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1 L’hegelismo dopo Hegel: tra conservatori e
innovatori Hegel lascia ai suoi discepoli il compito di confrontarsi con una filosofia che si propone come il
vertice del pensiero occidentale: alcuni di essi la interpreteranno in senso conservatore, altri
rivoluzionario
Hegel ha posto la sua filosofia come punto di arrivo del pensiero occidentale, il momento in cui lo
Spirito matura la piena autocoscienza e la Ragione si realizza pienamente nella Storia: essendo il
cammino dello Spirito ormai compiuto, la filosofia ha espletato il suo compito e cede il passo alla
storia della filosofia. Sul modo di intendere l’eredità del maestro, i suoi discepoli si dividono in due
correnti, quella dei “vecchi” e quella dei “giovani”. Vecchi hegeliani sono coloro che, accogliendo
l’idea che la filosofia hegeliana sia l’orizzonte insuperabile del pensiero filosofico, si propongono di
conservare e diffondere l’hegelismo in veste di epigoni (Die Epigonen era appunto il titolo di una
delle riviste pubblicate dal gruppo); al contrario i giovani hegeliani negano che la filosofia si sia
esaurita con Hegel e assumono l’hegelismo come un punto di partenza. Da queste due correnti
prende spunto la più nota distinzione tra “destra” e “sinistra” hegeliana introdotta da David
Friedrich Strauss: in una raccolta di scritti polemici in difesa della sua Vita di Gesù, mutuando la
divisione del parlamento francese in destra e sinistra, Strauss indica Karl Friedrich Göschel,
Andreas Gabler e Bruno Bauer come esponenti della destra hegeliana, mentre a sinistra colloca se
stesso. Tra queste due posizioni Strauss inserisce un “centro” rappresentato da Karl Rosenkranz
(definito «il più libero tra i vecchi hegeliani»). Questa tripartizione si affianca alla distinzione tra
hegeliani “vecchi” (destra e centro) e “giovani” (sinistra). Nelle intenzioni di Strauss il paragone
con il parlamento francese non è che una metafora, una battuta inserita in un contesto polemico, ma
presto la distinzione si diffonde tra gli intellettuali del tempo, che cominciano a prendere posizione
secondo questo schema. Inoltre l’utilità della divisione straussiana è dovuta al fatto che introduce
una terza via, il centro, che permette di comprendere meglio la vivacità del dibattito filosofico e la
molteplicità delle opinioni. Del resto, lungi dal decretare la fine della filosofia, il pensiero hegeliano
si rivelerà foriero di sviluppi inaspettati: tra gli altri prenderà le mosse dall’hegelismo Karl Marx,
uno dei filosofi più rivoluzionari della storia del pensiero occidentale.
Il metodo dialettico è l’aspetto chiave per capire l’evoluzione rivoluzionaria della filosofia
hegeliana
Ma come è possibile che a partire da Hegel, il conservatore, il filosofo dello Stato prussiano, si sia
sviluppato un pensiero progressista e critico nei confronti delle istituzioni? Ci sono nel pensiero
hegeliano aspetti senz’altro innovativi: uno su tutti il metodo dialettico che, con il suo dinamismo,
si oppone a interpretazioni univoche e rigide categorizzazioni. La cerniera tra Hegel e il pensiero
rivoluzionario è costituita dall’hegelismo di sinistra (di cui anche Marx ed Engels furono esponenti)
che, allontanandosi dall’ortodossia accademica della scuola, portò alla luce il potenziale
“sovversivo” latente nell’hegelismo: è nell’ambito della sinistra che prendono forma i motivi della
critica religiosa e dell’opposizione politica che Marx porterà alle estreme conseguenze. Occorre
comunque tenere presente che in questo contesto il termine “sinistra” riferito alla scuola hegeliana
non va inteso nella accezione politica cui siamo soliti pensare: non tutti gli esponenti della sinistra
hegeliana abbracciano l’ideologia socialista; al contrario alcuni di essi, come vedremo, si
mantengono su posizioni liberali o conservatrici.
Alla morte di Hegel, l’egemonia culturale della sua filosofia è indiscussa: per comprendere
l’evoluzione della scuola, è utile ricordare la politica culturale che Hegel perseguì
Hegel muore nel 1831 all’apice della sua carriera accademica: riconosciuto come filosofo ufficiale
dello Stato prussiano, negli ultimi anni esercitava un’influenza pressoché incontrastata nella cultura
dell’epoca. I motivi dell’affermazione del pensiero hegeliano si possono ricondurre a tre fattori:
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• l’abilità nel coltivare i rapporti con il potere politico - Sostenendo l’assoluta razionalità delle
istituzioni politiche del suo tempo, la filosofia hegeliana forniva la giustificazione ideologica alla
politica reazionaria prussiana. Inoltre, grazie all’appoggio di Altenstein - il ministro dell’istruzione
dello Stato prussiano - Hegel esercitava un’autorità pressoché indiscussa nella facoltà di Filosofia
(della quale fu anche rettore tra il 1829 e il 1830) e, tramite l’insediamento di suoi seguaci su
cattedre di particolare rilievo, estendeva la sua influenza anche sulle facoltà di Teologia e Diritto.
• L’autorevolezza con cui Hegel ha saputo conferire alla scuola un indirizzo unitario - I
numerosissimi discepoli di Hegel avevano formato una vera e propria scuola, dotata di una rivista
che dava voce al dibattito filosofico hegeliano, gli Annali berlinesi per la critica scientifica. Hegel
teneva saldamente le redini della sua scuola dettandone la linea con i suoi interventi, rispondendo
agli attacchi di altre scuole e ridimensionando le voci fuori dal coro.
• Il carattere totalizzante del sistema filosofico - Hegel fonda un edificio concettuale molto organico
e compatto in cui ogni problema trova una sua collocazione. La forza della filosofia hegeliana è che
pretende di fornire la chiave per dare ordine al reale: questa chiave è il metodo dialettico, a cui
Hegel conferisce un vero e proprio valore scientifico.
La parabola della scuola hegeliana si svolge tra il 1830 e il 1848: in questo periodo sono in atto
profonde trasformazioni politiche e culturali che lanciano all’hegelismo nuove sfide Nel 1830 Hegel condanna la rivoluzione di luglio e la congeda definendola una «brama di novità
senza scopo»: ma già allora qualcuno tra le file degli hegeliani non condivideva questa opinione. Il
poeta Heinrich Heine ad esempio - che ritroveremo tra gli esponenti della sinistra hegeliana - da
sempre sostenitore dei principi della rivoluzione del 1789 e nemico della Restaurazione, mosso
dall’entusiasmo per la rivoluzione del 1830, decide di trasferirsi a Parigi. Nel periodo che va dalla
morte di Hegel (1831) al 1848, l’hegelismo, oltre ad affrontare le scissioni al suo interno, si
confronta con profonde trasformazioni politiche e intellettuali. Le principali sfide al sistema
filosofico di Hegel avvengono su due piani:
• sul piano storico politico, l’hegelismo deve ridefinire il suo rapporto con le forze della
Restaurazione e comprendere gli eventi del suo tempo (come il divampare di moti rivoluzionari e la
comparsa delle prime istanze di rivendicazione sociale). Come abbiamo già visto, la destra cerca di
mantenersi su una linea di compromesso con il potere politico, mentre la sinistra passa
all’opposizione aperta;
• sul piano concettuale, l’hegelismo deve invece confrontarsi con altre correnti filosofiche,
principalmente l’idealismo di Schelling, il kantismo, l’herbartismo e il positivismo. È in questo
periodo che discipline come la psicologia e la sociologia si affrancano dalla filosofia rivendicando
un loro statuto autonomo. Oltre alla serrata critica della metafisica, il positivismo impone alla
filosofia il compito di rivedere i suoi limiti e il suo ruolo all’interno del sapere dell’uomo. Sotto
l’influsso di queste forze centrifughe, alla morte del maestro le voci dissidenti all’interno della
scuola cominciano a farsi sentire.
