Lisa Jane Smith Il diario del vampiro La...

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Lisa Jane Smith Il diario del vampiro La lotta (Thr Vampire Diaries: The Struggle, 1991) Traduzione di Daniela Di Falco Alla mia cara amica e sorella, Judy INDICE Capitolo 1 2 Capitolo 2 6 Capitolo 3 15 Capitolo 4 23 Capitolo 5 32 Capitolo 6 40 Capitolo 7 49 Capitolo 8 58 Capitolo 9 67 Capitolo 10 76 Capitolo 11 85 Capitolo 12 94 Capitolo 13 103 Capitolo 14 110 Capitolo 15 120 Capitolo 16 129 Ringraziamenti Un ringraziamento speciale ad Anne Smith, Peggy Bokulic, Anne Marie Smith e Laura Penny per le informazioni sulla Virginia, e a Jack e Sue Check per la loro conoscenza delle tradizioni locali.

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Lisa Jane SmithIl diario del vampiro

La lotta(Thr Vampire Diaries: The Struggle, 1991)

Traduzione di Daniela Di Falco

Alla mia cara amica e sorella, Judy

INDICE

Capitolo 1 2Capitolo 2 6Capitolo 3 15Capitolo 4 23Capitolo 5 32Capitolo 6 40Capitolo 7 49Capitolo 8 58Capitolo 9 67Capitolo 10 76Capitolo 11 85Capitolo 12 94Capitolo 13 103Capitolo 14 110Capitolo 15 120Capitolo 16 129

RingraziamentiUn ringraziamento speciale ad Anne Smith, Peggy Bokulic, Anne Marie Smith e Laura Penny per le informazioni sulla Virginia, e a Jack e Sue Check per la loro conoscenza delle tradizioni locali.

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1«Damon!».Un vento gelido sferzò i capelli intorno al viso di Elena, quasi

strappandole di dosso il leggero pullover. Foglie di quercia turbinavano tra le file di lapidi di granito e i rami degli alberi frustavano l'aria con una furia incontenibile. Elena aveva le mani gelate, le labbra e le guance intorpidite, ma rimase ferma a fronteggiare l'urlo del vento, ripetendo il suo grido.

«Damon!».La violenza del vento era una dimostrazione del suo Potere, al

solo scopo di intimidirla e costringerla a fuggire. Non avrebbe funzionato. Il pensiero che quello stesso Potere fosse rivolto contro Stefan scatenò in lei una rabbia cieca che ardeva contro il vento. Se Damon aveva fatto qualcosa a Stefan, se Damon gli aveva fatto del male...

«Dannazione, rispondimi!», gridò alle querce che delimitavano il cimitero.

Una foglia secca, simile a una bruna mano avvizzita, le sfiorò leggermente il piede, ma non si udì alcuna risposta. Sopra di lei, il cielo era di un grigio vitreo, grigio come le lapidi che la circondavano. Elena sentì rabbia e frustrazione bruciarle la gola e si perse d'animo. Si era sbagliata. Damon non era lì dopo tutto; era sola con la furia del vento.

Si voltò e le mancò il respiro.Era proprio dietro di lei, così vicino che quando si voltò i suoi

abiti lo sfiorarono. A quella distanza, avrebbe dovuto avvertire la presenza di un altro essere umano, percepire il calore del suo corpo o sentirlo. Ma Damon, naturalmente, non era umano.

Fece due passi indietro, barcollando, prima di riuscire a fermarsi. Ogni istinto sopito mentre gridava contro la furia del vento le implorava ora di fuggire.

Serrò i pugni. «Dov'è Stefan?».Damon aggrottò le sopracciglia scure. «Stefan chi?».Elena fece un passo avanti e gli diede uno schiaffo.Non aveva avuto alcuna intenzione di colpirlo e ora riusciva a

stento a credere di averlo fatto. Ma era stato un ceffone davvero solenne, dato con tutta la forza che aveva in corpo, e aveva fatto

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scattare di lato la testa di Damon. La mano le bruciava. Rimase ferma a osservarlo, cercando di calmare il suo respiro.

Era vestito come la prima volta che l'aveva visto, di nero. Morbidi stivali neri, jeans neri, pullover nero e giacca di pelle. E somigliava a Stefan. Non capiva come poteva non essersene accorta prima. Aveva gli stessi capelli scuri, lo stesso incarnato pallido, la stessa bellezza inquietante. Ma i capelli erano lisci, non ondulati, i suoi occhi erano neri come la notte, e la bocca crudele.

Girò lentamente il viso per guardarla, e lei vide il sangue affiorare sulla guancia che aveva schiaffeggiato.

«Non mentirmi», gli disse, con voce tremante. «So chi sei. So cosa sei. Hai ucciso il signor Tanner ieri sera. E ora Stefan è scomparso».

«Davvero?»«Lo sai che è vero!».Damon fece un sorriso, che si spense subito sul suo volto.«Ti avverto, se gli hai fatto del male...».«Cosa?», disse. «Cosa farai, Elena? Cosa puoi fare, contro di

me?».Elena ammutolì. Per la prima volta, si accorse che il vento era

cessato. Tutto era perfettamente calmo intorno a loro, come se fossero immobili al centro di un grande cerchio di energia. Sembrava come se ogni cosa, il cielo livido, le querce e i faggi purpurei, il suolo stesso, fosse in contatto con lui, come se lui traesse Potere da ogni singolo elemento. Damon era fermo in piedi, con la testa leggermente piegata indietro, gli occhi impenetrabili brillavano di una strana luce.

«Non lo so», gli disse con un filo di voce, «ma escogiterò qualcosa. Te l'assicuro».

Scoppiò a ridere, all'improvviso, e il cuore di Elena sussultò e cominciò a battere forte. Dio, era splendido. "Attraente" era un aggettivo davvero limitato e insignificante. Come prima, il sorriso durò solo un istante, ma anche quando si spense sulle labbra, ne rimase una traccia nei suoi occhi.

«Ti credo», riprese Damon, in tono più calmo, volgendo lo sguardo verso il cimitero. Tornò a guardarla e le tese una mano. «Sei troppo in gamba per mio fratello», disse con noncuranza.

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Elena pensò di respingere la mano, ma non voleva toccarlo di nuovo. «Dimmi dov'è».

«Più tardi, forse... ma a caro prezzo». Ritirò la mano, proprio mentre Elena si rendeva conto che al dito portava un anello come quello di Stefan: argento e lapislazzuli. "Tienilo a mente", pensò freddamente. "È importante".

«Mio fratello», proseguì, «è uno sciocco. Pensa che la tua somiglianza con Katherine ti renda fragile e influenzabile come lei. Ma si sbaglia. Sentivo la tua rabbia dall'altro capo della città. La sento anche ora, una luce bianca come il sole nel deserto. Tu sei forte, Elena, persino così come sei ora. Ma potresti esserlo molto di più...».

Lo fissò negli occhi, senza capire, infastidita da quelle parole. «Non so di cosa stai parlando. E cosa c'entra con Stefan?»

«Sto parlando di Potere, Elena». D'un tratto le si avvicinò, gli occhi fissi nei suoi, la voce carezzevole e pressante. «Hai provato tutto il resto, e non ti ha soddisfatto. Hai tutto, ma c'è sempre qualcosa che non puoi raggiungere, qualcosa che desideri e non puoi avere. È questo che ti sto offrendo. Potere. Immortalità. E sensazioni che non hai mai provato prima d'ora».

A quel punto capì, e un gusto amaro le salì in gola. Si sentì soffocare per l'orrore e il disgusto. «No».

«Perché no?», sussurrò. «Perché non provi, Elena? Sii sincera. Non c'è una parte di te che lo desidera?». Nei suoi occhi scuri ardeva un fuoco intenso che la rendeva incapace di muoversi, di distogliere lo sguardo. «Potrei risvegliare in te qualcosa che è rimasto sopito per tutta la tua vita. Sei forte abbastanza per vivere nell'oscurità, per gloriarti delle tenebre. Puoi diventare regina delle ombre. Perché non prendi il Potere, Elena? Lascia che ti aiuti a prenderlo».

«No», rispose, staccando gli occhi da lui. Non lo avrebbe guardato, non gli avrebbe permesso di farle questo. Non gli avrebbe permesso di farle dimenticare... farle dimenticare...

«Questa è la chiave di tutto, Elena», disse. La voce era carezzevole come il tocco delle sue dita sulla gola. «Sarai felice come mai prima d'ora».

C'era qualcosa di terribilmente importante che lei non doveva dimenticare. Stava usando il Potere per farle dimenticare, ma

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non glielo avrebbe permesso...«E noi saremo insieme, tu e io». Le dita fredde le

accarezzarono il collo, di lato, scivolando sotto il bordo del pullover. «Soltanto io e te, per sempre».

Provò un'improvvisa fitta di dolore quando le dita di Damon sfiorarono le due minuscole ferite sulla pelle, e d'un tratto capì.

Farle dimenticare... Stefan.Era questo che voleva toglierle dalla mente. Il ricordo di

Stefan, dei suoi occhi verdi e del suo sorriso su cui aleggiava sempre un'ombra di tristezza. Ma niente poteva strappare Stefan dai suoi pensieri adesso, non dopo quel che avevano condiviso. Si scostò da Damon, allontanando quelle fredde dita con un colpo della mano. Lo guardò dritto negli occhi.

«Ho già trovato quel che voglio», gli disse brutalmente. «E chi desidero avere per sempre al mio fianco».

Lo sguardo di Damon si fece cupo, una rabbia fredda percorse rapidamente l'aria che li separava. Guardandolo negli occhi, Elena pensò a un cobra pronto ad attaccare.

«Non essere sciocca come mio fratello», disse. «Altrimenti dovrò riservarti lo stesso trattamento».

Si sentì invadere dalla paura. Non riuscì a evitarlo, ora che il freddo la assaliva, gelandole le ossa. Il vento riprese a soffiare, i rami ad agitarsi. «Dimmi dov'è, Damon».

«In questo momento? Non lo so. Non puoi smettere di pensare a lui per un istante?»

«No!». Rabbrividì, i capelli le sferzavano il volto.«E questa è la tua risposta definitiva, oggi? Devi essere sicura

di voler giocare con me questa partita, Elena. Le conseguenze non saranno affatto divertenti».

«Io sono sicura». Dovette fermarlo, prima che potesse raggiungerla ancora una volta. «E io non ho paura di te, Damon, o non te ne sei accorto? Nel momento in cui Stefan mi ha detto chi eri, cosa avevi fatto, hai perso ogni potere che avresti potuto avere su di me. Io ti odio. Mi disgusti. E non c'è niente che tu possa farmi, non più».

Il viso del giovane si alterò, la sensualità lasciò il posto a un'espressione fredda e contorta, che divenne crudele e spietata. Scoppiò in una risata, che questa volta durò a lungo. «Niente?»,

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disse. «Posso fare qualsiasi cosa, a te e a chi ami. Non hai idea, Elena, di quel che io possa fare. Ma lo imparerai presto».

Fece un passo indietro, e il vento attraversò Elena come la lama di un coltello. Il suo sguardo sembrò velarsi, come se puntini luminosi riempissero l'aria davanti ai suoi occhi.

«L'inverno sta arrivando, Elena», riprese, con la voce raggelante e chiaramente udibile anche sopra l'urlo del vento. «Una stagione che non perdona. Prima che arrivi, avrai imparato di cosa sono capace. Prima che l'inverno sia qui, sarai con me. Sarai mia».

Quel candido turbinio la stava accecando, e non riusciva più a distinguere la figura scura del giovane. Anche il suono della sua voce si stava affievolendo. Elena strinse le braccia al petto, la testa china, il corpo scosso dai brividi. «Stefan...», mormorò.

«Oh, un'ultima cosa», la voce di Damon riprese vigore. «Prima mi hai chiesto di mio fratello. Non darti pena a cercarlo, Elena. L'ho ucciso ieri sera».

Sollevò la testa di scatto, ma non c'era niente da vedere, solo quel biancore vertiginoso, che le infiammava il naso e le guance e si attaccava alle ciglia. Fu solo allora, mentre si posavano sulla sua pelle, che capì cosa fossero: fiocchi di neve.

Nevicava il primo di novembre. Nel cielo, il sole era scomparso.

2Una luce crepuscolare innaturale avvolgeva il cimitero

abbandonato. La neve velava gli occhi di Elena, e il vento le intorpidiva le membra come se stesse avanzando in un corso d'acqua gelida. Ciò nonostante non cedette, non si diresse verso il cimitero moderno e la strada al di là di esso. Se aveva calcolato bene, Wickery Bridge era dritto davanti a lei. Puntò in quella direzione.

La polizia aveva trovato la macchina abbandonata di Stefan vicino Old Creek Road. Questo voleva dire che si era diretto da qualche parte fra Drowning Creek e il bosco. Elena inciampò sul viottolo coperto di vegetazione che attraversava il cimitero, ma

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continuò a camminare, a testa china, stringendosi addosso il pullover leggero. Conosceva questo cimitero da sempre e poteva trovare la strada anche a occhi chiusi.

Quando arrivò ad attraversare il ponte, il tremito del corpo le risultava ormai doloroso. Ora non nevicava più così forte, ma il vento era persino peggiorato. Attraversava i suoi abiti come se fossero carta velina, e le toglieva il respiro.

Stefan, pensò, e imboccò Old Creek Road, arrancando verso nord. Non credeva a quel che le aveva detto Damon. Se Stefan fosse morto lei l'avrebbe saputo. Era vivo, da qualche parte, e lei doveva trovarlo. Poteva trovarsi ovunque, lontano, in quel candido turbinio; poteva essere ferito, assiderato. Vagamente, Elena si accorse di non avere più la mente lucida. Ogni suo pensiero era concentrato su un'unica idea. Stefan. Trovare Stefan.

Stava diventando sempre più difficile procedere lungo la strada. Alla sua destra c'erano le querce, alla sua sinistra le acque impetuose del Drowning Creek. Barcollò e rallentò il passo. Il vento non sembrava più così violento, ma si sentiva molto stanca. Doveva sedersi e riposare, solo un minuto.

Lasciandosi cadere a terra sul bordo della strada, capì d'un tratto quanto fosse stata sciocca a uscire in cerca di Stefan. Stefan sarebbe andato da lei. Non doveva fare altro che sedersi lì e aspettare. Probabilmente stava arrivando proprio in quel momento.

Elena chiuse gli occhi e appoggiò la testa sulle ginocchia. Ora sentiva molto meno freddo. Lasciò vagare la mente e vide Stefan, che le sorrideva. Le sue braccia la circondavano, forti e sicure, e lei si abbandonava sul suo petto, felice di lasciar scivolare via paura e tensione. Era a casa. Era quello il suo posto. Stefan non avrebbe mai permesso che qualcosa potesse nuocerle.

Ma poi, invece di stringerla fra le braccia, Stefan la stava scuotendo. Stava rovinando la meravigliosa tranquillità del suo riposo. Vide il suo volto, pallido e allarmato, gli occhi verdi velati di paura. Cercò di dirgli di smetterla, ma non le dava ascolto. Elena, alzati, disse, e lei sentì la forza irresistibile di quegli occhi verdi che le ordinava di farlo. Elena, alzati,

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adesso...«Elena, alzati!». La voce era acuta, sottile, e terrorizzata.

«Andiamo, Elena! Alzati! Non riusciamo a portarti di peso!».Battendo le palpebre, Elena mise a fuoco un volto. Era minuto

e a forma di cuore, dalla pelle chiara, quasi trasparente, circondato da una massa di soffici riccioli rossi. Occhi castani spalancati, con i fiocchi di neve intrappolati fra le ciglia, la fissavano preoccupati.

«Bonnie», disse lentamente. «Che ci fai qui?»«Mi aiutava a cercarti», disse una seconda voce, più pacata,

accanto a Elena. La ragazza si voltò appena e vide due sopracciglia elegantemente arcuate su una carnagione olivastra. Anche gli occhi scuri di Meredith, di solito così ironici, erano in ansia, adesso. «Tirati su, Elena, se non vuoi diventare sul serio la principessa di ghiaccio».

La neve ricopriva tutto il suo corpo, come una candida pelliccia. Ancora irrigidita dal freddo, Elena si alzò in piedi, appoggiandosi pesantemente alle due ragazze. La accompagnarono alla macchina di Meredith.

Avrebbe dovuto essere più caldo all'interno della macchina, ma le terminazioni nervose di Elena stavano riprendendo vita, e la facevano tremare, rivelandole quanto freddo avesse in realtà. L'inverno è una stagione che non perdona, pensò mentre Meredith guidava.

«Che sta succedendo, Elena?», chiese Bonnie dal sedile posteriore. «Cosa pensavi di fare, scappando in quel modo dalla scuola? E come hai potuto venire qui?».

Elena esitò, poi scosse la testa. Desiderava con tutte le sue forze raccontare ogni cosa a Bonnie e Meredith. Raccontare loro tutta la terrificante storia di Stefan e Damon e quel che era realmente accaduto al signor Tanner la sera prima, e in seguito. Ma non poteva. Anche se le avessero creduto, non aveva il diritto di farlo.

«Sono tutti in giro a cercarti», disse Meredith. «Tutta la scuola è in agitazione, e tua zia è praticamente sconvolta».

«Mi spiace», commentò Elena, come inebetita, cercando di bloccare quel tremito violento. Svoltarono su Maple Street e si fermarono davanti a casa sua.

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La zia Judith la aspettava all'interno, dove aveva scaldato alcune coperte. «Sapevo che se ti avessero trovata, saresti stata mezza congelata», esordì con tono volutamente festoso, tendendo le braccia a Elena. «La neve il giorno dopo Halloween! Non riesco a crederci. Dove l'avete trovata, ragazze?»

«Su Old Creek Road, dopo il ponte», rispose Meredith.Il viso sottile di zia Judith impallidì. «Vicino al cimitero?

Dove ci sono state quelle aggressioni? Elena, come hai potuto?...». La voce si spense mentre scrutava il viso di Elena. «Da questo momento in poi non diremo più una sola parola al riguardo», concluse, cercando di riprendere i suoi modi festosi. «Togliamo questi vestiti bagnati».

«Devo tornare là, dopo che mi sarò asciugata», disse Elena. Il cervello aveva ripreso a funzionare, e una cosa fu chiara: non aveva visto realmente Stefan laggiù; si era trattato di un sogno. Stefan era ancora disperso.

«Tu non farai niente del genere», intervenne Robert, il fidanzato di zia Judith. Elena non lo aveva quasi notato fino a quel momento, fermo in piedi, in disparte. Ma il suo tono non ammetteva repliche. «La polizia sta cercando Stefan; lasciagli fare il loro lavoro», aggiunse.

«La polizia pensa che lui abbia ucciso il signor Tanner. Ma non è stato lui. Lo sapete, vero?». Mentre zia Judith le sfilava il pullover zuppo, Elena fece correre lo sguardo da un viso all'altro in cerca di aiuto, ma nessuno reagì. «Voi sapete che non è stato lui», ripeté, quasi in preda alla disperazione.

Ci fu un attimo di silenzio. «Elena», disse alla fine Meredith, «a nessuno piace pensare che sia stato lui. Ma... be', non depone certo a suo favore, essere scappato in quel modo».

«Non è scappato. Non è scappato! Lui non è...».«Elena, calmati», intervenne zia Judith. «Non farti prendere

dall'agitazione. Devi esserti presa un malanno. Faceva così freddo là fuori, e questa notte hai dormito solo poche ore...». Posò una mano sulla guancia di Elena.

D'un tratto non riuscì più a sopportarlo. Nessuno le credeva, neanche i suoi amici e la sua famiglia. In quel momento si sentì circondata da nemici.

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«Non sto male», gridò, sottraendosi alla carezza della zia. «E non sono pazza... comunque la pensiate. Stefan non è scappato e non ha ucciso il signor Tanner, e non m'importa se nessuno di voi mi crede...». S'interruppe, sentendosi soffocare. Zia Judith si affannava intorno a lei, esortandola a salire al piano di sopra, e la ragazza la lasciò fare. Ma non volle andare a letto quando la zia le ricordò che doveva essere stanca. Invece, dopo essersi riscaldata, si sedette sul divano del soggiorno vicino al caminetto, avvolta nelle coperte.

Il telefono squillò per tutto il pomeriggio, e lei sentì zia Judith parlare con amici, vicini, con la scuola. Rassicurava tutti, dicendo che Elena stava bene. La... la tragedia della sera prima l'aveva un po' turbata, questo era tutto, e sembrava avesse qualche linea di febbre. Ma dopo il riposo sarebbe tornata in piena forma.

Meredith e Bonnie le sedevano accanto. «Ti va di parlare?», chiese Meredith sottovoce. Elena scosse la testa, fissando il fuoco. Erano tutti contro di lei. E zia Judith si sbagliava; lei non stava bene. Non sarebbe stata bene finché non avesse trovato Stefan.

Matt passò a trovarla, la neve gli impolverava i capelli biondi e il parka blu scuro. Quando entrò nella stanza, Elena alzò lo sguardo verso di lui, piena di speranza. Il giorno prima Matt aveva aiutato Stefan a mettersi in salvo, mentre il resto della scuola avrebbe voluto linciarlo. Ma oggi rispose al suo sguardo fiducioso con un'espressione di grave rammarico, e la preoccupazione che si leggeva nei suoi occhi azzurri era solo per lei.

La delusione fu terribile. «Che ci fai qui?», volle sapere Elena. «Vuoi tener fede alla promessa di "prenderti cura di me"?».

Ci fu un lampo di dolore negli di occhi Matt, ma la sua voce era pacata. «In parte per questo, forse. Ma avrei cura di te comunque, non importa quel che ho promesso. Sono stato in pena per te. Senti, Elena...».

Non aveva voglia di ascoltare nessuno. «Ecco, sto bene, grazie. Chiedilo a chi vuoi, qui. Così puoi smettere di stare in pena. E poi, non vedo perché dovresti mantener fede alla promessa fatta a un omicida».

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Sorpreso, Matt guardò Meredith e Bonnie. Poi scosse la testa con un senso di impotenza. «Sei ingiusta».

Elena non voleva cambiare atteggiamento. «Te l'ho detto, puoi smetterla di preoccuparti per me e per quel che faccio.. Sto bene, grazie».

Era chiaro a cosa alludesse. Matt si diresse verso la porta nel momento in cui comparve zia Judith con i sandwich.

«Mi spiace, devo andare», mormorò, affrettandosi verso la porta. Uscì senza voltarsi indietro.

Meredith, Bonnie, zia Judith e Robert cercarono di mantener viva la conversazione mentre consumavano uno spuntino serale accanto al fuoco. Elena non riusciva a mangiare e non voleva parlare. L'unica a non sentirsi a disagio era la sorellina di Elena, Margaret. Con l'ottimismo dei suoi quattro anni, si rannicchiò vicino a Elena e le offrì i suoi dolcetti di Halloween.

Elena la strinse forte a sé, affondando per un momento il viso nei capelli biondo chiaro di Margaret. Se Stefan avesse potuto chiamarla o mandarle un messaggio, a quel punto l'avrebbe già fatto. Niente al mondo glielo avrebbe impedito, a meno che non fosse gravemente ferito, o intrappolato da qualche parte, o...

Non voleva fermarsi a considerare quell'ultimo "o". Stefan era vivo; doveva esserlo. Damon era un bugiardo.

Ma Stefan era nei guai, e lei doveva trovarlo in qualche modo. Continuò a pensarci per tutta la serata, cercando disperatamente di escogitare un piano. Una cosa era certa: era sola. Non poteva fidarsi di nessuno.

Si era fatto buio. Elena si mosse sul divano e finse di sbadigliare.

«Sono stanca», disse tranquillamente. «Forse non sto così bene, dopotutto. Credo che andrò a letto».

Meredith la osservò attentamente. «Stavo pensando, signorina Gilbert», disse, volgendosi verso zia Judith, «che forse io e Bonnie potremmo fermarci per la notte. Per tenere compagnia a Elena».

«Che splendida idea», disse zia Judith, entusiasta. «Se i vostri genitori non hanno nulla in contrario, sarei felice di avervi qui».

«È lungo il tragitto in macchina per tornare a Herron. Credo che mi fermerò anch'io», disse Robert. «Posso allungarmi qui

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sul divano». Zia Judith protestò, perché era pieno di camere per gli ospiti al piano di sopra, ma Robert fu irremovibile. Il divano sarebbe stato perfetto per lui, ribadì.

Dopo aver fatto correre lo sguardo dal divano all'ingresso, dove il portone di casa era innegabilmente in vista, Elena rimase di sasso. Avevano programmato tutto fra loro, o almeno si erano messi d'accordo in quel momento. Volevano assicurarsi che lei non lasciasse la casa.

Quando uscì dal bagno qualche minuto più tardi, avvolta nel suo kimono di seta rossa, trovò Meredith e Bonnie sedute sul suo letto.

«Salve, Rosencrantz e Guildenstern», disse con amarezza.Bonnie, che prima aveva un'aria avvilita, ora sembrava

allarmata. Lanciò un'occhiata esitante a Meredith.«Lei ci conosce. Quindi pensa che siamo spie mandate dalla

zia», interpretò Meredith. «Elena, dovresti sapere che non è così. Proprio non ti fidi di noi?»

«Non lo so. Dovrei?»«Sì, perché siamo tue amiche». Prima che Elena potesse

reagire, Meredith saltò giù dal letto e chiuse la porta. Poi si girò per affrontare Elena. «Adesso, per una volta nella tua vita, ascoltami, piccola idiota. È vero che non sappiamo cosa pensare di Stefan. Ma non ti accorgi che è per colpa tua. Da quando tu e lui state insieme, ci hai tagliate completamente fuori dalla tua vita. Sono accadute cose di cui non ci hai parlato. Almeno, non ci hai raccontato l'intera storia. Ma nonostante questo, nonostante tutto, noi ci fidiamo ancora di te. Ci preoccupiamo ancora per te. Siamo ancora dalla tua parte, Elena, e vogliamo aiutarti. E se non riesci a capire questo, allora sei un'idiota».

Lentamente, Elena guardò prima il viso scuro ed espressivo di Meredith, poi quello pallido di Bonnie, che annuì con un cenno del capo.

«È vero», disse, battendo forte le palpebre come per trattenere il pianto. «Anche se non tieni a noi, noi teniamo ancora a te».

Elena sentì gli occhi umidi e l'espressione di biasimo sul suo viso allentarsi. Poi Bonnie scese dal letto, e si abbracciarono tutte insieme, ed Elena scoprì di non poter più trattenere le lacrime che le scivolavano sul viso.

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«Scusate se non mi sono confidata con voi», disse. «So che per voi è difficile capire, e non riesco neanche a spiegarvi perché non posso raccontarvi tutto. Semplicemente non posso. Ma c'è una cosa che posso dirvi». Fece un passo indietro, si asciugò le guance, e le guardò intensamente. «Non importa quanto tutto sembri accusare Stefan, lui non ha ucciso il signor Tanner. So che non è stato lui, perché so chi è stato. E si tratta della stessa persona che ha aggredito Vickie, e quel vecchio sotto il ponte. E...», si fermò un momento a riflettere, «e, oh, Bonnie, penso che abbia anche ucciso Yangtze».

«Yangtze?». Bonnie spalancò gli occhi. «Ma perché avrebbe dovuto uccidere un cane?»

«Non lo so, ma lui era lì quella notte, a casa tua. Ed era... arrabbiato. Mi spiace, Bonnie».

Bonnie scosse la testa, sconcertata. Meredith intervenne: «Perché non lo dici alla polizia?».

La risata di Elena suonò leggermente isterica. «Non posso. Non è una faccenda di cui possono occuparsi. E c'è un'altra cosa che non posso spiegare. Avete detto che vi fidate ancora di me; bene, dovete semplicemente fidarvi di me anche riguardo a questo».

Bonnie e Meredith si scambiarono un'occhiata, poi fissarono il copriletto, dove le dita nervose di Elena giocherellavano con un filo del ricamo. Alla fine Meredith disse: «D'accordo. Cosa possiamo fare per aiutarti?»

«Non saprei. Niente, a meno che...», Elena s'interruppe e guardò Bonnie. «A meno che», riprese, cambiando tono di voce, «non mi aiuti a trovare Stefan».

Gli occhi castani di Bonnie sembrarono sinceramente sbalorditi. «Io? Ma cosa posso fare?». Poi, mentre Meredith tratteneva il respiro, capì: «Oh. Oh».

«Tu sapevi dove mi trovavo quel giorno che sono andata al cimitero», riprese Elena. «E avevi anche previsto l'arrivo di Stefan a scuola».

«Pensavo che non credessi a questa faccenda dei poteri paranormali», disse Bonnie con un filo di voce.

«Da allora ho imparato un paio di cosette. A ogni modo, sono pronta a credere a qualsiasi cosa, se servirà a trovare Stefan. Se

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c'è anche una remota possibilità che possa servire».Bonnie si rannicchiò su se stessa, come se cercasse di far

scomparire la sua già esile figura. «Elena, non capisci», disse in tono afflitto. «Non sono allenata; non è qualcosa che posso controllare. E... non è un gioco, non più. Più usi questi poteri, più loro useranno te. Possono finire con l'usarti per tutto il tempo, che tu lo voglia o no. È pericoloso».

Elena si alzò e andò verso il cassettone in legno di ciliegio, guardandolo ma senza vederlo. Alla fine si voltò.

«Hai ragione; non è un gioco. E ti credo quando dici che potrebbe diventare pericoloso. Ma non è un gioco neanche per Stefan. Bonnie, credo che sia là fuori, da qualche parte, gravemente ferito. E non c'è nessuno che lo aiuti; nessuno che lo cerchi, tranne i suoi nemici. Forse sta morendo, proprio adesso. Lui... lui potrebbe persino essere...». La voce le morì in gola. Piegò la testa sul cassettone e fece un respiro profondo, cercando di calmarsi. Quando sollevò lo sguardo, vide Meredith che fissava Bonnie.

Bonnie tirò su le spalle, e raddrizzò la schiena. Sollevò il mento e strinse le labbra. E nei suoi occhi castani di solito teneri, brillò una luce decisa mentre incontrava lo sguardo di Elena.

«Ci serve una candela», fu tutto quel che disse.

Il fiammifero graffiò la scatola lanciando scintille nell'oscurità, poi la fiamma della candela si accese, intensa e luminosa. Quando Bonnie si chinò su di essa, un bagliore dorato le avvolse il viso pallido.

«Avrò bisogno dell'aiuto di tutte e due per concentrarmi», disse. «Fissate la fiamma e pensate a Stefan. Visualizzatelo nella vostra mente. Non importa cosa succederà, continuate a fissare la fiamma. E qualunque cosa facciate, non dite una parola».

Elena annuì, e poi l'unico suono nella stanza fu quello di un leggero respiro. La fiamma guizzava e danzava, proiettando giochi di luce sulle tre ragazze sedute a gambe incrociate intorno a essa. Bonnie, con gli occhi chiusi, respirava profondamente e lentamente, come qualcuno che stia scivolando nel sonno.

Stefan, pensò Elena, guardando fisso la fiamma, cercando di

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far confluire tutta la sua volontà nel pensiero. Lo ricreò nella sua mente, usando tutti i sensi, richiamandolo a sé. La ruvidità del suo pullover di lana contro la guancia, l'odore della sua giacca di pelle, la forza delle sue braccia che la stringevano. Oh, Stefan...

Le ciglia di Bonnie tremarono e il suo respiro divenne più rapido, come se stesse facendo un brutto sogno. Elena tenne fermo lo sguardo sulla fiamma, ma quando Bonnie ruppe il silenzio un brivido le salì lungo la schiena.

All'inizio fu solo un gemito, il lamento di qualcuno che soffre. Poi, mentre Bonnie scuoteva la testa e il respiro usciva spezzato, arrivarono le parole.

«Solo...», disse, e si fermò. Elena si conficcò le unghie nella mano. «Solo... nel buio», riprese Bonnie. La sua voce era distante e alterata.

Cadde di nuovo il silenzio, poi Bonnie cominciò a parlare in fretta.

«È buio, e freddo. E sono solo. C'è qualcosa dietro di me... frastagliato e duro. Rocce. Mi facevano male... ma non ora. Sono intorpidito ora, dal freddo. Tanto freddo...». Bonnie si contorse, come se stesse cercando di liberarsi da qualcosa, poi scoppiò a ridere, una risata terribile, quasi come un singhiozzo. «È... curioso. Non ho mai pensato che avrei desiderato così tanto vedere il sole. Ma qui è sempre buio. E freddo. L'acqua mi arriva al collo, fredda come ghiaccio. Anche questo è curioso. Acqua ovunque... e io sto morendo di sete. Ho tanta sete... dolore...».

Elena sentì una morsa stringerle il cuore. Bonnie era nei pensieri di Stefan, chissà cosa avrebbe potuto scoprire? Stefan, dicci dove sei, pensò disperatamente. Guardati intorno; dimmi cosa vedi.

«Ho sete. Ho bisogno di... vita?». La voce di Bonnie suonò incerta, come se non sapesse come tradurre quel concetto. «Sono debole. Lui ha detto che io sarò sempre quello debole. Lui è forte... un assassino. Ma anche io lo sono. Ho ucciso Katherine; forse merito di morire. Perché non lasciarmi semplicemente andare...?»

«No!», urlò Elena, senza riuscire a trattenersi. In quel momento dimenticò ogni cosa, tranne la sofferenza di Stefan.

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«Stefan...».«Elena!», la riprese duramente Meredith nello stesso istante.

Ma Bonnie aveva reclinato il capo, il flusso delle parole interrotto.

Sconvolta, Elena si rese conto di quel che aveva fatto.«Bonnie, stai bene? Puoi ritrovarlo? Io non volevo...».Bonnie sollevò la testa. Gli occhi erano aperti, ma non

guardavano né la candela né Elena. Fissavano qualcosa di fronte a loro, inespressivi. Quando riprese a parlare, la voce era distorta, e il cuore di Elena si fermò. Non era la voce di Bonnie, ma era una voce che Elena riconobbe. L'aveva sentita uscire dalle labbra di Bonnie una volta, nel cimitero.

«Elena», disse la voce, «non andare al ponte. C'è la Morte, Elena. La tua morte è là, in attesa». Poi Bonnie si accasciò in avanti.

Elena l'afferrò per le spalle e la scrollò. «Bonnie!», gridò. «Bonnie!».

«Cosa... oh, no. Lasciami». La voce di Bonnie era fievole e tremante, ma era la sua. Ancora chinata in avanti, si posò una mano sulla fronte.

«Bonnie, ti senti bene?»«Credo di sì... sì. Ma è stato così strano». Il tono di voce si

fece più acuto mentre sollevava lo sguardo, battendo le palpebre.«Cos'era, Elena, quella storia dell'assassino?»

«Te la ricordi?»«Ricordo tutto. Non riesco a descriverlo; è stato orribile. Ma

cosa voleva dire?»«Niente», tagliò corto Elena. «Era in preda alle allucinazioni;

tutto qui».Meredith intervenne: «Lui? Allora tu pensi veramente che

Bonnie si sia messa in comunicazione con Stefan?».Elena annuì, gli occhi le bruciavano mentre distoglieva lo

sguardo. «Sì. Credo che fosse Stefan. Doveva essere lui. E credo che Bonnie ci abbia anche detto dove si trova. Sotto Wickery Bridge, nell'acqua».

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3Bonnie la fissò. «Non ricordo nulla di un ponte. Non

sembrava un ponte».«Ma l'hai detto tu, alla fine. Pensavo che te lo ricordassi...».

La voce di Elena si spense a poco a poco. «Non ricordi quella parte», aggiunse in modo piatto. Non era una domanda.

«Ricordo che ero sola, in qualche luogo freddo e buio, e mi sentivo debole... e assetata. O era fame? Non so, ma avevo bisogno di... qualcosa. E volevo quasi morire. E poi mi hai svegliata».

Elena e Meredith si scambiarono un'occhiata. «E dopo», Elena si rivolse a Bonnie, «hai detto un'altra cosa, con una strana voce. Hai detto di non andare vicino al ponte».

«Ha detto a te di non andare vicino al ponte», la corresse Meredith. «Tu in particolare, Elena. Ha detto che la Morte ti aspettava».

«Non m'importa cosa mi stia aspettando», ribatté Elena. «Se è lì che si trova Stefan, è lì che andrò».

«Allora è dove andremo tutte», concluse Meredith.Elena esitò. «Non posso chiedervi di fare questo», disse

lentamente. «Potrebbe esserci pericolo... di qualcosa che non conoscete. Per me sarebbe meglio andarci da sola».

«Stai scherzando?», disse Bonnie, sollevando il mento. «Noi amiamo il pericolo. Voglio essere giovane e bella nella tomba, ricordi?»

«No», concluse in fretta Elena. «Eri tu quella che diceva che non si trattava di un gioco».

«E neanche per Stefan», ricordò loro Meredith. «Non lo stiamo aiutando molto, restando qui a far niente».

Elena si stava già scrollando il kimono dalle spalle, dirigendosi verso l'armadio. «Faremo meglio a coprirci ben bene. Prendete qualcosa che vi tenga caldo», disse.

Dopo che si furono attrezzate contro il freddo, Elena si girò verso la porta. Poi si bloccò.

«Robert», disse. «Non possiamo passargli davanti per raggiungere il portone, anche se stesse dormendo».

Contemporaneamente, si voltarono tutte e tre verso la finestra.

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«Oh, magnifico», disse Bonnie.Mentre scendevano aggrappandosi al cotogno, Elena si rese

conto che aveva smesso di nevicare. Ma la morsa dell'aria gelida sulle guance le fece ricordare le parole di Damon. L'inverno è una stagione che non perdona, pensò, e rabbrividì.

Tutte le luci della casa erano spente, comprese quelle del soggiorno. Robert doveva essere già andato a dormire. Tuttavia, Elena trattenne il respiro mentre passavano cautamente davanti alle finestre buie. La macchina di Meredith era poco lontano, lungo la strada. All'ultimo momento, Elena decise di prendere una corda, e aprì la porta sul retro che dava sul garage, senza far rumore. La corrente era forte a Drowning Creek, e procedere nell'acqua sarebbe stato pericoloso.

Il tragitto per uscire dalla città fu carico di tensione. Quando superarono i margini del bosco, Elena ricordò il turbinio delle foglie intorno a lei quando si trovava al cimitero. Foglie di quercia, soprattutto.

«Bonnie, le querce hanno un significato particolare? Tua nonna ti ha mai detto qualcosa in proposito?»

«Be', per i druidi erano sacre. Tutti gli alberi lo erano, ma le querce più di tutti. Credevano che lo spirito degli alberi desse loro potere».

Elena apprese la notizia in silenzio. Quando raggiunsero il ponte e scesero dalla macchina, lanciò un'occhiata ansiosa alle querce lungo il lato destro della strada. Ma la notte era luminosa e stranamente calma, senza un alito di vento ad agitare le foglie secche e scure rimaste sui rami.

«Fate attenzione se vedete un corvo», disse a Bonnie e Meredith.

«Un corvo?», ripeté di colpo Meredith. «Come quello fuori della casa di Bonnie la sera che è morto Yangtze?»

«La sera in cui Yangtze è stato ucciso. Sì». Elena si avvicinò alle acque scure del Drowning Creek, il cuore accelerò il suo battito. Nonostante il nome, non era un torrente, ma un fiume a corso rapido fra argini di terreno argilloso. Al di sopra si ergeva il Wickery Bridge, una struttura in legno costruita circa cento anni prima. Un tempo era abbastanza solido da sopportare il peso dei carri; adesso era soltanto un ponte pedonale che

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nessuno usava perché era fuori mano. Era un luogo arido, isolato, ostile, pensò Elena. Qua e là chiazze di neve coprivano il terreno.

Nonostante le parole ardite di poco prima, Bonnie esitava. «Ricordate l'ultima volta che abbiamo passato il ponte?», chiese.

Fin troppo bene, pensò Elena. L'ultima volta che l'avevano attraversato, erano inseguite da... qualcosa... proveniente dal cimitero. O qualcuno, concluse.

«Per ora non lo attraverseremo», disse. «Prima dobbiamo guardare sotto il ponte, da questo lato».

«Dove è stato trovato quel vecchio con la gola squarciata», mormorò Meredith, seguendo l'amica.

I fari della macchina illuminavano solo una piccola parte dell'argine sotto il ponte. Appena Elena uscì fuori dallo stretto fascio di luce, uno spiacevole presagio la fece rabbrividire. La Morte ti sta aspettando, aveva detto la voce. La Morte era laggiù?

I piedi scivolavano sui ciottoli umidi e viscidi. Tutto quel che sentiva era lo scorrere impetuoso dell'acqua, e l'eco sordo provenire dal ponte sopra la sua testa. E, sebbene aguzzasse lo sguardo, tutto quel che riusciva a distinguere nell'oscurità era l'argine accidentato e le assi del ponte.

«Stefan?», sussurrò, e fu quasi contenta che il rumore dell'acqua coprisse la sua voce. Si sentiva come una persona che grida "c'è qualcuno?" dentro una casa vuota, e malgrado ciò ha paura di quale potrebbe essere la risposta.

«Così non funziona», disse Bonnie, dietro di lei.«Cosa vuoi dire?».Bonnie si stava guardando intorno, scuotendo leggermente la

testa, il corpo teso per la concentrazione. «Siamo fuori strada, e basta. Io non... be', tanto per cominciare prima non sentivo il rumore dell'acqua. Non sentivo proprio niente, solo silenzio assoluto».

Elena fu presa dallo sconforto. Una parte di lei sapeva che Bonnie aveva ragione, che Stefan non era in quel luogo desolato. Ma un'altra parte era troppo spaventata per ascoltare.

