(11) Il Diario Del Vampiro - La Maschera -...

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Titolo originale: The VampireDiaries. The Hunters: Phantom

(Chapters 1-21)Copyright © 2011 by L.J. Smith

Traduzione dall’inglese di

Marialuisa AmodioPrima edizione ebook: maggio

2012© 1995,2010 Newton Compton

editori s.r.l.Roma, Casella postale 6214

ISBN 978-88-541-4349-4

www.newtoncompton.com Edizione elettronica realizzata da

Gag srl

Lisa Jane Smith

Il diario del vampiroLa maschera

Newton Compton editori

1

Elena Gilbert camminava su unasoffice distesa verde e i fili d’erba sipiegavano sotto i suoi piedi. Dalterreno si levavano cespugli di rosescarlatte e speronelle viola, e su dilei pendeva un enorme baldacchinoche rifletteva la luce calda delle

lanterne. Davanti, sul terrazzo,c’erano due fontane ricurve di marmobianco che lanciavano alti spruzziverso il cielo. Ogni cosa era bella,elegante e in qualche modo familiare.Questo è il palazzo di

Bloddeuwedd, disse una voce nellasua testa. Ma l’ultima volta che erastata lì il prato era pieno di gente infesta che rideva e ballava. Sen’erano andati tutti, anche serestavano i segni del loro passaggio:bicchieri vuoti che ricoprivano itavoli ai margini del prato; unoscialle di seta gettato su una sedia;

una scarpina solitaria, con i tacchialti, in bilico sul bordo di unafontana.Ma non era quella l’unica stranezza.

Allora la scena era illuminatadall’infernale luce rossa chericopriva ogni cosa nella DimensioneOscura, trasformando il blu inporpora, il bianco in rosa e il rosanel vellutato colore del sangue. Orasu tutto brillava una luce chiara, e incielo veleggiava placida una biancaluna piena.Elena sentì un fruscio alle sue

spalle e, trasalendo, si accorse di

non essere sola come credeva. D’untratto apparve una sagoma scura, chesi avvicinò a lei.Damon.Elena pensò, sorridendo fra sé, che

non poteva che essere Damon. Chialtri, se non lui, le sarebbe apparsodavanti all’improvviso, laggiù, inquella che sembrava la fine delmondo, o almeno la fine di una festaben riuscita? Dio, era così bello.Nero su nero: soffici capelli neri,occhi neri come la mezzanotte, jeansneri e una giacca morbida di pellenera.

Quando incrociò il suo sguardo, fucosì felice che quasi smise direspirare. Corse ad abbracciarlo egettandogli le braccia al collo sentì imuscoli sodi e flessuosi del petto edelle braccia.«Damon», disse, con voce

stranamente tremante. Anche il suocorpo tremava, e lui cominciò amassaggiarle le braccia e le spalle,per calmarla.«Cosa c’è, principessa? Non dirmi

che hai paura». Le rivolse un sorrisoindolente, continuando a carezzarlacon le mani forti e salde.

«Certo che ho paura», rispose lei.«Di cosa?».La domanda per un momento la

lasciò perplessa. Poi, lentamente,poggiando la guancia contro la sua,Elena disse: «Ho paura che questosia solo un sogno».«Ti svelerò un segreto,

principessa», le disse luiall’orecchio. «Tu e io siamo leuniche cose reali qui. Tutto il resto èun sogno».«Solo tu e io?», echeggiò Elena. La

assillava una sensazione inquietante,come se avesse dimenticato

qualcosa… o qualcuno. Un granellodi cenere atterrò sul suo vestito, e leilo spazzò via, sovrappensiero.«Siamo solo noi due, Elena», disse

Damon con voce intensa. «Tu seimia. Io sono tuo. Ci amiamo findall’inizio dei tempi».Ma certo. Doveva essere quello il

motivo dei brividi: tremava di gioia.Lui le apparteneva. Lei appartenevaa lui. Erano fatti l’uno per l’altra.Mormorò una sola parola: «Sì».Poi lo baciò.Aveva labbra morbide come la seta

e, quando il bacio si fece più intenso,

lei chinò indietro la testa, esponendola gola in attesa della doppia punturadi vespa che tante volte le avevaprocurato.Il morso non arrivò e lei, riaprendo

gli occhi, lo guardò con ariainterrogativa. La luna splendevacome non mai e un intenso profumodi rose stagnava nell’aria. Ma ilineamenti cesellati di Damon eranopallidi sotto i suoi capelli scuri, e lacenere continuava a posarsi sullespalle della sua giacca. D’un tratto,tutti i piccoli dubbi che l’avevanoassillata fino a quel momento

confluirono nella sua mente.Oh, no. Oh, no.«Damon». Sussultò, guardando

disperata negli occhi di lui, mentre isuoi si riempivano di lacrime. «Nonpuoi essere qui, Damon. Tu sei…morto».«Da più di cinquecento anni,

principessa». Damon le rivolse il suoaccecante sorriso. La cenerecontinuava a cadere intorno a loro,simile a una sottile pioggia grigia, lastessa cenere livida sotto la quale erasepolto il corpo di Damon, tantimondi e tante dimensioni lontano da

lì.«Damon, tu sei… morto davvero.

Non sei un morto vivente, ma… nonci sei più».«No, Elena…». Il suo corpo

cominciò a tremolare, a dissolversi,come una lampadina che si staspegnendo.«Sì. Sì! Ti tenevo fra le braccia

mentre morivi…». Elena si lasciòandare a un pianto irrefrenabile. Nonriusciva più a sentire le braccia diDamon. Lui stava svanendolentamente nella luce tremante.«Ascoltami, Elena…».

Stava abbracciando il chiaro diluna. L’angoscia s’impossessò delsuo cuore.«Basta che mi chiami», disse lui.

«Non devi fare altro che…». Poi lavoce sfumò nel suono del vento chestormiva fra i rami.Elena spalancò gli occhi. Attraverso

la nebbia si accorse di trovarsi inuna stanza inondata di sole, e vide ungrosso corvo appollaiato suldavanzale della finestra aperta.L’uccello piegò la testa di lato egracchiò, osservandola con occhivividi.

Un brivido gelido le corse lungo laspina dorsale. «Damon?», sussurrò.Ma il corvo spalancò le ali e volò

via.

2

Caro Diario,Sono a casa! Quasi non oso crederci,

ma sono tornata.Mi sono svegliata con una sensazione

stranissima. Non sapevo dove mitrovassi e sono rimasta qui ad annusareil profumo di cotone e ammorbidentedelle lenzuola, mentre cercavo di capireperché mi sembrasse tutto così

familiare.Non ero nella villa di Lady Ulma,

poiché da lei dormivo accoccolata fralenzuola di raso finissimo e morbidovelluto, e l’aria profumava d’incenso. Enon ero alla pensione: la signoraFlowers lava la biancheria da letto conun miscuglio di erbe dall’odore strano.Bonnie dice che serve a proteggere e aispirare bei sogni.

Tutt’a un tratto, ho capito. Ero a casa.Le Guardiane avevano mantenuto lapromessa! Mi avevano riportata a casa.

È cambiato tutto, ma al tempo stessoogni cosa sembra identica a come l’holasciata. Questa è la stanza in cuidormo fin da bambina: il mio comò di

lucido legno di ciliegio e la sedia adondolo; in equilibrio su una mensola,il cagnolino di peluche bianco e nerovinto da Matt alla fiera di carnevale,durante il terzo anno di liceo; la miascrivania a rullo con i suoi piccoliscomparti; l’elaborata specchierad’antiquariato sulla cassettiera; e iposter di Monet e Klimt che zia Judithmi ha comprato al museo durante lanostra gita a Washington. Allineati sulcomò ci sono anche il mio pettine e laspazzola. Tutto è come deve essere.

Mi sono alzata dal letto e, facendoleva con un tagliacarte d’argento presodalla scrivania, ho sollevato la tavolasegreta alla base dell’armadio a muro,

il mio vecchio nascondiglio, e hotrovato questo diario, proprio dovel’avevo nascosto tanti mesi fa. L’ultimanota è quella che ho scritto prima delGiorno dei Fondatori, a novembre,prima di… morire. Prima di andar viadi casa e non tornare più. Fino a ora.

In quella nota avevo descritto in ognidettaglio il nostro piano per riprendereil diario che Caroline mi aveva rubato,con l’intenzione di leggerlopubblicamente alla sfilata del concorsodi bellezza del Giorno dei Fondatori,sapendo che così mi avrebbe rovinato lavita. Proprio il giorno dopo sonoannegata nel Wickery Creek, risorgendocome vampiro. Poi sono morta di nuovo

e sono tornata in vita come umana, hoviaggiato nella Dimensione Oscura eho vissuto migliaia di avventure. E ilmio diario è rimasto qui, dove l’avevolasciato, sotto il pavimentodell’armadio a muro, ad aspettarmi.

L’altra Elena, la ragazza che leGuardiane hanno instillato nellamemoria di tutti, è rimasta qui per tuttiquesti mesi: è andata a scuola e havissuto una vita normale. Quella Elenanon ha scritto niente su questo diario.Sono sollevata, sul serio. Non sarebbestato inquietante vedere delle notescritte con la mia grafia e nonricordare nessuno degli episodinarrati? A pensarci bene, però, forse

sarebbe stato utile. Non ho la piùpallida idea di quello che tutti credonoche sia successo a Fell’s Church negliultimi tempi, dopo il Giorno deiFondatori.

All’intera città di Fell’s Church è statoconcesso un nuovo inizio. I kitsunel’avevano distrutta per pura cattiveria,mettendo i figli contro i genitori ecostringendo la gente a farsi del male ea ferire i propri cari.

Ma ora è come se non fosse successoniente.

Se le Guardiane hanno mantenuto laparola, tutti quelli che sono morti inquesti mesi dovrebbero essere tornati invita: le povere Vickie Bennett e Sue

Carson, assassinate da Katherine e daKlaus e Tyler Smallwood l’invernoscorso; l’antipatico signor Tanner; tuttigli innocenti che i kitsune hanno uccisoo hanno fatto uccidere da altri. Iostessa sono tornata in vita. A tutti èstato concesso di ricominciare da capo.

Ma, a parte me e i miei amici più cari– Meredith, Bonnie, Matt, il mio amatoStefan e la signora Flowers – nessunosa che la vita non è andata avanti comeal solito dopo il Giorno dei Fondatori.

Ci è stata data una secondaopportunità. Ce l’abbiamo fatta.Abbiamo salvato tutti.

Tutti tranne Damon. Alla fine è statolui a salvarci, e noi non abbiamo potuto

ricambiare. Ci abbiamo provato in tuttii modi, abbiamo disperatamenteimplorato le Guardiane, ma non c’èstato verso di convincerle a riportarloin vita. E i vampiri non si reincarnano.Non vanno in paradiso, all’inferno o inun qualsiasi altro mondo ultraterreno.Scompaiono e basta.

Elena smise un attimo di scrivere e

fece un respiro profondo. I suoi occhisi riempirono di lacrime, ma lei sichinò di nuovo sul diario. Dovevadire tutta la verità, altrimenti nonaveva senso continuare a tenere undiario.

Damon è morto fra le mie braccia. È

stato straziante vederlo scivolare via dame. Ma non permetterò mai che Stefansappia quello che provavo davvero persuo fratello. Sarebbe crudele… E poi, ache servirebbe?

Non riesco ancora a credere che siamorto. Nessuno aveva la sua energia,nessuno amava la vita più di lui. Oranon saprà mai che…

In quel momento la porta della sua

camera si spalancò, ed Elena chiusedi scatto il diario, con il cuore ingola. Ma l’intruso era solo la sua

sorellina di cinque anni, Margaret,con il pigiama rosa a fiori e imorbidi capelli color del granoraccolti al centro del capo, dritticome le piume di un tordo. Labambina non decelerò finché non lefu quasi addosso, e poi si lanciò avolo d’angelo sul letto.La centrò in pieno, togliendole il

fiato. Margaret si stringeva forte a leicon le sue manine e aveva le guancebagnate e gli occhi lucidi.Elena si ritrovò a stringerla con la

stessa forza, sentendo il peso del suopiccolo corpo e inalando un profumo

dolciastro di shampoo per bambini eplastilina.«Mi sei mancata!», disse Margaret

con voce tremante. Sembrava sulpunto di piangere. «Elena! Mi seimancata tantissimo!».«Cosa?». Nonostante si sforzasse di

mantenere un tono leggero, Elenasentiva che le tremava la voce.Sussultò quando si rese conto chenon vedeva Margaret – in carne eossa – da più di otto mesi. Ma la suasorellina non poteva saperlo. «Tisono mancata così tanto da quandosei andata a letto che dovevi correre

a cercarmi?».Margaret si scostò un poco e la

fissò. C’era uno sguardo strano neisuoi limpidi occhi azzurri, un intensosguardo di consapevolezza che fecerabbrividire Elena.Ma Margaret non disse una parola.

Si limitò a stringersi più forte allasorella, raggomitolandosi epoggiando la testa sulle sue spalle.«Ho fatto un brutto sogno. Hosognato che mi lasciavi. Che andavivia». L’ultima parola uscì come ungemito sommesso.«Oh, Margaret», disse Elena e

l’abbracciò, sentendo la caldasolidità del suo corpo. «Era solo unsogno. Io non vado da nessunaparte». Chiuse gli occhi e continuò astringere Margaret, pregando cheavesse davvero fatto solo un incubo eche non fosse scivolata tra le crepedell’incantesimo delle Guardiane.«Su, patatina, è ora di darsi una

mossa», disse dopo un po’ Elena,dandole dei colpetti affettuosi sulfianco. «Andiamo a fare unacolazione da regine, che ne dici? Tipreparo i pancake?».Margaret si alzò a sedere e guardò

fisso Elena, spalancando gli occhiazzurri. «Lo zio Robert sta facendo lecialde», disse. «Fa sempre le cialdela domenica mattina. Ricordi?».Lo zio Robert. Certo. Robert e zia

Judith si erano sposati dopo la mortedi Elena. «Ma è ovvio che stapreparando le cialde, coniglietta»,disse con tono leggero. «Mi ero solodimenticata per un attimo che fossedomenica».Ora che Margaret ne aveva parlato,

fece caso alle voci giù in cucina. Esentì un profumo delizioso proveniredai fornelli. Annusò. «È bacon?».

Margaret annuì. «Facciamo a chiarriva prima in cucina!».Elena rise e si stiracchiò. «Dammi

un minuto per svegliarmi del tutto. Civediamo di sotto». Potrò parlare dinuovo con zia Judith, pensò con unimprovviso impeto di gioia.Margaret balzò fuori dal letto.

Arrivata alla porta, si fermò e si giròa guardare sua sorella. «È sicuro chepoi scendi?», chiese esitante.«Sicuro», disse Elena, e Margaret

sorrise e si diresse verso ilcorridoio.D’un tratto, mentre la guardava,

Elena pensò di nuovo allameravigliosa seconda opportunità –terza, a dire il vero – che le era stataconcessa. Per qualche secondorimase lì ad assorbire l’essenza dellasua cara, amata casa, un posto in cuinon credeva di poter vivere dinuovo. Dal piano di sotto provenivala voce acuta di Margaret, e al suoallegro chiacchiericcio faceva dacontrappunto il profondo borbottiodelle risposte di Robert. Nonostantetutto, alla fine era davvero fortunataa essere tornata a casa. Che cosapoteva esserci di più meraviglioso?

I suoi occhi si riempirono dilacrime e li chiuse con forza. Chepensiero stupido. Che cosa potevaesserci di più meraviglioso? Se ilcorvo che si era posato sul suodavanzale fosse stato Damon, seavesse saputo che lui era là fuori, daqualche parte, pronto a sfoggiare ilsuo sorriso indolente o persino afarla arrabbiare di proposito, be’,quella sarebbe stata una cosa ancorpiù meravigliosa.Elena aprì gli occhi e sbatté più

volte le palpebre con forza, perscacciare le lacrime. Non poteva

avere una crisi di pianto. Non ora.Non quando stava per rivedere la suafamiglia. Si sarebbe mostratasorridente, li avrebbe abbracciati eavrebbe riso con loro. Più tardi sisarebbe lasciata andare e,abbandonandosi al dolore pungenteche aveva dentro, si sarebbeconcessa di piangere. In fondo avevatutto il tempo del mondo per piangereDamon, perché il dolore per la suaperdita non si sarebbe placato mai.

3

La splendente luce del sole brillavasulla strada lunga e sinuosa checonduceva al garage dietro lapensione. Nuvolette bianche siinseguivano nel limpido cieloazzurro. Era uno scenario cosìtranquillo che era quasi impossibile

credere che fosse mai successoqualcosa di brutto in quel posto.L’ultima volta che sono stato qui ,

pensò Stefan, infilando gli occhialida sole, era una landa desolata.Quando i kitsune avevano preso il

potere, Fell’s Church era diventatauna zona di guerra. Bambini contro igenitori, ragazzine che si mutilavano,la città mezza distrutta. Sangue sullestrade, dolore e sofferenza ovunque.La porta d’ingresso si aprì alle sue

spalle. Stefan si girò di scatto e videuscire la signora Flowers. Lavecchia signora indossava un lungo

vestito nero e i suoi occhi eranoadombrati da un cappello di pagliacon fiori artificiali. Aveva un’ariastanca e sciupata, ma il suo sorrisoera gentile, come sempre.«Stefan», disse. «Il mondo è ancora

qui, stamattina, ed è tutto comedovrebbe essere». La signora siavvicinò e alzò lo sguardo perscrutarlo in volto, con i suoi acutiocchi azzurri pieni di calore umano.Sembrava sul punto di chiederequalcosa, ma all’ultimo secondoparve cambiare idea e disse: «Hachiamato Meredith, e anche Matt. A

quanto pare, contro ogni pronostico,ne siamo usciti tutti illesi». Ebbe unistante di esitazione e poi gli strinseil braccio. «Quasi tutti».Stefan sentì una dolorosa stretta al

petto. Non voleva parlare di Damon.Non se la sentiva, non ancora.Invece, chinò la testa. «Le siamoimmensamente debitori, signoraFlowers», disse, scegliendo con curale parole. «Non avremmo mai potutosconfiggere i kitsune senza il suoaiuto. È stata lei a tenerli a bada e adifendere la città per tutto questotempo. Nessuno di noi potrà mai

dimenticarlo».Il sorriso della signora Flowers si

allargò e le spuntò un’insolitafossetta su una guancia. «Grazie,Stefan», rispose in tono altrettantoformale. «Tu e gli altri siete stati imigliori compagni di battaglia chepotessi avere». Sospirò e gli diedeuna pacca sulla spalla. «Ma temo distare invecchiando, alla fine. Avreivoglia di stare quasi tutto il giorno asonnecchiare su una poltrona ingiardino. Una volta combattere ilmale non era così spossante».Stefan le offrì il braccio per aiutarla

a scendere i gradini del portico e leigli sorrise di nuovo. «Di’ a Elenache farò quei biscottini da tè che lepiacciono tanto quando si sentiràpronta a lasciare la sua famiglia pervenirmi a trovare», disse, poi si giròverso il suo roseto.Elena e la sua famiglia. Stefan

immaginò la sua amata con i sericicapelli biondi che le ricadevanosulle spalle e la piccola Margaretseduta sulle ginocchia. Elena avevaavuto un’altra opportunità di farsiuna vera vita, e solo per questo eravalsa la pena di affrontare tutti quei

pericoli.Era colpa sua se Elena aveva perso

la sua prima vita. Lo sapeva con unacertezza feroce che lo divoravadentro. Lui aveva portato Katherine aFell’s Church e Katherine avevadistrutto Elena. Stavolta avrebbefatto di tutto per tenerla al sicuro.Dopo un ultimo sguardo alla signora

Flowers nel suo giardino, Stefanraddrizzò le spalle e si inoltrò nelbosco. Gli uccelli cantavano sulsentiero screziato di luce e d’ombraai margini della foresta, ma lui eradiretto nella parte più profonda del

bosco, dove crescevano le antichequerce e dove la vegetazione era piùfitta. Dove nessuno poteva vederlo,dove era libero di cacciare.Dopo parecchie miglia, si fermò in

una radura, si tolse gli occhiali dasole e si mise in ascolto. Da un puntopoco distante venne il lieve crepitiodi un animaletto che si muoveva sottoun cespuglio. Stefan si concentrò ecercò un contatto telepatico con lacreatura. Era un coniglio, con ilcuore che batteva svelto, e anche luiera alla ricerca del pasto mattutino.Si concentrò sulla bestiola. Vieni da

me, pensò in tono gentile e suadente.Percepì l’incertezza del coniglio: perun attimo l’animale si irrigidì; poi,con lenti saltelli, gli occhi vitrei, uscìdal cespuglio.Il coniglio avanzò docile verso di

lui e, dopo un altro piccoloincoraggiamento telepatico, si fermòai suoi piedi. Stefan lo tirò su e lovoltò per esporre la gola tenera,dove palpitava l’arteria principale.Gli rivolse delle scuse silenziose e siabbandonò alla fame, facendoscattare le zanne. Dilaniò la gola delconiglio, bevendone il sangue

lentamente, cercando di nonrabbrividire per il sapore.Quando Fell’s Church era sotto

l’attacco dei kitsune, Elena, Bonnie,Meredith e Matt avevano insistitoaffinché si nutrisse di loro, sapendoche il sangue umano gli avrebbe datotutte le energie necessarie acombattere. Bere il loro sangue erastata un’esperienza quasitrascendentale: il sangue di Meredithera ardente e deciso; quello di Mattpuro e salubre; il sangue di Bonnieera dolce come un dessert e quello diElena inebriante e rinvigorente.

Nonostante avesse in bocca ilsaporaccio del coniglio, gliformicolarono i canini al ricordo el’appetito si risvegliò.Non avrebbe più bevuto sangue

umano, si disse deciso. Non potevacontinuare a oltrepassare quellalinea, anche se loro eranoconsenzienti. Solo se l’incolumità deisuoi amici fosse stata in pericolo,l’avrebbe fatto di nuovo. Passare dalsangue umano a quello animalesarebbe stato doloroso; ricordavaquello che aveva sofferto quandoaveva smesso di bere sangue umano

per la prima volta: il mal di denti, lanausea, l’irritabilità, la sensazione diessere affamato anche a stomacopieno. Ma era l’unica opzionepossibile.Quando il cuore del coniglio smise

completamente di battere, Stefanritrasse i denti con delicatezza.Tenne in mano il corpo per qualchesecondo, poi lo posò per terra e loricoprì di foglie. Grazie, piccolino,pensò. Aveva ancora fame, ma perquella mattina aveva già preso unavita.Damon l’avrebbe deriso. Gli

sembrava quasi di sentirlo: “Il nobileStefan”, avrebbe detto in tonobeffardo, socchiudendo gli occhi neriin un’espressione di sprezzanteaffetto. “Mentre combatti con la tuacoscienza, ti perdi gli aspetti miglioridell’essere un vampiro, stupido chenon sei altro”.Come evocato dai suoi pensieri, un

corvo gracchiò fra gli alberi. Per unattimo Stefan diede per scontato chesarebbe piombato a terra e si sarebbetrasformato in suo fratello. Ma nonsuccesse. Stefan fece una mezzarisata di fronte alla propria stupidità

e si sorprese quando gli uscì quasicome un lamento.Damon non sarebbe mai tornato.

Suo fratello era morto. C’erano statisecoli di rancore fra loro, e avevanoiniziato solo da poco a restaurare unrapporto, a unire le forze percombattere il male che Fell’s Churchcontinuava ad attirare e per difendereElena da esso. Ma Damon era morto,ed era rimasto solo lui a proteggereElena e i suoi amici.Il virus latente della paura si

dimenò nel suo petto. C’erano tantecose che potevano andare male. Gli

esseri umani erano troppovulnerabili, ed Elena, ora che nonaveva più i suoi poteri, eravulnerabile come tutti gli altri.Quel pensiero lo fece vacillare, e si

mise subito a correre verso casa dilei, dall’altra parte del bosco. Elenaera sotto la sua responsabilità ora. Enon avrebbe permesso che lefacessero di nuovo del male.

Il corridoio del piano superiore era

quasi identico a come Elena loricordava: tavole di legno scuroricoperte da un tappeto orientale, un

paio di tavolini con soprammobili efotografie, un divano accanto allagrande finestra panoramica cheaffacciava sul vialetto.Ma mentre scendeva le scale si

fermò, scorgendo qualcosa di nuovo.Tra le cornici d’argento, su uno deitavolini, c’era una foto che ritraevalei, Meredith e Bonnie, con le faccevicine e i sorrisi a trentadue denti.Tutte e tre, in tocco e toga,brandivano con orgoglio i diplomi.Elena prese la foto e se la strinse alpetto. Aveva finito il liceo.Guardare quell’altra Elena le dava

una strana sensazione, ma nonriusciva a smettere di pensare a lei,con i suoi capelli biondi raccolti inun elegante chignon, la pelle vellutatarossa di eccitazione, che sorridevacon le sue migliori amiche e nonricordava niente di quello che erasuccesso. Aveva un’aria cosìspensierata, l’altra Elena, sembravapiena di gioia, speranza e aspettativeper il futuro. L’altra Elena nonsapeva nulla degli orrori dellaDimensione Oscura o delladevastazione provocata dai kitsune.L’altra Elena era felice.

Dando un rapido sguardo alle foto,Elena notò dettagli che prima leerano sfuggiti. A quanto pareva,l’altra Elena era stata eletta reginettadel ballo di fine anno, anche se leiricordava che era stata Caroline avincere la corona dopo la sua morte.In quella foto, comunque, la reginaElena splendeva nel suo abito di setalilla, circondata dalla sua corte:Bonnie, adorabile con un vaporosovestito di taffetà blu acceso;Meredith, raffinata, in nero; Carolinedai capelli ramati, con un’aria afflittae un succinto vestito argentato che

lasciava ben pocoall’immaginazione; e Sue Carson,graziosa nel suo abito rosa tenue, chesorrideva all’obbiettivo, viva comenon mai. Le lacrime le pizzicarono dinuovo gli occhi. L’avevano salvata.Elena, Meredith, Bonnie, Matt eStefan avevano salvato Sue Carson.Poi il suo sguardo si posò su

un’altra fotografia, che ritraeva ziaJudith con un lungo abito da sposa, dipizzo, e Robert in completo elegante,fiero al suo fianco. Con loro c’eral’altra Elena, ovviamente, ladamigella d’onore, con un vestito

verde foglia e un bouquet di rose inmano. Accanto a lei c’era Margaret,con i suoi luminosi capelli biondi,che teneva la testa china per latimidezza e con una mano stringeva ilvestito della sorella. Indossava unabitino a fiori bianchi, con la gonnaampia, stretto in vita da una largafusciacca verde, e nell’altra manoteneva una cesta di rose.Il braccio di Elena tremò un po’

quando posò la foto. Sembrava chetutti si fossero divertiti. Peccato chelei non fosse davvero lì con loro.Dal piano di sotto, sentì il tintinnio

di un bicchiere contro il tavolo e larisata di zia Judith. Accantonandotutte le stranezze di un passato nuovoe ancora da scoprire, Elena corse giùper le scale, pronta ad accogliere ilfuturo.In sala da pranzo, zia Judith versava

del succo d’arancia da una broccaazzurra, mentre Robert metteval’impasto nella crepiera con uncucchiaio. Margaret, in ginocchiodietro la sua sedia, era intenta aintrecciare una profondaconversazione fra il suo conigliettodi peluche e una tigre giocattolo.

Elena sentì una grande ondata digioia gonfiarle il petto, afferrò ziaJudith, l’abbracciò stretta e la fecegirare. Il succo d’arancia, formandoun ampio arco, si riversò sulpavimento.«Elena!», la sgridò la zia, mezzo

ridendo. «Ma che ti prende?»«Niente! È solo che ti voglio bene,

zia Judith», disse Elena,abbracciandola più forte. «Ti vogliobene davvero».«Oh», rispose la zia, con uno

sguardo commosso. «Oh, Elena,anch’io ti voglio bene».

«E che bella giornata», disse Elena,staccandosi da lei con una piroetta.«Una splendida giornata per esserevivi». Depose un bacio sullatestolina bionda di Margaret. La ziaJudith prese i tovaglioli.Robert si schiarì la gola.

«Dobbiamo dedurre che ci haiperdonati per averti proibito diuscire lo scorso fine settimana?».Oh. Elena cercò di immaginare una

risposta, ma dopo aver vissuto mesiper conto suo, il concetto di esseremessa in castigo da zia Judith e zioRobert le sembrava ridicolo.

Tuttavia, sgranò gli occhi e assunseun’appropriata espressione contrita.«Sono davvero dispiaciuta. Nonaccadrà più». Qualunque cosa fosse.Robert rilassò le spalle. «Chiuso il

discorso, allora», disse con evidentesollievo. Le fece scivolare nel piattouna cialda bollente e le porse losciroppo. «Qualcosa di divertente inprogramma per oggi?»«Stefan mi viene a prendere dopo

colazione», disse Elena, pois’interruppe. L’ultima volta che neavevano discusso, dopo il disastrosoconcorso di bellezza del Giorno dei

Fondatori, zia Judith e Robert sierano pronunciati decisamente asfavore di Stefan. Come la maggiorparte degli abitanti di Fell’s Church,sospettavano che fosse responsabiledella morte del signor Tanner.Ma pareva che non avessero

problemi con Stefan in quel mondo,perché Robert si limitò ad annuire.Elena ricordò che se le Guardianeavevano fatto ciò che lei avevachiesto, il signor Tanner era vivo,quindi non potevano sospettare cheStefan l’avesse ucciso… Oh, eratutto così confuso!

Proseguì: «Penso che andremo afare un giro in paese, forse poi ciraggiungeranno anche Meredith e glialtri». Non vedeva l’ora di giraretranquillamente per la sua città, comeai vecchi tempi, e di stare con Stefancome una coppia normale per unavolta, senza dover combatterequalche terribile creatura maligna.La zia Judith sorrise. «E così te ne

vai a zonzo pure oggi, eh? Sonofelice che tu ti stia godendo l’estateprima di partire per il college, Elena.Hai dato davvero il massimoquest’anno».

«Umm», commentò in tono vagoElena, tagliuzzando la sua cialda.Sperava che le Guardiane

l’avessero iscritta a Dalcrest, unpiccolo college a due ore di distanza,come aveva richiesto.«Su, alzati, Meggie», disse Robert,

imburrando la cialda della bambina.Margaret si arrampicò sulla sedia edElena sorrise all’evidente affetto sulviso di Robert. Si capiva subito cheMargaret era la sua piccolina.Cogliendo lo sguardo di Elena,

Margaret ringhiò, posò la tigregiocattolo sul tavolo e la spinse

verso di lei. Elena trasalì. Laragazzina ringhiò più forte,mostrando i denti, e per un attimo ilsuo viso si trasformò in qualcosa diselvaggio.«Vuole mangiarti con i suoi grandi

denti», disse Margaret, con la voceinfantile arrochita. «Ora viene aprenderti».«Margaret!», la sgridò zia Judith,

mentre Elena rabbrividiva.Il rapido sguardo selvaggio della

bambina le ricordò i kitsune e leragazze che avevano portato allafollia. Ma poi la sorellina le rivolse

un gran sorriso e strofinò il musodella tigre sul suo braccio.Suonò il campanello. Elena si ficcò

in bocca l’ultimo pezzetto di cialda.«È Stefan», bofonchiò a bocca piena.«Ci vediamo dopo». Prima di aprirela porta, si pulì le labbra e sicontrollò i capelli allo specchio.Ed ecco Stefan, affascinante come

sempre. Gli eleganti lineamentiromani del suo volto, gli zigomi alti,il naso classico, dritto, e la curvasensuale della bocca. Teneva conscioltezza gli occhiali da sole inmano, e gli occhi verde foglia

incrociarono i suoi con uno sguardodi puro amore. Sul volto di Elenasbocciò un ampio, involontario,sorriso.Oh, Stefan, gli disse con il

pensiero, io ti amo, ti amo. Èmeraviglioso essere a casa. Nonposso smettere di sentire lamancanza di Damon e desiderare diaver fatto qualcosa di diverso,qualcosa che potesse salvarlo… Enon voglio smettere di pensare a lui,ma allo stesso tempo mi sento felice,non posso farci nulla.Dovette fermarsi. Si sentì come se

una brusca frenata l’avesse scagliatacontro la cintura di sicurezza.Benché gli stesse mandando parole

accompagnate da un’immensa ondatadi affetto e amore, da parte sua non cifu alcuna risposta, nessuna reazioneemotiva. Sembrava che ci fosse unmuro invisibile fra lei e Stefan, unmuro che impediva ai suoi pensieridi raggiungerlo.«Elena?», disse Stefan ad alta voce,

con un sorriso esitante.Oh. Non se n’era accorta. Non ci

aveva nemmeno pensato.Quando le Guardiane le avevano

sottratto i Poteri, dovevano averlipresi tutti. Compresa la connessionetelepatica con Stefan. Per un po’ erarimasta aperta… Era sicura di averlosentito un’altra volta, di averraggiunto la sua mente, dopo averperso il legame telepatico conBonnie. Ma ora si era completamentechiusa.Chinandosi in avanti, gli afferrò la

maglietta, lo tirò a sé e lo baciòquasi con furore.Oh, grazie al cielo, pensò, quando

provò la sensazione familiare econfortante delle loro menti che si

intrecciavano. Le labbra di Stefan,sotto le sue, si curvarono in sorriso.Credevo di averti perso, pensò, e

che non sarei più riuscita a parlarecon te in questo modo. Ma quelloera diverso dal legame telepatico cheavevano condiviso, perché Elenasentiva che non stava toccando Stefancon le parole ma con immagini edemozioni. Da lui ricevette un flussodi inesauribile amore, un flussocostante, senza parole.Qualcuno, dietro di loro, si schiarì

rumorosamente la gola. Elena lasciòandare Stefan con riluttanza e

girandosi vide la zia Judith che liosservava.Stefan si ricompose, arrossendo

d’imbarazzo, con un lampo diapprensione negli occhi. Elenasorrise. Trovava adorabile che luiavesse passato l’inferno –letteralmente – ma avesse ancorapaura di far adirare sua zia. Gli miseuna mano sul braccio, cercando dimandargli il messaggio che zia Judithora acconsentiva alla loro relazione,ma il cenno di saluto e il caldosorriso di sua zia parlarono per lei.«Ciao, Stefan. Potresti tornare per

le sei, Elena?», chiese la zia.«Robert ha una riunione stasera,quindi pensavo che tu, Margaret e iopotremmo uscire insieme per unaserata di sole ragazze». La guardavasperanzosa ma titubante, comequalcuno che bussa a una portasapendo che potrebbe esserglisbattuta in faccia. Elena avvertì unnodo allo stomaco per il senso dicolpa. Non avrò evitato zia Judithquest’estate?Poteva immaginarlo: giacché non

era morta, l’altra Elena dovevaessere ansiosa di andare avanti con

la sua vita e irritata nei confrontidella famiglia che voleva tenerla incasa e al sicuro. Ma lei aveva le ideepiù chiare: sapeva quanto fossefortunata ad avere zia Judith eRobert. E a quanto pareva, lesarebbe toccato impegnarsi un belpo’ per riconciliarsi con la suafamiglia.«Sembra divertente!», disse allegra,

stampandosi un sorriso radioso sulvolto. «Posso invitare Bonnie eMeredith? Adorano le serate per soleragazze». Pensò che sarebbe statobello avere attorno delle amiche che

condividessero la sua totaleignoranza su come fossero andate lecose in quella versione di Fell’sChurch.«Fantastico», disse zia Judith, con

un’espressione più felice e rilassata.«Divertitevi, ragazzi».Appena Elena fece per uscire,

Margaret corse fuori dalla cucina.«Elena!», disse, stringendole forte lebraccia intorno alla vita. Elena sichinò e la baciò sulla testa.«Ci vediamo dopo, coniglietta»,

disse.Margaret fece segno a Elena e

Stefan di chinarsi, poi mise le labbraaccanto alle loro orecchie. «Nondimenticate di tornare stavolta»,bisbigliò prima di scappare di nuovoin casa.Per un attimo Elena rimase lì in

ginocchio, raggelata. Stefan le strinsela mano, tirandola su, e anche senzala loro connessione telepatica, leicapì che stavano pensando la stessacosa.Mentre si allontanavano da casa,

Stefan la prese per le spalle.Fissandola con i suoi occhi verdi, sichinò per sfiorarle le labbra con un

bacio, leggero come una carezza.«Margaret è una bambina piccola»,

disse con fermezza. «Forse non vuoleche sua sorella maggiore parta, tuttoqui. Forse è turbata perché stai perandare al college».«Forse», mormorò Elena mentre

Stefan la abbracciava. Inalò il suoprofumo fresco, silvestre, e sentì cheil proprio respiro rallentava e che ilnodo allo stomaco si scioglieva.«E se non è così», disse lei

lentamente, «troveremo unasoluzione. Come sempre. Ma oravoglio vedere quello che ci hanno

dato le Guardiane».

4

Furono i piccoli cambiamenti chesorpresero di più Elena. Si eraaspettata che le Guardiane facesserotornare Fell’s Church com’era prima.Ed era ciò che avevano fatto.L’ultima volta che aveva visto la

città, probabilmente un quarto degli

edifici era ridotto in macerie. Eranostati bruciati e bombardati, alcunicompletamente distrutti, altri mezzidiroccati, con il nastro della poliziache pendeva miseramente davanti aquello che restava della portad’ingresso. Sopra e intorno alle casein rovina, erano cresciuti alberi ecespugli, espandendosi in formestrane, e i rampicanti coprivano lemacerie, dando l’aspetto di unagiungla primordiale alle strade dellapiccola città.Ora Fell’s Church era quasi come

Elena se la ricordava. Un luogo da

cartolina: la piccola città del Sud concase dagli spaziosi porticati,circondate da giardini ben curati egrandi alberi secolari. Il solesplendente e l’aria caldapromettevano la tipica giornataestiva della Virginia: umida e afosa.Da pochi isolati di distanza veniva

il frastuono attutito di una falciatrice,e l’odore di erba tagliata riempival’aria. Nella casa all’angolo, i figlidei signori Kinkade avevano portatofuori il loro set da badminton, ecolpivano il volàno facendolosfrecciare avanti e indietro; la più

piccola salutò Stefan ed Elenavedendoli passare. Ogni cosariportava alla mente di Elena lelunghe giornate di luglio, così comele aveva vissute tutte le estati dellasua vita.Non aveva chiesto di riavere la sua

vita, comunque. Le sue parole esatteerano state: “Voglio una nuova vita,e voglio lasciarmi alle spalle quellavecchia”. Voleva che Fell’s Churchfosse come sarebbe stata ora, mesidopo, se il male non fosse arrivato incittà, all’inizio del suo ultimo anno diliceo.