Inoltre alcuni cambiamenti negli equilibri di potere determinano un mutamento della politica
culturale. Con la morte del ministro Altestein nel 1840 viene a mancare il principale sostegno
politico della filosofia hegeliana. Nello stesso anno a Federico Guglielmo III succede Federico
Guglielmo IV: questi, cultore del Romanticismo, pietista, conciliante nei confronti dei cattolici,
nomina un ministro della cultura che favorisce l’ascesa di filosofi antihegeliani e di coloro che in
campo religioso sostengono la prevalenza del sentimento sulla ragione. Schelling viene chiamato a
occupare la cattedra di Hegel e, nel giro di pochi anni, agli hegeliani sono precluse le cattedre di
maggiore prestigio. La scuola hegeliana, nata in ambito accademico con un indirizzo fortemente
unitario, nel giro di pochi anni si divide. I giovani, avendo compreso l’impossibilità di stabilire un
compromesso con le autorità politiche e accademiche, radicalizzano le loro posizioni fino a
giungere a un’aperta critica del potere costituito. I vecchi hegeliani, invece, cercano di mantenersi
in sella annullando gli aspetti potenzialmente rivoluzionari del pensiero hegeliano e cercando una
conciliazione con il potere.
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Razionalità del reale e rapporto tra filosofia e religione: la scuola hegeliana si divide su questi
due punti chiave della filosofia del maestro
Ma quali sono gli aspetti teorici del sistema hegeliano che hanno portato alla scissione tra destra e
sinistra? Come è stato possibile che un modello filosofico organico e compatto come quello
elaborato da Hegel abbia condotto a posizioni radicalmente differenti? (STORIOGRAFIA Il
rapporto tra metodo e sistema) I motivi della scissione all’interno della scuola hegeliana possono
essere ricondotti a due temi di rilievo:
• il rapporto tra religione e filosofia;
• l’equazione tra reale e razionale. Hegel sosteneva che religione e filosofia condividono lo stesso
contenuto, espresso dalla religione nella forma della rappresentazione e dalla filosofia nella forma
del concetto.
Per questo, la filosofia rappresenta un superamento della religione, sebbene quest’ultima mantenga
una sua validità nell’ambito della forma che le è propria: la religione ha, infatti, un contenuto di
verità in quanto rappresentazione immaginifica della verità filosofica. Questo vale per ogni
religione, ma in particolare per quella cristiana, che è il prodotto di una superiore fase di sviluppo
dello Spirito. Ma allora il cristianesimo come religione positiva è compatibile con la filosofia
oppure rappresenta un momento inferiore e imperfetto destinato a essere superato? Di fatto il
pensiero di Hegel lascia aperte entrambe le interpretazioni:
• gli hegeliani di destra, sottolineando l’identità del contenuto di religione e filosofia, professano la
perfetta coerenza tra le due: in quest’ottica elaborano quella che è stata definita una “scolastica
dell’hegelismo”, che impiega la filosofia hegeliana per giustificare i dogmi del cristianesimo, come
già avevano fatto gli scolastici con la filosofia aristotelica;
• al contrario, gli hegeliani di sinistra, sottolineando la superiorità del momento filosofico, negano
alla religione ogni trascendenza e la riconducono a fattori antropologici e psicologici nei quali si
esprime una determinata fase dello sviluppo dello Spirito nel suo percorso verso l’autocoscienza.
Relativamente al secondo tema, Hegel aveva espresso in un famoso aforisma la sua posizione: “Ciò
che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale”. Nella sostanza, secondo Hegel, la realtà è per
sua natura razionale e quegli aspetti che sembrano irrazionali non sono che residui destinati a essere
superati. In un primo momento questa impostazione rimase un dato condiviso tra gli hegeliani.
Tuttavia quando la politica dello Stato prussiano, invece di identificarsi con la causa della ragione,
si spostò su posizioni sempre più reazionarie, gli hegeliani di sinistra si rifiutarono di credere che la
realtà storico-politica della loro epoca fosse la compiuta realizzazione della ragione e passarono
all’opposizione politica. Cominciarono a intendere la razionalità come qualcosa che ancora doveva
realizzarsi nella vita reale, un compito da perseguire tramite lo strumento della critica del presente.
Al contrario gli hegeliani di destra continuarono a sostenere acriticamente la concordanza tra reale e
razionale usando la filosofia hegeliana come strumento di legittimazione dello status quo.
3 La sinistra hegeliana
Ludwig Feuerbach e gli altri pensatori della sinistra hegeliana forniscono spunti destinati ad
avere grande peso sul dibattito filosofico successivo
I principali esponenti della sinistra hegeliana, oltre a Feuerbach, sono Heinrich Heine (1797-1856),
David Friedrich Strauss (1808-1874), Arnold Ruge (1802-1880) e Bruno Bauer (1809-1882). Come
la vecchia scuola hegeliana, anche la sinistra si dota di una rivista intorno alla quale si raccolgono i
suoi maggiori esponenti, gli Annali di Halle, fondata da Ruge nel 1838.
Nella storia della sinistra hegeliana possiamo riconoscere tre fasi:
1. La polemica religiosa - la prima fase ha inizio nel 1835 con la pubblicazione della Vita di Gesù di
Strauss, opera nella quale si avanza un’interpretazione storica del cristianesimo svincolata dal
dogmatismo.
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2. L’ateismo e l’opposizione politica - L’essenza del cristianesimo (1841) di Feuerbach segna il
passaggio dalla critica religiosa all’ateismo. Bauer passa alla sinistra e Ruge, attraverso un’intensa
attività pubblicistica, trasforma la critica religiosa in opposizione politica.
3. Il dissolvimento dell’hegelismo - Feuerbach pone al centro della sua riflessione non lo spirito o la
storia, ma l’uomo concreto: l’umanesimo di Feuerbach si traduce in un’antropologia
antispeculativa, ispirata da istanze realistiche. Prendendo le mosse da questi presupposti Marx
porterà a termine il capovolgimento dell’hegelismo iniziato da Feuerbach.
