alla cosa di per sé presa, si pone una forma soggettiva, congiunta alla personalità creatrice; "li feticcio del mercato d'arte è il nome del maestro" (OA, 114). li ~rande merito di Fuchs è, secondo Benjamin, quello di avere dato avvio alla dcfeticizzazionc della·
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storia dell'arte nel senso di questa seconda forma di feticcio commerciale: "li suo proposito era di restituire all'opera d'arte la sua esistenza nella società da cui era stata staccata; staccata a un punto tale che il luogo in cui egli la trovava era il mercato artistico, dove essa, ugualmente lontana da coloro che l'avevano prodotta come da coloro che erano in grado di comprenderla, continuava a vivere ridotta a mera merce" (OA, 112-13 ). L'ambito originario di tali oggetti è un ambito anonimo, contrassegnato non da una grande individualità creatrice, bensì da una comunità coesa da un sentire condiviso. In questo senso, il "pioniere" Fuchs potrebbe essere a buon diritto annoverato fra i rappresentanti della cosiddetta "storia dell'arte senza nomi", di cui Wickhoff, Riegl, Wolfflin sono stati maestri.
Ma proprio contro il formalismo di quest'ultimo, espresso nella sua teoria secondo cui la modificazione degli stili non può essere spiegata in termini di modificazione dei contenuti, delle mentalità, dell'ideale di bellezza, ma solo in termini di autonoma modificazione delle forme della visione, Fuchs obietta che tali forme possono essere comprese solo se vengono ricondotte alle trasformazioni dell' aunosfera complessiva di un' epoca. Molto significativamente, Benjamin rileva la problematicità di questa obiezione fuchsiana: l'ipotesi formalistica di Wolfflin "suscita certo una reazione negativa nel materialista storico. Tuttavia contiene anche elementi stimolanti; precisamente perché il materialista non è tanto interessato a far dipendere la modificazione della visione artistica da una modificazione dell'ideale della bellezza quanto da processi più elementari- processi che vengono promossi dalle trasformazioni economiche e tecniche della produzione" (OA, 94). È plausibile ritenere che anche qui Benjamin, con l'espressione
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"processi più elementari" [elementarere Prozesse], stia facendo riferimento- anche se in modo piuttosto implicito- a quegli strati fondamentali dell'esperienza percettiva pensati, come si è visto nel commento al paragràfo 3, in correlazione con gli stili artistici e con la loro evoluzione, e intesi qui sotto l'influenza di modificazioni storiche di carattere economico e tecnico.
È appunto tale carattere tecnico, peculiare della riprqduzione meccanica dell'opera, ad essere ritenuto, più del passaggio dalla prassi cultuale alla prassi secolarizzata dell'arte (dall'arte come gesto magico-religioso all'arte come gesto estetico o estetizzante), responsabile di una vera e propria rottura: "La riproducibilità tecnica dell'opera d'arte emancipa per la prima volta nella storia del mondo quest'ultima dalla sua esistenza parassitaria nell'ambito del rituale. L'opera d'arte riprodotta diventa in misura sempre maggiore la riproduzione di un'opera d'arte predisposta alla riproducibilità" (Ili, 26-27). Questa situazione è chiarissima già nel caso della fotografia, per cui, essendo possibile una serie infinita di stampe della pellicola, "la questione della stampa autentica non ha senso", ma è massimamente evidente nel cinema, arte che - come Benjamin aveva già anticipato nel paragrafo l -è connessa al mezzo tecnico non come a una condizione estrinsceca di riproduzione e diffusione, bensì come a una condizione in-trinseca e costitutiva. ,
Venuta meno la questione dell'autentico, si trasf;rma secondo Benjamin anche la funzione sociale dell'arte nel suo complesso, che dalla fondazione nel rito passa alla fondazione nella politica. Naturalmente, come viene specificato a proposito del film, tale politicità di quell'arte che è essenzialmente riproducibile non deve essere automaticamente intesa in senso rivoluzionario,
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anzi si offre in modo altrettanto duttile al grande capitale borghese e ad una gestione fascista. Ciò mostra -togliendo terreno all'obiezione "anti-romantica" di Adorno sopra esposta- come Benjamin fosse del tutto consapevole di una sostanziale neutralità politica del mezzo tecnico, il quale di per sé non è immediatamente utilizzabile in vista di una mobilitazione rivoluzionaria delle masse. Di più, le stesse masse non sono, a loro volta, affatto immediatamente mobilitabili in senso progressista.
È una nota dei Paralipomena alla II ad approfondire questo parallelismo tra massa e mass medium, mostrando come entrambi siano di per sé neutri, cioè passibili di essere piegati in senso reazionario o rivoluzionario; considerando la massa degli spettatori cinematografici, Benjamin osserva che "essa per sua natura non è stabilmente determinata secondo la sua struttura di classe, quindi non è senz' altro mobilitabile politicamente. Ciò non esclude però che attraverso determinati film possa venire intensificata o ridotta in essa una certa disponibilità a mobilitarsi" (GS VII-2, 668): il secondo caso è quello dei film di propaganda controllati dal capitale borghese, sulla cui capacità di minare la presa di coscienza proletaria si è incentrata ad esempio la critica di Siegfried Kracauerl.
Proprio riguardo allo statuto neutro del medium tecnico Benjamin incluse nei suoi ultimi appunti del 1940 riferiti al saggio sull'opera d'arte una significativa citazione dalla conferenza Sull'epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni tenuta da Cari Schmitt nel
5. Si veda a questo riguardo il saggio "Le piccole commesse vanno al ci· ne ma .. [1927), in La massa come ornamento, t r. i t. di M.G. Amirante Pappalardo e F. Maione, pres. di R.llodei, Prismi, Napoli 1982, pp. 85·98.
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19296, in cui tra l'altro si legge che "la decisione intorno alla libertà e alla servitù non sta nella tecnica in quanto tecnica. Questa può servire[. .. ) tanto alla libertà quanto alla repressione, tanto alla centralizzazione quanto alla decentralizzazione. Dai suoi [ ... ) princìpi [. .. ) non scaturisce né la posizione di una questione politica né una risposta politica'~ (GS VII-2, 673).
Ad ogni modo, a tale neutralità politica della tecnica non corrisponde altrettanta neutralità estetica, nel senso della teoria dell'arte. Per approfondire gli effetti esercitati dalla riproducibilità sullo statuto stesso dell'arte, Benjamin sviluppa nel paragrafo 5 uno schema binario di carattere assiologico, incentrato sull'opposizione di valore cultuale [Kultwert] 7 e valore espositivo [Ausstellungswert], definiti nelle redazioni I e II come Polaritiiten o Pale (in Fr. p6les) dell'opera d'arte stessa fra i quali si muove, accentuando ora questo ora quello, la storia dell'arte nel suo complesso, e nella III come particolari Akzente polari della ricezione [Rezeption) di opere d'arte.
Nella Fr. e nella I manca l'importante riferimento in nota all'estetica idealistica, di cui si denuncia l'incapacità di riconoscere quella polarità, alla quale tuttaviaammette Benjamin- è proprio uno dei sui massimi rappresentanti, cioè Hegel8, che sembra alludere tanto nel-
6. Citazione che Benjamin trae da un articolo di Karl I..Owith dedicato a Ma x Weber un d sei ne Nachfolgl!re apparso su "Mall un d Wert" ,Jahrg. ID, Heft 2,Januar·Februar 1940, p.173.
7. Leggiamo in una nota degli epilegomeni al saggio sull'opera d'arte: "Il valore cul.tuale (il sacro} deve essere definito com~ un 'aura saturata di un contenuto storico. L'aura era originariam~nte (fino a quando fondava il va· lore cultuale) caricata di storia,. (GS Vll-2, 677).
8. Su una generale vicinanza di Iknjamin a Hegel insiste Adorno (cfr. Pn'rmi, cit., e Note per W lelleratura, cit.). Per le affinità tra la tesi b~njami· niana della decadenza dell'aura~ quella hcgdiana che dopo dihù è diventata nota come tesi della "morte dell'arte,., cfr. Habermas, Cultura ~critica, ci t., p. 249: "Già H egei, nelle sue lezioni di esu:tica, denuncia la perdita del.
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le Lezioni sulla filosofia della storia quanto nelle Lezioni di estetica, là dove afferma che nella sua dimensione sensibile, cioè esterna, la bellezza di un'opera d'arte è in qualche modo "fastidiosa" [storend] per la devozione.
A questa nota, presente sia nella II sia nella III, quest'ultima ne aggiunge di seguito un'altra, coerente con la determinazione dei due valori come accenti polari della ricezione e riguardante il generale decorso storico della ricezione artistica come appunto segnato dal passaggio da una ricezione del valore cultuale a una ricezione del valore espositivo dell'opera. Ma questo andamento storico non impedisce che la polarità giochi all'interno di una singola opera e della storia della sua particolare ricezione, addirittura invertendo la direzione generale dal cultuale all'espositivo, come accade nell'esempio addotto da Benjamin della Madonna Sistina di Raffaello, commissionata come dipinto da collocare sulla bara di Papa Sisto in occasione dell'astensione pubblica della salma, e quindi originariamente ca-
l'aura nell'arte". Habcrmas cita a tal riguardo il celebre passo in cui Hegel ossetva che "'si può, sì, sperare che l'arte s'innalzi e si perfezioni sempre di più, ma la sua forma ha cessato di essere U bisogno supremo dello spirito. E per quanto possiamo trovare eccellenti le immagini degli dèi greci, e vedere degnamente e perfettamente raffigurati il Padreterno, Cristo e Maria, tuttavia questo non basta più a farci inginocchiare" (EJletica, t r. i t. di N. Merkere N. Vaccaro, Einaudi, Torino 1976, pp. 120). Per questo aspetto dell'estetica hegdiana si può vedere, nella ricchissima letteratura ad esso dedicata, D. Formaggio, La "morte dell'arte" e l'Estetica, ll Mulino, Bologna 1983; G.Scaramuzza, "Il tema della morte dell'arte ndl'Eitetica di Hegd", in AA.W., Problemi del RomanticiJmo, a c. dj U. Cardinale, Shakespeare & Co., Milano 1983, pp. 1}5.61; A. Gethmann·Siefert, Eine Diskunion ohne Ende: Hege!J T/me vom Ende der Kunst, in "Hegd.Studien", XVI, 1981, pp. 230·45; H. G. Gadamer, "Ende der Kunst? Von Hegds Lehre vom Ver· gangcnheitscharakter der Kunst bis z.um Anti-Kunst von Heute", in H. Friedrich (Hrsg.), Ende der Kunst · Zukun/t der Kunst, Deutscher Kunst· verlag Miinchen 1986, pp. 16·33. Cfr. anche, con riferimento a Benjamin, !"introduzione di P. Gambazzi a G. W. E Hegel, Arte e morte dell'arte. Per· cono nelle Le1.ioni dt. eJietica, a c. di P. Gambazzi e G. Scaramuzza, tr."it. di G.F. Frigo, B. Mondadori, Milano 1997, in p art. pp. 55 e 62.
CULTO ED ESPOSIZIONE 97 ratterizzata da un forte valore espositivo, c poi finitanonostante il rituale romano vietasse tale collocazione per dipinti esposti durante i funerali- come oggetto di culto sull'altare maggiore della cappella del convento piacentino dei Frati Neri. L'originario valore espositivo del quadro spiega tra l'altro anche il perché Raffaello avesse dipinto il cielo fra due tendine dalle quali la Madonna si affaccia e si avvicina [néihert sich) alla salma: se nella nota al precedente paragrafo Benjamin aveva de~!to la lontananza una trasposizione in termini percettlv! d~a cultualità, qui, completando l'altro polo della coppia, pone una connessione essenziale fra esponibilità e vicinanza, investendo- come si vede- non solo il piano della ricezione, ma anche quello della produzione, dal momento che gli scopi espositivi [Ausstel!ungszwecke) del quadro indussero Raffaello a una d et erminata scelta figurativa e compositiva del quadro.
Tornando al decorso storico dell'arte nel suo complesso - della sua produzione e della sua ricezione -Benjamin lo descrive come un passaggio dal polo cul: tuale al polo espositivo, che viene altresì connotato nei termini di uno spostamento dall'esistere di per sé- ciò che in fondo conta per il primo tipo di immagini, che sono al servizio del culto (della magia: I, II e Fr.) e che addirittura vengono in alcuni casi tenute "nascoste" [tin Verborgenen] alla vista e rese accessibili solo ai sacerdoti- all'esistere per il fruitore, cioè dall'esistere all'esser-visto.
La situazione di impercettibilità e nascondimento d~ll' opera si modifica progressivamente con il processo di secolarizzazione cui va incontro l'arte, che via via si emancipa dal rituale: ciò va di pari passo con una crescente mobilità e mobilitazion.e dell'opera (ad esempio nell'evoluzione che conduce dalla statua fissa al mezzo
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busto, oppure dal mosaico all'affresco al dipinto su tavola), o se si vuole con la sua progressiva trasferibilità. L'opera si inizia a sradicare dall'hic, dall'Hier, dalla sua collocazione spaziale che avevamo visto essere determinante per la sua auraticità.
È curioso riflettere oggi - come spettatori televisivi ed eventualmente come fedeli che la domenica "vanno" in chiesa sul piccolo schermo, rimanendo comodamente seduti in poltrona- all'ormai anacronistica annotazione con cui Benjamin rileva la maggiore esponibilità della sinfonia rispetto alla messa, che oggi tramite la TV possiamo ricevere tranquillamente a casa nostra proprio come a casa nostra possiamo ascoltare la registrazione eli un concerto o un'incisione: "Se l'esponibilità eli una messa per natura non era probabilmente più ridotta eli quella eli una sinfonia, tuttavia la sinfonia nacque nel momento in cui la sua esponibilità prometteva di diventare maggiore eli quella eli una messa" (III, 27 -28)9.
Ora, secondo un movimento del pensiero che è ricorrente in Benjamin, lo scenario i per- tecnologicizzato della modernità viene analizzato per comparazione con quello della preistoria, con la quale il primo puntualmente esibisce tratti eli inquietante affinità: in questo caso specifico del rapporto fra la polarità cultuale e
9. È ancora Debray a offrire su questo problema uno spunto di riflessione: "'Il mistero dcll'eucarestia non opera attraverso Io schermo [. . .]. Un confessore non può impartire l'assoluzione per telefono, né la santa comunione alla televisione. Non c'è telepresenz.a. reale della carne e del sangue. Ma già si suppone che la benedizione papale urbi et orbi, trasmessa da reti hertz.iane, mantenga la propria efficacia- innovazione carismatica che annuncia forse altri adattamenti. Chissà se un giorno ci sarà soltanto la messa televisiva (come già non ci sono più Giochi Olimpici, ma solo Giochi messi in scena non per ma da parte della loro trasmissione" {Vita e morte dell'immagine, cit., pp. 245-46).
CULTO El) ESPOSIZIONE 99 q.uella espositiva, l'affmità va ravvisata nell'accentua~Ione unilaterale~ pressoché esclusiva dell'un polo sull altro, ~ccentuaZione che sortisce- anche se per motivi opposti (motivi quantitativi che generano una modificazione qualitativa) -lo stesso effetto, e cioè l'annullamento di ciò che è propriamente artistico nell'opera d'~rt~ .. Se l'accen~ua~ione del polo cultuale nell'epoca P~Im!Uva aveva significato una cancellazione dell'artistico. a tutto ~a v ore del magico, e solo il progressivo regredire del ntuale nella secolarizzazione aveva permesso ~'emergere dell'opera d'arte in quanto tale, nell'csaltazwn~ del po.lo. ~spositi~6 quale si verifica nell'epoca della nproduc1bilua tecnica (in prtim's n cl cinema e nella fotografia) l'artisticità dell'opera d'arte, faticosamente strappata al culto, alla lontananza e all'invisibilità · tornerà a perdersi, o perlomeno risulterà "marginale'; ("Ciò che così avviene- cita Berijamin in una nota della III, proponendo un passo sulla mercificazione del!' arte tratto dal Processo dell"' Opera da tre soldi" eli Brecht lo_
la modificherà [sci!. l'arte] radicalmente, estinguerà il suo passato, a un punto tale che qualora il vecchio concetto dovesse venir ripreso- e lo sarà, perché no?- non susciterà più alcun ricordo della cosa che un tempo designava" (III, 51, n. 12).
Per mantenersi nelle categorie della percezione cui spes~o ~enjamin ricorre per circoscrivere questi fenome?I, si potrà allora dire che nell'opera d'arte ciò che assicura l'artistico è una "giusta distanza" o una medielas .fra l_'invisi~ile lontananza del culto propria della preistoria magica e l'immediata vicinanza resa accessibile dalla tecnica. Dalla tecnica, ma non solo da essa,
10. D! quest? testo dd 19} l cfr. la tr. i t. in B. Brecht, Scritti su/h letteratura e sul/ arte, eu., pp. 5}·ll4.
100 PICCOLA STQlUA DCLLA LONTANANZA
bensì anche dalla prassi artistica di certe avanguardie. Già verso la fme del1925, in Kitsch onirico (pubblicato nell927 con il titolo Glossa al surrealismo), Benjamin aveva scritto che "ciò che chiamavamo arte, comincia solo due metri lontano dal corpo. Ora, però, nel Kitsch il mondo delle cose si serra più da vicino all'uomo: si concede alla sua presa che tasta [seinem· tastenden Grr/!J" (SSU, 73; tr. mod.)ll.
Il. Il Kitsch è ·a lato che la cosa volge al sogno" (SSU, 71), cosi come . viene colto nell'tute surrcalista. Si veda al proposito anche il successivo Il surrealismo. I: ultima istantanea sugli intellettuali europei, dd 1929 (in AR, 11·26; in OC. 253·68, seguito da (Àrle per "Il surrea/ismo', 269·93). Sulla qualità tattile dell'arte surrea.lista insiste molto opportunamente E. Tavani, che in particolare osserva come il surrealismo assuma per Benjamin "il ruolo di una guida alia leggibilità 'tattile' dd segno" ("Benjamin, Parigi e il surrea· lismo ", in Simbolo, metafora, linguaggi, a c. di G. Coccoli e C. Marrone, ed. guteNberg, Roma 1998, pp. 143-56, qui p. 151). Sulla categoria benjaminiana di Traumkitsch dr. E. Bloch, "Wagner salvato dal colportage surrea.lista" [1929], in EredtM del nostro tempo [1935), ed. it. a c. di L. Boella, ll Saggiatore, Milano 1992, pp. 311-19. Sulla gnoseologia surrcalista in Benjamin cfr. J. Fi.imkas, Surrealùmus als Erkenntnis: Walter Benjamm · Wermarer Etn· bahmtrafie und Pariser Passagen, Metzler, Stuttgart 1988.
6 TECNICA E PREISTORIA
La posizione mediana dell'arte fra culto e tecnica si colloca dunque fra due estremi che per certi versi si toccano e che perciò - scrive Benjamin in un brano espunto nella III - consentono "un confronto con la preistoria in modo non solamente metodologico, bensì materiale" (I, 444; II, 358; Fr., 716). Vale la pena seguire l_'arg.omentazione di questa pagina, perché qui BenJamm approfondisce la sua posizione sulla questione, assolutamente centrale, della tecnica.
L'arte preistorica- prosegue dunque Benjamin- si pone al servizio delle pratiche magiche, cui offre nota· zioni [Notierungen, notations]: vuoi intagliando la figura di un avo (gesto di per sé carico di valenze magiche), vuoi mostrando l'avo nell'atto di compiere determinati riti (quasi un libretto di istruzioni), vuoi offrendo un oggetto la cui contemplazione potenzia il contemplato· re. Tali funzioni soddisfano le esigenze di una società la cui tecnica esiste solo in quanto fusa con il rituale, e risulta ovviamente superata rispetto alla tecnica odierna, a quella meccanica, che si presenta come quella "più emancipata": "Ma questa tecnica emancipata -scrive Benjamin nella I- sta ora di fronte alla società odierna
102 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
come una seconda natura e cioè, come dimostrano crisi economiche e guerre- come una natura non meno elementare di quella che era data alla società primitiva" (I,
444). . Allo sguardo dialettico non è tanto questo aspetto di
arretratezza ciò che conta, quanto piuttosto il fatto che -come si legge nella II (e in ~r., ~o n picco;e diffe:en~~ ininfluenti) - "la prima tecmca unp1ega l uomo il p1~ possibile, mentre la seconda lo m:piega il ~e~o.posslbile. La grande impresa della pnma tecmca e m una certa misura il sacrifico umano, quella della seconda sta sullo stesso piano degli aereoplani telecomandati, che non necessitano di alcun equipaggio. Il detto 'Una volta per tutte' [Ein fiir allema[J vale per la prima tecnica (si tratta della colpa per sempre irreparabile o della morte sacrificale eternamente esemplare). n detto 'Una volta è nessuna volta' [Einmal ist keinmafJ 1 vale per la seconda (essa ha a che fare con l'esperimento e l'infaticabile variazione delle sue condizioni). I.:origine della seconda tecnica va ricercata là dove l'uomo per la prima volta e con inconsapevole astuzia [Ust, ruse] giungeva a prendere distanza [Abstandl dalla nat~ra. Tale origine, in altre parole, sta nella rappre:'entazwn~ [m~ anche 'gioco', 'recita teatrale', 'esecuzione musicale: Spie[J" (Il, 359)2
• • •
Proprio il riferimento al gioco reintroduc~ la pos!z~one media dell'arte, in cui si mescolano in vane gradaz1o-
1. Si veda, in Ombre corte, dd 1929, il par~rafo _•p~un.to int\tolato "'Una volta è nessuna volta", in cui questo detto !U t.r. lt. nc~ama l affine proverbio italiano "Una rondine non fa primavera ) vtene pe~o tratta~o odl'ambito erotico, e contrapposto all'"una volta per sempre dt Don Gtovan-
ni (()C, 349-50). . · ' . d 11 2. Su questo passo ha attirato l'attenzione F. Destdert, UJ_porta e. a
giustizia, cit., pp. 109-1_0, _caratterizza~d? in particol_are la pnma tecntca come "mimesi appropnauva della potests della physu, della sua potenza disvdante ".
TECNICA E PRCISTOIUA 103
ni giocosità e serietà, disinvoltura e rigore: ciò significa che "l'arte è connessa tanto alla seconda quanto alla prima tecnica. Senza dubbio bisogna a questo proposito osservare che la 'dominazione della natura' [Naturbeherrschung] designa lo scopo della seconda tecnica solo nel modo più impugnabile; lo designa piuttosto dal punto di vista della prima tecnica. La prima ha effettivamente mirato al dominio della natura; la seconda molto di più ad un gioco combinato [Zusammenspiel, accordo, affiatamento] tra la natura e l'umanità. La funzione socialmente decisiva dell'arte odierna è esercitazione [Einiibung] in tale gioco combinato"3 (Il, 359).