Ma non aveva pensato a come lesarebbero parsi stonati tutti i piccolicambiamenti. La villetta in stilecoloniale a metà dell’isolatosuccessivo era stata riverniciata conuna singolare sfumatura rosa, e nelprato antistante, la quercia secolareera stata abbattuta e sostituita con unarbusto fiorito.«Uh». Elena si girò verso Stefan

quando passarono davanti alla villa.«La signora McCloskey deve esseremorta o forse si è trasferita in unacasa di cura». Stefan la guardò,perplesso. «Non avrebbe mai

permesso che pitturassero casa sua diquel colore. Devono essere stati inuovi inquilini», spiegò,rabbrividendo leggermente.«Cosa c’è?», chiese subito Stefan,

sempre attento al suo stato d’animo.«Niente, è solo…». Elena abbozzò

un sorriso, portandosi dietrol’orecchio una morbida ciocca dicapelli. «Mi dava i biscotti quandoero piccola. È strano pensare chepotrebbe essere morta per causenaturali mentre eravamo via».Stefan annuì, e continuarono a

camminare in silenzio verso il

piccolo centro di Fell’s Church.Elena stava per rilevare che il suocaffè preferito era stato rimpiazzatoda una farmacia, quando afferrò ilbraccio di Stefan. «Stefan. Guarda».Isobel Saitou e Jim Bryce venivano

verso di loro.«Isobel! Jim!», gridò allegramente

Elena, e corse loro incontro. MaIsobel si irrigidì quando laabbracciò, e Jim la fissava con unosguardo interrogativo.«Ehm, ciao», disse Isobel esitante.Elena fece subito un passo indietro.

Ops. In quella vita, aveva mai

conosciuto Isobel? Andavano ascuola insieme, certo. Jim era uscitoun paio di volte con Meredith primadi cominciare a vedersi con Isobel,anche se Elena non l’avevaconosciuto bene. Ma c’era lapossibilità che non avesse mairivolto la parola alla tranquilla,studiosa Isobel Saitou prima che ikitsune arrivassero in città.Elena rifletteva alacremente,

cercando di capire come uscire daquella situazione senza sembrarepazza. Ma la calda euforia checontinuava a crescerle in petto le

impediva di prendere troppo sulserio il problema. Isobel stava bene.Aveva sofferto davvero tanto peropera dei kitsune: si era procuratadelle ferite orribili e, tagliandosi lalingua, aveva riportato un danno cosìgrave che, anche dopo essere guaritadalla possessione, la sua pronunciaera difettosa, quasi incomprensibile.Il peggio era che la dea kitsune avevavissuto a casa sua fin dall’inizio,fingendo di essere sua nonna.E il povero Jim… Contagiato da

Isobel, Jim si era sfregiato in modoorrendo, aveva mangiato la propria

carne. Eppure eccolo lì, bello espensierato come sempre, anche seun po’ confuso.Stefan aveva un largo sorriso sulle

labbra ed Elena non riusciva asmettere di ridacchiare. «Scusate,ragazzi, sono soltanto… felice divedere i visi familiari della miavecchia scuola. Mi sa che honostalgia della cara Robert E. LeeHigh School, sapete? Chi l’avrebbemai detto?».Era una scusa piuttosto debole, ma

Isobel e Jim sorrisero e annuirono.Jim si schiarì la gola, imbarazzato, e

disse: «Sì, è stato un anno positivo,non trovate?».Elena rise di nuovo. Non riuscì a

trattenersi. Un anno positivo.Chiacchierarono qualche minuto

prima che Elena chiedesse con ariaindifferente: «Come sta tua nonna,Isobel?».Isobel la guardò perplessa. «Mia

nonna?», disse. «Devi avermiscambiata per qualcun’altra.Entrambe le mie nonne sono morte daanni».«Oh, mi sono sbagliata». Elena li

salutò e riuscì a trattenersi finché

Isobel e Jim non furono più a portatad’orecchie. Poi prese Stefan per lebraccia, l’attirò a sé e gli diede unbacio con lo schiocco, assaporandola gioia e la sensazione di vittoriache si trasmettevano l’un l’altro.«Ce l’abbiamo fatta», disse alla fine

del lungo bacio. «Stanno bene! E nonsolo loro». Tornando seria, scrutònei suoi occhi verdi, così tristi egentili. «Quello che abbiamo fatto èdavvero importante e meraviglioso,vero?»«Sì, è così», concordò Stefan, ma

lei non poté fare a meno di notare la

sfumatura aspra nella sua voce.Proseguirono mano nella mano e,

senza averlo concordato, si diresseroalla periferia della città,attraversando il Wickery Bridge erisalendo la collina. Entrarono nelcimitero, oltrepassarono la chiesadiroccata in cui si era nascostaKatherine e ridiscesero nella piccolavalle sottostante, che ospitava letombe più recenti.Elena e Stefan si sedettero sull’erba

ben curata davanti alla grande lapidedi marmo con il nome “Gilbert”inciso.

«Ciao, mamma. Ciao, papà»,mormorò Elena. «Mi dispiace che siapassato tanto tempo».Nella sua vecchia vita si recava

spesso a far visita alle tombe deigenitori, solo per parlare con loro.Aveva la sensazione che fossero ingrado di sentirla in qualche modo,che vegliassero su di lei da lassù,qualunque fosse il piano superiore incui erano finiti, e volessero il suobene. L’aveva sempre fatta sentiremeglio raccontare loro i suoiproblemi, e prima che la vitadiventasse così complicata, aveva

sempre confidato tutto.Tese una manoe sfiorò con dolcezza i nomi e le dateincise sulla lapide. Poi chinò il capo.«Sono morti per colpa mia».Stefan emise sottovoce un verso di

disapprovazione, e lei si girò aguardarlo. «È così», disse, con gliocchi che le bruciavano. «È quelloche hanno detto le Guardiane».Stefan sospirò e la baciò sulla

fronte. «Le Guardiane volevanoucciderti», disse. «Per renderti unadi loro. E invece, per sbaglio, hannoucciso i tuoi genitori. Non seicolpevole più di quanto lo saresti se

ti avessero sparato e mancato».«Ma io ho distratto mio padre in un

momento critico, provocandol’incidente», disse Elena, curvandole spalle.«Così dicono le Guardiane», ribatté

Stefan. «Ma loro non voglionosembrare colpevoli. Detestanoammettere i propri errori. Resta ilfatto che l’incidente che ha ucciso ituoi genitori non sarebbe avvenuto sele Guardiane non fossero state lì».Elena abbassò gli occhi per

nascondere le lacrime. Sapeva checiò che aveva detto Stefan era vero,

ma non riusciva a fermare ilritornello “colpa mia, colpa mia,colpa mia” nella sua testa.Alla sua sinistra crescevano delle

violette selvatiche, le raccolse,insieme a un mazzetto di bottond’oro. Stefan si unì a lei, porgendoleun ramoscello di aquilegia con i fiorigialli a campanella perché loaggiungesse al suo piccolo mazzo difiori selvatici.«Damon non si è mai fidato delle

Guardiane», disse lui con vocepacata. «Be’, non aveva tutti i torti…Loro non hanno una gran

considerazione dei vampiri. Ma oltrea questo…». Allungò la mano percogliere un alto stelo di carotaselvatica che cresceva accanto a unalapide vicina. «Damon aveva unsesto senso molto sviluppato per lebugie, sia quelle che le personeraccontano a se stesse che quelledestinate agli altri. Quando eravamopiccoli, avevamo un tutore, un prete,pensa un po’. A me piaceva, miopadre aveva fiducia in lui, ma Damonlo disprezzava. Quando l’uomoscappò con l’oro di mio padre,insieme a una giovane donna del

vicinato, Damon fu l’unico a nonessere sorpreso». Stefan sorrise aElena. «Disse che gli occhi del preteerano falsi e che parlava in modotroppo mellifluo». Stefan scrollò lespalle. «Mio padre e io non cen’eravamo mai accorti. Ma Damonsì».Elena sorrise timidamente. «Sapeva

sempre quando non ero stata del tuttosincera con lui». Le balenò in menteun ricordo improvviso: Damon che lascrutava con i suoi profondi occhineri, le pupille dilatate come quelledei gatti, la testa che si inclinava

quando le loro labbra si toccavano.Si girò per sfuggire ai caldi occhiverdi di Stefan, così diversi da quelliscuri di suo fratello, e avvitò intornoagli altri fiori lo stelo robusto dellacarota selvatica. Dopo aver legato ilmazzetto, lo posò sulla tomba deisuoi genitori.«Mi manca», disse Stefan con voce

sommessa. «È vero, una volta avreipensato… Una volta la sua mortesarebbe stata un sollievo. Ma sonocosì felice che ci siamo riavvicinati,che siamo tornati fratelli, prima chemorisse». Mise con dolcezza la mano

sotto il mento di Elena e le fecesollevare la testa, per poterlaguardare di nuovo negli occhi. «Soche lo amavi, Elena. Va bene così.Non devi fingere».Lei emise un lieve sussulto di

dolore. Le sembrava di avere unbuco nero dentro. Riusciva a ridere ea meravigliarsi della città rimessa anuovo; sentiva di amare la suafamiglia; ma quel dolore sordo, quelterribile senso di perdita non se neandava mai.Alla fine, arrendendosi alle lacrime,

cadde fra le braccia di Stefan.

«Oh, amore mio», disse lui, convoce carezzevole, e pianseroinsieme, traendo conforto l’uno dalcalore dell’altra.

A lungo era caduta finissima cenere.

Si era posata, alla fine, ricoprendo lapiccola luna del Mondo Sotterraneodi uno spesso, vischioso strato dipolvere. Qui e là, si formavano pozzedi liquido opalescente, che tingevanol’oscurità carbonizzata con i coloridell’arcobaleno, simili a macchie dipetrolio sul mare notturno.Nulla si muoveva. Ora che il

Grande Albero si era disintegrato,nulla di vivo era rimasto in quelposto.In profondità, sotto la superficie

della luna devastata, c’era un corpo.Il sangue avvelenato aveva smesso discorrere e il corpo giacevaimmobile, senza più sentire névedere nulla. Ma le gocce del fluidoopalescente impregnavano la suapelle, lo nutrivano, producendo unlento, costante battito di vita magica.Di tanto in tanto, dentro di lui, si

destava un barlume di coscienza.Aveva dimenticato chi era e come

era morto. Ma c’era una voce daqualche parte, dentro, una voce bennota, che gli diceva: “Chiudi gliocchi, vai adesso, vai”. Era una voceconfortante, e il suo ultimo barlumedi coscienza aveva resistito unminuto più a lungo, solo perascoltarla. Non riusciva a ricordaredi chi fosse quella voce, anche seaveva qualcosa che gli rievocava laluce del sole, l’oro e i lapislazzuli.“Vai”. Stava scivolando via,

lontano, l’ultimo barlume siaffievoliva, ma si sentiva bene. Sisentiva al caldo, comodo, ed era

pronto ad andarsene. La vocel’avrebbe accompagnato fino a… aqualunque fosse il luogo in cui eradiretto.Mentre quel barlume di coscienza

era sul punto di brillare per l’ultimavolta, un’altra voce, una voce piùdura, autoritaria, la voce di unapersona abituata a dare ordini chevenivano eseguiti, parlò dentro di lui.Lei ha bisogno di te. È in pericolo.Non poteva andarsene. Non ancora.

La voce lo strattonavadolorosamente, lo teneva in vita.Con una forte scossa, lo scenario

cambiò. Si sentì come se l’avesserostrappato da un luogo tranquillo eaccogliente, e all’improvviso stavacongelando. Gli faceva maledappertutto.Sotto la coltre di cenere, le sue dita

si contrassero.

5

«Sei emozionata per l’arrivo diAlaric, domani?», chiese Matt.«Viene anche la sua amicaricercatrice, Celia, giusto?».Meredith lo colpì con un calcio in

pieno petto.«Ouch!». Matt indietreggiò,

barcollando: il colpo l’avevalasciato senza fiato, nonostanteavesse indosso un giubbottoprotettivo. Meredith rincarò con uncalcio rotante sul fianco, e Mattcadde in ginocchio, a stento capacedi alzare le mani e parare un pugno inpieno viso.«Ohi!», gemette. «Meredith, time

out, okay?».Meredith cadde nell’aggraziata

posizione della tigre, con le gambe asostenere tutto il peso del corpo,mentre i piedi riposavano leggerisulle punte. Il suo volto era calmo,

gli occhi freddi e vigili. Sembravapronta a saltare al minimomovimento brusco accennato daMatt.Quando si era offerto di allenarsi

insieme, per aiutarla a mantenere almassimo livello le sue abilità dicacciatrice, Matt si era chiestoperché gli avesse dato un elmetto, unparadenti, un paio di guanti, deiparastinchi e un giubbotto, mentre leiindossava solo una sottile tuta nera.Ora lo sapeva. Non era riuscito

nemmeno ad avvicinarsi abbastanzada colpirla, mentre lei l’aveva preso

a pugni senza pietà. Matt infilòdelicatamente una mano sotto ilgiubbotto e si massaggiò il fiancodolorante. Sperava di non essersirotto una costola.«Pronto a ricominciare?», chiese

Meredith, sollevando le sopraccigliacon aria di sfida.«No, ti prego, Meredith», rispose

Matt, alzando le mani in segno diresa. «Facciamo una pausa. Mi sentocome se mi stessi prendendo a pugnida ore».Meredith si diresse verso il piccolo

frigorifero nell’angolo della

tavernetta dei suoi genitori e lanciò aMatt una bottiglia d’acqua, poi sibuttò a sedere accanto a lui, sultappetino. «Scusa, mi sa che hoesagerato. Non mi ero mai allenatacon un amico».Guardandosi attorno mentre

prendeva una lunga, fresca sorsata,Matt scosse la testa. «Non capiscocome hai fatto a tenere segreto questoposto per tanto tempo». Ilseminterrato era stato trasformato inuna vera e propria palestra: fissatialle pareti c’erano coltelli e stelle dalancio, spade e bastoni di vario tipo;

un sacco da pugile era appeso in unangolo, e in un altro era appoggiatoun manichino imbottito. Sulpavimento erano allineate stuoie etappetini, e c’era una parete aspecchio. A metà della pareteopposta era affisso il bastone dacombattimento: un’arma speciale percontrastare le forze soprannaturaliche era stata tramandata pergenerazioni nella famiglia diMeredith. Un’arma letale maelegante: l’impugnatura tempestata digemme, le punte chiodate con alcuniaghi d’argento, di legno e di frassino

bianco e altri impregnati di veleno.Matt la squadrò con diffidenza.«Be’», disse Meredith, distogliendo

lo sguardo. «I Suarez sono semprestati bravi a mantenere i segreti».Cominciò a eseguire una forma deltaekwondo: posizione posteriore,doppia parata con pugni chiusi,posizione frontale sinistra, pugnomedio. Nella sua tuta si muoveva conla grazia di una gatta nera eflessuosa.Dopo un po’, Matt mise il tappo alla

bottiglia, si alzò in piedi e cominciòa rispecchiare i suoi movimenti.

Doppio calcio frontale sinistro,parata interna sinistra, doppio pugno.Sapeva di essere sempre indietro dimezza battuta e di apparire goffo eimpacciato accanto a lei, ma corrugòla fronte e si concentrò. Era semprestato un buon atleta. Poteva riuscireanche in quello.«Inoltre, non è che portassi quaggiù

i miei ragazzi», aggiunse Meredithcon un mezzo sorriso, dopo unasequenza di mosse. «Non era cosìdifficile da nascondere». OsservòMatt nello specchio. «No, para icolpi bassi con la mano sinistra e

quelli alti con la destra, così». Glimostrò di nuovo la sequenza e luiimitò i suoi movimenti.«Sì, vabbe’», disse, concentrato

sulle posizioni più che sulle proprieparole. «Ma avresti potuto dirlo anoi. Siamo i tuoi migliori amici».Portò avanti il piede sinistro e imitòil colpo di gomito all’indietro diMeredith. «Perlomeno, avresti potutodircelo dopo tutta la storia con Klause Katherine», si corresse. «Se cel’avessi detto prima, ti avremmopresa per pazza».Meredith si strinse nelle spalle e

abbassò le mani, e Matt la imitòprima di accorgersi che quei gestinon facevano parte di una forma deltaekwondo.Rimasero così, fianco a fianco,

l’uno a fissare il riflesso dell’altranello specchio. Il volto impassibileed elegante di Meredith apparivapallido ed emaciato. «Mi hannoinsegnato a nascondere il mioretaggio di cacciatrice come unsegreto intimo, oscuro», disse.«Confidarlo a qualcuno non eraun’opzione che potessi prendere inconsiderazione. Nemmeno Alaric ne

sapeva nulla».Matt distolse lo sguardo dal riflesso

di Meredith e fissò a bocca aperta lasua figura reale. Alaric e Mereditherano fidanzati, in pratica. Matt nonaveva mai avuto una relazione cosìseria – l’unica ragazza per cui avevaprovato qualcosa di simile all’amoreera Elena, e ovviamente non avevafunzionato – ma in qualche modoaveva capito che, quando dai il tuocuore a qualcuno, devi dirgli tutto.«Ma Alaric non è un ricercatore del

paranormale? Non pensi chepotrebbe capire?».

Meredith si strinse di nuovo nellespalle, aggrottando la fronte. «Sì,forse», disse, con un tono esasperatoe sprezzante, «ma io non voglioessere il suo oggetto di studio, più diquanto non voglia che lui dia di mattoscoprendo ciò che sono. Però ora chetu e gli altri lo sapete dovrò dirloanche a lui».«Uhm». Matt si massaggiò di nuovo

il fianco dolorante. «È per questo cheeri così aggressiva prima, quando miprendevi a pugni? Avevi paura didirglielo?».Meredith incrociò il suo sguardo. I

lineamenti del viso erano ancora tesi,ma nei suoi occhi si accese un lampodi malizia. «Aggressiva?», chiesedolcemente, ripiegando sullaposizione della tigre. Matt sentì cheun sorriso, suo malgrado, gli sidipingeva sulle labbra. «Non haiancora visto niente».

Elena esaminò il ristorante scelto da

zia Judith con una sorta di orroredivertito. Macchine per videogiochigareggiavano a suon di bip peraccaparrarsi l’attenzione dei clienti,proponendo antiquati giochi arcade

tipo Whac-A-Mole e Skee-Ball. Suogni tavolo ballonzolavano bouquetdi palloncini colorati e dai variangoli, man mano che cameriericanterini consegnavano le pizze, silevava una cacofonia di canzoni.Quelli che sembravano un centinaiodi bambini scorrazzavano liberi perla sala, strillando e ridendo.Stefan l’aveva accompagnata al

ristorante, ma, dopo aver osservatocon preoccupazione le paretifluorescenti del locale, avevadeclinato l’invito a entrare.«Oh, sarei un intruso in una serata

per sole ragazze», aveva detto conaria distratta e poi si era dileguatocosì in fretta che Elena avevasospettato avesse usato la velocità davampiro.«Traditore», aveva mormorato,

prima di aprire con diffidenza laporta rosa shocking. Si sentiva piùforte e felice dopo aver passato unpo’ di tempo con lui, al cimitero, male sarebbe piaciuto ricevere un po’di supporto anche lì.«Benvenuta a Happytown»,

cinguettò una cameriera che sisforzava di mostrarsi allegra.

«Tavolo per uno o sei qui con ungruppo?».Elena represse un brivido. Non

riusciva a immaginare che unapersona potesse decidere di cenareper conto proprio in un posto delgenere. «Credo di avere appena vistoil mio gruppo», rispose con cortesia,scorgendo zia Judith che le facevasegno da un angolo.«Questa è la tua idea di una serata

per sole ragazze, zia?», chiesequando arrivò al tavolo.«Immaginavo qualcosa di più intimoe accogliente, tipo un bistrot».

Zia Judith fece un cenno indicandol’altro lato della stanza. Sbirciandosopra le sue spalle, Elena intravideMargaret che picchiava allegramentele talpe giocattolo con un martello.«Abbiamo sempre trascinato

Margaret in posti per adulti,pretendendo che si comportassebene», spiegò la zia Judith. «Hopensato che stavolta fosse il suoturno di divertirsi. Spero che aBonnie e Meredith non dispiaccia».« Be ’ , pare proprio che si stia

divertendo», disse Elena, osservandola sorellina. I ricordi che aveva di

lei, dell’anno passato, erano pervasidi tensione e angoscia. Durantel’autunno Margaret aveva assistitocon grande turbamento ai litigi diElena con zia Judith e Robert e aimisteriosi eventi che si eranoverificati a Fell’s Church e poi,naturalmente, la morte di sua sorellal’aveva sconvolta. Elena, in seguito,l’aveva osservata dalle finestre el’aveva vista piangere. Avevasofferto più di quanto potessesopportare una bambina della suaetà, anche se ora non ricordava piùniente.

Mi prenderò cura di te, Margaret ,promise con tutto il cuore,osservando lo sguardo attento econcentrato di sua sorella, tutta presadalla violenza innocua diquell’antiquato giochino da fiera.Non permetterò che tu soffra tantoun’altra volta, in questo mondo.«Stiamo effettivamente aspettando

Bonnie e Meredith, vero?», chiesecon gentilezza la zia Judith. «Seiriuscita a invitarle?»«Oh», disse Elena, distolta dalle

sue fantasie. Allungò la mano perprendere una manciata di pop corn

dal cestino al centro del tavolo.«Non sono riuscita a contattareMeredith, ma Bonnie sta arrivando.Adorerà questo posto».«Oh, sì. Lo adoro, assolutamente»,

concordò una voce alle sue spalle.Elena si girò e vide i morbidiriccioli rossi di Bonnie. «Adorosoprattutto l’espressione sulla tuafaccia, Elena». Bonnie la guardavacon un guizzo divertito nei grandiocchi castani. Si scambiarono unosguardo pieno di tutte quelle cose chenon avrebbero potuto dire davanti azia Judith, come: “Siamo tornate,

siamo tornate, hanno mantenuto laparola e Fell’s Church è di nuovocome dovrebbe essere”, poi cadderol’una nelle braccia dell’altra.Elena strinse forte Bonnie, e Bonnie

nascose per un attimo il viso controla sua spalla. Il suo piccolo corpotremò leggermente fra le braccia diElena, che capì di non essere l’unicaa camminare sulla linea sottile fradelizia e desolazione. Avevanoottenuto tanto, ma a un prezzo moltoalto.«In effetti, ho festeggiato il mio

nono compleanno in un posto molto

simile a questo», disse Bonnie constudiata allegria, sciogliendol’abbraccio. «Ricordate l’Hokey-Pokey Grill? Quello era il postogiusto quando eravamo alleelementari». Nei suoi occhi rimaseuna patina lucida, forse eranolacrime, ma il mento sollevato leconferiva un’aria determinata. Elenanotò che Bonnie era pronta adivertirsi a tutti i costi, e l’ammiròper questo.«Ricordo quella festa», disse,

adeguandosi alla leggerezza diBonnie. «Sulla tua torta c’era il

ritratto del cantante di un qualchegruppo rock».«Ero matura per la mia età», disse

con nonchalance Bonnie a zia Judith.«Già andavo matta per i ragazziquando le mie amiche nemmeno cipensavano».La zia Judith rise e fece segno a

Margaret di tornare al tavolo. «Saràmeglio ordinare, prima che inizi lospettacolo teatrale», disse.Elena sgranò gli occhi e mimò con

la bocca “spettacolo teatrale” rivoltaa Bonnie, che abbozzò un sorriso e sistrinse nelle spalle.

«Ragazze, avete deciso cosaprendere?», chiese zia Judith.«Hanno qualcos’altro oltre alla

pizza?», chiese Elena.«Bastoncini di pollo», rispose

Margaret, arrampicandosi sullasedia. «E hot dog».Elena sorrise vedendo i capelli

arruffati e l’espressione deliziatadella sorellina. «E tu cosa prendi,coniglietta?», chiese.«Pizza!», rispose Margaret. «Pizza,

pizza, pizza».«Allora prendo anch’io la pizza»,

decise Elena.

«È la cosa che sanno fare meglioqui», confidò Margaret. «Gli hot doghanno un sapore strano». Si dimenòsulla sedia. «Elena, verrai al miosaggio di danza?», chiese.«Quando?», chiese Elena.Margaret corrugò la fronte.

«Dopodomani», rispose. «Lo sai».Elena rivolse un breve sguardo a

Bonnie, che aveva gli occhi sgranati.«Non me lo perderei per niente almondo», disse con affetto a suasorella, che annuì con fermezza e sialzò in piedi sulla sedia perraggiungere i pop corn.

Fingendo che fosse per i rimproveridi zia Judith e per il canto quasiintonato dei camerieri canterini inarrivo al loro tavolo, Bonnie edElena si scambiarono un sorriso.Saggi di danza. Camerieri canterini.

Pizza.Era bello vivere in un mondo così

semplice, tanto per cambiare.

6

Il mattino successivo faceva dinuovo caldo e c’era il sole: un’altrameravigliosa giornata estiva. Elenasi stiracchiò pigramente nel suocomodo letto, poi infilò pantaloncini,maglietta e pantofole e scese incucina per prepararsi una tazza di

cereali.Zia Judith stava facendo le trecce a

Margaret, seduta a tavola.«Giorno», disse Elena, versandosi

il latte nella tazza.«Ciao, dormigliona», disse zia

Judith, e Margaret le rivolse unampio sorriso e la salutò agitando ledita della mano. «Stai ferma,Margaret. Noi stiamo per andare almercato», aggiunse, rivolta a Elena.«Che programmi hai per oggi?».Elena inghiottì un boccone di

cereali. «Andiamo a prendere Alarice la sua amica alla stazione e poi

facciamo un giro, ci vediamo con glialtri, il solito», disse.«Chi è Alaric?», chiese zia Judith,

socchiudendo gli occhi.Elena cercò di pensare in fretta.

«Oh, uh, forse ti ricordi: l’annoscorso ha sostituito il professorTanner per le lezioni di storia»,disse, chiedendosi se fosse successodavvero in quella versione di Fell’sChurch.La zia Judith corrugò la fronte.

«Non è un po’ troppo vecchio persocializzare con delle ragazze delliceo?».

Elena alzò gli occhi al cielo. «Nonsiamo più al liceo, zia. Alaric hasolo sei anni più di noi. E nonsaremo solo ragazze. Vengono ancheMatt e Stefan».Se quella era la reazione di zia

Judith all’idea che passassero deltempo con Alaric, riusciva a capireperché Meredith fosse restia arendere pubblica la loro relazione.Era più sensato aspettare un paiod’anni, quando la gente avrebbepensato a lei come a un’adulta.Nessuno era a conoscenza di ciò cheMeredith aveva visto e fatto, quindi

agli occhi degli altri era una comuneragazza di diciotto anni.È un bene che zia Judith non

sappia che Stefan è cinque secolipiù grande di me, pensò Elena,sorridendo fra sé. Pensa che Alaricsia troppo vecchio...Il campanello suonò.«Ecco Matt e gli altri», disse,

alzandosi per posare la tazza nellavello. «Ci vediamo stasera».Margaret la guardò a occhi sgranati,

come per lanciarle un silenziosoappello, ed Elena, che era quasiarrivata alla porta, tornò indietro per

darle una stretta alle spalle. Suasorella aveva ancora paura che nontornasse a casa?Una volta nell’atrio, si passò una

mano fra i capelli prima di aprire laporta.In piedi, di fronte a lei, non c’era

Stefan, ma un perfetto estraneo. Unestraneo davvero carino, notòautomaticamente. Un ragazzo chedoveva avere circa la sua età, concapelli biondi e ricci, lineamenticesellati e luminosi occhi azzurri. Inmano aveva una rosa rossa.Elena si sistemò i capelli dietro le

orecchie e, inconsciamente, assunseuna postura più eretta: spalle indietroe petto in fuori. Adorava Stefan, maquesto non significava che nonpoteva più guardare gli altri ragazzio parlare con loro. Dopotutto, nonera un cadavere. Non più, pensò,sorridendo della propria battuta.Il ragazzo sorrise di rimando. «Ehi,

Elena», disse allegramente.«Caleb Smallwood!», disse zia

Judith, entrando nell’atrio. «Eccotiqui!».Elena, senza volerlo, indietreggiò

inorridita, ma mantenne il sorriso

sulle labbra. «Per caso sei parente diTyler?», disse, mostrandosi calma, elo osservò brevemente, cercando difare attenzione ai dettagli, percontrollare che non ci fossero…Cosa? I segni della sua natura di lupomannaro? Si accorse di non sapereneanche quali potessero essere. Il belviso di Tyler aveva sempre avutoqualcosa di animalesco, con i grandidenti bianchi, i tratti marcati, ma sefosse stata una coincidenza?«Tyler è mio cugino», rispose

Caleb, che aveva smesso di sorrideree la fissava con un cipiglio

interrogativo. «Pensavo che losapessi. Mi sono trasferito dai suoiquando Tyler è… andato via».La mente di Elena correva. Tyler

Smallwood era scappato dopo chelei, Stefan e Damon avevanosconfitto il suo alleato, il malvagiovampiro Klaus. Tyler aveva lasciatoCaroline, la sua ragazza – e ostaggioall’occorrenza – incinta. Elena nonaveva discusso del destino di Tyler eCaroline con le Guardiane, quindinon aveva idea di cosa fosse stato diloro in quella realtà. Tyler eraancora un lupo mannaro? Caroline

era incinta? E se lo era, i suoi figlisarebbero stati umani o mannari?Scosse leggermente la testa. Unmondo nuovo, davvero.«Be’, non lasciare Caleb fuori sul

portico. Fallo entrare», ordinò ziaJudith, alle sue spalle. Elena si feceda parte e Caleb si addentrònell’atrio.Elena cercò di espandere la mente

per captare l’aura del ragazzo, perleggergli dentro e controllare che nonfosse pericoloso, ma si scontrò dinuovo con un muro di mattoni. Ciavrebbe messo un po’ ad abituarsi

all’idea di essere di nuovo unaragazza normale, e tutt’a un tratto sisentì terribilmente vulnerabile.Caleb spostava il peso da un piede

all’altro, visibilmente a disagio, edElena si ricompose in fretta. «Daquanto sei in città?», chiese, e poi simorse la lingua, rimproverandosiperché continuava a trattare come unestraneo un ragazzo che si supponevadovesse conoscere bene.«Be’», disse lui lentamente. «Ho

passato qui tutta l’estate. Hai sbattutola testa questo fine settimana,Elena?». Le rivolse un sorriso

scherzoso.Lei alzò una spalla, pensando a tutto

quello che effettivamente avevasofferto durante quel fine settimana.«Qualcosa del genere».Lui le porse la rosa. «Questa deve

essere per te».«Grazie», disse, confusa.

Prendendola dal gambo, si punse ildito con una spina, e lo mise in boccaper fermare il sangue.«Non ringraziare me», rispose il

ragazzo. «Stava lì sui gradini quandosono arrivato. Devi avere unammiratore segreto».

Elena corrugò la fronte. Avevaparecchi ammiratori a scuola, e sefosse successo nove mesi prima, nonavrebbe avuto difficoltà a indovinarechi le avesse lasciato la rosa. Ma oranon aveva alcun indizio.La vecchia e malconcia Ford

berlina di Matt si fermò nel vialetto esi udì suonare il clacson. «Devoscappare, zia Judith», disse Elena.«Sono arrivati. È un piacererivederti, Caleb».Camminando verso l’auto di Matt,

Elena si sentiva torcere lo stomaco.Mentre rigirava distrattamente la

rosa fra le dita, comprese che non erasolo la stranezza dell’incontro conCaleb a impressionarla. Era quellamacchina.Guidava la Ford di Matt quando,

l’inverno prima, era uscita di stradasul Wickery Bridge, presa dal panicoperché inseguita dalle forze del male.Era morta in quella macchina.Nell’impatto con il torrente, ifinestrini erano andati in frantumi el’abitacolo si era riempito di acquagelida. Il volante graffiato e il cofanoammaccato, ricoperto d’acqua, eranole ultime cose che aveva visto in

quella vita.Ma la macchina era lì, di nuovo

tutta intera, come lei.Scacciò dalla mente il ricordo della

propria morte e salutò Bonnie,scorgendo il suo viso impazientedietro il finestrino. Potevadimenticare tutte quelle vecchietragedie, perché ora non erano maiaccadute.

Meredith, seduta con eleganza sul

dondolo del portico, si spingevalentamente avanti e indietro con unpiede. Le dita forti e affusolate erano

immobili; i capelli scuri lericadevano sulle spalle, ordinati;aveva un’aria serena, come sempre.Nulla lasciava trasparire i pensieri

agitati e inquieti che si susseguivanosenza sosta nella sua mente, lepreoccupazioni e i piani alternativiche frullavano dietro la freddezzaapparente del suo viso.Il giorno prima era stata tutto il

tempo a cercare di capire qualicambiamenti avesse provocatol’incantesimo delle Guardiane per leie la sua famiglia, e in particolare persuo fratello, Christian, rapito da

Klaus più di dieci anni prima. Nonl’aveva ancora compreso del tutto,ma le sembrava abbastanza evidenteche il patto di Elena aveva avutoconseguenze più significative diquanto avessero immaginato.Quella mattina, invece, i suoi

pensieri erano tutti per AlaricSaltzman. Prese a battereansiosamente le dita sul bracciolodel dondolo. Poi si impose ilcontrollo e tornò alla perfettaimmobilità.Meredith aveva sempre trovato la

sua forza nell’auto-disciplina, e se

fosse venuto fuori che Alaric, il suoragazzo – forse era riduttivochiamarlo così, poiché, prima dipartire, lui le aveva fatto una mezzapromessa, quindi era quasi il suofidanzato – aveva cambiatosentimenti nei suoi confronti in queilunghi mesi di separazione, be’,nessuno si sarebbe accorto della suasofferenza. Nemmeno Alaric.Alaric aveva passato parecchi mesi

in Giappone a investigare su eventiparanormali, un sogno divenutorealtà per un dottorando inparapsicologia. Le sue ricerche sulla

tragica storia della Unmei no Shima,l’Isola della Distruzione, una piccolacomunità in cui genitori e figli sierano rivoltati gli uni contro gli altri,avevano aiutato Meredith e i suoiamici a capire cosa stessero facendoi kitsune a Fell’s Church, e comecombatterli.Alaric aveva condotto le sue

ricerche sulla Unmei no Shimainsieme a Celia Connor, un patologoforense che, nonostante le forticredenziali accademiche, aveva lasua stessa età, ventiquattro anni.Quindi, ovviamente, la dottoressa

Connor era dotata di una brillanteintelligenza.Dalle sue lettere ed e-mail si capiva

che Alaric si stava divertendo unmondo in Giappone. E di sicuroaveva trovato tanti interessi incomune con la dottoressa Connor.Forse più di quanti ne condividessecon Meredith, che era solo una neo-diplomata di un liceo di provincia,per quanto matura e intelligente.Meredith si diede una scossa

mentale e si drizzò a sedere. Eraridicola a preoccuparsi dei rapportidi Alaric con la sua collega.

Comunque, aveva la sensazione direagire in modo inappropriato. Anzi,ne era abbastanza sicura.Afferrò più saldamente i braccioli

del dondolo. Era una cacciatrice divampiri. Aveva il dovere diproteggere la sua città, ed era giàriuscita a salvarla una volta, con isuoi amici. Non era una ragazzaqualunque e, se fosse statonecessario dimostrarlo di nuovo adAlaric, era sicura di poterlo fare, checi fosse o no la dottoressa CeliaConnor.Il catorcio di Matt, che un tempo era

stato una Ford berlina, accostò almarciapiede scoppiettando: Bonnieera davanti con Matt, mentre Stefaned Elena erano seduti vicini, sulsedile posteriore. Meredith si alzò eattraversò il prato, dirigendosi versola macchina.«Va tutto bene?», domandò Bonnie,

sgranando gli occhi, quandoMeredith aprì lo sportello. «Dallafaccia sembra che tu stia per andarein guerra».Meredith rilassò il viso, assumendo

un’espressione impassibile, e sisforzò di trovare una spiegazione che

non fosse: “Sono preoccupata perchénon sono sicura di piacere ancora almio ragazzo”. Presto e senzaimpegnarsi troppo, capì di avere unaltro motivo per essere tesa, unmotivo vero.«Bonnie, ho il dovere di contribuire

alla protezione della città adesso»,disse con semplicità. «Damon èmorto. Stefan non vuole ferire gliumani, e questo lo indebolisce. IPoteri di Elena sono spariti. Anchese abbiamo sconfitto i kitsune,abbiamo ancora bisogno diprotezione. Non potremo mai

abbassare la guardia».Stefan mise un braccio intorno alle

spalle di Elena e la strinse a sé. «Lecose che rendono Fell’s Church cosìattraente per le entità soprannaturali,le linee energetiche che dagenerazioni attirano creature di ognitipo, sono ancora qui. Riesco apercepirle. Anche le altre persone –le altre creature, intendo – possonopercepirle».Bonnie alzò la voce, allarmata.

«Quindi succederà tutto da capo?».Stefan si strofinò il naso. «Non

penso. Ma potrebbe succedere

qualcos’altro. Meredith ha ragione.Dobbiamo essere vigili». Depose unbacio sulla spalla di Elena eappoggiò la guancia ai suoi capelli.Comunque, non c’era alcun dubbio sucosa avesse attirato a Fell’s Churchquella particolare entitàsoprannaturale, pensò Meredith consarcasmo, e non erano le lineeenergetiche che percorrevano l’area.Elena giocherellava con una rosa

rossa, probabilmente un regalo diStefan. «È solo questo che tipreoccupa, Meredith?», chiese conleggerezza. «I tuoi doveri verso

Fell’s Church?».Meredith si sentì arrossire un po’,

ma la sua voce rimase secca e calma.«Penso che sia una ragionesufficiente, non credi?».Elena fece un sorriso sornione. «Oh,

è una ragione sufficiente, suppongo.Ma non potrebbe esserceneun’altra?». Ammiccò a Bonnie, chesorrise, mentre la tensioneabbandonava il suo volto. «Indovinachi sarà affascinato da tutte le coseche hai da raccontare? Soprattuttoquando scoprirà che la storia non èancora finita?».