«Dobbiamo esserne sicure», disse, provando un senso di oppressione al petto, e riprese ad avanzare nell'oscurità, a

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tentoni. Ma alla fine dovette riconoscere che non c'era alcuna traccia della presenza recente di qualcuno. Né alcuna traccia di una testa bruna nell'acqua. Si pulì le mani fredde e infangate sui jeans.

«Dobbiamo controllare l'altro lato del ponte», suggerì Meredith, ed Elena annuì meccanicamente. Ma non ebbe bisogno di vedere l'espressione di Bonnie per sapere cosa avrebbero trovato. Quello era il posto sbagliato.

«Andiamocene da qui», disse, arrampicandosi in mezzo alla vegetazione verso il fascio di luce oltre il ponte. Appena lo ebbe raggiunto, Elena si sentì raggelare.

Bonnie restò senza fiato. «Oh, Dio...».«Indietro», disse Meredith fra i denti. «A ridosso dell'argine».Stagliata contro il fascio di luce dei fari, più in alto, c'era una

sagoma scura. Elena la guardò attentamente, con il cuore che le batteva all'impazzata, ma riuscì solo a capire che si trattava di un uomo. Il volto era in ombra, ma la ragazza ebbe un terribile presentimento.

Avanzava verso di loro.Sottraendosi alla vista, Elena arretrò contro l'argine fangoso

sotto il ponte, acquattandosi il più possibile. Sentiva Bonnie tremare dietro di lei, e le dita di Meredith piantate nel suo braccio.

Da lì non vedevano nulla, ma all'improvviso sentirono il rumore di un passo pesante sopra il ponte. Quasi senza osare respirare, si aggrapparono l'una all'altra, i visi rivolti verso l'alto. I passi risuonarono attraverso il tavolato del ponte, mentre si allontanavano da loro.

Ti prego, fa' che non si fermi, pensò Elena. Oh, ti prego...Si morse il labbro, poi Bonnie piagnucolò sommessamente, la

sua mano gelata afferrò quella di Elena. I passi stavano tornando indietro.

Dovrei uscire allo scoperto, pensò Elena. È me che vuole, non loro. Così ha detto. Dovrei uscire fuori e affrontarlo, e forse lascerà andare Bonnie e Meredith. Ma la rabbia ardente che l'aveva sostenuta quella mattina si era ormai consumata. Pur con tutta la sua forza di volontà, non si decideva a lasciar andare la mano di Bonnie, a staccarsi da lei.

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I passi risuonarono proprio sopra le loro teste. Poi calò il silenzio, seguito dal rumore di qualcosa che avanzava fra la vegetazione sull'argine.

No, pensò Elena, il corpo attraversato dalla paura. Stava scendendo giù. Bonnie gemette e nascose la testa contro la spalla di Elena, ed Elena sentì ogni muscolo tendersi quando vide qualcosa muoversi – piedi e gambe – e uscire fuori dall'oscurità. No...

«Cosa state facendo quaggiù?».Dapprima la mente di Elena si rifiutò di capire la domanda.

Era ancora terrorizzata e quasi urlò quando Matt fece un altro passo lungo l'argine, sbirciando sotto il ponte.

«Elena? Cosa state facendo?», chiese di nuovo.Bonnie sollevò la testa. Meredith riprese a respirare in

un'esplosione di sollievo. Elena si sentì le ginocchia molli.«Matt», fu tutto quel che riuscì a dire.Bonnie fu più diretta. «Tu cosa pensi di fare?», chiese in tono

concitato. «Vuoi farci venire un infarto? Cosa ci fai qui a quest'ora di notte?».

Matt infilò una mano in tasca, facendo tintinnare delle monete. Mentre le ragazze riemergevano da sotto il ponte, lui guardò oltre il fiume. «Ti ho seguita».

«Cosa?», ribatté Elena.Riluttante, si girò verso di lei. «Ti ho seguita», ripeté,

irrigidendo le spalle. «Ho immaginato che avresti trovato il modo di eludere tua zia per uscire di nuovo. Così sono rimasto seduto nella mia macchina dall'altra parte della strada a tenere d'occhio la casa. Come avevo previsto, voi tre siete uscite dalla finestra. E vi ho seguite fin qui».

Elena non sapeva cosa dire. Era arrabbiata, e senza dubbio lui aveva agito così solo per mantenere la promessa fatta a Stefan. Ma il pensiero di Matt seduto là fuori nella sua vecchia Ford scassata, a morire di freddo e senza neanche aver cenato... le procurò una stretta al cuore che non volle fermarsi a considerare.

Il ragazzo stava di nuovo guardando il fiume. Gli si avvicinò e gli parlò sommessamente.

«Scusa, Matt», disse. «Per come mi sono comportata prima a casa e... e per...». Farfugliò per un attimo, poi rinunciò a parlare.

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Per tutto, pensò desolata.«Be', scusami se vi ho spaventate poco fa». Si girò

rapidamente a guardarla, come se così la faccenda fosse sistemata.

«E ora mi dite per favore cosa pensate di fare?»«Bonnie pensava che Stefan fosse qui».«Bonnie non lo pensava», intervenne Bonnie. «Bonnie ha

detto subito che era il luogo sbagliato. Stiamo cercando un posto tranquillo, senza rumori, e chiuso. Mi sentivo... circondata», spiegò a Matt.

Il ragazzo la guardò con circospezione, come se avesse potuto morderlo. «Ma certo», disse.

«C'erano rocce intorno a me, ma non come queste del fiume».«Ah, no, certo che non lo erano». Lanciò un'occhiata di

traverso a Meredith, che ebbe pietà di lui.«Bonnie ha avuto una visione», gli spiegò.Matt indietreggiò lievemente, ed Elena riuscì a vedere il suo

profilo nel fascio di luce dei fari. Dalla sua espressione, si capiva che non sapeva se andarsene o caricarle tutte in macchina in direzione del manicomio più vicino.

«Non è uno scherzo», disse. «Bonnie ha poteri paranormali, Matt. So che ho sempre detto di non credere in quel genere di cose, ma mi ero sbagliata. Tu non sai quanto. Stasera, lei... lei si è in qualche modo sintonizzata con Stefan e ha avuto una vaga percezione di dove si trovi».

Matt tirò un lungo respiro. «Capisco. Ok...».«Non trattarmi con sufficienza! Non sono una stupida, Matt, e

ti sto dicendo la verità. Lei era lì, con Stefan; sapeva cose che solo lui sa. E ha visto il luogo in cui è intrappolato».

«Intrappolato», riprese Bonnie. «Proprio così. Non si tratta affatto di un luogo aperto come un fiume. Ma c'era l'acqua, alta fino al collo. Il suo collo. E pareti di roccia intorno, coperte di fitto muschio. L'acqua era gelata e ferma, e aveva un cattivo odore».

«Ma tu cosa hai visto?», incalzò Elena.«Niente. Era come se fossi cieca. In qualche modo mi sono

resa conto che se ci fosse stato anche un debolissimo raggio di luce sarei riuscita a distinguere qualcosa, ma non mi è stato

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possibile. Era buio come una tomba».«Come una tomba...». Elena fu attraversata da brividi sottili.

Pensò alla chiesa diroccata sulla collina sopra il cimitero. Lì c'era una tomba, una tomba che pensò di aver aperto una volta.

«Ma in una tomba non ci sarebbe tutta quell'acqua», stava dicendo Meredith.

«No... ma non ho avuto alcuna sensazione di dove potesse essere in quel momento», precisò Bonnie. «Stefan non era del tutto in sé; si sentiva così debole e dolorante. E così assetato...».

Elena aprì la bocca per impedire a Bonnie di proseguire, ma proprio allora intervenne Matt.

«Ora vi dico che cosa mi fa venire in mente», disse.Le tre ragazze si volsero verso di lui, che era rimasto

leggermente in disparte rispetto al loro gruppo, come un ascoltatore indiscreto. Si erano quasi dimenticate della sua presenza.

«Un pozzo?», azzardò Elena.«Esatto», rispose il ragazzo. «Voglio dire, fa pensare a un

pozzo».Elena batté le palpebre, sentendo aumentare l'agitazione.

«Bonnie?»«Potrebbe essere», disse Bonnie lentamente. «Le dimensioni e

le pareti e tutto il resto potrebbero andar bene. Ma un pozzo è aperto; avrei dovuto vedere le stelle».

«Non se era stato coperto», osservò Matt. «Un sacco di vecchie fattorie qui intorno hanno pozzi ormai in disuso, e alcuni agricoltori li coprono per evitare che i bambini possano caderci dentro. Anche i miei nonni hanno fatto così».

Elena non riuscì più a contenere la sua agitazione. «Potrebbe essere così. Deve essere così. Bonnie, cerca di ricordare, hai detto che lì era sempre buio».

«Sì, e avevo come la sensazione di trovarmi sottoterra». Anche Bonnie era eccitata, adesso, ma Meredith le interruppe con una domanda secca.

«Quanti pozzi pensi che ci siano a Fell's Church, Matt?»«Dozzine, forse», rispose. «Ma coperti? Non così tanti. E se

state insinuando che qualcuno abbia gettato Stefan dentro uno di questi, non sarà certo un posto dove la gente potrebbe vederlo.

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Probabilmente qualche luogo abbandonato...».«E la sua macchina è stata trovata lungo questa strada»,

aggiunse Elena.«La vecchia tenuta Francher», disse Matt.Si guardarono l'un l'altro. La fattoria Francher era diroccata e

abbandonata praticamente da sempre. Si trovava in mezzo al bosco, e la vegetazione aveva preso il sopravvento da quasi un secolo.

«Andiamo», aggiunse semplicemente Matt.Elena gli posò una mano sul braccio. «Tu credi...?».Il ragazzo distolse lo sguardo per un attimo. «Non so cosa

credere», disse alla fine. «Ma verrò».Si separarono e presero entrambe le macchine, Matt in quella

davanti insieme a Bonnie, e Meredith nell'altra con Elena. Matt imboccò una stradina carreggiabile in disuso che si addentrava nel bosco e la seguì finché non s'interruppe.

«Da qui proseguiremo a piedi», disse.Elena fu contenta di aver pensato di portare una corda; ne

avrebbero avuto bisogno se Stefan era davvero nel pozzo Francher. E se non c'era...

Non volle fermarsi a considerare questa ipotesi.Era faticoso attraversare il bosco, specialmente con il buio. Il

sottobosco era fitto, e i rami secchi sporgevano come per afferrarli. Farfalle notturne svolazzavano intorno, sfiorando le guance di Elena con ali invisibili.

Alla fine arrivarono in una radura. Si vedevano le fondamenta della vecchia casa, pietre da costruzione legate al terreno da rovi ed erbacce. In gran parte il comignolo era rimasto intatto, gli unici vuoti lasciati erano quelli del calcestruzzo che un tempo lo aveva tenuto insieme, come un monumento che si stesse sgretolando.

«Il pozzo sarà da qualche parte là dietro», disse Matt.Fu Meredith a trovarlo e a chiamare gli altri. Si radunarono

intorno al pozzo e osservarono il blocco di pietra, piatto e squadrato, posto quasi a livello del terreno.

Matt si fermò a esaminare il terriccio e le erbacce circostanti. «È stato spostato di recente», concluse.

Fu a questo punto che il cuore di Elena cominciò a martellare

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sul serio. Lo sentiva rimbombare in gola e nella punta delle dita. «Solleviamolo», disse con una voce che era poco più di un sussurro.

La lastra di pietra era così pesante che Matt non riuscì neanche a spostarla. Alla fine si misero tutti e quattro a spingere, puntellandosi contro il terreno dietro di essa, finché, con uno scricchiolio, il blocco si spostò di pochi centimetri. Dopo aver creato un sottile varco fra la pietra e il pozzo, Matt adoperò un ramo secco per fare leva e allargare l'apertura. Poi spinsero tutti insieme, ancora una volta.

Quando l'apertura fu grande abbastanza per far passare la testa e le spalle, Elena si affacciò, guardando all'interno. Aveva quasi paura di sperare.

«Stefan?».I momenti che seguirono, sospesa su quell'apertura buia a

guardare giù nell'oscurità, sentendo solo l'eco dei ciottoli che lei aveva smosso, furono angosciosi. Poi, incredibilmente, si sentì un altro rumore.

«Chi...? Elena?»«Oh, Stefan!». Il senso di sollievo le fece perdere il controllo.

«Sì! Sono qui, siamo qui, e ti tireremo fuori. Stai bene? Sei ferito?». L'unica cosa che le impedì di cadere a sua volta nel pozzo fu l'intervento di Matt, che l'afferrò da dietro. «Stefan, aspetta, abbiamo una corda. Dimmi se stai bene».

Ci fu un suono debole, quasi irriconoscibile, ma Elena sapeva cos'era. Una risata. La voce di Stefan era flebile ma comprensibile. «Sono stato... meglio», disse. «Ma sono... vivo. Chi c'è con te?»

«Sono io, Matt», intervenne il ragazzo, mentre lasciava Elena. Si chinò anche lui sulla cavità. Elena, quasi delirante per l'eccitazione, notò che aveva un aspetto leggermente stupito. «E Meredith e Bonnie, che in seguito piegherà qualche cucchiaio per noi. Ti tiro giù la corda... cioè, a meno che Bonnie non ti faccia levitare fuori». Ancora in ginocchio, si voltò a guardare Bonnie.

La ragazza gli diede una pacca sulla testa. «Non scherzare su queste cose! Tiralo su!».

«Sissignora», disse Matt, in tono scherzoso. «Ecco, Stefan.

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Legala intorno alla vita».«Sì», disse Stefan. Non si fermò a ragionare sulle dita

intorpidite dal freddo o se loro in cima fossero o meno in grado di sollevare il suo peso. Non c'era altro modo.

I quindici minuti che seguirono furono terribili per Elena. Ci vollero le energie di tutti e quattro per tirare fuori Stefan, anche se il contributo principale di Bonnie fu quello di dire "forza, forza", ogni volta che si fermavano a riprendere fiato. Ma finalmente le mani di Stefan si aggrapparono al bordo della cavità buia, e Matt si sporse in avanti per afferrarlo sotto le ascelle.

E poi Elena lo abbracciò, intensamente. Riuscì a capire quanto fosse grave la situazione dalla sua calma innaturale e dalla debolezza del suo corpo. Aveva impiegato le ultime forze per tirarsi fuori di lì; le mani erano ferite e sanguinanti. Ma quel che la turbò di più fu che quelle mani non le restituirono il suo disperato abbraccio.

Quando allentò la stretta quanto bastava per guardarlo in viso, vide che era cereo, e c'erano occhiaie scure sotto i suoi occhi. La pelle era così fredda che la spaventò.

Guardò gli altri, in preda all'ansia.Matt appariva preoccupato, la fronte corrugata. «Sarà meglio

portarlo in ospedale, e alla svelta. Gli serve un dottore».«No!». La voce era flebile e rauca, e proveniva dalla fragile

figura che Elena stringeva fra le braccia. Sentì Stefan raccogliere le forze, lo sentì sollevare lentamente la testa. Gli occhi verdi erano fissi su di lei, e vi lesse dentro un bisogno pressante.

«Nessun... dottore». Gli occhi di Stefan ardevano nei suoi. «Prometti... Elena».

Gli occhi le bruciavano e le si annebbiò la vista. «Prometto», sussurrò. Poi sentì che qualunque cosa l'avesse sostenuto fino a quel momento, l'intensità della forza di volontà o della determinazione, stava crollando. Si accasciò fra le sue braccia, privo di sensi.

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4«Ma deve vedere un dottore. Sembra che stia per morire!»,

intervenne Bonnie.«Non può. Non posso spiegarvelo adesso. Portiamolo a casa e

basta, ok? È tutto bagnato e qui si gela. Ne riparliamo dopo».La fatica di portare Stefan attraverso il bosco fu sufficiente a

tenere la mente di tutti occupata per un po'. Il giovane rimase privo di sensi, e quando alla fine lo adagiarono sul sedile posteriore della macchina di Matt si ritrovarono tutti esausti e pieni di lividi, e per di più bagnati, per essere stati a contatto con i suoi vestiti inzuppati d'acqua. Elena gli sistemò la testa sulle sue ginocchia mentre la macchina si dirigeva al pensionato. Meredith e Bonnie li seguirono.

«Le luci sono accese», disse Matt, fermandosi davanti al grande edificio color ruggine. «Deve essere ancora sveglia. Ma la porta probabilmente sarà chiusa a chiave».

Elena posò delicatamente la testa di Stefan e scivolò fuori della macchina, e vide una delle finestre della casa illuminarsi mentre la tenda veniva scostata. Poi vide apparire dietro i vetri latesta e le spalle di qualcuno che guardava giù in strada.

«Signora Flowers!», gridò Elena, facendole cenno con la mano. «Sono Elena Gilbert, signora Flowers. Abbiamo trovato Stefan, ci faccia entrare!».

La figura alla finestra non si mosse né sembrò aver capito le sue parole. Eppure il suo atteggiamento fece intuire a Elena che stava ancora guardando verso di loro.

«Signora Flowers, abbiamo portato Stefan», gridò di nuovo, indicando l'abitacolo illuminato della macchina. «La prego!».

«Elena! È già aperta!», la voce di Bonnie arrivò dal portico sul davanti, e distrasse Elena dalla sagoma alla finestra. Quando la ragazza tornò a guardare in alto, vide che la tenda si stava richiudendo, poi la luce di quella stanza al piano superiore si spense.

Era strano, ma non aveva tempo di pensarci. Insieme a Meredith, aiutò Matt a sollevare Stefan e a portarlo su per i gradini davanti al portone.

All'interno, la casa era buia e silenziosa. Elena guidò gli altri

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su per la rampa che si trovava di fronte all'entrata, e fino al pianerottolo del secondo piano. Da lì entrarono in una camera da letto, ed Elena fece aprire a Bonnie la porta di quel che sembrava un ripostiglio. Si delineò un'altra rampa di scale, molto buia e stretta.

«Chi lascerebbe... il portone aperto... dopo tutto quel che è successo di recente?», bofonchiò Matt mentre trascinavano il corpo esanime dell'amico. «Deve essere matta».

«È matta», disse Bonnie dall'alto, aprendo la porta in cima alle scale. «L'ultima volta che siamo state qui ci ha parlato di uno stranissimo...», la voce di Bonnie s'interruppe in un sussulto.

«Cosa c'è?», chiese Elena. Ma quando raggiunsero la soglia della camera di Stefan, lo capì da sola.

Aveva dimenticato in quali condizioni aveva trovato la stanza l'ultima volta che l'aveva vista. Bauli pieni di indumenti erano capovolti o rovesciati su un fianco, come se fossero stati scaraventati contro le pareti dalla mano di un gigante. Il loro contenuto era sparso sul pavimento, insieme a oggetti provenienti dal cassettone e dai tavoli. I mobili erano ribaltati, e dal vetro rotto della finestra un vento gelido soffiava nella stanza. C'era solo una lampada accesa, in un angolo, che proiettava ombre grottesche e minacciose sul soffitto.

«Ma cosa è successo?», disse Matt.Elena non rispose finché non ebbero disteso Stefan sul letto.

«Non lo so con certezza», disse, e questo era vero, anche se non del tutto. «Ma era già così ieri sera. Matt, mi daresti una mano? Dobbiamo mettergli qualcosa di asciutto».

«Cerco un'altra lampada», si offrì Meredith, ma Elena si affrettò a dire: «No, ci si vede bene. Perché non provi ad accendere il fuoco?».

Da uno dei bauli rimasti aperti ricadeva un accappatoio di spugna di colore scuro. Elena lo prese, e insieme a Matt cominciò a togliere i vestiti bagnati che aderivano al corpo di Stefan. Si diede da fare per sfilargli il pullover, ma un'occhiata al collo del giovane la immobilizzo all'istante.

«Matt, potresti... potresti passarmi quell'asciugamano?».Non appena si fu voltato, tirò via in fretta il pullover e avvolse

rapidamente l'accappatoio intorno a Stefan. Quando Matt tornò

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indietro e le porse l'asciugamano, lo legò intorno alla gola del ragazzo come se fosse una sciarpa. Il cuore le pulsava forte e la mente lavorava senza sosta.

Non c'era da meravigliarsi che fosse così debole, così immobile. Oh, Dio. Doveva osservarlo bene, verificare quanto fossero gravi le sue condizioni. Ma come poteva, con Matt e le altre lì presenti?

«Vado a chiamare un dottore», disse Matt con tono deciso, guardando il volto di Stefan. «Ha bisogno di aiuto, Elena».

Elena fu colta dal panico. «Matt, no... ti prego. Lui... ha paura dei dottori. Non so cosa succederebbe se ne portassi uno qui». Di nuovo, era la verità, anche se non tutta la verità. Aveva un'idea di cosa avrebbe potuto aiutarlo, ma non poteva fare nulla se gli altri erano lì. Si chinò su di lui, strofinandogli le mani fra le sue, e intanto cercava di pensare.

Cosa poteva fare? Difendere il segreto di Stefan anche a costo della sua vita? O tradirlo per salvarlo? Ma sarebbe servito a salvarlo raccontare tutto a Matt, Bonnie e Meredith? Guardò i suoi amici, cercando di immaginare la loro reazione se avessero saputo la verità su Stefan Salvatore.

Non sarebbe servito a nulla. Non poteva rischiare. Lo shock e l'orrore di quella rivelazione avevano quasi portato alla follia la stessa Elena. Se lei, che amava Stefan, era stata sul punto di fuggire lontano da lui, urlando, cosa avrebbero fatto i tre amici? E poi c'era l'omicidio del signor Tanner. Se avessero saputo cosa era Stefan, sarebbero mai riusciti a credere alla sua innocenza? O, nel profondo del loro cuore, avrebbero sempre sospettato di lui?

Elena chiuse gli occhi. Era troppo pericoloso. Meredith, Bonnie e Matt erano suoi amici, ma questa era una faccenda che non poteva condividere con loro. Non c'era nessuno al mondo a cui potesse confidare questo segreto. Doveva tenerlo solo per sé.

Si raddrizzò e guardò Matt. «Ha paura dei dottori, ma un'infermiera andrebbe bene». Si voltò verso Meredith e Bonnie inginocchiate davanti al caminetto. «Bonnie, che ne dici di tua sorella?»

«Mary?», Bonnie diede uno sguardo all'orologio. «Questa settimana fa l'ultimo turno alla clinica, ma ormai dovrebbe

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essere a casa. Solo che...».«Allora siamo a posto. Matt, accompagna Bonnie e chiedi a

Mary di venire qui a dare un'occhiata a Stefan. Se lei ritiene che abbia bisogno di un dottore, non farò obiezioni».

Matt esitò, poi espirò con forza. «Va bene. Sono ancora convinto che stai sbagliando, ma... andiamo, Bonnie. Dovremo infrangere qualche regola del codice stradale».

Mentre si avviavano verso la porta, Meredith rimase in piedi vicino al caminetto, fissando Elena con i suoi occhi scuri.

Elena costrinse se stessa a incontrare quello sguardo. «Meredith... Penso che dovreste andare tutti».

«Sei sicura?». Quegli occhi scuri rimasero puntati su di lei, come se stessero cercando di penetrare nella sua mente. Ma Meredith non fece altre domande. Dopo un momento fece un cenno di assenso con la testa e seguì Matt e Bonnie senza dire una parola.

Non appena Elena sentì chiudersi la porta in fondo alle scale, si affrettò a rimettere in piedi la lampada rovesciata di fianco al letto e inserì la spina nella presa. Ora, finalmente, poteva valutare attentamente le ferite di Stefan.

Il colorito del ragazzo era peggiorato; era praticamente bianco come il lenzuolo sotto di lui. Anche le labbra erano bianche, ed Elena d'un tratto pensò a Thomas Fell, il fondatore di Fell's Church. O, piuttosto, alla statua di Thomas Fell, stesa accanto a quella della moglie sulla lastra di pietra della loro tomba. Stefan aveva il colore di quel marmo.

I tagli e le ferite sulle mani erano lividi, ma non sanguinavano più. Gli girò delicatamente la testa per osservargli il collo.

E in un attimo si toccò il suo, automaticamente, come per verificare la somiglianza. Ma i segni che aveva Stefan non erano piccole punture. Erano profondi, feroci squarci nella carne. Sembrava che fosse stato attaccato da qualche animale che aveva tentato di strappargli la gola.

Una rabbia cieca invase di nuovo Elena. E insieme ad essa, odio. Si rese conto che, nonostante la sua repulsione e la sua collera, non aveva realmente detestato Damon prima di allora. Non sul serio. Ma adesso... adesso, lo odiava. Lo odiava con un'intensità che non aveva mai provato prima nella sua vita.

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Voleva fargli del male, fargliela pagare. Se in quel momento avesse avuto un palo di legno, io avrebbe piantato nel cuore di Damon senza alcun rimorso.

Ma adesso doveva pensare a Stefan. Giaceva spaventosamente immobile. Era questa la cosa più dura da sopportare, l'assenza totale di determinazione o di combattività nel suo corpo, la sensazione di vuoto. Proprio così. Era come se avesse abbandonato quel corpo per lasciarla davanti a un involucro vuoto.

«Stefan!». Scuoterlo non servì a nulla. Con la mano sul torace freddo del giovane, cercò di percepire il battito cardiaco. Anche se c'era, era troppo debole per sentirlo.

Mantieni la calma, Elena, disse a se stessa, respingendo quella parte della sua mente che voleva abbandonarsi al panico. Quella parte che le stava dicendo "E se fosse morto? E se fosse morto, e non c'è niente che puoi fare per salvarlo?".

Dando un'occhiata alla stanza, vide la finestra rotta. Frammenti di vetro erano sparsi per terra. Si avvicinò e ne raccolse uno, notando come scintillasse alla luce del fuoco. Davvero grazioso, con il bordo affilato come un rasoio, pensò. Poi, deliberatamente, stringendo i denti, si incise la pelle del dito.

Il dolore la lasciò senza fiato. Un attimo dopo, il sangue cominciò a sgorgare dalla ferita, gocciolando lungo il dito come la cera di una candela. Rapidamente, si inginocchiò accanto a Stefan e gli posò il dito sulle labbra.

Con l'altra mano, strinse quella inerte del giovane, sentendo sotto le dita la durezza del suo anello d'argento. Anche lei immobile come una statua, rimase lì in ginocchio ad aspettare.

Quasi non si accorse del primo debole segno di reazione. Restò con lo sguardo fisso sul volto di Stefan, percependo solo con la coda dell'occhio il debole sollevarsi del petto del giovane. Ma poi le labbra sotto al suo dito ebbero un fremito e si aprirono un po', e lui deglutì meccanicamente.

«Ci siamo», mormorò Elena. «Coraggio, Stefan».Sbatté le ciglia, e con gioia crescente lei sentì che rispondeva

alla stretta delle sue dita. Deglutì di nuovo.«Sì». Attese che i suoi occhi si aprissero lentamente prima di

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mettersi a sedere. Poi con l'altra mano armeggiò con il collo alto del suo pullover, ripiegandolo per lasciare libero il collo.

Lo sguardo negli occhi verdi del ragazzo era stupito e grave, ma risoluto come sempre. «No», disse Stefan, in un roco sussurro.

«Devi farlo, Stefan. Gli altri arriveranno da un momento all'altro con un'infermiera. Non ho potuto rifiutarmi. E se non stai abbastanza bene da convincerla che non hai bisogno di andare in ospedale...». Non finì la frase. Lei stessa non sapeva cosa avrebbe scoperto un dottore o un tecnico di laboratorio che avesse visitato Stefan. Ma sentiva che lui lo sapeva, e che questo lo spaventava.

Ma Stefan si dimostrò ancora più ostinato, girando la testa dall'altra parte. «Non posso», mormorò. «È troppo pericoloso. Ne ho già preso... troppo... ieri sera».

Davvero era stato soltanto la sera prima? Sembrava che fosse passato un anno. «Potrei morire?», domandò. «Stefan, rispondimi! Potrei morire?»

«No...». La voce era cupa. «Ma...».«Allora dobbiamo farlo. E non discutere!». Si chinò su di lui,

e stringendogli la mano fra le sue, Elena riuscì ad avvertire il suo irrefrenabile bisogno. Fu sorpresa che lui tentasse quasi di resistere. Era come un uomo affamato di fronte a una tavola imbandita, incapace di distogliere lo sguardo dai piatti fumanti, ma che si rifiutava di mangiare.

«No», ripeté Stefan, ed Elena sentì un senso di frustrazione crescere dentro di lei. Non aveva mai incontrato una persona testarda come lui.

«Sì. E se non hai intenzione di collaborare, mi farò un altro taglio, magari sul polso». Aveva tenuto il dito premuto sul lenzuolo per fermare il sangue; adesso lo tenne sollevato davanti a lui.

Il giovane dilatò le pupille, socchiuse le labbra. «Troppo... già», mormorò, ma continuò a fissare il dito, la lucida goccia di sangue sulla punta. «E io non posso... controllare...».

«Va tutto bene», gli disse sottovoce. Passò di nuovo il dito sulle sue labbra, sentendo che si schiudevano per accoglierlo; poi, si piegò su di lui e chiuse gli occhi.

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La bocca del giovane era fresca e asciutta quando le toccò la gola. La sua mano si chiuse a coppa dietro il suo collo e le sue labbra cercarono i due piccoli fori. Elena si impose di non tirarsi indietro quando avvertì l'acuta fitta di dolore. Poi sorrise.

Prima, aveva percepito il suo straziante bisogno, la sua irresistibile fame. Ora, grazie al legame che li univa, provò soltanto gioia intensa e un senso di appagamento. Profondo appagamento, man mano che la fame veniva placata.

Il suo piacere nasceva dal donare, dal sapere che stava nutrendo Stefan con la sua stessa vita. Riusciva a sentire la forza che confluiva dentro di lui.

Con il passare dei minuti, sentì diminuire l'intensità del bisogno. Ma non era ancora del tutto svanita, e non riuscì a capire quando Stefan cercò di allontanarla.

«È sufficiente», disse con voce roca, costringendola a tirarsi su. Elena aprì gli occhi, distolta da quella piacevole sensazione. Gli occhi di Stefan erano verdi come foglie di mandragora, e sul suo viso Elena lesse la spietata avidità di un predatore.

«È sufficiente. Tu sei ancora debole...».«È sufficiente per te». Lo avvicinò di nuovo a sé, e vide

qualcosa simile alla disperazione brillare in quegli occhi verdi. «Elena, se ne prendo ancora molto, tu comincerai a cambiare. E se non te ne vai, se non ti allontani da me subito...».

Elena indietreggiò ai piedi del letto. Rimase a osservarlo mentre si sedeva e si sistemava l'accappatoio scuro. Alla luce della lampada, si accorse che il viso aveva ripreso un po' di colore, un leggero rossore velava il suo pallore. I capelli quasi asciutti sembravano un mare agitato da onde scure.

«Mi sei mancato», gli disse dolcemente. D'un tratto provò un fremito di sollievo, una sensazione intensa quanto lo erano state la paura e la tensione precedenti. Stefan era vivo; le stava parlando. Le cose si sarebbero sistemate, dopo tutto.

«Elena...». I loro occhi s'incontrarono e lei fu catturata da quel fuoco verde. Senza rendersene conto, avanzò verso di lui, poi si fermò quando Stefan scoppiò a ridere.

«Non ti ho mai vista così prima d'ora», disse, ed Elena abbassò gli occhi per guardarsi. Le scarpe e i jeans erano incrostati di fango rossiccio, che le imbrattava abbondantemente

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anche il resto del corpo. La giacca era strappata e stava perdendo l'imbottitura. Senza dubbio anche il viso era sudicio e lei sapeva che i capelli erano arruffati e scompigliati. Elena Gilbert, impeccabile figurino del Robert E. Lee, era un disastro.

«Mi piace», riprese Stefan, e questa volta rise anche lei.Stavano ancora ridendo quando si aprì la porta. Elena sì

irrigidì, subito in allarme, tirò su il collo del pullover, e fece correre lo sguardo per tutta la stanza in cerca di qualcosa che avrebbe potuto tradirli. Stefan raddrizzò la schiena e si leccò le labbra.

«Sta meglio!», canticchiò Bonnie appena vide Stefan. Matt e Meredith erano subito dietro di lei, i volti rischiarati per la sorpresa e il piacere. La quarta persona che entrò nella stanza erapoco più grande di Bonnie, ma aveva un'aria energica e autoritaria che nascondeva la sua giovane età. Mary McCullough puntò dritta verso il suo paziente e gli afferrò il polso.

«Così tu sei quello che ha paura dei dottori», esordì.Sul momento Stefan parve disorientato, poi si riprese. «È una

specie di fobia che ho fin da bambino», disse, con tono imbarazzato. Gettò uno sguardo di lato, verso Elena, che sorrise nervosamente e fece un lieve cenno con la testa. «Comunque, ora non ho bisogno di dottori, come vedi».

«Perché non lasci che sia io a giudicare? Il polso va bene. A dire il vero, è incredibilmente lento, persino per un atleta. Non credo che tu sia in stato di ipotermia. Misuriamo la temperatura».

«No, credo proprio che non sia necessario». La voce di Stefan era bassa, rassicurante. Elena lo aveva sentito usare quella voce in precedenza, e sapeva cosa stesse cercando di fare. Ma Mary non gli prestò la minima attenzione.

«Apri, per favore».«Dammi, ci penso io», s'intromise Elena rapidamente,

allungando la mano per prendere il termometro. Chissà come, il piccolo cilindro di vetro le scivolò di mano. Cadde sul pavimento di legno duro, rompendosi in mille pezzi. «Oh, mi spiace!».

«Non importa», disse Stefan. «Mi sento molto meglio, e mi

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sto scaldando a poco a poco».Mary considerò il disastro sul pavimento, poi guardò in giro

per la stanza, e notò lo stato di devastazione in cui si trovava. «Bene bene», disse, voltandosi con le mani sui fianchi. Poi volle sapere: «Cosa è successo qui?».

Stefan non batté ciglio. «Niente di grave. È solo che la signora Flowers è una pessima donna di casa», aggiunse, guardandola dritto negli occhi.

Elena voleva ridere, e vide che anche Mary era tentata. La ragazza, invece, fece una smorfia e incrociò le braccia. «Immagino che sia inutile sperare di ottenere una risposta attendibile», concluse. «Ed è chiaro che tu non sei in fin di vita. Non posso costringerti ad andare in ospedale. Ma ti consiglio vivamente di fare un controllo, domani».

«Ti ringrazio», disse Stefan, che, Elena notò, era di tutt'altro parere.

«Elena, tu sembri aver bisogno di un dottore», osservò Bonnie. «Sei bianca come un fantasma».

«Sono solo stanca», disse Elena. «È stata una giornata lunga».«Ti consiglio di andare a casa e metterti a letto... e restarci»,

disse Mary. «Non sei anemica, vero?».Elena resistette all'impulso di mettersi la mano sulla guancia.

Era così pallida? «No, sono solo stanca», ripeté. «Possiamo andare a casa, adesso, se Stefan sta meglio».

Il giovane annuì in maniera rassicurante, il messaggio nei suoi occhi era solo per lei. «Ci concedete un minuto, per favore?», chiese a Mary e agli altri, che si diressero verso la scala.

«Ciao. Abbi cura di te», disse Elena ad alta voce, abbracciandolo. Poi sussurrò: «Perché non hai usato i tuoi Poteri su Mary?»

«L'ho fatto», le disse nell'orecchio, in tono severo. «O almeno ci ho provato. Devo essere ancora debole. Non ti preoccupare, ce la farò».

«Certo che ce la farai», lo rassicurò Elena, ma sentì una stretta allo stomaco. «Comunque, sei sicuro di poter restare solo? E se...».

«Starò bene. Sei tu quella che non dovrebbe restare sola». Il tono di Stefan era gentile ma pressante. «Elena, non ho avuto la

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possibilità di avvisarti. Avevi ragione quando dicevi che Damon era a Fell's Church».

«Lo so. È lui che ti ha fatto questo, vero?». Elena non accennò al fatto che fosse andata a cercarlo.

«Io... non ricordo. Ma è pericoloso. Tieni Bonnie e Meredith con te questa notte, Elena. Non voglio che tu sia sola. E assicurati che nessuno faccia entrare estranei in casa».

«Andremo dritte a letto», promise Elena, sorridendogli. «E non faremo entrare nessuno».

«Controlla bene». Non c'era alcuna nota scherzosa nel suo tono di voce, ed Elena annuì lentamente.

«D'accordo, Stefan. Faremo attenzione».«Bene». Si baciarono, sfiorandosi appena le labbra,

sciogliendo a malincuore la stretta delle loro mani. «Ringrazia gli altri», disse.

«Lo farò».I cinque ragazzi si ritrovarono fuori del pensionato, e Matt si

offrì di accompagnare a casa Mary, così Bonnie e Meredith avrebbero potuto andare con Elena. Mary era ancora palesemente sospettosa circa gli eventi di quella sera, ed Elena non riusciva a biasimarla. Non riusciva neanche a pensare. Era troppo stanca.

«Mi ha chiesto di ringraziare tutti voi», si ricordò, dopo che Matt se ne fu andato.

«Non c'è... di che», disse Bonnie, intervallando le parole con un grosso sbadiglio, mentre Meredith le apriva la portiera della macchina.

Meredith non disse nulla. Era stata molto silenziosa da quando aveva lasciato Elena sola con Stefan.

Bonnie scoppiò a ridere. «Di una cosa ci siamo dimenticate», disse. «La profezia».

«Quale profezia?», incalzò Elena.«Riguardo il ponte. Quella che ritieni abbia detto io. Be', sei

andata al ponte e la Morte non era lì ad aspettarti, dopo tutto. Forse hai frainteso il senso».

«No», intervenne Meredith. «Abbiamo ascoltato attentamente ogni parola».

«Bene, allora, forse è un altro ponte. O... mmm...». Bonnie si

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strinse nel cappotto, chiuse gli occhi e non si preoccupò di finire la frase.

Ma la mente di Elena completò la frase per lei. O un'altra volta.

Mentre Meredith avviava il motore, un gufo fece sentire il suo lamento.

52 novembre, sabato

Caro diario,quando mi sono svegliata questa mattina mi sentivo così strana. Non

so come descriverlo. Da una parte, ero così debole che quando ho cercato di alzarmi i muscoli non volevano sostenermi. Ma dall'altra mi sentivo così... bene. Così serena, rilassata. Mi sembrava di galleggiare su un letto di luce dorata. Non m'importava se non fossi più riuscita a muovermi.

Poi mi sono ricordata di Stefan, e ho cercato di alzarmi, ma zia Judith mi ha rispedito a letto. Ha detto che Bonnie e Meredith erano andate via ore prima, e che mi ero addormentata così rapidamente che non hanno avuto cuore di svegliarmi. Ha detto che ho bisogno di riposo.

Così, eccomi qui. Zia Judith mi ha portato la TV in camera, ma non ho voglia di guardarla. Preferirei stare qui sdraiata a scrivere, o stare sdraiata e basta.

Sto aspettando che Stefan mi chiami. Mi ha detto che l'avrebbe fatto. O forse no. Non ricordo. Quando chiamerà devo

3 novembre, domenica, ore 22,30Ho appena riletto quel che ho scritto ieri, e sono scioccata. Ma cosa mi

succede? Ho lasciato a metà una frase e ora non so neanche cosa stavo per dire. E non me lo spiego con il fatto del nuovo diario o roba del genere. Dovevo essere totalmente fuori di testa.

A ogni modo, questo è l'inizio ufficiale del mio nuovo diario. L'ho comprato all'emporio. Non è bello come l'altro, ma dovrà esserlo. Ormai ho perso ogni speranza persino di rivedere quello vecchio. Chi l'ha rubato, non lo restituirà. Ma quando penso che qualcuno lo sta leggendo, e conosce tutti i miei pensieri più nascosti e i miei sentimenti per Stefan, mi viene voglia di ucciderlo. E allo stesso tempo mi sento morire per l'umiliazione subita.

Non mi vergogno di quel che provo per Stefan. Ma è personale. E ci sono cose in quel diario, cosa provo quando ci baciamo, quando lui mi stringe fra le braccia, che non vorrei che nessun altro leggesse.

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Naturalmente, non c'è niente riguardo il segreto di Stefan. Non lo sapevo ancora. È stato solo quando l'ho scoperto che ho capito veramente Stefan, e siamo stati insieme, realmente insieme, finalmente. Ora apparteniamo l'uno all'altra. Mi sento come se lo avessi aspettato per tutta la vita.

Forse penserai che sono una persona orribile perché lo amo, considerando cosa è. Può essere violento, e so che ci sono cose nel suo passato di cui lui si vergogna. Ma non potrebbe mai essere violento con me, e il passato è passato. Prova un tale rimorso e soffre così tanto. Voglio guarirlo.

Non so cosa accadrà adesso; per ora sono felice che sia salvo. Oggi sono andata al pensionato e ho scoperto che la polizia era stata lì ieri. Stefan era ancora debole e non ha potuto usare i suoi Poteri per liberarsi di loro, ma non l'hanno accusato di nulla. Gli hanno solo fatto delle domande. Stefan ha detto che si sono mostrati amichevoli, e questo mi insospettisce. Tutte le domande si riducono in pratica a: dove eri la sera in cui quel vecchio è stato aggredito sotto il ponte, e la sera in cui Vickie Bennett è stata aggredita nella chiesa diroccata, e la notte in cui il signor Tanner è stato ucciso nella scuola?