Proprio come nell'epoca preistorica (caratterizzata dal tentativo di dominio esercitato dalla prima tecnica sulla natura), in cui l'arte poneva le proprie figurazioni al servizio della magia, come notazioni che insegnavano una procedura rituale, così nell'epoca contemporanea (contrassegnata dalla seconda tecnica, ormai diventata una "seconda natura") l'arte- o quello che essa è diventata, come fotografia e soprattutto come film - si pone al servizio dell'uomo come educatrice delle sue relazioni percettive con la realtà: "A questa seconda natura [scil. quella prodotta dalla seconda tecnica] sta di fronte l'uomo- che l'ha sì inventata, ma che già da lungo tempo non la padroneggia più-, avviato a un corso di lezioni esattamente come era accaduto una volta davanti alla prima. E nuovamente l'arte si pone al stio servizio. È in particolare il @m a fare questo. n film serve ad esercitare in quelle nuove appercezioni e reazioni condizionate dalla relazione con un'apparecchiatura, il cui ruolo nella sua vita aumenta quasi giornalmente.
3. •così la tecnica sottoponeva il senso rio dell'uomo a un training di ordine complesso" (Di alcuni motiui in Baudelaire: AN, 110).
104 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
Rendere la gigantesca apparecchiatura tecnica della nostra epoca oggetto dell'innervazione umana- questo è il compito storico, nel cui servizio il film ha il proprio vero senso" (I, 444-45).
È la II a chiarire le implicazioni politiche di questo esercizio appercettivo e reattivo del nostro sistema nervoso: "La relazione con questo apparato gli insegna (scil. all'uomo] al contempo che l'asservimento al servizio dell'apparato farà posto alla liberazione tramite esso solo una volta che la costituzione [Ver/assung]4
deil'wnanità si sarà adattata alle nuove forze produttive che sono state dischiuse dalla seconda tecnica" (II, 360; anche Fr., 717). Come è evidente, qui Benjamin sta facendo riferimento alle positive valenze rivoluzionarie della seconda tecnica, in linea con la positiva designazione della stessa come Zusammenspiel, come "gioco combinato", armonico e affiatato, tra uomo e natura. Infatti, in una nota comune alla II e alla Fr., si legge che è lo scopo stesso delle rivoluzioni l'accelerazione di tale adattamento alle nuove forze produttive: "Le rivoluzioni sono innervazioni del collettivol: più esattamente,
4. h significativo notare come la Fr. si discosti dalla li su questo punto, ponendo al posto di Verfassung (costituzione nel senso- ci sembra qui, proprio per il contesto riferito alle innervazioni, alle appercezioni e alle reazioni umane- di complessione fisica, di condizioni fisiche) l'espressione structure économique.
5. Si veda a tal proposito- oltre che una nota dei Parali'pomena alla Il, GS VII-2, 666- ancoralo scritto sulSurrea/ismo (1929): "Solo se corpo e spazio immaginativo si compenetrano in essa così profondamente che tutta la tensione rivoluzionaria diventa innervazione fisica collettiva, e tutta l'in· nervazione fisica del collettivo diventa scarica rivoluzionaria, solo allora la realtà ha superato se stessa tanto quanto esige il manifesto comunista" (AR, 25-26); nonché il seguente appunto in PW, 829: "Sulla dottrina delle rivoluzioni come innervazioni dd collettivo: 'La soppressione della proprietà privata è ... la completa emancipazione di tutti i sensi umani. .. ; ma è un'eman· dpazione siffatta ... perché i sensi e lo spirito degli altri uomini sono diventati la mia propria appropriazione. Oltre questi organi immediati si formano quindi organi sociali ... per esempio, l'attività che io esplico immediatamen-te in società con altri ... è diventata organo di una manifestazione vitale ed
TECNICA E Plffi!STORIA 105
sono tentativi di innervazione del nuovo collettivo, che per la prima volta appare storicamente, che ha nella seconda tecnica i propri organi. Questa seconda tecnica è un sistema in cui il padroneggiamento [Bewàltigung] delle elementari forze sociali rappresenta il presupposto per il gioco [Spie!] con le forze naturali" (II, :360, n. 4;cfr. Ft., 717,n . .3). ·
Naturalmente, nel periodo di adattamento, alcune mete saranno percepite come realistiche, altre come utopiche- è a questo proposito molto significativo che nei Paralipomena alla II, risalenti al periodo che va dalla fine di gennaio ai primi di febbraio dell9.36, Benjamin affermi che "oltre all'utopia della seconda natura vi è un'utopia della prima natura"6 e parli di "eùt doppelter utopischer Will" (GS VII-2, 665-66). Ma quel che importa è il fatto che, come si è visto, mentre la prima tecnica impiega l'uomo il più possibile, la seconda lo
un modo dell'appropriazione della vita umana. S'intende che l'occhio umano gode _in modo 9-}verso dall'occhio rozzq, inumano, l'orecchio umano in modo daverso dali orecchio rozzo ecc.'. Marx, Der historirche Materialismus. Die Friihschn/t,<n, I,_ P\'· 300-1 {Nationa/Okonomie und Philosophie)". 4 cataz:'one SI trova m tr. lt. m K. Marx, Manoscritli economico-filosofici ed lt. a c. d t N. Bobbio, Einaudi, Torino 1985, pp. 130-31. '
6 ... La prima si trova più vicina alla realizzazione della seconda. Quanto ~iù si e;;tende lo. sviluppo dell'umanità, tanto più palesemente le utopie che nguar4ano la pnrna natura (e soprattutto il corpo [Leib] umano) retrocedono a vantaggio di quelle che concernono la società e la tecnica. Il fatto che tale recesso sia provvisorio, si capisce da sé. l problemi della seconda natura quelp sociali e. tecnici, ~evono èssere molto vicini alla loro soluzione, ptim~ che l problemt della p n ma natura- amore e morte -lascino presagire~ loro contorni". Se acuti spiriti della rivoluzione borghese, come Sade e Fo~rier pensavano ad una immediata realizzazione della fdicità,l'Unione Sovietic~ connette le modalità collettive di esistenza a una programmazione tecnica su scala planetaria, che include spedizioni nell'Artide c nella stratosfera. •se in tale cont~t? si d~ asc~lto alla parola d'ordine 'sangue e terra', si sente il colpo con ~ut ~-fasc1smo cc;ca d~ sbarrare _la strada a entrambe quelle utopie. Sanç.~e - c1o v.a. co?tro l. utopia della p n~ a na
1
tura, che vuoi dare la propria ~edictna a tutti I m1crob1 sul campo da g1oco. Boden' -dò va contro l'uto· paa d~a se_conda natura, la cui realizzazione deve essere un privilegio di qud tipo da uomo che sale sulla stratosfera per gettarne giù bombe" {GS VII-2, 665-66).
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impiega il meno possibile, puntando a una "progressiva liberazione dell'uomo dalla corvée del lavoro" che gli permette di ampliare in modo incommensurabile il proprio campo d'azione (letteralmente- e preferibilmente, dato il continuo riferimento del contesto allo Spiel- "spazio di gioco": Spielraum): "Di questo spazio di gioco l'individuo non è ancora informato [non sa ancora orientarsi, preferisce la F r.], ma già gli presenta le sue esigenze" (II, .360, n. 4).
La seconda tecnica riverbera dunque i suoi effetti non solo sulle masse, ma anche sull'individuo singolo, il quale, emancipato dai limiti che gli imponeva la prima tecnica, torna a porre con urgenza quelle questioni vitali che tale tecnica aveva represso: l'amore e la morte: "L'opera di Fourier è il primo documento storico di questa esigenza"7 (II, .360, n. 4).
7. Della figura del filosofo, economista e teorico della società Charlcs f'ouricr (1772-1837) Benjamin si è intensamente occupato- riservandogli ad esempio il primo capitolo (Fourier o le gallerie) dell' Exporé dd 1935 Parigi. La a1pitale del XIX reco/o (PW, 5-8) e prevedendo per lui un posto d'onore nel Passagenwerk {cfr. i relativi appunti e materiali in PW, 791-~27). il pensiero fourieriano consiste cssenzial~ente in una f~osofi~ d~a sto~~ quadripartita {eden primordialei degrada7.lone delle socaetà, di cu1 la cns1 della società civilizzata è l'ultima fase, e quella peggiore; società armonica; morte dell'umanità) e in un esperimento sociale volto a superare l'infimo momento di infelicità corrispondente alla civiltà sua contemporanea i~ direz~one de!la società armonica. Fra i punti ~ond~mentali dd pro?r~m':"a ~~ Founer trovtamo l'abolizione del commercto pnvato e della famtglia: il prtmo, sotto forma di incontrollato libero scambio, è la causa delle crisi economiche mondialii la seconda, culla dell'egoismo, si basa sulla repressione ddla sessualità e della donna. Solo sottraendo alla morale le passioni, cioè quegli impulsi originari dell'uomo che favoriscono la coesione sociale e la creatività, e lasciando loro libera espressione si potrà pervenire alla perfetta fdicità, nonché alla trasformazione dd lavoro in lavoro attraente e giocoso. Cruciale in Fourier era l'organizzazione delle comunità in "falangi" (gruppi di 1600 uomini e donne), residenti in unità urbanistiche denominate "falansteri" ("Fourier- scrive Bcnjamin- ha visto ndle gallerie il canone architettonico dcl falanstero": AN,147-48) e dedite ad attività agricole, artigianali e anche moderatamente industriali, oltre che intellettuali e ludiche. Si veda la tr. it. parziale dd suo Teon·a dei quatlro movimenti [1808t il nuovo mondo amoroso e altri sedili su/lavoro, l'educazione e l'archite/tura nella società d'Armonia, scelta e introd. di I. Calvino, tr. i t. E. Basevi, Einaudi, Torino 1971.
TECNICA E PREISTORIA 107
Ora, l'insistenza di Fourier sulla sostituzione del gioco al lavoro e sull'armonia come meta da raggiungere nei rapporti tra uomo e uomo e tra uomo e natura mostra tratti evidentemente affini con quelli che abbiamo visto caratterizzare la prefigurazione benjaminiana dell'avvento compiuto della seconda tecnica. Ma a Benjamin, come ben si evince dal paragrafo dedicato. a Fourier nell'Exposé del1935, interessa, oltre alla preconizzazione del futuro, anche altro, e cioè- dialetticamente -l'emergere, proprio nel nuovo, di tratti arcaici: "Nel sogno in cui, ad ogni epoca, appare in immagini la seguente8, questa appare sposata ad elementi della protostoria [Urgeschichte], e cioè di una società senza classi. Le esperienze della quale, depositate nell'inconscio del collettivo, producono, compenentrandosi col nuovo, l'utopia, che lascia le sue tracce in mille configurazioni della vita, dalle costruzioni durevoli alle mode effimere. Questi rapporti sono riconoscibili nell'utopia diFourier" (PW, 7).
Per questa sua riflessione sul rapporto tra arcaico e moderno, tra preistoria mitica ed era tecnologica, condotta soprattutto nella "protostoria del XIX secolo"9
del Passagenwerk, nonché nella sua premessa metodologica, il saggio sull'opera d'arte, Benjamin può essere a buon diritto annoverato fra gli esempi più significativi di quel pensiero della tecnica10 che, proprio negli an-
8. L'esergo a questo passo è una citazione daJ. Michdet, Avdhir! Avtnir_l: "'Chaque époque rive la suivante".
9. lo! 'Protostoria dd XIX secolo'. Essa non avrebbe alcun interesse se la si intendesse nd senso che all'interno del XIX secolo debbono essefe ritro· vate forme protostoriche. ll concetto di protostoria dd XIX secolo può ave· re un senso solo là dove il XIX secolo è esposto come forma originaria ddla protostoria, cioè come una forma in cui l'intera protostoria si rinnovi tanto da far riconoscere alcuni suoi tratti più antichi come precursori di quelli più recenti." (PW, 1063; cfr. anchc600).
10. Sul pensiero della tecnica cfr. l'utile antologia a c. di M. N a cci, Tecm·· ca e cultura de/14 criri(1914-1939), Loescher, Torino 1982.
108 PICCOLA STOlti/l. DELLA LONTANANZA
ni Trenta, ha visto il contributo- per non citare che alcuni tra i casi più noti - di Spcnglcr (Uuomo e la tecnica, 1931), di Husserl (La crisi delle scienze europee, 1936), di Jaspers (La situazione spirituale del nostro tempo, 1931), di Huizinga (La crisi delta civiltà, 1935), di Friedrich Georg]linger (La perfezione della tecnica, 1939), del suo più celebre fratello Ernst (La mobilitazione totale, 1930; Il lavoratore, 1932).
La concezione benjaminiana della tecnica- proprio come quella relativa alla perdita dell'aura - oscilla in modo caratteristico tra una visione sostanzialmente positiva, improntata come si è accennato al Zusammenspiel, al gioco combinato di uomo e natura, c una visione pessimistica e negativa, incentrata sul concetto di sfruttamento. A questo proposito, è particolarmente significativa la Tesi XI Sul concetto di storia, che fa proprio esplicito riferimento a Fourier: lamentando l'ingenuità dei lavoratori tedeschi, illusi che lo sviluppo tecnico del lavoro avrebbe significato di per se stesso un progresso politico, Benjamin afferma che un tale concetto del lavoro "vuoi tenere conto solo dei progressi del dominio della natura, non dei regressi della società. Esso mostra già i tratti tccnocratici che più tardi s'incontreranno nel fascismo. A questi tratti appartiene anche un concetto di natura che contrasta malauguratamente con quello delle utopie socialiste prequarantottesche. n lavoro, come ormai viene inteso, ha per sbocco lo sfruttamento della natura, che viene contrapposto, con ingenua soddisfazione, allo sfruttamento del proletariato. Confrontate con questa concezione posi- . tivistica, le fantasticherie che tanto hanno contribuito alla derisione di un Fourier, mostrano di avere un loro senso sorprendentemente sano. Secondo Fourier, il lavoro sociale ben organizzato avrebbe avuto come conseguenza che quattro lune illuminassero la notte terre-
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stre, il ghiaccio si ritirasse dai poli, l'acqua eli mare non sapesse più di sale, e gli animali feroci entrassero al servizio degli uomini. Tutto ciò illustra un lavoro che, ben lqntano dallo sfruttare la natura, è in grado eli sgravarla delle creazioni che, in quanto possibili, sono sopite nel suo grembo. Al concetto corrotto di lavoro appartiene, come suo complemento, quella natura che, come ha detto Dietzgen, 'è là gratuitamente'" (CS, 39-41).
Questa visione per così dire ostetrica, maieutica, della buona tecnica, capace eli far partorire la natllra, femmina gravida, dei suoi prodotti, contrasta sensibilmente con l'atteggiamento della cattiva tecnica, che scava fosse sacrificali nel ventre della Madre Terra, così come Benjamin l'aveva descritta nell'ultimo aforisma di Strada a senso unico, "Al planetario", in riferimento a quel "nuovo inaudito connubio con le potenze cos~ich~" che si era verificato durante la Prima guerra mondiale: "Masse umane, gas, energie elettriche sono state gettate in campo, correnti ad alta frequenza hanno attraversato le campagne, nuovi astri sono sorti nel cielo, spazio aereo ed abisso marino hanno risuonato di motori, e da ogni parte si sono scavate nella Madre Terra fosse sacrificali. Questo grande corteggiamento del cosmo s'è compiuto, per la prima volta, su scala planetaria, cioè nello spirito della tecnica. Ma poiché l'avidità di profitti della classe dominante contava di soddisfarsi a spese di essa, la tecnica ha tradito l'umanità e ha trasformato il letto nuziale in un mare di sangue" (SSU, 68) 11 •
11. Si veda quest'immagine di Berlino in Cn.si del romanto recensione del!9}0 di.Berlin Alexande..pùm di DOblin: "Che cos'è l'Alex~nderplatz a ~rimo? È il luogo dove da due anni in qua avvengono le trasfonnazioni più viOlente, draghe e bulldozer sono continuamente in attività, il suolo trema ~r i loro colpi, per le colonne degli autobus e per la metropolitana, dove le vtscere della capitale, i cortili intorno alla Georgenkirchplatz st sono aperti più in profondità che altrove" (AR, 96).
110 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
Dunque, la differenza tra cattiva tecnica (imperialistico "dominio della natura") e buona tecnica (''dominio del rapporto tra natura e umanità") dipende da un radicalmente diverso intendimento della natura, là madre feconda, qui mera cosa utilizzabile. È da un frammento del Passagenwerk che si può evincere a quale pensatore Benjamin fu debitore della sua concezione materna e femminea della natura: "Anche in epoche di relativo sottosviluppo delle forze produttive l'idea feroce dello sfruttamento della natura [ ... ] non è stata affatto quella decisiva. Certamente essa non ebbe alcuno spazio fintanto che l'immagine vigente della natura fu quella della madre dispensatrice di doni, qual è stata ricostruita da Bachofen per le società matriarcali. Nella figura della madre quest'immagine è sopravvissuta a tutti i mutamenti della storia. È evidente però che essa diviene ben più sfocata in epoche in cui persino molte madri si trasformano, rispetto ai loro figli, in agenti di classe" (cit. inJJB, 33)Y
L'influenza del grande storico svizzero del diritto J ohann J acob Bachofen sull'opera di Benjamin è difficilmente sopravvalutabile. Nel saggio sul Simbolismo funerario degli antichi, del1859, e più sistematicamente nel grande lavoro sul Matriarcato, del 1861D - lavori che Benjamin tentò problematicamente di "salvare"
12. Sulla presenza di Bachofen in Benjamin cfr. G. Plumpe, Die Ent· deck~'!g.,Jer Von.velt. Er/Juterungen tu Benjamim Bacho/en/ektUre, in ·rext + Kriuk , 31132, Miinchen, 1971-19792, pp. 19-40; M. Pezzella, Interpretazioni di Bacho/en nell'opera di Walter Benjdmin, in "'Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa", 18, 1988, pp. 843-57; E. Villari, Introduzione aJJB, pp.ll-34.
!J. J.J- Bachofen, Il simbolùmo funeran'o degli antich1; t r. it. di M. Pezz:Ua e V. ~anzara Gigante, Guida, Napoli 1989; Il matn"arcato. Ricerca sulla gm~cocra~ta del n:ondo an/i~ nei suoi aspetti religiOJi e giunJici, tr. it. di G. Schiavoni e F.Jest, 2 voli., Etnaudi, Torino 1988.
'ITCNICA E PREISTORIA 111
dalle interpretazioni reazionarie degli anni Venti (Klages, il klagesiano Bernoulli, Baeumler)l4 - Bachofen espone una filosofia della storia incentrata sulla scoperta di una fase matriarcale, precedente a quella patriarcale e comune a tutte le culture.
Operando per coppie simboliche oppositive (Cielo vs Terra; Giorno vs Notte; Luce vs Olllbra; Apollo vs Demetra; Padre vs Madre; mondo olimpico-uranico vs mondo tellurico-ctonio; diritto paterno vs diritto materno; diritto positivo vs diritto naturale; etica aristocratica della differenza vs promiscuità orgiastico-comunistica; Occidente vs Oriente; civiltà degli Eroi vs civiltà delle Madri; spirito vs materia; purezza vs impurezza; destra vs sinistra), Bachofen propone uno schema diacronico dell'evoluzione dell'umanità in cui ogni fase scaturisce per negazione della fase che la precede, per bruschi rovesciamenti dei rapporti di forza che vengono così resi comprensibili: "Le caratteristiche peculiari di ogni stadio si fanno pienamente comprensibili solo quando vengono contrapposte" 15
•
n primo stadio è l'eterismo o a/roditismo, caratterizzato da promiscuità sessuale e dominato dalla legge del più forte, quindi dalla violenza fisica esercitata dagli uomini sulle donne (il matrimonio ancora non esiste). n suo "prototipo naturale" è la flora palustre, dominata dalla legge naturale della materia: lo ius naturale in cui
.'!
I 4. Si veda JJB, del1934; la recensione di J .] . Bachofen, Griechische Rrise, in OC, 40-41, e quella di C.A. Bernouilli,Johann Jakob Bacho/en un d dar Naturrymbol, 1924, in GS lll, 43-45. Sulla riscoperta reazionaria di Bachofen cfr. G. Schiavoni, .. Rovine della 'Simbolica'. Su Creuzer, BachOfen e cultura di destra", in Risalire il N ilo. Mtio, /M ba, allegoria, a c. di F. Masini e G. Schiavoni, Sellerio, Palermo 1983, pp. 349-70; F. Jesi, "Scienza dd nùto e 'destra tradizionale'. Polemica di W. Bcnjamin verso qudla 'destra"', in Milo, Monda dori, Milano 1989, pp. 69-75.
15.].]. Bachofen, Il matriarC4IO, cit., p. 47.
112 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
si intrecciano putrefazione e procreazione. È nel "contrasto fra l'agricoltura e la iniussa ultronea crea t io [spontanea produzione della Madre Terra]" 16 tipica della palude che si determina il passaggio alla fase demetrica, che regolamenta tramite il matrimonio i rapporti sessuali. Ciò costituisce però al tempo stesso una disobbedienza alla legge di natura, la cui ira doveva essere pacificata tramite una prostituzione sacra, contrappeso della conquistata monogamia. L'equilibrata norn1a demetrica, definita entusiasticamente da Bachofen "la poesia della storia" 17 , garantisce pace, pietà, equità (in questa fase bachofeniana i marxisti salutarono un Urkommunismus).
Strettamente connessa all'eterismo palustre è la fase dell'amazzomsmo, uno stadio di imperialismo femminile ritenuto da Bachofen un "necessario" momento di resistenza armata alla violenza maschile. Alla ginecocrazia amazzonica risponde il dionisismo, visto come l"'irreducibile avversario della degenerazione innaturale in cui era caduta l'esistenza femminile" 18. Dioniso è divinità femminile e al contempo fallica: ambivalente nel suo opporsi all' amazzonismo in favore della femminilità demetrica, però anche nell'innegabile legame tra culto bacchico e sfrenatezza eterica, nonché per l'annunciarsi in esso del principio spirituale paterno: egli costituisce il primo germe di quella che sarà l'apollinea rivoluzione patriarcale, per Bachofen "la svolta più importante nella storia dei rapporti fra i sessi" 19, definitivamente garantita dall'avvento dell'imperium virile romano.