Bonnie si girò del tutto verso diloro, con un sorriso sempre piùlargo. «Oh. Oh. Capisco. Nonriuscirà a pensare a nient’altro, vero?O meglio, a nessun’altra».Stefan rilassò le spalle, mentre Matt

dal posto di guida emise una risatinasoffocata e scosse la testa. «Che cosasiete voi tre!», disse in tonoaffettuoso. «Noi ragazzi non abbiamonessuna speranza».Meredith guardò fisso davanti a sé e

sporse un poco il mento, ignorandolitutti. Elena e Bonnie la conoscevanotroppo bene, e con tutto il tempo che

avevano passato insieme a tramare ecomplottare, doveva immaginare chel’avrebbero smascherata in un batterd’occhio. Ma non era tenuta adammetterlo.Comunque, l’atmosfera solenne che

aleggiava in macchina si eradissipata. Meredith comprese che sicomportavano così di proposito, chele battute e le bonarie prese in giroerano cauti, garbati tentativi dialleviare quell’atmosfera, diattenuare il dolore che Stefan edElena dovevano sentire.Damon era morto. E se lei, nel

periodo trascorso insieme nellaDimensione Oscura, avevasviluppato un cauto e prudenterispetto per quel vampiroimprevedibile, e Bonnie avevacominciato a provare qualcosa dipiù, forse affetto, Elena lo avevaamato. Lo aveva amato davvero. EStefan e Damon erano pur semprefratelli, anche se per secoli i lororapporti erano stati difficili, tanto perusare un eufemismo. Elena e Stefansoffrivano, lo sapevano tutti.Dopo un po’, gli occhi di Matt

intercettarono Stefan nello

specchietto retrovisore. «Ehi», disse.«Ho dimenticato di dirti che inquesta realtà non sei scomparso adHalloween. Sei ancora il nostroricevitore e abbiamo portato lasquadra di football al campionatostatale». Fece un gran sorriso e ilvolto di Stefan si distese per il puroe semplice piacere.Meredith aveva quasi dimenticato

che Stefan giocava con Matt nellasquadra del liceo prima che il loroinsegnante di storia, il signor Tanner,morisse nella casa stregata allestitaper Halloween e tutto andasse in

malora. Aveva dimenticato che Matte Stefan erano stati veri amici, che siallenavano e uscivano insieme,nonostante fossero entrambiinnamorati di Elena.E se fossero ancora entrambi

innamorati di Elena? Lanciò unarapida occhiata alla nuca di Matt dasotto le ciglia. Non era sicura di cosaprovasse, ma le aveva sempre datol’impressione di essere il tipo diragazzo che se s’innamora, rimaneinnamorato. Tuttavia era anchetroppo onesto per cercare di mettersiin mezzo a una relazione, a costo di

sacrificare i propri sentimenti.«E come quarterback del

campionato statale», continuò Matt.«Credo di avere delle prospettivepiuttosto rosee per il college». Feceuna pausa e sulle labbra gli spuntò unampio sorriso orgoglioso. «A quantopare, ho una borsa di studio sportivaper l’Università del Kent».Bonnie lanciò un gridolino, Elena

batté le mani e Meredith e Stefan siprodigarono in complimenti.«Ora tocca a me!», disse Bonnie.

«In questa realtà, credo di essermiimpegnata parecchio nello studio.

Dev’essere stato più facile, giacchéuna delle mie migliori amiche nonera morta nel primo semestre ed eradisponibile a farmi da tutor».«Ehi!», esclamò Elena. «Meredith è

sempre stata più brava di me cometutor. Non puoi darmi la colpa».«In ogni caso», continuò Bonnie,

«mi sono iscritta a un corsoquadriennale! Nell’altra vita non miero neanche preoccupata diiscrivermi al college, perché la miamedia non era alta. Pensavo di fareun corso di infermieristica in uncentro di formazione, come Mary,

anche se non sono sicura di esseretagliata per fare l’infermiera perchéil sangue e gli altri fluidi corporei mifanno impressione. Comunque, miamadre stamattina ha detto chedovremmo andare a fare compere perla mia stanza a Dalcrest prima dellaFesta del Lavoro». Fece spallucce.«Cioè, so che non è Harvard, masono piuttosto eccitata».Meredith si congratulò, come gli

altri, ma senza troppo entusiasmo.Lei, infatti, si era iscritta proprio adHarvard.«Oh! E non è finita». Bonnie

saltellava sul sedile perl’eccitazione. «Stamattina hoincontrato Vickie Bennett.Sicuramente non è morta! Si èmeravigliata quando l’hoabbracciata. Mi ero dimenticata chenon eravamo proprio amiche intime».«Come sta?», chiese Elena con

interesse. «Ricorda qualcosa?».Bonnie piegò la testa. «Sembrava

che stesse bene. Non le ho chiestocosa ricordasse di preciso, ma leinon ha parlato del fatto di esseremorta, né di vampiri e cose delgenere. Cioè, è sempre stata una

ragazza un po’ superficiale, no? Miha detto di averti vista in centrodomenica scorsa e che tu l’hai aiutataa scegliere un lucidalabbracolorato».Elena alzò le sopracciglia. «Sul

serio?». Fece una pausa e poicontinuò in tono dubbioso, «Ma nonsembra strano anche a voi tuttoquesto? Insomma, è meraviglioso…Non mi fraintendete. Ma è anchestrano».«Sì, è una cosa che disorienta»,

disse Bonnie. «Sono grata, è ovvio,che tutte quelle cose orribili siano

sparite e che stiano tutti bene. Miemoziona tornare alla vecchia vita.Ma mio padre è andato in bestiastamattina quando gli ho chiesto dovefosse Mary». Mary era una dellesorelle maggiori di Bonnie, l’ultimache ancora viveva a casa dei suoi,oltre a lei. «Pensava che volessi farela spiritosa. A quanto pare, Mary èandata a vivere con il suo ragazzo tremesi fa, e puoi immaginare come l’hapresa mio padre».Meredith annuì. Il padre di Bonnie

era protettivo e geloso, un po’all’antica nei suoi atteggiamenti

verso i fidanzati delle figlie. Se Maryera andata a vivere con il suoragazzo, doveva essere furibondo.«Ultimamente ho litigato con zia

Judith… o almeno credo. Ma nonriesco proprio a capire perché»,confessò Elena. «Non possochiedere, visto che ovviamentedovrei già saperlo».«Non dovrebbe essere tutto perfetto

ora?», disse Bonnie con tonomalinconico. «Mi pare che neabbiamo già passate abbastanza».«Non mi preoccupa un po’ di

confusione, fintanto che possiamo

tornare a una vita normale», dissecon convinzione Matt.Restarono un attimo in silenzio, poi

Meredith disse la prima cosa che lesaltò in mente, nel tentativo didistoglierli da quei pensieri cupi.«Che carina quella rosa, Elena. Tel’ha regalata Stefan?»«In realtà, no», rispose Elena. «Era

sui gradini del portico, stamattina».Se la rigirò fra le dita. «Nonproviene dai giardini sulla nostrastrada, comunque. Nessuno ha dellerose così belle». Rivolse a Stefan unsorriso provocatorio, e lui si irrigidì

di nuovo. «È un mistero».«Deve averla lasciata un

ammiratore segreto», disse Bonnie.«Posso vederla?».Elena le passò la rosa, e Bonnie si

rigirò attentamente lo stelo fra lemani, rimirando il fiore da ogniangolatura. «È stupenda», disse.«Una sola rosa perfetta. Com’èromantico!». Finse di svenire,portando la rosa alla fronte. Poitrasalì. «Ahi! Ahi!».Sulla mano le scorreva un rivolo di

sangue. Meredith, mentre cercava unfazzoletto nella tasca, notò che il

sangue era molto più copioso diquello che sarebbe dovuto uscire dauna ferita piccola come quellaprovocata dalla puntura di una spina.Matt accostò la macchina al cigliodella strada.«Bonnie…», cominciò.Stefan prese ad ansimare e si piegò

in avanti, spalancando gli occhi.Meredith si dimenticò del fazzoletto,temendo che l’improvvisa vista delsangue avesse risvegliato i suoiistinti di vampiro.Poi Matt trasalì ed Elena gridò:

«Una macchina fotografica, presto!

Qualcuno mi dia il cellulare!». Iltono era così perentorio cheMeredith le porse subito il suo.Quando Elena puntò la fotocamera

del telefono su Bonnie, Meredithfinalmente vide quello che avevaspaventato gli altri.Un fiotto di sangue rosso scuro

scorreva lungo il braccio di Bonnie esembrava che seguisse un percorsopreciso, sinuoso, dal polso al gomito.I rivoli di sangue scandivano unnome più volte. Lo stesso nome che,per mesi, aveva perseguitatoMeredith.

7

«Chi è Celia?», chiese Bonnieindignata, non appena gli altri ebberocancellato la scritta di sangue. Posòla rosa con cautela nello spazio fra idue sedili anteriori, dov’erano sedutilei e Matt, e tutti stettero ben attenti anon toccarla. Nonostante il suo

splendore, ormai appariva piùsinistra che bella, pensò torvo Stefan.« C e l i a Connor», disse acida

Meredith. «La dottoressa CeliaConnor. L’hai già vista in una delletue visioni, Bonnie. L’antropologaforense».«Quella che lavorava con Alaric?»,

chiese Bonnie. «Ma perché il suonome dovrebbe apparire sul miobraccio, scritto con il sangue? Con ilsangue».«Piacerebbe saperlo anche a me»,

disse Meredith, aggrottando la fronte.«Potrebbe essere una specie di

avvertimento», propose Elena. «Nonne sappiamo ancora abbastanza. Oraandiamo alla stazione, ci incontriamocon Alaric e Celia, e poi…».«Poi?», chiese incalzante Meredith,

incontrando i freddi occhi azzurri diElena.«Poi faremo tutto ciò che sarà

necessario», disse Elena. «Come alsolito».Quando arrivarono alla stazione dei

treni, Bonnie si stava ancoralamentando.Pazienza, ricordò a se stesso

Stefan. Di solito godeva della

compagnia di Bonnie, ma in quelmomento, con il corpo che bramavail sangue cui si era assuefatto, sisentiva… apatico. Si massaggiò lamascella dolorante.«Speravo davvero che ci

concedessero almeno un paio digiorni di normalità», si lagnò Bonnie,forse per la millesima volta.«La vita è ingiusta, Bonnie»,

commentò malinconico Matt. Stefangli lanciò un’occhiata stupita, perchédi solito Matt era il primo a farequalcosa per tirar su le ragazze. Malo spilungone biondo se ne stava

appoggiato alla biglietteria chiusa,con le spalle cascanti e le manificcate in tasca.Matt incrociò il suo sguardo. «Sta

ricominciando tutto da capo, non èvero?».Stefan scosse la testa e diede

un’occhiata in giro. «Non so cosastia succedendo», disse. «Madobbiamo stare attenti finché nonl’avremo capito»«Oh, questo sì che è rassicurante»,

borbottò Meredith, esaminando labanchina con i vigili occhi grigi.Stefan incrociò le braccia sul petto

e si avvicinò a Elena e Bonnie. Tuttii suoi sensi, normali e paranormali,erano in piena allerta. Esploròl’ambiente circostante con i suoiPoteri, cercando di avvertire il flussodi coscienza di un’entitàsoprannaturale nelle vicinanze, manon sentì nulla di nuovo opreoccupante, solo il quieto brusio disottofondo prodotto dagli esseriumani dediti alle loro faccendequotidiane.In ogni caso, eraimpossibile smettere dipreoccuparsi. Stefan aveva vistotante cose nei suoi cinque secoli di

esistenza: vampiri, lupi mannari,demoni, fantasmi, angeli, streghe,creature di ogni tipo che usavano gliumani come prede o ne influenzavanole vite in modi che la maggior partedella gente neanche immaginava. E,come vampiro, ne sapeva parecchiodel sangue. Più di quanto avrebbevoluto ammettere.Aveva notato l’occhiata sospettosa

che gli aveva lanciato Meredithquando Bonnie aveva iniziato asanguinare. Aveva ragione adiffidare di lui: come potevanofidarsi quando il suo istinto primario

era di ucciderli?Il sangue era l’essenza della vita;

era ciò che permetteva ai vampiri diandare avanti per secoli, ben oltre lafine della loro vita naturale. Il sangueera l’ingrediente principale di moltiincantesimi, sia benigni che maligni.Il sangue aveva dei poteri propri,poteri complicati e pericolosi dacontrollare. Ma Stefan non aveva maivisto il sangue fare quel che avevaappena fatto sul braccio di Bonnie.Lo colpì un pensiero improvviso.

«Elena», disse, voltandosi verso dilei.

«Umm?», rispose lei distrattamente,riparandosi gli occhi con la manomentre scrutava i binari.«Hai detto che la rosa era lì ad

aspettarti sui gradini del porticoquando hai aperto la portastamattina?».Elena si scostò i capelli dagli occhi.

«Non esattamente. L’ha trovata CalebSmallwood e me l’ha data quando hoaperto la porta e l’ho invitato aentrare».«Caleb Smallwood?». Stefan

socchiuse gli occhi. Elena aveva giàaccennato che sua zia aveva assunto

il giovane Smallwood per fare alcunilavoretti in casa, ma avrebbe dovutodirgli anche del nesso fra Caleb e larosa. «Il cugino di Tyler Smallwood?Il ragazzo che è sbucato fuori dalnulla per bighellonare intorno a casatua? Quello che probabilmente è unlupo mannaro, come il resto dellasua famiglia?»«Tu non l’hai visto. Si è comportato

benissimo. E pare che abbia passatoqui tutta l’estate senza chesuccedesse niente di strano. È soloche non ce lo ricordiamo». Parlò intono spigliato, ma il sorriso che

aveva sulle labbra non raggiunse gliocchi.Stefan tentò istintivamente di

contattarla con la telepatia, per avereuna conversazione in privato e capirecosa provasse veramente. Ma nonpoteva. Era così abituato a contaresulla loro connessione checontinuava a dimenticare che nonesisteva più; poteva percepire leemozioni di Elena e sentire la suaaura, ma non potevano piùcomunicare con la telepatia. Erano dinuovo separati. Curvò le spalle perdifendersi dal vento, con aria

malinconica.Bonnie corrugò la fronte; i riccioli

rossi, mossi dal vento, le sferzavanoil viso. «Ma è sicuro che Tyler sia unlupo mannaro? Perché se Sue è viva,significa che lui non l’ha uccisa perdiventare un lupo mannaro, giusto?».Elena alzò le mani, con i palmi

rivolti al cielo. «Non lo so. Se n’èandato, comunque, e non mi dispiace.Anche prima di diventare un lupomannaro, era un vero stronzo. Viricordate che a scuola faceva sempreil bullo? E che beveva sempre daquella sua bottiglia e ci provava con

noi? Ma sono abbastanza sicura cheCaleb sia un tipo a posto. Me nesarei accorta se avesse avutoqualcosa di strano».Stefan la guardò. «Hai sempre avuto

un grande talento nel capire lepersone», disse, misurando le parole.«Ma sei sicura di non fareaffidamento su sensi che non hai piùper comprendere chi sia davveroCaleb?». Pensò alla crudeltà con cuile Guardiane avevano tagliato le Alidi Elena e distrutto i suoi Poteri.Poteri che lei e i suoi amici avevanocapito solo in parte.

Elena sembrava interdetta e stavaaprendo la bocca per risponderequando il treno arrivò stridendo instazione, impedendo ulterioridiscussioni.Erano pochi i passeggeri che

scendevano alla stazione di Fell’sChurch, e Stefan non ci mise molto ariconoscere il profilo familiare diAlaric. Dopo aver messo piede sullabanchina, Alaric si girò per aiutare ascendere dal treno una ragazza afro-americana, snella e slanciata.La dottoressa Celia Connor senza

dubbio era molto bella, Stefan

doveva concederle almeno questo.Era di corporatura esile, minutacome Bonnie, con pelle scura ecapelli rasati. Il sorriso che rivolsead Alaric quando lui le prese ilbraccio era affascinante e un po’malizioso. Aveva grandi occhicastani e un collo elegante, lungo.Indossava abiti griffati, eleganti mapratici: stivali di cuoio morbido,jeans attillati e una camicetta di setacolor zaffiro. Drappeggiata intorno alcollo aveva una lunga sciarpatrasparente, che dava un tocco in piùal suo atteggiamento sofisticato.

Quando Alaric, con i capelli colorsabbia tutti arruffati e un sorriso daragazzino, le sussurrò qualcosaall’orecchio con familiarità, Stefanvide Meredith irrigidirsi.Probabilmente nulla le avrebbe datomaggior soddisfazione che provareun paio di mosse di arti marziali suuna certa fascinosa antropologaforense.Ma poi Alaric scorse Meredith, le

corse incontro e l’abbracciò,sollevandola da terra e facendolavolteggiare mentre la stringeva fra lebraccia, e lei si rilassò visibilmente.

Pochi secondi dopo, ridevano echiacchieravano, e sembrava nonriuscissero a smettere di toccarsi,quasi sentissero il bisogno diaccertarsi che erano finalmenteinsieme.Stefan pensò che le preoccupazioni

di Meredith su Alaric e la dottoressaConnor fossero infondate, almeno perquel che concerneva Alaric. Riportòl’attenzione su Celia Connor.Le prime sonde di Potere rilevarono

che dall’antropologa forenseemanava del risentimento latente.Comprensibile: era umana, era

piuttosto giovane nonostante simostrasse sicura di sé e avessenumerosi successi professionali allespalle, e infine aveva passatomoltissimo tempo a lavorare gomitoa gomito con Alaric, che, in effetti,era un ragazzo molto attraente. Nonc’era da meravigliarsi che fossediventata un po’ possessiva nei suoiconfronti, e ora se lo vedeva portarvia, risucchiato nell’orbita diun’adolescente.Ma soprattutto, non trovò alcuna

traccia latente di soprannaturale inlei, né percepì un Potere che reagiva

al suo. Qualunque fosse il significatodel suo nome scritto col sangue,sembrava che la dottoressa CeliaConnor non ne fosse la causa.«Qualcuno faccia delle foto!», gridò

Bonnie, ridendo. «Non vediamoA l a r i c da mesi. Dobbiamodocumentare il suo ritorno!».Matt tirò fuori il cellulare e scattò

un paio di foto di Alaric e Meredith,che si tenevano abbracciati.«Facciamone una tutti insieme!»,

insisté Bonnie. «Anche lei,dottoressa Connor. Mettiamocidavanti al treno. È uno sfondo

fantastico. Matt, tu scatti questa e poine farò un paio in cui ci sei anchetu».Si fecero fotografare in varie

posizioni: mentre fingevano discontrarsi, mentre si scusavano,mentre si presentavano a CeliaConnor, mentre si gettavano l’unl’altro le braccia al collo con caoticaesuberanza. Stefan si ritrovò spintoai margini, a braccetto con Elena, einalò con discrezione il profumofresco e dolce dei suoi capelli.«Tutti a bordo!», gridò il capotreno,

e le porte si chiusero.

Stefan si accorse che Matt avevasmesso di scattare foto e li fissava,con gli occhi spalancati eun’espressione di puro terrore.«Fermate il treno!», urlò. «Fermate iltreno!».«Matt? Ma che diamine ti

succede?», chiese Elena. E alloraMeredith guardò alle loro spalle,verso il treno, e un barlume dicomprensione si accese nei suoiocchi.«Celia», disse allarmata, tendendo

le braccia verso di lei.Stefan assisté con crescente

confusione alla scena: la dottoressache, tutt’a un tratto, fu strattonata via,come se l’avesse afferrata una manoinvisibile. Appena il treno cominciòa muoversi, Celia fece qualchepasso, poi prese a corrergli dietro,con movimenti rigidi e convulsi,portandosi rapidamente le mani allagola.All’improvviso Stefan vide la scena

da un’altra prospettiva e capì cosastava succedendo. In qualche modola sciarpa trasparente era rimastaincastrata alla chiusura delle porte, eora il treno stava trascinando con sé

la ragazza, tirandola per il collo. Leicorreva per evitare di esserestrangolata, con la sciarpa che lastrattonava, simile a un guinzaglio. Eil treno stava cominciando aprendere velocità. Celia cercava ditirar via la sciarpa con le mani, maentrambe le estremità eranoincastrate nello sportello, e i suoisforzi sembravano solo peggiorare lasituazione, poiché la sciarpa le sistringeva ancor di più attorno alcollo.Celia stava raggiungendo la fine

della banchina, mentre il treno si

allontanava stridendo, sempre piùveloce. Tra la banchina e il terrenosassoso e ricoperto di sterpagliac’era una bella distanza. Ancorapochi istanti e sarebbe caduta,rompendosi il collo, e il trenoavrebbe trascinato il suo corpo permiglia.Stefan comprese tutto in un batter

d’occhio e passò all’azione. Sentì icanini allungarsi mentre un’ondata diPotere fluiva in lui. Poi partì a razzoverso di lei, più veloce di qualsiasiumano, più veloce del treno.Con un solo, rapido movimento, la

prese fra le braccia, attenuando lapressione alla gola, e strappò lasciarpa a metà.Si fermò e mise a terra Celia,

mentre il treno accelerava e lasciavala stazione. I resti della sciarpascivolarono dal collo della ragazzae, fluttuando, si posarono ai suoipiedi, sulla banchina. Lui e Celia siguardando negli occhi, ansimando.Stefan sentì alle spalle le grida e loscalpiccio dei passi dei suoi amici,che correvano loro incontro.Gli scuri occhi castani di Celia

erano sgranati, pieni di lacrime di

dolore. Si leccò le labbranervosamente e fece dei brevirespiri, rapidi e ansimanti,premendosi le mani sul petto. Stefansentiva i battiti del suo cuore, ilrapido fluire del sangue nel suosistema circolatorio, e si concentròper ritrarre i canini e riassumere unaspetto umano. Lei vacillò di colpo,e Stefan la sorresse con un braccioattorno alla vita.«Va tutto bene», disse. «Sei salva

ora».Celia sbottò in una risata breve,

leggermente isterica e si asciugò gli

occhi. Si raddrizzò, spinse indietro lespalle e trasse un profondo respiro.Stefan notò che stava cercando dicalmarsi, nonostante il suo cuoreballasse una danza indiavolata, eammirò il suo autocontrollo.«E così», disse lei, tendendogli la

mano, «tu devi essere il vampiro dicui mi ha parlato Alaric». Gli altriormai li avevano raggiunti, e Stefanlanciò un’occhiata preoccupata adAlaric.«Preferirei che tu non ne parlassi in

giro», le disse, sentendo una puntad’irritazione perché Alaric aveva

divulgato il suo segreto. Ma quelleparole furono quasi sovrastate dalgrido strozzato di Meredith. I suoiocchi grigi, sempre così sereni, sierano scuriti per il terrore.«Guardate», disse, indicando

qualcosa. «Guardate cosa c’èscritto».Stefan rivolse l’attenzione ai

brandelli di stoffa diafana cadutisulla banchina.Bonnie emise un lieve lamento e

Matt corrugò la fronte. Il bellissimoviso di Elena era bianco di paura, eAlaric e Celia sembravano più

confusi che mai.Per un attimo, Stefan non vide

niente. Poi, come se stesse mettendoa fuoco un’immagine attraversol’obbiettivo, socchiuse gli occhi efinalmente vide quello che tuttistavano guardando. La sciarpastrappata era caduta in un mucchiettoaggrovigliato, che tuttavia parevasistemato ad arte, e le pieghe deltessuto, che si sarebbero dovuteformare in modo causale,disegnavano piuttosto bene dellelettere che componevano la parola:

8

«Era proprio inquietante», disseBonnie. Si erano pigiati tutti nellamacchina di Matt: Elena in braccio aStefan e Meredith sulle ginocchia diAlaric (a Bonnie la dottoressaConnor era parsa tutt’altro cheentusiasta di quella sistemazione).

Poi si erano diretti in tutta fretta allapensione, per chiedere consiglio allasignora Flowers.Appena arrivati, si erano accalcati

nel salottino e avevano raccontato lastoria alla vecchia signora, parlandotutti insieme e interrompendosi avicenda per l’eccitazione. «Prima ilnome di Celia, scritto con il miosangue, è apparso così, di punto inbianco», raccontò Bonnie. «E poi èsuccesso quello strano incidente cheavrebbe potuto ucciderla, ed èapparso anche il nome di Meredith. Èstato davvero inquietante, da far

venire i brividi».«Userei un’espressione un po’ più

forte», disse Meredith. Poi inarcò unfine sopracciglio. «Bonnie, senzadubbio questa è la prima volta che tirimprovero di non averci messoabbastanza enfasi».«Ehi!», protestò Bonnie.«Che ci vuoi fare?», scherzò Elena.

«Guardala dal lato positivo. Leultime assurdità stanno rendendoBonnie più sobria».Matt scosse la testa. «Signora

Flowers, lei sa cosa stasuccedendo?».

La signora Flowers, seduta su unacomoda poltroncina all’angolo delsalotto, sorrise e gli diede dellepacche sulle spalle. Stava lavorandoa maglia quando erano arrivati, maaveva messo da parte il fagotto difilato rosa e li aveva guardati con isuoi sereni occhi azzurri,ascoltandoli con la massimaattenzione mentre raccontavano ciòche era accaduto. «Caro Matt»,disse. «Vai sempre dritto al punto».La povera Celia, seduta sul divano

accanto ad Alaric e Meredith, liguardava sbalordita da quando erano

arrivati. Una cosa era studiare glieventi soprannaturali, un’altra eratrovarseli di fronte nella vita reale:un vampiro in carne e ossa,misteriose apparizioni di nomi e unincontro ravvicinato con la morte…doveva essere sconvolta. Alaric leteneva un braccio sulle spalle, perrassicurarla. Bonnie pensava cheforse il braccio avrebbe dovutotenerlo sulle spalle di Meredith.Dopotutto, le pieghe della sciarpaavevano mostrato il suo nome. MaMeredith se ne stava seduta lì, aosservare Alaric e Celia con uno

sguardo indecifrabile.Celia si chinò in avanti e parlò per

la prima volta.«Scusate», disse con educazione, la

voce un po’ scossa, «ma non capiscoperché abbiamo sottoposto il… ilproblema a…». La voce le morì ingola quando i suoi occhi si posaronodi sfuggita sulla signora Flowers.Bonnie capiva quel che voleva dire.

La signora Flowers sembrava latipica, dolce vecchietta un po’suonata: morbidi capelli grigi tiratiindietro in una crocchia, con cioccheche sfuggivano dalle forcine, un’aria

svagata e bonaria, una preferenza peri vestiti dimessi dalle tinte pastello oneri, e l’abitudine di parlottaresottovoce, forse con se stessa. Unanno prima, anche Bonnie avevapensato che la signora Flowers fossesolo la vecchia pazza che gestiva lapensione dove viveva Stefan.Ma le apparenze possono essere

ingannevoli. La signora Flowers siera guadagnata il rispetto el’ammirazione di ognuno di loro peril modo in cui aveva protetto la cittàcon la magia, il Potere e ilbuonsenso. In quella minuta vecchia

signora c’era molto più di quanto gliocchi potessero vedere.«Mia cara», disse con fermezza la

signora Flowers, «hai avutoun’esperienza molto traumatica. Beviil tuo tè. È un particolare infusorilassante che si tramanda nella miafamiglia da generazioni. Faremo tuttoil possibile per te».Bonnie osservò che era una maniera

molto gentile e garbata di mettereCelia al suo posto. Lei doveva bereil tè e riprendersi dallo shock, lorodovevano capire come risolvere ilproblema. Celia li guardò con un

lampo negli occhi, ma sorseggiòobbediente il suo tè.«Dunque», disse la signora

Flowers, guardando gli altri, «mipare che innanzitutto dobbiamocapire quale intenzione ci sia dietrol’apparizione dei nomi. Una voltarisolto questo, forse avremo le ideepiù chiare su chi possa essere dietrotali apparizioni».«Forse sono avvertimenti?»,

propose esitante Bonnie. «Insomma,prima è apparso il nome di Celia, elei è quasi morta, e ora Meredith…».La sua voce sfumò e guardò Meredith

come a volersi scusare. «Ho paurache tu possa essere in pericolo».Meredith raddrizzò le spalle. «Di

certo non sarebbe la prima volta»,disse.La signora Flowers annuì

prontamente. «Sì, è possibile chel’apparizione dei nomi abbia un finebenevolo. Esaminiamo questa teoria.Forse qualcuno sta cercando di darviun avvertimento. Se è così, chipotrebbe essere? E perché maidovrebbe farlo in questo modo?».La voce di Bonnie si fece ancora

più fioca ed esitante. Ma se nessun

altro si azzardava a dirlo, l’avrebbedetto lei. «Potrebbe essere Damon?»«Damon è morto», disse Stefan in

tono piatto.«Ma Elena, quando era morta, mi

mise in guardia su Klaus», ribattéBonnie.Stefan si massaggiò le tempie.

Aveva un’aria stanca. «Bonnie,quando morì Elena, Klaus intrappolòil suo spirito fra le dimensioni. Nonera spirata del tutto. E anche così,poteva solo apparirti in sogno. Noncontattò nessun altro, solo te, perchétu puoi percepire cose che gli altri

non avvertono. Non poteva faraccadere nulla nel mondo fisico».Elena parlò con voce tremante.

«Bonnie, le Guardiane ci hanno dettoche i vampiri non vivono dopo lamorte. In tutti i sensi della parola.Damon non c’è più». Stefan tese unbraccio e le prese la mano,guardandola con occhi turbati.Bonnie sentì un’acuta fitta di

compassione per loro. Le dispiacevaaver menzionato Damon, ma non erariuscita a trattenersi. Il pensiero chelui potesse vegliare su di loro,irascibile e beffardo, ma in fondo

gentile, per un attimo le avevaalleviato il peso sul cuore. Poi quelpeso era riprecipitato con unoschianto. «Be’», disse in tono spento.«Allora non so proprio chi potrebbevolerci mettere in guardia. Altreidee?».Scossero tutti la testa, frustrati. «Fra

gli esseri che hanno questo tipo dipoteri, chi potrebbe sapere chisiamo?», chiese Matt.«Le Guardiane?», disse dubbiosa

Bonnie.Ma Elena negò con un deciso e

rapido movimento del capo, che fece

oscillare i suoi capelli biondi. «Nonè da loro», disse. «L’ultima cosa chefarebbero sarebbe mandare unmessaggio scritto col sangue. Levisioni sono più nel loro stile. Esono abbastanza sicura che leGuardiane si siano lavate le mani dinoi quando ci hanno rimandato qui».La signora Flowers intrecciò le dita

in grembo. «Quindi, può darsi chenon conosciamo ancora la persona ola creatura che si sta prendendo curadi voi, avvisandovi in anticipo delpericolo».Matt, che sedeva dritto come un

fuso su una delle delicate seggioledella signora Flowers, si chinò inavanti, provocando un preoccupantescricchiolio. «Uhm», disse, «pensoche la domanda migliore sia: cosaprovoca quel pericolo?».La signora Flowers spalancò le

mani piccole e rugose. «Haiperfettamente ragione. Consideriamole varie opzioni. Da una parte,potrebbe trattarsi di avvertimenti suqualcosa che sta per accadere, percause naturali. La sciarpa di Celia…Non ti dispiace se ti chiamo Celia,vero, cara?».

Celia, che si era chiusa a riccio,scosse la testa.«Bene. Che la sciarpa di Celia si

sia incastrata nelle porte del trenopotrebbe essere stato un incidentefortuito. Non vorrei offenderti, maquelle sciarpe lunghe e appariscentipossono essere molto pericolose. Laballerina Isadora Duncan è rimastauccisa proprio così: la sua sciarpa siimpigliò alla ruota di un’automobile,tanti anni fa. Forse, chiunque abbiamandato il messaggio volevasemplicemente suggerire a Celia distare attenta, e a voi di prendervi

cura di lei. Forse Meredith neiprossimi giorni dovrà solo essereprudente».«Ma lei non la pensa così, non è

vero?», chiese secca Meredith.La signora Flowers sospirò. «Tutto

ciò mi sembra di natura piuttostomaligna. Credo che se qualcunovolesse mettervi in guardia sullapossibilità che avvengano degliincidenti, troverebbe un sistemamigliore dei nomi scritti col sangue.Entrambi i nomi sono apparsi inseguito a incidenti violenti, giusto?Bonnie si è tagliata e Stefan ha

strappato la sciarpa dal collo diCelia, vero?».Meredith annuì.La signora Flowers sembrava

turbata, ma continuò. «E, ovviamente,l’altra opzione è che l’apparizionedei nomi sia di per sé maligna. Forsela comparsa dei nomi è uningrediente essenzialedell’incantesimo che crea leminacce, oppure un modo perindividuare le vittime».Stefan corrugò la fronte. «Sta

parlando di magia nera, non èvero?».

La signora Flowers lo guardò drittonegli occhi. «Sì, purtroppo. Stefan,sei molto più vecchio ed esperto dinoi. Io non ho mai sentito di una cosadel genere, e tu?».Bonnie fu un po’ sorpresa. Certo,

sapeva che Stefan era molto piùvecchio della signora Flowers.Dopotutto, lui era nato primadell’elettricità, dell’acqua corrente,delle automobili e di tutto ciò cheloro davano per scontato nel mondomoderno, mentre la signora Flowers,a occhio e croce, aveva solosettant’anni. Eppure, era facile

dimenticare quanto a lungo avessevissuto Stefan. Non era diverso daqualsiasi altro diciottenne, tranne cheper la sua eccezionale bellezza. Lebalenò in mente un pensiero sleale,una domanda che non si poneva perla prima volta: come mai a Elenatoccavano sempre i ragazzi piùcarini?Stefan scosse la testa. «No, non ho

mai visto niente del genere. Mapenso che lei abbia ragione:potrebbe trattarsi di magia nera.Forse, se ne parla con sua madre…».Celia, che cominciava a interessarsi

a ciò che succedeva intorno a lei,rivolse un’occhiata interrogativa adAlaric. Poi lanciò uno sguardo allaporta, come se si aspettasse di vederentrare una vecchina ultracentenaria.Bonnie ridacchiò fra sé, nonostantela serietà della situazione.Tutti loro ormai prendevano come

un dato di fatto che la signoraFlowers conversasse con il fantasmadi sua madre, così nessuno battéciglio quando lei rimase con losguardo fisso nel vuoto e cominciò aparlottare rapidamente, con lesopracciglia alzate e gli occhi che

scrutavano un punto preciso nellastanza, come se stessechiacchierando con un interlocutoreinvisibile. A Celia tutto ciò dovettesembrare piuttosto strano.«Sì», disse la signora Flowers,

riportando l’attenzione su di loro.«Mama dice che a Fell’s Church sista scatenando davvero qualcosa dioscuro. Ma…», alzò le mani, i palmial cielo, «non può dirci in che formasi presenterà. Ci avvisa solo di stareattenti. Qualunque cosa sia, Mamaavverte un pericolo mortale».Stefan e Meredith, a tali parole,

corrugarono la fronte. Alaric dissequalcosa sottovoce a Celia;probabilmente le spiegò cosa stessesuccedendo. Matt chinò la testa.Elena, che stava già analizzando il

problema da un’altra prospettiva,propose: «Bonnie, perché non ciprovi tu?»«Eh?», chiese Bonnie. Poi capì cosa

intendesse. «No. Non ci pensonemmeno. Non ho intenzione discoprire qualcosa che neanche lamadre della signora Flowersconosce».Elena continuò a fissarla e Bonnie

sospirò. Era importante, dopotutto.Era apparso il nome di Meredith, ese c’era una cosa di cui non si potevadubitare, era che lei e le sue amichesi sostenevano a vicenda. Sempre.«D’accordo», disse con riluttanza.«Adesso vedo se riesco a scoprirequalcos’altro. Potete accendere unacandela?»«E adesso che succede?», chiese

Celia, confusa.«Bonnie è una sensitiva», spiegò

Elena con naturalezza.«Affascinante», disse Celia in tono

brioso, ma il suo sguardo, freddo e

incredulo, scivolò su Bonnie come senon la vedesse.Oh, be’, non importa, pensò

Bonnie. In fondo non le interessaval’opinione di Celia. Era libera dicredere che fosse una simulatrice ouna pazza, ma presto avrebbe vistocon i suoi occhi. Elena prese unacandela dalla mensola del caminetto,l’accese e la posizionò sul tavolinoda caffè.Bonnie deglutì, si leccò le labbra,

che si erano seccate all’improvviso,e cercò di concentrarsi sulla fiammadella candela. Anche se aveva fatto

tantissima pratica, non le piacevaentrare in trance, odiava lasensazione di perdere se stessa, lesembrava di scivolare sott’acqua.La fiamma tremolò e divenne più

luminosa. Sembrò gonfiarsi fino aoccupare tutto il suo campo visivo.Alla fine vide solo la fiamma.Io so chi sei, una voce fredda, roca

ringhiò all’improvviso nel suoorecchio, e Bonnie ebbe uno spasmo.Odiava le voci: talvolta eranosommesse e sembravano provenireda un televisore lontano, talvoltaerano proprio accanto a lei, come

quella che aveva appena sentito. Inqualche modo riusciva sempre adimenticarle, finché non cadeva dinuovo in trance. La voce distante diun bambino cominciò a mormorare abocca chiusa una cantilena stonata, eBonnie si concentrò per dare alproprio respiro un ritmo lento eregolare. Sentiva gli occhi cheslittavano verso una visione sfocata,indefinita. Un sapore acido, molle edisgustoso le riempì la bocca.L’invidia, tagliente e amara,serpeggiò dentro di lei. Non è giusto,non è giusto, borbottò una voce cupa

nella sua testa. E poi subentròl’oscurità.

Elena guardò con apprensione le

pupille di Bonnie che si dilatavano,riflettendo la fiamma della candela.Era preoccupata anche perchéBonnie cadeva in trance molto piùvelocemente rispetto alle primevolte.«Si alzano le tenebre». Dalla bocca

di Bonnie uscì una voce piatta ecavernosa che non somigliava perniente alla sua voce naturale. «Non èancora qui, ma desidera esserlo. Fa

freddo. Fa freddo da tanto tempo.Vuole stare vicino a noi, fuori dalletenebre, crogiolarsi nel calore deinostri cuori. Nel suo c’è solol’odio».«È un vampiro?», chiese subito

Meredith.La voce emise una risata dura,

strozzata. «È molto più forte diqualsiasi vampiro, Può trovaredimora in ognuno di voi.Sorvegliatevi l’un l’altro.Sorvegliate voi stessi».«Che cos’è?», chiese Matt.L’essere che parlava attraverso

Bonnie esitò.«Non lo sa», disse Stefan. «O non

può dircelo. Bonnie…», disse convoce intensa, «c’è qualcuno che cista portando questo male? Chi è ilresponsabile?».Nessuna esitazione stavolta.

«Elena», disse. «L’ha portatoElena».

9

Bonnie fece una smorfia sentendosulla lingua un disgustoso saporemetallico e batté le palpebre finchéla stanza non tornò a fuoco. «Puah!»,disse. «Detesto farlo».La fissavano tutti, sconvolti e

pallidi in viso.