Non hanno alcuna prova contro di lui. Ma i crimini sono cominciati proprio dopo il suo arrivo a Fell's Church, e allora? Non c'è alcuna prova. Ma lui ha discusso con il signor Tanner quella sera. E allora? Tutti hanno discusso con il signor Tanner. Ma lui è scomparso dopo che è stato trovato il cadavere del signor Tanner. Ma ora è tornato ed è evidente che è stato aggredito anche lui, dalla stessa persona che ha commesso gli altri crimini. Mary ha riferito alla polizia circa le sue condizioni di salute. E semai ce lo chiederanno, Matt, Bonnie, Meredith e io possiamo tutti testimoniare il modo in cui l'abbiamo trovato. Non c'è nessuna prova contro di lui.

Io e Stefan abbiamo parlato insieme di questa storia, e di altre cose. È stato così bello stare di nuovo con lui, anche se aveva ancora il viso pallido e tirato. Ancora non ricorda come si è conclusa la serata di giovedì, ma il resto è andato proprio come avevo sospettato. Dopo avermi accompagnata a casa, giovedì sera, Stefan è andato a cercare Damon. Hanno litigato. Stefan si è ritrovato mezzo morto in quel pozzo. Non ci vuole un genio per immaginare cosa è successo nel frattempo.

Non gli ho ancora detto che venerdì mattina sono andata al cimitero a cercare Damon. Penso sia meglio se gliene parlo domani. So che rimarrà turbato, soprattutto quando sentirà quel che mi ha detto Damon.

Bene, è tutto. Sono stanca. Questa diario verrà nascosto con cura, per ovvie ragioni.

Elena si fermò a guardare l'ultima riga sulla pagina. Poi

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aggiunse:

P. S. Chissà chi sarà il nuovo insegnante di storia europea?

Infilò il diario sotto il materasso e spense la luce.Percorse il corridoio con un insolito senso di vuoto. A scuola

veniva sempre bersagliata da saluti provenienti da ogni parte; era tutto un "ciao, Elena" dopo un "ciao, Elena" ovunque andasse. Ma quella mattina gli sguardi scivolavano via furtivi quando lei si avvicinava, o la gente si trovava d'un tratto assorbita da qualcosa che la costringeva a dare la schiena al suo passaggio. Era andata avanti così per tutto il giorno.

Si fermò sulla soglia dell'aula di storia europea. Alcuni studenti avevano già preso posto e alla lavagna c'era uno sconosciuto.

Anche lui sembrava quasi uno studente. Aveva capelli rossicci, un po' lunghi, e il fisico di un atleta. Sulla lavagna aveva scritto "Alaric K. Saltzman". Quando si voltò, Elena vide che anche il suo sorriso era quello di un ragazzo.

Continuò a sorridere mentre Elena si sedeva e altri studenti entravano in aula uno dopo l'altro. Stefan era fra questi, e i suoi occhi incontrarono quelli di Elena quando prese posto dietro di lei, ma non si parlarono. Nessuno parlava. Nella stanza regnava un silenzio assoluto.

Bonnie si sedette di fianco a Elena. Matt era qualche banco più in là, ma guardava dritto davanti a sé.

Gli ultimi due studenti ad arrivare furono Caroline Forbes e Tyler Smallwood. Entrarono insieme, e a Elena non piacque l'espressione sul viso di Caroline. Conosceva fin troppo bene quel sorriso sornione e quegli occhi verdi socchiusi. Il viso attraente e alquanto in carne di Tyler lasciava trasparire un'evidente soddisfazione. L'alone sotto gli occhi, provocato dal pugno di Stefan, era quasi svanito.

«Ok, tanto per cominciare, che ne dite di disporre tutti i banchi in circolo?».

L'attenzione di Elena tornò a concentrarsi sullo sconosciuto di fronte a loro. Stava ancora sorridendo.

«Coraggio, diamoci da fare. Così potremo guardarci tutti in

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faccia quando parliamo», aggiunse.In silenzio, gli studenti ubbidirono. Lo sconosciuto non si

sedette alla cattedra del signor Tanner; avvicinò una sedia con lo schienale rivolto verso il cerchio di banchi e ci si sedette a cavalcioni.

«Bene», riprese, «so che siete tutti curiosi di sapere chi sono. Il mio nome è scritto sulla lavagna: Alaric K. Saltzman. Ma voglio che mi chiamiate Alaric. Vi dirò qualcos'altro di me più tardi, ma prima voglio darvi uno spunto per iniziare a parlare.

Probabilmente oggi sarà una giornata difficile per gran parte di voi. Qualcuno a cui volevate bene non c'è più, e questo deve farvi soffrire. Voglio darvi la possibilità di aprirvi e di condividere quel che provate con me e con i vostri compagni. Voglio che proviate a mettervi in contatto con la vostra inquietudine. Poi potremo cominciare a costruire un nostro rapporto basato sulla fiducia. Ora, chi se la sente di parlare per primo?».

Tutti gli sguardi rimasero fissi su di lui. Nessuno batté ciglio.«Bene, vediamo... tu?». Continuando a sorridere, fece un

cenno d'incoraggiamento a una graziosa ragazza dai capelli biondi. «Dicci come ti chiami e cosa provi riguardo a quel che è accaduto».

In preda all'agitazione, la ragazza si alzò in piedi. «Mi chiamo Sue Carson, e, ehm...». Prese un profondo respiro e proseguì con determinazione. «E ho paura. Perché chiunque sia questo maniaco, è ancora a piede libero. E la prossima volta potrebbe toccare a me». Tornò a sedersi.

«Grazie, Sue. Sono sicuro che molti dei tuoi compagni provano la stessa ansia. Ora, alcuni di voi erano di fatto là quando è successa questa tragedia, dico bene?».

I banchi scricchiolarono quando gli studenti si mossero sulle sedie a disagio. Ma Tyler Smallwood si alzò in piedi, e sorrise, mostrando i suoi forti denti bianchi.

«La maggior parte di noi era là», disse, e il suo sguardo guizzò verso Stefan. Elena vide altri seguire quello sguardo. «Sono arrivato là subito dopo che Bonnie aveva scoperto il cadavere. E quel che provo è preoccupazione per questa comunità. C'è un pericoloso assassino in giro per le strade, e

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fino ad ora nessuno ha fatto niente per fermarlo. E...». Si interruppe. Elena non ne era sicura, ma ebbe l'impressione che fosse stata Caroline a fargli cenno di fermarsi. La ragazza gettò all'indietro i lucidi capelli castano dorato e accavallò di nuovo le lunghe gambe mentre Tyler riprendeva posto.

«Ok, grazie. Quindi la maggior parte di voi era là. Questo rende le cose ancora più difficili. Potrei sentire cosa ha da dire la persona che ha trovato il cadavere? C'è Bonnie qui?». Fece correre lo sguardo fra gli studenti.

Bonnie sollevò la mano, lentamente, poi si alzò in piedi. «Io credo di aver scoperto il cadavere», precisò. «Voglio dire, sono stata la prima persona a rendersi conto che in realtà era morto, e che non stava semplicemente fingendo».

Alaric Saltzman sembrò alquanto sorpreso. «Non stava semplicemente fingendo? Fingeva spesso di essere morto?». Qualcuno ridacchiò, e sul volto dell'insegnante balenò un altro sorriso fanciullesco. Elena si voltò a guardare Stefan, che aveva un'espressione accigliata.

«No... no», continuò Bonnie. «Vede, era un sacrificio. Nella Casa Stregata. Così era coperto dappertutto di sangue, ma era sangue finto. E in parte è stata colpa mia, perché lui non voleva metterlo addosso, e io gli ho detto che era necessario. Doveva fare la parte del Cadavere Insanguinato. Ma lui continuava a direche si sarebbe sporcato troppo, e solo quando è arrivato Stefan e ha discusso con lui...». Si bloccò. «Voglio dire, ne abbiamo parlato insieme e alla fine il signor Tanner ha accettato di farlo, e poi abbiamo aperto la Casa Stregata. E poco dopo mi sono accorta che non era seduto a spaventare i ragazzi come avrebbe dovuto fare, e allora mi sono avvicinata e gli ho chiesto cosa c'era che non andava. Ma non mi ha risposto. Continuava... continuava a fissare il soffitto. E allora l'ho toccato e lui... è stato orribile. La sua testa è come... caduta». La voce tremò e si ruppe. Bonnie deglutì faticosamente.

Elena si stava alzando in piedi, e così Stefan e Matt, e pochi altri ragazzi. Elena toccò Bonnie.

«Bonnie, va tutto bene. Bonnie, calmati; va tutto bene».«E avevo le mani tutte sporche di sangue. C'era sangue

dappertutto, tanto sangue...». Tirò su col naso, in modo

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convulso.«Ok, pausa», intervenne Alaric Saltzman. «Chiedo scusa, non

intendevo angosciarti fino a questo punto. Ma penso che dovrai lavorare ancora su queste emozioni in futuro. È chiaro che è stata un'esperienza piuttosto devastante».

Il professore si alzò in piedi e si mise a camminare all'interno del cerchio dei banchi, aprendo e chiudendo nervosamente le mani. Bonnie continuava sommessamente a tirare su col naso.

«Ho trovato», disse, con un altro sorriso fanciullesco. «Vorrei cominciare bene il nostro rapporto studenti-insegnante, lontano da tutta questa atmosfera. Che ne dite di venire tutti a casa mia questa sera, così possiamo parlare senza tante cerimonie? Magari per cominciare a conoscerci, o per parlare di quel che è accaduto. Potete anche portare un amico, se vi fa piacere. Che nepensate?».

Lo fissarono per altri trenta secondi. Poi qualcuno disse: «Casa sua?»

«Sì... oh, quasi dimenticavo. Che stupido. Alloggio alla casa dei Ramsey, su Magnolia Avenue». Scrisse l'indirizzo sulla lavagna. «I Ramsey sono miei amici, e mi hanno prestato la casa mentre sono in vacanza. Vengo da Charlottesville, e il vostro preside mi ha telefonato venerdì per chiedermi se volevo prendere il posto del signor Tanner. Ho colto l'occasione al volo. Questo è il mio primo incarico come insegnante».

«Oh, questo spiega tutto», commentò Elena sottovoce.«Dici?», disse Stefan.«Allora, cosa ne pensate? Siete d'accordo?». Alaric Saltzman

guardò i ragazzi.Nessuno ebbe il coraggio di rifiutare. Qua e là si levò un "sì"

o un "certo".«Perfetto, allora è deciso. Io penserò a qualcosa da mettere

sotto i denti e avremo l'occasione per conoscerci. Oh, a proposito...». Aprì il registro di classe e gli diede una rapida occhiata. «In questo corso, la partecipazione costituirà la metà del vostro voto finale». Sollevò lo sguardo e sorrise. «Ora potete andare».

«Che faccia tosta», mormorò qualcuno mentre Elena usciva fuori dalla porta. Bonnie era dietro di lei, ma la voce di Alaric

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Saltzman la richiamò in classe.«Gli studenti che prima sono intervenuti nella nostra

conversazione potrebbero per cortesia fermarsi ancora un minuto?».

Anche Stefan doveva andare via. «Sarà meglio che vada a presentarmi agli allenamenti di football», disse. «Probabilmente sono stati cancellati, ma è meglio che controlli».

Elena era preoccupata. «Se non li hanno cancellati, pensi di farcela?»

«Starò bene», rispose in tono evasivo. Ma la ragazza notò che aveva ancora il viso tirato e si muoveva come se provasse dolore. «Ci vediamo davanti al tuo armadietto», le disse.

Lei annuì. Quando arrivò al suo armadietto, vide Caroline lì vicino che parlava con altre due ragazze. Tre paia di occhi seguirono ogni suo movimento mentre riponeva i libri, ma quando Elena sollevò la testa, due di loro improvvisamente distolsero lo sguardo. Soltanto Caroline continuò a fissarla, la testa leggermente piegata di lato mentre bisbigliava qualcosa alle altre ragazze.

Elena ne aveva avuto abbastanza. Sbatté l'anta dell'armadietto e si diresse dritta verso il gruppetto. «Ciao, Becky; ciao, Sheila», disse. Poi, con eccessiva enfasi: «Ciao, Caroline».

Becky e Sheila bofonchiarono un "ciao" e aggiunsero che dovevano andare. Elena non si voltò neanche a guardarle mentre sgattaiolavano via. Tenne gli occhi fissi su Caroline.

«Cosa succede?», volle sapere.«Cosa succede?», Caroline evidentemente trovava la cosa

divertente, e cercava di tirarla per le lunghe. «Cosa succede con chi?»

«Con te, Caroline. Con tutti. Non fare finta di non avere qualcosa in mente, perché so che è così. È tutto il giorno che la gente mi evita come se avessi la peste, e tu hai l'aria di una che ha appena vinto la lotteria. Cosa hai combinato?».

L'espressione di innocente curiosità sul viso di Caroline svanì, lasciando il posto a un sorriso sornione. «Quando è iniziata la scuola ti ho detto che quest'anno le cose sarebbero andate diversamente, Elena», disse. «Ti ho avvisato che la tua permanenza sul trono sarebbe finita. Ma io non ho fatto niente.

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Quel che sta succedendo è solo selezione naturale. La legge della giungla».

«E cos'è che sta succedendo?»«Be', diciamo che uscire con un assassino può mettere un

freno alla tua vita sociale».Fu come se Caroline le avesse dato un pugno nello stomaco.

Per un attimo, provò l'irresistibile desiderio di essere lei a colpire Caroline. Poi, con il sangue che le pulsava nelle orecchie, rispose a denti stretti: «Non è vero. Stefan non ha fatto niente. La polizia lo ha interrogato e l'ha discolpato da ogni accusa».

Caroline scrollò le spalle. Ora le sorrideva con aria di sufficienza. «Elena, ti conosco dai tempi dell'asilo», disse, «quindi ti voglio dare un consiglio in onore dei vecchi tempi: lascia Stefan. Se lo fai subito forse eviterai di diventare una lebbrosa per la società. Altrimenti faresti meglio a comprare una campanella da suonare quando vai in giro».

La rabbia s'impadronì di Elena quando Caroline si voltò per allontanarsi, con i capelli castano dorato che ondeggiavano sotto le luci. Poi Elena trovò il coraggio di parlare.

«Caroline». La ragazza si voltò. «Hai intenzione di venire al party a casa Ramsey questa sera?»

«Penso di sì. Perché?»«Perché io sarò lì. Con Stefan. Ci vediamo nella giungla».

Questa volta fu Elena ad allontanarsi.La fierezza nella sua uscita di scena perse un po' del suo gusto

quando intravide una figura slanciata in fondo al corridoio. Per un attimo esitò sui suoi passi, poi, avvicinandosi, riconobbe Stefan.

Sapeva che il sorriso che gli rivolse era forzato, e lui lanciò un'occhiata verso la fila di armadietti mentre si dirigevano, fianco a fianco, fuori della scuola.

«Così hanno annullato gli allenamenti di football?», disse.Il ragazzo annuì. «Di cosa stavate parlando?», domandò con

voce calma.«Niente. Ho chiesto a Caroline se aveva intenzione di venire

al party questa sera». Elena piegò la testa indietro per guardare il cielo grigio e tetro.

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«Ed era di questo che parlavate?».Elena si ricordò cosa le aveva detto nella sua stanza. Lui

riusciva a vedere meglio di un essere umano, e a sentire meglio, anche. Tanto meglio da riuscire ad afferrare le parole pronunciate a più di dieci metri di distanza, all'altra estremità del corridoio?

«Sì», confermò con tono di sfida, continuando a esaminare le nuvole.

«Ed è per questo che sei così arrabbiata?»«Sì», ripeté, con lo stesso tono.Elena sentiva gli occhi di Stefan su di lei. «Elena, non è vero».«Bene, se riesci a leggermi nella mente allora non hai bisogno

di farmi domande, no?».Adesso erano uno di fronte all'altra. Stefan era teso, le labbra

strette in una linea severa. «Sai che non lo farei. Ma credevo che tu fossi l'unica a credere nella sincerità all'interno di un rapporto».

«Va bene. Caroline stava dicendo le sue solite malignità e le ha sparate grosse sull'omicidio. E allora? Perché ti interessa?»

«Perché», disse Stefan in modo diretto e brutale, «potrebbe aver ragione. Non riguardo all'omicidio ma riguardo a te. Riguardo a noi due. Avrei dovuto capire che sarebbe andata così. Non si tratta solo di lei, vero? Ho avvertito paura e ostilità per tutto il giorno, ma ero troppo stanco per cercare di analizzarle. Pensano che io sia l'assassino e se la prendono con te».

«Non importa quel che pensano! Si sbagliano, e alla fine se ne renderanno conto. E poi tutto tornerà come prima».

Stefan sollevò un angolo della bocca, in un sorriso malinconico. «Lo credi davvero, eh?». Poi distolse lo sguardo, il viso s'irrigidì. «E se non se ne rendono conto? E se le cose cambieranno solo in peggio?»

«Ma cosa dici?»«Sarebbe meglio...». Stefan prese un profondo respiro e

continuò, misurando le parole. «Sarebbe meglio se non ci vedessimo per un po'. Se pensano che non stiamo insieme, ti lasceranno in pace».

Elena lo guardò con gli occhi sgranati. «E tu pensi di

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riuscirci? A non vedermi e non parlarmi per chissà quanto tempo?»

«Se è necessario... sì. Potremmo far credere che ci siamo lasciati». Serrò la mascella.

Elena lo fissò ancora per un attimo. Poi gli girò intorno e gli andò vicino, così vicino che quasi si toccavano. Stefan dovette abbassare lo sguardo per vederla, gli occhi a pochi centimetri dai suoi.

«C'è», cominciò Elena, «un solo modo perché io annunci al resto della scuola che ci siamo lasciati. Ed è se mi dici che non mi ami e non vuoi vedermi. Dimmelo, Stefan, adesso. Dimmi che non vuoi più stare con me».

Stefan trattenne il respiro. La guardò intensamente con quegli occhi verdi striati come quelli di un gatto, con sfumature di smeraldo, malachite e agrifoglio.

«Dillo», gli disse. «Dimmi come puoi farcela senza di me, Stefan. Dimmi...».

Non arrivò a finire la frase. Rimase a metà, mentre la bocca di Stefan raggiungeva la sua.

6Stefan era seduto nel soggiorno di casa Gilbert, e

garbatamente conveniva con qualsiasi cosa stesse dicendo zia Judith. L'anziana donna si sentiva a disagio per la presenza del giovane; non c'era bisogno di leggerle nel pensiero per capirlo. Ma ce la stava mettendo tutta, e anche Stefan. Lui voleva che Elena fosse felice.

Elena. Anche quando non la stava guardando, era consapevole della sua presenza nella stanza più di ogni altra cosa. Sentiva il suo calore vitale sulla pelle, come luce del sole sulle palpebre chiuse. Quando si decise a voltarsi per guardarla in viso, fu un dolce shock per tutti i suoi sensi.

La amava così tanto. Non vedeva più Katherine in lei; aveva quasi dimenticato quanto somigliasse alla fanciulla morta. In ogni caso, le differenze erano molte. Elena aveva gli stessi capelli biondo chiaro e la pelle vellutata, gli stessi lineamenti

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delicati di Katherine, ma la somiglianza finiva lì. I suoi occhi, che ora sembravano violetti alla luce del caminetto ma di solito erano di un blu intenso come i lapislazzuli, non erano mai timorosi o ingenui come quelli di Katherine. Al contrario, rivelavano la sua anima, che risplendeva come fiamma viva dietro di loro. Elena era Elena, e la sua immagine aveva preso il posto del delicato fantasma di Katherine nel suo cuore.

Ma era proprio la sua forza a rendere pericoloso il loro amore. La settimana precedente non era riuscito a resisterle quando gli aveva offerto il suo sangue. Certo, sarebbe morto se non avesse accettato, ma tutto era accaduto troppo in fretta per l'incolumità di Elena. Per la centesima volta, il suo sguardo si spostò sul viso della ragazza, in cerca di segni rivelatori di un cambiamento. L'incarnato chiaro era un po' più pallido? La sua espressione era lievemente distaccata?

Avrebbero dovuto fare attenzione da ora in avanti. Lui avrebbe dovuto fare più attenzione. Nutrirsi spesso, saziare la sua sete con animali, così non sarebbe stato tentato. Mai lasciare che il bisogno diventi troppo pressante. Ora che ci aveva pensato, era affamato. Quel desiderio spietato, bruciante, si irradiava nella sua mascella, insinuandosi nelle vene e nei capillari. Avrebbe dovuto essere fuori nel bosco – i sensi allertati a cogliere il minimo scricchiolio di ramoscelli secchi, i muscoli pronti a scattare all'inseguimento – e non li accanto al fuoco, a osservare il disegno delle vene di un pallido azzurro sulla gola di Elena.

Quella gola sottile si girò quando Elena si voltò verso di lui.«Vuoi andare a quel party stasera? Possiamo prendere la

macchina di zia Judith», disse.«Ma prima potreste cenare qui», si affrettò a dire la zia.«Possiamo prendere qualcosa lungo la strada». Elena voleva

dire che potevano prendere qualcosa per lei, pensò Stefan. Poteva masticare e ingoiare cibo normale, se avesse dovuto, ma non gli avrebbe fatto bene, e da molto tempo ormai aveva perso la capacità di gustarlo. No, i suoi... appetiti... ora, erano più insoliti, pensò. E se fossero andati a quel party, sarebbero passate ore prima che lui avesse potuto saziarsi. Ma fece un cenno di assenso a Elena.

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«Se tu vuoi andarci», disse.Elena voleva; era decisa. Lui l'aveva capito sin dall'inizio.

«Bene, allora sarà meglio che mi cambi».Stefan la seguì ai piedi della scala. «Indossa qualcosa con un

collo alto. Un pullover», le disse, con una voce troppo bassa per essere sentita.

Elena guardò oltre il vano della porta, nel soggiorno ormai vuoto, e disse: «È tutto a posto. Sono quasi guariti. Vedi?». Tirò giù il collo di pizzo, girando la testa da un lato.

Stefan restò a fissare, come ipnotizzato, i due fori sulla pelle delicata. Erano di un leggero colore bordeaux, quasi traslucido, come un vino molto annacquato. Serrò i denti e si costrinse a distogliere lo sguardo. Se avesse continuato a fissarli, sarebbe impazzito.

«Non mi riferivo a questo», disse, in modo brusco.Il velo lucente dei capelli ricadde a coprire i segni,

nascondendoli alla vista. «Oh».

«Entrate!».Quando fecero il loro ingresso nella stanza, la conversazione

si fermò. Elena osservò le facce rivolte verso di loro, gli sguardi curiosi e furtivi, le espressioni diffidenti. Non il genere di sguardi che era abituata a ricevere al suo arrivo.

Era stato un altro studente ad aprire loro la porta; Alaric Saltzman non era nei paraggi. Ma Caroline sì, seduta su uno sgabello del bar, che metteva in bella mostra le gambe. Rivolse a Elena un'occhiata beffarda e poi disse qualcosa al ragazzo alla sua destra, che si mise a ridere.

Elena sentì che sorridere cominciava a diventarle penoso, mentre un leggero rossore si diffondeva lentamente sulle sue guance. Poi le arrivò il suono di una voce familiare.

«Elena, Stefan! Da questa parte».Con un senso di gratitudine, individuò Bonnie seduta insieme

a Meredith e a Ed Goff su un divano a esse nell'angolo. Quando lei e Stefan si furono accomodati su una grande ottomana di fronte a loro, sentì che la conversazione nella stanza si rianimava.

Per tacito accordo, nessuno accennò all'imbarazzo che aveva

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generato l'arrivo di Elena e Stefan. Elena era decisa a fingere che tutto fosse come al solito.

E Bonnie e Meredith le davano tutto il loro appoggio. «Hai un aspetto magnifico», le disse Bonnie affettuosamente. «Adoro quel pullover rosso».

«È proprio carina. Non trovi, Ed?», disse Meredith, e il ragazzo, preso alla sprovvista, annuì.

«Così anche la vostra classe è stata invitata qui, stasera», Elena disse a Meredith. «Pensavo fosse circoscritto agli studenti della settima ora».

«Non so se invitata sia il termine giusto», ribatté Meredith sarcasticamente. «Se consideriamo che la partecipazione costituisce metà del nostro voto finale».

«Credi che l'abbia detto seriamente? Non poteva dire sul serio», intervenne Ed.

Elena scrollò le spalle. «A me è sembrato serio. Dov'è Ray?», chiese a Bonnie.

«Ray? Oh, Ray. Non lo so, qua in giro, suppongo. C'è un sacco di gente stasera».

Era vero. Il soggiorno dei Ramsey era affollato, e da quel che Elena poteva capire la gente era confluita nella sala da pranzo, nel salone, e probabilmente anche nella cucina. Gomiti continuavano a strusciare contro i capelli di Elena mentre le persone passavano dietro di lei.

«Cosa voleva Saltzman quando vi ha trattenuto dopo la lezione?», stava chiedendo Stefan.

«Alaric», precisò Bonnie. «Vuole che lo chiamiamo Alaric. Oh, voleva solo essere gentile. Si sentiva in colpa per avermi fatto rivivere un'esperienza così penosa. Non sapeva con precisione come era morto il signor Tanner, e non si era reso conto che io fossi così sensibile. Ovviamente, anche lui è incredibilmente sensibile, quindi sa cosa vuol dire. È del segno dell'Acquario».

«Con la luna crescente nel segno del "rimorchio"», aggiunse Meredith sotto voce. «Bonnie, non crederai a queste idiozie, vero? È un insegnante, e non dovrebbe provarci così con gli studenti».

«Non ci stava affatto provando! Ha detto esattamente la stessa

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cosa a Tyler e a Sue Carson. Ha detto che dovremmo costituire un gruppo di sostegno gli uni per gli altri o scrivere un tema su quella notte per dare sfogo ai nostri sentimenti. Ha detto che gli adolescenti sono tutti molto impressionabili e che non voleva che quella tragedia lasciasse un segno indelebile nelle nostre vite».

«Oh, mamma mia», disse Ed, e Stefan soffocò una risata in un colpo di tosse. Non era divertito, tuttavia, e la domanda che aveva fatto a Bonnie non nasceva da semplice curiosità. Elena intuiva, percepiva qualcosa che si irradiava dal giovane. Stefan provava per Alaric Saltzman quel che la maggior parte della gente presente nella stanza provava per lui. Diffidenza e sospetto.

«Strano, però, che si comportasse come se l'idea del party gli fosse venuta in quel momento, nella nostra classe», disse Elena, rispondendo inconsapevolmente alle domande inespresse di Stefan, «quando è evidente che aveva già programmato tutto».

«Ancora più strano che la scuola assuma un insegnante senza dirgli come è morto il collega che deve sostituire», aggiunse Stefan. «Tutti ne parlano; ne avranno parlato anche i giornali».

«Ma non con tutti i particolari», precisò Bonnie. «In realtà, ci sono cose che la polizia non ha ancora divulgato perché ritiene che potrebbero rivelarsi utili per catturare l'assassino. Per esempio», abbassò la voce, «sapete cosa ha detto Mary? Il dottor Feinberg stava parlando con il tipo che ha eseguito l'autopsia, il coroner. E ha detto che nel corpo non c'era più sangue. Neanche una goccia».

Elena si sentì attraversare da un vento gelido, come se fosse di nuovo nel cimitero. Non riuscì a parlare. Ma intervenne Ed: «E dove è andato a finire?»

«Be', sul pavimento, suppongo», rispose tranquillamente Bonnie. «Sull'altare e così via. È su questo che la polizia sta indagando adesso. Ma non è normale che in un cadavere non ci sia più sangue; di solito un po' si va a concentrare nella parte inferiore del corpo. Si chiama lividezza post-mortem. Sono come dei grandi lividi violacei. Cosa c'è che non va?»

«La tua straordinaria sensibilità mi sta facendo venire da vomitare», disse Meredith con voce strozzata. «Potremmo

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parlare di qualcos'altro?»«Non sei tu quella che si è ritrovata tutta sporca di sangue»,

cominciò Bonnie, ma Stefan la interruppe.«Gli investigatori sono arrivati a qualche conclusione in base

a quello che hanno scoperto? Sono in qualche modo sulle tracce dell'assassino?»

«Non lo so», rispose Bonnie, e poi s'illuminò in viso. «A proposito, Elena, tu hai detto che sapevi...».

«Smettila, Bonnie», disse Elena, disperata. Se mai ci fosse stato un luogo dove parlare di quella faccenda, non era certo quella stanza gremita di gente che detestava Stefan. Bonnie spalancò gli occhi, e poi annuì, ricomponendosi.

Ma Elena non riusciva a calmarsi. Stefan non aveva ucciso il signor Tanner, eppure le stesse prove che avrebbero condotto a Damon potevano facilmente portare a lui. E avrebbero portato a lui, perché nessuno, tranne lei e Stefan, sapeva dell'esistenza di Damon. Lui era là fuori, da qualche parte, nell'ombra. In attesa della sua prossima vittima. Forse aspettava Stefan... o lei.

«Ho caldo», disse all'improvviso. «Vado a vedere che genere di rinfresco ci ha preparato Alaric».

Stefan fece per alzarsi, ma Elena gli fece cenno di restare. Lui non avrebbe saputo cosa farsene di patatine e ponce. E lei voleva restare sola per qualche minuto, muoversi un po', ritrovare la calma.

Stare con Meredith e Bonnie le aveva dato un falso senso di sicurezza. Ora che si era allontanata, si trovò di nuovo di fronte a sguardi furtivi e schiene voltate. Questa volta non lo sopportò. Avanzò attraverso la calca con deliberata arroganza, sostenendo ogni sguardo che le capitava di incrociare. Godo già di una pessima fama, pensò. Allora posso anche essere sfrontata.

Aveva fame. Nel soggiorno dei Ramsey qualcuno aveva allestito un ricco buffet dall'aspetto davvero invitante. Elena prese un piatto di carta e vi lasciò cadere qualche bastoncino di carota, ignorando le persone intorno al tavolo in rovere sbiancato. Non intendeva parlare con nessuno a meno che non fossero gli altri a rivolgerle la parola. Si concentrò interamente sul buffet: si sporse oltre le persone per scegliere fettine di formaggio o Ritz, passò davanti a loro per prendere dell'uva,

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fece correre platealmente lo sguardo da un vassoio all'altro come per accertarsi di non aver dimenticato niente.

Era riuscita a monopolizzare l'attenzione di tutti, e se ne rendeva conto senza dover sollevare lo sguardo. Morse delicatamente un grissino, e tenendolo stretto fra i denti come fosse una matita, si allontanò dal tavolo.

«Potrei dare un morso anch'io?».Lo shock le fece sgranare gli occhi e le bloccò il respiro. La

mente bloccata si rifiutava di ammettere quel che stava accadendo, lasciandola impotente, vulnerabile, a farvi fronte. Ma anche se la razionalità era scomparsa, i suoi sensi continuarono impietosamente a registrare: occhi scuri che dominavano il suo campo visivo, una zaffata di chissà quale colonia a riempirle le narici, due lunghe dita che le sollevavano il mento. Damon si piegò in avanti e, con un morso deciso, staccò l'altra estremità del grissino.

In quel momento, solo pochi centimetri separarono le loro labbra. Stava per piegarsi a dare un secondo morso quando Elena recuperò le facoltà mentali quanto bastava per tirarsi indietro, afferrare con la mano il pezzo di grissino e gettarlo via. Il giovane lo recuperò a mezz'aria, in una virtuosa esibizione di prontezza di riflessi.

Aveva gli occhi ancora fissi su di lei. Elena riuscì finalmente a prendere un respiro e aprì la bocca, senza sapere bene perché. Forse per gridare. Per dire a tutta quella gente di scappare lontano, nella notte. Il cuore le martellava nel petto come un maglio meccanico, la vista si era annebbiata.

«Calma, calma». Le tolse il piatto di mano e poi in qualche modo le prese il polso. Lo stringeva delicatamente, come aveva fatto Mary per misurare le pulsazioni di Stefan. Mentre Elena continuava a fissarlo a bocca aperta, le accarezzò il polso con il pollice, come per confortarla. «Calma. Va tutto bene».

Cosa ci fai qui? Pensò la ragazza. L'ambiente intorno a lei le sembrava stranamente luminoso e innaturale. Sembrava uno di quegli incubi in cui tutto è normale, come se uno fosse sveglio, e poi all'improvviso succede qualcosa di spaventoso. Lui voleva ucciderli tutti.

«Elena? Ti senti bene?». Sue Carson si stava rivolgendo a lei,

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la afferrava per le spalle.«Credo le sia andato di traverso qualcosa», disse Damon,

liberando il polso di Elena. «Ma ora è passato. Perché non ci presenti?».

Lui voleva ucciderli tutti...«Elena, lui è Damon, ehm...». Sue aprì la mano per chiedere

scusa, e Damon finì la frase per lei.«Smith». Sollevò un bicchiere di carta verso Elena. «La vita».«Cosa ci fai qui?», gli sussurrò la ragazza.«È uno studente del college», venne in aiuto Sue, quando fu

evidente che Damon non aveva intenzione di rispondere. «Da... l'Università della Virginia, vero? Dal "William and Mary"?»

«Fra gli altri posti», disse Damon, guardando sempre Elena. Non aveva rivolto neanche uno sguardo a Sue. «Mi piace viaggiare».

Il mondo intorno a Elena era tornato come prima, ma era un mondo agghiacciante. C'erano persone tutte intorno a loro, che seguivano con interesse lo scambio di battute, impedendole di parlare liberamente. Ma allo stesso tempo la proteggevano. Per chissà quale ragione, Damon stava giocando, e fingeva di essere uno di loro. E mentre quella messinscena andava avanti, non avrebbe potuto farle niente di fronte a tutta quella gente... sperava.

Un gioco. Ma era lui a fissare le regole. Era lì, nel soggiorno dei Ramsey, e giocava con lei.

«Si fermerà qualche giorno», proseguì Sue, con gentilezza. «In visita da... amici, hai detto? O parenti?»

«Sì», tagliò corto Damon.«Sei fortunato se puoi partire quando ti pare», osservò Elena.

Non sapeva cosa la spingesse a cercare di smascherarlo.«La fortuna c'entra ben poco», ribatté Damon. «Ti piace

ballare?»«Qual è la tua materia di specializzazione?».Damon le sorrise. «Folklore americano. Lo sapevi, per

esempio, che se hai un neo sul collo vuol dire che diventerai ricca? Ti spiace se controllo?»

«A me sì». La voce arrivò da dietro le spalle di Elena. Era sicura, fredda, controllata. Elena aveva sentito Stefan parlare

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con quel tono solo una volta: quando aveva trovato Tyler che cercava di approfittare di lei nel cimitero. Le dita di Damon sulla gola di Elena si fermarono, e la ragazza, liberata dal suo sortilegio, fece un passo indietro.

«Ma ti interessa?», disse.I due si fronteggiavano nella debole luce tremolante del

candeliere di ottone.Elena seguiva i suoi pensieri che si sovrapponevano l'uno

all'altro, come in un dolce a diversi strati. Tutti hanno gli occhi incollati sulla scena; deve essere meglio di un film... Non mi ero accorta che Stefan fosse più alto... Bonnie e Meredith si stanno chiedendo cosa succede... Stefan è furioso ma è ancora debole, sofferente... Se si avventa contro Damon adesso, avrà la peggio...

E davanti a tutta questa gente. I suoi pensieri in corsa si interruppero bruscamente, mentre ogni cosa diventava chiara. Per questo Damon era lì, perché Stefan lo aggredisse, apparentemente senza motivo. Non contava quel che sarebbe successo dopo, lui avrebbe vinto. Se Stefan lo avesse cacciato, sarebbe stata solo un'ulteriore prova della "naturale predisposizione alla violenza" di Stefan. Un'ulteriore prova per gli accusatori di Stefan. E se Stefan fosse stato battuto...

Ci avrebbe rimesso la vita, pensò Elena. Oh, Stefan, lui adesso è tanto più forte di te; ti prego, non farlo. Non stare al suo gioco. Lui vuole ucciderti; sta solo aspettando l'occasione giusta.

Si impose di muoversi, anche se si sentiva rigida e impacciata come una marionetta. «Stefan», disse, prendendo la sua mano fredda fra le sue, «andiamo a casa».

Sentiva la tensione nel corpo del giovane, come una corrente elettrica che correva sotto la sua pelle. In quel momento era totalmente concentrato su Damon, e la luce nei suoi occhi era come una fiamma riflessa dalla lama di un pugnale. Non l'aveva mai visto in questo stato, non lo riconosceva. Ne ebbe paura.

«Stefan», ripeté, chiamandolo come se si fosse smarrito nella nebbia e lei non riuscisse a trovarlo. «Stefan, ti prego».

E lentamente, a poco a poco, sentì che lui reagiva. Lo sentì respirare e abbandonare lo stato d'allerta, scendendo a un livello inferiore d'energia. Distolto da quello stato di micidiale

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concentrazione, si voltò a guardarla, e la vide.«Va bene», le disse dolcemente, guardandola negli occhi.

«Andiamo».Mentre si allontanavano, Elena mantenne il contatto con

Stefan, prendendolo sottobraccio e stringendogli una mano. Con la sola forza di volontà, riuscì a non guardare al di sopra della sua spalla mentre lasciavano la stanza, ma sentì la pelle della schiena accapponarsi come se si aspettasse una coltellata.

Invece sentì la voce pacata e ironica di Damon. «E lo sapevi che baciare una ragazza dai capelli rossi cura l'herpes labiale?». E poi la risata esagerata, compiaciuta, di Bonnie.

Mentre uscivano, finalmente incontrarono il loro ospite.«Andate via così presto?», chiese Alaric. «Ma non ho ancora

avuto modo di parlare con voi».Li guardò entrambi, con un'espressione di attesa e di

rimprovero, come un cane che sa perfettamente che non sarà portato fuori a fare una passeggiata, eppure continua a scodinzolare. Elena sentì la preoccupazione montargli nel petto al pensiero di lasciare lui e chiunque altro in quella casa. Lei e Stefan li stavano abbandonando nelle mani di Damon.

Doveva solo sperare che la sua valutazione precedente fosse esatta e che lui volesse continuare quella messinscena. Adesso era già abbastanza occupata a portare Stefan fuori di lì prima che cambiasse idea.

«Non mi sento molto bene», disse, mentre prendeva la borsetta lasciata sull'ottomana. «Scusate». Strinse più forte il braccio di Stefan. Ci sarebbe voluto davvero poco per farlo tornare sui suoi passi in direzione del soggiorno.

«Mi dispiace», disse Alaric. «Ciao».Solo quando arrivarono sulla soglia del portone Elena vide il

bordo di un foglietto viola infilato nella tasca laterale della borsa. Lo tirò fuori e lo aprì meccanicamente, intanto la mente era concentrata su altre cose.

C'era scritto qualcosa, in una grafia semplice, marcata, sconosciuta. Solo tre righe. Le lesse, e sentì il mondo tremarle sotto i piedi. Questo era troppo; non poteva più far fronte a tutto questo.

«Cos'è?», le chiese Stefan.

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«Niente». Mise il pezzo di carta nella tasca laterale, spingendolo in fondo con le dita. «Non è niente, Stefan. Usciamo di qui».

S'incamminarono fuori sotto una pioggia fitta e pungente.

7«La prossima volta», disse Stefan con calma, «non me ne

andrò». Elena sapeva cosa voleva dire e ne fu terrorizzata. Ma ormai le sue emozioni stavano tranquillamente procedendo a ruota libera, e lei non intendeva discutere.

«Era lì», disse. «In una casa comune piena di gente comune, come se avesse tutto il diritto di esserci. Non pensavo che avrebbe mai osato tanto».

«Perché no?», ribatté Stefan in tono brusco. «Anche io ero in una casa comune piena di gente comune, come se avessi tutto il diritto di esserci».

«Non volevo dire questo. Solo che l'unica altra volta che l'ho visto in pubblico è stato alla Casa Stregata, e lui indossava una maschera e un costume, ed era buio. Prima di allora si è trattato sempre di luoghi deserti, come nella palestra quella sera che ero lì da sola, o nel cimitero...».

Non appena ebbe pronunciato le ultime parole capì di aver commesso un errore. Non aveva ancora detto che tre giorni prima era andata a cercare Damon. Seduto al volante, Stefan s'irrigidì.

«O nel cimitero?»«Sì... Mi riferivo a quel giorno in cui qualcuno ha inseguito

me, Bonnie e Meredith. Sto dando per scontato che fosse Damon. E il luogo era deserto, a parte noi tre».

Perché gli stava mentendo? Perché altrimenti, rispose una vocina risoluta dentro la sua testa, Stefan potrebbe reagire. Sapere quel che Damon le aveva detto, quel che le aveva prospettato, sarebbe stato sufficiente a far perdere il controllo a Stefan.

Non potrò mai dirglielo, realizzò, con un moto di tristezza. Né di quella volta, né di qualsiasi altra cosa che Damon farà in

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futuro. Se lotta contro Damon, sarà la sua fine.Quindi non lo saprà mai, promise a se stessa. Non importa

cosa dovrò fare, impedirò loro di lottare per causa mia. Non importa cosa dovrò fare.

Per un attimo si sentì raggelare il sangue dalla paura. Cinquecento anni prima, Katherine aveva tentato di impedire loro di combattere, ed era riuscita solo a spingerli verso uno scontro mortale. Ma lei non avrebbe commesso lo stesso errore, si disse Elena risolutamente. Katherine aveva usato metodi sciocchi e ingenui. Chi altri se non una bambina sciocca si sarebbe uccisa nella speranza che i due pretendenti alla sua mano sarebbero diventati amici? Era stato lo sbaglio peggiore di tutta l'intera spiacevole faccenda. Per quel suo gesto, la rivalità fra Stefan e Damon si era trasformata in un odio implacabile. E per di più Stefan da allora era vissuto nel rimorso; incolpava se stesso dell'ingenuità e della debolezza di Katherine.