16. lvi, p. 32. 17. lvi, p.19. 18. lvi, p. 36. 19. lvi, p. 44.
TECNICA E PREISTORIA 113
Ora, è significativo che secondo Bachofennella fase dionisiaca ritorni un momento eterico-tellurico, sfrenatamente insofferente di ogni limite. Ciò significa che, pur all'interno di una necessaria progressione evolutiva . verso il patriarcato, non si esclude la possibilità che stadi di vita inferiori possano riemergere, nonostante il presunto superamento compiuto verso fasi superiori: una riemersione che Bachofen connota ora in senso positivo ora in senso negativo, come "rinascita" o come "ricaduta". Ciò comporta- come è stato osservato20 - il ricorso a due modelli di temporalità: uno teleologico, basato sulla dimensione unidirezionale che va dalla matriarcato al patriarcato, e uno circolare, basato sulla mitica lotta primordiale di Maschio e Femmina, in cui nulla è veramente sorpassato una volta per tutte e si è consegnati alla ineluttabilità dell'eterno ritorno dell'identico: un'alternativa che Benjamin ha declinato in termini di "complementarietà "21 •
Verificando la fecondità della legge bachofeniana secondo cui, "radicalizzandosi all'estremo, ogni principio favorisce la vittoria del suo opposto;[. .. ], il supremo trionfo è anche l'inizio della disfatta "22
, Benjamin scorge nell'ambito dell'impianto tecnico del mondo, che rimuove le originarie potenze naturali, la rinascita
20. Per i due paradigmi temporali in Bachofen cfr. C. Ces.a, &c~o(en; L: fi/mofoz de/L: storia, in • Annali della Scuola Normale Supenore di P1.1a , s. 3, vol. XVUI, 1988,2, p. 641; A. Cesana, I: antico <il nuovo Stato.~ critica del moderno e la JUa motivazione s/ori'co-univeriizle in f.]. &cho/en, m •Quaderni di storia", 28, 1988, p. IO!.
21. "La fede nel progresso- in una perfettibilità infinita quale co.mpito infinito della morale- e l'idea dell'eterno ritorno sono complementan. Esse costituiscono le indissolubili antinomie rispetto alle quali va svilu_ppato il concetto dialettico de:l tempo storico. Di fronte a questo l'idea dell'eterno ritorno appare frutto proprio di qud •piatto raz.ionalismo' di cui si accusa la fede nd progresso, e quest'ulùma si rivda altrettanto appartenente al pensiero mitico quanto l'idea dell'eterno ritorno" (PW, 174).
22.J.J. Bachofen, Il matriarcato, cit., p. 28.
114 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
eli un mondo mitico, tdlurico e ctonio, la cui torbida acquaticità2> è l'habitat ideale delle prostitute baudelairiane24 e delle eteriche figure kafkiane, e in primo luogo delle sue donne, bachofeniane "creature palustri, come Leni, che stende 'il medio e l'anulare della destra, congiunti fra loro da una membrana fin quasi all'ultima falange'" (AN, 295)25: "'Credere nel progresso - cita Benjamin da Kafka, nel saggio a lui dedicato del1934-non significa credere che un progresso sia già avvenuto'" (AN, 295). Il tempo si è fermato alla Vorwelt mitica: "L'epoca in cui egli vive non significa per lui alcun progresso sugli inizi preistorici. I suoi romanzi si svolgono in un mondo palustre. La creatura appare in lui allo stadio che Bachofen definisce eterico. Che questo stadio sia dimenticato, non significa che esso non affiori nel presente. Anzi, esso è presente proprio in virtù di questa dimenticanza" (AN, 295).
23. La stessa descritta nel saggio sulle Affinità elellive: "L'acqua, come elemento caotico della vita, non minaccia qui in onde selvagge che recano all'uomo la morte, ma nella quiete enigmatica che lo fa andare a fondo" (CCRT. 187). Si veda- in questa tr. it. più completa dd saggio rispetto a quella di AN -la citazione da Bernouilli sull'interpretazione bachofeniana dd simbolo, prima ctonio e poi celeste, della cicala (CCRT, 245). Anche per la trattazione delle pietre scpolcrali e dell'atteggiamento dei protagonisti nei confronti dei defunti (CCRT, 186} Benjamin sembra aver tenuto ben presente l'orizzonte dischiuso dalla Sepulkralhermeneutik bachofeniana.
24. • 'L'ottusità - scrive Baudelaire in uno dei suoi primi articoli - è spesso l'ornamento della bdlezza. È grazie ad essa che gli ocdù sono tristi e trasparenti come i neri acquitrini, o hanno la calma oleosa delle palucli tropicali'. Se c'è una vita ln quegli occhi, è quella della bdva che si assicura dal pericolo mentre guarda intorno in cerca di preda. Così la prostituta, mentre bada ai passanti, si cautela insieme dai poliziotti" (AN,127).
25. Il passato di Frieda, nel Castello, •ci riporta nel grembo oscuro dei tempi, dove si compie quell'accoppiamento 'la cui lussuria sfrenata- per dirla con Bachofen- è invisa alle pure potenze della luce celeste, e giustifica l'espressione luteae voluptates, di cui si serve Amobio' (AN, 295. Cfr. J.J. Bachofen, Simbologia funeraria degli antichi, cit., p. 556). Per le categorie bachofeniane impiegate da Benjamin nella sua interpretazione di Kafka mi permetto di rimandare al mio Ridare voce alla palude silenziosa. BenjaminKa/ka via Bacho/en, in "Pratica filosofica",}, 1994, pp. 10}-18.
TECNICA E PREISTORIA 115
Ma a nostro avviso la riflessione bachofeniana sulla Vorwelt fornisce a Benjamin gli strumenti categoriali non solo per rilevare il riaffiorare eli tratti arcaici nell'era della tecnica, bensì anche per circoscrivere lo statuto dell'arte auratica e del suo valore cultuale, grazie al "significato metodologico dd confronto tra l'epoca di volta in volta trattata con la preistoria, come si trova sia nel lavoro sul film (nella caratterizzazione del valore cultuale), sia nel lavoro su Baudelaire (nella caratterizzazione dell'aura)" (Materiali preparatori delle tesi: CS, 102-103 ).
Molto significativamente, nel saggio dedicato a Bachofen, Benjamin cita q__uesto passo dalla autobiografia dello storico svizzero: "E con la pietra tombale che si è formato il concetto eli Sanctum, eli ciò che è immobile e inamovibile. Quanto stabilito, vale in seguito anche per i cippi confinari e le mura che, quindi, formano con le pietre tombali l'insieme delle res sanctae"26 (JJB, 44). "Anche l'arte e 1' ornamentistica - scrive Bachofen in quella stessa pagina -hanno avuto origine dalla decorazione delle tombe". Queste, assieme alle pietre confinarie e alle mura, sono partorite dalla stessa mad~e terra: "La terra ci reca dal suo grembo pietre tombali, pietre confinarie.e mura, facendole venire fuori là dove, come elice Platone, esse prima dormivano"27 •
Di tale originaria radice cultuale e sepolcrale dell' arte- compensata per certi versi dal riegliano "cultcr moderno dei monumenti"28 - Benjamin descrive la para-
26. Cfr.J.J. Bachofen, "Autobiografia", in Din"tto e storia. Sm~ti sul malri'arcato, l'antichità e l'Ollocento, a c. di M. Ghdardi e A. Cesana, Marsilio, Venezia 1990, pp. 3-4}, qui p. 24.
27 lvi, pp. 24-25 (il riferimento platonico è auggi, 7780). 28. Sul Denkmalkultus cfr. A. Riegl, Il culto moderno dà monumenti. Il
suo cara l/ere e i suoi inizi [1903 ], a c. di S. Sc~rrocchia, Nuova Alfa editoriale, Bologna 1990, c il breve scritto di W. Kemp, •Iknjamin e il culto dei mo-
116 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
boia discendente, che prima di inabissarsi completamente nel cinema si trattiene per un momento nei primi ritratti fotografici, la cui auraticità è conservata dalla lontananza del morto. Osservando infatti nel paragrafo G come sia stata la fotografia a promuovere la progressiva sostituzione del valore espositivo al valore cultuale, Benjamin nota che questo però resiste nelF"ultima trincea, che è costituita dal volto dell'uomo. Non a caso il ritratto è al centro delle prime fotografie" (III, 28). È la funzione cultuale- puntualmente connessa alla categoria di distanza (spaziale: i cari lontani; temporale: i cari defunti) ad accomunare secondo Benjamin i ritratti dei quadri tradizionali e i primi ritratti fotografici: "Nell'espressione fuggevole di un volto umano, dalle prime fotografie, emana per l'ultima volta l'aura", che viene soppressa dalla dominanza del valore espositivo una volta che l'uomo esce di scena dalle fotografie. Ciò accade con Atget e con le sue fotografie di deserte strade parigine: "Molto giustamente è stato detto che egli fotografava le vie come si fotografa il luogo di un d eli tto", alla ricerca di tracce e indizi che vanno a costituire "documenti di prova nel processo storico" (III, 29). Ciò costituisce secondo Benjamin la nascosta valenza politica delle immagini di Atget, che per il loro carattere inquietante impediscono una ricezione contemplativa e divagante, tipica invece delle immagini tradizionali, e ci ingiungono di "cercare una strada particolare" per poter accedere alloro senso. Ugualmente i giornali illustrati non si limitano a offrire al lettore immagini, ma dotano queste di didascalie (cosa del tutto differente dal titolo del quadro), proponendo chiavi di lettura,
nume.nti di Riegl", in S. Scarrocchia (a c. di), AloiJ Riegl: teoria e praHÌ della comervaz.ione dei monumenti, cit., pp. 417-19.
TECNICA E PREISTORIA 117
"una segnaletica. Vera o falsa - è indifferente", dice Benjamin procedendo con la metafora della viabilità, che diventeranno ben più vincolanti nella ripresa cinematografica, "dove l'interpretazione di ogni singola immagine appare prescritta dalla successione di tutte quelle che sono già trascorse" 29 (III, 29).
Agli occhi di Benjamin, a costituire· una prova dell'incompatibilità di questa nuova forma cinematografica di comunicazione dell'immagine con una concezione auratico-cultuale dell'arte è proprio il fatto che i primi teorici del cinema abbiano tentato di caratterizzare il nuovo mezzo in termini per l'appunto teologici erituali. Come ci racconta nel paragrafo 7, i primi teorici del cinema (siamo nella seconda metà degli anni Venti), ancor più di quelli della fotografia, inconsapevoli della portata e del significato della trasformazione in atto, si provarono a reintrodurre come consustanziale al nuovo mezzo l'elemento rituale: Abel Gance accosta il fùm ai geroglifici egizi e lamenta la mancanza di un culte adeguato per comprendere il nuovo linguaggio; SéverinMars, citato dallo stesso Gance, auspica l'esclusiva rappresentazione di nobili personaggi "negli attimi più perfetti e più misteriosi della loro vita"; Arnoux (citato solo nella Fr. e nella III) impiega definizioni che, come
29. Si ricordi a tale proposito l'esperimento di Pudovkin, che M,erleau· Ponty così sintetizza: "'Pudovkin riprese un giorno un primo piano di Motukhin impassibile, e lo proiettò preceduto prima da Wl piatto di minestra, poi da una giovane donna morta ndla bara e infine da un bambino che giocava con un orsacchiotto fdpato. Si accorse subito che Mofukhin aveva l'aria di guardare il piatto, la giovane donna e il bambino, e poi che guardava il piatto con aria pensosa, la donna con dolore, il bambino con un luminoso sorriso[ ... ]. n senso d'una immagine dipende dunque da quelle che ]aprecedono nel film: la loro successione crea una realtà nuova che non è quella della semplice somma degli dementi impiegati" (M. Merlcau-Ponty, .. Il cinema e la nuova psicologia" [1945], in Senso e non unso, tr. it. di P. Caruso, introd. di E. Paci, Il Saggiatore, Milano 1974, p. 76).
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lui stesso ammette, sarebbero adatte a determinare la natura della "preghiera". E ancora F ranz Werfel, in pieni anni Trenta, lamenta che il cinema non abbia ancora compreso "il suo vero senso", e cioè il compito di rappresentare il "magico, meraviglioso, sovrannaturale"30•
Testimonia forse una volta di più dell'oscillazione con cui Benjamin affronta il problema del rapporto tra culto ed esposizione, tra magia e tecnica, tra arte e mass media, il fatto che egli stigmatizzi questa auraticizzazione del cinema auspicata da Werfel come tipica di "certi autori reazionari", laddove il suo stesso "saggismo -come sintetizza efficacemente Adorno - consiste nel trattare testi profani come se fossero sacri"31 , grazie alla "capacità di penetrare le manifestazioni della cultura borghese come geroglifici del suo fosco segreto"32 •
Una sacralizzazione non dissimile accompagnava la rinascita di tratti arcaici nelle prime caratterizzazioni teoriche del cinema. Con la reintroduzione del mo-
30. l testi cui Benjamin fa riferimento sono: A. Gance, Letemps de l'image est uenu (I:art cinématographique, II}, Paris 1927; A. Amoux, Cinéma, Paris 1929; F. Werfcl, Ein Sommernachtstraum. Ein Film von Shakespeare und Reinhardt, in "Neues Wiener Journal",l5.11.1935.
31. Sullo stile auratico di Benjamin Si veda la domanda che lo storico dell'arte americano Meyer Schapiro, entusiasta lettore del saggio sull'opera d'arte, pose ad Adorno: "Quanto intensamente egli [se il. Schapiro] si sia confrontato con le Sue cose, Le: può risultare dalla domanda che mi ha posto: qual è il rapporto tra la Sua critica ddl'auratico e il carattere auratico dci Suoi propri scritti. Se qualcuno si merita un esemplare in omaggio di Stradtz a senso unico, quello è certamente Schapiro" (lettera dd 2.8.38, in A·B, 346).
32. Prismi, cit., p. 240. Sul gerogUfico cfr. anche E. Bloch, "Geroglifici del XIX secolo", in Eredità del nostro tempo, cit., pp. 319-25: "La forma in cui questo secolo ha imitato il sogno, ha copiato, mescolato e sostituito epo· che passate si cristallizza in geroglilici" (ivi, p. 320). Questo testo blochiano fece insorgere in Bcnjamin sospetti di plagio a danno del Panagenwerk: .. Ai miei colleghi letterati, e perfino agli amici, non faccio invece saper nulla di questo lavoroj nulla di preciso. Attualmente è in uno stadio in cui è particolarmente esposto a ogni immaginabile ingiuria, non da ultimo a quella del furto. Capirai che i Geroglifici del secolo XIX di Bloch mi hanno messo un poco di paura" (lettera ad Alfred Cohn .. 18.7.1935: L, 292).
TECNICA. E PREISTORIA. 119
mento cultuale si cerca di recuperare la dimensione auratica, riallacciando il polo dell'estrema tecnologicizzazione al polo arcaico della ieratica espressività egizia: "È molto istruttivo osservare come lo sforzo di far rientrare il cinema nell'arte costringa tutti questi teorici ad attribuirgli, con una pervicacia senza precedenti, quegli elementi cultuali che non ha" (III, 30). Sembra qui che venga ad essere esemplificata quella legge presentata nell'Exposé del 1935, secondo cui "alla forma del nuovo mezzo di produzione, che, all'inizio, è ancora dominata da quella del vecchio (Marx), corrispondono, nella coscienza collettiva, immagini in cui il nuovo si compenetra col vecchio. Queste immagini sono proiezioni del desiderio, in cui il collettivo cerca di eliminare o di abbellire l'imperfezione del prodotto sociale, come pure i difetti dell'ordinamento sociale della produzione. Emerge insieme, in queste proiezioni, l'energica tendenza a distanziarsi ~all'invecchiato- e cioè dal passato più recente. Queste tendenze rimandano la fantasia, che ha tratto impulso dal nuovo, al passato antichissimo" (PW, 6-7).
Così "un rivolgimento di portata storica mondiale [weltgeschichtlich]" quale la riproducibilità tecnica dell'arte, responsabile dell'estinzione dell'"apparenza della sua autonomia", poté venire inquadrato nell'ambito di una domanda in fondo mal posta: "Se già precedentemente era stato sprecato molto acume per decidere la questione se la fotografia fosse un'arte- ma senza the ci si fosse posta la domanda preliminare: e cioè, se attraverso la scoperta della fotografia non si fosse modificato il carattere complessivo dell'arte-, i teorici del cinema ripresero ben presto questa male impostata problematica" (Ili, 29-30), interrogandosi sull'artisticità o meno del film piuttosto che sulle trasformazioni che esso provocava in seno al concetto stesso di "artisticità".
7 TECNICA E MIMESI
Per dar conto delle modificazioni dello statuto dell'arte, Benjamin si diffonde in interessanti considerazioni sul confronto tra riproduzione fotografica di un dipinto e di una scena in uno studio cinematografico, tra attore di teatro e attore di cinema, nonché in riflessioni sull'esperienza del test così come si presenta durante le riprese di un fìlm, in gare sportive, alla q.tena di montaggio e in colloqui attitudinali.
La riproduzione di un dipinto è di un tipo diverso dalla riproduzione di un evento fittizio preparato in uno studio cinematografico: "Nel primo caso il riprodotto è un'opera d'arte e la riproduzione non Io è. Poiché la performance del fotografo che opera con l' obiettivo è tanto poco un'opera d'arte quanto lo è quella di un direttore che dirige un'orchestra sinfonica; nel migliore dei casi è una performance artistica: Le cose vanno diversamente con le riprese in uno studio cinematografico. Qui già il riprodotto non è un'opera d'arte, e lo è naturalmente altrettanto poco, dal canto suo, la riproduzione, come non lo era una fotografia nel primo caso. L'opera d'arte nasce qui nel migliore dei casi solo sulla base del montaggio. Nel fìim essa riposa su un
122 PICCOLA SfORIA DELLA lONTANAN'"lA
montaggio, ogni singolo componente del quale è lariproduzione di una scena che non è un'opera d'arte in sé, né la produce nella fotografia" (II, 364).
Che cosa sono allora, si chiede Benjamin, questi singoli elementi costitutivi del film che non rappresentano -se singolarmente presi- alcunché eli artistico- né in sé, né nella loro riproduzione nel fotogramma? La risposta va cercata nella particolare prestazione professionale dell'attore eli cinema il quale, a elifferenza dell'attore di teatro, non si trova a recitare di fronte a un pubblico occasionale e contingente, bensì eli fronte a un comitato eli specialisti- direttore eli produzione, regista, operatore eli macchina, tecnico del suono o delle luci ecc.- che hanno la possibilità eli intervenire in ogni momento nella recitazione dell'attore, moelificandola. Questa situazione, che Benjamin definisce un "inelice sociale molto importante", accomuna il film alla prestazione sportiva e più in generale all'esecuzione eli un test. Il montatore infatti, trascegliendo dalle nwnerose varianti eli una stessa scena- che viene infatti per lo più girata molteplici volte- istituisce una gerarchia fra esse (una prima arrivata, un seconda, ecc.), cioè un primato o record. Con questa clifferenza: "Una scena rappresentata nello stuelio eli registrazione clifferisce dunque dalla corrispondente scena reale come il lancio eli un disco in un campo sportivo durante una gara clifferisce dal lancio dello stesso elisco nello stesso luogo e sulla medesima traiettoria, se ciò accadesse per uccidere un uomo. Il primo caso sarebbe l'esecuzione di un test, il secondo no" (II,364).
Ma- precisa Benjamin -l'esecuzione del test propria dell'attore cinematografico è eli carattere del tutto particolare. Essa consiste nel superamento eli quei limiti naturali posti dalla costituzione fisica umana allo sporti-
TECNICA E MI MESI 123
vo, la cui prova in gara- esibita al pubblico secondo un alto valore espositivo - è sempre e comunque un test naturale. Altrimenti stanno le cose quando il test è meccanizzato, cioè valutato da apparecchiature, da macchine, dalla tecnologia. Recitare sotto la luce dei riflettori e al contempo soddisfare le esigenze dei microfoni è un'esecuzione eli test eli primo grado. Questo test meccanico· ha luogo, oltre che nel cinema, nel mondo nwdemo del lavoro- sotto forma eli lavoro alla catena eli montaggio, che quotielianamente impone agli operai innumerevoli test1 -,nonché in quelle prove eli attit4dine professionale che valutano appunto tramite test l'idoneità del soggetto a sottomettersi a quella forma.
A questo punto interviene il cinema, eli cui Benjamin rileva qui l'enorme potenzialità ideologica e conservatrice dei rapporti eli forza vigenti tra capitale e lavoratore: "Il film rende esponibile l'esecuzione del test, nel momento in cui/a dell' esponibilità stessa dell' esecuzione un test. I: attore cinematografico non recita infatti eli fronte a un pubblico, bensì eli fronte a un apparecchio. Il elirettore delle riprese sta esattamente al posto in cui, nella prova d'idoneità, sta il elirettore dell'esame" (II, 365)2. Recitando davanti ad una macchina, l'attore climostra eli essere in grado eli conservare ciononostante la propria wnanità: "I: interesse per questa performance è enorme. Poiché è un apparecchio quello davanti al quale la stragrande maggioranza degli abitanti delle città, durante il giorno lavorativo, deve alienare [entaufiern] la propria wnanità negli uffici commerciali e nelle fabbriche. Alla sera quelle stesse masse
l. •Lo choc che nel fùm determina il ritmo della ricezione, determina alla catena di montaggio il ritmo deUa produzione" (GS Vll-2, 678).
2. Questa argomentazione si ritrova, estremamente ridotta, sotto forma di nota al S 8 della III, 52, n. 17.
124 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
riempiono le sale cinematografiche, per esperire [erteben] come l'attore cinematografico si prenda per esse la rivincita, nel momento in cui la sua umanità (o ciò che a loro appare tale) non solo si afferma di fronte all'apparecchio, ma pone questo al servizio del proprio trionfo" (II, 365).
Se consideriamo invece la stesura della III, troviamo al paragrafo 8 una trattazione della differenza tra attore teatrale e attore cinematografico che riduce al minimo l'analisi dello statuto di test della performance di quest'ultimo (Benjamin si limita a dire che, dato l'essenziale intervento dell'apparecchio durante le riprese, sotto forma innanzitutto di movimenti e inquadrature della cinepresa, "la prestazione dell'interprete viene sottoposta a una serie di test ottici [optische Tests]"), mentre amplia la parte relativa alle differenti modalità della ricezione proprie del pubblico teatrale rispetto a quello cinematografico.