«Che c’è?», chiese a disagio. «Cheho detto?».Elena sedeva immobile, come

pietrificata. «Hai detto che è colpamia», disse lentamente. «Qualunquecosa ci stia seguendo, sono io chel’ho portata qui». Stefan tese unbraccio per coprirle la mano con lasua.D’un tratto, la parte più meschina e

gretta della mente di Bonnie pensòcon tono seccato: Ma certo, si trattasempre di Elena, non è vero?Meredith e Matt la aggiornarono sul

resto delle cose che aveva detto

mentre era in trance, ma il lorosguardo continuava a tornare sulvolto afflitto di Elena, e appenafinirono di raccontarle quel che siera persa, si girarono del tutto versoElena, dandole le spalle.«Dobbiamo elaborare un piano»,

disse Meredith a Elena con vocesommessa.«Penso che un piccolo rinfresco

farebbe bene a tutti», disse la signoraFlowers, alzandosi in piedi, e Bonniela seguì in cucina, impaziente disfuggire alla tensione nella stanza.Si disse che, comunque, non era

portata per i piani. Lei era la ragazzadelle visioni, era così che dava il suocontributo. Quando si trattava diprendere delle decisioni, tutti sirivolgevano a Elena e a Meredith.Ma non era giusto, no? Lei non era

stupida, anche se tutti la trattavanocome la bambina del gruppo. Tuttipensavano che Elena e Meredithfossero così intelligenti, così forti,ma lei aveva salvato la situazionetantissime volte, e nessuno se nericordava mai. Si passò la linguasulle punte dei denti, cercando diraschiar via il saporaccio acido che

le era rimasto in bocca.La signora Flowers aveva deciso

che quello che serviva a calmare iragazzi era un bicchiere della sualimonata speciale ai fiori disambuco. Bonnie la guardavairrequieta, mentre riempiva dighiaccio i bicchieri, vi versava labevanda e li sistemava su un vassoio.Provava uno sgradevole senso divuoto, come se le mancassequalcosa. Non è giusto, pensò dinuovo. Nessuno dei suoi amici laapprezzava né si rendeva conto ditutto quello che aveva fatto per loro.

«Signora Flowers», disseall’improvviso. «Come fa a parlarecon sua madre?».La signora Flowers si girò verso di

lei, sorpresa. «Vedi, mia cara»,disse, «è molto facile parlare con ifantasmi, se loro vogliono parlarecon te, o se sono gli spiriti dellepersone che amavi. Sai, i fantasminon lasciano il nostro piano diesistenza, ma restano vicino a noi».«Eppure», insisté Bonnie, «lei può

fare più di quello, molto di più». Letornò in mente l’immagine dellasignora Flowers, ringiovanita, con

gli occhi fiammeggianti, i capellifluttuanti nell’aria, che contrastava ilPotere malvagio dei kitsune con unPotere di pari intensità. «Lei è unastrega molto potente».Sul volto della signora Flowers

c’era un’espressione riservata.«Molto carino da parte tua, miacara».Bonnie si arrotolò ansiosamente una

ciocca di capelli attorno al dito,soppesando le parole da dire.«Be’… se ne ha voglia, ovviamentesolo se ne ha anche il tempo, mipiacerebbe che mi allenasse. Va bene

qualsiasi cosa vorrà insegnarmi. Hodelle visioni e sono anche miglioratain questo, ma mi piacerebbesperimentare tutto, quindi andrà benequalsiasi altra cosa vorrà mostrarmi.La divinazione, le proprietà delleerbe. Incantesimi di protezione. Iferri del mestiere, insomma. Sento diavere ancora tanto da imparare, epenso di avere talento, sa? Lo spero,almeno».Per un lungo momento la signora

Flowers la fissò con uno sguardoindagatore e poi annuì di nuovo.«Ti farò da insegnante», disse.

«Con piacere. Possiedi un grandetalento naturale».«Sul serio?», disse timidamente

Bonnie. Una calda bolla di felicità sigonfiò dentro di lei, riempiendo ilvuoto che si era fatto largo fino apochi istanti prima.Poi Bonnie si schiarì la gola e

aggiunse, nel tono più casualepossibile: «Mi stavo chiedendo…può parlare a tutti gli spiriti deidefunti? O solo a quello di suamadre?».La signora Flowers non rispose

subito. A Bonnie parve che la

vecchietta, fissandola con gli acutiocchi celesti, riuscisse a leggerledentro e a studiare la sua mente e ilsuo cuore. Quando alla fine parlò, lasua voce era gentile.«Chi vorresti contattare, cara?».Bonnie si tirò indietro. «Nessuno in

particolare», rispose in fretta,cancellando dalla sua mentel’immagine dei profondi occhi neri diDamon. «È solo che mi sembrava unacosa che potrebbe tornare utile. Èanche un’abilità interessante. Peresempio, potrei usarla per impararel’intera storia di Fell’s Church».

Distolse lo sguardo dalla signoraFlowers e si occupò dei bicchieri dilimonata, mettendo da parte laquestione, per il momento. Avrebbeavuto l’occasione di farle di nuovoquella domanda. Presto.

«La cosa più importante», disse

seria Elena, «è proteggere Meredith.Abbiamo ricevuto un avvertimento, edobbiamo trarne vantaggio, non starequi seduti a preoccuparci e achiederci da dove venga il pericolo.Se sta arrivando qualcosa diterribile, qualcosa che io, chissà

come, ho portato qui, dobbiamoessere pronti ad affrontarla. Ma oracome ora, dobbiamo badare aMeredith».Stefan la guardava: era così bella,

gli faceva girare la testa, quasi insenso letterale. A volte la osservavada una certa angolazione e vedeva,come se fosse la prima volta, lacurva delicata del suo volto, illeggero rossore sulle sue guance,simile a un petalo di rosa, l’incarnatoluminoso della sua pelle, la lineasolenne e vellutata della sua bocca.In quegli istanti si sentiva la testa e

lo stomaco sottosopra, come sestesse scendendo in picchiata dallemontagne russe. Elena.Stefan apparteneva a lei; era così

semplice. Come se per secoli avesseviaggiato verso quell’unica ragazzamortale, e ora che l’aveva trovata, lasua lunghissima vita avessefinalmente uno scopo.Non è tua, comunque, disse una

voce dentro di lui. Noncompletamente. Non davvero.Stefan scacciò quel pensiero sleale.

Elena lo amava. Lo amava concoraggio, disperazione e passione, lo

amava molto più di quanto meritasse.E lui amava lei. Era l’unica cosa checontava.E in quel momento, la dolce ragazza

mortale che possedeva il suo cuorestava stabilendo con efficienza deiturni di guardia per proteggereMeredith, e assegnava i compiti conserenità, certa che tutti le avrebberoobbedito. «Matt», disse, «se domanisera lavori, tu e Alaric potete fare ilturno diurno. Stefan vi sostituirà perquello notturno, e io e Bonnieprenderemo il suo posto la mattina».«Avresti dovuto fare il generale», le

mormorò Stefan, guadagnandosi unsorriso fugace.«Non ho bisogno di guardie del

corpo», sbottò irritata Meredith.«Sono un’esperta di arti marziali eho già affrontato delle forzesoprannaturali in passato».A Stefan parve che il suo sguardo

indugiasse un attimo su di lui, comese stesse facendo delle congetture, esi sforzò di non reagire con stizza aquell’esame. «Il mio bastone èl’unica protezione di cui hobisogno».«Un bastone come il tuo non

sarebbe servito a proteggere Celia»,ribatté Elena. «Se Stefan non fossestato lì presente, pronto a intervenire,sarebbe rimasta uccisa». Sul divano,Celia chiuse gli occhi e appoggiò latesta al braccio di Alaric.«Va bene, allora». Meredith parlava

in modo brusco e sincopato, gli occhifissi su Celia. «È vero, tra tutti noi,solo Stefan poteva salvarla. Ed èanche per questo che tutto lo sforzodi squadra per proteggermi èridicolo. Elena, per caso hai la forzae la velocità necessarie a salvarmida un treno in corsa? E tu, Bonnie?».

Stefan notò che Bonnie, appenaentrata con un vassoio di bicchieri dilimonata, si era fermata e avevacorrugato la fronte alle parole diMeredith.Ovviamente, dopo la morte di

Damon e la perdita dei Poteri diElena, sapeva di essere l’unicorimasto a proteggere il gruppo. Be’,la signora Flowers e Bonnie avevanoalcune limitate abilità magiche. Poici ripensò. La signora Flowers, ineffetti, era piuttosto potente, ma nonsi era ancora ripresa dalla lottacontro la dea kitsune.

Quindi, si tornava al punto dipartenza: era l’unico in grado diproteggerli. Meredith poteva ancheparlare delle sue responsabilità comecacciatrice di vampiri, ma alla fine,nonostante il suo retaggio e il suoaddestramento, era soltanto unamortale.Esaminò il gruppo: tutti mortali. I

suoi mortali. Meredith, con i seriocchi grigi e una volontà d’acciaio.Matt, appassionato, ingenuo e onestofino al midollo. Bonnie, dolce esolare, e con una forza interiore cheforse neppure lei sapeva di avere. La

signora Flowers, una saggiamatriarca. Alaric e Celia… Be’, nonerano i suoi mortali allo stesso mododegli altri, ma finché erano lìricadevano sotto la sua protezione.Aveva giurato di proteggere gliumani, quando poteva. Se poteva.Ricordò che Damon una volta gli

aveva detto tutto gongolante, in unodei suoi pericolosi accessi di buonumore: «Sono troppo fragili, Stefan!Puoi romperli senza nemmeno farloapposta!».Ed Elena, la sua Elena. Ora era

vulnerabile come gli altri.

Rabbrividì. Se mai le fosse accadutoqualcosa, Stefan sapeva, senza ombradi dubbio, che si sarebbe toltol’anello che gli permetteva dicamminare alla luce del giorno, sisarebbe sdraiato sull’erba, sopra lasua tomba, e avrebbe atteso il sole.Ma la stessa voce grave che aveva

messo in discussione l’amore diElena per lui, gli sussurrò cupamentenell’orecchio: Lei non farebbe lostesso per te. Tu per lei non seitutto.Mentre Elena e Meredith, con

sporadici interventi da parte di Matt

e Bonnie, continuavano a discuteresull’utilità dei turni di guardia, Stefanchiuse gli occhi e si abbandonò airicordi della morte di Damon.

Stefan guardava, inebetito,

frastornato – o semplicemente nonabbastanza veloce – suo fratelloche, più svelto di lui fino all’ultimo,si precipitava verso il GrandeAlbero e lanciava Bonnie, leggeracome la lanugine del tarassaco, aldi là dei rami spinosi che stavanoper crollarle addosso.L’aveva appena messa in salvo,

quando un ramo lo colpì al petto,inchiodandolo a terra. Stefan vide ilmomento di stupore negli occhi disuo fratello, prima che sirovesciassero all’indietro. Unasingola goccia di sangue corsedalla sua bocca fino al mento.«Damon, apri gli occhi!», gridava

Elena. Nella sua voce c’eraun’aspra nota di angoscia cheStefan non aveva mai sentito prima.Lei afferrò di scatto Damon per lespalle, come se volesse scuoterloforte, e Stefan la staccò da lui. «Nonpuò, Elena, non può», disse con

voce strozzata.Non capiva che Damon stava

morendo? Il ramo aveva fermato ilsuo cuore e il veleno dell’Albero sistava diffondendo nelle vene e nellearterie. Era perduto ormai. Stefanposò a terra, con delicatezza, latesta del fratello. Era pronto alasciarlo andare.Ma Elena si opponeva.Girandosi per abbracciarla e darle

conforto, vide che si eradimenticata di lui. Aveva gli occhichiusi e muoveva le labbra senzaemettere suoni. Ogni muscolo del

suo corpo era in tensione, protesoverso Damon, e Stefan capì condoloroso stupore che lei e suofratello erano ancora connessi, tuttipresi da un’ultima conversazione suuna frequenza privata a cui lui nonaveva accesso.Il volto di lei era bagnato di

lacrime, e d’un tratto Elena cercò atentoni il coltello e, con unmovimento rapido e preciso, siincise la vena giugulare, il sangueprese a scorrerle lungo il collo.«Bevi, Damon», disse con vocedisperata, implorante, aprendogli la

bocca e chinandosi sopra di lui perfarvi colare dentro il sangue.L’odore del sangue di Elena, forte

e pungente, gli fece prudere i caniniper il desiderio, anche se erasconvolto dalla noncuranza con cuilei si era tagliata la gola. Damonnon bevve. Il sangue fuoriuscì dallabocca e colò sul mento,inzuppandogli la maglietta eraccogliendosi in piccole pozze frale pieghe della giacca di pelle nera.Elena scoppiò in singhiozzi e si

gettò sul petto di Damon, baciandole sue labbra fredde, tenendo gli

occhi serrati.Stefan intuì che lei era ancora in

comunione con lo spirito di Damon,che c’era uno scambio telepatico diamore e segreti personali fra loro,le due persone che aveva amato dipiù. Anzi, le uniche persone cheamava.Il freddo viticcio dell’invidia, la

sensazione di essere solo unestraneo che li spiava, si attorcigliòintorno alla sua spina dorsale,anche se calde lacrime di dolore glirigavano il volto.

Un telefono squillò e Stefan tornò dicolpo al presente.Elena diede un’occhiata allo

schermo del cellulare e rispose.«Ciao, zia Judith». Fece una pausa.«Alla pensione con gli altri. Siamoandati a prendere Alaric e la suaamica alla stazione». Rimase dinuovo in ascolto e fece una smorfia.«Scusa. Me n’ero dimenticata. Sì,arrivo. Dammi solo qualche minuto,va bene? Okay. Ciao».Chiuse la chiamata e si alzò in

piedi. «Stamani devo aver promessoa zia Judith che sarei tornata a casa

per cena. Robert ha tirato fuori il setper la fonduta e Margaret vuole chele mostri come affondare il pane nelformaggio». Alzò gli occhi al cielo,ma Stefan non ci cascò. Si vedevabenissimo che era contenta di averedi nuovo una sorellina che laidolatrava.Elena corrugò la fronte e continuò.

«Non sono sicura che potrò uscire dinuovo stasera, ma qualcuno devestare sempre con Meredith. Puoidormire qui stanotte, Meredith,invece che a casa tua?».Meredith, seduta sul divano con le

gambe raccolte sotto di sé, annuìlentamente. Aveva un’aria stanca eansiosa, nonostante prima si fossemostrata spavalda e sicura di sé.Elena le toccò la mano per salutarla,e Meredith le sorrise. «Sono sicurache i vostri servitori si prenderannocura di me, regina Elena», disse confare leggero.«Non ne dubito», rispose Elena

nello stesso tono, sorridendo ancheagli altri.Stefan si alzò in piedi. «Ti

accompagno a casa», disse.Anche Matt si alzò. «Io posso

portarti in macchina», propose, eStefan si stupì quando si accorse diaver dovuto reprimere l’impulso dirimettere a sedere Matt con unospintone. Spettava a lui prendersicura di Elena. Lei era sotto la suaresponsabilità.«No, restate qui, tutti e due», disse

con fermezza Elena. «Sono solo unpaio di isolati ed è ancora pienogiorno. Prendetevi cura diMeredith».Stefan tornò a sedere, continuando a

tenere d’occhio Matt. Elena, dopo uncenno di saluto, uscì, e Stefan protese

i suoi sensi per seguirla più lontanoche poteva, forzando il Potere peravvertire se nelle vicinanze sicelasse, in agguato, qualcosa dipericoloso, qualsiasi cosa. Ma i suoiPoteri, comunque, non erano affinatial punto di seguire Elena fino a casa.Frustrato, chiuse le mani a pugno.Era molto più forte quando siconcedeva di bere sangue umano.Meredith lo stava osservando, con

gli occhi grigi colmi di compassione.«Se la caverà», disse. «Non puoivegliare su di lei tutto il tempo».Ma posso provarci, pensò Stefan.

Alla fine della passeggiata, Elena

trovò Caleb che potava le lucidefoglie verdi dei cespugli di cameliefiorite nel giardino davanti casa.«Ciao», disse, stupita. «Sei stato

qui tutto il giorno?».Il ragazzo smisedi tagliare e si asciugò il sudoredalla fronte. Con i suoi capellibiondi e la sua sana abbronzaturasembrava un surfista californianotrapiantato in un prato della Virginia.Caleb le pareva in sintonia conquella perfetta giornata estiva, con illontano ronzio di un tagliaerba e il

cielo azzurro e profondo.«Certo», rispose lui in tono allegro.

«C’era tanto da fare. È venuto bene,vero?»«Sì, benissimo», disse Elena. Ed

era sincera. Caleb aveva falciatol’erba, tosato la siepe alla perfezionee disposto delle margherite nelleaiuole intorno all’edificio.«E tu cosa hai fatto oggi?», chiese

Caleb.«Niente di così faticoso», disse

Elena, scacciando il ricordo dellacorsa disperata per salvare Celia.«Siamo solo andati a prendere degli

amici alla stazione dei treni, poi cisiamo chiusi in un locale e abbiamopassato lì il resto della giornata.Comunque spero che il tempo simantenga bello. Volevamo andare afare un picnic a Hot Springsdomani».«Sembra divertente», concordò

Caleb. Elena per un attimo fu tentatadi invitarlo. Nonostante le riserve diStefan, Caleb sembrava un bravoragazzo, e probabilmente nonconosceva molte persone in città.Magari Bonnie avrebbe legato conlui. Era piuttosto carino, dopotutto.

Ed era da un po’ che a Bonnie nonpiaceva un ragazzo. A parte Damon,disse una vocina segreta in un angolodella sua mente.Ma, naturalmente, non invitò Caleb.

Che cosa le era venuto in mente? Leie i suoi amici non potevano avere unestraneo tra i piedi mentrediscutevano su quale entitàsoprannaturale ce l’avesse con loroin quel momento.Sentì una breve fitta di nostalgia.

Sarebbe mai riuscita a godersi unsemplice picnic, nuotare, flirtare eparlare con un ragazzo che le piaceva

senza problemi, senza oscuri segretida nascondere?«Non sei esausto?», chiese,

cambiando subito argomento.Le parve di scorgere un lampo di

delusione nei suoi occhi. Si era forseaccorto che aveva pensato diinvitarlo e poi aveva cambiato idea?Tuttavia, lui rispose senza esitare.«Oh, tua zia mi ha portato un paio dibicchieri di limonata e a pranzo homangiato un panino con tua sorella».Sorrise. «È un tesoro. Ed è ancheun’eccellente conversatrice. Mi hadetto tutto sulle tigri».

«Ha parlato con te?», chiesesorpresa Elena. «Di solito è moltotimida con la gente che non conosce.Ha rivolto la parola al mio ragazzo,Stefan, solo dopo averlo visto percasa un paio di mesi».«Oh, be’», disse lui, scrollando le

spalle. «Dopo che le ho mostrato unpaio di trucchi magici, era cosìaffascinata che ha dimenticato diessere timida. Sarà un’esperta dimagia prima di cominciare le medie.È un’illusionista nata».«Davvero?», disse Elena.

All’improvviso sentì una fitta allo

stomaco, un senso di privazione. Siera persa così tanto della vita dellasua sorellina. Quella mattina, acolazione, aveva notato che eracresciuta, che faceva discorsi piùmaturi. Era come se Margaret fossediventata una persona diversa senzadi lei. Elena si riscosse: dovevasmetterla di autocommiserarsi, stavadiventando una frignona. Già soloper il fatto di essere a casa, dovevaritenersi incredibilmente fortunata.«Eh, sì», disse Caleb. «Guarda, le

ho insegnato questo». Tese il pugnoabbronzato, lo girò e lo aprì,

mostrando una camelia dai petalibianchi e cerei, poi chiuse la mano e,quando l’aprì di nuovo, nel palmoc’era un bocciolo chiuso.«Fantastico», disse Elena,

incuriosita. «Fallo di nuovo».Guardò con attenzione mentre Caleb

apriva e chiudeva più volte la mano,mostrando prima il fiore poi ilbocciolo, e ancora: fiore, pugno ebocciolo.«Ho mostrato a Margaret come fare

lo stesso trucco con le monete,passando da un quarto di dollaro a uncentesimo», disse. «Ma il principio è

lo stesso».«Non è la prima volta che vedo

questo trucco», disse Elena. «Ma nonriesco a capire dove nascondi unoggetto mentre mostri l’altro. Sulserio, come fai?»«Magia, ovvio», disse lui

sorridendo, e aprì la mano perlasciar cadere il fiore di camelia aipiedi di Elena.«Tu credi nella magia?», disse lei,

guardando nei suoi caldi occhiazzurri. Stava flirtando con lei, sen’era accorta… I ragazzi ciprovavano sempre se lei dava loro

corda.«Be’, non posso farne a meno»,

disse lui a bassa voce. «Sono di NewOrleans, sai. La patria del voodoo».«Il voodoo?», ripeté Elena, e un

brivido freddo le corse lungo laschiena.Caleb scoppiò a ridere. «Ti sto solo

prendendo in giro», disse. «Voodoo.Cristo, che mucchio di stronzate».«Eh, già. Hai proprio ragione»,

disse Elena, con una risatina forzata.«Comunque, una volta», continuò

Caleb, «prima della morte dei mieigenitori, Tyler venne a trovarmi e ce

ne andammo insieme al quartierefrancese per farci predire la sorte dauna di quelle sacerdotesse voodoo».«I tuoi genitori sono morti?», chiese

Elena, sorpresa. Caleb abbassò unattimo la testa, ed Elena tese unbraccio per toccarlo, indugiando conla mano sulla sua. «Anche i miei»,disse.Caleb non mosse un muscolo. «Lo

so», disse.I loro sguardi si incontrarono, ed

Elena fece una smorfia dicompassione. Se ci faceva caso,c’era tanta sofferenza nei caldi occhi

azzurri di Caleb, anche se luisorrideva sempre.«È successo anni fa», disse lui con

voce sommessa. «A volte sentoancora la loro mancanza, sai com’è».Lei gli strinse la mano. «Lo so»,

disse con calma.Poi Caleb sorrise, scuotendo

leggermente la testa, e quel momentofra loro passò. «Comunque, il fatto dicui ti dicevo è successo prima»,disse. «Avevo forse dodici anniquando Tyler venne a New Orleans».Il suo leggero accento del Suddivenne più marcato mentre

raccontava, il tono più intenso eindolente. «Nemmeno allora credevoa quella roba, e penso che neancheTyler ci credesse, ma pensavamo chesarebbe stato divertente. Sai com’è, avolte può essere piacevolespaventarsi un poco». Fece unapausa. «In realtà, fu piuttostoinquietante. La stanza era piena dicandele nere accese e dappertuttoc’erano quei feticci strani, fatti diossa e capelli. La sacerdotessasparse della polvere sul pavimentointorno a noi e osservò i disegni chesi erano formati. A Tyler disse che

vedeva un grande cambiamento nelsuo futuro e che doveva pensarci duevolte prima di mettersi alla mercé diqualcuno».Elena trasalì involontariamente. Di

certo per Tyler era arrivato ungrande cambiamento, e si era messoalla mercé del vampiro Klaus.Ovunque fosse adesso, le cose nonerano andate secondo i suoi piani.«E a te cosa ha detto?», chiese.«Niente di che, in realtà», rispose

lui. «Perlopiù mi ha detto dicomportarmi bene. Di stare fuori daiguai, badare alla mia famiglia.

Questo genere di cose. Ed è ciò chefaccio. I miei zii hanno bisogno di meadesso, visto che Tyler èscomparso». Abbassò di nuovo losguardo, scrollò le spalle e sorrise.«Come ho già detto, comunque, èsolo un mucchio di stronzate. Lamagia e tutte quelle robe da svitati».«Già», mentì Elena. «Robe da

svitati».Il sole si nascose dietro una nuvola

ed Elena rabbrividì di nuovo. Caleble si avvicinò.«Hai freddo?», disse, e fece per

metterle un braccio intorno alle

spalle.In quel momento, dagli alberi

accanto alla casa esplose un raucogracchiare, e un grosso corvo nerovolò verso di loro, basso e veloce.Caleb abbassò subito la mano e sichinò per schivarlo, coprendosi lafaccia, ma il corvo deviò verso l’altoall’ultimo momento, sbattendofuriosamente le ali, e volò via.«L’hai visto?», strillò Caleb. «Ci è

quasi venuto addosso».«Sì», rispose Elena, osservando

l’aggraziata sagoma alata che sparivanel cielo. «L’ho visto».

10

“I fiori di sambuco si possono usareper esorcismi, protezione eprosperità”, lesse Bonnie, sdraiatasul letto a pancia in giù e con ilmento poggiato sulle mani. “In unanotte di luna crescente, mescola ifiori di sambuco alla consolida

maggiore e alla farfara in unfazzoletto di seta rossa, e otterrai unamuleto in grado di attirare denaro.Per la protezione personale, distilla ifiori in una vasca con fiori dilavanda, matricale e cardiaca. Per gliesorcismi, bruciali con issopo, salviae lacci del diavolo fino a ottenere unfumo denso che scaccerà gli spiritimaligni”.Lacci del diavolo? Era davvero

un’erba? A differenza delle altre, nonsembrava una pianta che potessetrovare nel giardino di sua madre.Sospirò sonoramente e saltò qualche

pagina.“Le erbe migliori per favorire la

meditazione sono agrimonia,camomilla, damiana, eufrasia eginseng. Si possono mescolare traloro e bruciare per fare i suffumigi o,se raccolte all’alba, si possonoseccare e sbriciolare per formare uncerchio intorno al soggetto”.Bonnie fissò il grosso libro con lo

sguardo torvo. Pagine e pagine sulleerbe: quali erano le proprietà adattea ogni circostanza, quandoraccoglierle, come usarle. Tutto erascritto nello stesso stile arido e

monotono del suo libro di geometria.Aveva sempre odiato studiare. La

cosa più bella dell’estate fra il liceoe l’università era proprio che per unavolta non era obbligata a starerannicchiata sul letto con un pesantelibro di testo nel tentativo dimemorizzare nozioni tremendamentenoiose. E invece eccola lì, a fareproprio quello, e se l’era purecercato.Quando aveva chiesto alla signora

Flowers di insegnarle la magia, siera aspettata qualcosa di più fico cheritrovarsi fra le mani un ingombrante

libro sulle erbe. Dentro di sé avevasperato in una lezione individualeche includesse attività pratiche comelanciare incantesimi, volare edevocare servitori magici pronti aesaudire ogni suo desiderio.Comunque, solo in misura minore siera aspettata di leggere qualcosa perconto suo. Doveva pur esserci unmodo per spingere le nozionimagiche a impiantarsi da sole nel suocervello. Magari usando la magia,no?Saltò qualche altra pagina. Oh,

questo sembrava un po’ più

interessante.“Per attirare la persona amata e

realizzare desideri segreti riempi unamuleto di cannella, primule e fogliedi tarassaco. Raccogli le erbedurante una pioggia leggera e, dopoaverle fatte seccare, legale con filidorati in un fazzoletto di vellutorosso”.Bonnie fece una risatina e picchiò i

piedi sul materasso, pensando chesarebbe stato facile farsi venire inmente qualche desiderio segreto dasoddisfare. Ma la cannella dovevaandarla a raccogliere o andava bene

lo stesso se la prendeva dalladispensa delle spezie? Voltò qualchealtra pagina. Erbe per avere visionipiù chiare, erbe purificanti, erbe daraccogliere con la luna piena o in unaassolata giornata di giugno. Fece unaltro sospiro e chiuse il libro.Era passata mezzanotte. Tese

l’orecchio, ma la casa era silenziosa.I suoi genitori dormivano. Ora cheMary, l’ultima delle tre sorellemaggiori a lasciare la casa paterna,era andata a vivere con il suoragazzo, Bonnie aveva nostalgia diquando poteva trovarla in fondo al

corridoio. Ma c’erano anche deivantaggi a non avere tra i piedi unasorella maggiore ficcanaso eprepotente.Scese dal letto con cautela,

cercando di fare meno rumorepossibile. I suoi genitori non avevanol’udito fine di Mary, ma sarebberousciti a controllare se l’avesserosentita alzarsi nel cuore della notte.Bonnie sollevò una tavola sotto il

letto, attenta a non farlascricchiolare. Era il suo nascondiglioda quando era ragazzina. All’inizioci teneva una bambola di Mary che

aveva preso senza permesso, unascorta segreta di caramelle compratacon la sua paghetta, il suo nastro diseta rossa preferito. Più tardi, ciaveva nascosto i bigliettini che lemandava il suo primo ragazzo o i testscolastici andati male.Comunque, niente di tanto sinistro

quanto l’oggetto che ci avevanascosto ora.Sollevò un libro non meno

voluminoso del tomo sulle erbe chele aveva prestato la signora Flowers.Sembrava più vecchio, però, con lasua copertina di pelle scura che il

tempo aveva reso morbida e rugosa.Anche quel libro apparteneva allabiblioteca della signora Flowers, manon l’aveva ottenuto da lei. Bonniel’aveva preso di nascosto dalloscaffale mentre la signora era dispalle, l’aveva fatto scivolare nelsuo zaino e aveva assunto l’aria piùinnocente del mondo quando, subitodopo, gli occhi penetrantidell’anziana donna avevanoindugiato su di lei.Si sentiva un po’ in colpa per aver

ingannato la signora Flowers in quelmodo, soprattutto dopo che aveva

acconsentito a farle da mentore. Ma,a dire il vero, nessun altro sarebbestato costretto a rubare il libro, tantoper cominciare. Tutti avrebberoaccettato come buona e giustaqualsiasi ragione addotta daMeredith ed Elena per volere illibro. Anzi, non sarebbero statecostrette nemmeno a trovare unascusa, sarebbe bastato che dicesserodi aver bisogno del libro. Sel’avesse chiesto lei, invece,avrebbero sospirato, dandole deicolpetti sulla testa – sciocca, dolceBonnie – e le avrebbero impedito di

fare quel che voleva.Sporse il mento e il suo volto si

indurì in un’espressione testardamentre seguiva col dito la scrittasulla copertina del libro.Dell’attraversare i confini tra lavita e la morte, lesse.Il cuore le batteva forte quando aprì

il libro alla pagina segnata. Ma lesue mani furono piuttosto fermequando prese quattro candele, duebianche e due nere, dal nascondigliosotto la tavola di legno.Sfregò un fiammifero, accese una

delle candele nere e la inclinò per far

gocciolare la cera sul pavimentoaccanto al letto. Appena si formò unapiccola pozza di cera fusa, Bonnie vipremette sopra la candela, in modoche restasse dritta sul pavimento.«Fuoco del Nord, proteggimi»,

intonò. Allungò la mano per prendereuna candela bianca.Il cellulare, attaccato al

caricabatterie sul comodino, si misea squillare. Bonnie lasciò cadere lacandela e imprecò.Si piegò verso il comodino per

prendere il cellulare e vedere chi lastesse chiamando. Elena. Ovvio.

Elena non badava mai all’ora quandovoleva parlare con qualcuno.Bonnie fu tentata di premere

“ignora”, poi ci ripensò. Forse era unsegno che non avrebbe dovutoeseguire il rituale; almeno non quellanotte. Forse era meglio fare primadelle ricerche più approfondite, perassicurarsi di eseguirlo nel modogiusto. Bonnie soffiò sulla candelanera e premette il tasto perrispondere alla chiamata.«Ciao, Elena», disse, sperando che

l’amica non avvertisse l’irritazionenella sua voce mentre riponeva con

cura il libro sotto l’asse delpavimento. «Che succede?».

Il peso dello strato di cenere era

insopportabile. Tentò di liberarsi contutte le forze, spingendo le coltrigrigie che lo immobilizzavano. Poi,preso dal panico, cominciò a scavarefreneticamente con le unghie,chiedendosi se davvero stesserisalendo in superficie o se piuttostonon si stesse scavando una fossasempre più profonda.In mano stringeva qualcosa…

qualcosa di delicato e fibroso, come

una manciata di petali sottili. Nonsapeva cosa fosse, ma sentiva chenon doveva lasciare quell’oggetto, eanche se intralciava i suoi sforzi, nonmise in discussione che fossenecessario tenerlo.Gli sembrava che fosse passata

un’eternità da quando avevacominciato a scavare nella spessacoltre grigia, poi finalmente l’altramano emerse in superficie,sgretolando l’ultimo strato di cenere,e nel suo corpo fluì un’ondata disollievo. Stava scavando nelladirezione giusta; non era destinato a

restare sottoterra per sempre.Allungò il braccio, cercando

qualcosa da usare come leva pertirarsi fuori. Ma fango e cenere gliscivolavano sotto le dita, senzadargli nulla di solido a cuiappigliarsi. Tastò il terreno finchénon trovò e strinse quello che al tattosembrava un pezzo di legno.Gli spigoli del legno gli mordevano

le dita mentre vi si aggrappava comea una cima di salvataggio lanciatanell’oceano in tempesta. Poco allavolta, affondando e slittando nelfango scivoloso, si fece strada verso

la superficie. Con un ultimo grandesforzo, si issò fuori da quella pozzadi cenere e fango, che produsse ungrasso suono di risucchio quandoemersero le spalle. Si alzò sulleginocchia, con i muscoli cheurlavano di dolore, poi in piedi.Tremava, scosso dai brividi,euforico nonostante il forte senso dinausea, e si strinse le braccia alpetto.Ma non vedeva niente. Fu preso dal

panico finché non si accorse chequalcosa gli impediva di aprire gliocchi. Si strofinò la faccia fino a

staccarsi gli ultimi grumi appiccicosidi cenere e fango dalle ciglia. Dopoun po’, finalmente, riuscì adischiudere le palpebre.Si trovava in una landa desolata.

Fango annerito, pozzanghere d’acquasoffocate dalla cenere.«Dev’essere accaduto qualcosa di

terribile», disse con voce roca esussultò, spaventato da quel suonoche spezzava il silenzio. Tutt’intornoregnava una profonda quiete.Stava congelando e allora si

accorse di essere nudo, coperto solodall’onnipresente cenere fangosa.

Ingobbì le spalle e poi,maledicendosi per quellamomentanea debolezza, si raddrizzò,ignorando il freddo e i muscolidoloranti.Doveva…Non riusciva a ricordare.Una goccia gli scivolò sulla

guancia, e si chiese distrattamente sestesse piangendo. O forse era ildenso fluido scintillante che vedevaovunque intorno a sé, mischiato allacenere e al fango?Chi era? Non sapeva neanche

questo e quel vuoto innescava in lui

un tremore incontrollabile, quasi unacosa a parte rispetto ai brividi difreddo.Le dita erano ancora serrate intorno

all’oggetto sconosciuto, come perproteggerlo, allora alzò il pugno e lofissò. Un istante dopo, lentamente,distese le dita.Fibre nere.Poi una goccia del liquido

opalescente gli scivolò sul palmo,finendo sul mucchietto di fibre.Dov’erano state toccate dal liquidosi trasformarono. Erano capelli.Morbidi capelli biondi e ramati.

Bellissimi.Chiuse ancora il pugno e se li

strinse al petto, sentendo cresceredentro di sé una determinazionenuova.Doveva andare.Di colpo, attraverso lo stordimento

che gli annebbiava la mente, glibalenò in testa una chiara immaginedella sua destinazione. Avanzòstrisciando i piedi fra la cenere e ilfango, verso la guardiola simile a uncastello, con alte guglie e pesantiporte nere che, per qualche motivo,era sicuro di trovare lì.

11

Elena riattaccò il telefono. Lei eBonnie avevano discusso di tuttoquello che stava succedendo, dallamisteriosa apparizione dei nomi diCelia e Meredith all’imminentesaggio di danza di Margaret. Ma nonera riuscita a menzionare l’unica

cosa di cui voleva davvero parlarle,che era anche il motivo per cuil’aveva chiamata.Sospirò. Poco dopo sentì qualcosa

sotto il materasso e tirò fuori ildiario con la copertina di vellutorosso.

Caro Diario,oggi pomeriggio ho parlato con Caleb

Smallwood sul prato di casa mia. Loconosco appena, eppure sento che cilega qualcosa di viscerale. Amo Bonniee Meredith più della mia stessa vita, maloro non sanno cosa significa perdere ipropri genitori, e questo pone una

distanza fra noi.In Caleb vedo me stessa. È un ragazzo

molto affascinante e ha un’aria tantospensierata. Sono sicura che la maggiorparte della gente pensa che la sua vitasia perfetta. Io so cosa significafingersi calmi ed equilibrati quandotutto dentro di te sta cadendo a pezzi. Tifa sentire maledettamente solo almondo. Spero che lui abbia qualcunocome Bonnie o Meredith, un amico sucui poter contare.

La cosa più strana, però, è successamentre parlavamo. Un corvo è sceso inpicchiata su di noi. Era piuttostoimponente, forse uno dei corvi piùgrandi che abbia mai visto, con le

piume nere iridescenti che brillavano alsole, gli artigli robusti e un grossobecco adunco. Forse si trattava dellostesso corvo che è apparso sul miodavanzale ieri mattina, ma non ne sonosicura. Come si fa a distinguere icorvi?

E, ovviamente, entrambi gli episodi mihanno ricordato Damon, perché primache ci conoscessimo mi osservava sottoforma di corvo.

La cosa strana, anzi, ridicola, è questoembrionale sentimento di speranza cheprovo in fondo al cuore. E se – continuoa pensare – e se per qualche motivoDamon non fosse davvero morto?

Poi la speranza crolla, perché Damon

è morto, e io devo guardare in faccia larealtà. Se voglio rimanere forte, nonposso mentire a me stessa. Non possocontinuare a raccontarmi le bellefavolette in cui i nobili vampiri nonmuoiono, in cui si cambiano le carte intavola perché è uscito dal giocoqualcuno a cui tenevo.

Ma quella speranza torna di soppiattodentro di me. E se…

Sarebbe crudele raccontare a Stefandel corvo. Il lutto l’ha cambiato.Talvolta, quando è troppo silenzioso,colgo uno sguardo strano nei suoi occhiverde foglia, sembra quasi che unosconosciuto abbia preso il suo posto.Allora so che pensa a Damon, e quei

pensieri lo portano dove non posso piùseguirlo.

So che potrei dirlo a Bonnie. Tenevamolto a Damon, e so che non miprenderebbe in giro perché mi chiedoancora se, per qualche motivo, luipossa essere vivo, magari sotto un’altraforma. Anche perché lei, oggipomeriggio, ha suggerito proprio lastessa cosa. All’ultimo minuto, però,non sono riuscita a parlarle del corvo.

So perché, ed è per una pessima,egoistica, stupida ragione: sono gelosadi Bonnie. Perché Damon le ha salvatola vita.

Orribile, vero?Le cose stanno così. Per tanto tempo,

fra milioni di ragazze, ce n’era solouna che Damon avesse a cuore. Soltantouna. E quella ero io. Tutte le altrepotevano anche andare all’inferno, perquel che gli importava. A stentoricordava i nomi delle mie amiche.

Poi qualcosa cambiò fra Damon eBonnie, forse quando erano da solinella Dimensione Oscura, forse prima.Lei ha sempre avuto una piccola cottaper lui, lo difendeva, tranne quando sicomportava in modo davvero crudele, epoi lui ha cominciato ad accorgersi delsuo piccolo pettirosso. Vegliava su dilei. Era affettuoso.

E quando l’ha vista in pericolo si èprecipitato a salvarla senza riflettere

neanche un secondo su ciò che potevacostargli.