Cercando un altro argomento di cui parlare, chiese a Stefan: «Pensi che sia stato qualcuno a invitarlo?»

«Ovviamente, visto che era lì».«Allora è vero per... per persone come te. Devi essere invitato

a entrare. Ma Damon è entrato nella palestra senza essere invitato».

«Perché la palestra non è un posto dove abitano i vivi. Questo è l'unico criterio. Non importa se si tratta di una casa o di una tenda o di un appartamento sopra un magazzino. Se esseri umani viventi mangiano e dormono lì, dobbiamo essere invitati per entrare».

«Ma io non ti ho invitato a entrare nella mia casa».«Sì che l'hai fatto. La prima sera, quando ti ho accompagnata

a casa, tu hai aperto la porta e mi hai fatto cenno di entrare. Non deve essere un invito verbale. È sufficiente che ci sia l'intenzione. E la persona che ti invita non deve essere qualcuno che abita di fatto in quella casa. Qualsiasi essere umano può farlo».

Elena stava pensando. «E se si tratta di una casa galleggiante?»

«Stessa cosa. Anche se l'acqua in movimento può essere un ostacolo in sé. Per alcuni di noi, è quasi impossibile

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attraversarla».Elena ebbe un'improvvisa visione di lei, Meredith e Bonnie

che correvano per raggiungere Wickery Bridge. Perché in qualche modo lei sapeva che se fossero arrivate sulla riva opposta del fiume sarebbero state al sicuro da chiunque le stesse inseguendo.

«Allora è questo il motivo», mormorò. Anche se non si spiegava ancora come facesse a saperlo. Era come se quella consapevolezza provenisse da una fonte esterna. Allora capì qualcos'altro.

«Tu mi hai portato dall'altra parte del ponte. Tu puoi attraversare l'acqua in movimento».

«Perché sono debole». Lo disse in tono piatto, senza alcuna emozione. «È assurdo, ma più forti sono i tuoi Poteri, più sei condizionato da determinate limitazioni. Più appartieni alle tenebre, più le leggi delle tenebre ti vincolano».

«Quali altre leggi ci sono?», chiese Elena. Cominciava a intravedere un barlume di piano. O almeno di speranza per realizzare un piano.

Stefan la guardò. «Sì», disse, «credo sia ora che tu le conosca. Più cose sai riguardo a Damon, più possibilità hai di proteggere te stessa».

Di proteggere me stessa? Forse Stefan sapeva più di quanto lei pensasse. Ma quando svoltò in una strada laterale e parcheggiò la macchina, Elena disse soltanto: «Ok. Dovrei cominciare a fare provvista di aglio?».

Stefan rise. «Solo se vuoi diventare impopolare. Però esistono certe piante che potrebbero esserti d'aiuto. Come la verbena. Si dice che protegga dai sortilegi, e riesca a farti conservare la mente lucida anche se qualcuno sta usando i Poteri contro di te. La gente la portava intorno al collo. A Bonnie piacerebbe; per i druidi era una pianta sacra».

«Verbena», ripeté Elena, pronunciando quella parola sconosciuta. «Che altro?»

«Una luce violenta, o la luce diretta del sole possono risultare molto fastidiose. Hai notato che il tempo è cambiato?»

«L'ho notato», confermò Elena dopo un po'. «Vuoi dire che è opera di Damon?»

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«Certamente. Ci vuole un potere immenso per controllare gli elementi, ma gli permette di muoversi alla luce del giorno. Finché mantiene il cielo nuvoloso, non ha neanche bisogno di proteggersi gli occhi».

«E neanche tu», aggiunse Elena. «E riguardo... be', croci e così via?»

«Nessun effetto», rispose Stefan. «Ma se la persona che ne impugna una crede che possa proteggerla, questo può rafforzare la sua volontà per opporre una straordinaria resistenza».

«Ah... e i proiettili d'argento?».Stefan scoppiò di nuovo in una breve risata. «È roba per

licantropi. Da quel che ho sentito non gradiscono l'argento in nessuna forma. Un palo di legno piantato nel cuore è ancora il metodo valido per tipi come me. Ci sono anche altri modi che sono più o meno efficaci: il rogo, la decapitazione, piantare chiodi nelle tempie. Oppure, il metodo migliore in assoluto...».

«Stefan!». Il sorriso malinconico e amaro sul viso del giovane la sgomentò. «E tramutarsi in un animale?», chiese. «Prima, mi hai detto che con Potere sufficiente potevi farlo. Se Damon può diventare ogni animale che vuole, come lo riconosceremo?»

«Non ogni animale che vuole. Si deve limitare a un animale, o al massimo due. Persino con i suoi Poteri non credo che possa sopportare di più».

«Quindi dobbiamo stare attenti a un corvo».«Esatto. Potresti riuscire a capire se lui è nei paraggi anche

osservando gli altri animali. Di solito non reagiscono molto bene in nostra presenza; sentono che siamo predatori».

«Yangtze ha continuato ad abbaiare contro il corvo. Era come se sapesse che c'era qualcosa che non andava», ricordò Elena. «Ah... Stefan», aggiunse con un diverso tono di voce quando le balenò un'altra idea, «che mi dici degli specchi? Non mi ricordo di averti mai visto specchiare».

Per un momento, Stefan non rispose. Poi disse: «La leggenda dice che gli specchi riflettono l'anima della persona che vi si guarda. Per questo i popoli primitivi hanno paura degli specchi; temono che le loro anime resteranno intrappolate e verranno rubate. Dei tipi come me, si pensa che non abbiano un'immagine riflessa... perché non hanno anima». Lentamente, allungò la

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mano verso lo specchietto retrovisore e lo piegò verso il basso, regolandolo in modo che Elena potesse guardarci dentro. Nello specchio, vide gli occhi di Stefan, smarriti, tormentati e infinitamente tristi.

Non poteva fare altro che stringerlo fra le braccia, ed Elena lo fece. «Ti amo», gli sussurrò. Era l'unico conforto che poteva dargli. Era tutto quel che avevano.

Le sue braccia si strinsero intorno a lei, il viso affondato nei capelli. «Sei tu lo specchio», le sussurrò di rimando.

Era bello sentirlo così rilassato, la tensione che abbandonava il suo corpo per lasciare posto al calore e al conforto. Anche lei si sentiva sollevata, invasa, circondata da un senso di pace. Era così piacevole che si dimenticò di chiedergli cosa aveva voluto dire finché non arrivarono davanti al portone, e si salutarono.

«Io sono lo specchio?», disse a quel punto, sollevando lo sguardo verso di lui.

«Tu hai rubato la mia anima», disse. «Chiudi a chiave la porta e per questa sera non la riaprire più». E poi, era già sparito.

«Elena, grazie al cielo», disse zia Judith. Quando Elena la guardò meravigliata, aggiunse: «Bonnie mi ha telefonato dal party. Ha detto che eri andata via all'improvviso, e quando ho visto che non tornavi a casa mi sono preoccupata».

«Io e Stefan abbiamo fatto un giro in macchina». A Elena non piacque l'espressione che apparve sul viso della zia. «C'è qualche problema?»

«No, no. Solo che...». Sembrava che zia Judith non sapesse come finire la frase. «Elena, mi chiedevo se non sarebbe una buona idea... non vedere così spesso Stefan».

Elena si fermò di colpo. «Anche tu?»«Non è che credo a quei pettegolezzi», la rassicurò zia Judith.

«Ma, per il tuo bene, sarebbe meglio prendere una certa distanza da lui, e...».

«Scaricarlo? Abbandonarlo perché la gente sta mettendo in giro voci su di lui?». La rabbia arrivò come una liberazione, e le parole si affollarono nella gola di Elena, come se volessero uscire tutte in una volta. «No, io non penso che sia una buona idea, zia Judith. E se fosse Robert quello di cui stiamo parlando,

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non lo penseresti neanche tu. O forse sì!».«Elena, non devi parlarmi con questo tono...».«Tanto ho finito!», urlò Elena, e si girò di scatto, senza

riflettere, per raggiungere le scale. Riuscì a trattenere le lacrime finché non arrivò nella sua camera e chiuse la porta a chiave. Poi si buttò sul letto, singhiozzando.

Si tirò su poco dopo per chiamare Bonnie. Bonnie era agitata e non riusciva a stare zitta. Cosa diavolo voleva dire Elena, se era successo qualcosa di strano dopo che lei e Stefan se ne erano andati? La cosa strana era che se ne erano andati! No, quel nuovo ragazzo, Damon, non aveva detto niente riguardo a Stefan; si era trattenuto al party per un po' e poi era scomparso. No, Bonnie non aveva visto se era andato via insieme a qualcuno. Perché? Elena era gelosa? Sì, stava scherzando. Ma lui era davvero bellissimo, vero? Quasi più di Stefan, ammesso che ti piacciano i ragazzi con occhi e capelli scuri. Naturalmente, se preferisci i capelli più chiari e gli occhi color nocciola...

Elena dedusse all'istante che Alaric Saltzman aveva gli occhi color nocciola.

Alla fine riuscì a chiudere la telefonata e soltanto allora si ricordò del biglietto che aveva trovato. Avrebbe dovuto chiedere a Bonnie se qualcuno si era avvicinato alla sua borsa mentre era in sala pranzo. Ma dopo anche Meredith e Bonnie si erano fermate per un po' dove c'era il buffet. Qualcuno doveva aver agito allora.

La sola vista del foglio viola le fece sentire l'amaro in bocca. A stento riusciva a guardarlo. Ma ora che era sola doveva aprirlo e rileggerlo; continuava a sperare che le parole fossero cambiate, che prima si fosse sbagliata.

Ma non erano cambiate. Le lettere precise e marcate risaltavano sullo sfondo chiaro, come se fossero alte tre metri.

Voglio toccarlo. Più di qualsiasi altro ragazzo che abbia mai conosciuto. E so che anche lui lo vuole, ma si trattiene.

Le sue parole. Prese dal suo diario. Quello che era stato rubato.

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Il giorno dopo Meredith e Bonnie suonarono al campanello della porta.

«Ieri sera mi ha telefonato Stefan», disse Meredith. «Ha detto che voleva essere sicuro che tu non andassi a scuola da sola. Oggi lui non verrà, così ha chiesto a me e Bonnie se potevamo venire a prenderti».

«Ad accompagnarti», precisò Bonnie, che era chiaramente di buon umore. «A scortarti. Penso che sia straordinariamente dolce da parte sua essere così protettivo».

«Deve essere anche lui dell'Acquario», commentò Meredith. «Andiamo, Elena, prima che la uccida, così la smette di parlare di Alaric».

Elena camminava in silenzio, chiedendosi cosa impedisse a Stefan di andare a scuola. Si sentiva vulnerabile e indifesa, come se fosse nuda. Una di quelle giornate in cui era pronta a scoppiare a piangere per un nonnulla.

Nella bacheca dell'ufficio era affisso un foglietto di carta viola.

Doveva aspettarselo. In qualche modo, nel profondo del cuore, se lo aspettava. Il ladro non si accontentava di farle sapere che aveva letto le sue annotazioni personali. Le stava dimostrando che poteva renderle pubbliche.

Elena staccò il foglio dalla bacheca e lo accartocciò, ma non prima di aver dato una rapida scorsa a quel che c'era scritto. Quell'unica occhiata bastò per imprimere quelle parole a fuoco nel suo cervello.

Credo che qualcuno l'abbia ferito in modo terribile in passato e Stefan non lo supererà mai. Ma penso anche che ci sia qualcosa di cui ha paura, qualche segreto che teme io scopra.

«Elena, cos'è quello? Che ti succede? Elena, torna qui!».Bonnie e Meredith la seguirono fino al più vicino bagno per le

ragazze, dove Elena si fermò vicino al cestino della carta straccia a strappare il foglio in pezzetti microscopici, ansimando come se avesse appena concluso una gara di corsa. Le due amiche si scambiarono un'occhiata e poi si mossero per ispezionare le cabine dei bagni.

«Ok», disse Meredith alzando la voce, «studente privilegiato. Tu!». Bussò all'unica porta chiusa. «Vieni fuori».

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Si sentì un fruscio, poi una sconcertata matricola venne fuori dalla cabina. «Ma non ho neanche...».

«Fuori. Fuori di qui», ordinò Bonnie. «E tu», disse alla ragazza che si stava lavando le mani «vai là fuori e assicurati che non entri nessuno».

«Ma perché? Cosa state...».«Muoviti, ragazza. Se qualcuno entrerà da quella porta ti

riterremo responsabile».Quando la porta si fu richiusa, assalirono Elena.«Ok, questa è una rapina», esordì Meredith. «Andiamo, Elena,

sgancia».Elena strappò l'ultimo pezzetto di carta, non sapendo se

piangere o ridere. Voleva raccontare tutto alle amiche, ma non poteva. Decise di dire loro del diario.

Si mostrarono arrabbiate e indignate quanto lei.«Deve essere stato qualcuno al party», disse alla fine

Meredith, dopo che ebbero espresso la loro opinione in merito alla persona, ai valori morali e alla probabile destinazione nella vita dell'aldilà del ladro. «Ma avrebbe potuto farlo chiunque. Non ricordo nessuno in particolare che si sia avvicinato alla tua borsa, ma quella stanza era affollata di gente, e potrebbe essere accaduto senza che me ne accorgessi».

«Ma perché qualcuno avrebbe voluto farlo?», osservò Bonnie. «A meno che... Elena, la notte che abbiamo trovato Stefan tu hai accennato a qualcosa. Hai detto che credevi di sapere chi è l'assassino».

«Non credo di saperlo; lo so. Ma se vi state chiedendo se le due cose siano collegate, non lo so con certezza. Penso di sì. Potrebbe essere stata la stessa persona».

Bonnie era inorridita. «Ma significa che l'assassino è uno studente di questa scuola!». Quando Elena scosse la testa, proseguì. «Le uniche persone al party che non erano studenti erano quel ragazzo nuovo e Alaric». Cambiò espressione. «Alaric non ha ucciso il signor Tanner! Non era neanche a Fell's Church allora».

«Lo so. Non è stato Alaric». Ormai si era spinta troppo oltre per fermarsi; ormai anche Bonnie e Meredith sapevano fin troppo. «È stato Damon».

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«Quel ragazzo era l'assassino? Quel ragazzo che mi ha baciata?»

«Bonnie, calmati». Come sempre, quando le altre persone erano in preda all'agitazione, Elena riusciva a trovare il suo autocontrollo. «Sì, è lui l'assassino, e noi tre dobbiamo stare in guardia contro di lui. È per questo che ve ne sto parlando. Non gli chiedete mai, mai di entrare in casa vostra».

Non disse altro, e guardò le amiche. La stavano fissando. E per un attimo ebbe la sgradevole sensazione che non le credessero. Che stessero dubitando della sua sanità mentale.

Ma tutto quel che Meredith chiese, in tono calmo e distaccato, fu: «Ne sei sicura?»

«Sì. Ne sono sicura. Lui è l'assassino e quello che ha gettato Stefan in quel pozzo, e dopo potrebbe toccare a uno di noi. E non so se esiste un modo per fermarlo».

«Bene, allora», disse Meredith, inarcando le sopracciglia, «non mi stupisce che tu e Stefan avevate tanta fretta di lasciare il party».

Quando Elena entrò nella mensa, Caroline le rivolse un sorrisetto maligno. Ma Elena quasi non la notò.

Ma notò subito un'altra cosa. Vickie Bennett era lì.Vickie non era andata a scuola da quella sera in cui Matt,

Bonnie e Meredith l'avevano trovata che vagava lungo la strada, farneticando di foschia e di occhi e di qualcosa di orribile nel cimitero. I dottori che l'avevano visitata subito dopo avevano detto che non aveva niente di grave a livello fisico, ma non era più tornata al Robert E. Lee. La gente mormorava sugli psicologi e sulle terapie farmacologiche che stavano tentando.

Comunque non aveva l'aria di una pazza, pensò Elena. Era pallida e spenta, e come raggrinzita dentro i suoi vestiti. E quando Elena le passò accanto, alzò lo sguardo, ma gli occhi erano come quelli di un cerbiatto impaurito.

Era strano sedersi a un tavolo mezzo vuoto, con la sola compagnia di Bonnie e Meredith. Di solito si creava una ressa per occupare i posti vicino a loro tre.

«Stamani non abbiamo concluso il discorso», disse Meredith. «Prendiamo qualcosa da mangiare, e poi penseremo a cosa fare

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riguardo a quei biglietti».«Non ho fame», ribatté Elena bruscamente. «E poi cosa

possiamo fare? Se si tratta di Damon, non c'è modo di fermarlo. Credetemi, la polizia non può fare niente. Per questo non gli ho detto che era lui l'assassino. Non c'è alcuna prova e, per di più, non immaginerebbero mai... Bonnie, non mi stai ascoltando».

«Scusa», disse Bonnie, con gli occhi fissi su un punto oltre l'orecchio sinistro di Elena. «Ma laggiù sta accadendo qualcosa di strano».

Elena si voltò. Vickie Bennett era in piedi di fronte alla mensa, ma non sembrava più spenta e chiusa in se stessa. Si stava guardando intorno nella sala, con fare scaltro e calcolatore, e sorrideva.

«Be', non ha un'aria normale, ma non avrei detto che si sarebbe comportata in modo così strano», commentò Meredith. Poi aggiunse: «Aspettate un attimo».

Vickie si stava sbottonando il cardigan. Ma era il modo in cui lo stava facendo – con lenti colpetti delle dita, continuando a guardarsi intorno con quel sorriso impenetrabile – che era strano. Arrivata all'ultimo bottone, prese delicatamente il pullover fra l'indice e il pollice e lo fece scivolare giù prima da un braccio e poi dall'altro. E lo lasciò cadere a terra.

«Strana è la parola giusta», confermò Meredith.Gli studenti che passavano davanti a Vickie con i vassoi pieni

le lanciavano occhiate incuriosite e poi si voltavano a guardarla oltre la spalla mentre si allontanavano. Nessuno si fermò, almeno finché non cominciò a togliersi le scarpe.

Lo fece con grazia, facendo leva con la punta di una scarpa sul tacco dell'altra e sfilandola dal piede. Poi si diede da fare con la seconda.

«Non può continuare così», mormorò Bonnie, mentre le dita di Vickie si spostavano sui bottoncini in perla sintetica della camicia bianca di seta.

Tutte le teste erano girate in quella direzione; i presenti si scambiavano gomitate e gesti d'intesa. Intorno a Vickie si era formato un piccolo gruppo, che si teneva a debita distanza per non intralciare la vista degli altri spettatori.

La camicia di seta scivolò via, fluttuando come un fantasma

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ferito fino a posarsi sul pavimento. Sotto Vickie indossava una

sottoveste in pizzo color panna.Nella mensa non si sentiva altro rumore che un brusio

sommesso. Nessuno mangiava. Il gruppo intorno a Vickie si era infittito.

La ragazza fece un sorriso di falso pudore e cominciò a slacciare i ganci all'altezza della vita. La gonna plissettata cadde sul pavimento. Uscì fuori dal cerchio della gonna e la spinse di lato con un piede.

Qualcuno si alzò in fondo alla mensa e intonò: «Nuda, nuda!». Altre voci si unirono al coro.

«Non c'è nessuno che la fermi?», si stizzì Bonnie.Elena si alzò in piedi. L'ultima volta che era andata vicino a

Vickie, la ragazza aveva urlato e l'aveva colpita. Ma ora, quando le fu accanto, le rivolse un sorriso complice. Mosse le labbra, ma nel frastuono del coro Elena non riuscì a capire cosa stesse dicendo.

«Coraggio, Vickie. Andiamo», le disse.Vickie scosse i capelli castano chiaro e tirò giù la spallina

della sottoveste.Elena si chinò a raccogliere il cardigan e lo avvolse intorno

alle spalle esili della ragazza. Non appena la toccò, Vickie spalancò gli occhi fino a quel momento socchiusi, ancora con quello sguardo da cerbiatto impaurito. Fissò la gente intorno a sé, convulsamente, come se si fosse appena risvegliata da un sogno. Abbassò gli occhi per guardarsi, e sul viso apparve un'espressione incredula.

Stringendosi il cardigan addosso, indietreggiò, tremando.Nella sala era calato di nuovo il silenzio.«Va tutto bene», le disse Elena, in tono rassicurante. «Vieni».Al suono della sua voce, Vickie sussultò come se avesse

ricevuto una scarica elettrica. Guardò meravigliata Elena, poi reagì di scatto.

«Tu sei una di loro! Ti ho vista! Sei un mostro!».Si girò e corse via a piedi nudi fuori della mensa, lasciando

Elena senza parole.

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8«Sai cosa c'è di strano nel comportamento di Vickie a scuola?

A parte le cose più evidenti, voglio dire», disse Bonnie, leccandosi il cioccolato sulle dita.

«Cosa?», domandò Elena con indifferenza.«Be', come si è ritrovata alla fine, in sottoveste. Proprio come

l'abbiamo trovata noi lungo la strada, solo che quella volta era tutta piena di graffi».

«Graffi di gatto, pensavamo», aggiunse Meredith, finendo l'ultimo pezzo di torta. Sembrava trovarsi in uno dei suoi stati d'animo tranquilli e riflessivi; proprio in quel momento stava osservando attentamente Elena. «Ma la cosa non sembra molto probabile».

Elena la guardò dritta in faccia. «Forse era finita in mezzo ai rovi», disse. «Ora, se avete finito di mangiare, volete dare un'occhiata al primo biglietto?».

Misero i piatti nel lavandino e salirono le scale verso la camera di Elena. Quando le ragazze lessero quelle frasi, Elena si sentì arrossire. Bonnie e Meredith erano le sue migliori amiche, forse le uniche amiche, ormai. Altre volte aveva letto loro passaggi del suo diario. Ma questa volta era diverso. Fu la sensazione più umiliante che avesse mai provato. «Allora?», chiese a Meredith.

«La persona che lo ha scritto è alta un metro e settantotto centimetri, zoppica leggermente e indossa baffi finti», recitò Meredith. «Scusa», aggiunse, vedendo l'espressione di Elena. «Non è divertente. In effetti, non c'è molto su cui basarsi, no? La scrittura sembra quella di un uomo, ma la carta è decisamente femminile».

«E tutta la faccenda riporta un tocco femminile», osservò Bonnie, rimbalzando leggermente sul letto di Elena. «Be', è evidente», aggiunse, sulla difensiva. «Riportare a te frasi del tuo diario è il genere di cose che solo una donna penserebbe di fare. Agli uomini non interessano i diari».

«Tu semplicemente non vuoi che possa trattarsi di Damon», disse Meredith. «Penso che dovrebbe preoccuparti di più che sia un assassino psicopatico piuttosto che un ladro di diari».

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«Non so; gli assassini hanno un che di romantico. Immagina di morire con le sue mani strette intorno alla gola. Ti soffocherebbe fino a toglierti la vita, e l'ultima cosa che vedresti sarebbe il suo volto». Portandosi le mani alla gola, Bonnie rantolò e spirò tragicamente, lasciandosi cadere sul letto. «Può avermi in qualsiasi momento», disse, gli occhi ancora chiusi.

Elena stava per dire: "Non capisci che non è uno scherzo", e invece trasalì. «Oh, Dio», esclamò, e corse alla finestra. La giornata era umida e afosa, e qualcuno aveva aperto la finestra. Fuori, sui rami scheletrici del cotogno, era posato un corvo.

Tirò giù la finestra scorrevole con un tale impeto da scuotere il vetro e farlo tintinnare. Il corvo la fissò con occhi color ossidiana attraverso la lastra ancora vibrante. I colori dell'arcobaleno luccicarono debolmente sul suo lucido piumaggio nero.

«Perché l'hai detto?», chiese, girandosi verso Bonnie.«Ehi, ma non c'è nessuno là fuori», disse Meredith

gentilmente. «A parte gli uccelli».Elena distolse lo sguardo da loro. I rami ora erano vuoti.«Scusa», disse Bonnie un attimo dopo, in tono sommesso.

«Solo che a volte tutto sembra irreale, anche che il signor Tanner sia morto sembra irreale. E Damon sembrava... be', eccitante. Ma pericoloso. Credo anch' io che sia pericoloso».

«E oltre a questo, lui non ti stringerebbe la gola, te la taglierebbe», precisò Meredith. «O almeno questo è quel che ha fatto a Tanner. Ma quel vecchio sotto il ponte aveva la gola squarciata, come se l'avesse aggredito un animale». Meredith guardò Elena per avere delucidazioni. «Damon non ha un animale, vero?»

«No. Non lo so». All'improvviso Elena si sentì molto stanca. Era preoccupata per Bonnie, per le conseguenze di quelle parole sciocche.

"Posso fare qualsiasi cosa a te, a te e a chi ami", si ricordò. Cosa avrebbe potuto fare Damon adesso? Non riusciva a capirlo. Ogni volta che lo incontrava, era diverso. Nella palestra l'aveva schernita, aveva riso di lei. Ma la volta dopo era certa che avesse parlato seriamente, recitandole poesie, tentando di convincerla ad andare con lui. La settimana precedente, nel vento gelido del

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cimitero che sferzava l'aria intorno a lui, era stato minaccioso, crudele. E aveva percepito la stessa minaccia nelle parole beffarde della sera prima. Non poteva prevedere come si sarebbe comportato la volta successiva.

Ma, qualunque cosa fosse successa, doveva proteggere Bonnie e Meredith da lui. Soprattutto perché non poteva metterle in guardia su alcuni particolari.

E cosa stava combinando Stefan? Aveva bisogno di lui, adesso, Più di ogni altra cosa. Dove era?

Tutto era cominciato quella mattina.«Fammi capire bene», disse Matt, appoggiandosi alla

carrozzeria rigata della sua vecchia Ford Sedan, quando Stefan gli si era avvicinato di fronte alla scuola. «Vuoi che ti presti la macchina».

«Si», disse Stefan.«E la ragione per cui la vuoi in prestito sono i fiori. Vuoi

prendere dei fiori per Elena».«Sì».«E questi fiori speciali, questi fiori che hai appena deciso di

prendere, non crescono da queste parti».«Potrebbero. Ma il periodo della fioritura è finito qui nel nord

della regione. E il gelo li avrebbe comunque fatti morire».«Così tu vuoi dirigerti a sud – quanto a sud, non lo sai – per

trovare un po' di questi fiori che hai appena deciso di portare a Elena».

«O almeno qualche pianta», disse Stefan. «Anche se preferirei trovare i fiori». ,

«E dal momento che la polizia ha requisito la tua macchina, vuoi in prestito la mia, per tutto il tempo che ti ci vorrà per andare verso sud e trovare questi fiori che hai appena deciso di dare a Elena».

«Immagino che stare al volante di una macchina sia il modo meno vistoso per lasciare la città», spiegò Stefan. «Non voglio che la polizia mi segua».

«Già. E per questo vuoi la mia macchina».«Sì. Pensi di prestarmela?»«Penso di prestare la mia macchina al tipo che mi ha rubato la

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ragazza e che ora vuole farsi una gita di piacere verso sud per trovare un tipo di fiori speciali che lei deve avere? Ma sei matto?». Matt, che aveva parlato guardando oltre i tetti delle case in legno dall'altra parte della strada, si voltò verso Stefan. Gli occhi azzurri, di solito allegri e sinceri, erano pieni di amara incredulità, e sormontati da una fronte aggrottata.

Stefan distolse lo sguardo. Avrebbe dovuto immaginarlo. Dopo tutto quello che Matt aveva fatto per lui, aspettarsi di più era assurdo. Soprattutto in quei giorni, in cui la gente trasaliva al rumore dei suoi passi ed evitava il suo sguardo quando si avvicinava. Aspettarsi che Matt, che aveva la migliore delle ragioni per avercela con lui, gli facesse un favore simile senza alcuna spiegazione, solo sulla base della fiducia, era veramente folle.

«No, non sono matto», disse, con calma, e si girò per andarsene.

«Neanche io», aveva detto Matt. «E dovrei essere pazzo per prestarti la mia macchina. E no, cavolo. Verrò con te».

Quando Stefan tornò a voltarsi, Matt stava guardando la macchina, il labbro inferiore proteso in fuori in un'espressione imbronciata, prudente e sospettosa.

«Dopo tutto», riprese, lisciando il vinile spellato del tetto della macchina, «potresti graffiarmi la vernice o roba del genere».

Elena riagganciò il telefono. Qualcuno era al pensionato, perché continuava a sollevare la cornetta, ma dopo c'era solo silenzio e poi il clic della linea interrotta. Sospettò che fosse la signora Flowers, che non voleva dirle dove si trovava Stefan. Istintivamente, volle andare da lui. Ma fuori non era buio, e Stefan le aveva raccomandato di non uscire quando non c'era più luce, soprattutto vicino al cimitero o al bosco. Il pensionato era vicino a entrambi.

«Non risponde nessuno?», chiese Meredith quando Elena tornò a sedersi sul letto.

«Continua a riattaccare», disse Elena, e borbottò qualcosa sotto voce.

«Dicevi che era una strega?»«No, ma le prime tre lettere sono le stesse», ribatté Elena.

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«Senti», disse Bonnie, mettendosi a sedere. «Se Stefan vuole chiamare, chiamerà qui. Non c'è motivo che tu venga a passare la notte da me».

Un motivo c'era, anche se Elena non riusciva quasi a spiegarlo persino a se stessa. Dopo tutto, Damon aveva baciato Bonnie al party di Alaric Saltzman. Era colpa di Elena se Bonnie era la prima a trovarsi in pericolo. In qualche modo, se fosse stata almeno presente sulla scena, l'avrebbe potuto proteggere.

«Mamma, papà e Mary sono tutti in casa», insistette Bonnie. «E serriamo a chiave tutte le porte e le finestre e così via da quando hanno ucciso il signor Tanner. Questa settimana papà ha montato serrature extra. Non so cosa potresti fare tu».

Neanche Elena lo sapeva. Ma sarebbe andata lo stesso.Lasciò un messaggio per Stefan a zia Judith, dicendogli dove

era andata. C'era ancora una sorta d'imbarazzo fra lei e la zia. E sarebbe rimasto, pensò Elena, finché zia Judith non avesse cambiato parere riguardo a Stefan.

A casa di Bonnie, le diedero la stanza che era appartenuta a una delle sorelle dell'amica, che si trovava ora al college. La prima cosa che fece fu controllare la finestra. Era chiusa e serrata, e all'esterno non c'era niente su cui ci si potesse arrampicare, come una grondaia o un albero. Cercando di non dare nell'occhio, controllò anche la camera di Bonnie e ogni altra in cui riuscì a entrare. Bonnie aveva ragione: erano tutte serrate dall'interno. Niente poteva intrufolarsi dall'esterno.

Rimase sveglia a lungo quella notte, fissando il soffitto senza riuscire a prendere sonno. Continuava a rivedere Vickie che faceva lo striptease con aria sognante nella mensa. Cosa c'era che non andava in quella ragazza? Doveva ricordarsi di domandarlo a Stefan appena l'avesse rivisto.

Pensare a Stefan era piacevole, nonostante tutti i terribili eventi accaduti di recente. Elena sorrise nel buio, lasciando vagare la mente. Un giorno tutto questo tormento sarebbe cessato, e lei e Stefan avrebbero potuto programmare una vita insieme. Naturalmente, lui non aveva mai detto niente del genere, ma Elena ne era sicura. Avrebbe sposato Stefan, o nessun altro. E Stefan non avrebbe sposato nessuna tranne lei...

Scivolare nel sonno fu così dolce e graduale che quasi non se

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ne accorse. Ma, per qualche motivo, sapeva che stava sognando. Era come se una piccola parte di lei fosse lì accanto a guardare il sogno come se fosse un lavoro teatrale.

È seduta in un lungo corridoio, su un lato rivestito di specchi e sull'altro occupato da finestre. E in attesa di qualcosa. Poi vede un accenno di movimento, ed è Stefan, in piedi fuori della finestra. Il viso è pallido e gli occhi pieni di rabbia e di dolore. Si avvicina alla finestra, ma il vetro le impedisce di sentire cosa le sta dicendo. In una mano stringe un libro con la copertina di velluto blu, e continua a indicarlo e a domandarle qualcosa. Alla fine lascia cadere il libro e si gira per andarsene.

«Stefan, non andartene! Non mi lasciare!», grida Elena. Le dita premute contro il vetro. Si accorge che c'è una chiusura a scatto su un lato della finestra, la apre, e lo chiama. Ma Stefan è scomparso, e fuori vede soltanto un turbinio di bianca foschia.

Disperata, si allontana dalla finestra e inizia a percorrere il corridoio. La sua immagine si riflette in uno specchio dopo l'altro, mentre sfila davanti a essi. Poi qualcosa in una di quelle immagini riflesse attira la sua attenzione. Gli occhi sono i suoi, ma in essi c'è un nuovo sguardo, uno sguardo furtivo, da predatore. Ricorda gli occhi di Vickie mentre si spogliava. E c'è qualcosa di inquietante e di famelico nel suo sorriso.

Mentre continua a osservare, ferma davanti allo specchio, l'immagine comincia improvvisamente a girare vorticosamente, come se danzasse. Elena è sopraffatta dall'orrore. Comincia a correre lungo il corridoio, ma ora tutte le immagini hanno preso vita, danzano, la chiamano, ridono di lei. Quando pensa ormai che il cuore e i polmoni stiano per scoppiarle per il terrore, raggiunge la fine del corridoio e spalanca una porta.

Si ritrova in un'ampia, splendida stanza. Il soffitto molto alto è scolpito e intarsiato con un complesso motivo in oro; i vani delle porte sono rivestiti di marmo bianco. Statue classiche sono collocate all'interno di nicchie lungo le pareti. Elena non ha mai visto una sala così splendida, ma sa dove si trova. Nell'Italia del Rinascimento, dove è vissuto Stefan.

Abbassa gli occhi per guardarsi e si accorge che sta indossando un abito come quello che aveva preparato per Halloween, un abito da ballo rinascimentale color azzurro

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ghiaccio. Ma questo abito è di un colore rosso cupo, e intorno alla vita porta una catena sottile impreziosita da scintillanti pietre rosse. Anche fra i capelli ha le stesse pietre. Quando si muove, il tessuto di seta manda bagliori come fiamme prodotte dalla luce di centinaia di torce.

All'estremità opposta della sala, una porta a due grandi battenti si apre verso l'interno. Al centro appare una figura. Cammina verso di lei, e lei vede che è un giovane in abiti rinascimentali, con farsetto, calzabraca e giustacuore ornato di pelliccia.

Stefan! Si precipita verso di lui, sentendo il peso dell'abito che ondeggia al di sotto del corpetto. Ma quando gli arriva più vicino si blocca, le manca il respiro. È Damon.

Il giovane continua ad avanzare verso di lei, disinvolto e sicuro di sé. Sorride, un sorriso di sfida. Quando la raggiunge, si posa una mano sul cuore e fa un inchino. Poi le tende una mano, come se la sfidasse a prenderla.

«Ti piace danzare?», le chiede. Solo che le sue labbra non si muovono. Quella voce è nella mente di Elena.

Ogni timore svanisce, ed Elena ride. Ma perché mai aveva avuto paura di lui? Si capivano alla perfezione. Ma invece di prendere la sua mano, si gira per allontanarsi, facendo ondeggiare il vestito. Si dirige agilmente verso una delle statue lungo la parete, senza guardare dietro di sé per vedere se lui la sta seguendo. È sicura che è così. Finge di essere assorta a osservare la statua, poi si allontana di colpo quando lui la raggiunge, mordendosi un labbro per trattenere una risata. In questo momento si sente meravigliosamente bene, così viva, così bella. Pericoloso? Certo, è un gioco pericoloso. Ma lei ha sempre amato il pericolo.

Quando lui le si avvicina di nuovo, si volta e gli lancia uno sguardo divertito. Il giovane tenta di raggiungerla, ma riesce ad afferrare soltanto la catena tempestata di gemme intorno alla vita. Molla subito la presa, e lei, girandosi, si accorge che le due punte del castone di una gemma lo hanno ferito.

La goccia di sangue che ha sul dito è proprio del colore del suo vestito. Il giovane le lancia uno sguardo obliquo, le labbra increspate in un sorriso beffardo mentre tiene il dito sollevato.

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Non dovevi osare tanto, sembrano dirle quegli occhi.Oh, non dovevo? Gli risponde Elena con un altro sguardo.

Con aria spavalda, gli prende la mano e la trattiene per un momento, con aria provocante. Poi si avvicina il dito alle labbra.

Dopo pochi attimi, lo lascia andare e alza lo sguardo verso di lui. «Mi piace molto danzare», dice, e si rende conto che, come lui, può parlare attraverso la mente. È una sensazione eccitante. Si sposta al centro della sala e aspetta.

Lui la segue, agile come un animale notturno. Le sue dita sono calde e forti quando afferrano le sue.

Si sente una musica, che aumenta e diminuisce d'intensità, in lontananza. Damon le posa una mano intorno alla vita. Può sentire il calore, la pressione delle sue dita. Elena solleva un lembo della veste, e iniziano a danzare.

È incantevole, come volare, e il suo corpo conosce già ogni passo. Volteggiano nella sala vuota, in perfetta armonia, insieme.

Il giovane ride beffardo, gli occhi neri brillano di piacere. Elena si sente magnificamente; così padrona di sé, vigile e pronta a qualsiasi cosa. Non riesce a ricordare se si sia mai divertita così.

A poco a poco, però, il sorriso sul volto di Damon si spegne, e il loro volteggiare si interrompe. Alla fine Elena rimane immobile fra le sue braccia. Quegli occhi scuri non sono più divertiti, ma crudeli e infuocati. Gli rivolge uno sguardo consapevole, senza timore. E poi per la prima volta si sente come se stesse sognando; prova un lieve senso di vertigine, languore, debolezza.

Tutto intorno a lei diventa confuso. Riesce a vedere solo gli occhi di Damon, che la fanno lentamente cadere in un profondo torpore. Lascia che gli occhi si socchiudano, che la testa si pieghi all'indietro. Sospira.

Ora sente lo sguardo di lui, sulle sue labbra, sulla sua gola. Sorride fra sé e sé e lascia che gli occhi si chiudano completamente.

Il giovane la sta sorreggendo, le impedisce di cadere a terra. Sente le sue labbra sulla pelle del collo, brucianti di febbre. Poi sente una fitta, come la puntura di due spilli. Ma è una

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sensazione momentanea, e si abbandona al piacere di sentire il sangue defluire da lei.

Si ricorda questa sensazione, la sensazione di galleggiare su un letto di luce dorata. Un delizioso languore si diffonde in tutte le sue membra. Un senso di indolenza, come se muoversi fosse troppo faticoso. E comunque non vuole muoversi; si sente fin troppo bene.

Elena ha le dita sui capelli di Damon, tiene stretta a sé la testa del giovane. Pigramente, le intreccia alle morbide ciocche scure. I capelli sono come seta, caldi e vivi sotto le sue dita. Socchiudendo gli occhi, vede che riflettono i colori dell'arcobaleno alla luce delle candele. Rosso, azzurro, porpora, proprio come... proprio come le penne...

E d'un tratto il sogno s'infrange. Il dolore la assale alla gola, come se qualcuno le strappasse l'anima. Lei sta respingendo Damon, lo sta graffiando, tentano di allontanarlo da sé. Strida riecheggiano nelle sue orecchie. Damon sta lottando con lei, ma non è Damon, è un corvo. Grandi ali la colpiscono, sferzando violentemente l'aria.

Aprì gli occhi. Era sveglia e stava gridando. La sala da ballo era svanita, e lei era in una camera da letto buia. Ma l'incubo l'aveva seguita. Anche mentre cercava di accendere la luce, la raggiunse, ali la colpirono sul viso, un becco aguzzo si scagliò contro di lei.

Elena lo colpì, sollevando l'altra mano per proteggersi gli occhi. Stava ancora gridando. Non riuscì ad allontanarlo, quelle ali enormi continuarono ad agitarsi convulsamente, come il rumore di mille mazzi di carte mescolati nello stesso momento.

La porta si aprì all'improvviso, ed Elena sentì delle grida. Il corpo caldo e pesante del corvo si abbatté su di lei, facendola urlare con più forza. Poi sentì che qualcuno la stava tirando via dal letto e si trovò in piedi, al sicuro, dietro il padre di Bonnie, che stava colpendo il volatile con una scopa.

Bonnie era sulla soglia della camera. Elena corse a rifugiarsi fra le sue braccia. Le urla del padre di Bonnie, e poi il colpo secco di una finestra chiusa con violenza.

«È uscito», disse il signor McCullough, respirando affannosamente.

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Mary e la signora McCullough erano nel corridoio, avvolte negli accappatoi. «Sei ferita», disse a Elena il signor McCullough, sorpreso. «Quella bestiaccia ti ha beccato».

«Sto bene», disse Elena, passandosi le dita sulla chiazza di sangue che aveva sul viso. Era così scossa che le ginocchia stavano per cedere.

«Ma come è entrato?», chiese Bonnie.Il signor McCullough stava esaminando la finestra. «Non

avresti dovuto lasciarla aperta», disse. «E per quale motivo hai voluto togliere i fermi?»

«Ma io non l'ho fatto», si lamentò Elena.«Era sbloccata e aperta quando ti ho sentita gridare e sono

entrato», disse il padre di Bonnie. «Non so chi altri avrebbe potuto aprirla tranne te».

Elena soffocò altre proteste. Esitante, circospetta, si avvicinò alla finestra. Aveva ragione: i fermi erano stati sbloccati. E potevano averlo fatto solo dall'interno.