Ragione di tali differenze è il fatto che "la prestazione artistica dell'interprete teatrale viene presentata definitivamente al pubblico da lui stesso in prima persona; la prestazione artistica dell'attore cinematografico viene invece presentata attraverso un'apparecchiatura" (III, 31). Ciò comporta in primo luogo che il fruitore del film non percepisca la totalità dell'esecuzione compiuta dall'attore, ma solo quelle parti che sono state prescelte nel ·montaggio dalle "prese di posizione" [Stellungnahmen] del montatore. In secondo luogo, che, non trovandosi difronte a un pubblico, l'attore del film a differenza di quello di teatro non può adeguare la sua recitazione ai fruitori: "Il pubblico viene così a trovarsi nella posizione di chi è chiamato a esprimere una valutazione senza poter essere turbato da alcun contatto personale con l'interprete. Il pubblico s'immedesi-
.·
TECNICA E MIMESI 125
ma [fiihlt sich ... ein] all'interprete soltanto immedesi-mandosi [sich ... einfiihlt] all'apparecchio. Ne assume quindi l'atteggiamento: fa un test" (III, 31-32). Ciò elimina, conclude Benjamin, la possibilità che si possa intendere un'esperienza del genere come esprimente va-lori cultuali. ·
Ora, la liquidazione della cultualità; l'impossibilità di una immedesimazione [Ein/iiblung] nell'attore (siricordino le ~:onnessioni già esaminate fra aura ed empatia); l'esecuzione di un test non solo svolta dal regista e dai tecnici, bensì anche dallo stesso pubblico; la scomparsa della riflessione sulle implicazioni conservatrici della cinematografia come" rivincita" delle masse, unitamente ad una significativa citazione in nota dal Processo da tre soldi di Brecht, in cui si afferma che il film informa sulle azioni umane nei particolari, ma non sull'interiorità dei personaggi, sono tutti elementi che imprimono un complessivo tono positivo al discorso benjaminiano, accentuando nella III le valenze progressive del nuovo mezzo rispetto alle stesure precedenti, che ne rilevavano piuttosto le funzioni compensatorie dell'alienazione.
Quanta fiducia Benjamin (in questo molto vicino a Blochl) riponesse del resto nella tecnica- cinematogra- · fica e surrealista - del montaggio per la propria prospettiva filosofica stessa è testimoniato da una nota del Passagenwerk: "Metodo di questo lavoro: montaggio letterario. Non ho nulla da dire. Solo da mostrare. Non sottrarrò nulla di prezioso e non mi approprierò di alcuna espressione ricca di spirito. Stracci e'rifiuti, invece, ma nonper farne l'inventario, bensì per rendere lo-
3. Si veda, ad es., "Montaggi da una sera di febbraio", in Tracce [1930), ed. it. a c. dj L. Boella, Coliseum, Milano 1989, pp. 173-76.
126 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
ro giustizia nell'unico modo possibile: usandoli" (PW, 595).
Come si è visto, a tale uso non si sottraggono nel saggio sull'opera d'arte interpretazioni nostalgiche, conservatrici o reazionarie delle modifìcazioni apportate dalla tecnologia nel cuore stesso dell'arte, interpretazioni che Benjamin impiega in funzione descrittiva, mutando ne il segno. È quello che accade, nel paragrafo 9, con Luigi Pirandello. Proseguendo le riflessioni già avviate nel paragrafo precedente sul tema dell'attore, Benjamin riconosce a Pirandello di essere stato - lui
' drammaturgo- uno dei primi a rendersi conto che "al film importa non tanto che l 'interprete presenti al pubblico un'altra persona, quanto che egli presenti se stesso di fronte all'apparecchiatura" (III, 32). Con una lunga citazione dal romanzo Si gira ... 4, Benjamin riporta le preoccupazioni che agitavano lo scrittore siciliano di fronte all'attore cinematografico come uomo-macchina, esiliato dal proprio corpo vivente e ridotto a mera immagine sullo schermo, "giuoco d'illusione su uno squallido pezzo di tela". È la macchina a farsi carico della mediazione fra pubblico e attore, e questi deve limitarsi a recitare di fronte ad essa.
Ma la mediazione dell'in1magine cinematografica significa anche un venir-incontro della figura dell'attore alle masse, un suo avvicinamento, una sua dislocazione rispetto alla posizione del corpo proprio, cioè del suo hic et n une. Ed esattamente come accade all'oggetto artistico, ad esempio alla cattedrale o al coro (cfr. quanto detto supra per il paragrafo 2), anche l'attore subisce
4. Pubblicato per i tipi dci F.lli Treves a Milano nel1916; ma Benjamin ha presente una citazione di seconda mano, tratta da Léon Pierre-Quint Signi/ication du dnéma, in I: art cinématographi'que, Il, Paris, 1927, pp. 14:15.
TECNICA 11 MIMESI 127
una deauraticizzazione: "Per la prima volta- ed è questo l'effetto del film -l'uomo viene a trovarsi nella situazione di dover agire sì con la sua intera persona vivente, ma rinunciando all'aura. Poiché la sua aura è legata al suo hic et n une. Non se ne dà copia [Abbild] alcuna" (III, 3 3: tr. m od.). E la perdita di tale auraticità è duplice: investe tanto il rappresentante quanto il rappresentato, tanto l'attore quanto il personaggio.
n cinema viene così nettamente contrapposto al teatro, come già lo era stato alla scultura: 'T arte del presente può contare su tanta più efficacia, quanto più essa si imposta alla riproducibilità, dunque quanto meno essa pone al centro l'opera originale. Se fra tutte le arti è quella dran1111atica ad essere colpita nel modo più palese dalla crisi, ciò dipende dalla natura stessa della cosa" (I, 452). È un passo dal testo di Amheim Film als Kunst a confermare questa opposizione: è noto, osserva il teorico gestaltista dell'arte, che al cinema "si ottengono quasi sempre i maggiori risultati quando si recita il meno possibile". Avviene una sorta di reificazione dell'attore, che è trattatorileva Amheim- dal regista come un attrezzo o uno strumento messo al posto giusto nel momento giusto. Questo aspetto, non che risultare negativo ed esecrabile a Benjamin (per nulla preoccupato del destino della soggettività, anzi fermamente convinto- come afferma Adorno- che "la conciliazione dell'uomo con la creazione è condizionata dalla dissoluzione di ogni essere umano che abbia affermato sestesso"J), è positivo nel momento in cui può ribaltarsi nel suo opposto: "Se l'attore diventa un attrezzo, non di rado, d'altra parte, l'attrezzo funge da attore". È questo un orizzonte del cinema a parere di Benjamin squisitamente materialistico, poiché per la prima volta si
5. Th. W. Adorno, Pn!mi, ci t., p. 241.
128 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
mostra come "la materia agisca [ma anche reciti: mitspielt] insieme con l'uomo" (III, 52, n. 19).
Ma non è questo l'unico effetto della macchina da presa sull'attore: Benjamin torna in questo paragrafo sulla questione della immedesimazione o identificazione. Se in quello precedente aveva negato la possibilità che il pubblico si immedesimasse direttamente nell'interprete cinematografico, essendo costretto a passare prima per una immedesimazione nell'apparecchiatura, qui Benjamin contesta la possibilità che l'attore stesso possa identificarsi con la propria parte, il proprio personaggio: "L'attore che agisce sul palcoscenico si identifica [versetzt si eh] in una parte. Ciò è spessissimo negato all'interprete cinematografico" (III, 33 ). Troviamo qui un preciso collegamento tra perdita dell'aura e perdita dell'Ein/iihlung. A causa della frammentazione dell'azione, scomposta in numerose scene che per imotivi più svariati (dalla disponibilità dei locali a quella degli attori, da esigenze tecniche piuttosto che scenagrafiche) vengono girate separatamente e che non necessariamente stanno fra loro in un rapporto di consequenzialità logica e cronologica (rapporto che eventualmente verrà recuperato solo in fase di montaggio), l'attore non esperisce più durante l'esecuzione della sua performance quell'unità di senso che gli permetteva la trasposizione [Versetzung] 6 nel personaggio e nel
6_. Ricordi~mo a t~_Ie proposito il teorico dd teatro e regista russo Konstantm S. StamslawskiJ (pseudonimo di K.S. Alekseev, Mosca 1863·1938), il Ct_ll metodo_ per l~ formazione dell'attore era basato proprio sull'approfon~lmc:nto pstcologtco e l'esaltazione ddle possibili affinità tra il mondo interiore del personaggio e quello dell'attore: l/lavoro dell'attore su u stesso [1938), a c. di G. Guerrieri, Laterza, Roma. Bari 1991; l/lavoro dell'al/ore Jul Pm?naggro [1957), a c. di F. Malcovati, pref. di G. Strehler, Laterza, Ro~a-~an 1993; s~ veda_ la celebre autobiografia La mia uita nell'arte [1926], tr. tt. dt M. Borsellmo D1 Lorenzo, Einaudi, Torino 1963.
TECNIChE MIMESI 129
suo mondo interiore. n trasalimento - esemplifica Benjamin- che l'atto.re deve manifestare al bussare alla porta, se insufficiente, può benissimo essere ottenuto sparando un colpo di pistola alle sue spalle, ripreso e poi opportunamente montato a creare l'illusione di un continuum. "il procedimento del regista che, per riprendere lo spavento del personaggio rappresentato, provoca sperimentalmente un effettivo spavento nell' attore è del tutto corrispondente alle esigenze del film [filmgerecht]. Durante la ripresa cinematografica, nessun attore può pretendere di abbracciare con lo sguardo il contesto in cui la sua propria performance è collocata. L'esigenza di produrre una performance senza un'immediata connessione che sia conforme al vissuto con una situazione non regolata nel senso della rappresentazione [SpielJ è comune a tutti i test, a quelli sportivi come a quelli filmici" (I, 453 ).
Fino a che punto possa arrivare questo sradicamento dal continuum del vissuto è esemplificato in modo paradigmatico da un aneddoto (riportato solo in I, 453) riguardante l'attrice Asta Nielsen, durante le riprese di una riduzione cinematografica dell'Idiota di Dostoevskij. Prevedendo la scena successiva che le salissero le lacrime agli occhi alla vista della propria avversaria in amore in compagnia del principe Myshkin, già nella pausa prima delle riprese la Nielsen, vedendo l'attrice antagonista, cominciò a lacrimare, non C'stante fosse impegnata in una piacevole conversazione con un amico, e senza che l'espressione del suo viso ne venisse modificata7•
7. Ben altrimenti •l'occhio si bagna [dtH Auge nelz.l sich]" in Goethe, secondo la definizione di Hermann Cohen "l'uomo che semina lacrime, le lacrime dell'amore .infinito" (cfr. Le Affinità <lettive: CCRT, 244).
130 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
Tanto questo esempio quanto quello dello sparo evidenziano la natura astratta della recitazione cinematografica, che non si basa sull'immedesimazione ma su una performance avulsa dal sostrato dell'esperienza vissuta e dd suo contesto complessivo: su un test, appunto. È questa esigenza di performance tecnica a costituire una profonda differenza tra la recitazione fì!mica e quella teatrale, c a spiegare, secondo Benjamin, il motivo per cui quasi mai le star cinematografiche sono eccellenti attori teatrali, quanto piuttosto interpreti di secondo o terzo rango, che ben di rado tentano il salto dallo studio al palcoscenico, e quando lo tentano spesso vanno incontro a un fallimento. "Nulla mostra in modo più drastico- conclude Benjamin- come l'arte sia sfuggita al regno della bella apparenza [schoner Schein], cioè a quel regno che per tanto tempo è stato considerato l'unico in cui essa potesse fiorire" (III, 34).
Viene qui meno dunque quella tradizionale caratterizzazione dell'opera d'arte come bella apparenza, che Benjamin aveva indagato negli anni Venti, ad esempio nel saggio dedicato alle Affinità elettive di Goethe (CCRT, 245-48) e nella Premessa gnoseologica al Dramma barocco tedesco (DB, 7-8), in entrambi i casi con esplicito rimando al Simposio platonico, e in connessione con la teoria della verità. È utile a questo proposito richiamare una pagina dedicata appunto a I.:"apparenza", manoscritto appartenente ai materiali riferiti al saggio goethiano: "In ogni opera ed in ogni genere d'arte- scrive Benjamin- è presente la bella apparenza. [ ... ] Esistono diversi gradi della bella apparenza, una scala, che non è determinata dalla maggiore o minore bellezza in essa presente, ma dal suo carattere più o meno apparente. [. .. ] L'apparenza è tanto maggiore quanto più si mostra vivente" (CCRT, 261-63 ).
TECNICA E MI MESI 131
Ma l'apparenza vivente è solo un polo dell'opera d'arte che, se accentuato in maniera esclusiva, la conduce alla morte: "Nessun'opera d'arte può apparire assolutamente vivente senza diventare mera apparenza e cessare di essere un'opera d'arte. La vita che in essa trema deve mostrarsi irrigidita e come fissata in un istante.[ ... ]. Ciò che impone un arresto a questa apparenza, fissa la vita [. .. ] è il privo di espressione [das Ausdruckslose]. Quel tremare costituisce la bellezza, questo irrigidimento la verità dell'opera. [ ... ] Il privo di espressione è quella potenza critica che, se non riesce certo a separare nell'arte l'apparenza dal vero, vieta però loro di mescolarsi" .8
Benjamin può così respingere la tesi romantica e idealistica del bello come verità che appare: "Non è perciò, come insegnano banali filosofemi, che la b~ezza stessa sia apparenza. Anzi la celebre formula, sviluppata da ultimo nel modo più piatto da Solger, essere la bellezza la verità divenuta visibile, è la deformazione più radicale di questo grande motivo.[ ... ) Non apparenza né involucro di qualcos' altro è la bellezza. Essa stess; non è fenomeno, ma essenza, anche se tale che resta essenzialmente eguale a se stessa solo sotto un involucro. [. .. ) Poiché né l'involucro, né l'oggetto velato è il bello, ma l'oggetto nel suo involucro. Disvelato, es-
8. Si veda, n d tardo Benjamin, l'impiego di questo concetto.di _!lssazione estetica n d campo della filosofia della s~oria, attrave~o !a m.edt~one ddJ~ Vie d es formes di Henri Focillon: •Per l arresto messtantco d~ accad~re ~ si potrebbe valere della definizione che Focillon dà. dello "stile clasSICO : 'Breve momento eli pieno possesso ddle forme, ess~ st presenta ... ~om~?na felicità rapida., come l'akmé dei greci: l'asta della bilanca no~ oscilla. ptu s~ non dcbolrriente. Qud che mi attendo non è di vederla subtto P7ndere d~ nuovo, e ancor meno un momento di fissità ass.oluta, bc~s:. nd mlf~~olo. dt questa immobilità esitante, il tremolìo legge.ro, tmpcrcetttbile, eh~-~~ mdi~a che è viva'" (Materiali preparatori delle teSI: C~, 98). Dd rest?• g1a. il s~gg1o sulle A/fini là eleuive aveva dichiarato che ·o.gm bellezza conttene m se, co· me la rivelazione, ordini di filosofia della stona" (CCRT, 248).
132 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
so si rivelerebbe infinitamente inappariscente. Su ciò si fonda l'antichissima idea che nel disvelamento il velato si trasforma, che esso rimarrà 'eguale a se stesso' solo sotto l'involucro" (CCRT, 247).
Ritroviamo questa critica, ribadita (anche tramite un'autocitazione) ed integrata con un significativo riferimento al concetto di aura, proprio nel saggio sull'opera d'arte, in particolare nella nota l O nei Paralipomena alla II versione (Il, 368-69): "Il significato della bella apparenza per l'estetica tradizionale affonda le sue radici nell'epoca della percezione auratica, che è ormai al tramonto. La teoria estetica che la riguarda è stata formulata con la più grande incisività da Hegel, secondo il quale la bellezza è 'l'apparenza dello spirito nella sua immediata [ ... ]forma sensibile, creata dallo spirito come a lui adeguata'; una concezione da epigono, almeno in qualche tratto. La formula di Hegel stando alla quale l'arte strappa 'la parvenza e l'illusione di questo mondo cattivo, caduco, da quel vero contenuto dei fenomeni'9, non è più sostenuta dalla tradizionale esperienza fondativa [Erfahrungsgrunc!J di questa dottrina, cioè dall'esperienza dell'aura" 10
•
A differenza di Hegel, questo Erfahrungsgrund, questo fondo esperienziale che stava alla base della teoria i artistica dell'antichità ancora domina Goethe, ancora le sue ligure di Mignon, Ottilia ed Elena sono avvolte dall'involucro che solo, assieme al velato, è bello. La decadenza [Ver/atrl di questa concezione, prosegue Benjamin, "ci spinge con maggior forza a volgere ancora una volta lo sguardo alla sua radice [Ursprung], che
9. G.W.F. H egei, Es/elica, ci t., pp. 582, 13. 10. Citiamo dalla traduzione parziale di questa nola apparsa, ad opera
di D. Mai c ma e con introduzione di F. Desideri, in • Linea d'ombra", 131, 1988, p. 31. Si vedano anche i Paralipomena alla Il: GS VII-2, 667.
TECNICA E MI MESI 133
r!siede per intero nella mimesi come fenomeno originano [Urphiinomen] 11 di ogni attività artistica. Colui che imita, solo apparentemente [scheinbar] fa ciò che fa. Il genere più antico di imitazione conosce, in verità, solo un'unica materia e cioè il corpo stesso di colui che imita. La danza e il linguaggio, il moimento del corpo e delle labbra sono le prime matùfestazioni della mimesi. Colui che imita, rende la sua cosa apparente [scheinbar] "12
•
La mimesi come fenomeno originario dell'artistico è dominata da una polarità: quella di apparenza [Schein] e rappresentazione [Spiel], che si incarnano anche in ligure paradigmaticlie della storia dell'arteu. Al 'primo polo Benjamin connette i procedimenti magici della prima tecnica, al secondo polo i protocolli sperimentali
11. Ha sottolineato gli influssi goethiani su Benjamin Hannah Arendt in Il pesOJiore di perle: Walter Benjamin (1892-1940), tr. it. di A. Carosso, A. Mondadori, Milano 1993. . 12. In "Linea d'ombra", 131, 1988, p. J2 (tr. mod.). Desideri, appog·
g~andos.l a c;tu.esto pas;o, sosti~ne che_ l'interpretazione tradizionale del saggio benJanumano sull opera d arte- mcentrata suUe trasformazioni indotte dalla riproducibilità tecnica, e volta a evidenziare l'oscillazione benjaminiana tra la nostalgia per l'aura e l'entusiasmo per i nuovi medià- non coglie il punto fondamentale dello scritto: .. La novitas costituita dall'epoca della riproducibilità tecnica viene alquanto ridimensionata. La tensione tra la riproduzione tecnica c l'unicità-irripetibilltà propria dell'opera d'arte pretecnologica risulta, insomma, una tensione assai meno problematica di quella tra il momento mimetico-riproduttivo del bdlo e l'oggetto {o piuttosto l'idea} che ad esso sempre si sottrae. Mettendo a giorno quello che l'arte è semp~e. s~ata! ossia _una variant~ della tecnica in 8enerale, l'epoca dcll.a riproduclbdua spmge piUttosto a chiedersi perché proprio in questo caso (n d ca-so d?Ja cosiddetta ."arte bella") il momento della mimesi e della riproduzio- Ì' ne s1a prev~ente nspetto a quello puramente produttivo e perfettivo ddle altre lechnat. Forse appunto per il motivo che qui si tratta di produrre proprio l'irriproducibile" (La ven"tà mimelica, i vi, p. JJ ).
13 ... Notoriamente Schiller nella sua estetica ha riservato alla rappresentazione una posizione decisiva, mentre l'estetica di Goethe è determinata da un interesse appassionato per l'apparenza. Tale polarità deve trovar posto nella defmizione dell'arte. L'arte, cosi dovrebbe essere formulata, è una proposta di miglioramento rivolta alla natura: un imitare [Nachahmen] il ~ui n_udco n~scosto è un mostrare [Vormachen]. L'arte è, in altre parole, mlmest perfezionante [vollendmde Mimesis]" (Para/ipomena aJla II: GS VI!-2, 667-68).
134 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
della seconda tecnica. Nel momento storico della d~cadcnza dell'aura, inaugurato dalla fotografia c d_al emema come agenti della seconda tcc?ica, lo spazio della rappresentazione [Spiel-Raum] SI espande enorme-mente, a tutto svantaggio dell'apparenza. . .
TECNICA E MI MESI 1.35
A tale trasformazione sembra richiamarsi la I, là dove Benjamin propone una pregnante quanto fugace contrapposizione di mimo e attore di cinema: considerando la peculiare natura del film, per cui è più in1portante che l'attore interpreti se stesso davanti all'apparecchiatura che non un altro personaggio davanti al pubblico, come invece accade nel teatro, Be.njamin scrive che "il tipico attore cinematografico recita solo se stesso. Egli sta in opposizione al tipo del mimo. Tale
La modificazione del rapporto fra i due poli costitutivi della mimcsi significa però al contempo .una complessiva trasformazione della capacit~ mimeuca st;ssa, in un processo metamorfico che nonmveste solo l a:nbito dell'esperienza artistica, bensì anche quello del! esperienza t aut court. A questo proposito è forse opportuno richiamare un breve e denso scritto del193 3, da Benjami.n dedicato appunto ali~ Fa.colt~ n:imetic~. "N~ le forze mimetiche, né gli oggettlmlmetlcl, sono r1111ast1 gli stessi nel corso dei millenni. B.is~gna invece suppo.rre che la facoltà di produrre som1glianze- per esempiO nelle danze, la cui più antica funzione è app,u.nto questa -,e quindi anche quella di ric?no~cerle, .si e trasformata nel corso della storia. La dirczwne d1 que~to mut~mento sembra determinata da un crescente mdebol~mento della facoltà mimetica. Poiché è evidente c?e il . mondo percettivo dell'uomo moderno non contiene !
più che scarsi relitti di qu~~ c?r_rispon~e.nz:'4 .e analogie magiche che erano familiari al popoli_antlchL li pro: blema è se si tratta qui della decadenza di questa facolta oppure della sua trasformazione" (AN' 71-72) 15
•
' condizione limita la sua utilizzabilità sul palcoscenico, ma la amplia straordinariamente nel film. Poiché la star cinematografica corrisponde al suo pubblico soprattutto per il fatto che a ciascuno sembra schiudersi la possibilità di "far parte a sua volta di un film". L'idea di farsi riprodurre dall'apparecchiatura esercita sull'uo-
' mo odierno un'enorme for;za di attrazione" (I, 454; cfr. i simili argomenti svolti in III, 3 5, senza però riferimento ; almimo). l
14. "ll dono di scorgere analogie altro non è c.~e un pallido) ret_a~iorid~ l'antica coazione all'identificazione e alla mtmeSi (al!B, 54-~eJi SI neo
ucsto ro sito l'attenzione dedicata a Benjamm tema : corre~pon-J.mcer !ei f:oi scritti su Baudelaire: esse "fissano un cdodn~tt~ di esdpenaecnozan
• • J · ul 1· [ J Ciò che Bau aire mten ev che ritiene m se e emenu c tua l. ·" . h d' . , d fir · 'esnl"'rtenza c e cerca 1 sta-ueste correrpondancer SI puo e ure come un ~"'~ , . ul a1
~ilirsi al riparo di ogni crisi. Essa è IJ?Ssibile solo ndl .. ambito c tu e. Quando esce da questo ambito, assume las~etto dd )>ello (AN d 117). h l
15 Sul delicato problema della mimes1 m BenJamm SI ve a anc e a Lehre ~om Ahnlìchen (GS 11-1, 204-10), redatta nd febbraio 193}. Per la
,-teoria mimetica del linguaggio cfr. SuiLz lingua in generale~ sulla lingua del· · l'uomo [1916] (MG, 177-9}); Il romptlo del traduttore [1921] (CCRT, !57-i 70), e Problemi de/14 rociologia del linguaggio [19}4-35] (CR, 223-51). Per ~ questo tema rimandiamo a W. Menninghaus, Walter B~njamins Theon·~ der • Sprachmagie, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1980.