Quindi sono gelosa. Perché Damon hasalvato la vita a Bonnie.

Sono una persona orribile. Ed è perquesto che non voglio condividere piùniente di Damon con Bonnie, neanche imiei pensieri sul corvo. Voglio teneresolo per me questa parte di lui.

Elena rilesse ciò che aveva scritto

con le labbra serrate in una smorfiaamara. Non andava fiera dei suoisentimenti, ma non poteva negare cheesistessero.Si distese sul letto, lasciando

ricadere la testa sul cuscino. Erastata una giornata lunga emassacrante, ed era già l’una delmattino. Aveva augurato labuonanotte a zia Judith e a Robert unpaio d’ore prima, ma proprio nonriusciva a restare a letto. Dopoessersi infilata la camicia da notte,aveva perso tempo in camera: si eraspazzolata i capelli, aveva messo unpo’ in ordine le sue cose, sfogliatouna rivista, rimirato consoddisfazione l’elegante guardarobaa cui non aveva potuto attingere permesi. Aveva chiamato Bonnie.

Bonnie le era sembrata strana.Distratta, forse. Oppure era solostanca. Dopotutto era tardi.Era stanca anche lei, ma non voleva

andare a dormire. Alla fine loammise: aveva un po’ di paura adaddormentarsi. La notte prima,Damon gli era parso così reale insogno. Abbracciandolo aveva sentitoil suo corpo solido, concreto. Sullaguancia aveva avvertito lamorbidezza dei suoi serici capellineri. Nella sua voce armoniosa sierano susseguiti toni sarcastici,seducenti e autoritari, proprio come

quando era in vita. E quando si eraricordata, con un senso di nausea e diorrore, che lui non c’era più, erastato come vederlo morire un’altravolta.Ma non poteva restare sveglia per

sempre. Era così stanca. Elenaspense la luce e chiuse gli occhi.Era seduta sulle cigolanti vecchie

gradinate della palestra scolastica.L’aria puzzava di scarpe daginnastica sudate e di cera per ipavimenti in legno.«È qui che ci siamo conosciuti»,

disse Damon. Elena si accorse che

era seduto accanto a lei, così vicinoche la manica della sua giacca dipelle le sfiorava il braccio.«Che romantico», rispose,

sollevando un sopracciglio, e diedeun’occhiata in giro per la grande salavuota, con i cesti da basket appesi aogni estremità.«Ci provo», disse Damon, e una

sfumatura ironica tinse la sua vocesecca. «Ma il posto l’hai scelto tu. Èil tuo sogno».«È davvero un sogno?», disse

subito Elena, girandosi per guardarlobene in viso. «Non sembra».

«Be’, mettiamola in questi termini»,disse lui. «In realtà, noi non siamoqui». La fissava con uno sguardoserio e assorto, poi, all’improvviso,le rivolse uno dei suoi sorrisiabbaglianti, fulminei, e i suoi occhisi fecero sfuggenti. «Sono contentoche all’epoca in cui io andavo ascuola non esistessero palestre delgenere», disse con noncuranza,stirando le gambe. «Sembra cosìindecoroso che se ne stiano tutti inpantaloncini a giocare con le palle digomma».«Stefan ha detto che all’epoca anche

tu facevi sport», disse Elena, turbataanche se cercava di non darlo avedere. Damon corrugò la frontesentendo il nome del fratello.«Non importa», aggiunse lei in

fretta. «Potremmo non avere moltotempo. Per favore, Damon,rispondimi: hai detto che non sei qui,ma sei da qualche altra parte? Staibene? Anche se sei morto… Intendomorto davvero, definitivamente, seicomunque da qualche parte?».Lui la fissò con uno sguardo intenso.

Fece una leggera smorfia quando lechiese: «E così importante per te,

principessa?»«Certo che è importante», disse

Elena, sconvolta. I suoi occhi sistavano riempiendo di lacrime.Il tono di lui era frivolo, ma gli

occhi, così neri che non si capivadove finisse l’iride e cominciasse lapupilla, erano attenti. «Gli altri,intendo i tuoi amici, gli abitanti diquesta città, stanno tutti bene, non èvero? Il tuo mondo è tornato allanormalità. Se sei determinata aottenere ciò che desideri, deviaspettarti dei danni collaterali».Elena intuì dalla sua espressione

che ciò che avrebbe risposto sarebbestato di importanza fondamentale.Nel profondo del cuore, non avevagià ammesso a se stessa, il giornoprima, che, per quanto amasseDamon, le cose andavano meglio eche tutto aveva ripreso gusto ora chela città era salva e lei era tornata allasua vecchia vita? E che era ciò chevoleva, anche se implicava la mortedi Damon? Che Damon fosse ciò cheaveva detto: un danno collaterale?«Oh, Damon», disse alla fine,

frustrata. «So solo che mi manchitanto».

Il viso di lui si addolcì e tese lamano verso la sua guancia.«Elena…».«Sì?», mormorò lei.«Elena?». Una mano la scuoteva

con dolcezza. «Elena?». Poi lecarezzò i capelli ed Elena strofinò latesta contro il palmo, come unagattina assonnata.«Damon?», disse, mezzo sognando.

La mano smise di accarezzarla e siritrasse. Elena aprì gli occhi.«Sono solo io, purtroppo», disse

Stefan. Era seduto sul letto accanto alei, la sua bocca era una linea dritta e

sottile, gli occhi la evitavano.«Oh, Stefan», disse lei, alzandosi a

sedere e abbracciandolo con slancio.«Non volevo…».«Va tutto bene», la interruppe lui in

tono piatto, girandosi dall’altra parte.«So quanto fosse importante per te».Elena lo costrinse a voltarsi e lo

guardò negli occhi. «Stefan. Stefan».I suoi occhi verdi avevanoun’espressione distante. «Midispiace», disse in tono di supplica.«Non hai nulla di cui scusarti,

Elena», replicò lui.«Stefan, stavo sognando Damon»,

confessò. «È vero, Damon èimportante per me e… mi manca».Un muscolo si contrasse sul volto diStefan ed Elena gli carezzò laguancia. «Non amerò mai nessunopiù di te, Stefan. Sarebbei mp o s s i b i l e . Stefan», disse,sentendosi sul punto di piangere, «seitu il mio vero amore, lo sai». Se soloavesse potuto raggiungerlo emostrarglielo con la propria mente,fargli capire ciò che provava per lui.Non aveva mai esplorato del tutto glialtri suoi Poteri, non li aveva mairivendicati, ma sentiva che la perdita

della loro connessione telepaticaavrebbe potuto ucciderla.L’espressione di Stefan si addolcì.

«Oh, Elena», disse lentamente, e laprese fra le braccia. «Damon mancaanche a me». Affondò il viso fra isuoi capelli e ciò che disse dopo legiunse attutito. «Ho passato centinaiadi anni a litigare con mio fratello. Ciodiavamo. Ci siamo uccisi l’unl’altro quando eravamo umani, epenso che nessuno dei due abbia maisuperato il senso di colpa e il trauma,l’orrore di quel momento». Elenasentì che il suo corpo vibrava,

scosso dai brividi.Stefan emise un sospiro sommesso,

triste. «E se alla fine abbiamocominciato a trovare un modo percomportarci di nuovo come fratelli, èstato solo grazie a te». Con la fronteancora poggiata sulla sua spalla,Stefan le prese la mano e la tenne trale sue, rigirandola e carezzandolamentre pensava. «È morto cosìall’improvviso. Credo che non misarei mai aspettato… Non mi sareimai aspettato che Damon morisseprima di me. È sempre stato il piùforte, quello che amava davvero la

vita. Mi sento…». Abbozzò unsorriso triste, piegando appena lelabbra. «Mi sento… incredibilmentesolo senza di lui».Elena intrecciò le dita con le sue e

gli strinse forte la mano. Stefan sivoltò verso di lei, incontrando i suoiocchi, e lei si tirò un po’ indietro perpoterlo guardare meglio. C’eradolore nel suo sguardo, e pena, mac’era anche una durezza che non viaveva mai visto prima.Lo baciò, cercando di attenuare

quell’espressione dura, spigolosa.Lui le resistette per mezzo secondo,

poi rispose al bacio.«Oh, Elena», sospirò con voce

rauca, e la baciò ancora.Mentre il bacio si faceva più

appassionato, Elena sentì un tenero,appagante senso di equilibriopropagarsi dentro di lei. Succedevasempre così: se sentiva una distanzafra sé e Stefan, il contatto tra le lorolabbra li univa di nuovo. Sentìun’ondata di stupore e di amore perlui, si aggrappò a quell’emozione,ritrasmettendola a Stefan, mentre fraloro cresceva la tenerezza. Ora cheaveva perduto i suoi Poteri, ne aveva

bisogno più che mai.Proiettò i suoi pensieri e le sue

emozioni oltre la tenerezza, oltrel’amore solido come la roccia chesempre l’aspettava nel bacio diStefan, e frugò più a fondo nella suamente. Vi trovò un’intensa passione,la ricambiò, e mentre le loroemozioni si intrecciavano, le mani sistrinsero più forte.Sotto la passione, trovò il dolore,

un dolore terribile e senza fine, eancora più in là, sepolta nelleprofondità delle emozioni di Stefan,c’era una struggente solitudine, la

solitudine di un uomo che avevavissuto secoli senza amici, senza unacompagna.E in quella solitudine sentì un

sapore insolito. Il sapore di unacosa… rigida, fredda, leggermentemetallica, come se avesse morso unalamina d’acciaio.Una cosa che Stefan le stava

nascondendo. Ne era sicura e si tuffòpiù a fondo nella sua mente, mentre iloro baci si facevano più intensi.Voleva tutto di lui, ne avevabisogno… Cominciò a tirarsiindietro i capelli, per offrirgli il

sangue. Questo aveva sempre portatoal massimo la loro intimità.Ma prima che lui potesse accettare

l’offerta, sentirono un improvvisobussare alla porta.La porta si aprì quasi subito e zia

Judith sbirciò dentro la stanza. Elenasbatté le palpebre, trovandosi dasola, con i palmi che bruciavano perla velocità con cui Stefan si eraallontanato da lei. Si guardòfreneticamente attorno, ma lui erasvanito.«La colazione è pronta, Elena»,

disse allegra zia Judith.

«Uh, sì, arrivo», disse Elena conaria assente, fissando l’armadio echiedendosi dove si fosse nascostoStefan.«Ti senti bene, cara?», chiese

preoccupata sua zia, corrugando lafronte. Elena all’improvviso si videcome doveva apparire alla zia: occhispalancati, rossa in viso escarmigliata, seduta sul lettosgualcito a guardarsi attorno comeuna pazza. Era passato un bel po’ ditempo dall’ultima volta che Stefanaveva dovuto usare la sua velocità davampiro per un motivo così banale

come non farsi beccare nella suastanza da letto!Rivolse a zia Judith un sorriso

rassicurante. «Scusa, sono ancoramezza addormentata. Scendo subito»,disse. «Devo sbrigarmi. Stefan vienea prendermi fra poco».Appena zia Judith uscì dalla stanza,

Elena intravide Stefan, che lasalutava dal prato sotto la finestraaperta, e rispose ridendo al saluto,accantonando per un momento lestrane emozioni che aveva percepitoin fondo alla sua mente. Lui lecomunicò a gesti che avrebbe fatto il

giro dell’edificio e si sarebbepresentato alla porta principale pochiminuti dopo.Lei rise di nuovo, saltò in piedi e

cominciò a prepararsi per il picnic aHot Springs. Era bello essere solouna ragazza che si preoccupa didover rimanere a casa per punizione.Era… piacevolmente normale.Pochi minuti dopo, mentre Elena, in

pantaloncini e maglietta celeste, con icapelli raccolti a coda di cavallo,scendeva le scale, suonò ilcampanello.«Dev’essere Stefan», disse appena

zia Judith apparve sulla soglia dellacucina. Afferrò la sua borsa daspiaggia e il frigo portatile dallapanca nel corridoio.«Elena!», disse zia Judith in tono di

rimprovero. «Devi mangiarequalcosa prima di andare!».«Non ho tempo», rispose Elena,

sorridendo perché quel tipo didiscussioni le era familiare.«Prenderò un muffin o qualcosa perstrada». Durante gli anni del liceo,quasi tutte le mattine avevascambiato con zia Judith paroleidentiche o simili a quelle.

«Oh, Elena», disse zia Judith,alzando gli occhi al cielo. «Non timuovere, signorina. Torno subito».Elena aprì la porta e sorrise

guardando Stefan negli occhi. «Ciao,straniero», sussurrò con voce roca ebassa. Lui la baciò dolcemente,sfiorandole le labbra.Zia Judith tornò di corsa

all’ingresso e le spinse in mano unabarretta di cereali. «Tieni», disse.«Almeno avrai qualcosa nellostomaco».Elena la strinse in un breve

abbraccio. «Grazie, zia», disse. «Ci

vediamo dopo».«Divertiti, ma non dimenticare che

c’è il saggio di danza di Margaretstasera, mi raccomando», disse ziaJudith. «Tua sorella è su di giri». ZiaJudith li salutò con la mano dallasoglia, mentre, senza fretta, sidirigevano verso la macchina.«Abbiamo appuntamento con gli

altri alla pensione e poi ci mettiamotutti in marcia verso Hot Springs»,disse Stefan. «Matt e Meredithvengono con la loro macchina».«Oh, bene, così non staremo stretti

come ieri. Non che mi dispiaccia

sedere sulle tue ginocchia, ma temoche potremmo spiaccicare Celia sulsedile», disse Elena. Alzò il viso e sistiracchiò come un gatto al sole. Unaleggera raffica di vento fece oscillarela sua coda di cavallo, e lei chiusegli occhi e assaporò la sensazione.«È una splendida giornata per unpicnic», disse. Il cinguettio degliuccelli e il fruscìo delle foglieravvivavano l’aria. Una rada tramadi nuvole bianche faceva risaltarel’azzurro luminoso del cielo. «Portamale se dico che mi sembra una diquelle giornate in cui non può

accadere nulla di male?», chiese.«Sì, porta male, sicuro al cento per

cento», disse Stefan con la facciaseria, sbloccando la portiera del latopasseggeri.«Allora non lo dirò», disse Elena.

«Non lo penserò nemmeno. Ma misento bene. Sono secoli che non vadoa Hot Springs». Le sue labbra siallargarono in un candido sorriso dipiacere e Stefan le sorrise dirimando, ma lei scorse ancora unavolta una luce nuova e preoccupantenel suo sguardo, e ne fu turbata.

12

«Sarà una bella giornata. Perfettaper un picnic», constatò con calmaMeredith.Bonnie, con tatto ma con fermezza,

aveva spinto Celia a entrare nellaFord di Matt, così Meredith erafinalmente sola con Alaric, per la

prima volta dal suo arrivo. Una partedi lei voleva solo accostare lamacchina, afferrare Alaric e baciarlofino allo sfinimento, tanto era feliceche fosse tornato. Nel caos e nellafollia degli ultimi mesi, avevadesiderato che lui fosse a combattereal suo fianco, a darle supporto.Ma l’altra parte voleva accostare la

macchina, afferrare Alaric echiedergli spiegazioni sull’esattanatura della sua relazione con ladottoressa Celia Connor.Invece continuò a guidare

placidamente, tenendo le mani alle

dieci e dieci sul volante escambiando le solite quattrochiacchiere sul tempo. Si sentiva unacodarda, e Meredith Suarez non eraaffatto una codarda. Ma cosa avrebbepotuto dire? E se fosse stata solo unasua paranoia, se fosse stata così inansia per una semplice relazioneprofessionale?Sbirciò Alaric con la coda

dell’occhio. «Allora…», disse.«Raccontami qualcos’altro sulle tuericerche in Giappone».Alaric si passò una mano fra i

capelli già arruffati e sorrise. «È

stato un viaggio affascinante», disse.«Celia è intelligente e ha moltaesperienza. Riesce a mettere insiemetutti gli indizi su una civiltà. È statauna rivelazione per me osservarlamentre decifrava le testimonianzerinvenute nelle tombe. Prima nonsapevo granché sull’antropologiaforense, ma lei è riuscita a ricostruireuna sorprendente quantità di datisulla cultura della Unmei no Shima».«Sembra proprio una ragazza

straordinaria», disse Meredith,cogliendo la nota di acidità nellapropria voce.

Pareva che Alaric non l’avessenotata. Abbozzò un sorriso. «Ci hamesso un po’ a prendere sul serio lemie ricerche sul paranormale», dissemesto. «La parapsicologia non èparticolarmente ben vista dagliesperti delle altre disciplinescientifiche. Pensano che quelli che,come me, scelgono di passare la vitaa studiare il mondo soprannaturalesiano dei ciarlatani o degli ingenui.O dei mezzi pazzi».Meredith si sforzò di usare un tono

gioviale. «Sei riuscito a convincerlaalla fine, no? Ottimo».

«Più o meno», rispose Alaric. «Allafine siamo diventati amici, così hasmesso di vedermi come untruffatore. Comunque, penso che trovitutto più credibile dopo aver passatouna giornata qui». Fece un sorrisoironico. «Ha cercato di nasconderlo,ma è rimasta davvero impressionataieri quando Stefan l’ha salvata.L’esistenza di un vampiro rendeevidente che ci sono tante cose su cuila scienza convenzionale non saniente. Sono sicuro che le piacerebbeesaminare Stefan, con il suoconsenso ovviamente».

«Immagino che sia così», dissesecca Meredith, resistendoall’impulso di chiedere ad Alaricperché pensava che Stefan avrebbecollaborato quando era parso moltocontrariato che avesse raccontato dilui a Celia.Alaric fece scivolare una mano sul

sedile finché non fu abbastanzavicino da far scorrere un dito lungo ilbraccio di Meredith, con delicatezza.«Ho imparato tantissimo in questoviaggio», disse con sincerità, «ma mipreoccupa molto di più quello chesta succedendo ora a Fell’s Church».

«Ti riferisci alla magia nera che sistarebbe manifestando in città?»,chiese Meredith.«Mi riferisco alla magia nera che ha

preso di mira te e Celia», disse conenfasi Alaric. «E non sono sicuro chevoi due stiate prendendo la cosaabbastanza sul serio».Me e Celia, pensò Meredith. È

preoccupato per lei come lo è perme. Forse di più.«So che abbiamo già affrontato

pericoli del genere in passato, ma misento responsabile per Celia»,continuò Alaric. «L’ho portata qui io,

e non potrei mai perdonarmi se lesuccedesse qualcosa».Sicuramente di più, pensò con

amarezza Meredith, e si scrollò didosso la mano di Alaric.Si pentì subito del gesto. Che cosa

le prendeva? Lei non era così. Erasempre stata una persona calma erazionale. Ora invece si sentivacome, be’, come una fidanzatagelosa.«E ora sta minacciando anche te»,

continuò Alaric. Le toccòtimidamente il ginocchio, e stavoltaMeredith non si oppose. «Meredith,

so che sei forte. Ma sono terrorizzatoperché questo non sembra il tipo dinemico a cui siamo abituati. Comepossiamo combattere qualcosa cheneppure vediamo?»«Possiamo solo restare vigili»,

disse Meredith. Aveva ricevuto unaddestramento completo, ma persinolei non comprendeva quel nuovonemico. Eppure era in grado diprendersi cura di se stessa moltomeglio di quanto Alaricimmaginasse. Lo guardò con la codadell’occhio. Aveva lasciato apertouno spiraglio del finestrino, e la

brezza scompigliava i suoi capellicolor sabbia. Si conoscevano cosìbene, eppure lui ignorava il suosegreto più grande.Ponderò per un attimo la possibilità

di dirglielo, ma poi lui si girò versodi lei e disse: «Celia sta facendobuon viso a cattivo gioco, ma so cheè spaventata. Non è una dura comete».Meredith si irrigidì. No, non era il

momento giusto per dire ad Alaricche era una cacciatrice di vampiri.Non mentre era alla guida. Nonmentre ribolliva di rabbia.

All’improvviso, la mano che lui leaveva appoggiato sul ginocchio lesembrò pesante e viscida, ma sapevache non poteva scrollarsela di dossoun’altra volta senza tradire i proprisentimenti. Dentro di sé era furiosaper come la conversazionecontinuava a tornare su Celia. Alaricaveva pensato a lei per prima. Eanche quando aveva menzionato ilpericolo che correva Meredith, neaveva parlato in termini di ciò cheera accaduto a Celia.La voce di Alaric diventò un ronzio

di sottofondo mentre Meredith

stringeva il volante tanto forte dafarsi sbiancare le nocche.Sul serio,perché si sorprendeva tanto cheAlaric provasse dei sentimenti perCelia? Non era cieca. Poteva essereobiettiva. Celia era brillante,affermata, bellissima. Celia e Alaricerano allo stesso punto della lorovita. Meredith non aveva ancoracominciato il collage. Sapeva diessere attraente, e di sicuro eraintelligente. Ma Celia era tutto questoe di più ancora: il suo rapportoparitario con Alaric era qualcosa concui Meredith non poteva competere,

non ancora almeno. Certo, lei era unacacciatrice di vampiri. Ma Alaricnon lo sapeva. E se l’avesse saputo,avrebbe ammirato la sua forza? O sisarebbe allontanato da lei,spaventato dalle sue abilità,preferendo una persona con unapproccio più accademico alsoprannaturale, come Celia?Una bolla nera di infelicità riempì il

petto di Meredith.«Comincio a pensare che dovrei

portare Celia lontano da qui, seriuscissi a convincerla a partire».Alaric lo disse in tono riluttante, ma

Meredith a malapena lo ascoltava.Sentiva freddo, come se fossecircondata dalla nebbia. «Forsedovrei riportarla a Boston. Penso cheanche tu dovresti lasciare Fell’sChurch, Meredith, se riesci aconvincere la tua famiglia a lasciartiviaggiare per il resto dell’estate.Potresti venire con noi, o forse haiqualche parente da cui potresti stare,se la tua famiglia non è d’accordo.Ho paura che tu non sia al sicuroqui».«Non mi è successo ancora niente»,

disse Meredith, sorpresa da come

suonasse calma la propria voce,nonostante tutti i sentimenti oscuriche le ribollivano dentro. «Inoltre, hoil dovere di restare qui a proteggerela città. Se pensi che Celia sia più alsicuro lontano da qui, fate ciò cheritenete meglio. Ma sai di non averealcuna garanzia che la cosa che ci staminacciando non la segua da qualchealtra parte. Almeno qui ci sonopersone consapevoli del pericolo.Inoltre», aggiunse pensosa, «Celiapotrebbe essere ormai fuori dalle suegrinfie. Forse quando un suo attaccoviene scongiurato, la cosa si sposta

su qualcun altro. Il mio nome èapparso solo dopo che Stefan avevasalvato Celia. Se è così, vuol direche il pericolo riguarda solo me».Non che te ne importi qualcosa,

pensò con cattiveria. Era sorpresa dise stessa: certo che gli importava.Solo che sembrava più preoccupato

di ciò che poteva accadere a Celia.Mentre lasciava la strada asfaltata

per seguire la macchina di Stefan nelparcheggio di Hot Springs, conficcòle unghie nei palmi delle mani strettesul volante.«Ferma!», urlò Alaric, col panico

nella voce, e Meredith frenò di botto.La macchina si fermò sgommando.«Che c’è?», chiese Meredith. «Che

succede?».E poi la vide.La dottoressa Celia Connor era

scesa dalla macchina di Matt e stavaattraversando il parcheggio, diretta alsentiero che portava alle sorgenti.Meredith le era arrivata addosso atutta velocità. Celia stava immobile,pietrificata, a pochi centimetri dalparaurti anteriore dell’auto, con ilbel viso grigio di paura e la bocca aforma di O.

Un secondo in più, e Meredithl’avrebbe uccisa.

13

«Mi dispiace tanto. Mi dispiacedavvero tanto», disse Meredith per latrentesima volta. Il suo viso,solitamente composto, era paonazzoe gli occhi erano lucidi di lacrimetrattenute. Matt non ricordava diaverla mai vista tanto sconvolta per

qualcosa, soprattutto per una cosache alla fine non si era rivelata tantograve. È vero, Celia avrebbe potutofarsi male, ma la macchina nonl’aveva neanche sfiorata.«Sto bene, Meredith, davvero», la

rassicurò di nuovo Celia.«Non ti ho proprio vista. Non so

come sia potuto succedere, ma ècosì. Grazie a Dio se n’è accortoAlaric», disse Meredith, lanciandoun’occhiata di gratitudine ad Alaricche, seduto al suo fianco, lemassaggiava le spalle.«Va tutto bene, Meredith», disse lui.

«Non è successo niente». Alaricsembrava più preoccupato per leiche per Celia, e Matt non lobiasimava. Farfugliare non eraproprio tipico di Meredith. Alaricl’abbracciò stretta e lei si rilassòvisibilmente.Celia, d’altro canto, si irrigidì in

modo altrettanto evidente quandoMeredith si abbandonò fra le bracciadi Alaric. Matt scambiò uno sguardomesto con Bonnie.Stefan allungò un braccio e carezzò

le spalle di Elena con aria assente, eMatt fu sorpreso di sentire anche lui

una fitta di gelosia. Avrebbe maidimenticato Elena Gilbert? Eratrascorso più di un anno da quando sierano lasciati, e gli sembrava diavere un secolo di esperienza allespalle.Bonnie lo stava ancora guardando e,

dalla luce che aveva negli occhi,Matt comprese che stava facendo lesue belle congetture, così le rivolseun sorriso vacuo. Preferiva nonsapere ciò che Bonnie aveva letto nelsuo sguardo mentre osservava Elenae Stefan.«Dietro quella curva, alla fine della

salita, c’è la Buca», disse a Celia,mettendosi accanto a lei perspingerla a proseguire lungo ilsentiero. «È una bella camminata, maè il posto migliore qui attorno per unpicnic».«Il migliore in assoluto», esclamò

Bonnie. «E possiamo tuffarci nellapozza sotto la cascata». Prese Celia abraccetto dall’altra parte, aiutandoMatt ad allontanarla dalle due coppieche camminavano dietro di loromormorandosi paroline dolci.«Ma non è pericoloso?», chiese

dubbiosa Celia.

«Per niente», disse Bonnie. «Daqueste parti, tutti si tuffano dallacascata e nessuno si è mai fattomale».«Di solito non c’è pericolo», disse

Matt, più cauto. «Forse tu e Meredithpotreste evitare di venire a nuotare».«Non lo sopporto», disse Bonnie.

«Non sopporto che dobbiamo esseresuper prudenti a causa di unamisteriosa entità maligna di cui nonsappiamo nulla. Dovrebbe esseretutto normale».Normale o no, fu un magnifico

picnic. Distesero le coperte sulle

rocce vicino alla cima della cascata.Una serie di cascatelle precipitavalungo il dirupo e finiva in unaprofonda pozza di acquaeffervescente, creando una specie difontana naturale che si riversava nellimpido laghetto verde-bronzo.La signora Flowers aveva preparato

per loro panini, insalate e dessert,oltre a carne e pannocchie dacucinare alla griglia sul bracieregiapponese che Stefan aveva portatodalla pensione. Avevano cibo piùche sufficiente per due giorni dicampeggio, figurarsi per un solo

pranzo. Elena aveva riposto le bibitefredde in un frigo portatile e, dopouna scarpinata in salita nel caldoestivo della Virginia, erano tuttifelici di stappare una limonata o unabibita gassata.Persino Stefan prese una bottiglia

d’acqua e bevve mentre cominciavaa scaldare la griglia, anche se fusubito chiaro a tutti che non avrebbemangiato. Matt aveva sempre trovatoun po’ inquietante che Stefan nonmangiasse, anche prima di sapere chefosse un vampiro.Le ragazze sgusciarono fuori da

jeans e magliette per sfoggiare icostumi da bagno, come bruchi che sitrasformano in farfalle. Meredith erasnella e abbronzata nel suo costumenero intero. Bonnie indossava unpiccolo bikini verde acqua. Elena uncostume a fascia di una tenuesfumatura dorata, che si intonava coni suoi capelli. Matt osservò Stefanche la fissava con uno sguardo diapprezzamento e sentì di nuovo unapiccola fitta di gelosia.Elena e Bonnie si rimisero quasi

subito la maglietta sul costume dabagno. Si rivestivano sempre, perché

la loro pelle chiara si bruciavaanziché abbronzarsi. Celia si distesesu un asciugamano: era unospettacolo con il suo costumesportivo bianco dal taglio semplicema audace. L’effetto del bianco purosulla sua pelle color caffè erastraordinario. Matt notò cheMeredith, dopo averle lanciato unarapida occhiata, aveva trapassatoAlaric con lo sguardo.Ma Alaric era troppo occupato a

sfilarsi i pantaloncini rossi. Stefanrestò lontano dalla luce diretta delsole e tenne indosso i jeans scuri e la

maglietta nera.Matt pensava che anche quella fosse

una cosa piuttosto inquietante.Dopotutto l’anello proteggeva Stefandai raggi del sole. Che bisognoaveva di restare nell’ombra? Ecos’erano quei vestiti neri? Facevafinta di essere Damon adesso?Aggrottò la fronte al pensiero: unsolo Damon era stato più chesufficiente.Matt scosse la testa, stirò braccia e

gambe, rivolse la faccia al sole ecercò di liberarsi di quei pensieri.Stefan gli era simpatico. Da sempre.

Era un bravo ragazzo. Un vampiro,commentò una voce aspra in unangolino della sua mente, anche seinnocuo, difficilmente può esseredefinito un bravo ragazzo.Matt ignorò la voce.«Tuffiamoci!», gridò e si diresse

verso la cascata.

«Tu no, Meredith», disse seccoStefan. «E neanche tu, Celia. Voi duerestate qui».Dopo qualche secondo di silenzio,

Stefan alzò lo sguardo dalla griglia evide che tutti lo stavano fissando.

Mantenne un’espressione impassibilementre ricambiava gli sguardi stupitidei suoi amici. Era una questione divita o di morte. Ed era suaresponsabilità tenerli al sicuro, che aloro piacesse o no. Li guardò uno peruno, sostenendo i loro sguardi. Nonaveva intenzione di fare marciaindietro.Meredith, che si era appena alzata

per seguire Matt al bordo dellacascata, si fermò un attimo, esitante,visibilmente incerta su come reagireal divieto. Poi la sua espressione siindurì e Stefan capì che aveva scelto

di prendere posizione contro di lui.Fece un passo avanti. «Mi dispiace,

Stefan», disse in tono pacato. «Soche sei preoccupato, ma hointenzione di fare ciò che io decidodi fare. Sono in grado di badare a mestessa».Fece per raggiungere Matt, che

stava in piedi sull’orlo del dirupo,ma Stefan le afferrò il polso con unmovimento fulmineo, le dita forticome acciaio. «No, Meredith», dissecon fermezza.Con la coda dell’occhio, vide che

Bonnie era rimasta a bocca aperta.

Lo fissavano tutti con sguardi stupitie trepidanti, così cercò diammorbidire il tono. «Sto solocercando di fare ciò che è meglio pervoi».Meredith sospirò, un suono

prolungato, simile a una raffica divento, e sembrò che si stessesforzando di buttar fuori un po’ dellasua rabbia. «Questo lo so, Stefan»,disse con voce conciliante, «e loapprezzo. Ma non posso andareavanti evitando di fare le cose chefaccio abitualmente, nell’inerte attesache un’entità misteriosa venga a

prendermi».Cercò di girargli attorno, ma lui si

spostò di lato e le sbarrò di nuovo ilpasso.Meredith lanciò un’occhiata a

Celia, che alzò le mani e scosse latesta. «Non guardare me», disse. «Ionon ho nessuna fretta di saltar giù daun dirupo. Me ne starò qui sdraiata alsole e lascerò che voi ragazzi ve lasbrighiate da soli». Si appoggiòall’indietro sulle mani, con il visorivolto al sole.Meredith strinse gli occhi e si girò

di scatto verso Stefan. Appena aprì

la bocca per parlare, Elena lainterruppe.«E se andassimo prima noi?»,

suggerì a Stefan in tono conciliante.«Potremmo assicurarci che non ci sianiente di pericoloso laggiù. E lestaremo vicini. Nessuno si è mai fattomale tuffandosi da lì, non che iosappia. Vero, ragazzi?». Matt eBonnie annuirono con vigore.Stefan si sentì ammansito. Ogni

volta che Elena gli parlava con queltono razionale e lo fissava con gliocchi sgranati e supplichevoli finivaper acconsentire a piani che, nel

profondo del cuore, reputavaazzardati.Elena approfittò del vantaggio.

«Puoi venire con noi e restare ariva», disse. «E se c’è qualcheproblema, puoi tuffarti in un batterd’occhio. Sei molto veloce, earriverai prima che accada qualcosadi brutto».Stefan sapeva che non era vero.

Non aveva dimenticato il baratro didisperazione in cui era cadutoquando aveva compreso di esseretroppo lento per salvare le personeche amava. Rivide nella sua mente il

lungo, elegante salto di Damon versoBonnie, al termine del quale suofratello era finito a terra con un ramoche gli trapassava il cuore. Damonera morto perché Stefan si era mossotroppo lentamente, si era accortotroppo tardi che Bonnie era inpericolo e non aveva potuto salvarladi persona.Non era arrivato in tempo neanche

per salvare Elena, quando era cadutadal ponte con la macchina ed eraannegata. Il fatto che lei fosse tornatain vita non significava che quellavolta lui non avesse fallito. Ricordò

con un brivido i suoi capelli chiariche fluttuavano come alghenell’acqua gelida del Wickery Creek,le mani ancora appoggiate al volante,gli occhi chiusi. Si era immerso piùvolte prima di trovarla. Era gelida epallida quando l’aveva portata ariva.Eppure, si ritrovò ad assentire.

Quando Elena voleva qualcosa, laotteneva. Sarebbe rimasto lì vicino eavrebbe protetto Meredith meglioche poteva, e pregò, per quantopotesse pregare un vampiro, chesarebbe stato sufficiente.

Gli altri rimasero in cima al dirupomentre Stefan ispezionava la piscinanaturale ai piedi della cascata.Spruzzi esuberanti si sollevavano nelpunto in cui la cascata colpiva lospecchio d’acqua. Una striscia disabbia pallida e calda cingeva ibordi della piscina, formando unapiccola spiaggia, e l’acqua al centrosembrava più scura e profonda.Matt saltò per primo e accompagnò

il tuffo con un lungo e incerto gridodi guerra. Alzò uno spruzzo enormequando colpì la superficie e rimasesott’acqua troppo a lungo. Stefan si

sporse avanti per controllare. Nonriusciva a vedere nulla attraverso laspuma sollevata dalla cascata, e unfremito d’ansia gli solleticò lostomaco.Stava giusto pensando di tuffarsi a

cercarlo quando la testa lucida ebagnata di Matt riemerse insuperficie. «Ho toccato il fondo!»,annunciò con un largo sorriso escosse la testa come un cane,spruzzando dappertutto scintillantigoccioline d’acqua.Nuotò verso di lui, muovendo con

vigore le braccia e le gambe

abbronzate, e Stefan pensò che tuttosembrava così semplice per Matt.Era una creatura solare e innocente,mentre lui era confinato nell’ombra,costretto a una lunga mezza-vita disegreti e solitudine. Certo, l’anello dizaffiro gli permetteva di camminarealla luce del sole, ma trovava quasiinsopportabile un’esposizione direttae prolungata, come quella che stavasubendo lì alle cascate, perchésentiva come un prurito in profondità,sottopelle. E ora che si stavariabituando a una dieta a base disangue animale, era ancora peggio. Il

senso di disagio gli ricordò perl’ennesima volta che non appartenevaa quel mondo. Non nel modo in cui viapparteneva Matt.Scacciò quei sentimenti amari con

un’alzata di spalle, sorpresoinnanzitutto che fossero emersi. Mattera un buon amico. Da sempre. Laluce del giorno spettava a lui, eragiusto così.La seconda a tuffarsi fu Bonnie, che

riemerse molto più in fretta, tossendoe sbuffando. «Uffa!», disse. «Mi èandata l’acqua nel naso. Bleah!». Siissò fuori dall’acqua e si accovacciò

su una grossa pietra, accanto ai piedidi Stefan. «Tu non vai a nuotare?»,gli chiese.Il lampo di un ricordo attraversò la

mente di Stefan. Damon, forte eabbronzato, lo spruzzava e rideva inuno dei suoi rari momenti dibuonumore. Era successo centinaia dianni prima. Quando i fratelliSalvatore vivevano alla luce delsole, prima ancora che nascessero inonni dei suoi amici. «No, non mipiace stare a lungo in acqua»,rispose.Elena saltò con la stessa grazia

disinvolta che accompagnava ognisuo gesto, dritta come una frecciaverso il fondo della cascata, con ilcostume da bagno e i capelli doratiche brillavano alla luce del sole.Rimase sott’acqua più a lungo diBonnie, e Stefan si innervosì dinuovo, osservando la pozza. Quandoriemerse, gli rivolse un sorrisomesto. «Non ho toccato il fondo perun pelo», disse. «Continuavo ascendere e a scendere. Sono riuscitaa vedere la sabbia, ma la corrente miha spinta di nuovo su».«Io non ci ho nemmeno provato»,

disse Bonnie. «Ormai ho accettato diessere troppo bassa».Elena si allontanò nuotando dalla

pozza profonda ai piedi della cascatae si issò a riva, sedendosi accanto aBonnie, ai piedi di Stefan. AncheMatt uscì dall’acqua e si avvicinòalla cascata, guardando in alto conocchio critico. «Tuffati e basta,Meredith, non ci pensare», gridò intono scherzoso. «Quanto te la tiri!».Meredith era in bilico sul bordo

della cascata. Li salutò portandosiuna mano alla fronte ed eseguì unperfetto tuffo ad angelo, si inarcò

rapidamente verso lo specchiod’acqua e scomparve sotto lasuperficie sollevando solo unpiccolo spruzzo.«Era nella squadra di nuoto», disse

Bonnie a Stefan in tono rilassato. «Suuno scaffale a casa ha una sfilza dinastri e trofei».Stefan annuì sovrappensiero,

continuando a esaminare lasuperficie del laghetto. Senza dubbiola testa di Meredith sarebbe apparsada un momento all’altro. Anche glialtri ci avevano messo un po’ ariemergere.

«Posso tuffarmi?», gridò Alaricdall’alto.«No!», urlò Elena. Si alzò in piedi e

scambiò un’occhiata preoccupata conStefan. Meredith era sotto da troppotempo.Meredith riemerse, sputacchiando e

scostandosi i capelli bagnati dagliocchi. Stefan si rilassò.«Ce l’ho fatta!», esultò. «Ho…».Spalancò gli occhi e cominciò a

strillare, ma il grido si interruppequando una forza invisibile la tirò dicolpo sott’acqua. Il tempo di unrespiro ed era scomparsa.