«Forse sei sonnambula», osservò Bonnie, allontanando Elena dalla finestra mentre il signor McCullough tornava a sigillarla. «Sarà meglio darti una pulita».

Sonnambula. Di colpo l'intero sogno le tornò in mente. Il corridoio di specchi, la sala da ballo, e Damon. Aveva danzato con Damon. Elena si liberò dalla stretta affettuosa di Bonnie.

«Faccio da sola», disse, sentendo il suono della sua voce tremare sull'orlo dell'isterismo. «No... davvero... ci penso io». Si rifugiò nel bagno e rimase in piedi con la schiena contro la porta chiusa a chiave, cercando di riprendere fiato.

L'ultima cosa che desiderava fare era guardarsi in uno specchio. Ma alla fine, lentamente, si avvicinò a quello sopra il lavabo, tremando mentre il suo riflesso cominciava a delinearsi, avanzando a piccoli passi finché il suo viso non fu incorniciato sulla superficie lucente.

La sua immagine la fissò di rimando, pallidissima, gli occhi pesti e terrorizzati. C'erano profonde occhiaie, e chiazze di sangue sul suo viso.

Lentamente, girò appena la testa e tirò su i capelli. Stava quasi per lanciare un urlo quando vide cosa nascondevano.

Due piccole ferite, fresche e aperte, sulla pelle del collo.

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9«So che mi pentirò di avertelo chiesto», disse Matt,

distogliendo gli occhi arrossati dalla I-95 per guardare Stefan sul sedile del passeggero accanto a lui. «Ma mi dici perché abbiamo bisogno di queste erbacce ultraspeciali, semitropicali, difficili da trovare, per Elena?».

Stefan guardò sul sedile posteriore, dove giaceva il risultato delle loro ricerche in mezzo a siepi ed erba incolta. Le piante, con gli steli verdi e ramificati e le foglie dal margine dentellato, assomigliavano più che altro a erbe infestanti. I resti ormai secchi dei fiori alle estremità dei germogli erano quasi invisibili, e i germogli stessi non avevano certo la pretesa di essere decorativi.

«E se ti dicessi che si possono utilizzare per preparare un collirio naturale?», azzardò, dopo averci riflettuto un momento. «O una tisana?»

«Perché? Stavi pensando di dire una cosa del genere?»«Non proprio».«Bene. Perché se lo facessi probabilmente ti stenderei con un

pugno».Senza guardare Matt in faccia, Stefan sorrise. C'era qualcosa

di nuovo che si stava risvegliando dentro di lui, qualcosa che non aveva provato per quasi cinque secoli, tranne che con Elena. Accettazione. Calore e amicizia condivisi con un compagno, che non conosce la verità su di te ma che si fida comunque. Non era sicuro di meritarlo, ma non poteva negare quel che significava per lui. Lo faceva quasi sentire... di nuovo umano.

Elena rimase a fissare la sua immagine nello specchio. Non si era trattato di un sogno. Non del tutto. Le ferite sul collo ne erano una prova evidente. E ora che le aveva viste, prese coscienza di quella sensazione di stordimento, di torpore.

Era colpa sua. Si era data tanto da fare per diffidare Bonnie e Meredith dall'invitare estranei nelle loro abitazioni. E si era sempre dimenticata che era stata lei a invitare Damon a entrare

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nella casa di Bonnie. L'aveva fatto quella notte in cui aveva preparato quella cena silenziosa nella sala da pranzo di Bonnie e aveva gridato nell'oscurità: «Entra».

E l'invito era valido per sempre. Poteva tornare tutte le volte che voleva, anche in quel momento. Soprattutto in quel momento, finché lei era debole e avrebbe potuto facilmente essere ipnotizzata per aprirgli di nuovo la finestra.

Elena uscì barcollando dal bagno, superò la camera di Bonnie ed entrò in quella degli ospiti. Afferrò il borsone e cominciò a ficcarci dentro la sua roba.

«Elena, non puoi andare a casa!».«Non posso restare qui», disse Elena. Si guardò intorno in

cerca delle scarpe, vide che erano accanto al letto e fece per avanzare. Poi si bloccò, ed emise un gemito soffocato. Posata sulla biancheria da letto leggermente sgualcita c'era una penna nera. Era enorme, orribilmente enorme e reale, corposa, con lo stelo robusto, lucido come cera. Era quasi ripugnante, adagiata sulle lenzuola bianche di percalle.

Provò un senso di nausea, e distolse lo sguardo. Non riusciva a respirare.

«Ok, ok», riprese Bonnie. «Se ti fa questo effetto, dirò a papà di accompagnarti a casa».

«Devi venire anche tu». Era appena balenato nella mente di Elena che anche Bonnie non era al sicuro in quella casa. Tu e chi ami, ricordò, e si girò ad afferrare il braccio di Bonnie. «Tu devi venire, Bonnie. Ho bisogno che tu stia con me».

Alla fine la convinse. I McCullough pensarono che fosse isterica, che stesse reagendo in modo esagerato, che forse aveva un crollo nervoso. Ma poi cedettero. Il signor McCullough accompagnò lei e Bonnie a casa Gilbert, dove, sentendosi come ladri, aprirono la porta con la chiave e scivolarono all'interno senza svegliare nessuno.

Anche lì, Elena non riuscì a dormire. Rimase sdraiata accanto all'amica che respirava tranquillamente nel sonno, fissando la finestra della sua camera da letto, con i sensi all'erta. All'esterno, i rami del cotogno battevano contro il vetro, ma niente altro si mosse fino alle prime luci dell'alba.

Fu allora che sentì la macchina. Avrebbe riconosciuto il sibilo

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affannoso del motore di Matt ovunque. Allarmata, si avvicinò alla finestra in punta di piedi e guardò fuori nell'immobilità delle prime ore di un'altra giornata grigia. Poi si precipitò al piano di sotto ad aprire il portone.

«Stefan!». Non era mai stata così felice di vedere qualcuno in vita sua. Gli gettò le braccia al collo prima che potesse chiudere la portiera della macchina.

Il giovane oscillò all'indietro per la forza dell'impatto, ed Elena percepì il suo senso di sorpresa. Di solito lei non era così espansiva in pubblico.

«Ehi», le disse, restituendo dolcemente l'abbraccio. «Sono io, sì, ma non sciupare i fiori».

«Fiori?». Si tirò indietro per vedere cosa avesse portato Stefan; poi lo guardò in viso. Dopo si volse verso Matt, che stava uscendo dall'altro lato della macchina. Il volto di Stefan era pallido e tirato; quello di Matt era gonfio di stanchezza, gli occhi arrossati.

«Sarà meglio che entriate in casa», disse alla fine, sconcertata. «Avete un aspetto orribile».

«È verbena», disse Stefan, poco più tardi. Lui ed Elena erano seduti al tavolo in cucina. Attraverso il vano della porta, si vedeva Matt, allungato sul divano del soggiorno, che russava sommessamente. Era crollato lì sopra dopo aver divorato tre ciotole di cereali. Zia Judith, Bonnie e Margaret dormivano al piano di sopra, ma Stefan continuò comunque a parlare sotto voce. «Ti ricordi cosa ti ho detto di questa pianta?»

«Hai detto che ti aiuta a mantenere la mente lucida anche quando qualcuno sta usando il suo Potere per controllarla». Elena fu orgogliosa che la sua voce fosse così controllata.

«Esatto. E questa è una delle cose che Damon potrebbe tentare. Può usare il potere della sua mente anche a distanza, e può farlo sia che tu sia sveglia o stia dormendo».

Gli occhi le si riempirono di lacrime, ed Elena abbassò lo sguardo per nasconderle, fissando intensamente gli steli lunghi ed esili con i resti ormai secchi dei piccoli fiori lilla sulle estremità. «Dormendo?», disse, temendo che stavolta la voce non fosse così controllata.

«Sì. Potrebbe convincerti a uscire fuori di casa, per esempio, o

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a lasciar entrare lui. Ma la verbena dovrebbe impedirlo». Stefan sembrava stanco, ma soddisfatto di sé.

Oh, Stefan, se solo sapessi, pensò Elena. Il dono era arrivato con una notte di ritardo. Nonostante tutti i suoi sforzi, una lacrima cadde sulle lunghe foglie verdi.

«Elena!». Sembrò sorpreso. «Cosa c'è? Dimmi».Cercò di guardarla in viso, ma Elena chinò la testa e la

appoggiò sulla sua spalla. Il giovane la prese fra le braccia, senza sollevarle la testa. «Dimmi», le ripeté dolcemente.

Era il momento giusto. Se mai avesse pensato di raccontargli tutto, doveva farlo allora. Le parole le bruciavano in gola, la soffocavano, e avrebbe voluto liberarle.

Ma non poteva. Non importa cosa dovrò fare, impedirò loro di lottare per causa mia, pensò.

«È solo che... ero preoccupata per te», riuscì a dire. «Non sapevo dove eri andato, o quando saresti tornato».

«Avrei dovuto dirtelo. Tutto qui? Non c'è altro che ti preoccupa?»

«Tutto qui». Ora avrebbe dovuto far giurare a Bonnie di non parlare mai del corvo. Perché una bugia porta sempre a doverne dire un'altra? «Cosa dobbiamo fare con la verbena?», domandò, appoggiandosi allo schienale.

«Stasera lo vedrai. Dopo aver estratto l'olio dai semi, puoi strofinarlo sulla pelle o aggiungerlo all'acqua del bagno. E puoi mettere le foglie essiccate in un sacchetto e portarlo con te, o metterlo sotto il cuscino durante la notte».

«Sarà meglio darla anche a Bonnie e a Meredith. Hanno bisogno di protezione».

Stefan annuì. «Per ora», staccò un ramoscello e glielo mise in mano, «porta questo a scuola con te. Io torno al pensionato per estrarre l'olio». Esitò un momento, poi riprese a parlare. «Elena...».

«Sì?»«Se fossi certo che sarebbe un bene per te, me ne andrei. Non

voglio abbandonarti nelle mani di Damon. Ma non penso che mi seguirebbe, se me ne andassi, non più. Credo che resterebbe... per te».

«Non devi neanche pensare di andartene», gli disse

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aspramente, sollevando lo sguardo verso di lui. «Stefan, questa è l'unica cosa che non riuscirei a sopportare. Promettimi che non lo farai; promettimelo».

«Non ti lascerò da sola con lui», la rassicurò Stefan, anche se non era proprio la stessa cosa. Ma era inutile insistere oltre.

Invece, lo aiutò a svegliare Matt, e li guardò andare via insieme. Poi, tenendo in mano uno stelo di verbena, salì di sopra a prepararsi per la scuola.

Bonnie sbadigliò per tutto il tempo della colazione e non fu realmente sveglia finché non uscirono, dirigendosi a piedi verso la scuola, grazie a una brezza frizzante che pungeva loro il viso. Sarebbe stata una giornata fredda.

«Stanotte ho fatto un sogno davvero strano», disse Bonnie.Elena ebbe un tuffo al cuore. Aveva già infilato un ramoscello

di verbena nello zaino dell'amica, sul fondo, dove non l'avrebbe visto. Ma se Damon aveva raggiunto Bonnie quella notte...

«Su cosa?», chiese, facendosi coraggio.«Su di te. Eri sotto un albero, e soffiava il vento. Per qualche

ragione avevo paura di te, e non volevo avvicinarmi. Sembravi... diversa. Molto pallida, ma come infervorata. Poi un corvo è volato giù dall'albero e tu l'hai afferrato a mezz'aria. Sei stata di una velocità incredibile. E poi hai guardato verso di me, con quella espressione. Sorridevi, ma io ho provato il desiderio di fuggire. Poi hai torto il collo al corvo, ed era morto».

Elena aveva ascoltato con orrore crescente. Alla fine disse: «È un sogno disgustoso».

«Sì, vero?», replicò Bonnie, serenamente. «Chissà che significato ha. Nelle leggende i corvi sono uccelli di malaugurio. Sono presagio di morte».

«Probabilmente significa che tu sapevi quanto fossi turbata, a trovarmi quel corvo in camera».

«Sì», disse Bonnie. «Ma non capisco una cosa. Ho fatto questo sogno prima che le tue urla ci svegliassero».

Quel giorno, all'ora del pranzo, c'era un altro foglietto viola attaccato in bacheca. Su questo, però, si leggeva semplicemente: LEGGI GLI ANNUNCI PERSONALI.

«Quali annunci personali?», disse Bonnie.

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Meredith, che stava avanzando verso di loro con una copia del «Wildcat Weekly», il giornale della scuola, fornì la risposta. «L'avete letto?», chiese.

Era sulla pagina degli annunci, completamente anonimo, senza formula iniziale né firma. Non posso sopportare il pensiero di perderlo. Ma è davvero molto infelice a proposito di qualcosa, e se non mi dirà cos'è, se non si fiderà di me abbastanza, non vedo nessuna speranza per noi.

Mentre leggeva, Elena sentì un'esplosione di nuova energia vincere la sua stanchezza. Oh, Dio, detestava chiunque le stesse facendo questo. Immaginò di sparargli, di pugnalarlo, di vederlo precipitare. E poi, vividamente, immaginò qualcos'altro. Tirare indietro una ciocca di capelli del ladro per scoprirne la gola, e affondarvi i denti. Era una visione strana, inquietante, ma per un istante le sembrò quasi reale.

Si rese conto che Bonnie e Meredith la stavano osservando.«Be'?», disse, sentendosi leggermente a disagio.«Direi che non stavi ascoltando», sospirò Bonnie. «Ho appena

detto che non mi sembra opera di Da... dell'assassino. Neanche un omicida sarebbe così meschino».

«Per quanto mi dia fastidio l'idea, devo per forza darle ragione», disse Meredith. «Ha tutta l'aria di un'azione subdola. Qualcuno che ha del rancore nei tuoi confronti e vuole vederti soffrire».

Elena ingoiò la saliva che le si era accumulata nella bocca. «E deve essere qualcuno pratico della scuola. Si deve compilare un modulo per i messaggi personali in una delle classi di giornalismo», disse.

«E qualcuno che sapeva che tu tenevi un diario, ammesso che l'abbia rubato di proposito. Forse era a lezione con te il giorno in cui l'hai portato a scuola. Ricordi? Quando il signor Tanner ti ha quasi colta sul fatto», aggiunse Bonnie.

«La signora Halpern mi ha colta sul fatto; ha persino letto qualcosa ad alta voce, riguardo a Stefan. È stato subito dopo che io e lui ci siamo messi insieme. Aspetta un momento, Bonnie. Quella sera a casa tua, quando è stato rubato il diario, quanto tempo siete state fuori dal soggiorno?»

«Solo pochi minuti. Yangtze aveva smesso di abbaiare, e io

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sono andata alla porta per farlo entrare, e...». Bonnie strinse le labbra e scrollò le spalle.

«Quindi il ladro conosceva bene la tua casa», intervenne prontamente Meredith, «altrimenti lui, o lei, non sarebbe stato in grado di entrare, prendere il diario, e uscire di nuovo prima che noi lo vedessimo. Bene, allora, cercheremo qualcuno perfido e meschino, probabilmente in uno dei tuoi corsi, Elena, e che abbia una certa familiarità con la casa di Bonnie. Qualcuno che ha del rancore nei tuoi confronti e che si abbasserebbe a fare qualsiasi cosa per farti... Oh, mio Dio».

Le tre ragazze si guardarono l'un l'altra.«Deve essere così», disse Bonnie sotto voce. «Deve».«Che stupide; avremmo dovuto capirlo subito», aggiunse

Meredith.Per Elena, volle dire accorgersi d'un tratto che tutta la rabbia

che aveva provato fino a quel momento non era niente di fronte alla rabbia che era capace di provare. Come la fiamma di una candela rispetto al sole.

«Caroline», disse, e serrò i denti con tale forza che le fece male la mandibola.

Caroline. Elena sentì che avrebbe potuto uccidere la ragazza dagli occhi verdi in quel preciso istante. E che avrebbe potuto precipitarsi fuori e provarci se Bonnie e Meredith non l'avessero fermata.

«Dopo la scuola», disse Meredith, decisa, «quando possiamo portarla da qualche parte in privato. Devi solo pazientare fino allora, Elena».

Ma mentre erano dirette alla mensa, Elena vide una chioma color castano dorato che scompariva lungo il corridoio di arte e musica. E si ricordò di qualcosa che le aveva riferito Stefan all'inizio dell'anno, quando Caroline lo aveva portato nella sala di fotografia all'ora di pranzo. Per non avere troppa gente intorno, gli aveva detto Caroline.

«Voi due andate; ho dimenticato una cosa», disse, non appena Bonnie e Meredith ebbero riempito i loro vassoi. Poi fece finta di non sentire mentre s'incamminava rapidamente fuori della mensa e tornava sui suoi passi verso l'ala riservata all'arte.

Tutte le sale erano buie, ma la porta di quella della fotografia

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non era chiusa a chiave. Qualcosa spinse Elena a girare cautamente la maniglia, e a muoversi con circospezione una volta all'interno, invece di entrare con passo deciso per affrontarla come aveva progettato. Era lì Caroline? E se c'era, cosa stava facendo da sola al buio?

In un primo momento la stanza sembrò deserta. Poi Elena sentì un mormorio di voci provenire da una nicchia sul retro, e si accorse che la porta della camera oscura era socchiusa.

Silenziosamente, con passo furtivo, avanzò fino a fermarsi appena fuori della porta, e il mormorio si trasformò in parole comprensibili.

«Ma come possiamo essere sicuri che sarà lei quella che sceglieranno?». Questa era Caroline.

«Mio padre fa parte del comitato scolastico. Sceglieranno lei, stai tranquilla». E questo era Tyler Smallwood. Suo padre era avvocato, e non c'era comitato di cui non facesse parte. «E poi, chi altro potrebbero scegliere?», proseguì. «Ci si aspetta che lo Spirito di Fell's Church sia intelligente oltre che ben carrozzato».

«E io non sono intelligente, vero?»«Ho forse detto questo? Senti, se vuoi essere quella che sfilerà

in abito bianco in occasione del Founders' Day, va bene. Ma se vuoi vedere Stefan Salvatore lasciare in tutta fretta la città per colpa del diario della sua ragazza...».

«Ma perché aspettare tutto questo tempo?».Tyler sembrò spazientirsi. «Perché in questo modo si rovinerà

anche la celebrazione. La celebrazione dei Fell. Perché dovrebbero prendersi il merito di aver fondato questa città? Gli Smallwood erano qui prima di loro».

«Oh, cosa me ne importa di chi ha fondato la città? Voglio solo vedere Elena umiliata di fronte all'intera scuola».

«E a Salvatore». L'odio puro e la malignità nella voce di Tyler fecero venire a Elena la pelle d'oca. «Sarà fortunato se non finisce appeso a un albero. Sei sicura che la prova è li dentro?»

«Quando volte te lo devo dire? Prima dice di aver perso il nastro il 2 settembre al cimitero. Poi dice che Stefan lo ha raccolto quel giorno e lo ha conservato. Wickery Bridge è proprio accanto al cimitero. Questo vuol dire che Stefan era

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vicino al ponte il 2 settembre, la notte in cui quel vecchio è stato aggredito. Tutti sanno già che era presente quando sono stati aggrediti Vickie e Tanner. Cosa vuoi di più?»

«Non reggerebbe davanti a una corte. Forse dovrei procurarmi qualche prova convalidante. Come chiedere alla signora Flowers a che ora è rientrato quella sera».

«Oh, che importa? Quasi tutti lo credono già colpevole. Il diario parla di un grande segreto che lui tiene nascosto a tutti. La gente afferrerà il concetto».

«Lo hai messo in un posto sicuro?»«No, Tyler, lo tengo sul tavolino da caffè. Ma pensi che sia

così stupida?»«Abbastanza stupida da inviare a Elena biglietti che

potrebbero farla insospettire». Si sentì un frusciare di carta, come di un giornale. «Guarda qui, è inconcepibile. E deve finire, ora. E se capisce chi è l'autore?»

«E cosa potrebbe fare, chiamare la polizia?»«Ti chiedo ancora una volta di smetterla. Aspetta fino al

Founders' Day, poi vedrai la Principessa di Ghiaccio sciogliersi».

«E dire ciao a Stefan. Tyler... nessuno gli farà del male, vero?»

«Che importa?». Tyler imitò il tono che lei aveva usato prima. «Lascia che ci pensi io con i miei amici, Caroline. Tu fai la tua parte e basta, ok?».

La voce di Caroline si ridusse a un roco sussurro. «Prova a convincermi». Dopo una pausa Tyler ridacchiò.

Ci fu movimento, fruscii, un sospiro. Elena si girò e scivolò fuori della stanza silenziosamente come ci era entrata.

Imboccò il corridoio vicino, poi si appoggiò contro gli armadietti, cercando di riflettere.

Era troppo da digerire tutto in una volta. Caroline, che un tempo era stata la sua migliore amica, l'aveva tradita e voleva vederla umiliata di fronte all'intera scuola. Tyler, che era sempre sembrato più un irritante idiota che una reale minaccia, stava progettando di costringere Stefan a lasciare la città... o di ucciderlo. E la cosa peggiore era che per mettere in atto i loro piani si stavano servendo del suo diario.

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Ora comprese l'inizio del sogno della notte precedente. Aveva fatto un sogno simile il giorno prima di aver scoperto che Stefan era scomparso.

In entrambi i sogni, Stefan l'aveva guardata con rabbia, con occhi accusatori, poi aveva gettato un libro ai suoi piedi e si era allontanato.

Non un libro. Un diario. Che conteneva una prova che poteva dimostrarsi fatale per Stefan. Tre volte qualcuno era stato aggredito a Fell's Church, e tutte e tre le volte Stefan era presente sulla scena. Cosa avrebbe pensato la città, e la polizia?

E non c'era modo di dire la verità. E se avesse detto: "Stefan non è colpevole. È suo fratello Damon che lo odia e che sa quanto Stefan detesti anche il solo pensiero di ferire o di uccidere qualcuno. E che ha seguito Stefan sulla scena e ha aggredito le persone per far credere che potesse essere stato il fratello, per farlo impazzire. E che si trova qui in città da qualche parte – cercatelo al cimitero o nel bosco. Ma, oh, a ogni modo, non cercate solo un bel ragazzo, perché al momento potrebbe essersi trasformato in un corvo.

Quasi dimenticavo, è un vampiro".Non ci avrebbe creduto nemmeno lei. Suonava ridicolo.Una fitta lancinante al lato del collo le ricordò quanto fosse

grave, in realtà, quella ridicola storia. Quel giorno si sentiva strana, come se fosse malata. Non era solo tensione o mancanza di sonno. Si sentiva leggermente confusa, e a volte il terreno sembrava spugnoso, come se cedesse sotto i suoi piedi e poi riprendesse forma. Sintomi influenzali, solo che era sicura che non erano dovuti ad alcun virus che le circolava nel sangue.

Era colpa di Damon, ancora una volta. Tutto era colpa di Damon, tranne il diario. Per quello, poteva incolpare solo se stessa. Se solo non avesse scritto di Stefan, se solo non avesse portato il diario a scuola. Se solo non lo avesse lasciato nel soggiorno di Bonnie. Se... se...

L'unica cosa importante, adesso, era riuscire a rientrarne in possesso.

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10La campanella suonò. Non c'era tempo per tornare indietro

alla mensa e raccontare tutto a Bonnie e Meredith. Elena si avviò in classe, passando davanti a facce che la evitavano e a sguardi ostili, divenuti fin troppo familiari negli ultimi giorni.

Fu difficile, durante la lezione di storia, non fissare Caroline, non lasciarle capire che lei sapeva. Alaric le chiese notizie di Matt e di Stefan, entrambi assenti da due giorni, ma Elena si strinse nelle spalle, sentendosi addosso gli occhi di tutti. Non si fidava di quell'uomo con il sorriso fanciullesco e gli occhi nocciola e la sete di sapere tutto sulla morte del signor Tanner. E Bonnie, che guardava intensamente Alaric, non le era certo d'aiuto.

Alla fine della lezione, colse un frammento di una conversazione di Sue Carson. «Si è preso un periodo di vacanza dal college... non ricordo esattamente dove...».

Elena non sopportò più di osservare un silenzio discreto. Si girò di scatto e si rivolse direttamente a Sue e alla ragazza con cui stava parlando, inserendosi, non invitata, nella loro conversazione.

«Se fossi in te», disse a Sue, «mi terrei a debita distanza da Damon. Dico sul serio».

Ci fu una risata sorpresa, imbarazzata. Sue era una fra le poche persone a scuola che non aveva evitato Elena, e ora sembrava quasi che desiderasse farlo.

«Intendi dire», disse l'altra ragazza, con voce esitante, «perché anche lui è tuo? O...».

Elena scoppiò in una risata stridula. «Intendo dire che è un tipo pericoloso», ribatté. «E non sto scherzando».

Le ragazze la guardarono. Elena evitò loro l'ulteriore imbarazzo di dover rispondere o di allontanarsi diplomaticamente, girò sui tacchi e lasciò la scena. Recuperò Bonnie dal gruppetto di fanatiche post-lezione di Alaric e si diresse verso l'armadietto di Meredith.

«Dove stiamo andando? Pensavo che dovessimo parlare con Caroline».

«Non più», disse Elena. «Aspetta che arriviamo a casa. Poi ti

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dirò il perché».

«Non riesco a crederci», disse Bonnie un'ora più tardi. «Voglio dire, ti credo, ma non riesco a crederci. Non è da Caroline».

«È Tyler», precisò Elena. «È lui quello che ha grandi progetti. Questo perché gli uomini non si interessano di diari».

«In effetti, dovremmo ringraziarlo», intervenne Meredith. «Grazie a lui abbiamo tempo fino al Founders' Day per fare qualcosa. Perché hai detto che dovrebbe accadere al Founders' Day, Elena?»

«Tyler ha qualcosa contro i Fell».«Ma sono morti tutti», disse Bonnie.«Be', questo non gli interessa poi molto. Mi ricordo che ne

parlò anche al cimitero, mentre guardavamo la loro tomba. Pensa che abbiano rubato il posto che spettava di diritto ai suoi antenati come fondatori di questa città, o qualcosa del genere».

«Elena», disse Meredith in tono grave, «c'è qualcos'altro nel diario che potrebbe danneggiare Stefan? Oltre all'aggressione di quel vecchio, intendo».

«Non è sufficiente?». Con quegli occhi scuri, fermi su di lei, Elena provò un senso di disagio. Cosa voleva sapere Meredith?

«Sufficiente a cacciare Stefan dalla città, come hanno detto», concordò Bonnie.

«Sufficiente a farci recuperare il diario da Caroline», concluse Elena. «L'unico problema è "come"?»

«Caroline ha detto di averlo nascosto in un posto sicuro. Probabilmente a casa sua». Meredith si mordicchiò un labbro, riflettendo. «Ha solo un fratello che frequenta l'ottava classe, giusto? E sua madre non lavora, ma fa molto shopping a Roanoke. Hanno una donna di servizio?»

«Perché?», chiese Bonnie. «Che differenza fa?»«Be', non vogliamo che qualcuno entri in casa mentre la

stiamo svaligiando».«Mentre noi cosa?». Bonnie finì la domanda con voce

stridula. «Non dirai sul serio!».«Cosa ti aspetti che facciamo, restiamo sedute ad aspettare

fino al Founders' Day e lasciamo che quella legga il diario di

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Elena di fronte all'intera città? È lei che è venuta a rubare a casa tua. Noi dobbiamo solo riappropriarcene», disse Meredith, con una calma esasperante.

«Ci scopriranno. Saremo espulse dalla scuola... sempre che non andiamo a finire dietro le sbarre». Bonnie si voltò verso Elena in cerca di appoggio. «Diglielo tu, Elena».

«Be'...». In tutta onestà, quella eventualità rendeva anche Elena un po' titubante. Non era tanto l'idea dell'espulsione, o anche della prigione, quanto il pensiero di essere colta in flagrante. Il volto sprezzante della signora Forbes fluttuò per un momento davanti ai suoi occhi, pieno di giusta indignazione. Poi si tramutò in quello di Caroline, che rideva malignamente mentre sua madre puntava contro Elena un dito accusatore.

E poi, sembrava tanto una... una violenza perché in effetti non sembra, ma è una violazione, entrare in casa d'altri quando non erano presenti, per rovistare fra le loro cose. Non avrebbe sopportato che qualcuno lo facesse a lei.

Ma, naturalmente, qualcuno l'aveva fatto. Caroline aveva violato la casa di Bonnie, e proprio ora aveva nelle sue mani una delle cose più personali di Elena.

«Facciamolo», disse Elena in tono pacato. «Ma stiamo attente».

«Non ne possiamo parlare?», disse Bonnie, debolmente, correndo con lo sguardo dal viso determinato di Meredith a quello di Elena.

«Non c'è niente di cui parlare. Tu vieni con noi», le disse Meredith. «Lo hai promesso», aggiunse, mentre Bonnie prendeva un respiro prima di avanzare un'altra obiezione. E sollevò l'indice della mano.

«Il patto di sangue era solo per aiutare Elena a trovare Stefan!», si lamentò Bonnie.

«Pensaci bene», riprese Meredith. «Hai giurato che avresti fatto qualsiasi cosa che Elena ti avesse chiesto in relazione a Stefan. Non si è parlato di limiti di tempo o "solo finché Elena lo trova"».

Bonnie rimase a bocca aperta. Guardò Elena che, suo malgrado, stava quasi per scoppiare a ridere. «È vero», confermò solennemente Elena. «E tu stessa hai detto: "Un patto

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di sangue significa che devi rispettare il giuramento qualunque cosa accada"».

Bonnie chiuse la bocca e sollevò il mento. «Giusto», disse in tono risoluto. «Ora, per il resto della mia vita, sono vincolata a fare qualunque cosa Elena vuole che io faccia riguardo a Stefan. Magnifico».

«Questa è l'ultima cosa che ti chiederò», disse Elena. «E stavolta io lo prometto. Giuro...».

«Non farlo!», la interruppe Meredith, improvvisamente seria. «Non farlo, Elena. Potresti pentirtene in seguito».

«Adesso anche tu ti metti a fare profezie?», disse Elena. E poi chiese: «E ora come facciamo a procurarci la chiave della casa di Caroline per circa un'ora?».

9 novembre, sabatoCaro diario,mi spiace che sia passato tanto tempo. Recentemente sono stata troppo

impegnata o troppo depressa – o entrambe le cose – per scriverti.Inoltre, con tutto quel che è successo, ho quasi paura a tenere ancora

un diario. Ma io ho bisogno di qualcuno a cui rivolgermi, perché in questo momento non c'è un solo essere umano, non una sola persona sulla terra, a cui non stia nascondendo qualcosa.

Bonnie e Meredith non conoscono la verità riguardo a Stefan. Stefan non conosce la verità riguardo a Damon. Zia Judith non sa nulla. Bonnie e Meredith sanno di Caroline e del diario; Stefan no. Stefan sa che ormai uso la verbena ogni giorno; Bonnie e Meredith no. Anche se ne ho dato a tutte e due alcuni sacchetti. Una buona notizia: sembra che funzioni, o almeno non ho avuti più episodi di sonnambulismo da quella notte. Ma sarei una bugiarda se ti dicessi che non ho più sognato Damon. È in ogni mio incubo.

In questo momento la mia vita è piena di bugie, e ho bisogno di qualcuno con cui essere del tutto sincera. Ho pensato di nascondere questo diario sotto un'asse del fondo dell'armadio, così nessuno lo troverà anche se cado a terra stecchita e altri riordineranno la mia camera. Forse uno dei nipoti di Margaret, un giorno, giocherà lì dentro, solleverà quell'asse per curiosare e lo tirerà fuori, ma fino ad allora, nessuno lo troverà. Questo diario è il mio ultimo segreto.

Non so perché sto pensando alla morte e al dover morire. Questa è una mania di Bonnie; è l'unica a pensare che sarebbe così romantico. Io so com'è in realtà; non c'è stato niente di romantico quando mamma e papà sono morti. Solo le peggiori emozioni che esistano al mondo. Io voglio vivere a lungo, sposare Stefan ed essere felice. E non c'è ragione perché

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io non possa farlo, una volta che avremo lasciato tutti i problemi dietro le spalle.

Solo che a volte ho paura e non lo credo possibile. E ci sono dei particolari che dovrebbero essere insignificanti, ma mi preoccupano. Per esempio non capisco perché Stefan porta ancora l'anello di Katherine al collo, anche se so che ama me. O perché non mi ha mai detto che mi ama, anche se so che è vero.

Non importa. Tutto si risolverà. Deve risolversi. E poi staremo insieme, e saremo felici. Non c'è ragione per cui non possiamo esserlo. Non c'è ragione.

Elena smise di scrivere, cercando di mantenere a fuoco le lettere sulla pagina. Ma si fecero ancora più confuse, e chiuse il libro prima che una lacrima traditrice cadesse sull'inchiostro. Poi si avviò verso l'armadio, sollevò l'asse con una lima da unghie, e nascose il diario.

Aveva la stessa lima in tasca una settimana dopo, quando lei, Bonnie e Meredith erano davanti alla porta, sul retro della casa di Caroline.

«Sbrighiamoci», sibilò Bonnie, in piena agonia, guardandosi intorno nel cortile come se qualcuno dovesse saltare loro addosso da un momento all'altro. «Dai, Meredith!».

«Ecco», disse Meredith, quando la chiave finalmente entrò nella serratura a scatto e la maniglia si arrese alle sue dita. «Ci siamo».

«Sei sicura che loro non ci siano? Elena, e se tornano prima? Non potevamo farlo di giorno, almeno?»

«Bonnie, vuoi entrare? Abbiamo considerato tutto. La donna di servizio è sempre qui durante il giorno. E loro non rientreranno prima di stasera, a meno che qualcuno non si senta male da Chez Louis. E ora, andiamo!», disse Elena.

«Nessuno oserebbe sentirsi male alla cena di compleanno del signor Forbes», disse Meredith in tono rassicurante a Bonnie, quando la ragazza entrò. «Siamo al sicuro».

«Se hanno abbastanza soldi per andare nei ristoranti costosi, potrebbero anche permettersi di lasciare qualche luce accesa», riprese Bonnie, rifiutando di sentirsi confortata.

Dentro di sé, Elena ne convenne. Era strano e sconcertante

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aggirarsi nella casa di altri al buio, e il cuore le batteva con tonfi sordi mentre salivano le scale. Il palmo della mano, che stringeva la torcia del portachiavi per far luce, era sudato e scivoloso. Ma nonostante questi sintomi fisici di panico, la sua mente ragionava freddamente, con un certo distacco.

«Deve essere in camera sua», disse.La finestra della stanza di Caroline affacciava sulla strada, e

questo significava fare ancora più attenzione a non far trapelare del chiarore.

Elena fece vagare nella stanza il sottile fascio di luce, con un senso di sconforto. Una cosa era pianificare l'ispezione della camera di qualcuno, prefigurarsi una ricerca metodica ed efficiente nei vari cassetti. Un'altra era trovarsi di fatto lì, circondata da migliaia di posti adatti per nascondere qualcosa, col terrore di toccare gli oggetti che Caroline avrebbe potuto notare in disordine.

Anche le altre due ragazze non si erano mosse.«Forse dovremmo andarcene a casa», disse Bonnie con un filo

di voce. E Meredith non la contraddisse.«Dobbiamo tentare. Almeno tentare», ribatté Elena, sentendo

la sua voce risuonare in modo cupo e metallico. Aprì con cautela un cassetto e illuminò con la torcia pile di delicata biancheria di pizzo. Frugò fra gli indumenti per accertarsi che non ci fosse niente di simile a un libro. Risistemò gli indumenti e richiuse il cassetto. Poi lasciò uscire l'aria dai polmoni.

«Non è poi così difficile», disse. «Quel che dobbiamo fare è prenderci ognuna una parte della stanza e ispezionare tutto, ogni cassetto, ogni mobile, ogni oggetto grande abbastanza da nasconderci dentro un diario».

Si assegnò il compito di cercare nell'armadio, e la prima cosa che fece fu provare a sollevare le assi del fondo con la lima. Ma tutte sembravano fisse e le pareti dell'armadio compatte. Rovistando fra i vestiti di Caroline trovò varie cose che aveva prestato alla ragazza l'anno prima. Fu tentata di riprenderle, ma ovviamente non poteva farlo. Un attento esame delle scarpe e delle borse di Caroline non portò a nulla, anche quando salì su una sedia per ispezionare con cura la mensola più alta dell'armadio.

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Meredith era seduta sul pavimento, passando in rassegna un mucchio di animali di pezza che erano stati relegati in un baule insieme ad altri giocattoli. Fece correre le lunghe dita sensibili su ognuno di essi, in cerca di qualche apertura nella stoffa. Quando si trovò fra le mani un morbido barboncino di peluche, si fermò.

«Questo glielo ho regalato io», sussurrò. «Credo per il suo decimo compleanno. Pensavo l'avesse buttato via».

Elena non vedeva gli occhi dell'amica, il fascio di luce di Meredith era puntato sul cagnolino. Ma sapeva cosa stava provando.

«Ho tentato di fare pace con lei», disse sommessamente. «Davvero, Meredith, alla Casa Stregata. Ma in pratica mi ha detto che non mi perdonerà mai di averle rubato Stefan. Vorrei che le cose potessero andare diversamente, ma lei non lo permetterà».

«E allora guerra sia».«E allora guerra sia», le fece eco Elena, in tono secco e

definitivo. Osservò Meredith che metteva da parte il barboncino e sceglieva un altro pupazzo. Poi tornò a concentrarsi sulla sua ricerca.

Ma non fu più fortunata con il cassettone di quanto lo era stata con l'armadio. E a ogni momento che passava si sentiva sempre più inquieta, sicura che presto avrebbero sentito una macchina fermarsi sul viale d'accesso dei Forbes.

«È inutile», disse alla fine Meredith, tastando sotto il materasso di Caroline. «Deve averlo nascosto... aspetta. C'è qualcosa qui. Sento uno spigolo».

Elena e Bonnie la fissarono dai lati opposti della stanza, come pietrificate.

«L'ho preso. Elena, è un diario!».Un senso di sollievo invase Elena, che si sentì come un foglio

accartocciato che viene disteso e lisciato. Riuscì a muoversi. Respirare era magnifico. Lo sapeva, l'aveva sempre saputo che niente di così terribile poteva accadere a Stefan. La vita non poteva essere tanto crudele, non con Elena Gilbert. Ora erano tutti al sicuro.

Ma la voce di Meredith era perplessa. «È un diario. Ma è

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verde, non blu. Non è quello giusto».«Cosa?». Elena le strappò di mano il libricino, portandolo

sotto il fascio di luce, con la speranza di vedere il verde smeraldo della copertina diventare blu zaffiro. Ma non funzionò. Questo diario assomigliava molto al suo, ma non era il suo.

«È di Caroline», osservò stupidamente, non volendo ancora crederci.

Bonnie e Meredith le si strinsero intorno. Guardarono il libro chiuso, poi si scambiarono un'occhiata.

«Potrebbe contenere qualche indicazione», disse Elena, lentamente.

«Giusto», confermò Meredith. Ma fu Bonnie a prendere il diario e ad aprirlo.

Elena sbirciò sopra la sua spalla la grafia spigolosa e obliqua di Caroline, così diversa dalle lettere in stampatello dei biglietti viola. In un primo momento non lo mise a fuoco, ma poi un nome le balzò agli occhi. Elena.

«Aspetta. Cosa dice qui?».Bonnie, che era l'unica in grado di riuscire a distinguere più di

una o due parole, lesse un attimo in silenzio, muovendo solo le labbra. Poi sbuffò.

«Sentite questa», disse, e cominciò a leggere: «Elena è la persona più egoista che io abbia mai conosciuto. Tutti pensano che sia un tipo in gamba, ma in realtà è solo fredda. È nauseante il modo in cui la gente pende dalle sue labbra, senza rendersi conto che a lei non gliene frega niente di niente e di nessuno che non sia Elena».

«Proprio Caroline lo dice? Da quale pulpito!». Ma Elena si sentì avvampare in viso. Era, praticamente, quel che le aveva detto Matt quando lei stava dietro a Stefan.

«Vai avanti, c'è dell'altro», disse Meredith, pungolando Bonnie, che continuò a leggere in tono risentito.

«Bonnie in questi giorni non è da meno, cerca sempre di rendersi importante. L'ultima novità è che vuol far credere di avere poteri paranormali, così la gente si accorgerà di lei. Se avesse davvero questi poteri, si accorgerebbe che Elena la sta semplicemente usando».

Ci fu un silenzio pesante, poi Elena chiese: «È tutto?»

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«No, c'è qualcosa su Meredith. "Meredith non interviene in alcun modo per fermare tutto questo. In effetti, Meredith non fa niente; osserva soltanto. È come se non fosse in grado di agire; riesce soltanto a reagire alle situazioni. Inoltre, ho sentito i miei genitori parlare della sua famiglia... non mi meraviglia che lei neanche la nomini". Ma cosa vuole dire?».

Meredith non si era mossa, e in quella luce fioca Elena riusciva a vedere solo il collo e il mento dell'amica. Ma poi Meredith parlò con tono calmo e fermo. «Non ha importanza. Bonnie, continuiamo a cercare qualche notizia sul diario di Elena».

«Prova intorno al 18 ottobre. Il giorno in cui è stato rubato», disse Elena, evitando di fare domande. Ne avrebbe parlato con Meredith più tardi.

Non c'era nessuna annotazione in data 18 ottobre o nella settimana successiva; in effetti, c'erano solo alcune pagine sulle settimane a seguire. In nessuna si accennava al diario.

«Be', è andata così», disse Meredith, raddrizzando la schiena. «Questo libro è inutile. A meno che non vogliamo usarlo per ricattarla. Sai, del tipo "non divulgheremo il suo se lei non divulgherà il tuo"».