Precursore delle idee radicali di Marx ed Engels, Heine fu un attento critico di Hegel oltre che
uno dei massimi poeti in lingua tedesca del suo tempo
Heinrich Heine nasce nel 1797 a Düsseldorf da un’agiata famiglia ebraica, compie studi di diritto,
filosofia e letteratura. A Berlino conosce la filosofia hegeliana recependola in maniera critica,
anticipando atteggiamenti e temi della sinistra hegeliana come la critica religiosa, l’opposizione
politica, l’emancipazione politica e sociale dell’uomo. Durante un viaggio in Inghilterra rimane
colpito dalle misere condizioni dei lavoratori del West End londinese rispetto all’eleganza dei
quartieri ricchi: questa sensibilità per i temi sociali avvicina Heine ai saintsimoniani e agli hegeliani
più radicali come Marx ed Engels. Fedele ai principi della rivoluzione francese, Heine non ha vita
facile nella Prussia della Santa Alleanza. Considerato tra i più grandi poeti tedeschi, la sua opera
rappresenta una delle massime espressioni della cultura tedesca e il principale punto di contatto tra
questa e la cultura francese. Heine è stato tra i primi a riconoscere la possibilità di una duplice
lettura della filosofia hegeliana: secondo Heine, i giovani ergono la ragione a strumento di critica
del presente, mentre i vecchi, Hegel in testa, la piegano a una apologia dello status quo. A Parigi
scrive la sua opera più rilevante dal punto di vista filosofico, Sulla storia della religione e della
filosofia in Germania (1834), in cui confronta la prassi politica e sociale della rivoluzione francese
con la tradizione speculativa tedesca. In quest’opera istituisce un’analogia tra i fucili della
rivoluzione francese e i tranquilli sogni della filosofia tedesca: la tesi è che mentre i francesi hanno
fatto la rivoluzione nel mondo della realtà, i tedeschi hanno avuto la loro rivoluzione solo in campo
filosofico. I principi della rivoluzione francese hanno il loro equivalente nel pensiero di Kant e
Fichte, definiti rispettivamente il Robespierre e il Napoleone della filosofia. L’idealismo di
Schelling coincide con la Restaurazione, mentre Hegel è definito l’Orléans della filosofia, fondatore
di un nuovo regime nel quale tutto ha una collocazione precisa. Il primo atto della rivoluzione
filosofica tedesca è stata, per Heine, la rivoluzione religiosa di Lutero che, rivendicando il libero
esame delle Scritture, inaugura il moderno concetto di libertà fondato sull’emancipazione della
ragione. Da qui prende le mosse il razionalismo che, attraverso Cartesio, Leibniz e Spinoza,
conduce fino alla tradizione speculativa tedesca. Con Hegel si conclude il ciclo della rivoluzione
filosofica tedesca, ma non il cammino della storia. Al di là degli atteggiamenti compromissori che
Kant e Hegel esibirono in veste di professori prussiani, l’essenza del loro pensiero ha sviluppato
energie rivoluzionarie che attendono solo il momento opportuno per esplodere. Solo
apparentemente quindi la filosofia hegeliana legittima lo Stato prussiano e il cristianesimo; in realtà
negando l’esistenza di un dio personale, apre la via all’ateismo e, sottoponendo la realtà alla
ghigliottina della ragione, coltiva i germi della rivoluzione politica che, secondo Heine, presto
esploderà in Germania (TESTO La rivoluzione tedesca). Protagonisti della rivoluzione a venire
saranno proletari e comunisti: a guidarli saranno gli eredi della tradizione filosofica tedesca che
avranno il compito di tradurre il pensiero nella prassi rivoluzionaria.
LESSICO: Orléans L’appellativo “Orléans” fa riferimento a Luigi Filippo di Borbone-Orléans, re
dei francesi dal 1830 al 1845 con il nome di Luigi Filippo I. Inizialmente favorevole nei confronti
della rivoluzione francese, Luigi Filippo decise poi di abbandonare la Francia nel 1793 divenendo
duca d’Orléans. Con l’avvento della Restaurazione rientrò a Parigi dove, in seguito
all’insurrezione parigina di luglio 1830 che rovesciò il regime di Carlo X, riuscì a salire al trono.
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La sua politica, fondata sul principio di ordine interno e pace nei rapporti esteri, favorì lo sviluppo
della classe borghese composta da finanzieri e industriali. A seguito dei moti rivoluzionari del 1848
venne destituito e costretto a rifugiarsi in Inghilterra. Hegel viene considerato l’Orléans della
filosofia per il suo sistema che assegna a tutto una collocazione precisa e conforme alla
costituzione, richiamando in ciò la natura della monarchia di Luigi Filippo I.
La Vita di Gesù di Strauss rappresenta il punto di rottura per i giovani hegeliani: inaugura
un atteggiamento conoscitivo laico, una ricerca svincolata dal dogmatismo
David Friedrich Strauss nasce a Ludwisburg nel 1808 da una famiglia di modeste condizioni.
Grazie alle sue capacità riesce a portare avanti gli studi fino a essere ammesso nel prestigioso
seminario protestante di Tubinga - lo Stift - dove hanno studiato anche Hegel e Schelling. Qui
riceve una solida preparazione storica e filologica che sarà preziosa nella stesura della sua opera
principale, la Vita di Gesù. L’insoddisfazione per la filosofia di Schelling e di Schleiermacher lo
spinge a intraprendere autonomamente lo studio della Fenomenologia dello spirito. Nel 1831 si reca
a Berlino appena in tempo per conoscere Hegel e ascoltare le sue lezioni prima che muoia. La
filosofia hegeliana ha su Strauss un effetto dirompente: a Berlino entra in contatto con gli esponenti
della sinistra hegeliana e legge avidamente gli scritti dei filosofi illuministi sulla critica alle religioni
positive. A questo punto Strauss rinuncia all’attività pastorale. Tra la sua coscienza filosofica e il
suo ufficio si è aperto un dissidio insanabile e non è affatto interessato alla carriera ecclesiastica; la
sua vera aspirazione è quella di poter proseguire i suoi studi storici e filologici in ambito filosofico.