Per un attimo Stefan rimase a fissare

il punto in cui Meredith erascomparsa, incapace di muoversi.Sei troppo lento, sei troppo lento , loscherniva una voce interiore, eimmaginò il volto di Damon che conuna risata crudele ripeteva: Sonocosì fragili, Stefan. Non riusciva avedere Meredith da nessuna partesotto la superficie limpida egorgogliante del lago. Era come sequalcuno l’avesse rapitaall’improvviso. Tutte queste cose glipassarono per la testa in un istante, e

poi si tuffò a cercarla.Non riusciva a vedere nulla

sott’acqua. La massa liquida dellacascata risaliva spumeggiando egettandogli in viso schiuma e sabbiadorata.Stefan convogliò immediatamente il

Potere negli occhi, per avere unavisione più nitida, ma il risultato fuche ora poteva distinguere le singolebollicine di un ricciolo di schiuma evedere in rilievo ogni granello disabbia. Dov’era Meredith?Inoltre, la massa d’acqua

gorgogliante cercava di spingerlo in

superficie. Dovette lottare peravanzare nell’acqua torbida,allungando le braccia verso il fondo.Sfiorò qualcosa con le dita el’afferrò, ma era solo un mucchiettodi alghe viscide.Dov’era finita? Il tempo stringeva.

Gli esseri umani potevano resisteresenza ossigeno solo per pochi minutiprima di subire danni al cervello. Edopo qualche altro minuto non cisarebbe stato più niente da fare.Gli tornò in mente l’annegamento di

Elena, l’esile corpo bianco cheaveva tirato fuori dal vecchio

catorcio di Matt, i cristalli dighiaccio fra i suoi capelli. L’acquadelle cascate era calda, ma erasicuro che fosse altrettanto letale.Inghiottì un singhiozzo e tese dinuovo le braccia, frugando confrenesia le torbide profondità dellago.Con le dita sfiorò qualcosa che

pareva carne e che si muovevacontro la sua mano.L’afferrò, senza sapere se fosse un

braccio o una gamba, strinseabbastanza forte da procurarle deilividi e tirò con forza verso l’alto.

Mezzo secondo dopo, vide che avevapreso il braccio di Meredith. Eracosciente, con le labbra serrate perla paura e i capelli che fluttuavanodisordinati nell’acqua.All’inizio non capì cosa le avesse

impedito di risalire in superficie. Poila ragazza prese a gesticolare conenfasi, allungando le mani perfrugare fra i lunghi viticci di alghelacustri che, per qualche motivo, le sierano attorcigliati alle gambe.Stefan nuotò verso il fondo lottando

contro la schiuma bianca dellacascata e cercò di infilare le mani

sotto le alghe per liberare Meredith.Ma i viticci erano così stretti intornoalle gambe che non riuscì a farcipassare sotto neppure un dito. Lapelle era sbiancata per la pressionedelle alghe.Per un po’ Stefan le strattonò, poi si

avvicinò e lasciò affluire il suoPotere, finché i canini non furonolunghi e aguzzi. Cercò di strappare lealghe con i denti, attento a nongraffiare le gambe di Meredith, poile strattonò con forza, ma gliresistettero.Ci mise un po’ a capire che la

resistenza delle piante doveva esseredi ordine soprannaturale: la sua forzaincrementata dal Potere erasufficiente a spezzare le ossa efrantumare il metallo, quindi nonavrebbe dovuto avere nessunproblema con un mucchietto di alghelacustri.E finalmente – sei così lento, si

r i mp r o v e r ò , sei sempre cosìdannatamente lento – mise a fuocociò che stava guardando. Sentì gliocchi spalancarsi per l’orrore. Glistretti fili di alghe sulle lunghe gambedi Meredith formavano un nome:

14

Dov’erano? Elena scrutava l’acquacon ansia. Se fosse successoqualcosa a Meredith o a Stefan,sarebbe stata colpa sua. Lei avevaconvinto Stefan a lasciare cheMeredith si tuffasse dalla cascata.Le sue obiezioni erano state del

tutto ragionevoli; ora lo capiva.Aveva condannato a morte Meredith.Maledizione, Celia era rimasta quasiuccisa per il solo fatto di esserescesa dal treno. Cosa aveva in menteMeredith quando aveva deciso disaltare da un dirupo sapendo checorreva lo stesso rischio? Cosaaveva in mente lei che gliel’avevalasciato fare? Avrebbe dovuto staredalla parte di Stefan e aiutarlo atrattenere Meredith.E Stefan. Sapeva che se la sarebbe

cavata. La parte razionale della suamente continuava a ricordarle che era

u n vampiro. Non aveva nemmenobisogno di respirare. Poteva staresott’acqua per giorni. Eraincredibilmente forte.Ma non era passato molto tempo da

quando i kitsune l’avevano rapito elei aveva creduto di averlo perso persempre. Le cose brutte potevanosuccedere anche a lui, nonostantefosse un vampiro. Se l’avesse persoa causa dei suoi stupidi errori, per lasua testardaggine e per aver insistitoaffinché tutti fingessero che la vitaprocedeva come sempre e sidivertissero una volta tanto senza

pensare di essere perseguitati da undestino avverso, Elena si sarebbesdraiata e avrebbe aspettato la morte.«Vedi niente?», chiese Bonnie, con

un tremito nella voce. Le lentiggini sierano scurite e spiccavano più delsolito sul volto pallido, e i suoiriccioli rossi, sempre esuberanti,erano incollati alla testa in ciocchepiatte e scure.«No. Non da quassù». Elena le

lanciò uno sguardo torvo e, primaancora di prendere una decisioneconsapevole, si tuffò. Sott’acqua, lasua vista era offuscata dai gorghi di

schiuma e sabbia sollevati dallacascata, e si fermò un attimo,restando a galla, per cercare divedere qualcosa. In prossimità delcentro della pozza scorse dellemacchie scure che sarebbero anchepotute essere delle figure umane e visi diresse decisa.Grazie al cielo, pensò con fervore

Elena. Quando fu più vicina, lemacchie scure si rivelarono essereMeredith e Stefan. Sembrava chestessero lottando contro qualcosanell’acqua. La testa di Stefan eravicino alle gambe di Meredith, che

tendeva disperatamente le mani versola superficie. Il suo volto erabluastro per la mancanza di ossigeno,e gli occhi erano spalancati per ilterrore.Proprio quando li raggiunse, Stefan

diede uno strappo deciso e Meredithsfrecciò verso l’alto. Elena videarrivare il braccio di Meredith comeal rallentatore. Un colpo improvvisola scagliò contro le rocce alle spalledella cascata, e il getto d’acqua laspinse ancora più a fondo.La vedo male, ebbe appena il tempo

di pensare, e poi sbatté la testa sulle

rocce e tutto divenne nero.

Quando Elena si svegliò, si ritrovòa casa, nella sua stanza, ancora incostume da bagno. Dalla finestraentrava vivida la luce del sole, malei era bagnata e tremava di freddo.L’acqua le gocciolava dai capelli edal costume, e le gocce, rotolando, siassottigliavano fino a scomparire,assorbite dalla pelle delle braccia edelle gambe, oppure cadevano aterra, formando piccole pozze sultappeto.Non fu sorpresa di vedere Damon,

che si muoveva con la sua solita ariatranquilla, elegante e tenebrosa.Stava esaminando la sua libreria, condisinvoltura, come se fosse a casapropria, e all’improvviso si voltò aguardarla.«Damon», disse Elena con voce

flebile, confusa ma, come sempre,felice di vederlo.«Elena!», disse lui, e per un attimo

parve deliziato, poi corrugò la fronte.«No», esclamò. «Elena, svegliati».

«Elena, svegliati». La voce eraspaventata, disperata, ed Elena lottò

contro le tenebre che sembravanoimmobilizzarla e aprì gli occhi.Damon? stava per dire, ma si morse

la lingua. Perché naturalmente eraStefan che la guardava negli occhicon preoccupazione, e persino ildolce e comprensivo Stefan avrebbeavuto qualcosa da obiettare sel’avesse chiamato con il nome di suofratello per due volte nello stessogiorno.«Stefan», disse, mentre le tornava in

mente ciò che era successo.«Meredith sta bene?».Stefan la strinse forte fra le braccia.

«Se la caverà. Oh Dio! Elena»,disse. «Pensavo di averti persa. Hodovuto trascinarti a riva. Nonsapevo…». La voce gli morì in golae se la strinse al petto ancora piùforte.Elena fece un rapido inventario del

suo corpo. Era dolorante. Aveva lagola e i bronchi infiammati,probabilmente a causa dell’acquache aveva respirato ed espulsotossendo. Era coperta di sabbia, chele incrostava le braccia e il costumeda bagno e cominciava a darleprurito. Ma era viva.

«Oh, Stefan», disse, e chiuse gliocchi un istante, appoggiando la testasul suo petto. Era bagnata einfreddolita e lui era così caldo.Rimase ad ascoltare i battiti del suocuore. Più lenti di quelli di un cuoreumano, ma regolari e rassicuranti.Quando riaprì gli occhi, vide Matt

inginocchiato accanto a loro. «Staibene?», le chiese. E quando leiannuì, volse lo sguardo su Stefan.«Avrei dovuto tuffarmi io», disse intono colpevole. «Avrei dovutoaiutarti a salvarle. È successo tuttotroppo in fretta e quando mi sono

accorto che c’era davvero qualcosache non andava, tu le stavi giàportando fuori dall’acqua».Elena si alzò a sedere e toccò il

braccio di Matt, sentendo una caldaondata di affetto per lui. Era cosìbuono e si sentiva sempreresponsabile di tutti loro. «Stiamotutti bene, Matt», disse. «È questoche conta adesso».A pochi passi di distanza, Alaric

stava esaminando Meredith, conBonnie che gli ronzava attorno comeun’ombra. Un po’ più discosta c’eraCelia, che osservava Alaric e

Meredith con le braccia strette alpetto.Appena Alaric si allontanò,

Meredith cercò lo sguardo di Elena.Aveva il viso pallido e sofferente,ma riuscì a rivolgerle un sorrisodispiaciuto.«Non volevo colpirti», disse. «E

Stefan, avrei dovuto darti ascolto, operlomeno avere un po’ più di buonsenso e rimanere sulla spiaggia».Fece una smorfia. «Credo di essermislogata una caviglia. Alaric tra unpo’ mi accompagnerà in ospedale,così mi metteranno una fasciatura».

«Mi piacerebbe sapere», disseBonnie, «se questo significa che ètutto finito. Insomma, è apparso ilnome di Celia, e lei è stata quasistrangolata dalle porte del treno. Èapparso il nome di Meredith, e perpoco non è annegata. Entrambe sisono salvate – grazie a Stefan, ottimolavoro, Stefan – quindi questosignifica che adesso sono al sicuro?Non abbiamo visto altri nomi, no?».La speranza rese il cuore di Elena

più leggero. Invece Matt scosse latesta.«Non è così facile», disse in tono

cupo. «Non è mai così facile. Soloperché Meredith e Celia l’hannoscampata una volta, non significa chequella dannata cosa abbia smesso diperseguitarle. E anche Elena ha corsoun pericolo, eppure il suo nome non èapparso».Elena sentì che c’era qualcosa di

strano: Stefan la stringeva ancora, male sue braccia erano rigide econtratte. Quando alzò la testa perguardarlo in viso, notò che avevaserrato la mascella e che i suoi occhiverdi erano pieni di tristezza.«Ho paura che non sia finita. È

apparso un altro nome», disse.«Meredith, non penso che tu l’abbiavisto, ma le alghe che ti avevanointrappolata l’hanno scritto sulle tuegambe». Tutti trattennero il fiato.Elena gli strinse il braccio, sentendoun tuffo al cuore. Guardò Matt,Bonnie e lo stesso Stefan. Non leerano mai sembrati così preziosi.Quale delle persone che amava era inpericolo?«Be’, non tenerci sulle spine», disse

secca Meredith. Elena notò cheaveva ripreso colore e che parlava dinuovo con un tono risoluto ed

efficiente, anche se sussultò nonappena Alaric le sfiorò la caviglia.«Che nome era?».Stefan esitò. Lanciò un’occhiata a

Elena e poi distolse subito losguardo. Si leccò le labbra con ungesto nervoso che lei non gli avevamai visto fare prima. Fece unprofondo respiro e finalmente disse:«La parola che le alghe hannoformato era “Damon”».Bonnie si sedette con un tonfo, come

se le avessero ceduto le gambe. «MaDamon è morto», disse, spalancandogli occhi castani.

Per qualche motivo la notizia nonsconvolse Elena più di tanto. Invecela inondò un solido, luminososentimento di speranza. Sarebbe statologico. Non aveva mai creduto chequalcuno come Damon potessesemplicemente morire.«Forse no», si sentì dire, persa nei

propri pensieri mentre rievocava isogni in cui le era apparso Damon.Quando era svenuta sott’acqua,l’aveva visto di nuovo, e lui le avevadetto di svegliarsi. Si trattava di uncomportamento onirico? Magari erail suo subconscio che cercava di

avvertirla, pensò dubbiosa, masott’acqua era apparso il suo nome.Forse era tornato in vita? Era morto,

su questo non aveva dubbi. Ma era unvampiro; era già morto e risorto inpassato. Le Guardiane avevano dettodi averci provato e che non erapossibile riportarlo in vita. Era solouna vana speranza? Ingannava sestessa quando il suo cuoreaccelerava i battiti al pensiero cheDamon fosse vivo?Elena tornò bruscamente al

presente, trovando i suoi amici che lafissavano. Ci fu un momento di

completo silenzio, come se persinogli uccelli avessero smesso dicantare.«Elena», disse con dolcezza Stefan.

«L’abbiamo visto morire».Elena scrutò i suoi occhi verdi. Di

certo, se ci fosse stato motivo disperare, lui l’avrebbe percepitocome lo sentiva lei. Ma il suosguardo era fermo e triste. Capì cheStefan non aveva dubbi sul fatto cheDamon fosse morto. Il cuore le sistrinse dolorosamente.«Chi è Damon?», chiese Celia, ma

nessuno rispose.

Alaric aveva la fronte aggrottata.«Se Damon è davvero morto», disse,«se ne siete sicuri, forse l’entità cheprovoca questi incidenti sta facendoleva sul vostro dolore, sta cercandodi colpire i vostri punti deboli. Forsec’è una minaccia di ordine emotivooltre a quella fisica».«Se voleva sconvolgerci scrivendo

il nome di Damon, mirava a Stefaned Elena», disse Matt. «Insomma,non è un segreto che a me e aMeredith non stesse moltosimpatico». Incrociò le braccia sulladifensiva. «Mi dispiace Stefan, ma è

la verità».«Io rispettavo Damon», disse

Meredith, «soprattutto dopo cheaveva fatto tanto per aiutarci nellaDimensione Oscura, ma è pur veroche la sua morte non ha… influito sudi me come su Stefan ed Elena. Devoconcordare con Matt».Elena guardò Bonnie e notò che la

sua mascella era serrata e nei suoiocchi luccicavano lacrime di rabbia.Mentre la osservava, gli occhi lucididi Bonnie si velarono e lo sguardo siperse in lontananza. Poi si irrigidì ealzò il viso verso la cima del dirupo.

«Ha una visione», disse Elena,saltando in piedi.Bonnie parlò con una voce

monotona e roca, che non era la sua.«Lui vuole te, Elena», disse. «Vuolete».Elena seguì il suo sguardo fino al

dirupo. Per un folle momento, quellasolida e luminosa speranza tornò abruciare nel suo petto. Si aspettavadavvero di vedere Damon lassù, cheli salutava con il suo sorrisocompiaciuto. Sarebbe stato proprioda lui, se per qualche motivo fossesopravvissuto alla morte, mostrarsi

all’improvviso, con una spettacolareentrata in scena, e poi glissare sulmiracolo con un’alzata di spalle euna battuta sarcastica.E c’era davvero qualcuno in cima al

dirupo. Celia emise un gridolino eMatt imprecò ad alta voce.Non era Damon, comunque. Elena

lo capì subito. La figura in controluceera più massiccia rispetto al corposnello e flessuoso di Damon. Ma ilsole era tanto luminoso che nonriusciva a distinguerne i lineamenti, ealzò una mano per schermarsi gliocchi.

Un’aureola di riccioli biondibrillava sotto i raggi del sole. Elenacorrugò la fronte.«Credo», disse, riconoscendolo

all’improvviso, «che sia CalebSmallwood».

15

Appena Elena pronunciò il nome diCaleb, l’uomo sul dirupo cominciò aretrocedere, scomparendo dalla lorovista. Dopo un attimo di esitazione,Matt si lanciò a rotta di collo su peril sentiero verso il punto in cuil’avevano visto.

Elena pensava che probabilmenteera stupido reagire così, come se sisentissero minacciati. Tutti avevanodiritto di fare trekking a Hot Springs,e Caleb – se di lui si trattava – nonaveva fatto altro che osservarli dalbordo del dirupo. Eppure quellafigura che incombeva vigile su diloro aveva qualcosa di sinistro, edElena sentiva che la loro reazionenon era affatto stupida.Bonnie sussultò e il suo corpo si

rilassò mentre usciva dalla trance.«Che è successo?», chiese. «Oh,

accidenti, non di nuovo».

«Ricordi qualcosa?», chiese Elena.Bonnie scosse la testa, desolata.«Hai detto: “Lui vuole te, Elena”»,

disse Celia, esaminandola con unaluce eccitata negli occhi chesuggeriva un interesse prettamenteclinico. «Non ricordi di chi stessiparlando?»«Presumo che se voleva Elena,

poteva essere chiunque», disseBonnie, socchiudendo gli occhi.Elena la fissò, perplessa. Erasarcasmo malevolo quello che avevacolto nel suo tono di voce? Piuttostoinsolito per la sua amica. Ma Bonnie

le rivolse un mesto sorriso ed Elenadecise che aveva solo fatto unabattuta.Pochi minuti dopo, Matt tornò lungo

il sentiero, scuotendo la testa.«Chiunque fosse è semplicementesvanito», disse, la fronte corrugata inun’espressione confusa. «Hoguardato sia a destra che a sinistradel sentiero, ma non ho vistonessuno».«Pensate che sia un lupo mannaro,

come Tyler?», chiese Bonnie.«Non sei la prima persona che me

lo chiede», disse Elena, guardando

Stefan. «Non lo so e basta. Nonpenso, comunque. Caleb mi sembraun ragazzo simpatico e normale.Ricordate che Tyler somigliava a unlupo ancora prima di diventare unlicantropo? Aveva quei grandi dentibianchi e un che di animalesco.Caleb non è così».«Allora perché ci stava spiando?»«Non lo so», ripeté Elena, frustrata.

Non riusciva a pensarci in quelmomento. La sua mente girava ancoraattorno a una domanda: possibile cheDamon fosse vivo? Che importanzaaveva Caleb in confronto?

«Forse stava solo facendo trekking.Non sono nemmeno certa che fosseCaleb. Forse era solo un altroragazzo con i capelli ricci biondi. Unescursionista che passava da lì e si èspaventato quando Matt ha risalito dicorsa la collina come se volesseassalirlo».Continuarono a discutere, ripetendo

sempre le stesse cose, finché Alaricportò Meredith all’ospedale per farlecontrollare la caviglia da un dottore.Gli altri si spostarono in cima allacascata per raccogliere le cose delpicnic.

Sgranocchiarono un po’ di patatine,biscotti e frutta, e Matt si preparò unhot dog sulla griglia giapponese, maormai la gioia di quella giornata erafinita.Elena accolse con sollievo gli

squilli del telefonino. «Ehi, ziaJudith», disse, sforzandosi di mettereuna nota di allegria nella voce.«Ciao», disse frettolosa la zia.

«Ascolta, devo andare all’auditoriumper aiutare a fare il trucco e leacconciature delle bambine, e Robertdeve già uscire prima dal lavoro perarrivare in tempo alla recita. Potresti

farmi il favore di andare a prendereun mazzo di fiori per Margaretquando torni dal picnic? Qualcosa didolce, da ballerina, capisci cheintendo?»«Nessun problema», disse Elena.

«Capisco perfettamente. Ci vediamolì». Per un po’ voleva dimenticaretutto. Dimenticare gli escursionistimisteriosi, il fatto di essere quasiannegata e il continuo alternarsi disperanza e disperazione che sentivada quando era apparso il nome diDamon. Guardare la sorellina chepiroettava nel suo tutù poteva essere

proprio ciò di cui aveva bisogno.«Magnifico», disse zia Judith.

«Grazie. Be’, se sei ancora a HotSprings, faresti meglio ad avviartiverso casa».«Va bene, zia», disse Elena. «Parto

adesso».Si salutarono ed Elena chiuse la

chiamata e cominciò a raccogliere lesue cose. «Stefan, posso prendere latua macchina?», chiese. «Devoandare al saggio di danza diMargaret. Glielo dai tu un passaggio,Matt? Vi chiamo più tardi, cosìcerchiamo di capire cosa è

successo».Stefan si alzò. «Vengo con te».«Cosa?», disse Elena. «No, meglio

che rimani con Celia, e poi deviandare all’ospedale per badare aMeredith».Stefan le prese un braccio. «Allora

non andare. Non dovresti rimanereda sola adesso. Nessuno di noi è alsicuro. Là fuori c’è qualcosa che cista dando la caccia, e dobbiamorestare uniti. Solo se non ci perdiamodi vista, possiamo proteggerci avicenda».I suoi occhi verde foglia erano

limpidi e colmi di amore epreoccupazione, ed Elena sentì unapunta di rimorso quando, con garbo,liberò il braccio dalla sua stretta.«Voglio andare», disse tranquilla.«Se devo passare tutto il tempo anascondermi e ad avere paura,sarebbe stato meglio che leGuardiane non mi avessero riportatoin vita. Ho bisogno di stare con lamia famiglia e vivere una vita il piùnormale possibile».Lo baciò con tenerezza, indugiando

per un istante sulle sue labbramorbide. «E sai che non mi hanno

ancora presa di mira», disse. «Nullaha formato le lettere del mio nome.Ma prometto che starò attenta».Gli occhi di Stefan erano severi.

«Non pensi a quello che ha dettoBonnie?», argomentò. «Lui vuole te.E se si riferisse a Caleb? Ronzasempre intorno a casa tua, Elena! Puòmolestarti quando gli pare!».«Be’, non sto andando a casa. Vado

a un saggio di danza con la miafamiglia», puntualizzò Elena. «Nonmi succederà niente oggi. Non è ilmio turno, no?»«Elena, non essere stupida!», scattò

Stefan. «Sei in pericolo».Elena si stizzì. Stupida? Stefan, per

quanto stressato o preoccupato,l’aveva sempre trattata con ilmassimo rispetto. «Scusa, puoiripetere?».Stefan fece per prenderle la mano.

«Elena», disse. «Permettimi diaccompagnarti. Starò con te finoall’imbrunire e poi farò la guardiafuori da casa tua, stanotte».«Non è necessario, sul serio», disse

Elena. «Proteggi Meredith e Celiapiuttosto. Sono loro che hannobisogno di te». Stefan si rabbuiò e la

guardò con un’aria così affranta chelei si impietosì un poco e aggiunse:«Stefan, non preoccuparti, perfavore. Starò attenta. Ci vediamodomani».Stefan serrò le mascelle ma non

disse altro, e lei s’incamminò lungoil sentiero, senza voltarsi indietro.

Tornarono alla pensione, ma Stefan

non riuscì a rilassarsi.Non ricordava, nella sua lunga vita,

di essersi mai sentito così teso e adisagio nel proprio corpo. A causadell’ansia, sentiva dolore e prurito

dappertutto. Era come se la pelle gliandasse troppo stretta sulle ossa, econtinuava a muoversi, insofferente:tamburellava le dita sul tavolo,faceva scrocchiare il collo, scrollavale spalle, si spostava avanti eindietro sulla sedia.Lui vuole te, Elena. Che diamine

significava? Vuole te.E l’apparizione di quella scura,

massiccia figura in cima al dirupo,un’ombra che oscurava il sole, conquei riccioli dorati che brillavanocome un’aureola sulla sua testa…Stefan sapeva che avrebbe dovuto

stare con Elena. Voleva soloproteggerla.Ma lei l’aveva congedato, gli

aveva dato dei colpetti sulla testa –metaforicamente, almeno – e gliaveva detto di stare a cuccia, dabravo cane fedele qual era, e di farela guardia a qualcun altro. Di tenereal sicuro altre persone. Non si curavadi essere chiaramente in pericolo eche qualcuno – un lui – volesseproprio lei. Nonostante tutto, in quelmomento, Elena non voleva la suacompagnia.Ma cosa voleva davvero? Stefan,

smettendo di tormentarsi, pensò cheElena avesse una miriade di desideriincompatibili. Voleva che Stefanfosse il suo fedele cavaliere. E lui losarebbe sempre stato, dichiarò a sestesso, stringendo forte il pugno.Ma voleva anche restare aggrappata

al ricordo di Damon, e tenere laparte di sé che aveva condiviso conlui segreta e incontaminata, separatada chiunque altro, persino da Stefan.E voleva tante altre cose: salvare i

suoi amici, la sua città, il mondo.Essere amata e ammirata. Avere tuttosotto controllo.

Ed essere di nuovo una ragazzanormale. Be’, aveva perso persempre la sua vita normale quandoaveva incontrato Stefan, quando luiaveva scelto di lasciarla entrare nelsuo mondo. Sapeva di esserecolpevole di tutto ciò che erasuccesso dopo, ma non era affattodispiaciuto di stare con lei. La amavatroppo per lasciar spazio al rimorso.Lei era il centro del suo universo, manel contempo sapeva di non essere lostesso per lei.Il desiderio scavò un vuoto dentro

di lui. Si mosse irrequieto sulla

sedia. I canini si allungarono. Nonriusciva a ricordare l’ultima volta incui si era sentito così… male. Nonriusciva a togliersi dalla testal’immagine di Caleb che li guardavadalla cima del dirupo, come percontrollare che il violento incidenteche aveva sperato di provocare fosseandato a buon fine«Vuoi un altro po’di tè, Stefan?», gli chiese dolcementela signora Flowers, interrompendo isuoi frenetici pensieri. Era china suun tavolino con la teiera e lo scrutavada dietro gli occhiali con i grandiocchi azzurri. Il suo volto era così

compassionevole che si chiese cosaavesse visto in lui. Sembrava chequell’anziana, saggia donnapercepisse sempre molte più coserispetto agli altri; forse aveva capitocome si sentiva.Si accorse che stava ancora

aspettando educatamente la suarisposta, con la teiera sospesa inmano, e annuì sovrappensiero.«Grazie, signora Flowers», disse,porgendole la tazza, che era ancorapiena a metà di tè freddo.In realtà non gli piaceva il sapore

delle normali bevande umane; non

era abituato, ma a volte lo aiutavanoa inserirsi e facevano rilassare unpo’ di più le persone intorno a lui.Quando non beveva e non mangiavaper niente, sentiva che gli amici diElena si mettevano sulla difensiva,avvertivano un brivido dietro la nucamentre una voce inconscia rimarcavache lui non era come loro,aggiungendo quel comportamentoanomalo a tutte le altre piccoledifferenze che lui non potevacontrollare e che inevitabilmenteportavano alla conclusione che in luici fosse qualcosa di sbagliato.

La signora Flowers gli riempì latazza e tornò a sedersi, soddisfatta.Raccolse il suo lavoro a maglia, unamatassa soffice e rosa, e sorrise.«Sono contenta di avere tanti giovaniriuniti qui», commentò. «Cheadorabile gruppo di bambini».Guardando gli altri, Stefan si chiese

se la signora Flowers non stessefacendo del bonario sarcasmo.Meredith era tornata con Alaric

dall’ospedale, dove le avevanodiagnosticato una lieve distorsione ele avevano fasciato la caviglia nellasaletta del pronto soccorso. Il volto

solitamente sereno di Meredith erateso, forse, almeno in parte, a causadel dolore e dell’irritazione cheprovava sapendo di dover tenere ilpiede a riposo per un paio di giorni.E in parte, sospettava Stefan, a causadel posto in cui era seduta. Perqualche ragione, Alaric l’avevaaccompagnata, zoppicante, fino aldivano in soggiorno e poi l’avevaparcheggiata lì, proprio accanto aCelia.Stefan non si considerava un esperto

in storie d’amore. Dopotutto, puravendo vissuto centinaia di anni, si

era innamorato solo due volte e lasua storia con Katherine era stata undisastro. Eppure, persino lui nonpoteva non notare la tensione fraMeredith e Celia. Non avrebbesaputo dire se Alaric fosseinconsapevole come appariva o sefingesse di non essersi accorto dinulla nella speranza che il problemasi risolvesse da solo.Celia si era cambiata – ora

indossava un elegante prendisolebianco – e, seduta con aria distaccatae composta, sfogliava una rivista daltitolo «Antropologia forense».

Meredith, invece, era insolitamentecupa e trascurata, con la levigatapelle olivastra e i bellissimilineamenti sciupati dalla stanchezza edalla sofferenza. Alaric aveva presoposto su una sedia accanto al divano.Celia si protese verso di lui,

passando davanti a Meredith, comese non esistesse.«Penso che potresti trovarlo

interessante», gli disse. «È unarticolo sui modelli dentali dei corpimummificati trovati su un’isolapiuttosto vicina alla Unmei noShima».

Meredith la guardò in tralice. «Oh,già», disse sottovoce. «I denti, cheargomento affascinante». Celiacontrasse la bocca in una lineasottile, ma non rispose.Alaric prese la rivista con un

cortese mormorio di interesse eMeredith corrugò la fronte.Anche Stefan corrugò la fronte.

Osservando meglio, gli parve cheAlaric sapesse bene cosa stavasuccedendo fra le due giovani donnee ne fosse lusingato, irritato epreoccupato in ugual misura. Ma tuttala tensione che ronzava tra Meredith,

Celia e Alaric interferiva con i suoiPoteri.Mentre sorseggiava la sua tazza di

tè, obbedendo con riluttanzaall’ordine di “stare a cuccia”, Stefanaveva inviato in ricognizione delleonde di Potere, cercando di scoprirese Elena fosse arrivata a casa sana esalva o se qualcosa l’avesse costrettaa fermarsi per strada. Se Calebl’avesse fermata.Ma non era riuscito a trovarla,

neanche con i sensi amplificati almassimo. Un paio di volte gli eraparso di cogliere una fugace

impressione di quello che potevaessere un suono molto particolare, unprofumo, un colore dell’aura checertamente apparteneva a Elena, magli era sfuggito subito.Si era rimproverato di non riuscire

a localizzarla a causa dei suoi Poteriindeboliti, ma ora vedeva conchiarezza gli ostacoli che gliimpedivano di trovarla. Erano tutte leemozioni in quella stanza: il battitoimpetuoso dei cuori, i moti di rabbia,l’odore acre della gelosia.Stefan si appoggiò allo schienale

della sedia, cercando di soffocare la

rabbia che gli montava dentro.Quelle persone – suoi amici, ricordòa se stesso – non stavanointerferendo di proposito. Nonpotevano trattenere le loro emozioni.Bevve un sorso del tè che si stavarapidamente freddando tra le suemani, cercando di rilassarsi prima diperdere l’autocontrollo, e fece unasmorfia di disgusto. Capì che il tènon avrebbe placato la sua sete.Aveva bisogno di uscire al piùpresto e andare a caccia nel bosco.Aveva bisogno di sangue.No, doveva scoprire cosa stava

tramando Caleb Smallwood. Si alzòcosì all’improvviso, e con tale foga,da far traballare la sedia.«Stefan?», chiese Matt con voce

allarmata.«Che succede?». Gli occhi di

Bonnie erano enormi.Stefan guardò il cerchio di facce

assenti attorno a lui. Ora tutti lofissavano. «Devo andare». Poi giròsui tacchi e corse via.

16

Camminò a lungo, molto a lungo,anche se il paesaggio non cambiavamai. Attraverso una perenne nube dicenere filtrava sempre la stessa lucefioca. Arrancava nel fango e nellasporcizia, in pozzanghere di acquascura che gli arrivava alle caviglie.

Di tanto in tanto apriva il pugno eguardava di nuovo le ciocche dicapelli. Ogni volta, il liquido magicole ripuliva un po’ di più dalla cenere,trasformando il mucchietto di fibreannerite in due ciocche lucenti dicapelli, rossi e dorati.Continuò a camminare.Gli doleva dappertutto, ma non

poteva fermarsi. Se si fosse fermatosarebbe affondato di nuovo nel fangoe nella cenere, sarebbe tornato allatomba. Alla morte.Sentiva dei bisbigli indistinti agli

angoli della sua mente. Non sapeva

bene cosa gli fosse successo, manella sua testa vorticavano parole efrasi.Parole come “abbandonato” e

“solo”.Sentiva molto freddo. Continuò a

camminare. Dopo un po’, si accorseche stava borbottando fra sé. «Mihanno lasciato solo. Lui, invece, nonl’avrebbero mai lasciato qui». Nonriusciva a ricordare chi fosse “lui”,ma crogiolandosi nelle braci delrisentimento sentiva una sorta dimalsana soddisfazione. Si aggrappò aquel sentimento mentre continuava la

sua marcia.Dopo quella che sembrò

un’immutabile eternità, accaddequalcosa. Gli apparve la guardiola,proprio come l’aveva immaginata:con alte guglie, simile al castello diuna fiaba, nera come la notte.Affrettò il passo, trascinando i piedi

nella cenere. E d’un tratto unavoragine si aprì sotto di lui. Nellospazio di un battito di cuore,cominciò a cadere nel vuoto.Qualcosa dentro di lui urlò: “Nonora, non ora”. Affondò le unghie nelterreno, tenendosi sospeso con le

braccia, con i piedi che dondolavanonel vuoto.«No», gemette. «No, non possono…

Non mi lasciate qui. Non mi lasciatedi nuovo qui». Le dita persero lapresa, mentre il fango e la cenerescivolavano sotto la pelle.«Damon?», ruggì una voce,

incredula. Su di lui incombeva unagigantesca e muscolosa figura,stagliata contro il cielo trapunto dilune e pianeti, a petto nudo e con ungroviglio di capelli lunghi e ricci chericadeva sulle spalle. Il gigante dalcorpo scolpito si chinò su lui e lo

tirò su, afferrandolo per le braccia.Guaì di dolore. Qualcosa nel

terreno gli aveva afferrato le gambe elo trascinava di nuovo giù.«Resisti!», grugnì l’uomo, facendo

guizzare i muscoli. Tirò e strattonò,opponendosi alla creatura che si eraaggrappata alle sue gambe. L’avevachiamato Damon, e gli sembrava unnome appropriato, anche se nonsapeva perché. L’altro diede un fortestrattone e finalmente la misteriosaforza del sottosuolo lo lasciò andare.Damon schizzò fuori dal terrenocome un proiettile e mandò a gambe

all’aria il suo soccorritore.Poi giacque ansimante a terra,

esausto.«Dovresti essere morto», gli disse

l’uomo, alzandosi in piedi etendendogli una mano per aiutarlo ariprendere l’equilibrio. Si scostò unalunga ciocca di capelli dal volto e lofissò con uno sguardo serio e turbato.«Il fatto che tu non lo sia… be’, nonmi sorprende come dovrebbe».Damon guardò il soccorritore

sbattendo le palpebre, mentre questilo scrutava con attenzione. Si umettòle labbra e cercò di parlare, ma la

voce non uscì.«Ovunque serpeggia una strana

irrequietezza da quando i tuoi amicise ne sono andati», disse l’uomo. «Ècambiato qualcosa di essenziale inquesto universo. Le cose non sonocome dovrebbero essere». Scosse latesta, con un’espressionepreoccupata negli occhi. «Ma dimmi,mon cher, come hai fatto ad arrivarequa?».Finalmente Damon trovò la voce.

Gli uscì rauca e tremolante. «Io…non lo so».L’uomo tutt’a un tratto si fece

gentile e premuroso. «Penso che lasituazione richieda un sorso di BlackMagic, oui? E un po’ di sangue,magari, e forse dovresti darti unaripulita. E dopo, Damon, dobbiamoparlare».Fece un cenno verso il castello nero

davanti a loro. Damon esitò unattimo, guardando la desolata distesadi cenere che li circondava, poiarrancò dietro di lui verso il cancelloaperto.

Dopo che Stefan fu uscito dalla

stanza così all’improvviso, rimasero

tutti a fissare l’uscio, finchésentirono sbattere la porta principale,segno che, altrettanto velocemente,aveva lasciato la casa. Bonnie siportò le braccia al petto, tremando.Una vocina in un angolo della suamente le diceva che c’era qualcosadi profondamente sbagliato.Infine Celia ruppe il silenzio.

«Interessante», disse. «È semprecosì… passionale? O è un modo difare tipico dei vampiri?».Alaric fece una risata secca. «Che

tu ci creda o no, Stefan mi è sempresembrato un tipo sobrio e

pragmatico. Non ricordo di averlomai visto così volubile». Si passòuna mano fra i capelli color sabbia eaggiunse: «Forse era il contrasto consuo fratello che lo faceva apparireragionevole. Damon era piuttostoimprevedibile».Meredith aggrottò la fronte con aria

pensierosa. «No, hai ragione. Stefandi solito non si comporta così.Magari è tanto emotivo perché Elenaè in pericolo? Ma non ha senso… leiha già corso dei rischi in passato.Persino quando è morta… Lui avevail cuore spezzato, ma, se non altro, la

vicenda l’ha reso più responsabile,non più impulsivo».«Ma dopo la morte di Elena», le

ricordò Alaric, «la cosa peggiore chepotesse immaginare era già successa.Può darsi che ciò che lo rende tantoirrequieto sia non sapere da doveprovenga il pericolo stavolta».Bonnie bevve un sorso di tè,

estraniandosi dalla conversazionementre Meredith rifletteva e Celia lifissava scettica, con un sopracciglioalzato. «Non ho ancora capito a cosavi riferite quando dite che Elena èmorta. Volete insinuare che sia

effettivamente risorta?»«Sì», disse Meredith. «È stata

trasformata in vampiro, ma, dopol’esposizione alla luce del sole, èfisicamente morta. L’hanno sepolta etutto. Più tardi, alcuni mesi dopo, ètornata in vita. Ma era di nuovoumana».«Trovo davvero difficile crederci»,

disse Celia in tono piatto.«Sul serio, Celia», disse Alaric,

alzando le mani esasperato. «Contutto ciò che hai visto da quando seiqui – la sciarpa che per un pelo nonti ha strangolata, le apparizioni dei

nomi, Bonnie in trance, Stefan che èletteralmente volato a salvarti – noncapisco perché adesso tu vogliafissare un limite dicendo che noncredi che una ragazza possa tornaredalla morte». Fece una pausa perprendere fiato. «Non vorreisembrarti scortese, ma sul serio, nonha senso».Meredith fece un sorriso

compiaciuto. «Che tu ci creda un no,è la verità. Elena è tornata dallamorte».Bonnie si arrotolò un lungo ricciolo

rosso attorno al dito. Osservò la

pelle farsi bianca e rossa per lapressione della ciocca di capelli.Elena. Ovviamente, stavano parlandodi Elena. Tutti parlavano sempre diElena. Che lei fosse o no presente,tutto ciò che dicevano o facevano eraincentrato su Elena.Alaric si girò per rivolgersi a tutti i

presenti. «Stefan sembra convintoche “Lui vuole te” si riferisca aCaleb, ma io non ne sono tantosicuro. Da quel che ho capito dellevisioni di Bonnie, considerandoanche ciò che voi mi avete riferito, èdifficile che riguardino qualcosa che

è proprio davanti a lei.L’apparizione di Caleb, posto chefosse davvero lui, potrebbe esserestata solo una coincidenza. Tu che nedici, Meredith?».Oh, non vi disturbate a

interpellare me sulle mie visioni ,pensò amaramente Bonnie. Io sonosoltanto la fonte. Non andavasempre a finire così, in fondo?Nessuno chiedeva mai il suo parere.«Potrebbe essere una coincidenza»,

disse dubbiosa Meredith. «Ma, seescludiamo Caleb, di chi stavaparlando? Chi vuole Elena?».