8 SPECCHI, MAGHI E CHIRURGHI
Questa rappresentazione dell'uomo da parte dell' apparecchiatura- procede Benjamin nel paragrafo 11 della I- ha significato sì la sua autoestraneazione [Selbstent/remdung], ma anche una valorizzazione [Verwertung] massimamente produttiva: "Tale valorizzazione si può misurare dal fatto che lo stupore [Befremden] dell'attore davanti all'apparecchiatura, così come lo descrive Pirandello, è per sua natura della stessa specie dello stupore dell'uomo romantico di fronte alla sua immagine allo specchio- notoriamente un motivo prediletto diJean Paul. ora però questa immagine speculare è diventata staccabile dall'uomo, e trasportabile. E dove viene trasportata? Davanti alla massa (al pubblico, preferirà la III, 34)" (I, 451) 1
•
Benjamin non manca di sottolineare la possibilità di i!
volgere in senso progressivo o reazionario questo stato di cose. Se l'attore cinematografico sa - e non smette mai un momento di sapere - che in ultima analisi egli ha a che fare con la massa, "è proprio questa massa che
l. Il tema dell'immagine speculare verrà ripreso nella UI, 34, all'inizio del 5 10, ma verrà soppresso il riferimento ai romantici e aJean Pau,l: Benjamin lì parlerà solo in termini generici di immagine speculare trasportabile.
138 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
lo controllerà. E proprio essa non è visibile e nemmeno presente mentre egli esegue la sua performance artistica, che verrà controllata dalla massa. L'autorità di tale controllo però viene incrementata da quell'invisibilità. Certamente non si può mai dimenticare che l'utilizzazione politica di questo controllo si farà attendere fino a qùando il film si sarà liberato dalle catene dd suo sfruttamento capitalistico. Poiché le chances rivoluzionarie di questo controllo vengono trasformate dal capitale cinematograficd in controrivoluzionarie. Il culto delle star promosso da tale capitale non conserva soltanto quell'incantesimo [Zauber] della personalità che già da lungo tempo consiste nel marcio fulgore del loro carattere di merci, ma anche il suo complemento, il culto del pubblico, favorisce cioè al contempo la costituzione corrotta della massa, che il fascismo cerca di porre al posto di una sua costituzione che abbia coscienza di classe" (I, 451-452; II, 370; cfr. simili argomentazioni in III, 34-35). È questo un tentativo reazionario e nostalgico di surrogare la perdita dell'aura dell'opera con un'auraticizzazione dd divo: "Il cinema risponde al declino dell'aura costruendo artificiosamente la personality fuori dagli studi"3 (III, 34).
In nota Benjamin traccia un significativo- e si direbbe attualissimo - parallelismo tra il modo espositivo [Ausstellungsweise] artistico e il modo espositivo politico. Se in arte l'intervento dei moderni mezzi di ripro-
2. U "Filmkapital" appartiene a quelle "abstrakte Kategoricn" da cui Adorno vedeva inficiata l'argomentazione dialettica dd saggio (cfr. lettera del!8.3.1936,inA·B, 173).
3. Si veda, in connessione a ciò, il parallelo culto dd letterato: •1n Baudelaire il poeta rivendica per la prima volta un valore di mercato. Baudelaire fu l'impresario di se stesso. La perle d'auréole colpisce innanzi tutto il poeta. Di qui la sua mitomania" (Parco centrale: AN, 134).
SPECCIII, MAGli! E <.:l IIRUHGIII 139
duzione tecnica provoca un passaggio dall'immediatezza del messaggio teatrale alla mediatezza del messaggio cinematografico, allo stesso modo in politica all'immediatezza tipica della democrazia, grazie a cui l'o· ratore o il governante si espone direttamente al suo pubblico, il parlamento, subentra la mediatezza della riproduzione sonora e visiva: "Si svuotano i parlamenti, contemporaneamente ai teatri" (II, 369, n. 11; III, 53, n. 20). Al culto della personalità cinematografica viene così a corrispondere il culto della personalità politica; entrambe davanti all'apparecchiatura si sottopongono a un test, esattamente come lo sportivo durante una gara: "Da questa selezione escono vincitori il campione, il divo e il dittatore" (Il, 369, n. 11).
È questo lo scenario dell'arte e della politica dominate dal capitale. Suo intento è dunque quello di impiegare il cinema come strumento per il mantenimento dei rapporti di forza; ciò significherebbe un arresto del processo e una fissazione sulla condizione di alienazione del soggetto, sia esso attore sia esso fruitore: "Maconclude la Fr.- la tecnica dd film p.reviene questo arresto: essa prepara il rovesciamento dialettico" (Fr., 726). È infatti peculiare alla tecnica stessa la promozione della partecipazione delle masse, fornendo a ciascuno "la possibilità di trasformarsi da passante in comparsa cinematografica. [ ... ] Ogni uomo contemporaneo può avanzare la pretesa di venir filmato" (III, J 5)4 .''
Allo stesso modo, nel Novecento ogni lettore può avanzare la pretesa di scrivere grazie all'enorme espan-
4. Questa idea npn convinceva Adorno: "Si pone molto seriamente la questione se la riproduzione di qgni uomo ~prima in effetti quell'a priori del Hl m, come Lei richiede, o se piuttosto tale riproduzione non appartenga proprio a qucl 'realismo ingenuo' il cui carattere borghese ci trovava così fondamentalmente concordi a Parigi" (A.B, 172}.
140 PICCOLI\ STORIA DELLA lONTANANZA
sione dei mezzi eli comunicazione di massa, che prevede espressamente- ad esempio tramite la posta al direttore sui quotidiani - spazi per la manifestazione del singolo: "il lettore è sempre pronto a diventare autore" (III, 36).
Se nel primo caso, quello del cinema, Benjamin descrive la possibilità di passare anche ex abrupto dal ruolo eli spettatore a quello eli protagonista (e si pensi a quale enorme sviluppo è andata incontro questa possibilità, ad esempio nella diffusione dei programmi della cosiddetta TV-verità o, anche se ad un livello inconsapevole, delle candid cameras)- !ad dove però il ruolo eli autore rimane nelle mani di un singolo: il regista -, nel secondo, quello della scrittura, il passaggio consiste piuttosto nell'abbandonare il ruolo di fruitore per assumere quello di autore.
Contestando l'interpretazione reazionaria di questo fenomeno eli massilicazione dell'autorità [Autorschaft] fornita da Aldous Huxley in Crociera d'inverno in America centrale, in cui si stigmatizza l'aumento progressivo della "produzione di scarti" nell'ambito del "consumo sproporzionato di materiale letterario, illustrativo e sonoro" (III, 54, n. 21), e opponendosi al potente "publizistischer Apparat" (I, 456)- ad esempio le carriere o la vita amorosa delle star cinematografiche- con cui il capitale impedisce al soggetto fruitore di raggiungere una conoscenza di sé come singolo e della classe cui appartiene, Benjamin vi contrappone il caso dell'Unione Sovietica, in cui la letteratura che scaturisce dalla preparazione non umanistica, bensì politecnica, mette a disposizione delle masse delle specifiche competenze professionali e permette d'altro canto a ciascun singolo, se competente (anche eli una "funzione irrisoria"), di diventare autore: "Nell'Unione Sovietica è il lavoro
SPECCIII, MAGI li E CHIRURGHI 141
stesso che si esprime. [. .. ] Una parte degli interpreti del cinema russo non sono interpreti nel senso nostro, bensì persone che interpretano se stesse- in primo luogo nel loro processo lavorativo"5 (III, 36).
È al luogo di tali interpretazioni filmiche- cioè allo studio cinematografico- che ora Benjamin deve rivolgere la propria riflessione. E Io fa nel paqtgrafo 11, procedendo al contempo ad approfondire la differenza tra teatro e cinema dalla prospettiva della percezione: una differenza così profonda da rendere inutile qualsiasi tentativo di accostare le due forme artistiche. La ripre-sa cinematografica, in particolare del film sonoro, pro· duce in studio una vista [Anblick], una scena o spettacolo che in passato non erano nemmeno pensabili: al contrario del teatro, che in linea di principio prevede un punto di vista- quello dello spettatore in platea- a partire dal quale l'illusione di realtà è garantita, il cinema- nel mentre viene girato- offre a chi sta a guardare, oltre che gli attori e le scenografie, anche un insieme di apparecchiature tecniche, di registrazione dei suoni, di illuminazione, e un insieme di persone, gli assistenti al-la regia e i tecnici, che nulla hanno a che fare con la vicenda da riprendere, ma che non possono non venire percepiti da chi osserva le riprese ("a meno che la posizione della sua pupilla non coincida con quella dell'obiettivo della cinepresa", che ritaglia la scena rappresentata dagli attori da tutto quanto il resto: III, 37). "La sua natura illusionistica- afferma Benjamin- è una na- '!
tura di secondo grado; è il risultato del montaggio"6
(III,37).
5. Cfr. al riguardo il dis~rso su L'autore come produttore, tenuto da llenjamin all'Istituto per lo studio dd fascismo di Parigi il 27 aprile 1934 (AR, 199·217, in part. 204).
6. Sulla sopravvalutazioneda parte di Benjamin della funzione dd montaggio si vedano le obiezioni di Adorno: "'Quando due anni fa ho trascorso un giorno agli studi di Neubabdsberg, qud che mi ha colpito maggiormen·
142 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
Qui evidentemente Benjamin sta riprendendo la distinzione tra rappresentazione (o mimesi) immediata della realtà tramite il corpo nel teatro e rappresentazione mediata della realtà tramite la tecnica nel cinema. Propriamente parlando, lo spettatore cinematografico non è colui che assiste alle riprese in studio, bensì colui che le fruisce in sala una volta tagliate e montate. Se la natura illusionistica del teatro è di primo grado, se cioè essa si allontana dalla realtà di un ordine (l'attore sul palcoscenico finge di essere R.iccardo III), nel cinema questa illusione non viene prodotta immediatamente sulla scena, ma necessita dell'intervento e della mediazione del montaggio, un passaggio ulteriore che ne determina il secondo grado o ordine di illusione. In altre parole, lo spazio in cui si produce l'illusione di realtàil luogo in cui gli attori interpretano i propri personaggi -non ha la medesima funzione nel teatro e nel cinema: se nel primo tale luogo, il palcoscenico, è lo spazio in cui la rappresentazione teatrale nella sua ili usorietà si offre immediatamente alla percezione dello spettatore, nel secondo questo spazio, Io studio cinematografico, non viene mai percepito come tale dal fruitore, ma viene scomposto e ricomposto nel montaggio, e solo a quel punto proposto alla percezione del pubblico: "La vista sulla realtà immediata è diventata una chimera nel paese della tecnica" (III, 37)- laddove per "realtà immediata" [unmittelbare Wirklichkeit] si comprende evidentemente anche la rappresentazione illusoria della realtà stessa così come avviene sulla scena teatrale.
te è stato quanto poco sia dò che viene effettivamente determinato dal montaggio e dalle novità dd progresso rispetto ~ qu~o che Lei fa ~mergcre; _piuttosto la realtà viene in tutto e per tutto rnJmetJcamcnte coJtrurta [au/ge:baut] in modo infantile e quindi 'fotografata' [abphotographi<rtl. Lei sotto· valuta la tecnidtà dell'arte autonoma e sopravvaluta queUa ddl'arte dipendentej sarebbe questa- detto chiaro e tondo -la mia obiezione principale" (lettera del18.3.1936, in A-B, 173 ).
SPECCIII, MAGHI E CIIIRURGIII 143
Nella seconda parte del paragrafo 11 Benjamin passa ad un altro confronto, ancora più rivelatore: quello tra pittura e cinema. Il pittore viene paragonato al mago, l'operatore cinematografico al chirurgo: sono, questi, due poli opposti di un ordinamento, in cui è implicitamente ammesso - proseguendo il parallelismo -che il rappresentato corrisponda all'ammalato. Il mago guarisce l'ammalato tramite l'imposizione delle maniquindi a distanza. Il chirurgo interviene nel corpo del malato - quindi M vicino, addirittura dal di dentro. Torna la coppia percettiva lontananza-vicinanza, così elaborata da Benjamin: "Il mago conserva la clistanza [Distanz] tra sé e il paziente; in termini più precisi: lariduce- grazie all'apposizione delle sue mani- soltanto cli poco e l'accresce- mediante la sua autorità [Autorità'!]- di molto. Il chirurgo procede alla rovescia: riduce la sua distanza dal paziente di molto - penetrando nel suo interno-, e l'accresce di poco- mediante la cautela con cl!i la sua mano si muove tra gli organi" (III, 38).
Alla distanza tra mago e paziente, garantita dall'imposizione delle mani, corrisponde la "distanza naturale" [natiirliche Distanz] mantenuta dal pittore nei confronti cli ciò che deve dipingere; alla penetrazione del chirurgo nel corpo malato corrisponde invece la penetrazione del cameraman nel "tessuto della datità"; que-. sta differenza nelle prassi operative determina la diffei" renza dell'immagine che ne scaturisce, totale [total] nel caso della pittura, frammentata [zerstiickelt] nel caso del cinema: "Così, la rappresentazione filmica della realtà è perl'uomo oclierno incomparabilmente più significativa, poiché, precisamente sulla base della sua intensa penetrazione mediante l'apparecchiatura, gli offre quell'aspetto, libero dall'apparecchiatura, che
144 PICCOLA SIURIA DELLA LONTANANZA
egli può legittimamente richiedere dall'opera d'arte" (III, 38).
n parallelismo tra mago e chirurgo da un lato e pittura e cinema dall'altro ribadisce dunque l'interpretazione cultuale che Benjamin fornisce dell'arte tradizionale, la cui ritualità viene via via disperdendosi man mano che decresce la distanza fra il produttore di immagini e la realtà rappresentata. Dal piano della produzione Benjamin si sposta ora a quello della fruizione, proseguendo nel paragrafo 12 ad elaborare la contrapposizione fra pittura e cinema e valutandone anche le implicazioni sociali e politiche. La differenza di ricezione tra il quadro tradizionale e il fiLn è discriminata dalla riproducibilità tecnica, che trasforma profondamente la relazione che le masse instaurano con l'arte. Così lo stesso pubblico che si comporta nel modo più retrivo nei confronti di Picasso, si atteggia nel modo più progressivo nei confronti di Chaplin, adottando, nell'ambito della fruizione che gode di ciò che viene rappresentato sullo schermo e Io rivive [Erleben], al tempo stesso il ruolo di "giudice competente". È evidente qui l'allusione al parallelismo tra cinema, sport e test introdotto precedentemente.
Questa modificazione dell'atteggiamento del. pubblico provocata dalle moderne modalità di espressione artistica risponde secondo Benjarnin ad una legge che potremmo definire di natura sociologica: "Quanto più il significato sociale di un'arte diminuisce, tanto più il contegno critico e quello della m era fruizione da parte del pubblico divergono - come risulta evidente per quel che riguarda la pittura" (III, 38-39; tr. mod.). Proprio nella pittura si dà a vedere quale irriducibile forbice si sia venuta a produrre fra il godimento del vecchio (godimento che si confina esclusivamente alle modalità
SPECCllf, MAGHI ECHIRURGJII 145
convenzionali di espressione artistica) e la critica del nuovo (critica che rigetta ad esempio le avanguardie come manifestazioni aberranti).
AI contrario, "al cinema l'atteggiamento critico e quello del piacere del pubblico coincidono" (III, 39): qui la reazione del pubblico in quanto massa è sì composta dalla somma delle reazioni dei singoli individui che la compongono, ma che la compongono in quanto fin dall'inizio massilicati come "pubblico". La ricezione collettiva simultanea [simultane Kollektivrezeption], la possibilità cioè che l'opera d'arte venga recepita e fruita contemporaneamente da un pubblico di massa, è un aspetto caratteristico della fruizione cinematografica che Benjamin torna a paragonare alla fruizione della pittura. Questa modalità di ricezione è stata tentata dalla pittura nel XIX secolo, ma questo, più che l'indice di una sua evoluzione, è il sintomo della sua crisi. "La pittura non è in grado di proporre l'oggetto alla ricezione collettiva simultanea, cosa che è invece sempre riuscita all'architettura, che riusciva un tempo all'epopea, che riesce oggi al film" (III, 39).
"Chi ascolta una storia è in compagnia del narratore; anche chi legge partecipa a questa società. Ma il lettore di un romanzo è solo. Egli è più solo di ogni altro lettore" (AN, 265), e non può affatto ricorrere alle radici che il narratore ha ben salde nella collettività anonima. Così Benjarnin, nelle Considerazioni sull'opera di Nicola Leskov (luglio-agosto 1936), saggio concepito in stretta affinità con quello sull'opera d'arte1, avrebbe contrapposto la fruizione del racconto, incentrata sulla
7. Si veda la lettera ad Adorno del4.6.36: "Ho scritto in quest'ultimo pericx,fo un lavoro su Nikolai Leskov che, senza pretendere di avere neanche lontanamente la portata dd lavoro di teoria ddl'arte, mostra alcuni paralldi con la 'decadenza dell'aura' nella circostanza dclla fine dell'arte di narrare"
146 PICCOLA STOIUA DELLA LONTANANZA
memoria [Gediichtnis], alla fruizione del romanzo, incentrata sulla reminiscenza volontaria [Eingedenken]. Queste due forme, ancora indistinte nell'epico, fondato nel ricordo [Erinnerung] come sapere della tradizione, si scindono nel momento in cui- in seguito ad una trasformazione i cui ritmi sono paragonabili a quelli geologici- dopo un lungo periodo di latenza il romanzo emerge, alle soglie dell'età moderna, come forma letteraria specifica della borghesia in ascesa (cfr. AN, 262-63 ). La tecnica della stampa, che lo rese possibile, minaccia nondimeno di estinguerlo, sostituendolo con l'informazione: "Ciò che trova ora più facilmente ascolto non è più la notizia che viene da lontano, ma l'informazione che offre un aggancio immediato. La notizia che veniva di lontano godeva di un prestigio che le assicurava validità anche se non era sottoposta a controllo. Ma l'informazione ha la pretesa di poter essere controllata immediatamente. Dove anzitutto essa vuoi essere intelligibile di per sé e alla portata di tutti"8
(AN,253).
(A-B, 185). Come il saggio sull'opera d'arte, anche quello sul narratore è informato allo schema binario vicino vs lontano. Esso si apre con una rifles. sione sulla distanza: "ll narratore- per quanto il suo nome possa esserci familiare- non ci è affatto presente nella sua viva attività. È qualcosa di già remoto e che continua ad allontanarsi. Presentare Leskov come narratore non significa, quindi, avvicinarlo, ma_accres~ere la di_st_anza ~he da Iu_i c! separ~. Considerati a una certa distanza,! grandi e semplici tratti che costltwscono il narratore prendono in lui il sopravvento .. O, per_ di: meglio, ~ssi emergo_no in lui come una testa umana o un corpo ammale s1 disvdano, rn una roccia, all'osservatore che si è messo alla giusta distanza end giusto angolo visuale. Questa distanza e questa prospettiva ci sono imposte da un'esperienza che abbiamo modo di fare quasi ogni giorno. Essa ci dice che l'arte di narrare si avvia al tramonto" (AN. 247). Distinguendo quindi fra due "tipi fondamentali" di narratori -l'agricoltore sedentario e il mercante navigatore -, Benjamin li caratterizza per un diverso rapporto con la distanza, temporale per il primo tipo, spaziale per il secondo: dal canto suo, "Leskov è a suo agio nella lontananza dello spazio come in quella del tempo" (AN, 249).
8. Sull'essenza del giornalismo si veda il saggio benjaminiano del1931 dedicato a KArl Krous (in AR, 100-33). Se il giornalista è un uomo che "segue
SPECCIII, MAGli! ECIIIRURGifl 147
A questa stessa portata di mano collettiva mira, nel presente, la riproducibilità tecnica, quando tenta di mettere a disposizione delle masse le immagini pittoriche nelle gallerie e nei salom. Costringendo però la pittura ad un accesso di massa, si contraddice la sua natura: se nel passato (nel Medioevo e nel Rinascimento) la fruizione collettiva era possibile mai in modo immediato e simultaneo, ma sempre solo in modo mediato e gerarchizzato, con l'odierna massifìcazione della fruizione pittorica le masse non hanno la possibilità di "organizzare e controllare se stesse in vista di una simile ricezione" (III, 39). il pubblico "avrebbe dovuto gridare allo scandalo - aggiungeva a questo punto la I - per manifestare in modo palese il suo giudizio. In altre parole: la manifestazione palese del suo giudizio avrebbe prodotto uno scandalo" (I, 460). E così lo stesso pubblico che si caratterizza in modo progressivo nella sua fruizione di un film grottesco, si contraddistingue per una reazione retriva nei confronti del surrealismo.
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le cose solo nei loro rapporti, soprattutto negli eventi dove si scontrano fra loro", che quindi concentra tutta la sua sensibilità per il contatto tattile fra gli avvenimenti, nessuno più di Kraus "avrebbe potuto essere indotto in uno stato di più nera disperazione dall'incontro dell'evento con una data, un te· stimone oculare o una macchina fotografica [ ... ].Egli ha concentrato tutte le sue energie nella lotta contro la frase fatta, che è l'espressione linguistica dell'arbitrio con cui, nd giornalismo, l'attualità si arroga il domi n) o sulle cose" (AR, 101). È significativo che Benjamin descriva il Kraus impegnato ndlo "smascheramcnto dell'inautentico" come •mimo" (AR,l12).