Tornato a Tubinga, comincia la stesura della sua opera principale, la Vita di Gesù: la tesi centrale è
che i Vangeli non siano un resoconto storico attendibile, ma la rappresentazione in chiave mitica
delle credenze e delle aspettative delle prime comunità cristiane. Strauss riprende la critica
illuministica alla verità storica dei Vangeli ma, facendo propria la lezione hegeliana, riconosce in
essi un contenuto veritativo che va al di là del loro senso storico letterale. Già Hegel aveva
sostenuto che religione e filosofia enunciano una stessa verità: Strauss esplicita quest’idea
affermando che il mito evangelico è l’espressione di un’idea nella forma di un racconto
immaginifico. Strauss indica la verità dei Vangeli nella figura di Gesù come unione di finito e
infinito: «Gesù - scrive - è colui nel quale la coscienza dell’unità del divino e dell’umano è sorta per
la prima volta». L’incarnazione non è una verità storica, ma una costruzione mitologica che da un
lato esprime l’esigenza che l’unione di umano e divino si realizzi concretamente in un individuo,
dall’altro rappresenta il modo in cui l’idea dell’unità di finito e infinito fu concepita in una
determinata epoca. Anche Hegel aveva dato un’interpretazione simile dell’incarnazione, ma senza
arrivare a sostenere che Gesù fosse semplicemente un personaggio storico. Strauss lavora sui
Vangeli distinguendo tra senso storico letterale e rappresentazione mitica: ad esempio, storicamente
è vero che sotto l’impero di Augusto visse un uomo di nome Gesù che si presentò al popolo ebraico
come il messia e predicò un messaggio di rinnovamento religioso. Tuttavia, la vita di quell’uomo,
così come è narrata dagli evangelisti, non può essere verosimile (studi storico-filologici lo provano),
ma fa riferimento alla tradizione ebraica della profezia messianica: le vicende narrate nei Vangeli,
infatti, non sono che l’adempimento delle profezie contenute nell’Antico Testamento. La Vita di
Gesù suscita immediatamente scalpore e conosce grande notorietà con diverse ristampe nel giro di
pochi anni. Tuttavia a dispetto del successo, o forse proprio a causa di questo, l’opera segna la fine
della carriera accademica di Strauss, nonostante le sue lezioni fossero molto frequentate. Le autorità
dello Stift considerano le tesi contenute nella Vita di Gesù come una minaccia per la fede e non
permettono che il suo autore continui a insegnare nel prestigioso seminario protestante di Tubinga.
Ma perché questo libro viene ritenuto tanto pericoloso? Ovviamente il modo in cui Strauss riduce il
contenuto della fede religiosa a semplice mito non poteva trovare il favore di coloro che affilavano
le armi speculative per difendere la verità dei dogmi religiosi. Ma c’è di più: la Vita di Gesù offre il
pretesto per accusare l’hegelismo di essere una filosofia atea e blasfema perché Strauss ha tratto le
sue conclusioni applicando il concetto hegeliano di religione alla critica dei testi biblici; le stesse
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autorità prussiane hanno ora un motivo in più per guardare all’hegelismo con sospetto. Questa
situazione impone agli hegeliani una presa di posizione e il dibattito intorno alla Vita di Gesù apre
la frattura nella scuola. Tuttavia Strauss non giunge - come faranno Feuerbach e Bauer -
all’ateismo: nelle opere successive, La fede cristiana nel suo sviluppo e nella lotta con la scienza
moderna (1841-42) e L’antica e la nuova fede (1872), il suo credo religioso si delinea come una
forma di panteismo: alla credenza in un Dio personale (teismo), Strauss oppone un Dio che è
totalità assoluta, pensiero che pensa in tutti, spirito infinito ed eterno nel quale si specchiano gli
spiriti finiti.
LESSICO: Teismo La radice del termine deriva dal greco theos, che significa Dio. È considerato
teista ogni atteggiamento che afferma l’esistenza di Dio opponendosi così all’ateismo, che invece
nega radicalmente l’esistenza di una qualche divinità. La divinità teista è unica, personale e
autonoma, presenta dunque caratteri comuni alla divinità del monoteismo. Il teismo si allontana
dal panteismo per la distinzione tra Dio e mondo/natura, e dal deismo che è caratterizzato invece
da una concezione razionalista e impersonale della divinità.
Lo “Strauss Affair” di Zurigo nel 1839: in questa caricatura il sindaco Melchior Hirzel offre dei
soldi al teologo Strauss (raffigurato come uno struzzo, con il diavolo sulla schiena, mentre calpesta
la Bibbia). Lo scandalo suscitato dalla Vita di Gesù influì pesantemente sulla carriera di Strauss
tanto che l’ateneo di Zurigo, che gli aveva offerto una cattedra, decise di pensionarlo, prima ancora
che iniziasse i corsi.
L’importanza di Arnold Ruge nelle vicende della scuola hegeliana risiede nel contributo
determinante che diede alla politicizzazione dell’hegelismo di sinistra
Come abbiamo già visto, è fuorviante intendere il “sinistrismo” dei giovani hegeliani come un
indirizzo politico, principalmente per due motivi:
• la scissione nella scuola si apre innanzitutto per motivi filosofici e teologici;
• la sinistra hegeliana non è caratterizzata da un’ideologia unitaria: vi si trovano conservatori come
Strauss, liberali come Ruge e rivoluzionari come Marx.
Con Arnold Ruge emergono però chiaramente quei motivi politici che in un primo momento erano
passati in secondo piano, celati da questioni apparentemente di carattere teologico e filosofico: con
Ruge la polemica filosofica si trasforma in opposizione politica. L’interpretazione della razionalità
del reale, come abbiamo già sottolineato, non era una disputa tra accademici ma comportava un
atteggiamento conservatore di apologia dello status quo o uno progressista di critica del presente.
Allo stesso modo le questioni di carattere teologico s’intrecciavano con i conflitti religiosi
dell’epoca guglielmina, un momento storico molto delicato per la nascente nazione tedesca, divisa
tra cattolici e protestanti: i primi erano reazionari, legati alla Chiesa cattolica romana e fautori di
un’unificazione sotto il regno di Baviera; i secondi erano tendenzialmente più liberali, auspicavano
la concessione di una costituzione da parte del re e l’unificazione sotto il regno di Prussia. In un
clima del genere difendere o attaccare l’ortodossia protestante assumeva sfumature politiche ed è in
tale contesto che Ruge intraprese la sua attività polemica e politica. Arnold Ruge (1802-1880) si
forma nelle università di Jena, Halle e Heidelberg: già negli anni universitari il suo spirito indomito
gli costa la condanna a quattordici anni di prigione per aver aderito a un’associazione segreta. In
carcere studia e scrive molto, si avvicina all’hegelismo e instaura contatti con alcuni funzionari
hegeliani del regno di Prussia. Forse grazie a questi contatti, nel 1830 ottiene la grazia e nel 1832
inizia la carriera accademica all’università di Halle come libero docente di filosofia. Come abbiamo
visto però, dopo la morte di Hegel gli hegeliani non hanno vita facile nelle università: in un clima di
aspre polemiche, Ruge decide di dar vita insieme a Ernst Theodor Echtermeyer (1805-1844) agli
Annali di Halle, la rivista intorno alla quale si raccoglieranno tutti gli hegeliani di sinistra e che
diventerà il loro organo ufficiale. L’orientamento politico della rivista è evidente fin dal primo
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numero del gennaio 1838: difesa del protestantesimo, del liberalismo, del progressismo riformista.