Bonnie sbirciò Matt da sotto leciglia, ma lui stava guardando fuoridalla finestra e sembrava essersicompletamente estraniato dallaconversazione. Sapeva che eraancora innamorato di Elena, anche senessun altro se n’era accorto. Era unvero peccato: Matt eratremendamente carino. Avrebbepotuto avere tutte le ragazze chevoleva, ma ci stava mettendo troppoa superare la storia con Elena.D’altronde, sembrava che nessuno

riuscisse mai a dimenticarla. Metàdei ragazzi della Robert E. Lee High

School le andavano dietro,lanciandole sguardi languidi, comese sperassero che lei se neaccorgesse improvvisamente ecadesse fra le loro braccia. Di sicurola maggior parte dei ragazzi con cuiElena era uscita aveva continuato asospirare d’amore per lei, anchedopo che lei aveva quasi dimenticatoi loro nomi.Non è giusto, pensò Bonnie,

arrotolando più stretti i capelliattorno al dito. Tutti volevanosempre Elena, invece lei non erariuscita a tenersi un ragazzo per più

di qualche settimana. Cosa c’era chenon andava in lei? Le dicevanosempre che era tanto carina,adorabile e divertente… E poi laignoravano e guardavano solo Elena,come se non riuscissero più avederla.E se Damon, il meraviglioso, sexy

Damon, si era affezionato a lei,Bonnie, quando non cercava diprendere in giro se stessa, si rendevaconto che neanche lui l’aveva maiguardata realmente.Io sono solo la spalla, ecco il

problema, pensò cupa Bonnie. Elena

era la diva; Meredith l’eroina; lei erala spalla.Celia si schiarì la gola. «Devo

confessare che l’apparizione deinomi mi affascina», disse in tonoaffettato. «Sembrano quasi indicareuna sorta di minaccia. Che lapresunta visione di Bonnie porti aqualcosa o meno» – Bonnie le lanciòun’occhiataccia, ma Celia la ignorò –«senza alcun dubbio dobbiamoprendere in esame qualsiasi antefattoo contesto per comprenderel’inesplicata apparizione dei nomi.Dobbiamo scoprire se ci sono

testimonianze scritte che attestino ilverificarsi di fenomeni simili inpassato. I segni premonitori, per cosìdire». Fece un sorriso forzato.«Ma cosa dovremmo prendere in

esame?», chiese Bonnie, adottando,senza volerlo, lo stesso tonoprofessorale di Celia. «Io non sapreineanche da dove cominciare con lericerche. Magari con un libro sullemaledizioni? O sui presagi? Haniente del genere nella suabiblioteca, signora Flowers?».La signora Flowers scosse la testa.

«Temo di no, cara. Come ben sai,

nella mia biblioteca ci sonosoprattutto libri sulle erbe. Avreianche qualcosa di più specifico, ma,se non ricordo male, non c’è nulla diutile per il nostro problema».Quando menzionò i volumi piùspecifici, le guance di Bonnieavvamparono. Pensò al grimoriosulla comunicazione con i morti cheaveva nascosto sotto l’asse delpavimento nella sua stanza da letto, esperò che la signora Flowers nonavesse notato la sua scomparsa.Dopo qualche secondo, le sue

guance si furono raffreddate quanto

bastava perché osasse darsiun’occhiata attorno, ma soloMeredith la stava guardando, con unelegante sopracciglio alzato. SeMeredith si fosse accorta che c’eraqualcosa sotto, non avrebbe avutopace finché non avesse ottenuto dalei tutta la storia, così Bonnie lerivolse un sorriso mite e incrociò ledita dietro la schiena, sperando difarla franca. Meredith alzò l’altrosopracciglio e la guardò conprofondo sospetto.«A dire il vero», disse Celia, «ho

un contatto all’Università della

Virginia che studia folklore emitologia. È una personaspecializzata in stregoneria, magiapopolare, maledizioni, quel genere dicose lì, insomma».«Pensi che potremmo chiamarla?»,

chiese speranzoso Alaric.Celia corrugò la fronte. «Penso che

sarebbe meglio se andassi da lei perqualche giorno. Purtroppo la suabiblioteca non è ben organizzata.Suppongo sia sintomatico del mododi pensare di chi si dedica allostudio delle storie piuttosto che deifatti. Quindi potrebbe volerci del

tempo per scoprire se c’è qualcosadi utile lì. In ogni caso, credo chefarei meglio a lasciare la città per unpo’. Dopo aver sfiorato la morte duevolte in due giorni», lanciò unosguardo penetrante a Meredith, chearrossì, «comincio a credere cheFell’s Church non sia il posto piùsicuro per me». Guardò Alaric.«Potresti trovare interessante la suabiblioteca, se ti va di venire con me.La dottoressa Beltram è uno degliesperti più rinomati nel suo campo».«Uh…». Alaric sembrava sorpreso.

«Grazie, ma è meglio che io resti qui

ad aiutare Meredith con la suacaviglia slogata e il resto».«Mmm-hmm». Celia gettò di nuovo

un’occhiata a Meredith. Meredith,che da quando Celia avevaannunciato la sua partenza sembravaogni secondo più felice, la ignorò esorrise ad Alaric. «Bene, penso chedovrei farle una telefonata eraccogliere le mie cose. Chi hatempo non aspetti tempo».Celia si alzò, lisciò il suo

prendisole, e uscì a testa alta.Passando, sfiorò il tavolo accantoalla sedia della signora Flowers e

fece cadere il lavoro a maglia.Bonnie tirò un sospiro di sollievo

appena Celia ebbe lasciato la stanza.«Finalmente!», disse indignata.«Bonnie», disse Matt in tono

ammonitore.«Lo so», disse Bonnie con rabbia.

«Avrebbe potuto almeno chiederescusa, no? E come le è venuto inmente di chiedere ad Alaric diaccompagnarla all’università? Èappena arrivato, in pratica. Non vedeMeredith da mesi. Era ovvio che nonsarebbe partito con lei un’altravolta».

«Bonnie», disse Meredith con unastrana voce strozzata.«Che c’è?», fece Bonnie,

accorgendosi della stranezza dellasua voce e guardandosi attorno. «Oh.Oh. Oh, no».Quando il lavoro a maglia della

signora Flowers era caduto daltavolo, la matassa era rotolata sulpavimento, dipanandosi in tutta la sualunghezza. Nelle morbide spirali delfilo rosa tenue, ognuno di loroleggeva con chiarezza la parolascritta sul tappeto:

17

Una volta fuori, Stefan si ricordòche Elena aveva preso la suamacchina. Tagliò per il bosco ecominciò a correre, usando il Potereper accelerare l’andatura. Il suonoritmato dei suoi passi sembrava dire“Proteggila, proteggila”.

Sapeva dove abitavano gliSmallwood. Aveva cominciato atener d’occhio Tyler quando avevaaggredito Elena al ballo. Stefansbucò dal bosco ai margini dellaproprietà.A suo parere, possedevano una

brutta casa. Era un’imitazioneimprecisa di una vecchia villapadronale del Sud, troppo grande peril prato su cui sorgeva e piena diinutili colonne e sinuose decorazionirococò. Con una semplice occhiata,Stefan aveva capito che gliSmallwood avevano più soldi che

gusto, e che gli architetti che avevanoprogettato la villa non avevano maistudiato le vere forme classiche.Suonò il campanello alla porta

d’ingresso, poi si raggelò. Cheavrebbe fatto se gli avessero apertoil signore o la signora Smallwood?Sarebbe stato costretto a Influenzarliperché gli dicessero tutto quel chesapevano su Caleb e poidimenticassero che lui era stato lì.Sperava di avere Potere asufficienza: non si era nutritoabbastanza, nemmeno di sangueanimale.

Ma non andò ad aprire nessuno.Dopo qualche secondo, Stefan mandòdelle sonde di Potere dentro la villa.Era vuota. Non poteva entrare néperquisire la stanza di Caleb comeavrebbe voluto. Senza un invito, erabloccato fuori.Girò intorno all’edificio, sbirciando

dalle finestre, ma l’unica cosa stranaera l’inusitato numero di cornicidorate e di specchi alle pareti.Dietro la villa trovò un piccolo

capanno bianco. Sondandolo con ilPotere, percepì qualcosa dileggermente… guasto. Solo un lieve

tocco di oscurità, un sentimento difrustrazione e intenti malvagi.Il capanno era chiuso con un

lucchetto, ma non sarebbe statodifficile far scattare la serratura. Egiacché nessuno viveva lì, non avevabisogno di un invito a entrare.La prima cosa che vide fu il volto di

Elena. Le pareti erano ricoperte difoto e ritagli di giornale attaccati condelle puntine: Elena, Bonnie,Meredith, lui stesso. Sul pavimentoc’erano un pentagramma, un mazzo dirose, altre foto.I suoi sospetti su Caleb Smallwood

divennero certezza. Elena era inpericolo. Mandando avanti le sondedi Potere alla ricerca disperata dellesue tracce, ricominciò a correre.

Mentre guidava, di ritorno dal

fioraio, Elena rimuginava sullaconversazione avuta con Stefan.Che gli prendeva da quando erano

tornati a Fell’s Church? Sembravache stesse trattenendo una parte delsuo carattere, come pernascondergliela. Ricordava lasolitudine, il vertiginoso, confusosenso di isolamento che aveva

avvertito quando l’aveva baciato.Era la perdita di Damon che lo stavacambiando?Damon. Le bastava pensare a lui

per provare quasi un dolore fisico.Lunatico, scontroso, bellissimoDamon. Pericoloso. Affettuoso, amodo suo. Nella sua mente fluttuavail suo nome, scritto con le pianteacquatiche sulle gambe di Meredith.Non ne capiva il senso. Ma non

c’era speranza. Doveva smettere dimentire a se stessa. L’aveva vistomorire. Eppure pareva impossibileche Damon, così complesso, forte e

all’apparenza invincibile, potesseandarsene in un lampo, come nullafosse. Ma era così che succedeva,no? Avrebbe dovuto saperlo che lamorte non sopraggiunge annunciatada fanfare, ma spesso arriva quandomeno te lo aspetti. L’aveva capitoprima di tutto quel… quel casino coni vampiri, i lupi mannari e imisteriosi avversari maligni. Giàsapeva dell’imprevedibilità e dellasemplicità della morte quando erasolo Elena Gilbert, una comuneadolescente che non credeva aglieventi soprannaturali, nemmeno agli

oroscopi e alla cartomanzia,tantomeno ai mostri.Diede un’occhiata al sedile accanto,

sul quale giaceva il bouquet di roserosa che aveva scelto per Margaret.E, accanto alle rose, un semplicemazzetto di nontiscordardimé. Comepotrei mai dimenticare, pensò.Ricordò una banale domenica

pomeriggio in cui stava tornando acasa in macchina con i suoi genitori eMargaret, appena nata. Era unabellissima e assolata giornatad’autunno e le foglie sul ciglio dellastrada avevano appena cominciato a

tingersi di rosso e oro.Avevano pranzato in una piccola

osteria di campagna, fuori città.Margaret, che stava mettendo identini, era stata di umore irritabileal ristorante, e l’avevano portatafuori a turno, per una dozzina diminuti ciascuno, passeggiando su egiù per il portico dell’osteria mentregli altri mangiavano. Ma inmacchina, al ritorno, Margaret si eratranquillizzata e dormicchiava, con lesottili ciglia dorate che siabbassavano incerte, riposandosempre più a lungo sulle guance.

Ricordò che suo padre era allaguida e aveva sintonizzato la radiosulla stazione locale per ascoltare lenotizie. Sua madre si era girata perguardare lei, seduta sul sedileposteriore. Aveva occhi colorzaffiro, simili ai suoi. I capellidorati, appena striati di grigio, eranoraccolti indietro in una treccia allafrancese, elegante e pratica.Sorridendo, aveva detto: «Sai cosasarebbe bello?»«Cosa?», aveva chiesto Elena,

sorridendo di rimando. Poi avevavisto uno strano luccichio, in alto nel

cielo, e si era sporta in avanti senzaaspettare la risposta. «Papà, cos’èquello?». Aveva indicato il cielo.Elena non avrebbe mai saputo cosa

sua madre pensava che sarebbe statobello. E suo padre non le aveva maispiegato cose fosse lo stranoluccichio nel cielo.Le ultime cose che ricordava erano

suoni: il grido strozzato di suo padree lo stridio delle gomme. Poi c’erastato solo il vuoto, finché si erasvegliata in ospedale, con zia Judithal suo fianco, e aveva appreso che isuoi genitori erano morti. Erano già

morti quando i paramedici li avevanotirati fuori dalla macchina.Prima di risistemare Fell’s Church,

le Guardiane avevano detto che leiera destinata a morire nell’incidente,non i suoi genitori. Il luccichioproveniva dalle loro auto volanti edElena aveva distratto suo padre nelmomento peggiore, facendo sì chemorissero le persone sbagliate.Sentiva il peso di ciò che aveva

fatto, il senso di colpa per esseresopravvissuta, la rabbia verso leGuardiane. Gettò un’occhiataall’orologio sul cruscotto. Mancava

ancora molto tempo al saggio diMargaret. Uscendo dall’autostrada,entrò nel parcheggio del cimitero.Parcheggiò la macchina e percorse

a passo svelto la parte nuova delcimitero, stringendo al petto il mazzodi nontiscordardimé. Gli uccellicinguettavano gaiamente fra glialberi. Erano successe tante cose inquel cimitero l’anno precedente. Fraquelle lapidi, Bonnie aveva avutouna delle sue prime visioni. Stefanl’aveva seguita, osservandola dinascosto, quando lei lo consideravasolo un nuovo compagno di scuola

molto carino. Damon aveva quasiprosciugato un vecchio barbone sottoil ponte. Katherine l’aveva inseguitafuori dal cimitero, fra la nebbia e ilghiaccio, con una lungimirante eimmensa malvagità. E proprio neipressi del cimitero era morta,uscendo di strada e cadendo dalponte. Era stata la fine della suaprima vita, una vita così lontana,ormai.Elena imboccò un sentiero alle

spalle del monumento marmoreoriccamente ornato in onore dei cadutidella guerra civile e discese la valle

ombrosa dove erano sepolti i suoigenitori. Il mazzetto di fiori di campoche lei e Stefan avevano lasciatosulla lapide due giorni prima eraappassito. Elena lo gettò via e miseal suo posto i nontiscordardimé.Staccò un po’ del muschio checopriva il nome di suo padre.Dal vialetto alle sue spalle giunse

un leggerissimo scricchiolio dighiaia, ed Elena si girò di scatto.Non c’era nessuno.«Sono solo nervosa», borbottò fra

sé. La sua voce risuonò stranamentealta nel silenzio del cimitero. «Non

c’è niente di cui preoccuparsi», dissecon più convinzione.Si accovacciò sull’erba accanto alle

tombe dei suoi genitori e seguì lelettere del nome di sua madre con ledita.«Ciao», disse. «È passato un bel

po’ di tempo dall’ultima volta che misono seduta qui a parlare con voi, loso. E mi dispiace. Sono successeun’infinità di cose…». Deglutì. «Midispiace anche perché ho scopertoche non era ancora il vostro momentoquando siete morti. Ho chiesto alleGuardiane di… di riportavi indietro,

ma hanno detto che ora siete in unposto migliore e che loro nonpossono farci più nulla. Vorrei…Sono contenta che siate felici,ovunque voi siate, ma mi mancate lostesso».Elena sospirò, facendo scivolare la

mano giù dalla lapide e tracciandouna scia nell’erba vicino alginocchio. «C’è di nuovo qualcosache mi perseguita», continuò con ariainfelice. «Perseguita tutti noi, inrealtà, ma Bonnie, quando è andata intrance ha detto che io l’ho portataqui. E poi ha aggiunto che lui vuole

me. Non so se si riferisse a duepersone diverse, o qualunque altracosa siano. Forse solo una di loro ciperseguita. Ma le cose bruttesuccedono sempre a me». Rigirò unfilo d’erba tra le dita. «Vorrei avereuna vita semplice, come quella dellealtre ragazze. Certe volte… Sonodavvero felice di avere Stefan e dipoter fare qualcosa per proteggereFell’s Church, ma… è dura. Èproprio dura».Un singulto le salì in gola, ma lei lo

ricacciò indietro. «E… Stefan èsempre presente quando ho bisogno

di lui, ma mi sembra di nonriconoscerlo più, soprattutto perchénon posso più leggere i suoi pensieri.È così teso, sembra quasi che sisforzi in continuazione di restarecalmo…».Udì un fruscìo alle proprie spalle,

solo un leggerissimo segno che si eramosso qualcosa. Sentì un alito umidoe caldo sulla nuca, come un respiro.Girò di scatto la testa. Caleb era

accovacciato dietro di lei, cosìvicino che le punte dei loro nasiquasi si sfioravano. Urlò, ma Caleble premette una mano sulla bocca,

soffocando il suo grido.

18

Sentiva la mano di Caleb pesante ecalda contro le labbra e la graffiòcon le unghie. Lui l’afferrò conl’altra mano, immobilizzandola, e leconficcò le dita nelle spalle.Elena si dibatté con forza, agitando

le braccia e assestando un colpo

vigoroso allo stomaco del ragazzo.Diede un bel morso alla mano che luile premeva sulla bocca. Caleb scattòall’indietro, lasciandola andare dicolpo e portandosi al petto la manoferita. Appena non ebbe più la boccatappata, Elena urlò.Caleb fece qualche passo indietro,

alzando le mani in segno di resa.«Elena!», disse. «Elena, mi dispiace.Non volevo spaventarti. Volevo soloche non urlassi».Elena lo guardò con diffidenza,

ansimando. «Che ci fai qui?», chiese.«Perché ti sei avvicinato di soppiatto

alle mie spalle se non volevispaventarmi?».Caleb scrollò le spalle e parve un

po’ imbarazzato. «Ero preoccupatoper te», confessò, ficcandosi le maniin tasca e abbassando la testa. «Stavofacendo un’escursione a Hot Springse ti ho vista con i tuoi amici. Tiavevano appena tirata fuoridall’acqua e sembrava che nonrespirassi». La sbirciò da sotto lelunghe ciglia dorate.«Eri talmente preoccupato per me

che hai deciso di afferrarmi etapparmi la bocca per impedirmi di

urlare?», chiese Elena. Calebabbassò ancor di più la testa e sigrattò la nuca, imbarazzato.«L’ho fatto senza pensare», rispose

con un solenne cenno del capo.«Sembravi così pallida», continuò.«Ma hai aperto gli occhi e ti seimessa a sedere. Stavo per scendere econtrollare che stessi bene, ma un tuoamico mi ha visto e ha cominciato acorrere su per il sentiero come sevolesse aggredirmi, e quindi sonoandato in paranoia e sono scappato».D’un tratto sorrise. «Di solito nonsono così fifone», disse. «Ma lui

sembrava un pazzo furioso».D’un tratto si sentì disarmata. Le

faceva ancora male la spalla nelpunto in cui lui l’aveva afferrata. MaCaleb sembrava così sincero edispiaciuto.«Comunque», continuò lui,

fissandola con gli innocenti occhicelesti, «stavo tornando a casa deimiei zii e ho riconosciuto la tuamacchina nel parcheggio delcimitero. Sono venuto solo perchévolevo parlarti e accertarmi chestessi bene. E poi, quando mi sonoavvicinato, eri seduta e parlavi da

sola, così mi sono sentito un po’ inimbarazzo. Non volevointerromperti, né volevointromettermi in qualcosa dipersonale, così ho aspettato e basta».Abbassò di nuovo la testa,impacciato. «E invece è successo cheti ho aggredita e spaventata a morte,e di sicuro non era la cosa miglioreda fare. Mi dispiace sul serio,Elena».Elena lo guardò. Le sue pulsazioni

stavano tornando alla normalità.Quali che fossero le intenzioni diCaleb, di sicuro non stava per

aggredirla di nuovo in quel momento.«È tutto a posto», disse. «Ho battutola testa su una roccia sott’acqua. Maora sto bene. Deve esserti sembratopiuttosto strano vedermi lì aparlottare da sola. Certe volte vengoqui per parlare con i miei genitori,ecco tutto. Sono sepolti in questocimitero».«Non è strano», disse lui con voce

pacata. «Capita anche a me a volte diparlare con i miei genitori. Quandosuccede qualcosa che mi sarebbepiaciuto condividere con loro,comincio a raccontargliela e mi

sembra che siano lì ad ascoltarmi».Deglutì a fatica. «È già passatoqualche anno, ma non si smette maidi sentirne la mancanza, vero?».Quando vide la tristezza sul volto di

Caleb, Elena avvertì la rabbia e lapaura defluire del tutto. «Oh, Caleb»,disse, tendendo la mano per toccargliil braccio.Con la coda dell’occhio colse un

brusco movimento e poi, come sefosse sbucato fuori dal nulla, apparveStefan. Correva verso di loro comeuna furia, a incredibile velocità.«Caleb», ringhiò Stefan, afferrando

il ragazzo per la maglietta egettandolo a terra. Caleb emise ungrugnito di sorpresa e dolore.«Stefan, no!», urlò Elena.Stefan si girò di colpo verso di lei.

Aveva uno sguardo duro e i caniniallungati al massimo. «Lui non èquello che dice di essere, Elena»,disse con voce stranamente calma.«È pericoloso».Caleb si alzò lentamente,

appoggiandosi a una lapide. Avevagli occhi fissi sui canini di Stefan.«Che sta succedendo?», chiese. «Checosa sei?».

Stefan si girò verso di lui e lo gettòdi nuovo a terra, quasi connoncuranza.«Stefan, smettila!», strillò Elena,

non riuscendo a evitare una punta diisteria nella voce. Cercò di toccargliil braccio, ma lo mancò. «Gli faraimale!».«Lui ti vuole, Elena», ringhiò

Stefan. «Lo capisci? Non puoifidarti».«Stefan», implorò Elena.

«Ascoltami. Non stava facendoniente di male. Lo sai. È umano».Sentì calde lacrime raccogliersi negli

occhi e sbatté le palpebre perricacciarle indietro. Non era ilmomento di piangere e lamentarsi.Era il momento di restare calmi elucidi e impedire a Stefan di perderel’autocontrollo.Caleb si rialzò vacillando, con una

smorfia di dolore, e stavolta caricògoffamente Stefan, rosso in viso. Glimise un braccio intorno al collo e lotirò da una parte, ma Stefan, quasisenza sforzo, lo gettò di nuovo aterra.Steso sul prato, Caleb fissava il

vampiro che torreggiava minaccioso

sopra di lui. «Non puoi batterti conme», ringhiò Stefan. «Sono più forte.Posso cacciarti dalla città o uccidertisenza problemi. E farò entrambe lecose se mi farai credere che ènecessario. Non esiterò un istante».Elena gli afferrò il braccio.

«Smettila! Smettila!», urlò. Cercò difarlo girare verso di lei, per poterloguardare negli occhi e riuscire acomunicare con lui.Respira, pensò con ansia. Doveva

placare gli animi, così cercò ditenere ferma la voce e di assumere untono razionale. «Stefan, non so cosa

pensi che stia succedendo con Caleb,ma fermati solo un minuto e pensa».«Elena, guardami», disse Stefan. I

suoi occhi erano scuri perl’emozione. «Io so, ne sono sicuro alcento per cento, che Caleb èmalvagio. È un pericolo per noi.Dobbiamo liberarci di lui prima cheabbia la possibilità di distruggerci.Non possiamo dargli l’opportunità diottenere un vantaggio su di noiaspettando che faccia la primamossa».«Stefan…», disse Elena. Le tremava

la voce e una parte di lei osservò con

lucido distacco che era così che ci sidoveva sentire quando la persona cheamavi impazziva.Non sapeva cosa avrebbe detto, ma

prima che potesse aprir bocca, Calebsi alzò di nuovo in piedi. Aveva unlungo graffio sulla guancia, e i suoicapelli biondi erano arruffati esporchi di terra.«Ora basta», disse torvo, avanzando

verso Stefan. Zoppicava un po’ enella mano destra stringeva un grossosasso. «Non puoi venire qui e…».Sollevò il sasso con aria minacciosa.«Smettetela, tutti e due», urlò Elena,

tentando di assumere un tono rude eautoritario per ottenere la loroattenzione.Ma Caleb si limitò a sollevare il

sasso e a lanciarlo, mirando al visodi Stefan.Stefan schivò il sasso, con uno

scatto così veloce che Elena quasinon riuscì a vederlo, afferrò Calebper la vita e lo lanciò in aria con unmovimento aggraziato. Il ragazzorestò per un attimo sospeso per aria,molle e leggero come unospaventapasseri gettato dal retro diun camioncino, e poi sbatté sul fianco

marmoreo del monumento ai cadutidella guerra civile, con unraccapricciante scricchiolio d’ossa.Infine cadde con un tonfo ai piedidella statua e restò immobile.«Caleb!», gridò con orrore Elena.

Corse verso di lui, facendosi largofra i cespugli e gli alti ciuffi d’erbache circondavano il monumento.Aveva gli occhi chiusi ed era

pallido in volto. Elena distinse lesottili venature blu sulle suepalpebre. Sotto la testa si stavaallargando una pozza di sangue. Unastriscia di terra gli solcava il viso e,

all’improvviso, quella linea scura eil lungo graffio rosso sulla guancia leparvero tra le cose più strazianti cheavesse mai visto. Caleb non simuoveva. Non era nemmeno sicurache respirasse.Elena cadde in ginocchio e gli tastò

il polso, gli palpò le vene del collo,tremante. Appena avvertì sotto le ditail ritmo regolare del battito cardiaco,sospirò di sollievo.«Elena». Stefan l’aveva seguita al

fianco di Caleb. Le mise una manosulla spalla. «Ti prego, Elena».Lei scosse la testa, rifiutando di

guardarlo, e scrollò via la sua mano.Si tastò le tasche in cerca delcellulare. «Mio Dio, Stefan», disse,con voce sincopata e tesa, «avrestipotuto ucciderlo. Devi andartene daqui. Dirò alla polizia che l’ho trovatocosì, ma se ti vedono, capiranno cheavete fatto a botte». Deglutì a faticaquando si accorse che le macchie diterra sulla maglietta di Calebformavano l’impronta della mano diStefan.«Elena», disse Stefan in tono

implorante. Avvertendo l’angoscianella sua voce, lei finalmente si girò

a guardarlo. «Elena, non capisci.Dovevo fermarlo. Ti stavaminacciando». La fissavasupplichevole coi suoi occhi verdefoglia e lei dovette farsi forza perimpedirsi di piangere.«Te ne devi andare», disse. «Va a

casa. Parliamo dopo». Non picchiarenessun altro, pensò, ma si morse lelabbra.Stefan rimase a guardarla per un

lungo momento, poi indietreggiò. «Tiamo, Elena». Si voltò e scomparvefra gli alberi, nella parte più vecchiae abbandonata del cimitero.

Elena prese a respirare con menoaffanno, si asciugò gli occhi ecompose il 911. «C’è stato unincidente», disse con voce agitata,appena rispose l’operatore. «Mitrovo nel cimitero di Fell’s Churchsulla statale ventitré, al monumentoper la guerra civile, vicino al limitedella parte nuova. Ho trovato unragazzo… Sembra che sia statopicchiato e lasciato qui privo disensi…».

19

«Sul serio, Elena», disse zia Judith,scuotendo la testa mentre sistemavalo specchietto retrovisore dell’auto.«Non so perché cose del generecapitino sempre a te, ma vai a finirenelle situazioni più strane».«Non me ne parlare», sospirò

Elena, lasciandosi cadere sul sedilepasseggero dell’auto della zia eprendendosi la testa tra le mani.«Grazie per essermi venuta aprendere, zia Judith. Ero tropposconvolta per guidare dopo esserestata all’ospedale con Caleb e tutto ilresto». Deglutì. «Mi dispiace di averperso il saggio di danza di Margaretalla fine».Zia Judith le diede un pacca sul

ginocchio per tranquillizzarla, senzadistogliere gli occhi dalla strada.«Ho detto a Margaret che Caleb si èfatto male e che tu ti sei presa cura di

lui. Ha capito. In questo momento seitu che mi preoccupi. Deve esserestato uno shock trovarlo in quellostato, soprattutto quando hai capitoche era una persona che conoscevi.Che è successo di preciso?».Elena scrollò le spalle e ripeté la

bugia che aveva raccontato allapolizia. «L’ho solo trovato lì distesoquando sono andata a far visita amamma e papà». Si schiarì la golaprima di continuare. «Resterà inospedale per un paio di giorni.Pensano che abbia avuto una bruttacommozione cerebrale e vogliono

tenerlo sotto osservazione perassicurarsi che il cervello non sigonfi. Nell’ambulanza ha aperto unpo’ gli occhi, ma era moltodisorientato e non ricordava cosafosse successo». Per fortuna, pensòElena. E se Caleb avesse detto diessere stato aggredito dal ragazzo diElena Gilbert, e che c’era qualcosadi strano nella forma dei suoi denti?Se avesse detto che il suo ragazzoera un mostro? Si sarebbe ripetutotutto quello che era successol’autunno precedente.Zia Judith corrugò la fronte con aria

commossa e scosse la testa. «Be’,Caleb può ritenersi fortunato che siaarrivata tu. Sarebbe potuto rimanerelì disteso per giorni prima chequalcuno andasse a cercarlo».«Già, proprio fortunato», disse

Elena con voce cupa. Arrotolò ilbordo della maglietta fra le dita escoprì con un sussulto di indossareancora il costume da bagno sotto ivestiti. Il picnic di quel pomeriggiosembrava aver avuto luogo unmilione di anni prima.Poi qualcosa nel discorso di zia

Judith la fece trasecolare. «Che

intendevi quando hai detto chesarebbe potuto rimanere lì per giorniprima che qualcuno andasse acercarlo? E i suoi zii?»«Ho provato a chiamarli subito

dopo la tua telefonata, ma pare cheCaleb si stia arrangiando da solo daun bel pezzo. Quando mi hannorisposto, hanno detto di essere invacanza fuori città e francamente nonsembravano tanto preoccupati per ilnipote, neanche quando ho raccontatoloro cosa era successo». Sospiròsonoramente. «Andrò a fargli visitadomani e gli porterò un mazzetto di

fiori del nostro giardino, dopotutto èlui che l’ha sistemato così bene.Credo che lo apprezzerà».«Uh», fece Elena, perplessa. «A me

aveva detto di essere venuto qui perstare con gli zii che erano sconvoltiper la scomparsa di Tyler».«Può darsi», disse seccamente sia

Judith, «ma gli Smallwood sembranoessersi ripresi piuttosto bene. Diconoche secondo loro Tyler tornerà acasa quando sarà pronto. È semprestato un ragazzo un po’indisciplinato. Sembra che Caleb siapiù preoccupato per Tyler di quanto

lo siano loro».Zia Judith parcheggiò nel vialetto,

poi Elena la seguì dentro casa, doveRobert stava leggendo il giornale altavolo della cucina.«Elena, sembri esausta», disse,

piegando il giornale e guardandolacon preoccupazione. «Tutto aposto?»«Sì, sto bene», rispose lei, intontita

dal sonno. «È stata una lungagiornata». Pensò che nella sua vita,ormai, le toccava parlare solo pereufemismi.«Bene. Margaret è andata a letto,

ma ti abbiamo messo da partequalcosa per cena», disse zia Judith,facendo un passo verso il frigorifero.«C’è del pollo al forno e un po’ diinsalata. Sarai affamata».Elena sentì un improvviso senso di

nausea. Aveva soppresso tutti isentimenti su quel che Stefan avevafatto a Caleb, e aveva continuato aricacciare indietro le immaginidell’aggressione per poter proseguirela recita con la polizia, con ilpersonale dell’ospedale, con la suastessa famiglia. Ma era stanca e letremavano le mani. Sapeva che non

poteva tenere tutto sotto controlloancora a lungo.«Non mi va», disse,

indietreggiando. «Non riesco… Nonho fame, zia. Grazie, comunque.Voglio solo farmi un bagno e andarea letto». Si girò e corse fuori dallacucina.«Elena! Devi mangiare qualcosa»,

sentì zia Judith gridare esasperatadietro di lei, mentre saliva le scale dicorsa.«Judith, lasciala stare», intervenne

Robert con la sua voce bassa epacata.

Elena si precipitò in bagno e sichiuse la porta alle spalle.Lei e Margaret condividevano il

bagno nel corridoio, così cominciò asvuotare la vasca dai giocattoli dellasorellina, cercando di tenere la mentesgombra: un’anatra di gomma rosa,una nave pirata, una pila di tazze diplastica dai colori vivaci. Uncavalluccio marino color porporache la guardava dal fondo dellavasca con un sorriso ebete e gli occhidipinti di blu.Quando ebbe finito, Elena riempì la

vasca con l’acqua più calda che

poteva sopportare e vi versò dentrouna cucchiaiata abbondante dibagnoschiuma al profumo dialbicocca che prometteva di placareil suo spirito mentre le ringiovanivala pelle. Quelle parole suonavanobene, anche se aveva seri dubbi suciò che poteva ragionevolmenteaspettarsi da una bottiglia dibagnoschiuma.Quando ebbe riempito la vasca,

Elena si svestì in fretta ed entrònell’acqua bollente coperta da unospesso strato di schiuma. All’inizioscottava, ma si calò poco a poco,

abituandosi gradualmente allatemperatura.Appena si sentì a suo agio, si

distese nell’acqua, con i capelli chefluttuavano come quelli di una sirena,e, sentendo i suoni della casa attutitidall’acqua, lasciò spazio ai pensieriche fino ad allora aveva evitato.Le lacrime le sgorgarono dagli

occhi e presero a scenderle lungo leguance per unirsi all’acqua delbagno. Aveva creduto che tuttosarebbe tornato alla normalità unavolta a casa, che tutto sarebbe andatodi nuovo bene. Quando, insieme ai

suoi amici, aveva convinto leGuardiane a farli tornare indietro e acambiare il passato, a resuscitare imorti e aggiustare ciò che era rotto, ariportare ogni cosa a come sarebbestata se nessuna terribile minacciaavesse toccato la piccola cittadina diFell’s Church, aveva creduto che leavrebbero ridato anche una vitafacile e senza problemi. Che leavrebbero restituito la sua famiglia, isuoi amici e il suo Stefan.Ma non poteva funzionare, vero?

Non sarebbe mai andata così, non perlei.

Tornata in città, appena avevamesso piede fuori di casa, in unabella giornata estiva, qualcosa dioscuro, maligno e soprannaturaleaveva cominciato a perseguitare lei ei suoi amici.Quanto a Stefan… Oh, cielo…

Stefan. Che gli prendeva?Se chiudeva gli occhi, vedeva

Caleb che volava in aria e udiva ilsuono orrendo e irreversibile dellasua testa che sbatteva contro ilmarmo del mausoleo. Che avrebbefatto se quel ragazzo tanto carino einnocente, un ragazzo che, proprio

come lei, aveva perso i genitori edera solo, fosse rimasto paralizzato avita o fosse morto a causa di Stefan?Stefan. Come era potuto diventare il

tipo di persona capace di azioni delgenere? Lui che si sentiva in colpapersino per gli animali dai qualiprendeva il sangue, per le colombe,per i conigli e i cervi della foresta.La persona che conosceva fin nelprofondo dell’anima e che pensavanon le avesse mai nascosto niente…quella persona non avrebbe maimaltrattato in quel modo un essereumano.

Elena restò a mollo finché l’acquadivenne fredda e le lacrime siseccarono. Poi uscì, vuotò la vasca,si asciugò i capelli, si lavò i denti,infilò la camicia da notte, augurò labuonanotte a zia Judith e a Robert esi mise a letto. Quella sera non avevavoglia di scrivere sul suo diario.Spense la luce e rimase distesa, con

gli occhi fissi nel buio. La stessaoscurità degli occhi di Damon,pensò.Sapeva che Damon, per tantissimi

anni, era stato un mostro. Avevaucciso, anche se non così a cuor

leggero come voleva far credere;aveva manipolato la gente, provandopiacere nel farlo; aveva tormentato edetestato Stefan per secoli. Ma leiaveva visto anche il ragazzinosperduto che Damon tenevaimprigionato nell’anima. Lui l’avevaamata, era stato ricambiato da lei conlo stesso amore, ed era morto.E lei amava Stefan. Di un amore

disperato, devoto, innegabile. Amavala sincerità nei suoi occhi, il suoorgoglio, le sue maniere cortesi, ilsuo senso dell’onore e la suaintelligenza. Amava che avesse

respinto il mostro che si annidavadentro di lui, soppresso l’istinto cheaveva indotto tanti vampiri acompiere atti tremendi. Amava ildolore che lui serbava nel cuore. Peril suo passato, per il rancore e lagelosia nei confronti del fratello, perle cose terribili che aveva visto. Eamava la speranza che in lui nonsmetteva mai di riaccendersi, la forzadi volontà che gli permetteva diopporsi alle tenebre.Al di là di tutto ciò, amava Stefan.

Ma aveva paura.Pensava di conoscerlo bene, di

riuscire a vedere chiaramente finoalle radici più profonde della suaanima. Forse era stato vero inpassato, ora non più. Non da quandole Guardiane l’avevano spogliata deisuoi poteri, avevano spezzato il lorolegame psichico e l’avevanoritrasformata in una normale ragazzaumana.Elena si rigirò e affondò il viso tra i

cuscini. Ormai sapeva la verità.L’intervento delle Guardiane noncontava nulla, perché lei non sarebbemai stata una ragazza normale. La suavita non sarebbe mai stata facile. La

tragedia e l’orrore l’avrebberoseguita per sempre.In fin dei conti, non c’era nulla che

potesse fare per cambiare il propriodestino.