9 GNOSEOLOGIA DELLA DINAMITE
Non sono soltanto le condizioni di possibilità della fruizione e della produzione nell'era della riproducibilità tecnica, nonché le loro modalità, a impegnare Benjamin nel saggio sull'opera d'arte: egli non trascura di prendere in considerazione anche gli orizzonti conoscitivi dischiusi dai nuovi media. È a tal proposito significativo il parallelismo istituito nel paragrafo 13 tra cinema e psicoanalisi.
Comune alla psicoanalisi e al cinema è una capacità di isolare determinati fenomeni dal continuum evenemenziale. Così come, prima della pubblicazione di Psicopatologia della vita quotidiana1 (1901), un lapsus poteva passare inosservato perché confuso nel flusso degli eventi, mentre dopo tale pubblicazione esso diventa in-
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l. Sulla lettura benjaminiana di Freud cfr. J. Wiegmann, Prychoanalyt1: sche Geschichtstheon"e: eine Studie xur Freud·Reuption Walter Benfamùu, Bouvier, Bonn 1989. È noto il confronto avviato da Benjamin anche con gli scritti dijung: "'Ho cominciato, a San Remo, a immergermi nella psicologia di Jung- una vera diavoleria, che deve essere affrontata con gli strumenti della magia bianca" (lettera a Scholem dd 5.8.37: TU, 232). Nel corso del 1937 lo studio della concezione junghiana ddl'inconscio collettivo e degli archetipi in relazione alla preparazione dd Panagenwerk (cfr. PW, 507 ·29) si precisa come un'ipotesi di ri~rca (mai portata a termine} su Klages e ] ung, che Hork.hcimer insiste nd subordinare al Baudelaire.
150 PICCOLA STOIUA DELLA LONTANANZA
nanzittutto percepibile distintament~, e ~uindi assw_ne lo statuto di uno specifico oggetto d1 un mterpretazJOne e di un indice di una dimensione interiore complessa legata alle pulsioni più profonde dell'individuo, anche il cinema "ha avuto come conseguenza un analogo approfondimento dell'appercezione su tutto l'arco del mondo della sensibilità ottica [opttJche Merkwelt], e ora anche di quella acustica" (III, 40), grazie allo svi-I uppo del sonoro. .
Più che nel teatro, in cui la rappresentaziOne delle azioni non permette una loro esatta isolabilità [Isolierbarkeit]; più che nella pittura, in cui il rad!ca_mento della rappresentazione in un unico punto di vista _n?n ne permette una precisa analizzabil!t~ ?~ ~olteplic1 ?rospettive, il cinema offre una poss1bilita di ~~n:trazJO_ne nel reale che dischiude orizzonti conoscJUVJ nuovi e proprio perciÒ promuove "la vice~devol_e compenetrazione di arte e scienza" (III, 40), nattualizzando la loro unità quale si era avuta precedentemente nel caso della pittura rinascimentale, ad esempi? in un. Leonardo: "Una delle funzioni rivoluzionarie del cmema sara quella di far riconoscere l'ide~tit~ dell'utilizzazione artistica e dell'utilizzazione scientifica della fotografia, che prima in genere divergevan?" (I~I, 4_1). . .
Che cosa abbia in mente qUJ Ben)amm ci viene sug· gerito dalla Piccola storia della fotografia: "Con le su_e straordinarie fotografie di piante, Blossfeldt ha reper~to in certi steli nervati le forme di certe colonne arcruche nella forma di certe felci il bastone pastorale, nella g'emma del castagno e dell'acero (ingr~ndita_ ~eci volte) certi alberi totemici, nel cardo dei la~a10_h l~ crociera gotica" (OA, 63). Già nel1928 BenJami~ ~~ era occupato di Karl Blossfeldt, recensendo sulla LIterarische Welt" il suo libro di fotografie Urformen
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GNOSEOLOGIA DELLA DINAMITE 151
der Kunsf- (Novità suifiori, in CR, 91-93). Lodando il suo contributo a quella "grande revisione dell'inventario della percezione che cambierà ancora la nostra immagine del mondo in modo imprevedibile", Benjamin osserva come i mezzi tecnici liberino "un geyser di nuovi mondi iconici. Queste fotografie schiudono nell'esistenza vegetale un tesoro del tutto insospettato di analogie e forme. Soltanto la fotografia può farlo. Poiché occorre un forte ingrandimento, perché queste forme si tolgano il velo che la nostra pigrizia ha gettato su di esse". A questa rinnovata capacità di stupirsi prodotta dalla fotografia corrisponde- niente meno -la percezione di goethiani fenomeni originari: "Forme originarie dell'arte- certamente. Ma questa espressione non può significare altro che le forme originarie della natura. Forme, dunque, che non furono mai un puro modello per l'arte, ma sono state fin dall'inizio all'opera come forme originarie di tutto il creato", quelle stesse forme che "nuovi pittori come Klee e ancor più Kandi.nsky da tempo cercano di renderei familiari" e che, metamorfosandosi attraverso le loro "varianti", fondano la possibilità morfologica del regno fenomenico.
Se già nel paragrafo 2 del saggio sull'opera d'arte Benjamin aveva rilevato le implicazioni positive della fotografia come espansione protesica della nostra conoscenza percettiva, nel paragrafo 1.3 egli dunque ribadisce che l'ingrandimento fotografico non è una m era chiarificazione di ciò che si vedrebbe in ogni modo anche se in maniera indistinta, ma rappresenta un coglimento di inedite strutture del reale.
2. Karl Blossfddt, Ur/ormen der Kunsl. Photographische Pfomzenbitder, hrsg. mit einer Einleitung v. K. Nicrendorf, 120 Bildtafdn, E. Wasmuth, Berlin 1928.
152 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
Dalla funzione conoscitiva della fotografia il discorso benjaminiano si allarga quindi a quella del cinema: "Col primo piano si dilata lo spazio, con la ripres-a al rallentatore si dilata il movimento" (III, 41) . Diventano così percepibili aspetti ignoti del mondo quotidiano, dettagli prima inavvertiti degli ambienti usuall di vita, contrassegni solitamente trascurati di gesti e di movimenti3: questo ampliamento della nostra percezione costituisce un incremento di conoscenza, cioè per Benjamin un maggiore "spazio di gioco (o di rappresentazione)" [Spielraum]: "Le nostre bettole e le vie delle nostre metropoli, i nostri uffici e le nostre camere ammobiliate, le nostre stazioni e le nostre fabbriche sembravano chiuderci irrimediabilmente. Poi è venuto il cinema e con la dinamite dei decimi di secondo ha fatto saltare questo mondo simile a un carcere; così noi siamo ormai in grado di intraprendere tranquillamente avventurosi viaggi in mezzo alle sue sparse rovine4 " ·
(III, 41).
3. Emst ~Joch h~ sottolineato l'effetto spaesante della lente di ingrandimento, che rende il noto spesso estraneo, spesso grottesco, non di rado perturbante. [. .. ] Tanto più terrificante rimane però il mondo ingigantito sotto la lente rafforzata, quando mosche sembrano demoni e la pelle umana assomiglia a una porzione di territorio su un continente estraneo e non proprio rassicurante" . Al contrario "gli oggetti accelerati, visti cioè attraverso la lente che rimpicciolisce, hanno un effetto di umana vicinanza· l'aura del piccolo è qui più umana" . Confrontando il rimpicciolimento e l'ingrandimento dello spazio con l'accelerazione e il rallentamento del tempo egli individua la seguente legge: "il rimpicciolimento dei processi temporali ha un effetto perturbante,_ l'ingra~dimento ha un effetto piacevole, il rimpicciolimento spazz~le degli oggetti al contrario li rende gradevoli, l'ingrandimento perturbanti" ("Accelerare, rallentare il tempo e il loro rapporto con lo spazio", in Geographica [scritti degli anni '20 e '30], a c. di L. Boella, Marietti, Genova 1992, pp. 224-25).
4. Si veda - a richiamo di queste "sparse rovine", di queste weitverstreuten Triimmer che infrangono il continuum percettivo ed esistenziale della vita borghese- nella IX Tesi Sul concetto di storia la catastrofe che accumula Triimmerau/Triimmer, macerie su macerie, così come appaiono all'angelo kleetano "là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti" (CS 36-37). '
GNOSEOLOGIA DELLA DINAMITE 153
L'amplificazione della percezione guadagna alla consapevolezza regioni dell'intuizione spaziale prima sprofondate nei meandri dell'inconscio: "Si capisce così come la natura che parla alla cinepresa sia diversa da quella che parla all 'occhio. Diversa specialmente per il fatto che al posto di uno spazio elaborato dalla coscienza dell'uomo interviene uno spazio elaborato inconsciamente" (III, 41). La possibilità di scomporre, isolare, rallentare, fermare, focalizzare, e quindi analizzare ad esempio il movimento del camminare o il gesto dell'afferrare ci rende consapevoli della natura di dettagli che pertengono al rapporto fra le diverse parti del nostro corpo, all'incontro tra noi e le cose del mondo, e alle modulazioni che variano quel rapporto e quell'incontro a seconda del variare dei nostri stati d 'animo. "Dell'inconscio ottico [Optisch-Unbewuflt] sappiamo qualche cosa soltanto grazie ad essa [scil. alla cinepresa], come dell'inconscio istintivo [Triebhaft-Unbewuflt] grazie alla psicanalisi" (III, 42)5
•
A questo punto il paragrafo 13 della III si conclude, mostrando una notevole divergenza rispetto alla l, II e Fr. che (con variazioni minime) proseguono con un approfondimento molto significativo delle implicazioni di psicologia individuale e sociale: "Del resto tra le due specie di inconscio sussistono connessioni strettissime. Perché gli aspetti molteplici che l'apparecchio di registrazione può ricavare dalla realtà si trovano in gran
5. Nella Piccola storia della foto grafia la scoperta dell'" inconscio ottico" era stata attribuita alla macchina fotografica (OA, 62-63 ). Ma vi è anche un inconscio acustico: "Nell'epoca della massima estraniazione [Ent/remdung] degli uomini fra loro, dei rapporti infinitamente mediati che sono ormai i loro soli , sono stati inventati il fìlm e il grammofono. Nel fìlm l'uomo non riconosce la propria andatura, nel grammofono non riconosce la propria voce. Ciò è confermato da esperimenti. La situazione del soggetto di questi esperimenti è quella di Kafka" (FranzKafka: AN, 302-03).
154 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
parte solo al di fuori di un normale spettro delle percezioni sensoriali. Molte delle deformazioni e stereotipie, delle trasformazioni e delle catastrofi che possono riguardare il mondo dell'ottica nei film, lo riguardano in effetti nelle psicosi, nelle allucinazioni, nei sogni. E così quei procedimenti della cinepresa sono altrettante procedure grazie alle quali la percezione collettiva può appropriarsi dei modi di percezione individuale dello psicotico o del sognatore. Nell'antica verità eraclitea- gli svegli hanno in comune il loro mondo, i dormienti hanno ciascuno il proprio- il film ha aperto una breccia. E cioè molto meno con raffigurazioni del mondo onirico che non con la creazione di figure del sogno collettivo come Mickey Mouse, che ruota tutt'intorno alla terra" (II, 376-77).
Il riferimento all'esperienza psicotica risulta particolarmente p regnante nel contesto del parallelismo tra cinema e psicoanalisi, e viene subito sviluppato in direzione di una teoria del cinema come "psicofarmaco": "Se ci si rende conto di quali pericolose tensioni la tecnicizzazione abbia provocato [aggiunge la Fr., 732: "la tecnica razionale in seno all'economia capitalistica divenuta da molto tempo irrazionale") con le sue conseguenze sulle grandi masse- tensioni che in stadi critici assumono un carattere psicotico -, si giungerà a riconoscere che contro tali psicosi di massa questa stessa tecnicizzazione si è procurata la possibilità di una vaccinazione psichi ca attraverso certi film, in cui uno sviluppo forzato di fantasie sadiche o di rappresentazioni deliranti masochistiche può impedire la loro naturale e pericolosa maturazione nelle masse [aggiunge la Fr., 732: "particolarmente esposte a causa delle forme attuali dell'economia"). Lo scoppio prematuro e salutare di simili psicosi di massa è raffigurato dalla risata collet-
GNOSEOLOGIA DELLA DINAMITE 155
tiva. Le enormi quantità di eventi grotteschi che vengono consumate nel film sono un indice drastico dei pericoli che minacciano l'umanità provenienti dalle rimozioni [repressioni: Verdrà"ngungen] che la civiltà porta con sé. I film grotteschi americani e i film di Disney provocano un'esplosione terapeutica dell'inconscio [la
· Fr., 732, preferisce "un dynamitage de l'incoscient", riecheggiando la "dynamite des dixièmes de seconde" di Fr., 730). [ ... ) In questo contesto trova posto Chaplin come figura storica" (II, 377 -78).
L'idea dell'immagine artistica come cuscinetto che ammortizza l'impatto tra il soggetto e la realtà ostileidea, assieme a non poche altre (non ultima quella, goethiana, di polarità6), condivisa da Benjamin con Aby Warburg, che aveva preposto ai suoi frammenti di psicologia dell'arte il motto "Du lebst und tust mir nichts" (vivi e non mi fai nienteF- ritorna nel paragrafo
6. "È vero- aggiunge Benjamin- che un'~malisi generale di questi film non dovrebbe tacere il loro senso antitetico. Essa dovrebbe prendere le mosse dal senso antitetico di quegli stati di cose che agiscono in modo tanto comico quanto terrifico. La comicità e il terr<,ne, come mostrano le reazioni dei bambini, si trovano molto vicini fra loro. [ ... ] Quello che emerge alla luce dei più recenti film di Disney è in effetti già annunciato in alcuni film più vecchi: l'inclinazione ad accettare in modo affabile la bestialità e l'atto violento come fenomeni concomitanti dell'esistenza. Così viene ripresa un'antica e non meno rassicurante tradizione; essa viene dagli hooli"gans danzanti che troviamo ndle immagini medievali dei pogrom, e la 'gentaglia' della fiaba dei Grimm costituisce la loro scialba e confusa retroguardia" (ll,J77, n. 14). -''
7. Cfr. E. Gombrich, Aby Warburg. Una biografia inte/leiiU4le [1970], tr. i t. di A. Dal Lago e P.A. Rovatti, Fdtrinclli, Milano 1983, p. 70. Sulle profonde affinità tra l'approccio di Benjamin e quello di Warburg (nonché sui tentativi dd primo di entrare in contatto ron il circolo che ruota va intorno alla KulturwiJJenschaftlich~ Bibliothek fondata dal secondo, in pn'mis con Panofsky e Saxl) dr. innanzi tutto W. Kemp, Walter Benjamin e id sa'enza eJielica Il: Walter Benjamin e Aby Warburg, tr. it. di C. Tommasi, in •aut aut", 189-90, 1982, pp. 234-62; quindi M.Jesinghausen-Lauster, Die Suche nach der symbolischen Form, Koerner Verlag, Baden Baden 1985, pp. 273-309; R. Kany, Mnemosyne als Programm. Geschichte, Erinnerung und die Andacht r.um Unbedeutenden im Werk uon Usener, Warburg und Benj'amin,
156 PICCOLI\ STORIA DE.LLA LONTANANZA
successivo, il 14, là dove Benjamin affronta un punto cruciale della sua trattazione: !'"effetto di choc" [Schockwirkung] del film. Questo effetto fisico impone al fruitore una reazione, una "presenza di spirito" simile a quella che esige la forma di vita tipica della modernità, ad esempio quando l'uomo deve difendersi dai pericoli del traffico metropolitano: "Il bisogno ·di esporsi ad effetti di choc è un tentativo di adeguazione dell'uomo ai pericoli che lo minacciano. Il cinema risponde a certe profonde modificazioni del complesso appercettivo [Apperzeptiomapparat] - modificazioni che nell'ambito dell'esistenza privata sono vissute [erlebt] da ogni passante immerso nel traffico metropolitano, e nell'ambito storico da ogni cittadino odierno" (III 55-56, n. 29; tr. mod.).
Su quello stesso effetto Adorno andava contemporaneamente riflettendo nella sua ]azzarbeit, in particolare per quanto concerne l'impiego del sincopato nel jazz. Ma, al di là delle comuni categorie descrittive, la posizione adorniana è profondamente divergente da quella benjaminiana: Adorno condanna senza appello la "nuova" forma musicale come fascista, "sadomasoclùstica", affetta da "regressione anale", e accosta la sincope all'impotenza e all' ejaculatio praecox 8
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Niemeyer, Ttihingen 1987; E. Tavani, "Paesaggi di rovine. Tempo e paesaggio. Su alcuni motivi in Benjamin, Sedlrnayr, Warburg ", in Il paesaggio dell'estetica. Teon·e e percorsi, atti del lil convegno nazionale A.I.S.E., a c. di G. Marchianò, Trauben, Torino 1997, pp. 3 77-88.
8. n saggio O ber ]a:a venne pubblicato, sotto lo pseudonimo di Hektor Rottwciler, nella "Zeitschrift fur Sozialforschung", 5, 1936, Heft Il, pp. 235· 57 (ora raccolto in Th.W. Adorno, Schri/ten, hrsg. v. R. Tiedemann, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1982, vol. 17, pp. 74-100; per questi giudizi cfr. in part. pp. 83, 92, 93, 98 (se ne veda anche l'esposizione abbreviata nd più tardo saggio "Moda senza tempo. Sul jazz" [1953], in Prismi, cit., pp. 115· 28). Come scrive Adorno a Benjarnin, nel Jav.arbeit "si giunge a un verdetto pieno sul jazz, nel momento in cui proprio i suoi dementi "progressistici" (apparenza del montaggio, lavoro collettivo, primato della riproduzione
GNOSEOLOGIA DELLA DINAMITE 157
Ben altre potenzialità rawisa Benjamin nella Schockwirkung9
• La teoria dello choc come cifra dello · stile di vita metropolitano viene da Benjamin approfondita nelle pagine dedicate a Baudelaire: "In balia dello spavento, Baudelaire non è alieno dal provocarlo a sua volta. [ ... ]La psichiatria conosce tipi traumatofili. Baudelaire si è assunto il compito di parare gli chocs, da qualunque parte provenissero, con la propria persona intellettuale e fisica" (AN, 97). L'abitante della /ourmillante cité baudelairiana, precorso dall'Uomo della folla di Poe, si muove guardingo fra la calca, scansando i colpi o incassandoli nella più perfetta inlpassibilità. Egli si familiarizza con quei gesti bruschl (l' accensione del fiammifero, la telefonata, lo scatto fotografico, l'attraversamento di una strada trafficata, il bombardamento pubblicitario dei giornali- ma anche il lavoro alla catena di montaggio) che caratterizzano la
sulla produzione) vengono mostrati come facciate di qualcosa che in verità è del tutto reazionario. Credo mi sia riuscito di decifrare davvero il jazz e di determinare la sua funzione sociale" (lettera dd 18.3.1936: A-B, 175).
9. Benjamin individuava nelle contemporanee indagini musicologiche dell'amico Adorno la controparte "sonora" delle proprie ricerche sul visivo. In una lettera del30.6.36 sottolinea "quanto il complesso 'effetto-choc' nd ft.lm mi sia stato chiarito dalla Sua descrizione della sincope nel jazz.ln linea più generale, mi sembra che le nostre ricerche siano come due riflettori di· retti da lati opposti ad un oggetto, che rendano riconoscibili i contorni e le dimensioni dell'arte contemporanea in modo dd tutto nuovo e molto più fecondo di quanto fin qui è stato raggiunto" (A·B, 190). Più tardi, però, in un passo della lettera dd 9.12.1938 riferito al saggio adomiano sul C,ralt<re dijeticdo in musica (il regrerro dell'ascoùo (tr. it. in Dissonanu, a c. di G. Manzoni, Fcltrinelli, Milano 1990, pp. 7-51), si chiede proprio riguardo al paralldismo tra cinema e jazz: •Ex i.mproviso non sono in grado di giudicare se la diversa distribuzione delle zone di luce e d'ombra nd nostri rispettivi tentativi risulta da divergenze teoriche. Può darsi che si tratti solo di diffe. ren.ze apparenti della visuale, che in verità, in modo ugualmente adeguato, concerne oggetti diversi. Giacché non è detto che percezione acustica e otti· ca siano ugualmente suscettibili di un rivolgimento rivoluzionario.[ ... ] Nd mio lavoro ho tentato di articolare i momenti positivi con la stessa chiarezza che Lei ha dedicato a quelli negativi. Vedo quindi una fona dd Suo lavoro proprio dove vi era una debolezza dd mio" (L, 374-75).
158 PICCOLA STORJA DELLA LONTANANZA
sua vita da spadaccino esercitandosi al tavolo da gioco: "Allo scatto del movimento della macchina corrisponde il coup nel gioco d'azzardo" (AN, 113). Oppure, più tardi, andando al cinema: "Nel film la percezione a scatti si afferma come principio formale. Ciò che determina il ritmo della produzione a catena, condiziona, nel ftim, il ritmo della ricezione" 10 (AN, 110).
Di questo uomo metropolitano ha cantato Baudelaire: egli "ha mostrato il prezzo a cui si acquista la sensazione della modernità: la dissoluzione dell'aura nell"esperienza' dello choc" (AN, 130). Ma, oltre alla poesia baudelairiana, è alle analisi sulle modalità di esperienza tipiche della modernità di Georg Simmel che bisogna guardare per comprendere una delle fonti più importanti di Benjamin per la teoria dello choc. Nel breve saggio del1903 Le metropoli e la vita dello spirito, che riprende in modo più succinto alcuni temi esposti più diffusamente nella grande opera del1900, Filosofia del denaro (peraltro espressamente citati in Di alcuni motivi in Baudelaire: AN, 127, e nel Passagenwerk: PW, 564 e 580-81), Simmel descrive la cifra psicologica dell'individuo metropolitano come un'"intensificazione della vita nervosa, che è prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori", quali sono provocate dallo stile della vita
10. Il film come training dd sensorio umano deve evidentemente tener conto della _spe~ificit~ del pubbli~ metr?politano. Per converso, si veda quanto BenJamm scnve a proposito dd film culturale russo, rivolto a un pubblico di contadini: "Attraverso il cinematografo si cerca di dare loro informazioni storiche, politiche, tecniche e igieniche in modo più chiaro e corn~:ensibile. Ma si~ ancora- ~uttosto sprovveduti di fronte alle difficoltà che SI InContrano. fl modo di pel'lepire dei contadini è radicalmente diverso da quello delle masse cittadine. Si è visto, per esempio, che il pubblico rurale non è in grado di cogliere due sen·e di/alli simultanee, come ce n'è a centinaia in ogni fùm. Segue solo un'unica successione di immagini, che deve svolgersi cronologicamente davanti a lui, esattamente come nelle canzoni dei cantastorie" (Su/14 situazione dell'arie dn~matograjiCti in Russia [1927]: AR,86).