Con gli Annali di Halle, Ruge vuole creare una terza forza che si oppone tanto ai monarchici
reazionari (le forze della Santa Alleanza) quanto ai progressisti rivoluzionari (socialisti, comunisti,
anarchici): Ruge auspica che il popolo tedesco si unifichi sotto un governo liberale guidato dalla
Prussia protestante attraverso un pacifico processo di riforme. La filosofia della storia hegeliana
concepisce il progresso come il cammino “naturale” e “inevitabile” della ragione nella storia,
pertanto la via maestra del progresso passa per il dialogo e le riforme. Per questo Ruge intende la
rivoluzione violenta come qualcosa di irrazionale che ostacola il progresso anziché favorirlo (come
è accaduto in Francia con la fase del Terrore Giacobino). Ruge rigetta tuttavia l’immagine hegeliana
della filosofia come nottola di Minerva, che spicca il suo volo a cose fatte: la filosofia, infatti, non
deve limitare il suo compito alla comprensione del mondo ma deve costituire un impulso all’azione.
Il processo di emancipazione iniziato con il protestantesimo luterano deve proseguire sul piano
concreto della storia attraverso l’azione politica. L’hegelismo ha mostrato il percorso della ragione
nella storia, ma ha mantenuto un’attitudine aristocratica, elitaria: ora questo atteggiamento va
corretto alla luce dell’eredità illuministica, solo allora «il mondo ripeterà in forma più alta il
miracolo dell’illuminismo: penserà nelle masse». La convinzione che il passaggio dalla teoria alla
prassi, dal pensiero all’azione politica possa e debba compiersi per opera delle masse anticipa in un
certo senso la moderna idea di partito politico. Ruge non è un rivoluzionario ma, constatando che
nessuna classe ha mai ceduto il potere volontariamente, arriva ad ammettere la rivoluzione come un
male necessario e temporaneo: «Nei popoli civili, la rivoluzione è l’affermazione forzata di una
libertà che spiritualmente è già presente e interiormente è già conquistata».
Singolare è il percorso di Bruno Bauer che dalla teologia hegeliana passa all’ateismo di
estrema sinistra
Allievo di Marheineke e destinato a esserne il successore, Bruno Bauer (1809-1882) muove i primi
passi nel mondo accademico berlinese arroccandosi sulle posizioni della destra hegeliana
ultraconservatrice: collabora con gli «Annali per la ricerca scientifica», organo ufficiale della scuola
hegeliana, e successivamente fonda la «Rivista di teologia speculativa». Attacca l’opera di Strauss
confutandone il metodo con l’arma dialettica della destra hegeliana, ovvero il deduzionismo a
priori. Tuttavia, quando nel 1838 si apre la polemica tra Ruge e i pietisti romantici, Bauer,
schierandosi contro questi ultimi, comincia ad avvicinarsi alle idee della sinistra hegeliana. Secondo
Bauer, infatti, gli hegeliani non possono avallare il conservatorismo reazionario dei pietisti perché
questo è contrario a tutti i principi della filosofia del maestro, che insegna il dominio assoluto della
Ragione e la supremazia dello Stato su tutte le altre istituzioni. Occorre difendere la tradizione
protestante e razionalista radicata in Prussia e contrastare le pericolose tendenze reazionarie e
oscurantiste insite nel pietismo. Decisivo per lo spostamento a sinistra di Bauer fu il contatto con il
cosiddetto “Club dei dottori”, un gruppo di filosofi tra i quali compariva anche il giovane Karl
Marx. Come Strauss, Bauer comincia a indagare la genesi delle credenze religiose. Nella Critica
della storia evangelica dei sinottici (1841) anche Bauer afferma che i Vangeli sono frutto della
rielaborazione letteraria del concetto filosofico dell’unione di finito e infinito. Al centro della
filosofia di Bauer c’è l’autocoscienza, intesa come puro spirito, soggettività capace di
autoproduzione e libertà assoluta. Tale soggettività si manifesta negli spiriti finiti e in ogni
momento storico si esprime come spirito del tempo. Il cristianesimo quindi non è che una tappa nel
percorso della soggettività verso l’autocoscienza, un percorso che è proseguito con la riforma
luterana, e che attraverso l’Illuminismo e la rivoluzione francese approderà all’ateismo. Nel 1841
Bauer pubblica in forma anonima La tromba del giudizio universale contro Hegel ateo e anticristo
uno scritto nel quale fingendo di essere un pietista convinto, attacca la filosofia hegeliana e sostiene
che in realtà Hegel era un rivoluzionario che non aveva mai accettato la Restaurazione (TESTO I
“veri” hegeliani). Nel 1842 Bauer viene espulso dall’università di Bonn a causa della non ortodossia
dei suoi scritti sul Nuovo Testamento. Il proseguimento degli studi critici sulla Bibbia lo porta alla
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pubblicazione del Cristianesimo svelato (1843) in cui interpreta la religione cristiana come una
reazione alla fine del mondo antico: l’esaltazione cristiana della sofferenza scaturisce dal dolore
provato per la fine del mondo antico. Il cristianesimo esprime dunque il lutto per la fine di un
mondo, una condizione in cui l’uomo vive estraniato da se stesso, proiettato in un chimerico aldilà:
solo l’eliminazione del cristianesimo e l’ateismo permetteranno all’uomo di riappropriarsi della sua
essenza.
4 Ludwig Feuerbach e L’essenza del cristianesimo
Un pensatore originale e indipendente, che decide di condurre un’esistenza ritirata
dedicandosi allo studio e alla ricerca
Figlio di un eminente giurista, Ludwig Feuerbach nasce nel 1804 a Landshut, nella cattolica
Baviera. Studia Teologia a Heidelberg sotto la guida di Gottlob Paulus e Karl Daub, ma senza
grande entusiasmo. Insoddisfatto dell’insegnamento, si trasferisce a Berlino dove ascolta le lezioni
di Hegel che lo entusiasmano al punto di spingerlo a passare alla facoltà di Filosofia. Da Berlino si
trasferisce a Erlangen, una piccola università protestante della Baviera, dove si laurea con una
dissertazione sulla filosofia hegeliana e ottiene l’abilitazione all’insegnamento (1828). Comincia la
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carriera accademica, ma i suoi corsi hanno poco seguito anche perché a Erlangen c’è molta
diffidenza nei confronti della filosofia hegeliana. Isolato nel mondo accademico, Feuerbach esprime
il suo pensiero senza reticenze e ben presto anche per lui svanisce ogni speranza di proseguire la
carriera come docente universitario: a decretare la sua morte accademica sono i Pensieri sulla morte
e l’immortalità (1830), un’opera molto provocatoria che viene messa al bando dalle autorità
prussiane. Negli anni successivi tenta inutilmente di ottenere una cattedra. Nel 1837 così decide di
ritirarsi a vita privata: si stabilisce a Bruckberg e vive dei proventi di una fabbrica di porcellane di
proprietà della moglie. Feuerbach conduce un’esistenza appartata ma mantiene i contatti con il
mondo culturale principalmente per via epistolare e attraverso la collaborazione con alcune riviste
tra cui gli Annali di Halle. Sono questi gli anni in cui pubblica le sue opere più famose: L’essenza
del cristianesimo (1841), Principi per una filosofia dell’avvenire (1843) e L’essenza della religione
(1845). Le burrascose vicende del 1848 lo spingono a uscire dal suo isolamento: partecipa al
Congresso democratico di Francoforte e su invito degli studenti dell’università di Heidelberg tiene
nel Palazzo comunale di Francoforte un ciclo di lezioni sull’essenza della religione. Tornato a
Bruckberg, Feuerbach prosegue la sua attività di studio e ricerca, ma nel 1861 il fallimento della
fabbrica di porcellane lo costringe a vivere in condizioni di povertà fino alla morte (1872). Wilhelm
Bolin (1835-1924), suo amico, allievo e primo biografo, ricorda che per i funerali di Feuerbach
vennero a Norimberga migliaia di operai che diedero così vita alla più grande manifestazione
socialista che si fosse mai vista in città.