La tentazione era forte, ma Bonnie fece notare che non avrebbe funzionato. «Qui dentro non c'è niente di male riguardo Caroline; sono solo lamentele su altre persone. Soprattutto noi. Scommetto che Caroline sarebbe deliziata se qualcuno lo leggesse ad alta voce di fronte a tutta la scuola. Sarebbe il suo trionfo».

«Allora, cosa ne facciamo?»«Rimettilo a posto», disse Elena, stancamente. Fece vagare il

fascio di luce nella stanza, dove le sembrò di notare qualcosa di leggermente cambiato dopo la loro perlustrazione. «Continueremo semplicemente a fingere di non sapere che lei ha il mio diario, e speriamo in un'occasione migliore».

«Bene», disse Bonnie, ma continuò a sfogliare il libricino, dando sfogo di tanto in tanto a un grugnito o a un sibilo d'indignazione. «Sentite questa!», esclamò.

«Non c'è tempo», replicò Elena. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma in quel momento si sentì la voce di Meredith, un

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tono che esigeva immediata attenzione.«Una macchina».Ci volle solo un attimo per avere la conferma che il veicolo si

stava fermando sul viale d'accesso dei Forbes. Bonnie, occhi e bocca spalancati, sembrava come paralizzata, inginocchiata accanto al letto.

«Via! Andiamo», intervenne Elena, strappandole il diario di mano. «Spegnete le torce e uscite dalla porta sul retro».

Si erano già avviate, con Meredith che spingeva Bonnie. Elena si buttò in ginocchio, sollevò il copriletto e alzò il materasso di Caroline. Con l'altra mano vi spinse sotto il diario, incastrandolo fra il materasso e la fascia arricciata che arrivava al pavimento. Le molle sottilmente rivestite le graffiavano il braccio, ma ancor peggio era il peso del materasso di dimensioni principesche che la schiacciava. Diede qualche altra piccola spinta al libro con la punta delle dita e poi tirò fuori il braccio, rimettendo a posto il copriletto.

Uscendo, lanciò un'ultima occhiata alla stanza, ma ormai non c'era più tempo per mettere in ordine. Mentre si affrettava a raggiungere le scale, sentì il rumore della chiave nel portone.

Quel che seguì fu una sorta di spaventoso gioco di scappa e fuggi. Elena sapeva che non le stavano dando la caccia di proposito, ma la famiglia Forbes sembrava decisa a intrappolarla in casa loro. Tornò indietro sui suoi passi, mentre voci e luci si materializzavano nell'ingresso man mano che si dirigevano verso le scale. Elena corse verso l'ultima porta del corridoio, e loro sembrarono seguirla. Attraversarono il pianerottolo; erano appena fuori della porta della camera da letto principale. Elena si voltò verso il bagno adiacente, ma vide le luci accendersi sotto la porta chiusa, tagliandole ogni via di fuga.

Era in trappola. Da un momento all'altro i genitori di Caroline sarebbero entrati. Appena vide la porta finestra che dava sul terrazzo decise cosa fare.

Nel freddo della notte, il suo respiro affannoso si materializzò nell'aria. Una luce gialla si proiettò di colpo fuori della camera, vicino a lei, costringendola a rannicchiarsi ancora di più alla sua sinistra, per rimanere fuori dal fascio di luce. Poi, il rumore che tanto temeva arrivò con spaventosa precisione: lo scatto di una

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maniglia, seguito da un ondeggiare di tende all'interno mentre la portafinestra veniva aperta.

Si guardò intorno in preda al panico. Era troppo in alto per saltare a terra, e non c'era niente a cui aggrapparsi per scendere. Non rimaneva che il tetto, ma anche in questo caso non c'era niente su cui arrampicarsi. Eppure, l'istinto la convinse a fare un tentativo: salì sul parapetto e cercò a tentoni un appiglio in alto, proprio mentre un'ombra si profilava dietro il velo delle tende. Una mano aprì i teli, e una figura cominciò a emergere, poi Elena sentì qualcosa che le afferrava la mano, facendo presa sul suo polso, e la tirava su. Meccanicamente, si diede una spinta verso l'alto con i piedi e si ritrovò ad inerpicarsi sul tetto ricoperto di assicelle. Cercando di calmare il respiro irregolare, alzò lo sguardo riconoscente per vedere chi fosse il suo salvatore, e le si gelò il sangue nelle vene.

11«Il nome è Salvatore. Niente di più appropriato», disse. Ci fu

un balenio di denti bianchi nell'oscurità.Elena guardò giù. L'aggetto del tetto oscurava il terrazzo, ma

riuscì a sentire uno scalpiccio di passi provenire da lì. Ma non era il rumore dei passi di chi sta inseguendo qualcuno, e niente indicava che le parole del suo compagno fossero state captate. Un attimo dopo, sentì la portafinestra chiudersi.

«Credevo che fosse Smith», disse, ancora guardando giù nell'oscurità.

Damon scoppiò a ridere. Era una risata terribilmente accattivante, senza quella punta di amarezza che riecheggiava in quella di Stefan. Le fece pensare ai colori dell'arcobaleno sulle penne del corvo.

Ciò nonostante, non si fece ingannare. Per quanto fosse affascinante, Damon era pericoloso quasi oltre ogni immaginazione. Quel fisico elegante, appoggiato indolentemente al tetto, era dieci volte più forte di quello di un umano. Quei pigri occhi scuri erano in grado di vedere perfettamente di notte. La mano dalle dita affusolate che l'aveva

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sollevata sul tetto poteva muoversi con incredibile rapidità. E, più inquietante di ogni altra cosa, la sua mente era quella di un assassino. Un predatore.

Elena lo percepiva al di là delle apparenze. Lui era diverso da un umano. Aveva vissuto talmente a lungo cacciando e uccidendo che aveva dimenticato altre possibilità. E ne godeva, non combatteva la sua natura come Stefan, ma se ne gloriava. Non aveva regole morali, né una coscienza, e lei era bloccata lì con lui nel cuore della notte.

Si appoggiò su un tallone, pronta a scattare in azione in qualsiasi momento. Avrebbe dovuto essere arrabbiata con lui, dopo quel che le aveva fatto in sogno. E lo era, ma sarebbe stato inutile esprimere quel che provava. Lui sapeva quanto doveva essere infuriata, e se glielo avesse detto le avrebbe solo riso in faccia.

Lo osservava in silenzio, con attenzione, in attesa della sua prossima mossa.

Ma lui non fece nulla. Quelle mani, che potevano scattare con la stessa velocità di un serpente pronto a mordere, poggiavano inerti sulle ginocchia. La sua espressione le ricordò il modo in cui l'aveva guardata una volta. La prima volta che si erano incontrati aveva letto nei suoi occhi lo stesso cauto, riluttante rispetto, ma allora c'era anche una nota di sorpresa. Ora non ve ne era la minima traccia.

«Hai intenzione di gridare? O di svenire?», le chiese, come se le stesse offrendo una normale alternativa.

Elena lo stava ancora osservando. Era molto più forte di lei, e più veloce, ma all'occorrenza pensava di poter arrivare al bordo del tetto prima che lui la raggiungesse. Era un salto di nove metri, se avesse mancato il terrazzo, ma poteva decidere di rischiare. Tutto dipendeva da Damon.

«Non svengo», gli disse bruscamente. «E perché dovrei gridare? Stiamo facendo un gioco. Quella notte sono stata una stupida e ho perso. Mi avevi avvisato delle conseguenze, al cimitero».

Le labbra del giovane si socchiusero in un respiro affrettato, poi distolse lo sguardo. «Potrei semplicemente fare di te la mia Regina delle Ombre», disse e, rivolgendosi quasi a se stesso,

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proseguì: «Ho avuto molte compagne, fanciulle giovani come te e donne fra le più belle d'Europa. Ma tu sei l'unica che voglio al mio fianco. Dominante, che prende quel che vogliamo quando lo vogliamo. Temuta e idolatrata da tutte le anime più deboli. Sarebbe poi tanto male?»

«Io sono una delle anime più deboli», disse Elena. «E tu ed io siamo nemici, Damon. Non potremo mai essere niente di diverso».

«Sei sicura?». La guardò, e in quel momento sentì il potere della sua mente che si metteva in contatto con la sua, come se le sue lunghe dita la sfiorassero. Ma non ci fu un senso di vertigini, né di debolezza o di resa. Quel pomeriggio, come faceva sempre negli ultimi giorni, si era concessa un lungo bagno caldo, con una manciata di verbena essiccata.

Un lampo balenò negli occhi di Damon quando se ne accorse, ma accettò di buon grado l'insuccesso. «Cosa stavi facendo qui?», le chiese con noncuranza.

Era strano, ma non sentì alcun bisogno di mentirgli. «Caroline ha preso qualcosa che mi apparteneva. Un diario. Sono venuta a riprenderlo».

Una nuova luce guizzò negli occhi scuri. «Senza dubbio per proteggere in qualche modo il mio indegno fratello», commentò, seccato.

«Stefan non è coinvolto in tutto questo!».«Oh, davvero?». Elena temeva che lui potesse capire più di

quel che lei intendeva dire. «Strano, sembra sempre essere coinvolto quando c'è un problema. Lui crea problemi. Ora, se non fossi parte in causa...».

Elena parlò con voce calma. «Se fai ancora del male a Stefan te ne farò pentire. Troverò il modo per farti desiderare di non averlo fatto, Damon. Puoi starne certo».

«Capisco. Bene, allora, non mi resta che lavorare su di te, giusto?».

Elena non disse nulla. A furia di parlare si era ritrovata con le spalle al muro, accettando di partecipare di nuovo a quel gioco fatale. Distolse lo sguardo.

«Alla fine ti avrò, sai», disse dolcemente. Era la voce che aveva usato al party, quando aveva detto: «Calma, calma». Ora

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non c'era derisione o cattiveria; stava semplicemente esprimendo una realtà di fatto. «A ogni costo, come dite voi – che espressione graziosa – sarai mia prima che cada la prossima neve».

Elena cercò di nascondere lo sbigottimento che provava, ma sapeva che lui se ne sarebbe accorto comunque.

«Bene», riprese. «Hai ancora un po' di buonsenso. Fai bene ad aver paura di me; io sono la cosa più pericolosa che mai ti capiterà di incontrare nella tua vita. Ma proprio ora avrei una proposta d'affari da farti».

«Una proposta d'affari?»«Precisamente. Tu sei venuta qui a prendere un diario. Ma non

l'hai trovato». Indicò le mani vuote della ragazza. «Hai fallito, vero?». Quando Elena non replicò nulla, continuò: «E dal momento che non vuoi che mio fratello sia coinvolto, lui non ti potrà aiutare. Ma io posso. E lo farò».

«Lo farai?»«Certamente. A un prezzo».Elena lo fissò. Il sangue le affluì alle guance. Le parole le

uscirono in un sussurro.«Quale... prezzo?».Un sorriso brillò nel buio. «Qualche minuto del tuo tempo.

Qualche goccia del tuo sangue. Un'ora o quasi insieme a me, da sola».

«Tu...». Elena non riuscì a trovare la parola adatta. Ogni epiteto che conosceva era troppo blando.

«Alla fine lo otterrò comunque», disse, in tono ragionevole. «Se sei onesta con te stessa, lo dovrai ammettere. L'ultima volta non era l'ultima. Perché non te ne fai una ragione?». Il timbro della sua voce si fece caldo, confidenziale. «Ricorda...».

«Piuttosto mi taglio la gola», disse.«Un pensiero intrigante. Ma posso farlo io in modo molto più

godibile».Si prendeva gioco di lei. In qualche modo, più di ogni altra

cosa successa in quella giornata, fu troppo per lei. «Sei disgustoso, lo sai», gli disse. «Sei rivoltante». Ora stava tremando, e non riusciva a respirare. «Morirei prima di arrendermi a te. Piuttosto...».

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Non era sicura di quel che avrebbe fatto. Quando era con Damon una sorta di istinto prendeva il sopravvento su di lei. E in quel momento, sentiva che avrebbe rischiato qualsiasi cosa piuttosto che lasciarlo vincere. Notò, con metà della sua mente, che il giovane era seduto in modo rilassato, godendosi la piega che stava prendendo il gioco. L'altra metà della mente stava calcolando la sporgenza del tetto sul terrazzo.

«Piuttosto farei questo», disse, e si gettò di lato.Aveva calcolato bene; lui era distratto e non riuscì a scattare

con la rapidità necessaria per fermarla. Sentì il vuoto sotto i piedi e un vortice di terrore quando si rese conto che il terrazzo era molto più arretrato di quanto avesse pensato. L'avrebbe mancato.

Ma non aveva calcolato Damon. La sua mano schizzò in fuori, non abbastanza in fretta da trattenerla sul tetto, ma da impedirle di precipitare. Era come se il suo peso fosse inesistente per lui. Istintivamente, Elena afferrò il bordo del tetto e cercò di poggiarvi un ginocchio.

La voce di Damon tradiva la sua furia. «Piccola idiota! Se hai tanta voglia di conoscere la morte posso presentartela io».

«Lasciami», disse Elena a denti stretti. Qualcuno sarebbe uscito sul terrazzo da un momento all'altro, ne era certa. «Lasciami».

«Qui e adesso?». Guardando dentro quegli impenetrabili occhi neri, capì che parlava sul serio. Se avesse detto di sì l'avrebbe lasciata cadere.

«Sarebbe un modo rapido per chiudere la questione, vero?», gli disse. Il cuore le martellava per la paura, ma non avrebbe lasciato che lui se ne accorgesse.

«Ma un tale spreco». Con un solo gesto, la tirò in salvo. La tirò a sé. Le sue braccia si strinsero intorno a lei, premendola contro il suo corpo asciutto e saldo, e d'un tratto Elena non vide più nulla. Era completamente avviluppata. Poi quei muscoli si contrassero come quelli di un grosso felino, e in un attimo si lanciò nel vuoto.

Stava cadendo. Non poté fare a meno di avvinghiarsi a lui, unico elemento solido nel mondo che precipitava intorno a lei. Damon toccò terra come un gatto, addolcendo l'impatto.

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Una volta Stefan aveva fatto qualcosa del genere. Ma poi non l'aveva tenuta così, dolorosamente vicina, con le labbra che quasi toccavano le sue.

«Pensa alla mia proposta», le disse.Elena non riusciva a muoversi o a distogliere lo sguardo. E

stavolta sapeva che non era il Potere che lui stava usando, ma semplicemente la violenta attrazione che provavano l'uno per l'altra. Era inutile negarlo: il suo corpo reagiva a quello di Damon. Sentiva il suo respiro sulle labbra.

«Non ho affatto bisogno di te», gli disse.Pensò che stesse per baciarla, ma non lo fece. Sopra di loro si

sentì il rumore di una porta finestra che si apriva e una voce adirata provenire dal terrazzo. «Ehi! Che sta succedendo? C'è qualcuno là fuori?»

«Questa volta ti ho fatto un favore», disse Damon, con grande dolcezza, stringendola ancora fra le braccia. «La prossima volta verrò a riscuotere».

Non riusciva a voltare la testa. Se l'avesse baciata in quel momento, l'avrebbe lasciato fare. Ma all'improvviso la stretta salda delle sue braccia si allentò e il suo volto sembrò svanire nella nebbia. Era come se l'oscurità lo avesse richiamato a sé. Ali nere colpirono l'aria e un corvo enorme si levò verso il cielo, allontanandosi.

Qualcosa, un libro o una scarpa, gli venne lanciata dietro dal terrazzo. Lo mancò di un metro.

«Dannati uccelli!». Era la voce del signor Forbes. «Devono aver fatto il nido sul tetto».

Rabbrividendo, con le braccia strette sul petto, Elena si rannicchiò nell'oscurità, aspettando che rientrasse in casa.

Trovò Bonnie e Meredith accovacciate vicino al cancello. «Com'è che ci hai messo tanto?», bisbigliò Bonnie. «Pensavamo che ti avessero scoperta!».

«Quasi. Ho dovuto restare lì finché non c'è stato più pericolo». Elena era talmente abituata a mentire riguardo a Damon che lo fece anche ora senza il minimo sforzo. «Andiamo a casa», sussurrò. «Non possiamo fare altro».

Quando si separarono davanti al portone di Elena, Meredith disse: «Mancano solo due settimane al Founders' Day».

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«Lo so». Per un momento la proposta di Damon attraversò la mente di Elena. Ma scosse la testa per liberarsene. «M'inventerò qualcosa», concluse.

Il giorno seguente, alla fine della giornata scolastica, non aveva ancora escogitato nulla. L'unico fatto che la rassicurava era che Caroline non sembrava aver trovato niente fuori posto nella sua camera, ma questo era tutto quel che Elena riusciva a considerare incoraggiante. Quella mattina, durante l'assemblea, avevano annunciato che Elena era stata scelta fra gli studenti per rappresentare "Lo Spirito di Fell's Church". Durante il discorso del preside sull'argomento, il sorriso di Caroline non si spense mai, esultante e malizioso.

Elena cercò di ignorarlo. Fece del suo meglio per non badare a chi la snobbava o la offendeva nel corso dell'assemblea, ma non le riuscì facile. Non era mai stato facile, e c'erano stati giorni in cui aveva pensato che avrebbe finito col colpire qualcuno o avrebbe urlato, ma fino a quel momento era riuscita a controllarsi.

Quel pomeriggio, aspettando che iniziasse la lezione di storia della sesta classe, Elena studiò Tyler Smallwood. Da quando era tornato a scuola, non le aveva mai rivolto nemmeno una parola. Quando il preside aveva dato l'annuncio aveva sorriso con la stessa malignità di Caroline. Ora, appena vide Elena da sola in disparte, diede una gomitata a Dick Carter.

«Cosa c'è là? Una ragazza che fa tappezzeria?».Stefan, dove sei? Pensò Elena. Ma conosceva la risposta. Al

centro dell'edificio scolastico, a lezione di astronomia.Dick aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la sua espressione

cambiò. Stava guardando oltre Elena, lungo il corridoio. Elena si voltò e vide Vickie.

Vickie e Dick erano stati insieme prima del Ballo d'autunno. Ed Elena immaginava che lo fossero ancora. Ma Dick sembrava esitante, come se non sapesse cosa aspettarsi dalla ragazza che avanzava verso di lui.

C'era qualcosa di strano nell'espressione di Vickie, nel suo modo di camminare. Era come se i suoi piedi non toccassero il suolo. Aveva le pupille dilatate e lo sguardo assente.

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«Ciao», azzardò Dick, e le andò incontro. Vickie passò oltre senza neanche guardarlo e proseguì in direzione di Tyler. Elena seguì quel che successe dopo con crescente imbarazzo. Avrebbe dovuto essere divertente, ma non lo fu affatto.

Cominciò con Tyler, che sembrò in qualche modo colto alla sprovvista. Poi Vickie gli posò una mano sul torace. Tyler sorrise, ma in modo forzato. Vickie fece scivolare la mano sotto la giacca. Il sorriso di Tyler si fece esitante. Vickie mise l'altra mano sul suo torace. Tyler guardò verso Dick.

«Ehi, Vickie, datti una calmata», disse Dick in tono irritato, ma non si avvicinò ai due.

Vickie fece scivolare entrambe le mani sulle spalle di Tyler, sfilandogli la giacca. Con una scrollata, il ragazzo tentò di rimetterla a posto senza posare i libri o senza sembrare troppo preoccupato. Ma non ci riuscì. Le dita di Vickie s'insinuarono sotto la sua camicia.

«Basta. Fermala», Tyler implorò Dick. Era indietreggiato contro il muro.

«Ehi, Vickie, molla. Non fare così». Ma Dick rimase a debita distanza. Tyler gli lanciò uno sguardo furioso e tentò di allontanare la ragazza.

Era cominciato un rumore di fondo. In un primo momento sembrò di una frequenza troppo bassa per essere percepito dall'udito umano, ma poi divenne sempre più forte. Un ringhio, oscuramente minaccioso, che fece raggelare Elena. Tyler aveva gli occhi sgranati, increduli, e subito Elena capì perché. Il rumore proveniva da Vickie.

Poi tutto accadde all'improvviso. Tyler era a terra, con i denti di Vickie a pochi centimetri dalla sua gola, nell'atto di azzannare. Elena, dimenticato ogni motivo di contrasto, stava cercando di aiutare Dick a tirarla indietro. Tyler stava urlando. La porta dell'aula di storia si aprì e Alaric cominciò a gridare.

«Non fatele del male! Attenti! È epilettica, dobbiamo solo cercare di farla sdraiare!».

I denti di Vickie provarono ancora ad azzannare quando raggiunsero una mano nella mischia. L'esile ragazza era più fortedi tutti loro messi insieme, e non riuscivano più a controllarla. Non sarebbero riusciti a trattenerla ancora per molto. Fu con

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immenso sollievo che Elena sentì una voce familiare alle sue spalle.

«Vickie, calmati. Va tutto bene. Ora rilassati».Ora che Stefan aveva afferrato il braccio di Vickie e le parlava

in tono rassicurante, Elena osò allentare la presa. E, in un primo momento, la strategia di Stefan parve funzionare. Le dita di Vickie, simili ad artigli, allentarono la stretta, e loro riuscirono a sollevarla dal corpo di Tyler. Mentre Stefan continuava a parlarle, Vickie apparve stremata e chiuse gli occhi.

«Bene. Ora sei stanca. Devi riposare».Ma poi, improvvisamente, smise di funzionare, e qualunque

Potere Stefan aveva esercitato su di lei si era spezzato. Gli occhi di Vickie si aprirono, del tutto diversi da quegli occhi da cerbiatto impaurito che Elena aveva visto alla mensa. In essi ardeva una furia cieca. Ringhiò a Stefan e cominciò a dibattersi con nuova forza.

Ci vollero cinque o sei persone per bloccarla a terra mentre qualcuno chiamava la polizia. Elena rimase dov'era, parlando a Vickie, a volte gridandole qualcosa, fino all'arrivo degli agenti. Ma non servì a nulla.

Poi fece un passo indietro e per la prima volta notò la folla di curiosi. Bonnie era in prima fila, che fissava attonita la scena. E anche Caroline.

«Cosa è successo?», chiese Bonnie mentre gli agenti portavano via Vickie.

Elena, leggermente affannata, scostò una ciocca di capelli dagli occhi. «È impazzita e ha tentato di spogliare Tyler».

Bonnie serrò le labbra. «Be', è dovuta impazzire per desiderare di farlo, eh?». E lanciò un sorrisetto compiaciuto in direzione di Caroline.

Elena sentiva le ginocchia molli e le tremavano le mani. Sentì un braccio che le cingeva la vita, e si appoggiò con gratitudine a Stefan. Poi lo guardò in viso.

«Epilessia?», disse, in tono derisorio.Stefan continuava a fissare il corridoio dove si stava

allontanando Vickie. Alaric Saltzman, che ancora gridava istruzioni, sembrava volerla accompagnare. Il gruppo girò dietro l'angolo.

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«Credo che la lezione sia stata archiviata», disse Stefan. «Andiamo».

Camminarono in silenzio verso il pensionato, ognuno perso nei propri pensieri. Elena era accigliata, e varie volte lanciò un'occhiata a Stefan, ma parlò solo quando furono da soli nella sua stanza.

«Stefan, cosa vuol dire tutto questo? Cosa sta succedendo a Vickie?»

«È quello che mi sto chiedendo anch'io. C'è solo una spiegazione che mi viene in mente, ed è che si trova ancora sotto attacco».

«Vuoi dire che Damon sta ancora... oh, mio Dio! Oh, Stefan, avrei dovuto darle un po' di verbena. Avrei dovuto capire...».

«Non avrebbe fatto alcuna differenza. Credimi». Elena si era girata verso la porta come per andare da Vickie in quel preciso istante, ma lui la trattenne con delicatezza. «Alcune persone sono più facilmente influenzabili di altre, Elena. La volontà di Vickie non è mai stata molto forte. Ormai appartiene a lui».

Lentamente, Elena si mise a sedere. «Allora nessuno può fare niente? Ma, Stefan, diventerà... come te e Damon?»

«Dipende». Il tono di voce era desolato. «Non è solo questione di quanto sangue perderà. Perché il cambiamento sia totale dovrà avere nelle vene il sangue di Damon. Altrimenti farà la fine del signor Tanner. Dissanguata, prosciugata. Morta».

Elena fece un profondo respiro. C'era qualcos'altro che voleva chiedergli, qualcosa che voleva chiedergli da tanto tempo. «Stefan, mentre parlavi a Vickie, ho creduto che funzionasse. Stavi usando i tuoi Poteri su di lei, vero?»

«Sì».«Ma poi lei ha perso di nuovo il controllo. Quel che voglio

dire è... Stefan, stai bene, vero? Hai riacquistato i tuoi Poteri?».Il giovane non rispose. Ma quel silenzio fu più di una risposta

per lei. «Stefan, perché non me l'hai detto? Cosa c'è che non va?». Gli girò intorno e si inginocchiò accanto a lui, costringendolo a guardarla in viso.

«Ci vorrà un po' di tempo perché mi riprenda, tutto qui. Non preoccuparti».

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«Io sono preoccupata. Non c'è niente che possiamo fare?»«No», disse. Ma abbassò lo sguardo.D'un tratto Elena capì. «Oh», sussurrò, appoggiando la

schiena. Poi si allungò di nuovo verso di lui, afferrandogli le mani. «Stefan, ascolta...».

«Elena, no. Non lo capisci? È pericoloso, pericoloso per entrambi, ma soprattutto per te. Potrebbe ucciderti, o ancor peggio».

«Soltanto se tu perdessi il controllo», disse. «E tu non lo farai. Baciami».

«No», ripeté Stefan. E aggiunse, in tono meno brusco. «Questa notte andrò a caccia, non appena farà buio».

«Ed è lo stesso?», chiese. Ma sapeva che non lo era. Era il sangue umano che dava Potere. «Oh, Stefan, ti prego; non vedi che sono io a volerlo? E tu, non vuoi?»

«Non è giusto», disse, con il tormento negli occhi. «Sai che non lo è, Elena. Sai quanto...». Distolse lo sguardo da lei, stringendo i pugni.

«E allora perché no? Stefan, io ho bisogno...». Non riuscì a finire la frase. Non riuscì a spiegargli di cosa aveva bisogno; era il bisogno di sentirsi legata a lui, intimamente. Aveva bisogno di quel che provava insieme a lui, per liberarsi del ricordo di quel ballo nel sogno e delle braccia di Damon che la stringevano. «Ho bisogno che noi due stiamo di nuovo insieme», sussurrò.

Stefan era ancora voltato, ma scosse la testa.«Va bene», concluse Elena, a bassa voce, ma la invase

un'ondata di pena e di paura quando sentì il senso di sconfitta penetrarle nelle ossa. Aveva paura soprattutto per Stefan, che sarebbe stato vulnerabile senza i suoi Poteri, vulnerabile quanto bastava per essere danneggiato dai normali cittadini di Fell's Church. Ma aveva un po' di paura anche per se stessa.

12Una voce parlò dietro di lei, mentre Elena allungava la mano

per prendere una lattina dallo scaffale del negozio.«Già la salsa di mirtilli?».

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Elena sollevò lo sguardo. «Ciao, Matt. Sì, zia Judith preferisce fare una prova generale la domenica prima del Giorno del Ringraziamento, ricordi? Se fa un po' di pratica, diminuiscono le probabilità che combini qualcosa di terribile».

«Come dimenticare di comprare la salsa di mirtilli fino a quindici minuti prima della cena?»

«Fino a cinque minuti prima della cena», precisò Elena guardando l'orologio, e Matt scoppiò a ridere. Era un suono piacevole, che Elena non sentiva da fin troppo tempo. Si mosse verso la cassa, ma dopo aver pagato, esitò, voltandosi indietro a guardare. Matt era fermo accanto allo scaffale delle riviste, apparentemente assorbito nella lettura, ma c'era qualcosa nella curvatura delle sue spalle che le fece venir voglia di andare da lui.

Diede un colpetto col dito alla rivista. «E tu, cosa fai a cena?», gli chiese. Quando lui lanciò un'occhiata esitante verso la porta del negozio, aggiunse: «Bonnie mi sta aspettando in macchina; ci sarà lei. Per il resto, solo la famiglia. E Robert, ovviamente; a quest'ora dovrebbe essere già lì». Voleva dire che Stefan non sarebbe venuto. Non era ancora sicura di come fossero i rapporti fra Matt e Stefan negli ultimi tempi. Se non altro, si parlavano.

«Stasera mi arrangio per conto mio. Mamma non si sente molto bene», disse. Ma poi, come se volesse cambiare argomento, proseguì: «Dov'è Meredith?»

«Con la sua famiglia, in visita da alcuni parenti o qualcosa del genere». Elena rimase nel vago, perché anche Meredith era stata elusiva; raramente parlava della sua famiglia. «Allora, che ne pensi? Ti va di rischiare con la cucina di zia Judith?»

«In nome dei vecchi tempi?»«In nome dei vecchi amici», replicò Elena, dopo un momento

di esitazione, sorridendogli.Il ragazzo batté le palpebre e distolse lo sguardo. «Come

posso rifiutare un simile invito?», disse, con una voce stranamente smorzata. Ma quando posò la rivista e la seguì fuori, sorrideva anche lui.

Bonnie lo salutò allegramente, e quando arrivarono a casa zia Judith sembrò contenta di vederlo entrare nella cucina.

«La cena è quasi pronta», disse, prendendo la busta della

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spesa di Elena. «Robert è arrivato pochi minuti fa. Perché non ve ne andate dritti in soggiorno? Oh, prendi un'altra sedia, Elena. Con Matt siamo in sette».

«Sei, zia Judith», precisò Elena, divertita. «Tu e Robert, io e Margaret, Matt e Bonnie».

«Certo, cara, ma Robert ha portato un ospite. Si sono accomodati di là».

Elena registrò quelle parole proprio mentre varcava la soglia del soggiorno, ma la mente reagì con un istante di ritardo. Ma anche così, Elena sapeva; varcando quella soglia, sapeva cosa la stava aspettando.

Robert era in piedi, che armeggiava con una bottiglia di vino bianco, e sembrava allegro. Seduto al tavolo, al lato opposto del centrotavola autunnale con le lunghe candele accese, c'era Damon.

Elena si rese conto di essersi immobilizzata quando Bonnie andò a sbatterle contro la schiena. Allora impose alle sue gambe di muoversi. La sua mente non fu così docile; rimase paralizzata.

«Ah, Elena», disse Robert, tendendole una mano. «Questa è Elena, la ragazza di cui ti stavo parlando», disse rivolgendosi a Damon. «Elena, questo è Damon... ehm...».

«Smith», concluse Damon.«Ah, sì. Viene dal mio college, il "William and Mary", e l'ho

incontrato per caso fuori dell'emporio. Stava cercando un posto dove mangiare e l'ho invitato qui per una cenetta fatta in casa. Damon, questi sono amici di Elena, Matt e Bonnie».

«Salve», disse Matt. Bonnie rimase attonita; poi si voltò verso Elena, con gli occhi spalancati.

Elena stava cercando di controllarsi. Non sapeva se strillare, uscire in fretta dalla stanza, o gettare il bicchiere di vino che Robert stava riempiendo in faccia a Damon. Era troppo infuriata, in quel momento, per avere paura.

Matt andò a prendere una sedia nel soggiorno. Elena si meravigliò che avesse accettato con tanta disinvoltura la presenza di Damon, poi si ricordò che Matt non era andato al party di Alaric. Non sapeva cosa era successo fra Stefan e l'"ospite venuto dal college".

Bonnie, invece, sembrava sul punto di cedere al panico..

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Continuava a fissare Elena con occhi imploranti. Damon si era alzato e le stava offrendo una sedia per accomodarsi.

Prima che Elena potesse formulare una risposta, sentì la vocetta squillante di Margaret che entrava nella stanza. «Matt, vuoi vedere la mia gattina? Zia Judith dice che posso tenerla. La voglio chiamare Palla di neve».

Elena si voltò, folgorata da un'idea.«Che carina», le stava dicendo affettuosamente Matt, chinato

su quel batuffolo di pelo bianco fra le braccia di Margaret. Sembrò sorpreso quando Elena gli sfilò la gattina da sotto il naso senza tante cerimonie.

«Su, Margaret, facciamo vedere la tua gattina all'amico di Robert», disse, e spinse quel soffice fagottino contro il viso di Damon, quasi lanciandoglielo addosso.

Si scatenò l'inferno. Palla di neve drizzò il pelo fino a sembrare due volte più grossa di quel che era. Emise un suono simile a gocce d'acqua cadute su una piastra incandescente, poi diventò un ciclone ringhioso e minaccioso che graffiò Elena, allungò una zampata a Damon, e rimbalzò sulle pareti, prima di precipitarsi fuori della stanza.

Per un istante, Elena ebbe la soddisfazione di vedere gli occhi neri come la notte di Damon più spalancati del solito. Poi le palpebre si ricomposero, nascondendoli di nuovo, ed Elena si girò per osservare la reazione delle altre persone presenti nella stanza.

Margaret stava per scoppiare in un pianto dirotto. Robert stava cercando di impedirlo, sollecitandola ad andare alla ricerca del gatto. Bonnie si era appiattita contro la parete, e sembrava disperata. Matt e zia Judith, che facevano capolino dalla cucina, erano atterriti.

«Credo che il tuo fascino non funzioni con gli animali», disse a Damon, e si sedette a tavola. Fece cenno a Bonnie, che si staccò con riluttanza dalla parete e si affrettò a prendere posto prima che Damon potesse toccare una sedia. Gli occhi castani di Bonnie lo seguirono finché anche lui non si fu seduto.

Dopo qualche minuto, ricomparve Robert insieme a Margaret in lacrime, e lanciò un'occhiata di disapprovazione a Elena. Matt spinse la sua sedia sotto il tavolo in silenzio, anche se le

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sopracciglia inarcate quasi toccavano i capelli.Quando arrivò zia Judith e la cena ebbe inizio, Elena fece

correre lo sguardo da un capo all'altro del tavolo. Una foschia luminosa sembrava sospesa nella stanza, e lei provò una sensazione di irrealtà, ma la scena stessa appariva incredibilmente sana, come se fosse uscita da una pubblicità. Una famiglia media seduta a mangiare il tacchino, pensò. Una zia nubile un po' tesa, preoccupata che i pisellini siano sfatti e i panini bruciacchiati, un affabile futuro zio, una nipote adolescente con i capelli d'oro e la sua sorellina con i capelli color stoppa. Un tipico "ragazzo della porta accanto" con gli occhi azzurri, un'amica piena di brio, un bellissimo vampiro che ti passa il piatto delle patate dolci. Un tipico focolare domestico americano.

Bonnie trascorse metà della cena a telegrafare con gli occhi a Elena messaggi tipo "Cosa faccio?". Ma quando Elena le telegrafò in risposta un semplice "Niente", decise di abbandonarsi al suo destino. Cominciò a mangiare.

Elena non aveva idea di cosa fare. Essere presa in trappola in quel modo era un insulto, un'umiliazione, e Damon lo sapeva. Eppure era riuscito a conquistare zia Judith e Robert, complimentandosi per la cena e chiacchierando amabilmente del "William and Mary". Ora persino Margaret gli sorrideva, e Bonnie avrebbe ceduto quanto prima.

«La prossima settimana Fell's Church celebrerà il Founders' Day», comunicò a Damon zia Judith, le guance leggermente arrossate. «Sarebbe un vero piacere se tu potessi tornare per l'occasione».

«Ne sarei felice», disse Damon affabilmente.Zia Judith sembrò compiaciuta. «E quest'anno Elena avrà un

ruolo importante. È stata scelta per rappresentare lo Spirito di Fell's Church».

«Dovrete essere orgogliosi di lei», disse Damon.«Oh, lo siamo», disse zia Judith. «Allora farai in modo di

esserci?».Elena s'intromise nella conversazione, imburrando

energicamente un panino. «Ho avuto notizie di Vickie», disse. «Ricordi, la ragazza che è stata aggredita». Guardò

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esplicitamente Damon.Seguì un breve silenzio. Poi Damon disse: «Temo di non

conoscerla».«Oh, sono certa che ne hai avuto modo. Altezza media, occhi

castani, capelli castano chiaro... a ogni modo, sta peggiorando».«Oh, poverina», disse zia Judith.«Già, a quanto pare i dottori non sanno cosa fare. Continua a

peggiorare, come se l'attacco fosse ancora in corso». Mentre parlava, Elena tenne gli occhi fissi sul volto di Damon, ma lui mostrò solo un cortese interesse. «Qui c'è ancora un po' di ripieno», disse infine, spingendo una terrina verso di lui.

«No, grazie. Ne ho già preso un'altra porzione». Damon sollevò un cucchiaio pieno di gelatinosa salsa di mirtilli all'altezza della fiamma di una candela, in modo che la luce lo attraversasse. «Ha un colore così seducente».

Bonnie, come il resto delle persone intorno al tavolo, sollevò lo sguardo verso la fiamma della candela. Ma Elena notò che non lo abbassò. Rimase a fissare la fiamma danzante, e a poco a poco il suo viso perse ogni espressione.

Oh, no, pensò Elena, mentre un senso di inquietudine si insinuava dentro di lei. Aveva già visto quello sguardo. Tentò di richiamare l'attenzione di Bonnie, ma la ragazza sembrava non vedere altro che la candela.

«...e poi i bambini della scuola elementare mettono in scena uno spettacolo sulla storia della città», zia Judith stava dicendo a Damon. «Ma la cerimonia di chiusura è organizzata dagli studenti più grandi. Elena, quanti studenti dell'ultimo anno eseguiranno le letture?»

«Solo tre di noi». Elena dovette girarsi per rivolgersi a zia Judith, e fu mentre stava guardando il viso sorridente della zia che sentì quella voce.

«Morte».Zia Judith ansimò. Robert si fermò con la forchetta a

mezz'aria. Elena desiderò con tutta se stessa, disperatamente, che ci fosse Meredith.

«Morte», ripeté la voce. «La morte è in questa casa».Elena guardò intorno al tavolo e vide che non c'era nessuno

che potesse aiutarla. Tutti stavano fissando Bonnie, immobili

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come i soggetti di una fotografia.Bonnie continuava a fissare la fiamma della candela. Il viso

era inespressivo, gli occhi spalancati, come prima che quella voce parlasse attraverso lei. Ora, quegli occhi ciechi si volsero verso Elena. «La tua morte», disse la voce. «La morte ti aspetta, Elena. È...».

Bonnie sembrò soffocare. Poi rovinò in avanti, la faccia quasi nel piatto.

Tutti rimasero paralizzati per un istante, poi entrarono in azione. Robert saltò su dalla sedia e la afferrò per le spalle, sollevandola. La pelle della ragazza era bluastra, gli occhi chiusi. Zia Judith le si agitava intorno, tamponandole il viso con un panno bagnato. Damon osservava la scena a occhi socchiusi, meditabondo.

«Sta bene», disse Robert, guardando in su con evidente sollievo. «Credo che sia semplicemente svenuta. Sarà stato una specie di attacco isterico». Ma Elena non riuscì a respirare finché Bonnie non aprì gli occhi, ancora intontita, e chiese perché tutti la stessero fissando.

Così la cena ebbe una conclusione d'effetto. Robert insistette perché Bonnie fosse accompagnata subito a casa, e nella frenesia che seguì Elena trovò modo di bisbigliare qualcosa a Damon.

«Vattene!».Il giovane inarcò le sopracciglia. «Come?»«Ti ho detto di andartene! Ora! Vai. O dirò loro che sei tu

l'assassino».Le rivolse uno sguardo di biasimo. «Non pensi che un ospite

meriti un po' più di considerazione?», disse, ma vedendo l'espressione sul viso di Elena si strinse nelle spalle e sorrise.

«Grazie per la cena», disse ad alta voce a zia Judith, che stava portando una coperta in macchina. «Spero di poterle restituire il favore prima o poi». Rivolgendosi a Elena, aggiunse: «Ci vediamo».

Be', questo era abbastanza ovvio, pensò Elena, mentre Robert si allontanava in macchina con un malinconico Matt e un'assonnata Bonnie. Zia Judith era al telefono con la signora McCullough.

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«Non so cosa stia capitando a queste ragazze», stava dicendo. «Prima Vickie, poi Bonnie... ed Elena non è stata più la stessa ultimamente...».

Mentre la zia continuava la sua conversazione e Margaret andava in cerca della scomparsa Palla di neve, Elena camminava nervosamente per la stanza.

Avrebbe dovuto chiamare Stefan. Non c'era altro da fare. Non era preoccupata per Bonnie; le altre volte che era accaduto non sembrava aver causato danni permanenti. E Damon avrebbe avuto di meglio da fare quella sera che tormentare gli amici di Elena.

Sarebbe andato lì, a riscuotere il "favore" che le aveva fatto. Elena sapeva con certezza che era quello il significato nascosto nelle sue ultime parole. E questo significava che avrebbe dovuto raccontare tutto a Stefan, perché quella sera aveva bisogno di lui, della sua protezione.

Ma cosa poteva fare Stefan? Nonostante tutte le sue insistenze e le discussioni della precedente settimana, lui si era rifiutato di prendere il suo sangue. Aveva continuato a ripetere che i suoi Poteri sarebbero tornati anche senza, ma Elena sapeva che era ancora vulnerabile. Anche se Stefan fosse stato lì, avrebbe potuto fermare Damon? Poteva farlo senza restare ucciso a sua volta?

La casa di Bonnie non era più un rifugio. E Meredith era partita. Non c'era nessuno che potesse aiutarla, nessuno di cui fidarsi. Ma il pensiero di aspettare lì da sola quella notte, sapendo che sarebbe arrivato Damon, era insopportabile.