GNOSCOLOGIA DELLA DINAMITe 159
cittadina, a partire da un qualsiasi attraversamento della strada. Questi ritmi incalzanti inducono l'individuo metropolitano a sviluppare un "organo di difesa" che c?nsiste. sostanzialmente nella cessazione di ogni' reaZIOne. S1 produce così l'individuo blasé: "C essenza dell' essere blasé consiste nell'attutimento della sensibilità r~spetto alle differenze fra le cose. [ ... ]Le cose galleggiano con lo stesso peso specifico nell'inarrestabile corrente del denaro" 11
• A tale adattamento autoconservativo agli stimoli dell'ambiente metropolitano, consistente nel reagire non reagendo, corrisponde nei rapporti umani la "riservatezza", che contrasta con il continuo contatto esteriore con centinaia di individui: un'indifferenza, "ma, più spesso di quanto non siamo disposti ad ammettere, una tacita avversione, una reciproca estraneità, una repulsione che al momento di un contatto ravvicinato, e a prescindere dall'occasione, p_uò capovolgersi immediatamente in odio e in aggressiOne". Così, nel "brulichio della metropoli", "la vicinanza e l'angustia dei corpi rendono più sensibile la distanza psic)1ica" 12
• Si sviluppa così in alcuni casi .quella degenerazione denominata "fobia del contatto" [~~riihru_ngsangst], la paura di essere toccati troppo da v1cmo, di essere consegnati "agli chocs e ai turbamenti che derivano dalla prossimità immediata e dal contatto con uomini e cose"H.
1~. G. Simmel, u metropoli t la vita dello spirtio [1903], tr. it. di,P.Jedlowski e.R Siebert, !"trod. di P.J~owski, Annando, Roma 1995, pp. 36, 37, 43. S1 veda, per l espenenza musicale, la seguente osservazione di Adorno: •La fonna di reazione costituita dal jazz si è talmente:: accumulata che tutta un~ gi?,:e,nt~ ~ent~ ormai naturalmente, primariamente, a sincopi e non coglie ptu l ongl!lano conllitto fra le sincopi ed il metro fondamentale" (Mod4 senutempo. Suljav:, cit., pp.ll5-16).
12.lvi, pp.45 e 49. . 13. G. Simmel, Filosofo d<i denaro [1900], a c. di A. Cavalli e L. Peruc
cht, Utel, Torino 1984, p. 668. Per questi temi cfr. M. Cacciati (a c. di), Metropoli s. Sagg1 sulla grande cillà di Sombart, Enden Sche/f/er e Simm<i, Officma, Roma 1973.
160 PICCOLA STORIA DELLA WNTANANZA
Come si colloca l'arte in questa costellazione metropolitana? Molto significativamente Simmel, come avrebbe fatto poi Benjamin, caratterizza l'arte in termini di distanza e vicinanza e la correla alle nostre modalità percettive generali e "naturali": "Ogni arte trasforma il campo visivo in cui ci poniamo originariamente e naturalmente di fronte alla realtà. Da un lato essa ce l'avvicina, ci pone in un rapporto più immediato con il suo senso più vero e più intimo [ ... ]. D'altra parte, però, ogni arte comporta un allontanamento dall'immediatezza delle cose, arretra la concretezza degli stimoli e stende un velo tra noi e loro, simile al sottile vapore turchino che aleggia sui monti lontani" 14• Ora, se il "principio vitale di ogni arte[. .. ] consiste nell'avvicinarci alle cose ponendoci ad una certa distanza da esse", è vero però che "l'interesse estetico del tempo recente va verso l'aumento della distanza dalle cose" 15
offrendo - ricordiamo che queste pagine simmelian~ vengono pubblicate nel1900 - una possibilità di sollievo all'iperstimolazione quotidiana tramite una fuga nel remoto, nel simbolico e nell'inattuale.
14. G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 666. 15. lvi, p. 667.
lO TEORIA DEL PROIETTILE
Una situazione completamente ribaltata stava davanti agli occhi di Benjamin trent'anni dopo: cioè dopo che le avanguardie avevano invertito quella direzione verso la lontananza in una scandalosa vicinanza.
Ne è indice eclatante l'arte dei dadaisti, improntata com'è a un'intenzione distruttiva nei confronti dell'aura che si concretizza in una "radicale degradazione del loro materiale" 1 (III, 42): tanto la loro letteratura (si cita come esempio una poesia di August Stramm), nel confezionare "insalate di parole" spesso oscene e irriverenti nei confronti dei linguaggi tradizionali, quanto la loro pittura (è Arp che qui Benjamin richiama), che grazie al montaggio incorpora nel quadro rifiuti e scarti
1. A proposito della benjaminiana "teoria del dad.aismo", che t~.vava Adorno pienamente concorde (dr. lettera del.18.3.36, m A-B, 175), Bu.rger osserva: "La perdita dell'aura non VIene qui ncondotta alla trasformaZione delle tecniche di riproduzione, ma a un mtento del cr~atore:,La trasfor_ma· zione dell"intera funzione dell'arte' in tal senso non VIene pm a essere il n· sultato di innovazioni tecnologiche, ma è il prodotto del comporta~ento cosciente di tutta una generazione di artisti. [ .. .] Si stenta a sottra;-;1 co~· pletamente all'impressione che solo in un secondo tempo BenJamiD abb1a voluto fondare materialisticamente una scoiX;rta, 9uella d~a per?ita ddcll. ra delle opere d'arte, che in realtà doveva al suoi contatti con l arte e avanguardie" (P. Biirger, Teoria dell'avanguardia [1974] , ed. 1t. a c. d1 R Ru· schi, Bollati Boringhieri, Torino 1990, p. 36).
162 PICCOLA STOIUA DELLA LONTANANZA
della quotidianità, sono volte a impedire una ricezione che si configuri come "rapimento o sprofondamento contemplativo" [kontemplative Versenkung], cioè come esperienza, attuata nella dimensione dell'isolamento individuale borghese, della lontananza e dell'otticità -in lilla parola, dell'auraticità, ancora possibile nel raccoglimento [Sammlung] e nella presa di posizione [Stellungnahme] che esigono da noi una poesia di Rilke o un dipinto di Derain.
Benjamin infatti individua come precipuo risultato di tali gesti dadaisti, volti innanzitutto a provocare pubblico scandalo, "lilla spietato annientamento dell'aura dei loro prodotti" (III, 43), che determina nella fruizione uno spostamento dallo sprofondamento alla diversione [Ablenkung; la Fr., 733, preferisce distrae/ton]: "Coi dadaisti, da llil'attraente apparenza ottica [Augenschein] o da una formazione sonora convincente qual era, l'opera d'arte divenne lli1 proiettile. Essa colpiva l'osservatore. Assllilse lUla qualità tattile [taktischel Qualitat]" (III, 43; tr. mod.).
In questo modo l'opera dadaista precorreva il cinematografo, il cui potere diversivo, cioè anti-contemplativo, risiede appunto nella modalità "a scatti" [a scosse, stoflweise] con cui le immagini vengono proposte al fruitore. L'estrema mobilità della proiezione, del cambiamento repentino di inquadratura, di luoghi (e si potrebbe aggillilgere: di tempi) di azione fa sì che il dato visivo si sottragga al controllo dello spettatore e sfugga
2. Riguardo alla sostituzione- pr<?po~ta dai curat?ri n~ll'.ed. di G~ Idd tenni ne taktisch impiegato da Bcnjamm al posto ditakt1l,1 curatori dell'ed. della II GS vri.2, 664, avvertono che • 'taktisch' per 'taktil' non è sba. gliato, bensì' di uso del tutto corrente in saggi di teoria ~dl'arte ~meno nell' area linguistica austriaca". È evidente che, al contra no, la t r. lt., l ad dove ammette per taktisch .. tattico" invece di .. tattile" (Ili, 45), deve essere emendata.
lEO Ili A DEL PltOJFITJLE 163
al vissuto contemplativo di quest'ultimo, che tenderebbe- se potesse fissare l'immagine- a inserir! a nell' ambito delle proprie associazioni di idee. Come è spesso caratteristico di Benjamin, l'opinione di lli1 interprete conservatore, che legge questo stato di cose in senso negativo e reazionario, serve a confortare l'ipotesi di partenza: "Duhamel, che odia il cinema, che non ha capito nulla del suo significato, però ha colto qualcosa della sua struttura, definisce questo fatto nella nota che segue: 'Non sono già più in grado di pensare quello che voglio pensare. Le immagini mobili si sono sistemate al posto del mio pensiero"'3 (III, 43, tr. m od.).
L'interruzione inaspettata e incontrollabile del flusso di pensieri nel fruitore determina l'effetto di choc proprio del film. È in particolare il suo essere basato su un apparato tecnico a permettere di esibire il lato propriamente fisico dello choc, che ancora era avvolto da lli1 "imballaggio" morale nella scandalosa arte dadaista. L'espressione tattile che colpisce [zustoflendJ tipica del film distrugge l' auraticità che si nutre della lontananza ottica, quell' auratidtà che si presenta sempre come llil' esperienza della distanza "per quanto vicina".
li rapporto fra arte dadaista e cinema offre a Benjamin Io spunto per delineare una filosofia della storia dell'arte organizzata in tre momenti preceduti da lilla premessa. Questa consiste nell'idea che ogni forma d'arte gillilga, nella sua storia di sviluppo interno, a lli1
momento critico in cui pone determinate esigenze, solleva determinate questioni, aspira a raggillilgere certi risultati cui puo pervenire solo una nuova forma d'arte originata da lli1 ulteriore livello tecnico. Appoggiando-
}. G. Duhamd,Scènes de la uiefuture, II ed., Paris 1930, p. 52.
164 PICCOLA STOIUA DELLA LONTANANZA
si su Brcton, secondo il quale "l'opera d'arte ha valore soltanto in quanto sia traversata dai riflessi del futuro", Bcnjamin sviluppa uno schema kunstgeschichtsphilosophisch secondo il quale ogni forma d'arte sta all'~te~sczionc di "tre lince di sviluppo [Entwlcklungsltmen] , rispettivamente connesse alla tecnica, alla produzione artistica c alla sua fruizione4
• ·
In primo luogo è la stessa tecnica a mirare a una determinata forma artistica. Così vediamo che alcune tecniche di rappresentazione delle immagini p reco q-ono il cinema ben prima che questo fosse inventato: ad esempio quei libretti fotografici le cui pagine dovevano essere fatte scorrere velocemente tramite la pressione del pollice, in modo che le immagini guizzasser~ velocemente davanti all'osservatore, proiettando un mcontro di boxe o una partita di tennis nella loro dinamicità; oppure quegli apparecdù automatici collocati nei bazar (nei Passagen, preferiva significativamc_n~c la I, _457) che offrivano lo scorrin1cnto delle immagmi tramite la rotazione di una manovella.
In secondo luogo sono le stesse forme artistiche tradizionali a puntare faticosamente, in certi sta~ ~ella loro evoluzione, a effetti che la nuova forma artistica successivamente otterrà spontaneamente c con grande facilità: "Prima che il cinema s'imponesse, i dadaisti cercarono nelle loro manifestazioni di suscitare nel pubblico una reazione [letteralmente" movimento", Bewegung] che più tardi un Chaplin ottenne del tutto naturalmente" (Ili, 55, n. 26).
In terzo luogo, modificazioni sociali spesso mode:t~ mirano a una modificazione della ricezione che favonra
4. In nota 26, m. 54-55; queste righe erano incluse nel corpo dd te~to nel S 13 dclla l, 456·57, e passarono già in nota 15 della li, 378; mancano In·
vece nella F r.
TEORIA DEL PROIETTILE 165
solo la nuova forma artistica. Prima che il film avesse incominciato a formare il suo pubblico, già il Kaiserpanorama offriva immagini in movimento alla ricezione di un pubblico riunito. "Ora, un pubblico simile - aggiungeva la I, 457 -era anche quello che frequentava le pinacoteche, ma senza che il loro arredamento, come ad esempio quello del teatro, fosse in grado di organizzarlo". Nel Kaiserpanorama invece sono previsti posti a sedere, la cui distribuzione davanti ai diversi stereoscopi permette una molteplicità di contemplatori di immagini. "Il vuoto in una galleria di dipinti può essere piacevole, non è più tale nel Kaiserpanorama, c a nessun costo lo è al cinema. E tuttavia ciascuno nel Kaiserpanorama -leggiamo sempre nella I, 457 -,come per lo più nelle pinacoteche, ha ancora la sua propria immagine". Allo stesso modo, Edison, prima che si inventasse la proiezione su schermo, esibiva la pellicola cinematografica a ciascun spettatore. Viene così ad emergere la "dialettica di questo sviluppo. Poco prima che il film renda collettiva la visione delle immagini, davanti agli stereoscopi di questi stabilimenti, peraltro rapidamente tramontati, la visione delle immagini da parte del singolo riacquista la stessa pregnanza che un tempo aveva la visione dell'immagine del dio per il sacerdote nella cella" (III, 55, n. 26).
Il dadaismo, più di altri movimenti artistici', è un esempio paradigmatico di tale legge di sviluppo, nel
/.'
5. Cubismo e futurismo sono al pari del dadaismo messi in relazione con il cinema, e descritti come "tentativi incompleti di tener conto ddla penetrazione nella realtà da parte della macchina"; incompleti, perché diversamente dal cinema non impiegano un'apparecchiatura tecnica nei loro procedimenti produttivi dell'opera d'arte, ma rappresentano l'apparecchiatura stessa nell'opera- il cubismo nd •presentimento della costruzione di questa apparecchiatura, che si basa sull'ottica"; il futurismo nd "'presentimento degli effetti di questa apparecchiatura", cioè nella resa dell'immagine in movimènto così come si presenta ndla sequenza cinematografica (cfr. III, 56, n.JO).
166 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
momento in cui si presenta come un complesso di forme artistiche (sostanzialmente pittura e letteratura) che in un suo periodo critico mira a conseguire determinati effetti che solo il cinema saprà garantire al proprio pubblico nella più spontanea naturalezza. È caratteristico del dadaismo, così come in generale degli stili delle cosiddette epoche di decadenza [Verfallszeiten], un insieme di Extravaganzen und Kruditéiten contrassegnate da Barbarismen: non che essere elementi di negatività da condannare, tali aspetti costituiscono il vero centro di forza di tali stili. Come è evidente, qui Benja~ min tiene in filigrana Riegl e Wickhoff, con la loro storiografia artistica polemica nei confronti del concetto di 'decadenza e il loro coraggioso recupero di periodi stilistici tradizionalmente considerati "brutti", quale appunto il tardo impero romano.
È inoltre evidentemente l'impiego della coppia tattile/ottico a rivelare l'influenza dell'impianto riegliano. Essa ricompare nel paragrafo successivo, il15, che prosegue nell'indagare la correlazione fra storia dell'arte e storia della percezione, Cominciando con il definire la massa una matrice (matrix) che rinnova l'atteggiamento usuale rispetto all'opera d'arte, Benjamin osserva come le modificazioni quantitative che essa apporta alla partecipazione abbiano indotto delle trasformazioni di carattere qualitativo, considerate in modo negativo e svalutativo da critici reazionari. È infatti ancora Duhamel a essere qui citato, in un passo in cui si stigmatizza il cinema come "divertissement d'ilotes" (Fr., 735; cit. da Scènes de la vie future, cit., p. 58), che offre una compensazione futile e passeggera ad una vita miserabile. Ma ancora una volta è proprio attraverso una caratteristica inversione della critica negativa di un fenomeno artistico o sociale che Benjamin può attingere gli stru-
TEORIA DEL PROIETTILE 167
menti analitici e descrittivi più consoni al proprio intento. il divertissement che Duhamel e in generale i commentatori conservatori contrappongono come degenerato atteggiamento distratto al serio raccoglimen: to [Sammlung] preteso dall'opera diviene, in quanto dtstrazione [Zerstreuung], la cifra peculiare della ricezione filmica di massa.
Se il paragrafo precedente era stato impostato sul-l'opposizione tra sprofondamento [Versenk.ung] bo~ghese e diversione [Ablenkung] dadaista, qmla coppia Sammlung-Zerstreuung, a quella imparentata, por:a Benjamin alla seguente formula.: "C?lui che s! racco?li~ [der sich Sammelnde] davanti ali opera d arte V1 s1 sprofonda [versenkt sich]; penetr~ nell'ope~a, come racconta la leggenda di un pittore cmese alla v1sta della sua opera compiuta. Inversamente, la massa distratta [zerstreute] fa sprofondare in sé [versenkt in sich] l'opera d'arte" (III, 44; tr. mod.)6
. .,
Di questo caso del pittore cinese Benjamin aveva g1a trattato- e più diffusamente- in "La Comarehlen", un capitolo di Infanzia berlinese, i cui primi appunti risalgono all'autunno del1932. Riandando all'incanto che la porcellana cinese esercitava su di lui quan~o. era bambino, Benjamin riporta quella leggenda che Vlene dalla Cina e narra di un vecchio pittore che mostrava agli amici il suo ultimo dipinto. Vi si vedeva un giardino
6 Negli Epilegomena alla II troviamo queste '?regnanti annotazioni ~ulla distrazione: "I valori della distrazione sono da sviluppa.re nel !ilm co~e l V~· !ori della catarsi nella tragedia. Distrazione e catars~ da c1rcos7nve~ m quanto fenomeni fisiologici • (GS VII-2, 678). La questione_ ~ella d~strazton~ è un ulteriore punto su cui si incentrano le osservaztom cnuc~e d1 Ado~o. "La teoria della distrazione, nonostante la sua choccante se~uzwne, non ne· sce a convincermi. Non foss'altro che per il semplice motivo _che n~~a so· cietà comunista il lavoro sarà organizzato in modo tale che gli uonu~ no~ saranno più così stanchi e così istupiditi da aver bisogno della distraZione (A-B, 172).
168 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
e uno stretto sentiero che, lungo l'acqua e attraverso un boschetto, si snodava fino alla piccola porta di una casupola sullo sfondo. Quando però gli amici si volsero ver:-o il pittore, egli era svanito ed era nel quadro. Là egli percorse lo stretto sentiero verso la porta, vi si fermò in silenzio davanti, si girò, sorrise e sparì nel suo vano. Allo stesso modo anch'io, alle prese con le mie ciotole e coi pennelli, mi trovavo d'un tratto trasferito nell'immagine. Avevo anch'io qualcosa della por~ellana, nella quale facevo ingresso in mezzo a una nuvola di colori" (IB, 57).
Come è stato opportunamente notato7 il senso che Benjamin attribuisce a questa leggenda s~bisce una significativa inversione nel passaggio da Infanzia berlinese al saggio sull'opera d'arte: se nel primo caso lo scomparire del pittore nel proprio quadro era portato ad esempio di uno sprofondamento tattile nell'immagine, di un'identificazione corporea con le cose (tema fra i più ricorrenti di quello scritto incentrato sulle e~perien~e infantili), nel secondo caso la leggenda del pittore cmese viene contrapposta, come sprofondamento contemplativo nell'opera tipico di chi si raccoglie davanti a un quadro, all'atteggiamento delle masse,_ che al contrario fanno sprofondare l'opera nel propnogrembo.
Di questo sprofondamento l'esempio più chiaro è ~appres~tato dall'architettura, che "ha sempre fornito il prototipo di un'opera d'arte la cui ricezione avviene n~a distrazione e da parte della collettività" (III, 45). A diff~renza di altre forme artistiche -la tragedia, l'epos, la pittura su tavola-, che nella loro contingenza così co-
7 ·Cfr. L. Boella, Attualità e distruzione. Il linguaggio del mito nel mondo della tecnica, Cuem, Milano 1987, p. 115.
169 TEORIA DEL PROIETTILE
me sono nate possono anche morire, l'architettura, dovendo rispondere a un bisogno necessario dell'umanità (quello di ripararsi in un'abitazione), accompagna la storia dell'uomo fin dai tempi preistorici e fintantoché esisterà l'uomo non deve temere di scomparire.
Ora, nota Benjamin, due sono i modi di fruire dell'architettura: "Attraverso l'uso [Gebrauch] e attraverso la percezione [Wahrnehmung]. O, in termini più precisi: in modo tattile [taktisch] e in modo ottico ~optisch] ", precisando che "la fruizione tattile non aVViene tanto sul piano dell'attenzione [Aufmerksamkeit] quanto su quello dell'abitudine [Gewohnheit]. Nei confronti dell'architettura, anzi, quest'ultima determina ampiamente perfino la ricezione ottica. Anch'essa, in sé, avviene molto meno attraverso un'attenta osservazione [gespanntes Au/merken] che non attraverso sguardi occasionali [beilaufiges Bemerken]" (III, 45; tr.
mod.). Vediamo qui Benjamin impiegare la coppia riegliana
tattilelottico, ma piegarla in direzione di una polarità nelle modalità della ricezione che si determina in relazione ad una specifica forma d'arte. In altre parole, se in Rieglla percezione tattile e quella ottica contrassegnavano ciascuna un periodo storico-artistico nel suo complesso (senza tener conto delle differenze fra pittura, scultura, architettura, artigianato), in Benjamin l_a percezione tattile diviene la cifra distintiva della fruizione di una determinata forma d'arte, l'architettura.
Ciò non impedisce tuttavia a Benjamin di estender~ questa modalità all'epoca nel suo complesso; e anche di più: alla gestione del passaggio da un'epoca all'altra. Per quel che riguarda questo secondo punto, ammettendo infatti che "in certe circostanze" questa modalità di ricezione dell'edificio architettonico può diventare
170 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
canonica, egli sottolinea che il nesso essenziale sussistente fra tattilità ed abitudine fa sì che le modificazioni percettive che avvengono nel corso della storia si svolgano fondamentalmente sulla base di una ricezione tattile: "I compiti che in certe epoche di trapasso [Wendezeiten] storico vengono posti all'apparato percettivo umano non possono essere assolti per vie meramente ottiche, cioè contemplative. Se ne viene a capo a poco a poco grazie all'intervento ddla ricezione tattile, all'abitudine" (III, 45).