Feuerbach è senza dubbio l’esponente di spicco della scuola hegeliana di sinistra, non solo per
la notorietà e il seguito delle sue opere, ma anche per l’originalità del suo pensiero
Diversamente dagli altri hegeliani, che rimangono in qualche modo legati all’impostazione
filosofica del maestro, Feuerbach parte dall’hegelismo ma lo supera, lo capovolge, con toni che in
un certo senso anticipano il percorso di Marx. Per semplificare l’esposizione della filosofia di
Feuerbach, possiamo suddividere il suo pensiero in tre momenti:
• la prima fase, quella hegeliana, comprende gli anni della sua formazione filosofica e si conclude
con la Critica della filosofia di Hegel (1839), che segna una rottura con l’hegelismo;
• nella seconda fase emerge il cosiddetto umanesimo di Feuerbach, che si esprime soprattutto in
opere come L’essenza del cristianesimo (1841) e Principi per una filosofia dell’avvenire (1843);
• nella terza fase il percorso filosofico di Feuerbach sfocia nel materialismo e nel naturalismo:
emblematica è L’essenza della religione (1845).
Gli esordi del pensiero di Feuerbach risentono dunque dell’influenza della filosofia hegeliana: in
questo periodo egli pone la Ragione, il pensiero a fondamento della realtà. Tuttavia il pensiero
giovanile di Feuerbach non può essere ridotto al solo hegelismo. Infatti vi si ritrovano gli echi della
tradizione luterana, della filosofia classica tedesca fusa con il razionalismo sei e settecentesco,
dell’Illuminismo francese e del materialismo settecentesco.
La filosofia deve criticare la realtà non giustificarla come fa l’hegelismo che, saldandosi col
cristianesimo, conferisce un fondamento metafisico al dispotismo
La prima opera significativa di Feuerbach è la dissertazione di laurea, dal titolo De ratione, una,
universalis, infinita (1828) nella quale esamina il rapporto tra individuo e ragione universale.
Hegelianamente, Feuerbach pone il pensiero a fondamento della realtà: riallacciandosi alla
tradizione razionalistica che si sviluppa da Cartesio a Kant, concepisce la realtà come il prodotto
dell’attività costitutiva del soggetto, tuttavia Feuerbach sottolinea che tale processo soggettivo non è
puramente individuale, ma trova il fondamento ultimo nella ratio universalis. Dunque la ragione
individuale non è che un momento della ragione universale che tutto permea. In questa concezione
vediamo fondersi l’idealismo hegeliano con una istanza di tipo realistico, che pone l’oggettività del
reale a fondamento del pensiero. L’opera riecheggia la Logica e la Fenomenologia dello spirito, ma
mentre Hegel si era sforzato di mantenere un equilibrio tra pensiero individuale e ragione
universale, Feuerbach sposta tutto il peso in favore di quest’ultima. L’esito di questa concezione è
duplice, da un lato un realismo più forte, dall’altro una visione immanentistica di Dio che permea
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tutto il reale. Nel 1830 pubblica anonimi i Pensieri sulla morte e l’immortalità, tuttavia il contenuto
dell’opera vale come un autografo e presto ne viene riconosciuto come l’autore. Riprendendo le sue
concezioni universalistiche, dimostra la mortalità dell’anima individuale: immortale è solo la
ragione universale, i singoli spiriti finiti si spengono con il corpo. A queste considerazioni, già di
per sé provocatorie, Feuerbach aggiunge un aperto attacco al regime della Restaurazione e alle sue
connivenze con l’ortodossia religiosa nell’instaurare un clima liberticida. Dal 1838 Feuerbach
comincia a collaborare con gli Annali di Halle da dove attacca Schelling, accusandolo di fornire una
visione mistificata della realtà: dal suo punto di vista, la filosofia positiva non è altro che un
rocambolesco tentativo di legittimare lo status quo con vertiginosi voli speculativi. Al contrario, la
filosofia deve comprendere la realtà, non accettarla, criticarla, non giustificarla, deve essere la guida
e lo stimolo per cambiare il mondo. Nel 1839 si determina la rottura con l’hegelismo: sugli Annali
di Halle pubblica un saggio intitolato Sulla filosofia ed il cristianesimo nel quale sostiene che solo
ai giovani hegeliani spetta il titolo di filosofi, mentre i vecchi hegeliani non sono filosofi ma solo
storici, pigri dogmatici che continuano a “ruminare” Hegel. Questa frattura diventa palese nella
Critica della filosofia di Hegel (1839), opera che segna il primo passo verso il superamento della
filosofia del maestro: dell’hegelismo Feuerbach critica la pretesa di conciliare finito e infinito, una
conciliazione artefatta che instaura un assolutismo della Ragione. Questa conciliazione, unita alla
credenza nel Dio personale cristiano, va a braccetto con la sottomissione a un regime dispotico.
Detto altrimenti, l’assolutismo filosofico hegeliano giustifica l’assolutismo politico della
Restaurazione conferendogli un fondamento metafisico religioso. Per questo motivo occorre
superare l’hegelismo con una nuova filosofia: la filosofia dell’avvenire deve mettere al centro della
sua riflessione non un astratto idealismo, ma l’uomo concreto, anzi gli uomini, l’umanità, con i suoi
bisogni e problemi reali. Questa svolta si concretizzò a partire dalla pubblicazione de L’essenza del
cristianesimo (1841) che non a caso suscitò un diffuso entusiasmo nei giovani della sinistra
hegeliana. Lo testimonia Friedrich Engels che in Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della
filosofia classica tedesca scrive: «Bisogna avere vissuto l’effetto liberatorio di questo libro per
farsene un’idea. L’entusiasmo era generale: per un attimo fummo tutti feuerbachiani».