Sentì zia Judith riattaccare il telefono. Meccanicamente, si diresse verso la cucina, ripetendo nella mente il numero di Stefan. Poi si bloccò, e lentamente si voltò a guardare il soggiorno da cui era appena uscita.

Guardò le vetrate e l'elaborato caminetto con la cornice splendidamente decorata a volute. Questa sala era parte della casa originaria, quella che era bruciata quasi completamente durante la guerra civile. La sua camera da letto era proprio lì sopra.

Un'idea luminosa cominciava a farsi strada. Elena guardò la cornice intorno al soffitto, dove si congiungeva alla più moderna

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sala da pranzo. Poi corse verso le scale, il cuore che batteva forte.

«Zia Judith?». La zia si fermò sugli scalini. «Zia Judith, dimmi una cosa. Damon è entrato nel soggiorno?»

«Cosa?». Zia Judith batté le palpebre, perplessa.«Robert ha portato Damon nel soggiorno? Ti prego, cerca di

ricordare, zia Judith! Devo saperlo».«Perché, no, non credo. No. Sono entrati in casa e sono andati

direttamente nella sala da pranzo. Elena cosa diamine?...». Non riuscì a dire altro, perché Elena d'impulso le lanciò le braccia al collo e la strinse forte.

«Scusa, zia Judith. È solo che sono felice», disse Elena. Sorridendo, si voltò per scendere di nuovo le scale.

«Bene, sono contenta che qualcuno sia felice, visto come si è conclusa la cena. Anche se quel simpatico ragazzo, Damon, sembra essersi divertito. Lo sai, Elena, devi aver fatto colpo su di lui, nonostante il modo in cui ti sei comportata».

Elena tornò a voltarsi. «Davvero?»«Già, penso solo che dovresti concedergli un'opportunità,

tutto qui. Penso che sia molto simpatico. Il genere di giovane che vorrei vedere in questi paraggi».

Elena sgranò gli occhi per un momento, poi deglutì per trattenere una risata isterica. La zia Judith le stava suggerendo di dedicarsi a Damon invece che a Stefan... perché Damon era più affidabile. Il genere di giovane che ogni zia apprezzerebbe. «Zia Judith», cominciò, ancora senza fiato, ma poi si rese conto che era inutile. Scosse silenziosamente la testa, alzando le mani in segno di resa, e restò a guardare sua zia che saliva le scale.

Di solito Elena dormiva con la porta chiusa. Ma quella sera la lasciò aperta e si sdraiò sul letto, con gli occhi puntati sull'oscurità del corridoio. Ogni tanto lanciava un'occhiata ai numeri luminosi dell'orologio sul comodino accanto a lei.

Non c'era pericolo che si addormentasse. Col passare dei minuti, cominciò quasi a pensare che avrebbe potuto. Il tempo si trascinava con penosa lentezza. Le undici... le undici e mezzo... mezzanotte. L'una. L'una e mezzo. Le due.

Alle 2,10 sentì un rumore.

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Si mise in ascolto, restando sdraiata sul letto. Un lieve fruscio proveniva dal piano di sotto. Sapeva che lui avrebbe trovato il modo di entrare, se avesse voluto. Se Damon era deciso, nessuna serratura glielo avrebbe impedito.

La musica del sogno che aveva fatto a casa di Bonnie tintinnò nella sua mente, una manciata di malinconiche note argentine. Risvegliò dentro di lei strane sensazioni. Come se si trovasse lei stessa in un sogno, si alzò e andò ad aspettare sulla soglia della camera.

Il corridoio era buio, ma i suoi occhi avevano avuto tempo per adattarsi. Vide la sagoma più scura salire le scale. Quando arrivò in cima, notò il rapido, micidiale baluginio del suo sorriso.

Restò in attesa, col viso cupo, finché lui la raggiunse e si fermò di fronte a lei, solo un metro di pavimento di legno a dividerli. La casa era nel più assoluto silenzio. Margaret dormiva dall'altra parte del corridoio; in fondo al passaggio, zia Judith riposava avvolta nei suoi sogni, inconsapevole di quel che stava accadendo fuori della sua porta.

Damon non disse niente, ma la guardò, abbracciando con lo sguardo la lunga camicia da notte bianca con il colletto alto di pizzo. Elena l'aveva scelta perché era la più semplice che aveva, ma evidentemente Damon la trovava seducente. Si costrinse a restare ferma, in silenzio, ma aveva la bocca asciutta e il cuore batteva con tonfi sordi. Era arrivato il momento. Fra un attimo avrebbe saputo.

Fece un passo indietro, senza una parola o un gesto d'invito, lasciando libera la soglia. Vide una scintilla accendersi negli occhi impenetrabili del giovane, e lo vide avanzare impaziente verso di lei. Poi fermarsi.

Era rimasto appena fuori della sua camera, chiaramente turbato. Azzardò un altro passo ma non ci riuscì. Qualcosa sembrava impedirgli di avanzare. Sul suo volto, la sorpresa lasciò il posto alla perplessità e poi alla rabbia.

Alzò lo sguardo, gli occhi cercarono l'architrave, perlustrando il soffitto dall'altra parte della soglia. Poi, quando tutto gli fu improvvisamente chiaro, la sua bocca si schiuse in un ringhio animale.

In salvo all'interno della stanza, Elena rise sommessamente.

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Aveva funzionato.«La mia camera e il soggiorno sono tutto quel che resta della

vecchia casa», gli disse. «E, naturalmente, quella era un'abitazione diversa. Una in cui non sei stato invitato, e mai lo sarai».

Il torace del giovane si alzava e abbassava in respiri rabbiosi, le narici dilatate, gli occhi sconvolti. Emanava ondate di furia cieca. Sembrava che avesse voluto buttare giù le pareti con le sue stesse mani, contratte convulsamente in un accesso d'ira.

L'esultanza e il sollievo diedero le vertigini a Elena. «È meglio che te ne vai, adesso», disse. «Qui non c'è niente per te».

Un attimo dopo, Damon la fulminò con uno sguardo minaccioso, poi si voltò. Ma non si diresse verso le scale. Fece un passo attraverso il corridoio e posò la mano sulla porta della camera di Margaret.

Elena si mosse prima di capire cosa stesse facendo. Si fermò sulla soglia e si aggrappò allo stipite della porta, respirando a fatica.

Damon girò di scatto la testa e le sorrise, un sorriso lento e crudele. Girò la maniglia senza guardare. I suoi occhi, come specchi di ebano liquido, rimasero fissi su Elena.

«A te la scelta», le disse.Lei rimase immobile, sentendo dentro di sé tutto il gelo

dell'inverno. Margaret era solo una bambina. Non lo avrebbe fatto; nessuno poteva essere un mostro tale da far del male a una bambina di quattro anni.

Ma sul volto di Damon non c'era alcuna traccia di tenerezza o di compassione. Era un predatore, un assassino, e i deboli erano la sua preda. Ripensò a quello spaventoso ringhio animale che aveva trasfigurato i suoi bei lineamenti, ed Elena sapeva che non avrebbe mai potuto abbandonare Margaret nelle sue mani.

Tutto sembrava svolgersi al rallentatore. Guardò la mano di Damon posata sulla maniglia; guardò quegli occhi spietati. Stava già superando la soglia della camera, lasciando dietro di sé l'unico luogo sicuro che conosceva.

La morte è in questa casa, aveva detto Bonnie. E adesso Elena era andata incontro alla morte di sua spontanea volontà. Chinò latesta per nascondere le lacrime di impotenza che le riempivano

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gli occhi. Era stato tutto inutile. Damon aveva vinto. Non alzò lo sguardo quando avanzò verso di lei. Ma sentì l'aria che le si muoveva intorno, facendola rabbrividire. E poi fu avvolta da una leggera, infinita oscurità, che la circondò come le ali di un grande uccello.

13Elena si svegliò di colpo, sollevò le palpebre pesanti. La luce

filtrava lungo i bordi delle tende. Muoversi le risultò faticoso, così rimase sdraiata sul letto, cercando di mettere insieme i pezzi di quel che era accaduto la notte prima.

Damon. Damon era andato lì e aveva minacciato Margaret. E così Elena era andata da lui. Damon aveva vinto.

Ma perché non aveva completato l'opera? Sollevò debolmente una mano per toccarsi il lato del collo, sapendo già cosa avrebbe trovato. Sì, erano lì: due piccole punture, doloranti e sensibili al tatto.

Eppure era ancora viva. Si era fermato prima di mantenere la sua promessa. Perché?

I suoi ricordi delle ultime ore erano confusi e indistinti. Soltanto dei frammenti erano chiari. Gli occhi di Damon che si abbassavano a guardarla, occupando tutto il suo mondo. La puntura lancinante sulla gola. E, dopo, Damon che apriva la sua camicia, il suo sangue che sgorgava da un piccolo taglio sul collo.

Le aveva fatto bere il suo sangue. Se fatto era la parola giusta. Non si ricordava di aver opposto alcuna resistenza o di aver provato alcuna repulsione. In quel momento, lo aveva desiderato.

Ma non era morta, né gravemente indebolita. Non l'aveva trasformata in un vampiro. Ed era questo che non riusciva a capire.

Lui non aveva regole morali, né una coscienza, ripeté a se stessa. Quindi non era stata certo la pietà a fermarlo. Probabilmente vuole soltanto prolungare il gioco, farti soffrire ancora prima di ucciderti. O forse vuole che tu diventi come

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Vickie, con un piede nel regno delle ombre e uno in quello della luce. E farti impazzire lentamente.

Una cosa era sicura: non sarebbe stata così sciocca da credere che fosse stata una gentilezza da parte sua. Damon non era capace di gentilezza. O di preoccuparsi per qualcuno che non fosse se stesso.

Spinse da parte il lenzuolo e si alzò dal letto. Sentì zia Judith andare su e giù lungo il corridoio. Era lunedì mattina, e lei doveva prepararsi per andare a scuola.

27 novembre, mercoledìCaro diario,è inutile fingere di non essere spaventata, perché lo sono. Domani è il

Giorno del Ringraziamento, e due giorni dopo sarà il Founders' Day. E ancora non ho trovato un modo per fermare Caroline e Tyler.

Non so cosa fare. Se non riesco a recuperare il mio diario, Caroline lo leggerà davanti a tutti. E avrà l'occasione ideale per farlo: è una dei tre studenti dell'ultimo anno scelta per leggere poesie durante le cerimonie di chiusura. Scelta dal comitato scolastico, di cui è membro il padre di Tyler, dovrei aggiungere. Mi chiedo cosa penserà lui quando sarà tutto finito.

Ma che differenza può fare? A meno che non riesca a escogitare un piano, quando tutto sarà finito niente avrà più importanza. E Stefan non ci sarà più, scacciato dalla città dai bravi cittadini di Fell's Church. O morto, se non recupera un po' dei suoi Poteri. E se lui muore, morirò anch'io. È così semplice.

Quindi devo trovare il modo di riprendere il diario. Devo.Ma non posso.Lo so, stai aspettando che lo dica. Esiste un modo per prendere il mio

diario... il modo di Damon. Tutto quel che ho bisogno di fare è accettare le sue condizioni.

Ma tu non sai quanto mi spaventi. Non solo perché Damon mi spaventa, ma perché ho paura di quel che accadrà se io e lui stiamo di nuovo insieme. Ho paura di quel che succederà a me... e a me e Stefan.

Non posso più parlarne. È troppo sconvolgente. Mi sento così confusa e smarrita e sola. Non c'è nessuno a cui possa rivolgermi o con cui parlare. Nessuno che forse potrebbe capire.

Cosa farò?

28 novembre, giovedì, ore 23,30Caro diario,oggi le cose sembrano più chiare, forse perché ho preso una decisione.

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È una decisione che mi terrorizza, ma è meglio dell'unica alternativa che mi viene in mente.

Racconterò tutto a Stefan.Ormai è l'unica cosa che posso fare. Sabato sarà il Founders' Day e io

non ho escogitato alcun piano. Ma forse Stefan ci riuscirà, se si rende conto di quanto la situazione sia disperata. Domani passerò l'intera giornata al pensionato, e quando sarò lì ho intenzione di raccontargli tutto quel che avrei dovuto dirgli fin dall'inizio.

Tutto. Anche riguardo a Damon.Non so cosa dirà. Nei miei sogni continuo a ricordare il suo viso. Il

modo in cui mi ha guardata, con rabbia e amarezza. Come se non mi amasse affatto. Se mi guarda così domani...

Oh, sono terrorizzata. Ho lo stomaco sottosopra. Ho toccato appena la cena del Giorno del Ringraziamento... e non riesco a stare ferma. Mi sento come se potessi andare in mille pezzi. Andare a dormire, stasera? Ah.

Ti prego, fa' che Stefan capisca. Ti prego, fa' che Stefan mi perdoni.La cosa più buffa è che volevo diventare una persona migliore per lui.

Volevo meritarmi il suo amore. Stefan ha queste idee sull'onore, su quel che è giusto e sbagliato. E adesso, quando scoprirà come gli ho mentito finora, cosa penserà di me? Riuscirà a credere che stavo solo cercando di proteggerlo? Si fiderà ancora di me?

Lo saprò domani. Oh, Dio, vorrei che fosse già domani. Non so come riuscirò a sopravvivere fino ad allora.

Elena scivolò fuori di casa senza dire a zia Judith dove stesse andando. Era stanca di raccontare bugie, ma non voleva affrontare l'agitazione che si sarebbe inevitabilmente creata se avesse detto che andava da Stefan. Da quando Damon era stato a cena da loro, zia Judith aveva parlato di lui, facendo allusioni velate, e anche più esplicite, in ogni conversazione. E Robert non era stato da meno. A volte Elena aveva pensato che fosse lui a incoraggiare zia Judith.

Si appoggiò stancamente al campanello del portone del pensionato. Dov'era la signora Flowers in quei giorni? Quando la porta finalmente si aprì, c'era Stefan.

Era vestito per uscire, con il bavero della giacca tirato su. «Ho pensato che potremmo andare a fare una passeggiata», disse.

«No». Elena fu risoluta. Non riuscì a sorridergli in modo spontaneo, così lasciò perdere. Disse: «Andiamo di sopra, Stefan, va bene? C'è qualcosa di cui dobbiamo parlare».

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Il giovane la guardò per un momento, sorpreso. Dalla sua espressione doveva trapelare qualcosa, perché il viso di Stefan si irrigidì e si rabbuiò. Fece un respiro profondo e annuì. Senza dire una parola, si voltò e le fece strada verso la sua camera.

I bauli, i cassettoni e gli scaffali erano stati rimessi da tempo al loro posto, ovviamente. Ma Elena sentì come se lo stesse notando per la prima volta. Per qualche ragione, pensò alla prima sera che era stata lì, quando Stefan l'aveva liberata dalla disgustosa stretta di Tyler. Fece scorrere lo sguardo sugli oggetti sopra il cassettone: i fiorini d'oro del XV secolo, il pugnale con l'impugnatura d'avorio, il piccolo scrigno di ferro con il coperchio incernierato. Quella sera aveva cercato di aprirlo e Stefan lo aveva chiuso di colpo.

Si voltò. Lui era in piedi accanto alla finestra, stagliandosi contro il rettangolo di cielo grigio e cupo. Ogni giorno della settimana era stato freddo e nebbioso, e anche questo non faceva eccezione. L'espressione di Stefan rifletteva il tempo all'esterno.

«Allora», disse in tono pacato, «di cosa dobbiamo parlare?».Le rimaneva un ultimo minuto per scegliere, poi Elena accettò

il rischio. Allungò una mano verso il piccolo scrigno di ferro e lo aprì.

All'interno, un nastro di seta color albicocca emanò un tenue riflesso di luce. Il suo nastro per i capelli. Le ricordò l'estate, quei giorni d'estate che ora sembravano così lontani. Lo raccolse nella mano e lo porse a Stefan.

«Di questo», disse.Stefan aveva fatto un passo in avanti quando lei aveva toccato

lo scrigno, ma ora sembrava perplesso e sorpreso. «Di quello?»«Sì. Perché io sapevo che era lì, Stefan. L'ho scoperto molto

tempo fa, un giorno che sei uscito dalla camera per qualche minuto. Non so perché volevo sapere cosa ci fosse dentro lo scrigno, ma non ho potuto resistere. Così ho trovato il nastro. E poi...». S'interruppe e si fece coraggio. «Poi l'ho scritto nel mio diario».

Stefan appariva sempre più sconcertato, come se non fosse questo quel che si aspettava. Elena cercò le parole giuste.

«L'ho scritto perché pensavo che fosse la prova che tu ti eri sempre interessato a me, abbastanza da raccoglierlo e

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conservarlo. Non ho mai pensato che potesse costituire la prova di qualcos'altro».

Poi, all'improvviso, cominciò a parlare in fretta. Gli disse di aver portato il diario a casa di Bonnie, di come era stato rubato. Gli disse dei biglietti che aveva trovato, di aver capito che era Caroline a metterli in giro. E poi, distogliendo lo sguardo e passando nervosamente fra le dita il nastro colorato, gli descrisse il piano di Tyler e Caroline.

Alla fine quasi le mancò la voce. «Da allora ho avuto così tanta paura», sussurrò, gli occhi fissi sul nastro. «Paura che tu ti arrabbiassi con me. Paura di quel che hanno intenzione di fare quei due. Solo paura. Ho cercato di recuperare il diario, Stefan, sono andata persino a casa di Caroline. Ma l'ha nascosto troppo bene. E ci ho pensato e ripensato, ma non riesco a trovare alcun modo per impedirle di leggerlo». Finalmente alzò gli occhi verso di lui. «Sono desolata».

«Devi esserlo!», le disse, facendola trasalire con la sua veemenza. Elena sentì il sangue defluire dalle guance. Ma Stefan stava ancora parlando. «Devi sentirti desolata per avermi tenuto all'oscuro di tutto quando avrei potuto aiutarti. Elena, perché non me l'hai detto?»

«Perché è tutta colpa mia. E ho fatto un sogno...». Cercò di descrivere come lui le era apparso nel sogno, l'amarezza, l'accusa nei suoi occhi. «Penso che morirei se tu mi guardassi davvero in quel modo», concluse miseramente.

Ma l'espressione con cui Stefan la stava guardando adesso era un misto di sollievo e di stupore. «Allora era questo», disse, quasi mormorando fra sé e sé. «Era questo che ti tormentava».

Elena aprì la bocca, ma lui non aveva finito. «Sapevo che c'era qualcosa che non andava. Sapevo che mi nascondevi qualcosa. Ma pensavo...». Scosse la testa, e le labbra si aprirono in un sorriso obliquo. «Ora non ha più importanza. Non volevo invadere la tua privacy. Non volevo neanche fare domande. E per tutto il tempo tu ti sei preoccupata di proteggere me».

La lingua di Elena era bloccata contro il palato. Anche le parole sembravano essersi bloccate. C'era qualcos'altro, pensò, ma non poteva dirlo, non quando gli occhi di Stefan la guardavano in quel modo, non quando aveva quella luce sul

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volto.«Quando hai detto che oggi dovevamo parlare, pensavo che

avessi cambiato idea su di me», le disse semplicemente, senza autocommiserazione. «E non ti avrei biasimata. E invece...». Scosse di nuovo la testa. «Elena», disse, e poi Elena fu fra le sue braccia.

Era così bello trovarsi lì, così giusto. Non si era mai resa contodi quanto le cose fossero andate avanti in modo sbagliato fra loro fino a quel momento, in cui tutto si era chiarito. Era questo che lei ricordava, la sensazione provata quella prima, splendida sera in cui Stefan l'aveva tenuta fra le braccia. Tutta la dolcezza e la tenerezza del mondo si raccolsero in mezzo a loro. Elena si sentì a casa, era quello il suo posto. E lo sarebbe stato per sempre.

Tutto il resto fu dimenticato.Come i primi giorni, Elena sentì che poteva quasi leggere i

pensieri di Stefan. C'era un legame fra loro, erano uno parte dell'altra. I loro cuori battevano all'unisono.

Mancava solo una cosa perché tutto fosse perfetto. Elena lo sapeva, e tirò indietro i capelli, scostandoli dal lato del collo. E questa volta Stefan non protestò né la respinse. Invece di un rifiuto, le comunicò un senso di profonda accettazione... e di profondo bisogno.

Sentimenti di amore, di piacere, di comprensione la travolsero, e con gioia incredula si rese conto che erano gli stessi di Stefan. Per un attimo, si riconobbe nei suoi occhi, e percepì quanto lui la amasse. Sarebbe stato terribile se lei non lo avesse ricambiato con la stessa profondità.

Non provò dolore quando i suoi denti le penetrarono nel collo. E non le venne in mente che, senza pensarci, gli aveva offerto il lato del collo non segnato... anche se le ferite lasciate da Damon erano ormai guarite.

Lo tenne stretto quando lui tentò di sollevare la testa. Ma lui fu irremovibile, e alla fine dovette lasciarlo andare. Tenendola ancora fra le braccia, cercò a tastoni sul cassettone il magnifico pugnale con l'impugnatura d'avorio, e con un solo rapido gesto fece sgorgare il proprio sangue.

Quando Elena sentì cedere le ginocchia, Stefan la fece sedere

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sul letto. E poi si tennero stretti, ignari del tempo che passava e di tutto il resto. Sentì che esistevano solo lei e Stefan.

«Ti amo», le disse con dolcezza.In un primo momento Elena, con la mente piacevolmente

confusa, si limitò ad accogliere quelle parole. Poi, con un brivido di tenerezza, si rese conto di quel che le aveva detto.

La amava. L'aveva sempre saputo, ma lui non l'aveva mai detto prima di allora.

«Ti amo, Stefan», gli sussurrò a sua volta. Rimase sorpresa quando lui si mosse scostandosi leggermente da lei, finché capì cosa stava per fare. Infilando la mano dentro il pullover, tirò fuori la catenina che portava al collo fin da quando l'aveva conosciuto. Alla catena era appeso un anello d'oro, finemente lavorato, tempestato di lapislazzuli.

L'anello di Katherine. Davanti agli occhi di Elena, si tolse la catenina e aprì il fermaglio, sfilando la delicata fascetta d'oro.

«Quando Katherine morì», disse, «ho pensato che non avrei mai potuto amare un'altra donna. Anche se sapevo che lei lo avrebbe desiderato per me, ero certo che non sarebbe mai potuto accadere. Ma mi sbagliavo». Esitò un momento, poi riprese a parlare.

«Ho tenuto l'anello perché era un simbolo di Katherine. Così avrei potuto conservarla nel mio cuore. Ma ora vorrei che fosse simbolo di qualcos'altro». Esitò ancora, quasi timoroso di incontrare il suo sguardo. «Considerando come stanno le cose, non ho alcun diritto di chiedertelo. Ma, Elena...». Per qualche istante cercò di finire il discorso, ma poi rinunciò, cercando silenziosamente i suoi occhi.

Elena non riusciva a parlare. Quasi a respirare. Ma Stefan interpretò male il suo silenzio. La speranza nei suoi occhi si spense, e distolse lo sguardo.

«Hai ragione», le disse. «È assolutamente impossibile. Ci sono troppe difficoltà... a causa mia. Per ciò che sono. Nessuna come te dovrebbe legarsi a uno come me. Non avrei dovuto neanche proporti...».

«Stefan!», intervenne Elena. «Stefan, se stai zitto un momento...».

«...quindi dimentica quel che ti ho detto...».

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«Stefan!», ripeté. «Stefan, guardami».Lentamente, obbedì, girandosi verso di lei. La guardò negli

occhi, e quell'aria di severa autocondanna svanì dal suo viso, per lasciare il posto a uno sguardo che fece mancare il respiro a Elena. Poi, sempre misurando ogni gesto, prese la mano che lei gli stava porgendo. Mentre si guardavano negli occhi, le infilò l'anello al dito.

Era della sua misura, come se fosse stato creato per lei. L'oro proiettò bagliori vivaci nella luce e la pietra brillò di un blu intenso, come un lago limpido circondato da neve intatta.

«Dobbiamo tenerlo nascosto per un po'», disse, avvertendo il tremito nella sua voce. «A zia Judith prenderà un colpo se scopre che mi sono fidanzata prima di diplomarmi. Ma la prossima estate compirò diciotto anni, e non potrà fermarci».

«Elena, sei sicura che è questo che desideri? Non sarà facile vivere insieme a me. Sarò sempre diverso da te, per quanto possa sforzarmi. Se mai vorrai cambiare idea...».

«Finché mi amerai, non cambierò mai idea».La prese di nuovo fra le braccia, e lei si sentì avvolgere da un

senso di pace e di appagamento. Ma c'era ancora un timore che le rodeva come un tarlo nella testa.

«Stefan, riguardo a domani... se Caroline e Tyler mettono in pratica il loro piano, non avrà importanza che io cambi idea o meno».

«Allora dovremo solo assicurarci che non lo mettano in pratica. Se Bonnie e Meredith mi daranno una mano, penso di poter trovare un modo per riprendere il diario da Caroline. Ma anche se non ci riesco, non scapperò. Non ti lascerò, Elena; intendo restare e lottare».

«Ma ti faranno del male, Stefan. Non posso sopportarlo».«E io non posso lasciarti. Siamo d'accordo. Lascia che mi

preoccupi io del resto; troverò il modo. E se non... be', costi quel che costi, resterò con te. Staremo insieme».

«Staremo insieme», ripeté Elena, e appoggiò la testa sulla sua spalla, felice di smettere di pensare per un po' e di poter semplicemente esistere.

29 novembre, venerdì

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Caro diario,è tardi ma non riesco a dormire. Sembra che non abbia più bisogno di

dormire tanto come prima.Ci siamo, domani è il gran giorno.Questa sera abbiamo parlato con Bonnie e Meredith. Il piano di Stefan

è semplicissimo. Il punto è che non importa dove Caroline abbia potuto nascondere il diario, domani lo dovrà tirare fuori per portarlo con sé. Ma le nostre letture sono l'ultimo punto del programma, e lei prima dovrà partecipare alla sfilata e a tutto il resto. Nel frattempo, dovrà sistemare il diario da qualche parte. Quindi, se noi non la perdiamo d'occhio dal momento in cui esce di casa fino a quando salirà sul palco, dovremmo riuscire a vedere dove lo nasconderà. E dal momento che lei non immagina neanche che noi abbiamo dei sospetti, non starà in guardia.

Ed è a quel punto che lo recupereremo.Il motivo per cui il piano avrà successo è che tutti quelli che

parteciperanno al programma indosseranno abiti d'epoca. La signora Grimesby, la bibliotecaria, ci aiuterà a mettere i nostri vestiti del XIX secolo prima della sfilata, e nessuno potrà indossare o portare con sé niente che non sia parte del costume. Né borse, né zaini, né diari! Caroline dovrà lasciarlo prima o poi.

La sorveglieremo a turno. Bonnie aspetterà fuori casa di Caroline per vedere cosa si porterà quando uscirà. Io la terrò d'occhio durante la vestizione a casa della signora Grimesby. Poi, durante la sfilata, Stefan e Meredith entreranno nella casa – o nella macchina dei Forbes, se è lì il posto in cui ha lasciato il diario – e completeranno l'opera.

Non vedo come possa fallire. E non so dirti quanto mi senta meglio. È così bello poter condividere questo problema con Stefan. Ho imparato la lezione: non gli nasconderò più niente.

Domani indosserò l'anello. Se la signora Grimesby mi chiederà qualcosa, le dirò che è addirittura più antico del XIX secolo, che risale al Rinascimento italiano. Non vedo l'ora di vedere la sua faccia quando glielo dirò.

Ora è meglio che cerco di dormire un po'. Spero di non sognare.

14Bonnie tremava dal freddo, in attesa fuori dell'alto edificio

vittoriano. Quella mattina l'aria era gelida, e sebbene fossero già le otto il sole tardava ancora a farsi vedere. Il cielo era un unico, fitto banco di nubi bianche e grigie, che lasciavano filtrare una strana luce crepuscolare.

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Stava battendo i piedi e sfregandosi le mani per scaldarsi, quando il portone dei Forbes si aprì. Bonnie indietreggiò di poco dietro i cespugli che aveva scelto come rifugio, e rimase a osservare la famiglia che si dirigeva verso la macchina. Il signor Forbes aveva con sé solo una macchina fotografica. La signora Forbes una borsetta e una sedia pieghevole. Daniel Forbes, il fratello minore di Caroline, portava un'altra sedia. E Caroline...

Bonnie si sporse in avanti, il respiro le uscì in un sibilo di soddisfazione. Caroline indossava un paio di jeans e un pullover pesante, e aveva in mano una specie di sacca bianca chiusa con un cordoncino. Non molto grande, ma quanto bastava per contenere un piccolo diario.

Esultante per la riuscita dell'impresa, Bonnie aspettò dietro il cespuglio che la macchina si allontanasse. Poi si diresse verso l'angolo fra Thrush Street e Hawthorne Drive.

«Qui, zia Judith. All'angolo».La macchina rallentò fino a fermarsi, e Bonnie scivolò sul

sedile posteriore accanto a Elena.«Ha con sé una sacca bianca chiusa con un cordoncino»,

bisbigliò nell'orecchio di Elena appena zia Judith ripartì.Un fremito di eccitazione attraversò Elena, che strinse la mano

di Bonnie. «Bene», sussurrò. «Ora vediamo se la porta in casa della signora Grimesby. Altrimenti, di' a Meredith che deve essere nella macchina».

Bonnie fece un cenno di assenso e ricambiò la stretta di Elena.Arrivarono a casa della signora Grimesby appena in tempo per

vedere Caroline entrare con una sacca bianca appesa al braccio. Bonnie ed Elena si scambiarono un'occhiata. Ora toccava a Elena vedere dove Caroline l'avrebbe posata all'interno della casa.

«Scendo anch'io qui, signorina Gilbert», disse Bonnie quando Elena saltò giù dalla macchina. Avrebbe atteso fuori insieme a Meredith finché Elena fosse stata in grado di dire loro dove era la borsa. L'importante era non permettere che Caroline sospettasse qualcosa.

La signora Grimesby, che aprì la porta a Elena, era la bibliotecaria di Fell's Church. Anche la sua casa sembrava una

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biblioteca: c'erano scaffali ovunque e libri accatastati sul pavimento. Era anche la custode dei manufatti storici di Fell's Church, inclusi gli abiti che erano stati conservati sin dalla nascita della città.

In quel preciso momento la casa risuonava di voci giovanili, e le camere da letto erano piene di studenti impegnati a spogliarsi dei propri vestiti. La signora Grimesby vigilava sempre sui costumi per lo spettacolo rievocativo. Elena stava per chiedere di essere messa nella stanza insieme a Caroline, ma non fu necessario. La signora Grimesby la stava già accompagnando dentro la camera.

Caroline, nella sua elegante biancheria, rivolse a Elena quel che voleva indubbiamente essere uno sguardo noncurante, ma Elena colse la velenosa esultanza che nascondeva. Tenne gli occhi abbassati sulla pila di indumenti che la signora Grimesby stava raccogliendo dal letto.

«Ecco, Elena. Uno dei nostri capi meglio conservati... e tutto autentico, persino i nastri. Pensiamo che questo abito sia appartenuto a Honoria Fell».

«È meraviglioso», disse Elena, mentre la signora Grimesby distendeva le pieghe della leggera stoffa bianca. «Che tessuto è?»

«Mussola della Moravia e garza di seta. Visto che oggi fa piuttosto freddo, puoi indossarci sopra questa giacca di velluto». La bibliotecaria indicò un capo color rosa polvere appeso allo schienale di una sedia.

Quando cominciò a cambiarsi d'abito, Elena lanciò un'occhiata furtiva a Caroline. Sì, la sacca c'era, ai piedi di Caroline. Considerò se poteva afferrarla, ma la signora Grimesby era già rientrata nella camera.

L'abito in mussola era molto semplice, la stoffa vaporosa era fermata sotto il seno da un nastro di un rosa pallido. Le maniche leggermente a sbuffo arrivavano al gomito ed erano fermate con un nastro dello stesso colore. Le linee dei modelli agli inizi del XIX secolo erano abbastanza morbide da adattarsi a una ragazza del XX secolo – almeno se era snella. Elena sorrise quando la signora Grimesby la portò davanti allo specchio.

«Davvero è appartenuto a Honoria Fell?», chiese, pensando

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alla figura marmorea della dama distesa sulla tomba nella chiesa diroccata.

«Così si dice, comunque», rispose la signora Grimesby. «Lei parla di un abito come questo nel suo diario, quindi possiamo esserne sicuri».

«Teneva un diario?». Elena trasalì.«Oh, sì. Lo conservo in una scatola nel soggiorno; te lo

mostrerò mentre usciamo. Ora, per la giacca... oh, che cos'è?».Qualcosa di viola fluttuò sul pavimento quando Elena prese in

mano la giacca.L'espressione sul suo viso si irrigidì. Afferrò il biglietto prima

che la signora Grimesby avesse il tempo di chinarsi, e lo lesse di sfuggita.

Una sola riga. Si ricordò di averla scritta sul suo diario il 4 settembre, il primo giorno di scuola. Solo che dopo averla scritta l'aveva cancellata con un tratto di penna. Le parole sul foglio non erano cancellate, erano chiare e marcate.

Oggi succederà qualcosa di terribile.

Elena riuscì a stento a trattenersi dal saltare addosso a Caroline agitandole il foglio davanti alla faccia. Ma così avrebbe rovinato tutto. Si costrinse a mantenere la calma, mentre accartocciava il pezzetto di carta e lo gettava nel cestino.

«È solo cartaccia», disse, e tornò a guardare la signora Grimesby, irrigidendo le spalle. Caroline non disse niente, ma Elena sentì i suoi occhi verdi esultanti che si posavano su di lei.

Ti faccio vedere io, pensò. Appena riavrò il diario. Lo brucerò, e poi io e te faremo quattro chiacchiere.

Rivolta alla signora Grimesby, disse: «Sono pronta».«Anche io», disse Caroline in tono falsamente modesto. Elena

adottò uno sguardo di fredda indifferenza quando passò in rassegna l'altra ragazza. L'abito verde pallido di Caroline con lunghe fasce verdi e bianche non era affatto grazioso quanto il suo.

«Splendido. Voi ragazze andate avanti e aspettate che vi vengano a prendere. Oh, Caroline, non dimenticare la tua borsetta a rete».

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«No, certo», disse Caroline, sorridendo, e allungò la mano verso la sacca ai suoi piedi.

Fu una fortuna che da quella posizione non poté vedere il viso di Elena, perché in quell'istante l'espressione di fredda indifferenza si infranse in mille pezzi. Elena restò a fissare, come stordita, Caroline che legava la borsa alla cintura.

Il suo stupore non sfuggì alla signora Grimesby. «Quella è una borsetta a rete, l'antenata delle nostre borse moderne», le spiegò gentilmente l'anziana signora. «Le dame usavano riporvi i guanti e il ventaglio. Caroline è passata a prenderla all'inizio della settimana così ha potuto riparare le guarnizioni di perline... davvero carino da parte sua».

«Davvero carino», riuscì a dire Elena con voce strozzata. Doveva uscire di lì o qualcosa di terribile sarebbe successo in quel preciso istante. Stava per gridare – o stendere a terra Caroline – o esplodere. «Ho bisogno di un po' d'aria fresca», disse. Fuggì da quella stanza e da quella casa, precipitandosi fuori.

Bonnie e Meredith la aspettavano nella macchina di Meredith. Il cuore di Elena batteva in modo strano quando raggiunse le amiche e infilò la testa nel finestrino.

«È stata più furba di noi», disse semplicemente. «Quella borsa fa parte del costume, e la indosserà per tutto il giorno».

Bonnie e Meredith la fissarono con gli occhi sgranati, poi si scambiarono lo stesso sguardo attonito.

«Ma... allora, cosa facciamo?», domandò Bonnie.«Non lo so». Con doloroso sgomento, alla fine ne prese

coscienza. «Non lo so!».«Possiamo continuare a tenerla d'occhio. Magari si toglierà la

borsa a pranzo o qualcosa del genere...». Ma il tono di Meredith non sembrò convincente. Conoscevano tutte la verità, pensò Elena, e la verità era che non c'era speranza. Avevano perso.

Bonnie guardò nello specchietto retrovisore, poi si girò sul sedile. «È la tua carrozza».

Elena si volse. Due cavalli bianchi tiravano lungo la strada un calesse abilmente restaurato. Carta crespa era infilata fra i raggi delle ruote, alcune felci decoravano i sedili, e un grande striscione sulla fiancata proclamava: «Lo Spirito di Fell's

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Church».Elena ebbe solo il tempo di lanciare un ultimo disperato

messaggio. «Tenetela d'occhio», disse. «E se mai ci sarà un momento in cui è sola...». Poi dovette andare.

Ma nel corso di quella lunga, terribile mattinata, non ci fu mai un momento in cui Caroline rimase da sola. Era circondata da una folla di spettatori.

Per Elena, la sfilata fu un'autentica tortura. Seduta nel calesse accanto al sindaco e a sua moglie, cercava di sorridere, di sembrare normale. Ma il sordo terrore che provava era come un peso che le schiacciava il petto.

Da qualche parte davanti a lei, fra le bande in marcia e le squadre di majorette e le decapottabili, c'era Caroline. Elena si era dimenticata di informarsi su quale fosse il suo carro. Forse il primo carro della scuola; sarebbe stato pieno di bambini in costume.

Non aveva importanza. Dovunque fosse stata Caroline, avrebbe avuto addosso gli occhi di mezza città.

Il pranzo che fece seguito alla sfilata si svolse nella mensa della scuola superiore. Elena era bloccata a un tavolo con il sindaco Dawley e sua moglie. Caroline era a un tavolo vicino; Elena riusciva a vedere la sua lucida chioma castano dorato. E seduto accanto a lei, spesso incombente su di lei in modo possessivo, c'era Tyler Smallwood.

Elena si trovò nella posizione ideale per seguire il piccolo dramma che si svolse a circa metà del pranzo. Il cuore le balzò in gola quando vide Stefan, con fare disinvolto, passare accanto al tavolo di Caroline.

Si era rivolto a Caroline. Elena continuò a guardare, dimenticandosi persino di giocherellare con il cibo ancora intatto davanti a lei. Ma quel che vide dopo fece crollare ogni speranza. Caroline aveva scosso i capelli e risposto brevemente qualcosa a Stefan, poi si era rivolta di nuovo verso il piatto. E Tyler si era alzato minacciosamente in piedi, il viso arrossato mentre faceva un gesto rabbioso. Non si mise seduto finché Stefan non si fu allontanato.

Stefan guardò in direzione di Elena, e per un attimo i loro occhi s'incontrarono in un'intimità senza parole.

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Quindi non aveva potuto fare nulla. Anche se aveva recuperato i suoi Poteri, Tyler l'avrebbe tenuto lontano da Caroline. Ormai il peso che le opprimeva il petto le impediva quasi di respirare.

Dopo quell'episodio, rimase seduta in una nebbia di sconforto e di disperazione, finché qualcuno si avvicinò per dirle che era ora di andare dietro le quinte.

Ascoltò senza alcun interesse il discorso di benvenuto del sindaco Dawley. Parlò del periodo che aveva messo a dura prova Fell's Church di recente, e dello spirito della comunità che li aveva sostenuti negli ultimi mesi. Poi furono consegnate le borse di studio, i premi per meriti sportivi e per i servizi prestati alla comunità. Matt salì sul palco per ricevere il premio come Miglior Atleta Maschile dell'Anno, ed Elena lo vide guardare verso di lei con curiosità.

Poi fu la volta dello spettacolo rievocativo. I bambini della scuola elementare ridacchiarono, s'impappinarono e si dimenticarono le battute mentre rappresentavano le scene della fondazione di Fell's Church durante la guerra civile. Elena guardò lo spettacolo senza seguirlo. Dalla sera prima si era sentita lievemente stordita e turbata, e ora si sentiva come se stesse covando un'influenza. Il suo cervello, di solito pieno di schemi e di calcoli, era vuoto. Non riusciva più a pensare. Quasi non riusciva più a preoccuparsi.

Lo spettacolo si concluse fra lampi di flash e scrosciare di applausi. Quando l'ultimo soldatino confederato fu sceso dal palco, il sindaco Dawley chiese di fare silenzio.

«E ora», disse, «gli studenti che si esibiranno nelle cerimonie di chiusura. Vi prego di mostrare il vostro apprezzamento per lo Spirito dell'Indipendenza, lo Spirito della Lealtà e lo Spirito di Fell's Church!».

L'applauso fu ancora più assordante. Elena era in piedi accanto a John Clifford, il brillante studente dell'ultimo anno cheera stato scelto per rappresentare lo Spirito dell'Indipendenza. A fianco di John, dall'altra parte, c'era Caroline. In modo distaccato, quasi apatico, Elena notò che Caroline aveva un aspetto magnifico: il mento sollevato, gli occhi splendenti, le guance leggermente arrossate.

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Toccò per primo a John, che sistemò gli occhiali e il microfono prima di leggere da un voluminoso libro marrone posto sul leggio. Ufficialmente, gli studenti dell'ultimo anno erano liberi di scegliere i brani da leggere; in pratica, proponevano quasi sempre componimenti di M. C. Marsh, l'unico poeta nato a Fell's Church.

Per tutto il tempo che John proseguì nella lettura, Caroline non fece altro che metterlo in ombra. Sorrideva al pubblico; scuoteva i capelli; soppesava la borsetta di rete appesa alla cintura. Le sue dita accarezzarono amorevolmente la sacca, ed Elena si ritrovò a fissarla, come ipnotizzata, imprimendosi nella memoria ogni perlina.