20

«Biscotti», disse Alaric in tonograve. «Bonnie pensa che potrebberiuscire a mandar giù un paio dibiscotti. Giusto per tenersi in forze».«Biscotti, ho capito», disse

Meredith, rovistando nella dispensadella signora Flowers alla ricerca di

una ciotola per mescolare gliingredienti. Posò sul bancone unaterrina di porcellana che eraprobabilmente più vecchia di lei econtrollò il frigorifero. Uova, latte,burro. La farina era nel congelatore.Lo zucchero e la vaniglia nellacredenza.«Ma guardati!», disse Alaric con

ammirazione mentre Meredithscartava un panetto di burro. «Non tiserve nemmeno la ricetta. C’èqualcosa che non sai fare?»«Un sacco di cose», rispose

Meredith, crogiolandosi nel calore

dello sguardo di Alaric.«Come posso aiutarti?», chiese lui

allegramente.«Puoi prendere un’altra terrina e

versarci dentro due tazze di farina eun cucchiaino di lievito», disseMeredith. «Io sbatterò il burro e glialtri ingredienti in questa ciotola, epoi uniremo i due composti».«Subito». Alaric trovò la terrina e i

misurini e cominciò a dosare gliingredienti. Meredith osservò le suemani forti e abbronzate chespianavano la farina con fare sicuro.Pensò che Alaric aveva davvero

mani bellissime. Aveva anche dellebelle spalle, e un bel viso. A dire ilvero, le piaceva tutto di lui.Si rese conto che, invece di

mescolare, stava rimirando con occhilascivi il suo ragazzo e arrossì, anchese nessuno la stava guardando. «Mipasseresti i misurini se hai finito?».Alaric le porse i bicchieri graduati.

«So che sta succedendo qualcosa dispaventoso, e anch’io voglioproteggere Bonnie», disse poi,abbozzando un sorriso, «ma pensostia approfittando un po’ dellasituazione. Le piace essere coccolata

da tutti».«Bonnie si sta mostrando molto

coraggiosa», disse con sussiegoMeredith, poi gli rivolse un brevesorriso, «e sì, forse sta approfittandoun po’ della situazione».Matt scese le scale ed entrò in

cucina. «Ho pensato che a Bonniepotrebbe far piacere trovare unatazza di tè quando esce dalla vascada bagno», disse. «La signoraFlowers è occupata a imbastireincantesimi protettivi nella camerascelta da Bonnie, ma ha detto diavere una miscela di camomilla e

rosmarino che potrebbe andar bene, edi aggiungerci un cucchiaino dimiele».Meredith si concentrò nel mescolare

gli ingredienti mentre Matt metteva abollire l’acqua e dosava conattenzione le erbe secche e il mieleper preparare l’infuso secondo leprecise indicazioni della signoraFlowers. Quando portò a terminequel compito delicato, sollevò concautela la fragile tazza con il suopiattino.«Un attimo, forse è meglio che porti

su anche la teiera», disse. Mentre

cercava un vassoio, chiese:«Meredith, sei sicura che tu e Bonnieavete preso tutto quello che lepotrebbe servire da casa sua?»«È stata su almeno mezz’ora. Ha

preso tutto quel che voleva», disseMeredith, «e se abbiamo dimenticatoqualcosa, sono certa che la signoraFlowers ha in casa quel che leserve».«Bene», disse Matt, con il bel viso

concentrato mentre sollevava ilvassoio senza versare neanche unagoccia di tè. «Volevo soloassicurarmi che Bonnie stesse bene».

Lasciò la cucina e Meredith rimasein ascolto dei passi che siallontanavano su per le scale.Appena Matt non fu più a portatad’orecchie, lei e Alaric scoppiaronoa ridere.«Sì, se ne sta proprio

approfittando», disse Meredith,appena smise di ridere.Alaric la attirò a sé. Il suo volto si

era fatto serio e concentrato, eMeredith trattenne il respiro. Quandoerano così vicini, scorgeva levenature dorate nascoste nei suoiocchi nocciola, e le sembrava di

essere l’unica a conoscere quelsegreto.«Amo il modo in cui ti prendi cura

dei tuoi amici», le sussurrò Alaric.«Quello che amo di più è che sai cheBonnie sta tirando la corda il piùpossibile per vedere cosa seidisposta a fare per lei, e anche se ilsuo comportamento ti fa sorridere, ledarai comunque tutto ciò che vuole».Corrugò leggermente la fronte.«Aspetta, non volevo dire questo.Amo la tua capacità di vedere il latobuffo delle cose, ma quello che amodi più è la tua bravura nel prenderti

cura degli altri». La strinse ancorapiù vicino a sé. «Penso che la cosapiù giusta da dire sia che ti amo,Meredith».Meredith lo baciò. Come aveva

potuto preoccuparsi che Celia simettesse fra loro? Era come seavesse avuto una nebbia davanti agliocchi, che le impediva di vedere lasemplice verità: Alaric era pazzo dilei.Dopo un minuto, interruppe il bacio

e si voltò, tornando a lavorarel’impasto dei biscotti. «Miprenderesti una teglia per biscotti,

per favore?», chiese.Alaric rimase fermo un istante.

«Okay…», disse.Chiudendo gli occhi, Meredith fece

appello a tutte le sue forze. Dovevadirglielo. Era una promessa cheaveva fatto a se stessa.Lui le porse la teglia e lei cominciò

subito a versarvi dentro cucchiaiatedi impasto. «C’è una cosa che devodirti, Alaric», disse.Alaric, accanto a lei, si

immobilizzò. «Cosa?», chiese condiffidenza.«Ti sembrerà incredibile».

Lui sbottò in una breve risatasbuffante. «Più incredibile di tuttoquello che è successo da quando ti hoincontrata?»«Più o meno», disse Meredith. «O,

perlomeno, stavolta riguarda me.Sono una…». Era difficile da dire.«Vengo da una famiglia di cacciatoridi vampiri. Per tutta la vita sono stataaddestrata a combattere. Immaginoche prendermi cura delle persone siauna caratteristica di famiglia».Sorrise debolmente.Alaric la fissava a occhi sbarrati.«Di’ qualcosa», disse con ansia

Meredith un attimo dopo.Lui si scostò i capelli dagli occhi e

si guardò attorno con aria smarrita.«Non so cosa dire. Sono sorpresoche tu non me ne abbia mai parlato.Credevo», fece una pausa, «che nonci fossero segreti tra noi».«La mia famiglia…», disse

Meredith con aria affranta. «I mieigenitori mi hanno fatto giurare cheavrei mantenuto il segreto. Non l’homai detto a nessuno fino a pochigiorni fa».Alaric abbassò le palpebre per un

istante e premette con forza i palmi

sugli occhi. Quando li riaprì,appariva più calmo. «Capisco. Sulserio».«Aspetta», disse Meredith. «C’è

dell’altro». La teglia per biscotti erapiena, così cercò qualcos’altro pertenere le mani e gli occhi occupatimentre parlava. Scelse unostrofinaccio per i piatti e cominciò atorcerlo nervosamente. «Ricordi cheKlaus ha aggredito mio nonno?».Alaric annuì.«Be’, qualche giorno fa ho scoperto

che ha aggredito anche me e ha rapitomio fratello… Un fratello che non

sapevo di avere. L’ha portato via el’ha trasformato in un vampiro. E hareso me, che avevo appena tre anni,uno strano ibrido di vampiro. Sonoviva, ma ho bisogno di mangiaresalsicce al sangue e qualche volta mivengono… i denti appuntiti comequelli dei gatti».«Oh, Meredith…». Alaric aveva

uno sguardo pieno di compassionementre le andava incontro con lemani tese. Viene verso di me,osservò Meredith. Non arretra, nonha paura.«Aspetta», disse di nuovo. «Elena

ha chiesto alle Guardiane di renderele cose come sarebbero state seKlaus non fosse mai venuto qui».Posò lo strofinaccio. «Quindi nientedi tutto ciò è accaduto».«Che cosa?», disse Alaric,

fissandola a occhi sbarrati.Meredith annuì, mentre un sorriso

indifeso e impacciato si allargava sulsuo viso. «Mio nonno è morto dueanni fa in una casa di riposo inFlorida. Ho un fratello, anche se,purtroppo, non lo ricordo. L’hannomandato in collegio quando avevadodici anni e si è unito all’esercito

appena ha compiuto diciotto anni. Aquanto pare, è la pecora nera dellafamiglia». Trasse un profondorespiro. «Io non sono un vampiro.Nemmeno un mezzo vampiro. Non inquesto presente».Alaric la fissava ancora a occhi

sbarrati. «Fantastico», disse.«Aspetta un attimo. Questo significache Klaus è ancora vivo? Che puòancora venire qui e tormentare la tuafamiglia?»«Ci ho riflettuto», disse Meredith,

felice di affrontare gli aspetti praticidella questione. «Non credo che lo

farà. Elena ha chiesto alle Guardianedi trasformare Fell’s Church nellacittà che sarebbe stata se Klaus nonfosse mai venuto. Non ha chiesto dicambiare Klaus e la sua esperienza.Quindi, se ragioniamo da un punto divista logico, lui è venuto qui tantotempo fa e ora è morto». Fece unsorriso incerto. «Almeno lo spero».«Quindi ora sei al sicuro», disse

Alaric, «per quanto possa esserlouna cacciatrice di vampiri. È tuttoqui quello che volevi dirmi?».Quando lei annuì, lui le prese le manie l’attirò di nuovo tra le sue braccia.

Stringendola forte, le disse: «Tiavrei amata anche con i dentiappuntiti. Ma sono felice per te».Meredith chiuse gli occhi. Aveva

dovuto dirglielo, per capire comeavrebbe reagito se le Guardiane nonavessero cambiato tutto. Si sentìpervadere da una grande felicità, unafelicità che scaldava il cuore.Alaric appoggiò le labbra sui suoi

capelli.«Aspetta», disse lei ancora una

volta, e lui sciolse l’abbraccio,scrutandola con uno sguardoindagatore.

«I biscotti». Meredith rise e li misenel forno, impostando il timer a dieciminuti.Si baciarono finché non suonò

l’allarme.

«Sei sicura che te la caverai dasola?», chiese con ansia Matt, inpiedi accanto al letto di Bonnie.«Sono al piano di sotto se haibisogno di me. Anzi, forse è meglioche io resti qui. Posso dormire sulpavimento. Cercherò di non russare,giuro».Bonnie gli rivolse un breve sorriso

coraggioso. «Starò bene, Matt. Tiringrazio tanto».Con un ultimo sguardo preoccupato,

Matt le diede due goffi colpetti sullamano e lasciò la stanza. Bonniesapeva che si sarebbe girato erigirato nel letto, pensando ai modiper tenerla al sicuro. Probabilmente,alla fine, si sarebbe addormentato sulpavimento, fuori dalla porta della suastanza, pensò dimenandosi sul lettocon un brivido di delizia.«Dormi bene, mia cara», disse la

signora Flowers, prendendo il postodi Matt al suo capezzale. «Ho

lanciato intorno a te tutti gliincantesimi di protezione checonosco. Spero che il tè ti piaccia. Èuna mia miscela speciale».«Grazie, signora Flowers», disse

Bonnie. «Buona notte».«Te la stai spassando alla grande»,

disse Meredith, entrando con unpiatto di biscotti. Zoppicava, maaveva rifiutato categoricamente diappoggiarsi a un bastone o a unastampella fintanto che aveva lafasciatura alla caviglia.In effetti… Bonnie guardò Meredith

con più attenzione. Le sue guance

avevano preso colore e i suoicapelli, sempre lisci e ordinati, eranoun po’ scompigliati. Mi sa che èproprio contenta della partenza diCelia, pensò Bonnie con una smorfiacompiaciuta.«Cerco solo di tenermi su di

morale», disse con un sorrisobirichino. «E sai come si dice:“Quando la vita ti dà limoni, fai unalimonata”. La mia limonata è avereMatt che cerca di soddisfare ognimio bisogno. È un peccato che non cisiano altri ragazzi a disposizione».«Non dimenticare Alaric», disse

Meredith. «Ha dato una mano apreparare i biscotti. Ed è al piano disotto a fare ricerche su tutto ciò chepotrebbe essere correlato al nostroproblema».«Ah, servita e riverita da tutti, così

mi piace», scherzò Bonnie. «Ti hogià detto che mi è piaciuta tantissimola cena che hai preparato? C’eranotutti i miei piatti preferiti…sembrava il mio compleanno. O ilmio ultimo pasto», aggiunse in tonopiù serio.Meredith corrugò la fronte. «Sei

sicura di non volere che resti? So che

abbiamo protetto la casa meglio chepotevamo, ma non sappiamo davverocosa stiamo combattendo. E soloperché le ultime due aggressioni sonoavvenute di giorno, alla presenza ditutti noi, non significa che debbanoverificarsi sempre allo stesso modo.Se riuscissero a superare le nostredifese?»«Andrà tutto bene», disse Bonnie. A

livello razionale, sapeva di essere inpericolo, ma per qualche stranomotivo non aveva paura. In casa conlei c’erano persone di cui si fidava, etutti erano totalmente dediti a

garantire la sua sicurezza. Inoltre,aveva un progetto per quella notte, unpiano che non avrebbe potuto attuarese Meredith fosse rimasta a dormirecon lei.«Sei sicura?», chiese di nuovo

Meredith, in apprensione.«Sì», rispose Bonnie con enfasi.

«Se stanotte dovesse succedermiqualcosa di brutto, lo saprei inanticipo, giusto? Dopotutto, sono unasensitiva, ricevo degli avvertimentisulle cose che stanno per accadere».«Uhm», fece Meredith, alzando un

sopracciglio. Per un attimo sembrò

che stesse per controbattere. Bonniemantenne lo sguardo fermo. Infine,Meredith posò il vassoio con ibiscotti sul tavolino accanto al letto,di fianco alla teiera e alle tazze cheMatt aveva portato su prima, tirò letende della finestra e si guardònervosamente attorno per controllareche non ci fosse altro da fare.«Va bene, allora», disse. «Sono

nella stanza accanto, se hai bisognodi me».«Grazie, Mer. Buonanotte».Appena sentì lo scatto dellamaniglia, Bonnie si distese sul letto eassaggiò un biscotto. Delizioso.

Sulle labbra le sbocciò un placidosorriso. Era al centro dell’attenzione,si sentiva come un’eroina vittorianache soffriva di una qualche malattiadebilitante. L’avevano incoraggiata aprendere la camera che preferiva frale tante della pensione e lei avevascelto quella. Era una stanzaincantevole, con la carta da paraticolor crema e un tema di rose, e unletto a barca in legno d’acero.Matt le era stato vicino tutta la sera.

La signora Flowers l’aveva colmatadi attenzioni, sprimacciando i cuscinie offrendole tonici alle erbe, e Alaric

aveva studiato gli incantesimi diprotezione di tutti i grimori cheriusciva a trovare. Persino Celia, chenon aveva fatto altro che lanciarebattutine sprezzanti sulle sue“visioni”, prima di partire le avevapromesso di chiamarla non appenaavesse trovato qualcosa di utile.Bonnie si girò su un fianco,

inalando il dolce profumo del tèdella signora Flowers. In quellastanza accogliente, era impossibilepensare di aver bisogno diprotezione, o che il pericolo fosse inagguato in quello stesso istante.

Lo era davvero? Quanto tempopassava fra l’apparizione del nome el’incidente mortale? Celia era stataattaccata un’ora dopo che il suonome era apparso. A Meredith nonera successo nulla fino al giornosuccessivo. Forse gli attacchi eranosempre più dilazionati nel tempo.Forse avrebbe potuto stare tranquillafino all’indomani o al giorno dopo. Oalla settimana successiva. E il nomedi Damon era apparso prima del suo.Sentì un formicolio al pensiero del

nome di Damon scritto con le alghedel lago. Damon era morto. L’aveva

visto morire… E, infatti, era mortoper lei (anche se pareva che tutti,impegnati com’erano a compiangereElena, se ne fossero dimenticati). Mal’apparizione del suo nome dovevaavere un qualche significato. Ed eradeterminata a scoprirlo.Drizzò le orecchie. Ascoltò il suono

dei movimenti di Meredith nellastanza accanto, un martellio costanteche suggeriva che si stava allenandocon il bastone, e le voci indistinte diMatt, Alaric e della signora Flowersche chiacchieravano nello studio alpiano di sotto.

Non aveva fretta. Si versò una tazzadi tè, sgranocchiò un altro biscotto emosse allegramente le dita dei piedisotto le morbide lenzuola di seta. Inun certo senso le piaceva esserebloccata a letto per problemisoprannaturali.Un’ora dopo, il tè e i biscotti erano

finiti e la casa era più silenziosa. Erail momento di agire.Scese dal letto, con i pantaloni

troppo lunghi del suo pigiama a poische le sventolavano intorno allecaviglie, e aprì la sua borsa da notte.Qualche ora prima, mentre Meredith

aspettava al piano di sotto, Bonnieera salita in camera sua, avevasollevato la tavola sconnessa accantoal letto e aveva presoDell’attraversare i confini tra lavita e la morte, una scatola difiammiferi, un coltello d’argento e lequattro candele che le servivano peril rituale. Ora tirò fuori tutto ilmateriale dalla borsa e srotolò iltappetino accanto al letto, per potersiaccovacciare comodamente sulpavimento.Nulla l’avrebbe fermata quella sera.

Sarebbe entrata in contatto con

Damon. Forse lui era in grado didirle cosa stava succedendo. O forseanche lui era in pericolo, nel mondoin cui andavano a finire i vampirimorti, e aveva bisogno che qualcunolo mettesse in guardia.In ogni caso, lui le mancava.

Bonnie curvò le spalle e si strinse lebraccia intorno al petto per unistante. Soffriva per la perdita diDamon, anche se nessuno se n’eraaccorto. L’attenzione e le simpatie ditutti erano rivolte solo a Elena. Comeal solito.Bonnie si rimise al lavoro. Accese

subito la prima candela e, facendocolare la cera sul pavimento pertenerla dritta, la collocò al suo nord.«Fuoco del Nord, proteggimi»,mormorò. Accese le altre in sensoantiorario: una candela a nord, unabianca a ovest, una nera a sud e unabianca a est. Quando ebbe finito dipreparare il cerchio protettivo,chiuse gli occhi e rimase seduta insilenzio per qualche istante,concentrandosi su se stessa emettendosi in ascolto per trovare ilpotere al centro del proprio essere.Quando riaprì gli occhi, trasse un

profondo respiro, sollevò il coltellod’argento e di getto, senza darsi iltempo di tirarsi indietro, si incise untaglio profondo nel palmo della manosinistra.«Ahi», gemette e girò la mano,

facendo colare il sangue sulpavimento davanti a sé. Poi picchettòle dita della mano destra nel sangue ene spalmò un po’ su ogni candela.Sentì un doloroso pizzicore su tutto

il corpo mentre la magia crescevaintorno a lei. I suoi sensi siaffinarono e poté scorgere il motodelle particelle nell’aria, come lampi

di luce che apparivano escomparivano appena fuori dal suocampo visivo.«Attraverso le tenebre, io ti

invoco», salmodiò. Poteva fare ameno di guardare il libro; avevaimparato a memoria quella parte.«Con il mio sangue, io ti invoco; conil fuoco e l’argento, io ti invoco.Ascoltami, attraverso il freddo aldilàdella tomba. Ascoltami, attraverso leombre al di là della notte. Io ticonvoco. Di te ho bisogno.Ascoltami e vieni!».Nella stanza piombò il silenzio. Era

il silenzio dell’attesa, sembravaquasi che una creatura gigantescastesse trattenendo il respiro. Bonniesi sentiva circondata da una folla dispettatori, che la fissavano con ilfiato sospeso per l’ansia. Il velo tra imondi stava per alzarsi. Non avevaalcun dubbio.«Damon Salvatore», disse con voce

chiara e forte. «Vieni a me».Non accadde nulla.«Damon Salvatore», ripeté in tono

meno confidenziale, «vieni a me».La tensione, l’atmosfera magica

nella stanza cominciava a dissiparsi,

come se gli spettatori invisibilistessero sgattaiolando via, insilenzio.Eppure Bonnie sapeva che

l’incantesimo aveva funzionato.Aveva avuto una strana sensazione diisolamento, di vuoto, come quandoparlava al telefono e l’operatore, dicolpo, interrompeva la chiamata. Lasua chiamata era andata a buon fine,ne era certa, ma dall’altra parte nonc’era nessuno. Cosa significava? Chel’anima di Damon… era scomparsa ebasta?D’un tratto Bonnie udì qualcosa. Un

leggero respiro, solo leggermentefuori tempo rispetto al proprio.C’era qualcuno proprio dietro di

lei.Sentì la pelle d’oca sulla nuca. Non

aveva rotto il cerchio protettivo.Nulla sarebbe dovuto riuscire aoltrepassare quel cerchio, di certonon uno spirito, ma la presenza allesue spalle era dentro il cerchio, cosìvicina che avrebbe potuto toccarla.Bonnie si raggelò. Poi lentamente,

con estrema cautela, abbassò la manoe tastò il coltello. «Damon?»,sussurrò dubbiosa.

Alle sue spalle risuonò una risataargentina, seguita da una voce bassa.«Damon non vuole parlare con te».La voce era melliflua, ma avevaqualcosa di venefico, insidioso estranamente familiare.«Perché?», chiese tremante Bonnie.«Perché non ti ama», disse la voce

con un tono dolce e suadente.«Quando era vivo, nemmeno siaccorgeva della tua presenza, trannequando voleva qualcosa da te. Oforse, quando voleva far ingelosireElena. Lo sai».Bonnie deglutì: aveva troppa paura

di girarsi e scoprire a chiappartenesse la voce.«Damon vedeva solo Elena. Damon

amava solo Elena. Persino ora che èmorto, ora che non può più averla,non risponderà alla tua chiamata»,cantilenò la voce. «Nessuno ti ama,Bonnie. Tutti amano Elena, e a lei stabene così. Elena tiene tutti per sé».Bonnie sentì una bruciante

sensazione dietro gli occhi, e unalacrima, solitaria e ardente, le rigò laguancia.«Non potrà mai amarti nessuno»,

sussurrò la voce, «se continui a stare

accanto a lei. Perché credi che tutti tiabbiano vista solo e sempre comel’amica di Elena? Fin dal primogiorno di scuola, lei sta alla luce delsole, e tu nascosta nella sua ombra.Elena si è sempre preoccupata dimantenere questo stato di cose. Nonaccetta di condividere la luce deiriflettori».Quelle parole continuarono a

risuonarle nella mente, e, d’un tratto,qualcosa dentro di lei cambiò. Ilgelido terrore che aveva sentito finoa pochi istanti prima si sciolse,aprendo la strada a una torbida

rabbia.La voce aveva ragione. Come aveva

fatto a non capirlo prima? Elena erasua amica solo perché lei facevarisaltare la sua bellezza e, percontrasto, rendeva più nitido il suosplendore. L’aveva usata per annisenza preoccuparsi minimamente deisuoi sentimenti.«Le importa solo di se stessa»,

disse Bonnie mezzo piangendo.«Perché nessuno lo capisce?».Allontanò il libro, che fece cadere lacandela nera collocata a nord,rompendo il cerchio. La cera si

sparse sul pavimento e dallostoppino si alzò uno sbuffo di fumonero, poi tutte e quattro le candele sispensero.«Ahhh», esclamò soddisfatta la

voce, e volute di nebbia scuracominciarono a strisciare dagliangoli della stanza. La paura tornò,all’improvviso come se n’era andata.Bonnie si voltò di colpo, con ilcoltello in mano, pronta ad affrontarela voce, ma non c’era nessuno…Solo la nebbia scura e informe.Lasciandosi prendere dall’isteria, si

alzò in piedi e, incespicando, si

lanciò verso la porta. Ma la nebbiafu più veloce e l’avvolsecompletamente. Qualcosa cadde conun tintinnio. Bonnie non riusciva avedere oltre un palmo di naso. Aprìla bocca e fece per urlare, ma lanebbia le fluì sulle labbra e il suogrido si trasformò in un gemitosoffocato. Le immagini erano semprepiù sfocate. Bonnie cercò si alzarsiin punta di piedi, ma riuscì appena amuoversi.Poi, accecata dalla nebbia, perse

l’equilibrio e cadde a capofitto nelbuio.

21

Quando aprì gli occhi, Elena siritrovò in una soffitta. Sulle ampietavole in legno del pavimento e sullebasse travi del tetto si eraaccumulato uno spesso strato dipolvere, e la stanza, lunga erettangolare, era stipata di oggetti:

slitte, scii, un’amaca, scatole su cuiqualcuno aveva scritto, con unpennarello nero, “Natale” o“giocattoli” o “vestiti invernali diB”. Gli oggetti più grandi, che per laforma sembravano mobili, tavoli esedie, erano coperti di tela cerata.In fondo alla stanza, per terra, c’era

un vecchio materasso con un pezzo ditela cerata mezzo sgualcito,sembrava che qualcuno, dormendo lì,l’avesse usato come lenzuoloimprovvisato e l’avesse spinto daparte quando si era alzato.Alzando la testa, vide una

finestrella sbarrata da cui filtravanofragili scie di luce pallida. Sentivalievi fruscii, come se, al riparo deimobili ricoperti di tela corresserodei topolini dediti alle loro faccende.Quel posto le era stranamente

familiare.Guardò di nuovo verso il fondo

della soffitta e vide, senza alcunasorpresa, che seduto sul vecchiomaterasso c’era Damon, comesempre vestito di nero, con le lunghegambe raccolte al petto e i gomitipoggiati sulle ginocchia. Daval’impressione di essere

piacevolmente rilassato, nonostantela posizione scomoda.«Ci incontriamo in posti sempre

meno eleganti», disse lei consarcasmo.Damon rise e alzò le mani in segno

di diniego. «Sei tu che li scegli,principessa», disse. «È il tuospettacolo. Io sono qui solo comespettatore». Fece una pausa diriflessione. «Okay, non è esattamentecosì», confessò. «Ma è vero che iposti li scegli tu. Dove siamo,comunque?»«Non lo sai?», esclamò Elena,

fingendosi indignata. «Questo è unposto davvero speciale per noi,Damon. Pieno di ricordi! Mi haiportata qui subito dopo la miatrasformazione in vampiro, ricordi?».Lui diede un’occhiata in giro. «Oh,

già. La soffitta della casa del tuoinsegnante. Ci fece comodoall’epoca, ma hai ragione: noi duesiamo fatti per ambienti più raffinati.Posso suggerire una bella reggia perla prossima volta?». Batté con lamano sul materasso, invitandola asedere accanto a lui.Mentre attraversava la stanza, Elena

si fermò un attimo, meravigliandosidi quanto fosse realistico edettagliato quel sogno. A ogni passoche faceva sollevava nuvolette dipolvere. Sentiva un leggero olezzo dimuffa. Non riusciva a ricordare seavesse mai sentito gli odori in sogno,prima di quelle visioni con Damon.Quando si sedette, l’odore di muffa

divenne più forte. Si rannicchiòaccanto a Damon, appoggiando latesta sulla sua spalla. Udì loscricchiolio della giacca di pelle,quando lui le mise un braccio attornoalla vita. Chiuse gli occhi e sospirò.

Si sentiva protetta e al sicuro fra lesue braccia, sensazioni piacevolianche se inusuali in sua presenza.«Mi manchi, Damon», disse. «Tiprego, torna da me».Damon poggiò la guancia sulla sua

testa, e lei respirò il suo odore. Pellee sapone e lo strano profumosilvestre che sempre emanava da lui.«Sono proprio qui», disse.«No, non sei davvero qui», disse

Elena, e i suoi occhi si riempirono dinuovo di lacrime. Le asciugòbruscamente con il dorso della mano.«Sembra che io non faccia altro che

piangere ultimamente», disse.«Quando sono con te mi sento più alsicuro, comunque. Ma questo è soloun sogno. È una sensazione che nondurerà».Damon s’irrigidì. «Più al sicuro?»,

disse, e lei percepì tensione nella suavoce. «Non sei al sicuro quando nonsei con me? Il mio fratellino non sista prendendo cura di te nel modogiusto?»«Oh, Damon, non te lo immagini

nemmeno», disse Elena. «Stefan…».Trasse un profondo respiro, nascosela testa tra le mani e cominciò a

piangere.«Che c’è? Che cosa è successo?»,

chiese brusco Damon. Vedendo cheElena non rispondeva, ma continuavaa piangere, le prese le mani edolcemente, ma con fermezza, leallontanò dal suo viso. «Elena»,disse. «Guardami. È successoqualcosa a Stefan?»«No», disse Elena fra le lacrime.

«Be’, sì, in un certo senso… In realtànon so cosa gli sia successo, ma ècambiato». Damon la guardavaintensamente, con gli occhi neri fissinei suoi, ed Elena si sforzò di

dominarsi. Si odiava quando sicomportava come una ragazzinadebole e patetica, quando piangevasulla spalla di qualcuno invece diragionare con calma per trovare unasoluzione al problema. Non volevafarsi vedere così da Damon,nemmeno da quel Damon onirico cheera solo una parte del suosubconscio. Tirò su col naso e siasciugò gli occhi con il dorso dellamano.Damon si frugò nella tasca interna

della giacca di pelle e le porse unfazzoletto bianco ben ripiegato.

Elena fissò il fazzoletto, poi alzò losguardo su di lui, e Damon scrollò lespalle. «Talvolta ho le maniere di ungentiluomo all’antica», disse serio.«Secoli di fazzoletti di lino. Certeabitudini sono difficili da perdere».Elena si soffiò il naso e si asciugò

le guance. Non sapeva proprio chefare con il fazzoletto fradicio. Lepareva volgare restituirlo a Damon,così se lo tenne, torcendolo fra lemani mentre pensava.«Ora raccontami cosa sta

succedendo. Che ha Stefan? Cosa gliè successo?», le domandò Damon in

tono autoritario.«Be’…», cominciò Elena, esitante.

«Non so proprio cosa gli prenda, nonso nemmeno se a cambiarlo sia statoun evento di cui tu non sei già aconoscenza. Forse è solo unareazione alla tua… be’, lo sai». D’untratto le sembrava strano, e in uncerto senso scortese, far riferimentoalla sua morte mentre era sedutoproprio accanto a lei, ma Damon lefece segno di proseguire. «È statadura per lui. E negli ultimi giorni miè sembrato ancora più strano enervoso. Poi, stasera, sono andata a

trovare i miei genitori alcimitero…». Gli raccontò di comeStefan avesse aggredito Caleb. «Ilpeggio è che non ho mai sospettatodell’esistenza di questa parte del suocarattere», concluse. «Non riesco atrovare alcun motivo valido per cuiavrebbe dovuto attaccare Caleb. Hadetto solo che Caleb mi voleva e cheera pericoloso, ma quel ragazzo nonaveva fatto nulla, e Stefan sembravacosì irrazionale, così violento.Sembrava un’altra persona».I suoi occhi si stavano riempiendo

di nuovo di lacrime, e Damon la

strinse più vicino a sé, carezzandolei capelli e ricoprendole il viso dibaci. Elena chiuse gli occhi e, pianpiano, si rilassò fra le sue braccia. Ilsuo abbraccio si fece più forte e isuoi baci più lenti e appassionati.Poi, mentre le stringeva la testa conle sue mani forti e gentili, le diede unbacio sulla bocca.«Oh, Damon», mormorò lei. Era il

sogno più vivido che avesse maifatto. Le sue labbra erano morbide ecalde, leggermente ruvide, e aveva lasensazione di perdersi in lui.«Aspetta». Lui la baciò con più foga,

ma, appena lei lo respinse, la lasciòandare.«Aspetta», ripeté Elena, sedendosi

composta. Chissà come, si eraabbassata sempre di più, fino atrovarsi semi-sdraiata sul vecchiomaterasso ammuffito accanto aDamon, con le gambe intrecciate allesue. Si allontanò, sedendo sul bordodel materasso. «Tutto quello che stasuccedendo con Stefan mi spaventa.Ma non significa che… Damon, iosono ancora innamorata di lui».«Ami anche me, lo sai», disse

Damon con leggerezza. Socchiuse gli

occhi. «Non ti libererai di me cosìfacilmente, principessa».«È vero, ti amo», disse lei. I suoi

occhi erano asciutti. Pensava diessersi sfogata, almeno per ilmomento. La sua voce era piuttostoferma quando aggiunse: «Ti hosempre amato, credo. Ma tu seimorto». E Stefan è il mio veroamore, se devo scegliere fra te e lui ,pensò, ma non lo disse. A che pro?«Mi dispiace, Damon», continuò,«ma tu non ci sei più. E io nonsmetterò mai di amare Stefan, anchese adesso ho paura di lui e di quello

che potrebbe fare. Non so cosa cistia succedendo. Pensavo che le cosesarebbero state più facili, ora chesiamo tornati a casa, ma continuano asuccedere fatti tremendi».Damon sospirò e si sdraiò sul

materasso. Per un po’, rimase afissare il soffitto in silenzio.«Ascolta», disse alla fine,intrecciando le dita sul petto. «Haisempre sottovalutato il fatto cheStefan, potenzialmente, sia unviolento».«Stefan non è un violento!»,

esclamò Elena, accalorandosi. «Non

beve nemmeno sangue umano».«Non beve sangue umano perché

non vuole essere violento. Non vuoleferire nessuno. Ma Elena…». Damontese il braccio e le toccò la mano. «Ilmio fratellino ha un brutto carattere.Chi può saperlo meglio di me?».Elena rabbrividì. Sapeva che,

quando erano umani, Stefan e Damonsi erano uccisi l’un l’altro in unaccesso di rabbia provocato dallapresunta morte di Katherine. Manelle loro vene scorreva il sangue diKatherine, così, la notte stessa, sierano risvegliati come vampiri. La

rabbia e la gelosia per un amoreperduto li avevano distrutti entrambi.«Comunque», continuò Damon, «per

quanto mi dolga ammetterlo, Stefannon ti farebbe mai del male, e nondanneggerebbe nessuno senza un veromotivo. Intendo il genere di motivoche tu approveresti. Inoltre, si ècalmato un po’ dopo tanti anni. Puòavere un brutto carattere, ma haanche una coscienza». Fece unsorrisetto e aggiunse: «Certo, la sua èuna coscienza petulante e bigotta, mac’è. E ti ama, Elena. Sei il mondo perlui».

«Forse hai ragione», disse lei. «Maho paura lo stesso. E vorrei che tufossi con me». Lo fissava con losguardo indolente e fiducioso di unabambina stanca. «Damon, vorrei chenon fossi morto. Mi manchi. Tiprego, torna da me».Damon sorrise e la baciò

dolcemente. Poi si allontanò edElena si accorse che il sogno stavacambiando. Cercò di restareaggrappata a quel momento, ma sidissolse, portandosi via Damon.

«Per favore, Damon, sii cauto»,

disse Sage. Rughe di preoccupazionesegnavano la sua fronte abbronzata.Non succedeva spesso che il

muscoloso Custode dei Cancelliapparisse preoccupato, o parlasseuna sola lingua alla volta. Ma daquando Damon era tornato dallamorte, trascinandosi nella distesa dicenere, Sage si rivolgeva a lui ininglese, con un tono pacato e deciso,trattandolo come se potesse andare inpezzi da un momento all’altro.«Sono sempre cauto»‚ disse Damon,

appoggiandosi al muro di quello chechiamavano, per mancanza di un

termine migliore, l’AscensoreMistico. «Tranne quando compio attidi coraggio da cardiopalma,ovviamente». Aveva pronunciato leparole correttamente, ma la vocesuonò spenta alle sue stesse orecchie.Fioca ed esitante.Sembrava che anche Sage si fosse

accorto che c’era qualcosa di strano,e il suo bel volto si contrasse in unasmorfia preoccupata. «Puoi restareancora, se vuoi».Damon rimase appoggiato al muro

bianco. «Devo andare», disse in tonostanco, forse per la milionesima

volta. «Lei è in pericolo. Ma graziedi tutto, Sage».Non sarebbe stato lìse non fosse stato per lui. Il potentevampiro gli aveva dato una ripulita,gli aveva prestato dei vestiti – unelegante completo nero che glicalzava a pennello – e l’aveva nutritocon sangue e corposo vino BlackMagic finché, strappato alle grinfiedella morte, Damon non avevariacquistato la memoria.Ma… Non si sentiva in sé. Sentiva

dentro un vuoto doloroso, come se sifosse lasciato qualcosa alle spalle,sepolto in profondità sotto la cenere.

Sage lo fissava ancora con la fronteaggrottata e uno sguardo di profondapreoccupazione. Damon si ricomposee gli rivolse un improvviso sorrisosmagliante. «Augurami buonafortuna», disse.Il sorriso fece effetto: il volto

dell’altro vampiro si rilassò. «Bonnechance, mon ami», disse. «Ti augurola migliore delle fortune».È tornato al bilinguismo, pensò

Da mo n. Devo avere un aspettomigliore.«Fell’s Church», disse nel vuoto.

«Stati Uniti, mondo dei mortali. Un

posto dove possa nascondermi».Guardando Sage con un’espressione

solenne, alzò la mano in segno disaluto e premette l’unico bottonedell’ascensore.

Elena si svegliò nel buio. D’istinto,

fece un rapido controllo mentale:lisce lenzuola di cotone profumate diammorbidente, il debole raggio diluce filtrato dalla finestra chelambiva i piedi del letto alla suadestra, il suono fioco del russare diRobert dalla stanza in fondo alcorridoio. La sua vecchia, familiare

stanza da letto. Era di nuovo a casa.Emise un profondo sospiro. Non si

sentiva in preda alla disperazionecome quando si era messa a letto; lecose andavano ancora male, mariusciva ad ammettere la possibilitàche un giorno potessero migliorare.Tuttavia, sentiva gli occhi e la golaarrossati per il gran piangere. Damonle mancava tantissimo.Un’asse del pavimento scricchiolò.

Elena si irrigidì. Conosceva quelrumore. Era lo stridulo lamento diprotesta che l’asse accanto allafinestra lanciava ogni volta che la si

calpestava. Qualcuno era entratonella stanza.Elena rimase immobile nel letto a

vagliare tutte le possibilità. Stefanavrebbe annunciato la sua presenzaappena l’avesse sentita sospirare.Forse era Margaret, entrata in puntadi piedi per infilarsi nel letto con lei.«Margaret?», chiamò a bassa voce.Non giunse risposta. Drizzando le

orecchie, a Elena parve di sentire ilsuono di un respiro lento e profondo.La lampada sulla scrivania si

accese all’improvviso ed Elena, perqualche istante, fu abbagliata dalla

luce. Intravedeva solo una silhouettescura.Poi la sua vista si schiarì. Ai piedi

del letto, con un mezzo sorriso sulvolto cesellato, un’espressioneguardinga negli occhi, come se nonfosse sicuro di essere il benvenuto,c’era qualcuno interamente vestito dinero.Damon.

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Capitolo 7Capitolo 8Capitolo 9Capitolo 10Capitolo 11Capitolo 12Capitolo 13Capitolo 14Capitolo 15Capitolo 16Capitolo 17Capitolo 18

Capitolo 19Capitolo 20Capitolo 21