Ne L’essenza del cristianesimo Feuerbach si propone non solo di criticare la religione, ma di
comprenderla come fenomeno tipicamente umano
Feuerbach parte dalla constatazione che la religione è un universale antropologico e che l’uomo è
l’unico tra tutti gli animali a nutrire un sentimento religioso. Perché? L’uomo si distingue dagli altri
animali per il fatto di avere una coscienza, intesa come consapevolezza di appartenere a un genere,
quello umano appunto. Anche gli animali riconoscono i propri simili, ma non hanno la coscienza di
appartenere a un genere perché, diversamente dall’uomo, non sono in grado di problematizzare la
propria essenza, di farne un oggetto di riflessione. L’uomo, invece, riconoscendo che certe qualità
non sono strettamente sue ma che le condivide con tutti gli altri membri della sua specie, elabora la
consapevolezza di appartenere a un genere. Per Feuerbach queste qualità o attributi fondamentali si
riducono a ragione, volontà e sentimento. L’uomo come individuo percepisce se stesso come essere
limitato, ha coscienza della propria finitezza perché riconosce che le potenzialità del genere umano
sono infinite:
[La natura umana] è infinitamente ricca di qualità diverse, appunto perché è infinitamente ricca di
differenti individui. Ogni nuovo uomo è per così dire un nuovo attributo, un nuovo talento
dell’umanità. Quanti sono gli uomini tante sono le forze, tante le facoltà che la specie umana
possiede. […] Quindi il mistero dell’inesauribile pienezza degli attributi divini null’altro è che il
mistero dell’essenza dell’uomo. (L’essenza del cristianesimo)
L’errore che l’uomo compie è quello di considerare i suoi limiti individuali come limiti della specie
e in questo modo l’uomo aliena in Dio gli attributi propri della sua natura: se le mie capacità
conoscitive sono limitate, la mia moralità volubile, i miei sentimenti contrastanti è perché questi
sono limiti intrinseci alla mia natura di essere umano. Dovrà allora esistere un essere onnisciente,
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buono, giusto e amorevole, un essere perfetto che possiede questi attributi in sommo grado. La
religione è quindi un modo illusorio per conciliare finito e infinito, individuo e genere.
L’essere divino non è altro che l’essere dell’uomo liberato dai limiti dell’individuo, cioè dai limiti
della corporeità e della realtà, e oggettivato, ossia contemplato e adorato come un altro essere da lui
distinto. Tutte le qualificazioni dell’essere divino sono perciò qualificazioni dell’essere umano.
(L’essenza del cristianesimo)
Gli attributi del Dio cristiano sono in realtà attributi dell’uomo: Dio è ragione perché la ragione è la
facoltà più alta dell’uomo, Dio è amore perché l’amore è la cosa più importante che unisce gli
uomini; Dio è vita eterna perché per i mortali la vita è il bene supremo (TESTO Dio è una
proiezione dell’uomo). Nella religione l’uomo contempla la propria essenza ma lo fa come se fosse
un altro essere, distinto da sé. In questo modo quanto più aliena i suoi attributi a Dio tanto più
impoverisce se stesso:
A ogni mancanza nell’uomo è contrapposta una pienezza in Dio: Dio è e ha precisamente ciò che
l’uomo non è né ha. Quanto è attribuito a Dio è tolto all’uomo e, viceversa, quanto è dato all’uomo
è sottratto a Dio. (L’essenza del cristianesimo)
Ma se Dio è un’oggettivazione dell’essenza dell’uomo, allora la religione non è che un’antropologia
capovolta: lo dimostra il fatto che ciascuna religione rappresenta un modello dell’umanità che l’ha
concepita. Per spiegare i misteri della religione cristiana occorre quindi compiere una riduzione
antropologica, ovvero ricondurre all’uomo gli attributi divini per restituire all’umanità la piena
consapevolezza della propria natura. La religione nasce dalla miseria della condizione umana, è un
modo per superare con la fantasia i limiti dell’individuo nella realtà; è l’infanzia dell’umanità, una
fase in cui l’autocoscienza (intesa come consapevolezza della propria essenza) si trova in un certo
senso scissa, proiettata fuori di sé, oggettivata in un altro ente: alienata in Dio appunto. Questa
illusione è destinata a essere smascherata dal progresso dell’umanità: la scienza, ad esempio, come
sapere cumulativo e prassi intersoggettiva, ha dimostrato che quello che il singolo non può
realizzare potrà essere compiuto dall’umanità come impresa collettiva. L’uomo assurgerà a
un’autentica consapevolezza della propria natura solo quando comprenderà che il superamento dei
limitati individuali si compie non in Dio ma nel genere umano.
LESSICO: Riduzione antropologica La riduzione antropologica è il meccanismo attraverso il
quale l’uomo si riappropria delle qualità alienate in Dio. Poiché la religione è una forma di
antropologia rovesciata nella quale soggetto e predicato sono invertiti, la riduzione antropologica
passa attraverso il rovesciamento dei rapporti di predicazione delle proposizioni teologiche. Così
la proposizione “Dio è amore” dovrà essere rovesciata in “l’amore è divino”, ovvero l’amore è il
sentimento più alto dell’uomo. L’emancipazione umana passa obbligatoriamente dalla riduzione
antropologica perché quanto più l’uomo si aliena in Dio tanto più la sua esistenza reale è povera.
Scrive Feuerbach: «La speculazione religiosa […] fa del derivato l’originario e dell’originario il
derivato. Dio è la prima cosa, l’uomo la seconda. In questo modo essa rovescia l’ordine naturale
delle cose. La prima cosa è proprio l’uomo, la seconda è l’essenza dell’uomo oggettivata a sé:
Dio». Il risultato della riduzione antropologica deve condurre a un’autentica religione
dell’umanità nella quale i rapporti tra gli uomini assurgano alla sacralità dei rapporti religiosi.
La filosofia di Feuerbach si risolve in un umanesimo fondato sul completo rovesciamento della
religione e dell’idealismo hegeliano
Nelle Tesi provvisorie per una riforma della filosofia (1842) Feuerbach sottolinea il distacco
dall’idealismo hegeliano che ormai considera come una razionalizzazione della teologia: filosofia
hegeliana e teologia condividono la stessa fallacia, entrambe invertono primario e secondario,
privilegiano l’ideale al reale, l’astratto al concreto. Teologia e idealismo hegeliano sono due facce
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della stessa mistificazione: entrambe rappresentano l’essenza umana alienata, la prima nella
religione, la seconda nello Spirito assoluto. Condividono infatti gli stessi errori: entrambe
rovesciano i rapporti di predicazione, invertendo soggetto e predicato, cioè mettono l’esistenza
individuale in secondo piano rispetto all’essenza generale. Nella filosofia hegeliana l’uomo è
estraniato rispetto a se stesso perché il finito è ridotto a predicato dell’infinito, la materia a predicato
dello spirito: l’uomo reale viene così sacrificato a un ideale astratto di umanità. La proposta di
Feuerbach si configura come una sorta di “ideal-empirismo” che da un lato assume come punto di
partenza il concreto, l’individuale, il molteplice, dall’altro cerca di ricondurlo a una idealità
generalizzata. Per Feuerbach, infatti, l’essenza dell’uomo è composta da individualità concrete, ed è
dalla moltitudine degli uomini in carne e ossa che ricava il suo ideale di umanità. Come la religione,
anche l’idealismo hegeliano deve essere sottoposto a una riduzione antropologica che riconduca
all’uomo ciò che ha alienato nello Spirito. La filosofia dell’avvenire dovrà essere dunque un
completo rovesciamento della religione e dell’idealismo hegeliano: suo oggetto non sarà Dio o
l’Assoluto bensì l’uomo reale, concreto.