John fece un inchino e riprese il suo posto accanto a Elena. Caroline raddrizzò le spalle e avanzò verso il leggio con andatura da top model.

Questa volta all'applauso si mescolarono i fischi. Ma Caroline non sorrise; aveva assunto un'aria di tragica responsabilità. Con squisito tempismo, attese che nella sala calasse un silenzio perfetto prima di iniziare a parlare.

«Avevo pensato di leggervi una poesia di M. C. Marsh, oggi», esordì, nel silenzio pieno di aspettative, «ma non lo farò. Perché leggere questo – sollevò il volume di poesie del XIX secolo – quando c'è qualcosa di molto più... rilevante... in un libro che ho trovato per caso?».

Che hai rubato per caso, vorrai dire, pensò Elena. Con gli occhi, cercò fra i volti nella folla, e individuò Stefan. Era in piedi verso il fondo della sala, con Bonnie e Meredith ai due lati, come per proteggerlo. Poi Elena notò qualcos'altro. Tyler, insieme a Dick e altri ragazzi, era fermo solo pochi metri dietro di lui. Quei ragazzi avevano giù superato l'età delle scuole superiori, e sembravano tipi duri, ed erano in cinque.

Vai, pensò Elena, cercando di nuovo gli occhi di Stefan. Voleva che lui capisse cosa gli stava dicendo. Vai, Stefan; ti prego, esci prima che accada. Vai adesso.

Lievemente, quasi in modo impercettibile, Stefan scosse la testa.

Caroline infilò le dita dentro la borsa, come se non potesse aspettare oltre. «Quello che vi leggerò riguarda la Fell's Church

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di oggi, non di cento o duecento anni fa», stava dicendo, infervorandosi in una sorta di febbrile esultanza. «È importante adesso, perché riguarda qualcuno che vive in questa città, in mezzo a noi. Infatti si trova qui in questa sala».

Tyler doveva aver scritto quel discorso per lei, concluse Elena. Il mese precedente, nella palestra, aveva dimostrato di avere quasi un dono per quel genere di cose. Oh, Stefan, Stefan, ho paura... Quando Caroline affondò la mano nella borsetta, Elena non riuscì più a pensare razionalmente.

«Credo che capirete cosa intendo dire quando ascolterete questo», disse Caroline, e con un gesto rapido tirò fuori dalla borsetta un libro con la copertina di velluto e lo tenne sollevato con fare drammatico. «Credo che chiarirà molti degli eventi accaduti di recente a Fell's Church». Con il respiro leggermente affrettato, spostò lo sguardo dal pubblico ammaliato al libro che teneva in mano.

Elena aveva quasi perso conoscenza quando Caroline si accinse ad aprire il diario. Scintille luminose si affollarono ai margini del suo campo visivo. Il senso di vertigine aumentò precipitosamente, ormai sul punto di sopraffarla, quando Elena notò qualcosa. Dovevano essere i suoi occhi. Le luci del palco e i lampi dei flash li avevano abbagliati. Di certo sarebbe svenuta da un momento all'altro; non doveva meravigliarsi se non riusciva a vedere bene.

Il libro nelle mani di Caroline era verde, non blu.Forse sto diventando pazza... o questo è un sogno... o forse è

l'inganno delle luci. Ma guarda la faccia di Caroline!Caroline, con la bocca contratta, stava fissando il libro con la

copertina di velluto. Sembrava essersi dimenticata completamente del pubblico. Continuava a girare e rigirare il diario, esaminandolo da ogni lato. I suoi gesti si fecero convulsi. Ficcò una mano nella borsa a rete, come se sperasse in qualche modo di trovarvi qualcos'altro. Poi lanciò uno sguardo disperato sul palco intorno a sé, come se stesse cercando qualcosa caduto sul pavimento.

Il pubblico mormorava, sempre più impaziente. Il sindaco Dawley e il preside della scuola superiore espressero l'un l'altro la propria disapprovazione a labbra strette.

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Non avendo trovato niente sul pavimento, Caroline stava fissando di nuovo il libricino. Ma ora lo guardava come se fosse uno scorpione. Con un gesto improvviso, lo aprì e guardò all'interno, come se la sua ultima speranza fosse quella di vedere la copertina cambiata e che le parole scritte fossero quelle di Elena.

Poi sollevò lentamente lo sguardo dal libro, e lo direzionò sulla sala gremita.

Era sceso di nuovo il silenzio, e sembrò dilatarsi all'infinito, mentre ogni sguardo rimaneva fisso sulla ragazza con il vestito verde pallido. Poi, con un suono inarticolato, Caroline si girò di scatto e lasciò il palco facendo risuonare un rumore di tacchi. Tirò qualcosa contro Elena, mentre le passava accanto, il viso ridotto a una maschera di odio e di rabbia.

Delicatamente, con la sensazione di galleggiare nell'aria, Elena si piegò a raccogliere l'oggetto con cui Caroline aveva tentato di colpirla.

Il diario di Caroline.La scena si movimentò intorno a Elena, mentre alcune persone

correvano dietro a Caroline, e il pubblico esplodeva in commenti, supposizioni, discussioni. Elena trovò Stefan. Aveva l'aria di chi sta per cedere all'esultanza. Ma anche lui sembrava sconcertato quanto lei. Lo stesso valeva per Bonnie e Meredith. Quando lo sguardo di Stefan incrociò il suo, Elena provò un impeto di gioia e di gratitudine, ma l'emozione prevalente era di sgomento.

Era stato un miracolo. Al di là di ogni speranza, erano stati liberati. Erano salvi.

Ma poi i suoi occhi individuarono un'altra testa scura in mezzo alla folla.

Damon era appoggiato... no, abbandonato pigramente... contro la parete nord della sala. Le labbra erano incurvate in un mezzo sorriso, e il suo sguardo sfrontato incontrò quello di Elena.

Il sindaco Dawley era accanto a lei e la esortava a raggiungere il fronte del palco, per cercare di calmare la folla e di ripristinare l'ordine. Non servì a nulla. Elena lesse i suoi brani con voce assente a un gruppo di persone che continuarono a chiacchierare senza prestarle la minima attenzione. Anche lei non stava

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prestando la minima attenzione a quello che faceva; non aveva alcuna percezione delle parole che stava leggendo. Ogni tanto guardava in direzione di Damon.

Alla fine, ci fu un applauso, sporadico e distratto, e il sindaco annunciò gli eventi che sarebbero seguiti nel pomeriggio. E poi tutto finì, ed Elena fu libera di andare.

Fluttuò giù dal palco senza alcuna consapevolezza di dove stesse andando, ma le gambe la portavano verso la parete nord. La testa scura di Damon scomparve fuori della porta laterale e lei la seguì.

L'aria nel cortile sembrò piacevolmente fresca dopo essere stata in quella sala affollata, e il cielo era un turbine di nuvole argentee. Damon la stava aspettando.

Rallentò il passo ma non si fermò. Avanzò fino a trovarsi a pochi centimetri da lui, scrutando l'espressione sul suo volto.

Ci fu un lungo momento di silenzio, poi Elena disse: «Perché?»

«Pensavo fossi più interessata a sapere come». Si diede un colpetto sulla giacca in modo eloquente. «Questa mattina sono stato invitato a prendere un caffè dopo aver fatto conoscenza la scorsa settimana».

«Ma perché?».Si strinse nelle spalle, e per un solo istante qualcosa di simile

alla costernazione sfiorò i suoi lineamenti finemente disegnati. Elena ebbe l'impressione che neanche lui sapesse il perché, o non volesse ammetterlo.

«Per scopi personali», disse.«Non credo». Qualcosa stava prendendo forma fra loro,

qualcosa che terrorizzava Elena per la sua forza. «Non credo affatto che sia questa la ragione».

Una luce pericolosa balenò negli occhi scuri.«Non mi provocare, Elena».La ragazza si mosse in avanti, arrivando quasi a toccarlo, e lo

guardò. «Credo», disse, «che forse hai bisogno di essere provocato».

Il viso di Damon era solo a pochi centimetri dal suo, ed Elena non seppe mai cosa sarebbe potuto accadere se in quel momento una voce non li avesse interrotti.

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«Ci sei riuscito, alla fine! Sono così felice!».Era zia Judith. Elena sentì come se qualcuno la strappasse a

un mondo per gettarla in un altro. Batté le palpebre, stordita, e mentre indietreggiava, liberò un respiro che non si era accorta di trattenere.

«E così sei venuto ad ascoltare Elena leggere», continuò allegramente zia Judith. «Hai fatto uno splendido lavoro, Elena, ma non so cosa sia successo a Caroline. Ultimamente le ragazze di questa città sembrano tutte vittime di un sortilegio».

«I nervi», suggerì Damon, con espressione solenne. Elena ebbe voglia di ridacchiare, ma poi provò un'ondata di irritazione. Era più che giusto essergli grata per averli salvati, ma senza Damon non ci sarebbe stato alcun problema. Lui aveva commesso quei crimini che Caroline voleva attribuire a Stefan.

«E dov'è Stefan?», disse, dando voce al suo pensiero. Aveva visto Bonnie e Meredith nel cortile, da sole.

Il viso di zia Judith mostrò il suo disappunto. «Non l'ho visto», rispose bruscamente. Poi sorrise amorevolmente. «Ma ho un'idea; perché non vieni a cena con noi, Damon? E dopo tu ed Elena potreste...».

«Fermati!», Elena gridò a Damon. Lui assunse un'espressione garbatamente interrogativa.

«Cosa?», disse zia Judith.«Fermati!», Elena ripeté a Damon. «Tu sai perché. Fermati

immediatamente!».

15«Elena, non essere scortese!». Zia Judith si arrabbiava in rare

occasioni, ma ora era una di quelle. «Sei troppo grande per comportarti in questo modo».

«Non è scortesia! Tu non capisci...».«Capisco perfettamente. Ti stai comportando come quella

volta che Damon è venuto a cena. Non pensi che un ospite meriti un po' più di considerazione?».

Elena fu pervasa da un senso di frustrazione. «Non sai neanche di cosa stai parlando», disse. Era davvero troppo.

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Sentire le parole di Damon uscire dalla bocca di zia Judith... era insopportabile.

«Elena!». Chiazze rosse cominciavano a delinearsi sulle guance della zia. «Mi vergogno di te! E devo dire che questo comportamento infantile è venuto fuori da quando esci con quel ragazzo».

«Oh, "quel ragazzo"». Elena guardò Damon con astio.«Sì, quel ragazzo!», ripeté zia Judith. «Da quando hai perso la

testa per lui sei una persona diversa. Irresponsabile, reticente... e insolente! Ha avuto una cattiva influenza su di te sin dall'inizio, e io non sono disposta a tollerarlo ulteriormente!».

«Oh, davvero?». Elena aveva la sensazione di rivolgersi allo stesso tempo a Damon e alla zia, e faceva correre lo sguardo dall'uno all'altra. Tutte le emozioni che aveva represso negli ultimi giorni – nelle ultime settimane, negli ultimi mesi, da quando Stefan era entrato nella sua vita – stavano affiorando. Era come un'onda che saliva dentro di lei, e sulla quale non aveva alcun controllo.

Si accorse che stava tremando. «Bene, è davvero un peccato perché lo dovrai tollerare a lungo. Non ho alcuna intenzione di lasciare Stefan, per nessuno. E di certo non per lui!». Si riferiva a Damon, ma zia Judith restò senza fiato.

«Adesso basta!», s'intromise Robert. Era comparso insieme a Margaret, scuro in viso. «Signorina, se questo è il modo in cui quel ragazzo ti incoraggia a rivolgerti a tua zia...».

«Lui non è "quel ragazzo"!». Elena fece un altro passo indietro, così da poterli vedere tutti in faccia. Stava dando spettacolo, tutti nel cortile la stavano guardando. Ma non gliene importava. Aveva tenuto a freno i suoi sentimenti per così tanto tempo, confinando tutta l'angoscia e la paura e la rabbia dove nessuno potesse vederle. Tutta l'ansia per Stefan, tutto il terrore a causa di Damon, tutta la vergogna e l'umiliazione che aveva sofferto a scuola, li aveva sepolti nel profondo. Ma ora stavano riemergendo. Tutto, e tutto in una volta, come un ciclone di inaudita violenza. Il cuore le batteva all'impazzata; le ronzavano le orecchie. Sentiva che niente aveva importanza tranne ferire le persone che aveva di fronte a lei, fargliela pagare.

«Lui non è "quel ragazzo"», ripete, la voce gelida. «Si chiama

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Stefan ed è tutto ciò che mi sta a cuore. E guarda caso sono fidanzata con lui».

«Oh, non essere ridicola!», tuonò Robert. Fu l'ultima goccia.«È ridicolo questo?». Sollevò la mano, mettendogli l'anello

davanti agli occhi. «Noi ci sposeremo!».«Voi non vi sposerete», cominciò Robert. Tutti erano infuriati.

Damon le afferrò la mano e fissò intensamente l'anello, poi si girò di scatto e si allontanò a lunghi passi, ogni falcata rivelava una ferocia a stento trattenuta. Robert continuava a farfugliare qualcosa in preda all'esasperazione. Zia Judith ribolliva di rabbia.

«Elena, ti proibisco in modo assoluto...».«Tu non sei mia madre!», urlò Elena. Non riuscì più a

trattenere le lacrime. Aveva bisogno di andare via, di stare da sola, di stare con qualcuno che la amava. «Se Stefan chiede di me, ditegli che sono al pensionato!», aggiunse, e si fece strada in mezzo alla folla.

Si era quasi aspettata che Bonnie e Meredith l'avrebbero seguita, ma fu contenta che non lo fecero. Il parcheggio era pieno di macchine, ma non c'era quasi nessuno. La maggior parte delle famiglie si sarebbe trattenuta per le attività pomeridiane. Ma lì vicino c'era una scassata Ford Sedan, e una figura familiare stava aprendo la portiera.

«Matt! Stai andando via?». Decise sul momento. Faceva troppo freddo per fare tutta la strada a piedi fino al pensionato.

«Eh? No, devo aiutare l'allenatore Lyman a smontare i tavoli. Stavo solo mettendo via questa». Lanciò la targhetta di Migliore Atleta sul sedile davanti. «Ehi, va tutto bene?». Sgranò gli occhi quando vide l'espressione sul viso di Elena.

«Sì... no. Andrà bene se me ne vado di qui. Senti, posso prendere la tua macchina? Solo per pochi minuti?»

«Be'... certo, ma... voglio dire, perché non lasci che guidi io? Vado a dirlo all'allenatore Lyman».

«No! Voglio stare da sola... Oh, ti prego, non farmi domande». Quasi strappò le chiavi dalla mano del ragazzo. «Te la riporterò presto, prometto. O lo farà Stefan. Se vedi Stefan, digli che sono al pensionato. E grazie». Sbatté la portiera nonostante le sue proteste e mandò il motore su di giri, partendo

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con una sgommata perché non era abituata alla leva del cambio manuale. Lo lasciò lì su due piedi, a guardarla andare via.

Guidò senza realmente vedere o sentire nulla di quel che la circondava, piangendo, ingabbiata nel vortice delle sue emozioni. Lei e Stefan sarebbero fuggiti... si sarebbero sposati in segreto... avrebbero mostrato a tutti di cosa erano capaci. Non avrebbe mai più messo piede a Fell's Church.

E così zia Judith si sarebbe pentita. E Robert avrebbe capito l'errore che aveva commesso. Ma Elena non li avrebbe mai perdonati. Mai.

E quanto a sé, non aveva bisogno di nessuno. Di certo non aveva bisogno del vecchio, insulso Robert E. Lee, dove un giorno eri megapopolare e il giorno dopo un'emarginata dalla società solo perché amavi la persona sbagliata. Non aveva bisogno di familiari, né di amici, né...

Rallentando per svoltare sul tortuoso viale d'accesso del pensionato, Elena sentì che il vortice dei pensieri si stava placando.

Be'... non ce l'aveva con tutti i suoi amici. Bonnie e Meredith non le avevano fatto niente di male. Né Matt. Matt era a posto. Infatti, se avesse avuto bisogno di lui e non della macchina le avrebbe dato subito una mano.

Suo malgrado, Elena sentì una risatina strozzata salirle in gola. Povero Matt. La gente gli chiedeva sempre in prestito quel vecchio catorcio di macchina. Doveva pensare che lei e Stefan fossero fuori di testa.

La risatina soffocata diede libero corso ad altre lacrime, ed Elena rimase lì seduta ad asciugarle, scuotendo la testa. Oh, Dio, come mai le cose erano andate a finire così? Che giornata. Avrebbe dovuto festeggiare la vittoria su Caroline, e invece era lì da sola, in lacrime, nella macchina di Matt.

L'espressione sulla faccia di Caroline, però, era stata dannatamente buffa. Il corpo di Elena fu scosso leggermente da un'altra risatina isterica. Oh, lo sguardo che aveva. Qualcuno avrebbe dovuto filmarlo.

Alla fine si calmarono sia i singhiozzi che le risatine, ed Elena si sentì sopraffare dalla stanchezza. Si appoggiò al volante cercando di non pensare a nulla almeno per un po', e poi scese

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dalla macchina.Avrebbe aspettato Stefan, e poi sarebbero andati insieme a

sistemare lo scompiglio che aveva combinato. Ce n'erano di coseda mettere a posto, pensò stancamente. Povera zia Judith. Elena le aveva urlato contro davanti a mezza città.

Perché si era lasciata andare in quel modo? Ma le sue emozioni erano ancora pronte a esplodere, come si rese conto quando trovò la porta del pensionato chiusa a chiave e nessuno che rispondeva al campanello.

Oh, magnifico, pensò, quasi sul punto di ricominciare a piangere. Anche la signora Flowers era andata alla celebrazione del Founders' Day. E ora Elena poteva scegliere fra aspettare seduta in macchina o lì fuori in quella bufera di vento...

Era la prima volta che faceva caso al tempo, ma quando lo fece si guardò intorno allarmata. La giornata era iniziata con un cielo nuvoloso e un freddo rigido, ma ora una foschia si andava spandendo sul suolo, come se trasudasse dai campi circostanti. Le nuvole non erano in movimento, ma sembravano come ribollire. E il vento stava rinforzando.

Gemeva attraverso i rami delle querce, strappava le ultime foglie rimaste e le lasciava cadere a terra. Il rumore continuò ad aumentare, non più un gemito ma un ululato.

E poi c'era qualcos'altro. Qualcosa che non proveniva dal vento, ma dall'aria stessa, o dallo spazio tutto intorno. Un senso di oppressione, di minaccia, di forza inimmaginabile. Un potere che si concentrava, si avvicinava, incombeva.

Elena si girò verso le querce.Alcune formavano un boschetto dietro l'edificio e oltre,

confondendosi con il bosco. E al di là degli alberi c'erano il fiume e il cimitero.

Laggiù c'era... qualcosa. Qualcosa... di orribile.«No», mormorò Elena. Non riusciva a vederlo, ma lo sentiva,

come una grande ombra che si sollevava per incombere su di lei, oscurando il cielo. Sentiva il male, l'odio, la furia animale.

Sete di sangue. Stefan aveva usato queste parole, ma lei non le aveva capite. Ora percepiva questa sete di sangue... concentrata su di lei.

«No!».

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Sempre più in alto, la sovrastava. Non riusciva ancora a vedere nulla, ma era come se grandi ali spiegate si allungassero a lambire l'intera linea dell'orizzonte. Qualcosa con un Potere al di là di ogni comprensione... con un desiderio di uccidere...

«No!». Corse verso la macchina proprio nel momento in cui si abbassava per piombare su di lei. Le mani cercarono a tentoni la maniglia della portiera, armeggiarono convulsamente con le chiavi. Il vento urlava, strideva, sferzandole i capelli. Polvere di ghiaccio la investì sul viso, quasi accecandola, ma alla fine la chiave girò ed Elena aprì di scatto la portiera.

Fuori, il vento ruggiva e mugghiava. La macchina cominciò a ondeggiare.

«Basta, Damon! Smettila!». Il suo debole grido si perse nel frastuono del vento. Posò le mani sul cruscotto come se volesse mantenere in equilibrio la macchina, ma il rullio aumentò, sotto una tempesta di ghiaccio.

Poi Elena vide qualcosa. Lo specchietto retrovisore era appannato, ma riuscì a distinguere una sagoma. Sembrava un grande volatile di nebbia e di neve, ma i contorni erano confusi. L'unica cosa di cui fosse certa era che aveva grandi ali spiegate... e che si stava scagliando contro di lei.

Infilò la chiave nel cruscotto. Dai! Vai adesso! La sua mente continuava ad abbaiarle ordini. La vecchia Ford ansimò e quando partì le ruote stridettero più forte del vento. Quella sagoma la seguì, ingrandendosi sempre più nello specchietto retrovisore.

Raggiungi la città, raggiungi Stefan! Vai! Vai! Ma mentre la macchina avanzava rumorosamente imboccando sulla sinistra Old Creek Road, con le ruote immobilizzate dal ghiaccio, un fulmine squarciò il cielo.

Se la frenata non avesse fatto slittare la macchina, un albero si sarebbe schiantato su di lei. Il violento impatto, comunque, scosse l'automobile come un terremoto, mancando di pochi centimetri il paraurti anteriore destro. L'albero era un groviglio di rami sferzati dal vento, il tronco bloccava completamente la strada che portava in città.

Era in trappola. L'unica via verso casa era interrotta. Era sola, senza possibilità di fuggire da questo terribile Potere...

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Potere. Era questo il punto; era questa la chiave di tutto. «Più forti sono i tuoi Poteri, più le leggi delle tenebre ti vincolano».

Acqua in movimento!Lanciò la macchina a marcia indietro, fece inversione e ripartì

bruscamente. La sagoma bianca virò e scese in picchiata, mancandola di poco come l'albero, ed Elena continuò a correre lungo Old Creek Road nel pieno della tempesta.

Era ancora dietro di lei. Adesso, solo un pensiero continuava a martellarle il cervello. Doveva attraversare un corso d'acqua, lasciarsi questa cosa dietro le spalle.

I fulmini continuarono a crepitare nell'aria, ed Elena intravide altri alberi cadere, ma riuscì a evitarli. Ormai non doveva essere lontana. Riusciva a scorgere il fiume scintillare alla sua sinistra in mezzo alla violenta tempesta di ghiaccio. Poi notò il ponte.

Era lì; ce l'aveva fatta! Una folata di vento coprì il parabrezza di nevischio, ma dopo un colpo dei tergicristallo riuscì ad avere di nuovo una breve visuale. Ecco, si dovrebbe girare qui.

La macchina sbandò e slittò sulla struttura di legno. Elena sentì le ruote che facevano presa sulle assi sdrucciolevoli, poi le sentì bloccarsi. In preda alla disperazione, cercò di assecondare la sbandata, ma non aveva visibilità e non c'era spazio...

La macchina sfondò il parapetto, il legno marcito del ponte pedonale cedette a un peso che non era più in grado di reggere. Elena provò una sgradevole sensazione di avvitamento e di caduta, finché la macchina toccò l'acqua.

Udì delle grida, ma non sembravano provenire da lei. Il fiume avvolse la macchina e tutto divenne rumore e confusione e dolore. Un finestrino andò in frantumi come se fosse stato colpito da un sasso, e poi un altro. L'acqua scura si riversò su di lei, insieme a ghiaccio tagliente come vetro. Era sommersa. Non riusciva a vedere; non riusciva a uscire.

E non riusciva a respirare. Era perduta in quel tumulto infernale, e non c'era aria. Doveva respirare. Doveva uscire di lì...

«Stefan, aiutami!», gridò.Ma quel grido rimase muto. Invece l'acqua gelata si riversò

nei polmoni, travolgendola. Cercò di contrastarla, ma era troppo forte per lei. I suoi movimenti divennero sempre più deboli,

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scoordinati, e poi cessarono.E dopo tornò la quiete.

Bonnie e Meredith stavano perlustrando nervosamente il perimetro della scuola. Avevano visto Stefan dirigersi da quella parte, più o meno costretto da Tyler e dai suoi nuovi amici. Avevano iniziato a seguirlo, ma poi era cominciata quella faccenda con Elena. E poi Matt le aveva informate che Elena era andata via in macchina.

Così si erano messe di nuovo sulle tracce di Stefan, ma lì fuori non c'era nessuno. Non c'erano neanche edifici, tranne una solitaria baracca di lamiera.

«E sta per scatenarsi una bufera!», disse Meredith. «Senti il vento! Credo che pioverà».

«O nevicherà!». Bonnie rabbrividì. «Ma dove sono andati?»«Non m'interessa; voglio solo avere un tetto sulla testa. Ecco

che arriva!». Meredith ansimò quando il primo scroscio di pioggia gelata la investì, e insieme a Bonnie corse verso il riparo più vicino: la baracca di lamiera.

E fu qui che trovarono Stefan. La porta era leggermente aperta, e quando Bonnie sbirciò dentro arretrò di colpo.

«La squadra di picchiatori di Tyler!», sibilò. «Stai attenta!».Un semicerchio di scagnozzi separava Stefan dalla porta.

Caroline era in un angolo.«Deve averlo! L'avrà preso in qualche modo; ne sono sicura!»,

stava dicendo.«Preso cosa?», disse Meredith ad alta voce. Tutti si girarono

verso di lei.Caroline contorse il viso in una smorfia quando vide le due

ragazze sulla soglia e Tyler ringhiò. «Fuori di qui», disse. «Fareste bene a non farvi coinvolgere in tutto questo».

Meredith lo ignorò. «Stefan, posso parlarti?»«Fra un minuto. Intendi rispondere alla sua domanda? Preso

cosa?», Stefan si stava rivolgendo a Tyler, completamente concentrato su di lui.

«Certo che risponderò alla sua domanda. Subito dopo aver risposto alla tua». Tyler batté una mano nerboruta sull'altra chiusa a pugno, e fece un passo in avanti. «Diventerai carne per

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i cani, Salvatore».Alcuni scagnozzi ridacchiarono.Bonnie aveva aperto la bocca per dire: "Andiamo via di qui".

Ma quel che realmente disse fu: «Il ponte».Fu così strano che tutti si girarono a guardarla.«Cosa?», disse Stefan.«Il ponte», ripeté Bonnie, senza rendersene conto. Aveva gli

occhi sgranati, allarmati. Sentiva la voce uscirle dalla gola, ma non riusciva a controllarla. E poi spalancò ancora di più gli occhi, e la bocca, e ritrovò la sua voce. «Il ponte, oh, mio Dio, il ponte! È lì che si trova Elena! Stefan, dobbiamo salvarla... Oh, sbrighiamoci!».

«Bonnie, sei sicura?»«Sì, oh, Dio... è lì che è andata. Sta annegando!

Sbrighiamoci.». Onde scure stavano prendendo il sopravvento su Bonnie. Ma non poteva svenire ora; doveva raggiungere Elena.

Stefan e Meredith esitarono per un istante, poi il ragazzo attraversò la linea dei picchiatori, spingendoli da parte come se fossero carta velina. Attraversarono di corsa il campo diretti al parcheggio, trascinandosi dietro Bonnie. Tyler fece per seguirli, ma si fermò quando il vento lo investì in tutta la sua violenza.

«Perché è andata fuori con questa bufera?», gridò Stefan mentre saltavano a bordo della macchina di Meredith.

«Era sconvolta; Matt ha detto che è andata via con la sua macchina», ansimò Meredith in risposta, nella relativa calma dell'abitacolo. Uscì in fretta dal parcheggio e si indirizzò contro il vento, a tutta velocità. «Ha detto che andava al pensionato».

«No, è al ponte! Meredith, più veloce! Oh, Dio, sarà troppo tardi!». Le lacrime scorrevano sul viso di Bonnie.

Meredith pigiò sull'acceleratore. La macchina oscillò, colpita dal vento e dal nevischio ghiacciato. Durante quella corsa da incubo, Bonnie non smise mai di singhiozzare, le dita aggrappate al sedile davanti a lei.

Il rapido intervento di Stefan evitò che Meredith andasse a sbattere contro l'albero. Uscirono dalla macchina e furono subito investiti e sferzati dal vento.

«È troppo grosso per spostarlo! Dobbiamo proseguire a

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piedi», urlò Stefan.Certo che era troppo grosso per muoverlo, pensò Bonnie,

avanzando con difficoltà fra i rami. Era una quercia adulta. Ma una volta dall'altra parte, il vento fortissimo e gelido s'impadronì di ogni suo pensiero.

In pochi minuti era intorpidita, e le sembrava di aver camminato per ore. Tentarono di correre, ma il vento li respingeva. Riuscivano a stento a vedere; se non fosse stato per Stefan, sarebbero cadute oltre l'argine. Bonnie iniziò a camminare a zigzag come un ubriaco. Stava per crollare a terra quando sentì Stefan, più avanti, gridare.

Il braccio di Meredith si strinse intorno a lei, e ripresero a correre, inciampando. Ma quando furono vicine al ponte, quel che videro le fece fermare di colpo. «Oh, mio Dio... Elena!», gridò Bonnie. Wickery Bridge era un cumulo di legni spezzati. Un lato della ringhiera era crollato e il tavolato aveva ceduto come se il pugno di un gigante si fosse abbattuto su di esso. Al di sotto, l'acqua scura turbinava intorno a una massa indistinta di detriti. Fra questi, completamente sommersa dall'acqua, a eccezione dei fari anteriori, c'era la macchina di Matt.

Anche Meredith stava gridando, ma gridava a Stefan. «No! Non puoi scendere laggiù!».

Il giovane non si voltò nemmeno. Si tuffò dalla riva, e l'acqua si richiuse sopra la sua testa.

Più tardi, il ricordo che rimase a Bonnie dell'ora che seguì si sarebbe pietosamente appannato. Si ricordò di aver aspettato Stefan, mentre la tempesta infuriava senza posa. Si ricordò che aveva quasi perso la speranza, quando una figura barcollante era uscita a fatica dall'acqua. Si ricordò di non aver provato delusione, solo un'immensa, sconfinata pena, quando vide il corpo inerte che Stefan adagiò sulla strada.

E si ricordò il viso di Stefan.Si ricordò la sua espressione mentre cercava di fare qualcosa

per Elena. Solo che non era Elena a essere lì distesa, era una bambola di cera con i lineamenti di Elena. Niente che fosse mai stato vivo, e che di certo non lo era in quel momento. Bonnie pensò che non aveva senso continuare a scuoterla e a sollecitarla in quel modo, cercando di far uscire l'acqua dai polmoni e roba

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del genere. Le bambole di cera non respirano.Si ricordò il viso di Stefan quando alla fine rinunciò. Quando

Meredith lottò con lui, gridandogli contro, dicendogli qualcosa riguardo a un'ora senza aria e a possibili danni cerebrali. Le parole filtravano nella testa di Bonnie, ma prive di ogni significato. Pensò soltanto come fosse strano che Meredith e Stefan, mentre gridavano l'uno contro l'altra, stessero piangendo.

Poi Stefan smise di piangere. Si sedette per terra, stringendo la bambola-Elena. Meredith continuò a urlargli ancora qualcosa, ma lui non la ascoltava. Rimase seduto lì, semplicemente. E Bonnie non avrebbe mai dimenticato la sua espressione.

E poi qualcosa attraversò Bonnie, come una lama di fuoco, facendola tornare in sé, in preda al terrore. Si aggrappò a Meredith, e si guardò intorno per individuarne la causa. Qualcosa di malvagio... qualcosa di terribile si stava avvicinando. Era quasi lì.

Anche Stefan sembrava averlo percepito. Era in allarme, rigido, come un lupo che avesse fiutato un odore.

«Cosa c'è?», gridò Meredith. «Che ti prende?»«Dovete andare via!». Stefan si sollevò in piedi, tenendo

ancora quel corpo inerte fra le braccia. «Via di qui!».«Ma cosa dici? Non possiamo lasciarti...».«Sì che potete! Via di qui! Bonnie, portala via!».Nessuno aveva mai detto a Bonnie di occuparsi di qualcuno

prima di allora. Erano gli altri ad aver sempre cura di lei. Ma in quel momento afferrò il braccio di Meredith e cominciò a tirarla. Stefan aveva ragione. Non c'era niente che potessero fare per Elena, e se fossero rimaste avrebbero fatto la sua stessa fine.

«Stefan!», chiamò ancora Meredith, mentre veniva trascinata via senza rendersene conto.

«La metterò sotto gli alberi! I salici, non le querce!», gridò Stefan alle loro spalle.

Perché ce l'ha detto ora? Si chiese Bonnie, in qualche recondito angolo della sua mente che non fosse preso dalla paura e dalla furia della tempesta.

La risposta era semplice, e la mente gliela fornì rapidamente. Perché più tardi lui non sarebbe stato più lì per dirglielo.

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16Molto tempo prima, fra le strade buie di Firenze, uno Stefan

affamato, spaventato ed esausto aveva fatto una solenne promessa a se stesso. Varie promesse, in realtà, riguardo l'uso dei Poteri che avvertiva dentro di sé, e riguardo il modo in cui trattare le creature deboli, fallibili, ma ancora umane, intorno a lui.

Ma ora avrebbe spezzato ogni promessa.Aveva baciato la fredda fronte di Elena e l'aveva adagiata ai

piedi di un salice. Sarebbe tornato, se avesse potuto, per unirsi a lei, in seguito.

Come aveva immaginato, l'ondata di Potere aveva ignorato Bonnie e Meredith per inseguire lui, ma si era attenuata ancora una volta, e ora si era ritirata, in attesa.

Non l'avrebbe fatta attendere a lungo.Non più gravato dal peso del corpo di Elena, cominciò ad

avanzare con lunghe falcate da predatore lungo la strada deserta. Il nevischio ghiacciato e il vento non erano di grande ostacolo. I suoi sensi da cacciatore gli facevano strada attraverso la bufera.

Li sfruttò tutti per localizzare la preda che desiderava. Ora non doveva pensare a Elena. L'avrebbe fatto dopo, quando tutto fosse finito.

Tyler e i suoi amici erano ancora dentro la baracca di lamiera. Bene. Non ebbero tempo di capire cosa stava succedendo quando la finestra esplose in una nuvola di schegge di vetro e la tempesta irruppe all'interno.

Stefan era intenzionato a uccidere quando afferrò Tyler per il collo e vi affondò i denti. Era stata una delle sue regole, non uccidere, ma ora voleva infrangerla.

Ma un altro dei teppisti gli capitò vicino prima che avesse dissanguato del tutto Tyler. Il ragazzo non intendeva difendere il suo leader caduto, voleva solo scappare. La sua sfortuna fu di incrociare Stefan sul suo cammino. Lo gettò a terra e attinse avidamente a quella nuova fonte.

Quel caldo sapore ferroso lo rianimò, lo riscaldò, scorrendogli come fuoco nelle vene. Aumentò la sua sete.

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Potere. Vita. Lo aveva; ne aveva bisogno. Con l'inebriante sensazione di forza che seguì alla sua ultima libagione, riuscì a tramortire gli altri senza sforzo. Poi passò dall'uno all'altro, bevendo fino all'ultima goccia di sangue e alla fine li gettò via. Era come scolarsi una confezione da sei lattine di birra.

Si stava dando da fare con l'ultimo quando vide Caroline rannicchiata in un angolo. Il sangue gli colava dalle labbra quando sollevò la testa per guardarla. Quegli occhi verdi, di solito così allungati, erano spalancati a mostrare il bianco, come quelli di un cavallo terrorizzato. Le labbra erano due pallide sbavature che farfugliavano una muta implorazione.

La fece alzare in piedi tirandola per la fascia verde che aveva intorno alla vita. La ragazza gemette, gli occhi rovesciati all'indietro. Afferrò i capelli castano dorato per piegarle la testa fino a scoprire la gola, come lui desiderava. Sollevò lievemente la testa per prepararsi a colpire... e Caroline gridò, accasciandosi.

La lasciò cadere a terra. Ormai ne aveva preso abbastanza. Ormai era ricolmo di sangue, come un parassita sazio. Non si era mai sentito così forte, così carico di potere primordiale.

Ora era il turno di Damon.Uscì dalla baracca di lamiera così come vi era entrato. Ma non

in forma umana. Un falco predatore veleggiò fuori della finestra e si librò alto nel cielo.

La nuova forma era magnifica. Forte... e crudele.E la sua vista era acutissima. Lo portò dove lui voleva,

sfiorando le cime delle querce nel bosco. Era in cerca di una particolare radura.

La trovò. Il vento lo frustava, ma discese a spirale, lanciando un acuto stridio di sfida. Damon, in forma umana, alzò le mani per proteggersi il volto mentre il falcone si precipitava su di lui.

Stefan strappò brandelli di carne viva dalle braccia di Damon, ascoltando le sue grida di dolore e di rabbia.

Non sono più il tuo debole fratellino. Comunicò il suo pensiero a Damon con una formidabile esplosione di Potere. E questa volta sono venuto per avere il tuo sangue.

Captò l'onda d'odio proveniente da Damon, ma la voce nella sua mente era beffarda. E così che mi ringrazi per aver salvato

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te e la tua promessa sposa?Stefan chiuse di nuovo le ali e scese in picchiata, con un unico

obiettivo. Uccidere. Si scagliò contro gli occhi di Damon, e il bastone che il giovane aveva raccolto sferzò l'aria mancando di poco il suo nuovo corpo. Gli artigli lacerarono la guancia di Damon, lasciando sgorgare il sangue. Bene.

Non avresti dovuto lasciarmi vivere, disse a Damon. Avresti dovuto ucciderci tutti e due subito.

Sarei felice di rimediare al mio errore! Prima Damon era stato colto alla sprovvista, ma ora Stefan sentiva che stava attingendo Potere, e si armava, pronto all'azione. Stridendo senza parole, piombò di nuovo su Damon, ma questa volta il grosso bastone non fallì il colpo. Ferito, con un'ala cascante, il falco rovinò a terra dietro la schiena del fratello.

Stefan riprese subito sembianze umane, senza quasi avvertire il dolore del braccio rotto. Prima che Damon potesse girarsi, lo afferrò, le dita della mano illesa affondarono nel collo, e lo fece ruotare su se stesso.

Quando parlò, il suo tono era quasi gentile.«Elena», sussurrò, e si avventò sulla gola del fratello.

Era buio, e faceva molto freddo, e qualcuno era ferito. Qualcuno aveva bisogno di aiuto.

Ma lei si sentiva terribilmente stanca.Elena batté le palpebre, poi aprì gli occhi, abituandosi

all'oscurità. E quanto al freddo... lo sentiva fin nelle ossa, era intirizzita, gelata fino al midollo. E non c'era da stupirsi; tutto intorno a lei era ghiacciato.

Da qualche parte, nel profondo del suo cuore, sapeva che c'era dell'altro.

Cosa era successo? Era stata a casa, a dormire... no, questo era il Founders' Day. Era stata nella sala della mensa, sul palco.

La faccia di qualcuno aveva avuto un'espressione strana.Era troppo faticoso ricordare; non riusciva a pensare. Volti

senza corpo fluttuarono davanti ai suoi occhi, frammenti di frasi le risuonarono nelle orecchie. Era molto confusa.

E così stanca.Ora era meglio tornare a dormire. Il ghiaccio non era poi così

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male. Fece per sdraiarsi, e poi sentì di nuovo le grida.Non le percepì con le orecchie, ma con la mente. Grida di

rabbia e di dolore. Qualcuno era davvero disperato.Si sedette, immobile, cercando di mettere ordine fra i pensieri.Ci fu un rapido movimento ai margini del suo campo visivo.

Uno scoiattolo. Riusciva a sentirne l'odore; strano, non le era mai capitato prima. La fissò con vivaci occhi neri, poi si allontanò a piccoli salti sull'albero di salice. Elena si rese conto di aver tentato di afferrarlo solo quando si trovò con le unghie conficcate nella corteccia.

Tutto questo era ridicolo. Perché diamine voleva prendere uno scoiattolo? Si scervellò per un minuto sulla questione, poi si sdraiò, esausta.

Ancora quelle grida.Cercò di coprirsi le orecchie, ma questo non le impedì di

sentire le urla. Qualcuno era ferito, e infelice, e stava lottando. Ecco cos'era. C'era una lotta in corso.

Bene. Era arrivata a capire di cosa si trattava. Ora poteva dormire.

Ma non ci riuscì. Le grida esercitavano un richiamo su di lei, la attiravano. Provò un bisogno irresistibile di seguirle fino a scoprirne la fonte.

E poi avrebbe potuto dormire. Dopo aver visto... lui.Oh, sì, adesso le tornava in mente. Si ricordò di lui. Era il

giovane che la capiva, che la amava. Era l'unico con cui voleva vivere per sempre.

Il suo volto emerse dalle nebbie della sua mente. Lo esaminò con tenerezza. Bene, allora. Per lui si sarebbe alzata e avrebbe camminato in quella assurda bufera di neve finché non avesse trovato quella radura. Finché non l'avesse raggiunto. Poi sarebbero rimasti insieme.

Il solo pensiero di lui sembrò scaldarla. Dentro di lui ardeva un fuoco che solo poche persone riuscivano a vedere. Ma lei lo vedeva. Era come il fuoco che sentiva dentro di lei.

Ma lui sembrava trovarsi nei guai in quel momento. Per lo meno, si sentiva un gran gridare. Ora era abbastanza vicina da percepirlo con le orecchie e non solo con la mente.

Là, oltre quella grande quercia adulta. Era da lì che proveniva

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quel frastuono. Lui era là, con i suoi occhi scuri e impenetrabili, e il suo sorriso misterioso. E aveva bisogno del suo aiuto. Lo avrebbe aiutato.

Scuotendo via dai capelli i cristalli di ghiaccio, Elena entrò nella radura nel bosco.

[Continua]