Ma l'abitudine, oltre che correlarsi alla tattilità, si connette alla distrazione: il soggetto distratto contrae abitudini, e la sua capacità a svolgere certi compiti anche in condizioni distratte documenta l'abitudine da lui contratta. L'occasione in cui si può ottenere questa documentazione è offerta secondo Benjamin dall'arte: "Attraverso la distrazione, quale è offerta dall'arte, si può controllare di sottomano in che misura l'appercezione è in grado di assolvere compiti nuovi. [ ... ]Laricezione ndla distrazione, che si fa sentire in modo sempre più insistente in tutti i settori dd!' arte e che costituisce il sintomo di profonde modificazioni ddla percezione" (III, 46; tr. mod.), forgia l'apparato percettivo dell'epoca, che quindi risulta configurarsi nel suo complesso come epoca tatti/e.
È il cinema il mezzo più potente di questa trasfor- , mazione percettiva; grazie ad esso il valore cultuale dell'arte recede, in quanto questa non è più oggetto di una rispettosa contemplazione da lontano, ma viene sottoposta ad un esame, ad una perizia (qui Benjamin allude nuovamente al parallelismo con il test sportivo), esige quindi dallo spettatore una valutazione e una presa di posizione da vicino, non però un comportamento attento (che sarebbe ancora caratterizzato dal rispetto adorante dd!' auratico), bensì distratto.
TEORIA DEL PROIE"nlLE 171
Come ci spiega la I: "Là dove la collettività cerca la propria distrazione, non manca in nessun modo la dominante tattile, che governa il nuovo raggruppamento dell'appercezione. In origine essa è di casa nell'architettura. Ma nulla rivela in modo più chiaro le immense tensioni ddla nostra epoca del fatto che questa dominante tattile si faccia valere anche nell'ottica. E questo accade appunto nel film attraverso l'effetto di choc delIa sua sequenza di immagini. Così il film, anche sotto questo aspetto, dimostra di essere attualmente l'oggetto più importante di quella dottrina della percezione [Lehre von der Wahmehmung] che presso i Greci era chiamata estetica"8 (I, 466).
8. Quest'ultima frase (presente anche in li, .381 e in Fr., 736; è invece espunta in III) è stata tradotta anche da D. Maierna in ·Linea d'ornbra",loc. cit., p. 31. Commentandola, Desideri nota come •per Benjarrtin il bivio 'eroico' tra l'arte e la sua fme, tra l'arte e la questione della verità si risolva in direzione di un'Estetica anziché in una Poetica nd senso eli Heidegger. Ovvero- come ricorda lo stesso Bcnjamin richiamandosi ai Greci- in una 'dottrina della percezione'" (LA porltt d~lla giustiz.itt, ci t., p. 113 ).
11 ESTETICA ED ESTETIZZAZIONE
Estetica, dunque, come "dottrina della percezione". Tuttavia non manca nell'argomentazione benjaminiana una differente accezione del termine "estetica" così come si sente risuonare- nella Postilla al saggio sull'opera d'arte1 - in Asthetisierung, "estetizzazione", nella contrapposizione a Politisierung, "politicizzazione". Estetizzazione è secondo Benjamin l'operazione condotta dal fascismo nel momento in cui esso riconosce alla massa la possibilità dell'espressione di se stessa- di essere, per usare la formula di Siegfried Kracauer, "massa come ornamento"2 -, ma non il diritto di cambiare i
l. Essa. corrisponde al S 19 in l, II e Fr. Sostenere che qui, per così dire all'ultimo minuto, •Benjamìn cerca di riscattare il suo discorso alla causa dd comunismo, come per fedeltà al suo p~posito di lanciare una puntata in favore di una teoria marxista dell'arte" (Pullega, loc. cit., p. 178), significherebbe forse sottovalutare eccessivamente gli echi marxiani che, c;:Ome si è visto, pervadono tutto il saggio (anche se certlllllente non ne esauriscono gli orizzonti), e non solo il suo alfa e omega, la Premessa e la Postilla (alla quale Benjamin pare tenesse in modo particolare: si veda lo •spezialerlaubnis", il permesso speciale che Benjamin millantava di avere ricevuto da Horkhd.mer riguardo all'intoecabilità di questo paragrafo: cfr. GS 1-3, 988).
2. Nel suolJds Ornam~ntderMtuU, del1927, Kracauer analizzòJ'omamentazione nelle forme sociali di massa proprie dd capitalismo moderno, ritenendo che "la figura umana inserita neUe figurazioni ornamentali di massa ha intrapreso l'esodo dal rigoglioso splendore organico e dalla forma individuale [ ... ] . L'uomo come ~sere organico è scomparso dalle figure ornamentali" (in La massa come ornamento, cit., p. 107). Kracauer distingue si-
174 VJCCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
rapporti di proprietà. Anzi, la concessione di quell'espressione è strategicamente intesa ad assicurare la conservazione di quei rapporti.
Benjamin non manca di segnalare l'aspetto tecnico del problema: "Alla riproduzione in massa è particolarmente favorevole [letteralmente: viene incontro, kommt entgegen] la riproduzione di masse" (III, 56, n. 32). La progressiva massificazione, quale si dà a vedere nei cortei pubblici, nelle adunate oceaniche, negli spettacoli sportivi, nelle guerre, si offre in modo più adeguato all'apparecchio di registrazione che non all'occhio umano. La possibilità di una prospettiva a volo d'uccello che colga gli immensi movimenti collettivi è sì accessibile all'occhio umano, ma viene pienamente sviluppata solo dalla macchina che ne permette ingrandimenti. Così "la massa vede in volto se stessa" (III, 56, n.
32). Questo sguardo viene filtrato in senso estetistico:
"Con D'Annunzio ha fatto il proprio ingresso in politica la decadenza, con Marinetti il futurismo e con Hiùer la tradizione di Schwabing" (I, 467; II, 382). La propaganda totalitaria, coltivando il culto di un duce o Fiihrer, alimenta il valore cultuale della personalità: come è evidente, Benjamin qui si richiama al culto delle star cinematografiche come surrogato dell'aura (esposto al paragrafo 10), ritradotto però in termini politici.
L'auraticizzazione del leader politico non è del resto l'unico compito dell'estetizzazione della politica; essa anzi tende alla guerra come alla sua meta finale: è la guerra a "mobilitare" le grandi masse verso uno scopo,
gnifi:cativamente tra maJJa e popolo: • Elemento portante delle figurazioni ornamentali è la massa. La massa, non il popolo~ infatti, quando è H popolo a creare figure, esse non vivono in una dimensione astratta, ma si sviluppano dal seno della comunità" (ivi, p. 100).
ESlliTICA ED ESTEllZZAZIONE 175
ga~antendo dal punto di vista politico il mantenimento der rapp?rti ~proprietà sussistenti, e dal punto di vista tecnolog~co l impiego della totalità delle apparecchiature tecnrche.
È interessante confrontare la lettura benjaminiana della mo~ilitazione militare delle masse con quanto a~eva teotiZz~t~ pochi anni prima ErnstJ Gnger nel saggw apptJ?tO mtrtolato La mobilitazione totale, apparso per la prima volta nel volume collettivo, curato daJGnger stesso, Guerra e combattenti, del1930: "L'immagine stess~ della guerr~ col? e azione armata- scriveJiing~r-finisce persfocrare m quella, ben più ampia, di un grga~tesco processo lavorativo. Accanto agli eserciti che s~ ~contrano sui campi di battaglia nascono i nuovi ~~ercltl ~elle ~~munic~zion~, del vettovaglia mento, dell md,ust~Ia militare:. l esercito del lavoro in assoluto. Nel! ultima f~se, grà adombràta verso la fine della C?uerra mondiale, non vi è più alcun movimento- foss anche quello di una lavoratrice a domicilio dietro la s~a macchina da cucire- che non possieda almeno indirettamente un significato bellico. In questo impiego ~ssolut<;> ~el!' e~ergia ~~tenziale, che trasforma gli Stati r~dustnali belligeranti m fucine vulcaniche, si annuncia nel modo forse più evidente il sorgere dell'età dcllavoro"J. ques.ta moJ:'ilitazione totale non si presenta solo.co~e il comvolgimento di ogni soggetto nell'econon~ra ~ guerr~ ma anche come l'estensione della minaccia di m.orte .anche al ~ambino nella culla"; i bombardamer:tr a~~e! ~otturru non fanno più distinzione tra soldat! e civili: C?me ogni ":iça;produce il genne della pr?pna ~o~e, cosrla comparsa delle grandi masse racchiude !11 se un~ democrazia della morte". Ad uno sguardo che coglie da un punto di vista estetico la mo-
'b .3. E. }Unger,_ "L~ mobilitazione totale", in Foglie~ pietre, t r. it. di F. Cu· n1 erto, Adelph1, Mi!JUlo 1997, pp.l!J-35, qui p.1!8.
176 J'IC(;()LA STORIA DELLA LONTANANZA
bilitazione totale (percependone con un senso d~ "ebbrezza" lo "spettacolo" nel suo "esuberant~ d~sp1e~ar~ si", "con le sue aree produttive fumanti e scmtilla~tl ~ luci con la fisica e la metafisica del suo traffico, I suoi mo;ori, aeroplani e metropoli bruli~anti di g~nte"), J tinger unisce anche un?, s~uar~o d est;~ al c congwnto a un senso di "sgomento : Qui non c c un sol? atom? che non sia al lavoro,[ ... ] questo processo delirante e, in profondità, il nostro destino .. La Mobilitazione Tota~ le non è una misura da esegUire, ma qualcosa che SI compie da sé, essa è, in guerra come ~n pace? 1: espressione della legge misteriosa c inesorabile a c w ci consegna l'età delle masse c delle macchi?~· Succc?c. allora che ogni singola vita tenda sempre pw mdiscuubilmen-te alla condizione del Lavoratore"4
• • • " •
Recensendo l'antologia ji.ingeriana sulla n vista D1e Gesellschaft" nello stesso anno della sua pubblicazione, Benjamin significativamente apre la sua radicale e anche ironica critica a quel "misticismo della guerra"5 con un commento alla frase di Léon Daudet "L'automobile c'est la guerre" che verrà letteralmente ripreso ~el saggio sull'opera d'arte: "Ciò che s~~va all~ ba~e di questa sorprendente associazione era !Idea di un mcrcmento
4. lvi, p. 120. II riferimento al Lavoratore, all'Arbeiter, prefigura il tito!~ di una delle opere più significative dili.inger, Der Arbetter appunto, app~rs nell'autunno dd 1932, il cui sottotito o -Efemc_ka/t un d G~stalt ([)omltllo e forma)_ indica l'intenzione di operare un anahs1 morfol~g1ca. dd t.'f:o umano nell'epoca della tecnica: "'La tecnica è il,mod~_ela ma~1era l~ cui a f~n~a dell'operaio [Arbeiter] mobilita il mondo (E.Junger, L operato. Domtnto t forma, ed. it. a c. di Q. Principe, Guanda, Parma1995, P· !40).
5. "Se si considera la mobilitazione totale del paesaggro, il senso t~desCQ della natura ha realizzato un progresso insospettato. [ ... ]Tutto era dtvent~to terreno ddlo stesso idealismo tedesco, ogni buco prod~tto d~llo sc<?pp1o di una granata era un problema, ogni reticol~to era un'an~u:omla, ogni tratto di filo spinato una definizione, ogni esplos1one ~n a posiZI~ne (Setzung] • e il cielo di giorno era il cosmico faro interno dell el~etto, dJ _notte la_Iegge morale sopra di te. Con i cordoni di fuoco c i cammmamentt la tccn1c~ ha voluto ricalcare i tratti eroici dd volto dell'idealismo tedes~. _H_a sba~ltato. Poiché quelli che essa riteneva eroici erano i tratti ippocraucJ, l tratti dclla .
morte" (CR,I58).
E..o;·rrrncA ED ESH~llZZAZIONE. 177
dci sussidi tecnici, delle velocità, delle fonti di energia ccc., che nella nostra vita privata non trovano un'utilizzazione completa, adeguata, c tuttavia esigono di giustificarsi. Si giustificano in quanto rinunciano all'accordo armonico, nella guerra, che con le sue distruzioni dimostra che la realtà sociale non era matura per fare della tecnica il proprio. organo, che la tecnica non era abbastanza forte per controllare le forze elementari della società" (Teorie del fascismo tedesco [1930]: CR, 149).
È quella stessa deviazione della tecnica originariamente intesa (si ricordi la categoria di "prima tecnica") come dominio delle forze naturali a vantaggio dell'uomo che il saggio sull'opera d'arte avrebbe descritto in termini di prassi distruttiva della stessa umanità: "Se l'utilizzazione naturale delle forze produttive viene frenata dall'ordinamento attuale dei rapporti eli proprietà, l'espansione dei mezzi tecnici, dei ritmi di lavoro, delle fonti di energia spinge verso un'utilizzazione innaturale" (III, 47). L'impiego delle forze tecniche in senso distruttivo porta in luce una duplice e reciproca immaturità: immaturità in primo luogo della società, che si dimostra non ancora pronta ad assumere la tecnica come proprio organo; immaturità in secondo luogo della tecnica stessa, che si rivela incapace a dominare la società nelle sue energie più elementari (ma anche e in terzo luogo, potremmo aggiungere, immaturità del rapporto fra tecnica, uomo c natura, incapace di svilupparsi in quello Zusammenspiel, in quel gioco eombinato e armonico prcfigurato dalla categoria benjaminiana di "seconda tecnica").
È su questa base che Bcnjamin spiega l'enorme potenziale distruttivo della guerra; stanti i vigenti rapporti di proprietà, ad un enorme capacità produttiva delle industrie non corrisponde un mercato adeguato come spazio di sfogo eli quella produzione: "La guerra imperialistica è una ribellione della tecnica, la quale ricupera
178 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
dal materiale umano le esigenze alle quali la società ha sottratto il loro materiale naturale [ ... ].Nell'uso bellico dei gas ha trovato un mezzo per distruggere l'aura in modo nuovo" (III,48).
Se lo snaturamento della tecnica punta alla mobilitazione totale come alla propria meta, il mascheramento estetistico di questa viene garantito in senso propagandistico dall'avanguardia futurista, di cui Benjamin assume come campione Marinetti nel suo manifesto per la guerra coloniale etiopica: secondo tale estetica della guerra, nell'esaltazione delle esperienze percettive (ottiche: il fuoco, i tracciati degli spari; acustiche: gli spari; i rombi; olfattive: i profumi della decomposizione dei cadaveri), l'affermazione della bellezza della distruzione è intesa come apertura di un nuovo orizzonte poetico, plastico ed estesico. L'" art pour l'art", che si compie nel "fiat art- pereat mundus" fascista, manipola lo snaturamento della tecnica, trasformandolo in qualcosa di godibile all'occhio, in un "soddisfacimento artistico della percezione sensoriale modificata dalla tecnica. [ ... ] Questo è il senso dell'estetizzazione della politica che il fascismo persegue. Il comunismo gli risponde con la politicizzazione dell'arte"6 (III, 48).
6. Si noti che la Fr. ha sempre "état totalitaire" al posto di .. fascismo" e •totalitaire" al posto di "fascista", mentre "'comunismo" diventa "l~s fo_rces constructives de l'humanité". "'Si potrebbe a questo punto - st chiede Benjamin in un appunto dei Paralipomena alla II-( ... ] soll~vare la doman: da: come ci si può aspettare nell'ambito dell'arte una funz10ne salutare di forze che nell'ambito della politica conducono al fascismo? A ciò bisogna rispondere così: l'arte non è solo, come ha mostraw la psicoanalisi, quell'a~bito particolare in cui i conflitti dell'esistenza individuale possono essere ncomposti, bensì essa ha la medesima funzione, forse in modo ancora più~tenso, su scala sociale. La forza devastante che dimora nelle tendenze pacificate dell'arte non significa nulla contro l'arte stessa; allo stesso modo in cui non significa nulla contro di essa la follia in cui i conflitti individuali, che il creatore ha pacificato nell'arte, avrebbero potuto indurlo a cadere nella vita" (GS VII-2, 669).
12 UNA VICINANZA, PER QUANTO LONTANA
Giunge così alla fine questa piccola storia della lontananza che si fa sempre più vicina1• Per come l'ha raccontata il saggio sull'opera d'arte, essa si è rivelata innanzitutto come un tentativo di elaborare una versione moderna "di quella dottrina della percezione [Lehre von der Wahrnehmung] che presso i Greci era chiamata estetica" (I, 466). "Moderna" nel senso di una riflessione sulle condizioni di possibilità e sulle modalità dell'esperienza sensoriale nell'era della tecnica, così come si compie in primo luogo, ma non esclusivamente, nell' ambito delle nuove forme artistiche di massa.
Tale riflessione estesiologica sulla modernità e sui suoi fondamenti esperienziali riposa sulla convinzione che la percezione non sia qualcosa di "sempre uguale", bensì che si distenda diacronicamente in una storia: una storia che procede dalla lontananza alla vicinanza, dall'ottico al tatti! e. 1'
Di queste categorie, come si è visto, Benjamin fu principalmente debitore di Alois Riegl. Ma l'impiego
l. Sullo schema della vicinanza e della lontananza come paradigmatico dello stile benjaminiano di pensiero cfr. D. Thicrkopf, Niihe und Ferne. Kommenlare zu Benjamins Denkuer/ahren [1971], in '1èxt + Kritik', 31-32, 19792, pp. 3-18.
180 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA
che Benjamin fa di Riegl è al tempo stesso un suo significativo ribaltamento2
• Lo storico viennese poteva descrivere lo sviluppo dell'arte antica come un movimento dalla tattilità egizia all'otticità tardoromana, passando per la cosiddetta "visione normale" dei greci, utilizzando cioè un modello di progressiva otticizzazione o de-tattilizzazione o soggettivizzazione. La cifra della · cosiddetta epoca di decadenza della spiitromische Kunstindustrie è una qualità squisitamente ottica, un gioco di luci e ombre, di chiaroscuri e di cromatismi, un impressionismo.
Dal canto suo Benjamin caratterizza invece la parabola dell'arte nel suo complesso come un passaggio dall'ottico al tattile, dal lontano al vicino. Egli legge lo stile tanto della letteratura e della pittura dadaiste quanto del cinema, che ne porta a compimento le aspirazioni, come un ritorno del tattile e dell'elemento collettivo. Sembra quindi far agire sulle categorie riegliane della percezione l'idea in fondo bachofeniana3 - come si è visto già impiegata nel saggio sulle Affinità elettive e nel Ka/ka, e destinata a diventare centrale nella rifles-
2. "!.:apprezzamento da parte di Benjamin della teoria di Riegl non gli impedì di capovolgerla, cioè rendendo la percezione moderna tattile o apti· ca piuttosto che ottica" (M. lversen, Alois Riegl: Art Hislory an d Theory, ll1e MIT Press, Cambridge (Mass.) 199}, p. 16). Sul peculiare impiego dd. le categorie di tattile e ottico da parte di Benjamin dr. anche F.J. Verspohl, "Optische" und "takttle" Funklion von Kunst. Der Wandel des Kunstbegrilfs im Zeita!Jer der massenha/ten Rez.eplion, in "Kritische Berichte", .3, 1975, pp.25-4}.
3. È forse degno di nota che, in un passo dd saggio dedicato a Bachofen, Benjamin accosti proprio Wickhoff e Riegl allo storico di Basilea, in quanto capaci, come quest'ultimo, di "'profezie scientifiche": "Uno di questi studiosi era Alois Riegl che- con il suo libro Arte tardoromtJna- rifiutava la pretesa barbarie artistica dell'epoca di Costantino il Grande; l'altro, Franz Wickhoff, il quale- pubblicando Arte romana (Die Wiener Genesis)- atti· rava l'attenzione sui primi miniaturisti medievali che sarebbero poi diventati di gran moda grazie all'espressionismo. Sono questi gli esempi che bisogna ricordare per comprendere il recente ritorno a Bachofen" (JJB, 38-39).
UNA VICINANZA, PER QUANTO LONTANA 181
sione del Passagenwerk- di un riemergere di tratti arcaici (il tatti! e è in Riegl proprio la modalità originaria, primaria, della percezione che, lo si è accennato, può ritornare a dispetto dell'evoluzione atticizzante) nel cuore della modernità tecnologica.
È la I a rivelare questo schema argomentativo, in un passo poi espunto nelle redazioni successive: "E così [sci!. l'opera d'arte] si accingeva a recuperare per il presente quella qualità tattile che risulta la più indispensabile per l'arte nelle grandi epoche di trasformazione della storia. Il fatto che tutto ciò che viene percepito, che cade sotto i sensi sia qualcosa che colpisce- questa formula della percezione onirica, che abbraccia al contempo anche il lato tattile della percezione artistica- è quello che il dadaismo ha di nuovo rimesso in circolazione" (l, 463-64; c.vi ns.). "La modernità -leggiamo nell'Exposé dcll935- cita continuamente la protostoria" (PW, 15): allo stesso modo il dadaismo e il cinema hanno citato il primo momento percettivo riegliano, quello aptico, che riemerge nel moderno, proprio quando l'arte ottica e lontana sta per morire, nella decadenza dell'aura.
"Chaque époque réve la suivante", cita Benjamin da Michelet. Anche Benjamin sognò l'epoca a lui successiva -l'epoca dell'ubiquità conquistata, della civiltà dell'immagine, del visivo e del numerico, forse non a caso detta l'era del "digitale". Ed essa gli apparve (come sempre appare a chi la sogna ogni epoca futura) 11,"\escolata a elementi arcaici, quelli della percezione tatiile appunto, che riaffiorano dalla protostoria bachofeniana, dall'Egitto riegliano. Ma questi elementi gli si erano già annunciati, còme "geroglifici del XIX secolo", in quelle tracce che si facevano incontro alfoineur, archeologo metropolitano, che lo pressavano, per quanto lontane, da vicino, sempre più da vicino.
182 l'ICCOLII5TORIA DELLA LONTANANZA
La "rinuncia all'incanto della lontananza" (AN, 137) che questa decadenza comporta dischiude però altri orizzonti, non meno fascinosi. Sono i percorsi della traccia che si aprono al rapporto tattile che ilflaneur, . vero fisionomo materialista, instaura con la propria città: "La traccia [Spur] è l'apparizione di una vicinanza, per quanto possa essere lontano ciò che essa ha lasciato dietro di sé. L'aura è l'apparizione di una lontananza, per quanto possa essere vicino ciò che essa suscita. Nella traccia noi facciamo nostra la cosa; nell'aura essa si impadronisce di noi" (PW, 581)4•
4. "Il concetto di traccia trov11la sua determinazione filosofica in opposizione a qudlo di aura" {L, 369).
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