Hegel si pone da un punto di vista che costruisce il mondo, io da un punto di vista che presuppone il
mondo come esistente, e che vuole presupporlo come esistente; egli discende, io salgo. Hegel pone
l’uomo sulla testa, io lo pongo sui suoi propri piedi, riposanti sulla geologia. (Principi per una
filosofia dell’avvenire)
La nuova filosofia è un umanesimo che ha come unico oggetto l’uomo e non lo riduce a puro
pensiero, ma lo considera per intero, anima e corpo, “dalla testa al calcagno” (TESTO La filosofia
dell’avvenire). Ma l’uomo reale è innanzitutto un animale sociale, dunque la vera dialettica è un
dialogo tra l’io e il tu, fondato sull’intersoggettività, sul riconoscimento dell’altro e sull’amore
come sentimento supremo in grado di creare legami tra gli uomini. Per questo lo scopo finale della
filosofia dell’avvenire sarà trasformare la teofilia in filantropia, l’amore per Dio in amore per
l’uomo, gli uomini «da candidati dell’aldilà in studenti dell’aldiquà». Il riconoscimento dell’altro, il
dialogo, l’intersoggettivismo sono il veicolo del progresso e dell’emancipazione dell’uomo.
Teologia e idealismo sono forme di conoscenza che testimoniano l’impotenza dell’uomo davanti
alla natura. Per evadere dall’angustia speculativa occorre rinnovare il legame tra filosofia e scienza.
Il progresso scientifico, infatti, si basa sul completamento delle conoscenze del singolo nel sapere
del genere:
Ciò che non sa e non può il singolo, ciò sanno e possono gli uomini insieme. Così il sapere divino
che sa contemporaneamente ogni singola cosa ha la propria realtà nel sapere del genere. (Principi
per una filosofia dell’avvenire)
La filosofia dell’avvenire è un’antropologia che scaturisce dal progresso. Esprime il fatto che gli
uomini non hanno più bisogno di preghiere e miracoli perché agiscono praticamente per cambiare il
mondo mediante la politica, il lavoro, la scienza e l’arte: l’uomo moderno lavora per scacciare il
bisogno e l’ignoranza, per fare della terra il proprio paradiso.
A partire da L’essenza della religione (1845) Feuerbach si sposta sempre più verso un
materialismo vitalistico e un sensualismo che troverà piena voce nelle ultime opere
L’essenza della religione (1845) estende al fenomeno religioso in generale la riflessione iniziata con
L’essenza del cristianesimo sviluppandola però in senso materialistico e naturalistico. Secondo
Feuerbach, alla base di ogni religione vi è il sentimento di dipendenza dell’uomo nei confronti della
natura, che si manifesta soprattutto nel bisogno. L’uomo è «un ente che non esiste senza luce, senza
aria, senza acqua, senza terra, senza cibo, un ente dipendente dalla natura». Nella religione l’uomo
celebra questa sua dipendenza e l’essenza divina non è altro che la natura stessa che si manifesta
all’uomo come qualcosa di divino. Originariamente il sentimento religioso si rivolge verso una
natura ostile e misteriosa che sfugge al controllo: in questa fase l’uomo divinizza le forze della
natura che ritiene importanti per la sua sopravvivenza. Man mano che estende il suo dominio su di
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essa, l’uomo comincia ad antropomorfizzare la natura e pone al suo vertice Dio come principio
ordinatore. Dio in quanto essere che esercita un dominio assoluto sulla natura e sui suoi elementi,
diventa così l’immagine plenaria della realizzazione dei desideri umani (TESTO Il fondamento
della religione). Ancora una volta Feuerbach dimostra l’idea fondamentale già enunciata ne
L’essenza del cristianesimo, ovvero che Dio non è altro che una proiezione umana.
L’annichilimento dell’uomo di fronte alla forza della natura produce il culto di un Dio onnipotente e
l’ignoranza delle leggi che governano l’universo genera la fede in una misteriosa provvidenza
divina. Ma più la scienza progredisce e i misteri della natura vengono svelati, meno c’è bisogno
della volontà di Dio per mettere in moto la macchina del mondo. Nell’idea di una natura che si
organizza autonomamente è chiara l’impostazione materialista che risulta particolarmente evidente
in uno scritto del 1862 Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia. In quest’opera ispirata
dalla lettura della Dottrina dell’alimentazione per il popolo di Jacob Moleschott, Feuerbach intende
superare il dualismo tra anima e corpo riconducendo l’attività spirituale a un fondamento materiale:
il pensiero è una funzione del cervello che come tutte le altre funzioni organiche è condizionata
dall’alimentazione. L’idea di Feuerbach è che l’alimentazione sia la base del pensiero e quindi della
cultura, pertanto il progresso dell’uomo passa anche attraverso un miglioramento della sua dieta:
La teoria degli alimenti è di grande importanza etica e politica. I cibi si trasformano in sangue, il
sangue in cuore e cervello; in materia di pensieri e di sentimenti. L’alimento umano è il fondamento
della cultura e del sentimento. Se volete far migliore il popolo, in luogo di declamazioni contro il
peccato dategli un’alimentazione migliore. (L’uomo è ciò che mangia)
Feuerbach si sarebbe poi pentito di questa frase a effetto, constatando che era ciò che rimaneva di
tutta la sua opera «nell’orecchio di certa gente» che lo accusava di rozzo materialismo.
Ciò era doppiamente ingiusto:
• in realtà, la dottrina dell’alimentazione è stata in parte rivalutata dai recenti studi nel campo della
nutrigenomica, un ramo della biomedica che studia il rapporto tra genetica e alimentazione, e che ha
portato alla luce l’esistenza di un legame tra l’alimentazione e la regolazione delle funzioni vitali
della cellula;
• ma soprattutto perché il materialismo di Feuerbach era tutt’altro che rozzo e, come abbiamo visto,
non ignorava affatto la dimensione spirituale o sociale dell’uomo. Quest’ultimo punto fu
particolarmente evidente negli ultimi scritti.
In Spiritualismo e materialismo (1866) Feuerbach sottolinea la natura sensibile dell’uomo e approda
a una concezione vitalistica: lo spirito non è che un’espressione, la più alta, della materia. In base a
questi presupposti confuta la dottrina del libero arbitrio: la volontà non è libera ma è condizionata in
primo luogo dal fatto che l’uomo è un essere sensibile caratterizzato da bisogni e desideri. Infine, in
uno scritto postumo intitolato Eudemonismo Feuerbach sottolinea la natura sociale dell’uomo:
l’uomo non è un essere isolato, al contrario la sua esistenza è strettamente connessa a quella degli
altri uomini. Il primario impulso verso il quale tende la volontà di tutti gli uomini è la felicità, una
felicità che non può realizzarsi in un’esistenza solitaria ma solo attraverso la cooperazione, il
dialogo, il rispetto dell’altro. Una nuova religione deve soppiantare quelle passate, la religione
dell’uomo, che abbia come unico oggetto di culto l’umanità e come unico scopo la felicità.